Curse of Abomination

di Macross
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Warp Exit ***
Capitolo 2: *** Battle Stance ***
Capitolo 3: *** Into the Deep ***
Capitolo 4: *** Death to Xenos ***



Capitolo 1
*** Warp Exit ***


5120350M39

Sistema Beta Hydri. Sottosettore Alpha. Settore Fortius, Segmentum Tempestum.

Nell'immensità del vuoto il pianeta chiamato Gounax orbitava placidamente intorno alla stella principale, un sole giallo ancora giovane (poco più di un miliardo di anni, stando ai rilevamenti).
Goumax faceva parte dell'infinita serie dei mondi agricoli dell'Imperium, il Dominio dell'Umanità nella galassia del 41° millennio.
La sua superficie era coperta da un infinito numero di campi coltivati e allevamenti di Gorax, un ruminante locale dalle corna tripartite, che rappresentava una grossa fonte di approvvigionamento per i sistemi vicini.
Ogni tanto una piccola comunità rurale interrompeva le altrimenti infinite serie di coltivazioni a scacchiera.
Il clima era mite, temperato. Le alture, quasi inesistenti. I mari, di un colore turchese, offrivano numerose specie di pesci e di crostacei commestibili, anche se coprivano a malapena il 10% del mondo.
Il diametro equatoriale del pianeta era di poco inferiore a quella della Sacra Terra, tuttavia la gravità era pressochè identica a causa di numerosi materiali pesanti e del nucleo planetario esteso.
Non era una vista rara quella dei pennacchi di fumo che si innalzavano da numerose sorgenti geotermali
Più in alto, a circa 400km di altezza, l'attività era fervente: navi spaziali, che attraccavano alla stazione di smistamento ad una cadenza regolare, esportavano la merce prodotta in cambio di macchine agricole e tecnologia.
Fra tutte queste navi, alcune lunghe anche tre kilometri, ce ne stava una, un piccolo cargo malandato.
Il comandante di vascello Albertus stava dando le sue ultime disposizioni affinchè il suo cargo, la Vae Victis, lasciasse l'orbita per dirigersi verso il centro del settore, Fortius Prime.
La Vae Victis era famosa per essere una delle navi più lente del sistema. Erano necessarie circa tre settimane di navigazione nell'Immaterium per giungere a destinazione, al contrario dei dodici giorni scarsi delle navi del Cartello Industriale Jaeger.
Ciò causava una malcelata irritazione del comandante.
Imprecava contro la sua sfortuna, che l'avea maledetto (così diceva) fin dalla nascita.
Figlio cadetto della casta nobiliare del pianeta, era da sempre stato considerato un buono a nulla, quindi aveva tentato la carriera nel commercio, dopo una breve parentesi nel contrabbando, che per poco non era finita con un processo sommario e l'impiccagione.
"Fortunatamente" era riuscito a procurarsi un ingaggio come capitano di vascello in uno scalcinatissimo cartello commerciale, come ricompensa per aver denunciato i suoi ex datori di lavoro, che adesso giacevano sparsi sotto forma di polvere cosmica.
La sua "fortuna" però era finita lì. Gli avevano dato in consegna la nave più scalcinata del sistema, un cargo che aveva ormai millecinquecento anni. Ad intervalli regolari si presentava sempre qualche malfunzionamento di piccola entità: tanto per dirne una, una volya furono perfino costretti a farsi tutto il viaggio con il puzzo di carni sanguinolente che venivano dai banchi freezer della nave, a causa di un'avaria del sistema di aereazione della nave.
- Allora, ci muoviamo o no? Idael, hai riparato quel problema al sincronizzatore sensoriale?
- Sì capitano, fino a quando non si romperà nuovamente...
- MALEDIZIONE. Beh, abbiamo perso anche troppo tempo. Allontaniamoci dall'orbita.
- Signorsì.
Fortunatamente nel vuoto non era possibile udire nessun rumore, altrimenti l'accenzione dei motori avrebbe avuto lo stesso effetto sonoro un un motorino smarmittato (solo un migliaio di volte più rumoroso).
Arrancando faticosamente, la Vae Victis lasciò l'orbita, dirigendosi verso il punto previsto per il salto nel Warp.
Rimuginando sulla sua "fortuna", il capitano si mise a sedere sul suo trono di comando:
"Beh, per lo meno non ci sono stati imprevisti," pensò. "L'ultima volta a casusa dell'ispezione della Marina abbiamo quasi fatto marcire il carico".
Un centinaio di metri più in alto, su una guglia, il Navigatore Yale si stava preparando al salto Warp. La sua camera era molto angusta, pregna dell'odore aromatico degli incensi e dell'odore viziato di vestiti. Ormai era vecchio, i continui viaggi Warp stavano minando la sua salute e presto si sarebbe ritirato. Fra le mani rigirava nervosamente un simbolo sacro dell'Imperium, che gli era stato donato da giovane: un'aquila bicefala placcata d'oro. Egli considerava quel simbolo il suo più importante possedimento. Lo stringeva sempre durante le traversate. Yale era un uomo pio, devoto. Durante le poche soste sul pianeta si ritirava sempre a pregare nel tempio più vicino. Un vago sentore lo distolse dai suoi pensieri. Poteva chiaramente avvertire una perturbazione nel medium caotico dell'Immaterium (altro nome del Warp, NdA), una gelida corrente. Attivò alcune connessioni, ricercando nel database informazioni concernenti navi in arrivo. Non ne trovò nessuna.
- Qui Yale
- Capitano Albertus.
- Capitano, rilevo una perturbazione sconosciuta nel Warp - Eh. Sarà una nave che sta uscendo adesso...
- Negativo, capitano. Ho controllato il database. Non risulta nessuna nave.
- ...ci mancava solo questa...
- Capitano! Una nave sta uscendo a circa 405.200 UA da noi. - Sullo schermo!
Tutto quello che ottennero fu una serie di statiche: lo schermo era vecchio e non voleva saperne di funzionare. Non riusciva mai a partire alla prima, erano sempre necessari alcuni minuti perchè cominciasse a trasmettere immagini. Ma Albertus stavolta non poteva conceddersi questo lusso:
- DANNAZIONE, fatelo funzionare!
Idael si avvicinò e sferrò un poderoso calcio rituale alla base del monitor.
- ...questo non lo insegnano alla Scuola dell' dell'Adeptus Mechanicus!
Ma il motto di spirito del tecnico si perse nel nulla appena vide lo schermo: una nave enorme occupava tutta la visuale.
Ad un'occhiata più approfondita, sembrava un patchwork di varie astronavi, alcune di foggia squisitamente umana, altre sconosciuti. Il Relitto Spaziale (Space Hulk, NdA) aveva una lunghezza stimata di circa cinque kilometri per due e mezzo di larghezza. Semplicemente mostruoso.
- Inviare una segnalazione, codice Violetto. Avvistato Relitto Spaziale, coordinate 56.32 45.66.
- Capitano, ho tracciato una proiezione della rotta del Relitto. Dai dati appare chiarmanete che è in rotta di collisione con la Stazione Lux Imperator.
- Tempo d'impatto?
- 4 giorni, 3 ore e 25 min.
- MALEDIZIONE!
Le implicazioni erano chiare. L'impatto avrebbe polverizzato la Stazione Spaziale e i resti radiattivi sarebbero piovuti su Gounax portando morte e distruzione.
Al capitano non rimaneva altro che aspettare una risposta dal Comando Centrale del Pianeta ed, ovviamente, allontanarsi il più rapidamente possibile.


