Sekai no Hajimari no Hi

di Harriet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Every dream is dreamt by two ***
Capitolo 2: *** II - We dream the same ***
Capitolo 3: *** III - Dream for me ***
Capitolo 4: *** IV - Someonelse's dream ***
Capitolo 5: *** V - Saved by a dream ***
Capitolo 6: *** VI - Dreams in the land of Twilight ***
Capitolo 7: *** VII - Dream and Wake ***
Capitolo 8: *** VIII - Episode 24 ***
Capitolo 9: *** IX - The face of a faded dream ***
Capitolo 10: *** X - Atarashii Sekai ***



Capitolo 1
*** I - Every dream is dreamt by two ***


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Salve! E grazie di essere qui!
Questa storia è un mega omaggio ai manga e agli anime, e i debiti di ispirazione sono tanti. Li ammetto senza problemi!
E' ambientata in Giappone, ma non è un Giappone realistico. E' il Giappone sognato dagli appassionati di manga, immagino...
I personaggi sono stati battezzati da alcuni dei miei amici.
Questa storia è stata scritta per metà a marzo, quando non avevo nemmeno idea che esistesse una cosa fichissima chiamata “Heroes”, quindi, no, Iori e Shuichi non sono parenti di Isaac Mendez. Sono sicura di aver assorbito l'idea di dipingere il futuro da qualche parte che non ricordo. E comunque, i loro poteri funzionano in maniera diversa...
Questa storia, oltre ad essere un omaggio ai manga e alle storie, parla anche di rapporti umani. E di quanto sia interessante lasciare che un altro essere umano entri nella nostra vita.
Per questo è dedicata un po’ a tutti i miei amici.
Spero vi diverta almeno un po'...

La citazione iniziale di questo capitolo viene da “Inside your heart”, delle Fiction Junction, e la traduzione è quella di animelyrics.com.

Buona lettura!

Sekai no hajimari no hi
Il giorno dell’inizio del mondo


I - Every dream is dreamt by two

Kimi ga kimi ni deau tame no story
ima shizuka ni
hajimaru...

(La storia di te, in viaggio per incontrare te stesso
comincia ora, in silenzio)

Ci siamo incontrate un giorno luminoso, abbiamo iniziato a seguire la stessa strada, consapevoli appena che avevamo creato un legame.
Abbiamo riso e pianto, abbiamo disegnato sogni e intravisto risposte. Abbiamo dato vita alla magia, al genere più difficile di magia.
E poi abbiamo promesso che ci saremmo sempre state.
E poi non c’eravamo più, ma non per colpa nostra.
E adesso io non so dove sei, e mi sembra che una parte del mio cuore sia irraggiungibile per sempre.
Però...non ho perso le speranze di ritrovarti, anche perché i tuoi messaggi mi raggiungono, così come sono certa che i miei arrivano a te.
Hai fatto anche tu quel sogno, vero? Sono sicura che anche a te è stato affidato qualcosa.
C’è qualcosa, in questa città, nell’aria, oltre la realtà, che combatte accanto a noi due.
Noi due esisteremo sempre.
Anche se non dovessi rivederti mai più. Anche se arrivassi alla fine della mia vita, con l’ultima immagine che ho ora di te: una ragazza appena sbocciata, che ride e mi sommerge con una miriade di disegni, prima di correre via perché è in ritardo ancora una volta.
Esisteremo sempre. Anche se non riusciremo ad incontrarci mai più, la storia che abbiamo fatto iniziare andrà avanti e sarà raccontata tutta.

