BREATHE.

di illmarryniall_
(/viewuser.php?uid=240926)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** primo capitolo. ***
Capitolo 2: *** capitolo due. ***
Capitolo 3: *** capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** capitolo quattro. ***
Capitolo 5: *** capitolo cinque. ***
Capitolo 6: *** capitolo sei. ***
Capitolo 7: *** capitolo sette. ***
Capitolo 8: *** capitolo otto. ***
Capitolo 9: *** capitolo nove. ***
Capitolo 10: *** capitolo dieci. ***
Capitolo 11: *** capitolo undici. ***
Capitolo 12: *** capitolo dodici. ***
Capitolo 13: *** capitolo tredici. ***
Capitolo 14: *** capitolo quattordici. ***
Capitolo 15: *** capitolo quindici. ***
Capitolo 16: *** capitolo sedici. ***
Capitolo 17: *** capitolo diciassette. ***
Capitolo 18: *** capitolo diciotto. ***
Capitolo 19: *** capitolo diciannove. ***
Capitolo 20: *** capitolo venti. ***
Capitolo 21: *** capitolo ventuno. ***
Capitolo 22: *** capitolo ventidue. ***
Capitolo 23: *** capitolo ventitré. ***
Capitolo 24: *** ultimo capitolo. ***



Capitolo 1
*** primo capitolo. ***


Buon salve a tutti.
Questa fanfiction è puramente inventata.
Non c’entra nulla con la realtà, fatti puramente casuali.
In questa storia parlerò di due famiglie con un passato coinvolgente e due ragazzi, tenuti sempre all’oscuro di tutto, che finiranno per incontrarsi, diventare amici. . .
Io, per iniziare, mi chiamo Marika.
Ho già scritto una storia precedente, vi posto il link qui sotto.
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1295412&i=1
Quella riguardava Niall, membro dei oned.
Questa sarà un tantino diversa.
Questa storia s’intitolerà BREATHE, ossia respirare.
Perchè? Non lo so, m’ispirava molto e mi dava un senso di sicurezza.
Ho letto molte storie e qualche libro recentemente e ho deciso d’ispirarmi un po’ a tutte quante.
Iniziamo con la presentazione dei personaggi principali.
                                                    
                                                                  ***
 
Justin: 
Demi:
 
 
 
NON VI INTERESSA TUTTO CIO’?
BENE, COMINCIAMO.
*rullo dei tamburi*
Vi avviso che come primo capitolo non sarà molto lungo.
 
                                                                  ***
 
 
Ero rientrata da qualche giorno dalle vacanze estive ed il lavoro era già una noia assoluta.
Gente che entrava, abbandonava i suoi cani e veniva a riprenderseli dopo chissà quante ore.
Non era uno dei lavori migliori ma dovevo accontentarmi.
I miei genitori erano in giro per il mondo a fare affari qua e là, non m’interessava sapere che tipo di affari, quindi preferivo starmene in disparte, trovando un lavoro che mi tenesse lontana da tutta la sacra famiglia.
Dog-sitter, che lavoro banale.
                                                                  *** 
 
Quel fastidioso campanellino all’entrata strillò due volte prima che qualcuno andasse a servire.
A quanto pare tutti avevano bisogno di una visita all’udito, quindi andai io.
Mi ritrovai di fronte ad un ragazzo alquanto impaziente, che continuava a punzecchiare quel maledetto campanellino pur avendomi vista attraversare il corridoio.
Non potei non ammettere che se avessi avuto la possibilità, l’avrei ammazzato all’istante.
Mi recai con molta cautela al bancone, avevo voglia di farlo innervosire ancora per un po’.
Fu lui a rivolgermi per primo la parola.
‘’Ho bisogno di lasciare il mio cane per un paio di giorni.’’ Disse dolcemente.
Il che mi lasciò perplessa.
‘’Mi dispiace ma questo non è un albergo per cani.’’ Borbottai.
‘’Posso pagare tutto ciò che le pare, ma devo lasciare qui il mio cane per almeno tre giorni.’’
‘’Ed io le rispondo nuovamente che questo non è un albergo canile.’’
‘’Cosa devo fare per convincerla?’’ insistette lui.
Rimasi in bilico un attimino, prima di dare aria alla mia bocca.
‘’Va bene, lo terrò io.’’ sospirai. ‘’Come mai deve lasciare il suo cane in custodia a qualcun altro?’’ chiesi con riluttanza.
‘’Devo fare delle commissioni, la mia ragazza è fuori città e non può tenere questa bestia.’’
‘’Non dovrebbe rivolgersi così verso il suo cane.’’ Mi soffermai notevolmente sulla parola ‘suo’.
‘’Non sono affari che le riguardano. La ringrazio del favore, ci vediamo presto.’’
‘’Mi lasci almeno un nominativo.’’ Chiesi prima che lui oltrepassasse la porta.
‘’Bieber.’’ Ridacchiò uscendo.
Che diamine rise a fare!
 
‘’Demi chi era alla porta?’’ sentii provenire dalla stanza accanto.
‘’Un ragazzo alquanto fastidioso che mi ha affidato il suo cane per due giorni.’’
‘’Ti ha affidato cosa? Ma non è possibile. Fammelo chiamare immediatamente.’’
‘’Purtroppo è andato via lasciando solo uno stupido cognome.’’
‘’Ma come si permette? Questo non è lavoro nostro.’’
‘’Lo so Lucia, ho provato a dirlo.’’
‘’E lui?’’
‘’Ha provato a convincermi con del denaro.’’
‘’Se ha proposto di pagare bene..’’ si soffermò. ‘’Vorrà dire che terremo questo cane.’’ Concluse ridendo.
‘’Mh.’’ Sospirai.
Mi allontanai dalla sala per portare al piano di sopra quell’adorabile cagnolino. 
Attaccato al collare aveva un ciondolo con inciso il suo nome. Si chiamava Rocki.
Che nome carino.
Credo.
Non feci in tempo a sistemarlo nella stanza che quel dannato campanellino suonò nuovamente.
Lavorai tutto il pomeriggio, portando a spasso circa dieci cani in tutto.
Credevo di essermi tramutata in un cane anche io.
Andai al piano di sopra a riprendere Rocki e salutai Lucia per poi dirigermi verso casa.
‘’Lù io vado, ci vediamo domani.’’ Dissi uscendo.
‘’Demi aspetta un minuto.’’ Mi tirò da un braccio verso la sala d’attesa.
‘’Ascolta, domani ho un appuntamento e devo andare fuori città a pranzo, non vorrei scomodarti nel lasciarti il locale, quindi domani rimani pure a casa.’’
‘’Un appuntamento?’’
‘’Sì. Un ragazzo. È una storia lunga, te la racconterò non appena avremo tempo.’’
‘’Ok, d’accordo. Comunque affare fatto, domani rimango a casa. Mi rilasso un po’.’’
                                                                     ***
 
Quel cane non mi dava un attimo di pace, andava gironzolando per casa come se niente fosse.
Aprendo il frigorifero mi avvolse una depressione tremenda, tipica di quando hai fame e nel frigorifero non c’è assolutamente nulla.
‘’Caro Rocki, ci tocca uscire a fare un po’ di spesa.’’ Mi rivolsi a lui come se mi ascoltasse e la cosa buffa fu che mi rispose abbaiando.
Andai in camera a prendere un guinzaglio.
Mi seguì e si mise in posizione di attesa di fronte ai miei piedi.
L’intelligenza di quel cane era micidiale.
La suoneria del mio cellulare mi distrasse per un attimo.
‘’Pronto?’’ 
‘’Come sta il mio Rocki?’’
Come diavolo faceva ad avere il mio numero di cellulare?
‘’Scusi, lei è?’’ chiesi innervosita.
‘’Justin.’’ Sospirò. ‘’Bieber.’’
‘’Ah, Bieber. E come fa ad avere il mio numero?’’
‘’Questioni private. Ora mi dica come sta il mio cane.’’
‘’Non aveva detto che non le interessava niente?’’
‘’Altre questioni private.’’
‘’Sì, questioni. Comunque sta bene. Stiamo uscendo a fare un po’ di spesa, ho la casa vuota.’’
Notai una leggera risata provenire dall’altra parte del telefono.
‘’Cosa c’è da ridere?’’
‘’Niente, ci vediamo tra qualche giorno.’’ Riattaccò immediatamente.
Quel ragazzo sapeva perfettamente come far attivare ogni minimo nervo presente nel corpo di una persona.
‘’Bene Rocki, andiamo a procurarci il cibo.’’
Scodinzolò quella piccola coda e mi fece segno di uscire dalla stanza.
Legai al suo collare il piccolo guinzaglio azzurro e mi feci guidare fuori casa.
Come se io non conoscessi la strada.
 
Ritornammo a casa stracolmi di cibo.
Comprai anche una piccola scatoletta di carne per Rocki, per quanto riguarda me invece mi accontentai di un panino col salame e un po’ di succo alla pesca.
Rimasi fissa all’orologio quando notai che erano appena le 21.00 ma ero in preda al sonno.
Indossai il pigiama e andai dritta dritta nel mio letto caldo.
Rocki mi seguì e si stese a ciambella sotto il letto.
Entrambi cademmo in un sonno profondo.


Spazio autrice.
Benvenute e grazie se avete letto questo primo capitolo.
Lo so che non è un granchè, vi prometto che la storia seguente sarà migliore.
Vorrei postarvi una piccola gif per mostrarvi il tipo di cane che è Rocki.


Bene, bene, bene.
Recensite se vi va, mi dite cosa pensate, cosa immaginate che ci sarà nei prossimi capitoli.
Insomma, fate un po' voi.
Vi ringrazio, passo e chiudo.

 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** capitolo due. ***


 
 
 
 
Un frastuono proveniente dal salotto mi fece sobbalzare dal letto. 
Corsi immediatamente nella stanza e non fu una bella visione.
Trovai a terra ogni minimo oggetto che tenevo sul tavolino, ogni minimo angolo del tappeto rovinato.
«Cosa diavolo hai fatto?» urlai e Rocki si fermò all’istante, lasciando cadere dal suo muso un pezzo del tappeto.
Si diresse verso di me ancora scodinzolando.
Lo lasciai perdere, ormai presa dal nervoso, e andai a raccogliere tutto quel disastro che mi circondava.
«Chi me l’ha fatta fare di prendere questo dannato cane.» pensai a voce alta.
Parli del diavolo e spuntano le corna.
Il cellulare risuonò dall’altra parte della stanza.
Notai Ricki alzare lo sguardo verso il cellulare, capii la sua intenzione e mi precipitai a prenderlo prima che finisse nel suo stomaco.
Eravamo entrambi vicini quando mi buttai a prenderlo e caddi a terra.
Un dolore atroce alla spalla e lui posizionato sopra di me a cercare di leccarmi la guancia.
Disgustoso.
«Pronto?» risposi innervosita.
«Come mai ti trovo sempre così nervosa? Qualcosa non va?» Se c’era qualcosa che non andava qui, erano lui e il suo cane.
«Non c’è nulla che non va. Solo una cosa, hai un cane odioso. Mi ha rovinato mezza casa, maledizione.» sbraitai quasi al telefono. Ero troppo arrabbiata in quel momento da continuare a fare la ragazza carina.
«Ohw, mi dispiace davvero tanto.» iniziai quasi a credere alle sue parole, ma non mi lasciai ingannare.
«Al tuo posto la smetterei di fare il saputello e verrei a riprendermi il cane. Non ho tempo da perdere io.»
«E secondo te io ne ho? Altrimenti perchè t’avrei lasciato quello stupido cane?» sospirò lui.
«Non m’interessa dei tuoi impegni tra te e la tua ragazza. Ti ho già ripetuto che questo non è un albergo e non ho intenzione di tenere ancora a lungo questo cane. Mi ha già distrutto mezza casa, non vorrei perdere altre cose di valore.»
«Oh, tranquilla. Domani avevo in mente di venire a prenderlo, non ti preoccupare. Solo oggi resisti.»
«Lo spero per te.»
«Oppure?» quasi ridacchiò.
«Op-pure n-non lo so.» M’impuntai in quelle parole.
«Mi raccomando bellezza, non ti scaldare troppo.»
«Ciao.» chiusi con freddezza quella telefonata.
Accidenti quanto poteva essere fastidioso quel piccolo essere.
C’avrà avuto sì e no una ventina d’anni e non volevo immaginare come poteva diventare col passare degli anni, anche per colpa della vecchia.
I brividi solo a pensarlo.
Continuai a pulire nel salotto, riuscendo nella mia impresa.
Rocki rimase in disparte tutto il tempo a godersi la scena vittorioso.
«E’ inutile che rimani lì fermo a guardarmi, non mi fai pietà.» dissi fissandolo.
Lui ricambiò il mio sguardo, con quei maledetti occhi pieni di dolcezza ai quali difficilmente si resiste.
«Forza, andiamo a fare una passeggiata.» sospirai prendendo il guinzaglio.
Scodinzolando si avvicinò a me fino a varcare la porta insieme.
 
                                                              ***
 
Dopo una lunga passeggiata mi fermai davanti casa di una mia amica che non vedevo da tanto tempo.
Decisi di bussare.
 
«Demi, da quanto tempo. Vieni, entra pure.» mi accolse a braccia aperte. «Allora, cosa ci fai da queste parti? E questo bellissimo cucciolo?» continuò subito dopo mentre mi accompagnava verso il divano.
«Per quanto riguarda questo cucciolo, come dici tu, mi è stato lasciato in custodia fino a domani da un essere fastidioso chiamato Justin Bieber. Invece, mi trovo da queste parti sempre per colpa sua, per portarlo un po’ a spasso.» dissi tutt’un fiato.
Rimase per un po’ senza dire nulla. «Hai detto Justin Bieber? Ho sentito bene?» concluse.
«Sì.»
«Demi, ascoltami. Meglio che rimani più lontana possibile da lui. Non sta in un bel giro, si occupa di droga.»
«Ma io non ho nulla a che fare con lui. Mi ha semplicemente lasciato il suo cane.»
«Lo so, ma stai lontana da lui.»
«Ammettiamo, è pure fidanzato.»
«Justin fidanzato? Ma non farmi ridere. Non riesce a tenere salda una relazione nemmeno col suo cane, immagina con un essere umano. L’avrà detto per sembrare il solito perfettino.»
«Ma che vuol dire che si occupa di droga? È un tossico?» continuai a blaterare varie domande. Non so perchè, ma m’interessava sapere. 
«Non mi pare che lui sia un tossico, ma a quanto pare si occupa di droga con diverse famiglie. È uno spacciatore.»
Rimasi allibita da tali parole. Sì, era fastidioso e spavaldo, ma non mi sembrava un tipo del genere. «Mh, terrò in considerazione questi parole, grazie mille dell’avvertimento.»
 
Ripensai alle sue parole.
«Devo fare delle commissioni, la mia ragazza è fuori città e non può tenere questa bestia.»
Ecco che diavolo di commissioni aveva da fare.
E la sua ragazza, mpf.
Magari considera la droga come la propria ragazza.
Tutto ciò era alquanto disgustoso.
«Demi, qualcosa ti turba?» mi scosse Hanna.
«Scusa, pensavo un attimo ad una cosa.»
«Vuoi una tazza di tè?»
«Volentieri se è alla pesca.» ridacchiai.
«Certo, lo tengo sempre.»
La seguii in cucina mentre la osservavo preparare il tè e ripensavo ancora a quel ragazzo fastidioso e riluttante, quasi da far venire la nausea.
«Ecco a te la tua tazza.» mi porse la solita tazza verde nella quale bevevo il tè ogni volta che venivo a farle visita.
«Allora, come ti va la vita? Solito lavoro da schifo?» continuò.
«Dopo la partenza dei miei genitori sono riuscita a trovare solo quello. Era così fastidioso lavorare nelle grande aziende solo per quella dannata raccomandazione dei miei genitori e della loro stupida fama che hanno in quei campi.» sorseggiai un po’ di tè ancora bollente.
«Io al tuo posto non mi lamenterei. Infondo è bello avere un lavoro assicurato.»
«Credimi, è odioso. Ovunque tu vada, vieni conosciuta solo come la figlia di Greg e Sheila.»
«Mh, capito. Beh, ora sei indipendente. Hai un lavoro. Anche se pessimo ma pur sempre lavoro.»
«Diciamo che mi rilassa passeggiare.» sorseggiai nuovamente. «Tu invece come te la passi?»
«Beh, io sono ancora un’assistente in quella stupida clinica dentistica. Ma tengo stretto quel lavoro, mi pagano bene e ho davvero bisogno dei soldi. Non capisco perchè tu debba lavorare se sei quasi più ricca della regina.» ridacchiò lei.
«Non m’interessano davvero i soldi, m’interessa stare da sola e vivermi la vita sulle mie spalle.»
«Mh.»
 
«Scusa Hanna, mi allontano un attimo per rispondere.»
Sullo schermo lampeggiava il suo nome.
«Che c’è? Il tuo cane sta bene, pulito, profumato, zampe intatte.»
«Bene, m’interessava questo. Ora vado, sto tornando a casa. Nella tarda serata dovrei passare a prendere il cane, se faccio in tempo.»
«Ti aspetto vicino al locale. Vieni verso il retro, oggi stiamo chiusi.» riattaccai immediatamente.
 
«Senti Hanna, io vado, ci vediamo la prossima volta.»
«Alla prossima, fai attenzione.» mi accompagnò all’uscita.
                                                                         
                                                                    ***
 
Aspettai ansiosamente l’arrivo di quello sbruffone, ma niente.
Tardò di circa 40 minuti.
Mi sedetti alla panchina posta vicino alla porta laterale e aspettai.
Di tanto in tanto accarezzavo Rocki, il quale si era addormentato sotto la panchina.
A quanto pare amava dormire in luoghi nascosti.
Subito dopo una macchina nera si parcheggiò di fronte a me, si spense e con nonchalance scese dalla macchina lui.
Apparve un sorriso malizioso sulle sue labbra, come se stesse venendo a barattare anche con me riguardo i suoi spacci.
«Ciao.» sussurrò lui.
«A te. Questo è il tuo cane, non c’è bisogno di pagamento. Ora è tardi, io vado a casa. Addio.» iniziai ad alzare il passo per cercare di allontanarmi da lui.
«Vai già via?» disse fermandomi da un braccio.
«Come ti permetti di toccarmi? Nemmeno mi conosci. Togli subito quelle luride mani da me.»
«Uo, calma. Non intendevo farti quest’effetto. Volevo solo ringraziarti di aver accudito Rocki nel frattempo.»
Feci un ‘o’ con le labbra, senza dire nulla.
«Mh, prego. Non posso dire che è stato un piacere.» sospirai. «Perchè non lo è stato veramente.»
«Mi dispiace, non volevo occuparti, ma gira voce che questo locale sia uno dei migliori ad accudire i cani.»
«Mh, okay. Ora posso andare?»
«Certo.»
Voltai le spalle senza nemmeno salutare.
Notai i suoi occhi fissi su di me mentre giravo l’angolo per tornarmene a casa.
Era ormai notte buia, la luna illuminava la strada vuota.
Il vento picchiettava leggermente sulle mie braccia nude.
Notai un gruppo di ragazzi in fondo alla strada, fumavano, non so cosa.
Iniziai ad accelerare il passo e altrettanto fecero loro verso la mia direzione.
Cercai di distogliere lo sguardo verso di loro ma uno mi comparve davanti.
«Ehi bella femmina, dove ti porta questo passo veloce?» disse sfiorandomi la guancia.
Prova disgusto nel sentire l’odore proveniente dal suo corpo e le sue luride mani sul mio corpo.
«Vado a casa, sei pregato di lasciarmi stare.»
«Altrimenti chiami la mamma?» sorrise a questo punto, richiamando l’attenzione degli altri suoi amici che si avvicinarono.
«Dovremmo portarla nel nostro capannone, potremmo farle scoprire esperienze nuove.» borbottò uno, mentre sorseggiava la sua birra.
«Lasciatemi stare. Devo tornare a casa.»
Sembrava non importasse nulla a loro.
Il più grande mi prese sulle spalle. Iniziai ad agitare i piedi, scalciando qualche passo verso il suo ventre e urlando aiuto.
Una macchina nera alquanto familiare si fermò davanti a noi, lo sportello si aprii e si richiuse sbattendo.
«Vi conviene lasciarla immediatamente.»
«Ciao anche a te Justin.» disse colui che mi teneva sulle spalle.
Io continuavo a scalciare.
«Ciao anche a te Lou, ora ti conviene lasciare la ragazza a terra.» si soffermò notevolmente sulla parola ‘ora’.
Mi lasciò cadere a terra come un sacco di patate.
«Ahià.» sussultai io.
«Vieni, andiamo via.» disse Justin porgendomi la mano.
«No, me ne vado a casa. Da sola.»
Ritrasse la mano verso il suo corpo ed io iniziai a correre verso il mio appartamento.
Non ebbi il tempo di ringraziarlo.
Volevo ringraziarlo davvero?
Un senso di colpa mi assalì.
Corsi su per le scale nel modo più veloce che conoscevo e andai subito a darmi una ripulita, cercando di togliere l’odore di fumo e alcool che avevo addosso.
Andai immediatamente a dormire.
                                                                                                                                                                              ***
 
spazio autrice;
yo gente, grazie per essere di nuovo qui, più forti di prima. (?)
no ok, questo capitolo è già meglio del primo, no?
grazie per aver letto e recensite, recensite, recensite.
si è incantato il disco.
yo, io vado.
grazie della lettura.
♡♡

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** capitolo tre. ***




Continuai a rigirarmi svariate volte nel letto senza nemmeno riuscire a prendere sonno.
Magari ero stata troppo brusca nei confronti di Justin.
Hanna aveva detto di stare lontana da lui, ma in quel momento se non ci fosse stato, a quest’ora sarei ancora nelle mani di quei drogati.
In quello stesso momento il cellulare vibrò sul mio comodino.
Mi voltai per prenderlo e riconobbi il suo numero.
«Sì?» risposi con appena un tono di voce.
«Mh, volevo solo chiederti come stavi.»
«Sto bene.» cercai di chiudere la chiamata. «Ehi, aspetta un attimo.» m’interruppe.
«Volevo solo ringraziarti come a dovere per aver tenuto Rocki.» concluse.
«L’hai fatto ora. Se permetti, è tardi. Ho bisogno di dormire, buonanotte.» riattaccai immediatamente.
L’alto tasso di acidità presente nel mio corpo mi sorprendeva di giorno in giorno.
Fosse stato un altro tipo di ragazzo, avrei pensato che magari ci fosse un interesse da parte sua, ma conoscendo il soggetto non credo proprio.
Dovevo rimanere alla larga da Bieber.
Riposi il cellulare sul comodino, modo silenzioso e mi rivoltai per cercare di dormire.
                                                                 ***
 
La sveglia suonò al solito orario, feci un po’ di colazione e corsi subito a lavoro.
Solitamente il sabato c’era sempre il boom del lavoro.
Varcai la porta del locale per vedere già due coppie con dei piccoli barboncini che aspettavano di abbandonare i propri cuccioli.
Lasciai loro il tempo di firmare l’autorizzazione per portare fuori i propri animali e poi presi il guinzaglio per iniziare la mattinata con una bella passeggiata.
«Lù, io vado, ci vediamo tra una mezzora.» salutai Lucia che intanto faceva alcune commissioni al computer, completamente inesperta di tecnologia.
Decisi di andare in riva al mare, le giornate me lo permettevano ancora.
Per fortuna i due cagnolini non erano irrequieti, quindi mi facilitarono il lavoro.
Di tanto in tanto mi fermavo per concedere a loro una piccola pausa e farli abbeverare.
Arrivati in spiaggia, tolsi i sandali e li riposi su un piccolo scoglio vicino al muretto, allungai il guinzaglio per lasciare più libertà ai cuccioli e mi sedetti sulla sabbia per godermi un po’ di tranquillità.
I raggi del sole battevano sull’acqua cristallina del mare leggermente agitato.
Il vento alleviava il caldo circostante.
Gli occhiali da sole che avevo in testa ricaddero dopo poco sui miei occhi per proteggerli dai raggi che battevano imperterriti.
I cuccioli entravano e uscivano con le loro piccole zampette dall’ombra che lasciavano le onde quando si scontravano con la sabbia per poi immergersi nuovamente.
Iniziai a pensare su come trascorrere il sabato sera, o perlomeno il fine settimana.
Molte coppie iniziarono ad arrivare nel frattempo e mettersi sotto i portici a fare le proprie smancerie mielose.
Continuai a prendere il sole e osservare i due cuccioli distesi sulla sabbia di fronte a me, fino a quando non fui interrotta da una calda voce.
«Ciao.» borbottò.
Alzai lo sguardo cercando di riparare gli occhi dalla luce per guardare più in alto, incontrai i suoi occhi.
Occhi color nocciola, così luminosi da ricordare quasi il rame.
«E-ehi.» balbettai io.
Possibile che dovevo ritrovarmelo ovunque?
«Ero da queste parti per fare alcuni affari.» continuò lui sedendosi accanto a me.
Cercai di allontanarmi vista la sua vicinanza ma lui lo notò e aggrottò la fronte.
«Ho per caso detto qualcosa di sbagliato?» al che lui mi chiese.
Feci cenno di no con la testa, senza nemmeno parlare.
«Mh, okay.»
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, fissando entrambi altrove.
La vocina nella mia testa insisteva nel rivolgerli la parola.
«Non ci siamo presentati come si deve ancora.» feci notare.
«Justin.» si soffermò. «Justin Bieber.» mi porse la mano.
«Demi Lovato.» sorrisi appena.
Notai la sua espressione cambiare notevolmente.
«Sei la famosa Demi? Figlia di Sheila e Greg?» perchè diamine dovevo essere sempre conosciuta solo per portare quel maledetto cognome?
«Sono io.» sbuffai.
«Mio padre conosceva i tuoi genitori, erano in affari, prima che lui si cacciasse in qualche guaio. Credo.»
«Conosceva?» cercai di capire di più sui miei genitori.
«Mio padre è morto due anni fa. È stato un periodo abbastanza buio per la mia famiglia. Non ho ancora chiarezza sulla sua morte. So per certo che un giorno, precisamente il 2 Luglio, un poliziotto suonò alla nostra porta in cerca di mia madre per avvisarla dell’accaduto.
Da quel giorno mia madre non si è più ripresa.» fece un attimo di pausa. «E nemmeno io.» concluse.
Non immaginavo che dietro tutta quella spensieratezza si celasse un animo sofferente.
«Che lavoro faceva tuo padre?»
«Credevo fosse commercialista. Sai, era sempre in giro per il mondo, portava sempre regali a casa, ci faceva conoscere i suoi amici di tanto in tanto.»
«Credevi?» ero titubante sulle sue parole.
«Ultimamente abbiamo scoperto che si occupava di un determinato lavoro. Ero all’oscuro di tutto da più di dieci anni. Non è stata una bella botta.»
«Non credo siano affari miei sapere il lavoro di tuo padre. Ma una domanda mi sorge a questo punto.» aggrottai la fronte mentre riflettevo su cosa dire.
«Se tuo padre non era commercialista come tu credevi, come faceva a conoscere i miei genitori?»
Lui rimase sorpreso da tali parole.
«A quanto pare l’oscurità è ancora presente nella tua vita.» sussurrò lui.
«Non ti seguo.»
«Dove sono i tuoi genitori in questo momento?»
«Credo siano a Parigi. Almeno così m’hanno detto.»
«Credo che tu debba conoscere ancora tante cose sulla tua famiglia. Cose che non posso dirti di certo io. Non sono un guasta famiglie.» fece spallucce per poi alzarsi e ripulirsi dalla sabbia sui pantaloni.
«I miei genitori sono dei commercialisti alquanto bravi. Non ci sarebbero tutti quei soldi in famiglia altrimenti.» borbottai.
«La convinzione a volte frega la gente. Ti consiglio di cercare la verità, anche se non sarà bella.»
Prese la giacca che aveva riposto sullo scoglio e iniziò ad avviarsi verso la scalinata.
«Vai dalla tua ragazza?» Che cavolo di domande fuoriescono dalla mia bocca?
Sorrise quando sentii ciò. «Non ho una ragazza, l’altro giorno scherzavo.» salii di un altro gradino. «Se ti può interessare.»
Non risposi e andò via completamente.
Era così odioso.
Snervante.
Ogni aggettivo negativo verso i suoi riguardi.
Che diavolo significavano le sue parole?
«Credo che tu debba conoscere ancora tante cose sulla tua famiglia. Cose che non posso dirti di certo io. Non sono un guasta famiglie.»
Conoscevo i miei genitori, abbastanza bene da odiarli già per come apparivano.
E se invece era lui ad aver ragione?
Ero ancora circondata dall’oscurità?
Presi il cellulare e digitai immediatamente il numero di mia madre.
Suonò per qualche minuto fino a quando non si degnò di rispondere.
«Devonne, amore mio.» disse sorridendo.
«Lo sai che odio quando mi chiami così. Ma non è questo il punto.»
«Qualcosa non va? Hai bisogno di soldi?» disse ansiosamente.
«Che diamine. Non ho bisogno di nulla. Ho soltanto chiamato per vedere dove stavate.»
«Siamo in Europa in questo momento, precisamente ai confini dell’Italia.»
«A fare cosa?»
Rimase un po’ senza rispondere.
«Allora?» sbottai io.
«Tuo padre ed io stiamo aiutando un’azienda agricola a rivoluzionare i suoi prodotti e rivenderli anche in Inghilterra.»
«Mh, capito. Devo lasciarti, stammi bene.»
Riattaccai immediatamente.
Ripresi i cuccioli e ritornai da Lucia.
                                                                          ***
 
Finii il mio turno e mi recai da una cara amica di mia madre.
Lei doveva per forza sapere qualcosa.
Ma io volevo davvero saperlo?
 
Bussai alla sua porta e lei mi aprii dolcemente.
Un sorriso apparve sulle sue labbra.
«Tesoro mio, entra pure.» mi accolse con un abbraccio caloroso.
«Cosa succede? Ti vedo strana.» mi chiese.
«Voglio sapere qualcosa sui miei genitori. Tu devi esserne per forza a conoscenza.»
Alzò le mani in segno di difesa. «Mi dispiace piccola, ma non so nulla. Cosa dovrei sapere?»
«Il loro vero lavoro.» lei rifletté un attimo.
 «Sono dei famosissimi commercialisti, sono riusciti a far carriera dalle più piccole aziende alle più grandi e famose in tutto il mondo.»
«Non questo lavoro. Conosci un certo Bieber?»
«Conoscevo Harry Bieber ma credo sia morto qualche anno fa.»
«Parlavo di suo figlio. Justin.»
«Purtroppo non lo conosco. So che Harry era coinvolto con i tuoi genitori in un affare per quanto riguarda un’azienda a Boston.»
«Che tipo di azienda?»
«Questo non lo so, so soltanto che se non sbaglio si chiamava azienda moratta.»
«Grazie dell’informazione. Ora devo proprio andare, ci vediamo presto.»
Uscii di casa e mi diressi verso casa di Hanna.
 
Bussai alla sua porta insistentemente.
Mi aprii preoccupata.
«Demi cosa succede?»
«Devi accompagnarmi a Boston.»

spazio autrice;
ciao, vi ringrazio di stare nuovamente quiii.
secondo voi come continuerà il capitolo? di cosa si tratta riguardo al lavoro dei genitori di Demi?
qualsiasi domanda o altro, questo è il mio twitter. 

https://twitter.com/niallsneed ♡♡

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** capitolo quattro. ***



Hanna non esitò nel farmi entrare in casa.
La sua espressione sconvolta, sicuramente pensava fosse successo qualcosa.
In realtà, in parte, pensava bene.
«Perchè devi andare a Boston?» mi chiese lei mentre mi sedetti sul divano.
Iniziai a raccontarle l’accaduto. La discussione che tenetti qualche ora prima insieme a Justin e l’amica di mia madre.
Non disse nulla nel frattempo, rifletté e basta.
«Quindi vuoi andare a Boston per chiedere di quest’azienda moratta?»
«Esattamente. Ti prego, puoi accompagnarmi? È a qualche ora da qua, non ci metteremo molto. Possiamo usare la mia macchina.»
«Ma non so come arrivarci.»
«Lucia ci aiuterà ad impostare il navigatore.»
Rimase in silenzio per un po’.
«Ti prego.» dissi.
«Così facendo, ti stai fidando di cose dette da quel tipo.»
«Hanna, fidati. Mentre parlava sembrava sincero.»
«Sembrava, appunto.»
«Ti prego.» ripetei.
«Va bene, va bene. Vai a preparare le valigie. Intanto io cerco qualche albergo dove alloggiare.»
Non mi feci ripetere le cose una seconda volta.
Le diedi un bacio sulla guancia come segno di gratitudine e scappai a casa a sistemare qualcosa.
Presi dall’armadio una piccola valigia blu, ci riposi dentro giusto qualche ricambio.
Presi una borsa e la riempii delle cose più essenziali.
Controllai di non aver dimenticato nulla e uscii da casa.
Nel frattempo digitai il numero di Lucia.
Il telefono squillò per qualche secondo.
«Demi, dimmi tutto.» mi rispose.
«Puoi venire sotto casa di Hanna? Sto andando lì con la mia auto. Diciamo che ripongo fiducia in te per quanto riguarda l’utilizzo del navigatore.»
«Dammi giusto due minuti e sono lì.»
«Ok, a tra poco.»
Arrivata nel parcheggio, riposi tutto nei sedili posteriori, misi a moto l’auto e mi diressi verso casa di Hanna.
 
«Allora ragazze, dovreste arrivare a Boston verso le tre di questa notte. Calcolate che state partendo molto tardi, quindi fate molta attenzione alla strada.» ci mise in guardia Lucia.
«Grazie mille, faremo attenzione.» rispondemmo in coro io e Hanna.
Lucia si allontanò dall’auto, iniziai a girare la chiave per mettere a moto che fummo bloccate da una macchina che si bloccò davanti a noi.
La riconobbi immediatamente.
Due fanali bianchi si spensero immediatamente e dall’auto scese lo sbruffone.
«Vengo anche io.» disse dirigendosi verso di noi.
«Tu cosa?» urlai di botto.
«Hai bisogno di me. Non ti faranno mai entrare in quell’azienda.» continuò lui.
«Posso farcela da sola ho detto.»
Non mi ascoltò ed entrò subito in macchina, sistemandosi nei sedili posteriori.
«Avanti, parti.» m’incitò lui.
Feci cenno a Lucia che poteva tornare a casa, Hanna invece rimase paralizzata a guardare la scena.
«Con te non vado da nessuna parte.» urlai contro di lui.
«Conosco il proprietario di quell’azienda, è stato lui ad aiutarmi a scoprire molte cose sul passato di mio padre. Vuoi scoprirle anche tu oppure no?»
«Posso farcela da sola, oppure no?»
«No.» mi urlò come risposta. «E poi è troppo pericoloso per voi andare da sole in quel posto.»
«Questi non sono affari che ti riguardano.» dissi ormai stanca di discutere.
Lui non ribatté parola.
Era ormai inutile continuare, misi a moto l’auto e partii immediatamente.
Per tutto il viaggio nessuno si permise a parlare.
Hanna dormì per quasi l’intero cammino, mentre io e Justin ogni tanto ci scambiavamo sguardi attraverso lo specchietto retrovisore, io più che altro cercando di intimidirlo, ma era guerra persa contro di lui.
«Rispondi così male a chiunque ti trovi davanti?» mi sussurrò lui per non svegliare Hanna con le nostre voci.
«Di certo non mi comporto bene con un tossico, drogato, o quel che sia.» risposi senza distogliere lo sguardo dalla guida.
Il suo sguardo si gelò all’istante, sembrava quasi che stesse per piangere.
Senza ribattere parola si ritrasse dietro, si mise gli occhiali da sole neri e appoggiò la testa al sedile.
Il silenzio continuò nuovamente.
 