Un'ora dopo.

Il Consiglio Planetario (così era chiamato l'organo di controllo del piccolo mondo agricolo) si era riunito della spaziosa sala centrale del palazzo del Governatore.
I pavimenti in marmo grigio riflettevano la luce delle numerose torce e dei candelabri, mentre un dolce canto di un'Inno poteva essere avvertito in sottofondo.
Di solito le riunioni avvenivano raramente poichè non c'era molto da controllare. Gounax era un pianeta pacifico rispetto agli standard turbolenti di un Mondo Formicaio. Si poteva sempre avvertire un'atmosfera rilassata e di pace, specie in questo luogo, considerato il fulcro storico del pianeta: qui infatti, nella città di Keller's Port, era avvenuto il rpimo sbarco di Coloni circa tre millenni fa.
Ma adesso, della pace originaria non rimaneva traccia. L'atmosfera era assai tesa. Nessuno, dopo la lettura del rapporto, parlava più. L'avvistamento del Relitto Spaziale era stato confermato anche dalla Stazione Spaziale e da alcuni ricognitori in dotazione alla Forza di Difesa Planetaria.
Un uomo anziano, avvolto in una lunga cappa porpora ornata di simboli dorati, con lughi capelli bianchi ed un'aria da saggio, sedeva solitario su un trono, sovrastando il tavolo rotondo al quale sedevano i rappresentanti delle Famiglie Dominanti, il Comandante della FdP e quello degli Arbites (il rappresentante della Polizia Imperiale, NdA).
L'uomo si alzò in piedi. Sembrava che gli anni e gli innesti bionici non avessero indebolito nè la sua forza d'animo nè la sua altezza.
- Signori, ci troviamo in una situazione di rischio senza precedenti. Dobbiamo avvertire le Forze Imperiali del Settore, altrimenti il nostro magnifico mondo verrà annientato da questa minaccia.
- ...mio Signore, devo ordinare l'evacuazione? A parlare era stato il comandante della FdP (Forza di Difesa Planetaria, NdA), un uomo basso e tarchiato con una vistosa cicatrice sul volto.
- Non voglio instillare il panico nella popolazione, per ora ordinate solamente l'evacuazione della Stazione Spaziale Lux Imperator e della Capitale. L'evacuazione del pianeta deve procedere cautamente.
- Ma i cittadini devono sapere...
- SILENZIO. Non capite, Rappresentante Hou, che così non fate che aumentare il panico? Non abbiamo navi per far fuggire tutti. Inoltre ci vorrebbe troppo tempo per radunare tutti gli abitanti.
Alcuni si portarono le mani nei (pochi) capelli rimanenti.
Altri tentarono senza successo di dimostrarsi coraggiosi. Solamente il comandante della FdP e quello dell'Arbitres tenevano un contegno stoico.
- Forse con i trasporti si potrebbe...
- Ma così perdemo tutto il raccolto e il bestiame...
- Devo avvertire i miei congiunti...
Il brusio continuò per qualche minuto. il Governatore li lasciò in pace. Nella sua lunga carriera non si era mai trovato a fronteggiare una situazione del genere. Conosceva la procedura standard in questi casi, ma non aveva nè il tempo nè i mezzi per attuarla. Erano forse tutti condannati a morire? Solo l'Imperatore sapeva la risposta.
La porta si aprì di scatto mentre un'aiutante correva attraverso la sala per consegnare un messaggio direttamente al Governatore (non senza aver fatto un inchino prima, durante e dopo la consegna).
Il Governatore lesse brevemente il messaggio, vergato con inchiostro nero su una pergamena (secondo il protocollo vigente sul Gounax). Sulle sue labbra apparse l'ombra di un sorriso.
- Le nostre speranze non sono perdute. L'Incrociatore Malleus Hereticis ha risposto al messaggio di soccorso!
Gradualmente il sorriso sbocciò sui volti attempati e pietrificati dall'angoscia degli uomini presenti alla riunione.
- L'Imperatore ha ascoltato le nostre preghiere!
- Evviva!
L'Incrociatore era una vista familiare sul pianeta. A circa cinque giorni di viaggio Warp c'era un pianeta chiamato Siderus Pisae. Questo pianeta era fondamentale per l'equilibrio del sistema, infatti era il mondo natale del Capitolo dei Lighting Brigade dell'Adeptus Astartes, chiamati dalla gente comune Angeli della Morte o Space Marines.
Una volta al mese, alcuni cargo salpavano alla volta di Siderus Pisae con i proventi di una decima, in cambio della protezione speciale del Capitolo. Erano accordi vecchi per lo meno di tremila anni; mai una volta una delle due parti era venuta meno ai patti.

