It hurts so good. di Setsuka (/viewuser.php?uid=20164)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Don't take offence at your innuendo. ***
Capitolo 2: *** Oh, here... here... here. In my head. ***
Capitolo 3: *** From manure flowers bloom. ***
Capitolo 4: *** Empty and hollow. ***
Capitolo 5: *** When you walk my way, hope it gives you hell. ***
Capitolo 6: *** You bought a star, because your life is dark. ***
Capitolo 7: *** It was the heat of the moment. ***
Capitolo 1 *** Don't take offence at your innuendo. ***
Don't take offence at your innunendo
Questa Fanfiction
è quella che ormai considero la mia “opera
magna”
del fandom, in quanto a contenuti c'è tanto - forse tutto -
quello che vorrei dire sul rapporto tra Eric e Kyle, in quanto la forma
è finalmente quella giusta, adeguata ai contenuti e... non
preoccupatevi: avrà un finale.
Le mie ff senza
finale sono ff che non mi sento di continuare per la loro
immaturità artistica e quelle che scrivo a due mani, abbiate
pazienza, non dipendono solo dalla mia volontà, ma da una
certa serie di fattori, per tanto non significa solo che bisogna
portare pazienza. Però ci sono delle ff, qui, in questo
fandom, che avranno un finale, alle quali sto silenziosamente lavorando
e - con questa pubblicazione - colgo l'occasione così di
rasserenare qualcuno, mentre ne approfitto anche per tendervi la mano e
chiedervi fiducia per questo lavoro: se riscontrerò fiducia
dai lettori il mio lavoro a questo progetto sarà
più celere, ma vedendo disinteresse, tante letture e pochi
commenti o prossimi allo zero, beh... lavorarci allora diventerebbe
demotivante, difficile e un'esperienza negativa, in quanto il pensiero
di ogni autore che non riceve feedback (e non parlo di recensioni
positive, ma di qualsiasi tipo di opinione) è “cosa
scrivo a fare? Tanto nessuno la legge, non piace e non so neanche
perché” ed essendo noi semplici
fanwriter, non abbiamo un'autostima tale da credere il contrario,
quindi sì, ho la responsabilità - e tutta
l'intenzione - di versar sangue su questo lavoro, ma chiedo
cortesemente a voi di lasciarmi una recensione, positiva, negativa,
neutra che sia, perché anche solo una di esse può
diventare il più grande stimolo per un fanwriter.
Nella speranza che
apprezzerete, vi lascio alla lettura, ringraziando tutti coloro che
supportano sempre i miei lavori, che hanno fiducia in me e non mancano
mai di esprimere un loro pensiero su quel che scrivo; questa fanfiction
ha luce grazie a queste persone che mi hanno incoraggiata a scrivere
una long da sola, che erano curiose di leggerne una e... ora
c'è questa storia ed è solo grazie a voi - che
sapete bene chi siete - e per tanto ve la dedico, con amore. Grazie.
Don't
take offence at your
innuendo
“...triste
è il destino dell'uomo...”
Non comprese, stordito dalla
violenza riservatagli per... alcun motivo.
Insensato. Pazzo. Gli
aveva sputato quel vaffanculo così gratuito e spinto contro
la
porta, come fossero nel mezzo di una rissa, quando - in
realtà - per
tutta la sera si erano parlati e guardati appena.
Ora però Kyle
lo vedeva bene Cartman, ora che gli sussurrava con dramma quella
frase insensata. Lo vedeva bene perché gli aveva gelato il
sangue,
perché immobile rimaneva quando investigava sui suoi
comportamenti
più eccentrici alla ricerca di una ragione, nella speranza -
forse
- di non avere davanti una persona puramente irrazionale,
potenzialmente pericolosa.
Eppure la conclusione era sempre la
stessa: pazzo. Totalmente e pericoloso, come lo era sempre stato in
fondo.
“triste
è il destino dell'uomo”
sussurrato con quegli occhi da rettile spenti, freddi... Erano color
ambra e a Kyle, ricordavano sempre quei pezzi di ambra che
conservavano fossili, scheletri di qualcosa estinto nell'ambra
stessa. Gli occhi di Cartman sembravano esattamente così.
A
certe distanze si dovrebbe arrossire e sentire le farfalle nello
stomaco.
Kyle
era pallido e nauseato. La sua
mano destra tremava anche un po'.
Sussultò e desiderò
affondare un pugno quando sentì il naso di Cartman
strisciare sulla
sua guancia. Il respirò gli mancò, ma
sentì quello di Cartman
dritto nel suo orecchio.
Non lo avrebbe mai detto, ma le parole
che pronunciò dopo erano inequivocabilmente una preghiera:
“rimani
Kahl”.
Chiuse gli occhi per figurare il senso di tutto quello.
Era stato solo uno dei loro soliti Sabato sera a casa Cartman, una
serata di videogiochi e stronzate, in cui tutti e quattro si
degnavano ben poco di attenzioni per darle allo schermo, mentre sopra
al soundtrack del gioco regnavano le stronzate di Kenny sulle tizie
che conosceva e sul sesso, mentre Stan cercava di portare la decenza
in quella casa con qualche stronzata di natura politica, e il tutto
orchestrato dai brevissimi commenti critici di Kyle e dai “cazzo”
o altre volgarità di Cartman. Era stata così
anche quella sera,
niente di più e niente di meno, però... tutto
trovò un senso, nel
trovare un dettaglio. Cartman aveva perso.
L'adrenalina lo
rianimò, spintonando stavolta lui con violenza Cartman.
“Cresci!”
Gli urlò prima di sbattere la porta ed esser fuori.
Stan e Kenny tanto presi dalle loro
chiacchiere non lo notarono nemmeno, ma quanto lo sentirono a pochi
passi da loro camminarono. Il vento era pungente e la neve alta,
affondavano bene i passi e bruciava il volto dell'ebreo assieme le
mani che forzava in tasca; aveva dimenticato i guanti e ne stava
pagando le conseguenze. Ma bruciava per lo più lo stomaco,
sovraccaricato di rabbia.
Bruciava, dentro e fuori, una fiamma
silenziosa che si avvelenava nel respiro e nel pensiero.
Quando
arrivò davanti casa salutò appena i suoi amici
che proseguivano nel
rientro, come salutò appena sua madre e suo padre, presi dai
preparativi per Hannuka.
Cercò solo il suo letto, aveva bisogno
di morbidezza, di caldo, di coperte che impedissero ai mostri che
vivono nel buio di prenderlo.
Ma quando chiuse gli occhi il mondo
si aprì su nuovi mostruosi orizzonti. Erano sogni che
dovevano
parlare per tutti quei silenzi e risposte in acido, per quello che
non ammetteva, per quello che accadeva all'ombra della sua ragione.
Non era la prima volta che si trovava nel nulla, in cui l'unica
cosa visibile fosse se stesso.
“Triste, è la natura
dell'uomo”.
Sussulta, perché compare, lui.
Vicino,
fastidioso, ingombrante; gli occhi non sono freddi, ricordano ora il
colore del miele. Gli piace il miele, anche se il suo diabete gli
impedisce di esserne ghiotto, ed è piacevole la sensazione
di averlo
in bocca, senza dover masticare, ingoiare a forza, come fa sempre per
tutte le parole ed i gesti che hanno origine da Eric Cartman.
Preferiva il ragazzino obeso forse, anche se perdeva di fascino e
di intelligenza, mentre il Cartman quattordicenne ha perso in grande
abbondanza stupidità e grasso. Potrebbe essere quasi un
essere umano
accettabile, accettabile per avere una certa distanza con lui, eppure
è proprio questo e il peso degli anni e l'accorciarsi delle
distanze
che hanno cambiato le carte in tavola e le posizioni sulla
scacchiera, e il nero e il bianco non ricorda più a chi
appartengano, sicuro però che è stato Cartman a
fare la prima mossa
e lui costretto a rispondere. Ed ora tutto è confuso, tante
le
perdite, di neri quanto di bianchi, e c'è una Regina
prossima al Re,
ma ha dimenticato a chi appartenga la pedina e il colore, sa soltanto
che la distanza non gli piace, che qualcuno potrebbe essere mangiato
e lui non vuole essere toccato né toccare.
Ma questa è la
natura dell'uomo.
“Non è triste. Non per noi. E'
disgustosa”.
“Non sono io quello che il Sabato va a
lodare Dio”.
Diventa bestiale, salta come una tigre sulla
sua preda, ma non ci sono i canini alla gola, bensì le mani.
Cartman
è immobile, il suo sguardo è fisso su di lui e
gli dà i brividi,
per... tante cose che sigilla con i denti, lasciando le labbra
sanguinare. E forse anche un po' il suo cuore.
Non vuole sentire
pronunciargli il nome di Dio, dargli lezioni, criticarlo,
rimproverarlo... non vuole sentirlo parlare, né vedere,
né avere
consapevolezza di quello che gli provoca, lì, tra le gambe e
sottopelle, all'altezza dello stomaco e del petto.
Voleva
vomitare, perché naturalmente è più
facile vomitare che digerire,
basta uno stimolo e in pochi secondi ci si può svuotare di
tutto,
mentre digerire costa, è fatica e pazienza e Kyle ha messo
bandiera
di resa con Cartman: non è più in grado d'esser
paziente con lui.
Vuole soffocarlo, ma gli tremano le mani.
Vuole che la
sua forza prevalga su quella dell'altro, ma è debolezza.
Vuole
che venga inghiottito dall'oscurità e tornar solo, ma sa
quanto la
solitudine sia spaventosa.
Gli occhi di Cartman non sono più
caldi, di nuovo ricordano quelli di un rettile. E lascia la presa.
Riporta la mente al giorno in cui Cartman aveva realizzato che
Jack Tenorman era suo padre, ricordava le lacrime di quel bambino,
ricordava d'aver provato una fitta e poi disgusto: Eric Cartman era
disperato per esser figlio di un pel di carota.
Dov'era il
confine tra realtà e bugia in Eric Cartman?
Era confuso, non
sapeva individuarlo e si comportava di conseguenza come un
porcospino, o meglio un'istrice i cui aculei si rivelano velenosi
però.
Meglio attaccare di veleno, corrodere, che lasciarsi
plagiare, che credere in colui che di umano aveva ben poco.
“Forse,
in fin dei conti, ho paura di perdere la mia
umanità”.
“...perché sei solo uno stupido ebreo che vuole
rimanere
uno stupido ebreo e non andare al di là di quello che vede
uno
stupido ebreo”.
E' ancora lì, sopra di lui, e potrebbe
portargli di nuovo le mani alla gola e stringere per farlo tacere
definitivamente, ma non ha forza ora, solo il coraggio di mostrare la
propria debolezza a quello che sa - ma non è rassicurante -
essere
solo un'altra parte di se stesso.
“Non
sappiamo che farci del male, che
usare violenza, con parole o azioni. Perché dovrei
desiderarti?”.
E
scoppia a ridere, risate grosse, gli sembra come nei
fumetti che diventino onomatopeiche, enormi, fastidiose, pesanti, che
violino il suo spazio e il suo onore; vorrebbe fuggire, ma risponde
solo con i pugni, per farlo tacere, per non ferirsi, perché
anche
quella è violenza e si ferma solo nell'istante in cui
realizza: è
masochismo.
“E'
più facile odiarti...” ammette con
amarezza, fermo, svuotato, demotivato.
“No,
non lo è. E'
semplicemente più facile per te metterti le mani dentro le
mutande
che tirar fuori le palle”.
“Cos-?”
il sorrisetto
compiaciuto è l'ultima cosa che vede prima che la
realtà - a suon
di sveglia - non lo riprende a se.
Sembravano
appena pochi minuti,
invece era stato il sogno di un'intera notte. Una spiacevole
conversazione con la sua coscienza.
Esce
dai boxer la mano, è
appiccicosa e non vuole vederne il frutto. La sinistra spegne la
sveglia, è Domenica ed è ancora presto e buio
nella sua camera.
Chiude
gli occhi e chiede perdono mentre torna all'oblio.
Vomiterà tutto nel cesso, laverà tutto via, ma ha
bisogno di
sentirsi sporco per almeno un'altra ora.
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Capitolo 2 *** Oh, here... here... here. In my head. ***
Oh, here... here... here. In my head.
Pensavo questo capitolo fosse molto più breve e che la
prima parte non mi venisse proprio in mente di riscriverla tre volte,
per tanto credevo di aggiornar ancor prima, ma alla fine non c'ho messo
troppo, no?
Eric ha controllato la mia ispirazione, in questo capitolo dedicato a lui, che ho scritto sulle note di here. in my head
di Tori Amos, una canzone che vi raccomando di ascoltare e di cui
troverete stralci di testo nel capitolo, poiché si plasma bene
con la mia idea di Eric Cartman per questa ff, un Cartman molto
più vicino al bimbo che conosciamo, dal punto di vista psichico,
e mi è sembrato quasi dovuto, dato che i ragazzi al momento
nella storia sono all'ultimo anno delle scuole medie.
Oh pensato se inserire o meno qualche nota di guida al testo, ma ho
preferito non farlo, e non per pigrizia: semplicemente le uniche di cui
potreste pretenderle sono nomi di cd, giochi, film... ma non credo che
non conoscerli potrebbe in qualche modo influire sulla comprensione del
testo, l'incomprensione potrebbe esser solo dettata dalla logica
contorta di Eric, ma dare spiegazioni su essa non mi sembrerebbe serio,
spiegare quel che si legge lo trovo personalmente offensivo per il
lettore, in quanto un qualsiasi lavoro artistico può essere
capito, ma la comprensione sarà in gran parte qualcosa di
individuale, lontana o vicina dall'idea originaria, ma che si
può comunque discutere e può portare ad aprire un punto
di vista nuovo, interessante. E, in tal proposito, ringrazio le
deliziose personcine che hanno recensito, fatto sapere la loro opinione
del primo - seppur brevissimo - capitolo, quanto ringrazio chi ha
lasciato un parere su Facebook o parlato con me in privato, senza
contare l'interesse sul mio lavoro di scrittura per questa storia...
piccoli gesti, poche o tante parole, che ho apprezzato di cuore e che
mi auguro il capitolo, in qualche modo, ripaghi. Ma avanzate anche
critiche e fatemi sapere se ci sono errori, perché soffrendo di
dislessia, non si sa mai che le mie riletture siano inutili.
Per concludere... questa storia, come precedentemente ho affermato, è dedicata a
coloro che mi supportano e credono nelle mie capacità, una
fiducia che ha scaldato il mio animo e di cui non posso che esser
grata; questo capitolo però vorrei dedicarlo a una di queste persone in particolare, Jenny, che
in questo mese ha compiuto gli anni e... questo vorrei lo considerasse
come un pensierino di compleanno, oltre che un incoraggiamento per la
forza e l'impegno che sta dimostrando in questo periodo.
Oh, here... here... here. In my head.
Con uno spillo trapassa uno
scarafaggio.
Lo vede agitarsi... poi un po' meno... sempre meno... ancor meno...
debolmente... e poi non si muove più.
Sente distintamente la
voce di Kyle in quel momento, un rimprovero a voce alta, acido ed
indignato, stridulo tanto da essere divertente. Non sorride però,
non c'è nulla per cui sorridere: ha un fottuto scarafaggio
incastrato in uno spillo e Kyle non è lì.
Ad ogni sua azione sbagliata sa che
potrà sentire la voce di Kyle, voleva sentirlo, per questo l'ha
fatto; sbagliare è quindi diventata una costante, in premio c'è
sempre la presenza di Kyle, reale o illusoria che sia.
Vorrebbe
sorridere, ma Kyle non è lì, è stato tutto inutile.
Mette il broncio, butta lo spillo nel
cestino e si butta - con grazia pachidermica - sul letto, alla
ricerca del sonno, sperando lo abbracci presto.
Conta fino a
sessanta e si rialza incazzato come non mai, dritto al pc, seccato
per la lentezza che impiega nell'accendersi e il cuore in gola, che
prega - sì, il cuore prega - nell'animo nerd e insonne di
Kyle.
Realizza pochi minuti dopo che non è né su Facebook, né
su Skype; la constatazione lo fa piangere come un bambino, un bambino
che scopre che Babbo Natale ha sbagliato regalo per lui.
Spegne
tutto, senza cura, e si butta a terra vicino al cestino, cerca lo
spillo, cerca lo scarafaggio e – trovato - lo osserva. Più di una
lacrima scende, mentre i singhiozzi gli muoiono in gola, senza suono.
Col pollice tocca l'insetto per levarlo dallo spillo, lasciandolo
poi cadere nel cestino. E' tardi per il rimorso.
Si calma solo
diversi minuti dopo, quando ormai l'occhio si è abituato al buio e
può leggere sul display della sveglia che è 1:18, ma non ha sonno e
torna in piedi, uccidendo la noia camminando avanti e indietro per la
camera. Accende la luce e spera che sua madre si svegli e - amorevole
- gli proponga di fargli un panino, lo può trovare pronto per un sì.
Può scendere in cucina e farlo da solo, ma sarebbe diverso, non
soddisferebbe il suo bisogno d'attenzione.
Posa lo sguardo sugli
ultimi cd comprati, sistemati in una disordinata e precaria colonna,
ci sono due album dei The Cure (Pornography e
4:13 Dream), American Gangster di Jay-Z (album che
faceva fatica a toccare) e due album della nuova ossessione musicale
di Kyle, i Franz Ferdinand. Ricorda di aver comprato quei CD con
l'intento di far sapere a Kyle che li adorava anche lui, ma poi
c'aveva ripensato, dovevano sicuramente far schifo e doveva dire a
Kyle che aveva gusti di merda; alla fine però aveva dimenticato con
quale proposito li aveva comprati ed erano rimasti lì, inascoltati.
Li prende in blocco e li porta al lato della libreria dove custodisce
tutti i suoi cd, al fianco della discografia completa dei The White
Stripes, il gruppo preferito di Kyle della passata estate.
Incurante
- come sempre - dell'ora ed arreso al fatto che sua madre non gli
preparerà alcun panino, prende il cellulare e senza andare in
rubrica, preme il tasto dell'ultima chiamata, attendendo nervoso
risposta, seduto vicino al cestino con lo sguardo fisso sullo
scarafaggio morto.
“...pronto?”.
“Cos'ha fatto oggi Kyle al laboratorio di
chimica?”.
“...cos-?
E-Eric... è l'una passata, non possiamo...” il Butters di
quattordici anni non è diverso da quello che era a nove anni; sempre
paziente e disponibile, mai che riesca a mandare a fanculo Cartman
per svegliarlo nel cuore della notte. Agli amici si deve voler bene e
star vicini, questo è il suo principio.
“E' un emergenza
Butters! Allora? Cos'è successo al fottuto club di chimica?”.
Si stropiccia diverse volte gli occhi il piccolo Butters,
cercando di ricollegare e focalizzare la giornata passata, ignorando
gli ulteriori incitamenti a parlare di Eric.
“Abbiamo
sperimentato delle reazioni chimiche tra diversi composti... come
l'ammoniaca nell'acqua che da acida diventa...”.
“Ammoniaca!
Ecco! Si spiega tutto!” L'esclamazione di Eric è così energica da
svegliare completamente Butters e metterlo in agitazione.
“P-Perché
Eric?”.
“Ma come Butters non capisci? Ricordi cos'è
successo due settimane fa al mio KFC preferito? ...BOOM!”
Butters urla dallo spavento, mentre Eric lo ignora tenendo lo sguardo
fisso sullo scarafaggio “due feriti. Ma potevano morire per
quell'esplosione!”.
“E cosa centra con quello che abbiamo
fatto al club di chimica?”.
“...Butters, sei o non sei uno
del club? Dovresti saperlo meglio di me”.
“Sono in quel
club perché tu mi hai costretto ad iscrivermi” ma Cartman non
vuole neanche fermarsi sulle lagne del suo interlocutore, né
ricordare con quanta insistenza - ed urla - l'ha spinto a iscriversi
e a fare molta attenzione a Kyle.
“L'ammoniaca
viene usata per creare esplosivi, Butters! E' stato Kyle, capisci?”.
“Eh? Ma non puoi dirlo, con quali prove...” ma non
continuò, sentendo dall'altro capo del telefono dei flebili
singhiozzi.
“...era il mio KFC preferito...”.
“Oh
Eric, vedrai, un'altra settimana e tutto tornerà come prima, devono
solo sostituire le vetrate” nessuno sarebbe stato così gentile con
Eric Cartman, Butters era una vera e propria eccezione, qualcuno che
una volta morto avrebbe meritato la beatificazione per il buon cuore
con cui aveva trattato i suoi amici e, soprattutto, chi non lo
meritava, come Eric. E nonostante l'ingenuità del ragazzo, sapeva
cosa significavano le telefonate notturne, cosa si nascondeva
all'ombra di allarmi e ansie, quanto sapeva che Kyle non aveva creato
alcun esplosivo.
“Cosa c'è che non va Eric?”.
“...c'è
uno scarafaggio morto nel cestino”.
“Oh... schifo...”.
“Era sul davanzale della finestra, l'ho ucciso con uno
spillo”.
Butters rimase in silenzio, privato del
sorriso.
“...credevo fosse una cimice” incalza Eric,
frainteso immediatamente da Butters.
“Ma gli scarafaggi non
assomigliano alle cimici”.
“Porca troia, una microspia
Butters!”.
“Oh... scusa”.
Lo sente singhiozzare
più forte e più forte diventa il dispiacere per Eric, perché
quello che lo tormenta non è né il KFC né lo scarafaggio.
Ricorda
d'avergli chiesto una volta cos'è secondo te la felicità?,
Eric c'aveva pensato e poi estremamente serio aveva risposto:
qualcosa che Kyle di certo non conosce.
Non
può far molto, ma rimanere attaccato al telefono pensa possa
tranquillizzarlo un po'. Non può essere uno spauracchio per le sue
ossessioni ed i suoi incubi, ma può esser qualcosa di più: un
amico.
“Va tutto bene Eric, tranquillo...” la
pacatezza del tono è convincente, come quella materna, come quella
dei cantastorie che assicurano ai bimbi che la principessa della
fiaba non è morta, ma sarà salvata.
Dopo un po' che
Butters continua a ripetersi tutto prende un colore più roseo nella
stanza di Eric, anche quando spegne le luci per tornare nel letto.
Ma nulla va affatto bene.
*
Punta
la sua preda ad ore 15, ma rimane nascosto tra il colonnato della
scuola, attendendo il momento migliore. Chiude gli occhi e li apre un
mondo di colorite e colorate frasi, ma non riesce a sceglierne
nessuna, opta per l'ispirazione del momento.
Guarda il suo
riflesso su una finestra, lasciando cadere lo sguardo sempre sullo
stesso punto: lo stomaco.
Non è poi così tanto
grosso, no?
Ha una corporatura ormai quasi normale, vero?
Non
differisce tanto da Stan, no?
Stan non è migliore di lui, no?
Kyle ha notato che è cambiato, vero?
E'
un turbine di ansia ogni volta che vede il suo riflesso, specialmente
in prossimità dell'ebreo.
Ogni tanto gli pizzicano anche gli
occhi.
Ma prende quella bestia per il collo, la prende a pugni e
la butta giù, ad affogare nella bile. Accarezza leggermente il
ventre e, chiudendo gli occhi di nuovo, si sente a suo agio nel
nulla.
E poi va.
“Ma guardatelo che faccino carino,
sempre sorridente con il suo amichetto, sempre puntuale, sempre ben
vestito, è il Clark Kent di South Park lui...” gli porta un
braccio intorno al collo, in modo confidenziale, amichevole... (ma
sogna d'abbracciarlo, in verità).
“...ma ci sarà davvero un Superman oltre questi occhiali?” e
gli leva gli occhialetti dalla montatura nera che Kyle è solito
usare quando era a scuola o mentre studiava; lo trova sexy quando li
indossa, ma in quel momento preferisce vedere bene i suoi occhi.
“O
forse si nasconde qualcuno che tanto retto ed eroico non è?”.
Kyle non fa nulla, lo guarda con sufficienza, leggendo
perfettamente l'espressione di Cartman. Sa a cosa va incontro, cosa
significavano quelle parole, e l'unico modo per preservare la sua
salute ed eventuali guai è ignorarlo; esattamente come fa il resto
degli altri studenti nel corridoio. Ma non Stan. Anche se lui è il
suo migliore amico, in certi momenti Kyle vorrebbe prenderlo a calci
nel culo, per la sua capacità di complicare le cose dando troppo
retta a Cartman.
“La smetti Cartman di dar fastidio a Kyle
e dir cazzate?”.
Sia Eric che Kyle si irritano alle parole
di Stan, ma per motivi diversi.
Eric non può perdonargli di
essersi intromesso in quel momento, mentre Kyle – anche se seccato
– lo sta guardando.
“Oh, scordavo che abbiamo qui Lois
Lane... senti vai a pomiciare con la tua ragazza, invece di rompere
il cazzo!”.
E Kyle ne approfitta per riprendersi gli
occhiali e allontanare Cartman, impedendo subito a Stan di dargli
ulteriore corda.
“Stan, non rispondere a quest'idiota, andiamo
altrove”.
“Idiota? Idiota?! Quest'idiota Kahl, sa cosa
hai fatto la notte di sabato 13, e non intende assolutamente stare
zitto” e Kyle fa il suo passo falso, sussulta e si volta, ma... non
può essere, che...
“Io non
intendo star zitto e abbassare la testa davanti a un atto
terroristico! Tutti qui, devono sapere che sei stato tu ad aver messo
quell'esplosivo davanti al KFC!”.
Tutti a quel punto si
voltano, per lo più per il modo in cui Eric urla, mentre Kyle
sospira – un po' rilassato – chiedendosi cosa deve fare con Eric
Cartman.
“E perché mai dovrei esser stato io?”.
“Oh,
andiamo sai benissimo che quello è il mio KFC preferito!”.
“Cos-”
tutto ciò è assurdo e ancor più assurdo – si rimprovera Kyle –
è che gli stava dando corda. Non vuole, non deve, significa solo
dargliela vinta, soddisfarlo, farlo sentire più importante di quello
che è, e – per quanto è un pensiero particolarmente teatrale –
preferirebbe morire piuttosto che considerarlo importante.
“Lo
so Kahl, cosa credi? Lo so che vuoi rovinare ogni cosa nella mia
vita! Ma non credere che io te lo lasci fare senza pagare il conto!”.
Butters sta tranquillamente entrando a scuola nei suoi abiti
tinta pastello, col solito sorriso da rivolgere a chiunque conosce.
Tuttavia quando l'imponente voce di Eric si leva nel corridoio, non
c' è più posto per un sorriso sulle sue labbra.
Doveva immaginarlo,
aveva peccato d'ingenuità credendo che tutto fosse finito con quel
pianto la sera prima.
Si guarda intorno, agitato, cercando una
soluzione, qualcuno come Kenny che con una stupida battuta può
placare gli animi, ma... oh già, Kenny è stato investito da una
bici ed è in ospedale. Spetta a lui farsi avanti, nella sua
tremolante ed incerta natura, spintonando – come non è solito fare
– i curiosi che aspettano la rissa, che si augura Butters, non
accada.
“Eric! Eric! Madonnina, ti prego, calmati...”
prima che Kyle si avvicini, si porta davanti a Cartman,
allontanandolo.
“Eccoti Butters! Dì un po' a Kyle che noi
sappiamo quello che ha fatto! Digli come l'hai visto esercitarsi nel
fare esplosivi!” Butters è prossimo ad andare nel panico,
esattamente come Tweek che a pochi metri da loro – angosciato per
una presunta rissa – con le mani tra i capelli scappa urlando,
attirando l'attenzione anche dei pochi che non sanno cosa sta
accadendo.
“Eric, sai
benissimo che non è-” ma non fa in tempo a finire la frase che la
voce di Kyle lo spaventa. E' gelida.
“...hai davvero sparso tu
questa voce Butters?”.
Kyle è sempre stato buono con lui –
ok, ogni tanto ha fatto lo stronzo, ma meno degli altri – e di
fronte a una grave accusa come quella, Kyle ha tutte le ragioni per
riempirlo di pugni e calci, anche di appenderlo per le mutande
all'asta della bandiera della scuola.
“N-no, io ho solo
detto quello che che facciamo nel club di chimica e...”
Kyle non gli da
tempo per spiegarsi ulteriormente, in fondo neanche l'ha davvero
ascoltato.
“Proprio
degno di una strachecca”.
E
gli volta le spalle, pensando che è meglio raggiungere l'aula di
scienze per non perdere la lezione e non essere troppo al centro
dell'attenzione. Lui non è come Cartman, lo stesso Cartman che in
quel momento ride dell'appellativo che ha dato a Butters.
'Coglione', pensa
di Eric Cartman strattonando Stan, prima che si cacci in qualche
guaio, ma a quanto pare non è così fortunato quel giorno.
“Gli
studenti Kyle Broflovski ed Eric Cartman sono attesi in presidenza”
annunciano squillanti, e ripetendosi, le altoparlanti.
Giura a se
stesso che un giorno o l'altro ammazzerà Eric Cartman.
*
La Preside
Vittoria, in quanto direttrice della scuole medie e delle poco
distanti scuole elementari, ha grandi responsabilità in quanto
educatrice e non solo. E non ha il lusso, per quanto conosca bene i
suoi polli, di ignorare se Eric Cartman urla nei corridoi della
scuola che Kyle Broflovski ha giocato con degli esplosivi in città,
causando dei guai che hanno lasciato due feriti, soprattutto non può
ignorare la questione dato che un colpevole non è stato ancora
trovato ed esso poteva nascondersi proprio nella sua scuola.
Dopo però
un'ora di dialogo con Cartman e Broflovski era stato chiaro come il
sole che Cartman basava sul nulla le sue accuse; la signora Preside
anzi fu piuttosto irritata dal fatto che il suo problematico pollo
avesse così tanta fantasia e voglia di giocare, macchiando la
reputazione sull'orgoglio fatto persona del suo istituto, ovvero
Kyle. Si sentì mortificata per aver dato peso alle accuse di Eric e,
sperò in cuor suo, che Sheila Broflovski – ancora fiera
rappresentante dei genitori – non venisse a sapere di questa
storia. Come se Kyle non vedesse l'ora di parlare con la sua
iperprotettiva madre di quel che accadeva tra lui e Cartman.
Il
caso fu così da archiviare per la Preside, ma non per Cartman,
seriamente convinto della sua accusa, diventata ormai l'ossessione di
quella settimana. Bastava chiudesse gli occhi perché vedesse la
scena, come fosse stato testimone, perfetta, senza incongruenze.
“Eric, dovresti smetterla non è stato Kyle, lo sai bene.
Così non fai che...”.
“Taci Butters”.
Nessuno
può levargli quell'idea dalla testa. Ed ha solo un'altra scusa per
non potergli togliere gli occhi di dosso.
Dovrà tradirsi,
pensa, potrebbe anche coglierlo con le mani nel sacco, così da poter
dire di conoscere il suo segreto; tutto sarà poi migliore, lui starà
meglio. Potrà tornare al KFC e mangiare ancora le sue adorate alette
di pollo, immergendole nella salsa che tanto ama, in cui avrebbe di
nuovo voluto farci il bagno, come era successo anni prima con Kyle,
uno dei quei pochi momenti intimi che avevano condiviso e che – lo
sapeva! – Kyle voleva dimenticare, eliminare, al punto di far
saltar in aria l'origine di quel “male”, che – nonostante lo
giudichi così l'ebreo – Eric sa che non è stato un male. Kyle è
stato in qualche modo felice, una felicità che però vuole negarsi
al punto di essere estremo e... Eric non glielo vuole permettere.
Può eliminare
le tracce, i fili che li legano, ma non lui che – anche con la
forza – riallaccerà quei fili, potrebbe... fare qualsiasi cosa,
pur che Kyle rimanga parte integrante – oltre che fondante –
nella sua vita, non gli può perdonato l'esorcizzare il loro vissuto,
non gli permetterà di esser solo un fantasma.
E' carne che vuole
altra carne.
*
“Si può
sapere cosa diamine vuoi da me? Devo denunciarti per stalking?”
Kyle è un ingenuo, rasenta il ridicolo urlandogli quelle cose dopo
ben nove giorni in cui Cartman non gli ha tolto gli occhi di dosso e
seguito a distanza ovunque andasse.
E' un estremista,
dovrebbe saperlo, e per tanto estremi sono i suoi metodi.
“Kahl,
non fare la primadonna. Solo perché tu uscendo di casa mi hai
trovato davanti casa tua, non significa che io son qui per te.
Significa solo che non ti sei pulito bene”.
Lo prende in
contro piede con l'ultima frase. Seguire i discorsi di Cartman,
spesso è alquanto difficile. “Cos- ...pulito?”.
“La
sabbia, nella tua vagina Kyle. Ti prude e per questo sei acido”.
Mosè solo sa come non gli metta le mani al collo. Quello
stronzo... prima o poi lo avrebbe ammazzato; più prima che
poi se continuava di quella linea.
L'unica cosa che può
fare, per la sua salute mentale, è passar oltre ed ignorarlo: ha un
Sabato sera libero e non lo vuole certo sprecare incazzandosi con
quel coglione. Vuole passar da Stan e star con lui, insieme avrebbero
trovato un modo per passare quella serata.
“Ehi Kahl, ti va
di andare al cinema? ...ho un biglietto in più per Thor” affonda
le mani nelle tasche, mentre lo scarpone scava nella neve, cercando
di distrarsi dall'ansia che non gli procura altro che gastrite. E
quando Kyle si volta, sussulta appena Eric nel vedersi rivolta
un'occhiata maliziosa.
“Non eri qui davanti per puro caso
Culone?”.
“Ovvio”.
“Con un biglietto in più
per il cinema, pronto ad offrirmelo?”
“Te l'ho detto che
sei una primadonna, ebreo” Eric stesso si stupisce di quanto sappia
mostrarsi calmo e coglione in un momento simile, con gli occhi di
Kyle fissi su di lui, stavolta liberi dagli occhiali.
“...non sei stato
di certo tu il mio primo pensiero, volevo invitare
Butters...”.
“Invitalo” taglia corto Kyle, tornando sui
suoi passi.
“Ma...” riprende con tono più alto “...un
certo ebreo è alquanto nervosetto e ho pensato, visto che sono un
animo gentile, di invitar lui”.
Arrossisce leggermente finendo
frase. Nulla però che possa esser sospetto, è il colore di un
pizzico, un colore che il freddo giustifica e, comunque, Kyle cammina
lontano da lui.
Potrebbe anche piangere, non lo noterebbe.
“Di
certo non risolverei il mio problema di nervi uscendo con la causa di
essi”.
Eric
non accetta il tono di strafottente superiorità di Kyle e pensa di
giocare il suo Jolly.
“Dillo che ti rode il culo perché ho
pensato prima a Butters!”.
Colpito o meno, Kyle si ferma,
e... lo guarda di nuovo. Gli fa inevitabilmente male il petto.
“Sei assurdo Cartman! Ma che diamine hai nella testa? Mi
accusi, mi spii, mi segui, mi inviti, poi dici che son geloso... fai
tutto tu e pretendi anche che io debba darti retta?”.
'Fai
qualsiasi cosa, anche gli insulti vanno bene, ma guardami'.
Stringe i pugni nella felpa, cercando di non veder rosso, ma
bianco. Il color tanto candido che ricorda la luce e che – per
definizione – è la negazione di ogni colore. E' qualcosa che lo
mette a suo agio, per questo ama la neve e la calcia, tutto sembra
andar meglio quando lo fa, sembra quasi non abbia i nervi a fior di
pelle.
“Stan è con Wendy, e Kenny è, al solito, a
rimorchiare. Quindi mi fai inevitabilmente pensare che stai
elaborando qualche ordigno. Stavolta dove lo metterai? Sotto casa
mia?”.
“Cielo Cartman, basta con questa storia!” esplode
e torna indietro, avvicinandosi quasi minaccioso a Eric.
Ha i brividi
sotto la felpa rossa Eric e non dal terrore; deve mordersi le labbra
per non sorridere. Quella la chiama armonia.
“Non sono
stato io, non ne avevo motivo e non ho le conoscenze per farlo,
altrimenti davvero ti farei esplodere pur di non sentire tutte queste
tue stronzate. E tu lo sai benissimo che non sono stato io! Quindi
perché lo fai? Perché non mi lasci in santa pace?”.
Abbassa
il volto Eric, Kyle lo studia con sguardo severo, pronto stavolta a
prenderlo a pugni nel caso spari un'altra delle sue assurdità.
Invece Eric lo sorprende ancora: assurdo, ma serio allo stesso tempo;
destabilizza Kyle lasciandolo senza parole nell'imbarazzo
dell'incomprensione.
“E' la stessa domanda che mi pongo io
Kyle. Me lo sono chiesto quando ho ucciso quello scarafaggio. Doveva
essere una cimice, tu sei bravo con queste cose da geek...” quando
alza lo sguardo Kyle fa un passo indietro. Cartman è pallido e gli
occhi sono quelli del rettile che tanto teme.
Eric Cartman è un animale a sangue
freddo?
...Kyle di certo no
e trema, per il freddo, per la neve – anche se è Aprile – e per quello che ha davanti. Ha
bisogno della sua giacca, della sciarpa e del cappello. Ma non sono
abbastanza.
“...invece sei sempre nel posto sbagliato
quando dovresti esserci e ci sei nei momenti sbagliati. E poi dai a
me la colpa, io poi sono quello sbagliato...” non si vergogna di
versare lacrime, ma in realtà neanche ne è cosciente. Non è
piangere quello, ma sanguinare, stupidamente.
C'è il cuore che
batte forte, trema, ma non i suoi muscoli; è rigidamente composto,
con gli stivali ben affondati nella neve.
“...se quello
scarafaggio non era una cimice e tu non hai messo quell'ordigno al
KFC, chi è stato? Non ha senso così, ma io lo so che c'è, che
centri tu, perché...”
“Cartman! Smettila!” la voce
incerta e macchiata dal panico ferma il tempo, recidendo il filo dei
pensieri.
Eric dovrà
ritrovare quel filo e sarà dura, ma troverà l'estremità a cui
legarlo; sarà un'estremità diversa probabilmente, ma non importano
le deviazioni di linea, il percorso è sempre lo stesso, il traguardo
è la partenza, è un unica cosa, una ragnatela dalla forma che
conosce bene e che continuerà a tessere perché è l'unica sua arma
e scudo, è la sua casa, lì, quando chiude gli occhi e il mondo si
spegne.
“...non... non ho idea di cosa tu stia parlando, ma
non sono stato io e non c'è nessun motivo per piangere, idiota!”.
Lo sa, sa perfettamente che per lui è solo un idiota. Si
sente un po' come la neve sotto la luce, non fa male, semplicemente
scioglie.
Stringe i biglietti
del cinema nella tasca e poi li tira fuori, li getta a terra con
sprezzo, quasi fossero sporchi.
“Usali pure, tu,
col tuo super-miglior amichetto del cazzo. Non era per Butters il
secondo biglietto, non era per nessuno, era solo per...” gli occhi
lucidi sfocano tutto, compreso quel che c'è scritto sul biglietto,
non vede più titolo e posti, anche se la sua mente sa perfettamente
cosa c'è scritto su di essi.
“...che schifo” e lo dice
guardando in faccia Kyle. Nessun pentimento.
Kyle è lì, eppure
è come se non ci fosse. Era sempre quello il problema, quello che
faceva male, avere solo una parte di quel che desidera.
“C-Catman...”
lo chiama, stavolta con l'intenzione di calmarlo davvero perché
capisce e non è sua intenzione far così lo stronzo,
semplicemente... è sempre colpa di Cartman se lui si comporta così.
Ma Cartman ormai ha
fatto dietro-front.
*
Dopo
lo slam violento della
porta, vola una scarpa contro la finestra e poi entra, furioso,
calciando il comodino e facendo cadere sveglia e lampada.
La luce
della ragione si è spenta in Eric nel momento stesso in cui ha
gettato a terra i suoi guantoni da box, incarnati nei biglietti per il
cinema.
Si leva anche l'altra scarpa e la getta contro la parete,
e poi lo segue a terra anche il pesante maglione. Si avventa sulla
scrivania, prendendo la cornice che ritrae lui e Kyle insieme a Stan
e Kenny, una foto scattata durante la gita della prima media, davanti alle
cascate del Niagara.
“ti odio, ti odio, ti odio...”
sibila con in corpo il veleno di un serpente. E poi getta via la
cornice, rompendola, coprendo di vetro il tappeto vicino al letto.
Potrebbe anche passarci sopra e farsi male, ma non lo noterebbe, sta
già piangendo per ben altre ferite.
Ma non è finita lì, non è
sufficiente.
In pochi secondi tutti i suoi cd sono a terra, il suo
scaffale è liberato. Calpesta con rabbia Disintegration e tutta la
restante discografia dei The Cure, la chiama merda, sottovoce, mentre
vede rosso, rosso dappertutto e ha bisogno di incornarlo, di chiamare
quella roba merda, tutto... tutto quello che c'è in quella stanza.
Finiscono a terra le saghe fantasy di Tolkien, le espansioni di
World of Warcraft,
montagne di videogiochi, le scatole dei giochi di ruolo firmate
Dungeon&Dragons, e
album fotografici che, all'impatto si aprono e... mostrano Kyle.
Calpesta quell'immagine non potendola perdonare.
Doveva essere
stato lui a mandare quello scarafaggio...
Doveva essere lui ad
aver messo quell'esplosivo al KFC...
Tutto aveva un senso, la suacollocazione
era giusta, non poteva sbagliare, perché era lì,
intorno a lui, sotto ai suoi piedi ora, nel caos creato da
lui, conosceva l'ordine, i fili erano sempre lì, legati
alle sue dita,
potevano disperdersi le altre estremità, ma sempre avrebbero
figurato
lo stesso senso. Per questo Kyle non poteva sfuggirgli, poteva
prevedere le sue azioni perché era abituato al suo spazio
vitale,
perché era circondato da lui... non poteva che essere
così.
Chiudendo gli occhi lo vedeva, nitidamente: Kyle che metteva uno
scarafaggio spia dentro la sua stanza, Kyle che preparava un ordigno,
per poi metterlo in un orario insospettabile davanti al KFC che lui
tanto amava, così da farlo davvero incazzare. Era così, come
immaginava lui.
Altrimenti Kyle... dov'era? Dov'era sempre stato?
...in
my head I found you there and
running around and following me
but
you don’t, oh, dare, now
Apre
gli occhi, umidi, e crolla su Kyle sorridenti.
Ha un lungo
brivido, che sale su tutta la colonna vertebrale.
E lui
dov'è? - Guarda il proprio
riflesso, ma non riesce a vederlo nitido, la sua vista è offuscata
dalle lacrime. Ma le lacrime mostrano esattamente come stanno le
cose.
but
I find that i have, now
more then I ever wanted to
E
marcia sulla sua realtà, uno spazio nero e confortevole, che accoglie
con sollievo, che nasconde riflessi e realtà. E va bene così, anche
se nulla va affatto bene.
E lo vede all'orizzonte dei suoi sogni,
e gli perdona tutto.
Gattona verso di lui Kyle, con vestiti candidi che
dominano lo spazio del buio. E' come una stella, dell'importanza del
Sole, e non può che ruotare intorno a lui e far dipendere la sua
vita.
Sciocchi coloro che non comprendono la bellezza del buio; in esso tutto diventa più chiaro e confortante. Non nega il suo
amore per il bianco però, non potrebbe mai. Li ama in pari misura,
come ama se stesso e Kyle, che sono come bianco e nero e, al loro
interno hanno ciascuno un po' dell'altro. Vorrebbe farsi tatuare il
Tao solo per questo.
E quando Kyle lo sovrasta sente un battito
mancargli, con un po' di fantasia vede uscire il cuore dal suo petto ed
esser inghiottito dal cespuglio rosso di Kyle, che gli sorride, come
nelle sue foto.
E poi gli porta le mani alla gola.
“Il
mio piccolo mostro...”
E' l'unica cosa che riesce a dire
Eric trasognante, prima che la stretta abbia maggior forza.
E
rinasce nella realtà, tra Kyle sorridenti che non muovono un dito.
you
and me here
alone on the floor.
*
Il
lunedì mattina la realtà cambia dal canale bianco e nero, al canale
a colori in HD, quando sul suo banco vede tre facce di Abramo
Lincoln.
“Se non vuoi dei biglietti, almeno pretendi che
te li paghino”.
Timidamente Eric alza lo sguardo su Kyle.
Ha gli occhiali e dietro le lenti ostenta prepotenza; ha il classico
bagliore di chi sa di essere nel giusto.
“Tu... sempre che
sai qual'è la cosa giusta da fare, eh?” è calmo il suo tono e
Kyle non si scompone, rimane fermo con i quindici dollari in mano.
“Vorrei sapere cosa ti garantisce di essere sempre nel giusto,
di essere quello che mai sbaglia e che può fare da maestrina agli
altri” Kyle non vuole la polemica, evita, gli lascia i soldi sul
banco, pronto a girar i tacchi e tornare al suo posto, ma... ad Eric
non va bene che si defili in questo modo.
“Guarda che andar
dire agli altri cosa è giusto o sbagliato ed esser pronto a
rispondere correttamente ad ogni domanda dei professori, non ti
conferisce un'aria da intellettuale” e sa di averlo punto, che Kyle
si scaglierà contro di lui con qualche divertente – quanto
spropositata – reazione.
“Al massimo, con quegli occhialetti,
potresti sembrare una di quelle segretarie che si mettono a novanta
nei porno e...”.
Si aspettava urla, un pugno dritto sul
naso, che gli sbattesse la suola delle scarpe sui denti, che gli
facesse volare il banco, che gli schiacciasse un libro in testa, ma...
non uno schiaffo.
Acquisisce un'intensa tonalità di rosso, e non
solo sulla guancia offesa.
“K-Kahl...?”.
Non
ottiene alcuna risposta, né alcuna attenzione; torna al suo posto
incurante della tempesta che ha scatenato sotto la pelle di Eric.
Strofinandosi la guancia, quasi accarezzando lì dove il palmo di
Kyle l'ha toccato, Eric ricorda che qualche mese prima una ragazza
aveva schiaffeggiato Kenny nei corridoi e l'amico, dopo qualche
momento di silenzio, aveva mostrato un sorriso ebete per
tutto il giorno che... gli aveva dato alquanto fastidio, finché non
si era deciso a spiegarsi: “quando una ragazza ti dà uno schiaffo
è perché l'hai ferita, c'è rimasta male per qualcosa che hai fatto
e non si aspettava perché... gli piaci. Anzi, gli piaci un casino”
aveva pensato che fosse pazzo, se non fosse che dopo una settimana
Kenny e quella tizia si erano messi insieme. Era durata un mese quella
storia, ma non era questo il fatto importante.
Kyle non è una
ragazza, ma non cambia che per lui – sotto i pantaloni –
l'ebreo ha senza dubbio una vagina.
“Quindi... è
timido...” farfuglia tra se e se, con un sorriso che può far
invidia a quelli di Jim Carrey.
Non appena Kenny mette piede
in classe, Cartman prende lo zaino travolgendolo e lo porta via urlando
ai compagni che lui e McCormick saranno impegnati in un progetto di
scienze sociali e non possono pertanto seguire la lezione di letteratura.
“Cos- sei impazzito Cartman?”.
“Ti offro tutto
quello che vuoi dal Burger King”.
“Cosa? Oddio... la Terra
sta per essere dominata di Cthulhu, vero? Beh se è così preferirei
passare gli ultimi momenti tra le tette di-”.
“...puoi
prendere anche un doppio menù extra-large”.
“Ti seguirò
fino in capo al mondo!”.
“Non ne avevo dubbi”.