Verso le due e mezzo, circa, arrivammo al nostro albergo.
Parcheggiai l’auto all’entrata e aiutai Hanna a entrare le valigie.
Justin fece da se.
Una cara donna alla reception ci distribuì le chiavi della camera che Hanna aveva prenotato prima di partire, mentre Justin parlò per averne una solo per lui.
Un uomo c’indicò la strada per la nostra camera, mentre con un carrellino ci portava le nostre valigie.
Inserimmo la chiave ed entrammo, ognuna nel proprio letto, distrutte dal viaggio.
Hanna si addormentò immediatamente.
Io mandai un messaggio a Lucia per tranquillizzarla di essere arrivate sane e salve.
Spensi il cellulare e mi sedetti un attimo sul davanzale vicino la finestra.
Guardai il panorama che c’era fuori.
Grandi palazzi illuminati, macchine che sfrecciavano alla velocità della luce, tanto da formare delle linee colorate.
Pur essendo stanca, non riuscivo assolutamente a prendere sonno.
Un senso di oppressione mi stava contorcendo lo stomaco.
Uscii lentamente dalla stanza, senza fare alcun rumore e scesi in reception a chiedere la stanza dove pernottava Justin.
«Scusi signora, saprebbe dirmi il numero di stanza del signor Bieber?»
Mi fece un sorrisetto e annuii.
Col dito iniziò a sfogliare l’elenco delle persone che alloggiavano nelle varie stanze, fino ad arrivare alla B. 
Bieber, eccolo.
«Stanza 27, secondo piano a sinistra.» mi rispose dolcemente e richiudendo subito il registro.
«La ringrazio.»
Presi l’ascensore e mi diressi verso camera sua.
Stanza 27, eccola.
Mi ritrovai di fronte quella porta, immobile.
Esitai in un primo momento, ma poi bussai.
«Chi è?» urlò.
«S-sono io, D-demi.» balbettai.
«Non m’interessa un cazzo, puoi andare via.»
«Volevo chiederti» sospirai. «..s-scusa.»
«Ti ho già detto di andare via.»
Qualcosa mi diceva di restare, d’insistere.
«Vorrà dire che aspetterò qua fuori, seduta, finchè tu non mi aprirai.» non ricevetti risposta dall’altra parte, così mi accasciai a terra, appoggiai la schiena vicino la sua porta e mi rannicchiai con le gambe verso il petto.
Passarono minuti ma lui non venne ad aprirmi.
Feci di tutto pur di non addormentarmi.
Iniziai a fissare l’orologio che avevo di fronte a me e nel frattempo contare ipotetiche pecore immaginarie.
Arrivai alla bellezza di 738 pecore, ma lui non aprii.
Un leggero rumore mi fece svegliare completamente.
La porta si aprii ed io caddi all’indietro, battendo la testa sul pavimento.
Aprii gli occhi e trovai lui in piedi dietro di me che aspettava che io mi alzassi.
Goffamente lo feci.
Mi tenni la mano dietro la testa a causa della caduta, ma quando mi accorsi che tutto ciò aveva solo causato un senso di divertimento il lui decisi di voltare le spalle e tornarmene in camera.
«Non eri venuta a scusarti?» mi rivolse la parola dopo quasi un’ora che ero lì ad aspettare.
«Ho cambiato idea.» risposi fermandomi in mezzo al corridoio.
«Sei una cosa impossibile da capire.» fece di rientrare in camera.
«No, aspetta.» corsi verso la sua porta.
«Lo stai rifacendo.» si voltò verso di me.
«Rifacendo cosa?» 
«Scappi e poi ritorni. Mi tratti male e poi chiedi scusa. Mi allontani ma poi accetti ciò che ti dico.»
«Ho un carattere particolare, non lo faccio apposta.»
«Come vuoi. Dovresti dormire a quest’ora.» mi fece notare l’orario.
Effettivamente erano quasi le cinque.
«Volevo solo scusarmi per ciò che ti ho detto in macchina. Solitamente non mi rivolgo così alle persone.»
«Tranne che ai drogati o tossici come li chiami tu.»
Non ebbi il coraggio di guardarlo in faccia.
Ciò che mi affliggeva di più è che lui non disse nulla per togliersi quell’accusa.
«Ascolta Demi, ci sono tante cose che non sai di me, un’infinità di cose, ma non è il momento e luogo per fare una confessione del genere. Non mi sento adatto nemmeno io. Vai a dormire, sei stanca.»
«Davvero mi diresti tali cose?» alzai lo sguardo verso di lui.
«Non ne ho idea.»
«Mh.» riabbassai la testa e mi diressi verso l’ascensore.
«Buonanotte e dormi bene.» mi sussurrò da lontano.
Feci cenno per ricambiare.
Digitai il pulsante del primo piano e aspettai che scese.
Successe qualcosa e l’ascensore si bloccò.
Un senso di panico mi assalì.
Ahimè, ero claustrofobica.
Iniziai a cliccare pulsanti all’infinito, gridai aiuto ma nessuno mi ascoltava.
Ero sospesa a mezz’aria, cercai di cliccare il tasto del microfono ma alla reception nessuno rispondeva.
«Aiuto.» furono le mie ultime parole prima di chiudere gli occhi e accasciarmi a terra.
Justin’s pov.
Chiusi la porta ma qualche strano bisbiglio iniziai a udire nel corridoio.
Riaprendola notai che non era dal corridoio che veniva quel frastuono, ma dall’ascensore.
Mi avvicinai e notai che si era bloccato, all’interno c’era Demi che urlava.
Non rimasi a pensare e scesi dalle scale correndo.
Bob, l’uomo che aveva accompagnato le ragazze in camera, era seduto a mangiare un panino.
«Ehi.» urlai.
Lui appoggiò il panino sul tavolo che si ritrovava di fronte e mi venne incontro.
«L’ascensore si è bloccato e dentro, molto probabilmente, c’è una ragazza. Ho paura che si stia sentendo male.»
Lui annuì e corse a prendere le chiavi per sbloccarlo.
Scendemmo nel sottoscala, dove c’erano tutti i comandi.
«Faccia presto.» lo incitai a fare più veloce.
Erano le cinque di notte, magari poteva essere stanco, ma in quel momento m’importava salvare Demi.
«Avanti, dannazione.»
«Se magari si calma, io avrei quasi finito.» mi urlò contro.
«Mi calmo.»
«Ho finito, può andare. L’ascensore sta risalendo al secondo piano.»
Iniziai a correre per le scale, ritrovai le porte dell’ascensore aperte e Demi accasciata per terra.
Fu un’immagine tremenda.
Mi precipitai all’interno, impedendo alle porte di richiudersi e la presi in braccio.
La stesi sul mio letto, cercai di alzarle le gambe per aiutare la circolazione ma niente da fare.
Presi un po’ d’acqua e feci in modo di bagnarle le labbra e farla riprendere.
Cercai svariate volte di smuoverla e chiamarla ma niente da fare.
Poco dopo aver perso le speranze lei, aprii gli occhi.
«Mi fa male la testa.» mi disse lei guardandomi.
Ritrovai la serietà che avevo nascosto per un attimo.
«Sei svenuta in ascensore. C’è stato un guasto e si era bloccato.» mi sedetti sulla sedia vicino al comò.
«E come mai mi trovo qui allora?»
«Ho sentito le tue urla e mi sono fatto aiutare da Bob per sbloccarlo.»
«Hai fatto davvero una cosa del genere?»
«Ha fatto tutto Bob, ringrazia lui.»
«Mh. Dovrei tornare in camera ora, è troppo tardi.»
«No, aspetta.» la fermai mentre provò ad alzarsi. «Puoi dormire qui io dormo sul divanetto.»
«Quale divano?» mi chiese lei stordita.
«Questo.» le indicai. «Mi piacciono le stanze grandi e così ho preso questa. Come ho già detto, puoi dormire qua. Domani mattina starai meglio.»
«Come vuoi.»
Presi il cuscino e mi allontanai.
«Justin?» mi chiamò.
«Sì?»
«Ti ringrazio.» sospirò. «Sono claustrofobica, sarei potuta morire restando chiusa un altro po’. Ti ringrazio tanto.»
«Non voglio di certo la tua morte. Ora dormi, sarà una lunga giornata.»
«Buonanotte.» sussurrò mentre si mise comoda nel letto.
«A te.»

Era così bella mentre dormiva.
Io invece cos’ero? Uno stupido drogato.
Aveva ragione lei.   
spazio autrice;
yooo belli i miei lettori.
vi ringrazio di essere nuovamente qui.
grazie delle recensioni e delle tante visualizzazioni in così pochi giorni.
spero vi stia piacendo la storia.
credo che sia comprensibile e originale, vero?
beh, lasciatemi i vostri commenti.
spero di non annoiarvi con questi capitoli.
alla prossima.
lov u♡♡.

ps: questo è il mio twitter, per chi volesse qualcosa.
https://twitter.com/niallsneed 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** capitolo cinque. ***


«Demi? Avanti Demi svegliati, sono quasi le nove.» Hanna cercò di scossarmi.
Mi rigirai svariate volte nel letto senza dare segno di vita.
«Avanti dormigliona, dobbiamo andare. Justin è giù che ci aspetta.»
All’udire di quel nome sobbalzai in un attimo fuori dal letto e andai in bagno a darmi una ripulita.
«Arrivo subito, inizia a scendere.» urlai.
«Ti aspettiamo all’entrata.»
 
Ritornai indietro con la mente, mentre le mie mani erano occupate a lavare i denti.
Justin.
Quella notte rimasi chiusa in ascensore ma dopo di che non ricordai assolutamente nulla.
Solo una cosa mi veniva in mente, ossia il fatto che, nel momento in cui riaprii gli occhi, io mi ritrovavo nel letto di Justin e lui era di fronte a me.
Aveva un viso preoccupato, ma lui mi aveva salvata una seconda volta.
Ecco perchè mi ritrovavo nella sua stanza al risveglio.
Ritornai a terra col pensiero.
Finii di vestirmi e scesi immediatamente nella Hall.
Notai Justin seduto su una poltrona e Hanna in piedi vicino la porta.
Hanna sembrava una dea.
Aveva il vento tra i capelli, i suoi meravigliosi occhiali da sole.
Era un qualcosa di stupendo.
Justin era il solito sbruffone.
Cappello verde Obey, solite Supra nere e occhiali da sole dannatamente sexy.
Il suo sguardo si spostò su di me non appena entrai nella Hall.
Io distolsi subito i miei occhi da lui.
«Vogliamo andare?» dissi dirigendomi verso l’uscita.
Lui annuì semplicemente.
«Demi.» mi prese il braccio, cercando di allontanarmi da Hanna per un momento.
«Cosa c’è Justin?»
«Qualsiasi cosa tu scopra oggi, domani o tra qualche giorno, non farti buttare giù.»
«Dovrei?» chiesi.
«Credo di sì.» rilasciò la presa.
«Non ti preoccupare.» sospirai. «Hanna, al prossimo incrocio dobbiamo girare a destra. Si trova lì l’azienda.»
«D’accordo.» annuì lei.
Camminammo ancora per qualche minuto.
Girato l’angolo ci trovammo di fronte ad un piazzale immenso, sembrava alquanto abbandonato.
Justin mi fece segno di seguirlo.
Bussò alla porta principale e un uomo rozzo e malsano ci venne ad aprire.
«Cosa volete? Non accettiamo elemosina da nessuno.»
«Stiamo cercando Dylan.» affermò Justin.
L’espressione sul volto di quell’uomo cambiò notevolmente.
C’invitò a entrare e seguirlo verso il suo ufficio.
«Cosa siete venuti a fare qui?» ci domandò nuovamente.
«Harry Bieber ti dice qualcosa?»
L’uomo smise di camminare e si voltò verso di noi.
«Era in affari con Dylan e Greg Lovato.»
Al dunque mi paralizzai.
Justin aveva ragione allora. I miei genitori davvero avevano qualcosa da nascondere.
«Che tipo di affari?» chiesi.
«Sporchi. Affari che nessun tipo di uomo dovrebbe affrontare.» rispose lui continuando a camminare.
Ci dirigemmo verso il suo ufficio, prese posto e fece accomodare anche noi.
Iniziò a parlare in linea generale dei valori che un uomo dovrebbe avere, del lavoro onesto, denaro pulito, e bazzecole varie.
Ero venuta fin quì per sapere il passato dei miei genitori, non sentirmi una morale infinita.
«Mi scusi, non vorrei disturbarla, ma noi siamo venuti fin qui per sapere una cosa. Abbiamo bisogno di Dylan.» disse Justin.
«Dylan è morto due mesi fa.» con nonchalance appoggiò i gomiti sulla scrivania e iniziò a fissarci.
«Cosa? C-com’è possibile?» chiesi.
«Aveva il difetto di parlare troppo.»
«Che diavolo significa questo?» sbraitò Justin. «Non sarà di certo lei a dare le risposte a questa ragazza allora.» concluse.
«Che genere di risposte?»
«Mi chiamo Demi Lovato, sono la figlia di Greg. Voglio sapere in che tipo di giro sono i miei genitori. Da anni pensavo fossero dei semplici commercialisti.» aggrottai la fronte. «Ma a quanto pare mi sbagliavo.»
«E così hanno avuto una figlia? Mh.» ridacchiò l’uomo.
«Ma comunque, vorrei precisare una cosa.» prese fiato. «In un primo momento i tuoi genitori erano davvero degli ottimi commercialisti, ma qualcosa in loro non andava.»
«Di che genere?» chiesi.
«Avevano una personalità particolare. Erano occupati in qualsiasi momento, avevano bisogno di qualsiasi tipo di distrazione. Così hanno iniziato ad allontanarsi dal loro vero lavoro ed entrare in affari con gente diversa. Aziende diverse.» si soffermava particolarmente sulla parola ‘diverse.’
Justin si voltò per guardarmi, feci cenno che andava tutto apposto.
«Continui, la prego.»
«Ma purtroppo io non sono quel tipo di uomo che parla troppo. Non amo discutere, dare aria al cervello. Tutto ciò mi ha causato molti danni negli ultimi anni. Come potete notare l’azienda è andata in rovina dopo la morte di Dylan ed io non mi sono più ripreso.»
«Mi dispiace, non la seguiamo.» disse Hanna.
«Non è compito mio raccontare la storia della famiglia Lovato e Bieber. L’ha già fatto Dylan e ne ha pagato le conseguenze, come potete ben vedere. Grandi responsabilità si celano dietro a ciò, io non sono in grado di prenderle.»
«Ho fatto tutto questo viaggio per non sentir nulla?» urlai contro di lui. «Che diamine significa ciò? Ho bisogno di avere certezze, verità, qualsiasi cosa. Non so più chi sono, con chi ho vissuto per interi anni.»
«Mi dispiace.» concluse lui. Si alzò dalla sua poltrona e ci incitò ad andare via.
«La prego, mi aiuti.» pregai che qualche informazione uscii dalla sua bocca, ma fu tutto inutile.
«Se ha bisogno di soldi, io posso darle tutto ciò che vuole.» pregai nuovamente.
Non disse alcuna parola e ci spinse fuori dall’azienda.
«Una sola cosa.» ci disse. «Se davvero ci tenete a sapere la verità, andate a quest’indirizzo. Lei vi darà la risposta.» ci consegnò un bigliettino. 
 
«234 Clarendon Street, lo conosco.» esultò Justin.
«Oh, grazie al cielo. Avanti, andiamo.»
«Sei sicura?» mi chiese.
«Sì, Justin. Andiamo.»
«Ehm ragazzi, scusate un attimo. Io non mi sto sentendo molto bene.» ci fermò Hanna.
«Cos’hai?» chiesi avvicinandomi.
«Un po’ di mal di testa, ma poi passa. Rientro in albergo, fate attenzione.»
«Se hai bisogno, chiamami.»
Hanna si allontanò da noi.
Proseguimmo fino a quel quartiere.
Numero 234, eccolo.
Suonai insistentemente al citofono, fin quando una donna ci aprii.
«Sì?» la sua voce era tranquilla, dolce.
«Mi dispiace disturbarla, ma un uomo mi ha mandata da lei.»
«Chi sarebbe?» chiese lei uscendo dalla porta e venendo verso di noi.
«Socio di Dylan, proprietari dell’azienda moratta.»
Guardò un po’ nelle vicinanze e ci fece entrare in fretta dentro casa.
Sembrava preoccupata.
«Mi dispiace se.» m’interruppe lei mettendomi la mano sulla bocca.
«Sh, non parlare.» annuì debolmente. «Sedetevi.» mi tolse la mano dalle labbra e c’indicò il divano di fronte a lei.
Facemmo ciò che ci era stato detto.
«Per cominciare, cosa volete da me?»
«Le ripeto, ci ha mandati qui un uomo, socio di Dylan.»
«Dylan è morto.» disse la donna.
«Sappiamo anche questo.» disse Justin.
«Quindi?» continuò lei.
«Sa qualcosa su Greg Lovato?»
Il suo sguardo si gelò, abbassò la testa e iniziò a sfregarsi le mani. «Siamo stati amanti per tanti anni. Io sapevo che lui era sposato, sua moglie sapeva di me, ma a nessuno importava.»
Rimasi pietrificata a tali parole.
Mio padre aveva un’amante? E mia madre non diceva nulla? Che diamine di famiglia avevo?
«Continui.» la incitai.
«Credevo di aver trovato l’amore, anche se tecnicamente impegnato con qualcun’altra, ma lui mi faceva stare bene, mi riempiva di regali, mi comprava tutto ciò che volevo.» fece nuovamente una pausa.
«E poi?»
«E poi sono rimasta incinta e lui mi ha abbandonata.»
«Lei ha tenuto quel bambino? Cioè, io avrei una sorellastra? O fratellastro, quel che sia.» continuai.
«Fratellastro. E sì, l’ho tenuto.»
«Quindi ho un fratellastro. E ora dov’è?»
«Insieme agli angeli. È morto un anno fa.»
Mi portai la mano alla bocca, rimasi scioccata, pietrificata.
Non riuscivo a continuare a parlare, così lo fece lei.
«Mio figlio era un ragazzo intelligente, bellissimo, pieno di sogni. Sai, devo ammettere che assomigliava parecchio a te. Hai i suoi stessi occhi.»
Rimasi in silenzio quando mi mostrò una sua foto.
È proprio vero, ci assomigliavamo. Era così bello, aveva un viso luminoso.
Sembrava solo di qualche anno più piccolo di me.
«Si chiamava Josh.»
Presi coraggio. «Com’è morto?»
«Aveva scoperto cose che non doveva.»
Era la seconda volta che sentivo una cosa del genere.
Anche Dylan morì per lo stesso motivo.
«Che genere di cose?» domandai.
«Sei proprio sicura di volerlo sapere?»
«Sì.»
Lo ero davvero?
spazio autrice;
ciao amori della mia vita, sono di nuovo qui.
bene, bene.
secondo voi cosa le dirà quella donna?
fatemelo sapere nella recensione.
cosa pensate di Demi e Justin?
vi lascio, bye bye, lov u.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** capitolo sei. ***


 

«Sei proprio sicura di volerlo sapere?»
«Sì.»
«Va bene, ti dirò tutto.» prese un sospiro.
«Per cominciare, io mi chiamo Emily. Dopo che tuo padre mi abbandonò io decisi di non cercarlo più. Alla morte di Josh però lo feci. Lo cercai, giorno e notte, ma lui si rifiutava di parlare con me. Cercai anche tua madre, ma anche lei m’ignorava. Riprovai ancora, fin quando un giorno si degnò di rispondermi. Parlai della morte di Josh, del motivo per cui era morto. Lui iniziò a insultarmi e minacciarmi che se avessi aperto bocca..» sospirò. «sarei morta anch’io.»
«Cosa nascondeva?» le chiesi.
«Demi, tuo padre non è la persona che credi. Ha fatto tanto male negli ultimi anni, si è cacciato nei guai ed è riuscito sempre a non finire in prigione. Lui è una persona cattiva.»
«Arrivi al dunque, la prego.»
«E va bene. Mentre tuo padre lavorava da commercialista, lui spacciava cocaina nello stesso tempo. Tutto ciò però non lo soddisfaceva e ha così iniziato a fare affari con gente pericolosa, lui procurava loro la droga e loro in cambio lavoravano per lui. Se qualcuno non obbediva ai suoi piani, bam, scappava il morto.»
«Io, i-io non ci posso credere. Non ho mai dubitato di nulla. Ho sempre odiato la mia famiglia ma ora..»
«Ora sai la verità.» continuò lei.
«E per quanto riguarda Harry Bieber? Che affari teneva con lui?»
«Harry era un grande uomo, pieno di vitalità. Ma purtroppo anch’esso immerso in quei luridi giri. Harry era in affari con tuo padre, avevano in mente di comprare un’azienda, una delle più grandi e importanti.» si fermò un attimo.
«L’azienda moratta.» dissi.
«Esattamente. Dylan, il proprietario, non accettò. Così loro lo minacciarono e lui dovette subire. Nel momento in cui riuscirono ad avere l’azienda, una parte di essa la usarono per coltivare varie droghe, un’altra parte invece funzionava ancora in campo commerciale. Nessuno sapeva niente di ciò, ma la vendita di cocaina andava sempre ad aumentare. Tutto si rivoluzionò due anni fa, quando Dylan decise di andare a dire tutto alla polizia. Harry lo scoprii e andò a confessarlo a tuo padre. Lui, non volendo avere bastoni tra le ruote, uccise Harry e andò nuovamente a minacciare Dylan. Quel povero uomo rimase pietrificato quando gli venne confessata la morte di Bieber, così decise di ritirare ciò che stava andando per fare.»
Notai lo sguardo di Justin spostarsi altrove, strinse forte i pugni.
Sapevo che stava tentando di calmarsi.
Io non dissi nulla, rimasi altrettanto traumatizzata da quelle parole.
Ecco perchè ogni bene mi era voluto.
Tutti avevano paura di mio padre, quindi in un modo o nell’altro dovevano obbedirli.
«Io rimango scioccata. Non capisco come mio padre sia potuto diventare un uomo del genere. Sono disgustata nel portare questo cognome.»
Delle lacrime bagnarono il mio viso.
Josh era morto perchè aveva scoperto tutto questo.
Dylan ugualmente.
Mio padre era un uomo cattivo, lo odiavo con tutta me stessa.
«Emily tu come sai tutte queste cose?» le chiesi mentre con un fazzoletto asciugavo la mia guancia.
«Mi sono informata, proprio come hai fatto tu. Ho comprato della droga per un bel po’ di tempo, ho fatto amicizia con un uomo e grazie a lui ho scoperto tutte queste cose.»
«E posso sapere chi è l’uomo in questione?»
«Meglio di no Demi, davvero. Ora ti conviene andare subito via da qui, non voglio che qualcuno vi scopra.»
«Sì, hai ragione. Grazie di tutto Emily.»
Justin mi aiutò ad alzarmi dal divano, proseguendo insieme verso la porta.
«Mi dispiace molto per Josh.» dissi uscendo verso il cortile.
«Lui vive ancora con me, quindi non dispiacerti. Mi raccomando, stai attenta. Questo mondo è pieno di persone cattive.»
«Starò attenta, grazie.»
Varcammo il cancello e ci allontanammo da quella casa.
Justin provò a parlarmi più di una volta, ma io non diedi motivo di continuare.
Ci fu silenzio per tutto il tragitto, tranne che nella mia mente.
Tutto ciò che Emily mi aveva confessato, mi ronzava ancora dentro.
«Demi.» Justin bloccò i miei pensieri.
«Mh?»
«Siamo arrivati. Vuoi salire o preferisci passeggiare un altro po’?»
Non dissi nulla, rimasi a guardare Justin negli occhi.
Lui ricambiò, ammiccando un sorriso.
Aveva un sorriso micidiale, era perfetto.
Rimasi imbambolata.
Me ne accorsi dopo che eravamo tipo petto a petto, i nostri visi ad un passo dal toccarsi.
«Salgo immediatamente a farmi una doccia in camera. Già che ci sono vedo anche come sta Hanna, ciao.» dissi tutto d’un fiato, allontanandolo da me.
Iniziai a correre su per le scale e aprii forte la porta.
«Per l’amor del cielo Demi, mi hai fatta spaventare.» gridò Hanna.
«Ehm, ehm, scusami. Corro a fare una doccia.»
«Ehi, aspetta. Cos’hai scoperto?»
Mi fermai prima di andare in bagno.
Tornai indietro verso di lei.
Iniziai a raccontarle ogni minima cosa, notai la sua espressione scioccata, quasi simile alla mia mentre ero da Emily.
«E così ho un padre orribile e una madre che è il suo braccio destro. Qualsiasi decisione lui prenda. Mi fanno ribrezzo.» conclusi.
«D-Demi io..io non so cosa dire. E Justin?»
«Justin è stato con me tutto il tempo. Lui ormai era a conoscenza di tutta questa storia, ma è stato comunque un duro colpo per lui rivivere quei momenti.»
«Rimane ugualmente un drogato.»
«Smettila.» le urlai contro.
«Cosa fai ora? Lo difendi?»
«Assolutamente no. Solo che ora capisco perchè lui è caduto nella droga. Non è facile vedere suo padre morire, scoprire il suo passato e tant’altro.»
«E’ pericoloso lo stesso.»
«Se fosse stato pericoloso, io non sarei viva in questo momento.»
Il silenzio diede la risposta corretta.
«Vado a fare questa maledetta doccia.»
Entrai in bagno e mi disfai dei vestiti.
Aprii lentamente il rubinetto della doccia, cercando di far arrivare l’acqua calda.
Nel frattempo arrivò un messaggio.
 
Da: Justin
Ho pensato che stasera potevamo andare a prendere qualcosa insieme.
 
A: Justin
Hai pensato male.
 
Da: Justin
Antipatica.
Ok, me ne starò da solo.
Molto meglio.
 
A: Justin
Ok.
 
Ributtai il telefono sull’asciugamano ed entrai nella doccia.
Solo perchè ero rimasta a osservare i suoi occhi, non significava che doveva avvalersi del diritto di chiedermi di uscire.
Sempre se era un appuntamento.
                                                                 ***
 
A: Justin
L’invito è ancora valido?


Da: Justin.
No.
Aggrottai la fronte e ributtai il cellulare a terra.
Iniziai ad asciugarmi velocemente i capelli, il telefono squillò di nuovo.
Da: Justin
..si.

A: Justin
Ci vediamo nella Hall tra un po’.
Ciao.
Mi venne quasi da sorridere.
Non mi era piaciuto come l’avevo trattato, quindi decisi di accettare l’uscita.
Potevo conoscerlo meglio, parlare delle nostre famiglie, del nostro passato.
Potevamo confidarci tante cose.
. . . chissà.
                                                                 ***
L’ascensore si aprii, uscendo mi diressi verso l’uscita.
Lui era lì ad aspettarmi.
Notai un sorriso goffo sulle sue labbra quando mi avvicinai a lui.
«Ciao.» dissi.
«Ciao.» mi sorrise.
Ci iniziammo a dirigere fuori dall’albergo, insieme.

 spazio autrice;
yo, beh questo capitolo è già diverso, no?
s'inizia a capire qualcosa di più sulle famiglie e anche su Demi e Justin.
ditemi cosa ne pensate.
secondo voi come andrà l'appuntamento?:)
beh, recensite, grazie di tutto.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** capitolo sette. ***




 
«Dove andiamo?» chiesi.
«In un posto.»
«Vuoi uccidermi?» Justin si voltò verso di me e fece una smorfia.
«Ultimamente sei spiritosa. Ti pagano?» sorrise.
«No, lo faccio gratis. Almeno so far ridere la gente. Tu cosa sai fare?» stetti al suo gioco.
«Allontanare le persone da me.» disse in modo serio.
«Per quale motivo?» continui a seguirlo mentre attraversava la strada.
Uscire in auto no, eh.
«Per il semplice fatto che non riesco a smettere di fare determinate cose. Ci provo sempre a smettere, ma in un modo o nell’altro ci ricado.»
C’erano alcuni momenti che il mio cervello andava in modalità offline.
Quello era uno di quei momenti.
Non c’erano cose da dire, non sapevo come confortare Justin.
Forse perchè non serviva nessun conforto ma aiuto.
«Senti Justin, io non so nulla di te. Vorrei aiutarti, ma non so come.»
«Siamo arrivati.» disse lui.
Non cercava nemmeno di farsi aiutare.
«Arrivati dove?»
Intorno a me c’era un’enorme distesa di prato verde, colorato dagli innumerevoli fiori.
Una panchina però attirò la mia attenzione. Si trovava sotto una quercia enorme, sicuramente era secolare per quant’era grande.
«Vieni, andiamo a sederci su quella panchina.» mi prese la mano e mi portò.
Tenni leggermente la sua presa, non volevo incrociare la mia mano con la sua.
«Come fai a conoscere questo posto?» chiesi.
«Da quando papà è morto io ho iniziato a viaggiare molto.»
«Di cosa ti occupi?» avevo paura a fare una domanda del genere.
«Non ti preoccupare, non faccio lo stesso lavoro di mio padre.» mi sorrise. «diciamo che mi occupo di tutt’altro. E no, non sono uno spacciatore di droga come tutti pensano.»
«Ah.» sospirai.
«Faccio l’architetto paesaggistico.»
«Oddio, sembra eccitante.»
Justin mi guardò per un momento.
«Scusa Justin, ma esattamente cos’è?»
Scoppiò in una risata contagiosa, cercò di prendere fiato per spiegarmi.
«L'architetto del paesaggio è specializzato nella progettazione di quartieri e infrastrutture, diciamo più che altro uffici, appartamenti. Qualche volta mi capita di progettare anche i giardini, gazebi e tant’altro. È un lavoro che mi rilassa.»
Mentre mi raccontava tutto ciò, aveva un’espressione tranquilla.
Capii subito che amava il suo lavoro.
I suoi occhi erano luminosi mentre continuava a elogiare le sue varie abilità, sembrava davvero interessato.
«Sembra un bel lavoro.» lo stoppai. Ormai parlava da circa dieci minuti.
«E’ tutto ciò che mi rimane.»
Il suo volto prese i lineamenti della tristezza.
«Dov’è la tua famiglia ora Justin?»
«Sono figlio unico. Mia madre è rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Dopo la morte di papà è diventata pazza. Non la vedo da un bel po’. I miei nonni non l’ho mai conosciuti, quindi, questa è la mia vita.»
Tutto ciò mi riempì il cuore di tristezza.
Batté talmente forte da non riuscire a tranquillizzarlo subito.
La solita vocina nella testa mi proponeva solo una cosa.
Mi avvicinai dolcemente a lui e lo abbracciai impulsivamente. Lui rimase fermo, senza muovere un muscolo.
«Non sei solo.» sussurrai.
Al dunque Justin si alleggerì e ricambiò l’abbraccio.
Mi strinse forte a se, tanto forte.
Rimanemmo così per poco, si allontanò subito dopo.
«Nessuna ragazza ti è stata accanto in questi anni?»
«Ci sono state diverse ragazze con le quali sono uscito, ma non riuscivo a dare di più. Nessuna di loro conosceva la mia storia e non appena scoprivano qualcosa, magari trovando qualche cartuccia nella mia giaccia e a casa mia, scappavano immediatamente. Solo una si degnò di lasciarmi un biglietto dove si scusava, ma non riusciva ad andare avanti.»
«Non hai mai provato ad allontanarti da quella roba?» chiesi avvicinandomi.
«Sì, ma quando me la trovo davanti, i-io..» sospirò. «io ne faccio nuovamente uso, e sto male.»
«Justin tu non puoi continuare così. Ogni quanto ne fai uso?»
«Ogni sera, prima di andare a dormire. Ne prendo un po’, la sniffo e non ricordo più nulla.»
«Justin, ti prego.»
«Che cazzo vuoi tu? Non ho bisogno della vostra pietà.»
La situazione si rivoltò di punto in bianco.
Non feci in tempo nemmeno a vocalizzare che si alzò dalla panchina per allontanarsi.
Aveva le mani sulla testa, sembrava disperato.
Continuava a blaterare sotto voce, dalla panchina non riuscivo a sentire nulla.
Mi alzai per andargli incontro. 
Cercai di appoggiare la mia mano sulla sua spalla, lui si ritrasse immediatamente.
«Non toccarmi.» urlò.
«Perchè? Dimmi che problemi hai.»
«Te. Sei tu il mio problema.»
Rimasi ferma davanti alle sue parole.
«D’accordo Justin, tutt’ok. Io ritorno in albergo, buonanotte e buona drogata anche oggi.»
Gli voltai le spalle e corsi via.
«Demi.»
Lo ignorai.
«Demi, ti supplico, aspettami.» urlò.
Lo ignorai nuovamente e iniziai a rallentare il passo.
«Demi, ti prego, ho bisogno di qualcuno
Mi voltai e lo guardai fissa.
«Ho bisogno di..» 
«Non dirlo. Te ne pentirai. Tranquillo, sono qui.» mi avvicinai ad abbracciarlo.
Sentii le lacrime bagnare il suo viso.
Non riuscii a parlare, solo a emettere singhiozzi.
Gli porsi un fazzoletto e lui accettò. Si distaccò da me per asciugarsi le guance e gli occhi, ora come ora completamente rossi.
«Posso farti una domanda?» chiesi e lui annuii.
«Quel giorno che sei venuto nel nostro locale, l’hai fatto apposta per cercare me oppure è stata una coincidenza?»
Aspettò un minuto prima di rispondere. «Io ti stavo cercando. Stavo cercando l’intera famiglia di quel bastardo di Greg, volevo fare piazza pulita.»
«Volevi ammazzarmi?»
«Sì.» non esitò a rispondere.
Il mio sguardo si gelò davanti al suo.
Con quale coraggio mi rispondeva così?
«Perchè non l’hai fatto allora? Puoi ammazzarmi ora se vuoi.»
«Smettila di fare la stupida.»
«Avanti.» presi la sua mano e la strinsi intorno al mio collo.
Le sue pupille si dilatarono, lui lasciò subito la presa.
«Tu non sei come loro, non sei come tuo padre. Non ti ammazzerei per nulla al mondo. Non posso però non ammettere che la voglia di uccidere tuo padre esiste ancora.»
«Andresti in prigione e poi, scusa se te lo dico, ma anche tuo padre era impegnato in questi giri.»
«Hai ragione ma non meritava di morire. Nessun uomo lo merita.»
«Ti stai contraddicendo da solo Justin. Se nessun uomo merita di morire, allora perchè dovrebbe il mio?»
«Perchè tuo padre non è un uomo, è un mostro.»
«Justin, ritorniamo in albergo, sei davvero stanco.»
«Un attimo, mi scappa la pipì.»
«Vai a farla dietro un cespuglio allora, cosa vuoi che ti dica.»
Si allontanò un istante, io ritornai a sedermi sulla panchina per aspettarlo.
Ritornò poco dopo, sorridente e raggiante, tutto al quanto strano.
Il che mi fece pensare solo a una cosa.
«Justin che hai fatto?» andai a sorreggerlo.
«Ma che diamine vuoi da me? Lasciami in pace.»
«Ti sei drogato? Maledizione Justin, maledizione.»
Iniziò a ridere senza sosta, così, per nulla.
«Ma tu vuoi stare con me? Io potrei portarci in cima al monte.»
«Non sai quello che dici, smettila.» continuò a barcollare da un lato all’altro.
La strada per l’albergo era ancora lunga e lui era alquanto pesante da sorreggere.
Da un momento all’altro si lasciò cadere a terra.
«Justin? Dannazione.» 
Iniziai a schiaffeggiarlo dolcemente, lui riaprii gli occhi e mi fissò.
«Sei un angelo.» sussurrò continuando a ridere.
«Torniamo in albergo. Siamo quasi arrivati, ti prego.»
Si alzò delicatamente e continuò a rimanere appoggiato alla mia spalla.
Varcammo la porta d’entrata e la donna alla reception chiese spiegazioni sullo stato di Justin.
«Ha esagerato con i drink, lo riporto in camera. Buonanotte.» sorrisi cercando d’illuderla e mi precipitai a prendere l’ascensore.

«Secondo te sono bello?» iniziò a vaneggiare incredibilmente.
Lo guardai divertita.
«Justin, ti prego smettila, sei patetico.» sorrisi.
«Devo ammettere che oltre a quell’acidità che ti corrode, sei davvero carina.»
«Si, ok, anche tu. Ora però smettila.»
«Mi ha detto che sono carino.» iniziò a urlare come un matto.
Che diamine di droga l’aveva ridotto così?
Arrivai vicino la sua stanza, aprii la porta e lui cadde a terra.
Non smise di ridere, anzi.
«Dormi con me?» mi chiese.
«Justin, buonanotte.»
Si alzò immediatamente e mi lasciò un veloce bacio sulle labbra.
Mi scatenò un calore interno inimmaginabile.
Non continuai a farci caso, era sotto effetto di quella dannata roba.
Lo aiutai a sistemarsi sul letto e con un gesto estremo mi fece rotolare su di lui.
«Justin, lasciami.»
Inutile dirsi, provò di nuovo a baciarmi e ci riuscii.
Mi abbandonai alle sue labbra.
Provò più volte a far entrare la sua lingua tra le mie labbra, ma non gli diedi la possibilità.
Lo spostai velocemente da me e me ne andai dalla sua stanza.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi accasciai sul pavimento.
Quel ragazzo era uno sbruffone nato.
Non solo era arrogante, sbruffone, drogato, ma era anche idiota.
Dannazione.
Ripresi l’ascensore e corsi in camera mia.