Adesso, potevano solo aspettare e confidare nella forza degli Angeli della Morte.

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Capitolo 2
*** Battle Stance ***


All'interno del Relitto Spaziale, tutto sembrava morto. I corridoi erano vuoti, le luci spente. Tutto sembrava immutato da chissà quanto tempo.
Ogni tanto delle volute di polvere si innalzavano a spirale, mosse da un sistema di aereazione vecchio di millenni. Poi tutto taceva, nuovamente.

Nuotava, immerso in un sogno senza sogni, accompagnato da pensieri non suoi.
Non sapeva da quanto sognasse. Non sapeva niente, era a malapena consapevole di se.
Poi, un richiamo: un urlo proveniente dalla propria anima. Comandava di svegliarsi.
Incominciò a muoversi, dapprima lentamente. Poi sempre di più. Alla fine aprì gli occhi.

Non vedeva nulla. Non annusava nulla. Ma doveva uscire. Con un artiglio spaccò il vetro della camera di contenimento. Ruggì, e il suono si perse nel nulla.
Bagnò i piedi nel liquido di sostentamento, goccie di bava increspavano la pozza come pioggia prima di una tempesta.
Cominciò a osservare qualcosa. Annusando circospetto, avanzava cautamente tra le camere di contenimento sempre sigillate, appoggiando prima un braccio, poi l'artiglio, poi l'altro, poi l'altro ancora; seguendo un ritmo naturale ma non per questo meno osceno.

Le sue mani, rese incapaci dalla sua mente limitata di impugnare qualsiasi oggetto o di manovrare una chiave inglese, fendevano l'aria viziata della camera. Il carapace era lucido, ma nell'oscurità risplendeva vagamente delle luci verde paglierino dell'ambiente, facendolo somigliare ad uno spettro.

Avvertiva la presenza dei suoi fratelli, ma su tutti sentiva la presenza del Padre, che lo fissava incessantente. Pozze di fuoco che si rispecchiavano in bracieri ardenti.
Lo sentiva nella propria anima. Proteggerlo, era la sua funzione.

Altri movimenti, altre rotture.
Altri ruggiti, ai quali fecero eco altri ancora.
Sentiva le loro presenze, vedeva la luce del Padre. Doveva proteggere il Padre.
Per il padre, avrebbe portato la morte su molti mondi, ma lui non lo sapeva.
Adesso li vedeva, gocciolanti, nella penombra. Ringhiavano tutti assieme, sommessamente. Aspettavano.

Come avevano sempre fatto.

Presto, avrebbero banchettato. Presto.