*
Ha evitato per tutto il giorno di avvicinarsi alla scuola e
qualsiasi posto poteva frequentare Kyle, costringendo –
piacevolmente – Kenny a stare con lui e a farsi dire qualsiasi cosa
sugli schiaffi e le ragazze acide e beh... Kenny ha parlato per ore,
senza porsi troppe domande, incantato dal cibo. Non è certo abituato
a mangiar così tanto, né a farsi offrire un pranzo.
Messo
piede dentro casa però Eric non è più così convinto che quello
che Kenny gli ha detto sia adattabile a Kyle; può accordare su
qualcosa, ma non su tutto e questo da un lato lo fa sentire
sollevato. Kyle è speciale.
Si lascia cadere sul letto
stringendo il cuscino, in un atto infantile e per certi versi
femminile. Vorrebbe gridare al mondo, ma allo stesso tempo per lui il
mondo non esiste, è lì, riordinato, ricostruito, riparato con
nastro adesivo e colla. E va bene così. Va bene soffocare sorrisi
nel cuscino.
E dopo cena sente il bisogno di chiudersi in camera,
portare il laptop sul letto e cercare Kyle nella realtà virtuale.
Non gli interessa parlare con lui o commentare i suoi stati Facebook,
va bene soltanto vedere cosa sta facendo.
E nel momento che
nota sta rispondendo a domande su ASK, in modo cortese e simpatico,
invidia tutti coloro a cui rivolge quei toni, tutti tranne lui. Ogni
tanto si nasconde dietro l'anonimato per avere l'illusione che Kyle
sia gentile con lui, ma non lo fa spesso per non farsi del male.
Decide di scrivergli anche lui qualcosa, una domanda scema, senza
anonimato.
“Porti gli occhiali perché sei
diventato miope a forza di passare la tua esistenza su
internet?”.
Si tocca la
guancia sinistra, la guancia che Kyle ha colpito quella mattina,
cullandosi nell'illusorio piacere che sia ancora viva quella
sensazione. Il pensiero lo fa sorridere, ancora.
Scrive ancora a
Kyle, aggiungendo l'anonimato stavolta.
“Hai degli
occhi bellissimi”.
Vorrebbe
tanto che Kyle capisse.
*
Fissa con
astio la domanda firmata da Cartman.
Quello stronzo... ancora gli
bruciano le parole di quella mattina, e lui che voleva solo essere a
pari, avrebbe dovuto sfruttare quei biglietti invece di averli ancora
lì, sulla scrivania. Stan sarebbe entusiasta di andare a vedere
Thor!
Fa per cancellare la domanda, quando ne vede notificata
un'altra. Dev'essere una nuova stronzata di quel coglione, ma clicca
per aggiornare e...
“Hai degli occhi
bellissimi”.
E' solo un
attimo, ma si sente scottato.
Nota che il messaggio è anonimo
e si sente stupido per aver letto mentalmente quella frase con la
voce di Cartman.
Il suo imbarazzo per quelle parole si modera.
Ripensa all'offesa di quella mattina, ripensa meglio alle
battutine sugli occhiali che Cartman ha fatto da quando li ha indossati in
autunno.
Che quel coglione lo offenda perché i suoi occhi....
-no, non è possibile, la gentilezza non si accosta al nome Cartman,
che è soltanto un coglione.
E si rimprovera di stupidità per
esser deluso.
*
“Kahl, mi dispiace. Ho sbagliato”.
Cade la forchetta
dalla mano dell'ebreo che guarda – totalmente allibito – quello
che non può essere Eric Cartman, ma un alieno che sta prendendo il
suo posto a mensa.
Lancia una veloce occhiata a Stan, e vede il
suo stesso stupore sul volto dell'amico, mentre Kenny è troppo
impegnato col suo petto di pollo, per potersi stupire.
Eric, dal
canto suo, ancora non si è avventato sul pranzo – come è solito
fare – ma è lì, seduto, fermo, incredibilmente serio e... lo
guarda con un'intensità tale da farlo sentire a disagio. Kyle ignora
quante ore Eric ha impiegato per formulare quella frase, ignora il
fatto che non ha dormito molto, ignora che è dalla mattinata che è
si è tenuto lontano solo per trovare il coraggio di dirlo in un
campo neutro, nel quale Kyle non può scappare, davanti al miglior
piatto della mensa scolastica: petto di pollo accompagnato da purè
di patate e carote lessate.
L'unica cosa di cui Kyle può
esser certo è che Cartman sta aspettando una sua qualsiasi parola.
Gliela deve.
“Come scusa?”
Ed Eric sospira, perché
detesta quando Kyle fa il finto tonto.
“Ho detto che mi
dispiace” abbassa lo sguardo sul purè “...ho sbagliato...” ma
si riprende subito, perché vuole che legga nei suoi occhi “...mi
son meritato quello schiaffo, ho fatto solo che il coglione” e la
frase attira l'attenzione di Kenny al fianco di Cartman, il quale non
può trattenersi dal ripetere “schiaffo?”
per poi soffocare una risata e girarsi dall'altra parte sotto lo
sguardo stralunato di Stan.
Kyle vorrebbe dire qualcosa, ma il
punto è che non ci sono parole per commentare quelle scuse che, sì,
si merita, ma non si aspettava e... il ricordo dello schiaffo lo
imbarazza alquanto, quasi più delle parole che Cartman gli aveva
rivolto.
“...non mi aspetto nulla, volevo solo ascoltassi
e...” mezza verità. Vorrebbe una parola gentile da Kyle, ma sa che
è pretendere troppo e tira fuori dalla tasca la parte più difficile
di quel confronto unilaterale: i soldi del biglietto del cinema.
“...non volevo neanche che mi pagassi i biglietti,
erano...”
vede con la coda dell'occhio Kenny alzarsi e mormorare qualcosa a
Stan a proposito di Wendy e Bebe “...un regalo” e lascia le
banconote al fianco del vassoio di Kyle, mentre nota quello di Stan
levarsi, seguito da Kenny che lo sta costringendo a lasciare il
tavolo. Se fosse il suo tipo, e non il suo migliore amico, Eric lo
bacerebbe per il tempismo, per essere l'unico sveglio dei suoi amici.
Lo prenderà in giro dopo Kenny, e gli farà una valanga di
domande, ma non
gli importa, quello di cui gli importa è davanti ai suoi occhi.
“No, Cartman non rivoglio i soldi!”.
“E' stato
il tuo un gesto non richiesto, non il mio. Basta che... il film ti
sia piaciuto”.
“In verità non ho visto quel film”
l'assenza di Stan in un certo senso gli facilita le cose, è
imbarazzante rispondere, ma con il suo miglior amico presente – e
con Kenny – sarebbe stato ancor più imbarazzante.
Si chiede
Cartman come possa interpretare quella frase e la sua incapacità di
guardarlo negli occhi, ma pensa che in fondo va bene qualsiasi
interpretazione, non ne esiste una corretta o una sbagliata.
“Oh,
pensavo ti piacesse Thor” e non nasconde una nota di delusione
Cartman.
“Mi piace infatti” recupera la forchetta Kyle e
riprende a mangiare. Non vuole che l'atmosfera sia più strana di
quello che è, né desidera eventuali curiose occhiate, stanno solo
parlando.
Una conversazione che sta provocando violente
sensazioni sotto la pelle di entrambi.
Eric si morde il
labbro, guardando con occhietti da gufo Kyle, perché... non vorrebbe
aver capito male, ma... gli sta spianando il terreno? O si sta
sadicamente vendicando?
“Allora dovrem-” si rimangia la parola
errata, sperando che Kyle sia più attento al sapore del pollo che al
suo errore “-potremmo andarci insieme, se... se non sai con chi
andare”.
Kyle per poco non si strozza.
Mangiare conversando
con Eric Cartman non è la più saggia delle idee, ed Eric lo sa, per
tanto cerca di rimediare a quell'opprimente imbarazzo che non
dovrebbe esserci tra loro, nonostante sia giustificato.
“E'
solo un'idea, per... perché ecco... io mi son scusato, e vorrei
accettassi le mie scuse, ma se non vuoi farlo a parole ecco si
potrebbe andare al cinema, o... o...” è quasi nel panico, ha quasi
voglia di fuggire, ma non può, non può sotto lo sguardo di Kyle che
finalmente ha incontrato il suo.
Vuole dire qualcosa che piace
fare a Kyle e non a lui, da fare insieme, e... lo studio è l'unica
cosa che gli viene in mente. La matematica su tutte.
“...o
potremmo fare i compiti, magari potresti darmi una mano
in matematica” perché a Kyle, lo sa, piace tanto fare il maestro
della situazione, quanto gli piacciono i numeri e con un abbozzo di
sorriso accompagna la sua proposta.
“...darti una mano in
matematica?” lo chiede come caduto dalle nuvole.
“Sì”
risponde credendola una domanda retorica. Crede male, molto male.
“Sei incredibile!” il modo in cui lo dice è tutt'altro
che un complimento ed Eric sussulta, ma non proferisce parola.
“Non
c'è una volta che tu non faccia qualcosa per scopo! E pensare che
avevo quasi creduto alle tue scuse”.
“Cos-... aspetta che
intendi dire?”.
“Cartman evita di farmi incazzare”
sussurra prima di mettersi in bocca una generosa forchettata di
carote.
“Ma non sto facendo nulla per scopo!”.
“E
l'aiuto in matematica come lo chiami?”.
“L'ho detto solo
perché a te piace matematica” e lo dice candidamente, pensando
che non verrà frainteso una seconda volta, ma è solo una vana
speranza.
“Cartman!” lo richiama “se vuoi un aiuto
dillo chiaramente, piuttosto di fingere di essere gentile e
pronunciare delle scuse tanto profonde quanto poco credibili” è
acido il tono ed alto abbastanza da innervosire il suo
interlocutore.
“Non voglio alcun aiuto, era solo
un'idea!”.
“E troppo tardi per salvarsi in extremis e sai
una cosa, rendi la situazione ancora più irritante”.
“Dannazione
Kyle! Ma perché non ascolti?” cerca di riprendere la calma “non
me ne frega niente del fare matematica, o andare al cinema. Sono
onesto e ti sto dicendo che mi importa solo...” quel che importa a
Cartman non importa a Kyle, che non vuole ascoltare, testardamente
convinto, spaventato dall'effetto che quelle scuse gli avevano fatto
e alle quali aveva quasi creduto.
Se potesse credere davvero in
Cartman il mondo sarebbe diverso, fuori e dentro di lui, ma è
abbastanza ostinato nella posizione che tutto ciò sia impossibile;
ha ragioni validissime per non essere in torto, anche se dovrebbe
sapere che la logica non funziona con Eric Cartman.
“Sai che
ti dico Cartman?” lo vede alzarsi e prendere il vassoio in mano.
Sta di nuovo scappando.
“Che spero le tue insufficienze non ti
facciano passare l'anno, in modo che la tua stupidità ti sia da
lezione. E, francamente, spero proprio di iniziare le superiori senza
le tue idiozie a rovinarmi l'umore” e senza aspettare una risposta
si volta e va ad unirsi a Stan e Kenny, vicini a Wendy, Bebe e Red.
Cartman è tipo da avere sempre l'ultima parola, un vaffanculo
spassionato o una bestemmia, a seconda dei casi e dei toni, ma
stavolta non ne ha.
Apre solo la bocca per il suo pranzo.
...and maybe I’m just the horizon you run to...
C'è
un'amarezza nuova nella sua bocca, non causata dal cibo.
Pensa a
quegli album di foto che ha su Kyle, foto scattate per la maggior
parte all'insaputa, momenti in cui ha catturato sorrisi ed
espressioni allegre quando in compagnia, eppure... le foto di lui
solo, lontano dal resto del mondo, non ritraggono alcun sorriso.
Eric
pensa che non c'è nulla di male a mostrare un sorriso o
un'espressione serena quando si è soli, mettere il broncio non ha
senso, ma forse per Kyle è... inevitabile?
Pensa che dev'essere
così, per il suo modo di scappare da qualcosa che potrebbe renderlo
felice. Non lo capisce, non capisce se ha paura di esser felice o
provare qualcosa di nuovo.
Chiude gli occhi cercando un sapore
migliore in quella carne, riflettendo sulla prima espressione di Kyle
alle sue scuse, un palese imbarazzo che lo fa credere di essere
importante, perché lui stesso ha fatto i primi passi per accorciare
le distanze.
Che sia poi
scappato subito è un'altra storia, ma non crede sia stata una fuga
felice, gli basta lanciare un'occhiata un po' di tavoli avanti per
vedere un Kyle dallo sguardo spento e distante.
Forse, non è solo
presunzione la sua.
*
E mettendo
erroneamente piede in una pozzanghera “oh, cazzo!”, realizza
esser ormai Aprile; la primavera è arrivata da un bel pezzo e non se
ne era accorto fino a quel momento.
Non si era accorto dei
germogli, lì dove la neve lascia spazio all'erba, e non si era
accorto di cosa è germogliato dentro di lui.
Alza lo sguardo
verso il cielo e ripensa agli occhi di Kyle, che lo fanno sentire
come neve al Sole.
And spring brings fresh little
puddles
that makes it all clear
makes it all…
E
pensa ci sia qualcosa di fastidioso nell'aria, che non sono i
pollini.
Pensa e ripensa a tutta quella rabbia, mista a
tristezza, a farfalle nello stomaco, a sospiri e a figure da merda.
Si è sempre comportato così, non è niente di nuovo, l'etichetta da
coglione ce l'ha da un bel po', solo che ora è diventata irritante e
– per la prima volta – vorrebbe tornare indietro nel tempo e
rimediare alle troppe cose stupide che ha fatto.
Vorrebbe che Kahl
sapesse che è stato sempre e solo lui la causa di tutto.
Hey,
do you know
hey, do you know
what this is doing to me?
Pensa
sia disturbante la primavera, esattamente come l'adolescenza.
Esattamente come si sente lui in quel momento.
Non c'è nulla
di tenero in questa stagione, nei suoi germogli e nel suo rigoglio, i
semi si spaccano e il bocciolo si fa spazio tra la terra con forza
per uscire, per vedere la luce, toccare aria. C'è violenza nel
fiorire.
E stringe i pugni, prendendo un bel respiro, per
controllare quello che ha dentro, una creatura indefinita da tratti
angelici e mostruosi, una creatura di varie cromature, chiare e
scure.
Chiude gli occhi, per vederla, per affrontarla, per
acquietarla, sussurrando parole confuse che siano nenia convincente
per quel che dimora in lui e che prende la forma di Kyle, immagine
che lo fa sentire egualmente a disagio come a suo agio, dipende
dall'ora del giorno. E al momento non sa quale sia il suo stato
d'animo.
“Ciao Eric! Ti va di di tornare a casa insieme?”.
Irrompe Butters con allegria, portandosi al fianco
dell'amico, di cui nota l'aprirsi lentamente gli occhi. Gli sembra
abbiano un colore diverso, alla luce sembrano oro, ma non è un
colore luminoso, è freddo.
“Va bene Kahl” gli risponde
avanzando con un sorriso spensierato, leggero...
E come Eric
avanza, Butters indietreggia.
“Kyle?”.
Indietreggia ancora
e si guarda intorno.
Sono solo loro e neve sciolta, pozzanghere e
macchie di prato in fiore.
“...Eric, dov'è Kyle?”
Oh, here…
here…
here. In my head.
|
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Capitolo 3 *** From manure flowers bloom. ***
3. From manure flowers bloom
Capitolo postato per il compleanno di Eric! E' tardissimo, ma è
sempre il primo giorno di Luglio! Avrei voluto fosse più lungo,
ma gli impegni universitari non me l'hanno permesso e l'ho rielaborato
per voi e... mi piace molto più di prima! Spero piacerà
anche voi e che mi perdonerete eventuali errori dettati dalla mia
dislessia.
E' un capitolo che spero piacerà agli animi più nerd e a
coloro che le dispute tra Kyle ed Eric piacciono più dei loro
momenti fluff, perché sì: potrete odorare scommese!
Vi lascio alla lettura che mi auguru risulti lieta ed auguro ad Eric,
per la prossima stagione di South Park, di entrare ancor di più
nel cuore del nostro ebreo preferito.
From manure flowers bloom.
Gli piacciono i Lunedì, perché il
mondo sembra avere un problema con i Lunedì.
Tutto gli sembra
più facile, si sente più forte Kyle: può arrivare giusto giusto
per l'inizio della lezione di algebra e trovare stimoli interessanti
per la sua mente e, soprattutto, quando il professore chiama alla
lavagna qualcuno, la sua vittima preferita è Cartman e... quelli
sono momenti in cui Kyle gode davvero.
“Ragazzi, ho riportato i
risultati del test della scorsa settimana. Dovete rimboccarvi davvero
le maniche, la media dei vostri risultati è davvero bassa;
impegnatevi di più e riuscirete ad avere ottimi risultati come
Broflovski. Congratulazioni, hai preso una A+”.
Beh... anche
questi sono momenti gratificanti, ma non quanto - sposta il suo
sguardo - sentire nell'aria l'umiliazione della sua nemesi.
“...e
con te Cartman, non ci siamo proprio, F è un risultato
vergognoso! Vieni alla lavagna e proviamo a correggere il compito”.
Ed è sul personale patibolo di Cartman in cui Kyle mostra,
con malcelata malizia, il suo sorriso trionfante. E Cartman lo vede,
sa che gli brucia, e Kyle non intende certo voltarsi dall'altra
parte, vuole che conosca il suo stato d'animo e che tenga ben
presente la distanza che c'è tra loro.
C'è un mare a
dividerli.
[Ma possono costruirsi dei ponti, no?]
Una
domanda che sfiora la sua testa e che cestina, calpestandola,
rincarando l'odio che prova per quello sbruffone di un manipolatore.
Gli altri possono pure bere le sue stronzate, peccare di ingenuità,
ma lui mai e poi mai lo farà, giura a se stesso.
Se vuole
giocare a fare lo stronzo, confondendolo con assurde scenate e poi
scusarsi, fare il carino con parole gentili, imbarazzanti, al solo
scopo di ottenere qualcosa da lui... allora anche lui imparerà a
ferirlo nello stesso modo, imparerà ad essere stronzo ai suoi stessi
livelli.
“Hai
degli occhi bellissimi”.
Scuote
la testa e cerca di convincersi che non poteva essere lui.
Prende
il diario, dove conserva ancora i biglietti per Thor. Chiederà a
Kenny di andare, se Stan sarà impegnato con Wendy; sarà divertente:
gli piace andare al cinema col suo migliore amico, ma si diverte
molto anche con Kenny che ha sempre la battuta pronta ad ogni scena.
Ha pagato quei biglietti, lasciandoli sul tavolo della mensa
nonostante Cartman volesse ridarglieli. Chissà cosa c'era dietro
quella farsa... anche se non può credere da una parte che quella sfuriata
per il suo rifiuto fosse una recita; sa quando mente Cartman, è come
se vedesse il suo naso allungarsi, come in quella fiaba italiana,
solo che nel caso di Cartman è lo sguardo e l'incurvatura delle
labbra. Si sente un po' in imbarazzo nell'esser capace di notare
questi piccoli dettagli, ma ripete a se stesso che non significano
niente.
C'è una parte di verità negli atteggiamenti ambigui di
quei giorni, lo sa, ma c'è anche qualcos'altro che gli nasconde e
che probabilmente riguarda la sua promozione. E gli secca, sì, lo
ammette... perché ci stava cascando, ma è inutile girare intorno
sempre sullo stesso pensiero, l'ha già accordato con se stesso: lui
non cadrà mai nelle trappole di Cartman e lo ripagherà nello stesso
modo.
E vuole iniziare da subito; è troppo curioso di sapere
come si sta nei panni di un bastardo di classe.
“Sei proprio
un caso disperato Cartman” gli dice con incurvatura maliziosa delle
labbra a fine lezione.
“7 x 8... quanto hai detto? 54?
...dovresti prendere in considerazione l'idea di tornare alle
elementari. Ah, già, dimenticavo: il Signor Garrison ti ha promosso
pur di non rivederti”.
Eric non si sente umiliato, non
gliene frega un cazzo della scuola, dell'algebra e delle tabelline.
La calcolatrice non è stata inventata per caso.
E Kyle con
quell'atteggiamento sa che vuole farlo sentire di merda, tuttavia lo
rattrista solo sapere che Kyle non ha ancora compreso che lui non può
sentirsi offeso su quello per cui l'ebreo può sentirsi umiliato, i
loro termini di valutazione e di felicità corrono su binari
totalmente diversi.
L'unico motivo per cui non gli risponde a
tono - e per cui mantiene un aria seria e uno sguardo spento - è per
il fatto che Kyle ancora è convinto gli abbia mentito.
“E'
incredibile che tu sia ancora arrabbiato”.
E' una risposta
che Kyle non si aspetta e che lo lascia interdetto.
“Ed è
incredibile che pensi davvero io mi ponga il problema della mia
promozione. L'hai detto tu no? I professori mi odiano e mi vogliono
fuori dai piedi, non devo preoccuparmi troppo” accenna poi un
sorriso finalmente, un sorriso velato da malizia “...eppure tu sei
preoccupato per me”.
“Preoccupato? Te l'ho già detto:
spero ti boccino, perché è quello che ti meriti” non vuole essere
da meno e mostrare un'espressione diversa Kyle. Ha sempre saputo
reggere il confronto con Cartman.
“Mi spiace, ma non esiste
meritocrazia a questo mondo” evita di deriderlo, ma non manca di
mostrare il divertimento per l'idealismo di Kyle, sottolineandolo con
un'alzata di spalle e gli occhi al cielo.
“Hai ragione. Ma i
casi di eccellenza e i casi disperati esulano dai termini di
meritocrazia. E sono i nostri casi Cartman”.
“E' sempre
bello che tu mi ricordi essere un ebreo presuntuoso e falso, anziché
il modesto e gentile Kyle Broflovski” vede che Kyle sta per
replicare, ma incrocia le braccia sul petto e gli lancia un'occhiata
di sfida.
“Se io avessi un po' di A
sarei promosso senza problemi, è quello che prevede il nostro
regolamento scolastico”.
“La vedo dura, visto che hai una
sola A
in Storia e non riesci ad averla neanche in educazione fisica”
giusto per ricordargli che anche se il suo fisico è nettamente
lontano da quello di un obeso, rimane un pigro culone.
“Beh
Kyle, ti sorprenderò. Avrò sei fottutissime A
a fine anno e quindi non sarò assolutamente un caso su cui si potrà
pensare alla bocciatura e, nel test finale, prenderò un voto
superiore ad 80”.
Eric è super-serioso,
ma a Kyle viene solo che da ridere. E' una sfida dura persino per
Stan, che ha una buona media. Cosa pensa di fare quel culone?
“Ridi, ridi. Se io vinco però mi dovrai sei fottuti ed
indiscutibili favori, ebreo”.
“Io non ho accettato alcuna
scommessa, culone”.
Dovevano essere due teenager pronti per
frequentare le scuole superiori, invece ricordavano in quel momento
due bambini delle elementari. I bambini che erano stati.
“Hai
paura di perdere Kahl?” domanda Eric con sguardo
insinuatore.
“Stupido, l'unico a perdere sarai tu. E' fin
troppo idiota fare una scommessa vinta in partenza”.
“Se è
così ci guadagnerai solo che tu, Kahl” fa notare con calma e
fredda logica.
“Semplicemente non mi invischio in cose tanto
stupide. Anche perché da te non ho un bel niente da guadagnare” si
sistema lo zaino in spalla, pronto per uscire e andare alla
successiva lezione: scienze.
“Hai solo una fottuta paura.
Perché hai sempre perso le scommesse con me” e questo punge dal
vivo Kyle, ricordandogli tutti i venti dollari che aveva perso in
scommesse con Cartman.
...Tuttavia non sempre!
“Non hai sempre
vinto, culone!”.
“...oh beh, perdonami per aver
dimenticato quelle due volte che hai vinto per puro culo Kahl”.
“Va bene, accetto la scommessa” torna indietro,
vicinissimo a Cartman, con tutta l'intenzione che legga nel suo
sguardo e che capisca non sta giocando: “se perdi ma sarai
promosso
per puro culo, non dovrai metter piede nella scuola superiore di County
Park. Non mi interessa dove vorrai o potrai andare, ma non
metterai un solo dannato piede dove io frequenterò le
superiori”.
Non ha dubbi Eric sulla serietà delle parole di Kyle,
tuttavia non crede che il suo desiderio sia reale. Mostra un certo
stupore per la bizzarra richiesta, ma non manca di mostrare assoluta
determinazione perché mai ha lanciato una sfida senza avere la
certezza di poterla vincere.
Eric butta - con la delicatezza di un
camionista - lo zaino a terra e prende un quadernone a righe, dove
scrive velocemente i termini della loro scommessa; ciò fa sospirare
seccato Kyle, che non vede l'ora di raggiungere l'aula di scienze,
piuttosto che perder tempo con le idiozie di Cartman. L'unico motivo
per cui non si muove è che può trarre vantaggio da quella stupida
scommessa: se Eric Cartman sparisce dalla sua vita, con lui può
sparire ogni suo problema.
“Firma” ordina Eric dopo aver
messo la sua.
Kyle infantilmente legge quello che ha scritto sul
foglio – non si fida di Cartman – e ciò fa ridere l' ex-culone
che sfotte il rosso con una delle sue battutine
antisemite.
“Contento?” domanda in acido mostrando la sua
firma, Kyle. A Eric piace la calligrafia di Kyle, e per questo non
dice niente, preferendo dar secondi di tacita ammirazione alla scrittura,
piuttosto che abbassarsi al livello di Kyle.
“Bene” gli
tende la mano “preparati a perdere Kahl”, l'unico motivo per cui
Kyle stringe la sua mano è solo per l'entusiasmo del momento: l'idea
di un Eric Cartman fuori dalla sua vita sembra un sogno... nonostante
trovi belli gli occhi di Cartman in quel momento.
“Solo due
cose” lo trattiene Eric non mollando la presa e non abbassando lo
sguardo.
“Ricordati che nell'assurdo caso io perda, tu ti
pentirai di quello che hai chiesto. Te lo garantisco. E... seconda,
ma non meno importante cosa, farò schifo in matematica e puoi
deridermi quanto vuoi, è il tuo campo in fondo, ma sappi che ti
umilierò anch'io quando sarai nel mio campo da gioco”.
“E
sarebbe? La stupidità?” chiede deridendolo.
“Rimpiangerai
Kahl, parola di Eric Cartman”.
Il fatto che ami Kyle, non
significa certo che gli perdoni i momenti in cui ha sabbia nella
vagina in eccesso.
*
Triste
è il destino dell'uomo...
lo scrive blu su bianco sul quaderno. Non ricorda quando ha detto
questa frase, ma pensa che sia una verità a cui ormai è
affezionato.
“Triste è il destino dell'uomo... che ama”
sussurra, scostando lo sguardo sui pesanti tomi di matematica e
biologia.
“E pensare che sono disposto a tutto per un tuo
sguardo” ammette machiavellico, pensando che anche un crimine
andrebbe bene per quegli occhi; ma scaccia via il pensiero in pochi
secondi, non per etica, ma perché vorrebbe ridimensionare
l'importanza che quell'ebreo ha preso nella sua vita.
“Tesoro”
esordisce sua madre aprendo con discrezione la porta “è arrivato
il tuo amichetto Leopold” lo informa con quel tono dolce che ad
Eric sembra dovuto.
Gira la sedia e punta gli occhi oltre la
figura di sua madre, commentando la presenza di Butters con un
semplice “sei in ritardo” e imbarazzando un poco l'ospite.
“Vi
lascio studiare. Vi porterò la merenda tra un po'” ed Eric precisa
prima che chiuda la porta “che sia bella sostanziosa. Dobbiamo
studiare molto!” e sa che non mancherà di portargli un bel po' di
cibo ipercalorico.
“Scusa, ho fatto tardi per le
esercitazioni del club di chimica. A fine anno faremo una
dimostrazione che mostrerà il frutto di quello che abbiamo
fatto durante...” non continua, vedendo che Eric non lo guarda ed è
assurdamente piegato su un libro. Non ricorda d'averlo mai visto così
e si preoccupa.
Gli ha chiesto il giorno prima di aiutarlo a studiare
matematica e biologia, ma non si era allarmato più di tanto credendo
fosse tutto imputabile alla strizza di fine anno. A guardarlo
però non gli sembra semplicemente ansioso, ma... depresso.
Si
avvicina con la sedia alla scrivania e aspetta una qualsiasi sua
parola.
“Butters...”
“Sì
Eric, dimmi” lo incita con la sua naturale dolcezza.
“...so
di essere un figo, ma smettila di fissarmi”.
“Oh, scusa”
si sente mortificato, ma vuole davvero sapere cos'è accaduto.
Butters ha un po' paura della fine della scuola media, ha
paura che tutto cambi, ha paura a quello che sta succedendo loro.
Eric lo fa preoccupare con i suoi atteggiamenti enigmatici e
sempre più eccentrici, Kenny finisce all'ospedale per una settimana
e l'unico ad avergli fatto visita per tutto quel tempo è proprio
lui, ad eccezione di Kyle un pomeriggio. Stan, lo scorso mese ha
saltato il raduno annuale dei fans di Star Wars a Denver preferendo
un Sabato con Wendy, mentre Kyle – deglutisce al pensiero – l'ha
chiamato strachecca,
come mai aveva fatto, e da quel giorno lo ignora; anche al club di
chimica preferisce come partner di laboratorio Scott Malkinson a
lui.
Non vuole che i rapporti con i suoi amici cambino, non vuole
vederli allontanarsi da lui, ma neanche tra di loro.
“Stai
bene Eric? Sai che puoi parlarmi se qualcosa non...”.
“Sto
bene, Butters”.
Cambia domanda allora: “è successo
qualcosa con Kyle?”.
Touché. Irrigidisce visibilmente.
Kyle è sempre la sua spina sul fianco, e la cosa toglie sempre il
sorriso a Butters, sentendosi impotente di fronte all'argomento, un
argomento a cui Eric reagisce in modi imprevedibili e bizzarri.
Talvolta basta il suo nome per fargli scatenare urla con insulti e
bestemmie a indirizzo del ragazzo ebreo, talvolta arrossisce in modo
tenero e balbetta cose incomprensibili, qualche volta invece afferma
incredibili tesi che vedono Kyle come il mandante dei rapimenti
alieni.
Butters non giudica mai, ascolta in silenzio e - se gli
sembra che ce ne sia bisogno - incoraggia Eric, cerca di dare una
visione positiva al problema di Eric; funziona poco un atteggiamento
simile con un tipo come Cartman, ma Butters non demorde, è il suo
dovere da amico.
“Non... non è successo niente. Che vuoi
sia successo?” Risponde scorbutico come è solito e finge di
riportare l'attenzione al libro, leggendo ad alta voce l'inizio del
paragrafo riguardante la riproduzione asessuata. Per la fine della
settimana deve esser interrogato in biologia e vuole ad ogni costo
una A.
“...Tipica
dei Procarioti, della maggior parte degli Eucarioti unicellulari e di
molti invertebrati, tipo di riproduzione in cui un singolo individuo
genera (se non intervengono mutazioni) prole formata da individui
geneticamente identici. La riproduzione asessuata può avvenire
attraverso diversi meccanismi, quali la scissione binaria o multipla,
la gemmazione, la frammentazione e, esclusivamente nelle piante, la
margotta e la talea. Negli Eucarioti il meccanismo...
è che Kyle è uno stronzo!”
Butters fa un salto dalla
sedia, impreparato alla reazione di Eric.
“...quell'ebreo
perché passa notte e giorno sui libri, a causa di quella stronza
ebrea di sua madre che lo minaccia di prendere solo A, si sente il
genio di South Park, è l'eccellenza fatta persona lui, come no!
Chiunque può prendere A se si impegna, e gli dimostrerò che anche
il sottoscritto può uscire dalle medie con sei fottute A e prendere
al test di fine anno un 80!”.
“Ma... ma... Eric non è
esattamente così semplice a questo punto dell'anno
rimediare...”
Non lo ascolta, come non ascolta mai nessuno,
se non se stesso.
“Le mie B diventeranno A, cazzarola! Non ci
vuole nulla! E le insufficienze diventeranno C. Lo sai che parlo
benissimo spagnolo, no Butters? E perché ho una C? Perché quella
stronza si è lamentata del fatto che non ho mai fatto i compiti.
Bene... ieri sera ho fatto tutti i compiti arretrati e domani quando mi
interrogherà glielo farò vedere io chi è Eric Cartman!”.
“Io
sono certo che recupererai, però prendere 80 non è così facile
Eric, bisogna davvero studiare molto e ci sono tutte le materie a far
media. L'importante è che tu abbia la sufficienza”.
“No!”
Urla contro il suo ospite “non posso prendere un voto inferiore ad
80! Abbiamo fatto una scommessa!”.
“...oh... tu e Kyle?”.
“Sì! E non esiste che perda con quello stupido ebreo.
Prenderò 80 al test e andrò alle superiori di County Park come
tutti voi”.
“Ok” è poco convinto Butters mentre lo
dice, traspare una certa apprensione dalla voce, ma non è qualcosa a
cui Eric fa caso. Lui non ha mai fatto caso ai particolari di
Butters, le sfumature del suo carattere o i suoi toni, per lui
Butters è semplicemente Butters, niente di più di quello che
appare; questo lo sa persino il biondino, e la cosa lo fa un po'
sorridere, anche se all'ombra di quelle labbra vi è amarezza. Per il
tipo di persona che è Eric però questo conta molto, poiché Eric
Cartman è paranoia fatta carne, sospettoso e pieno di fobie riguardo
tutto e tutti, ma... Butters è un'eccezione, in lui ha fiducia e ciò
rende felice l'amico, anche se vorrebbe che l'altro capisse che
Leopold Stotch non è solo Butters.
“Ti aiuterò, Eric”.
Quelle parole fanno uno strano effetto, Eric l'ha dato per
scontato, è lì per quello, l'ha chiamato per quello, non per altro,
è suo dovere aiutarlo!
“Ti aiuterò, ma voglio...” si fa
coraggio e lo guarda negli occhi, vuole essere preso sul serio
Butters “...che tu parli con Kyle. Che voi parliate”.
Ed
Eric per poco non lo deride: “ma io e Kyle parliamo sempre, è
impossibile che io stia zitto davanti a quell'ebreo”, ma lo sguardo
di Butters è tagliente, per una volta Eric trova i suoi occhi
azzurri gelidi.
E' incredibile, è sorpreso il padrone di casa,
ma in quel momento... Butters è proprio incazzato nero!
“Devi parlare dei
tuoi sentimenti Eric!” si alza sbattendo le mani sulla scrivania,
“devi essere onesto con lui, devi smetterla di fare l'idiota o non
potrà che pensare che
sei soltanto
un idiota, che ti stai solo prendendo gioco di lui!”.
Non
gli piace il tono di Butters, non gli piacciono le sue parole,
vorrebbe prenderlo a calci e ricordargli chi è il padrone di casa,
ma ha lo sguardo basso e le parole del libro gli ricordano la sua
priorità.
Sospira rumorosamente e chiude gli occhi per qualche
istante, recitando la parte di chi la sa lunga, anche se in verità
sta solo fuggendo... come sempre.
“Butters...
sai meglio di tutti che io sono molto più bravo a far la voce
grossa, i gesti teatrali e a dare di matto spaccando tutto se mi
girano le palle, quindi voltiamo pagina, è meglio per tutti e due”.
Quando riapre gli occhi per puntarli sull'altro si aspetta di
trovarlo col culo sulla sedia, per il timore che gliela lanci contro
- non sarebbe la prima sedia che Eric prende e lancia -, ma è ancora
in piedi e ancora incazzato come un caimano. Per gli standard di
Butters, s'intende!
“No! Mi sono stancato di accontentare
sempre ogni tuo capriccio!”.
“Allora perché sei qui?”
Eric non ha ancora perso la calma, ma i nervi sono a fior di pelle.
“Perché sono tuo amico!”.
“Allora, amico,
aiutami anziché blaterare insensatezze. Sai meglio di me che il
rapporto tra me e Kyle è... una merda” stringe i denti e abbassa
lo sguardo, è un'amara parola quella che riesce ad ammettere “e
sempre sarà così, perché lui è uno stupido ebreo...”
“...e
tu uno stupido culone!” ...oh
hamburger!,
esclama nella sua testa, ma non ha intenzione di optare per la
ritirata.
Suppone una reazione violenta da Eric, di vedere nei
suoi occhi un bagliore di un giallo tanto intenso da richiamare a
gran voce la follia, invece quel ragazzo grande e grosso non alza lo
sguardo e lo evita, e ciò – per qualche strano motivo – irrita
Butters ancor di più, che non si ferma neanche davanti a un 'mi
stai facendo incazzare'.
“Non ha senso studiare così Eric, devi risparmiarti queste
cavolate per impressionare Kyle, devi crescere e mettere da parte
tutte le stupidaggini che ti passano per la testa, altrimenti non
farai altro che peggiorare” e non vuole pensare all'Eric che
qualche settimana prima lo chiamava Kyle, né ai sorrisi che faceva
al vuoto sussurrando sottovoce parole con cui imbarazzava se stesso.
Ed è pronto ad essere crudele il giovane Stotch, pur di pulire da
incrostazioni gialle la sanità mentale del suo amico, del suo
migliore amico.
“Kyle non è certo questo che vuole, non sono
le idiozie ad interessargli!”.
Colpito.
“Taci! Sta zitto!” sputa con irruenza quelle parole, come
l'amico aveva previsto. E gli occhi sono lucidi dal terrore, qualcosa
di viscido, nell'ombra, è penetrato oltre la carne. E Butters
continua, sicuro che la paura possa insegnargli meglio della
ragione.
“Non voglio!”.
“Butters ti prenderò a calci
nel culo se non la finisci subito!”.
“E invece no,
continuerò a ripeterti di cambiare, crescere, e mostrare i tuoi veri
sentimenti” mai è stato tanto determinato in vita sua; non trema,
non balbetta, e non abbassa lo sguardo.
“Zitto! Tu non sai
un cazzo dei miei sentimenti, un cazzo, hai capito?” e lo ripete,
alzandosi anche lui stavolta, forse con l'intento di intimorire
Butters.
“Invece ne so molto, forse anche più di te”.
Ed
è la provocazione più pericolosa che potesse fare, quella.
Nessuno
potrà mai sapere, mai capire, mai immaginare cosa significa Kyle per
lui.
“Tu non sai niente, niente, niente, un cazzo di niente! E
non te ne deve fregare un cazzo!”.
“Sì che mi importa! E'
normale che mi importi!” e del rossore sul volto tradisce il suo
tono, che solletica curiosità in Eric, ma non lo persuade ad abbassare la voce.
“Perché?”.
“Perché voglio la tua felicità!”
E
l'imbarazzo non è solo di Butters ora.
Quel macigno è rotolato
fuori con la spensieratezza di un volo di farfalla. Butters non può
che sperare sia una frana senza vittime, perché consapevole che se
c'è qualcuno destinato a farsi male, costui può esser solo che se
stesso.
Brucia il volto e il petto, mentre i denti affondano sul
labbro inferiore e la sua modesta e timida natura si ricompone; un
gran sollievo per Eric che torna seduto, con lo sguardo lontano da
Butters per nascondere al meglio anche il suo d'imbarazzo.
“...farò
finta di non aver sentito. Dovresti ringraziarmi, ti evito ulteriore
imbarazzo”.
“N-non dovresti i-invece”.
“Sei
scemo?”.
“No”, il rosso sfuma in rosa, e le parole non
tremano più: “sono semplicemente onesto. E dovresti imparare anche
tu ad esserlo”.
Il mondo di Butters è un mondo
multicolore, di svariati affetti, alcuni più intensi di altri e...
Eric ne è parte: la sua parte di mondo in Butters ha generosi spazi
e colori forti e vivaci, è una delle parti più importanti di quel
mondo, ma non può capirlo neanche se sbattuto così sgraziatamente
in faccia. Ma va bene così a Butters che prende tutto, anche il
male, col sorriso.
Butters sa, sa perfettamente che Cartman ha un
mondo forse più grande, profondo e colorato del suo; sarebbe bello
aver un piccolo spazio e ogni tanto s'illude sia così, ogni tanto
nel pensarci sorride, ma con amarezza, perché sa: il mondo di Eric
inizia e finisce con Kyle.
“Parli di onestà con tanta
facilità...” borbotta con ridente irritazione Eric “...senza
sapere che io sono sempre stato perfettamente onesto con le mie
emozioni” nel bene e nel male.
“Sono un cazzone? Sì, e mi
piace esserlo” apre le braccia nel rivolgersi al biondo, come a
presentarsi e ciò carica solo d'irritazione le sue parole, perché
si aspettava comprensione da Butters.
“No Eric, tu sei
onesto solo con quello che ti fa comodo!”.
“Ah sì?” gli
chiede con sprezzante ironia, pronto a mandare a fanculo l'affetto
che Butters gli ha mostrato.
“Vuoi dire forse che hai detto
a Kyle di San Francisco? Delle tue frequenti incursioni notturne a
casa sua? Delle foto?”.
Questa volta è Eric a tremare,
preso in contropiede; diventa pallido e si scorda delle regole basilari della grammatica
per poter formulare una frase, una qualsiasi frase, in sua difesa. Ma
la voce non esce, non esce niente da lui, neanche un gesto.
“Come
pensavo” conclude Butters tornato a sedersi e, stavolta, dedicando
attenzione ai libri.
“Ti aiuterò, perché sei mio amico, ma tu
dovrai essere onesto su questo Eric”.
Nella sua mente un
white
noise,
lo isola dalla realtà, tutto si allontana, sbiadisce e perde
consistenza. Banale l'estraniamento, quanto il mondo; è quella cosa
che non va in lui che lo regola così, che lo porta ad essere
terrorizzato dalla bontà.
“Eric?”.
“Io non
posso”.
“Certo che puoi”.
“Io non posso”
ripete con un filo di voce, perché la gola gli fa male, è come se
qualcosa lo stesse strozzando e deve sforzarsi per poter
parlare.
“Eric non cominciare con...”
“Io non
posso”, ripete ancora e poi si sforza ulteriormente. “Se non vuoi
aiutarmi fa nulla... ci penserò io, da solo, e ce la farò”.
“Perché? Non capisco...”.
“Appunto, non capisci,
quindi vattene. Posso... farcela da solo”.
Era una piega
che non voleva Butters, non doveva andare così, lui vuole solo che
Eric non sia... quello che ha davanti. E' terrorizzato al punto di
terrorizzare, con gli occhi spenti, a fissare in un punto indefinito,
che chissà cosa vede, chissà cosa sente... forse Kyle, forse lo
stesso nulla che riflette il suo sguardo.
“Eric io non
volevo...” sussulta appena vede il braccio di Cartman muoversi.
Aveva paura di un pugno, invece sta solo prendendo un evidenziatore
giallo.
Non dovrebbe esser lì Butters, Eric non lo sente, sta
solo sottolineando di giallo ogni riga, tutto, anche l'irrilevante.
E allora Butters comprende che irrilevante è diventata ogni cosa e lui,
con la sua onestà, è di troppo, ha fatto solo danno e ciò gli fa
bruciare un po' gli occhi prima di alzarsi e andarsene.
Triste
è il destino dell'uomo...
ormai è coperto da tante pagine bianche.
*
Sono
passate le 22.00 quando alza gli occhi dai libri. Ha studiato
un'ottantina di pagine di ben tre materie e non ci crede, neanche
fosse uno studente universitario!
Però nella settimana passata ha
dato i suoi frutti la fatica, è stata una panacea per l'ego lo
studio; non l'avrebbe mai detto, ma nella frustrante immobilità
fisica e creativa dello studiare, ha trovato qualcosa di
singolarmente appagante.
Forse Kyle è un secchione per questo,
per vanità, ed Eric è narcisista abbastanza da poter seguire le sue
orme.
Sorride, perché Kyle gli somiglia probabilmente più di
quanto entrambi non credano.
Stira le braccia e sbadiglia
rumorosamente. Ha bisogno di andare in bagno – la merenda
ipercalorica di sua madre si sta facendo sentire – ma non si alza,
perché c'è qualcosa che gli preme di più.
Accende il computer
e batte i piedi impaziente, vuole accedere a internet, vuole andare
su Facebook e vedere cosa sta facendo Kyle, è quasi una settimana
che non si rivolgono parola o insulto e... fa male, è frustrante,
potrebbe piangere. Forse lo farà sotto la doccia.
Su Facebook,
ignorando le sue notifiche, va subito al profilo di Kyle, l'ultima
cosa condivisa è il video di Orlando Bloom che canta They
taking the hobbits to Isengard.
“Prevedibile”
sbuffa divertito, perché conosce più Kyle che le sue stesse tasche.
Kyle vive di pochi fanatismi, ed uno di questi è Tolkien; Peter
Jackson portando sullo schermo Lo Hobbit ha fatto la sua gioia, e da
quando è stato mostrato il trailer del primo film che Kyle non fa
che parlare d'altro, aveva anche riletto per la terza volta il libro,
per poi farlo una quarta volta dopo aver visto il film. Finché non finirà
questa nuova trilogia dubita che ci sarà un giorno che passerà
senza che Kyle non abbia lasciato traccia del suo amore per la Terra
di Mezzo.
Il profilo di Kyle si aggiorna – e lui ha mal di
pancia perché deve andare in bagno, ma non è così importante
rispetto a Kyle – e compare una domanda con risposta da ASK.
“Ti
piacciono i videogame, ti piace il basket, ami Lo Hobbit e sei
terribilmente carino! Ti prego, dimmi che non sei fidanzato e che non
ti piace nessuna!”
Il
mal di pancia di Eric cambia natura, evita di leggere la risposta di
Kyle, ma fa comunque male.
Un giorno una lusinga di quelle
potrebbe... no, non è un pensiero razionale e non deve prenderlo in
considerazione! Però urge di comunicare con Kyle, anche se solo in
anonimato, perché Butters con le sue parole ha seminato qualcosa che
ora non riesce a ignorare.
“Se
qualcuno di cui hai un giudizio negativo ti dicesse che ha fatto
qualcosa di buono ed importante per te, tu gli
crederesti?”
Nonostante
l'anonimato, quella domanda porta la sua firma, ma non gli interessa,
deve chiedere, deve sapere e vuole sperare nella sincerità di Kyle.
E aspetta, nonostante le coliche, perché deve sapere e Kyle gli
risponde fortunatamente non troppo tardi, ma ben magra è la
consolazione.
“Non
sono molte le persone che non ho in simpatia, una in particolare, e
se quest'ultima venisse a dirmi di aver fatto qualcosa per me non gli
crederei perché sarei certo che lo direbbe solo a un secondo fine”.
Si alza e calcia la sedia che cade a terra.
Dopo che si
sarà sfogato sul cesso, avrà davvero bisogno di una doccia
fredda.
*
Stan aveva organizzato quel
Sabato pomeriggio, e come ogni idea di Stan era stata una pessima
idea. Eric non faceva che rimproverare mentalmente questo all'amico,
da quando era entrato in casa Marsh.
“Sarà
divertente coinvolgere anche altri a Dungeons&Dragons, sarai il
Master e potremmo continuare l'avventura nel mondo di Sulphiria!”
e si sente tanto coglione per essersi lasciato infinocchiare così.
Ha avuto modo di rivolgere la parola a Kyle (un “ciao
ebreo”,
niente di più, s'intende), ma vederlo, sentire la sua voce,
respirare la sua stessa aria, ha rilassato ogni suo muscolo e la
gastrite nervosa è scomparsa. Per il momento. Si sta aprendo
infatti il capitolo più terribile della storia di Dungeons&Dragons
davanti ai suoi occhi e lui, pur essendo il Master, non può far
nulla per evitarlo.