«Demi che succede?» Hanna mi sorprese mentre entravo lentamente in camera.
«Dormi e lasciami stare. Buonanotte.»
Caddi goffamente sul letto, cercando di coprirmi con l’aiuto dei piedi.
La scena fece ridere Hanna, ma non ci badai.
Mi girai sul fianco e mi riaddormentai.


 spazio autrice;
yoyoyo bella gente, marika è qui presente.
bene, bene.
allora, cosa pensate di questo capitolo?uu
beh dai, io nella parte dove Justin si era fatto son crepata dalle risate.
'secondo te sono bello?' DAI COME SI PUO' NON RIDERE, AHHAHAHA.
ok, basta.
buona lettura e recensite, dai.

vado avanti solo dopo 6 recensioni, ALMENO.
ciao. xx 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** capitolo otto. ***


Passò circa una settimana da quando rientrammo da Boston.
Con Justin non mi vidi per tutto il tempo, avevo bisogno di stare da sola, di capire come procedere con i miei genitori.
Insomma, avevo bisogno di cercare una soluzione.
Nemmeno a farla apposta il cellulare iniziò a vibrare.
Era un messaggio.
 
Da: Justin
È da un po’ che non ci vediamo, come stai?

A: Justin
Diciamo che me la cavo, tu come stai?

Da: Justin
Male, molto male.

A: Justin
Cosa ti succede?
Lasciai momentaneamente il cellulare sul comodino della mia stanza e andai in bagno a fare una doccia.
L’acqua fredda aiutò ad alleviare un po’ i miei pensieri.
Ripensai a tutto l’accaduto, una parte di me pensava anche a Justin.
Sono sempre stata la solita acida con lui, quando invece gli serviva solo aiuto.
Ma non ero sicura di poterglielo dare. Lui è un ragazzo troppo diverso da me, non mi ascolterebbe mai.
Uscendo dalla doccia mi ricordai di aver lasciato in sospeso la conversazione con Justin e andai a prendere il cellulare.
Guardai lo schermo e c’era un suo messaggio che attendeva di essere letto.
Da: Justin
Ci possiamo vedere? Ho bisogno di parlare con qualcuno.

A: Justin
Puoi venire a casa mia tra qualche minuto, non ho voglia di uscire.

Da: Justin
Arrivo subito.

A: Justin
Ho detto tra qualche minuto. x

Da: Justin
Mi mandi addirittura un bacio? x

A: Justin
Errore di battitura. :)

Da: Justin
xxxxxxxxxxxxxxxxx

A: Justin
Solito sbruffone.
A dopo.
Ributtai il cellulare sul comodino e mi andai a sistemare.
Ogni tanto mi capitava di sorridere mentre lo pensavo.
Che diamine mi stava succedendo.
Lui era in grado di farmi incavolare ma anche di farmi sorridere allo stesso tempo, bastava così poco per rivoluzionare le cose.
Rimasi immobile davanti all’armadio, non sapendo cosa indossare.
Decisi di prendere un paio di pantaloncini neri, delle converse e una maglietta di quelle enormi che amavo.
Il campanello suonò subito dopo.
Mi sbrigai a mettere la maglietta e l’ultima converse rimasta e andai ad aprire.
«Chi è?» chiesi origliando alla porta.
«Lo sbruffone.» udì una leggera risata da parte sua.
Aprii velocemente, un sorriso fiondò sulle mie labbra.
«Che cavolo vuoi?» sorrisi.
«Sto cercando di capirlo anch’io.» ricambiò il sorriso. «Posso entrare?» fece cenno con la testa.
Annuii e mi spostai per farlo entrare.
Si sedette sul divano, io invece preferii sedermi sul tappeto di fronte a lui.
«Allora, cosa ti turba?» chiesi, mentre ero impegnata a incrociare le gambe.
«Da quando siamo andati via da Boston, non riesco a dormire la notte.»
«Per quale assurdo motivo?» la cosa mi divertiva.
«Mi stai prendendo in giro?» chiese.
«No, ti prego, continua. Sono molto interessata.»
«Mh.» prese fiato. «Ricordi quando ti ho portata in quel posto con la panchina?»
«Ricordo.»
«Ricordi quando mi sono drogato dietro al cespuglio e poi ho fatto il cretino con te?»
«Ricordo.» iniziai a guardarlo male. «Aspetta un minuto. Tu avevi detto che dopo che succedeva, tu non ricordavi più nulla.»
«Giusta osservazione.»
«Che mi nascondi Bieber?» cercai di avvicinarmi a lui insospettita.
«Quella sera ho fatto finta di drogarmi, volevo davvero fare il cretino con te.» confessò lui abbassando la testa.
Rimasi in silenzio davanti a tali parole.
Non so perchè ma ero divertita allo stesso momento.
Una risata mi partii dall’interno e scoppiai quasi in lacrime.
«Cioè tu mi stai dicendo che hai fatto il cretino per strada, sei svenuto, hai detto di essere bello e non eri nemmeno drogato?»
Annuii timidamente.
Ripensai alla scena di quella notte e non riuscii a trattenere le risate.
Mi fermai di botto quando ricordai una cosa.
«Tu quella notte mi hai baciata. Tu quella notte hai cercato di portarmi a letto.» scandii parola per parola mentre puntavo il dito verso di lui.
«Non mi pare che la cosa ti sia dispiaciuta. Ti ricordo che quando ti ho presa sul letto, tu hai messo le tue belle mani tra i miei capelli.»
Divenni rossa come un pomodoro, la vergogna vinse su di me.
Ricordava perfettamente tutto.
«Demi.» la sua voce si fece più seria in quel momento.
Abbassai il dito e feci cenno di continuare.
«Quando ti ho detto che avevo bisogno di qualcuno non era vero. Io ho semplicemente bisogno di te. È come se dal primo momento che ti ho vista, io abbia capito che solo tu potevi salvarmi. Non faccio altro che pensare a te, mi piaci. Ho perso la testa per te, cos’altro devo dirti?»
Rimasi immobile, non mi aspettavo queste parole, tantomeno da lui.
E ora? Cosa c’era da dire in questi momenti?
«Justin, i-io, io non posso.»
«Non puoi?»
«Non posso stare con te, forse è perchè non ci tengo proprio. Non voglio sembrare cattiva, scusami.»
Sorrise falsamente, si alzò dal divano e si rimise la giacca.
«Tutto chiaro. Credo che ora debba tornare a casa. Sai, si è fatto tardi, inizia a fare anche un po’ di freddo. È meglio se vai anche a dormire, per colpa mia hai perso tempo.»
«J-Justin.» cercai di prendere la sua mano ma si allontanò verso la porta.
«Buonanotte Demi.»
«Justin ti prego.» chiuse la porta alle sue spalle e mi lasciò da sola, in piedi di fronte a quella stupida porta.
Ma che diavolo avevo al posto del cuore?
Mi tolsi le scarpe con rabbia e le buttai dall’altro lato della stanza, feci altrettanto con la maglia e i pantaloncini e me ne andai a letto.
Guardai l’orario, le 22:30.
Sicuramente Lucia era ancora sveglia.
Presi il cellulare, digitai il suo numero e aspettai.
«Pronto?» rispose.
«Lù, ti ho svegliata?»
«Secondo te dormo così presto? Avanti, dimmi tutto.»
«Se un ragazzo venisse a dichiararsi, ti chiederebbe aiuto per quanto riguarda un fattore personale, tu cosa faresti?»
«Dipende da ciò che provo io per quel ragazzo. Tu cosa provi?»
«No, figurati. Chiedevo per un’amica, non per me.»
«Demi.» urlò leggermente.
«Io non so cosa provo. Magari è possibile che lui mi piaccia, forse ho solo paura d’impegnarmi con qualcuno.»
«Lo credo anch’io. Ma se non affronterai mai questa paura, come pretendi che cessi?»
«Ho rifiutato di aiutarlo, ho detto che non voglio stare con lui.»
«Sei una stupida, lo sai vero?»
«Cosa mi consigli di fare?»
«Prendi l’auto e corri da lui, immediatamente.»
«Sembra una cosa eccessiva, manco mi stessi andando a sposare.»
«Maledizione Demi, avete entrambi 20 anni. Se non ti vivi la vita ora, quando lo farai?»
«Mh. Vado da lui, okay. E che dico?»
«Cosa provi per lui?»
Eh, bella domanda questa.
Cosa provavo? Non lo sapevo. O forse non lo volevo sapere.
Grande dilemma la vita. La mia soprattutto.
Iniziai ad accusarmi di ogni minima cosa, tutto ciò mi stava solo dando problemi.
Mi ero ingarbugliata in qualcosa più grande di me, dannazione.
 «Demi?» m’incitò Lucia.
«Io non lo so.»
«Ascolta il tuo cuore. Vai da lui e qualsiasi cosa ti passa per la testa, digliela.»
«Vado.»
Riagganciai immediatamente il cellulare e scesi a prendere l’auto dal parcheggio.
«Signorina Demi, non crede sia troppo tardi per uscire?» mi chiese Lucas.
Lucas era il portiere del palazzo, era un uomo di mezza statura e si prendeva costantemente cura di noi.
Era un brav’uomo ma in certi casi esagerava.
«Questioni di vita Lucas. Grazie dell’accortezza, ora scappo. Ci vediamo tra poco.»
«Certo signorina, stia attenta.»
Furono le ultime parole che udii prima di sfrecciare con la mia auto fuori dal parcheggio.
Per fortuna trovai quasi tutte le strade libere da ogni affollamento, arrivai a casa di Justin mezzora dopo.
Parcheggiai sul suo vialetto e scesi, mi sistemai un po’ il ciuffo, la giaccia e la maglietta.
Aprii lentamente il cancello e mi diressi verso la porta d’entrata.
Bussai e aspettai che venne ad aprirmi.
Nel frattempo guardai l’interno dalla finestra accanto alla porta.
Era tutto illuminato, scossi un altro po’ la testa e notai una figura femminile.
L’espressione del mio volto cambiò, tutto si gelò intorno a me.
Mi sentii inutile come un fuoco acceso in fondo al mare.
Justin aprì la porta e mi trovò andare via.
Si guardò alle spalle facendo cenno alla ragazza e corse verso di me.
«Demi.» urlò.
Corsi talmente veloce che non mi accorsi di una piccola pietra e inciampai a terra.
Un dolore allucinante al piede, sicuramente ci fu una slogatura.
Lui arrivò di fronte a me e cadde a terra per aiutarmi.
«Demi ti sei fatta male? Dannazione, ti aiuto ad alzarti.» cercò di abbracciarmi per aiutarmi a sorreggermi sulle sue spalle ma con rabbia gli tolsi le mani da dosso.
«Ce la faccio da sola, puoi andare dalla tua ragazza.» facendo finta di nulla mi alzai e mi appoggiai al muretto vicino.
«Quale ragazza?»
«Sai benissimo di chi parlo. Ho visto come la guardavi e come lei guardava te.»
«Come un cugino guarda la propria cugina.» mi spiazzò.
«B-beh, i-io. Argh, basta, sono stanca e me ne torno a casa.» cercai di far finta di nulla, quando invece volevo sprofondare dalla vergogna.
«Come mai sei venuta a casa mia?» un sorriso divertito comparve sulle sue labbra. «Per caso sei gelosa?» continuò a sorridere.
Lo ignorai completamente e zoppicando mi avvicinai all’auto in cerca di sostegno.
Grazie al cielo m’appoggiai allo sportello posteriore.
«Avevi dimenticato una cosa a casa mia.» continuai a parlare con la testa abbassata verso il marciapiede.
«Cosa?» notai i suoi piedi vicino ai miei, la distanza tra noi era ormai minima.
Alzai lo sguardo e incontrai il suo.
Occhi lucenti riflettevano miei, sorriso smagliante che faceva invidia alla luna.
«T-tu hai d-dimenticato questo.» resi zero la distanza, immersi la mano tra i suoi capelli e lo avvicinai a me per baciarlo.
Lui ricambiò immediatamente, avvolse le sue braccia intorno alla mia vita per aiutarmi a non cadere mentre le nostre labbra andavano in sintonia.
Con quel bacio arrivai in paradiso, senza aver avuto il bisogno di morire.
Stormo di farfalle cercavano di avere il dominio nel mio stomaco, il cuore batteva alla velocità della luce.
Riuscivo a malapena a sentire il suo, era qualcosa d’incredibile.
Ci staccammo per prendere fiato, la sua fronte era appoggiata la mia, mentre tra un sospiro e l’altro ci scambiavamo sorrisi.
«Credo che sia stata la cosa più bella che abbia dimenticato a casa di qualcun altro.» sussurrò.
«Puoi dimenticarla ogni volta che vuoi.» sorrisi.
«Non avevi detto che non potevi stare con me?»
«Diciamo che il mio cervello riesce a prendere delle scelte sagge dopo un po’ di tempo.»
«E il tuo cuore cos’ha deciso?»
«Ha deciso di aiutare un ragazzo a respirare.»
«Respirare?»
«Riuscirai a respirare solo quando riuscirò a farti allontanare da quella roba.»
«Ma io respiro già.» rise lui.
«Non aria pulita. Il tuo corpo è danneggiato da quella schifezza.»
«Una parte di me però ha iniziato a respirare da quando ti ho incontrata.» mi avvolse tra le sue braccia e si lasciò abbracciare dolcemente.
«Non pensavo che nascondessi un animo dolce.»
«Imparerai tante cose.» mi fissò nuovamente negli occhi.
«Ora devo andare. Lucas, il portiere, mi aspetta per chiudere il parcheggio. Avevo promesso di tornare in tempo.»
«Vai.» allentò la presa dalla mia vita e mi aiutò a salire in macchina.
«Sicura di stare bene?» mi chiese.
«Ora sì. Vado, dormi bene.»
«Buonanotte.» mi fece un allegro occhiolino e si allontanò dall’auto per farmi partire.
Ricambiai con un sorriso e me ne tornai a casa.
Quindi la felicità aveva questi sintomi?
                                                                ***
Justin’s pov.
Avevo ancora il battito accelerato.
Uò, quella ragazza era un uragano di emozioni.
Ritornai dentro da Vanessa.
«Chi era quella ragazza?» mi chiese venendomi incontro.
«Colei che mi sta aiutando a salvarmi.» dissi sorridendo.
«Ah, lei è Demi allora.» esclamò entusiasta.
«Esatto.»
«Per come ne parli, devo ammettere di avere un cugino innamorato perso.»
«Credo.» continuai a sorridere da deficiente.
«Justin, ora devo andare. Lo sai tua zia come diventa quando tardo.»
«Vai, non preoccuparti. Buonanotte e salutami la zia.»
«Non emozionarti troppo.» sorrise uscendo da casa.
Nel frattempo andai in camera a mettere i pantaloni del pigiama.
Mi diedi subito una ripulita e andai a sprofondare nel letto.
Avevo ancora il suo profumo addosso, il suo sapore sulle labbra.
Dire che ero cotto era un eufemismo.
Quella ragazza riusciva a mettermi in subbuglio l’anima.
Era questo l’amore?
 
                                                                                                                                             "And what did your heart decide?"
                                                                                                                                          "He decided to help a boy to
breathe."
spazio autrice;
YO AMORI MIEI.
BEH, COME POTETE BEN NOTARE, QUALCOSA TRA DEMI E JUSTIN E' FINALMENTE SUCCESSA.
NON VI ASSICURO CHE TUTTO ANDRA' BENE COME NON VI ASSICURO CHE TUTTO ANDRA' MALE. :')
STARETE A VEDERE VOI.
DITEMI COME AL SOLITO COSA NE PENSATE DEL CAPITOLO, IO VI LASCIO. ps: CONTINUO SOLO DOPO 6 RECENSIONI, ALMENO.
BYE. jdskl

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** capitolo nove. ***


 
You’re the smile on my face
And I ain’t going nowhere
I’m here to make you happy, i’m here to see you smile
I’ve been wanting to tell you this for a long while.
_____________________________________________________________________________________________________________
Quella notte fu una delle migliori in assoluto.
Appena mi misi a letto, ricevetti subito un messaggio da Justin.

Da: Justin
Non riesco a dormire perchè penso a te.

Sorrisi nel leggerlo. Quanto poteva essere dolce, a volte.
 
A: Justin
Mi tocca ammetterlo ma accade la stessa cosa qui. x

Da: Justin
Adoro quando mi mandi baci xx

A: Justin
Ritieniti fortunato, non lo faccio mica spesso.

Feci apposta nel non mandare più nessun bacio, il che mi divertiva.
 
Da: Justin
xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx
Ho il tuo sapore sulle mie labbra ed è come se le tue mani stessero ancora su di me.

Quante emozioni in un solo messaggio.
Riusciva a trasformare delle piccole farfalle in enormi elefanti nel mio stomaco.
 
A: Justin
Sei qualcosa di più.
Mi dispiace, sto crollando. Ho tanto sonno che rischierei di abbandonarti nel bel mezzo della conversazione. Ti va di fare colazione insieme domani? Potresti venire a casa mia, ho delle cose da dirti.

Da: Justin
Nessuna colazione casalinga. Tieniti pronta per le otto, che passo a prenderti.
Non accetto obbiezioni.
Buonanotte xx

A: Justin
Buonanotte.
Ti sognerò xx

E così accadde.
Mi voltai dalla parte opposta e caddi in sonno profondo.
                                                                     
                                                                    ***
 
La luce iniziò a filtrare dalle finestre, iniziai a stropicciarmi gli occhi per cercare di vedere qualcosa.
Guardai la sveglia segnare le 7:30, precisamente.
Mi alzai lentamente dal letto, diedi una sistemata alla stanza e corsi in bagno a darla a me.
Justin fu puntuale, alle 8:00 bussò alla mia porta.
«Chi è?» chiesi scherzando.
«Il solito sbruffone. Avanti, apri.» si poté notare la sua risata divertita.
Quanto amavo quando sorrideva.
«Buongiorno.» dissi aprendo la porta.
«Buongiorno a te, piccola.» si avvicinò prendendomi dai fianchi e mi lasciò un lieve bacio sul collo.
Il suo tocco inebriante mi percosse la schiena.
Notò la mia espressione e cercò di riportarmi sulla terra.
«Lo so che ho un fascino meraviglioso, ma preferirei andare a fare colazione. Che ne dici?» cercò di ammiccarmi.
«Sbruffone che non sei altro. Prendo la giaccia e arrivo.» risi appena facendo finta di schiaffeggiargli una guancia.
Mi allontanai leggermente, presi chiavi e borsa e mi riavvicinai a lui.
«Possiamo andare.» sorrisi.
Mentre scendevamo le scale lui rimase dietro di me, ma avevo quella strana sensazione di essere osservata.
Dopo tutto però non gli feci notare nulla.
Amavo essere guardata da lui.
Arrivammo vicino la sua auto e mi aprii lo sportello per farmi salire.
«Che gentiluomo.» urlai da dentro l’auto.
Lui mi sentì e mi fece un occhiolino mentre veniva verso la sua postazione.
«Per te questo e altro.» rispose dopo aver messo la cintura di sicurezza.
«Non vorrai mica farmi venire il diabete?» sorrisi guardandolo.
«No, piccola.» incrociò il mio sguardo e rimanemmo così per qualche minuto, fino a quando non ruppi la distanza tra di noi e gli diedi un bacio sulle labbra.
Ricambiò, unendo appena la sua mano alla mia, massaggiandomi le nocche.
Labbra perfette entrarono in sintonia con le mie, cercò di farci entrare la sua lingua, ma non glielo permisi, sorridendo di conseguenza.
Lui se ne accorse, mi tirò verso lui, infilando la mano dietro il mio collo e riuscii nel suo intento.
Si distaccò poco dopo per prendere fiato.
Tenne la sua fronte vicina la mia mentre con una mano mi accarezzava delle piccole ciocche di capelli che cadevano liberamente sul petto.
«Devo dirti una cosa.» ruppe il silenzio.
Annuii incitandolo a parlare.
«I-io, credo.» si bloccò momentaneamente.
Credevo di aver capito già cosa mi volesse dire, ma rimasi in silenzio.
«Facciamo che te lo dico un’altra volta.» mi sussurrò vicino l’orecchio.
«D’accordo.» gli sorrisi.
Si allontanò, mise il solito cappello, occhiali da sole e sfrecciammo con la sua auto verso il suo bar di fiducia.
Fermatosi vicino l’entrata del bar, mi fece scendere per occupare posto, intanto lui andò a parcheggiare.
Varcai la porta d’entrata e una signora si diresse verso di me.
«Posso aiutarla?» mi chiese raggiante.
«Sono qui con un amico, ci sono tavoli liberi?» le chiesi.
«Certo, mi segua. C’è un tavolino nella sala opposta a questa.»
«Va benissimo.»
Seguii la donna e mi sedetti sulla comoda poltrona.
Justin arrivò subito dopo e si sedette di fronte a me.
«Cosa vuoi mangiare?» mi chiese.
«Tu cosa prendi di solito?» intanto sfogliavo il menù pagina per pagina.
«Allora, solitamente prendo dei pancakes con sciroppo d’acero. Qui sono ottimi, dovresti provarli.»
«Allora vada per quelli.» chiusi il menù e aspettai che arrivasse la cameriera per prendere le nostre ordinazioni.
«A proposito, di cosa dovevi parlarmi?» mi domandò.
Fummo interrotti momentaneamente dalla cameriera, la quale prese immediatamente le ordinazioni e si diresse verso la cucina.
«Dai, racconta.» incitò lui.
«J-Justin, i-io..» feci una pausa. «devo assolutamente denunciare i miei genitori. Non riesco ad andare avanti in queste condizioni. Ormai so tutto, loro chissà in che altro giro si saranno immischiati questa volta.» sospirai guardando altrove.
«Demi, tutto ciò è troppo pericoloso per te. Andrò io a parlare con la polizia.»
«No, voglio avere l’onore di denunciarli io.»
«Non se ne parla. Te l’ho detto, non accetto obbiezioni. Appena usciremo dal bar ti accompagnerò a lavoro, mentre io andrò dalla polizia.»
«E se qualcuno ti scopre e ti fa del male?» era inevitabile la paura.
Avevo paura di perdere Justin, così come Josh e Dylan avevano perso la vita scoprendo tutto.
«Preferirei farmi del male io.»
«No, Justin.»
«Demi, fidati di me. Andrà tutto bene.»
«Hanno talpe ovunque i miei genitori, ragiona. Potrebbero scoprirti da un momento all’altro.»
«Tutto ciò non m’interessa.»
Non c’era nulla da dire in quei momenti, niente e nessuno l’avrebbero convinto a non fare nulla.
«Va bene, parliamo d’altro allora. Non voglio rovinarmi la giornata per quei poco di buono.» esclamai.
«Tutto quello che vuoi.» mi sorrise.
Continuammo a parlare e nel frattempo la cameriera ci portò ciò che aveva chiesto.
Dovetti ammettere che pancakes erano davvero ottimi.
Un altro punto di fiducia per Justin.
«Tra poco è il compleanno di mia madre.» m’interruppe Justin.
«Oh..» pensai un attimo su quello da dire. «Cos’hai in mente di fare?» chiesi.
«Vorrei andare a trovarla. Prima che tu dica qualcos’altro, voglio che ad accompagnarmi ci sia tu.»
«E’ un gesto carino da parte tua, verrò con te.» mandai giù l’ultimo pezzo di pancakes.
La conversazione si prolungò ancora.
Finimmo di fare colazione e Justin andò a pagare il conto, subito dopo mi accompagnò a lavoro.
L’ansia saliva minuto per minuto. Non volevo che andasse a parlare con la polizia, avevo una strana sensazione e perdere Justin per me sarebbe stato perdere me stessa.
«Quando saprò qualcosa, ti chiamerò. Buon lavoro.» si sporse leggermente dallo sportello per baciarmi, andò via subito.
 
                                                                  ***
Passò qualche ora da quando Justin andò via, ma nessun messaggio o chiamata era presente sul mio cellulare.
La paura prese il sopravvento su di me.
«Succede qualcosa?» Lucia mi chiese, notando la mia preoccupazione.
«Sono preoccupata. Justin non mi ha ancora mandato nessun messaggio.»
«Magari ci sono troppe persone che attendono alla polizia e il suo turno non è ancora arrivato.» cercò di tranquillizzarmi ma era tutto alquanto inutile.
«Mh, aspetterò ancora un po’.»
«Concentrati sul lavoro e non ci pensare, quando finirai il tuo turno lo chiamerai. Non farti prendere dalla paura, vedrai che sta andando tutto bene.»
Seguii il suo consiglio, portai a fare una passeggiata agli ultimi cani che c’erano in lista.
Le ore scorrevano come l’acqua sull’orologio.
Di Justin nemmeno l’ombra.
Finii il turno al solito orario, ormai la luce serale coprii il cielo stellato.
Salutai Lucia e chiusi la porta alle mie spalle.
Cercai disperatamente l’auto di Justin fuori al locale, ma niente.
Presi il cellulare dalla tasca posteriore dei miei jeans e digitai il suo numero.
Squillò a vuoto. NESSUNA RISPOSTA.
«Demi, rimani calma.» pensai tra me.
Digitai nuovamente il numero di Justin, stessa identica cosa.
Non ci vidi più; riposi il cellulare nella borsa, corsi a casa a prendere l’auto e andai a casa sua.
Quella maledetta strada affollata non mi aiutò.
Tutto sembrava non essere dalla mia parte quella sera.
Parcheggiai al primo posto trovato e corsi davanti casa di Justin.
Stranamente il cancello d’entrata era aperto, lui lo lasciava chiuso.
Prima cosa che fece aumentare la mia preoccupazione.
«Justin?» iniziai a bussare alla porta urlando.
Cercai di notare qualcosa dalla finestra ma tutto era buio.
Presi coraggio e buttai una pietra dalla finestra, entrai di conseguenza.
La casa buia non mi diede una buona impressione, tantomeno quelle mancate chiamate a Justin.
«Justin dove diavolo sei?» urlai di stanza in stanza, ma nessun’ombra di Justin.
Mancava solo il giardino.
Tirai dietro di me la piccola porta di tela e iniziai a cercare nel giardino.
Piccole chiazze di sangue attirarono la mia attenzione.
Mi portai la mano alla bocca e continuai a urlare il suo nome.
Mi bloccai dopo averlo finalmente ritrovato.
«J-Justin..» caddi a terra di fronte a lui.
Mi tolsi la giacca cercando di fermare il sangue intorno al suo braccio.
Era in una pozza rossa, aveva perso conoscenza.
Delle lacrime rigarono il mio volto ma non mi feci prendere dalla paura in quel momento.
Mi feci forza e cercai di fargli aprire gli occhi.
Fortunatamente il suo cuore batteva ancora, ma erano le sue condizioni a mettermi tristezza.
«Justin ti prego apri gli occhi. Guardami, sono qui.» era tutto inutile, non rispondeva.
Senza perdere tempo chiamai l’ambulanza, non volevo aggravare la situazione.
Per fortuna si trovava nelle vicinanze e arrivò immediatamente.
Fu caricato sulla barella e messo nel retro.
«Vengo anch’io.» esclamai al dottore.
«Solo parenti, mi dispiace.» disse con nonchalance.
«Dannazione, sono la sua ragazza, mi faccia salire su quest’ambulanza.»
Colsi alla sprovvista l’uomo, il quale accettò immediatamente e m’indicò la strada verso dove sedermi.
Rimasi in sovrappensiero per tutto il tragitto.
Il dottore cercò più volte di parlare con me, ma ahimè, il mio pensiero volava altrove.
Avevo avvisato Justin di stare attento, di non fare nulla.
Ecco il risultato.
Chiunque abbia ridotto Justin in quel modo, doveva pagarla.
Doveva pagarla amaramente.
«Signorina siamo arrivati. Dovrebbe scendere prima lei, altrimenti la barella non può passare.»
Mi tolsi senza dire nulla.
Nel frattempo avevano avvisato dell’arrivo di un ferito, dei dottori ci vennero incontro all’entrata.
«Ha perso molto sangue, dobbiamo operarlo.» disse il dottore che era dentro all’ambulanza con noi.
«Operarlo? Come operarlo? Dottore?» nessuno mi ascoltò.
Corsero immediatamente in sala operatoria.
Mi accasciai su una sedia in sala d’attesa.
Non riuscivo a mandar giù l’idea.
Come avevano potuto mettere le mani su un ragazzo? Come.
Senza accorgermene caddi in un sonno profondo.
Rischiai di prendere una cervicale tremenda, ma io dovevo rimanere in quello stupido ospedale.
Fui svegliata da un frastuono incredibile.
«Dottore cosa succede?»
Qualcuno si degnò di pormi attenzione.
«Il ragazzo ha perso molto sangue, abbiamo bisogno di un donatore.»
«Che gruppo sanguigno occorre?»
«Gruppo B o preferibilmente zero negativo.»
Un colpo al cuore davanti quelle parole.
«Io, i-io sono zero negativo. La prego, mi faccia donare tutto il sangue che occorre.»
«Mi segua, facciamo in fretta.»
Lo seguii nella sala accanto, mi fecero dei controlli e dopo essersi accertati che tutto andasse bene, mi prelevarono 250 ml di sangue.
«Una dottoressa le porterà da mangiare. Non si muova, ora è molto debole.»
Annuii debolmente.
Alla sua uscita entrò una donna, la quale mi porse un piccolo panino.
Mangiai fino all’ultimo boccone, già andava meglio.
«Dottoressa, posso farle una domanda?»
La donna finì di ripulire gli oggetti e si voltò verso di me.
«Come sta Justin?»
«L’intervento è andato bene. Aveva molti guai interni, attendiamo che si riprenda grazie al suo sangue. Ha fatto un gesto bellissimo per il suo ragazzo, deve amarlo molto.» mi sorrise uscendo dalla stanza.
Già, dovevo amarlo tantissimo.
Ritornai in sala d’attesa e mi addormentai nuovamente.
Ero troppo stanca per tenere gli occhi aperti.
                                                                    ***
«Lei è la fidanzata?» una donna si avvicinò a me.
Sobbalzai dallo spavento. «Sì, sono io. E’ successo qualcosa? Dov’è Justin?» dissi tutt’un fiato.
«Si tranquillizzi. Può vederlo, è nella camera 37, secondo piano.»
«Grazie al cielo. Vado subito.»
Richiamai l’ascensore al piano terra ma tardava ad arrivare e io avevo fretta di rivedere Justin.
Decisi di prendere le scale e correre, correre.
Arrivai finalmente davanti alla stanza, il vetro mi permetteva di guardare all’interno.
«Oh Justin..» sospirai aprendo la porta delicatamente.
Mi avvicinai al suo letto e mi sedetti.
Chi me l’aveva ridotto così?
Presi la sua mano, facendo attenzione alla flebo.
«Ti avevo detto che era pericoloso, dannazione.» iniziai a piangere.
«Sai, è stata una fortuna che t’abbia potuto donare il mio sangue. Perderti sarebbe stato mortale per me.» tirai su col naso.
«Ora però devi riprenderti. Chiunque t’abbia fatto ciò la dovrà pagare. Oh e come la pagherà.»
Rimasi lì per ora a parlargli, sapevo che in un modo o nell’altro lui mi ascoltava.
Era ormai diventato parte integrante della mia vita.
Stetti lì tutta la notte a tenere la sua mano.
Ormai era deciso, l’indomani sarei andata io a parlare alla polizia.
Mi conoscevano come la figlia di Greg, no? Bene, a me non m’avrebbero toccata.
Justin meritava giustizia, vendetta.
Ed io sapevo essere alquanto vendicativa.

_____________________________________________________________________________________________________________
spazio autrice;
beh, man mano i capitoli si allungano, spero di non annoiarvi. cc
non vorrei mai che vi annoiaste della mia storia.
beh, in questo capitolo c'è amore, allo stesso tempo sofferenza.
che ve ne pare?
fatemi sapere. xx PS: AGGIORNERO' COL NUOVO CAPITOLO SOOOOOOOOOOOLO A OTTO RECENSIONI, BYE.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** capitolo dieci. ***


 
 