La Malleus Hereticis si muoveva maestosamente nel mare nero del cosmo. A poppa, luci sfolgorati come mille soli brillavano nel vuoto. A prua, vicino alla sommità di una delle innumerevoli guglie di quella che sembrava una grossa cattedrale gotica, un paio di occhi grigi osservavano il Relitto Spaziale da dietro una spessa lastra di vetracciaio. Normalmente un essere umano avrebbe visto un puntino di luce, ma i suoi non erano occhi di un normale essere umano. Erano quelli di uno Space Marine.
Abbassò lo sguardo su un datapad, ricontrollando minuziosamente la missione.
Sentì aprirsi la porta alle sue spalle.
Passi pesanti, poi una figura nera si pose al suo fianco. Fece scorrere il suo sguardo sulla figura imponente. Sul suo elmo a forma di teschio.
Sul libro rilegato in pelle marrone che portava alla cintura, sugli spallacci altamente decorati ed intarsiati di litanie.
Sullo strumento di guerra che era anche il simbolo della loro Fede.
Sulla catena composta da piccoli grani a forma di teschio, al centro della quale stava un grosso teschio di rubino rinforzato in titanio.
Sugli occhi, braceri ardenti che fendevano con ferocia le distanze e sembravano scrutare nell'animo di ogni guerriero senza pietà nè compassione.
Poi, si girò nuovamente. Tornarono a contemplare il cosmo per alcuni attimi di silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.
Senza alcun avvertimento apparente, l'uomo con l'elmo di teschio parlò:
- Portiamo la Sua Luce nell'Universo. Il debole verrà accecato, e il forte ne trarrà giovamento.
- Purificate l'Alieno con le fiamme della Sua Giustizia.
- Non ci può essere pietà per il Corrotto.
- Non ci può essere perdono per lo Xenos.
- I tuoi Guerrieri sono pronti, Comandante.
L'uomo senza elmo sorrise.
- Allora andiamo a sterminare quella feccia. Silenzio.
Senza dire nulla, le due figure si allontanarono uscendo dalla stanza.

Il piano era "un classico". Il Codex Astartes copriva ampiamente lo scenario di combattimento. Loro erano pronti, come aveva riferito al Governatore Planetario poche ore prima.
Una scansione preliminare del Relitto aveva indicato che la corazza era più debole sul fianco sinistro, appena sotto il relitto di una nave orchesca, ora fagocitata nel Relitto ed irriconoscibile.
Aveva anche indicato al presenza di forme di vita in una grossa sala locata al centro della nave. Sicuramente quei maledetti alieni li stavano aspettando.
Dovevano attaversare una lunga sezione di corridoi e stanze, prima di arrivare nella sala comando del Relitto, dove avrebbero cercato di riattivare i motori e invertire la rotta.
Un Relitto Spaziale poteva contenere numerosi artefatti tecnologici appartenenti al passato dell'Imperium. Se erano fortunati, potevano trovare perfino un Sistema di prodduzione Modulare o qualche pezzo pregiato di Archeotech, ovvero tecnologia dell'Era dei Conflitti.
Comunque, un piano di riserva era già stato approntato: l'Incrociatore aveva in dotazione due lanciamissili Hellfire, ogniuno dei quali portava un centinaio di bombe a fusione a testata multipla.
Se avessero fallito (il fallimento equivaleva alla morte, "meglio la morte che il disonore"), la nave avrebbe scaricato completamente il suo carico di morte sul Relitto, annichilendolo.
Non potevano permettersi altre opzioni, la vita ddi leali cittadini dell'imperium era minacciata. Peggio ancora, era possibile che sul relitto stazionassero forme di corruzione troppo gravi per essere nominate.Non potevano tollerare che vivessero ancora.
Solamente l'Imperatore sapeva quante minacce c'erano nella Galassia.
Ma loro, erano pronti.

La Baia Sette ferveva di attività: servitori incappucciati stavano svolgendo le ultime operazioni, mentre venticinque guerrieri cantavano una lunga litania, fronteggiati dall'individuo con l'elmo a forma ddi teschio e la corazza nera. L'altro, il Comandante, era a lato del Cappellano, ad un passo indietro.
Il Comandante rimandò per un attimo la sua mente all'incontro con il piccolo ometto del cargo che per prima aveva rilevato la presenza del Relitto (nome in codice: Curse of Abomination).
Il tipo aveva quasi avuto un attacco apoplettico appena l'aveva visto sullo schermo. Era pure svenuto e c'erano voluti alcuni minuti affinchè si riprendesse. Fortunatamente il tecnico di bordo aveva fornito indicazioni sufficienti. Il Cappellano aveva finito, i Guerrieri alzarono la testa e si imbarcarono su cinque navette squadrate che stavano aspettando a pochi metri da loro.
Il Comandante montò sulla prima, il Cappellanos ulla seconda.
Pronunziò la Litania del Sigillare, mentre l'elmo si saldava ermeticamente alla sua armatura. Cinque Artigli d'Attacco pieni di Marines in Terminator Tactical Dreadnought Armour erano pronti al lancio. Queste navette erano incredibilmente veloci, studiate apposta per le missioni di abbordaggio. Armate frontalmente con quattro grosse lame disposte come il quattro di un dado a sei facce e scudi Vacuum, rappresentavano la scelta classica per un attaccco ad un relitto spaziale. Il simbolo del capitolo, una croce bianca a chiave pomata su campo rosso, brillava orgogliosamente su un lato. Sull'altro, il simbolo dell'Adepts Mechanicus, un teschio bianco e nero su un ingranaggio a colori invertiti rispetto al teschio, nero e bianco.
- Da adesso in poi l'unico suono che voglio sentire sono i Catechismi di Guerra.
- Sì, Fratello Comandante.
Statiche, poi una voce.
- Comandante, siamo pronti al lancio, a un suo ordine.
- Lanciare.
Un forte urto e uno scossone, le gabbie di contenimento tremarono ferocemente. Erano partiti.