*

Come si era cacciato in quella situazione? Come era riuscito a combinare una cosa tanto assurda?
Soprattutto...come pensava di venirne fuori?
C’erano almeno venti persone, attorno a lui, e se quelle malintenzionate erano cinque o sei soltanto, gli altri, avvoltoi curiosi, probabilmente avrebbero causato più danno che altro con la loro presenza lì.
E poi lo mettevano a disagio più di quanto non lo fosse già.
- Spostati di lì.- gli intimò quello che gli era più vicino, un giovane alto, dall’espressione non esattamente rassicurante.
- Perché non facciamo tutti finta di nulla e ve ne andate?- tentò di mediare, sentendo che la voce tremava, le gambe tremavano di più e accorgendosi di non avere idee per risolvere la cosa pacificamente.
- Non c’entra niente lui, è stata colpa mia!- gemette la piccola persona raggomitolata a terra, dietro di lui. E lui si sentiva di concordare pienamente con quell’affermazione. Non c’entrava niente, aveva combinato tutto quell’idiota, lì a terra. Un idiota che lui stava proteggendo da quelli che aveva fatto arrabbiare, anche se era la prima volta che lo vedeva in vita sua.
Non era un buon motivo per mollarlo lì, comunque. Però, se fossero riusciti a cavarsela senza troppi danni fisici, magari gli avrebbe detto con decisione cosa pensava degli scherzi stupidi, ecco.
- Allora, ti sposti o no?- La minaccia venne da un altro del gruppo.
- Beh...no.-
Geniale. Gli venne da ridere, nonostante la situazione assurda in cui si trovava, e questo fece infuriare ancora di più quelli che gli stavano attorno. Uno di loro scattò in avanti e lo afferrò per le spalle. Lui chiuse gli occhi e strinse i denti. Era alto e robusto, ma non aveva mai nemmeno provato a fare male a qualcuno, neanche per difendersi. Gli faceva venire da ridere anche questo.
Incredibile, fu il ragazzino a terra a reagire per lui. Scattò in piedi e si attaccò al braccio dell’aggressore, gridando di lasciarlo fare, che era solo colpa sua.
Ma la gente che era lì a guardare...a nessuno veniva in mente di aiutarli?
L’aggressore si scrollò di dosso il ragazzino, gettandolo a terra di nuovo. E lui aprì gli occhi, immaginando di dover fare qualcosa.
- Basta! Che cosa state facendo? Se non lo lasci andare chiamo la polizia!-
Una voce irata di donna interruppe il brutto momento. Tra la piccola folla si fece largo una ragazza che indossava la divisa dei commessi del centro commerciale, teatro di quella scena penosa. Sembrava veramente decisa, ed aveva già pronto il telefono per mettere in atto la sua minaccia.
Sembrò funzionare. L’aggressore lasciò andare la sua vittima, e si allontanò, insieme ai compagni. Il gruppetto di curiosi si dissolse ad una velocità impressionante, e al centro della scena rimasero solo due ragazzi, uno esile e piccolo, a terra, spettinato e col viso sporco di sangue, l’altro alto e robusto, con lunghi capelli neri ad ombreggiargli il viso serio. A terra, poco distante, giaceva una cartella, dalla quale erano usciti fogli ricoperti di schizzi e disegni.
- Si può sapere cos’è successo?- si alterò lei. Era piccola, portava i capelli legati e gli occhiali.
- Mi dispiace, ho fatto casino di nuovo.- piagnucolò il ragazzo a terra. – Mi dispiace davvero. Io non...-
- E piantala.- mormorò l’altro. Poi gli tese la mano per farlo rialzare.
- Come vi chiamate? Che ci facevate qui?- incalzò lei.
- Shuichi Yukishiro.- rispose il più alto. – Ed ero qui per fare acquisti, come la gente normale in un centro commerciale.- Intanto l’altro si era sollevato in piedi, con un po’di fatica, emettendo un lamento. – Ti hanno fatto male?-
- E’ stata solo colpa mia!- continuò a piagnucolare l’altro.
- Se lo ripeti un’altra volta ti faccio male io! Insomma, sei così noioso che quasi te lo sei meritato.- rispose tranquillo Shuichi. L’altro spalancò gli occhi, sconvolto da quelle parole così dirette.
- Mi sembra che stiate bene.- li interruppe la ragazza, con un sospiro. – Vedete di non mettervi più nei guai, voi due.-
Detto questo si allontanò in fretta, lasciandoli soli e sempre più a disagio.
- Ehi, perché dovremmo metterci nei guai insieme di nuovo?- domandò Shuichi. – Non credo ci rivedremo, dopo oggi.-
- Immagino tu non abbia assolutamente voglia di rivedermi.- commentò l’altro. – Scusami per il casino. Spero non ti abbiano fatto male.-
- Ma no. Senti, mi spieghi come ti è venuto in mente di dire a quel tipo che sua madre sarebbe morta? L’avrebbe capito chiunque, che quello lì non era proprio il massimo della gentilezza.-
La faccia dell’altro ragazzo si fece triste, e lui abbassò la testa, come sconfitto da qualcosa di più grande di lui.
- Non lo so. Non lo so davvero. Non è colpa mia.-
- Eh, infatti sono stato io a dirlo...-
- Sul serio! E’ che...a volte...-
- Ti viene voglia di fare scherzi idioti alla gente?-
- NO! Non faccio apposta.-
- Hai una doppia personalità?-
Gli occhi dell’altro si riempirono di lacrime, e per quanto si fosse sforzato, alla fine vennero fuori.
- Grazie comunque.- riuscì a dire. – Vai adesso, però.-
- Senti, scusami. Non volevo offenderti. Non volevo...Insomma...Vabbè. Ammetterai che dici cose strane.-
- Non è che lo voglia!- protestò l’altro, tentando di arginare le lacrime.
- Dai. Tranquillo. Va bene.- rispose Shuichi, piuttosto imbarazzato. – A me la gente strana piace. Davvero.-
- Io le vedo, le cose, e già quello fa paura, e quando mi viene da dirlo ai diretti interessati è ancora peggio!- si sfogò l’altro ragazzo. Non che Shuichi avesse afferrato bene il concetto. Però si sentiva in colpa lo stesso.
- Qualunque cosa significhi, mi dispiace.- tentò di consolarlo, ma l’altro ormai aveva ceduto alle lacrime. – Come ti chiami?- iniziò, per distrarlo.
- Hikari Aoi.- balbettò. – Adesso vado. Grazie di tutto e scusami.-
Si voltò, scappando via prima che Shuichi potesse dirgli qualunque cosa. Solo che dopo pochi passi si voltò, fermandosi in mezzo al corridoietto che ospitava tutti i bar del centro commerciale, e fissando negli occhi Shuichi.
- I tuoi guai cominciano oggi.-
Lo aveva detto con una voce... inquietante. Più sicura, più autorevole. Non c’era traccia del tipo piagnucoloso, in quella frase.
- Cosa...- mormorò Shuichi, continuando a non afferrare il senso del mistero che era l’altro.
All’improvviso l’espressione dell’altro s’incrinò, e Hikari ridiventò la persona di prima.
- L’ho fatto di nuovo! Te ne sei accorto?- gemette.
- Mi sono accorto che mi dicevi cose insensate.-
- Non volevo! E’ che l’ho visto!-
- Visto cosa?-
- Che i tuoi guai cominciavano oggi.-
- In effetti ti conosco da oggi e per ora mi hai già messo nei guai.-
Hikari abbassò la testa di nuovo, incapace di dare spiegazioni logiche. L’altro si fermò a riflettere per un attimo, squadrando il ragazzo più piccolo, come per studiarlo.
- Stai cercando di convincermi che hai come...delle premonizioni?-
-...sì. Ma tu ci credi?-
- Non lo so.- Shuichi si incupì. – Conoscevo una persona che ci capiva, in queste faccende. Ma a me non piaceva granché, come cosa, e questa persona non me ne parlava mai.-
- Scusami. Non ho idea di cosa possa voler dire. Non so, non lo so mai. Io prevedo, e delle volte è come se ciò che vedo fosse più forte di me, volesse venire fuori. Così lo dico alla gente, alle persone che hanno provocato la visione. A volte è chiaro, a volte non ha senso. Ma non so spiegarlo. Così finisce per essere tutto perfettamente inutile.-
Fece un sorrisino desolato, poi accennò un inchino.
- Ora ti lascio andare davvero. Perdonami.-
E sparì veramente, nel labirinto del centro, senza sentire le deboli proteste di Shuichi, che tentava di richiamarlo.
Sparì, e Shuichi fu colto da una sensazione senza nome, ma veramente brutta.
Come di errore.
Come di incompletezza.