Butters e Kenny non ci sono, tanto per
sottolineare quante le cose andranno a peggiorare e lui non solo
dovrà sopportare Stan – che è il male minore –, ma dovrà
sentire lamentele su lamentele per tutta la giocata da parte di Token
e Clyde (perché sono perdenti nati e daranno la colpa a lui per le
loro incapacità), probabilmente si beccherà qualche ramanzina da
Wendy (che il suo cavaliere, Stan, supporterà con passione) perché
se la tro... – signorina! – se non ha occasione di fare la maestrina non è contenta
e dovrà essere paziente con Nicole e Lola, che mai hanno giocato a
giochi di ruolo e che sono la causa della perdita di tanto – troppo
– tempo, perché al momento stanno spiegando loro come si gioca.
Ma è disposto a sopportare questo, nonostante la pazienza non
sia esattamente il suo forte, ma quello che proprio non può
sopportare è poco distante da lui: l'ebreo che flirta con
Lola!
'...come
se nessuno sapesse che sei checca. Quella troia si è vestita pure
scollata e neanche la guardi. Bella prova di eterosessualità
ebreo'.
E
mentre le viscere si contorcono nell'insofferenza, Kyle fa un gesto
che non significa nulla, ma che per Eric significa tutto.
“Questo
dado è per te, benvenuta tra noi” e le loro mani si sfiorano
mentre Kyle consegna – come da tradizione – un dado dodecaedro
alla nuova giocatrice. E' verde, il suo colore preferito, e l'ha dato
a lei, una Miss
Nessuno,
che nonostante conoscano dal primo anno di elementari, non ha mai avuto un rapporto d'amicizia tra loro.
Non l'aveva mai visto
donare un dado a nessuno, eppure tanti in quegli anni si erano uniti
alle loro avventure immaginarie. Cosa significava averlo dato a Lola?
E perché rideva in quel modo spensierato con lei? Da quando erano
così intimi?
E prima che altre domande lo tormentino e lo
avvolgano nell'ansia, fa poche falcate e disturba l'allegro clima tra
i due.
“Allora Kahl, quanto ci metti a spiegarle come
funziona? Non so... vuoi anche un aperitivo? Magari accompagnato da
qualcos'altro? Una sega?”.
Lola porta educatamente la mano
davanti alla bocca per trattenere una risata, che non sfiora le labbra
di Kyle invece.
“Che diamine vuoi Cartman? Devo farle
presente quali sono tutti i personaggi che può scegliere di giocare;
e visto che un certo Master non ha la pazienza di farlo, io e Token
ci stiamo dividendo il compito”.
“E siete lentissimi!
Neanche Stan ha impiegato così tanto tempo nello spiegarlo a Wendy
l'ultima volta, col tutto che limonavano allegramente”.
Kyle
però non cade nel tranello, non ha voglia di discutere, anche per
tenere un certo contegno davanti alle ospiti, che delle loro liti
conoscono solo la facciata e la fama.
Per distrarlo gli consegna
la sua scheda personaggio, un personaggio che non ha giocato le
ultime volte e che ha rispolverato da vecchie partite. Sapendo che ci
sarebbero state nuove invitate, ha preferito evitare di usare l'elfa
chierica Liev, e la maga Tyla, poiché con Cartman come Master i suoi
personaggi femminili finiscono sempre per fare una brutta fine e
dover incassare l'umiliazione in silenzio. L'ultima volta la sua maga
Tyla, ha subito l'affronto di esser catturata e venduta come schiava,
diventando la concubina di un re Goblin.
“...il paladino
Morgif?”.
“Il paladino Morgif” conferma Kyle, sottolineando
con un sorrisetto trionfante.
“Ok” i sorrisetti bastardi
sono la specialità di Eric, non di Kyle.
“Sbrigatevi però con il
creare la scheda personaggio di Lola”.
Soltanto un quarto
d'ora dopo – con somma irritazione di Eric – le schede sono pronte ed
è possibile giocare.
Stan, per fare il figo con Wendy, ha scelto
il guerriero Lance. Token il ladro Zael (anche lui per fare il figo
con Nicole), Wendy ripropone la necromante Asha, Clyde il barbaro
Rufus, e le due nuove arrivate hanno scelto una maga elfica di nome
Sylva – Lola – e una ladra di nome Felicia, perché Nicole ha già
pensato a un incontro romantico col personaggio del suo Token.
Diabetico e vomitevole per Eric.
“Allora...” comincia da
bravo Master mettendosi comodo sulla poltrona e guardando tutti i
partecipanti che siedono al tavolo, non sono un quadro
ispirante, ma questo poco importa perché non ha intenzione di
sprecare un'avventura che da tempo sognava.
“...spiego alle
nuove arrivate che in quanto Master non ho un personaggio, ma sono il
Deus
ex Machina di
questo gioco” giusto per sottolineare che ha potere di vita e di
morte su tutti i loro personaggi, un titolo di cui gode in senso
biblico e meno, e che i suoi amici gli concedevano poiché è lui il
creativo del gruppo e si divertono sempre ad affrontare le
imprevedibili avventure che lui crea... al solo scopo di vederli
morire. Questo Kyle lo sa bene e per questo si oppon sempre
perché Cartman non abbia il ruolo di Master, ma la maggioranza decide, e
poiché l'alternativa è Kyle stesso... tutti sono sempre d'accordo sul
fatto che sia un Master noiosissimo, dunque il titolo è di Cartman.
“...l'avventura è
ambientata nel mondo di Sulphiria, un mondo in cui abbiamo giocato
più volte in passato e che ora conoscerete insieme alle modalità di
gioco. Entrerete in scena in un secondo momento e, se volete
comunicare qualcosa in segreto e avanzare richieste, scrivete su un
foglietto e vedrò se esaudire i vostri desideri”.
Kyle
detesta le arie che si da Eric quando giocano a D&D, odia
il suo tono saccente e il suo modo di comportarsi da essere
onnipotente. Lo prenderebbe a calci, se non fosse che a tutti gli
altri sta bene il suo modo di fare. Non manca però di sbuffare e
guardare – metaforicamente – al cielo. E Eric non può non
notarlo, è un chiaro segnale di insofferenza per lui e... ciò gli
fa estremamente piacere.
“La nostra avventura si apre
nella città magica di Sharia, che si eleva su un promontorio
bagnato dalle acque dell'Oceano Bianco. Sharia è stata
precedentemente attaccata da una flotta di pirati fantasmi, che hanno
saccheggiato la città, che ha subito la violenza non solo di omicidi,
saccheggi e fuoco sulle loro case, ma è stata privata delle
bellezze artistiche che erano legate alla sua fama nel regno di
Hydra. Il guerriero Lance e i suoi compagni però hanno combattuto
per la salvezza di questa terra” Stan gonfia il petto in modo
ridicolo, ma Eric fa finta di non vederlo e lascia che sia Wendy a
sogghignare “...salvando il re mago e sua figlia, la principessa
Celia, che è l'unica ricchezza rimasta al sovrano. Il re ha deciso di
dare in moglie la sua Celia al valoroso guerriero che ha ridato speranza al regno,
sicuro che saprà proteggerla meglio di chiunque e che un giorno
potrà essere il re che rivedrà Sharia tornare al lustro onore di un
tempo”.
“Aspetta... sto per sposare la principessa?”
Stan non è totalmente d'accordo, vuole vivere una romantica
avventura con Wendy e...
“Oh Stan, per piacere, dopo te la
farai con la necromante!” le cazzate da bambino di Stan non vuole
sentirle, e continua ignorando il disappunto sul volto del padrone di
casa.
“E così vengono annunciate nel regno di Hydra le nozze;
ogni nobile è invitato, da quelle checche degli elfi, a quegli
snob
dei maghi” non sia mai che risparmi le razze dei precedenti
personaggi di Kyle “e così arrivano alle porte della
città
dozzine di carrozze e destrieri, e tra i primi arrivi, su uno
stallone nero, alba dell'annuncio, arriva il barbaro Rufus, amico di
tante battaglie per Lance. Nell'ombra Rufus è stato seguito dal
ladro Zael, che aspetta di guadagnare un bel bottino con l'occasione
delle nozze, anche se la scusa ufficiale è quella di essere
lì per il matrimonio del compagno di gilda. Ovviamente Lance ha
scritto anche al
suo carissimo amico paladino, Morgif, confessandogli che non sa
quanto gli si alzerà davanti alla principessa Celia, ricordando
le
effusioni con Morgif nel bosco prima della Grande
Battaglia...”
“Ehi!” esclamano all'unisono Stan e Kyle,
mentre Nicole e Lola si scambiano sorrisi divertiti, trattenendo un
certo entusiasmo.
Eric è stato sempre convinto che il segreto –
del successo – di ogni storia non sia nella prosa, ma nel
fanservice.
“Sono il Master, lasciatemi finire!”.
Anche
Wendy arriva in sua difesa, non è dispiaciuta in fondo, e
soprattutto vuole sapere che fine ha fatto la sua Asha: “è
un'introduzione un po' lunga, ma lasciatelo finire”.
“Grazie
Wendy. Dicevo...” si schiarisce la voce “...che il nostro Lance è
diviso e turbato, così scrive una lettera densa di sentimento e feromoni
al paladino più giusto e nobile che ci sia, il caro Morgif, che
appena riceve il messaggio da un falco, si fionda sul suo cavallo e
corre verso Sharia, arrivando anche lui in città alle prime luci
dell'alba e trovando, per sua estrema irritazione, il clima
festoso”.
“Posso sapere se posso...?”.
“No,
Kahl, non puoi fare nulla per togliere quella sabbia dalla vagina di
Morgif, quindi abbassa i dadi” e tutti ridono intorno, tranne il
rosso, che tace solo per quieto vivere, ma segna mentalmente i calci
in culo che deve a Cartman.
“Ebbene c'è questo clima di
festa e bla
bla,
troie a destra, omaccioni arrapati a sinistra...” Lola si lascia
sfuggire un divertito 'cosa?' perché pensa di essersi persa una
parte importante, ma Eric la ignora “...vino che esce dalle
fontane, per la gioia di Rufus...” e Clyde gioisce immotivatamente
più del suo personaggio “...e solo al calar della sera, mentre a
palazzo la vecchia Gilda è riunita e commossa, arriva la solitaria
necromante Asha, attratta in quel posto, non dal clima di festa, ma da
un'aura funesta, che sembra aver origine nelle vicinanze del porto.
Allora Wendy, cosa scegli di fare?”.
“Proseguo verso il
porto. Voglio saperne di più. E arrivata al porto uso questo
incantesimo” lo indica dalla sua scheda mostrandolo ad Eric. Anche
se non è la prima volta che gioca, non è ancora abbastanza sicura
di ogni sua mossa. Eric annuisce e lei prende un dado a dodici facce,
e con sua fortuna esce un bel dieci, che potrà permetterle di
ricevere delle risposte con il suo incantesimo di rivelamento.
“Bene
Wendy, avrai delle risposte fin troppo concrete, poiché il tuo
incantesimo ha urtato la sensibilità di Iagor”.
E c'è
stupore generale, perché nessuno sa chi sia Iagor.
“Iagor
era il cucciolo del Capitano Grief, il capitano della flotta fantasma
ed è una piovra gigante cornuta...” tutti vorrebbero capire
come una piovra gigante possa avere delle corna, ma nessuno fa
domande, attenti alle parole del Master e pronti ad intervenire,
controllando subito gli incantesimi disponibili per la battaglia che
sarà imminente.
“...e con le corna colpisce il promontorio dove
si erge il castello e con uno dei suoi tentacoli più grandi
– né
ha di piccoli e sottili, ma anche grossi e ricoperti di spine –
distrugge
il porto, facendo affondare la nave della famiglia dei conti di Lia,
a cui nessuno frega niente, ma se non ci sono morti per eventuali
zombie è
noioso; poi con un altro tentacolo distrugge la secolare quercia vicino
al castello e schiaccia ben due guardie. Quindi... cosa fa la valorosa
gilda, contro questo mostro
che sta per distruggere l'intera città?”.
“E' ovvio,
corriamo fuori...?” cerca l'approvazione degli altri Stan, che
ovviamente annuiscono e che finalmente hanno voglia di giocare e di
meno chiacchiere.
“...corriamo
fuori e cerchiamo di attaccare almeno un tentacolo. Con la mia spada
sacra potrei provare a tagliare almeno uno dei tentacoli più
piccoli” è Kyle a prendere l'iniziativa, ama farlo, almeno nei
giochi, in fondo è anche il suo ruolo: il paladino ha il dovere
morale di essere guidato dalla giustizia e di combattere per fermare
il male.
“Ok
Kahl, tira due dadi da dodici facce” ricordando senza difficoltà le
condizioni che la spada richiede perché il suo colpo vado a segno:
un punteggio totale di minimo diciotto punti. E la fortuna non è
dalla parte di Kyle che riesce a totalizzare sono otto.
Cartman
aspettava quel momento e non si fa problemi a mostrare un ghigno.
“Oh Kahl... la tua spada non solo è inefficace, ma viene
spazzata via da un colpo di tentacolo, che ti afferra e ti allontana
dai tuoi compagni. A quanto pare neanche Lance può soccorrerti e in
più, sorpresa: Iagor odia la magia, lo snerva ed è totalmente
inefficace contro di lui”.
“Cos- ...cerco di divincolarmi,
no, anzi... dovrei avere un pugnale e...” lancia il dado e non solo
Cartman scoppia a ridere davanti a un punteggio di due.
“Il tuo
pugnale cade. Una puntura di zanzara gli avrebbe fatto più male”.
Tutti si scambiano occhiate, non sapendo ora come affrontare
il mostruoso nemico.
Per Kyle è ovvio che Cartman non aspettava
altro, non lo nasconde nemmeno il bastardo e non può neanche dire
che i dadi sono truccati, poiché sono i suoi.
“E mentre i
tuoi compagni si guardano confusi, Iagor decide di divertirsi un po'
con te. Sai poverino, è stato per tanto tempo negli oceani, ha
bisogno di un po' di distrarsi e mentre tu ti divincoli, un altro
tentacolo più sottile...” abbassa il tono e lo trasforma in
malizioso “sottilissimo... decide di ficcarsi nella tua bocca
perché urli troppo, per essere un paladino...”.
“Cartman,
non continuare!” urla Kyle che sa bene dove sta per andare a parare
Cartman; e a Wendy, Nicole e Lola non dispiace neanche un po', visto
l'attenzione che stanno riservando al Master.
“Kahl, ti ha
ficcato un tentacolo più grosso di un cazzo in bocca, dubito che tu
possa urlare”.
E Clyde scoppia a ridere, mentre gli altri
hanno la decenza di trattenersi. A quanto pare Kyle dovrà far male a
più di una persona finita quella partita.
“E visto che sei
così esagitato, un terzo tentacolo ti si struscia addosso, ma sai...
è per controllare che tu non abbia armi, potresti averla dentro i
pantaloni e... in effetti trova qualcosa il tentacolo! E indovina? E'
duro!”
Stan si alza e va in bagno, queste cose gli fanno
venire la nausea e sono tutti troppo coinvolti per non vedere
chiaramente la scena davanti a loro.
“Cartman smettila, o
giuro che...”
“Puoi giurare quello che vuoi, ma non sono
io ad avercelo duro per un tentacolo che ti si è avvolto intorno.
Kyle sei davvero un pervertito” lo sfotte e persino Token e Clyde
si uniscono a battutine di bassa leva, mentre le ragazze
semplicemente ridono e solo Lola mostra un lieve imbarazzo.
Cartman
tira un dado e gli esce un dodici, si stava chiedendo giusto quanto
poteva essere piacevole per Morgif il servizietto.
“Te lo
mena molto bene a quanto pare. Però l'hai annoiato
con tutto questo muoverti e va oltre e trova un buchino stretto
stretto che lo incuriosisce abbastanza e... indovina cosa succede?”.
“Non dirmi che entra con un colpo solo?” domanda
stupidamente Clyde, ridendo, e Eric tira i dadi per soddisfare la
curiosità e... un undici conferma.
“Sì. Penetrazione
perfetta. Fa tanto male Kahl?”.
Non può Kyle rispondere
con calci e pugni a casa di Stan, non può farlo davanti a delle
ragazze (che tra l'altro hanno simpatia per lui) e non può tirarsi
fuori virtualmente da quella situazione.
“Questa me la
paghi Cartman”.
“Ma come? E io che l'ho fatto giusto per
pareggiare i conti” lo canzona malizioso e poi Kyle capisce dal
bagliore dorato dei suoi occhi: era la sua stupida vendetta
quella.
“Fottiti!” gli urla prendendo il suo zaino e i
dadi, ma lasciando lì la scheda del suo personaggio.
“Kyle!”
esclamano tutti in apprensione. Nessuno vuole che se ne vada, è
un gioco e ad alta voce gli chiedono di rimanere, spiegando che stavano solo
scherzando, non c'era l'intenzione di nessuno di prenderlo per il
culo (se non Cartman), ma non vuole sentire Kyle e in pochi passi è fuori
da casa Marsh.
“Ehi, ma... Kyle?” Domanda Stan stralunato tornando dal
bagno una manciata di secondi dopo, ha capito metà delle
cose che son successe e ha un brutto
presentimento in proposito.
“Se ti riferisci al suo
personaggio è stato appena inculato da un tentacolo. Se ti riferisci
all'ebreo, è già andato fuori perché la sabbia nella vagina gli
bruciava troppo”.
“Cartman!” Stan lo prende per il collo
della maglietta e non è per niente rassicurante. Non è un tipo
bellicoso, ma quando Eric sorpassa il limite solo mettendo da parte
calma e gentilezza, in favore delle maniere forti, riescono a
capirsi.
“Vai subito a chiedere scusa a Kyle e riportalo
qui”.
Eric è incapace di reagire contro Stan, ha qualcosa
che lo blocca, che non gli permetterebbe di tirargli neanche un
singolo pugno se volesse, quindi deve subire l'umiliazione di starlo
a sentire e - quel che è peggio - subirla davanti ad altre persone.
“Lo faccio solo
perché mi stavo divertendo, non perché me lo dici tu” sottolinea
liberandosi dalla presa ed uscendo fuori, dove la neve ormai si è
sciolta e non servono guanti, giacca e cappello.
“Kahl, vieni
qui, non fare lo stronzo!” lo richiama vedendolo imboccare la
strada principale.
“L'unico stronzo qui sei te!” gli urla
da lontano proseguendo, in direzione di casa sua.
Eric
sbuffa, perché non ha voglia di seguirlo, ma muove il culo perché
non vuole sentire Stan in preda agli isterismi dopo, il quale
sicuramente verrà supportato dal moralismo di Wendy, nonostante poco
prima era la più eccitata.
“Kahl... Kahl... Ehi!”.
“Non
chiamarmi in quel modo!” urla girandosi indietro, raggiungendo
incredibili livelli di acidità contro il suo interlocutore che con
passo veloce lo raggiunge e gli fa credere in tutto e per tutto che
inizierà ora uno scontro verbale.
“Perché non dovrei
chiamarti così? Ti dà fastidio se uso un pet-name fuori dal letto?”
lo sfotte per inclinazione, nonostante sia il momento meno
adatto.
“Smettila di fare la Prima Donna, è solo un gioco
cazzarola! Torna dentro e giochiamo. Non sei morto, mi sono...
semplicemente preso la soddisfazione di mettertelo in culo...
cioè...” arrossisce e spera che Kyle non lo noti, ma incazzato
com'è vede rosso ovunque, quindi è salvo.
“...ti avevo detto
che avresti rimpianto quello che mi hai detto su matematica e... per
tua informazione ho preso una B
ieri” e A Kyle non gliene frega un bel niente, dovrebbe saperlo.
“Perché credi che io faccia lo stronzo con te Cartman?”.
“Sai benissimo il motivo”, assottiglia gli occhi Eric, ora
ricordano quelli di un felino; “sai tante cose Kahl e fai sempre il
finto tonto, per mantenere il tuo status di paladino della giustizia
e dell'amore. Beh... io ho ti ho dato una lezione metaforica sulla
fine che fanno gli stronzi boriosi che si credono sempre dalla parte
del giusto”.
“Io sono dalla parte del giusto” risponde
stizzito.
“No, e lo sai bene anche te, perché stai facendo
lo stronzetto apposta per farmi davvero incazzare. Cosa sei? Un
frustrato che vuole la rissa?”.
Eric non immagina nemmeno cosa ha toccato con nonchalance. Ha quasi aperto il vaso di
Pandora e gli occhi di Kyle hanno tremato. L'unica reazione, per Kyle plausibile, si
manifesta con uno schiaffo.
“Eh?... questo, perché...?”
barcolla Eric e non perché gli ha fatto male. La guancia offesa
brucia, la tocca e un sorriso scemo vuole aprirsi sul suo volto, ma
non appena Kyle gli da le spalle e gli nega lo sguardo, a bruciare
non è più la guancia.
“Lo sai perché sono uno
stronzo Kyle?” Gli urla facendo un passo avanti, che ha solo motivo
teatrale.
“Perché tanto tu non crederesti mai a una buona
azione da chi non sopporti no? Allora a che servirebbe mai esser
gentili con te?”
Kyle si volta e sussulta.
Non è vicino
a Cartman, ma può vedere non gli occhi da rettile che teme, né
l'irritante sguardo ferino, ma gli occhi di un rapace orgoglioso e
che non accetta offesa.
“Uno stronzo è quello che ti
meriti, Kahl! Merda, soltanto che merda!”
E stanco di parole su parole l'ebreo se ne va perché non vuole sentirlo, perché
sono in guerra e a lui ora non va di lanciare ulteriore offesa, se
non il silenzio e le sue spalle che sa, in un modo o nell'altro, irritano la sua nemesi.
Meriterà forse solo che merda, ma
Cartman merita solo silenzio, nulla.
Sono equi, come il caos, che è il loro Signore e burattinaio: ferirsi reciprocamente è la loro legge.
Qualcuno ha detto ad Eric che dai diamanti non nasce niente, è dal
letame che nascono fiori, ma il suo timore, l'incubo che balza nelle sue notti, è che ci sia il nulla tra loro.
Ma Kenny lo salva, nella sua mente fa capolino e ricorda:
“quando una ragazza ti dà uno schiaffo è
perché l'hai ferita, c'è rimasta per qualcosa che hai
fatto e non si aspettava perché... gli piaci. Anzi, gli piaci un
casino”.
Ed allora Eric porta la mano sulla guancia, e sorride.
Non brucia più, non fa male, non c'è il segno... ma non può essere non essere nulla.
Ecco qui qualche nota dovuta!
Grazie a tutti per aver letto, critiche e suggerimenti sono i
benvenuti, e perdonate la formattazione... ogni volta litigo con NVU, e
molto spesso vince lui perché mi coglie stanca ed
impreparata.
From manure flowers bloom: traduzione inglese de dal letame nascono fiori. Citazione completa inserita a chiusura del capitolo: "dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori", che è tratta dalla famosa canzone di Fabrizio De André Via del campo.
Riproduzione asessuata: il testo riguardante quella parte è tratto dall'enciclopedia virtuale Treccani.
White noise: "è
un particolare tipo di rumore caratterizzato dall'assenza di
periodicità nel tempo e da ampiezza costante su tutto
lo spettro di frequenze. È chiamato bianco per
analogia con il fatto che una radiazione elettromagnetica di
simile spettro all'interno delle banda della luce
visibile apparirebbe all'occhio umano come luce bianca. Nella
pratica però il rumore bianco non esiste: si tratta di
un'idealizzazione teorica, poiché nessun sistema è in
grado di generare
uno spettro uniforme per tutte le frequenze esteso da zero a infinito,
mentre nei casi reali d'interesse il rumore bianco è al
più riferibile
ad un intervallo di frequenze (rumore bianco a banda finita o
limitata)." Spiegazione presa direttamente da Wikipedia.
They
taking the hobbits to Isengard: è la canzone (non ufficiale, s'intende) del fandom de Il Signore degli Anelli, che ultimamente Orlando Bloom ha deciso di cantare in simpatico remix direttamente dal set de Lo Hobbit. Qui trovate il video di cui si parla nel capitolo.
Dungeon&Dragons: famoso
gioco di ruolo, di cui potete avere un esempio di giocata nel capitolo,
anche se la giocata qui presentata è stata piegata ad esigenze
di scrittura. Sì, ragazzi, fanatici di D&D non vi infuriate,
mi sono concessa una piccola licenza poetica trasformando il gioco in
qualcosa di molto più discorsivo... anche se questa sarebbe
un'introduzione by Cartman. Se volete saperne di più comunque qui c'è il link a Wikipedia.
Master: in D&D è colui che conduce il gioco, come dice Eric, il Deus ex Machina del gioco.
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Capitolo 4 *** Empty and hollow. ***
5.Empty and hollow
La mia estate è passata dando esami, nel casino di un cambio di
mobilio, e scrivendo questo capitolo che riesce a venir fuori ora,
nonostante il tempo, i miei nervi, ed altre questioni personali non mi
invogliassero a mettermi alla tastiera e a tirar fuori quello che avevo
dentro, ma è un capitolo speciale questo.
Perché speciale? Perché
scritto per una delle due persone a cui l'intera storia è
dedicata, Mattie Leland, e il nuovo capitolo è il mio regalo di
compleanno per lei, che spero apprezzerà.
In origine doveva esser pubblicato prima questo quarto capitolo, non
era stato pensato come regalo; mi son messa però armata di
pazienza al lavoro rendendolo speciale, lavorando nel modo in cui la
cara Mattie potesse apprezzarlo di più, e visto un contrattempo
che ha tenuto lei lontana dal pc nei giorni del suo compleanno, mi son
permessa di esternderlo.
E' un capitolo chiave per la storia, di umori e sensazioni ricorrenti,
di spazio per Stan (credo di non aver mai dedicato tanta attenzione a
lui in tutte le mie fanfictions), di spazio per l'amicizia, ma anche un
capitolo in un certo senso di rottura, di passaggio, un passaggio che
ora non si nota, su un futuro di aspettative ed incertezze e... la
questione affrontata non è un caso. Ti faccio gli auguri anche
qui Mattie, perché sarà un'età importante questa,
che spaventerà un po', ma da ora muoverai i veri primi passi
verso la vita, una vita che ti auguro radiosa il più possibile,
in cui sicuramente troverai ostacoli, spaventeranno, quindi ti auguro
di avere sempre l'energia per affrontarli, superarli, e questa energia
ce l'hai, perché sei speciale, quindi non dimenticarlo mai!
E vi informo, che non ho dimenticato (chi era su Facebook qualche
settimana fa, sa di cosa parlo), visto che la storia ha raggiunto
le quindici recensioni, ci sarà un capitolo speciale. Non sono
ancora certa quando sarà il momento giusto per inserirlo, ma
potrebbe arrivare come doppio aggiornamento o storia/oneshot a se
stante; vi informo però che per il prossimo aggiornamento
dovrete probabilmente aspettare un po', fin'ora son riuscita ogni mese
ad aggiornare, ma dal prossimo mese devo mettermi sotto con la
scrittura della mia tesi di laurea, quindi non penso avrò tempo
e forze da dedicare alla scrittura di fanfictions, ma spero sempre che
voi mi seguiate e non pensiate a un mio abbandono alla storia.
Grazie a tutti coloro che hanno recensito e che ho avuto modo di
conoscere, e grazie infinite in quanti recensiranno dandomi così
una piccola gioia di cui ho davvero bisogno in questo periodo tanto
difficile, una gioia per voi magari insignificante, ma che per me vale
tanto, tantissimo, come se mi regalaste dei granelli di oro-
A presto, spero che questa sarà per voi una piacevole e divertente lettura.
Empty and hollow.
Panta rei*. Perché curiosa è
la natura umana.
Ogni volta che riportava la mente alla sua
infanzia, Stan, vedeva due bambini diversi.
Quando era più
piccolo osservava il mondo con i suoi grandi occhi blu, incerto,
timoroso nell'interagire con il prossimo, timoroso nel muovere passi
nel mondo. Ma aveva saputo strappare la pelle dell'insicurezza,
inghiottire – senza vomitare – ogni paura, deciso ad affrontare
tutto con coraggio, arroganza anche, perché c'era sempre stato Kyle
al suo fianco, a prenderlo per mano, a fargli affrontare le sue
paure, a gabbarsi del mondo con lui perché, gli aveva mostrato, che
non era così terrificante, piuttosto abbondante di idiozia ed
ignoranza. E lui era intelligente, furbo, con talento – gli aveva
sempre ripetuto Kyle –, per tanto aveva tutto il diritto di vivere
a testa alta, fiero di se stesso.
Però quando non era un buon
amico non aveva nulla di cui esser fiero, Stan.
E se sapeva che
Kyle aveva fatto una stupida scommessa che avrebbe rovinato il loro
gruppo, allora aveva paura, c'era qualcosa che non andava e... farci
caso tardi non lo faceva sentir fiero. E se vedeva poi un Butters nel
corridoio che piangeva, rivelandogli che era a causa di Kyle che lo
ignorava, senza neanche commettere lo sbaglio di incrociare il suo
sguardo, allora ammetteva che non comprendeva il suo migliore amico,
e questo non lo faceva per niente sentir fiero ma, piuttosto, lo
faceva solo che sentire un fallimento.
Panta rei. Tutto scorre,
perché è la natura umana il cambiamento persistente,
tuttavia è un'esperienza dolorosa se non si nota e da un giorno a
l'altro sono le conseguenze del cambiamento a fartelo notare,
inciampare, e – inevitabilmente – soffrire.
Trema un po',
perdendo il filo dei suoi pensieri nel dolore, ma imponendosi
coraggio e durezza, perché nel momento in cui Kyle finirà il suo
turno di pulizia del laboratorio di chimica dovrà essere severo e
dirgli chiaramente che sta facendo una serie di stronzate che non
sono da lui, non sono giustificabili e delle quali rischia di
pentirsi amaramente.
Più di una decina di minuti dopo, vede
uscire Kyle dall'istituto, e trema ancor più, ma stringe i pugni e
non ricambia il sorriso di Kyle.
“Mi hai aspettato? Non
dovevi! Comunque Stan sai, ho dei biglietti del cinema per andare a
vedere...”.
“Kyle, dobbiamo parlare”.
“Ok”
ha finito le sue pulizie, ha lo zaino in spalla con pochi libri e
nessun programma per il pomeriggio, senza contare che sono sulla
scalinata della scuola e non c'è che quasi nessuno ormai, visto che
la campana è suonata da una ventina di minuti e più: può ascoltare
il suo miglior amico e parlar con lui quanto vuole.
“Ecco...
diciamo subito che non è per niente ok”.
“Oh... è
successo qualcosa con Wendy?”.
“No Kyle, è te che
riguarda” vorrebbe dirgli che ha saputo che ha fatto lo stronzo,
che lui lo conosce e sa benissimo che non lo è, perciò deve
rinsavire, ma... non è così facile e preferisce girare intorno alla
questione.
“Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio?”
cade dalle nuvole, portandosi la mano tra la voluminosa e soffice
testa rossa, come a cercare tra i ricci il ricordo di qualche sgarbo,
ma non crede d'aver fatto proprio niente di male a Stan.
“Ho
saputo della scommessa tra te e Cartman”.
“E...
allora?”.
Una domanda che è sufficiente a scaldare Stan e a
fargli alzare il tono, scandalizzato.
“Come allora? Kyle,
amico, che ti è preso? Sai benissimo che Cartman non riuscirà mai a
prendere tutte quelle A
e ad avere un punteggio così alto al test finale! Così andrà
davvero in un altra scuola superiore, lontano da noi e non...”
nella mente di Stanley un'immagine colorata di loro quattro
sorridenti sbiadisce “...non saremo più noi quattro”.
Kyle
non ha alcuna immagine sbiadite di fronte alla sua coscienza.
Kyle
non pensa di aver sbagliato.
“Stan,
è stato lui a proporre questa sciocchezza, a me non importava, ma ho
colto la palla al balzo vista la sua testardaggine e i suoi risultati
saranno il frutto della sua stupidità, inoltre...” il verde
diventa brillante nei suoi occhi “ce ne libereremo, finalmente non
dovremmo più sentire le cazzate di quell'idiota e finire nei
guai”.
Stan lo ferma, non vuole sentire altro: gli mette le
mani sulle spalle e lo scuote, come per farlo rinsavire, o fermare
dal dire altro: non può essere serio, è stupido, e falso e crudele
quello che dice.
Se ripensa a uno dei suoi maggiori timori di
quando era bambino, uno di questi era che Kyle potesse allontanarsi
da lui preferendo come miglior amico Cartman; litigavano sempre Kyle
e Cartman, persino quando avevano la stessa opinione su qualcosa, ma
era evidente che quelle liti – per quanto aspre – non cambiavano
la chimica che c'era tra loro e neanche il dato di fatto – mai
ammesso – che si volessero bene. Stan aveva avuto paura per anni di
ciò, consapevole che il suo rapporto con Kyle era totalmente
diverso, basato su delle radici e una chimica diversa, ma alla fine
si era messo il cuore in pace per abitudine, perché Kyle era rimasto
sempre fermo su quel punto: lui era il suo super-miglior amico, e
sembrava che altre ipotesi non fossero contemplate.
Era palese
però che tra loro quattro (più Butters, che però è giusto mettere
solo tra parentesi, come un bonus) c'era un legame speciale e che
nessuno avesse il coraggio di dire a Cartman che gli volevano bene,
ma la verità – alla fine – era proprio quella e Stan non può
contemplare un futuro dove loro quattro (più Butters, sempre) siano
separati, e non può accettare che dopo tanti anni Kyle voglia
liberarsi davvero di
Cartman.
“Kyle, tu non dici sul serio e dovresti ascoltarti
e riflettere!”
E quelle parole lo fanno allontanare da
Stan, dalla sua presa, quasi come fosse stato scottato. Scende le
scale velocemente e imbocca la strada per casa, scappando dall'amico
che rimane sulla scalinata alquanto stordito.
“Kyle!” lo
chiama e lo richiama con voce più alta.
“Non ho nulla da
dire, Stan” afferma quando l'altro lo raggiunge. Non è da lui fare
così con Stan, ma lo ferisce il fatto che non lo comprenda e che
improvvisamente prenda le parti di Cartman.
“Non devi dirmi
nulla, nessuna spiegazione: lo so, sei arrabbiato; Cartman sarebbe
capace di far incazzare un monaco buddhista, ma non è da te
comportarti così, arrivando ad estendere il tuo malumore su
Butters”.
Vede Kyle non dire una parola e continuare a
camminare, si chiede se in qualche modo stia riflettendo,
comprendendo che ha sbagliato, ma non arrivano indizi dalla sua
espressione.
“Stan, devo ricordarti che l'ho lasciato
andare in Somalia sperando che morisse? E ricordo che anche tu eri
entusiasta della cosa, però... ora che non voglio semplicemente che
frequenti la scuola con noi e ci rovini la nostra vita da studenti
delle superiori, ne fai una tragedia, perché?”.
Non può
che lanciargli un'occhiata incredula Stan: “Kyle, avevamo nove anni
all'epoca!”.
“Quello che provo non è cambiato” taglia
corto, rendendosi poi immediatamente conto della falsità delle sue
parole e arresta il passo.
Tutto è cambiato, persino se
stesso.
Ma trovando gli occhi di Stan puntati su di lui continua a
mentire, recita, stando male, perché non vuole farlo, ma si sente
costretto: “lo odio come quando ero bambino, sempre l'ho odiato e
sempre lo odierò. Ne ho abbastanza delle sue cazzate, dei suoi
insulti, dei suoi giochetti, delle sue battute, delle sue paranoie;
fino ad adesso l'ho accettato, ho sopportato, mandato giù, ma dal
prossimo anno voglio solo una tranquilla vita da adolescente, niente
di più. Cosa c'è di male in questo?”.
“Tutto” Stan
non lascia un secondo di silenzio tra la domanda di Kyle e la sua
risposta “ed è terribile che tu dica certe cose, fa... male, e mi
dispiace. Soprattutto per te”.
Stan diventa accigliato, abbassa
lo sguardo e cerca ispirazione dalla punta delle sue scarpe; Kyle sa
essere testardo a livelli superiori dei suoi – che non sono uno
scherzo! – e sordo, e cieco, e... sa che così si farà solo del
male.
“Noi siamo cresciuti insieme, siamo sempre stati insieme,
ne abbiamo passate di cotte e di crude, ce la siamo vista brutta
tante volte e tante volte ci siamo divertiti insieme... e abbiamo
riso, ci siamo offesi, traditi, presi a pugni, litigato, ma comunque
siamo sempre stati insieme come una sorta di famiglia. Lo so che
pensi, perché prendi le parti di Cartman?,
perché è mio amico, ma soprattutto – anche se non te ne rendi
conto – mi sto preoccupando per te”, alza gli occhi blu e nota
d'aver colpito in qualche modo Kyle. Spera vivamente non sia un
ascolto passivo, ma ricettivo, e nel senso giusto.
“Ti dirò
una cosa che dissi anni fa a Cartman, quando te ne sei andato da
South Park per vivere a San Francisco. E' una cosa che vale anche per
te: senza Cartman la tua vita sarebbe miserabile e vuota”.
Nell'aria è percettibile il peso di quello parole.
“Lui
l'ha capito, e tu che hai una mente brillante dovresti capirlo allo
stesso modo”.
Vede che le labbra di Kyle si stanno per
aprire in replica, ostinata e contraria, ma Stan non gli da modo per
continuare perché vuole essere lui ad avere l'ultima parola
stavolta.
“Arrabbiati, sfogati, vai a prenderlo a pugni se
serve, ma non perdere la testa e non fare cazzate e tra queste... non
prendertela con Butters. Sa essere rompicoglioni a volte, pettegolo,
fastidioso, ma è un amico sincero, un animo buono, come te”.
E
a questo punto rimane solo il silenzio imbarazzato di entrambi, che
nasconde timori ed amarezza.
“Io comunque prendo il bus”
farfuglia Stan mentre si volta nella direzione opposta, dov'è la
fermata “ma tu cammina. Ti farà bene” consiglia con un fil di
voce, prima di defilarsi dalla sua vista.
Kyle rimane fermo,
più che colpito dalle parole di Stan amareggiato. Vorrebbe parlare,
vorrebbe potergli dire cosa sta accadendo da mesi a lui, ma ha paura
di saperlo meglio di quanto creda.
“Stan, io la testa l'ho
persa da mesi”.
*
“...non
dubito che per Kyle sia uno scherzo fare queste cose, è che deve
esserci qualcosa in lui che non va, qualcosa di perverso, per amare
questa roba”.
Dove roba
sta per libri, libri e ancora libri. Di aritmetica, di geometria, di
scienze.
Eric
ha gli occhi arrossati, i nervi a fior di pelle, sul punto di
ammettere le proprie difficoltà con le materie scientifiche, che
ormai da più di due settimane studia prima di andare a scuola,
durante e appena torna a casa, fino a che la tarda notte non giunge e
i suoi occhi si chiudono. E' ben attento da non farsi vedere dai suoi
compagni, non vuole fare la figura del secchione, non vuole che
qualcuno sappia che sta faticando per ottenere ottimi voti, non vuole
che nessuno sappia che per lui qualcosa come la matematica o la
biologia restano incomprensibili nonostante l'impegno. Butters
avrebbe potuto aiutarlo, ma gli aveva chiesto un prezzo troppo alto e
così ora fa i conti con la fame, tanta, nonostante abbia lo stomaco
pieno.
“Forse non è la sabbia che gli prude, ma è questa
roba che fa male al suo sistema nervoso, non credi?”.
Confida
i suoi dubbi amletici a una barretta energetica, che brama, che
vorrebbe nel suo stomaco, ma con la quale preferisce parlare*.
Non
vuole più magiare per il nervoso, mangiare non è una risposta ai
suoi problemi ha capito, e anche se si riempe fino a dover rigettare
il cibo non starà meglio. Il meglio è che tiri fuori ciò che lo
angoscia piuttosto, o con parole o con lacrime, ma a queste ultime
non vuole dare la soddisfazione di toccare le sue guance.
“Se
non dovessi farcela... perderei proprio tutto, quindi... va bene
anche passare notti insonni sui libri. Le altre materie non fanno poi
così cagare. Credo... credo che ci siano anche cose interessanti e
forse Kyle ha ragione, non è poi così male chiudersi nello studio
per eccellere, però... per quante volte studi qualsiasi materia
scientifica, io... io... non capisco un cazzo”.
Stringe la
barretta guardandola intensamente. Il rosso della confezione lo
ricollega a Kyle, alla sua nuvola di ricci, al colore che acquista la
sua pelle pallida quando si arrabbia o quando s'imbarazza; è il
colore del sangue, un sangue di cui condivide lo stesso gruppo, che
gli ha passato, che è entrato nelle sue vene. C'è il suo rene nel
corpo di Kyle, il rene che lo mantiene in vita, che gli ha sottratto
con l'inganno e per il quale mai l'ha ringraziato. Eppure gli sarebbe
bastato un solo sorriso... anche se questo Kyle non l'ha mai saputo e
mai lo saprà, perché quel che conosce di Cartman sono insulti e
bugie.
“Vorrei che Kyle...”
...e
il suono del campanello alla porta dissolve quell'utopia rossa
chiamata Kyle.
Non si muove però, rimane fermo a prestare
attenzione alla sua tachicardia: e se alla porta fosse
Kyle?
Il pensiero è così
meraviglioso da terrorizzarlo.
Il campanello però suona
ancora, e stavolta gli fa saltare i nervi, per questo decide di
muovere il culo ed andare ad aprire, pronto a una carrellata di
insulti e bestemmie contro il rompipalle di turno.
“Allora
ci sei!”.
“Stan?” non si aspettava proprio una sua
visita, se non di scopo, e per questo, in un batter di ciglia, pensa
di farlo andar via.
“Non mi interessa se Wendy è incinta e
ormai i feti abortiti non valgono più così tanto, visto che la
ricerca sulle staminali non è permessa*”.
“Wendy non è
incinta!”.
“Oh... ottimo” suppone si dica questo in
tali circostanze.
Stan, onde evitare di litigare tira fuori
dal suo zaino il libro di biologia – tra l'altro sua materia
preferita – e glielo sventola sotto il naso.
“Non sarò
Kyle, ma ho solo un'insufficienza e una buona media, e...” guarda
oltre le spalle di Cartman. A quanto pare neanche Butters è lì
“...sembra anche che io sia l'unico disponibile ad aiutarti”.
Non piace al padrone di casa lo sguardo di sufficienza di
Stan, non gli piace il tono che sottolinea il suo essere il buon
samaritano, ma soprattutto non gli piace il fatto che ne abbia
davvero bisogno.
“Cos'è, stai cercando soldi o crediti da
accumulare per andare in Paradiso?”
Essere gentile gli viene
proprio difficile, anche quando dovrebbe, per pura convenienza;
teoricamente sa esserlo, sa recitare, ma il problema è che è
proprio Stan a volergli dare una mano e questo... sa quasi
d'umiliazione.
“Cartman, non voglio soldi né niente, e se
devi fare lo stronzo me ne torno a casa. Semplicemente trovo che sia
stupida la scommessa tra te e Kyle, trovo che sia sbagliato quello
che ti ha chiesto Kyle e penso che tu rischi seriamente di
perdere”.
Eric guarda male Stan, lieto di non averlo fatto
entrare e fa per chiudere la porta. Non ha bisogno di un altro
stronzo che non crede in lui.
“Bene, allora Stan torna-”
Ma il moro lo interrompe e non permette a Cartman di
continuare “...ma sono anche convinto che con l'aiuto di qualcuno
puoi benissimo farcela, ed è proprio per questo che sono qui”,
trova imbarazzante aggiungere altro, ma dopotutto lo fa per salvare
la loro amicizia, il loro gruppo, quello che sono sempre stati.
“La
maggior parte delle volte Cartman è vero che vorrei strozzarti o che
finissi sotto un camion”.
“Oh grazie, sono commosso dal
tuo affetto. Sappi che è reciproco”.
Stan taglia corto però
all'ironia di Cartman, schiarendo la voce. Non vuole assolutamente
ripetersi.
“Nonostante tutto però siamo amici, siamo...
sempre stati noi quattro e vorrei continuassimo ad esserlo, anche
alle superiori”.
Eric dovrebbe essere toccato da simili
parole, nessuno è mai stato tanto disponibile a mostrargli affetto,
eccezion fatta per sua madre e Butters.
Dovrebbe essere contento
o comunque fregarsene e cogliere l'occasione che Stan gli sta
porgendo su un piatto d'argento, invece il suo primo pensiero va a
Kyle.
“...significa che ti sei messo contro Kyle?”.
“Voglio farlo ragionare”.
“Avete litigato per
questo, no?”.
“Non ne sono propriamente sicuro, ho deciso
dopo di aiutarti, dopo che ho tentato di far ragionare Kyle”.
Kyle
dunque è solo.
Stavolta non sono solo loro due in lite e Stan al
fianco dell'ebreo, e non è neanche una di quelle situazioni in cui i
due super-migliori amici hanno litigato e Kyle fa ripiego su di lui,
facendogli credere di essere il miglior amico di cui ha bisogno. Kyle
è solo, contro di lui e contro Stan, e al suo fianco probabilmente
non avrà neanche Kenny.
Stringe i pugni Eric, dovrebbe esser
grato a Stan, accoglierlo in casa e sorridere, scoppiare di gioia per
essere importante almeno una volta, invece... stringe e controlla la
rabbia; è una sfida tra lui, Eric Theodore Cartman, e Kyle
Broflovski e – come in ogni sfida tra loro – non sono ammessi
terze parti, che dovrebbero rimanere al loro posto, anziché
schierarsi dalla parte che non desiderano essere.
E proprio
lui, Eric, desidera che Stan riservi quei suoi buonismi a chi ha
sempre saputo apprezzarli, non a lui, che si può pulire il culo con
la gentilezza di Stan.
“Stan, va via”.
“Cos-
...cazzo Cartman, ti ho appena detto che son qui per te e tu fai pure
lo stronzo?”.
“Stan, mi dispiace toglierti dalla tua
frocia utopia di pony ed arcobaleni e super-checche amici, ma io sono
sempre il solito, sempre il solito Eric Cartman che consideri uno
stronzo. Suppongo che sicuramente dovrei darti ragione in alcuni
casi, ma mi scoccia terribilmente farlo, e... cosa volevo dirti poi?
Ah sì: io, al contrario di quanto tu dichiari, faccio tutto questo
per me e lo dico, mentre tu... beh tu... sei il solito. Vieni a dirmi
che lo fai per me, mentre potresti dire che lo fai per te, perché ti
seccherebbe da morire che non fossimo più noi quattro, e che dunque
i tuoi equilibri cambierebbero e torneresti a vedere merda ovunque.
Ecco... se mi avessi dato questa versione puramente egoista e sincera
credo che ti avrei persino fatto entrare in casa e offerto un
biscotto, ma visto che ho ad attendermi un succoso capitolo sul
sangue, ti chiedo di non farmi perdere ulteriore tempo e andare a
fare il filantropo altrove perché...” un medio alzato e un
borbottio imprecatorio lo lasciano, e come immaginava Stan ha girato
i tacchi incazzato.
Sorride.
“Ehi fighetta, sappi che non
perderò contro l'ebreo, quindi preparati a dover fare il
super-frocio amico per consolare quell'altra checca”; Cartman non
definirebbe mai parole simili un insulto, ma normale teasing
tra amici, eppure Stan, di
spalle, gli alza ancora il medio non mancando di urlargli un
equivocabile 'fottiti',
che sarebbe stato seguito da un 'culone',
se non fosse che il culo di Eric non ha più dimensioni adeguate a
portare quel nome.
“Anch'io ti odio Marsh, anche se meno di
Kyle” saluta con affetto Eric chiudendo la porta e lasciandosi
scivolare di schiena contro essa.