Sulla Vae Victis, Albertus vide cinque comete partire e impattare dopo pochi minuti sul relitto spaziale.
Chiuse gli occhi e mormorò una preghiera silenziosa.
"E' l'unica cosa che posso fare, ora..."

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Capitolo 3
*** Into the Deep ***


L'oscurità dei corridoi abbandonati da millenni veniva squarciata dai potenti fari in dotazione all'armatura Terminator.
Le comunicazioni con la Malleus Hereticis erano buone. Il Tenente Belisarius degli Space Marine poteva seguire gli spostamenti degli uomini seduto su un trono.
Con lui altri quattro tenenti appartenenti allo Staff di Comando seguivano il procedere delle squadre all'interno del Relitto Spaziale.
Intorno, era possibile udire un cantico melodioso intonato dai tecnopreti, mentre le fiamme delle elettrotorce creavano strani contrati sul volto metallico dei Servitori, ognuno di questi collegato alla propria postazione da una miriade di cavi e fili.
Qualcuno non aveva neppure le mani, ma una serie di dendriti che permettevano al connubio tra essere biologico e macchina di interfacciarsi direttamente col possente Spirito Macchina dell'Incrociatore. Sul monitor principale Belisarius poteva vedere l'intricata struttura interna dipanarsi in un dedalo di labirinti e di porte. Ogni tanto alcune scariche di energia elettrica statica comparivano in un ambiente altrimenti oscuro, simili a fuochi fatui in un cimitero.
Il movimento delle squadre creava una risacca regolare, come se si fosse trattato di semplici onde che si infrangevano su una spiaggia solitaria.
Tutto sembrava proedee secondo il piano di battaglia, che rispettava gli insegnamenti del Codex Astartes, il Libro scritto millenni fa da Roboute Guilliman, Primarca degli Ultramarines, e, per discendenza, anche il loro.
Erano ormai passati molti millenni da quando Orpheus, il loro primo Maestro Capitolare, aveva preso parte della flotta e se n'era andato da Macragge.
Un tempo ormai lontano, che però era ancora ricordato e mantenuto nelle segrete del Librarium del Capitolo sotto forma di antichi tomi incastonati in capsule di Stasi.
Non avevano mai deviato dagli insegnamenti del Codex.
Era il loro Testo Sacro e la loro Eredità. Il solo pensiero di Capitoli che non aderivano strettamente agli insegnamenti causava turbamento nel cuore degli Space Marine.
Attraverso il Seme Genetico venivano trasformati da semplici umani in potenti Space Marine.
Solamente attraverso le Sacre Progenoidi era possibile assicurare un la sopravvivenza del Capitolo. Come la loro eredità morale era rappresentata dal Codex, quella fisica era rappresentata da questo piccolo organo, che racchiudeva in sè i semi dei potenziamenti genetici dei venti organi componenti la fisiologia di uno Space Marine.
- Squadra Haedron, avanzare fino all'intersezione 9B.
- Ricevuto.
- Squadra Gaius, avanzare fino al corridoio 5G. - Attenzione. Rilevo tracce biologiche in rapido avvicinamento di fronte a voi. ETA 10 min. Formare un perimetro difensivo a R44-G75.
- Ricevuto.
I Terminator si schierarono a falange in una grossa sala che molti anni prima doveva essere un hangar o un deposito di storaggio armamenti.
- ETA 5 min.
- Tipo di Xenos?
- Dai rilevamenti sembrerebbero Tirannidi.
Tirannidi.
Una delle forme di vita più letali della galassia.
La loro struttura sociale somiglia a quella di insetti: la regina comanddava e il resto delle creature obbidiva, tuttavia le analogie finivano qui. Spinti dal desiderio di consumare e di divorare qualsiasi forma di vita, avanzavano come un cancro divorando interi sistemi planetari.
Dal più piccolo organismo unicellulare (si pensava che alcune forme di virus letali fossero in realtà proto/tirannidi) fino al più grosso Bio/Titano erano tutti votati allo sterminio della vita e alla consumazione di ogni forma di materiale.
Ma loro erano pronti.
- ETA 1 minuti.
Era possibile tagliare il silenzio con un coltello. L'unico rumore era quello dei girostabilizzatori delle corazze, e il vapore condensato che usciva dalle feritoie degli elmi. - Fratelli! Intonate le Litanie dell'Odio.
Prima un canto sommesso, poi sempre più forte si innalzò dai vocalizzatori delle armature, mentre sulla parete a nord molti puntini rossi seguivano una danza frenetica. Gli Storm Bolter si alzarono, i Magli ad Energia si chiusero.
Un ruggito. Due. Molti ruggiti.
Occhi rossi si aprirono lungo il tetro sudario della tenebra a nord.Promettevano Morte, e Morte avrebbero incontrato. - FUOCO!
Una cacofonia infernale di esplosioni e urla riempì l'atmosfera circostante.
Schizzi di icore organico imbrattarono il pavimento. Addesso potevano vederli bene: Genestealer.
Orrendi Xenos con quattro paia ddi braccia e il cranio allungato che racchiudeva una bocca con molti denti aguzzi.