Da dietro uno scaffale, in uno dei negozi lì vicino, la ragazza con gli occhiali mormorò un’imprecazione, mentre si toglieva la casacca della divisa (che non era sua), e cercava di ricordarsi dove accidenti l’avesse presa, prima.
Era andata bene, fino a un certo punto. Si erano incontrati. Aveva lavorato bene, da parte sua, e l’incontro era avvenuto.
Ma si erano separati bruscamente, quello scemo di Hikari Aoi se n’era fuggito in quel modo, e chissà se si sarebbero ritrovati ancora!
Sospirò, decidendosi finalmente a muoversi di lì.
Si doveva fidare.
Aveva fatto quanto era in suo potere, e non doveva dimenticare che non era sola, in quell’assurda faccenda.
Tsugumi era con lei. Tsugumi era lì, da qualche parte, in quel preciso istante, molto probabilmente, e il fatto che lei non potesse vederla non significava che la forza costante di Tsugumi non fosse al lavoro, per il suo stesso motivo.
Il pensiero di Tsugumi le fece tornare un po’ di buonumore. Erano sempre insieme, e anche se ora avevano un compito più complesso di quelli che si imponevano quando erano ragazzine, il loro lavoro di squadra era sempre stato invidiabile, e anche questa volta ce l’avrebbero fatta.
Insieme.