 
_____________________________________________________________________________________________________________
La mattina seguente fui svegliata da un’infermiera, ero ancora a tenere la mano di Justin.
«Signorina, vada a casa a riposarsi.»
Mugugnai qualcosa ancora presa dal sonno.
«Che ore sono?» chiesi stropicciandomi gli occhi.
«Sono quasi le nove, ha dormito per più di cinque ore.»
«Cavolo, sono le nove? Devo proprio andare, grazie di avermi svegliata.»
Lasciai delicatamente un bacio sulla fronte di Justin e corsi dalla polizia.
Quella mattinata mi metteva tristezza, pioveva a dirotto e in più io mi trovavo a percorrere la strada a piedi.
Per fortuna la polizia era poco distante dall’ospedale, quindi c’impiegai solo qualche minuto.
Ciò non significa che non mi bagnai, anzi.
Mi ritrovavo acqua addirittura nei calzini, ma non era questo il punto.
Intenta a farmi aprire il portone, cercai di ripararmi sotto il balcone.
«Questi giovani d’oggi amano fare scherzi.» la voce profonda di un uomo attirò la mia attenzione.
«No aspetti.» urlai prima che lui richiudesse la porta. «Sono stata io a bussare alla porta, ma come vede, sta piovendo e cercavo di ripararmi.»
«Ha bisogno di qualcosa?»
«Beh, se sono qui un motivo, ci sarà, lei che dice?» affermai strafottente.
«Mi scusi, entri pure.»
«Sarei entrata comunque.» conclusi.
Aspettai di ricevere attenzione da parte sua ma nulla, m’indicò solo una sedia, dove accomodarmi.
«Quanto dovrei aspettare prima di ricevere ascolto?»
«Si calmi, non siamo mica suoi servi.» ribadì il poliziotto.
«Non m’interessa, ho bisogno di parlare con qualcuno.» mi rialzai andandogli incontro.
«Vada nella seconda stanza a destra, arriverà qualcuno entro cinque minuti.»
«Lo spero per lei.»
Lo sentii sbruffare ma poco m’importava.
Entrai nella stanza che m’aveva ordinato l’uomo e mi sedetti in attesa che arrivasse qualcuno.
Mi guardai un po’ intorno, c’erano tanti premi, tante medaglie e documenti.
Guardai leggermente i quadretti sopra la scrivania e notai la foto di un uomo con una bambina in braccio.
Quella stanza doveva sicuramente appartenere a un padre di famiglia.
Non poteva essere lui la talpa, chi mai si avventurerebbe a sottomettersi a un criminale, quando aveva una famiglia cui badare? Assolutamente no, lo esclusi minimamente.
«Ti piace mia figlia?» un uomo sorridente e robusto si avvicinò a me.
«Mi scusi, non volevo sembrare invadente.» riposi nuovamente la fotografia al suo posto.
«Non ti preoccupare, capita spesso che chiunque entri in questa stanza inizi a fissare quella foto.»
Annuii sorridendo.
«Comunque, cosa succede? Se è qui, ci deve essere pur qualcosa.»
Presi un bel respiro e iniziai a esporre tutto quanto.
«Sono qui per sporre denuncia verso i miei genitori.»
L’uomo rimase allibito dalle mie parole e prima di rispondere rifletté un momento.
«L’hanno picchiata? Oppure succede qualcos’altro?» disse mentre si accomodò sulla sua poltrona.
«Non mi hanno mai picchiata, devo ammetterlo. Da poco ho scoperto i loro traffici di droga, ormai vanno avanti da anni e mio padre..» mi soffermai un minuto. «Ha ucciso diverse persone, tra cui il mio fratellastro.»
«E’ una storia abbastanza commovente ma non crede che sia troppo per i suoi genitori? Insomma, se vuole allontanarsi da loro, non serve che venga qua a denunciarli.»
«Non sono una ragazzina di dodici anni che cerca indipendenza. Vivo sola da anni oramai, ho quasi vent’anni, cosa crede? Io ho delle prove su mio padre. Ha ucciso il padre del mio ragazzo, ha ucciso il mio fratellastro, ha mandato in rovina tante aziende perchè non si sottomettevano a lui. Le basta?» iniziai ad agitarmi, quell’uomo dubitava di me.
Maschilista di merda.
«Chi sono i suoi genitori? E le persone morte?» chiese tranquillamente.
«Greg e Sheila Lovato. Harry Bieber è morto quasi due anni fa, Josh, il mio fratellastro, è morto da qualche mese.»
L’espressione dell’uomo cambiò all’udire dei nomi, a quanto pare si accorse si aver sbagliato a dubitare di me. «Lei è Demetria?» chiese.
«Un nome alquanto orribile, mi chiami Demi. Sono loro figlia, purtroppo. La prego, lei deve aiutarmi.»
«Ieri è venuto un ragazzo a sporgere la sua stessa denuncia, anche noi pensavamo che lui stesse scherzando ma quando ci ha detto questi suoi stessi nomi, abbiamo iniziato ad aver paura. Demi, lei deve andare immediatamente via da qui.» venne verso di me incitandomi ad alzarmi.
«Non mi alzo finché non mi fa firmare la denuncia.»
«Non posso.» esclamò a voce bassa. «Non posso assolutamente. Se qualcuno mi scopre, finisce male anche per me.»
«C’è una talpa in questo distretto, non è così? È per questo che ora il mio ragazzo si trova in ospedale pieno di lividi e contusioni.» 
«Sì.» rispose senza fare opposizioni.
«Che cosa devo fare per metter fine a tutto questo?»
«Purtroppo non abbiamo prove concrete che ci permettano di arrestare i suoi genitori. Trovi le prove e noi troveremo loro.»
«Ma chi aveva le prove sono morti, come diavolo faccio ora?»
«Lo so, mi dispiace. Ci dovrà pur essere qualcun altro, no?»
Riflettei sulle parole dell’uomo. Emily, oh sì, lei poteva aiutarmi.
«Ritornerò molto presto, ve lo assicuro. Voglio eliminare i miei genitori dalla mia vita, devono finire in prigione molto presto.»
«Volere è potere.» m’incitò lui.
Feci un sorriso all’uomo e scappai via dalla stanza.
Digitai il numero di Hanna e la chiamai per farla venire al distretto.
Si presentò dopo qualche minuto e mi precipitai a entrare nella sua auto prima di bagnarmi nuovamente.
«Com’è andata la denuncia?» mi chiese Hanna mentre metteva a moto l’auto.
«Devo trovare delle prove, solo allora potrò sporgere denuncia verso i miei genitori. Ora ho solo bisogno di Emily, l’unico problema è che vive a Boston ed io non ho il suo numero.» mi voltai con sguardo malizioso verso di lui, scrutandola attentamente.
«Scordatelo.» mi disse.
«Ti prego Hanna, ti prego. Il tuo ex era bravo a rintracciare le persone, mi saprà sicuramente trovare il numero di Emily. Addirittura una volta riuscii ad avere un numero dal Giappone.»
«Non siamo più in buoni rapporti Demi, non farmi questo.»
«Dannazione Hanna, Justin è in ospedale per colpa di mio padre, devo farlo.» urlai contro di lei.
Non mi rispose e rimase lì a pensare.
«Sì, va bene. Ora lo chiamo.»
«Fermati, non voglio morire a causa tua e della mancata attenzione alla guida.»
Accostò momentaneamente al lato della strada e tirò fuori il cellulare dalla sua borsa.
Cercò il numero in rubrica e titubante schiacciò il tasto chiamante.
«Pronto?» rispose qualcuno dal lato opposto.
«Ehm, c’è Malcom? Ho bisogno di parlare con lui.»
«Sono la sua ragazza, tu chi sei?»
Hanna chiese aiuto su cosa rispondere, la incitai a dire di essere sua cugina.
«Sono sua cugina.»
«Ah sei Laura? Te lo passo subito.»
«Sì, grazie.»
Attendemmo un attimo.
«Laura?»
«Sono Hanna, zitto e ascoltami. Ti ricordi di Demi? Sì, te ne ricordi. Ha bisogno del tuo aiuto, devi trovare il numero di una certa Emily Meyer, vive a Boston.»
«Ciao anche a te Hanna, da quanto tempo. Comunque se è davvero per Demi, lo farò. Ti manderò un messaggio appena lo troverò, ciao.» richiuse immediatamente la chiamata.
«Allora?» le chiesi.
«Ha detto che lo troverà e mi manderà un messaggio.»
Abbracciai forte Hanna, ringraziandola enormemente.
Dopo di ciò mi riaccompagnò a casa.
                                                                  ***
Il telefono squillò mentre ero ancora sotto la doccia, ma non feci in tempo a rispondere che chiusero la chiamata.
Era un numero anonimo, quindi non sapevo come ricontattarlo.
Mentre ero intenta a riposarlo sul lavandino, squillò un’altra volta.
«Pronto?»
«E’ la ragazza di Bieber? Il ragazzo che sta in ospedale?» un colpo al cuore.
«Sono io, cosa succede?»
«Ha avuto un malore, speriamo nulla di grave ma deve venire a rispondere ad alcune domande.»
«Arrivo immediatamente.»
Chiusi la chiamata, indossai le prime cose che attirarono la mia attenzione aprendo l’armadio e corsi nel parcheggio a prendere l’auto.
«Fa che non sia successo nulla.» pensai tra me.
Nel giro di cinque minuti mi ritrovai a percorrere le scale dell’ospedale.
L’ascensore era ovviamente il solito ritardato.
«Infermiera? Infermiera?» gridai per tutto il reparto.
«Sh, faccia silenzio.» mi venne incontro una donna. «Demi, giusto?» mi chiese.
«Cos’è successo a Justin?» la pregai di rispondermi.
«Ha avuto un malore mentre un’infermiera era lì a cambiare le lenzuola, è venuta ad avvisarci e abbiamo dovuto immediatamente somministrare un calmante.»
«Cosa può essere stato?» la preoccupazione era ormai alle stelle.
«Fa uso di sostanze il suo ragazzo?»
Quella dannata domanda, speravo di non dover mai rispondere a una del genere, e invece.
«Da quando suo padre è morto, lui ha iniziato a fare uso di queste sostanze, purtroppo. Ha pensato di trovare la serenità in ciò che faceva, senz’altro si sbagliava.»
«Esattamente. Le ordino di seguirlo e che non succeda più una cosa del genere. Ha un cuore debole, non dovrebbe far troppo uso di quelle cose, potrebbe aggravare la situazione.»
«Quale situazione?»
«Nel momento in cui abbiamo operato Justin ci siamo accorti che c’era una vena vicino al suo cuore molto debole. Esagerando con quella droga, aggraverebbe lo sforzo che fa questa vena a pompare il sangue e quindi rischierebbe un infarto, o cose peggiori.»
«Ah..» 
«Ora la devo lasciare, se vuole, può vederlo. Mi raccomando, vada a casa a dormire, non rifaccia l’errore di ieri sera. Potrebbe venirli un colpo alla schiena se rimane a dormire in quel modo.»
«La ringrazio.»
In quel momento era il mio cuore a essere debole.
Non avrei mai immaginato che Justin avesse tali problemi, dovevo per forza aiutarlo a smettere, dovevo eliminare quell’orrore dalla sua vita.
Andai verso la sua stanza, aprii piano la porta e mi sedetti alla solita sedia accanto a lui, presi la sua mano e la strinsi forte alla mia.
«Quando hai intenzione di svegliarti? Vuoi capire che mi manchi? Sai, oggi sono andata alla polizia, ho confessato tutto e hanno detto che se ho delle prove, ci sono buone probabilità di imprigionare i miei genitori. Come vedi sono ancora viva, loro hanno paura di toccare me, ce la posso fare. Questa storia avrà un buon termine, spero.»
Rimasi a guardarlo per qualche minuto, cercai di accarezzarli la fronte rovinata da ferite.
Come diavolo si può massacrare un ragazzo così?
«La dottoressa ha detto che devi smetterla di prendere quelle droghe, non fanno bene al tuo cuore. Prometto che ti aiuterò, so che sarà dura eliminare quest’abitudine, ma noi ci riusciremo insieme, non è così?» era inutile fare domande, non c’era il gusto di ricevere risposte.
«L’infermiera mi ha detto di andare a casa stasera, ma io non voglio. Rimarrò nuovamente qui a dormire con te, son più sicura.» 
Appoggiai la testa sulle lenzuola, cercai di trovare una posizione comoda e mi addormentai accanto a lui.
 
Verso tarda notte il mio cellulare mi fece sobbalzare e risposi velocemente prima che qualcuno mi urlasse di spegnerlo.
«Pronto?»
«Sono Hanna, ti ho mandato il numero di Emily per messaggio, amami.»
«Già fatto, ti ringrazio Hanna, la chiamo subito.»
Chiusi la chiamata e andai a leggere il messaggio mandato da Hanna, salvai il numero e la chiamai.
Squillò a vuoto per qualche secondo.
«Sì?» la sua voce si sentiva appena, sapevo di averla svegliata.
«Emily sono Demi, mi dispiace di averti svegliata, lo so che è molto tardi.»
«Oh, Demi. Cosa c’è?»
«Vuoi avere giustizia per Josh?»
«L’ho sempre voluto.»
«Aiutami a incastrare i miei genitori e l’avrai.»
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
spazio autrice;
CIAAAAAAAAO AMORI MIEI, COME STATE? IO, SI PUO' DIRE, BENE.
QUESTO CAPITOLO NON E' UN GRANCHE', NON E' VERO?çç
PURTROPPO E' USCITO LUNGHISSIMO QUINDI L'HO DOVUTO DIVIDERE IN DUE PARTI, LA PROSSIMA SARA' L'UNDICESIMO CAPITOLO.
SCUSATEMI SE VI ANNOIERA', NON ERA MIA INTENZIONE.
PERO' POTETE DIRMI COMUNQUE COME VI E' SEMBRATO.
ASPETTO LE VOSTRE RECENSIONI, UN BACIO.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** capitolo undici. ***


 
_____________________________________________________________________________________________________________
Quella sera la risposta di Emily fu molto restrittiva ma sapevo per certo che voleva giustizia per suo figlio, mi avrebbe appoggiata.
D’altronde non volevo mica uccidere mio padre, doveva avere ciò che si meritava, la prigione.
La mattina seguente salutai Justin e me ne tornai a casa per un bel bagno caldo.
Quello stesso giorno Emily sarebbe venuta a parlare con me faccia a faccia, per cercare di decidere insieme qualcosa.
Buttai tutti gli indumenti nella cesta e mi rilassai nella vasca.
L’acqua mi aiutò a lasciare per un attimo i problemi all’esterno.
Era un periodo stressante, accaddero troppe cose nello stesso momento.
Dovetti addirittura abbandonare per un po’ il lavoro, dovevo prendermi cura di Justin, cercare prove sui miei genitori e ovviamente non avevo anche il tempo di portare a spasso i cani.
Appena finii il mio bagno rilassante, mi andai immediatamente a vestire, Emily sarebbe arrivata da un momento all’altro, e avendo viaggiato per ore sarebbe stata altrettanto stanca e affamata, quindi le preparai una colazione arricchita.
Smisi di strapazzare le uova che il campanello suonò.
«Arrivo subito.» urlai cercando di farmi sentire.
Come previsto, fu Emily.
«Benvenuta a casa mia, entra pure. Sarai certamente stanca, ti ho preparato la colazione.»
Un sorriso aderì sulle sue labbra rosee.
«Non mi aspettavo un’accoglienza del genere.» sostenne.
«Vieni a fare colazione su.» mi seguii in cucina senza obbiettare.
La feci accomodare sulla sedia proprio di fronte a me, le presentai ciò che avevo cucinato e iniziò a degustare ogni cosa.
«So che sei stanca ma Justin è in ospedale per colpa di mio padre, non voglio aspettare altro tempo. Ho bisogno di quelle prove.»
«Non importa essere stanca o meno, è fattore di sicurezza. Se qualcuno scopre che io ho dato a te quelle prove non solo fanno del male a me ma lo farà anche a te.»
Come potevo convincerla? Lei aveva ciò che mi serviva, o almeno, poteva procurarmelo.
Mi ricordai di quella volta che mi confessò di avere un amico che l’aiutò a scoprire tutto, perchè non poteva fare lo stesso con me? Volevo solo mettere fine a questa dannata storia.
«Emily» le presi le mani in segno di supplica. «è importantissimo per me, ti prego.»
Mandò giù l’ultimo boccone di pan brioche e si distaccò dalla mia presa.
«E se non finiscono in prigione e verranno a darci la caccia finché non moriremo sia io sia te?»
«Ti assicuro che andrà tutto bene, ti prego.»
«Non posso assicurarti nulla, mi serve del tempo per riavere quelle prove. Alla morte di Josh ogni traccia sparì.»
«Non ti ha aiutata quel tuo amico?»
«Esatto, lui. Devo rimettermi in contatto con lui e farmi ridare tutte le prove che riuscii a trovare tempo fa, ma sarà una cosa lunga.»
«Lunga tipo?»
«Giorni, settimane. Bisogna andare con calma o ci scopriranno.»
«Mi basta sapere che le avremo, d’accordo?»
«Affare fatto.» mi riprese le mani e si avvicinò a me. «Stai facendo tutto questo per Justin o l’avresti fatto comunque?» mi chiese dolcemente.
Effettivamente ci riflettei su un attimo.
L’avrei fatto comunque tutto ciò? Questa rabbia repressa che avevo dentro son riuscita a portarla fuori solo dopo ciò che è successo a Justin.
Ma lui era davvero importante per me, non potevo non proteggerlo, dare giustizia al mio fratellastro, a Dylan.
Persone innocenti sono morte a causa di mio padre, non capita tutti i giorni una storia così.
«Credo che l’avrei fatto comunque ma ciò che è successo a Justin è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.» le risposi dopo.
«Cosa provi per quel ragazzo?» parlare con quella donna mi dava un senso di tranquillità che con mia madre non avevo, non avevo mai avuto.
Non c’era mai occasione di parlare con i miei genitori, ero sempre sola a casa e se anche ci fossero stati loro, sarei stata sola ugualmente.
Sentivo di poter dire tutto a quella donna, era la mamma che non avevo mai avuto.
«Ti dico la verità, prima non lo sopportavo, mi dava un senso di nausea ogni volta che capitava davanti i miei occhi.»
«E poi cos’è cambiato?» mi chiese lei sorridendo e facendo cenno di continuare.
«Poi ho iniziato a conoscere la sua storia, abbiamo iniziato a cercare verità sui miei genitori, lui mi è stato sempre accanto, sembra passato così poco tempo da quando l’ho conosciuto e invece sono quasi due mesi che va avanti tutta questa storia e solo qualche giorno fa lui si è dichiarato a me.»
«E tu?» sorrise all’idea di un presunto interrogatorio, ma non mi dispiaceva confidarmi.
«Io non lo so. Cioè, sì, ma ho bisogno di avere delle certezze prima di dichiararmi pienamente a lui. È già scattato un bacio tra di noi, nulla di più. Preferisco aspettare prima di confidare a pieno i miei sentimenti.»
«Capisco, come capisco anche che da parte tua ci sono dei sentimenti alquanto forti che tu non vuoi ammettere. Tranquilla, lo ammetterai a te stessa e lui molto presto, ne sono sicura.» mi accarezzò dolcemente una ciocca di capelli che mi era scivolata dalla coda prima di rialzarsi dalla sedia.
«Hai un posto dove stare?» le chiesi.
«Starò da Mark, quest’amico che mi aiuterà nel trovare l’occorrente, tranquilla.» mi sorrise e riprese la borsa che aveva temporaneamente appoggiato a terra.
«D’accordo, ti accompagno alla porta.»
L’aiutai a prendere l’ascensore e la salutai un’ultima volta prima di rientrare in casa.
 
La giornata si prosperava solare, riuscii a convincere Emily di trovare le prove, c’era un bellissimo sole dopo la tempesta della sera prima, tutto sembrava tranquillo.
Finii di sistemare un po’ casa per poi scendere nel parcheggio a prendere l’auto per dirigermi in ospedale da Justin.
Saltai a bordo della mia Audi, misi gli occhiali da sole e abbassai il tettuccio decappottabile.
Amavo il vento tra i capelli, i raggi del sole che battevano caldi sul mio viso.
Per la prima volta in vita mia mi sentivo bene, tranquilla.
Era come se tutti i problemi fossero spariti dalla faccia della terra.
Arrivai all’ospedale e parcheggiai nel parcheggio superiore.
Raccolsi i capelli in una coda e salii le scale per dirigermi alla stanza.
Entrai e come il solito Justin dormiva, sembrava un angelo.
Le ferite man mano iniziarono a notarsi di meno, ma lui non reagiva, non apriva gli occhi da giorni.
Presi la solita sedia e mi sedetti accanto al letto, estrassi fuori dalla borsa un libro che stavo leggendo in quel periodo.
‘Danze dell’inferno.’ Era qualcosa di meraviglioso.
Cinque autori riuniti in un unico libro per scrivere cinque racconti differenti tutti a tema ballo scolastico.
Fino allora riuscii a leggere solo i primi due racconti.
Il primo narrava di una ragazza, la solita ragazza che non viene mai notata nel corso di storia, e di un’amica stregata da un vampiro. Questa ragazza era un ammazza vampiri che alla fine s’innamora di Adam, il solito ragazzo popolare della scuola.
Il primo racconto mi appassionò decisamente.
Il secondo, invece, narrava di un gruppo di amici che decidono di andare da una strega o maga, quel che sia, e lì il loro destino cambia radicalmente. La protagonista riceve un fiore stregato che poteva esprimere tre desideri, lei allora desidera di essere invitata al ballo dal ragazzo che ama, ma lui muore la sera stessa. Così lei, caduta quasi in depressione, desidera di farlo tornare in vita ma lui ovviamente è un morto vivente e così col terzo desiderio lo ammazza nuovamente in quanto aveva paura di lui.
Che storia tragica.
Chissà come ci si sentiva a perdere l’amore della propria vita.
Magari io al posto della protagonista avrei fatto la stessa cosa solo che il terzo desiderio l’avrei usato per far tornare come prima il ragazzo, esteriormente intendo, senza essere un morto vivente maciullato fino al collo.
«Ti disturbo?» ci fu una risata di sottofondo.
Quella risata la conoscevo, eccome se la conoscevo.
Abbassai il libro dai miei occhi guardando oltre e vidi lui, i suoi occhi di nuovo vivi, il sorriso più bello di sempre.
Piansi di punto in bianco, piansi dall’emozione di rivederlo.
Mi avvicinai senza dire nulla e lasciai un lieve bacio sulle sue labbra secche.
«Mi sei mancata.» sussurrò lui.
Rimasi con la fronte vicina alla sua, non riuscivo a staccare i miei occhi dai suoi.
«Devo ammettere che mi sei mancato molto di più tu.»
«Hai fatto la brava?» mi chiese lui in tono ironico.
«Secondo te?» ribadì.
«Secondo me no.» sorrise lui.
Non volevo spaventarlo e farlo agitare quindi decisi di mentirli.
«Ho fatto la brava. Sono stata giorno e notte qui accanto a te.» mi rimisi seduta sulla sedia, cercando di avvicinarmi più possibile al letto per tenere la sua mano.
«E hai letto quel libro? Danze dell’inferno o come si chiama.» si sforzò di ridere ma le ferite non glielo permettevano ancora.
«Sì, non avevo molto da fare.» sorrisi. «Mi dici la verità?»
Lui annuì titubante.
«Chi ti ha ridotto così?»
«Non posso farti questo.»
«Justin dimmi.»
«Demi..»
«Justin.» replicai.
«Tuo padre.»
Non potei negare che me lo immaginavo perfettamente.
Chi altro altrimenti? Solo lui.
«Lo immaginavo.» ammisi stringendo la sua mano.
«Ma ora sto bene.» mi sorrise.
«Non serve che tu menta, lo so che stai male. Queste ferite non te le meritavi, hai sofferto già abbastanza.»
«E tu?» chiese.
«Io cosa?»
«Tu non hai sofferto? Non c’è bisogno che tu appaia forte. Anche i più forti soffrono.»
«Io..io sto bene Justin, posso farcela. Ora il mio unico pensiero sei tu.» dissi con tono serio.
«Ah, davvero signorina?» potei notare il divertimento nel suo tono.
Voleva sicuramente cambiare argomento e ci riuscii.
«Sì.» gli feci la linguaccia per farlo sorridere, lo amavo fare.
«Sei così bella.» mi appoggiò la mano sulla guancia e io di conseguenza appoggiai la mia mano sulla sua. «Mi sei mancata così tanto ma ero troppo stanco e debole per svegliarmi, ci ho provato e riprovato, ma nulla. Ma ora sono qui e non m’interessa prendere medicine per guarire, la mia medicina sei tu. Con te starò bene, ne sono sicuro.»
Quelle sue parole, dannazione.
Un attacco al cuore. Era così dolce, così..semplice ma d’effetto.
Mi fecero commuovere, tanto che i miei occhi s’inumidirono nuovamente.
Cercai di distogliere lo sguardo dal suo, non volevo farmi notare.
«Non dirmi che la Demi che conosco si è commossa per un attimo di dolcezza.» sorrise.
«Smettila, capita anche ai più forti di emozionarsi, non è così?»
«Quello era soffrire, ma interpretalo come vuoi.»
Mi avvicinai a baciarlo nuovamente.
Ero troppo impegnata a baciarlo per pensare alle lacrime che minacciavano di ritornare.
Quelle parole annebbiavano ancora la mia mente, nessuno mi aveva mai parlato in quel modo.
Prima di Justin, ovviamente.
«Sarò la tua medicina e ti aiuterò a riprenderti, ad andare avanti, a smettere con quella roba.»
«Ci riusciremo insieme
..insieme.
Che bella parola.
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
spazio autrice.
yoyoyo, rieccomi qua dopo tre giorni.
mi dispiace non aver pubblicato prima e vi ringrazio per i tanti messaggi in posta, sto leggendo tutto e son contenta che vi piaccia la storia, leggo anche i dm che mi lasciate su twitter, vi ringrazio davvero delle tante visualizzazioni alla storia, non me lo immaginavo.
@niallsneed , vi ricordo il mio twitter.
chiedetemi tutto quello che volete, diteeeeeeeemi cosa pensate del capitolo. x
vi lascio, baci.
-m.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** capitolo dodici. ***


 

And my armor, is made of steel, you cant get in
I’m a warrior
And you can never hurt me again
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Qualche giorno dopo, Justin uscii dall’ospedale e insieme ad Hanna andai a prenderlo con la mia auto. Dovetti firmare delle carte per far dimettere Justin, mi ero assunta io la responsabilità di tutto.
«Pronto a ritornare a casa?» chiesi mettendo in moto l’auto.
«Più pronto di così si muore. Sto leggermente morendo di fame, possiamo fermarci al Mcdonald’s?»
«Mh, va bene. Hanna vuoi venire con noi?»
«Veramente io..» sospirò. «mi dispiace Demi, ho un appuntamento. Puoi lasciarmi all’incrocio più avanti, prendo il pullman e torno a casa.»
«Sicura?» le chiesi.
«Sicurissima.» sostenne.
Aspettai che il semaforo diventasse verde per proseguire. Feci come detto da Hanna e la lasciai qualche strada dopo l’incrocio.
«Allora ci sentiamo dopo, buon proseguimento.» la salutai facendo cenno con la testa e ripartii verso il Mcdonald’s.
La giornata sembrava presentarsi tranquilla, il sole batteva caloroso, un lieve vento scostava leggermente i capelli, i piccoli uccellini che cinguettavano sui rami.
Ripensai alle ultime settimane, accaddero più cose di quanto un film d’azione potesse immaginare.
La scoperta di Emily, la denuncia alla polizia, Justin in ospedale.
Quanto altro doveva succedere ancora?
«A cosa pensi?» Justin si avvicinò vicino a me attraverso i sedili posteriori dov’era seduto.
«Nulla, pensavo un po’ agli ultimi avvenimenti.» gli sorrisi attraverso lo specchietto retrovisore.
«Capito.» ricambiò al sorriso e si rimise di nuovo a sedere.
Proseguimmo per un altro tragitto di strada, l’insegna del Mcdonald’s era quasi visibile, fino a esserlo del tutto.
«Eccoci qua.» tolsi la cintura di sicurezza e scesi dall’auto per aiutare Justin.
Aprendo lo sportello lui mi porse una mano e si appoggiò a me per uscire.
«Ti ringrazio, anche se preferirei non accadesse più, è imbarazzante essere aiutato da una donna.» continuò a reggersi su di me mentre ci dirigevamo verso l’entrata.
«Peccato, mi stavo iniziando ad abituare alla tua dolcezza.»
«E quindi?» mi guardò.
«Sei il solito sbruffone.» gli soffiai in faccia facendolo rabbrividire per poi mettersi a ridere.
Entrammo e iniziammo a cercare due posti, quando magicamente ci apparvero davanti i nostri occhi.
Aiutai Justin a sedersi e andai ad accomodarmi anch’io di fronte a lui. Notai il suo sguardo fisso su di me mentre cercavo di togliermi di dosso la giacchettina e il foulard che avevo al collo.
Quando smisi, alzai gli occhi verso di lui e cercò di nascondere il sorriso che aveva sulle labbra distogliendo lo sguardo da me.
«Che fai, ti nascondi da me?» lo incitai a parlare.
«Cosa?» continuò a sorridere.
«Mi stavi fissando.»
«Io? Ma smettila..e poi, ammettiamo, non potrei?»
«Beh, sì.» iniziai a sentirmi le guance rosse dalla timidezza.
«Avanti, cosa vuoi da mangiare?»
«Un hamburger con patatine, ho fame anch’io. Tu cosa prendi?» chiesi.
«Sceglierò la stessa cosa, ma.» si soffermò sul ‘ma’.
«..ma?»
«Pago io.» affermò Justin.
«Ma no, dai..»
«Era una domanda la mia?»
«No.» sorrisi.
«Allora niente, pago io.» sorrise anche lui.
Nel frattempo aspettavamo che arrivassero le ordinazioni, conversai del più e del meno con Justin.
Gli raccontai tutto ciò che accadde negli ultimi giorni, l’arrivo di Emily in città e anche ciò che avessi in mente di fare con la polizia.
Avvicinò la mano alla mia, accarezzandola di tanto in tanto, mentre io continuavo a parlare.
«E quindi basta che trovo le prove e mio padre è incastrato.» conclusi.
«Mi sembra un’ottima idea per quanto riguarda Mark, il suo aiuto insomma. Credo che questa volta ce la faremo.» disse stringendomi le mani.
«Lo spero tanto. Comunque, hai finito di mangiare?»
«Hai fretta di andare via? Volevo ancora stare un po’ con te.» mi chiese usando la tattica degli occhi dolci.
«No, affatto. Volevo solo andare via da questo posto, meglio stare all’aria aperta con una giornata così, non trovi?» feci cenno di uscire.
«Mi stavo rilassando ma a quanto pare qualcuno non me lo permette.» fece spallucce.
«Ehi.» sorrisi. «Ti porto in un posto migliore, andiamo. Appoggiati a me.»
Ci dirigemmo nuovamente verso l’auto, lo aiutai a sedersi accanto a me e abbassai il tettuccio decappottabile, in modo da restare il più possibile al contatto col sole.
Misi a moto e cercai di fuoriuscire dal traffico che si era creato all’interno del parcheggio.
Operazione completata, sfrecciai fuori e proseguii verso il parco.
Era quasi mezzogiorno, il sole picchiettava sulla pelle, sembrava ancora estate, eppure erano passati mesi dalla fine di quella stagione.
Parcheggiai vicino a delle aiuole, richiusi il tettuccio e passai ad aiutare Justin.
«No.» mi bloccò. «Faccio da solo, grazie lo stesso.»
Aspettai che Justin fosse sceso l’auto per poi chiuderla. Chiesi nuovamente se avesse bisogno d’aiuto, ma le sue risposte erano costantemente negative.
Arrivammo davanti ad un albero enorme, sicuramente era alto quanto un grattacielo di dieci piani, era qualcosa di meraviglioso.
Inoltre, i custodi del parco l’avevano anche addobbato con delle piccole luci attorno e sui rami, anche se non era sera, lo spettacolo era da lasciare il fiato.
«Wow.» esclamò lui. «Ci credi che non sia mai stato in questo parco? Non mi attirava.»
«Beh, ora sai cosa ti sei perso.» mi voltai verso di lui facendo segno di seguirmi.
Mi sedetti a terra appoggiando la schiena a una delle radici, aspettando che Justin facesse lo stesso.
Mi tese la mano per aiutarlo a piegarsi, così eravamo entrambi vicini.
Si stese lungo il prato con la testa sistemata sulle mie gambe e lo sguardo rivolto verso di me.
«Non ricordo quand’è stato l’ultima volta che ho passato una giornata tranquilla.» confessò lui mentre gli accarezzavo dolcemente i capelli.
«Magari non trovavi la giusta motivazione per passarne una così.» lo guardai negli occhi.
Occhi pieni d’amore, di speranza e tranquillità.
«O molto semplicemente non avevo la giusta compagnia.» fece una pausa. «..fino ad oggi.»
Gli sorrisi senza dire nulla.
Non c’era molto da dire in determinate occasioni, semplicemente sorridere, ecco cos’era opportuno fare.
«Sai una cosa?» continuò lui. Annuii incitandolo a continuare.
«Con te mi sento a casa. Non ho mai avuto una famiglia perfetta, e nemmeno tu, ovviamente. Ma avendo te accanto è tutto diverso, sento di poter finalmente stare bene, di non avere più bisogno di quella roba per essere felice.»
«Vivevi una felicità apparente nel momento in cui l’assumevi, Justin.»
«Io..lo so. Mi dispiace, ho rovinato il mio corpo, ho rovinato me stesso.»
-ho rovinato il mio corpo.-
Quelle parole mi fecero ricordare quelle della dottoressa.
-il cuore di Justin è debole, deve farla finita con quella droga.- Era quello che aveva finalmente capito anche lui.
Non c’era soddisfazione migliore.
«Tu?» mi chiese interrompendo i miei pensieri.
«Io cosa? Scusa, ero in sovrappensiero.»
«Oh, allora non hai ascoltato.» si soffermò. «Non fa niente, te lo dirò un’altra volta.» sorrise e si abbandonò alle mie carezze.
 
                                                                   ***
 
Avevo riportato a casa Justin ormai da qualche ora.
La sera iniziò a calare così come la rugiada sulle piccole foglioline delle mie piante. 
C’era sempre quel piccolo freschetto la sera, ma come buona tradizione, andai sul terrazzo a bere la mia solita tazza di tè serale, accompagnata dalle stelle e dai piccoli uccelli che si posavano sulla ringhiera.
Da sempre ero appassionata di piante, avevo un piccolo giardino tutto mio, interamente accudito dalle mie mani.
Il giardino comprendeva dalle rose alle piccole ortensie, tulipani, girasoli, gerbere e così via.
Mamma diceva sempre che possedevo il dito del giardiniere, magari potevo aprirmi una grande serra e confezionare fiori a volontà.
-Potresti aprirti una serra, diventare giardiniera artistica. Ma perchè abbassarti a così poco quando invece puoi essere il proprietario di tante aziende e farti entrare soldi in tasta come se niente fosse?-
Mia madre era una in fissa con i soldi, ora capisco perchè.
Andai a innaffiare una delle tante piante che sentii il cellulare vibrare e lo andai a controllare.
 
Da: Justin
Che cosa accade quando una persona ti manca?
Sorrisi nel leggere quel messaggio, sapevo già a cosa si riferiva.
A: Justin
Solitamente, quando mi manca qualcuno, io rimango per ore a pensarlo, davanti alla tv, ad una tazza di tè, oppure sulla terrazza, guardando le stelle. Proprio come sto facendo ora.


Da: Justin
E chi ti manca?xx


Oh, anche dei baci. Voleva essere proprio dolce allora.


A: Justin
Lo sbruffone, ma non glielo dire, altrimenti si monterà la testa.


Da: Justin
Sarà il nostro piccolo segreto.
Ma io ho anche un altro segreto, che magari un giorno ti svelerò.


A: Justin
Hai i superpoteri? Oppure sei un assassino? O un rapinatore?


Da: Justin
Chiunque tu vuoi che io sia.


A: Justin
Che frase da film scopiazzata.
Sei privo di fantasia. x


Da: Justin
Staremmo a vedere.
Sono molto stanco, buonanotte.
Tanti, tanti baci. :)


A: Justin
Buonanotte sbruffone, baci.
 