Tutto sembrava scorrere al rallentatore. I cadaveri si accumulavano sull'antica pavimentazione, resa sdrucciolevole dall'icore alieno. Sempre più Genestealer si avvicinavano alla falange.
Contatto.
I magli ad energia si alzavano e si abbassavano a ripetizione, seguendo una cadenza imparata in secoli di combattimento.
Mischia una ferocissima mischia tra i migliori guerrieri dell'Imperum e un acerrimo nemico. Il sangue umano si mescolava a brandelli di carne aliena.
Il Crozium del Cappellano si alzava e si abbassava, la spada ad energia del Capitano faceva lo stesso, ritmicamente.
- Maledetti siate voi e l'Inferno che vi ha generato! Il Capitano sembrava una furia della natura controllata. Ma anni di addestramento non potevano soffocare l'ardore guerriero che giaceva nel cuore di quegli uomini. Erano gli Eletti, gli Angeli della Morte, pronti all'estremosacrificio per assicurare la sopravvivenza alla razza umana. pochi nel numero ma enormi nella risolutezza.
Di fronte alla loro risoluzione adamantina si contrapponeva la ferocia innaturale di creature originate dall'incubo di un pazzo, in un'altra galassia.
In un altro tempo.
Un universo di artigli e di sangue che non si fermava mai. Distrutto un mondo, ddivorato fino alle fondamenta, essi ripartivano.
L'analogia più stretta in termini umani era con un cancro maligno che devastava l'ospite e in definitiva, si autoeliminava.
Ma questo, a loro non importava.
Lo schermo principale era diventato una caotica massa di simboli e di blip colorati di rosso. La faccia di Belisarius era contratta in una smorfa di feroce risolutezza. Anche se era sull'Incrociatore, il suo spirito era là con i Terminator.
Le urla dei Fratelli morenti non sovrastavano la voce del Cappellano, che spronava i suoi Fratelli all'atto estremo, senza per questo rallentare l'esecuzione degli Xenos. Sembrava stesse andando bene, ma il numero dei Terminator si stava lentamente assottigliando.
Lungo la falange occasionalmente un Fratello cadeva, la possente armatura squarciata oppure la testa decapitata. Ma resistevano. Alla fine l'attacco cessò. Il fetore nella stanza era insopportabile.
- L'Auspex non rivela ulteriore presenza di alieni.
- E' solo una questione di tempo. Torneranno.
- Haedron, prendi il comando degli elementi rimanenti delle squadre Tirus e Jasenphus.
- La loro morte non sarà vana.
Lentamente, le squadre ripresero ad avanzare verso la sala comando del relitto, incontrando una sporadica resistenza. Il loro numero di effettivi era stato ridotto di metà, ma questo era previsto dai piani.
Non si potevano affrontre i Tirannidi senza aspettarsi perdite, questo il Capitano lo sapeva bene.
Non era la prima volta che li combatteva: centotrenta anni fa, su un sistema lontano, aveva avuto il suo primo incontro con queste abomininevoli creature.
La sua squadra doveva difendere un ponte che collegava il Formicaio alla strada principale. Ben presto si erano trovati a corto di munizioni, a lottare con le unghie e con i denti. Era sopravvissuto a stento, l'operazione che lo aveva rimesso in piedi era durata una ventina di ore. Adesso una parte consistente del suo costato era composto da un'insieme di ceramite, titanio e fibre artificiali. Eppure non aveva ceduto al dolore e alla disperazione.
Nemmeno adesso aveva intenzione di farlo: aveva una responsabilità.
- Rapporto.
- Nessun rilevamento nemico in un'area di quattrocento metri.
- Fratello Ullator, sulla destra. Voglio una linea di fuoco libera per il cannone d'assalto.
- Sì, Fratello Capitano.
- Troppo tranquillo...ci stanno aspettando.
- Lo so.
Le luci degli Space Marine si allontanarono e l'oscurità tornò a regnare suprema sul teatro degli scontri. Dopo poco, i corpi dei Marine morti vennero avvolti in un lampo di luce e sparirono.
Comparvero, poco più tardi, nella sala teletrasporto dell'Incrociatore.
Alcuni Techmarine in armatura rossa si affaccendavano per la sala, ognuno di essi attorniato da uno staff di servitori ed accoliti. Fra il turbinio di rosso delle armature e delle vesti spiccava una figura in bianco, un Apotecario (Medico, n.d.A.), incaricato di estrarre le Sacre Progenoidi dai caduti. Ogni Marine ne portava due: una nel collo e una nel torace, appena sopra lo sterno.
Lentamente i Techmarine separarono i corpi dalle armature per metterli in criostasi, coadiuvati dai servitori e dai loro servobracci, mentre le antiche corazze (vere e proprie reliquie) venivano adagiate con amore su un veicolo trasportatore, per essere riparate non appena ce ne fosse stata l'occasione.
I corpi sarebbero invece stati seppelliti nella Cappella Prima della loro Fortezza Monastero, su Siderus Pisae, dove riposavano i guerrieri della Prima Compagnia ddel Capitolo, li unici ad avere il diritto e l'onore di portare la riverita Armatura Terminator.