Sospira.
Gli occhi
lucidi rivelano una grande emozione, rara. Mai avrebbe immaginato che
quella checca di Stan l'avrebbe lasciato col sorriso sulle labbra.
Tutto quello che ha fatto Stan nella sua visita, finita con la
scortesia di Cartman, è suonata come un “ti voglio bene,
amico e sono qui per te”,
qualcosa che non si sarebbe mai aspettato né da lui, né da Kenny e
né tanto meno da Kyle; mal'ha rifiutato con valide ragioni, perché
non è al suo fianco che Stan deve stare.
Non è stato facile
rifiutare l'aiuto di cui avrebbe bisogno, ma è sicuro che se anche
Stan capisce la fotosintesi clorofilliana, allora lui non può esser
da meno.
Quando si rialza ha una nuova luce negli occhi,
brillano, non più di commozione, ma perché fiduciosi nella sua
vittoria.
*
Rabbia.
Sembrava essere questa l'unica cosa rimastagli in corpo.
Rabbia
nei confronti di Stan, che ha detto: senza Cartman la tua
vita sarebbe miserabile e vuota.
Rabbia
nei confronti di Butters, e dei suoi giochi e del suo vittimismo.
Rabbia nei confronti di Kenny, che quando gli si chiede
consiglio, inizia a fare allusioni assurde.
Rabbia nei confronti
di Cartman, che è il seme di ogni male nella sua vita.
E poi
rabbia, tanta, nei confronti di se stesso. Perché lascia che le
parole di Stan lo mettano in ansia, perché i suoi comportamenti nei
confronti di Butters finiscono per esser crudeli, perché lascia che
allusioni di Kenny lo tormentino, perché tutto è legato a Cartman –
come sempre – e pensando a lui si è... si è... scuote la testa
per non pensare.
Si
stende sul letto, sospirando; non è più un bambino, ma il suo
pigiama di Terrance e Philip, con le loro simpatiche facce, richiama
all'infanzia. Sembra quasi inadeguato per il giovane uomo che sta
diventando, ma quel pigiama è anche largo per lui, non potendo
ancora vantare una statura da ometto... preferisce non ricordare che
è lontano dal toccare il metro e settanta d'altezza, statura che
Stan, Kenny, ma soprattutto Cartman, hanno raggiunto e – si augura
– non superato.
Un pop
lo riporta alla realtà, e alzando lo sguardo alla scrivania, capisce
che è la chat di Facebook.
Si alza seccato, non ricordava
neanche d'aver fatto log-in
sul social network, ed è pronto a fanculizzare chiunque l'abbia
contattato, ma quando legge il nome di Lola Brown*, il suo animo si
placa.
Conversare con Lola è piacevole, non parlano quasi mai di
loro stessi, ma hanno sempre interessanti scambi sul Fantasy, e
questo accade da quando lui ha mostrato sulla sua bacheca di essere
un fanatico di Tolkien, spingendo la ragazza a non apprezzare solo la
versione cinematografica, ma a leggere la trilogia de Il
signore degli anelli. Così, da
quando Lola ha finito con avidità quella lettura, è iniziato un
rapporto amichevole tra loro, di scambi d'opinione e consigli su
letture e visioni.
Al momento però non gli va di chattare,
neanche con lei, ma risponde comunque al saluto, inventando una scusa
plausibile per la sua assenza.
'Ciao, come va?
Scusami, non ricordavo d'aver lasciato aperto Facebook, ero preso
dalla lettura' e aggiunge uno
smile, che non guasta mai.
'Io sto bene, e tu? Cosa
leggevi di bello?'.
Cerca
di ricordare qual'è il nome del libro che gli ha consigliato la
scorsa settimana, al quale è ispirato quel telefilm in onda sulla
HBO e che desta tanto scandalo... True Blood*.
Una veloce ricerca su Wikipedia lo salva.
'Ho
seguito il tuo consiglio: sto leggendo Dead
until dark'.
'Sono felice che tu mi abbia
ascoltato!' e Kyle sorride allo
schermo, finché non compare una seconda frase: 'posso
essere onesta? Non vedo l'ora che tu mi dica cosa pensi di Eric'.
Guarda stranito lo schermo, e poi con furia si getta alla
testiera.
'Cosa posso pensare? E' uno stronzo,
egocentrico, crudele, esibizionista, manipolatore... lo odio!'.
'Beh sì, lo è, ma ha un lato
tenero e... è innegabile che sia un figo!'.
Legge due, poi tre volte la frase, augurandosi d'aver capito
male, ma non è così: ha letto bene e se degnasse lo specchio
d'attenzione potrebbe notare d'aver acquisito il colore dei suoi
capelli.
Digita tre lettere e poi si ferma a guardare la sua
mano, la sente sporca e non ha tutti i torti, perché si è macchiata
su pensieri impudici per Cartman.
Non è successo solo una volta,
ricorda e inizia a contare, ma quando il numero delle volte supera
quello delle dita della mano, se la porta alla bocca, allarmato da un
moto di nausea.
E poi un secondo allarme, che gli dilata gli
occhi dalla sorpresa e lo porta a scrivere a gran velocità:
'A
te piace Cartman???'.
Una
faccina sorpresa arriva immediatamente in risposta, seguita da una
lunga sequenza di risata onomatopeica, scritta con caratteri
maiuscoli.
'Scusami Kyle, non parlavo di Cartman,
ma di Eric Northman. E sì è uno stronzo, egocentrico, crudele,
esibizionista, manipolatore, ma è anche un gran bel personaggio e,
in True Blood, il
telefilm, l'attore è un gran figo'.
Si
sente coglione a quelle parole e in gran imbarazzo: perché il suo
primo pensiero è stato a quell'idiota?
Risponde con una faccina
divertita e si giustifica nel modo più articolato e prolisso che può
e solo dopo che l'ha inviato si rende conto d'essere ridicolo e
neanche un po' divertito.
E pensare che proprio a Lola vuole
chiedere di uscire, vuole vedere il nuovo film di Thor con lei, è un
miracolo che ancora sia in proiezione, ma in fondo è di South Park
che si parla: qualsiasi film sbanca al botteghino resta in sala per
un mese. E' diventata la regola da quando il piccolo cinema si è
trasformato in una multisala.
Domani le chiederò
di uscire me. Afferma a se
stesso, salutandola poi cordialmente con la scusa del ritorno alla
lettura di un libro che mai ha acquistato e che non ha intenzione di
leggere, se presenta un Eric stronzo, egocentrico, crudele,
esibizionista e manipolatore. Uno lo conosce già e gli basta e gli
avanza.
*
Sono
altissimi i cancelli della nuova scuola, infinite sembrano le
inferiate per estensione.
Va bene così, lì c'è la sua vita da
studente delle superiori, ci sono i suoi amici, c'è Stan, c'è
Kenny... e c'è Lola che è tanto carina e che riesce a strappargli
sempre un sorriso. Fuori le nuvole sono scure e minacciose, ma poco
importa, sembrano così distanti dalla sua realtà.
Sorride Kyle,
sorride passeggiando per i corridoi, senza prestare attenzione a
quanto essi siano lugubri.
Prima di entrare in classe fa una
visita al bagno, che è nella penombra e si distrae guardando fuori
dalla finestra quella che sembra una tromba d'aria che sta sradicando
qualsiasi cosa.
“Oh
mio Dio!” si porta le mani alla bocca dal terrore.
Andrà tutto
bene? Ma loro... sono al sicuro in quella scuola così solida, no?
E
prima che altre domande possano sfiorare il suo pensiero si ritrova
con i polsi bloccati contro la vetrata che tocca con la fronte, dopo
esser barcollato in avanti. Un riflesso sopprime ogni interrogativo,
ma non un gemito che sfugge sentendo l'altro corpo aderire al suo.
“Vattene!”.
“Non ti dispiace”.
“N-non...
vattene!”.
“Non ti dispiace così tanto uno stronzo,
egocentrico, crudele, esibizionista, manipolatore...”.
“Cartman,
lasciami e vattene vi-ahhh...”
non si trattiene nel sentire l'inguine strusciare contro il suo
fondoschiena. E' una molestia sessuale bella e buona! ...ma, disgraziatamente, tanto eccitante.
E tace, sospirando soltanto, e di piacere. Giù e sù... si
concentra solo su quel movimento, finché esso non divieno il
movimento dei suoi succhi gastrici e brucia, come il senso di colpa, ma
per poco, dimentica tutto non appena sente il respiro dell'altro sul
collo.
E diventa docile nell'eccitazione.
Cartman
gli libera i polsi e i palmi scivolano sul dorso delle mani di Kyle,
le dita s'intrecciano, combaciano e persino la volontà di resistenza
è poca.
Fuori c'è uno scenario apocalittico e per quel che sa
potrebbe già essere all'inferno, illudendosi che sia il paradiso.
Forse è a causa del brutto tempo che poco dopo la luce va a
farsi fottere, ma Kyle non se ne cura, ha priorità più importanti,
la sua ragione è oscurata e la voce profonda e bassa di Cartman che
accarezza il suo orecchio, è analoga a quella del serpente biblico.
“Sai, mi sono rotto un po' il cazzo delle tue negazioni,
sono sicuro che ce l'hai già bello che duro e che il disco del tuo
cervello si sia inceppato su scopami, scopami, scopami...
ma il tuo orgoglio, la tua rettitudine morale non lo ammettono,
neanche vedendo che fuori vi è la fine del mondo. Saresti disposto a
morire con il tuo fottuto orgoglio, vero Kahl?”.
Un bacio
sul collo tocca il pulsante giusto per una risposta acida: “mi fai
schifo! Levati!”, ma troppo debole è il suo districarsi e non ha
effetto, se non quello di una fragorosa risata per Cartman.
“Oh
Kyle, ci scommetto quel che vuoi che provi più schifo per te che per
me”.
Ride nervoso e sprezzante, “perché mai?”.
“Perché basterebbe che io pronunciassi qualche stronzata
romantica, e ti metteresti in ginocchio e me lo succhieresti senza
ritegno Kahl”.
“Vaffanculo Cartman!”.
La presa
alle sue mani si stringe mentre annusa i suoi capelli.
Vorrebbe
vedere la sua espressione Kyle, ma lo scenario devastante fuori dalla
finestra cattura maggiormente la sua attenzione.
E
se fosse davvero la fine?
Cartman
pronuncia altre stronzate a cui Kyle non dà peso, finché non sente
liberargli le mani.
Non si muove Kyle,
per il terrore di quello che c'è fuori... rottami, auto, alberi che
volano... e quando sente l'abbraccio di Eric, la sua stretta sui
fianchi, pensa che tutto sia dannatamente triste.
L'oscurità
complice, intorno e dentro di se, lo avvolge in modo confortante e lo
calma, lo fa essere sincero.
“Sai... non significa nulla
eccitarsi, avere un'erezione o farsi una sega... non ha nessun
risvolto sentimentale, non c'è nulla di male...”.
Un bacio
sulla spalla lo fa sussultare, lo interrompe e – soprattutto –
tremare...
“Credo che sia colpa del tuo essere ebreo e di
tua madre, se vedi male ovunque, anche dove non c'è. Ma io sono di
parte, lo sai; la cosa che però non comprendo è perché ti
giustifichi” e queste parole solleticano con malizia il suo
orecchio.
“Giustificare? Io non mi sto giustificando” non
è neanche troppo convinto nel negare.
“Lo stai facendo
invece, perché hai paura”.
“E di cosa?”.
“Di
sentirti miserabile e vuoto, Kahl...” orrido déjà vu “...un
vuoto che sai di non poter colmare neanche con un cazzo dentro di
te”.
E la rottura la fine della pazienza. Una scossa
energica lo libera dalla morsa di Cartman, e si gira, per dargli un
pugno, un calcio, per farlo tacere con la violenza e far morire lì,
nell'oscurità, ogni compromettente pensiero, ma non c'è più, non è
da nessuna parte. Persino la luce debolmente torna e dà a Kyle
l'occasione di correre fuori dal bagno per punire quello stronzo, ma
non c'è: i corridoi sono vuoti.
E il silenzio sembra
ammonirlo.
Torna nella sua classe, è la prima che incrocia.
Non c'è alcun insegnante, ci sono solo i suoi compagni.
Non vede
Kenny... pensa stia pomiciando con qualche ragazza in qualche luogo
appartato, ma vede Stan, va verso di lui, ma lo ignora perché i suoi
occhi brillano davanti a Wendy. Lo vede rapito dalla sua figura, le
porta un braccio intorno alle spalle e va via dalla classe, dove Kyle
non lo sa, quindi non gli resta che sedersi al suo posto,
solo.
Guarda fuori, il cielo ormai nero, i lampi che danzano,
la terra devastata, ma il dramma umano non tocca la scuola.
Kyle
guarda la sua classe, nessuno sembra notare che c'è qualcosa che non
va, che sembra il mondo stia finendo, tutti riuniti in gruppi, più o
meno corposi; ridono e scherzano: sono sagome bianche e nere, volti
sfocati, indistinti e tra loro c'è anche qualche solitario.
Nota
Butters e si alza perché vuole sapere, è inquieto: “dov'è
Cartman?” e il biondo gli lancia un'occhiata infastidita ed
altezzosa. Lo fa sentire merda.
“Eric ha perso la scommessa
con te, lo sai bene. Non è in questa scuola, dovresti essere
felice”.
Ma non sorride Kyle e guarda terrorizzato Butters.
La luce salta e tutti ridono, un fulmine solo illumina quello che
la luce non può più svelare.
“Non è vero Cartman non
è... Butters? Butters? Dove sei?” il lampo l'ha distratto e ora
non c'è più.
“Qualcuno ha visto Butters? E... e Cartman?”
Nessuno gli risponde, probabilmente nessuno l'ha sentito e furioso
esce dall'aula, muovendosi con dimestichezza nel buio, come un gatto.
Cartman diverse volte gli aveva ricordato che i suoi occhi
sembravano quelli di un gatto.
Cammina inquieto nei corridoi
senza luci, col vento che si scontra sui vetri, i fulmini le uniche
fonti di luce: non c'è panico, non c'è rumore, chiama a gran voce
Stan e Wendy e Butters, poi quel disgraziato di Kenny che trova,
pochi secondi dopo, seduto sulle scale.
“Kenny, hai visto
Cartman?”.
“Che dici Kyle, perché ora te ne esci con
Cartman? Lui non è in questa scuola, è fuori da qui. Forse è
morto”.
“C-Che stai dicendo?” gli occhi dilatati
svelano ogni paura, il verde smeraldo diventa lucido e la ragione si
offusca come la vista, già compromessa dall'oscurità.
E scappa,
corre, a due a due salta gli scalini, col timore di cadere, ma il
timore più grande di arrivare tardi, di aver perso...
E si trova
davanti al portone della scuola: nessun portiere, nessun modo per
aprirlo, nessun modo per vedere fuori; è grande, enorme, in acciaio,
come i cancelli che si possono vedere dalle finestre ai piani
superiori.
Calcia, dà pugni contro la superficie, impreca...
Accade tanto, in pochi secondi, forse.
“Kyle...”.
Si
volta alla voce familiare di Stan.
“...perché
piangi?”.
“Non sto...” non è vero, ha il volto bagnato,
il muco che gli esce dal naso.
Patetico è il suo aspetto.
“Qui
dentro va tutto bene, dovremmo essere felici, insieme”.
Ma
non riesce a rispondergli, non riesce ad affermare nulla, poiché
tutto è lugubre, e inquietante è l'indifferenza al finimondo che
c'è fuori.
“Non va per nulla bene Stan” mormora tra le
lacrime.
“Oh, capisco” guarda i suoi piedi Stan, come
mortificato “significa che la tua vita allora è proprio miserabile
e vuota”.
Il rombo di un tuono lo fa saltare.
Ma non è
un tuono, è la sveglia, e lui fradicio di sudore – e altro – è
al sicuro nel suo letto, solo con le sue lacrime, l'unica
testimonianza di un brutto sogno dal quale è libero.
*
Non sono state molte le occasioni in quei giorni a cui ha degnato
attenzione a Cartman, ma in un sola mattinata si rende conto Kyle di
non averlo notato per un semplice fatto: Cartman sparisce quando non
c'è lezione e si palesa solo poco prima di esse e, non appena la
lezione termina, è il primo ad uscire e non si presenta a mensa.
Kyle inizia a pensare che i momenti in cui scompare li dedichi
seriamente allo studio... possibile?
Sospetta, ma non ha prove, e
non vuole parlare di nuovo a Cartman.
Sospira.
Quel sogno non
gli sta rendendo le cose più facili, tuttavia è sollevato dalla
luminosità e dal chiasso che domina nei corridoi. Mai gli è stato
tanto gradito il rumore.
Entra nell'aula di scienze, è tra i
primi, eppure Cartman sembra essere lì già da un po'.
Lo
osserva, ha la testa china sul quaderno degli appunti (non credeva
fosse tipo da prendere seriamente appunti) e vorrebbe avvicinarsi,
anche a costo di pentirsene, pur di lasciarsi quel brutto sogno
triste alla spalle, ma rimane fermo, immobile, gelato dalle ultime
parole che Cartman gli ha rivolto: “uno stronzo è quello
che ti meriti, Kahl! Merda, soltanto che merda!”
e poi l'ha schiaffeggiato, per la seconda volta.
Come può
far finta di nulla?
Eppure questa premura lo irrita
ancor di più. E' come uno di quei fottuti cliché da fiction, perché
la realtà è sempre molto diversa da quella simulata, perché i
rapporti sono diversi tra persone e di certo lui e Cartman non si
sono mai scusati dopo una rissa, Cartman non si è mai dispiaciuto
per aver fatto lo stronzo e di conseguenza Kyle ha sempre fatto lo
stronzo anche lui, a cuor leggero.
Però la possibilità per
l'ebreo di vincere la scommessa comprometterebbe tutto, ma se proprio
doveva essere una sfida voleva fosse ad armi pari, per avere una vera
vittoria. Poteva dire a Cartman...
“Buongiorno Brof!”
Realizza solo dopo qualche secondo che qualcuno gli ha
stretto amichevolmente il collo col braccio e, questo qualcuno, è
Kenny, entrato in aula con alcune delle ragazze che frequentano
quella lezione.
“Cosa facevi in piedi impalato? C'è
qualche gnoc-” dà un'occhiata nell'aula Kenny e incontra per un
attimo lo sguardo di Cartman, che – pur non avendo nulla contro
Kenny – gli lancia un'occhiataccia per poi tornare ai suoi appunti.
Il biondo non trattiene neanche una risata. Considera Eric e
Kyle estremamente divertenti.
“Non è esattamente quello
che intendo con gnocca Brof, ma rispetto i tuoi gusti”.
Kyle
si sforza a non ricordare particolari eccitanti del suo sogno e a non
urlare contro Kenny.
Momento... ha appena ammesso
che c'era una parte eccitante nel suo sogno?
“Ho
la nausea...” si lascia sfuggire, e Kenny lo libera dalla sua
presa.
“Oh beh, non sono io quello che si ferma a
contemplare...”
“Finiscila Kenny. Piuttosto perché non
arrivi al punto? Lo so tanto che vuoi copiare i compiti” taglia
corto Kyle. Non ha voglia di litigare anche con Kenny, vuole avere
qualcuno con cui sedersi a mensa e poter parlare di frivolezze, o
problemi di famiglia, o qualsiasi altra cosa che non riguardi
Cartman.
“Tu sì che sei un caritatevole animo ebreo” fa
spudoratamente il lecchino l'altro, prendendo posto con Kyle tra i
banchi centrali mentre l'aula si riempe.
Kyle
tira fuori il quaderno, il libro e il suo astuccio e prima di gettare
a terra lo zaino, vede Stan entrare con Wendy. Il primo sguardo va a
lui, si scambiano un'occhiata che mostra un reciproco dispiacere, ma
nessuno dei due si saluta; Stan alza la mano e sorride soltanto
Kenny, ma non si avvicina e prende posto ai primi banchi insieme a
Butters, lontano da loro come da Cartman.
E' una situazione
imbarazzante e deprimente, ed è tutta colpa di quel culone... anche
se la responsabilità di quel brutto sogno la dà tutta a Stan, di
cui ripensa ancora alle parole prima che la sveglia suonasse:
“significa che la tua vita allora è proprio miserabile e
vuota”.
“Mamma mia,
che è successo? Sembra il giorno dopo un'orgia in cui si scambiano
solo sguardi imbarazzati e...”
“Finiscila Kenny. Parli
come se avessi esperienza di queste cose, quando non...”
“Mentre
tu, Stan e Cartman sì, suppongo”.
Scandisce meglio le
parole e alza il tono, vedendo qualcuno girarsi nella loro direzione
“Smettila, ho detto!”.
“Ok, ok... ma c'era qualcun
altro? Tipo... Butters? No perché solitamente mi saluta sempre,
invece oggi che sto vicino a te...”.
“Kenny, ti mando in
infermeria se non taci” mormora con tono che non ammette repliche,
e sospirando scocciato Kenny alza le mani in segno di resa e, penna
alla mano, inizia a copiare i compiti da Kyle.
Finisce appena in
tempo per l'arrivo del signor Stand - l'insegnante di biologia-,
ometto tozzo ma simpatico, che appena vede Eric offrirsi volontario
per l'interrogazione ne rimane piacevolmente sorpreso e non si
risparmia dei complimenti anticipati ed incoraggianti.
Tutti
sanno che il loro insegnante è un tipo che aiuta chi vede
volenteroso, tuttavia Cartman mostra in un quarto d'ora di aver
studiato in modo talmente impeccabile da non aver bisogno d'alcun
aiuto e la A che il
signor Stand scrive sul suo registro è assolutamente meritata, anche
se lascia tutti a bocca aperta.
Kyle si aspetta che Cartman si
volti e gli lanci un sorriso sornione che lo irriti, ma nulla di
questo accade e l'ebreo ne rimane deluso.
“Sembra che tu
perderai la scommessa amico” bisbiglia Kenny al suo fianco,
facendogli levare lo sguardo da Cartman “so tutto, l'ho sentito di
Butters e ieri Stan me l'ha scritto per messaggio” si interrompe
per non esser notato dal docente, e poi con fare vago continua: “mi
ha detto che voleva aiutare Eric, in scienze e matematica, ma lui ha
rifiutato il suo aiuto come quello di Butters per studiare. Pare si
stia davvero impegnando da solo”.
Ammette d'esser sorpreso
Kyle, Cartman è il tipo da sfruttare qualsiasi persona pur di
raggiungere un obbiettivo, è machiavellico.
“Perché l'ha
fatto?”.
“Non so, forse vuole solo mostrarti quanto sia
in gamba; sorprenderti”.
Non risponde, medita sulle parole
di Kenny.
Kyle è convinto di conoscere meglio di chiunque
Cartman, ma allo stesso tempo è consapevole che molte cose non può
comprenderle in quanto frutto di contorti ragionamenti o, se non
addirittura, privi di una base logica.
“Fossi in te Kyle,
io pregherei che non ti chieda di ciucciargli le palle se vince”
ridacchia Kenny, attento a non farsi scoprire, ripiegato su se stesso
e coperto dalle larghe spalle di Clyde, nel posto davanti a
lui.
“Ritieniti fortunato, ci sono troppi testimoni”
borbotta Kyle, aprendo il libro alla pagina richiesta dal professore
e togliendo ogni attenzione al compagno di banco e alle sue sciocche
fantasie.
Fantasie di Kenny o meno, quei pochi secondi in cui
Kyle non prende appunti, finisce per guardare nella direzione
di Cartman, incredibilmente preso dallo scrivere (appunti
probabilmente).
E' un'immagine inusuale, un comportamento che
diventa disturbante ai suoi occhi, è qualcosa che non fa parte delle
sue memorie, qualcosa che non è nella natura di Eric Cartman.
Irritazione o dispiacere? Si chiede cosa realmente provi, quale
due prevalga... e così vola l'ora, tra un ascolto passivo e sciocchi
interrogativi.
Senza rendersene conto, ha passato un'altra
ora, quel giorno, a pensare a Cartman.
*
Passano le
lezioni, passano le ore, passano sguardi d'intesa, passano i momenti
di silenzio che vorrebbero riempirsi di parole, passano le
sciocchezze provocatorie di Kenny e i suoni delle campanelle, finché
non arriva l'ultima, nell'ora più calda della giornata.
E Kyle
fino a quel momento ha meditato alle parole giuste per un approccio,
alle parole giuste per compiere la sciocchezza di cui si pentirà.
“Ehm... ciao”.
Cade di mano il libro di storia ad
Eric, perché dev'esserci qualcosa che non quadra in tutto ciò,
eppure Kyle è proprio davanti a lui, zaino in spalla, pronto anche
lui ad uscire dall'aula. Non lo guarda negli occhi, ma gli ha rivolto
la parola, la sua voce calma – un po' impastata d'imbarazzo – ha
accarezzato le sue orecchie.
Si volta indietro, non troppo sicuro
che stia parlando proprio con lui.
“Parlo con te Cartman,
sì”.
E' come fosse rinato qualcosa. Acqua che ha soccorso
un disidratato, ossigeno in un bosco in fiamme, un profumo che si
insinua nel fetore, la scossa di un defibrillatore che fa pulsare
vita.
“Oh... ehm...” balbetta, si guarda intorno, poi i
piedi, poi il suo interlocutore “è... successo qualcosa?”.
Di
norma si comporterebbe da stronzo, ma Kyle l'ha preso in contropiede
e l'ha fatto emozionare.
“Voglio che la scommessa sia ad
armi pari. Non mi piace vincere facile”.
Eric non capisce
se l'ebreo vuole la lite perché annoiato o bisognoso di sfogarsi, e
si prende qualche secondo per una risposta originale, un fortunato
svantaggio che dà modo a Kyle di aprire la tasca esterna dello zaino
e porgere alla sua nemesi un biglietto.
“Oggi c'è l'ultimo
spettacolo di Thor, se non sbaglio. Se vieni ti porto gli appunti di
matematica, il libro fa pena per come spiega la teoria e, giusto, per
rispondere alla domanda che so stai per farmi: no, non ti consegnerò
un mare di appunti falsi, non mi abbasso a trucchetti di una simile
leva, io”.
Cartman è confuso ed incredulo.
“...e
dove sarebbe la fregatura allora?”.
“Che dovrai sorbirti
Thor, anche se ti sta sul cazzo” taglia corto, ma palesando un
sorriso furbo che fa svolazzare farfalle nello stomaco di Eric.
C'è
malizia in quella curvatura di labbra, nel bagliore dello sguardo,
nel fissarlo intensamente negli occhi. Kyle forse non se ne rende
neanche conto, eppure Eric non può fare a meno di pensare che sia
dannatamente sexy e che Kyle è uno stronzo a mandare in tilt i suoi
ormoni e la sua ragione, un 'ok', in quel modo, l'ha sottratto
con l'inganno.
“Ok, posso... crederti” ma non lo guarda
negli occhi “ma perché dovresti farlo? Non credo tu voglia
lasciarmi vincere la scommessa”.
“Voglio solo sia una
scommessa che parte da una base leale”.
'Cazzate'
pensa Eric, ma si risparmia di dirlo per non rovinare
quell'occasione. “Non mi convinci Kahl, sono sicuro c'è un altro
motivo”.
Oh sì che c'è, ma Kyle – improvvisamente –
diventa un bravo attore e sospira “libero di credere quel che vuoi.
Io alle 19.00 sarò davanti al cinema con i miei appunti, se non li
vuoi peggio per te”.
E detto questo fa dietro front e indossa
il suo ushaka, facendo un altro sospiro – ma silenzioso – poiché
non credeva potesse esser così facile.
“Kahl?”.
“Sì?”
s'irrigidisce immediatamente, ma senza voltarsi. Le sue gambe hanno
fretta di uscire da quell'aula.
“A me Thor non fa così
pena... se c'è Loki”.
“Oh... bene” si volta e forza
qualcosa di simile a un sorriso, per poi liquidarsi, ignorando di
lasciarsi alle spalle un Cartman che ha appena toccato il cielo con
un dito.
*
Quando è davanti
al cinema Eric guarda l'orologio del cellulare e si rende conto di
essere in anticipo di un quarto d'ora. Patetico.
Si allontana,
deciso di perder tempo nella non lontana sala giochi, quando poi si
ferma sotto l'eco di un martellante pensiero: non è da lui arrivare
in anticipo, sì, ma non sta forse sudando e sfidando se stesso per
impressionare Kyle?
Si ferma e si mette con le spalle al muro, a
contemplare il cielo limpido. Ricorda che da bambino lo sognava,
sognava di raggiungerlo con i suoi mezzi, volare... e quando si gettò
da un tetto, convinto di poter planare con le sue ali artificiali,
l'aveva fatto sotto incoraggiamento di Kyle, che probabilmente voleva
solo vederlo morto. Pensieri del genere dovrebbero animare rabbia,
invece lui sorride: Kyle, facendo lo stronzo, non ha fatto altro che
incoraggiarlo ad essere migliore, a superarlo e – nonostante le sue
dichiarazioni d'odio – son sempre stati proprio quei comportamenti
bastardi a fargli prendere posto nella sua vita; sa che Kyle non lo
odia davvero, che è tutta colpa della sabbia nella vagina a cui sono
predisposti gli ebrei pel di carota, ma anche se l'odiasse veramente
gli andrebbe bene così, avrebbe il suo posto importante e i suoi
sentimenti non cambierebbero.
Eric non sa perché, ma la sola
presenza di Kyle nella sua vita lo diverte. E' tutto così
fottutamente noioso lì, tra la neve, e anche oltre... gli bastano
quattro parole per manipolare qualcuno a fare il suo volere, persino
chi si definisce geniale può manipolare. E' facile far leva su
emozioni e logica, è facile conoscere le persone, i loro pensieri, i
loro desideri e tutti sono maledettamente noiosi, ma non Kyle. Kyle
esula da quel triste piccolo sciocco mondo che Eric potrebbe fottere
in qualsiasi momento, nonostante la sua giovane età, ma Kyle...
probabilmente non potrà mai davvero fottere Kyle.
Stacca la
spina dei pensieri e sospira.
Kyle può essere prevedibile,
può conoscerlo meglio di se stesso, però non potrai mai
manipolarlo, quando ci prova e Kyle sembra giocare secondo i suoi
schemi, Kyle – facendo il suo gioco – vince, lo stupisce, mischia
di nuovo le carte in tavola e lo lascia insoddisfatto nella sua
dannata condizione. Eppure, nonostante ciò sia frustrante, è
maledettamente eccitante.
E sorride, anche se non c'è nulla per
cui sorridere: questi pensieri e altre ossessioni, candide e torbide,
hanno reso Kyle come ossigeno e, senza ossigeno, si muore.
Ironicamente, cinque minuti dopo, trova la ragione per avere
quel sorriso: anche Kyle è in anticipo.
L'ebreo, vestito di
jeans e una una griffata felpa gialla e l'immancabile cappello verde,
neanche lo saluta e guarda il suo orologio da 200,0 $.
Cartman
odia i soldi che sembrano uscire dal culo alla famiglia Broflovski,
dopo i Williams, sono sicuramente la famiglia più ricca di South
Park, merito di un grande successo di un paio di processi vinti due
anni prima da Gerald Broflovski che hanno reso l'avvocato più famoso
e pagato di Denver e dintorni.
“Credevo di essere io in
anticipo. Da quando in quai Cartman sei in anticipo per un
incontro?”.
“Sono solo arrivato ora” cerca di non dar
soddisfazione alla domanda di Kyle.
Come si aspettava il rosso
è stato preso in contropiede e non avendo alcun argomento decente da
tirar fuori, si accosta a un muretto dove poggia il suo zaino alla
ricerca degli appunti promessi.
Nel farlo gli dà le spalle ed
Eric ne approfitta per poggiare lo sguardo sul più bel sedere di
South Park.
Maledetta Bebe Stevens e le sue ragioni, si
concede di pensare Eric che – nella più assoluta indifferenza –
tira fuori il cellulare e, approfittando della distrazione di Kyle,
scatta una foto al fondoschiena stretto nei jeans, e la fotografia è
di qualità eccellente, grazie alla sua naturale dote di fotografo.
“Cosa stai facendo?” domanda Kyle volta voltandosi, dal
momento che l'ha sentito armeggiare col telefonino.
Ed Eric non
cambia la sua aria indifferente: “niente, fotografavo il cielo. Sto
tenendo un diario fotografico del cielo da qualche settimana”.
Chiude lo zaino e prende in mano gli appunti, un fascicolo di
fotocopie dei suoi quaderni, e torna a guardarlo.
“E a che
pro?”.
“Per le scie chimiche”.
Kyle scuote la
testa, sapendo delle manie ossessive di Cartman e delle sue credenze
a teorie del complotto, e onde evitare il nascere di una nuova
discussione – articolata da termini come stupido,
ritardato e ignorante –, cambia argomento.
Esattamente come Cartman aveva previsto.
“Queste sono le
fotocopie dei miei appunti dall'inizio dell'anno, ho pensato anche di
aggiungere qualche esercizio già svolto che ti facesse da
esempio”.
“Quanta premura” nasconde la sua reale
sorpresa, portando in tasca il cellulare e prendendo le fotocopie,
“mi fiderò dei tuoi appunti. Grazie”, nuovamente lo confonde con
la sua risposta che doveva invece punzecchiarlo su qualcosa come un
grande piano dell'ebreo allo scopo di farlo fuori, invece lo ha
anche ringraziato.
E' tutto negli schemi di Cartman per farlo
sentire una merda, è dura recitare, soprattutto ora che è solo con
Kyle, ma teme che un passo falso, possa portarlo a una reazione
esagerata ed estrema, proprio com'è nella sua natura.
Kyle sa
che quello non è il Cartman che conosce, e un po' ha timore, ma una
volta che questo pensiero risuona nella sua testa alimentando
apprensione, lo scaccia via.
“Anche se manca mezz'ora
all'inizio del film, andiamo a fare il biglietto” esordisce Eric
distraendo Kyle dalla sua coscienza, e guardando intorno coppiette e
gruppi d'amici diventar più numerosi ed irritanti con le loro
risate, le loro urla insensate e fatti personali sbandierati a chi
non frega nulla.
“Voglio prendere i posti migliori e star
lontano dai gruppi di coglioni che si ritengono fans della Marvel e
neanche sanno la formazione originaria degli Avengers”.
“Va
bene, andiamo”.
E dieci minuti dopo sono in sala, con tanto
di popcorn in mano, si stende un pesante ed imbarazzante silenzio che
mai c'è stato tra loro.
Banalità, frasi di circostanza e
nessuno dei due che usa un tono espressivo.
Nessun commento
alle stupide pubblicità sullo schermo quando lo spettacolo è in
procinto di iniziare, nessun commento ai trailers e poi il film
inizia e si prende ogni attenzione, anche se l'ansia di Kyle è
dietro l'angolo.
Kyle pensa sia divertente andare al cinema con
Cartman, quando Stan pregiudica una serie e Kenny non ha abbastanza
soldi per il biglietto (ma abbastanza orgoglio per non accettare che
Kyle glielo offra), lui e Cartman sono soliti andare da soli al
cinema e al rosso non è mai dispiaciuto questo, sono uscite che si
rivelano divertenti; è strano dirlo ma Cartman sa essere divertente
senza essere stronzo, e ancor più stranamente, è propenso a ciò
quando son soli o quando lui è depresso.
Quella sera però non
si sta rivelando divertente, gli lancia tre volte un'occhiata e lo
vede a guardare fisso lo schermo, non una parola o una risata o
un'imprecazione, non vuole però rovinarsi il film per questo non
dice nulla e al secondo tempo si mette comodo a godere di ogni minuto
dello spettacolo.
Dove inizia la recita e dove inizia la
realtà?
Se lo chiede Eric stesso. E' vero, vuole sorprendere e
confondere e far sentire di merda Kyle, ma ogni minuto che sta
passando con lui acquisisce la consapevolezza di sentirsi lui uno
schifo e che tutto ciò è totalmente sbagliato e triste, e vorrebbe
capire cosa diamine passa per la testa a Kyle.
Quando aveva
comprato quei biglietti aveva sognato quel momento, ora che il
momento era arrivato però l'unica cosa più emozionante della serata
realizza che sono i popcorn.
Quando il film finisce, sente
Kyle blaterare il suo commento a caldo del film, ma non lo ascolta,
impegnato piuttosto a fare i conti col suo malumore, che è simile
alla nausea, ma che non lo porterà a vomitare; piuttosto percepisce
– proprio nella sua carne – un vuoto.
Ed uscendo con Kyle dal
cinema si convince che quel vuoto è un buco nero che lo risucchierà
e porrà fine alla sua esistenza.
“E a te è piaciuto
Cartman?”.
Non ha capito cosa gli ha chiesto, e lo guarda
confuso, strabuzzando gli occhi, caduto dalle nuvole, ma forse anche
salvato dal suo buco nero.
“Che diamine hai? E' tutta la
sera che sei strano”.
No, Kyle non l'ha salvato proprio da
nulla.
“A me lo chiedi?” bisbiglia velenoso, pronto a
degenerare l'uscita pur di non sentire quel vuoto.
“Certo
che lo chiedo a te, chi altri ti sembra che...”
“Tu!”
gli urla contro Cartman puntandogli il dito ed ammutolendo Kyle, che
non si aspettava una reazione così violenta e che viene solleticato
dall'inquietudine nel vedere fuoco negli occhi dell'altro.
“Dillo
che ti sei pentito della condizione alla tua scommessa, dillo porca
puttana!”.
Kyle non lo ammetterebbe neanche sotto tortura a
se stesso, figurarsi a un Cartman che gli urla contro!
Kyle non
può ammetterlo, per tutta la vita è stato artigliato alla
convinzione che ogni suo problema ed ogni sua infelicità erano
dipesi dall'esistenza di Cartman, proprio come quando aveva avuto
quelle brutte emorroidi che stavano per ucciderlo. Una volta che
erano passate si era convinto che l'infelicità di Cartman fosse la
sua felicità, quindi non aveva motivo di non desiderarlo lontano
dalla sua vita.
“Perché mai dovrei?” gli risparmia
giusto un ti odio.
“Allora perché diamine mi hai
dato quei cazzo di appunti? Per quale profeta ebreo ti è passato per
la testa di invitarmi al cinema? Cos'è? Una specie di festicciola
d'addio o sei diventato ipocrita come Stan?”.
Kyle arretra
perché non ha una risposta. Cartman ha le sue ragione nella violenza
con cui gli si rivolge, non può negarglielo, ma... anch'io ho le
mie ragioni, afferma per difendersi da se stesso.
“Te
l'ho detto, non volevo fosse una sfida impari” e suona poco
convincente persino per se stesso.
“Mi vuoi fuori dalla tua
vita e mi aiuti? Ma che cazzo ti passa per la testa!”.
“Al
tuo contrario ci tengo a vincere lealmente!”.
“Balle
ebreo, questa è la più grande cazzata che hai detto in tutta la tua
vita, peggiore a non posso diventare un pirata perché sono ebreo”
allude a quelle parole, riportando a Kyle il tentativo di sbarazzarsi
di lui definitivamente facendolo andare in Somalia dai veri
pirati.
“Non tirar fuori storie di quando eravamo bambini,
cielo!”.
“Eri meno infantile di ora però”.
“Oh,
ma sentilo. Ricordami, quand'è stata l'ultima volta che ti sei
comportato da persona matura? Ah già, non può esserci un'ultima
volta senza una prima” lo provoca, assottigliando lo sguardo,
caricando di veleno le sue parole.
Vuole vederlo scoppiare a
piangere, o steso a terra, come nei suoi sogni, dove può
strangolarlo e farlo sparire.
Eric lo scruta per qualche
secondo, silenzioso, mandando giù l'incazzatura che però non può
estinguersi in quel momento.
Kyle non sta ragionando, sta solo
colpendo a vuoto nella speranza di ferirlo abbastanza.
Fa
scivolare da una spalla il suo zaino, lo apre frenetico e con sprezzo
gli lancia contro il fascicolo di fotocopie.
“Hai stampato più
di un centinaio di pagine per poter vincere tu, vero? L'hai fatto
proprio perché la nostra sfida potesse essere leale? Ma certo!”
E prima che Kyle con qualche insulto e qualche ulteriore
scusa assurda gli possa sfuggire, Eric lo afferra per il polso –
forse più forte di quanto avrebbe voluto – e avvicinandolo
pretende: “ammettilo. Ammetti di esserti pentito!”.
“Cartman,
lasciami, mi fai male!” è un coniglio stretto tra le spire di un
serpente che lo osserva bramoso con i suoi freddi occhi d'ambra, e la
cosa che più lo fa incazzare, che più lo fa dimenare, non è la
stretta, ma l'essere consapevole che il suo è il ruolo del coniglio.
“Ora sei diventato una checca piagnucolona Kyle? Dimmi la
verità!”.
E' vicino il suo volto e il poter osservare
quegli occhi di un verde inusuale che ricordano i boschi o i fondi di
bottiglia, il romantico e il dozzinale, lo emoziona, calma il suo
tono, ma non il martellare del suo petto.
Cartman incassa
l'isterismo di Kyle, non può nulla con la sua testarda voglia di
nascondersi, e pensa che quello è il terreno dove mettono le radici
della consapevolezza che triste è il destino dell'uomo.
“Tu...
hai paura”.
E Kyle diventa di ghiaccio come le cime delle
Montagne Rocciose, pallido com'è la neve sotto suoi piedi ed ovunque
intorno a loro, e fa silenzio, il supremo signore delle
montagne.
“Hai paura di me, oppure paura di...” muore
nella gola di Eric il resto. Lascia Kyle, e si allontana di qualche
passo, sistemandosi lo zaino in spalla, ma senza chiudere la zip.
“Lascia perdere. Preferisco non saperlo...”.
Alla fine
però è riuscito nel suo intento: far sentire Kyle di merda. Non può
saperlo Eric, ma sotto la nuvola di ricci si agitano pensieri di
varia natura ed il petto gli fa male.
Kyle ha sempre saputo che
Cartman ha una brillante intelligenza, ha sempre saputo che è un
tipo perspicace, che capisce bene le persone pur essendo privo di
empatia, e – proprio per questo – si sente ora umiliato nell'aver
mostrato quello che ha cercato di nascondere con tutte le sue forze.
Che Cartman gli volti spalle indignato e vada via è del tutto
giustificabile.
“Una cosa Kyle, e ricordalo...” si volta
un ultima volta verso il rosso, guardandolo dritto negli occhi e
mostrando la luminosità della sua determinazione: “...io non
perderò questa scommessa per niente al mondo, te lo giuro sulle mie
sacre palle”.
E quando si volta e si avvia verso casa, promette
a se stesso che studierà quanto basta a far sanguinare gli occhi se
necessario.
Kyle sorride un po' invece stringendo a se le
fotocopie che gli ha gettato con sprezzo; gli sembra che quella di
Cartman sia una promessa fatta proprio per salvarlo dalla sua stessa
stupidità, e nella notte, forse, sotto qualche stella cadente che
non nota, sussurra “...grazie”.
*
Giugno arriva,
sciogliendo ogni traccia di neve e facendo indossare a South Park un
abito di un brillante verde, particolareggiato dalla vivacità dei
colori dei fiori.
E il sole splende richiamando un caldo a cui
nessuno è abituato, ma di cui nessuno si lamenta, contenti di poter
indossare leggere magliette, gonne senza calze e sandali, che ogni
abitante mostra con vanto ricordando d'amare l'estate. Anche gli
adolescenti, nel loro giorno dei test finali, si preoccupano più di
essere in linea con le tendenze dell'estate che di non aver studiato
abbastanza. Tutti, eccezion fatta per tre persone, nella scuola media
di South Park: Kyle Broflovski e Wendy Testraburger, che si
contendono il primo posto come miglior studente che lascerà le
scuole medie, ed Eric Cartman per l'infame scommessa.
Prendere
ben sei dannatissime e sudatissime A, è stata l'impresa più
ardua della vita di Cartman, dal momento che è partito con il
vantaggio di una sola eccellenza. Guadagnarle in inglese e spagnolo
non è stata una sfida particolarmente difficile, ma le ore e il
sudore per ottenerle in Scienze Naturali, Arte e Geografia, non
l'avrebbe mai e poi mai dimenticato e ancor peggiore è stato
salvarsi dall'insufficienza di matematica è stata un'impresa
titanica e, davanti al foglio con le domande, c'è l'invito a
replicare le sue fatiche erculee.
Tre ore di test volano,
col sottofondo dei canti dei passeri e il sole che illumina
maestosamente le aule.
Ed Eric Cartman alla fine di quelle ore ha
le occhiaie, gli occhi rossi, i capelli in disordine e il costante ed
ansioso pensiero: ce l'avrò fatta?
Non ha più parlato
con Kyle, ha rivolto qualche volta la parola a Stan e a Butters, ma
l'unico che gli è stato vicino davvero è stato Kenny, il quale gli
ha donato graditi silenzi e la consapevolezza che come lui Eric non
ha mai preso – pur impegnandosi – un voto superiore al 70.
Eppure, nonostante tutto, Kenny è l'unico che gli ha detto che
ce l'avrebbe fatta senza ombra di dubbio.
“Allora, com'è
andata?” osa il biondo una volta che sono fuori dall'istituto, nel
momento in cui Eric ha smesso di parlare da solo riguardo a cose
incomprensibili alle orecchie dell'altro.
“...ho risposto a
tutto, quindi dovrebbe esser andata bene, no?”.
“E lo
chiedi a me?” lo deride Kenny che studia il suo volto “sembra che
cerchi di convincere te stesso chiedendomelo. E con quella faccia da
zombie incuti più timore che altro, tra poco le palle dei tuoi occhi
rotoleranno via...”.
“Era il mio obbiettivo studiare fino
a far sanguinare dagli occhi, quindi non sarebbe un problema”.
“Vuoi un applauso?”.
“...Kenny, l'impegno paga,
vero?” più che una richiesta quella di Eric sembra una supplica
per mettergli il cuore in pace, farlo rilassare e poter aspettare per
qualche giorno in attesa dei risultati.
Ma Kenny è un tipo
odiosamente onesto.
“Questo è quello che dicono a un
idiota qualunque per fargli credere che potrà essere quello che
vuole nella vita e che gli permetterà di auto-compiacersi della
puzza delle sue scorregge”.
E lo sa Eric. Ma vorrebbe
illudersi, per questo alza il dito medio al suo presunto migliore
amico.
“Ti odio Kenny. Fottiti. Me ne vado a casa... ad
ibernarmi”.
*
Il giorno
dell'esposizione dei quadri è un giorno importante, per tutti, ma
particolarmente quando ti chiami Kyle Broflovski e sai che il tuo
valore di figlio è scritto in numeri sulla classifica dei punteggi
dei test.
Sheila e Gerald vogliono bene al loro ragazzo, contano
molto su di lui ed in lui hanno riposto il loro orgoglio.
Da
quando ha terminato le elementari Sheila è più liberale nei suoi
confronti e meno invasiva nella sua vita, mentre Gerald pensa al
benessere economico di tutti e ha investito molto denaro perché un
giorno possa frequentare il miglior college, ma tali privilegi devono
essere ripagati nel miglior dei modi e Kyle l'ha capito quando al
secondo anno di scuola media aveva preso due B e un punteggio
di 90 a un test: non era quello il risultato atteso, non era
abbastanza, era un voto distinto, ma non l'eccellenza e Kyle era in
dovere di collezionare A, collezionare complimenti dai docenti
ed essere il primo, studiando sodo, sempre, senza trascurare mai
niente.
Ora ha concluso le scuole medie, l'attendono le
superiori, la scuola di simulazione della vita, e Sheila la sera
prima ha dichiarato le sue speranze ed attese, che Kyle si augura
siano concretizzate.