Shuichi si incamminò verso il negozio che gli interessava, stringendo la cartella, nella quale aveva infilato alla rinfusa i suoi disegni. Era pensieroso, infastidito e oppresso da quella sensazione inspiegabile.
Mah.
Forse aveva veramente bisogno di stare un po’ di più tra gli esseri umani.
All’improvviso si scontrò con una donna che usciva correndo da uno dei negozi. Era la giornata degli incontri poco fortunati. La cartella gli sfuggì di mano e i disegni si sparpagliarono ovunque, di nuovo.
Che bello.
- Oh mi scusi mi scusi mi scusi!- esclamò lei, con un livello di voce da assordare all’istante l’uomo più sano del mondo.
- Ma no, si figuri. Ero distratto io.- le rispose, desideroso solo di essere lasciato in pace dal resto dell’universo.
La donna si mise subito all’opera per rimettere insieme i poveri maltrattati disegni, anche se per Shuichi quello non era un favore, ma un tormento. Per fortuna i disegni furono raccolti in fretta, e la donna glieli rese, con aria contrita.
Tutti tranne uno. C’era ancora un foglio che stazionava triste in un angolo. Lei si precipitò a prenderlo, e prima di renderlo al suo proprietario si fermò a guardarlo.
- Oh! Che bello schizzo!- esclamò, forse per farsi perdonare del disastro.
- Ah. Grazie.- rispose lui, colto alla sprovvista. Poi guardò il disegno, e per la seconda volta in quella giornata si sentì veramente spiazzato.
Quando lo aveva fatto?
Riconosceva il tratto: era senza dubbio la sua mano. Ma non avrebbe assolutamente saputo dire quando, come e perché quel disegno era nato.
Raffigurava uno scrittoio d’epoca. Su di esso vi erano una candela ed un calamaio, con la sua penna. E poi una busta...una modernissima busta, già chiusa ed affrancata, in attesa di ricevere un indirizzo per poter essere spedita.
Ma che senso aveva?
- Molto bello. Enigmatico ma bello.- scherzò lei. – Oh accidenti!- esclamò all’improvviso, col solito adorabile tono di voce. – Per fortuna ho visto questo disegno! Mi stavo scordando di una spedizione importantissima che ho da fare! Devo comprare i francobolli! Lei non lo sa, ma mi ha appena salvato la vita!-
E detto ciò affibbiò il disegno al suo stralunato (immemore) proprietario, e corse via.
Shuichi rimase a fissare il nulla, stringendo il disegno in mano e chiedendosi cos’era quel sentimento che aveva colto prima, tra lo stupore e l’incredulità, mentre la donna guardava il disegno e realizzava qualcosa.