Tuttavia, la missione continuava. Solamente la morte li avrebbe fermati.

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Capitolo 4
*** Death to Xenos ***


Un enorme portone di acciaio e titanio, spesso circa cinquanta centimetri e rinforzato da alcune lastre in adamantio si parava di fronte ai Marines, separandoli dalla sala di controllo principale.
Le decorazioni e gli intarsi d’oro e di bronzo sugli spallacci e sul pettorale dell’Armatura Terminator rilucevano gloriosamente nella penombra, creando una delicata cacofonia di colori sulle pareti di metallo brunito.
Il simbolo del capitolo prendeva fuoco nell’oscurità, mentre i numerosi teschi ricordavano ad ogni Fratello cosa portavano e il loro fine ultimo: la morte.
L’obiettivo della missione era prendere possesso di quella sala, attivare i motori per la navigazione nello spazio normale e portare il relitto spaziale fuori dalla rotta di collisione; proprio per questo avevano attraversato numerose sezioni di corridoi semi abbandonati e polverosi, immense sale maggiormente somiglianti a cappelle e a sacrestie che a baie di contenimento armi o semplici hangar di stoccaggio materiale.
Eccettuato il grosso scontro centrale avvenuto circa quaranta minuti fa e un paio di agguati, non avevano incontrato ulteriore resistenza.
Ciò purtroppo significava una sola cosa: il Patriarca li stava aspettando nella sala di controllo.
Dovevano eliminarlo se volevano raggiungere l’obiettivo. Inoltre, dovevano fare presto: una decina di minuti fa era giunta una comunicazione dalla Malleus Hereticis che avvertiva una forte incremento dell’attività biorganica nella sezione posteriore proprio sotto il ponte di comando del Relitto: la minaccia Tirannide si stava risvegliando in tutta la sua potenza.
Per affrontare questo nuovo pericolo, si era optato per l’invio di una piccola task force composta da un Techmarine, il suo stuolo di servitori e una squadra in armatura potenziata.
Il Techmarine doveva assicurare il corretto funzionamento di un collettore di gas letale: infatti, anche se la quantità di gas necessario all’uccisione di un singolo Genestealer era circa un migliaio di volte superiore alla quantità necessaria a sterminare un essere umano, una volta superato l’ammontare massimo l’alieno moriva come una mosca.
Comportamento assai diverso dagli spasmi muscolari e dalla lenta agonia di un essere umano, ma indubbiamente questo serviva gli scopi del Capitolo.
Purtroppo, non era stato possibile fare lo stesso con la sala di controllo principale: ad un’attenta analisi era emerso che la sala galleggiava (letteralmente) in uno strato liquido multiplo, composto si sostanza altamente reattive se miscelate e strati di materiale ablativo.
Praticamente l’intera sala di comando era un enorme bomba: ogni tentativo di forarla o penetrarla a forza avrebbe causato l’esplosione e la conseguente ingovernabilità della nave.
Nei database Imperiali non c’era nulla di simile a una simile tecnologia, anche se la pratica di distruggere le informazioni vitali non era inusuale. Ma di questo ci sarebbe stato il tempo di discuterne dopo, a missione compiuta.
Il grosso portale, emettendo un suono cingolato che si espandeva lentamente nell’atmosfera rarefatta e stantia, si aprì, rivelando al suo interno un’oscurità che pareva ribollire di migliaia di tizzoni ardenti.
Un faro occasionalmente illuminava un arto, una lingua aguzza terminante con un ovopositore, un artiglio, un piede. - FUOCO!
Sciamarono, come una nube di locuste sui ranghi affastellati dei Terminator.
Frammenti di corazza chitinosa volarono per aria mentre i cadaveri si spiaccicavano al suolo, come pula che si separa dal frumento.
I Cannoni d’Assalto intonavano un monotono cantico di morte, spirali sequenziali di petali di fuoco impattavano ferocemente dilaniando carni ed ossa, mentre i ruggiti di dolore degli alieni facevano da coro all’intera scena.
Ben presto il combattimento divenne ravvicinato, una mischia disordinata sull’icore scivolosa, alla quale presto si unì una buona quantità di sangue di un colore rosso intenso. Non era adesso il momento di cedere. Adesso dovevano dare tutto in un’orgia di furia e morte.
Qua e là si consumava l’estremo eroismo: laggiù un Terminator, ormai con il ventre squarciato, sovraccaricava il lanciafiamme e portava con se almeno una dozzina di mostri, là un altro parava i colpi con lo Scudo Tempesta e rispondeva con il Martello Tuono, rimbombando per tutto il salone.
Poi, lo vide: un’oscenità gonfia, adagiata su un trono. Si drizzò in piedi, sovrastando i suoi figli. Ruggì, e sembrò penetrare nelle menti e nei cuori bianchi, inchiostro di una disperazione assoluta.