Si è alzato presto e di buon ora è uscita,
e nel percorso per raggiungere la scuola è stato a lungo al telefono
con Stan che era quasi arrivato a sua differenza, e a lui ha
confidando le sue ansie, ma adesso nota che i suoi ricci gli
ricadono sulla fronte imperlati di sudore, i jeans sono troppo
pesanti e la camicia a maniche corte vorrebbe sbottonarla; copre gli
occhi con una mano e guarda il cielo di un azzurro pittoresco e nota
che il sole è bello che alto, tutto ciò è indice di quanto abbia
perso tempo camminando, allungando il percorso, temporeggiando su un
risultato che gli mette ansia e che... non è il suo.
E'
abbastanza convinto di aver fatto un lavoro non ottimo, ma
eccellente, anche se non vuole cantar vittoria ed esser troppo sereno
su questo, però... è il risultato di Cartman che gli mette ansia.
Ed è abbastanza convinto che, vinca o perda la scommessa, non avrà
nulla di cui gioire.
Si sente stupido.
'Spero, in ogni
caso, non faccia troppo male'.
E a quel pensiero segue la
vocina della sua coscienza, che tanto gli sembra maligna per il modo
in cui lo imbarazza: lo pensi perché gli vuoi bene dice, e
non una volta. Kyle scuote la testa però e si concentra sui suoi
passi, su quello che lascia indietro senza curarsene, siano ombre o
nulla, e portando attenzione ad ogni attuale passo, prospettive
future non sembrano tanto terrificanti anche se ignote.
E'
vicino all'istituto una decina di minuti dopo. Ci sono gruppi di
ragazzi sorridenti, qualcuno incazzato che calcia l'erba ed urla
all'amico, gruppi di ragazze che con toni squillanti che parlano
delle vacanze che le attendono; poi ci sono le coppiette vomitevoli e
quelli che semplicemente si allontanano con il volto segnato dalla
preoccupazione, forse perché rimandati o perché hanno collezionato
troppe insufficienze?
Eppure quella cupa espressione potrebbe
essere sul volto di Kyle se scoprirà di aver ottenuto un punteggio
poco inferiore a 100, o forse... potrà avere quell'espressione seria
anche con un 100.
Fa un cenno di
saluto a chi conosce, evita con imbarazzo occhiate di ragazze, e
scruta tra i volti, tanti di essi seri, e poi, sorpassato il
cancello, sorpresa: un volto serio ha gli occhi puntati su di lui.
Deglutisce e poi acquisisce un passo spavaldo nonostante gli occhi
fissino terra e su di essa vorrebbero rotolar via.
Eric Cartman,
con innaturale compostezza è lì, ed è proprio lui ad avere il
volto più serio di tutti.
“...ciao”.
Cartman non
risponde, ma saluta con un cenno.
Si scambiano lentamente
un'occhiata, poi lo sguardo di Kyle finisce sulle sue scarpe, mentre
quello di Eric si perde nell'erba fuori dai cancelli.
Solo quando
si sentono troppo stupidi per essere in reciproco imbarazzo tornano a
guardarsi a testa alta.
“Ho visto i quadri” esordisce
Cartman, spezzando il silenzio, ma non la tensione.
A Kyle
brucia lo stomaco.
“Sei arrivato primo totalizzando il
massimo. Suppongo dovrei complimentarmi...”
E come
sospettava Kyle, sapere di essere primo non lo fa star meglio. “E
tu?”.
Vede distintamente Eric mordersi le labbra e fare
un'espressione strana. Alza gli occhi al cielo e scrolla le spalle,
portando nelle tasche le mani.
'Non può essere, lui ha
promesso che avrebbe...'
Conosce
Eric Cartman meglio di chiunque altro e sa che quando fa una promessa
la mantiene. Cartman non può...
“Hai vinto
Kyle”.
Non riesce a gioire.
Non riesce a sorride.
Non
riesce a dire nulla.
Non c'è nulla che ha il sapore della
vittoria.
Ha perso vincendo, ha creato la disfatta con le sue
stesse mani.
Sente chiaramente che entrambi son vinti dalla loro
stupidità, ma più pesante è la stupidità che sente sulle spalle
Kyle, che potrebbe ritirare, basta togliere l'orgoglio di mezzo, ma
esso è cera che aderisce alla sua pelle, perfetta nell'apparenza e
dolorosa nella realtà.
Sente distintamente l'ingloriosa
vittoria, peggiore della sconfitta, una delusione che non ammette
rabbia e rimpianto, è un boccone avvelenato da mandar giù e –
Cartman ne godrebbe se sapesse – ma probabilmente è come aver
sabbia nella vagina.
E poi, oltre l'irritazione, oltre la rabbia,
la delusione e tutte quelle altre violente emozioni che non può
liberare; c'è altro lì, le ossa della verità, quello che sa
rimarrà pian piano che dei brandelli del suo dolore, che cadranno
nelle fauci di se stesso: miseria e nulla.
“Beh...
nessun gnegne ho vinto Cartman e tu hai perso?”
“Non...
non ne vale la pena”.
“Dovrebbe però, visto che non
rovinerò la tua splendida vita da studente delle superiori”.
Non
c'è rimprovero però nella voce di Cartman. Kyle lo guarda, vorrebbe
dir altro, ma cos'altro c'è da dire? Che si sente esattamente come
dopo una sega?
Non ne valeva la pena, non c'era nessun vincitore,
ma non avrebbe ritirato nulla, perché era la sua occasione, la cosa
giusta da fare per sradicare la sua parte insana che pensava
eccessivamente troppo ad Eric Cartman, un Eric Cartman che aveva
visto urlare e fare il folle innumerevoli volte e che ora sorrideva
beffardo, mascherando probabilmente quanto male provava, ma che
voleva nasconderlo per farlo sentire in colpa. E in colpa si sentiva,
sì, ma mai l'avrebbe ammesso.
“Sono sicuro che, se ti
comporterai da persona civile, anche tu l'avrai”.
“Civile?”
domanda beffardo Eric, portandosi una mano tra i capelli,
scompigliandoli.
“Non esiste nulla di più schifoso ed
innaturale della civiltà”.
Anche Kyle fa una risata
nervosa, irritata. Cosa deve aspettarsi da lui?
“Non
mi aspettavo risposta diversa da te”.
“Non mi aspettavo
reazione diversa da te”.
Gli occhi di Kyle sono di un verde
più scuro, palesano il fastidio delle parole di Cartman, quanto
quello per il suo sguardo diretto, che lo sfidano a smentirlo.
“Cosa
credi sia la civiltà che ami tanto Kahl? E' assassina della natura
umana, è un cumulo di merda artificialmente profumata e colorata, ma
tutti, per un presunto bene superiore, la invocano e fingono di
professare la sua legge, sopprimendo i loro istinti...” un passo
verso Kyle “... i loro desideri...” un altro passo “...la loro
volontà...” e Kyle indietreggia “...i loro sentimenti...” un
altro passo in avanti di Cartman ed uno indietro per Kyle “...la
libertà”, si ferma. Silenzio.
“Anche se ti fa incazzare, io
preferisco l'inciviltà che lascia trasparire il mio mondo e quello
che provo”.
“Tu hai solo odio e disprezzo per tutto,
Cartman” vorrebbe essere una difesa, quella.
“Ho odio e
disgusto per quasi ogni cazzo di cosa che c'è al mondo, è vero” e
si fa serio, una serietà che acquisisce una luce dorata nel suo
sguardo.
“Ma c'è un sentimento in me che è più grande,
devastante e condizionante in ogni fottuta giornata. E non è odio,
l'odio che provo per ogni maledetto respiro del genere umano è
insignificante, a confronto”.
Kyle non comprende, Eric lo
sa.
“Stai cercando di impressionarmi per lasciarmi un buon
ricordo di te?”.
E Cartman lo
osserva per una generosa quantità di secondi, poi sbuffa divertito
scuotendo la testa:
“era proprio questo che intendevo dicendo
che triste è il destino dell'uomo” ora lo ricorda, e lo ricorda
anche Kyle, che trema appena fuori, mentre dentro di lui vi è un
terremoto che lascia solo tanta ma tanta paura, e il silenzio.
“Beh,
ci vediamo in giro ebreo” e abbassa la testa, camminando lontano da
lui, ma non velocemente, non scappa, si allontana ciondolando; è una
figura compassionevole, che Kyle vorrebbe fermare, ma che in nome
della civiltà lascia andare, con rimpianto, ma sicuro che un giorno
lui stesso capirà d'aver fatto la cosa giusta.
Forse,
diplomati, si rincontreranno, e sapranno avere una conversazione
decente degustando una decente cioccolata calda, che per la prima
volta bollirà più dei loro spiriti, e dolce e gradevole sarà il
suo sapore, come quello che avranno nelle loro bocche nel parlare di
se, e di quello che è stato il passato e, ancor più, di quello che
è il loro presente.
Kyle lo desidera, lo spera, perché se
quella soluzione masochista è il prezzo da pagare per la sanità dei
loro animi, lui vuole pagarlo, e accetterà il ruolo del cattivo, ma
vuole un futuro in cui si realizzino le sue speranze, speranze per
una vita sana anche se triste.
Entra camminando distratto per
i corridoi, finché un agitato Stan non gli va incontro.
E'
felice di esser tornato a parlare con lui una settimana fa, gli
mancava poter parlare col suo migliore amico, i silenzi lo facevano
piangere, ma ora... nonostante è felice Stan sia lì, ora... non ha
alcuna voglia di contatto umano, di parlare, perché c'è un vuoto
che fa male in lui.
“Kyle, hai saputo di Cartman?”.
“Sì,
l'ho incontrato poco fa” il tono è monocorde.
“Mi... mi
spiace”.
Non gli va di parlare, ma si concede parole sincere
finalmente: “me l'avevi detto che me ne sarei pentito, quindi non
dire che ti dispiace. Sapevamo cosa stavamo facendo”.
Stan
rimane in silenzio per un po', guardando intorno, nei corridoi in cui
gli studenti si disperdono per raggiungere l'uscita.
“Ho
capito le tue condizioni della scommessa, avevi le tue ragioni. E in
fondo sappiamo che è uno stronzo”
“E' uno stronzo”
conviene Kyle, senza un sorriso “ma avevi ragione in fondo. Gli
voglio bene in qualche strano e malato modo”.
Stan sbarra
gli occhi, cade in uno strano imbarazzo che lo fa balbettare sillabe
a caso, prima di formulare una frase con senso compiuto:
“ricordatelo, quando da domani imprecherai il tuo odio per lui,
fino alla fine delle superiori”.
Kyle guarda confuso
l'amico: “cosa?”.
“Beh Cartman cercherà di umiliarti in
ogni modo e tu rimpiangerai d'aver scommesso con lui”.
Kyle
sbatte gli occhi più volte, come se quella fosse un'illusione. “Che
stai dicendo Stan?”.
“Sto dicendo che da domani, fino a
che non ti diplomerai, maledirai Cartman ogni fottuto giorno, come
hai sempre fatto dalle elementari”.
“Ma Cartman non verrà
nella nostra scuola, era quella la condizione”.
“Ma
Cartman ha vinto, quindi ti umilierà con le sue condizioni e farà
lo stronzo come ha sempre fatto”.
“Cosa?”.
Caduta
libera dalle nuvole al terreno roccioso. Si ripete, stridulo ed
esilarante: “cosa?!”.
E prima che Stan apra la bocca per
rispondere, c'è polvere davanti a lui, come in un cartone animato,
polvere è quello che rimane della presenza di Kyle che, scontrandosi
anche con qualche amico, raggiunge, facendo a gomitate, la bacheca
davanti alla Presidenza che mostra i migliori cinquanta studenti
dell'istituto con i loro punteggi.
Kyle è al primo posto, con i
suoi cento centesimi, ma non è quello che guarda, ignora se stesso,
il suo prestigio, gli sguardi ammirati ed invidiosi di chi gli è
intorno e che sanno di non poter competere con la sua bravura.
L'attenzione di Kyle va a diciannove posizioni sotto la sua,
lì dove è espresso il punteggio totale – senza trucco né inganno
– di Eric Theodore Cartman: ottantaquattro.
“Quel...
quel figlio di pu-” il cellulare gli vibra nella tasca e lo prende,
d'istinto, non convinto nel leggere il nuovo messaggio, ma quando
vede il suo destinatario, preme OK e avido legge il
contenuto:
'Gnegnegne. Io ho vinto e tu hai perso,
gnegnegne. E nella remota eventualità in cui avessi vinto ebreo, mi
hai mostrato che ti saresti comportato da fighetta perdente. Sei
proprio uno spasso! Preparati, il vero divertimento inizia da domani:
ore 7.00 a casa mia. Sii puntuale e non tentare di fuggire a San
Francisco o in Israele'.
...Kyle aveva mai detto al mondo
quanto odiasse Eric Cartman?
Il nulla e la miseria non erano
il massimo, ma sarebbero state ottime compagne rispetto alla caotica
esistenza di colui che ha sempre riempito la sua vita di incubi.
Un
incubo su cui, oltretutto, si fa le seghe.
“...che schifo”.
Perché, davvero triste, sa essere la natura umana.
Empty and hollow: il titolo è preso dalle parole di Stan dette a Cartman nell'episodio 10x2 Smug Alert ("without Kyle your life is empty and hollow"),
che in inglese indicano la stessa cosa, il vuoto, il nulla, ma insieme
rinforzano il significato. In italiano è stato tradotto, in "vuota e noiosa", ma più corretto ritengo sia dire "miserabile e vuota", in quanto più denso di significato è il concetto.
Panta rei: Pánta
rhêi hōs potamós (in greco πάντα
ῥεῖ ὡς ποταμός),
tradotto in tutto scorre come un fiume, è il celebre aforisma
attribuito a Eraclito, ma in realtà mai esplicitamente formulato
in ciò che dei suoi scritti conosciamo, con cui la tradizione
filosofica successiva ha voluto identificare sinteticamente il pensiero
di Eraclito con il tema del divenire, in contrapposizione con la
filosofia dell'Essere propria di Parmenide. (Direttamente da Wikipedia la miglior spiegazione sintetica).
Confida i suoi
dubbi amletici a una barretta energetica, che brama, che vorrebbe nel
suo stomaco, ma con la quale preferisce parlare: l'idea l'ho presa da Business of my (House)band
della mia amica LadyKokatorimon. Eric che parla col cibo, facendo
così terapia, la trovo davvero geniale e perfetta per lui.
Ormai i feti abortiti non valgono più così tanto, visto che la ricerca sulle staminali non è permessa: riferimento esplicito a quanto accade nell'episodo 5x13 Kenny Dies.
Alla fine di quell'episodio però la ricerca delle staminali
è permessa, ma secondo l'attuale legge vigente negli U.S.A. non
è possibile invece. Non so se la legge in questione è
cambiara nel tempo o soltanto nell'universo di South Park fu approvata,
ma ho voluto portare le cose sul piano dell'attuale realtà.
Lola Brown: il personaggio di Lola (che ricordo essere lei)
non ha un cognome, per tanto ho dovuto inventare e che - molto
originalmente - ho preso dal colore dei capelli. Sapete, i cognomi
comuni non sono così brutti dopotutto.
True Blood: famoso telefilm
della HBO, che narra le avventure paranormali, sentimentali e sessuali
di Sookie Stackhouse e della cittadina di Bon Temps, in un'America
futura dove i vampiri, ed altri esseri sovrannaturali, si sono rivelati
agli umani grazie all'invenzione del sangue artificiale chiamato True
Blood (da qui il titolo del telefilm appunto), e ciò porta il
mondo ad essere diviso tra fiducia e sfiducia verso la razza non umana,
che dichiara invece di desiderare una pacifica convivenza con gli umani
e non essere discriminata... o questo almeno è quello che viene
detto. La storia ruota intorno alla misteriosa e sfortunata Sookie che
si ritrova innamorata di un vampiro dai modi gentili, Bill Compton, con
cui vorrebbe vivere una tranquilla storia d'amore, ma la sfortuna e i
guai sono dalla sua parte, visto che da quel momento omicidi e fenomeni
inquietanti iniziano a sconvolgere la sua vita, creature non umane
iniziano a rivelarsi a lei, che ha tutto meno della comune essere umana
e per questo entra nell'interesse anche dell'affascinante quanto
crudele Eric Northman, vampiro secolare e sceriffo della zona (e quindi
tenuto a tenere l'ordine e a far sì che i vampiri regolino
dritto) che acquisisce importanza nel corso delle stagioni. Il telefilm
è liberamente ispirato alla saga scritta da Charlaine Harris Il ciclo di Sookie Stachouse (The Southern Vampire Mysteries, in originale) che inizia nel 2001 con Dead until dark ( in Italia ribattezzato Finché non cala il buio) e che ha concluso quest'anno con Dead Ever After (Morti per sempre).
Non ho citato la saga per caso, importante in essa è il
triangolo sentimentale tra Bill/Sookie/Eric, i quali, come
personalità, ricordano fin troppo i nostri cari Kyle (Sookie),
Eric (l'altro Eric) e Stan (Bill), e tutto ciò è molto
divertente.
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Capitolo 5 *** When you walk my way, hope it gives you hell. ***
Salve! Grazie per aver pazientato e per aver chiesto anche di frequente notizie riguardo l’aggiornamento, mi rende felice saperlo perché significa che questa storia vi sta appassionando e, mi auguro, di non deludervi mai.
Posso dire trionfante che sono Dottoressa in storia moderna e contemporanea ora, però c’è bisogno di lavoro ed ho in progetto un lavoro impegnativo di scrittura, quindi gli aggiornamenti potrebbero essere lenti, ma non temete: ci tengo troppo a questa storia per poterla abbandonare.
Il capitolo doveva comprendere tutte le penitenze che Eric deve far scontare a Kyle per aver perso la scommessa, invece mi sono lasciata trasportare da loro ed ho ampliato il capitolo, dando anche spazio agli altri personaggi, poiché tutti hanno comunque un ruolo importante nelle vite di Eric e Kyle, oltre al fatto che ho desiderio di animare la storia con i personaggi secondari.
Ringrazio tutti i lettori di questa storia, anche quelli silenziosi che mi auguro vincano la timidezza e lascino scritto quello che pensano, critiche in particolare; ringrazio però particolarmente coloro che dedicano anche solo un minuto del loro tempo per recensire, solitamente rispondo in privato a tutte le recensioni, ma ciò porta a dimenticarmi talvolta se ho effettivamente risposto, dunque ho deciso che - togliendo le eccezioni di persone che sento frequentemente - in linea generale risponderò ai commenti nell’apposito spazio delle recensioni, quindi se avete domande o richieste particolari (come la comparsa di determinati personaggi), vi invito a farlo.
Fatta l’introduzione, rassicuro i lettori che - nonostante le molteplici citazioni a show televisivi - non vi sono spoiler su alcuna serie citata, quindi potete leggere tranquillamente tutto.
Mi auguro sarà una piacevole lettura per tutti.
When you walk my way, hope it gives you hell.
“Sto per avere un orgasmo…” sospira Eric sdraiandosi e beandosi di quell’insolito calore.
“Dai Kahl, puoi fare di meglio!” incita con entusiasmo.
Kyle maledice mentalmente Cartman e se stesso. Avrebbe dovuto imparare anni prima che non era in grado di vincere una scommessa contro Eric Cartman.
China il capo nascondendo un visibile imbarazzo, nascondendo l’umiliazione della sua posizione, ignorando la maledetta voce di Cartman e rendendosi conto che, assurdamente, ciò che gli procura più disagio è non avere il suo ushanka.
Vorrebbe urlare, vorrebbe piangere, entrambe le cose insieme; spera di svegliarsi e tirare un sospiro nella consapevolezza che è tutto un brutto sogno; ma non è così, sobbalza quando sente bagnata la gamba e Cartman che ride di lui. Avrebbe dovuto direzionare il getto verso quell’idiota o metterglielo in bocca e strozzarlo.
All’ennesima grassa risata di quel pallone gonfiato non si contiene e si esprime nel modo più volgare: “taci, o prometto che te lo faccio andare su per il culo!”.
Scarso il risultato, in quanto Cartman è ancor più divertito.
“Kahl… so che ci godresti da morire ma, per favore, trattieniti: così il tuo spirito kosher va totalmente a farsi fottere”.
Kyle digrigna i denti, come un canide sulla difensiva. Non ha mai fatto cose del genere e l’essere guardato - guardato da Cartman - lo mette ancor più in soggezione.
Cartman, dal canto suo, non riesce a togliersi quel sorriso idiota, stimolato dal divertimento che Kyle gli suscita, dalla sua inaspettata goffaggine, ma decide d’intervenire perché non vuole si faccia notte nell’attesa.
“Devi far pressione qui, sulla punta. E davanti al buco basta un dito per regolare il getto”.
Quel tono saccente urta quanto imbarazza ulteriormente Kyle.
Vorrebbe usare quel tubo per strangolarlo, così da evitar lui l’imbarazzante compito di fargli da giardiniere - non retribuito - solo per tener fede ai termini della loro scommessa.
“Visto che sei tanto bravo, perché non te lo innaffi da solo il tuo giardino?”.
“Perché non sono io ad aver perso la scommessa Kahl” gli ricorda facendo vibrare melodiosamente le corde vocali, come un malvagio usignolo che cinguetta con delizia un comandamento divino: devi soffrire.
Kyle prende quel tubo senza aggiunger altro, lasciando la furia sotto la sua pelle a dolergli i nervi.
Bamboline voodoo raffiguranti Cartman: questo poteva diventare un nuovo hobby per passare in modo sano e gioioso l’estate, poiché non c’era nulla di sano nei patti di quel contratto e i termini sarebbero stati sempre più difficili da rispettare, se lo sentiva.
Quasi come l’avesse ascoltato, per non deluderlo, la legge di Murphy rispose all’appello della negatività di Kyle facendogli direzionare il getto dal verso sbagliato nel seguire i consigli di Cartman. Il getto dell’acqua gli colpisce il volto e nell’inutile tentativo di proteggersi Kyle molla la presa del tubo che - come un serpente impazzito - schizza via, a destra e a sinistra, finendo per bagnare totalmente Kyle che, tentando d’avvicinarsi per riprendere il controllo del tubo, inciampa su esso e cade a terra, di sedere, facendosi male, liberando imprecazioni e suscitando un’isterica ilarità in Eric.
“Oh mio Dio Kahl, sei uno spasso!” riesce a dire dopo una dozzina di secondi di riso, “se avessi saputo che questo era il risultato, ti avrei chiamato prima a farmi da giardiniere. Sono esausto da quanto ho riso, credo mi concederò un po’ di meritato riposo con una fresca limonata e l’ultimo numero di Game Informer[1]” e muove il braccio teatralmente in saluto, lasciando Kyle a domare il tubo e ad inveire contro di lui, uno spettacolo che Eric decide di godersi dalla sua sdraia. Il suo aspetto parla chiaro, è in vacanza: occhiali da sole, camicia hawaiana, bermuda in tinta e - per far ancor più scena - una fresca limonata con un ombrellino rosso sul tavolino in legno che dal salotto ha spostato in giardino.
Si mette comodo, molto comodo, e pensa tra se e se che vedere Kyle Broflovski non saper fare una cosa tanto semplice come annaffiare dei fiori potrebbe davvero procurargli un orgasmo. Kyle sa fare questo e quello, lo ricorda sempre, lo dice in giro Sheila Broflovski, con orgoglio, ma in realtà - quando si tratta di cose pratiche - sembra proprio che Kyle non sia così fenomenale.
Sghignazza ancora per poi tornare serio al pensiero che un giorno, quando saranno grandi, Eric vuole una casa grande quanto - no, di più - quella di Token, che avrà un rigoglioso giardino, e non ci pensa proprio ad occuparsi lui di esso, quindi Kyle dovrà imparare e se sapesse che lo fa per il loro bene gliene sarebbe grato invece di star lì ad imprecare. Si sente stupido però e riconsidera l’idea: se avranno una casa più grande di quella di Token avranno una schiera di domestici! Dovrà guadagnare abbastanza per stipendiare tutte quelle persone e accontentare quel lamentoso ebreo, perché - ne è sicuro - quella sabbia nella vagina sarà permanente.
Le fantasie di Eric però si interrompono lì dove, nella realtà, Kyle si leva la t-shirt. Non c’è niente di malizioso nel gesto, nulla di provocante, Kyle è semplicemente fradicio e si è liberato dell’indumento bagnato, ma per Eric diventa un evento che vorrebbe filmare; la pelle di Kyle è così chiara... non sarebbe sexy per nessuno, ma per Eric lo è, Eric che conosce bene il candore dello spirito di Kyle, un candore che vi è anche sotto i vestiti, lì dove cela una schiena perfetta, un ventre piatto, dove non ci sono addominali scolpiti da ragazzo copertina, ma un corpo esile, ma perfetto, privo di segni di allenamento, di muscoli in evidenza, è una bellezza etera e non sensuale, è il corpo di un bambino cresciuto che - per qualche strana ragione - lo rapisce.
Abbassa leggermente gli occhiali Eric, finge di leggere la rivista di videogames ed alza le ginocchia; simula di non essere interessato a quello che fa Kyle, di non vederlo, ma non ha occhi che per lui - come sempre - anche se Kyle non lo nota - come sempre - e lui non può far altro che sospirare - come sempre.
Ha un magone allo stomaco, ma non è la fame, è l’angoscia. I sogni della sua vita futura bruciano davanti quella realtà, a quel corpo che desidera, che vorrebbe abbracciare, che vorrebbe suo, ma non è.
Se usufruisse ancora del servizio InSecurity della Wolf Home Security[2] in quel momento suonerebbe l’allarme e si ritroverebbe a rispondere ad una chiamata d’assistenza a cui non saprebbe come spiegare che è tutto ok, che è un falso allarme, perché non va per nulla bene finché Kyle è così meraviglioso quanto distante da lui.
Il malessere scompare però quando lo sguardo di Eric scivola oltre la schiena di Kyle, nel momento in cui l’ebreo si china a terra e i pantaloncini bagnati aderiscono al fondoschiena. Ad Eric manca quasi il fiato.
“Oh mio Dio...” mormora in uno stato quasi d’estasi.
Kyle non ha la minima idea di cosa sta facendo, non ha consapevolezza d’avere il culo più bello di tutta South Park che - in quel esatto momento - è messo ancor più in evidenza dall’effetto bagnato e dalla posizione che ha assunto chinandosi, quei pantaloncini - per qualche strano motivo - sembrano così ancor più corti e di nulla consistenza, come fossero un costume creato per render giustizia a quel ben di Dio, un Dio che Eric ringrazia appassionatamente ma che, un momento dopo, maledice notando uno scottante problema nei suoi di pantaloncini.
“Vaffanculo” sibila per poi mordersi le labbra, pregando colui che prima ha maledetto, affinché Kyle non si rigiri per nulla al mondo.
È in una posizione per cui non potrebbe notarlo, ma non può far a meno di farsi paranoie, perché è consapevole che un momento tanto paradisiaco potrebbe diventare infernale ed allontanare Kyle.
“Gattini morti, gattini morti...” sussurra a se stesso stringendo gli occhi e fantasticando su truculente immagini con protagonisti gattini. Vedendo che non funziona, sa di cosa avrebbe bisogno: una doccia fredda, gelata.
Problematico sarebbe raggiungere la doccia di casa, potrebbe correre come un pazzo e buttarsi nella piscina dei vicini, ma non crede d’aver tanta agilità, può solo dunque raggiungere la sua di doccia.
‘Studiamo il piano Eric, calma e sangue freddo: silenziosamente ti rotoli per terra, poi inizi a strisciare come un soldato di quei film sul Vietnam, a gambe larghe, portandoti in avanti con i gomiti, camminando tipo una rana... ammesso che le rane camminino così. Raggiungi la porta sul retro che è accostata. Entri in cucina, perlustri con lo sguardo e rimani chinato all’altezza dei mobili. Appena sei sicuro che tua madre non c’è schizzi in sala, passando dietro al divano per sicurezza, e raggiungi le scale e da lì corri, corri verso il bagno, chiudi la porte e ti butti nella doccia’.
Ripassa il piano, due volte per esser sicuro di ricordare ogni passaggio. Kyle non noterà nulla!
Conta mentalmente, 1, 2, 3... 10! E inizia il piano.
Cade silenziosamente a terra e... a quel punto termina la missione di raffreddamento. Morde a terra per non urlare e non farsi notare da Kyle, il problema non c’è più ed è stato sistemato con un metodo per niente indolore: non aveva calcolato che cadendo di pancia per il suo fratellino minore sarebbe stato un ritiro immediato e doloroso, spera solo non si sia congedato per il resto dei suoi giorni, questo è ciò che lo preoccupa mentre morde ebra e terreno, pensando in forma di mantra ‘non mi abbandonare: dobbiamo prenderci la verginità di Kyle’.
“Cartman? Che stai facendo?” chiede Kyle rigiratosi per la prima volta da un lavoro che sta procedendo al meglio.
La risposta è un medio alzato che precede un inconfondibile: “vaffanculo Kahl”.
*
Nella notte, spesso, la visione delle cose diventa più chiara.
Forse è la stanchezza, l’incontro con il subconscio, il desiderio di sognare, il fare i conti con le proprie azioni e le proprie parole che stimola l’onestà.
Kyle non lo sa, non la sa perché nell’oscurità ogni cosa sembri più chiara. I suoi sentimenti e i suoi pensieri sono complessi, aggrovigliati tra loro, appallottolati in un gomitolo lanoso, spesso e caldo, ma che sfibrato rivelerebbe fragilità mortali; questo lo sa, come sa che Eric Cartman è una materia difficile da affrontare, non solo con il resto del mondo, ma con se stesso in primo luogo.
Eppure... eppure... lì dove la notte è sovrana, riesce a ritagliare il superfluo, ciò che sembra complesso, ad arrivare al cuore di quel groviglio stretto con rabbia.
Il nero sconfinato della notte è puntinato da asterischi di un giallo intenso, ricorda uno di quei disegni che faceva alle elementari con colori a pastello e a cera, disegni che non sentiva il bisogno di arricchire di dettagli, riproducevano solo l’essenziale, l’essenziale di cui sentiva il bisogno per capire cosa scorreva nel suo sangue, per cosa pulsava il suo cuore, ed invece la pubertà indeboliva giustificandosi con i suoi “è complicato” in cui credeva così tanto al punto di averli resi reali.
Ma nella notte la pubertà chiude gli occhi e gattona il bambino che tanti di quei cieli ha disegnato.
È lì ora, più leggero, ma senza aver freddo o caldo, senza brividi o vampate; Cartman anche è lì, non interessato neanche a guardarlo in faccia, guarda il cielo che sicuramente è più affascinante.
Sono entrambi ragazzini, ma si vedono uomini; Kyle vede se stesso in quel modo per abitudine, mentre la schiena di Eric sembra quella di un uomo perché si è fermato a guardarlo, e sul serio.
Vede delle lucciole danzare nell’aria, è raro in molte delle parti del mondo, ma non a South Park: lì l’aria è pulita, l’inquinamento è un problema inesistente, nonostante nel resto del mondo sia tanto grave. Pensando che quell’aria è così pulita, desidera non sia inquinata da altro, il resto del mondo è lontano, deve smetterla con le cazzate e lasciar spazio all’onestà.
Mantiene gli occhi fissi sulla schiena di Cartman e fa un passo in avanti, e non solo fisicamente.
“È difficile sentirsi a proprio agio con te, eppure... è così. Io mi sento a mio agio, mi sento bene quando siamo solo noi due e non fai lo stronzo”.
Sorride. E’ un macigno che è rotolato via, andato in frantumi.
“...Ehi, Cartman, tu pensi che sia possibile...”
“...Kyle!”
Ogni cosa sbiadisce nel grigio, come acquarelli contaminati da troppa acqua.
“Kyle!”
Più nitido e meno romantico è il mondo.
“...Stan?” chiede Kyle mettendosi seduto, strofinandosi gli occhi e cancellando i brandelli di un sogno che sembrava perfetto.
Si guarda intorno, poi guarda Stan sedersi alla sponda del letto divertito da qualcosa che identifica come la sua faccia assonnata. A volte i pomeriggi estivi sono così noiosi che una dormita non sembra un’idea tanto malvagia, eppure ora, di fronte a Stan, se ne pente.
“Stavi avendo un incubo?”.
Strabuzza gli occhi, non comprendendo la domanda.
“Ho sentito che hai detto ‘stronzo’ e ‘Cartman’. Ti tormenta anche nei sogni?”.
Kyle non lo guarda in faccia quando gli risponde “oh... beh... sì. Era proprio un brutto sogno” mormora con poca convinzione, ma Stan non ci fa molto caso attribuendo ciò al fatto che Kyle sia ancora mezzo addormentato.
“Come mai se qui Stan?”.
“Come perché? Dobbiamo stilare la lista delle cose da fare prima dei nostri viaggi”.
“ Oh... è vero, scusa” abbassa lo sguardo stavolta dispiaciuto per aver dimenticato una cosa tanto importante.
I primi nove giorni di vacanze estive sono trascorsi tra grandi dormite, ozio e videogames che dovevano recuperare, ma con l’avanzare dell’estate tra la fine di Luglio ed Agosto entrambi hanno programmi lontani da South Park e quindi molto tempo da trascorrere distanti, molto tempo per annoiarsi dal punto di vista di Kyle.
Randy ha deciso di regalare a Stan (a se stesso in realtà) un viaggio per commemorare la fine delle scuole medie per il figlio, organizzando quindi per loro due soli un viaggio a New York di dieci giorni, un viaggio che preoccupa già Stan. Quando tornerà però avrà ben poco tempo per rimanere a South Park: i Testaburger hanno invitato per la seconda metà di Agosto tutta la famiglia Marsh nella loro residenza californiana a Santa Barbara, due settimane in cui desiderano consolidare l’amicizia tra le due famiglie che vedono già i loro figli all’altare.
I Broflovski invece sono stati invitati in Agosto in Connetticut, a Bridgeport, dove vive la sorella di Sheila, Cleo, madre dell’unico cugino di primo grado di Kyle: Kyle Schwartz. L’idea di quindici giorni in compagnia del cugino fa rabbrividire Kyle, ma ogni protesta è stata inutile.
L’estate è dunque destinata a dividere i due migliori amici per un lungo tempo e così hanno deciso di organizzare in un pomeriggio tutto quello che devono fare insieme prima che l’estate finisca, non vogliono avere rimorsi, pertanto preferiscono organizzare il tempo a loro disposizione e... il pomeriggio prescelto è arrivato, solo che la noia aveva trascinato nel sonno Kyle, l’aveva stordito ed ora si ritrova a vergognarsi come un ladro per aver scordato una cosa tanto importante.
Ciò che in realtà lo imbarazza ancor più in verità, è il fatto che è deluso dalla realtà e che ciò che aveva vissuto fosse confinato in un sogno.
“Stavo pensando che non potrò venire al Comicon di Denver. Coincide con i giorni in cui io e papà saremmo a New York. Che odio”.
Stan si sposta a terra, sdraiandosi sul pavimento, cercando di figurare la ‘tragedia’.
“Cosa? Non... non puoi lasciarmi solo con Cartman! Lo sai che Kenny non verrà perché non ha neanche un dollaro da spendere!” la tragedia che figura Kyle, proprio davanti a se, è ancora più grande e disastrosa di quella che vede Stan.
Si alza e si porta davanti al suo migliore amico, in preda al panico e all’egoismo di non riuscire ad immaginarsi vicino a Cartman.
“Credi che mi faccia piacere non esserci?Avevamo organizzato anche i cosplay! ...solo che non posso, è stato tutto organizzato da papà” sospira rumorosamente, dispiaciuto per se stesso; in fondo Kyle e Cartman trascorrono più tempo insieme di quanto non ne trascorra con lui. Ogni tanto questo gli da fastidio, ma - al momento - lo infastidisce che Kyle faccia di ciò una tragedia.
“Tu e Cartman passate fin troppo tempo insieme. Cosa vuoi che sia andare al Comicon con lui?”.
“Tu non capisci!”.
“Esatto: non capisco”.
È il turno di Kyle di sospirare. Si siede a terra, usando la sponda del letto come spalliera, guardando davanti a se Stan che ricambia lo sguardo, curioso di capire quale sia il problema questa volta.
Non lo ammetterebbe mai Stanley, ma è consapevole a volte di esagerare, di concentrarsi su stesso e di non cogliere analogie tra situazioni simili, considerando più tragica la sua che quella altrui... lo sa, e sa che ciò lo rende agli occhi di qualcuno ipocrita, anche se a lui gli ipocriti non piacciono e non crede proprio di esserlo, non lo crede perché non racconta bugie, convinto che esse siano l’ossigeno dell’ipocrisia.
Pur riconoscendo i suoi difetti però, stavolta, non capisce qual è il dramma: è lui l’unico che non andrà al Comicon.
“Vedi Stan... non mi sento a mio agio con lui ultimamente” e spera che le sue parole non suonino a Stan come lui le sente.
“Ci credo, dopo quella stupida scommessa... però insomma, avete avuto litigi peggiori e... sì, hai sbagliato, l’hai capito, lui l’ha capito e ci sta marciando sopra con quelle stupide penitenze. Accontentalo, in fondo hai perso, e fai... che sia tutto come prima”.
“...niente è come prima” si lascia sfuggire il rosso, per poi pentirsi ed assumere il colore della sua chioma.
“Cioè... intendo... siamo cresciuti, stiamo crescendo e tutto sarà diverso, ma già era diverso da ciò a cui ero abituato e... beh, è come quando tu vedevi la merda dappertutto: la sentivi nella musica, la vedevi in un film e poi sembrava che uscisse dalle altre persone che avevano le fattezze di stronzi”.
Stan si preoccupa e scatta in piedi, incrociando le gambe e portandosi davanti all’amico. Era stato il peggior periodo della sua vita quello, aveva rischiato di perdere tutto, compreso Kyle.
“La vedi davvero la merda Kyle?”.
“No, no, non a questo punto” lo rassicura, per precisare sottotono “è che mi sembra tutto una grande fogna. Non importa quello che faccio o non faccio, ciò che dico o non dico. Mi sento di merda, non dormo bene e... non so cosa voglio”.
“Per me ti spaventa l’idea di cambiare, crescere...”.
“Può darsi. Il punto è che non mi interessa che le cose cambino, o restino uguali, o tornino come prima. Io non mi riconosco e non riesco a capire, forse vorrei restare solo o forse no, non lo so; quel di cui son certo è che la vicinanza con Cartman non può che farmi male”.
Stan ha lo sguardo basso ed è in silenzio. Anche Kyle ha lo sguardo basso e non si sente di aggiungere altro.
Sembra ci sia un fiume in piena tra loro, anche se vorrebbero essere vicini. Silenziosamente si cercano, ma non con gli sguardi, non con le parole.
Kyle realizza di odiare quando s’innalza il silenzio tra di loro e cerca una parola per spazzarlo via, una parola che sembri giusta, importante, ma Stan lo precede. E lo sorprende.
“Io vorrei darti un consiglio. Noi siamo sempre stati amici, uniti. Io non riesco a vedere un domani in cui noi quattro non esistiamo, in cui tu e Cartman non rompete i coglioni a me, a Kenny e a tutti con i vostri litigi, però... qualsiasi cosa io potrei dirti tu potrai credere che lo dico solo per egoismo, oppure mi sorriderai, mi dirai che ho ragione, che farai il possibile, ma... non lo farai” si sente mortificato per la cruda onestà. E si sente mortificato anche Kyle, perché sa che l’altro ha ragione; si conoscono troppo bene per non esser prevedibili, anche nei momenti di incomprensione.
“Kyle, amico, quello che sto cercando non è un pretesto per litigare, semplicemente ti conosco e so che c’è dell’altro e che nella tua testa hai già un piano, hai già preso una decisione ancor prima di capire, forse perché sei spaventato o... non lo so sinceramente” scuote la testa e torna a guardarlo. Anche Kyle - per la pausa significativa di Stan - alza lo sguardo e vede il suo migliore amico dispiaciuto.
“Mi dispiace” risponde animato da quel senso di colpa da stereotipo ebreo. Se non lo avesse non chiederebbe probabilmente scusa così spesso, a prescindere dalla sua natura sensibile.
“Non devi dispiacerti, dovresti ascoltare però ogni tanto chi ti vuole bene”.
Kyle sorride, vorrebbe abbracciare Stan per l’affetto che gli dà. “Io ti ascolto sempre Stan, anche se non sembra perché agisco di testa mia, ma ti ascolto e se faccio un errore mi dico che avrei dovuto ascoltarti. Però dovresti fare altrettanto anche tu” e lo dice perché Stan tende a dimenticare, lui sa esser ancor più testardo di Kyle e sa ignorarlo molto meglio di come fa Kyle. Non è un pretesto di litigare neanche quello, né una battuta che vuole esser pungente, Kyle vuole solo che Stan lo comprenda.
“...suppongo tu abbia ragione Kyle e... ho fatto un’altra volta la figura dell’ipocrita?”.
Kyle ride, perché non vuole drammaticità tra loro: “ma no Stan, hai fatto semplicemente la figura del mio migliore amico con i miei stessi difetti”.
Uno sbuffo divertito esce dalle labbra di Stan che dà un pugno affettuoso sul braccio di Kyle.
“E proprio perché abbiamo gli stessi difetti amico, so che vuoi bene a Cartman”.
“Ehi!” scatta come una molta, un colpo di reni ed è pochi centimetri di distanza dal naso di Stan. Non può mettere l’aceto lì dove a lui duole, lo trova imperdonabile, anche se l’unico ad essere nel torto è proprio lui.
“Non... non dire cose del genere!”.
“Perché? Sappiamo entrambi che è vero”, lo sa tutta South Park che è vero a dirla tutta.
Stan non comprende perché Kyle senta il bisogno di mostrarsi senza cuore nei confronti di Cartman, e se lo domanda perché non sa, non ha idea che Kyle sia tutto meno che senza cuore nei confronti di Cartman, ma ha bisogno di nasconderlo, per non mostrarsi incatenato a lui.
“Senti Stan, lo so che non puoi capire, ma per favore...” in quel momento i cellulari di entrambi segnalano l’arrivo di un sms. Stan ha una suoneria anonima, mentre Kyle ha l’attacco musicale di Kashmir dei Led Zeppelin, che mai come in quel momento sembrava perfetto per creare l’atmosfera drammatica che quel messaggio merita.
Stan legge ad alta voce quello che è scritto nel messaggio inviato ad entrambi.
‘Stasera tutti a Casa Bonita! Kaaaaaaahl ci offrirà un pranzo luculliano’ - Kyle non credeva che l’altro potesse conoscere davvero quel termine. Stronzo. - ‘perché nonostante Kahl sia un avido ebreo, ha degli obblighi verso di me che io, magnanimo, voglio condividere con i miei più cari amici: tenete lo stomaco vuoto, stasera ci si abbuffa! P.S. Kahl non provare a fuggire dalla città con il tuo oro ebreo, altrimenti dirò a tutti che rubi mutande delle ragazze per poterle odorare’.
Figlio di Puttana. Di vera puttana.
Stronzo. Stronzo, nel senso di merdoso.
Kyle associa ogni insulto possibile alla persona di Eric Cartman ed ognuno calza così bene, per quanto ne sa persino succhiacazzi è un’offesa calzante.
Non può perdonarsi di essersi masturbato pensando a quel... essere.
Non può perdonarsi di aver fatto un solo pensiero dolce su di lui.
Lancia il cellulare sul letto: quel bastardo sa che ha messo da parte un bel gruzzoletto per potersi comprare il nuovo MAC che da Settembre sarà disponibile; ora con la sua bastardata può sognarselo. Ok, è una cena, ma offrire una cena ad Eric Cartman - che chissà quante persone ha invitato - equivale all’offrire un pranzo nuziale. E considerando che quella era una penitenza, poteva star certo che Eric si sarebbe impegnato a fargli spendere fino all’ultimo dollaro!
“Lo sapeva! Lo sa! Sa che sto mettendo da parte i soldi per il nuovo MAC!” e calcia il bordo del letto per esternare la rabbia.
“Kyle, Kyle calmati amico!”
“Quello stronzo avrà invitato tutta la scuola, me lo sento!”.
“Kyle, sta tranquillo”.
“Non dirmi di stare tranquillo Stan, perché non posso esser tranquillo quando si tratta di Cartman!”.
“Kyle, paghiamo a metà”.
“Cos- no!” torna a guardare Stan e lo guarda come si può guardare un folle, senza rendersi conto che agli occhi di Stan è proprio lui il folle, in quanto la sua è una proposta legittima.
“Ho qualche risparmio da parte. Ti do cento dollari, così Cartman non sospetterà nulla e, a seconda di quanto sarà il conto, li userai”.
“No Stan, tu non centri nulla, non se ne parla neanche!”.
“Devo una cena a te e ne avevo promessa una a Kenny tempo fa. Visto che non ci sarò molto quest’estate, facciamo che l’occasione sia questa: i soldi sono miei e devo decidere io quando offrirvi la cena, no? Ho deciso che sarà stasera, semplice” non ammette rifiuti. Ci tiene che Kyle abbia il suo MAC, ci tiene a rispettare la sua parola e quella è la serata perfetta.
“Ma Stan, questo è il pegno di una scommessa tra me e Cartman...”.
“Il contesto non cambia Kyle” ed aggiunge un più che invitante particolare “inoltre pensa: potrai prenderti gioco di Cartman facendogli credere che davvero offrirai tutto tu”.
“In pratica sarebbe un po’ come fotterlo” e solo dopo che l’ha detto si rende conto del peso delle sue parole e nervosamente aggiunge “in senso metaforico, ovviamente!” ...che imbarazzo!
Per sua fortuna Stan, pur essendo sagace, riguardo a certe cose sa essere così naïve e trascurare particolari importanti, particolari che se solo notasse potrebbe mostrare quanto sa essere un meraviglioso amico, ma questo non accade e Kyle pensa di esser stato fortunato, ignorando che la sua fortuna potrebbe invece proprio risiedere nell’onestà.
“Diciamo che sarebbe come fregarlo parzialmente al suo stesso gioco, immagina che faccia farà quando vedrà che sei riuscito a comprarti il Mac!”.
Immagina, figura nitidamente Cartman frustrato ed incazzato, è una gioia interiore quella che prova, brama la sua invidia nonostante lo nasconda. Sorride... ma poi guarda Stan e non sorride più.
“Sarebbe davvero fico, ma Stan, tu non centri”.
“Kyle, non vorrai litigare con me per una cosa simile. Accetta, ho fatto io la proposta e sai che è ben motivata. Non c’è nulla di male: io pagherò per me, te e Kenny, tu per Cartman e... spero davvero che non abbia invitato tutti, anche se da solo è comunque preoccupante”.
Kyle si sente in colpa, si sente avido, lo è - non in quella circostanza - ma lo è, quindi gli sembra che sia la sua avidità a tentarlo, ma sa anche che Stan si offenderebbe se rifiutasse e potrebbe anche decidere di non uscire con loro, perché solo lui sa quanto Stan possa essere sensibile.
Si sente meschinamente ebreo, nel senso che gli sembra di confermare le aspettative di stereotipo per cui il Culone lo deride, l’ebreo avido e l’ebreo col senso di colpa innato, gli sembra di sentire distintamente le risa di Cartman nella testa. Lo odia, altroché se lo odia... e vuole bene a Stan, il suo punto debole, che è lì ad insistere, con lo sguardo da cane bastonato a cui non può negare una risposta negativa.
Alza il pugno e lo direziona verso Stan: “ok, andata”.
Stan colpisce col sorriso il pugno di Kyle.
Il suo migliore amico gli è grato, davvero, ma a volte fa fatica davvero a capirlo.