Finalmente si era lasciato alle spalle il centro commerciale e tutte le assurdità di quella giornata. Ora sarebbe andato a casa e...
Urla, parole concitate, agitazione, gente che correva da tutte le parti.
Si fermò in mezzo al marciapiede, e comprese subito quel che era successo. Una delle villette lungo la strada era in fiamme. Immaginò che l’incendio lo avesse provocato qualche esplosione. In lontananza si sentivano le sirene dei vigili del fuoco, ma non sarebbero riusciti a salvare molto: le fiamme erano troppo alte e la casa già troppo devastata. Il cuore perse un battito, e la sua naturale sensibilità gli fece domandare subito, con ansia, se non ci fosse qualcuno in quella casa.
E poi spostò gli occhi sulla folla che attorniava la casa, e notò una persona.
Che...che cavolo ci fa lì, quello?
Irrimediabilmente attratto da ciò che stava accadendo, come si è attratti solo dai guai, Shuichi accorse verso il luogo del disastro, e raggiunse la figura che lo aveva richiamato lì.
Che naturalmente stava piangendo, fissando le fiamme come se quel disastro fosse avvenuto per causa sua.
- Devi essere un frignone del cavolo.- lo apostrofò. – Cos’è successo?-
- Vattene!- gridò l’altro, tra i singhiozzi. – Non hai idea di ciò che dici, quindi vattene!-
- Ehi, scusami. Perché sei qui?-
- Non lo so! Perché i miei poteri mi ci hanno portato, credo. Io gliel’avevo detto, ma non sapevo cosa sarebbe accaduto, e nessuno ha potuto fare nulla!-
- Ma cosa...-
Poi capì, e allo stesso tempo desiderò non aver mai capito. Poco distante c’era uno dei ragazzi che li avevano aggrediti prima. Quello a cui Hikari aveva predetto la morte della madre. Il ragazzo stava gridando, indicando la casa, infuriandosi con chi lo teneva fermo. Shuichi rabbrividì.
- Non...non vorrai dire che...sua madre era...-
- Succede sempre così.- rispose Hikari, continuando a piangere. – Ha senso vivere così, secondo te?-
Shuichi voleva dire qualcosa, voleva capire meglio, voleva consolare l’altro, ma non venne fuori nemmeno una parola.
Quel tipo aveva detto ad un ragazzo che sua madre doveva morire. Ed era successo davvero. E a meno che quel frignone non fosse andato appositamente ad appiccare il fuoco (ma non gli sembrava il tipo), allora...
Quella donna era morta, proprio come quel tipo aveva previsto.
E poi tutto fu rovesciato, e Shuichi sperimentò che non c’era mai fine allo stupore e alla follia. Perché in quel momento accadde qualcosa di prodigioso.
Una donna accorse sul luogo del disastro, gridando e facendo grandi gesti. Il ragazzo disperato la vide: sembrò rianimarsi, e le corse incontro, chiamandola “mamma”.
- Sua madre? Ma allora...-
Già, non era morta, ma questo non cambiava la straordinarietà della situazione.
- Non è morta.- mormorò Shuichi, tentando di venire a patti con la sensazione di stare vivendo qualcosa di veramente troppo grande anche solo da immaginare. – Non è morta, perché non era in casa. E non era in casa perché doveva andare a comprare dei francobolli!-
- Cosa?- mormorò Hikari, sconvolto.
- E le sono venuti in mente in francobolli perché ha incontrato me. Perché ha visto un mio disegno. Che non ricordo di aver fatto. Ma se non lo avesse visto, sarebbe tornata a casa, e ci sarebbe stata l’esplosione, e...-
E fu questione di un istante: c’era un vento impetuoso attorno a lui, che però poteva sentire solo lui, e una voce invase la sua mente, dolce e prepotente, promettendo cose lontane e oscure, che lo attraevano...
Vuoi capire il senso di tutto, vero?
Vuoi andare a casa, vero?
Vuoi che troviate la strada di casa insieme?
Vuoi condividere un destino misterioso?
Il prezzo da pagare sarà alto, ma non sarai mai più vuoto.
Puoi anche rifiutare, ma non saprai mai cosa significa veramente essere completo.
E ora scegli...