Non si scoraggiarono: sapevano che una volta ucciso il Patriarca avrebbero avuto campo libero. - Il Patriarca! Eliminiamo la feccia Xenos una volta per tutte!
Il Capitano si mosse, veloce.
Optò per il lancio di una granata, non un modello normale in dotazione alle forze Imperiali, ma un sofisticato pezzo di artigianato prodotto dai più bravi Artificieri del Capitolo, un piccolo congegno al plasma che era in grado di raggiungere una temperatura di moltissimi gradi. Normalmente un Terminator non sarebbe stato in grado di lanciare una granata, a causa delle dimensioni del maglio ad energia, ma non il Capitano: quello che indossava infatti era un pezzo pregiatissimo, dotato di armi digitali (piccoli laser utili in corpo a corpo) e un lanciagranate integrato con due colpi.
Il proiettile compì un breve volo, impattando sul torace dell’alieno. Ci fu una forte luce a forma di sfera e un gran botto; l’espediente sembrò funzionare: l’enorme bestia ruggì di dolore mentre si reggeva il torace ustionato e carbonizzato.
Approfittando della confusione temporanea tre Terminator, armati con martelli tuono e scudi tempesta, circondarono il Patriarca tempestandolo di colpi; tuttavia l’oscenità aliena era lungi dall’essere fuori combattimento: presto furono eliminati, lo scudo spezzato e il martello rotto, dilaniati da un vortice di possenti artigli e da un morso micidiale, che un uomo comune non avrebbe potuto osservare chiaramente, tanto era veloce.
Nel mentre, vedendo il Patriarca in difficoltà, la furia dei Genestealer era aumentata ancora di più, in una scarica di adrenalina.
I Marines dovevano terminare alla svelta il combattimento, altrimenti non ci sarebbe stata nessuna speranza.
Il Capitano fronteggiò la creatura, sparando a bruciapelo là dove aveva impattato la granata e creando un buco ancora più grosso dal quale usciva il tipico icore acido alieno.
Il Cappellano sia avvicinò da dietro, troncando una gamba con un fortunato colpo di Crozium Arcanum e azzoppando la bestia.
Ma non era ancora finita, anche se prono il Patriarca rappresentava un nemico da non sottovalutare.
C’era solo una possibilità: andava eliminata la testa.
Anni e anni di addestramento e di lotta avevano ormai temprato l’animo guerriero di ognuno dei presenti, ed era compito dei comandanti spronarli ed incitarli al massimo sacrificio, affinché nessuno di loro fallisse il compito di difensore dell’Umanità che gravava come un pesante fardello sulle loro spalle.
Non pensando al sacrificio personale, il Capitano colpì con tutta la sua forza attraverso la prominente dentatura aliena, la quale scattò repentinamente bloccando nel mezzo il maglio ad energia con la semplice forza delle mascelle. Era quello che voleva: innescò direttamente la granata, facendo saltare guanto, mano e la testa del Patriarca. Avevano vinto. Crollarono entrambi a terra. Il sangue stava già iniziando a coagularsi, sul moncherino del braccio, appena si rialzò (a fatica), i Terminator si concessero un urlo di vittoria.
Gli alieni rimanenti sembravano allo sbando: proprio come le api, una volta uccisa la regina veniva a mancare una guida e buona parte dell’istinto combattivo, perciò fu abbastanza semplice liberarsene, nonostante le successive perdite. Fu abbastanza semplice,a questo puro, cambiare la rotta della nave.
Dei venticinque Marines iniziali ne erano rimasti appena otto, tuttavia non avevano né disonorato il Capitolo né erano venuti meno alla loro missione.
Adesso, era giunto il tempo del riposo e della sepoltura degli eroici guerrieri deceduti nell’adempimento del loro dovere, mentre la Malleus Hereticis faceva ritorno a casa viaggiando nello Spazio Warp.
I riti di Sepoltura vennero amministrati nella cappella principale dell’astronave, mentre sul pianeta di Gounax si gioiva per lo scampato pericolo; nessuno avrebbe dovuto abbandonare i propri campi, e i commerci sarebbero potuti proseguire senza intoppi. Si arrivò persino a proporre una medaglia e un riconoscimento al capitano Albertus, proposta che però venne prontamente bocciata quando si venne a conoscenza del passato burrascoso dell’uomo.
Forse, avrebbe avuto altre occasioni per rifarsi, anche se con uno di quella risma non era assolutamente detto.
L’Adeptus Mechanicus sarebbe arrivato di lì a poco, per esplorare il Relitto Spaziale nella sua interezza e per cercare di carpirne i segreti.
Alcune luci adesso brillavano intorno al Relitto: alcune Fregate d’Assalto stazionavano vicino all’immensa forma, ormai piena di cadaveri alieni.
Tutto era tornato alla tranquillità.
Almeno, fino alla prossima missione.

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