Sapeva sempre come farmi tornare il sorriso, in un modo o nell’altro.
Ritornai a sorseggiare il tè, prima di finirlo e scendere al piano di sotto per entrare nel mondo dei sogni, leggera e beata.
-buonanotte.-
 
                                                                     ***
Parcheggiai l’auto al solito posto e andai verso casa di Justin per dargli il buongiorno.
Appena arrivata vicino al cancello, lo ritrovai aperto.
L’ultima volta che successe..
Iniziai a correre verso l’entrata e fui fermata da un uomo in divisa.
«Non può entrare signorina.» cercò di bloccarmi.
«Io cosa? Che diavolo è successo? Dov’è Justin?»
«Justin è il nome del ragazzo che viveva in questa casa?»
La preoccupazione iniziò a vincere su di me.
«Sì..sono la sua ragazza. La prego, mi dica cos’è successo.»
«Mi dispiace, hanno sparato al suo ragazzo. A quanto pare è entrato qualcuno in casa e c’è stata una rissa. I vicini hanno sentito le urla e ci hanno avvisati.» disse in modo serio.
Non riuscivo a credere alle sue parole, Justin era da poco uscito dall’ospedale, stava cercando di rimettersi e ora..no, non poteva essere vero.
«Dove diavolo è Justin?»
«Mi dispiace, ha perso molto sangue, non abbiamo sue notizie. È all’ospedale già da qualche minuto, noi siamo qui per capire la situazione.»
Senza continuare la conversazione scappai da quella casa in preda alla paura.
Avevo il volto pieno di lacrime, cercai di mandarle via col gomito per permettermi di non annebbiare la vista e perdere il controllo della guida.
Arrivai all’ospedale in un batter d’occhio, corsi, corsi per tutti i reparti in cerca di qualcuno.
«Signorina, la smetta di correre, che le succede?»
«Justin dov’è? La prego, mi dica dov’è Justin.» cercai di smettere di piangere. «Justin Bieber.» conclusi.
Il volto della donna divenne pallido, prese la mia mano e mi diresse verso una stanza.
Guardai all’interno e c’era lui, nuovamente disteso su quel letto d’ospedale, ma ora la stanza era diversa, non era sempre la stessa.
..il suo volto.
«Le condizioni del ragazzo sono molto gravi, non pensiamo..»
«Sh, stia zitta. Ce la farà, non è vero? Posso vederlo?» le chiesi.
«E’ meglio che stia isolato per un po’, può comunque vederlo da questo vetro. Non vogliamo che la sua condizione si aggravi per qualche batterio portato dall’esterno.» mise un braccio intorno a me. «Mi dispiace tantissimo.» andò via subito dopo.
Non poteva essere accaduto di nuovo, no.
Quando ci sarà un attimo di tregua?
Riguardai un’ultima volta Justin, era irriconoscibile, tra ferite vecchie e appena fatte, prima di accasciarmi a terra e perdermi nel vuoto assoluto.
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
CIAO AMORI MIIIIEEEI.
SONO DI NUOVO QUI, SON PASSATI DUE GIORNI DALL'ALTRO CAPITOLO, VERO? VABBE', NON IMPORTA.
SONO SICURA CHE QUESTO CAPITOLO VI PIACERA'.
........OPPURE NO.
DITEMI VOI, LASCIATEMI LE VOSTRE RECENSIONI.
E SE QUALCUNO VUOLE CHE PASSI DALLA SUA FF, PER FAVORE DITEMELO NEI MESSAGGI DI POSTA, NON NELLE RECENSIONI. :)
UN BACIO. x
CONTINUO AD ALMENO SEEEEEEI OPPURE OTTO RECENSIONI.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** capitolo tredici. ***


_____________________________________________________________________________________________________________
Aprii leggermente gli occhi, era come se avessi le scimmiette che suonavano i tamburi in testa, mi guardai un po’ intorno. 
Mi trovavo in un letto d’ospedale anch’io. Era un incubo o cosa?
Perchè mi ritrovavo lì? Oh, ma certo.
..Justin.
Avevo sicuramente battuto la testa cadendo a terra e perso i sensi, non ricordavo altro.
«Come si sente oggi?» mi chiese una donna completamente vestita di bianco entrando in camera.
«Credo di stare bene. Perchè sono qui?» le chiesi.
«L’abbiamo ritrovata a terra davanti alla porta della stanza di quel ragazzo, abbiamo fatto degli accertamenti e ha il ferro molto basso, ha avuto sicuramente un calo di pressione. È sotto stress ultimamente?». Una domanda alquanto sciocca direi, vista la situazione.
«A quanto pare sì, lei che dice? Che cosa farebbe se il suo ragazzo fosse picchiato e portato all’ospedale e dopo nemmeno due giorni dall’uscita, sparato? Eh?» il mio tono si alzò leggermente.
L’infermiera, credo fosse quel genere, rimase in silenzio alle mie parole.
Era palese, ovvio che ci fosse stress e preoccupazione nell’aria, come si poteva stare calmi in queste situazioni?
«Se si sente bene, allora può tornare a casa. Non abbiamo motivo di tenerla in questo letto.» continuò.
«Posso stare con Justin?»
«Justin non può vedere nessuno, le è già stato comunicato.»
«Ma io..»
«Torni a casa.» mi zittì.
Ma che diamine, non potevo nemmeno vederlo? Avevo tutto il diritto di conoscere le sue condizioni, di stare accanto a lui.
Diamine!
Presa dall’agitazione, uscii dal letto e me ne andai fuori dalla stanza, sbattendo la porta alle mie spalle.
Corsi per tutto il corridoio e andai verso la camera di Justin, mi bloccai di colpo quando riguardai nuovamente all’interno.
L’immagine disteso su quel dannato letto mi faceva soffrire, non ero stata capace di proteggerlo una seconda volta.
Come potevo essere stata così stupida da lasciarlo dormire in quella casa? Ovvio che sarebbero ritornati.
-sei una stupida.- La voce rimbombava nella mia mente. -STUPIDA.- un’altra volta.
Cercai di entrare nella camera ma notai la porta chiusa a chiave.
-Addirittura? Ora si esagerava.-
«Fatemi entrare in questa dannata stanza.» urlai. «Cazzo, fatemi entrare.»
Maneggiai rumorosamente la maniglia ma non ci fu nulla da fare.
Un gruppo d’infermieri venne verso di me per farmi tranquillizzare, uno di loro cercò addirittura di prendermi sotto braccio.
«Lasciatemi stare.» sbraitai. «Lasciatemi stare o chiamo la polizia e denuncio l’intero ospedale.» continuai a urlare ma fecero in modo di portarmi il più possibile lontano da Justin.
Iniziai a piangere come un’emerita bambina che perde il suo giocattolo preferito.
«Vi prego, mi state facendo male, lasciatemi.» un filo di voce uscii appena, è vero, ero stanca.
Ero stanca di combattere, di cercare di mettere un punto a questa storia.
«Lasciatela in pace, non avete sentito che le state facendo del male? E che diamine.» un ragazzo si avvicinò alle mie spalle, cercando di togliermi dalle mani di quell’infermiere.
Fortunatamente ci riuscii.
Mi sfregai delicatamente i polsi, dove ormai si erano formate delle stampe rosse, tutta colpa di quell’uomo.
«E’ tutt’ok?» mi chiese il ragazzo, nel frattempo l’uomo e la sua banda si allontanò da noi.
Annuii continuando a tenere la testa abbassata sui polsi, mi faceva leggermente male.
«Tu devi essere Demi.» continuò, il che mi fece alzare lo sguardo verso di lui.
Come faceva a conoscermi?
«Sono io ma non mi pare che io sappia il tuo nome. Sei un amico di mio padre? Ti manda qui per sparare anche me? Codardo.» borbottai sarcasticamente.
Il ragazzo iniziò a sorridere e mi fece cenno di seguirlo verso la sala d’attesa.
«Avanti, siediti. Devi essere molto stanca.» ammetto che fu alquanto premuroso. «Io comunque sono Nick, sono il migliore amico di Justin.» ooh, il suo migliore amico, ora era tutto più chiaro.
«Ah, capisco. Eri qui per vederlo?» chiesi.
«Ero andato a casa sua a trovarlo, quando sul più bello ho visto la polizia e mi ha raccontato tutto, non ci potevo credere. Ho cercato di calmarmi prima di venire qua e ora, eccomi.»
«E’ tutta colpa mia, non dovevo immischiarlo in questa storia. Ha preso troppi colpi per me.» altre lacrime iniziarono ad annebbiare la mia vista. Era solo colpa mia.
«Justin prenderebbe anche altro pur di proteggere te.» disse schiarendosi la voce.
Era chiaro come l’acqua che Justin provasse dei sentimenti nei miei confronti, ma un conto era provare dei sentimenti, un altro conto era prendere una pallottola al mio posto.
Tutto ciò era troppo per me, era sopportare più del normale.
Non lavoravo da giorni ormai, non riuscivo a chiudere occhio la notte con la paura di morire o vedere Justin in situazioni peggiori.
«Tranquilla, si riprenderà e ne uscirà più forte di prima. Ci tiene troppo a stare al tuo fianco per lasciarsi morire.»
«N-non dire quella parola. Justin non morirà.»
«Stai tranquilla e serena, anche se è difficile in questi casi.»
«Già.»
Rimanemmo in silenzio per un po’, io andai a prendermi un caffè, giusto per rimettermi un po’ in sesto.
Nick rimase seduto mentre mandava vari messaggi a chissà chi.
«Vuoi qualcosa da bere?» gli chiesi.
Lui negò, continuò a mandare messaggi su messaggi.
«Da quanto vi conoscete tu e Justin?» chiesi, cercando di rompere il ghiaccio.
«Da quand’eravamo piccoli. Eravamo vicini di casa, nel pomeriggio giocavamo sempre a calcio, oppure andavamo a pesca, dipende. Justin è un buon amico ma ultimamente si è allontanato da ogni tipo di relazione, da quando..» si fermò un attimo.
«Tranquillo, so tutto di Justin, o almeno, so l’essenziale e mi basta. Quindi sì, so che per molto tempo ha fatto uso di droghe.» lo incitai a continuare il discorso precedente.
«Ah, bene. Quindi, da quando ha iniziato a fare uso di droghe, si è allontanato del tutto. È stato sempre un ragazzo solare, sociale, tutto, ma da quando è morto suo padre e ha scoperto tutto, non è stato più lo stesso. Sinceramente non so cosa tu gli abbia fatto, l’hai stregato per caso?»
Sorrisi appena. «Non ho fatto nulla, anzi. Mi comportavo sempre male con lui, diceva che ero sempre alquanto acida e antipatica.»
«Sì, lo so.» rise.
«Ah. E cos’è che sai altro?»
«Qualcosa che sarà lui a dirti.» 
Era da tempo che Justin provava a dirmi qualcosa ma si bloccava sempre e rimandava di volta in volta, ora anche Nick.
Andiamo bene.
La conversazione non continuò per molto tempo, lui andò via qualche minuto dopo, mentre io rimasi ancora su quella sedia ad attendere un’illuminazione.
Dottori su dottori mi passarono davanti ma ero troppo presa dai miei pensieri per accorgermi della lancetta delle ore che andava avanti come se niente fosse.
Divenne sera in un batter d’occhio, guardai l’orologio segnare le 20:00.
Un dottore mi passò di fronte correndo mentre mi alzai per prendere qualcosa dalla macchinetta del cibo.
Guardai in che direzione andò ed era verso il reparto di Justin.
«Dobbiamo subito portarlo in sala rianimazione.» urlò ai suoi aiutanti.
Lo seguii fino alla stanza da dove uscii insieme a una barella.
C’era Justin sopra.
Mi lasciai cadere il pacco di patatine che avevo preso, si svuotò completamente.
«Dottore che succede?» cercai di chiedere informazioni.
Lui non mi notò nemmeno, si dissolsero nell’aria, come esseri invisibili.
-Justin.- era il mio unico pensiero.
E ora cos’era successo di nuovo?
Nel momento stesso squillò il cellulare, lo presi dalla tasca posteriore e notai il nome ‘Emily’ comparire sullo sfondo.
«Emily, novità?»
«Tantissime. Demi, ce l’abbiamo fatta, abbiamo le prove. Possiamo avere la nostra rivincita.»
Qualcosa di buono accadde quella giornata.
«Non immagini che notizia bellissima che mi dai. Non ci resta che consegnare tutto alla polizia.»
«Sì, domani ci andiamo insieme. Demi ma..» sospirò prima di continuare. «ti senti bene?»
«Vorrei dire di sì, ma no. Justin l’hanno portato in sala rianimazione, non so esattamente cosa sia successo, sto aspettando che esca qualcuno.»
«Purtroppo ho saputo cos’è successo ieri, tranquilla, si risolverà tutto. Ora devo andare, con Mark dobbiamo terminare delle cose, ci vedremo domani.»
La salutai e chiusi la chiamata.
Mi sedetti a terra accanto alla porta, attendendo qualche buon’anima che uscisse da quella sala infernale.
Dava l’aria di un obitorio, per fortuna che non lo era realmente.
Giocherellai con le dita in attesa di qualcosa, mi alzai e iniziai a fare avanti e dietro per tutto il corridoio.
Finalmente la porta si aprii e uscii un uomo con la mascherina verde alla bocca che tolse subito dopo.
«Lei sarebbe?» disse rivolgendosi a me.
«Demi, sempre io. Sono la ragazza di Justin. Cos’è successo prima?»
«Justin ha avuto un attacco, può succede a volte in quelle condizioni, nulla di grave. Ora sta bene, possiamo dire che sia fuori pericolo ma deve comunque rimanere sotto osservazione. L’operazione è andata bene e ha reagito. Le sue preghiere sono state sicuramente utili. Ma ora torni a casa, domani potrà vederlo. Speriamo si svegli.»
Non ci pensai due volte ad abbracciarlo e ringraziarlo di tutto l’aiuto.
Annuii e me ne andai a casa.
Avevo un sonno incredibile che non appena arrivai a casa mi accasciai sul divano, senza pensare al letto.
-buonanotte.-
 
                                                                    ***
 
La mattina seguente mi alzai molto presto, sapevo che da un momento all’altro sarebbe arrivata Emily e così fu.
-toc toc- qualcuno bussò alla porta.
Andai ad aprire e rimasi di ghiaccio.
Il mio corpo divenne come paralizzato davanti a ciò che avevo appena visto.
«T-tu?» balbettai.
_________________________________________________________________________________________________________________________

spazio autrice.
sciaaaaaaaao beby, non ho molto tempo quindi ditemi cosa pensate.
secondo voi chi sarà?èé
ciao. uu

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** capitolo quattordici. ***


_____________________________________________________________________________________________________________

«T-tu?» balbettai.
«Cosa succede piccola? Non ti piace rivedere tuo padre dopo tanto tempo?» sorrise in un modo che odiavo.
Sapevo che era venuto per dirmi qualcosa, lo sapevo.
«C’è sempre un motivo quando vieni a cercarmi. Cosa vuoi ora? Non ti basta sapere tutto il male che hai fatto?» cercai con gli occhi di trovare il cellulare.
Ma dove diavolo l’avevo messo? Potevo chiamare la polizia e far finire tutto.
«Amore di papà, non sei ingenua allora. Hai scoperto tutto, vero? Sì che l’hai fatto. Molto bene, ho una notizia da darti.»
Scandii bene parola per parola. Cos’aveva intenzione di fare? Uccidermi? Ne sarebbe capace, ora come ora.
«Dimmi.» risposi con riluttanza.
Ormai provavo solo odio per quell’uomo, odio puro.
Avete mai visto una figlia odiare un padre in maniera esagerata?
«Tu ci tieni molto a Justin, vero?»
Oh, ancora Justin.
Dovevo proteggerlo, non doveva fargli nuovamente del male.
«Più di quanto abbia mai tenuto a una persona.» risposi sfacciatamente.
«Allora stai lontana da lui se vuoi continuare a vederlo vivo. Ti sei messa dalla parte del nemico, non dovevi.»
Il sorriso sarcastico sulle sue labbra mi provocava un senso di nausea.
Quando poteva essere riluttante quell’uomo.
Non poteva chiedermi questo, non doveva assolutamente.
«Allora stai lontana da lui se vuoi continuare a vederlo vivo.» quelle parole rigiravano nella mia mente, senza dare una risposta precisa.
Sapevo di cos’era capace e so che l’avrebbe fatto anche ora.
«T-ti prego, non puoi farmi questo, io ho bisogno di Justin.»
«Tu hai bisogno di lui?» scoppiò in una risata odiosa. «Non farmi ridere. Quel puttaniere ha bisogno d’altro, non di te. Avvicinati nuovamente a lui, cercate di ostacolarmi un’altra volta e» sfilò una pistola dalla sua giacca e l’armeggiò davanti i miei occhi. «La vedi questa? Servirà a non farti vedere mai più il tuo fidanzatino.» terminò nuovamente con una risata e andò via sbattendo la porta.
Che uomo disgustoso, continuava a portare la testa alta per i soldi, invece che concedere finalmente la felicità alla propria figlia.
Le sue parole mi spiazzarono, mi andai a sedere sul divano, digitando il numero dell’ospedale per vedere come stava Justin.
«Pronto?» mi rispose una donna.
«Mi saprebbe dire come sta Bieber? È il ragazzo che la notte scorsa ha avuto un malore.»
«Signorina, il ragazzo si è svegliato da poco, ha chiesto di una certa Demi, è lei?»
«No, io sono una semplice amica, chiamavo per avere informazioni. Non le dica che ho chiamato, non serve. La ringrazio.» riattaccai il cellulare subito dopo.
Justin stava bene ed era così che doveva continuare a essere.
Cominciai a piangere presa dal panico, non volevo far accadere nient’altro a Justin, infondo era colpa mia se Justin si ritrovava in quel letto d’ospedale.
Per quanto amore mi potesse legare a lui, dovevo finirla immediatamente.
Qualcuno bussò alla porta, bloccando i miei pensieri.
Andai ad aprire e mi ritrovai Emily di fronte, raggiante più che mai ed io che sembravo una mummia vivente.
Lei mi abbracciò immediatamente, cercando di trasmettermi un po’ di sicurezza.
«Sei ancora preoccupata per Justin?» mi chiese.
Scossi la testa, c’era ben altro ora.
«Mio padre è stato qui.» mi bloccai notando la sua espressione preoccupata. «Mi ha minacciato dicendomi di non vedere più Justin, altrimenti lo ucciderà.»
Emily rimase di stucco, ovviamente capii anche lei che mio padre diceva sul serio.
«Demi, dobbiamo pensare a un piano.»
Si accomodò sul divano accanto a me, lasciò la borsa sul tavolino adiacente e si voltò verso di me prendendomi le mani.
«Allora, tu e Justin non vi dovete più vedere, giusto?» annuii.
«Ma lui non lo sa che tu ti stai incontrando con me ed io ho le prove di tutti i suoi misfatti.» annuii nuovamente cercando di capire qualcosa del suo piano.
«Facciamo così, io avviso Justin di questa storia e faccio in modo che tu e lui non vi troviate per un po’, cercherò di prendermi cura io di lui, starà da me e Mark per un po’. Noi cerchiamo di sistemare la faccenda con la polizia e solo quando lui sarà dietro le sbarre, tu e Justin potrete ritornare insieme.»
Un ottimo piano, era d’ammetterlo.
«M’interessa solo che Justin venga a sapere di tutto ciò, non voglio che pensi che io l’abbia abbandonato.» sospirai.
«Mi occuperò di tutto io.» 
Non mi rimase altro che abbracciare Emily e dirle di quanto le ero debitrice.
Ripresi un po’ di sicurezza e pensai al resto.
«Fammi vedere cos’hai trovato con Mark.»
Lei riprese la borsa dal tavolino ed estrasse una busta.
«Qui ci sono vari documenti firmati da tuo padre per terminare vari affari, ci sono anche delle foto con diversi uomini che sono stati suoi colleghi. Ti dico sono stati poiché anche loro sono stati uccisi al termine del contratto.»
«Ah.» mi lasciò a bocca aperta questa notizia.
Quanti diavolo di uomini aveva ucciso?
«Guarda questa foto, qui si trovava a Londra con Harry, il padre di Justin.»
«Noto. Come sei riuscita ad avere queste foto?»
«Mark ha trovato tutto, molti uomini iniziarono a fare ricerche su di lui e così Mark è riuscito a trovare svariate cose, non so altro.»
«Basterà questo a mettere in prigione mio padre?»
«Molto di più. Inoltre su molti documenti c’è anche la firma di tua madre, quindi incarcereremo anche lei.» mi sorrise soddisfatta.
«Grazie di tutto Emily, davvero. Ora, per favore, puoi andare da Justin? Hanno detto che si è risvegliato e sapere che si trova da solo in quella stanza d’ospedale..» sospirai. «mi fa male il cuore.»
Emily mi abbracciò forte a lei, mi lasciò piangere per aiutare a sfogarmi, in parte ci riuscii.
Scrissi velocemente un bigliettino da farle dare a Justin e qualche minuto dopo mi salutò per andare da lui, mentre io andai a farmi una doccia fredda.
Magari poteva aiutarmi ad allentare la pressione.
                                                                 
                                                                   ***
Justin’s pov.
 
Passò qualche ora dal mio risveglio, avevo ancora quel mal di testa terribile, ma per fortuna iniziò a calmarmi grazie a qualche tranquillante.
Nonostante avessi chiesto di avvisare Demi, lei non si presentò nemmeno.
La paura che le fosse successo qualcosa, paura di non rivederla, paura in generale di perderla, tutto ebbe la meglio su di me.
Qualcuno bussò alla porta interrompendo la conversazione con me stesso.
«Ciao Justin.» mi salutò Emily entrando.
Perchè lei? Doveva dirmi qualcosa?
«E’ successo qualcosa a Demi?» cercai di alzarmi leggermente dal letto ma ogni tentativo si rivelò fasullo.
«Non dovresti muoverti, rimani come stai.» mi ordinò lei mentre prese una sedia per avvicinarsi al mio letto.
Prese fiato e iniziò a raccontarmi varie cose, di cosa successe mentre ero nuovamente in ospedale e di cosa accadde prima della sua visita.
«Per questo tu e Demi non potete vedervi per un po’.» terminò.
«Io..io come faccio senza Demi per così tanto tempo? Ci deve essere una soluzione.» sbottai.
Divenni nervoso, troppo.
Quell’uomo mi stava portando via la parte migliore di me, l’aveva minacciata, ora lei era da sola in quella casa infernale.
«Justin calmati che andrà tutto bene. Purtroppo abbiamo solo questa scelta, non permetterti a vedere Demi o in quest’ospedale ritornerai morto.»
«Non m’interessa, ho bisogno di vedere Demi.»
«Vuoi ragionare? Se fai come ti ho detto vedrai Demi per il resto della tua vita, se farai il contrario non la vedrai più perchè suo padre ti ammazzerà. Lui non ha pietà di nessuno.»
«Mh, d’accordo, affare fatto.» non riuscii a ragionare inizialmente, ma Emily aveva ragione.
Se volevo continuare a vedere Demi, dovevo solo fare in quel modo.
«Ah Justin, Demi mi ha dato questo per te, leggilo quando starai un po’ più calmo. Io ora devo andare, hai bisogno di qualcosa?» mi chiese.
«Dì a Demi che mi manca, tanto. E dille anche che ci tengo a lei più di qualsiasi altra cosa.»
«Lo farò.» mi sorrise dandomi il biglietto che diceva prima e andò via dalla stanza.
Appoggiai il bigliettino sotto il cuscino e iniziai a chiamare qualcuno.
Avevo un urgente bisogno di andare in bagno, molto probabilmente l’avrei fatta nel letto se qualcuno non si sarebbe accorto di me.
«Ha bisogno di aiuto?» una donna anziana bisbigliò sulla porta.
Aveva il camice bianco, doveva essere una di quelle infermiere che lavoravano da anni in quell’ospedale.
«Dovrei andare in bagno.» mi aiutò a sostenermi sulle sue spalle fino alla porta vicino.
Quando terminai di fare tutto ciò che dovevo, la donna mi aiutò a ritornare in camera e mi misi comodo sul letto per leggere il biglietto.
‘’Ciao, molto probabilmente ora starai a letto e ti annoierai e mi dispiace non essere lì a riempirti di abbracci. Sai, mi manchi terribilmente. Questi giorni passati senza di te sono stati infernali, tutto ciò che ti è successo, è stata colpa mia, ne sono consapevole, come sono consapevole che tu hai fatto tutto ciò solo per proteggermi. Ho pensato sempre a noi, a come mi sento io quando sono con te e quando invece non lo sono. Vuoi sapere una cosa? Credo di essermi innamorata di te e non riesco più a farne a meno. Ora come ora sei la mia ancora di salvezza e farò di tutto per proteggerti. Scusami se non sono con te ora, se vorresti baciarmi ma non puoi. Cerca di guarire al più presto, ho bisogno di te. Farò in modo che tutto vada a buon termine, sia per me che per te.
Ciao Justin, un bacio.
-tua.’’
 
..Mia.
Sì, lo era. Lo era sempre stata.
Riuscii a farmi piangere. Dove si è visto un ragazzo piangere per una ragazza? Beh, io lo feci e anche tanto.
Lei mi mancava quasi più dell’aria.
Credo di essermi innamorata di te.
Lei ci teneva a me allora, non era solo acida, anche se mi divertiva sempre.
Lei mi amava e non c’era cosa più bella, dopo di lei ovviamente.
Sapevo che era pericoloso ma poco m’importava.
Presi il cellulare che tenevo nascosto nel comodino accanto e le scrissi un messaggio.
‘’Lo so, è pericoloso, ora ti starai già agitando ma mantieniti calma. Volevo avvisarti che ho letto il tuo biglietto, anche se sembrava più una lettera. :)
Volevo farti sapere che tutte quelle volte che provavo a dirti qualcosa ma rimanevo sempre in silenzio era che..ti amo, non riesco a fare a meno di te.
Mi manchi tanto, spero finisca presto tutta questa storia, ho bisogno di rivederti.
Credo che riandrò a dormire tra poco, magari ti ritrovo nei sogni e NO, non sto facendo il dolce mieloso, sto dicendo ciò che sento.
Ciao Demi, baci.
-tuo.’’
Tasto invio, ecco fatto.
Riposi il cellulare nel comodino, il biglietto sotto il cuscino e mi rigirai svariate volte nel letto prima di prendere sonno.
 
Demi’s pov.
 
Stupida televisione noiosa.
Possibile che non trasmetteva ormai niente di bello? Che cavolo.
Fu il cellulare ad attirare la mia attenzione con l’arrivo di un messaggio.
..Era Justin.
Riuscii a leggere tutto il messaggio, anche se avevo la vista annebbiata dalle lacrime.
Quant’era dolce, amore.
-Tuo.-
Che parola bellissima e piena di significato.
Gliel’avevo scritto anch’io ma detta da lui faceva più effetto.
Sorrisi all’idea di Justin innamorato di me, del mio amore corrisposto e la certezza ormai c’era, lo amavo, sì.
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
 
 CIAAAAAAAAAAAAAAAO.
MI DISPIACE AVER TARDATO NEL PUBBLICARE, MI SCUSATE? SI. OuO
bene bene bene, ciao miei lettori.
Beh, chi ha confermato le proprie idee? come ben vedete era Greg, il padre. ouo
Che vi sembra del capitolo? vi soddisfa?
ditemi cosa ne pensate, io ora vado. ouo
vi amo. uu 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** capitolo quindici. ***


http://www.youtube.com/watch?v=k_ni3XCLuRs trailer della ff.
_____________________________________________________________________________________________________________
Passò qualche giorno dall’ultima volta che sentii Justin, mi mancava così tanto.
«Qualcosa non va?» mi chiese Emily.
«Sapere che Justin è a casa tua ed io non posso vederlo mi fa star male, ma sto resistendo.»
«Ce la farai, diamo tempo al tempo. Justin è al sicuro, stai tranquilla. Tu a proposito, hai notato qualcosa negli ultimi giorni? Quella poco al sicuro qui sei tu.» 
Ero in auto con Emily in quel momento, stavamo andando dalla polizia a sistemare la faccenda e cercare di mettere in trappola mio padre definitivamente.
«Va tutto bene, nulla di preoccupante.»
Arrivammo alla centrale e ci venne ad accogliere un uomo.
Era lo stesso della volta che andai io, lo ricordo perfettamente.
Quell’acido maledetto.
Non credeva minimamente a ciò che dicevo, fin quando non ho detto il nome e cognome.
Voleva a tutti i costi un albero genealogico per caso? Questi poliziotti d’oggi, sbruffoni.
«Demi dobbiamo entrare.» Emily blocco il mio litigio interiore.
Che poi con che cavolo me la prendevo? Mi capitava di parlare da sola a volte e per sbaglio esternavo le parole sembrando una pazza squilibrata ma son fatta così.
«Ancora voi eh? Cosa mi avete portato questa volta?» borbottò l’acido.
«Sbaglio o voleva delle prove? Tempo al tempo e le abbiamo trovate.» dissi sbattendo sulla sua scrivania la busta che conteneva il malloppo.
L’uomo alzò il sopracciglio in segno di sorpresa.
«Idiota.» sussurrai ma a quanto pare con tono abbastanza alto da farlo udire anche a lui.
«Ha per caso detto idiota a me?» riluttò lui.
«No, lo dicevo alla busta. Per sbaglio è cascata a terra. Ora la prego di fare il suo lavoro e arrestare quell’uomo, non abbiamo tempo da perdere e nemmeno lei.» 
Iniziai ad agitarmi notevolmente ed Emily se ne accorse, infatti, cercò di calmarmi imputandomi svariati colpi col braccio, ma il tentativo era alquanto vano.
«Chi le ha dato un’educazione del genere dovrebbe essere esiliato dalla società.»
Ma che uomo perspicace, davvero.
«Ma va? E secondo lei chi sto cercando di mettere in carcere? Il mio cagnolino? Ah, un attimo, non ho un cane. La prego di essere meno spiritoso e di finirla con questa discussione sciocca.»
Capì finalmente di mettere un punto a tutto ciò e si rimise seduto sulla sua lurida poltrona.
Aprì al busta e iniziò a guardare ripetute volte li stessi documenti, ancora e ancora.
Ma era per caso cieco? Dannazione.
«Quanto le occorre per connettere?» domandai.
«Connettere cosa?» chiese alzando il sopracciglio.
«La rete internet, sa ho voglia di guardarmi un film dal cellulare. Ma cavolo, ovvio che intendo i documenti. Quanto le occorre per darci una risposta? Siete tutti così idioti in questa centrale? Sì, sono abbastanza nervosa e stressata.» gli sbraitai contro.
«Mi dispiace, faremo del nostro meglio per catturare suo padre. Sa comunicarmi qualche informazione riguardo a dove si trova ora?»
«Sta facendo un affare a Parigi, i suoi soliti affari sporchi. Mia madre è con lui.»
«Inizieremo le ricerche da subito.»
Si spostò dalla scrivania e ripose i documenti nella busta per poi salutarci e uscire dalla stanza.
«Potevi essere più gentile con quell’uomo.»
«Nessuno è mai gentile con me, sta prendendo alla leggera la questione e doveva imparare la lezione.» feci cenno a Emily di andare via e uscimmo subito dopo dalla centrale.
Mi riaccompagnò a casa e la salutai, dicendole, come ogni volta, di portare i miei saluti a Justin e dirgli che mi mancava.
 
                                                                         ***
 
La giornata trascorse noiosa, decisi di andare nel tardo pomeriggio al parco, quel parco dove l’ultima volta ci stetti con Justin.
La grande quercia era circondata da tante piccole lucciole, una musica si udiva da lontano ma non riuscii a comprenderne la provenienza.
Era una melodia fantastica, trasmetteva tranquillità e leggerezza, quanta perfezione.
Mi mancava stare con Justin, guardare quegli occhi marroni e perdermici dentro, assaporare le sue labbra, incrociare le mie mani con le sue e accarezzare i suoi capelli.
Quando sarebbe finito tutto questo?
Senza accorgermene mi appisolai tra le grandi radici fin quando delle piccole gocce d’acqua traspirarono dai miei vestiti e capii che stava letteralmente piovendo.
Corsi a prendere l’auto e ritornamene a casa completamente fradicia.
«Signorina c’è questo pacco per lei.» Jenni interruppe la mia corsa mentre cercai di entrare in ascensore.
«Chi l’ha portato?» chiesi.
«Una donna, ha detto di dirle che era da parte di un ragazzo.»
Capii immediatamente che quella donna in realtà era Emily e il ragazzo misterioso, Justin.
Presi il pacco e risalii in ascensore.
Sembravo una lumaca che lasciava la scia ovunque andasse.
I vestiti non smettevano di gocciolare, così come i miei capelli raccolti in una coda disordinata.
Appoggiai il pacco sul tavolino e andai a prendere un asciugamano da mettere in testa, poi presi nuovamente il pacco e mi accomodai sul divano per scartarlo.
All’interno c’era un dvd con scritto ‘guardami’. Ma dai? Ovvio.
Presi il mio Mac e lo inserii, aspettando che elaborasse.
Si aprii unvideo e apparii Justin, ancora fasciato in fronte.
Povero cucciolo.
Sorrideva senza dire nulla, era come se ci stessimo guardando negli occhi in quel momento, poi, però iniziò a parlare e notai la sua voce rauca, stanca e calata.
«Come potrai ben notare questo è uno stupido video ma purtroppo non ho altro modo per parlare con te. Emily mi porta sempre i tuoi saluti e non sapevo come ricambiare, così ho preso una videocamera e ho registrato qualche minuto di questa monotona vita. Eccomi qua, da solo in questa inutile casa. Vorrei stare al tuo fianco in questo momento, stai passando questo periodo da sola e non immagini quanto sia dura per me sopravvivere in questo modo. Ti chiedo solo una cosa, stoppa il video e scendi nella Hall e chiedi a Jenni di darti ciò che Emily ha lasciato da parte mia, poi risali e rimetti play.» 
Iniziai a sorridere come un’idiota, era come se Justin fosse lì accanto a me in quel momento.
Scesi da Jenni e le chiesi ciò che mi serviva.
Uscì da dietro il bancone un enorme mazzo di rose bianche, le mie preferite.
Un gradevole profumo mi abbracciò, posando un sorriso a trentadue denti sulle mie labbra. Ringraziai Jenni e ritornai in camera per rimettere play.
«Sono sicuro che in questo momento tu stia sorridendo per le rose bianche. Ho indovinato, sono i tuoi fiori preferiti, vero? Immaginavo. Ora però ti chiedo un’altra cosa, chiudi gli occhi e ascolta questa canzone che metterò tra poco.»
Feci come mi aveva appena ordinato e subito dopo partii This, di Ed Sheeran.
 -This is start of something beautiful

This is start of something new

You are the one that make me loose it all

You are the start of something new.- 
Era inevitabile non piangere in quel momento.
Quella canzone mi colpii, raggiunse la mia anima e fuoriuscii con le lacrime.
Quelle lacrime sapevano di commozione, di amore, ricordavano Justin.
..avevo bisogno di abbracciarlo.
La canzone si stoppò di botto e lui riprese a parlare.
«Se ti conosco bene credo che ora tu stia piangendo. Piccola mia, fai lo stesso effetto a me. Ti auguro una buonanotte e mi raccomando, mantieniti forte. Io sono qui ad aspettarti e ora sto bene, sto guarendo man mano. Ricorda ciò che provo per te.»
Mi fece un ultimo sorriso e il video terminò.
Le lacrime continuavano a bagnarmi il viso ma io decisi di rivedere quel video per tutta la notte, era l’unico modo che avevo di stare accanto a lui.
Erano le due passate quando finalmente chiusi il computer e me ne andai a letto canticchiando la canzone.
 
                                                                         ***
 
Rimasi tutta la notte a pensare a quella canzone e le sue parole, infatti, la mattina dopo mi alzai a mezzogiorno inoltrato.
Sistemai il letto e andai a fare una bella doccia rigenerante, utile come al solito.
Uscendo mi avvolsi nel mio caldo accappatoio rosso quando sentii squillare il telefono.
Era la centrale di polizia.
«Pronto?»
«Suo padre ha scoperto tutto, le conviene stare attenta signorina, due dei nostri uomini sono morti.»
«C-cosa? Lui ha ucciso nuovamente? N-non..oddio, non ci credo.»
«Stia molto attenta, le dico solo questo.»
Agganciò subito dopo.
Oh mio Dio.
Non poteva accadere di nuovo, non poteva.
Mi vennero in mente solo Justin ed Emily.
Mi sbrigai a vestirmi e scesi nel parcheggio per prendere l’auto e correre immediatamente da loro.
 
«Emily apri questa dannata porta. Oh mio Dio Emily ti prego.»
«Demi, Dio santissimo, cosa succede? Perchè stai piangendo?» mi chiese mentre entrai immediatamente in casa.
«Dov’è Justin? Dove?»
«Stai calma, sta dormendo. Mi dici cosa c’è che non va?»
«Mio padre ha scoperto tutto, ha ucciso due uomini della polizia e sono sicura che sta venendo qui per vendicarsi. Emily, io..io ho paura. Per la prima volta nella mia vita io ho paura di mio padre.»
Emily rimase scioccata quando le confessai tutto, si sedette sul divano e iniziò a pensare a eventuali soluzioni mentre giocava con alcune ciocche di capelli.
Nel momento stesso si avvicinò Justin cercando di capire cosa stesse succedendo.
«Justin.» urlai andandogli incontro per abbracciarlo.
«Demi.» sobbalzò lui e mi accolse tra le sue braccia, unendo le nostre labbra in un legame magico.
«Mi sei mancata, tanto, tantissimo.» continuò lui accarezzandomi i capelli. «Ma perchè sei qui? Che cosa succede?» concluse.
«Mio padre, ha scoperto tutto, ha ucciso degli agenti di polizia e sono sicurissima che ora stia venendo qua per vendicarsi. Io ho paura Justin, non ti deve toccare nemmeno con un dito.»
«Tranqui» si bloccò immediatamente.
«Justin.» urlai.
...
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

YOOOOOOOO AMORI MIEI.
UN NUOVO CAPITOLO FRESCO PER VOI.
VOLEVO PUBBLICARLO PRIMA MA OGGI EFP HA DATO MOLTISSIMI PROBLEMI.
AVEVO PAURA DI PERDERE LA STORIA, MADO'.
E' SUCCESSO ANCHE A VOI?
VABBE', COMUNQUE, VI RINGRAZIO DELLE TANTISSIME LETTURE E RECENSIONI, SE SONO QUI E' SOLO GRAZIE A VOI, ALTRIMENTI CONTINUEREI A SCRIVERE PER ME, E INVEEEEEEEECE.
VABBE', SECONDO VOI CHE SUCCEDE? FATEMI SAPERE CON DELLE RECENSIONI. uu
INOLTRE, VORREI INFORMARVI CHE IO HO FATTO ANCHE IL TRAILER DELLA STORIA, VI POSTO IL LINK QUI SOTTO.
http://www.youtube.com/watch?v=k_ni3XCLuRs
FATEMI SAPERE SE VI PIACE.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** capitolo sedici. ***


_____________________________________________________________________________________________________________

Justin’s pov.
Persi un battito, successe tutto all’improvviso.
Eravamo lì a parlare con Emily, quando improvvisamente, la porta cadde a terra ed entrò Greg.
Aveva una pistola con sé, non riuscivo a credere ai miei occhi. Prese tra le braccia Demi e le puntò l’aggeggio alle tempie.
«Osate fare un passo e lei morirà.» sbraitò lui.
«Stai calmo, non faremo nulla. Ora però lascia Demi, okay?». Cercai di mantenere la calma. Lui sembrava furioso, anzi, lo era.
Aveva le fiamme negli occhi, metaforicamente parlando.
Feci cenno a Demi di rimanere tranquilla.
Di scatto lui ripose la pistola nella tasca posteriore dei pantaloni e scappò fuori portando Demi con sé.
«Justin.» la sentii urlare fuori la porta.
«Emily, chiama immediatamente la polizia, cazzo.»
Prese il telefono e fece ciò che le avevo detto, denunciando poi l’accaduto.
Una pattuglia arrivò fuori di casa qualche minuto dopo.
«Dov’è la ragazza?» chiese un poliziotto.
«L’ha portata con sé, non sappiamo nient’altro.» risposi.
Mi venne in mente un particolare.
Demi aveva ancora il cellulare in tasca quand’è uscita di casa e se la memoria non m’inganna, era possibile rintracciare il numero telefonico per vedere la posizione esatta di una persona.
«Aspettate un attimo, Demi ha con sé il cellulare, si potrebbe rintracciare il numero giusto?» chiesi.
«Me lo dia prima che diventi troppo tardi.»
Presi il mio cellulare e cercai in rubrica il suo nome. ECCOLA.
Dissi il numero al poliziotto, il quale iniziò a fare varie cose al computer che aveva preso qualche minuto prima dal sedile posteriore dell’auto, fino a vedere un piccolo segnale rosso illuminarsi di tanto in tanto.
Per fortuna si muoveva ancora, quindi Greg non si era accorto di nulla.
«Dove la sta portando?» chiesi.
«Nei paraggi c’è un casale abbandonato, ne sa qualcosa?»
Un casale abbandonato? No, non mi ricordava nulla. Non sapevo nemmeno della sua esistenza francamente.
«Purtroppo no ma ho un brutto presentimento agente, vi prego, raggiungiamoli.»
L’uomo notò la mia preoccupazione e capì  la gravità della situazione, così, senza esitare un attimo, ci fece salire a bordo della sua auto e iniziammo a seguire il segnale sul computer.
 