D’istinto afferrò la mano dell’altro.
Ora.
- Il disegno ha completato la tua premonizione. Riproviamo!-
- ...che cosa?-
- Devi dirmi quando hai la prossima premonizione. Voglio vedere se funziona ancora. Se io...se un mio disegno può...spiegarla, o far sì che non si avveri. O comunque aiutarci a capirla.-
- Che...cosa?- ripeté Hikari, stravolto. – Ma non ha senso! E’ una coincidenza, per forza! Come puoi esserne così sicuro?-
Già, appunto, come faceva ad esserne così sicuro?
- Fidati.-
Questo non rispondeva alla domanda.
- Io...-
- L’hai detto tu, che vivi da sempre così e non ce la fai. Proviamo. Magari è una follia, magari no. Potrebbe essere la soluzione che aspettavi da una vita.-
- Sì, ma a te...- mormorò Hikari. – A te che cosa importa?-
Quella era una buona domanda.
- Non lo so. Cioè. Niente, credo. Ma... penso sia la cosa giusta.-
Hikari si asciugò gli occhi e questa volta smise di piangere davvero.
- Mi sembra assurdo, ma tanto non è che tutto il resto fosse molto normale, anche prima.- rispose. – Va bene, proviamo.-
Rimasero in silenzio a fissarsi, entrambi con la strana sensazione di non essere veramente nella realtà.
- Promettimi che sarai meno lamentoso, però.- finalmente Shuichi ruppe il clima quasi sacrale.
- E tu meno brutale!- protestò Hikari.
- Dai, non dirmi che te la prendi per come parlo.-
- Invece sì, non sei né educato né gentile.-
- La prossima volta lascio che ti picchino, eh.-
- Vuol dire che me la caverò da solo!-
- Senti, ma tu sei almeno alle medie, vero?-
-...ho quindici anni, anche se non sembra.- sospirò l’altro, rassegnato.
- Oh. In effetti. Cioè, scusa, volevo dire...-
- Lascia perdere.-
- Ok. Io ne ho sedici.-
- Ti devo chiamare Yukishiro senpai?- domandò Hikari, che sembrava poco contento dell’idea.
- Ma no. Mi farebbe troppo ridere. Va bene Yukishiro. Comunque...Io penso di avere seriamente bisogno di un caffè. Vuoi venire con me?-
- Non lo bevo, il caffè.-
- Sei davvero un moccioso, comunque.-
- Ma che cavolo dici?-

Dal suo angolo riparato, dietro una delle villette contigue a quella incendiata, la donna guardò i due che si allontanavano insieme, e sorrise. Le dispiaceva che avessero dovuto conoscersi in un’occasione simile. Avevano avuto paura, avevano temuto che la donna fosse morta.
E invece no, ed era tutto grazie a loro.
Nemmeno lei avrebbe potuto prevederlo...anche se avrebbe dovuto immaginarlo, ovviamente. Non era nuova a questo genere di cose, e poi quei due erano fatti per condividere la stessa misteriosa magia, e finalmente erano riusciti a scoprirsi.
E tutto grazie a noi.
Sospirò e si fece triste per un attimo. Chissà dov’era Iori. Da qualche parte, lì attorno, di sicuro, e lei non poteva vederla!
Ciò non toglieva che Hikari e Shuichi si fossero incontrati grazie al loro lavoro combinato.
Ancora una volta, anche se una maledizione le aveva separate, erano riuscite a sfidare il destino insieme.

...continua...

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Capitolo 2
*** II - We dream the same ***


GRAZIE davvero a chiunque abbia letto o commentato! *abbraccio collettivo*

Segue ancora un capitolo vagamente crack, prima di tuffarsi nella storia vera e propria. Spero i nostri 4 squinternati eroi possano divertirvi...

Buona lettura!




II – We dream the same

Kibou no tane wo

sagashi ni tobitatsu




Si svegliò con la sensazione di aver combinato qualcosa di strano, il giorno prima. Qualcosa di sbagliato. Il genere di cose che la gente di solito non fa. Quel tipo di casini che...

Oh, insomma!

Gettò via le coperte e scattò in piedi, sentendosi per niente riposato e oppresso da un mal di testa che non lo avrebbe abbandonato facilmente. Se quello era il pagamento per aver aiutato il prossimo...

Beh, ci era abituato, a quel genere di pagamento.

Si vestì in fretta, presentandosi subito dopo nella grande cucina, ancora mezzo addormentato. Sua madre chiacchierava allegramente con i gemelli, mentre sua sorella dava da mangiare al gatto. Mormorò un saluto a mezza voce, senza curarsi di un’eventuale risposta. Si sedette nel suo angolo, dopo essersi versato un po’ di caffè. Il sole entrava di prepotenza nella stanza, dalle immense finestre, e le pareti candide aumentavano quell’inondazione di luce. E lui avrebbe voluto chiudere gli occhi e tenerla lontana, perché sembrava facesse apposta per svegliarlo.