*
“L’obbligo era chiaro: devo offrire a te e agli altri la cena, non altro!”.
“Appunto, offrire. Questo fa parte dell’offrire. E tu dovresti conoscere il vocabolario meglio di tutti noi, Kahl”.
“Kyle, prometto che non rivangherò a quanto sia stato gay questo spettacolo. Ma ti prego, zittiscilo”.
“Taci principessa Kenny”.
“Taci tu culone! Io non ti imboccherò per nulla al mondo!”.
La serata non si era prospettata tanto pessima, Kyle si era rincuorato nel vedere solo Butters, oltre a loro quattro, inoltre non tutti avevano lo stomaco come quello di Cartman, quindi le ordinazioni degli altri non erano state preoccupanti.
Poteva essere una serata serena, Casa Bonita era un posto piacevole sia perché aveva un’ottima cucina, sia per l’atmosfera vivace che regnava, ma Cartman - come sempre - riusciva ad essere la spina nel fianco che rovinava tutto, rendendo detestabili le portate, i colori vivaci e la musica dal vivo. La Disneyland messicana così somigliava molto più all’inferno, ed erano lì solo da un quarto d’ora.
“Perché devi sempre rendere tutto così detestabile?”.
“Guarda che il solo ad avere una fica insabbiata sei tu Kahl”.
“E smettila di parlare di genitali che non ho!” il tavolo più vicino sente forte e chiaro Kyle e lancia un’occhiataccia nella loro direzione.
“Guarda che lo sappiamo che non hai le palle, non c’è bisogno di ricordarcelo”.
Kyle riconsidera l’idea di imboccarlo, ma con forza, solo per poterlo soffocare: il delitto perfetto, non sarebbe stato lui, ma un taco gigante a soffocarlo. Doveva considerare la cosa.
“Coglione, guarda che per genitali si intendono anche quelli femminili”.
“E tu curi i tuoi genitali femminili Kahl?” lo sfotte sempre rimanendo serio, il divertimento è palese solo nello sguardo.
Kyle in tutta risposta gli tira un calcio, è l’unica fortuna nell’avere Cartman davanti a se.
Peccato che non gli faccia tanto male, anzi, diventa lo spunto per altre stupide battute.
“Stan, la tua ragazza mi ha appena fatto il piedino. Kahl, so di essere affascinante, ma non- AHI!” ed uno, e due, e tre ed anche un quarto calcio colpiscono con più incisività lo stinco di Cartman.
“Fermati, stronzo!”.
“Scusa, ma sei così affascinante che non riesco proprio a smettere” ed arriva un quinto, ed un sesto... Stan ride, anche Kenny, mentre Butters è l’unico a rendersi conto che dagli altri tavoli arrivano occhiatacce e non si meraviglierebbe se presto un cameriere arrivasse a metterli all’uscio. Ci sono bambini, c’è un’allegra rimpatriata di studenti delle superiori, ma il loro tavolo è quello ad essere più che chiassoso, molesto.
“Ragazzi, per favore, state calmi o ci butteranno fuori”.
Kyle pensa che una dozzina di calci siano stati sufficienti e si ferma, potrebbero esserci conoscenti di sua madre o suo padre e non vuole che parlino di lui come un bulletto maleducato e stronzo; non lo è, è solo Cartman a tirargli fuori il peggio.
“Non sono io quello a cui prudono, Butters” sottolinea risentito Cartman.
“Ancora non ti sono bastati dieci calci?”.
“Li hai pure contati? ...nerd”.
“Parliamo adesso di cose serie e da adulti” interviene Kenny per evitare che i suoi due amici si scannino come micetti in calore. Non è che sia omofobo o qualcosa del genere, ma quei due sanno diventare noiosi.
“Parli di ragazze?” domanda tutto eccitato e speranzoso Butters.
A Kenny vengono quasi le lacrime agli occhi e in tono solenne si rivolge all’altro biondo: “tu sei mio fratello” e poi lo invita “dammi il pugno Butters” e si emoziona al loro brosfist che guadagna un significato diverso per Kenny, mentre Butters sorride candidamente, come sempre.
“Scusate... l’emozione... dicevo, parlando di cose serie... la bionda, la castana o la rossa?”.
Stan e Kyle - seduti vicini - si guardano confusi, Butters sorride ancora ammirando Kenny a capotavola e Cartman preferisce dare attenzione al taco nel suo piatto; a lui il cibo piace caldo e non ha intenzione di farlo raffreddare.
“Hai conosciuto delle ragazze?”.
“Sbagliato Stan. Le sto per conoscere però” e lancia un’occhiata di intesa indicando col pollice alla sua destra.
“Ma sono più grandi di noi!”.
“Di te Stan, non di me”.
“E questo che significa?”.
“Significa che se hai una certa esperienza con certe cose - mi spiego? - non sei così tanto piccolo neanche per una sedicenne”.
“Amico” lo riprende Kyle, sperando di farlo ragionare “non hai possibilità. Le ragazze di quell’età cercano ragazzi più grandi che - di norma - cercano ragazze più piccole”.
“Mi stai suggerendo di andare di rimorchiare una ragazzina delle elementari?”.
“No, cielo, Kenny! Ti sto solo dicendo che le ragazze più grandi ignorano dei ragazzini come noi”.
“Dei ragazzini come te, vorrai dire” Cartman schiarisce la voce, cercando di sembrare fico, ma non così tanto da poter permettere agli altri di pensare che si sta vantando.
“La rossa è Ashely Prym, ha finito il primo anno delle superiori ed è nella squadra delle cheerleader”.
Kenny lancia un’occhiata verso la ragazza e pensa che questo spieghi un bel po’ di cose. Se è così, pensa proprio d’aver ultimato la sua scelta.
“E con ciò?” domanda seccato Kyle.
“Ashley ha una cotta per me o qualcosa del genere”.
Stan, Kyle e Kenny guardano nella direzione della ragazza, poi guardano Cartman e... scoppiano a ridere.
Kenny è quello che ride in modo più sguaiato, Kyle cerca di contenersi, ma i suoi occhi diventano lucidi dal divertimento, mentre Stan è il più posato, ma sta ridendo anche lui di gusto.
Butters guarda meglio verso la rossa e realizza d’averla già vista, la ricorda con Eric, vicino alla fermata del bus, lei imbarazzatissima davanti a un Eric calmo, quasi annoiato.
“Si è dichiarata o qualcosa del genere vero Eric?”.
“Sì, ovvio, credeva fossi più grande, non pensava facessi le medie”.
“Smettila di dire delle idiozie Cartman” taglia corto Stan che è dispiaciuto dal fatto che Butters creda in tutto quello che l’altro dice; la sua non è invidia, ha Wendy, è semplicemente razionale. “Ok, non sarai più un culone e qualche ragazza si è interessata a te tra quelle del nostro anno, ma non far credere queste cose a Butters”.
“Ma è vero” interviene Butters in difesa di Eric.
Scetticismo, scetticismo negli occhi di tutti gli altri. Butters non avrebbe motivo però di difendere Eric se non fosse che ne sa più di loro “ho visto Ashley correre da lui, l’ho notata perché aveva una tracolla carina di Tweety. Ha fermato Eric e imbarazzata le ha detto qualcosa. Si vedeva, era davvero cotta”.
“Visto, che vi ho detto?”.
Stan e Kenny guardano increduli Butters con la sua espressione serafica, segno che è assolutamente sincero, Cartman non l’ha pagato per fare il grande davanti a loro.
Stan non sa cosa dire, è vero che Cartman è cambiato, è vero che non capisce i gusti delle ragazze, ma è convinto che altri siano migliori di Cartman.
Kenny invece si ritrova con la mascella quasi sul tavolo dall’incredulità. Anche lui - come Stan - sa che Cartman dimagrendo notevolmente mostra i suoi lati migliori, è pur sempre il figlio di Lianne Cartman, ma è anche convinto di essere più fico di lui e - purtroppo - nessuna ragazza più grande gli si è ancora dichiarata.
Non è invidia, ma ha voglia di prendere a pugni Cartman e lo farebbe... se non fosse che Kyle la prenderebbe poi sul personale.
“Se davvero le piaci è strano non ti abbia ancora notato” fa notare Kyle con calma, non sono lontanissime dal tavolo di Ashley in fondo: come Kenny le ha notate, se davvero la rossa era interessata a quello stronzo, avrebbe lanciato diverse occhiate nella loro direzione.
“Magari è orba” fa spallucce l’interessato. Lui può fingere quanto vuole, ma Kyle sa che quello è il suo comportamento quando se la tira. Eric Cartman - anche se nessuno lo direbbe - è la persona più vanitosa di tutta South Park, molto più di qualsiasi la ragazza che ha cuore essere alla moda e sempre piacente.
“Magari è una stronzata”.
“Cos’è Kahl? Sei invidioso o... geloso?” e lo domanda mostrando bene un sorrisetto malizioso. Ci spera, spera tanto di imbarazzarlo ed ammutolirlo, ma gli andrebbe bene anche sentire Kyle urlare. Gli va bene tutto di Kyle in fondo.
“Che significa?” era prevedibile una sua risposta acida.
“Non lo so, dimmelo tu”.
Ormai Kenny, Butters e Stan sono esclusi dai giochi e ne sono consapevoli. Si dedicano ai loro piatti e ringraziano la cameriera per la nuova portata: Cartman e Kyle ne avranno per un bel po’.
“Dimmi cosa vuoi per autocompiacerti ancor di più Culone? So a che gioco stai giocando”.
“Ah sì?”.
“Sì”.
“Illuminami”.
“Stai solo cercando di fare il fico davanti a noi perché sei uno schifoso narcisista in cerca di attenzioni”.
“Io non urlo da mattina a sera, ebreo”.
“Cosa?” detesta tante innumerevoli cose di Cartman, ma nella top-ten figura quel suo modo di fare, di dire cose insensate per allontanarsi dal fulcro della conversazione per poter fare qualche battutina contro il suo interlocutore. Lo fa sempre e - ahi lui- Kyle ci casca sempre.
“Che se cercassi disperatamente attenzione come tu sostieni, allora urlerei da mattina a sera come fai tu, Kahl”.
“Io urlo perché fai incazzare Cartman!” e nonostante quello che Cartman gli ha appena detto, risponde a tono, un tono alto e acido.
“E poi anche tu urli”.
“Io urlo quando gli altri dicono e fanno stronzate!”.
Dovrebbero essere pari, ma non hanno intenzione di demordere. Non sia mai che un loro scontro finisca in parità.
“Per te le stronzate degli altri sono solo quando ti fanno notare che sei un coglione”.
“Potrei dire la stessa cosa di te”.
“Ah sì? Fammi un esempio allora” incrocia le braccia e si rilassa contro lo schienale della sedia.
Il cibo è ancora caldo, ha un invitante odorino, il gruppo di mariachi[3] ha deciso di fare una pausa, Stan sta parlando dell’ultimo episodio di Game of Thrones, e tutto potrebbe essere sereno, ma Cartman è l’unico ad avere la sua attenzione e il suo malumore.
“Tipo... vediamo... non saprei... ah! Forse... il fatto che hai perso la scommessa contro di me e ne sei contento, ma per orgoglio hai deciso di fare l’incazzato piuttosto che ammettere di aver fatto una cazzata per cui ti eri pentito”.
La morte dell’ultimo personaggio di Game of Thrones non è più così interessante. Potrebbe esserci un morto nella realtà tra pochi secondi!
Kenny allontana la sedia dal tavolo, pronto a scappar via, perché sa che con la sua sfortuna sarà lui l’unico a farsi davvero male.
Butters guarda confuso Eric al suo fianco e balbetta il suo nome sperando di fargli ritrattare quello che ha appena detto.
Il più preoccupato però è Stan. Guarda Kyle e per quanto lo conosca bene non ha idea di come interpretare il suo sguardo, sa solo che lo inquieta; ha timore sia nel dire il suo nome che nel mettergli una mano sulla spalla per calmarlo.
Eric invece non ha timore per la sua pelle, guarda provocatorio Kyle, aspettando nella sua più prevedibile reazione; non teme i suoi pugni, per lui saranno come carezze: ha un così disperato bisogno di contatto fisico con Kyle che tutto gli va bene, violenza in particolar modo.
Kyle si alza dal suo posto, sia Stan che Butters iniziano a richiamare Kyle nella speranza di farlo ragionare, mentre Kenny è pronto ad alzarsi.
Sorprendente però la reazione di Kyle si rivela così veloce da confondere tutti i presenti.
Afferra la forchetta di Cartman e afferra lui per il collo della maglietta, un movimento deciso ed affonda la forchetta nella carne; in un battito di ciglio la bocca di Eric è forzata a mangiare la carne di vitello.
Eric guarda negli occhi Kyle: c’è qualcosa che brucia negli occhi verdi, qualcosa che ha visto poche volte e che trova estremamente attraente, tanto da fargli dimenticare l’intero mondo che cade nel silenzio. Ogni rumore è esiliato dalla sua testa, ogni senso è concentrato solo su Kyle, lì, vicinissimo a lui, che lo tiene in pugno e guarda solo lui, si svela solo a lui.
Nonostante la determinazione del suo gesto, Eric vede della fragilità in ciò, qualcosa di intimo e diverso.
Lo eccita. È la seconda volta in due settimane che Kyle riesce a provocargli un’erezione, la sua fortuna è che la tovaglia lo nasconde.
“Era questo che volevi, no?”.
Arrossisce e manda giù senza masticare. L’arrosto di vitello alla Lucifero[4] l’ha davvero bruciato e non perché piccante.
Kyle ritorna al suo posto e non guarda più Cartman, pensa al suo piatto, le fajitas di pollo[5], e ciò porta gli altri a sospirare di sollievo.
“Non sei bravo ad imboccare ebreo” si riprende Eric che non vuole fare la figura del coglione e ha bisogno di calmare quello che si è svegliato nei i pantaloni “per poco non mi strozzavi”.
“Peccato”.
“È tanto piccante Eric?” domanda Butters sperando di riuscire a placare definitivamente le acque.
“Non tanto, ma non fa per te: è roba solo per veri uomini”.
Kyle - silenziosamente - tira nuovamente un calcio, irritato dal fatto che continui a fare il pallone gonfiato; per Eric sentire però il piede di Kyle strusciare - seppur velocemente - contro la sua caviglia non lo porta a placarlo, anima piuttosto qualcosa che già è stato risvegliato.
“...m-muori male, Kahl” e si augura che il suo borbottio non sia sembrato simile a un gemito.
“Ma se muore poi chi ti imboccherà?” interviene Kenny, subito seguito da Stan. “E chi ti farà il piedino?” e se la ridono ricordando soprattutto: “e chi ti pagherà il conto?”.
“Accidenti! Morite tutti tra atroci dolori!”.
Butters nota che ha gli occhi lucidi e crede d’aver capito tutto: “Eric, se è così piccante non dovresti mangiarlo”.
“Taci Butters, non è così piccante” e per dimostrarlo prende una forchettata più generosa. Effettivamente è molto piccante, ma non gli da fastidio, spera solo non sia afrodisiaco, altrimenti non saprebbe come calmarsi ed avere Kyle davanti non lo aiuta di certo.
“Gattini morti” sussurra popolando la sua mente di dozzine e dozzine di mici esangui.
“Che?” domanda Stan, credendo d’aver sentito bene, nonostante gli sembri folle. Eric continua non curandosi di loro, ma solo del suo problema principale.
“Gattini morti, gattini morti...”.
“Chi ha ucciso dei gattini Eric?” domanda ingenuamente Butters guardandosi intorno, mentre Eric continua come un mantra la sua formula anti-erezione.
Anche Kenny lo guarda confuso, avendo sentito distintamente quello che ha detto.
“Che curioso metodo per non sentire il piccante. Io lo uso di solito per calmare un’erezione”.
Un pezzo di pane colpisce in piena fronte Kenny dopo un inconfondibile Vaffanculo Kenny.
“Ahi stronzo, ma che ti prende? Non ordinare piccante la prossima volta!”.
“Tanto anche se glielo dici la prossima volta lo rifarà di nuovo”.
“Kahl, potresti per favore non parlare per i prossimi cinque minuti? Giuro su Mel Gibson che ti lascio in pace per una settimana se non parlerai per cinque minuti” e ne ha bisogno, perché alle sue orecchie qualsiasi cosa Kyle dica - in una situazione simile - suona provocante, suona sexy.
Kyle non può cogliere certo il vero significato di quelle parole e lo interpreta come un’offesa, ma lo accontenta, perché spera che davvero per un’intera settimana lo lasci in pace: ne ha bisogno.
Eric continua a mormorare il suo mantra tra una forchettata e l’altra, mentre Kyle cerca di ignorarlo e il resto della tavolata può riprendere la conversazione che aveva interrotto.
“Insomma... non me l’aspettavo morisse”.
“Ormai non ne sono più sorpreso”.
“Ragazzi potete evitare di parlarne? Io sono ancora alla stagione precedente” perché Butters è sempre in ritardo quando si tratta di serie televisive fighe.
“Perché sei sempre in ritardo?” domanda Stan.
Butters è risentito della domanda: “perché ogni settimana Eric mi dice di iniziare una nuova serie che è assolutamente imperdibile, ma io devo anche recuperare quella della settimana precedente, più vedere gli anime della nuova stagione per non perdermeli e non dover poi sentire di recuperarli tutti, inoltre devo finire i videogame che mi ha obbligato a comprare e fare quotidianamente accesso ai giochi online perché se no mi perdo il quest o mi ritrovo pieno di notifiche. E poi mi chiedete perché sono sempre davanti al pc!”.
“Butters, ma noi facciamo le stesse cose tutti i giorni, ma abbiamo una vita sociale perché non recuperiamo, seguiamo solo quotidianamente le novità e non seguiamo quello che non ci piace” gli fa notare con composta razionalità Stan.
“Oh...”.
“Però dovresti proprio recuperare l’ultima stagione di Game of Thrones e iniziare a vedere Hannibal!”.
“Ma a me non piacciono i telefilm con...”.
“Hannibal è fighissimo Butters”.
“Ma...”.
“Vedilo!”.
“...ok, Stan”.
Butters ha come l’impressione che passerà la sua estate ben poco all’aria aperta.
La castana del tavolo delle liceali nel frattempo si alza per andare verso la toilette, Kenny la nota e il suo sguardo cade dove lei sicuramente vuole esser guardata, visto che indossa dei jeans aderenti.
“Kenny!” ha la decenza di rimproverarlo Stan.
“Dio Stan, ma l’hai vista?”.
“No”.
“Aveva un cu-”.
“Kenny!”.
“Guarda che nessuno lo dirà a Wendy”.
“Non centra nulla Wendy, non guardo il fondoschiena alle ragazze per rispetto, per principio”.
“Come no, vai a raccontarlo a Butters”.
“Cosa devi raccontarmi Stan?” chiede Stotch innocente dopo aver mandato giù un ultimo boccone di taco.
“Nulla Butters, è retorica”.
“Sì, retorica, come no. Ho deciso comunque, voglio provarci con la castana, è la più carina”.
“Non demordi”.
“No, ovviamente. Se quella Ashley trova più maturo Eric, non vedo perché io non posso sembrare più grande: sappiamo tutti che ho un certo seguito a scuola” il che è vero, Kenny non è modesto, trova che fare il modesto sia da ipocriti in tali circostanze.
“Eric, lascia perdere i gattini. Perché non andiamo tra cinque minuti al loro tavolo?”.
“...gattini morti...”
“Pensate stia bene?”.
“Non è mai stato bene Butters” fa notare Stan che ha quasi finito la sua portata.
“Vai a farti fottere da Wendy, Stan” risponde esasperato Eric e... nel figurarsi l’immagine del suo augurio al moro, si ritrova a constatare che il suo problema intimo si è definitivamente placato. Ha funzionato meglio dei gattini a quanto pare.
“E per quanto ti riguarda Welfare[6], non mi muovo da qui”.
“Allora è vero che hai pagato Butters per dire una cosa simile”.
“No che non l’ho pagato” e bestemmia per vocazione, “ma non ti faccio da spalla per rimorchiare, anche perché quelle sono delle troie”.
“Per te tutte le donne sono troie Cartman”.
“Per questo Kenny è felice pur essendo un poveraccio, no?” gli sembra un’argomentazione più che valida, contro l’inutile rimprovero velato di Stan. Teme qualche giorno di vederlo entrare a scuola con una maglietta rosa con su scritto Girls Power, e l’unico motivo per cui lo farebbe sarebbe per Wendy. Se lo Wendy lo lasciasse la penserebbe esattamente come lui e... non è discriminazione la sua, lui odia tutti a prescindere ed ama ricordarlo a chi insiste nell’insinuare che è un razzista. Ringrazia che Stan non abbia insistito però, non ama infatti neanche ripetersi.
“Io non penso che le donne siano troie”.
“Lo speri costantemente però Kenny”.
“La smettete di parlare in questo modo delle ragazze!”
“Oh Kahl, perdonaci, ci eravamo dimenticati di te. Ragazzi, abbiamo urtato la sensibilità della ragazza del nostro gruppo, chiediamole scusa”.
Kenny ride e Butters pure, ma Kyle non ci trova nulla di divertente. Lui ha rispetto per il mondo femminile, ammira le ragazze, e non solo quelle che vestono carine e si truccano, ha rispetto per tutte loro e non oserebbe chiamare troia neanche la più disinibita. Ogni ragazza ha il diritto di vivere i sentimenti e la propria sessualità come meglio crede, vorrebbe dirlo, ma evita, perché sa non capirebbero - ad eccezione di Stan - e finirebbe solo per litigare ancora con Cartman, poiché lo considererebbe un discorso da hippie.
“Visto che sono così per te Cartman, con l’ego che ti ritrovi, perché non hai accettato i sentimenti di quella Ashley?”.
“Perché non mi interessano i suoi sentimenti”.
“Appunto. Avresti potuto manipolarla come fai di solito con tutti e fare il gradasso dicendo a tutti che era la tua ragazza e che facevate cose incredibili”.
“Guarda che io sono interessato solo a persone serie” è sincera la sua affermazione.
“Facendo il coglione sicuramente la troverai” lo sfotte Kyle, sentendosi però a disagio. Davvero sta parlando di ragazze con Cartman?
“Magari faccio il coglione perché non ho la persona seria che vorrei e...” ...tace. Arrossisce. Manda giù un boccone sperando di mandar giù anche l’imbarazzo.
...e vorrei tanto che capisse che ho bisogno sia sempre al mio fianco.
Maledetto ebreo.
Kenny si porta una mano davanti alla bocca per nascondere il sorriso, Butters invece guarda con ammirazione, trova molto bello che Eric sia stavo sincero, per una volta.
Ma Eric, si sa, è molto più portato nel mentire.
Sorprendendo tutto il suo tavolo si alza e va in direzione del tavolo delle ragazze, salutando la rossa Ashley.
Tutti possono vederla, la ragazza prende il colore dei suoi capelli e non riesce a sostenere lo sguardo di Cartman.
“Visto? Che vi avevo detto?” sottolinea Butters che si è sentito offeso nel non esser creduto.
Nessuno può negarlo: sembra che la ragazza stia morendo davanti a lui ed è visibilmente a disagio.
Mezzo minuto dopo Eric ritorna al suo posto. Kyle stava per dare un boccone al fajitas, ma la sorpresa l’ha lasciato con la forchetta a mezz’aria e Cartman ne approfitta, afferrando il polso di Kyle e portandosi il boccone di Kyle alla bocca.
Ha ancora più appetito di prima adesso.
“Kahl, credo proprio prenderò anche i fajitas. Kenny, Butters, dopo cena abbiamo un appuntamento. Kahl non credo tu sia lesbica, quindi non ci rimani male se non ho pensato a te, giusto? Tanto c’è il tuo fidanzatino Stan libero”.
“Brutto...”.
“Eh no, puoi offendermi come vuoi Kahl, ma non darmi del brutto in una simile circostanza”.
Lascia a malincuore il polso di Kyle, gli sembra che una crepa si apra sul suo cuore di pietra, ma il sorriso da stronzo è impeccabile.
Kenny nel frattempo non contiene l’entusiasmo e si volta a salutare le ragazze, mentre Butters impallidisce.
“Ho promesso che ti avrei lasciato in pace per una settimana, no?”.
“Bene”.
“Bene, ma voglio le fajitas”.
“Puoi anche ordinartele da solo”.
“Sei arrabbiato?”.
“Con te? Sempre”.
“Meno male”.
Kyle lo scruta scettico, alzando un sopracciglio. Eric lo guarda tutto contento: “significa che va tutto bene tra di noi, no?”.
*
Casa Bonita non è esattamente a South Park, quindi a cena conclusa Randy arrivò a prenderli, non sapendo d’averci rimesso un centinaio di dollari oltre a quelli della benzina; Stan gliene avrebbe parlato il giorno dopo.
Il conto non era stato salatissimo per fortuna e spendere i soldi per la cena non era stato così doloroso come prospettato. Doloroso - più che altro umiliante - fu che gli unici a tornare in macchina, con Randy, furono proprio solo i due migliori amici.
“Kenny, Eric e Butters dove sono?” domandò Randy.
“Hanno un appuntamento con delle liceali”.
“Fortunati e voi? Non ditemi che avete un appuntamento tra di voi” Randy scherzava, ma quella era una battuta di stampo fin troppo cartmaniano per perdonarlo.
“Sta zitto papà e portaci a casa”.
La ragazza castana, Candance, arrivata con il minivan dei suoi genitori, non si fece problemi nel far salire i tre ragazzi, forse fin troppo piccoli per loro, ma Kenny non le sembrò proprio così bambino e catturò subito la sua simpatia. Per lo più lo sta fece per la sua amica Ashley e seppe da subito che quella a rimetterci di più nel loro gruppo era Patricia, la ragazza dalla coda di cavallo bionda, che - affiancata da Butters - si sentì quasi una pedofila e per questo parlò dando consigli sulla vita delle superiori.
Mezz’ora dopo, in macchina, Patricia parla ancora
Ashley, invece, è silenziosa e ancor di più lo è Eric, entrambi immersi in un groviglio di pensieri più grandi di loro.
Iil minivan si ferma nei pressi dello stagno di Stark che, essendo estate, si rivela abbastanza frequentato e piacevole per parlare, come per fare quelle cose da “grandi” la cui proibizione - nella loro età - diventa stimolante; Candance tira fuori dal cofano dell’auto delle lattine di birra e una bottiglia di vodka, brindano a quel bel cielo stellato che li sovrasta e che Eric ed Ashley non notano. Patricia tira invece fuori dalla borsa delle sigarette, le offre, e persino Butters accetta, perché vuole sembrare fico agli occhi di una ragazza tanto carina.
Un po’ di fumo e un po’ di alcool, regalano il brio a quello strano incontro che si rivela divertente, eccetto che per la coppia che l’ha permesso, così poco partecipe ai racconti di quella che fanno credere una straordinaria vita da studenti delle superiori; altro che racconti, sono più pettegolezzi che altro.
Eric - che non beve e non fuma per principio - si alza e si allontana dal gruppo che non lo nota neanche. Era una serata perfetta, Kyle l’ha divertito e sorpreso, in linea generale è andata come voleva, ma poi ha detto qualcosa di rischioso e per non perdere il controllo si è ritrovato a far felici Kenny e Butters, ma non se stesso. Vorrebbe essere con Kyle, a fare cose diversamente stupide, a dire cose diversamente stupide. Lo sa ormai, Kyle è una brutta malattia per lui.
“Senti che cosa hai in mente?”.
Eric sussulta e lancia un’occhiata infastidita alla ragazza dei capelli rossi. Dovrebbe essergli grata, invece di raggiungerlo e rompergli le palle.
“Potresti semplicemente mostrarmi la tua gratitudine stando lontana da me?”.
“Voglio sapere che intenzioni hai”.
“Non ho intenzione neanche di sfiorarti stronzetta. Voi pel di carota mi fate schifo” si sente nella posizione di poterlo dire.
Non è che Ashley abbia un debole per lui e non si è per niente dichiarata, questo è quello che crede fortunatamente Butters. Ashley semplicemente arrossisce e china la testa davanti a lui perché conosce il suo segreto e l’ha filmato, ironicamente proprio nei giardini dello stagno di Stark. L’aveva vista con le mani negli slip di una certa Hanna che, solo successivamente, aveva scoperto essere la presidente del club di pallavolo delle superiori. Era andato per filmare dei piccoli gufi appena nati e, arrampicandosi, aveva visto le due darsi da fare su una panchina; non era il tipo di spettacolo che gli interessava, ma aveva odorato la possibilità di un ricatto e non se l’era fatta sfuggire. Aveva odorato bene, Ashley Prym era una cheerleader e se anche solo qualcuno avesse saputo, la sua vita sarebbe diventata un inferno.
“Voglio delle rassicurazioni”.
“Quelle fattele dare dalla tua fidanzata” la deride.
“Non capisco cosa tu voglia” fa lei incrociando le braccia e accedendo una sigaretta, per darsi un’aria da adulta.
“Non deve essere di tuo interesse. Se ti chiedo un favore semplicemente accontentami, fai la brava e nessuno saprà niente” sta solo cercando di costruirsi un personaggio come fanno tutti. Ha sempre saputo di essere un fico, ma l’ultimo anno di scuola gli ha fatto capire che lavorando sulla sua forma fisica e studiando, può essere ancora più fico.
Ha avuto una visione: lui, il ragazzo più popolare di tutta South Park, quello che tutti vogliono frequentare, quello che quando parla fa ridere tutti, quello che prende voti eccellenti e non è considerato un nerd e - soprattutto - quello che Kyle nota.
Trova fondamentale avere le giuste conoscenze e sa che quello è un pezzo importante del suo puzzle, perché - a quanto pare - Ashley è diventata una delle ragazze più popolari della scuola e può esserne certo perché altrimenti non uscirebbe con Candance Barry e Patricia Frigg - anche loro cheerleader- che sono tra le ragazze più belle di East Park.
Per evitare che ancora lei gli parli, ritorna dal gruppo, dove Candance sta intrattenendo tra un tiro di sigaretta e un sorso di birra.
“Avete presente il generale Hartmann di Full Metal Jacket? Ecco, il signor Foster di educazione fisica è tale quale. Un vero stronzo, se fai cinque minuti di ritardo ti spedisce a fare dieci giri di corsa fuori, al freddo. Non gliene frega niente se nevica. Ma proprio perché è così severo che la nostra squadra di football è andata al campionato regionale, ci siamo classificati secondi, non è come vincere, ma è buon risultato” e si ferma per bere, lasciando tacitamente la parola a Patricia che dopo una lattina di birra persino quel Butters non è più motivo di imbarazzo per lei.
“Alla fine però è un bravo insegnante. La peggiore secondo me è la McDaniels, era il sindaco di South Park fino allo scorso anno no?” domanda retoricamente, tanto per far capire che lei conosce le persone di South Park anche se vive nella parte est di County Park. “Insomma insegna Diritto ed è acida da morire, perché è una zitella e le rode il culo perché non ha più lo stipendio da sindaco. Si dà tante arie per esser stata sindaco in tanti anni e pretende che alle interrogazioni si sappia tutto a memoria. La media dei suoi voti è infatti C”.
“Patricia parli così perché non sei nel corso della signora DeLorne” interviene Candance riportando gli occhi a se, anche se quelli di Kenny non si sono mai staccati da lei e pensa di creare un fan club sulle sue tette.
“Ragazzi, non entrate nel corso di francese, davvero. Io sono predisposta per il francese, quindi non ho considerato assolutamente il corso di spagnolo, ma mi pento ogni giorno di essermi iscritta. La DeLorne è la peggiore insegnante che ho conosciuto, si presenta simpatica e carina, sorride sempre, vuole fare l’amica, ma poi ci carica di compiti, fa domande davvero impossibili ai test che sono tutti a sorpresa, inoltre se non padroneggi l’accento francese ti mette l’insufficienza, se ritardi a lezione ti da compiti in più ed è convintissima che la sua sia la materia più importante del mondo. Sempre a parlare della Francia, di Parigi, di quanto l’inglese sia una lingua volgare... ma perché non se ne ritorna in Francia, dico io!”.
Butters è preoccupatissimo, se avesse un quaderno per gli appunti si segnerebbe a quali corsi iscriversi e a quali no.
Kenny è annoiato, ma cerca di mostrarsi interessato aspettando un premio.
Eric invece è seccato come non mai: “io mi sono rotto le palle, me ne vado a casa”.
Tutti si voltano e Candance e Patricia guardano Ashley dietro di lui, chiedendosi cosa può esser andato storto. Ashley ha paura dei loro giudizi e velocissima inventa la bugia migliore, correndo a sussurrarla all’orecchio dell’amica bionda: “È il suo modo di fare, mi accompagna a casa. Domani ti racconto” e cerca di sembrare entusiasta, seguendolo.
“Che stai facendo?” domanda Eric qualche metro dopo, notandola al suo fianco.
“Ufficialmente mi stai accompagnando a casa”.
“Io non ti accompagno da nessuna parte”.
“E io non voglio che tu mi accompagni da nessuna parte. Cerchi della fama, no?” non è stupida, può immaginarlo bene da sola, anche se lui provasse a negare “ti sto dando l’occasione per dire che hai avuto la miglior pomiciata della tua vita”.
Eric si volta e incrociando le braccia davanti al petto la squadra: “vorresti poterlo dire tu alle tue amiche, piuttosto”.
“Guarda che io sono una che conta a scuola, due tizi hanno fatto a pugni per uscire con me quest’anno” si vanta sentendosi donna, nonostante abbia quindici anni e conosca così poco del mondo da far ridere un diciottenne.
“La versione ufficiale sarà che ti ho mollato perché durante il tragitto di casa ho scoperto che sei una rompicoglioni. Ma tu dì pure alle tue amiche della tua fantastica pomiciata e che ti ho lasciato perché... volevamo cose diverse” è gentile da parte sua, quindi spera che si tolga dai piedi e lo lasci solo, solo con i suoi pensieri e con quell’opprimente sensazione di vuoto e nostalgia per qualcosa che, in fondo, non ha.
*
“Ehi Kyle!”.
Non appena il rosso vede davanti a se Lola sorride pensando che quelli sono giorni fortunati.
Cartman sta mantenendo fede alla sua promessa, lui non ha avuto sogni recenti, con Stan hanno fatto la lista delle cose che vorrebbero fare insieme prima di separarsi, in pochi giorni sono arrivati quasi a metà lista divertendosi alla grande e adesso ha avuto un incontro occasionale con Lola.
“Ciao Lola. Come... come stai?”.
“Benissimo, tu?”.
“Anch’io” sorride, è contento che il loro rapporto sia diventato più stretto.
Lola è carina, molto carina, molti ragazzi lo invidierebbero, Kenny per esempio lo invidia ma lo incoraggia anche, con confidenze inopportune, ma è il suo modo di fare, lo sa.
Da quando hanno scoperto di avere una passione in comune per Tolkien ed i videogames parlano spesso, hanno conversazioni via chat divertenti, hanno un generoso scambio di tag in post o immagini su Facebook e sembra così strano a lui che una ragazza tanto carina, che alle elementari era nelle cheerleader, possa avere un tale spirito nerd.
In realtà anche Nichole e Wendy sono proprio come Lola, per questo la loro amicizia è sempre più stretta, con la differenza che Nichole e Wendy sono state cheerleader anche alle scuole medie e, sotto certi aspetti, sono anche più nerd di Lola, ma a ciò Kyle non viene proprio in mente, non l’ha notato. Per lui Lola è la ragazza perfetta, anche se non sa in che senso interpretare il suo stesso pensiero.
“Ho finalmente visto la prima stagione di True Blood, come mi hai consigliato” fa sperando di colpirla e di fermarla abbastanza a lungo per poter parlare ancora con lei. Stan non si offenderà se farà tardi per andare al cinema, dopotutto hanno deciso di incontrarsi un’ora prima dello spettacolo e non c’è alcun rischio che lo perdano.
“Fantastico! E dimmi... ti piace?”.
“Devo dire che sì, mi è piaciuta molto e in qualche frangente mi ha ricordato American Horror Story”.
“Segui anche quello show? È uno dei miei preferiti!”.
“L’ho notato. Insomma... ho visto che condividi parecchi link di Coven”.
“Ultimamente sono ispirata da serie horror” confessa senza malizia, ma diventando così agli occhi di Kyle sempre più interessante. Kyle ama gli horror, nonostante la sua personalità adora le storie horror e film splatter lo divertono tantissimo, al contrario degli altri suoi amici, eccetto Cartman.
Hanno imparato a sopportarsi un po’ di più e ad andare d’accordo in quei momenti, nessuno di loro vorrebbe andare al cinema da solo o perdersi un film di quel genere.
“Anch’io amo tanto l’horror. In particolare se c’è sangue”.
“Non sono una grande fan degli splatter, ma li sopporto” e a queste parole Kyle appunta mentalmente di non mostrare il suo lato fanatico verso il genere, non vorrebbe che Lola si facesse un’idea sbagliata di lui.
“Però Kyle, se ti piace il genere suppongo tu veda Supernatural”.
“Confesso che lo seguo, anche se non sono un grande fan”.
“Wow! Sei il primo ragazzo che sento segue Supernatural. Frequento le pagine ed i forum dedicati alla serie e non mi è mai capitato di vedere un ragazzo che ne è fan o che ammette di averlo visto” gli occhi le brillano dall’emozione e Kyle sorride, contento di averla colpita di nuovo in positivo.
“Rimanga un segreto tra noi però” fa lui, come se parlasse di uno show vietato ai ragazzi.
“Condividiamo un segreto. Forte!” anche se il più emozionato dei due è lui, cerca solo di non dimostrarlo.
“Lo sai che al Comicon di Denver ci sarà Misha Collins?”.
“Oh, davvero?”.
“Sì! Castiel è il mio personaggio preferito, quindi spero proprio di incontrarlo”.
“Quindi andrai anche tu al Comicon di Denver...”.
E Kyle realizza in quel momento cosa ciò significhi: Lola andrà al Comicon, forse da sola, mentre lui è rassegnato ad andare con Cartman. Ma anche no. Potrebbe chiedere di andare insieme, non sarebbe come un appuntamento, ma allo stesso tempo un po’ lo sarebbe e potrebbe esser divertente, magari loro potrebbero...
“Oh scusa, il cellulare!” Lola prende dalla tasca dei jeans il cellulare che sta vibrando e risponde, ignorandolo.
Tempismo perfetto.
Non sa che qualcun altro sta conquistando un tempismo perfetto, e non ironicamente, comparendo da dietro le sue spalle.
“Kaaahl, cercavo proprio te, che coincidenza!” sussulta alla voce di Cartman che gli porta un braccio intorno al collo con fin troppa confidenza e proprio quando Lola ha concluso la sua chiamata.
“Ciao Cartman”.
“Ciao Lola” non si sforza a non apparire seccato, ma la ragazza neanche lo nota.
“Jenny mi faceva notare che sono in ritardo. Devo scappare. Ci sentiamo, buon proseguimento ragazzi” saluta educatamente, infrangendo le speranze di Kyle che sa, non riuscirà mai a chiederle di uscire in chat.
Ma il suo problema ora è un altro e gli è fin troppo attaccato.
“Cartman, lasciami!” si divincola, portandosi a una distanza di sicurezza.
“Avevi promesso che ti saresti comportato bene!”.
“Perché, che ho fatto?”.
“Mi hai visto con Lola e hai pensato di rovinare il momento!” lo accusa ingiustamente. In realtà, sì, l’avrebbe fatto, ed era quella l’intenzione, ma in realtà era lì perché l’aveva visto passare davanti casa sua, cento metri prima di dove erano.
“Ma se ha fatto tutto da sola?”.
“Perché ti ha visto!”.
“Ha detto che era in ritardo”.
“Era una scusa”.
“E perché avrei dovuto farlo?” non è intenzione di Cartman metterlo in difficoltà in quel momento, non vuole litigare con lui, ha una cosa seria da chiedergli ed è nervoso, quindi lascia a lui mettersi in difficoltà da solo, se proprio lo desidera.
In un certo senso Kyle si frega da solo, arrossisce e si rende conto di aver effettivamente esagerato.
Perché dovrebbe farlo? Perché è un coglione a cui piace dar fastidio al prossimo? Non è abbastanza convincente.
Il motivo è lì, sotto la coperta della sua coscienza, egocentrico ed imbarazzante, un desiderio più che una ragione valida.
Gelosia è il suo nome, ma Kyle la ignora, perché non c’è nulla di razionale nel pensare che Cartman sia intervenuto perché geloso: lui ha qualche ragazza con cui uscire.
“Va bene. Cosa vuoi allora? Ma sappi che non posso stare dietro a te oggi, sto andando da Stan”.
“...al cinema lo so. Grazie mille per l’invito” tenta di farlo sentire in colpa.
“Ehi, a te non piacciono i film d’animazione della Dreamworks” e dentro di se spera che non troverà il modo di aggregarsi a loro.
“Sì, infatti. Ringraziavo solo per avermi pensato”.
“Andiamo, non fare il coglione!”.
“Avete invitato Kenny, che sapete non può venire perché è un poveraccio, e non me. Me l’ha detto lui, altrimenti non lo sapevo”.
“Vuoi farne una questione di stato? Sei qui per farti invitare?” ...no, spera solo si senta sufficientemente stronzo.
“No, perché non mi interessa. Andate e divertitevi”, suona strano alle orecchie di Kyle, ma è sincero.
“Volevo... ecco...” diventa scioccamente difficile per Eric dire la cosa più semplice; “sai dopodomani che giorno è?”.
Kyle riflette per un attimo “il primo Luglio” e poi realizza. Una valanga di pensieri lo tocca.
“Senti, io non so organizzare feste né fare torte di compleanno, ho anche dato fondo ai miei risparmi per andare offrirti la cena l’altra sera, quindi non avere la brillante idea di strani obblighi che non posso, neanche se volessi, concretizzare”.
Ad Eric tante volte fa ridere il modo in cui Kyle arriva alle conclusioni.
Avrebbe potuto chiedere un obbligo simile, è vero, ma il pensiero non l’aveva sfiorato in realtà.
“...a cena” borbotta mettendo a tacere Kyle, senza guardarlo.
“Come?”.
“Voglio andare a cena al King’s Castle” il posto si trova a North Park, è un ristorante particolarmente costoso e ha piatti di carne prelibati nel menù, tipici delle varie cucine europee e il posto è molto suggestivo: un piccolo castello con arredamento e decori in stile medievale europeo e l’estate è possibile pranzare e cenare sulla torretta di questo castello, ammirando la boscaglia intorno, dal momento che si trova nella parte più selvaggia di County Park.
“Cartman ti ho detto che non ho...”.
“Ovviamente offrirò io la cena, altrimenti dovrei accontentarmi di mangiare ben poco e star te a vedere che mangi insalata o qualcosa che faccia notare quanto sei tirchio” dice tutto d’un fiato tenendo lo sguardo basso. Si sente più tranquillo e sfacciato in questo modo.
“Eh? Non farai la tua solita festa in cui inviti tutta South Park per avere più regali possibili?”.
“No”.
“No? Perché?”.
“Non... non mi interessa” ed è vero, ma non vuole svelarsi di più.
“E hai pensato ad una cena con noi due soltanto? Perché non hai invitato anche gli altri?”.
“Perché non sono ricco quanto Token”.
“Ma perché io?”.
Potrebbe inventare tante scuse, tipo che Kenny lo farebbe vergognare perché non avrebbe un abito decente, che teme Stan vomiti per tanto lusso e che Butters... sarebbe noiosamente Butters. Potrebbe, ma non lo fa.
“Perché... penso sia divertente”.
“Con me?”.
“Sì ebreo, con te! Ed è un obbligo, quindi non fare tante storie e, piuttosto, dovresti essermi grato” si scalda, i suoi nervi sono a fior di pelle e potrebbe fare un buco in un tronco se lo prendesse a pugni, tanta è la forza che sta conservando stringendo i pugni nelle tasche.
“E dov’è la fregatura di questa penitenza?”.
“Non c’è alcuna fregatura e dovresti piuttosto considerarla una grande concessione, un regalo!”.
“Allora vai con la tua ragazza!” esclama esasperato Kyle che non vuole rimaner invischiato in uno dei giochetti di Cartman.
“Quale ragazza?”.
“Come quale?”.
“Non è la mia ragazza, idiota! Quella lì è una rompicoglioni e l’altra sera ho voluto solo fare un favore a Kenny e a Butters uscendoci. Infatti poi me ne sono andato perché mi stavo annoiando a morte”.
Kyle non ascolta l’ultima parte del discorso, l’altruismo e Cartman non vanno d’accordo, quindi si rifiuta d’aver capito, ma è sorpreso del fatto che nonostante tutto Cartman non abbia approfittato della situazione.
“Non è la tua ragazza?”.
“No, non lo è”.
Kyle sorride. Non sa perché sorrida, ma non riesce a trattenersi.
“P-perché sorridi?”.
“Perché sei assurdo” scuote il capo non mutando espressione “piaci ad una ragazza carina e, nel momento in cui dovresti davvero approfittare di un’occasione, non lo fai”.
Eric lo sa che inutile ragionare con Kyle.
Non importa quante volte gli abbia fatto capire di essere innamorato di lui - non invaghito, non infatuato, innamorato -, Kyle non capirà, non lo capirà mai o forse non vuole capirlo. Kyle è intelligente però, quindi è propenso per l’idea che non vuole capirlo e lui.... lui non vuole saperlo il perché.
“Perché è molto più divertente uscire con una ragazza nerd che ha la sabbia nella vagina”.
Stavolta Kyle non risponde con rabbia, anzi, non risponde proprio.
Qualcosa ha solleticato il suo stomaco, una piacevole sensazione fresca... e poi ha avuto un brivido.
Lo sa che Cartman lo sta prendendo per il culo, quindi dovrebbe trovare una risposta appropriata e sforzandosi borbotta solo “fa come vuoi Culone, il compleanno è il tuo”.
“Certo che faccio come voglio e - ricorda - è un obbligo”.
“Va bene, va bene, non essere noioso” alza gli occhi al cielo, come infastidito. Ci sono delle grandi nuvole bianche in cielo e sembrano così vicine, o forse è la terra che è più vicina al cielo?
“Vuoi... venire al cinema con me e Stan?”.
Chi dei due è più sorpreso per la domanda di Kyle è difficile da poter capire.
“Al cinema con te e il tuo fidanzato a vedere un film d’animazione? No grazie. Non mi permetterei mai di rovinare l’appuntamento della mia coppia preferita; vi ho anche trovato un nome: Style. Suona anche più gay di voi” è appurato che certe battute gli riescano bene quando è di buon umore.
Ha ragioni valide per esser di buon umore, non sente più quella spiacevole sensazione di vuoto.
Kyle si pente della sua gentilezza, anzi, si vergogna di essa e gira i tacchi, camminando in modo buffo verso casa Marsh e alzando il dito medio si congeda nel modo migliore che possa: “fottiti!”.
“Preferirei fottere te, tesoro!” e se la ride, perché Kyle sembra che cammini con un palo ficcano ne l’ano. Succede ogni volta che se ne va incazzato, non si rende conto di quanto sia spassoso per chi lo guarda; ed è proprio quando Kyle dà spettacolo dei suoi difetti e si ritrova a trovarli meravigliosi, è proprio in quel frangente che Eric si rende conto di quanto folle sia il suo amore per Kyle.
Ho gli occhi che fanno fatica a rimanere aperti, spero d’aver fatto una buona rilettura e se c’è qualcosa che non va, segnalatemelo.
Il capitolo è stato lungo per compensare la vostra attesa e perché Eric e Kyle mi hanno particolarmente ispirata nei loro scambi che, qui, si svolgono tutti nel mese di Giugno: nel prossimo capitolo, ci troveremo invece a seguire le loro vicende partendo dal compleanno di Eric.