Demi’s pov.
Avevo un forte mal di testa, non ricordavo perfettamente nulla se non un pugno dritto nelle costole ed io accasciata a terra, dopodiché buio totale.
«Oh ti sei svegliata principessa.» sussurrò lui mentre continuava a tenere ad avere le mani sul volante.
«Dove mi stai portando?» riuscivo a stento a parlare, ero ancora scossa e tremante.
Ma che razza di padre avevo? Dannazione mi faceva male tutto il corpo.
«Voglio farti vedere il luogo, dove sono morti i tuoi genitori.» sorrise sarcasticamente per poi voltarsi verso di me e con un’inclinazione della testa disse «I tuoi veri genitori.»
COSA? Loro non erano la mia famiglia? Loro avevano ucciso i miei veri genitori? Oh, questo è solo un brutto incubo.
«Dimmi che stai solo scherzando, ti prego.» urlai.
«Mi dispiace principessa ma è così, rassegnati. I tuoi genitori erano proprietari del casale, dove ti sto portando, erano miei cari amici.»
«E perchè cazzo sono morti?»
«Non mi hanno ascoltato, volevano fare di testa loro e allora BAM.» urlò sull’ultima parola seguita poi da una risata.
Una risata riluttante.
«Tu mi fai schifo, sei un essere sgradevole.» urlai di botto.
«Tu invece no e te lo dimostrerò molto presto.»
OH MIO DIO, che schifo.
La paura prese il sopravvento su di me, ma non lo diedi a vedere, volevo rimanere forte davanti al suo sguardo.
Quell’uomo mi dava i brividi, non era disgustoso, di più.
«Ora ci divertiremo un po’ tu ed io.» si soffermò. «Dopodiché farai la stessa fine dei tuoi genitori.».
Quel sorriso sfacciato sulla sua faccia faceva venire la nausea.
Avrei vomitato volentieri sul suo viso di merda.
Arrivammo al casale, era qualcosa di orribile.
Era lurido, enorme, sembrava quasi infinito come posto.
Entrando notai il tetto malsano e tante goccioline d’acqua cadere dal soffitto, faceva così freddo all’interno.
Un brivido mi percosse la schiena.
Rimasi ferma sulla porta e cercai di guardare un po’ dappertutto per notare una via d’uscita, ma l’unica cosa che poteva aiutarmi era una piccola finestra difronte a me, talmente in alto che solo con il doppio della forza sarei riuscita a scappare.
Dannazione!
Notai che Greg non era nei paraggi, chissà in quale angolo si era rintanato per fare chissà cosa.
Iniziai a camminare lentamente verso quella finestra e mettere due scatoloni, che erano posizionati lì vicino, uno sopra l’altro.
«Non andrai da nessuna parte.» bisbigliò alle mie spalle facendomi sussultare.
Mi voltai immediatamente verso di lui e con nonchalance sferrai un calcio nei suoi paesi bassi.
Dalle sue labbra fuoriuscì solo un grugnito di dolore che lo fece poi piegare a metà per la sofferenza.
Gli buttai addosso la prima cosa che mi ritrovai davanti e iniziai a correre lontano da lui.
In lontananza vidi un’altra finestra, qui l’uscita sembrava più facile.
«Lurida puttanella da quattro soldi.» urlò lui.
Sentii i suoi passi avvicinarsi pian piano a me, ero quasi riuscita a uscire dalla finestra, mi mancava portare fuori solo le gambe, quando improvvisamente mi sentii tirare giù.
La finestra aveva ancora dei pezzi di vetro taglienti i quali mi procurarono delle ferite per tutta la pancia.
Iniziai a piangere a denti stretti per il dolore allucinante.
«Non farmi arrabbiare principessa.» mi sussurrò vicino i capelli.
«Lasciami andare.» urlai.
Appoggiò le sue luride mani sul mio volto per poi sferrarmi uno schiaffo.
Le lacrime continuarono a scendere, quell’uomo era orribile.
«Lasciami stare, mi stai facendo del male.». dissi con quel filo di voce, l’unico che mi era rimasto.
«E’ proprio ciò che voglio, mia piccola principessa.»
«Non chiamarmi in quel modo.» 
Mi sentivo uno schifo, gli sputai in faccia, cercando di allentare la presa ma non ci fu nulla da fare.
Mi sferrò un altro pugno nello stomaco, questo mi fece accasciare a terra, un corpo senza forze.
«Sei solo una puttanella che si mette contro quelli più grandi.» mi diede un calcio sulla schiena.
Non riuscii a reagire, ero completamente senza forze, ero vuota.
Buio, solo quello.
 
Justin’s pov.
«Il segnale portava qui, credo che questo sia il casale che cercavamo.» disse l’agente.
«Scendo a controllare io.» risposi.
«No, lei rimane qui, scendiamo noi a controllare. Questo è il nostro lavoro.» mi urlò contro.
Non se ne parla nemmeno.
«No, scendo io, il caso è chiuso.»
Riposi il computer sul sedile e scesi dall’auto.
Mi accertai che non c’era nessuno nei paraggi fin quando sentii dei passi.
«Eccolo, è lui.» urlai.
Greg si accorse di me e iniziò a correre ma sfortunatamente cadde a terra e riuscii a fermarlo, fin quando arrivò anche il resto degli agenti che lo presero e lo portarono nell’auto.
«Dove cazzo è Demi?» gli chiesi.
Iniziò a ridere.
Che cazzo rideva a fare?
«Dimmi dov’è.» urlai.
«Ed io che ne so.» s’inumidì le labbra.
Quel gesto mi mandò in furia.
«Sei solo un coglione, cosa le hai fatto?» 
Non riuscii a controllare la mia rabbia che gli sferrai un pugno nello stomaco e lui si piegò a metà dal dolore.
Ciò non bastò per farlo smettere di ridere.
Che uomo odioso, disgustoso, riluttante.
«Justin fermati ti prego.» Emily cercò di tenermi fermo. «Vai a cercare Demi piuttosto.»
Annuii dirigendomi verso l’entrata.
Mi guardai un po’ intorno ma di Demi nemmeno l’ombra.
«Demi, dove sei?» urlai senza ricevere risposta in cambio.
Riprovai un’altra volta ma nulla da fare.
Continuai a camminare cercando di trovarla.
..eccola.
I miei occhi si ricoprirono di lacrime, lei..
«D-Demi.»
Era distesa a terra, priva d’anima.
Aveva gli occhi chiusi, respirava appena, completamente coperta di sangue e pochi pezzi si vestiti addosso.
Mi accasciai difronte a lei cercando di risvegliarla.
Aprì pian piano gli occhi ma sapevo che lo faceva con fatica.
«Demi sono io, andrà tutto bene. Quel pezzo di merda è stato preso.»
Le appoggiai delicatamente una mano sulla guancia ma lei si scansò dal mio tocco.
No, no.
«Permettimi di aiutarti, ti scongiuro.»
Vederla così, inerme, mi faceva del male, tanto male.
Non riuscivo a sostenere tale visione, l’aveva trattata peggio di chissà cosa.
Nessuno tocca ciò che mi appartiene, nessuno.
Lei annuì debolmente, così la presi in braccio, facendo attenzione a non farle del male e uscimmo dal casale.
«Oddio è viva.» Emily corse urlando verso di noi.
Feci cenno a Emily di non toccarla e lei capì subito.
«Come stai piccola?» le chiese.
Demi non rispose, si rifugiò nel mio braccio senza dire nulla.
«E’ meglio portarla in ospedale.» dissi.
Emily annuì e ci fece strada verso l’auto.
 
Eravamo in ospedale ad attendere che qualcuno uscisse a dirci qualcosa, ma quell’attesa sembrava non terminare mai.
Demi si trovava in sala operatoria da un po’, i medici dissero che aveva perso molto sangue e aveva delle gravi contusioni alle costole, per non parlare dei piccoli pezzi di vetro nello stomaco.
Quell’uomo doveva morire in carcere.
«Si riprenderà.» Emily si avvicinò a me porgendomi un po’ di caffè che accettai subito.
«Sì, lo so, ma non è questo il punto.»
«Qual è allora?»
Sorseggiai un po’ di caffè.
«Ho paura che Demi abbia subito un abuso da parte di Greg. Quando l’ho vista, ho cercato di accarezzarla e lei, tremante, ha scansato il mio tocco. Inoltre, le condizioni dei suoi vestiti erano pessime.»
«L’ho notato anch’io questo. Era così fragile, così impaurita tra le tue braccia.»
«E sappiamo tutti che Demi non è così.»
«Soprattutto con te.» terminò.
Annuii sorseggiando un altro po’ di caffè.
Nel frattempo uscì un dottore che si diresse verso di noi.
«Voi siete i parenti della ragazza?» chiese.
«Sì.» rispose Emily.
Teoricamente nessuno di noi lo era ma Demi, in pratica, aveva solo noi.
«Siete a conoscenza di cos’ha dovuto subire la ragazza?»
Ecco, l’aveva notato anche lui.
«Cos’ha Demi?» chiesi.
«Vorrei precisare che non ha subito nessun abuso sessuale ma credo che quell’uomo ci abbia provato. La ragazza oltre ad aver avuto le costole rotte, i vetri che le hanno rovinato la pelle e, tant’altro, ha anche dei segni di strangolamento al collo, inoltre ha anche delle graffiature. Credo che sia meglio che faccia alcune sedute psicologiche. Da una cosa del genere non ci si riprendere in fretta.»
Da una parte mi sentii rassicurato, almeno quell’uomo non aveva abusato di lei, ma l’aveva senz’altro fatto in altri modi.
Doveva pagare, nei modi peggiori esistenti.
Rimanemmo in silenzio davanti alle parole del dottore, francamente non c’era molto da dire, oltre ad un bel vaffanculo diretto a chissà chi.
«P-posso vederla?» chiesi.
«Sì, è molto debole però, non la faccia affaticare molto.»
«Solo qualche minuto.»
Sia lui che Emily annuirono, così andai nella sua stanza.
Distesa sul letto, completamente rovinata dai segni rossi, quelle cicatrici mi fecero piangere.
Sembrava un angelo anche sotto quello stato.
Entrai lentamente per non farla svegliare e mi sedetti accanto a lei.
La guardai per un po’, in silenzio, volevo godermi la vittoria di averla ritrovata viva, di aver sbattuto quel farabutto in prigione.
Le accarezzai delicatamente i capelli, lei aprì leggermente gli occhi.
«Ciao.» disse leggermente.
«Ciao piccola.» risposi.
«Mi fa male tutto.»
Si notava la forza che metteva nel parlarmi, si notava la sua debolezza, la sua stanchezza.
«Quello stronzo è in prigione, abbiamo vinto.»
«Mi ha picchiata, tante volte.»
Delle lacrime le rigarono il viso, piangeva a singhiozzi, cercando di non procurarsi dell’altro male.
«Avrà quel che si merita, non m’importa più nulla di lui. Ora sei qui con me, finalmente. Guariremo insieme, pian piano.»
«Non ce la faccio più.»
Non poteva dire così, dov’era finita la Demi di prima? La Demi guerriera.
«E’ per questo che ci sono io con te. Ce la faremo insieme, non sei da sola.»
Mi accarezzò la guancia, mi mancavano le sue mani, il suo tocco.
Mi mancava lei.
«Ti amo.» sussurrò.
«Ed io amo te piccola.» gli sorrisi.
Ora come ora volevo solo farla sentire amata, protetta finalmente da qualcuno.
Basta bugie, basta battaglie, ricerche.
Finalmente era tutto finito.
«Resterai con me qualsiasi cosa succeda?» mi chiese subito dopo.
«Hai dubbi? Io sono qui, sempre.» le accarezzai la mano.
«Non più.» rispose.
«Molto bene. È arrivato il momento di riposare un po’, al tuo risveglio mi troverai qui, è una promessa.»
«Mi piacciono le promesse.» mi sorrise.
Erano i suoi sorrisi a darmi forza, era lei che mandava avanti le mie giornate.
Non c’era cosa più bella di questo.
«A dopo.» mi avvicinai per lasciarle un bacio sulla fronte, dopodiché uscii dalla stanza, assicurandomi prima che lei avesse preso sonno.
 
«Dorme?» mi domandò Emily.
«Sì. Sinceramente ne avrei bisogno anch’io ma le ho promesso che al suo risveglio mi troverà accanto a lei, quindi credo che mi riposerò un po’ qui.»
«Vai a casa Justin, ci sarò io al suo risveglio.»
«Le ho fatto una promessa ed io rispetto le promesse. Non ti preoccupare Emily, prenderò dell’altro caffè.»
Lei annuì ormai rassegnata e tornò a casa.
Io continuai a passeggiare un po’ per l’ospedale e sorseggiare di tanto in tanto il caffè per poi sedermi un po’ sulla sedia e appisolarmi.
________________________________________________________________________________________________________________________________________

ciao miei cari lettori. MI SCUSO PER L'ASSENZA.
stavo troppo male per i concerti dei oned, allora ho deciso di postare un po' in ritardo.
voi mi perdonate lo stesso, vero? suu dai.
anyway, che ne pensate del capitolo? è una rivelazione.
beh, ditemi tutto in una recensione, critica o positiva, accetto. http://www.youtube.com/watch?v=k_ni3XCLuRs trailer della ff.
bye byeeee.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** capitolo diciassette. ***


____________________________________________________________________________________________________________

Justin’s pov.
Io e Demi eravamo finalmente felici e liberi da ogni ostacolo.
Avevamo deciso di passare la giornata al parco a giocare e rincorrerci.
La giornata si prospettava meravigliosa. Il sole batteva, gli uccellini cinguettavano di tanto in tanto e si poteva udire il fruscio del vento, era la cosa
più piacevole al mondo.
Poco più distante da noi c’erano delle famiglie con i propri figli, chi aiutava la propria bambina a scivolare dallo scivolo e chi spingeva il proprio bambino sull’altalena.
«Justin vieni qui al fresco.» Seguii il consiglio di Demi e mi stesi affianco a lei sotto l’albero.
Eravamo in penombra, il sole non procurava molto fastidio.
 «Aspettavo da tanto un momento del genere.» disse lei accarezzandomi i capelli.
«Anch’io.» la guardai negli occhi.
Aveva quel tipo di sorriso fatto apposta per far sentir bene le persone, era la reincarnazione di una Dea.
Come potevo fare a meno di lei? Lei che mi aveva salvato.
«Justin io e te non possiamo stare insieme, io..io amo un altro.»
Cosa? Ma com’era possibile? Aveva appena detto che non aspettava altro che passare una giornata del genere, o si riferiva solo al relax?
«Non puoi farmi questo Demi.»
«Justin.» fece cenno con la testa e si alzò per andar via.
«Demi.» urlai, pregando che ritornasse da me.
«Demi, ti prego.» le lacrime iniziarono a rigarmi il volto, lei era scomparsa dalla mia vista, chissà dov’era andata.
«Justin? Justin ti prego, vieni.»
Com’era possibile sentire la sua voce senza vederla?
Oh, certo, era solo un incubo.
Aprii gli occhi e presi cognizione che mi ero addormentato per qualche ora, su una sedia scomodissima per altro.
«Justin.» sentii urlare nuovamente, questa volta sul serio.
Mi alzai e andai di corsa nella sua stanza, aprii la porta e la ritrovai rannicchiata nel suo letto mentre piangeva disperatamente.
«Demi, cosa succede?» cercai di allontanarle le mani dal volto e tenerle strette tra i miei palmi.
«Ho fatto un brutto sogno, Greg ti uccideva. Poi mi sono risvegliata e non ti ho trovato qui e ho avuto paura.» lei piangeva ancora, quell’incubo
la scosse abbastanza.
A quanto pare quella fu la giornata degli incubi, che coincidenza.
Il lato positivo fu che Greg era finalmente in prigione, lontano da tutti noi, quindi non c’era motivo di allarmarsi.
«Sono qui, non ti preoccupare.»
Feci in modo di non farle del male e l’abbracciai forte a me, volevo trasmetterle tutta la sicurezza possibile, aveva bisogno solo di quella in quel preciso istante.
«Scusami, non volevo spaventarti. Stavi dormendo? Lo noto dai tuoi occhi a mandorla.»
Quell’affermazione mi fece sorridere.
Non immaginavo che dopo una lunga dormita si assomigliasse a dei cinesi.
«Diciamo che tutti quei caffè non hanno fatto effetto e così son crollato.» ci scherzai un po’ su, volevo farla divertire in qualche modo.
Lei sorrise alla mia affermazione, ma si notava insicurezza nel suo sguardo.
Non sapevo se chiederle cosa la turbava o lasciar stare, ma a volte è meglio esternare ciò che si sente.
Serve a stare meglio.
«Qualcosa non va?» le chiesi.
«Come fai a capire sempre cos’ho?»
«Non lo so, è come se nei tuoi occhi io leggessi la verità.» 
In realtà era proprio così.
I suoi occhi mi parlavano, mi raccontavano tutto ciò che lei non esternava, ed io riuscivo a comprendere benissimo.
«I-io, io ho paura di ricominciare una nuova vita, ho paura di scoprire altre cose. Sai cosa mi ha detto Greg?»
Feci cenno di no con la testa e la incitai a continuare.
«Ha detto che lui non è il mio vero padre, i miei genitori sono morti e sai perchè? Perchè erano proprietari di un’azienda che non volevano cedere a
lui e Sheila.»
Rimasi senza parole, non pensavo sarebbe arrivato a tanto.
Quell’uomo era un essere spregevole.
Come si può uccidere dei genitori con una creatura così indifesa.
Mi chiedo quanti soldi abbia dato alla polizia per non finire in carcere in tutti questi anni.
Ma comunque, ora basta, bisognava mettere fine a questa storia.
«Non voglio più parlare di questa faccenda, da oggi in poi noi abbiamo messo una pietra sopra.» mimai con le mani ciò che intendevo. «Tu appena possibile uscirai da quest’ospedale e noi vivremo tranquilli e sereni. La favola di cenerentola conclude qui.»
Le feci un sorriso, sfiorandole poi i capelli con la mano.
Lei sospirò e senza dire nulla acconsentì.
«D’ora in poi mi occuperò solo di renderti felice.» le dissi.
«Mi rendi completa, questo basta.»
Sapeva essere dolce quando voleva e quello fu uno di quei momenti.
Vidi uno spiraglio di luce attraverso quel sorriso, quel sorriso che mi trasmetteva felicità.
Cos’era realmente la felicità?
Non è qualcosa di tattile, non si può annusare, non si può ascoltare.
Per molti la felicità era ascoltare semplicemente la musica, oppure vedere un bambino sorridere, oppure ancora, avere tanti soldi e fare ciò che
si vuole della propria vita.
Per me la felicità era un nome, il suo.
Io dovevo renderla felice, lei non aveva alcun bisogno di psicologo, sarei riuscito a farle dimenticare tutto nel giro di pochi giorni.
Questa fu la mia missione e allo stesso tempo la mia promessa.
«Credo che tra qualche giorno potrai scendere dall’ospedale ma sei incapace di muoverti, quindi resterai a casa mia finché non guarirai completamente.» le dissi.
«Ju-ustin ma..»
‘no, no’ feci cenno col dito.
«Bella mia, non era una domanda, bensì un’affermazione.»
«Va bene Justin, verrò a stare da te.»
«Così va molto meglio.» 
Mi sedetti per un po’ accanto a lei, tenni le sue mani strette tra le mie e continuammo a parlare ancora e ancora.
La lancetta dei minuti scorreva come l’acqua, il tempo insieme a lei sembrava infinito, era come se non passasse mai e invece passava troppo velocemente.
 
Era ormai diventato pomeriggio inoltrato, Demi riuscì a mangiare qualcosa, mentre io mi limitai a un succo di frutta.
I dottori di tanto in tanto venivano a visitarla e fare alcuni accertamenti, dissero che si sarebbe ripresa nel giro di una settimana.
Le ferite per fortuna non erano profonde, oltre a quelle causate dai vetri.
«Rimarrò rovinata da queste cicatrici a vita.» sentì Demi sussurrare nel momento in cui il dottore si allontanò dalla stanza.
«Cos’hai detto signorina?» mi avvicinai io cautamente, non si accorse che rimasi fermo sulla porta per tutto il tempo.
Lei cercò di ricomporsi e si asciugò qualche lacrima che l’era nuovamente uscita.
«Dicevo, non vedo l’ora di scendere da quest’ospedale.»
«Io amerò anche le tue cicatrici, anzi, quelle ancora di più.»
«Fatti abbracciare.» m’incitò ad avvicinarmi a lei.
L’abbracciai delicatamente, facendo attenzione ai vari fili attaccati alla sua pelle, raccapriccianti.
Mi avevano sempre dato ai nervi quei flebo e cose varie, ma purtroppo erano utili e servivano.
Lei affondò il suo volto tra le mie spalle e quel momento sembrò durare in eterno.
La sua pelle era così morbida e vellutata, i suoi capelli legate in uno chignon disordinato, era perfetta anche così.
Il vero motivo era che lei era il mio sinonimo di perfezione, in qualsiasi momento, in qualsiasi condizione, sarebbe continuato a esserlo.
«Vuoi mangiare qualcosa?» le chiesi.
«Voglio vedere un film con te, almeno passo la serata in modo diverso.»
Pensai a come accontentarla, mi venne qualche idea in mente.
«Vado a prendere qualcosa da casa, tu aspettami qui.»
Lei fece una smorfia davanti alla mia affermazione.
Che idiota, dove poteva mai andare?
La salutai e uscii dalla stanza, dirigendomi poi al parcheggio e prendere la mia auto.
 
Demi’s pov.
 
Justin fu molto carino con me, mi accontentava nelle minime cose ma non mi presi per niente gioco di lui, era solo un modo per tenerlo il più vicino possibile.
Passò qualche minuto da quando lui andò via, così decisi di mandare un messaggio a Emily.
 
-Ti ringrazio per averti preso cura di Justin, noto che sta decisamente bene. Ti ringrazio per la minima cosa, mi sei stata sempre vicina in quest’ultimo periodo, è 
come se fossi diventata la mia mamma. Ti voglio bene. x-

Cliccai il tasto ‘invia’ e il messaggio scomparve dallo schermo.
Dopo un po’ mi chiamò Hanna e risposi immediatamente.
«Tesoro come stai? Emily mi ha raccontato tutto.»
«Ciao Annie, sto molto meglio, grazie.» 
Annie era il denominativo che le avevo dato, lei lo amava.
«Mi fa piacere. Come procede con Justin? Si comporta bene oppure devo..» la interruppi subito.
«Annie, Justin è meraviglioso. Tutte le voci che giravano sul suo conto, baggianate.» quasi urlai. «Lui è il ragazzo più perfetto che ci sia.» terminai.
«Ne sei innamorata, vero? Lo sento da come ne parli e lo difendi.»
«Credo proprio di sì.»
La conversazione non si dilungò di molto, ci salutammo immediatamente e riattaccò il telefono.
Nello stesso momento entrò a visitarmi un dottore, mi controllò in caso avessi febbre e per fortuna fu negativo, controllò il flebo e tutto andava correttamente.
Quando il dottore andò via io, cercai di alzarmi lentamente.
Avevo voglia di vedere fuori dalla finestra quelle meravigliose luci della città.
Fu un’impresa alquanto difficile ma alla fine ci riuscii.
Cercai di aggrapparmi al paletto che teneva attivo il flebo e mi avvicinai pian piano al mio bersaglio.
Che città meravigliosa, le luci delle macchine sfrecciavano velocissime, sembravano tanti piccoli fili di rame che ondeggiavano nel nulla.
Di fronte all’ospedale c’era una miriade di palazzi, nella mia direzione notai una finestra aperta e dei vecchietti cenare a lume di candela.
Chissà, magari stavano festeggiando qualcosa, le loro nozze d’oro magari.
Erano così adorabili, si poteva notare il loro infinito amore da lontano km.
Lui prese la sua mano e le sussurrò qualcosa, la donna presa dall’imbarazzo, si voltò a guardare altrove e così l’uomo si alzò in piedi e andò a
stringerla tra le braccia.
Iniziarono a ballare lentamente seguendo il ritmo di una musica che non udii perfettamente.
Dannazione, ci si poteva innamorare solo a guardarli.
«Cosa guardi?» La voce di Justin mi fece ritornare sulla terra e sobbalzare.
«Cavolo, mi sono spaventata. Potrei morire per attacco cardiaco.»
Justin iniziò a ridere senza sosta, poggiò ciò che aveva portato da casa sul letto e si avvicinò lentamente a me.
Mi abbracciò delicatamente da dietro e appoggiò la sua testa sulla mia spalla.
Quel bellissimo senso di vuoto allo stomaco.
Era come se fossi salita in aereo e questo era sul punto di decollare.
Come se il cuore si distaccasse dal corpo per un attimo, per poi tornare velocemente alla sua posizione.
Era come se in inverno si passasse direttamente in primavera.
I suoi abbracci mi procuravano questo.
Amavo gli abbracci, li preferivo quasi ai baci, non so spiegarne il perchè.
Gli abbracci facevano capire realmente a una persona che non le importava di toccare le tue labbra per farti sentire amata, ma bastavano due
corpi uniti in un abbraccio, un unico battito del cuore, mille emozioni.
Mi voltai leggermente per riuscire a baciare appena Justin.
Le nostre labbra erano unite, infilai le mani tra i suoi capelli e li tirai leggermente.
Lui mise dolcemente la mano lungo la mia schiena, sapevo che non aveva intenzione di farmi del male.
I suoi tocchi erano dolci, quasi come la panna sul gelato.
«Non voglio che ti affatichi.» si allontanò leggermente dalle mie labbra, continuando a tenere unite le nostre fronti.
«Non lo farò. Mi mancava troppo questo bacio.» lo ripresi dalla nuca e lo riavvicinai a me, annullando del tutto la distanza tra i nostri corpi.
Amavo gli abbracci, sì, ma i suoi baci riuscivano a portarmi in paradiso.
_________________________________________________________________________________________________________________________
 
♬♬
and oh, im alive, im alive, im alive.
and oh, im loving every second, minute, hour, bigger, better, stronger, power.

ciao amori miei, questo è un altro capitolo.
ma va? AHAHAH, anyway, mi fa piacere che siate in tanti a leggere.
mi dispiace delle attese..in questo periodo sono molto ma molto impegnata.
beh, che ve ne paaaaaare? ditemi subito con delle recensioni.
vi lascio anche il trailer della storia.
basta cliccare su trailer.
ora vi lascio, bye bye.♡♡♡

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** capitolo diciotto. ***


trailer della storia.
_____________________________________________________________________________________________________________

Passò qualche settimana da quando uscii finalmente dall’ospedale.
La vita ricominciò a trascorrere normalmente, anche Sheila finì in carcere al fianco di Greg, non poteva essere più perfetto di così.
Io ripresi a lavorare con Lucia e Justin ogni giorno, solito orario, veniva a prendermi dopo il lavoro.
«Lù, il mio lavoro è terminato. Io esco con Justin, ci vediamo domani.»
La salutai e uscii dal negozio.
Era peggio di un orologio svizzero, le venti di sera precise e lui era lì ad aspettarmi.
Lo guardai da lontano prima di avvicinarmi, era appoggiato allo sportello e attendeva solo il mio arrivo.
Era lì che guardava altrove, chissà cosa fissava, di tanto in tanto guardava l’orologio e attendeva ancora, poi, però si voltò e mi vide, che momento magico l’incontro tra due sguardi.
Mi sentii come se mi mancasse l’aria, qualcosa che non si può spiegare a parole, si vive e basta.
Sorrise e si avvicinò lentamente a me, appoggiandomi dolcemente la mano sulla guancia e lasciandomi delicati baci vicino le labbra.
«Vogliamo andare?» mi disse.
Annuii raggiante e ci dirigemmo insieme verso l’auto.
Abbandonai la borsa nei sedili posteriori e mi sedetti avanti.
«Allora.» pronunciammo entrambi.
Lo convinsi a farlo parlare per primo e così fu.
«Voglio farti conoscere una persona molto importante per me, stiamo andando proprio lì in questo momento.»
Il sorriso che aveva sulle labbra in quel momento, era diverso, non gliel’avevo mai visto.
Significava davvero tanto quella persona per lui, a questo punto.
«Va bene.» ricambiai il suo sorriso.
Per tutto il tragitto cercai di riposarmi un po’, rilassandomi sulle note di una piacevole canzone di Bruno Mars.
Appena sentii la macchina sfrecciare sull’asfalto, mi svegliai di botto.
Notai Justin impaurito che teneva ancora le mani ferme sul volante.
«Scusami piccola, non volevo spaventarti. Ma un’auto ci ha tagliato la strada e per poco non finiamo fuori corsia. Grazie a Dio siamo vivi.»
Mi accarezzò una ciocca di capelli per tranquillizzarmi.
«L’importante è che stiamo bene entrambi. Siamo arrivati?» chiesi.
Non sapevo esattamente che luogo fosse quello, mi ritrovai davanti una struttura enorme, non c’ero mai stata.
Ricordai qualcosa che Justin mi disse riguardo a sua madre e sul fatto che si trovava in una clinica psichiatrica, allora collegai le due cose.
«Mi hai portata a conoscere tua madre, non è vero?» chiesi.
«Capisci ogni cosa tu, impressionante. Comunque sì, mia madre è ricoverata qui, al sesto piano.»
Justin parcheggiò l’auto nella parte sotterranea della clinica, appositamente usata per i parcheggi e ci addentrammo per cercare un ascensore libero, in modo da arrivare il più presto possibile al sesto piano.
«Questi ascensori sono abbastanza moderni per essere di una clinica psichiatrica.» mi guardai un po’ attorno, notando che erano davvero bellissimi. Completamente rossi e pieni di specchi.
«Da quando le cliniche private si privano degli ascensori moderni?» sorrise lui.
«Boh, riflettevo. Quindi, correggimi se sbaglio, il mantenimento di tua madre in questa clinica lo paghi tu?»
«Esattamente. È una delle migliori e per mia madre voglio il meglio, o almeno, ci provo.»
Amavo il lato protettivo di Justin, era tenero.
Annuii sorridendo, non c’era da fare altro.
Questo poteva fargli solo onore, dopo tutto quello che era successo al padre, a lui e sua madre, cercare di proteggere e aiutare sua madre era una gesto alquanto amorevole.
L’ascensore si bloccò al numero sei che lampeggiava su una linea difronte a noi e le due porte si aprirono.
Justin mi prese per mano e mi aiutò a uscire.  Iniziammo a camminare verso il reparto per chiedere il permesso di vederla, ma non trovammo nessuno.
Aspettammo qualche minuto prima che una donna ci venisse incontro.
«E voi siete?» ci chiese con nonchalance, abbassandosi gli occhiali sul naso.
«Sono il figlio di Valery Bieber, la signora ricoverata qui l’anno scorso. Ricorda?»
La donna rimase un po’ a riflettere e poi ci fece cenno di seguirla.
Oltrepassò due corridoi, fino ad arrivare davanti una stanza con la porta arancione.
«Ogni caso ha un colore diverso.» ci fece notare la donna.
«Perchè l’arancione?» chiesi.
«Questo è un caso meno grave. La donna parla con figure che non esistono realmente, è innocua rispetto a tante altre.»
Estrasse un mazzo di chiavi dalla sua giacca e prese la chiave arancione, anche quella colorata, ovviamente.
La porta si aprì e si notò Valery, vicino la finestra, che parlava a bassa voce con un certo Lucas.
«Chi è Lucas?» chiese Justin alla donna.
«Parla da un po’ con quest’ipotetico Lucas. Lei sostiene che è stato il suo amore più grande, ma viste le sue condizioni, non possiamo avere delle certezze.»
«Capisco. Possiamo entrare?» 
«Certo, vi lascio soli. Mi raccomando le visite durano solo un quarto d’ora.»
«Basta e avanza. Grazie mille.» rispose Justin.
La donna si allontanò da noi, chiudendo la porta alle nostre spalle.
Valery si voltò appena sentì il rumore della porta e il suo sguardo si soffermò su Justin.
«Lucas?» lei bisbigliò.
«No, sono io mamma. Sono Justin.»
Lui si avvicinò leggermente a lei, ma lei non diede nessuna risposta.
«Mamma ti ricordi di me?»
Lui si chinò verso il suo volto, lei lo accarezzò delicatamente e delle lacrime le rigarono il viso.
«Io mi ricordo di mio figlio.»
Rimasi in un angolo a guardare la scena e non feci altro che piangere.
Che sensibilità che avevo acquistato negli ultimi tempi, mamma mia.
Era come se la dolcezza, la tenerezza, la tristezza e chi più ne ha e più ne metta, si fossero riunite in quella stanza.
I due si abbracciarono in un caloroso abbraccio e rimasero così per qualche secondo.
Justin si rialzò da terra e venne verso di me, mi prese la mano e mi avvicinò a sua madre.
«Mamma, lei è Demi, la mia ragazza.»
Il suo volto sprizzava gioia da tutti i pori, Valery sorrideva come non mai.
Si vedeva che era contenta di rivedere il proprio figlio, tra l’altro felice anch’esso.
La donna mi porse la sua mano, la quale presi tra le mie, e mi fece avvicinare a sé.
«Come ti tratta mio figlio?» mi chiese.
Guardai Justin in un primo momento e lui sorrise maliziosamente.
«E’ molto dolce con me, mi tratta benissimo.»
La donna annuì contenta.
«Sono felice di sentire queste parole, mi fa davvero piacere. Da quanto tempo state insieme voi due?»
«Sono quasi quattro mesi.» Justin mi precedette.
Mi voltai verso di lui sorridendo, non pensavo lo ricordasse, o tanto meno tenesse il conto dei giorni.
Gli feci un occhiolino consenziente.
Un punto a favore per Bieber.
«Un bel po’ di tempo. Sapete cosa si dice? Che passati i quattro mesi di relazione, sia amore vero. Io spero che voi abbiate un lungo cammino da trascorrere insieme.»
Le parole di Valery mi fecero commuovere.
Cos’aveva di così grave quella donna da rimanere chiusa in quella clinica?
Oltre che parlare con un essere immaginario era perfettamente lucida mentalmente.
Soffriva di tanto in tanto, è vero, le mancava avere le persone accanto, ogni tanto non ricordava le cose, ma poi? Poi nulla.
Justin aveva bisogno di sua madre accanto, così come Valery aveva bisogno di Justin.
«Tua madre può uscire dalla clinica?» chiesi sottovoce.
«Solo se un dottore ci da il consenso.»
Mh, perfetto direi.
Bastava farla visitare da un buon medico e accettarsi che tutto andava nel senso giusto.
Restammo a parlare fino allo scadere del tempo, Valery mi confidò tante cose su Justin, il quale non rimase molto contento. Alcune riguardavano la sua infanzia e momenti imbarazzanti, era comunque alquanto divertente.
La dottoressa subito dopo ci invitò a uscire dalla stanza e salutare Valery.
 