Chiedo perdono a chi, dall’inizio, ho tratto in inganno suggerendo tutt’altro tipo di situazione, ma quando ho iniziato a scrivere mi è sembrato tutto così equivoco che... ho deciso di incoraggiare l’idea. Le sorprese nel loro rapporto di certo non mancheranno, ma molte cose non sono esattamente come sembrano.
Ringrazio a tutti coloro che hanno letto, al prossimo aggiornamento!
[1] Rivista mensile americana dedicata ai videogames .
[2] Riferimento al decimo episodio della sedicesima stagione.
[3] I mariachi sono gruppi musicali messicani, tipici della parte est del Messico.
[4] Piatto tipico della cucina messicana, piccante, di cui potete trovare la ricetta qui.
[5] Altro piatto tipico della cucina messicana, di cui potete trovare qui la ricetta.
[6] Dal momento che Kenny e la sua famiglia vivono grazie alla provvidenza sociale, Eric ha chiamato in passato Kenny “Wellfare”.
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Capitolo 6 *** You bought a star, because your life is dark. ***
You bought a star, because your life is dark.
Questo è un capitolo speciale, è il capitolo dedicato
interamente al compleanno di Eric, che pubblico proprio il giorno del
compleanno di Eric.
Dovevo pubblicarlo per il compleanno di Kyle, ma ho deciso di aspettare
e ampliare, perché originariamente la famosa cena della
scommessa doveva esser molto più breve, unita ad altri eventi,
invece ho ampliato per permettere di aprire la sottotrama dedicata a
Supernatural (serie che era stata nominata per caso nei capitoli
precedenti, e ora che è diventata una nuova ossessione per me
sono contentissima di averla citata, perché porterà a
risvolti importanti), per donare una scena fluff, ma - soprattutto -
per entrare ancor di più nella mente e nel cuore di entrambi,
districando i fili della loro complessa rete di pensieri ed emozioni.
Spero di aver occasione di aggiornare presto il nuovo capitolo, anche
perché - forse - potreste rimaner delusi dalla lunghezza di
questo dopo aver tanto atteso.
Il titolo è preso da una canzone che amo e che trovo particolarmente adatta al Kyman, Buy the stars di Marina & the Diamond.
Che altro dire? Lasciatemi sapere le vostre opinioni e critiche, auguro
a tutti una felice estate, e ai maturandi faccio le mie
congratulazioni, dando appoggio agli sfortunati che ancora devono
sostere l'orale: resistete!
You bought a star, because
your life is dark.
Sono sulla torretta di un finto
castello, hanno abbastanza privacy, circondati da finte torce per far luce al
loro tavolo che - ciliegina sulla torta -
ha un candelabro ad illuminare i loro piatti ancora vuoti.
Sopra le loro teste la luna è quasi piena e il cielo è così limpido da
permettere a tutti di vedere un incredibile panorama stellare.
Kyle non è molto elegante, ma indubbiamente affascinante: non ha il cappello,
ma ha indossato i suoi migliori jeans e la sua miglior giacca, blu, che copre
una camicia candida.
Eric è quello elegante, in fondo è il suo compleanno. Per l’occasione ha deciso
di scoprire la fronte fissando col gel i capelli all’indietro, vestendo con un
completo nuovo, nero, di quelli che non si indossano mai perché sembrano
perfetti solo per le grandi occasioni, tipo i matrimoni. Spezza l’eleganza solo
la camicia bianca, più informale perché sbottonata al collo e di un tessuto più
leggero.
Kyle guarda il menù e a sottecchi guarda Cartman, ha un’espressione così seria
mentre legge il menù, non dimostra quindici anni - nonostante i lineamenti
ancora infantili - sembra proprio un piccolo uomo. Non lo sorprende se le ragazze
delle scuole superiori provano dell’interesse per lui, se avesse qualche chilo
in meno ed un carattere migliore è sicuro risulterebbe più popolare di Kenny.
Non è più grasso, ha una corporatura interessante.
Non è sempre una faccia di schiaffi, così guardarlo non sempre è noioso.
Non è più un bambino e può fare su di lui pensieri adulti.
In questo filo di riflessioni Kyle si rende conto però che c’è qualcosa che
suona strano, qualcosa che si conclude con un improvviso bruciore alla guance
che, sbrigativamente, gli fa portare lo sguardo sulla carta del menù e pensa a
se stesso come un imbecille.
È tutta colpa di Cartman, ogni cosa
è predisposta a far pensare quella cena non come una semplice festicciola tra
amici, ma come un... sì... insomma... inutile girarci intorno: come un
appuntamento galante. Manca solo l’indiano che vende le rose.
“Hai visto qualcosa di divertente?”.
Kyle risolleva lo sguardo, Cartman ha ancora gli occhi puntati sul menù.
“Cosa?”.
“C’è qualcosa di divertente sulla mia faccia?” chiude il menù e guarda serio
Kyle “ho forse dei disegnini di Terrance e Philp?”.
“Sei impazzito?” gli chiede agitato, facendo solo che accennare un sorriso ad
Eric.
“Non sono io quello che sorride come un ebete mentre mi guarda. Forse però
dovrei andare a specchiarmi”.
Kyle si sente morire, come se l’avessero colpito sulla nuca con una mazza
chiodata, è qualcosa di tanto inaspettato che non sa cosa rispondere.
Rimane in silenzio, a cuocere in un vistoso imbarazzo che Eric trova si intoni
ai suoi capelli, finalmente liberi da quel detestabile ushanka.
“Sai Cartman” qualsiasi cosa dica non sarà credibile “le persone normalmente pensano”.
“Giusta osservazione” lo sfotte, ma non così tanto da mandare su tutte le furie
Kyle.
“E su cosa filosofeggiavi Ayn Rand[1]?”.
Kyle vuole obbiettare facendo notare che Ayn Rand è una donna, ma si ferma, sa
già che questo darebbe il via ad una serie di battutine sulla sua vagina. O
meglio, la vagina che Cartman crede ci sia sotto i pantaloni di Kyle.
Cartman è convinto di sentire un commento acido sul fatto che Ayn Rand è una
donna, ma è convinto di sorprenderlo: invece di fargli battute sulla sua vagina
è pronto a dire che quello è un complimento, in quanto apprezza qualsiasi
sostenitore dell’individualismo, anche se ebreo.
Si sorprendono entrambi però nel momento in cui Kyle decide di ignorare il suo
commento.
“Filosofeggiavo sul fatto che tutta questa situazione è ridicola. Hai sprecato un
obbligo per offrirmi la cena”.
“Faccio quel che voglio dei miei obblighi, Kahl”.
“Stai macchinando qualcosa”.
“Oddio...” sospira portando gli occhi al cielo “...il bicarbonato Kyle”.
“Eh?” cade nella sua trappola come tutte le volte.
“Non te l’hanno mai detto che quando la tua vagina è irritata devi usare il
bicarbonato?”.
Kyle ne avrebbe di risposte acide da dare, ma un cameriere si avvicina e chiede
se hanno deciso per le ordinazioni. Ovviamente Cartman sì, ed inizia il suo
lungo ordine risultando irritante.
Kyle lo guarda con fare altezzoso, è un idiota ed è l’unica cosa che riesce a
pensare ossessivamente vedendolo.
Idiota, idiota, idiota... perché lo
mette in imbarazzo, perché è uno stronzo, perché rovina qualsiasi momento di
calma, perché è snervante, perché sta ordinando per se l’equivalente di una
cena per quattro persone, perché... è assolutamente irrazionale ed infantile!
Potrebbe essere un ragazzo rispettabile, ha potenziale, molto - a volte anche
troppo per Kyle - e mai che lo sfrutti. Vorrebbe capire, ma non capisce, come
non comprende perché sia diventato così familiare al suo inconscio.
Pensa siano gli ormoni, non trova altra spiegazione, perché non sa neanche per
quale motivo lo guarda intensamente mentre dice idiozie al cameriere, trova
però piacevole vederlo esprimersi con serenità e pensa che sarebbe fantastico
se fosse sempre così, così... normale.
Fantastico? ...aspetta, forse ha
usato troppo entusiasmo! Non è il termine giusto, il termine giusto sarebbe...
sarebbe...
“Cosa desideri ordinare?”.
Il termine giusto per non risultare
entusiasta.
Guarda nel panico il menù e poi guarda
il cameriere, totalmente disorientato.
“Posso consigliarti come primo piatto delle fettuccine con funghi, come secondo
una nostra specialità, filetto di cervo e mirtilli, accompagnato come contorno
da un purè di patate o un’insalata. Ti consiglio particolarmente quella al
radicchio”.
Tutto molto europeo, sono cibi e sapori che non sa se può gradire, ma non è
nella facoltà di contrariare il cameriere o scegliere qualcosa di diverso.
“Va... va bene” mormora simulando entusiasmo, forzando un sorriso.
“Purè o insalata per contorno?”.
“Vada per l’insalata che mi ha consigliato”.
Eric lo guarda come fosse un alieno. Insalata?
Sul serio?
Però è molto da Kyle e questo lo fa sorridere: Kyle è sempre fedele a se
stesso, è una caratteristica dell’ebreo che lo fa sentire bene, lo mette a suo
agio e nutre costantemente il suo sentimento.
“Alla fine l’insalata c’è sempre”.
“Che vuoi dire?”.
“Che sei tale a quale ad un criceto, proprio come quelli che piacciono a
Craig”.
“Porcellini d’India” lo corregge.
“Sei un porcellino d’India Kahl?”.
“Intendevo che sono i porcellini d’India che piacciono a Craig”.
“Criceti, porcellini d’India... che differenza! Ma tu non piaci comunque a
Craig”.
“Non è vero! Perché dovrei non piacergli?” ad Eric piace il modo in cui
aggrotta la fronte in segno d’irritazione, gli piace la linea delle sopraccigli
in quel momento e gli piace il modo in cui lo guarda, i suoi occhi verdi sembrano
diversi quando si arrabbia, sa che è solo un gioco della sua mente, ma gli
piace pensare che dal verde intenso, diventino più chiari, come l’erba baciata
dal sole; si, ad Eric piace pensare che il suo modo di prenderlo in giro lo
illumini.
“Kahl, stiamo parlando di Craig: a lui non piace nessuno. Fa eccezione Token,
perché è ricco, Tweek perché con i suoi disturbi gli fa credere di essere meno
strambo e Clyde perché... beh, da quando l’ho paragonato a lui, sta cercando di
vedere del positivo per non sentirsi un totale coglione. Forse ha anche una
cotta per Clyde, anzi, sicuramente”.
Kyle riflette su quello che ha detto, può sembrare un po’ crudele, ma non pensa
che sia un profilo sbagliato.
“Forse hai ragione”.
“Così mi deludi, tesoro” lo canzona derisorio. Kyle cerca di ignorare
quell’inopportuno tesoro, ricordando
che è solo uno dei tanti modi per irritarlo e per aver nuovi spunti per
prenderlo in giro.
“Forse avrai anche ragione su Craig, ma io mi preoccuperei di te stesso,
piuttosto che pensare agli altri”.
“Ma io mi preoccupo sempre per me stesso”.
“Sì, certo, nel modo più nocivo”.
“Sei solo invidioso perché sono fico”.
“Non sei fico! Tutti ti odiano!” non dovrebbe - e non vorrebbe - dire una cosa
simile proprio il giorno del compleanno del Culone, ma non la sua affermazione
non è volta ad offendere, piuttosto a farlo scendere dal suo Olimpo di
autocompiacimento.
“Non è vero, e lo sai. Devo presentarti qualche ragazza per ricordartelo?”
ghigna, sapendo d’aver il coltello dalla parte del manico.
“Lo farei, credimi, ma non potrei perdonarmi poi delle conseguenze per il
povero Stan. No, non farei mai qualcosa di tanto crudele a Stan” e Kyle sta per
dire qualcosa in proposito, ma si ricorda del discorsetto sullo Style fatto da Eric.
Se solo sapesse che ha preparato una t-shirts con su scritto I’m in love with Style... ma i tempi non
sono ancora maturi perché l’ebreo ne venga a conoscenza.
“Cartman, io ti odio!” scandisce acido, non toccando minimamente Eric.
“Anch’io ti odio ebreo. Come diresti tu, con
tutto il mio cuore” si morde l’interno della guancia per non scoppiare in
una sonora risata. Col cuore, certo, l’organo che per eccellenza secondo la
letteratura e la filosofia, è la culla di sentimenti romantici.
Eric, a differenza di Kyle, non ha problemi a dirlo sapendo il suo reale
significato; a Kyle appartiene già il suo cuore, il suo cervello, le sue
viscere e soprattutto, nel concreto, uno dei suoi reni. Vorrebbe tanto che gli
appartenesse concretamente anche il suo prezioso amichetto tra le gambe, è
convinto che a Kyle non dispiacerebbe fare la sua conoscenza, sarebbe
disgustato all’inizio, farebbe l’acido, ma poi gli piacerebbe, eccome...
Fortunatamente arriva il cameriere con le bevande a spezzare l’incanto, o
avrebbe rischiato di perdersi in fantasie impronunciabili sulle mani, la bocca
e - soprattutto - sul bel culetto di Kyle. C’è tempo e luogo per ogni cosa, ma
non è quello il momento. Ha un dibattito da vincere, dopo un bel bicchiere di
Coca Cola.
“Non c’è solo odio tra noi Kyle, e lo sai. Non saremmo qui altrimenti” gli fa
notare con molta calma, mettendo maleducatamente i gomiti sul tavolo e facendo
incrociare la mani, che diventano un morbido appoggio per il mento.
“Ah sì? E io che pensavo fossimo qui proprio per questo, per i tuoi stupidi
obblighi”.
“Andiamo Kahl, fare l’idiota in questo modo non ti si addice. Ci conosciamo da
sempre e da sempre condividiamo un sacco di merda e di stronzate e cose che
vorremmo non ricordare, eppure... sei qui, siamo qui e - nonostante detestiamo
ammetterlo - ci divertiamo insieme. Abbiamo bisogno di queste stronzate,
entrambi, è... quasi un bisogno affettivo e... no, non fare quella faccia,
siamo soli dopotutto, perché non essere onesti? Noi andiamo d’accordo, e le
cose funzionano tra noi perché soddisfiamo i nostri peggiori bisogni quando
siamo insieme. Ci capiamo, la cosa funziona odiandoci cordialmente e...
nascondendo - anche piuttosto male - che c’è dell’altro”.
Non c’è ironia neanche sulla punta della sua lingua; nessun veleno, nessuna
presa in giro, gli occhi non ricordano neanche quelli di un rettile, le fiamme
del candelabro mostrano uno sguardo che non nasconde nulla, sono del colore e
della dolcezza del miele e sono persi nella contemplazione di Kyle.
È quello il vero Eric Cartman?
È la persona che lo sta guardando in quel modo imbarazzante, che lo fa sentire
nudo e fragile?
...Se solo fosse vero...
Ha una postura composta Kyle e il suo volto, dopo aver lanciato un’occhiata
severa a Cartman, non ha più tradito alcuna emozione.
La schiena aderisce perfettamente allo schienale, il suo corpo tiene una certa
distanza dal tavolo, può tranquillamente incrociare le braccia (per nascondere
i movimenti nervosi delle dita), e sembrare calmo, sembrare indifferente.
Anni di guerra aperta con Cartman gli hanno insegnato a difendersi, ad
indossare maschere.
Ma oltre le barricate di fredda indifferenza c’è il terremoto, c’è un mondo di
fiumi di lava che si scontrano, ardono, si sciolgono e aspettano solo di uscire
dal cono vulcanico, esplodere, toccando il cielo.
Il Cartman che ha davanti è sincero? Oh, nessuno meglio di Kyle lo sa, Cartman
è il libro aperto, pieno di sottolineature, note al margine, pagine ingiallite,
il libro aperto della materia che più odia e in cui va maledettamente bene, promosso
a pieni voti.
Il Cartman davanti a lui è sincero, per questo gli fa paura e per questo fugge
dal discorso.
“Va bene, ho capito, niente convenevoli: passiamo ai fatti!”.
‘La parte in cui io e te facciamo sesso
selvaggio in bagno?’ perché questi sono i fatti, no? E ad Eric collassa la
mascella al pensiero. Si illude, sa di illudersi, ma ne ha bisogno, sempre,
perché i suoi sentimenti sono difficili da gestire.
Fortuna vuole che prima che il suo pensiero corra ai dettagli di un Kyle senza
vestiti, il protagonista dei suoi filmini mentali (e, incredibilmente, non
sempre porno!) lo stupisce tirando fuori un pacco regalo. La mascella è ancora
debole.
“Mi hai fatto un regalo?”.
“Non fingere di essere stupito. Te lo aspettavi in fondo”.
“In realtà no”, ma proprio no.
Carta lucida rossa, una piccola coccarda blu, dimensioni rettangolari, Eric tra
le mani studia il pacco, cercando di indovinare prima di scoprire. Ha le
dimensioni di una scatola di scarpe, ma non sono scarpe, è più leggero. Una
qualche edizione speciale di un videogame o DVD? No, non gli farebbe mai un
regalo tanto costoso, né che lo renderebbe tanto felice. Potrebbe essere un
libro, è un dono che si addice al suo profilo, alla sua supponenza, ma il peso
non corrisponde neanche questa volta. Lo rigira ancora tra le mani, ma nulla
gli sembra plausibile e si arrende dunque al lasciarsi sorprendere: spera solo
che Kyle lo abbia sorpreso in positivo.
Bastano tre strappi, senza alcuna cortesia, perché quegli occhi si illuminino
di stupore: sono delle cuffie, non cuffie qualsiasi, delle cuffie di cui aveva
parlato mesi prima, che desiderava tanto per il loro design - Kyle ne ha scelte
un paio a tema ‘sistema solare’- e per la riproduzione del suono. Può usarle
per il lettore musicale e per il pc, può star sicuro che non si guastino
facilmente i cavi, può usarle contro il freddo al posto del cappello tanto sono
spesse e comode; Eric non le aveva comprate prima perché nessun colore lo aveva
soddisfatto, ma il design scelto da Kyle con quella scala di blu, è meglio di
quel potesse chiedere.
“Cavoli ebreo, credo proprio che devo ringraziarti”.
“Potresti farlo semplicemente non chiamandomi ebreo”.
“Non potrei mai, ti sta troppo bene come soprannome”, ma con quelle parole non
vuole provocarlo, è il suo modo di essere affettuoso e Kyle lo sa, per tanto
non risponde. Lo sguardo avido sulle confezione, labbra ed occhi che sorridono,
sono il chiaro segno di un regalo più che apprezzato; di norma Eric si sarebbe
comportato fingendo di non gradire, ma se non provava neanche a recitare il
ruolo dell’insoddisfatto qualcosa doveva significare e Kyle può gongolare
interiormente per esser riuscito a comprare il suo buonumore e assicurarsi un
docile e poco irritante Eric Cartman, il quale - trascinato dall’entusiasmo -
intraprende la lettura tutte le funzioni extra delle cuffie, mentre Kyle ripete
ad ogni fine frase “lo so”.
Prima di comprare un regalo Kyle si fa sempre lo scrupolo di informarsi su ogni
caratteristica dell’oggetto in dono, è nella sua natura di secchione e pignolo,
è il suo modo di dimostrare prima a se stesso (e poi agli altri) quanto sa
essere un buon amico. Sì, si può dire che è una forma di vanità la sua.
L’entusiasmo di Eric per le cuffie viene frenato da un nuovo entusiasmo, l’arrivo
dei primi piatti, fettuccine con funghi per Kyle e fettuccine anche per Eric,
ma al sugo, con carne di cinghiale; e altri due primi piatti lo attendono,
perché ha voluto fare le cose in grande e non deve salvare spazio per il dolce.
Liane ha preparato una torta per lui iniziata a colazione, con lei, e per Eric
è la torta più buona del mondo e non
vuole tradirla con altri dolci. Dopotutto il suo dessert è Kyle.
Per il resto della cena, tra commenti gastronomici e le classiche battute al vetriolo,
nessun conflitto, nessun imbarazzo si palesa e questo scalda il petto di Eric
che può godere dei vari aspetti di un Kyle rilassato, totalmente rilassato,
quel Kyle che non si concede quasi mai a lui e che sogna costantemente.
Il Kyle rilassato è in grado di sorridergli, sinceramente, con dolcezza; ha le
spalle basse, non assume posizioni rigide, si sente libero di assumere la
posizione che preferisce, mettere i gomiti sul tavolo e non pensare troppo. Non
pensa a come difendersi dalle battute di Cartman, non pensa che ci sia un
secondo fine da parte dell’altro, lo segue a ruota libera, senza offendersi per
un “ebreo”, riuscendo a far autoironia di se e a considerare aspetti positivi
in Cartman, riesce a fare complimenti (mai troppo espliciti) su quelle che sono
le reali qualità di Eric, perché Kyle non riesce mai a nascondere troppo bene
che lo trovi divertente, che si diverte con lui, perché può capire le sue
passioni nerd, da quelle fantasy a quelle fantascientifiche. Condividono serie,
personaggi, scene preferite, battute... se non fosse per divergenze politiche,
morali, e filosofiche che li portano ad azzannarsi come squali, potrebbero
davvero essere loro i due super migliori amici. Ma, dopotutto, ad Eric va bene
così, anche se vorrebbe più spesso un Kyle così sereno e affabile, non
rinuncerebbe mai alla sua nemesi con la sabbia nella vagina.
Kyle inoltre, ai secondi piatti, tira fuori inconsapevolmente quella sua
qualità che è sotto il naso di tutti, ma che nessuno sembra comprendere e
apprezzare davvero. Vedendo davanti a loro della carne bella che al sangue,
senza una reale ragione, Kyle inizia a parlare dell’etica della macellazione e
della battaglia personale fatta da una ragazza autistica negli anni Settanta
per introdurre una morte serena agli animali destinati al macello. Eric lo
troverebbe un discorso lungo, noioso, da hippie, ma Kyle ha il potere di
raccontare le cose in modo avvincente e che mai si rivela noioso; Eric inoltre
ama questo suo essere a suo agio in ogni conversazione, sapere sempre qual è il
termine giusto, saper fare citazioni corrette e incatenare tra loro più
argomenti di varia natura. Kyle è brillante, è il cervello più sexy che abbia
avuto modo di conoscere, è un secchione, eppure nessuno avrebbe il coraggio di
prenderlo in giro per questo, per via del suo carisma; ha solo quindici anni
Kyle, ma la sua cultura non sembra adeguata alla sua età, e questo perché Kyle
non frena mai la sua sete di conoscenza. Gli piace leggere, libri, saggi,
articoli di giornale... ogni giorno è informato sull’attualità, e potrebbe
parlare per ore ed ore di un qualsiasi tema, perché non c’è una materia in cui
sia realmente ignorante, Kyle è aperto a conoscere tutto, è instancabile, ed
Eric ammira molto questo suo aspetto e per questo lo lascia parlare, anche perché
sa che non sta parlando con l’intenzione di risultare il saputello della
situazione, Kyle entra in certi argomenti quando si sente davvero toccato da
certe tematiche, parla non per vanità, ma per passione, lo si può leggere dai
suoi occhi che hanno una luce diversa in quei momenti e che riescono a spegnere
le attenzioni di Cartman per concentrarsi solo su di essi.
Eric non ha dunque idea di come dall’etica da macello, sia arrivato a parlare
di antropologia culturale (sa a malapena cos’è) nell’arco di dieci minuti; in
un secondo momento però si informerà su ciò di cui Kyle ha discusso, perché
Kyle è uno stimolo per portare le sue attenzioni sul mondo, è uno stimolo che
lo porta ad aprire i libri, per tentare di capire cosa pensa e - spesso - per
trovare un’antitesi alle sue argomentazioni.
Se solo Kyle si rendesse conto di quanto Eric lo ammiri per la sua cultura...
tuttavia tace, gli sembra la cosa più giusta e logica da fare, e spesso stare
in silenzio in presenza di Kyle non è così spiacevole, specialmente quando i
suoi occhi bruciano di passione.
“Cartman? ...Cartman?” e bruciano così
tanto che riescono a scottare a volte e a farlo perdere, estraniarlo da ogni
cosa per poter godere solo della loro superficiale bellezza.
“Mi stai ascoltando?”.
No, non realmente, ma non vuole rovinare il momento, non lo rovinerebbe per
nulla al mondo.
“Ehm... sì, cioè, è che quando hai parlato del ‘mangiamo quello che siamo’, mi è venuta in mente una cosa legata a
una serie...” e tenta di pensare a una serie che Kyle non segue, ma che ha un
lontano collegamento con quella frase.
“Hannibal?”
“No” ...cazzo!, si maledice per il
suo spirito di contraddizione. Gli risulta sempre difficile dare una risposta
affermativa a Kyle, soprattutto se la sua mente è su altri lidi.
“ecco...” cerca di pensare a che giorno è, è Martedì, e quali sono le serie del
martedì che segue durante l’anno che possano essere collegabili con...
“Supernatural!” che fortunatamente sa Kyle non segue.
“Supernatural?”.
“Sì, beh, per alcuni episodi... ci sono dei mostri, leviatani si chiamano, che
mangiano le persone ed assumono la loro identità e fanno abbastanza schifo”.
Al termine leviatano, Kyle vorrebbe dire che i leviatani sono creature bibliche
- mostri marini per l’esattezza - presenti nell’Antico Testamento che
rappresentano il Caos primordiale, nonché la forza di Dio, ma portare
l’argomento su ‘tematiche ebraiche’equivarrebbe a rovinare la serata, per
questo tace, non capendo esattamente cosa intenda con leviatani. Ma può ricollocare benissimo l’argomento a Thomas
Hobbes.
“Credo si siano ispirati per lo più alla filosofia che alla mitologia gli
sceneggiatori, se per loro quelli sono i leviatani”.
“Cioè?”.
“Penso si siano ispirati al Leviatano
di Hobbes, a quanto mi dici. Hobbes intende lo Stato come Leviatano, la cui identità è definita dall’insieme dei cittadini,
un grande corpo le cui membra sono i cittadini”.
Ha sentito nominare Hobbes Cartman, ma non l’hanno ancora studiato, non è
idoneo alla loro età e per tanto non può che commentare con un “oh” le parole
di Kyle che, ancora una volta, lo spiazza e lo ammira, in modo quasi doloroso
perché sente una sofferta distanza tra di loro.
“Beh... è interessante questa interpretazione. Desideravo già da un po’
recuperare questa serie. Ricordo d’aver visto le prime stagioni, anche se
ricordo giusto il nome dei protagonisti” e nel dirlo non può che pensare d’aver
mentito a Lola per impressionarla. Si sente stupido ad averle detto quelle
cose, ma non era esattamente una bugia: lui ha visto le prime due serie, le
ricorda poco - non le ricorda per niente -, quindi non era una vera bugia, no?
“Chi è Misha?” domanda a Cartman, ricordando di aver sentito Lola parlare di un
certo Misha, e di aver fatto il suo nome in diversi stati su Facebook.
Un po’ vorrebbe essere Misha anche lui.
“Misha Collins è l’attore che interpreta Castiel, è il fid- cioè... l’angelo di
Dean. Perché?”.
“Curiosità,” mente, “tutti ne parlano”.
“È un bel personaggio, non il mio preferito, ma simpatico. Per lo più piace
alle ragazze, sai per i loro problemi vaginali e...” ma si blocca in tempo,
temendo che Kyle la prenda sul personale. Magari gliel’ha chiesto perché a lui
piace, non crede alla scusa della curiosità.
La domanda, la vera domanda è: a Kyle potrebbe davvero piacere un uomo?
Escludendo qualsiasi cosa platonica che può esserci o non esserci tra di loro,
potrebbe essere attratto da lui?
Il lato narcisistico di Cartman annuirebbe con decisione, ma una vocina si
insinua nella sua testa e semplicemente averlo davanti lo intimorisce e il suo
narcisismo subisce un duro colpo, diventa debole, insicuro e preferisce tacere
sul responso.
“Non capisco perché tutto questo accanimento verso le ragazze”; Kyle non è di
malumore, per fortuna non se l’è presa per la risposta sessista.
“Perché penso sia molto più sessista pensare il contrario, pensare che non
esistano ragazze come Kenny. Sono come noi, fanno la cacca, son ricoperte di
peli, ruttano, ed è perfettamente normale che si facciano certe fantasie su
persone che a loro piacciono, come che si tocchino per soddisfare queste
fantasie”.
Kyle sa che non dice una cavolata, ma tenta di scacciare il pensiero che Lola
sia così, vuole vederla diversamente, vuole credere sia diversa.
“Non tutte sono così”.
Eric è scettico “può darsi” gli concede.
“Esistono ragazze come Kenny e...
possono esistere ragazze come Butters”, l’innocenza ed il candore fatto
persona.
“Io credo che tu non conosca realmente Butters, ma sì, può darsi” manda giù due
bocconi di bistecca e poi si ferma a guardare con malizia Kyle.
Lo confonde, l’ebreo non è certo di quello sguardo, ma non appena vede un
sorriso palesemente malizioso non può che reagire.
“Che c’è? Perché mi guardi così?”.
“Hai fatto l’esempio di Butters” gongola quasi nel dirlo, puntando i gomiti sul
tavolo e unendo le mani per far accomodare il mento.
“E allora?” Kyle non capisce non dove vuole andare a parare.
“Se hai usato Butters come esempio significa che non sei così puro ed
innocente, Kahl”.
Una doccia fredda di vergogna colpisce Kyle. “C-che centro io? Era solo un
esempio!”.
Eric annuisce e poi indaga: “chi c’è nei suoi sogni Kahl? Un angelo, oppure sei
sedotto da qualche demone?”.
Demone.
Lo sguardo indagatore e malizioso da rettile, è lo sguardo del Cartman che lo
visita nei sogni. Anzi, incubi, sono incubi ripete mentalmente.
È decisamente un fottuto demone.
“Fottiti Cartman! Non faccio quel genere di sogni” il Kyle acido è tornato e con
le guance colorate è più adorabile del solito, ignora quante farfalle fa
svolazzare nello stomaco di Cartman.
“E tu che ne sai? Il fatto che Freud fosse ebreo non determina che tu sia un
genio della psicanalisi e conosca il tuo inconscio”.
“No... non... beh sicuramente non mi faccio fantasie simili!”.
“Neanche su Stan?”.
“Neanche su S- ...cosa c’entra Stan?” quando coinvolge Stan nelle sue idiozie
vorrebbe strozzarlo e prenderlo a calci contemporaneamente, gli da fastidio
come se parlasse di Ike, in fondo Stan è come un fratello per lui.
“Non sono io il suo fidanzato, Kahl”.
Non capisce davvero perché sia tanto fissato con questa storia. Delle volte ha
creduto che fosse geloso, geloso per il fatto che non avesse un’amicizia così
intima, ma... Kenny - nonostante le apparenze - è una persona profonda, con cui
si può parlare di ogni cosa, che non giudica mai, che li sopporta (a volte fin
troppo), mentre lui ha problemi grandi come grattacieli e mai si lamenta,
piuttosto è autoironico per sdrammatizzare. Kenny è un amico meraviglioso, e lo
stesso potrebbe dire di Butters, anche se non riesce a figurare lui ed Eric
migliori amici, è un rapporto troppo imparziale e dispotico per certi versi.
Che sia geloso piuttosto perché vorrebbe Stan fosse il suo miglior amico?
Scuote la testa, gli sembra una follia, perché allora dovrebbe esserci Stan al
suo posto e... un campanello suona nella sua testa.
Non... non può credere che Cartman vorrebbe essere il suo miglior amico.
“...mi chiedo cosa dirà se sa che sei qui e l’hai tradito. Insomma, gli hai
mandato un sms scrivendo che avevi da fare, che eri malato o cosa?”.
Fumo diventano i pensieri di un Kyle esasperato.
“Dannazione! Cosa c’è che non va in te Cartman? ...gli ho scritto solo che non
potevo essere su Skype perché avevo da fare”.
Eric si sforza per non ridere.
“Quindi gli hai nascosto dove sei e cosa stai facendo”.
“Non gli ho nascosto nulla!” non è semplicemente entrato dei dettagli perché
certo che Stan gli avrebbe fatto una valanga di domande sul perché e per come
Cartman volesse festeggiare solo con lui e... cosa avrebbe dovuto dirgli?
“Sei stato vago e non gli hai detto la verità” constata Eric per poi farsi più
malizioso abbassando il tono di voce; l’atmosfera notturna, con le sole luci
delle fiaccole, giova ulteriormente allo scopo di Eric: “l’onesto ed innocente
Kahl, è tutt’altro. E chissà quali recondite fantasie ti sei fatto”.
“Che diamine stai...”
“E forse dovremmo realizzarle...” non finisce neanche la frase che lascia alla
pausa verbale l’azione. La punta della scarpa destra di Eric incontra quella di
Kyle, per poi languidamente strusciarsi sul lato, salire, lentamente, su per la
caviglia e fermarsi per poter contemplare lo choc di Kyle.
Non lo respinge Kyle, diventa di ghiaccio, il calore si concentra tutto in una
sola nascosta zona.
In pochi secondi corrono sulla sua pelle brividi che non credeva potesse mai sentire.
Le chiacchiere sui sogni, sull’innocenza, quell’approccio... Cartman sa. Sa dei
suoi sogni delle sue fantasie, probabilmente - come quando era bambino - è
entrato nella sua camera, ha intuito qualcosa, visto quel che non doveva vedere
e il suo compleanno è solo un’imboscata, la storia degli obblighi solo una
farsa. Cartman ha dei progetti per lui, sfrutterà la verità per il suo piacere
(nel senso più ampio del termine) e ha deciso di iniziare dalle più innocue
molestie, per poi... poi passare a qualcosa di più intimo e umiliante.
La sua vita è fottuta, fottuta per sempre.
Gli fa male pensare a come peggioreranno le cose, eppure è soggiogato dal
piacere. Se il suo piede salisse e decidesse di strofinarsi contro il cavallo,
lui aprirebbe semplicemente le gambe, senza respingerlo. Lo troverebbe
umiliante, sarebbe disgustato da se, ma lo pregherebbe di andare fino in fondo.
E quando sente che la punta della scarpa sale verso il ginocchio, la bocca si
schiude leggermente e sta per aprire le gambe, ma Cartman si ferma.
“Oh signore, ebreo! Sei ancora più ingenuo di Butters. Per favore, non metterti
a piangere, stavo solo scherzando!” non ha empatia Eric, ma gli occhi lucidi di
Kyle lo hanno fermato. Lo sta facendo sentire quasi in colpa per uno stupido
scherzo; era convinto che Kyle gli tirasse un calcio o gli urlasse contro, non
che rimanesse freddato dallo choc assumendo un’espressione adorabile da bimbo
molestato. Quella è l’espressione di Kyle nei suoi sogni dopo che ha fatto un
servizietto alle sue palle, non quella che si aspetta nella dura realtà.
Se solo sapesse quanto è dura la realtà di Kyle, in quel momento, tra le sue
gambe.
“Tu... razza di... “ scandisce lentamente le parole Kyle, in lui crescono
violente e contrastanti emozioni. Da un lato rabbia e dall’altro frustrazione,
con le loro sfaccettature.
È pronto ad urlare insulti, ma quando tenta di alzare la voce pronunciando la
quarta parola della sua frase, come quando era bambino, si ritrova davanti la
sua forchetta che volteggia con un pezzo del filetto di cervo; non ha neanche
notato quando Cartman l’ha presa, ma il gesto blocca ogni suo intendo di urlare
e, nel momento di distrazione, viene imboccato.
Cartman ha imparato dalla sua stessa lezione.
“Mangia o si fredda, Kahl” la carne non è fredda, ma sicuramente la reazione di
Kyle è stata freddata ed Eric ritorna a Kyle la forchetta. E gli concede anche
un sorriso genuino: Kahl lo conosce così bene, eppure cade sempre nei suoi
scherzi, è qualcosa che trova adorabile, che lo spingerebbe a spinger via il
tavolo per abbracciarlo e dirgli cose del tipo ‘adoro il mio piccolo mostro, la mia meravigliosa creatura’, già,
come fosse stato lui a farlo nascere. Un po’ è vero, senza di lui Kyle non
sarebbe quello che è, Cartman lo sa, ed è una delle poche cose che lo rende
fiero di se, il fatto che Kyle lo contraddica come voglia, che sia lì, come sua
coscienza, come sua salvezza, nonostante sia totalmente ignaro di quanto è
importante, di quanto sia ossigeno per lui; non importano le parole acide, il
letame verbale che gli lancia dolorosamente contro è concime per quanto
spiacevole, e dal concime nasce qualcosa di buono. Eric sa che può essere
migliore, ed anche Kyle lo sa, e forse in quel frangente gliene sta dando prova
essendo riuscito a far tacere ogni polemica.
Il ragazzo ebreo in verità è confuso, piacevolmente confuso, per questo non
ribatte, abbassa lo sguardo e mangia, tentando di ignorare un vile sfarfallio
allo stomaco, un vortice confuso di eccitazione ed imbarazzo, perché quando
quel Culone lo risparmia da se stesso e le sue crudeltà, allora qualcosa non
va, è una sensazione così bella - forse fin troppo - da sembrare sbagliata;
Kyle ha ormai decretato infatti da tempo che è un male se Cartman lo fa stare
bene.
Non deve farlo stare bene e non lo deve imbarazzare.
Non lo deve spingere a guardarlo troppo intensamente.
Non deve sorridergli.
Non deve essere gentile.
Non deve fargli desiderare che siano qualcos’altro. Neanche per pochi istanti
deve pensarlo.
Invece... invece... ci sono tanti punti di sospensione tra un pensiero
delirante e l’altro, immagini per lo più.
Sospensioni che sono sospiri mancati, bocconi in più per Cartman tornato al suo
piatto, sguardi alzati al cielo e alle stelle. Sembrano così luminose in quel
punto di County Park.
“Sei ingiusto” si concede di dire, imbarazzandosi subito per questa sorta di
confessione, per questa debolezza... “ti faccio un discorso serio, lo eviti, mi
adatto e finisco a fare i conti con le tue idiozie!”.
Eric non si sente per niente in colpa, ma ha tutta l’attenzione su Kyle.
“Volevo trattarti da persona matura, so che quando vuoi sai... puoi esserlo!
Invece devi trovare il modo di far uscire il peggio dagli altri. Perché?”
domanda con frustrazione e sincero desiderio di capire.
“Far uscir il peggio dagli altri... uhm... esattamente ora come avrei fatto
ciò? Voglio dire, ti ho fatto un complimento”.
“Quale complimento? Tu non fai complimenti!”.
Lo ferisce un po’, ma Eric evita di mostrare alcuna debolezza, concedendosi
solo un tono inquietantemente calmo.
“È la tua versione. Perché non vuoi notare ciò che non rafforza i tuoi
pregiudizi, le tue difese...” e lo scandisce, per esser sicuro ch Kyle legga
tra le righe.
“Sono stato chiaro: ritengo che tu sia più ingenuo di Butters e... non in senso
negativo” abbassa lo sguardo, “perché ti ritengo più... innocente, puro se
vogliamo. Ti... ti ritengo fin troppo una brava persona insomma”.
Kyle apre la bocca incredulo, vorrebbe contraddirlo, o dire qualcosa di
significativo, ma l’imbarazzo gli impone il silenzio e uno sguardo verso il
basso. Si sente in colpa per la sua costante durezza e perché non è esattamente
come Cartman lo immagina; non è affatto ingenuo, non è affatto puro, a volte
gli è anche difficile guardarsi allo specchio.
“...un grazie può essere sufficiente” suggerisce Eric con un filo di voce.
Kyle ha un altro suggerimento però: “facciamo che l’ho già detto?”.
Eric si sente magnanimo, è un giorno speciale e non solo perché è il suo
compleanno, è riuscito ad essere onesto con i suoi sentimenti e ad avere
qualcosa che somiglia ad un appuntamento galante con Kyle, un Kyle bellissimo,
che gli ha sorriso, che ha scherzato con lui, e che rafforza la verità a cui si
è arreso da anni: lo ama, lo ama follemente, lo ama perdutamente e, per tanto,
lo ha in pugno.
“Facciamo che l’hai già detto”.
*
Molti dei suoni della notte a County Park sono sconosciuti o rari, estremamente
rari, poiché congelati dal gelo per quasi tutto l’anno: la notte ha silenzio in
montagna.
A Kyle il silenzio piace, ma a volte è alla ricerca di qualcosa di più,
vorrebbe che quel mondo fosse diverso.
Il canto dei grilli non è melodioso, ma conquista Kyle che sembra avere
orecchie solo per loro, mentre avanza al chiaro di luna, col naso puntato verso
le stelle. Eric, uscendo dal finto castello, mette la ricevuta nel portafogli,
camminando tra le alte torce che illuminano l’ingresso del locale; sua madre
sarà lì in un quarto d’ora, appena arriverà a casa ci sarà un’altra fetta di
torta ad attenderlo, eppure non è un dono così ghiotto come Kyle avvolto nella
notte.
Non si avvicina, preferisce osservarlo, c’è qualcosa di puro e dolce in quel Kyle
che sorride sotto il manto stellare,
come se esse riportassero un messaggio divertente per tutta l’umanità che le
osserva. Silenzioso prende il cellulare e scatta una, due... quattro foto, e
sorride anche lui: ha un immagine preziosa che potrà guardare quando tutto
andrà male. La notte gli ha fatto un bel dono, probabilmente perché conosce i
suoi incubi e i suoi sogni. Si avvicina, tenendo il cellulare basso, sentendosi
un po’ colpevole di entrare in quello spazio, perché Kyle perderà il sorriso
probabilmente, ma non vuole che il firmamento celeste gli rubi quella che per
lui è la stella più bella; l’ha pagato il suo tempo, rischiando tutto, ed ora
lo pretende ancora, soprattutto ora che sono lontani da un tavolo che li
costringe seduti.
Si avvicina e Kyle lo nota, assumendo un’espressione neutra, e prima che possa
dire qualsiasi cosa gli porta un braccio intorno alle spalle e alza il telefono.
“Selfie!” dichiara scattando. Quando vede il risultato però non ne è
soddisfatto: Kyle era del tutto pietrificato e con la peggior espressione che
poteva assumere.
“Che palle Kyle, perché non sorridi? Rifacciamola!”.
“Non... non voglio! E non posso sorridere a comando” si agita, nascondendo il
vero motivo: non si aspettava quell’approccio da Cartman.
“Guarda in alto, così vedi le stelle e sorridi”.
Kyle prova imbarazzo, l’ha visto sorridere al cielo come uno scemo. Fortunatamente
gli ha risparmiato una qualche battuta derisoria.
Eric si avvicina per una nuova foto, ma Kyle si allontana; sa che sta facendo
lo stronzo, ma non vuole quella foto, perché sa la pubblicherà su Twitter o
Istantgram e Stan gli farà un sacco di domande in proposito e... lui ha ancora
in testa il fatto che hanno mangiato alla luce di un candelabro.
“Oh, andiamo Kyle, è solo una stupida foto”.
“Appunto...”.
“Una stupida
foto il giorno del mio compleanno e... è quasi mezzanotte” e quasi disperato
nella sua supplica “voglio solo un ricordo”.
“...con me?”.
“Certo, Kahl, con te. Non mi sembra d’aver invitato altri e che ci siano altri
qui intorno!”.
“Va bene” si arrende avvicinandosi, ignorando l’imbarazzo di averlo così
vicino, così elegante e così... beh, qualsiasi cosa sia a cui non vuol dare un
nome.
Questo fa sorridere Eric come un bambino, ma solo per poco, notando dallo
schermo che Kyle non sorride.
“Sorridi!”.
“Non ci riesco a comando!”.
Eric sospira, ma non si arrende, passa al metodo estremo. Dal fianco di Kyle,
scivola dietro di lui, il braccio che tiene il telefono cinge appena la spalla
di Kyle per portarsi in avanti, alla giusta distanza, mentre la mano libera
raggiunge il lato opposto del volto di Kyle per tirargli la guancia e
costringerlo a fare qualcosa che somigli a un sorriso.
Kyle si dimena come un pesce a quel contatto, sta invadendo troppo il suo
spazio personale, la schiena è contro il torace di Eric e la testa fin troppo a
fianco la sua, quasi guancia contro guancia e non può sopportarlo.
“Stai buono e sorridi, su!” Kyle non fa nulla di ciò che gli dice, tentando di
allontanare la mano dalla sua guancia, un momento che Eric immortala e che
pensa lo farà ridere fino al prossimo compleanno. Per questo lascia la presa e
in quel momento Kyle sospira e si rilassa e - finalmente - Eric scatta una
nuova foto con un risultato più naturale e che ha catturato qualcosa che
somiglia ad un sorriso.
Gli porta sotto il naso il risultato, “visto? Sei venuto bene? Devi assecondare
l’esperto”.
“Esperto in cosa?”.
“Fotografia, ovvio!”
Kyle sospira di nuovo, dimenticando per un attimo che Eric è ancora stretto a
lui, col braccio sinistro stretto contro il suo e il polso destro che riposa
contro la sua spalla.
La mano sinistra - che stringe il cellulare - si abbassa ed Eric, non più preso
dall’entusiasmo della foto, si rende conto di quanto ha invaso lo spazio
personale di Kyle, ha il naso quasi contro i suoi capelli che non sono più
disgustosi, quella sensazione di gelo allo stomaco quando li vedeva non era
dettata dal ribrezzo, tutt’altro... ed hanno un buon profumo.
Poggia la fronte contro la spalla di Kyle, facendolo sussultare; sul collo c’è ancora
l’odore di una qualche acqua di colonia. Lascia le braccia incontrarsi e cadere
sotto il mento di Kyle in uno strano abbraccio intorno al collo, ma senza alcuna
stretta. Kyle ha il respiro mozzato solo a causa di quel che prova.
“C-Cartman...?” potrebbe spingerlo via, ma non lo fa, è paralizzato da quel
contatto, da qualcosa che gli brucia dentro e che non è razionalità, perché la
ragione lo spingerebbe via, mentre quel fuoco che sale dallo stomaco al petto
gli comanda che va tutto bene, che non deve muoversi, perché non c’è nulla di
sbagliato.
“Il destino dell’uomo è crudele... ma tra tanta merda, ogni tanto, c’è qualcosa
che merita di essere salvato. Qualcosa di bello”.
Nonostante sia poco più di un sussurro, Kyle ha capito bene ciascuna parola. È
rimasto sorpreso nel sentire ancora quella frase, Cartman sembra davvero
credere in quelle parole, quasi fossero un monito per il futuro.
Alza gli occhi al cielo, a quelle stelle che lo fanno sorridere davanti alla
loro meravigliosa natura. Sospira ancora e le labbra poi si distendono in
quello che è un vero sorriso e non riservato alle stelle; che lo voglia o no
quella notte è bellissima, in cielo come in terra.
“A
volte gli uomini sono padroni del loro destino; la colpa, caro Bruto, non è
delle stelle, ma nostra, che ne siamo dei subalterni[2]”.
Anche Eric ora alza gli occhi alle stelle, perde la cognizione del tempo per un
po’, esattamente come Kyle, ma ritorna presto con i piedi per terra.
Perché guardare in alto, perché cercare altrove, se la stella più preziosa è
lì, in terra, tra le sue braccia?
E la lascia, perché è stato abbastanza, perché non può pretendere più di così. Se
può essere davvero padrone del suo destino, allora deve giocare bene le sue
carte, senza desiderare più di quanto Kyle possa realmente dargli.
“Che cos’era?”.
“Cosa?” credendo che stia parlando di una stella cadente o di un ufo.
“La frase”.
“Shakespeare” il suo naso non è più puntato al cielo e si volta verso Eric. Ha
lo sguardo basso, verso il cellulare, a diversi passi lontano da lui. Prova
qualcosa come un sentimento di tenerezza in quel momento verso Cartman, il più
delle volte non lo comprende, lo trova un folle, spaventoso, mentre ora sarebbe
capace di affidarsi totalmente a lui perché riesce a comprenderlo. Forse.
“È tratta dal Giulio Cesare, è una
battuta famosa. Era uno dei testi del corso di letteratura insieme all’Amleto e Sogno di una notte di mezz’estate, ma... non ha importanza”.
“Secchione” lo prende in giro, temperando l’atmosfera perché torni normale; “ci
sarà mai qualcosa che non conosci?”.
Kyle prende sul serio quella domanda, ma non in modo arrogante. È sempre alla
ricerca di nuove cose da conoscere, da imparare.
“Una cosa, al momento ci sarebbe...”
“Ovvero?”.
“Supernatural”.
Eric lo guarda sinceramente sorpreso; non può neanche sospettare le motivazioni
di Kyle.
“Sei serio?”.
“Sì, perché non dovrei?”.
L’altro non risponde, lo studia, ma si arrende al fatto che sa troppo poco in
quel momento per poter capire se Kyle vuole vederlo per una qualche ragione. Ha
un’occasione però, può sfruttarla.
“Ho i DVD di tutte le serie, se ti interessa”.
“Davvero? Allora me li preste-“.
“No. Non mi fido di voi ebrei, e di nessuno a dire il vero. Le mie cose non
escono da casa mia, se proprio vuoi vederlo puoi venire da me, tanto pensavo di
rivederlo ora che la nona stagione è finita e l’ho appena comprata”.
Kyle avrebbe ribattuto acidamente a quella risposta stronza e razzista, ma l’acidità
è stata calmata dalla parola ‘nona’
che l’ha messo in allarme.
“Nove? Ha nove fottute stagioni?”.
“Ha nove fottute stagioni, sì”.
“E... pensi che ce la farò a vederle entro il ComiCon?”.
“Il ComicCon? Aspetta...” crede di avere la soluzione “è perché sono ospiti gli
attori quest’anno e hanno il loro panel! Per questo volevi vederlo!”.
“Sì...” non avrebbe mai il coraggio di tirare fuori il nome di Lola, la
motivazione di Lola, soprattutto dopo quello che ha provato poco prima “ovvio,
è per quello. Ho pensato che non l’ho mai seguito con interesse, mentre è uno
degli show più popolari e... sai, quella cosa del SuperWhoLock [3]”.
Eric annuisce, pensando per lo più all’occasione di aver Kyle tutto per se “volendo
possiamo farcela. E chi ci sarà al ComicCon”.
“Non conosco i nomi, lo sai”.
Eric vorrebbe fingere di non esser troppo entusiasta, ma non ci riesce, è una
di quelle serie che lo entusiasmano come Game
of Thrones, di cui gli piace da morire il cast e - sapendo che Stan e Kenny
non amano quello show - ha occasione ora di poterne parlare con entusiasmo con
Kyle. Senza rendersene conto inizia a straparlare, figurando quali saranno gli
attori che parteciperanno. Kyle non ha idea di cosa sta parlando, ma non lo
interrompe, lo lascia raccontare aneddoti su Jared e Jensen e Misha e Mark e
altri nomi che non ricorderà mai, anche se per Lola vorrebbe tanto avere l’entusiasmo
di Cartman, nei quali confronti si sente un po’ in colpa.
E ricorda di non averlo ringraziato per la cena, anche se l’unica da
ringraziare è Liane Cartman.
“Grazie”.
Ad Eric cade quasi da fermo per lo choc.
“Per avermi offerto la cena intendo, anche se in verità è stata tua madre, però
ecco... è stato... quasi... divertente”.
Gli occhi di Eric sembrano grandissimi, come quelli dei pesci. Nessuno può
capire quanto sia davvero sorpreso. Non riesce neanche a rispondere dallo choc.
“Però...” Kyle abbassa lo sguardo “...non avresti dovuto chiederlo come
obbligo. Nonostante tutto io, come Stan, Kenny e Butters, sono tuo amico. Sarei
venuto anche se non mi avessi obbligato,
non perché mi hai pagato la cena, ma perché non sarebbe stato giusto festeggiare
da solo” è il suo momento di empatia e di senso di colpa, nonostante sia
Cartman, nessuno merita di essere abbandonato.
“È questo il tuo problema: tu compri le persone, tenti di comprare il loro
affetto, le manipoli, ma non dovresti, non è giusto... per te stesso in primo
luogo. Quello che voglio dire Cartman, è che tu puoi avere l’affetto degli
altri senza comprarlo se mostri chi sei davvero, perché la persona che ho vedo
quando non fai il coglione... non è senza speranza”.
Non è senza speranza.
Suonano come le parole più belle ed emozionanti che abbia mai sentito. Si sente
nuovo, si sente nato per la terza volta (la seconda è stata quando ha
incontrato Kyle da bambino), perché ha raggiunto il traguardo più difficile
attraverso il sentiero più tortuoso.
Gli occhi diventano lucidi, sono fiamme tremolanti di candela, li chiude e
questa è la sua volta per sospirare, espellere via aria viziata e antica,
perché ora può essere tutto diverso... o quasi. Non vuole grandi cambiamenti in
fondo, gli basta quella speranza, che sia verde come gli occhi del suo ebreo
preferito.
Forse, davvero, il destino dell’uomo non è crudele.
“Era Shakespeare anche quello?”.
“Cos- no, non fare il coglione, ti sto dicendo una cosa importante, Cartman tu
puoi essere...” ma viene interrotto dallo schermo illuminato del cellulare che Eric
gli presenta davanti agli occhi.
“2 Luglio, Kahl”.
“E che centra adesso?”.
“Centra, perché posso tornare a fare il coglione e facendolo non puoi rovinarmi
più il compleanno stupido ebreo, gnegnegne...
Kahl non mi ha rovinato il compleanno!” canticchia come quando ero un moccioso
lardoso delle elementari.
E solo familiari fari di automobile interrompono il suo canto, evitandogli una
mare di pugni in volto.
“Ti conviene rimediare, e presto, visto quel discorsetto gay da Puffetta”.
“Che razza di figlio di...” ma Liane ferma l’auto al loro fianco, salutandoli
cinguettando non appena li vede e Kyle lascia cadere l’insulto.
Prima che Eric però prenda il suo posto davanti, fa una confessione che sente
dal profondo del cuore.
“Bicarbonato Kahl, mi raccomando. Anche se per stasera l’hai lavata abbastanza
bene, dato che non hai dato segno di pruriti particolarmente fastidiosi”.
“Cos--?”
“L’hai fatto perché aspettavi un interessante dopocena, vero? Spiacente, ma non
tocco cose già provate da Stan”.
Entrando in auto si salva da una pioggia di insulti, ed è costretto a mostrarsi
gentile sedendo nella macchina della signora Cartman che è entusiasta di sapere
ogni particolare, soprattutto da Kyle.
E mentre Kyle parla con sua madre, lui sorride guardando la strada davanti a
se, le stelle la illuminano, non hanno il suo destino.
Non è senza speranza. Erano le 11.59.
Sorride, ha avuto più regali di quanti ne abbia pretesi.
[1] Ayn Rand
è stata una filosofa, scrittrice e sceneggiatrice statunitense di origine
russa, nata in una famiglia ebrea, fondatrice della corrente filosofica dell’oggettivismo.
Per saperne di più andate sulla sua pagina di Wipiedia, qui.
[2] Atto I,
scena II, Giulio Cesare, W.
Shakespeare.
[3] SuperWhoLock è un termine usato per
indicare l’unione dei tre fandom più popolari: Supernatural, Doctor Who
e Sherlock.
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Capitolo 7 *** It was the heat of the moment. ***
It was the heat of the moment
Buon 2015! Che sia un anno ricco di emozioni e novità per tutti,
io intanto lo inizio proponendovi come piccola novità il nuovo
capitolo. A quanto pare doveva arrivare il nuovo anno affinché
io pubblicassi, perdonatemi, ma tra impegni universitari ed altri
progetti di scrittura, non è sempre facile continuare, ma state
sicuri che non sarà abbandonata la fanfiction.
Questo capitolo doveva essere diverso, ho tagliato una parte che
sarà nel prossimo capitolo ed anticipato un episodio, un
ricordo, che volevo inserire dopo un po' di capitoli. Inoltre ho
sperimentato un metodo di scrittura meno letterario, più da
young adult americano, ma la presenza di punti e virgole non lo rende
propriamente tale (se non sperimento con le fanfiction i vari metodi di
scrittura, quando posso farlo?).Spero che vi aggradi il risultato
finale e se non capirete i processi mentali di Eric e Kyle, state
tranquilli, è tutto nella norma.
It was the heat of the moment.
Carry on
my wayward sons...
“…dunque ad ogni
finale di stagione si sente questa canzone?”.
“Kyle, Il road so far è il momento
più emozionante, taci!”.
Da quando conosce Cartman, quella è la prima imposizione che Kyle decide di
rispettare. E questo la dice lunga su Kyle, sul loro rapporto, su quello che
sono sempre stati.
Kyle osserva Eric, si distrae dallo schermo per cercare emozioni sul volto
dell’altro. Ha fame delle sue emozioni, ha speranza in esse e quando le vede
gli angoli della bocca si alzano; sorride vedendo gli occhi lucidi di Cartman,
sorride per il dramma che sembra vivere in quel momento.
Kyle non lo
ammetterebbe mai, ma è contento di notare un lato umano in Cartman, troppo
spesso lo convince del contrario, gli fa paura, ma davanti lo schermo, vedendo
qualcosa di irreale e distante dal loro mondo, Cartman riesce ad essere visibilmente
emozionato.
Kyle si domanda se Cartman non sia la conseguenza della crudeltà del mondo, la
somma di abusi, di violenze, di crudeltà indirizzate ad un ragazzino che aveva
l’unica colpa di esser stato troppo ingenuo, troppo grasso e troppo legato a
sua madre.
Abbassa lo sguardo e sa di avere la risposta, sa di essere anche lui responsabile.
Un’infanzia difficile però non può giustificare tutto, non può giustificare quella
totale mancanza di empatia, quanto sovradosaggio di sadismo.
Kyle da bambino non si rendeva conto di molte cose e, tutt’ora, crede di
ignorare molto riguardo Cartman. Non sorride più, ma si siede più vicino a
Cartman; non è bravo ad usare certe
parole con lui, ma vorrebbe che il suo gesto fosse notato e tradotto: “sono qui. Se vuoi sono qui, per te”.
*
“Ti andrebbe di fare altro?” esordisce Kyle dopo sei serate trascorse con
Cartman guardando Supernatural.
Non gli dispiace trascorrere così il tempo, la
serie gli piace, ma non ne è entusiasta, è lì per una serie di motivi che non
ci si aspetterebbe da lui: per Lola, per non stare a casa sua, perché... vuole
del tempo con Cartman, anche se quest’ultimo motivo non lo comprende a pieno e
non riesce ad ammetterlo a se stesso.
Kyle vede un guizzo di gioia negli occhi di Cartman, è entusiasmo.
Probabilmente non aspettava altro. Mette in pausa la TV e si sistema sul divano in modo da portare
tutte le sue attenzioni su Kyle. Bisogna chiarire, la posizione abituale che ha
sul divano, pur essendo davanti alla TV, gli permette di guardare in faccia chi
ha al suo fianco: basta che lui sposti lo sguardo di 15° a sinistra e la vetrina
al fianco della tv gli permette di vedere il volto del suo ospite; non si
perderebbe mai le espressioni di Kyle davanti a una serie figa, ma un contatto
visivo diretto è necessario in quel momento affinché possa mostrare tutto l’entusiasmo per la
domanda che aspettava.
Non è esattamente come Cartman immagina, ma una parte (folle) di se spera che
tutto il sottotesto omoaffettivo del
telefilm spinga Kyle, dopo tutti quegli episodi, a desiderare la parte
omoerotica, e non tra gli attori, ma tra di loro.
“Cosa vorresti fare? Considerando l’ora e l’inesistenza di una terza parte tra
noi, se ti va un po’ d’azione capisco e se insisti tanto non mi tirerò
indietro, sai, per noia e perché è sempre meglio una persona che conosci ad un
estraneo, quindi...” ...quindi Kyle lo guarda confuso e spiazzato, non capendo
a cosa alluda, ma considerando il soggetto non vuole neanche investigare sulle
idee folli di Cartman, specialmente perché non vuole litigare.
“In realtà non ho voglia per niente d’azione, non mi va di spostarmi”.
“Ma il divano è perfetto, non serve spostarsi!”.
“Già è perfetto” il tipo di risposta che prende in contropiede Cartman e un po’
gli fa male. Per una volta vorrebbe che Kyle non fosse un ingenuo o, almeno,
che sia frustrato sessualmente quanto lui... abbastanza da essere disperato
insomma.
“Non l’ho ancora fatto vedere a nessuno” incalza l’ospite mettendo in serio
disagio il padrone di casa.
Cartman sa che Kyle non sta pensando a quello che pensa lui, ma quella piccola
parte di se un po’ ci spera, hanno quindici anni ormai ed è perfettamente
normale avere certi desideri e voglia di soddisfarli, Cartman in particolare ha
voglia di soddisfare il suo desiderio di Kyle dalla preadolescenza.
“Un po’ mi mette imbarazzo mostrartelo, però una parte di me pensa che tu sei
la persona giusta per...”
“E smettila!” Eric si pente subito d’aver alzato la voce, ma Kyle gli sa
rendere la vita difficile. Scuote la testa e cerca di normalizzare l’atmosfera
“intendo smettila con i giri di parole e arriva al sodo”.
“Tu promettimi di non prendermi in giro”.
“Farò del mio meglio”.
“Cartman! Sono serio”.
“Va bene, va bene... parola di boyscout”.
Kyle, titubante, avvicina lo zaino che aveva abbandonato a terra e ne estrae
una cartellina trasparente contenente
dei fogli a righe su cui Kyle ha scritto con penna nera. Porge a Cartman lo
scritto, ma senza guardarlo in volto, è troppo imbarazzato per farlo.
Eric estrae i fogli ma prima di leggere non riesce a resistere a una battuta:
“cos’è? Mi hai scritto una letterina? Hai deciso di mettere nero su bianco i
tuoi sentimenti?”.
“Se devi fare il coglione me li riprendo!”.
“Non fare l’acido, volevo spezzare la tensione”.
Ma Kyle già non lo guarda più, è emotivamente provato dall’aver consegnato
proprio a lui qualcosa che in qualche modo lo imbarazza. Eric lo capisce, ed è
emozionato, è qualcosa che non si sarebbe aspettato da Kyle, qualcosa che l’ha
preso contropiede e che lo fa deglutire per sciocche aspettative.
Inizia a leggere e le parole danno vita ad immagini di sangue, violente si
scontrano e costruiscono uno scenario inaspettato di morte e distruzione. Un
racconto, probabilmente dell’orrore essendo Kyle affascinato dal genere, ma
poi si aggiungono particolari, spade, cavalli al trotto, fiamme dal nulla, elfi
dannati... Eric interrompe la lettura per lanciare un occhiata allo scrittore
che ancora guarda altrove. Per le mani ha un lato di Kyle che non conosceva, ha i
brividi, è eccitato dall’idea che Kyle - lì, a pochi centimetri da lui - gli ha
consegnato una parte di se che chissà da quanto tempo tace, una parte
interessante, di cui ora sente il bisogno di conoscere, di esplorare, in ogni
parola, in ogni virgola, in un esistente sottotesto di una battaglia di un
racconto Fantasy.
Vola una pagina, ne vola una seconda e alla quinta la
battaglia si conclude, mostrando vinto un fiero popolo di umani. Ci sono donne
e bambini terrorizzati, corpi di guerrieri su cui urlano padri e madri,
artigiani disperati da quel che l’assalto ha devastato, botteghe in fiamme, depredate di armi e
generi alimentari, in una pagina e mezza c’è uno scenario pietoso e che
suggerisce rabbia, poi la narrazione inizia a concentrarsi su alcuni
personaggi: un giovane paladino ferito per aver difeso l’onore di una donna,
una bella dama che cerca di curarlo con amore e gratitudine nonostante risulti
sia stata lei alla fine a salvare il ragazzo con un’incredibile abilità da
arciere, infine - all’annuncio della morte del re - si eleva un personaggio
carismatico, che si è fatto valere con la magia, uno stregone che riesce che
annuncia la più terribile verità per il popolo. La terribile verità è il furto
di un oggetto prezioso, il più prezioso dall’alba dei secoli di quella terra
fantastica da quanto rivela la narrazione; la città depredata è la capitale del
più grande regno delle terre conosciute, custode di saggezza e di talenti delle
arti del combattimento e della magia la cui fondazione si deve al coraggio di
un gruppo di uomini che riuscì a far valere e predominare la razza umana nel
mondo, protetta da un umile strumento, un bastone grazie al quale fu uccido
l’Oscuro Signore dei Demoni che per secoli aveva dominato il mondo rendendo
schiavi gli uomini, nonché soggetti di divertimento, talvolta anche cibo. Ma
quell’umile strumento, forgiato dall’ultimo mago vivente, riuscì a cambiare le
carte in tavola, a dar vita a una nuova era, affermando la verità del valore
degli uomini sulle forze oscure e su ogni razza che aveva diffidato degli umani,
ma ora che era stato portato via, l’equilibrio era stato spezzato, il domani
prevedeva guerra, il futuro dell’uomo poteva essere l’estinzione se qualcuno
non avesse ripreso il Bastone della Verità.
Eric si ferma davanti a quel nome che compare alla fine della lettura, dopo una
dozzina di pagine.
I personaggi, i nomi, la vicenda assumono una luce diversa ed è doppiamente
entusiasta di quello che ha letto.
“Kyle, sei un genio!” non si era mai davvero concesso di dire una cosa simile,
per il timore che l’ebreo si montasse la testa e che si sentisse per tanto in
dovere di comportarsi ancor più da maestrina.
“Mi prendi in giro?”.
“Per una volta no. Smettila di fare l’ebreo diffidente e renditi conto che...
beh... è straordinario! Un racconto basato sul nostro gioco di ruolo, non ci
credo... potrebbe diventare migliore de Il
Trono di Spade!”.
“Volevo mostrartelo perché sei stato tu a creare la storia del gioco e perché
il protagonista è il tuo personaggio”.
“Lo so, è un fico, non potevi che...”.
“L’ho fatto perché voglio che la storia parli di umanità e il protagonista doveva
essere umano. Non avrebbe avuto un granché senso rendere protagonista il mio
personaggio, un elfo” chiarisce per evitare fraintendimenti, anche se non è
chiaro neanche a lui cosa può fraintendere Cartman, semplicemente gli viene
naturale stare sulla difensiva.
Eric è di buon umore, quindi evita di stuzzicarlo e riporta l’attenzione sulle
pagine lette, come per ricucire dei pensieri per poter dare un parere onesto a
Kyle.
“Non me ne intendo molto di grammatica e punteggiatura, sembra andar bene, mi piace
comunque il ritmo narrativo, è coinvolgente e - anche se ti sei preso delle
libertà sulla storia - è convincente, mi piace come hai reso i personaggi e
come sei riuscito a raccontare l’antefatto della vicenda senza risultare
noioso. Trovo anche fico il fatto che non si capisca chi siano i nemici
perché mascherati, anche se tutti credono sono gli elfi, suppongo che tu non
abbia voluto rendere malvagio il tuo personaggio”.
“E cosa ti fa credere che non riuscirei a renderlo malvagio?” la domanda è posta
con tono incisivamente malizioso.
Eric gli lancia un’occhiata stupita e si lascia distrarre dalla posizione di
Kyle.
Kyle non ha consapevolezza della sua presenza, di quanto riescano ad
essere
intriganti i suoi modi, di quanto siano belli i suoi occhi così
espressivi, di
quanto il suo corpo riesca ad essere aggraziato anche nei momenti in
cui assume
posizioni scomposte; Kyle non ha alcuna idea dell’effetto che
faccia ad Eric vederlo così vicino a se, così poco
vestito (ha solo una t-shirt e dei bermuda,
niente di lanoso e ingombrante), i piedi nudi sul divano con la braccia
che
abbracciano le gambe, in una postura innocente, infantile, accompagnata
da sguardo
e tono maliziosi. Tutto questo fa sentire Eric come se le dita di Kyle
stessero
giocando all’interno dei suoi pantaloni.
“Credi davvero che non riuscirei a creare un elfo dall’apparenza angelica che
gioca d’astuzia, pronto a pugnalare alle spalle rivelandosi una vera
carogna?”.
“Chissà...” risponde vago Eric, che cerca di guardare altrove, tentando di
ignorare quanto faccia improvvisamente caldo.
“Dopotutto ho un ottimo modello a cui ispirarmi” il tono è più suadente e
basso, non ha intenzione di essere sensuale, solo di provocarlo, giocare...
stanno parlando del suo racconto fantasy dopotutto, ignora che Eric ha perso
totalmente interesse e sta leggendo tra le righe messaggi inesistenti.
“Kahl?”.
“Mh?” trasale quando le punte delle dita di Eric gli toccano la guancia.
Esitano, poi l’indice scivola lungo la mascella e raggiunge il mento, lo
solleva, mentre medio e anulare accarezzano distrattamente il pomo d’Adamo.
“Non interpretare ruoli che non ti si addicono, finiresti solo per pentirtene”.
Kyle non è d’accordo. Inghiotte a vuoto, qualcosa potrebbe sfuggirgli di mano,
qualcosa che non dovrebbe esserci potrebbe palesarsi, potrebbe seguire
un’azione imprevista e un’altrettanta reazione imprevista.
“Se ti baciassi ricambieresti?”
domanda telepaticamente Eric, cercando invano un assenso.
Kyle non distoglie lo sguardo, il volto è più colorato, ma gli occhi sfidano
Cartman a non osare; lo stomaco è in subbuglio, ma non vuole mostrare alcuna
insicurezza, se solo si mostrasse debole accadrebbe il peggio, qualcosa che
farebbe male ad entrambi e che negherebbe con tutto il disgusto del mondo, il
disgusto che meriterebbe.
“No che non lo faresti” trova la
risposta Cartman. “Mi morderesti, ti
rivolteresti come un gatto, mostrandomi gli artigli e rivolgendomeli contro. Mi
prenderesti a calci ed insulti, ma a differenza delle altre volte non mi
perdoneresti mai” e qualcosa lo fa sorridere in questa triste
consapevolezza. Sorride perché è così che vuole Kyle infondo, se fosse diverso
non sarebbe la persona che ama.
“Si può sapere che stai facendo?”.
L’acidità improvvisa e familiare di Kyle fa solo che sorridere di più Eric.
“Non interpretare parole che non ti si dicono, finiresti solo per pentirtene”.
Eric ha un guizzo d’ammirazione per quella risposta e scoppia a ridere
allontanando la mano dal volto tanto amato. “Stavo solo testando il tuo lato da
elfo oscuro. E no, non lo hai” si giustifica dopo la risata, lasciando Kyle
stizzito.
“Volevi perdere una mano per caso?”.
“Smettila di fare lo spaccone. Il tuo personaggio semplicemente non è cattivo,
vero?”.
Detesta quando Cartman scopre le sue carte, ma non può negarlo, voleva solo
prenderlo in giro. Detesta il fatto che lo capisca così bene pur essendo così
diverso da lui.
“Può darsi...”.
“Sì o no?” insiste il padrone di casa.
“Perché dovrei...”.
“Sì o no, Kahl?”.
“Sei odioso Cartman!”.
Ormai quel tipo di insulti non sono neanche tali, fanno ridere il diretto
interessato piuttosto.
Ride con contegno, senza eccedere come la sua personalità vorrebbe.
“Vorrei dire detesto aver sempre ragione,
ma non è vero”.
“Sei infantile”.
“Ah, io sarei infantile?” .
“Non vedo altri che te qui dentro”.
“Perché tu cosa sei? Un fantama?”.
“Che spiritoso...”
“Un Fantaebreo?”
“Eh?” poi capisce e alza il tono, perché non ha alcuna intenzione di sentire
Cartman canzonarlo con stupidi nickname coniati usando il suo credo. “No
Cartman non cominciare, non...”.
“Non pensavo che esistessero i fantasmi ebrei, siete anche voi repulsivi
all’aglio?”.
“Non siamo vampiri!” e mentre afferma ciò si rende conto d’aver implicitamente
affermato altro, ma non fa in tempo a correggersi. Ormai Cartman è partito
dietro le sue insensate fantasie.
“Sei un vampfantaebreo! Cavolo Kyle,
potrei scriverci su uno urban fantasy,
o, ancor meglio un paranormal romance,
dato che vendono così bene nonostante siano scritti di merda. Però se sei un
fantasma non puoi mordere, o - nel caso si possano materializzare i denti -
dove andrebbe poi il sangue? Lo perderesti come se... oddio, ecco perché hai il
ciclo continuo!” ride a crepapelle dell’immagine che si figura nella sua mente,
come se avesse dieci anni e fosse ancora il cazzone dalle strampalate idee
senza senso. Un po’ infantile lo è, non può negarlo, ma attribuisce - come è
solito - la colpa a Kyle, perché gli serve idee che lo aiutano a creare
immagini che calzano perfettamente con la sua persona.
“Non fa ridere, smettila!” e gli toglie di mano il prezioso primo capitolo di
un’idea che si pente d’aver fatto leggere.
Cartman, dal canto suo, neanche ascolta Kyle, cade dal divano e inizia a
rotolarsi teatralmente per terra, non tanto perché l’idea lo fa divertire, ma
perché adora sentire Kyle urlare in sottofondo con tutta la sua irritazione
vagin-
...no, in realtà ride perché il tutto è davvero ilare.
“Lo intitolerò Legame di sangue. E
sarà la storia d’amore più intensa che si sia mai letta!” dichiara come
un esaltato per poi fare risate ancor più grosse che lo impongono di tenersi la
pancia tanto gli fa male lo sforzo. “Una povera sfigata con le mestruazioni
più dolorose del mondo incontra un ragazzo che gli dice farà di tutto per non
farla più soffrire. Lui così la morde e sarà lui avere il ciclo ogni volta al
posto di lei, con tutte le conseguenze ormonali del caso, alleviando solo per
metà le sofferenze della poveretta!”.
Alla nuova risata Kyle non resiste e, armato del primo cuscino che afferra, si
getta sopra Cartman, iniziando a colpirlo non troppo violentemente, ma - spera
- abbastanza forte da impedirgli di dire nuove stronzate.
“Sei un cretino, finiscila! Giuro che ti mordo davvero se non la finisci!”.
“Per il titolo, vero?” cerca di difendersi facendosi scudo con le braccia
“...preferisci sia Morsi d’amore?” e
a quel punto arriva l’ultima cosa che Cartman si sarebbe aspettato e che non è
esattamente un morso d’amore. Eric,
dopo il primo lamento di dolore, rimane paralizzato; guarda incredulo davanti a
lui: Kyle ha davvero affondato i denti contro il suo braccio, nella parte
morbida lontana dalle vene, ma non troppo distante dal polso.
Il morso va oltre il secondo di tempo, a quanto pare Kyle è intenzionato a
trattenerlo a lungo, finché probabilmente non gli chiederà perdono e con
gentilezza non lo supplicherà di lasciarlo.
Gli occhi di Kyle lo guardano furenti, con sfida, aspettando che le labbra di Eric si
schiudano per dovute scuse.
Eric alla vista di quegli occhi si morde le labbra e trattiene il dolore, sa
che è stupido, ma quello che sta facendo più che doloroso è eccitante. Kyle è
sopra di lui, l’estate vuole che entrambi abbiano pochi vestiti e quindi può
sentire la pelle contro la sua, il suo peso su di lui, un peso quasi
insignificante. E poi quello sguardo... Dio, quello sguardo... è la cosa che più lo eccita al mondo, è la
motivazione di tante - forse troppe - stronzate che ha fatto nella sua giovane
vita. E quel morso, se non fosse per qualche dettaglio, potrebbe essere un
succhiotto mal riuscito. Se solo fosse altrove, sul collo... oh come lo
vorrebbe, come vorrebbe che facesse il vero vampiro con lui, invece ricorda più
un mannaro che non intende lasciarlo per ragioni che non vuole dargli vinte,
perché solo così può sentire le labbra che più brama al mondo sulla sua pelle,
così morbide, perfette... nel posto sbagliato.
Il pensiero che le labbra di Kyle siano altrove lo intriga al punto che sente
un brivido corrergli lungo la schiena per poi colpirlo nelle parti basse, un
colpo ben assestato che lo fa gemere e rende lucidi gli occhi.
Dura una manciata di secondi questa estasi, poi viene preso dal panico, il timore che Kyle senta qualcosa che
non dovrebbe sentire lo porta a dare soddisfazione a Kyle “...per favore...
lascia-” ...ma non termina la richiesta che Kyle si è già allontanato.
“Quanto sei cretino!” sibila velenoso Kyle che prende bene le distanze dalla
sua vittima.
Anche se insulta Cartman ce l'ha con se stesso e la sua ingenuità; è
bastato vedere per un attimo quegli occhi diventare oro lucido che il suo
stomaco si è contorto dal piacere e poi... quel secondo gemito... è stato come
una carezza sotto la maglietta, ha avuto paura di bruciare e di mostrare a
Cartman qualcosa per cui sarebbe morto di vergogna e, peggio, Cartman avrebbe potuto
usare contro di lui quel qualcosa, spingendolo ad un’umiliazione totale.
Pensa che delle scuse siano necessarie, ma sono congelate nella sua bocca; si
sforza la apre, ma nessun suono esce. Si dice che è facile, è solo una parola,
cinque lettere. Si volta verso Cartman per far uscire quel macigno, ma non
riesce a dire nulla vedendolo correre in bagno.
‘Gattini morti, gattini morti, gattini
morti...’ ripete Eric chiudendosi in bagno.
Lascia che immagini raccapriccianti entrino nella sua testa, violente da far
male, perché il suo inguine sta male dall’insoddisfazione.
Non può credere che quello che ha vissuto sia stato reale. Il respiro di Kyle,
il peso di Kyle, lo sguardo di Kyle, il profumo di Kyle, il morso... li ha
tutti sentiti sulla sua pelle. E ne è rimasto un residuo.
Guarda curioso l’impronta dentale sul suo braccio, rossa e ben definita; passa
quasi con timore un dito e si rende conto che non è un’impressione, è davvero
umida la pelle... quella è la saliva di...
Non conclude il pensiero che porta la punta dell’indice alla bocca. Non sa di
niente, ma si illude che abbia un sapore, che sia speciale, delizioso e per
questo segue un bacio sulla pelle morsicata, dove è più umido, dove Kyle ha
lasciato il segno.
Bacia quella parte di se come se fosse Kyle, come per catturare qualcosa di
unico perché destinato a non ripetersi.
Un’ondata di euforia lo colpisce e sale dalla punta dei piedi fino a ciuffi
ribelli, ma dura solo qualche secondo finché non viene colpito dalla dura
realtà e il petto si riempie di tristezza.
Ha solo una parte di Kyle, una parte inconsapevole, un residuo lasciato senza
pensiero. No, non è una parte, è inutile che menta, non ha nulla di Kyle se non
un’illusione.
“Cartman?” bussa alla porta, ripentendo il suo nome per una seconda volta.
La voce di Kyle s’intromette nel bacio, trasformando la tristezza in crudeltà.
Kyle non è con lui, è dall’altra parte del mondo, un mondo da cui Eric fugge.
“Cartman? Stai bene?”.
Può sentire note di colpevolezza nella voce. Torna alla realtà, dov’è Kyle,
dove deve appartenere.
Apre il rubinetto e lascia che acqua gelata dia sollievo alla parte lesa del
braccio, gelando anche le sue fantasie e quella sciocca eccitazione.
Mentre l’acqua scorre, scorrono anche i suoi pensieri, la testa è esattamente
come un rubinetto il cui getto aperto fa uscire quantità incredibili di
pensieri; pesca però un pensiero in particolare, la sua idea malsana di non dar
mai sfogo all’eccitazione, di non toccarsi mai, non per il suo credo, ma per
una questione di principio: nessuno può soddisfare i suoi desideri sessuali se
non Kyle, ergo vuole che nessuno - neanche se stesso - dia sollievo alle sue
eccitazioni; le sue parti intime, come le sue fantasie, sono solo per Kyle e
aspettano solo lui. Si chiede se mai si avvereranno, se mai ci sarà qualcosa di
reale tra loro.
Quando chiude il rubinetto, i suoi pensieri ancora fluiscono, ma cerca di
ignorarli e quando apre la porta - davanti a un bellissimo Kyle tra il
preoccupato e il furioso - riesce a dire disinvolto: “mi stavo solo accertando
di non esser diventato un vampiro. O uno zombie”.
“Quanto sei creti-”
“Non sono io quello che morde le persone, Daywalker”.
E Kyle acquista colore levando lo sguardo, incapace di chiedere scusa ma solo
di tormentarsi le dita.
Crea un notevole spazio tra di loro, consapevole d’aver
fatto qualcosa che non avrebbe dovuto, ma insicuro di quali conseguenze abbia
portato, di cosa abbia turbato tanto Cartman che - lo sa - gli sta nascondendo
qualcosa.
“Dato che stai bene, io torno a casa. Mamma mi ha mandato un
messaggio, vuole ritorni” Kyle non è mai stato così
bravo nel dire le bugie, ma
Eric non glielo fa presente e lascia che prenda le sue cose per andare
via,
anche se non vorrebbe si allontanasse, ma ha troppa paura di fare
qualcosa di
cui pentirsi per sempre. Dopotutto è così bravo a
rovinare le cose belle che ha
per mano.
“Beh io vado” fa Kyle aprendo la porta di casa Cartman, come non fosse
un’ospite.
Eric lo ferma, con passi veloci arriva a Kyle e lo blocca prendendolo per un
braccio e facendolo trasalire. Non vorrebbe fermarlo, ma le immagini che
scorrono nella sua testa, tentativi falliti di essere più che amici, lo
tormentano. Ha l’urgenza di parlare, di una risposta.
“Non arriverà mai, vero?”.
“Cosa?”.
Kyle guarda in avanti, guarda la porta, non lui. La sua urgenza è quella di
uscire da lì.
“Un momento diverso tra noi”.
“Diverso in che senso?”.
“Nel senso che oltrepassiamo la soglia”.
Gli occhi verdi guardano increduli il nulla davanti a se, ma non trasale Kyle, diventa
di ghiaccio nonostante il caldo. Non può fraintendere quelle parole, può solo
fingere, nonostante non sia la sua specialità.
Entrambi sanno di cosa non stanno
parlando, entrambi sanno che tra loro c’è qualcosa di più tra gli insulti e
Kyle è convinto che quel qualcosa sia un mostro, che non deve essere svegliato.
Cartman però ha diritto a una risposta, non che la meriti, ma i diritti sono
anche di chi non li meriterebbe, così come la gentilezza.
“Ci sono volte in cui la tua compagnia mi piace. Forse mi rende felice o...” cerca
le parole giuste, ma qualsiasi esse siano, Kyle - pur trovandole - non saprebbe
riconoscerle, perché non vuole svegliare il mostro, perché non conosce il
mostro, perché la semantica vuole che dietro la parola mostro si nascondano unicorni o arpie, perché i mostri sono le
creature fuori dall’ordinario, esattamente come il loro rapporto o - ancor
meglio - come potrebbe essere.
“...o forse ne ho bisogno. Non lo so. Qualcosa di diverso non saprei neanche
immaginarlo e, in realtà, non so neanche cosa stai immaginando, perché non
dovrebbe andare bene così? Sei il primo in fondo che lo ritiene divertente”.
Eric lo ascolta, lo guarda; gli trema leggermente il labbro inferiore perché
vorrebbe dire cose, mentre Kyle dice le sue cose, cose che Eric non crede di
capire, non sa come prenderle, forse bene, perché Kyle sta parlando con voce
pacata, gentile, eppure non lo guarda, come se mentisse, come fosse un codardo.
Eric vorrebbe interromperlo e dirgli che ha letto quel libro che Kyle ha
osannato il mese scorso, letteratura, roba seria, letteratura inglese per esser
pignoli, Oscar Wilde. Kyle non lo sa, ma Eric legge sempre qualsiasi cosa Kyle
legga, persino tante di quelle cose troppo hippie ed ebree, libri che darebbe
al rogo, che non gli piacciono, ma quel libro - Il ritratto di Dorian Gray - gli è piaciuto, aveva tante belle
frasi e dei personaggi fighi, in cui poteva paradossalmente immedesimarsi. C’è
stata una frase che l’ha colpito di quel libro, una frase che fa eco nella sua
testa in quel momento: l’artista è il
creatore di cose belle.
Eric non crede di essere un artista, ma pensa che quel momento sia bello, sia
onesto, ed è stato lui a crearlo e forse potrebbero esistere altri momenti
simili, altre cose belle, belle come quel sorriso nervoso e i ricci che
ricadono disordinatamente sulla fronte di Kyle.
Vorrebbe parlare, dirgli che ha letto quel libro, che gli è piaciuto, che
quella frase l’ha colpito e che - se solo Kyle volesse - potrebbe diventare un
artista, creare cose belle, crearle per lui, ogni giorno.
Se parlasse, se dicesse quelle cose, si chiede se Kyle immaginerebbe qualcosa
di diverso; l’ebreo lo giudica perché conosce solo il Cartman fastidioso ed
infantile, ma se gli dicesse che c’è dell’altro in lui, un altro Eric che Kyle
stesso ha ispirato, sarebbe diverso?
Nonostante il caldo umido, Eric sente freddo, un brivido gelido arriva dai
piedi alla testa, poi un flash, un ricordo, il ricordo. Sorride.
“...è perché non sono perfetto?”.
Kyle finalmente lo guarda, con occhi grandi, increduli, in totale imbarazzo.
Non vuole stare al suo gioco però, qualsiasi esso sia, non vuole assecondare
Cartman, crede d’esser stato già fin troppo gentile.
“Scendi dal tuo Olimpo o ovunque ti stai immaginando. No che non sei perfetto,
Culone”.
Il sorriso di Eric si piega in una curva malinconica.
Eric pensa che vada bene così, anche come congedo va
bene e non aggiunge altro mentre Kyle esce ancora una volta dalla sua vita.
*
Il primo ricordo
di Eric è sua madre, un ricordo molto confuso, in cucina, probabilmente mentre
lo imboccava; non è certo di nulla se non che lei era bellissima e con un
buon odore, come sempre.
Era il centro del suo mondo, l’unica al mondo.
Eric non l’ha mai saputo, ma per Liane, in quanto ragazza madre,
furono davvero
difficili i primi anni di vita di Eric, evitava il più possibile
di uscire
fuori casa, evitava le persone, non aveva contatti con Jack Tenorman,
ma mille
persone che parlavano per suo conto e le davano generose somme di
denaro perché
non dicesse nulla su chi fosse il padre del suo bambino. Era umiliante,
credeva
South Park fosse una speranza quando era andata via del Kentucky, una
cittadina
di montagna tranquilla in cui metter su famiglia dopo essersi affermata
in un
ambito lavorativo, invece - dal primo giorno in cui aveva messo piede
in quel
posto - era stata risucchiata da un vortice di problemi tali che molte
volte
l'avevano portata a formulare pensieri orribili. Le cose però in
qualche modo erano andate e a Eric aveva donato solo sorrisi.
Il piccolo Eric però, per via inconscia, aveva compreso il disagio della madre, l’angoscia
del vivere in quella cittadina dalla quale non poteva scappare e questo faceva
di Eric un bimbo molto introverso, che non parlava con nessuno e che odiava
uscire di casa, attività che il più delle volte lo portava a scoppiare in
lacrime. Niente di questo è nella memoria di Cartman, il suo ricordo
più nitido - il suo secondo ricordo - è stato fuori dalla sua casa, in un’ordinaria
giornata di neve.
Liane aveva portato Eric a far conoscenza con i bambini dei
vicini, avrebbe presto iniziato l’asilo e voleva che non fosse
per lui
un’esperienza traumatica, ma un’occasione di divertimento e
socializzazione. Eric ricorda i suoi passi incerti nella neve, ricorda
il sole che non rendeva
gelida la giornata, ricorda che stava camminando in un giardino non
suo,
ricorda altre voci di bambini e la sua mamma che teneramente gli diceva
“vai a
giocare con gli altri bambini”.
Per Eric erano novità, nocità che non gradiva,
tutto non gli piaceva, lo trovava
seccante, voleva andare a casa, non era per nulla felice ed era sul
punto di
scoppiare in lacrime. Ricorda il groppo alla gola, doleva, voleva
liberare urla
e lacrime, tornare tra le braccia della sua mammina e giocare con lei
nella
neve. Qualsiasi suo proposito di fare i capricci però fu
interrotto da un peso
morbido che andò contro di lui e, senza fargli male, lo travolse
e lo
stese nella neve. Fu confuso, stordito, al tal punto che scordò
di piangere e
fu rapito dalla prima cosa che notò guardando sopra di se:
grandi occhi di un
verde prezioso che riflettevano una gioia che ancora ad Eric era
sconosciuta e labbra sorridenti che il freddo rendeva ancor più
rosse, come i ricci che uscivano fuori da un buffo cappello di un
verde prato.
Ciò che pronunciarono quelle labbra così rosse Eric non lo avrebbe mai
dimenticato. Nonostante usò un linguaggio incerto e impastato, tipico di un
bimbo che ancora non ha tanta dimestichezza con la grammatica, Eric le conserva
tra i ricordi pulite di ogni sbavatura lessicale.
“Sei perfetto!”
Fu come se un gigantesco pallone fosse scoppiato nel punto più alto del cielo,
libero.
Fu come se la gioia di quel bambino diventasse anche sua.
Le guance rosse per il freddo, diventarono ancor più accese e lentamente Eric
sorrise, fu felice. Forse il mondo non era così spaventoso.
E poi la mano del bambino si allungò verso il suo volto, Eric colto di sorpresa
chiuse gli occhi e in un attimo sentì sfilarsi il cappello che fu preso dal
bambino dai begli occhi che corse via da lui, lasciandolo con una cocente
quanto indefinita delusione.
Eric lo seguì con lo sguardo mentre si rialzò e vide il ladro del suo cappello
raggiungere un pupazzo di neve che aveva una stazza molto simile alla sua e al
quale fu posto proprio il suo capello sulla testa ghiacciata.
“Ora non ha più freddo!” esclamò un altro bambino dal cappello blu. Aveva lo stesso
sorriso del ladro del suo cappello, la stessa luce negli occhi e per questo Eric si
avvicinò con passi incerti agli altri due bambini, così contenti che il loro
grosso amico di neve avesse un capello, un cappello della sua misura e che
andava a completare la sua espressione felice fatta di bottoni (per la bocca),
formine a stella (gli occhi) e una carota (per il naso).
“Quello è il mio cappello!” piagnucolò Eric una volta vicino ai due bambini,
intenzionato a riprendersi l’indumento senza il quale sentiva freddo alla
testa.
Fu ignorata la sua lamentela, tanto che il bimbo dal cappello blu - dal quale
uscivano ciuffi neri - esclamò “e quella è la mia sciarpa!” indicando una
lanosa sciarpa color senape che avvolgeva il loro amico di ghiaccio.
Il bambino dai begli occhi verde smeraldo, invece, indicava dei guanti su dei
rami che erano le braccia del pupazzo di neve. “Sono i miei guanti!” disse a
gran voce, con una nota di orgoglio.
Eric pensò che era davvero un bel pupazzo di neve.
“Senza cappello non è perfetto!” puntualizzò ancora il bambino con i begli
occhi, stavolta sorridendo a bocca aperta e mostrando l’assenza di due denti.
Eric trovò buffo quel bambino, ma ricambiò il sorriso, sentendosi importante per
il suo cappello celeste dai bordi gialli, il cappello che rendeva quel pupazzo
di neve perfetto.
“Come ti chiami?”.
Eric si rese conto che mai aveva parlato con qualcuno che non fosse sua madre,
la sua mamma che lo chiamava Eric e... lui voleva essere Eric solo per lei, non
voleva altri pronunciassero il suo nome. Era l’ometto della sua mamma, quindi
questo faceva di lui il Signor Cartman, ne era sicuro, per questo mormorò “Cartman”.
“Io sono Kyle” fece l’altro bambino, indicando poi il timido moro vicino a se
“e lui è Stan”.
“Tu sei Kahl...” ripeté Eric come
rapito da quel suono. Era un nome bello, come i suoi occhi e il suo sorriso.
“No, Kyle”.
“Kahl”.
“K-y-l-e!”.
“Ma Kahl mi piace di più” protestò Eric, come se la sua obiezione fosse
legittima.
“Ma non
è il mio nome!”.
“Neanche Cartman è il mio nome”.
Né Kyle né Stan capirono cosa Eric intendesse, ma ad Eric sembrò tutto logico:
Cartman sarebbe stato il suo nome per gli altri e lui avrebbe chiamato Kyle,
Kahl.
I suoi nuovi amici trovarono stupida l’idea e risero di lui; Kyle in
particolare trovò il modo per rendere sua la filosofia di Cartman: “se mi
chiami Kahl allora io ti chiamo Culone”.
Per Eric quelle parole furono uno choc, il suo primo vero choc, che lo fece
scattare subito sulla difensiva: “io non sono grasso, ho le ossa grosse!”,
ma nessuno dei due gli prestò attenzione e lo canzonarono con quel nome, come i
bambini usano fare con coloro che considerano amici.
Eric provò per la prima volta qualcosa di oscuro che avrebbe battezzato come odio una volta cresciuto,
ma mentre il petto si gonfiava con questo spiacevole sentimento, il suo sguardo
era del tutto rapito dal bimbo dallo strano cappello, dal suo sorriso sdentato,
dai ricci rossi che il capello non riusciva a coprire. In qualche modo seppe
che quello che avrebbe provato per quel bambino non sarebbe mai stato solo odio,
così come fu certo che sua madre non sarebbe stata più il centro del suo mondo.
Quel ricordo era importante e felice, quanto denso di tristezza, perché Eric
era consapevole che per Kyle lui mai sarebbe stato perfetto come lo era stato
al loro primo incontro.
*
Era mezzanotte quando in casa Brovflovski la stampante si accese per
riprodurre in bianco e nero, ciò che la schermata del pc mostrava in bianco e
blu.
Non era un documento importante, né un’immagine particolarmente bella, era...
una stronzata in realtà, una stronzata sulla quale Kyle si era fissato.
“Hai degli occhi bellissimi”.
Sono passati dei mesi, ma ancora tiene su Ask quel messaggio tra le domande
ricevute che non hanno avuto ancora risposta.
Si sente stupido Kyle, si sta comportando come quei gruppi di adolescenti che
odia. Potrebbe non dare alcun peso a quella frase, però... si chiede se quello
che è successo diverse ore prima a casa di Cartman non sia un segnale,
qualcosa per cui dovrebbe sapere che la domanda è stata inviata da lui.
Potrebbe saperlo facilmente in realtà, le sue abilità di hacking in meno di
mezz’ora lo porterebbero a trovare l’IP del computer da cui è stato spedito
quel messaggio, ma non lo fa, perché... perché ha paura di sapere la risposta.
Non
arriverà mai, vero? ...Un momento diverso tra noi... Nel senso che
oltrepassiamo la soglia...
Si sente stupido per davvero, guardando il foglio fresco di stampa si chiede
cosa vuole, che senso ha avere in mano quel messaggio se lui stesso non lo
vuole sapere?
‘Credo che in realtà sono il primo che
vorrebbe oltrepassare la soglia’ ma è anche il primo che nega quello che
prova perché, qualsiasi cosa sia, ne ha timore.
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