«Secondo me dovremmo provare a portare via tua madre da quel posto.»
Eravamo in auto già da un po’ e Justin teneva fisso lo sguardo sulla strada.
«Non me lo permetteranno mai. Me l’hanno già portata via una volta, lo rifarebbero di nuovo.»
Si notava la sofferenza nel suo tono di voce.
«Beh, prima non c’ero io.» Mi guardai le unghie, alzando poi lo sguardo su di lui con senso di superiorità.
Lui iniziò a ridere.
Era così bello, stupendo, perfetto.
«E quello era il momento più brutto della mia vita.» sospirò.
«Quale?»
«Quello dove non c’eri tu.» sorrise voltandosi verso di me.
«Oh ma come sei tenero.» gli diedi un pizzicotto sulla guancia che lo fece sorridere.
La notte era ormai scesa, il cielo perfettamente stellato e nessun filo di vento.
Sembrava essere una serata così perfetta.
Arrivammo davanti casa di Justin, il che mi lasciò in sovrappensiero per un po’.
«Perchè non mi hai riaccompagnata a casa?» chiesi.
Effettivamente era una domanda retorica, di cui immaginavo vagamente la risposta.
«Io v-volevo passare la notte insieme a te.»
«Oh.» riuscii a emettere solo un monosillabo, nient’altro.
Né io, né Justin continuammo il discorso.
Decisi di rompere il ghiaccio per prima.
«Inizia a fare freddo qui, mi piacerebbe entrare in casa con te.» gli accarezzai la mano dolcemente e lui annuì.
Scese dall’auto e venne ad aprirmi lo sportello, aiutandomi poi a uscire.
Mi fece strada, come se non la conoscessi già, ma fu una cosa strana.
Era come se fosse la prima volta in quella casa, il nostro primo appuntamento.
Subito dopo entrati, appoggiò le chiavi sul mobiletto all’entrata e si tolse la giacca.
Io feci lo stesso e cercai di avvicinarmi a lui.
«Ho perennemente bisogno di te.» mi disse lui accarezzandomi i capelli.
«La cosa è reciproca.» sorrisi al suo bel faccino.
Appoggiò la fronte sulla mia e mi tenne stretta a sé dai fianchi, annullando del tutto la distanza tra di noi.
Mi prese in braccio e a mo’ di ‘sposa’ mi portò su per le scale, fino ad arrivare in camera sua.
Mi fece sedere delicatamente sul bordo del letto e lui s’inginocchiò a terra tra le mie gambe.
«Te l’ho già detto che ti amo?» mi sussurrò.
«Sì, ma puoi ripeterlo quante volte vuoi.» gli sorrisi.
«Bene, ti amo.»
Si allungò verso di me e mise una mano tra i miei capelli, avvicinandomi del tutto alle sue labbra inumidite.
Mi baciò lentamente, e per lentamente intendo l-e-n-t-a-m-e-n-t-e, ciò equivale a ormoni a palla, emozioni a palla, cuore ormai partito per cavoli suoi, insomma il concetto è quello.
«Sii mia.» sussurrò tenendo premute le sue labbra ancora sulle mie.
_________________________________________________________________________________________________________________________

ciaaaao, allora, vorrei precisare una cosa.
MI DISPIACE per il capitolo estremamente corto rispetto a quelli precedenti.
tutta colpa della scuola, ho davvero pochissimo tempo per scrivere e rielaborare tutto, oggi per fortuna ho trovato un po' di spazio da dedicare alla mia ff, per fortuna.
beh, è un capitolo un po' diverso questo.
che ne dite? lasciatemi le vostre recensioni come al solito.
vorrei ringraziare i lettori silenziosi, i lettori che recensiscono e quelli che hanno messo la mia storia tra le preferite\seguite.
DAVVERO, GRAZIE.
ora vado a ripetere italiano, lol. cc
bye. xx

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** capitolo diciannove. ***


tralier della storia.
_____________________________________________________________________________________________________________
«Sii mia.» quelle parole m’ingarbugliarono l’anima.
«In un certo senso lo sono già.» gli sorrisi annuendo.
«Allora posso permettermi di fare questo.» mi lasciò un lieve bacio sul collo. «E questo.» me ne diede un altro vicino le labbra e così via.
Eravamo entrambi distesi sul letto, a coprirci solo un sottile lenzuolo bianco e i nostri corpi combaciavano alla perfezione.
Il respiro pesante di Justin rimbombava nella stanza, mentre i miei gemiti facevano da sottofondo.
Mi aggrappai completamente alle sue spalle, era in un certo senso il mio sostegno, mentre lui continuava dolcemente a penetrare dentro di me.
Si fermò un attimo e mi guardò negli occhi, quegli occhi pieni d’amore e passione.
«Va tutto bene.» gli accarezzai dolcemente il viso.
Era vero, andava tutto bene.
Mi sentivo amata, protetta e molto di più.
Era lui a trasmettermi tutta questa sicurezza, erano i suoi occhi, i suoi baci che mi scuotevano l’anima, la sua risata che riusciva a far felice anche un piccolo bambino triste.
Lui annuì, comprendendo perfettamente il mio stato e continuò a baciarmi lentamente per un’ultima volta, fino ad abbandonare del tutto il mio corpo e lasciarmi con quel senso di vuoto terribile.
Si distese accanto a me, appoggiando la sua testa sul mio petto e incominciai a giocare volentieri con i suoi capelli.
«Posso confessarti una cosa?» gli chiesi.
«Qualsiasi cosa.»
«Sei stato la mia prima volta, il mio primo amore. Se vogliamo essere completi.»
Lui si voltò a guardarmi negli occhi e così rimanemmo per un attimo.
«Se tu non me l’avessi detto, io l’avrei capito ugualmente. Però son contento che tu abbia voluto essere sincera con me.»
«Oh, è vero, che imbranata. Non sono brava in queste cose.»
«Non ho bisogno di una brava, ma di te, molto semplicemente.» mi sorrise e poi tornò alla posizione precedente.
Ci fu silenzio per un po’, solo carezze e carezze.
«Sai» cominciò. «E’ come se anche tu fossi stata la mia prima volta. Nessuna delle ragazze precedenti era come te, nessuna mi ha accettato per quello che ero. Tu invece..tu l’hai fatto. E se sono quello che sono oggi è solo grazie a te. Conta molto per me la tua vicinanza.»
Mi tenne stretta a sé, il suo corpo caldo e il cuore che gli batteva a mille.
«Ti amo così tanto.» lo guardai negli occhi.
Lo amavo, ormai c’erano solo certezze.
Avevo così tanta voglia d’innamorarmi, che aspettare tutto quel tempo solo per incontrare Justin, ne era valsa davvero la pena.
Rimanemmo a parlare tutta la notte del più e del meno ma a un certo punto crollammo entrambi.
                                                                 ***
 
«Sveglia, sveglia, è gia mattina..» Justin iniziò a canticchiare questa canzone, ma della voglia di alzarmi non c’era nemmeno l’ombra.
«Avanti dormigliona, sono quasi le dieci.» continuò a disturbarmi, cercando di scuotermi a più non posso.
«Hmm.» Peggio di un grugnito dinosaurese.
Forse era davvero arrivata l’ora di aprire quei maledetti occhi e alzarsi da quel letto comodissimo, il quale, la sera prima, era stato protagonista di un film non adatto ai minori.
«Va bene, sono sveglia. Ora smetti di parlare, ti prego.» iniziai a ridere.
Quella canzone era snervante, riusciva a rendermi nervosa.
Justin annuì e si alzò dal letto.
«Vado a farmi una doccia.»
Mi girò le spalle e iniziai a ridere silenziosamente.
Decisi così di alzarmi e mettere un po’ in ordine la camera.
Io odiavo il disordine, e quella camera poteva sicuramente vincere il premio della più disordinata.
Mi rimisi così i jeans della sera prima e presi una maglietta di Justin.
Amavo le maglie maschili, erano così larghe e comode, soprattutto le sue.
«Ti piace quella maglia?» mi sorprese Justin alle spalle.
«Oh, esattamente.» ammiccai alla vista del suo petto bagnato.
Era così perfetto, dannazione.
Lui sorrise e cercò di asciugarsi, continuando a cercare qualche indumento da mettere.
«Comunque.» finsi una tosse per ricevere la sua attenzione.
«Sì?» si voltò lui verso di me.
«C-credo che tu debba mettere un po’ di crema alla schiena. I-insomma, per far alleviare il rossore.»
«Che succede? Ti vergogni?» iniziò a ridere come un cretino. «Ho già messo tutto, me ne sono accorto anch’io dei graffi, piccola.» ammiccò con un occhiolino.
«Oh..» abbassai la testa dalla vergogna.
Sì, in realtà mi vergognavo.
Ero stata sempre una timida e riservata per determinate cose, non pensavo di poter arrivare anche a questo.
Si venne a sedere accanto a me, sulla punta del letto e iniziò a fissarmi.
«Cos’hai da guardare?» gli chiesi.
«Non posso?» ci scherzò un po’ su.
«No, no.» scossi la testa ridendo.
«Allora la prossima volta metti un bigliettino con scritto ‘non guardatemi.’» iniziò a ridere.
Feci cenno a Justin di aspettarmi e andai in soggiorno, presi il primo foglietto che mi capitò davanti e ci scrissi sopra.
Rientrai in punta di piedi in stanza e mi avvicinai a lui, tenendo il foglio nascosto dietro la schiena.
«Detto, fatto.» gli presentai davanti la scritta e lui rise a crepapelle.
La sua risata coinvolse anche me e cominciammo a ridere entrambi.
Avevo il classico vizio di finire ogni risata con le lacrime, manco fosse morto qualcuno.
 
«Hai impegni oggi?» mi chiese Justin mentre mi accompagnava a lavoro.
«Dopo il lavoro forse mi vedo con Hanna, credo che andremo a mangiare qualcosa. Vuoi unirti?»
«Classica uscita tra donne, non voglio immischiarmi. Hai decisamente bisogno di uscire con la tua amica, noi ci vediamo domani magari.» mi sorrise.
Sembrava serio mentre sosteneva ciò, il che mi apparve alquanto strano.
Di solito i propri fidanzati sono talmente legati alle proprie ragazze, tanto da non farle uscire con le amiche.
Justin invece capì tutto, capì che avevo bisogno di rivedere Hanna, di uscire un po’ con lei e mi lasciò i miei spazi.
Un fidanzato modello, così si usa dire.
Arrivammo davanti al negozio e Justin mi salutò col classico bacio.
Scesi dall’auto e feci cenno con la mano che poteva andare e gli mandai un bacio.
«Buongiorno rubacuori.» mi salutò Lù.
«Buongiorno a te.» le sorrisi.
Quella mattina Lucia aveva un’aria diversa, era raggiante.
«Nei tuoi occhi vedo una luce diversa.» cominciò lei.
«Potrei sostenere lo stesso di te. Hai incontrato finalmente il grande amore?»
«In questo periodo mi sono sentita con un bel po’ di ragazzi.» ‘Ah, wow.’ Pensai. «Però ho deciso di stare da sola e sono felice così.» terminò.
«Tutto chiaro. Beh, riguardo a me non è successo niente. Con Justin sono molto felice e ora mi metto subito a lavorare.»
Lucia notò sicuramente la mia vergogna, quindi non continuò a farmi domande.
Mi misi subito a lavoro, controllai l’agenda e notai due appuntamenti prefissati nei giorni precedenti.
Come degli orologi svizzeri i clienti arrivarono all’orario prefissato, mi affidarono i loro cani e uscii fuori per una passeggiata.
 
Anche quella giornata finì presto, Hanna mi venne a prendere dal lavoro e uscimmo insieme a delle altre amiche a bere qualcosa.
La serata trascorse così, tra risate e compagnia.
Verso mezzanotte le amiche di Hanna erano già andate via, io e lei, invece, eravamo ancora in giro a passeggiare e confidarci.
«E’ stato un momento magico.» conclusi.
«Con la persona giusta è sempre qualcosa di magico.»
«Credo che sia ora di tornare a casa. Mi è venuto un po’ di mal di testa e vorrei mettermi a letto.»
Hanna annuì e mi riaccompagnò immediatamente.
Appena arrivai la salutai e mi precipitai in casa, presi una pastiglia per alleviare il dolore e mi misi a letto.
Nello stesso momento mi arrivò un messaggio.
 
Da: Justin
Buonanotte piccola. xx

A: Justin
Sono appena arrivata a casa e mi fa parecchio male la testa. :(
La serata è trascorsa a meraviglia, mi sono divertita tantissimo.
Spero sia stato lo stesso anche per te.
Ora vado, buonanotte.
Sognami. xx

Da: Justin
Io sono stato con qualche amico a giocare alla play, nulla di che.
Ho pensato a te.
Ti sognerò. x
A domani.
 
Lessi l’ultimo messaggio e poi riposi il cellulare sul comodino, mi voltai nel letto e caddi tra le braccia di Morfeo.
 
                                                                ***
 
Finalmente il week-end arrivò e potevo concedermi una piccola pausa.
Feci colazione e poi presi l’auto per andare a casa di Justin.
Bussai alla porta e aspettai che qualcuno venisse ad aprirmi.
«Arrivo subito.» sentii urlare. «Oh, piccola sei tu. Avanti, entra.» Justin m’invitò a seguirlo nel salotto e mi sedetti sul divano.
«Ti ho portato una brioche, pensavo ti fosse venuta fame.» gli sorrisi porgendogliela.
«Sei un amore.» iniziò a mangiare pezzo per pezzo la brioche e si sedette accanto a me.
«Allora, cosa vuoi fare oggi?» mi chiese.
«Avevo in mente qualcosa ma è irrealizzabile.»
Si fermò a mangiare l’ultimo boccone e m’incitò a sputare il rospo.
«Partiamo, facciamoci una vacanza. Voglio andare via da questo posto. Vanno bene anche tre giorni, quanto vuoi tu.»
«Dove vuoi andare?» mi chiese alquanto interessato.
«Londra, ne sono pazzamente innamorata.»
«Prepara le valigie, prenderemo il primo volo possibile.»
Sembrava piuttosto sincero, io rimasi titubante non sapendo se accettare o rifiutare la sua decisione.
«Piccola, dico davvero.» disse notando la mia insicurezza.
«M-ma costano troppo i biglietti.»
«Posso permettermelo e posso regalarti qualsiasi cosa. Vuoi vedere Londra? Andremo a Londra.»
Okay, era serio, serissimo.
Andò in camera sua e ritorno in salotto con una valigia.
Iniziai a sorridere come un’ebete.
Sapeva solo rendermi felice, ne era capace.
«Devo solo riempirla. Un passo avanti è stato prenderla.»
«Va bene, vado a fare la mia valigia.»
Mi fece cenno con la testa e tornai a casa, facendo ogni cosa che mi era stata chiesta.
L’ultima volta che presi quella valigia fu quando andai a trovare i miei ‘genitori’ in Siberia.
Un viaggio lunghissimo e stancante, rimasta lì solo due luridi giorni.
Richiusi finalmente la valigia e ritornai da Justin.
«Sono pronta.» mi presentai davanti a casa sua.
Jeans, camicia e la grande sciarpa che accompagnava le mie giornate.
Adoravo vestirmi con quel tipo di outfit, mi sentivo davvero me stessa.
Justin uscì di casa con la valigia che mi aveva mostrato in precedenza e ci dirigemmo verso l’auto.
Mise tutto nel cofano e andammo dritti in aeroporto.
 
«Sei felice?» mi chiese tenendomi la mano mentre decollavamo.
«Felicissima. Grazie per avermi permesso questo viaggio, è un sogno.» lo abbracciai, o almeno, cercai.
Passò la Hostess per controllare che tutti avessero le cinture di sicurezza e fossero tranquilli e poi ritornò alla sua postazione.
Appoggiai la testa sulla spalla di Justin e guardai fuori al finestrino.
C’era un panorama stupendo, si poteva notare il confine dell’America e sembrava una piccola macchia di terra dall’alto.
L’oceano era perfetto, c’erano tante sfumature d’azzurro.
Sembrava un paesaggio artistico, un quadro.
Ecco, sembrava un quadro.
Ci mettemmo qualche ora ad arrivare e io nel frattempo mi addormentai sulla spalla di Justin.
 
«Ragazzi? Siamo arrivati. Siete pregati di scendere o rischiate di ripartire nuovamente per l’America.»
L’Hostess ci svegliò.
A quanto pare eravamo crollati entrambi.
Scendemmo dall’aereo mano nella mano.
Mio Dio che vista meravigliosa.
È proprio vero, Londra ti fa innamorare, non devi per forza andare a Parigi.
«Beh?» mi chiede Justin.
«Sono senza parole. Un sogno realizzato, i-io, oh mio dio.»
Ero elettrizzata, emozionata, eccitata, qualsiasi cosa.
Sognavo di visitare Londra fin da piccola e ora, grazie a Justin, mi trovavo finalmente lì.
Prendemmo le nostre valigie e chiamammo un taxi per dirigerci al nostro Hotel.
Passammo da vicino al Big Ben, il London eye, fino ad arrivare a destinazione.
Ringraziammo il signore e Justin diede una mancia.
Varcammo la porta dell’Hotel, rimasi esterrefatta, era tutto così perfetto.
Sembrava un castello settecentesco, così lussuoso.
Chissà quant’aveva speso Justin per una semplice camera.
Ci avvicinammo alla reception e la signorina discusse con Justin, fino a darle le nostre chiavi.
«Ho preso la suite, volevo il meglio per te.» mi disse mentre entravamo in ascensore.
«T-tu c-cosa? Ma sei pazzo? Ma quanto diamine hai speso per tutto ciò?»
«Non ti deve importare niente, te l’ho già detto, posso permettermelo.»
L’ascensore si bloccò all’ottavo piano e si aprì.
Uscimmo lentamente, dirigendoci all’unica porta presente su quel piano.
Quanto diavolo doveva essere grande la suite?
Justin prese la chiave e aprì la porta, rimasi a bocca aperta appena mi fece strada per entrare.
Era perfetta, arredata divinamente.
Sembrava la stanza di una principessa d’epoca, mobili in tema rosa e marrone, letto a baldacchino e poltrone anch’esse rosa salmone.
«Ti piace?» mi chiese.
«Sai già cosa penso. Ti basta guardare i miei occhi, non è vero?» gli sorrisi.
«Allora ami già questa camera.»
Lasciai cadere la valigia a terra e abbracciai forte Justin.
«Grazie mille di tutto questo, grazie davvero.»
Quasi mi vennero le lacrime agli occhi, ma ci tenevo davvero a ringraziarlo.
Portò solo bene nella mia vita, solo felicità.
Iniziammo a sistemare i vestiti negli armadi e andammo a riposare un po’ a letto.
Il fuso orario diede solo frastuono alle menti e il riposo era l’unica soluzione.
_________________________________________________________________________________________________________________________
OUTFIT\SUITE E TRAILER HANNO DEI COLLEGAMENTI, SE APRITE VEDETE LE IMMAGINI. 

CIAAAO AMORI MIEI.
MI DISPIACE PER L'ATTESA MA SONO STATA INCASINATA CON LA SCUOLA, MI DISPIACE DAVVERO TANTO.
BEH, IN QUESTO CAPITOLO VEDIAMO TAAANTE COSE.
E, COME MI HANNO SCRITTO IN MOLTE IN POSTA, SI, SUCCEDE QUALCOSA TRA I DUE.
VI HO ACCONTENTATE EHEH. OuO
BEH, DITEMI COSA PENSATE E RECENSITE, GRAZIE GRAZIE.
baci. xx

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** capitolo venti. ***


trailer della storia.
_____________________________________________________________________________________________________________

Dormimmo per quasi l’intero giorno. Al nostro risveglio Justin chiamò per farci avere la colazione in camera, e mentre io mi rilassavo un altro po’, lui andò a farsi una doccia.
La colazione prevedeva dei croissant con cioccolata bianca e del tè alla pesca, qualche fetta biscottata con la marmellata e della nocciola confezionata.
Ottimo direi.
Mancava qualche giorno al Natale oramai e Londra in quel periodo era spettacolare.
Eppure Agosto sembrava essere iniziato qualche giorno fa. Come passa veloce il tempo a volte.
 «A cosa pensi?» m’interruppe Justin.
«Tra qualche giorno è Natale e non riesco a capacitarmi di ciò. Insomma, sembra solo ieri che ci siamo incontrati. Tutti questi mesi sono passati in un batter d’occhio.»
«Io pensavo fossimo ancora ad Agosto.» ci scherzò un po’ su.
«Mh, okay.» iniziammo a ridere entrambi.
«Comunque» iniziò lui «Che ne dici se dopo la colazione ce ne andassimo un po’ girovagando per Londra?»
«Direi che è un’ottima idea. Voglio comprare qualcosa.»
«Guarda un po’, lo immaginavo già.» sorrise lui.
Finimmo di mangiare le ultime cose e ci sistemammo per uscire.
L’Hotel era strapieno di turisti che arrivavano da tutto il mondo.
Mi stupii nel vedere gente addirittura italiana o giapponese, per esempio.
Salutammo alla reception e uscimmo fuori.
«Prendiamo un taxi?» chiesi.
«Oh no, no signorina. Oggi andremo a piedi.» mi sorrise.
«E se mi stanco?»
«Vorrà dire che ti prenderò in braccio, ma tu sai già che non lo farò davvero.»
Gli feci una smorfia e lui iniziò a ridere.
Incrociò la sua mano con la mia e c’iniziammo a incamminare.
Non faceva freddo, di più.
Fu un bene portare l’intero guardaroba invernale, menomale che avevo con me la solita giacca pesante.
Justin indossava un cappellino di cotone rosso, era adorabile.
Passammo a vedere il Big Ben e Justin sfoggiò la sua meravigliosa Canon.
Iniziò a fare qualche scatto e poi la rivolse verso di noi.
«Fai una faccia buffa.» disse in tono ironico.
Lo presi sul serio e i vari scatti immortalarono i vari momenti.
Fece qualche foto ai nostri volti e come sfondo c’era l’immensità del Big Ben illuminato, favoloso.
«Ti piacciono?» mi mostrò la schermata digitale e le foto in modalità riproduzione.
Iniziai a ridere come un’ebete, le amavo e non perchè c’eravamo solo io e Justin, ma perchè erano delle foto naturali e si vedevano i nostri veri sorrisi.
«Sono bellissime Justin. Ne faremo altre oggi?»
«Certo piccola, ho intenzione di tornare in Hotel con la memoria piena.» mi sorrise.
Oh, adorabile.
L’aria Londinese era bellissima.
Le strade erano perennemente affollate e se non facevi attenzione, rischiavi di finire sotto a un bus, ma tralasciamo.
C’erano parecchi quartieri addobbati con gli oggetti natalizi, altri invece alquanto spogli.
Con Justin girovagammo un po’ per poi arrivare al London eye.
Non si può andare a Londra e non salire sulla London eye, è un obbligo.
«Cosa c’è, hai paura dell’altezza?» Justin mi osservò mentre riflettevo davanti alla grandezza stratosferica di quella ruota panoramica.
«No, affatto. Ho solo un po’ di mal di pancia, ora passa.» risposi sinceramente.
Tutta quella strada percorsa a piedi aveva solo aggravato la situazione.
«Probabilmente ti ha fatto male qualcosa che hai mangiato a colazione.» si avvicinò Justin e mi fece sedere su un muretto lì vicino.
«Probabilmente hai ragione.»
Mi massaggiai leggermente la pancia, cercando invano di risolvere qualcosa e il dolore si alleviò leggermente.
Non volevo far rimanere Justin ancora lì impalato per colpa mia e così gli dissi che mi sentivo meglio.
Lui cercò di convincermi a non salire e di tornare in Hotel ma io, testarda, negai.
«E se ti sentirai male?» mi chiese un’ultima volta.
«Sto benissimo, saliamo.» gli sorrisi entusiasta e un uomo ci aiutò a entrare nella nostra cabina.
La vista da lassù era strabiliante.
Nella nostra stessa cabina c’erano all’incirca altre venti persone, chi si cimentava nella foto, chi rimaneva spiaccicato davanti al vetro per guardare ogni minima cosa e chi, invece, piangeva per l’altezza.
Si poteva vedere l’intera città, il Big Ben, il Buckingham Palace, il Tamigi ricco di piccole barchette, il Tower Bridge, il Palazzo di Westminster, tutto, qualsiasi cosa sembrava piccolissima.
Era come fare un giro turistico dell’intera Londra in soli trenta minuti.
Il giro panoramico durò all’incirca quei minuti, di tanto in tanto si fermava a mezz’aria per permettere a tutti di salire e riempire le cabine, anche ai signori più anziani.
Era bellissima, e pensare che la costruzione dell’Occhio di Londra durò sette lunghi anni.
«E’ bellissimo, non è vero?» Justin bloccò i miei pensieri.
«A dir poco. Guarda lì, c’è un gruppo di persone lì sotto che scatta foto verso la ruota.» indicai con un dito in modo che Justin riuscisse a vedere meglio.
«Oh sì, l’ho visto. Beh, saranno turisti anche loro. A proposito, ti senti meglio?» mi chiese sfiorandomi la guancia con la mano.
«Benissimo.» mi avvicinai ad abbracciarlo e insieme continuammo a guardare fuori.
L’atmosfera tra di noi era ormai perfetta, avevamo legato tantissimo e stare con Justin era sinonimo di felicità.
Il giro panoramico purtroppo terminò e noi fummo obbligati a uscire dalla cabina per permettere ad altre persone di entrarci.
«Che ne dici di andare al Regent’s Park?» mi chiese.
Annuii e lo seguii sicura.
Arrivammo difronte a degli immensi prati costellati da fontane e giardini; sul lago principale c’era la possibilità di muoversi in barca e inoltre c’erano anche diversi campi, dove poter giocare a tennis, cricket o anche rugby.
Dal lato ovest del parco si poteva vedere anche la London Central Islamic Centre & Mosque.
«Proporrei di fare un giro in barca ma non credo che ne venga fuori qualcosa di bello, fa parecchio freddo.» disse.
«Quoto.» gli feci il segno ‘peace’.
«Oh, ferma così.» mi obbligò Justin.
Sfoggiò nuovamente la sua Canon e si cimentò in qualche scatto, per un attimo divenni la sua modella.
Iniziò a esserci qualche filo di vento e lui volle immortalare i miei capelli ‘volanti’, come diceva lui.
«Può bastare.» sorrisi a causa dell’imbarazzo.
«Sì, mi da fastidio il fatto che tutti qui ti stiano osservando.»
«Probabilmente perchè ti sei atteggiato come un fotografo nel bel mezzo di un set fotografico.»
«Probabilmente.» sorridemmo entrambi.
«Andiamo allo zoo?» chiesi euforica.
Come se fossi una bambina da portare in giro per le attrazioni più belle.
«Mi dispiace dirti che lo zoo di Londra è chiuso proprio in questo periodo.»
Accidenti, altri periodi no eh.
«Oh, e ora che facciamo?» chiesi fingendo una faccia cucciolosa.
Sapevo bene che quella smorfia era il punto debole di Justin e mi piaceva usarla a mio favore.
«Andiamo a mangiare.» urlò ma allo stesso tempo si tappò la bocca immediatamente quando notò che tutti si voltarono a guardarlo sottocchio.
Effettivamente l’ora di pranzo era alquanto vicina, erano quasi le due e il mio stomaco supplicava di ricevere cibo.
Annuii all’idea brillante di Justin e questa volta cercammo un taxi per andare in un ristorante.
«Dove vi porto?» ci chiese il taxista.
«Tower 42, 25 Old Broad St, London EC2N 1HQ.» rispose Justin.
«Perfetto.»
«Che luogo sarebbe?» chiesi.
«Un ristorante, appena arriveremo, vedrai con i tuoi occhi.»
«Va bene Justin, va bene.»
 
«Santi lumi, questo lo chiami ristorante? Potrebbe costarci una fortuna mangiare qui.» rimasi a bocca aperta non appena varcammo la porta d’entrata.
«Pago io e lo sai, ormai mi conoscono qua, sono un cliente fisso ogni volta che vengo a Londra.»
«Sì, okay.»
Entrammo e tutto sembrò meraviglioso, in realtà lo era veramente.
Una donna alquanto cordiale ci venne incontro e ci fece accomodare al nostro tavolo.
«Non hai nemmeno bisogno di prenotare?» chiesi sorpresa.
A quanto pare la donna sapeva già del nostro arrivo e aveva sistemato un tavolo per noi due.
«No, ho mandato un messaggio a un mio amico che ha avvisato e prenotato questo tavolo.»
«E questo tuo amico sarebbe?» lo incitai a dirmi il nome.
«E’ lo chef di questo ristorante.» mi sorrise.
Oh, ora divenne tutto più limpido.
Giusto, chi è che non ha un amico chef? Io, e chi altrimenti? Sempre io.
«Volete ordinare?» una ragazza si avvicinò a noi e osservò per una miriade di secondi Justin.
«Quali sono i piatti tipici di questo ristorante?» le chiesi cercando di farle smettere di fissare Justin.
«In questo ristorante non abbiamo piatti tipici, ognuno è tipico a modo suo. Sta a lei la scelta.» mi rispose in modo sfacciato.
«Lei cosa desidera?» si voltò dolcemente verso Justin.
«La solita bistecca con contorno di patatine e insalata, non dimentichi la salsa all’yogurt, porti lo stesso piatto per la mia ragazza.» sorrise lui.
La ragazza annotò tutto e si allontanò da noi.
Sbuffai e appoggiai il mio volto tra lei mie mani, mantenendomi con i gomiti sul tavolo.
«Avanti, che succede?» mi chiese Justin sorridendo.
«Ogni ragazza cerca di attaccare bottone con te, non l’hai notato? Accade spudoratamente davanti i miei occhi.» sbuffai un’altra volta.
«E allora? A me non importa io non ricambio.»
«Ma ci provano spudoratamente.»
«Che facciano quel che vogliono, io sto con te.»
«Mh.» gli sorrisi e alleggerii il mio nervoso.
«Dai su, ora mangiamo e poi nel pomeriggio vediamo cosa fare.»
«Andiamo al cinema? Ho visto che c’è Beautiful Creatures, deve essere bello.»
«Certo, perchè no? Ci andremo.» mi sorrise.
Le nostre ordinazioni arrivarono qualche minuto dopo e iniziammo a mangiare.
 
Il cinema era colmo di gente, a quanto pare ebbero tutti la nostra stessa idea.
«Credo che morirò di claustrofobia.»
«Justin, siamo appena entrati in sala e stiamo per sederci, smetti di fare il melodrammatico.»
Lui annuii sorridendo, capii sicuramente la mia battuta.
Il film fu preceduto da qualche minuto di pubblicità, poi le luci iniziarono a calare e il film incominciò.
Di tanto in tanto Justin mangiava qualche manciata di pop-corn.
Cos’aveva al posto dello stomaco quel ragazzo? Un pozzo senza fondo sicuramente.
Io continuai a sorseggiare la mia coca-cola, attendendo il ’fine primo tempo’ per poter andare in bagno tranquillamente.
A quanto pare il mal di pancia persisteva ancora e il cibo mangiato al ristorante aumentò il dolore.
«Vado un attimo in bagno, non mi sto sentendo molto bene.»
«Vengo anch’io.» appoggiò il pacco di pop-corn a terra e si alzò insieme a me.
 
«Va tutto bene lì dentro?» Justin era fuori la porta del bagno ad aspettarmi.
«Che cosa risponderesti tu dopo aver smesso di vomitare?»
«Che non va molto bene. Avanti esci, ce ne torniamo in Hotel.»
«Credo di aver preso un virus.» mi diedi una ripulita e uscii fuori.
«Prova a prendere una pastiglia per calmare il dolore e domani mattina andremo a fare una visita, okay?» mi prese sottobraccio e uscimmo dalla sala.
Annuii.
 
«Buonasera signore» la donna della reception fece cenno a Justin. «Signora.» si rivolse a me.
«Buonasera Lucy, potrebbe darci la nostra chiave?» chiese Justin.
«Certamente. Qualcosa non va Signora?»
«Ho solo un po’ di mal di pancia Lucy, nulla di preoccupante.»
Salutammo la donna e ci recammo nella nostra stanza.
Non sentii mai il bisogno di stendermi come in quel momento.
Justin si venne a sedere accanto a me e massaggiò delicatamente la pancia.
«Hai bisogno di qualcosa?» mi chiese.
«No, altrimenti vomiterei un’altra volta. Credo che riposerò un po’.»
«Sicura? Sono solo le otto di sera.»
«Sicura, sono parecchio stanca.»
Mi diede un bacio sulla fronte e si alzò per andare in bagno.
«Justin?» lo chiamai.
«Sì?» si bloccò a mezza strada.
«Ti stendi accanto a me appena esci dal bagno?»
«Certo piccola, aspettami, non ci metto molto.» mi sorrise.
 
Justin’s pov.
Uscii dal bagno ma la trovai già tra le braccia di Morfeo.
Mantenni ugualmente la promessa e andai accanto a lei, l’abbracciai e presi magicamente sonno anch’io.
_____________________________________________________________________________________________________________

CIAAAAAAAAAAAAO AMORI, ANCORA UNA VOLTA HO TARDATO A POSTARE.
SCUSATEMI MA SONO STATA DAVVERO IMPEGNATA.
BEH, UN ALTRO CAPITOLO EH? E LE VISUALIZZAZIONI LIEVITANO MAGICAMENTE.
VI RINGRAZIO PER LE TANTE RECENSIONI, VERAMENTE.
RINGRAZIO LE 64 PERSONE CHE HANNO MESSO TRA LE SEGUITE LA MIA STORIA.
RINGRAZIO LE LETTRICI SILENZIOSE E QUELLE CHE RECENSISCONO.
RINGRAZIO TUTTE :)
DITEMI COSA PENSATE DI QUESTO CAPITOLO EH, CI CONTO.
xx

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** capitolo ventuno. ***


trailer della ff.
_____________________________________________________________________________________________________________
Mi svegliai molto presto quella mattina, saranno state le sette all’incirca.
Justin dormiva ancora ed io rimasi per qualche minuto a guardarlo.
Era perfetto, non si poteva ribattere parola.
Aveva i lineamenti di un dio greco, gli occhi socchiusi facevano notare ancor di più le sue ciglia che facevano ombra sulle guance, le labbra carnose e inumidite, il suo naso perfetto, amavo ogni minima cosa di lui.
Era perfetto nelle sue imperfezioni.
«Buongiorno piccola.» si svegliò strofinandosi gli occhi.
Molto probabilmente aveva quel senso di vergogna o più semplicemente si sentiva osservato, ecco, la seconda era la risposta più probabile.
«Buongiorno a te.» mi chinai per dargli un bacio sulle labbra.
«Come ti senti stamattina?» mi sfiorò la guancia per togliermi una ciocca fuoriuscita dalla coda.
«Mi sento un pochino meglio ma sono un po’ dolorante ancora.»
«Vuoi fare colazione?» mi chiese alzandosi dal letto.
«Non ne ho voglia, falla tu. Io vado a prendere una boccata d’aria al balcone.» gli sorrisi e mi alzai anch’io dal letto.
Andai ad aprire la finestra della nostra camera e uscii fuori al balcone.
Londra a prima mattina era nuovamente affascinante.
Dei piccoli uccellini si posarono sulle piante del balcone adiacente al nostro e una piccola bambina uscì a buttare delle briciole di pane.
Guardai leggermente in basso e un senso di vuoto iniziò a opprimermi, a causa delle vertigini sicuramente.
M’iniziò a girare la testa e cercai di allontanarmi il più possibile dal balcone.
«Justin non mi sento bene.» urlai in cerca di aiuto.
Mi accasciai improvvisamente a terra continuando a essere cosciente e vidi Justin correre preoccupato verso di me.
Mi prese in braccio e mi appoggiò sul letto accarezzandomi i capelli.
«Dobbiamo immediatamente andare da un medico.» disse.
«Non c’è bisogno, mi è solo mancata un po’ l’aria.» cercai di tranquillizzarlo.
«Ma se eri affacciata al balcone. Più aria di quella?»
Si poteva perfettamente notare la sua preoccupazione e paura.
Qualche centimetro in più e potevo rischiare qualcosa di peggiore, magari il balcone non reggeva e chissà dove potevo essere ora, o non essere.
«Ho la fobia dei dottori.» misi il muso sofferente.
Non volevo andare in ospedale, avevo sempre avuto paura di quelle organizzazioni.
«Non m’interessa e non cercare di farmi la faccia cucciolosa, noi oggi andremo in ospedale. Alzati e sistemi, vado a farmi una doccia anch’io.»
«Uffa.» mi alzai sbuffando dal letto e mi recai in bagno per darmi una ripulita e cercare perlomeno di rendermi presentabile.
 
Il taxi si bloccò dinanzi al St Thomas’ Hospital, uno dei migliori ospedali di Londra.
Il taxista venne ad aprirci lo sportello e scendemmo entrambi, Justin gli diede una mancia e lui ringraziò andando via.
Varcammo la porta d’entrata e ci recammo alla reception.
«Scusi, la mia ragazza non si sente bene.» disse alla donna, la quale con nonchalance continuava a parlare al telefono e fregarsene di noi.
«Le sto dicendo che la mia ragazza non si sente bene, cazzo.» batté il pugno sul bancone e la donna, finalmente, ci degnò della sua attenzione.
«Non vede che ero al telefono?» sostenne lei.
«Questo è un ospedale e qui si curano i pazienti, non si chiamano le amiche per spettegolare.»
La donna notò l’irritazione di Justin e rimase in silenzio per un po’.
«Di cos’ha bisogno?»
«Di un dottore, la mia ragazza non sta bene. quante volte devo ripeterlo?»
«Vada nella sala d’attesa, avviso immediatamente.»
«Faccia il suo dovere.»
Arrivammo nella sala e ci accomodammo sugli unici posti rimasti liberi.
Come struttura ospedaliera non era male, era tutta azzurra e bianca e profumava, mi toccava ammetterlo, ma profumava di lavanda, di fresco.
«Non credi di esser stato un po’ duro con quella donna?» appoggiai una mano sulla gamba di Justin.
«Per niente.» si voltò a guardarmi.
Mi persi nei suoi occhi, era ancora preoccupato, lo notavo benissimo.
«Justin, sto bene, non iniziare a preoccuparti inutilmente.» cercai di tranquillizzarlo.
«E’ lei che non sta bene?» un dottore interruppe la nostra conversazione.
«Sì, sono io.»
«Mi segua.» fece cenno di seguirlo.
Justin si alzò di pari passo a me e il dottore lo fermò. «Lei rimanga qui, mi dispiace ma la paziente deve stare sola.»
 
«Da quanto tempo ha questi dolori alla pancia?» mi chiese.
«Da qualche giorno.»
«Non riguarda l’alimentazione, quindi, a come posso notare dalle sue ghiandole ingrossate, lei ha l’appendicite.»
«Ah..io credevo di stare bene per quanto riguarda l’appendicite.»
«Venga domani a fare una visita più accurata. Come ultima cosa mi segua e faremo un semplice prelievo del sangue.»
Annuii e andai insieme a lui nella sala accanto, mi legò una fascia di silicone nella parte superiore del braccio e infilò delicatamente l’ago sterilizzato nella mia pelle.
«Può andare.» mi sorrise e mi riaccompagnò fuori.
«Allora?» Justin mi venne incontro ansioso più che mai.
«Torniamo in Hotel, ti racconterò tutto lì.»
 
«Cosa cazzo significa che hai l’appendicite? Oh Dio santissimo.» Justin era su di giri.
«Justin, ti calmi? Non è assolutamente nulla, dovrò farmi una semplice operazione e tutto passerà.»
«E se ti accadrà qualcosa? Se l’operazione andrà male?»
«Hai mai pensato di recitare in una tragedia? Cavolo, calmati. Andrà tutto bene, okay?» mi avvicinai a lui e lo abbracciai.
Ricambiò l’abbraccio e mi strinse forte a sé.
«Mi preoccupo per te..» mi sussurrò.
«Ehi» mi distolsi dall’abbraccio e presi il suo volto tra le mani. «Tranquillizzati che andrà tutto bene, guardami, sto benissimo.» gli sorrisi e lui fece lo stesso con me.
«Va bene, la smetto immediatamente.» mi diede un bacio delicato.
Subito dopo andai a farmi una doccia rilassante e mi lasciai tutti i pensieri all’esterno.
Ripensai un po’ a ciò che mi aveva detto il dottore.
Come diamine potevo avere l’appendicite se mi ero già operata all’età di sei anni?
Tutto ciò era alquanto strano.
Chiusi il rubinetto e uscii fuori avvolgendomi nell’accappatoio rosso.
Mi asciugai leggermente i capelli e mi rivestii.
Justin era steso nel bel mezzo del letto e non si accorse della mia uscita, così mi avvicinai lentamente al letto e salii a gattoni su di lui.
«Ciao.» gli sorrisi ammiccando.
«Ciao bellissima, ci conosciamo?» sorrise lui ricambiando lo scherzo.
«Credo di no ma potremmo iniziare ora.»
«Incominciamo a far conoscere le nostre labbra, che ne dici?» si avvicinò spudoratamente al mio viso.
Iniziai a sentire il suo respiro accelerato.
«Provaci.» gli sorrisi.
Eliminò la distanza tra i nostri corpi ponendomi sotto al suo e iniziò a baciarmi delicatamente l’incavo del collo.
Le nostre labbra entrarono in contatto e combaciarono alla perfezione.
Il ritmo divenne più focoso e la situazione più carnale.
Inevitabile oramai l’amore che si creò.
Potei sentire il suo cuore battere al ritmo del mio, manco fosse un ballo ritmatico.
I suoi occhi erano persi nei miei, i nostri corpi si muovevano in sintonia e i nostri respiri riempivano l’aria circostante.
«Mi chiamo Justin e desidero essere il tuo ragazzo, piacere di conoscerti.» si bloccò a guardarmi.
Sorrisi. «Mi chiamo Demi e accetto la tua proposta ma ti prego, fammi sentire tua ancora qualche minuto.»
«Mhh.» riprese la sua opera d’arte.
I suoi baci erano il cioccolato caldo d’inverno, riuscivano a portare calore dove il freddo persisteva.
Lui mi faceva sentire completa, mi faceva sentire viva.
 
Siamo come tante canne al vento. 
E il Destino ci piega a suo volere.
 
I nostri corpi erano avvinghiati sotto le coperte calde di quel letto.
«Mh, sta suonando un cellulare.» mi strofinai gli occhi dopo una leggera dormita.
«Dannazione è il mio. Scusami piccola, vado immediatamente a rispondere.»
Justin si alzò dal letto e prese il cellulare posto sul comodino e rispose alla chiamata.
«Sì? Sì, sono io Justin.» disse.
Vidi l’espressione di Justin cambiare notevolmente e il suo viso impallidirsi.
«Capisco.» continuò a fare cenno di sì. «Certo, solo un errore, ovvio.» posò lo sguardo su di me. «Arrivederci.» chiuse la chiamata e il telefono cadde per terra.
«Justin ti senti bene?» chiesi preoccupata.
«T-tu..» vidi il suo corpo accasciarsi di colpo a terra.
Mi coprii immediatamente e andai vicino a lui.
«Santi lumi Justin.» cercai di svegliarlo ma ogni tentativo fu inutile.
«Justin? E che cavolo, svegliati.» aprì finalmente gli occhi.
«Non mi sono sentito bene.» mi disse lui mentre cercò di rialzarsi e rimettersi a letto.
Lo seguii e mi sedetti sulla punta.
«Mi dici che è successo? Chi era al telefono?»
«Era l’ospedale.»
«E quindi? Parlami Justin.»
«Tu sei stata già operata all’appendicite? Dimmi la verità Demi.»
«Sì Justin, all’età di sei anni.»
«Oh cazzo.» si rialzò nuovamente dal letto e si mise le mani tra i capelli, era disperato ma non ne capivo il motivo.
Sembrava un cretino che vagava per la stanza con addosso solo dei boxer.
Abbassai lo sguardo sulle mie ginocchia e iniziai a giocherellare con i pantaloni del pigiama in attesa di un suo ritorno sulla terra.
«Perchè non me l’hai detto? Avevi paura che ti abbandonassi?» si chinò vicino alle mie gambe e mi prese le mani.
Lì per lì non capii e iniziai a vagare col pensiero.
«Ma cosa?»
«Che sei incinta.» iniziò lui a sorridere.
«In effetti io..» mi bloccai prendendo cognizione delle sue parole. «Aspetta, aspetta, cosa sono io?» mi alzai di scatto dal letto.
«I-incinta.»
«Oddio.»
«Demi calmati.» Justin cercò di raggiungermi dall’altra parte della camera.
«Oddio.»
«Demi respira.»
«Aspettiamo un bambino, cioè lo aspetto io.» respirai. «Oh santi lumi, non può essere, è ancora presto, oddio.»
«Demi hai vent’anni.»
Per lui a vent’anni ci si poteva addirittura sposare? Cavolo, un bambino era troppo, era troppo presto, era..forse ero io a non essere pronta.
«Justin non me la sento di avere questo bambino. Non sei pronto nemmeno tu, non era in programma dannazione. Stava andando tutto liscio come l’acqua e ora? Un bambino. No Justin, non voglio perderti.»
«Voglio questo bambino.»
«No Jus..» lo guardai. «Tu c-cosa?»
«Voglio questo bambino e voglio te, voglio qualsiasi cosa.»
«Ohhw.» iniziai a piangere come una fontana o addirittura peggio.
Corsi incontro a lui e caddi tra le sue calorose braccia, nulla meglio di questo.
Lui veniva prima di tutto.
..ora c’era anche il bambino, ovvio.
«Ti prometto che non ti abbandonerò, te lo giuro.»
«Mi fido di te.» gli sorrisi.
_________________________________________________________________________________________________________________________

♫♫
As long as you love me, we could be starving,
We could be homeless, we could be broke.
 
 
inoltre volevo dire che su twitter ho cambiato nick, ora sono @nextrauhl

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** capitolo ventidue. ***




_____________________________________________________________________________________________________________
-otto mesi dopo.-
 
«Tesoro, che ne dici di questa tutina? Alla nascita della bambina continuerà a fare caldo. Nascerà a Settembre, giusto?» si avvicinò a me Emily.
«Oh, è dolcissima. Sì, credo che sia opportuno prendere qualche tutina a maniche corte.»
Girovagai un po’ per il negozio in cerca di qualcos’altro.
Justin non era più al mio fianco ormai da qualche settimana.
Il lavoro questa volta l’aveva portato lontano, a Tokyo.
La città era stupenda, a parer suo, ma a me mancava da morire.
Ormai erano passati otto mesi, la gravidanza trascorreva magnificamente e il pancione cresceva giorno per giorno.
Ricordo ancora l’ecografia dove scoprimmo che avremo avuto una bambina.
Justin sembrava essere il ragazzo più sorridente sulla faccia della terra, ed io, beh io non facevo altro che piangere.
 
-flashback.-
«Una bambina, non sei contenta?» mi chiese Justin tenendomi la mano.
Mi ritrovai in un piccolo lago di lacrime, la mia felicità non riuscivo a esternarla a parole.
È proprio vero, nel periodo della gravidanza la sensibilità di una donna arriva alle stelle.
«Sì, sono felicissima. Vedere quel piccolo corpo nel computer è stato emozionante.» mi voltai verso di lui.
«Immagina quando la vedremo di persona.» gli occhi di Justin divennero lucidi, capii che anche lui era emozionato e non c’era visione migliore.
                                                                                                                            ***
«Demi, ti senti bene?» Emily mi fece ritornare con i piedi per terra.
«Ripensavo a un po’ di cose, tutto qui.» le sorrisi.
«Beh, cose belle spero.»
«Sicuramente.»
Ci avvicinammo alla casa per pagare i nostri acquisti e uscimmo dal negozio.
Rimasi tutta la mattinata con Emily e il suo nuovo compagno, George.
Era un uomo simpatico e rispettoso, trattava Emily come una regina e di questo gli fui grata.
Da poco Emily decise di trasferirsi a New York e convivere con George e nello stesso tempo rimanere più vicina a me e Justin.
Un pensiero adorabile senz’altro.
«Piccola, noi andiamo. Sicura di non aver bisogno di nulla?» mi chiese George aiutandomi a scendere dall’auto.
«Sicurissima, godetevi la serata.» sorrisi e salutai entrambi.
Varcai la porta d’entrata e mi addentrai verso la porta del mio appartamento.
«Buonasera signorina.» una voce attirò la mia attenzione.
«Buonasera Luke.»
Luke era il nuovo portinaio dell’edificio, dovevo ancora abituarmi perfettamente alla sua voce.
«Posso portarle io le borse?» mi chiese gentilmente.
«Non preoccuparti, prendo l’ascensore e arrivo immediatamente.»
«Il signor Bieber mi ha severamente incaricato di aiutarla in ogni minima cosa.»
-il signor Bieber- il che mi faceva sorridere, era divertente il modo in cui la gente lo chiamava.
«Dica al signor Bieber che riesco ad andare avanti da sola e me lo saluti da Tokyo.»
«Senz’altro.»
Feci un cenno di saluto e rientrai nel mio appartamento.
Sistemai gli acquisti e andai in cucina a mangiare qualcosa.
«Maledetta fame infinita.» borbottai tra me e me.
Vagai come uno zombie per tutta casa, fino ad arrivare in camera e notare un mazzo di rose rosse adagiate sul mio letto.
Un sorriso subentrò sul mio volto, erano sicuramente di Justin.
Mi avvicinai e le avvicinai al naso per sentirne meglio il profumo, le amavo.
Nascosto tra le rose, c’era anche un bigliettino, lo presi e scartai la piccola bustina.
-mi dispiace non essere lì con te.
Mi manchi tanto. Justin x-
Piccolo e dolce esemplare di Bieber, tutta questa dolcezza infinita.
Presi il cellulare e decisi di mandare un messaggio.
Non importava la lontananza, i soldi spesi per mandarlo e il tempo impiegato per arrivare, io dovevo scrivergli.
 
-ciao signor Bieber, volevo informarti che qui la vita prosegue in modo monotono senza di te.
Volevo sottolineare il fatto che io sto in perfetta forma e non faccio altro che pensare a te.
Ci manchi tanto, non vediamo l’ora di avere il nostro Bieber in casa. Grazie per le rose, tua x-
 
Mi mancava tanto e mancava sicuramente anche alla piccola.
Ogni sera, prima di andare a letto, si stendeva accanto a me e parlava del più e del meno al pancione.
La bambina lo amava già, appena udiva la sua voce scalciava immediatamente.
Se un giorno m’avessero chiesto cosa fosse la felicità, io avrei risposto questo.
Riposi le rose in un vaso e andai a farmi un bagno rilassante.
In quell’anno, Agosto fu davvero caldo.
Finito il bagno, mi riavvolsi nel mio accappatoio e decisi di andare a dormire in quelle condizioni, sola non mi poteva notare nessuno.
 
Al mio risveglio mi venne una voglia matta di waffel ricoperte di cioccolato e panna, che bontà.
Mi rivestii e scesi al piano di sotto.
«Buongiorno signorina.» si rivolse a me Luke.
«Buongiorno. Dove posso trovare dei bei waffel caldi?»
«Provi a vedere al bar dell’angolo, a prima mattina ne fanno sempre un paio.» mi sorrise.
Ringraziai e uscii dall’edificio.
Cominciai a camminare un po’, fino a quando qualcuno pronunciò il mio nome e mi fece sussultare.
Mi voltai e vidi Lucia correre verso di me.
«Ma dove va tanto di corsa questa futura mamma?» mi chiese sorridente e con un piccolo affanno.
«A mangiare waffle.»
«Hai le voglie, giusto?»
«Esattamente. Vuoi accompagnarmi?»
«Certo, perchè no, andiamo.»
 
Addentai in un batter d’occhio il primo waffle e subito ne presi un altro, quella voglia sembrava non finire mai.
«Se continui così, rimarremo in questo bar per le prossime cinque ore.» mi bloccò lei.
«Mi è venuta voglia di frappè.»
«Te lo offro io, come lo vuoi?»
«Cioccolato e cocco.»
«Per mantenerci leggere, insomma.» mi sorrise un’ultima volta prima di allontanarsi da me e avvicinarsi al bancone.
Sentii squillare il telefono e lo cercai per tutta la borsa.
Sullo schermo apparve il suo nome, Justin.
«Amore mio.» mi urlò lui non appena accettai la chiamata.
«Oh, quanto mi mancava la tua voce.»
«Allora, come stai? Qui il tempo fa un po’ schifo, sono circa le cinque del pomeriggio.»
«Io sto bene, mi sto ingozzando di waffle.»
Lo sentii sorridere dall’altra parte del telefono non appena terminai la frase.
«Voglie eh?» continuò.
«Troppe. Come procede il lavoro?»
«Dovrei finire tra qualche giorno, mi manca il prato e il gazebo e poi ho terminato.»
«Mi manchi..» sospirai con un filo di voce, cercando di trattenere il più possibile le lacrime.
«Piccola, anche tu. Lo so, tre settimane di lavoro sono state esagerate e ci sentiamo a malapena, mi dispiace così tanto.»
«Non preoccuparti dai, non è mica colpa tua.»
«Mh. Piccola devo spegnere, la mia pausa è terminata, cercherò di chiamarti al più presto.»
«Buon lavoro, ti amo.»
«Oh, anch’io.»
Riposi il cellulare nella borsa e rimasi a riflettere per un po’.
Amavo il modo in cui mi chiamava e come riusciva a tranquillizzarmi con poco.
«Ecco a te il frappè.» ritornò Lucia.
Le sorrisi e la ringraziai di avermi accontentata ancora una volta.
Passammo metà della mattinata insieme, poi la riaccompagnai al salone ed io mi diressi verso l’ospedale dove si trovava ancora Valery, la madre di Justin.
Ormai mi conoscevano tutti lì, un giorno sì e uno no andavo a trovarla.
«Valery oggi è in giardino, mi segua.» mi fermò per le scale un’infermiera.
«Eccola lì.» me la indicò col dito.
Le sorrisi e andai verso di lei.
Feci in modo di non spaventarla e mi sedetti accanto a lei.
«Tesoro mio.» si voltò ad abbracciarmi.
«Come stai oggi?» le chiesi.
«Il raffreddore è andato via. Che bellissimo pancione che hai.» mi sorrise e appoggiò delicatamente la sua mano.
Nello stesso momento si sentì scalciare e lei iniziò a sorridere.
«E’ bellissimo.» sussurrò.
Annuii emozionata.
La piccola amava anche sua nonna.
«Quando torna Justin?» mi chiese.
«Spero nel fine settimana, almeno, così mi ha detto.»
«Sono sicura che sente molto la tua mancanza.»
«Ed io sento la sua, ma lasciamo perdere dai.»
Continuammo a parlare ancora un po’, poi la dottoressa si avvicinò e m’informò che l’orario di visite era terminato e dovevo gentilmente uscire.
«A presto tesoro.» mi salutò lei da lontano.
«A presto Valery.»
 
 
Mi venne una voglia matta di vedere un film d’epoca al cinema e così non mi feci perdere l’occasione.
In quel periodo davano in onda It’s a Wonderful Life, un film pazzesco.
La trama era incentrata su George Bailey, un uomo nato e cresciuto in una piccola cittadina rurale che, dopo aver rinunciato per tutta la vita a sogni e aspirazioni pur di aiutare il prossimo, colto dalla disperazione, era sul punto di suicidarsi la sera della vigilia di Natale. In suo soccorso, grazie alle preghiere sue e di amici e familiari, arrivò un angelo custode mandato da Dio.
Amavo quel film, generalmente lo davano in onda nel periodo natalizio, ma di tanto in tanto facevano qualche eccezione.
Fu una serata noiosa, ero da sola e non potendo uscire e fare più di tanto mi accontentai di vedere il film e poi tornarmene a casa, mandai un messaggio a Emily per rassicurarla che tutto andasse bene e mi addormentai tra le braccia di Morfeo.
Le giornate trascorrevano così, monotone, velocemente e senza far nulla.
Era l’assenza di Justin a causare ciò, lui non c’era e quindi non c’era nemmeno il divertimento.
 
Justin’s pov.
Mi mancava la mia Demi, era come se mi fossi trasformato in un ragazzo solo, asociale e lontano da tutti.
Senza di lei mi sentivo in una bolla di sapone.
Il viaggio durò più del previsto e così decisi di fare una sorpresa e di farmi ritrovare a casa al suo risveglio.
Ero molto frastornato a causa del jet lag ma per lei avrei fatto questo e altro.
Passai prima dal bar e le presi un paio di waffle che tanto amava, con maxi farcitura di cioccolato e panna e tornai a casa.
«Ben tornato signor Bieber, la sua ragazza è ancora nel suo appartamento a dormire.» mi avvisò Luke.
«Ti ringrazio di tutte le attenzioni che le hai dato, ti sarò riconoscente come ho promesso.» gli feci cenno con la testa. «Ora, se mi permetti.»
«Certo, ben tornato a casa.»
-ben tornato a casa.- che belle parole.
Mi mancava la mia New York, l’America, la mia casa, mi mancava Demi.
Aprii lentamente la porta, senza far rumore ed entrai in punta di piedi.
Lei era ancora lì che dormiva, la intravidi dallo specchio.
Lasciai in un angolo le valige e andai in cucina a preparare la colazione.
Feci una spremuta d’arancia che lei amava tanto e sistemai i waffle su un vassoio.
Decisi di farmi un po’ di caffè anche per me, per facilitare il risveglio.
Sistemata la colazione andai lentamente in camera ed eccola là, distesa sul letto a pancia in su.
Quant’era cresciuto il pancione, eppure erano appena quattro settimane che ero via.
La sentì lamentarsi e mugugnare qualcosa ma non capii perfettamente cosa.
Aprii leggermente gli occhi e nemmeno il tempo di dire ‘ciao’ che la ritrovai avvinghiata al mio collo.
Mi mancava quel tocco.
Mi mancavano i suoi abbracci.
Mi mancavano i suoi baci.
Mi mancava trovarmi al suo fianco, la mattina, dopo il risveglio.
Mi mancava la mia casa.
Lei.
«Quando sei tornato?» mi urlò lei eccitata.
«Da un’oretta circa, ho preparato la colazione.»
«Sei un amore.» mi sorrise.
Ah, quel sorriso.
Era capace ancora di farmi venire le farfalle nello stomaco.
«Ho fame, andiamo a mangiare su.» si alzò dal letto allegramente.
Sembrava davvero in forma, come non mai.
Era sexy anche col pancione e pigiama, era riuscita a mantenere il suo corpo attraente nonostante la gravidanza.
Quanto la amavo.
«Beh? Cosa fai lì impalato, vieni a mangiare.»
«Niente, ti guardavo. Sono felice di essere ritornato.»
«Sei a casa con noi.»
amavo il suono di quella parola.
‘noi.’
Sembrava qualcosa di magico, piena di significato.
E in realtà era così.
La mia famiglia.
_________________________________________________________________________________________________________________________

ciaaaaaaaaaaaao miei amori.
mi dispiace nuovamente per il ritardo, ma eccomi qui, di nuovo.
allora, ditemi cosa ne pensate del capitolo.
otto mesi dopo, yuhu.
mi dispiace dirlo, ma la storia è quasi in fine, muah.
mi dispiace. cc
lasciatemi le vostre recensioni come sempre.
vi amo.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** capitolo ventitré. ***


 



vorrei precisare una cosa.
questa storia è ormai in fine e mi dispiace parecchio.
questo, ad esempio, è il penultimo capitolo.
buona lettura.
-trailer.-
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
***
 
«Allora, com’è andato il viaggio?» accarezzai dolcemente i capelli di Justin mentre eravamo entrambi distesi sul divano.
«E’ stato stancante. Lì però era bellissimo, potremmo trasferirci se ti va.» disse lui sorridendo.
«Non se ne parla nemmeno. Non ho un debole per gli occhi a mandorla.»
Ridemmo entrambi.
In fin dei conti noi stavamo bene a New York, ora c’era anche Emily con noi, quindi era tutto perfetto.
«Come vuole la mia principessa.»
«Da quando sei così dolce?» sgranai gli occhi sorridendo.
«Hanno detto che durante la gravidanza, le donne sono molto sensibili. Quindi volevo evitare un tuo pianto isterico.» mi tenne stretta tra le sue braccia.
Abbassai lo sguardo verso i suoi occhi e rimanemmo così per alcuni secondi.
«Sei un’idiota ma ti amo lo stesso.» sorrisi.
«Ti amo anch’io.»
 
Quella mattinata passò velocemente, era tutta colpa della presenza di Justin.
Grazie a lui ripresi a sorridere in qualsiasi minuto.
Erano le sue battute, i suoi sorrisi inattesi, le sue pillole di spiritosità a mandare avanti le mie giornate.
Ma la giornata non era ancora finita, purtroppo.
Justin era andato a lavoro, l’avevano chiamato per un’urgenza su un giardino che teneva in costruzione nelle vicinanze di New York, ed io rimasi sola a casa a vedere la televisione e ingozzarmi di gelato.
Emily quella mattina venne a trovarmi e mi aiutò un po’ a sistemare la casa.
«Come ti senti oggi?» mi chiese.
«Ho un po’ di nausea, più del dovuto ma credo sia normale, vero?»
«Potremmo andare a fare una visita per accertarci che sia tutto al proprio posto.» mi rispose lei preoccupata.
«Ma no, figurati. Tra poco passa, sarà stata colpa del gelato.»
«Va bene, allora io esco a fare un po’ di spesa. Ci vediamo questo pomeriggio.» si protese verso di me e mi lasciò un bacio sulla fronte.
Annuii e la salutai mentre sorpassava la porta.
Decisi allora di farmi una bella doccia, quel caldo infernale mi faceva uscire pazza.
Mi deliberai dei vestiti che avevo addosso ed entrai sotto quel getto di acqua fredda.
Una fitta alla pancia mi fece paralizzare, così chiusi subito l’acqua e mi appoggiai al muro.
Iniziai a fare dei piccoli respiri per cercare di risolvere qualcosa ma ogni tentativo era invano.
Le fitte iniziarono a essere di più, così mi avvolsi nell’accappatoio e uscii dalla vasca.
Andai ad accasciarmi sul letto, ormai priva di forza e dolorante in qualsiasi punto e cercai disperatamente il cellulare per chiamare Justin.
Finalmente lo trovai e con le lacrime agli occhi digitai il suo numero.
Iniziò a squillare ma niente, Justin non rispondeva.
Un dolore allucinante ebbe il meglio su di me.
Mi piegai verso le gambe cercando di non urlare per non preoccupare l’intero edificio ma tutto ciò era troppo da sopportare.
Il cellulare squillò e risposi immediatamente.
«Demi, mi hai chiamato?»
«Ju-ustin corri, ti prego, non mi sento bene.» iniziai a piangere disperatamente.
Lui non rispose nemmeno, attaccò la chiamata e a me cadde il cellulare a terra.
Maledetti dolori.
Mi alzai delicatamente dal letto e cercai di fare qualche passo verso il salone ma nulla, caddi a terra.
Un urlo di dolore uscii dalla mia bocca, tutto ciò stava andando a peggiorare ed io perdevo sempre più forze.
Dopo qualche minuto Justin varcò la porta d’entrata e iniziò a chiamarmi, risposi e lui corse verso di me.
«Che succede?» preso dal panico, si passò le mani tra i capelli cercando una soluzione.
«Portami in ospedale.» presi fiato. «ORA.» urlai.
Mi prese in braccio e ci dirigemmo immediatamente verso la nostra ancora di salvezza.
 
Justin’s pov.
Demi era ormai entrata chissà dove, i medici non mi diedero alcuna notizia.
La bambina? E se fosse successo qualcosa a entrambe? I pensieri iniziarono a vagare solitari.
«Bieber?» mi chiese una donna.
«Sì.» mi alzai di scatto dalla sedia dov’ero seduto.
«La sua ragazza sta partorendo, vorrebbe assistere?»
Quelle parole mi lasciarono in sospeso, bloccato davanti alla realtà.
«C-cosa? M-ma mancava ancora un mese.»
«Solo tre settimane, non si preoccupi, viviamo milioni di casi come questo ed i bambini nascono in perfette condizioni. Lo chiedo per un’ultima volta, vuole assistere al parto?»
Volevo? E se fossi svenuto? Dovevo dare forza a Demi e non ansia ma vedere la mia bambina venire al mondo era uno spettacolo da non perdere.
«Mi dia ciò che occorre, entrerò con lei.»
La donna mi sorrise e mi porse un camice verde con una mascherina bianca.
Varcai la porta di quella sala, l’ansia saliva pian piano ma io dovevo rimanere forte.
Sì, dovevo.
Dovevo sia per Demi sia per la bambina.
Lei mi vide e a stento riuscii a fare un sorriso di ringraziamento.
«Sono qui.» dissi avvicinandomi a lei e baciandola.
«Demi sei stata bravissima finora, qualche altra spinta e quest’inferno finirà.» disse la dottoressa.
Demi prese un lungo respiro e spinse forte mentre stringeva altrettanto forte la mia mano.
«Ce la puoi fare.» le sussurrai.
Un piccolo lamentò s’iniziò a udire e la dottoressa sorrise soddisfatta.
«Datemi degli asciugamani.» urlò di conseguenza.
Demi chiuse gli occhi per un attimo cercando di recuperare almeno un minimo di forze che aveva ceduto in quelle azioni e poi si voltò verso di me sorridendo.
Era una cosa inspiegabile a parole, davvero.
Ero così fiero di lei che delle lacrime iniziarono a rigarmi il volto.
«Congratulazioni per la vostra bambina, è bellissima.» disse la dottoressa mentre l’appoggiava dolcemente sul petto di Demi.
Lei iniziò a piangere ed era pure comprensibile.
«Non è bellissima?» mi chiese.
«Lo siete entrambe.» lasciai un piccolo bacio su quella testa così piccola e delicata.
Aveva i lineamenti di Demi e gli occhi ancora chiusi, ma era già una principessa bellissima.
 
                                                                      ***
 
Passò qualche giorno dalla nascita di Lucy ed eravamo finalmente rientrati in casa nostra.
«Come ti senti?» mi chiese Justin.
«E’ un male dire che mi sento magra?» iniziammo a ridere entrambi.
«Direi di no.» 
Tra le sue braccia c’era ancora la piccola che dormiva e lui cullava dolcemente.
Avevamo la casa piena di regali e non più un piccolo spazio solo per noi.
E’ proprio vero che un figlio ti cambia la vita, in meglio.
«Vado a mettere Lucy nella culla, non ti muovere di qua.» disse.
«Dove potrei mai andare, genio.»
 
«Ho riflettuto su una cosa.» disse Justin mentre era disteso sul divano e con la testa sulle mie gambe.
«Dimmi tutto.»
«Ho pensato che, ora che c’è anche Lucy, non possiamo permetterci di stare in un appartamento del genere e così sai cos’ho fatto?» mi sorrise lui.
Conoscevo benissimo quello sguardo, aveva in mente qualcosa.
«Justin?»
«Ho venduto il mio appartamento e comprato una casa nuova, solo per noi.»
«Tu sei pazzo. Come sarebbe che hai venduto il tuo appartamento?»
«Sì. Quest’appartamento lo affitteremo e così riusciamo a ricavare qualche soldo in più, il mio appartamento è stato venduto in modo eccellente.»
«E quale sarebbe questa casa?»
«Si trova in periferia, in parte. È un luogo tranquillo, privo di smog e rumori vari. Voglio che sia tu che la bambina rimaniate al sicuro e tranquille.»
«Come posso non amarti?» gli spettinai i capelli e lui si alzò dalle mie gambe.
Mi fece prigioniera tra le sue braccia e mi baciò, catturando ogni attimo possibile di quel momento.
«Appena ti sentirai pronta possiamo iniziare il trasloco.» mi disse allontanandosi leggermente dalle labbra.
«Per me va bene anche domani.» gli sorrisi.
Sapevo che Justin non era più nella pelle e trasferirci in una nuova casa, noi tre, finalmente, rendeva tutto come una famiglia comune.
«Tu mi hai salvato ed io ti sarò per sempre riconoscente.» mi sussurrò all’orecchio prima di annullare nuovamente la distanza tra di noi.
«Sei la persona più meravigliosa sulla faccia della terra, sono felice che Lucy abbia come padre te. Non vorrei nessun altro al mio fianco.»
Sorridemmo entrambi.
Uno di quei sorrisi che riempiono l’anima e fanno solo bene.
Quei sorrisi che la gente cerca disperatamente, che ottiene con difficoltà.
Quei sorrisi legati alla felicità di un istante, di un momento o, molto sinceramente, quei sorrisi infiniti, di una coppia che si ama.
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

ciao miei cari lettori, sono consapevole che questo capitolo sia piccolo, ma ragionate, siamo ormai in fine.
vorrei ringraziare tutte coloro che hanno seguito la storia, è stato davvero importante per me e lo è anche ora.
ditemi cosa pensate di questo capitolo e preparatevi per l'ultimo, credo lo scriverò tra qualche giorno, voglio tenervi un po' sulle spine.
sarà bello, ve lo assicuro, e racchiuderà in un solo capitolo tutta la bellezza di questa storia.
non perchè l'ho scritta io ma ne sono innamorata, veramente.
vi ringrazio nuovamente tutti.
-mari.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** ultimo capitolo. ***


 

trailer della storia.
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
-anni dopo.-
 
«Lucy vieni qui.» urlai dalla stanza accanto.
Quella ragazza era uguale a suo padre, impulsiva e sfacciata.
«Mamma ho detto di no, non verrò con voi a quella festa.» si degnò finalmente di venire nella mia stanza.
«Vai a sistemarti, ci devi venire.»
«E’ un obbligo?» chiese mettendo il broncio.
«E’ un ordine signorina.»
«Questo è corrompere la propria figlia.»
«Hai appena diciassette anni, non parlarmi con quel tono signorina.»
«Scusa mamma.» sorrise di sottocchio.
Quella ragazza mi avrebbe fatto uscire i capelli bianchi.
E quell’altro scalmanato ora dov’era?
«Hai visto tuo padre?»
«Sta giocando alla wii a super mario.»
Cosa? Tutto ciò è assurdo.
Trentasette anni e ancora attaccato ai videogiochi.
Quell’uomo non cresceva mai.
«Non ci posso credere.» guardai mia figlia scioccata mentre sistemai l’ultimo ciuffo tra lo chignon che avevo in testa.
Lei mi guardò e iniziammo a ridere entrambe.
«Vado a chiamarlo subito.» continuò lei.
Annuii e la lasciai uscire dalla stanza.
Nel frattempo infilai il vestito che avevo scelto per quella sera, il paio di scarpe e uscii dalla stanza.
Varcai la porta del salone e lo vidi accanto a Lucy, seduti entrambi sul divano e con in mano il joystick della wii.
Li guardai per un attimo senza farmi vedere, era uno spettacolo imperdibile.
Amavo vederli insieme, andavano d’accordo al massimo.
Amavo la mia famiglia.
Mi venne in mente un ricordo, il primo compleanno di Lucy.
In quel periodo io e Justin c’eravamo temporaneamente separati, non andavamo più d’accordo come una volta.
Lui aveva ri-iniziato a drogarsi, il motivo non me l’aveva mai detto ma era certo che un uomo così, accanto a mia figlia, io non lo volevo.
Una sera ritornò a casa piangendo e supplichevole di riaccoglierlo in famiglia, si sentiva solo e abbandonato ed effettivamente era quel che era.
Io lo amavo, l’avevo sempre fatto e vederlo in quelle condizioni mi provocò un dolore immenso.
Decisi così di salvarlo, un’altra volta e da quel momento non ci siamo più separati.
Quando Lucy compì dieci anni, io e Justin ci sposammo.
Avevamo cercato di dare un fratello o sorella alla nostra bambina e così accadde.
Rimasi incinta verso i dodici anni di Lucy ma, purtroppo, persi il bambino dopo qualche mese.
Passai un periodo di depressione ma decisi di non farmi perdere d’animo e così ritrovai la giusta strada.
Il ricordo meraviglioso era che, in tutto ciò, Justin rimase sempre al mio fianco.
«Amore va tutto bene?» mi ritrovai Justin al mio fianco che mi sfiorava dolcemente il braccio.
Ritornai con la mente in quella stanza e presi cognizione della domanda di Justin.
«Ricordi.» sorrisi appena.
«Capito.» ricambiò il sorriso. «Io sono pronto per la festa e tu?» mi chiese.
«Prontissima. Come sto?» feci un giro su me stessa nell’attesa di una risposta di Justin.
«Sei la donna più bella che abbia mai visto.» 
Le mie guance divennero rosse immediatamente.
«Basta così.» diedi un colpo di borsa al suo avambraccio.
Aveva ancora il potere di farmi sentire il corpo in subbuglio.
«Andiamo dai.» urlò Justin in corridoio, pronto a uscire da casa.
 
                                                                               ***
 
«Credo che a mio figlio piaccia vostra figlia.» si avvicinò Jennifer a noi mentre sorseggiava di tanto in tanto un po’ di champagne.
Jennifer era stata una donna alla quale Justin aveva accuratamente arredato il giardino e che ogni tanto organizzava feste e c’invitava.
«Tuo figlio ha buon gusto.» rispose Justin con un accenno di sorriso.
La donna ricambiò il sorriso e si scusò prima di allontanarsi.
«Ti stai annoiando?» Justin avvolse il suo braccio intorno alla mia vita.
«Senz’altro stiamo passando una serata diversa e nostra figlia sta conversando con un ragazzo di buon partito.»
«Da quando parli in questo modo?» mi sorrise.
«Da quando abbiamo iniziato a venire a queste feste e ci sono tutte donne snob, ricorda che sono una brava attrice. Qui parlano tutte così.» sorridemmo entrambi.
 
La serata si prolungò per qualche altra ora fino a quando salutammo Jennifer e decidemmo di tornare a casa.
«Mamma sono le due, domani non vado a scuola, vero?»
«Chiedi a tuo padre.»
«Padre cosa mi risponde lei?» chiese in modo spiritoso mettendosi tra i due sedili davanti intenta a guardare meglio Justin.
«L’istruzione è importante e quindi tu andrai a scuola domani.» rispose serio.
«Dai papà, è solo un giorno.» sbuffò lei.
Lui rimase in silenzio per un attimo e poi accettò le suppliche di Lucy.
Quella ragazza sapeva anche essere convincente.
Schioccò un forte bacio sulla guancia di Justin e si rimise a sedere composta al sedile posteriore.
Qualche minuto dopo arrivammo a casa e Justin parcheggiò al solito posto e rientrammo immediatamente nella nostra dimora.
Lucy andò a dormire e noi facemmo ugualmente.
«Rimarrei tra le tue braccia tutta la vita.» mi sussurrò Justin tenendomi stretta a se da dietro mentre eravamo entrambi sotto le coperte.
«Stacci allora.» sorrisi.
«Sembriamo ancora due ragazzini ma io ti amo allo stesso modo di allora, o forse anche più.» appoggiò la sua testa nell’incavo del mio collo.
Accarezzai dolcemente i suoi capelli e cademmo in un sonno profondo nello stesso momento.
È proprio vero, sarei rimasta anch’io abbracciata a lui per tutta la vita.
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

ciao ciao a tutti.
sono una fontana vivente.
mi dispiace non aver postato prima, questo capitolo è pronto da giorni maaaaaa io non volevo postarlo proprio perchè è l'ultimo.
okay, non perdiamoci d'animo, ok? ok apposto.
che dite? mi fate arrivare alle 300 recensioni generali? questo capitolo dovrà arrivare alle 22 recensioni, suvvia, ce la facciamo. :)
fatemi almeno questo piccolo regalo.
io non voglio dire altro, mi avevo promesso un capitolo finale eccellente ma questo fa schifo, sorratemi.
mi sto dilugando troppo, mi dispy.
vi amo, adiu.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1784429