- Shuichi, oggi non farai tardi come ieri, vero?-

Realizzò con fatica che sua madre si era rivolta a lui. Ieri? Ieri. Sì. Forse ci stava arrivando. Dopo la scuola era andato al centro commerciale, in quella cartoleria niente male, per l’esattezza, in cerca di alcune cose che gli servivano per disegnare.

Sì, ma perché aveva fatto tardi?

Ah, , certo. Aveva difeso uno scemo isterico da un’aggressione, e aveva salvato la vita ad una donna grazie ad un disegno che non ricordava di aver fatto.

- Uhm. No, tranquilla. Non credo che farò tardi come ieri.-

- Dov’eri, ieri sera, nii-san?- scherzò Daisuke, uno dei gemelli. I suoi fratellini, più alti e robusti di lui, che comunque si dava da fare, da quel punto di vista. Gli sportivi di famiglia. L’orgoglio di famiglia.

- A comprare le cose che mi servono per disegnare.-

- Sì, certo, e noi ci crediamo!- rincarò la dose Naoko, la sua temibile sorellina.

- Davvero.- insisté lui, senza cercare di essere convincente. – Poi mi sono fermato a prendere un caffè con un amico.-

Silenzio attonito.

- E’ un problema se mi fermo a prendere un caffè?-

No, forse la parola dello scandalo non era caffè.

- Oh. Bene.- iniziò la madre, quasi commossa. – E’ un tuo amico di scuola?-

No, assolutamente, è uno che ho raccattato ieri pomeriggio al centro commerciale, mentre rischiava di essere fatto a pezzi dalla gang di uno stronzo, al quali aveva avuto la bella idea di predire la morte della madre.

- No. E’ uno che va al liceo Haru.-

- E come lo hai conosciuto?- incalzò lei.

- Al centro commerciale. Qualche tempo fa.- aggiunse subito dopo, immaginando lo stupore collettivo se avesse confessato che era accaduto tutto il giorno prima.

- E come si chiama?-

- Hikari.-

Insomma, va bene che Shuichi con un amico è una notizia strabiliante, ma non così tanto da giustificare un terzo grado!

- E’ uno che disegna?- chiese Naoko, finalmente lasciando andare quel maledetto gatto. Shuichi lo odiava con tutto se stesso. Soprattutto da quando aveva deciso che la missione della sua vita era di pisciare sui disegni di Shuichi. (Che Shuichi lasciasse le sue opere in giro nei luoghi più assurdi, quella era un’altra questione.)

- No.-

- E’ uno di qualche club scolastico? Ti sei finalmente iscritto a qualche club scolastico?- chiese Hideki, l’altro gemello.

- E’ il tuo fidanzato?- incalzò Naoko, con una di quelle occhiate che solo le ragazzine sanno tirare fuori, quando si parla di certi argomenti.

- No, niente di tutto questo.- sospirò lui. Voleva rinascere in una famiglia dove tutti si facevano gli affari propri.

- Fa volontariato da Kotori insieme a te?- La domanda di Daisuke però le batteva tutte. Shuichi non poté nascondere il suo imbarazzo. Naoko si congelò, voltandosi verso la madre con aria interrogativa. Hideki fece una risatina.

E sua madre... diventò il ritratto dello sdegno.

- Kotori? Cosa significa questo?- si adirò fulminea. – Non avevi smesso di andarci?-

- Chi è Kotori?- si intromise Naoko.

- La vecchia che ha il negozio di vernici.- spiegò Hideki. – Shuichi ci andava spesso. Lavorava come commesso lì, e lei in cambio gli dava i colori gratis.-

- Cos’è, avevi paura che mamma non ti avrebbe dato i soldi per comprarti i colori?- domandò la sorellina. Shuichi desiderò sprofondare. Scosse la testa, si alzò in piedi e fece per andarsene.

- Rispondimi!- insisté la madre. – Continui ad andare in quel negozio?-

- Non ci vado più, perché il negozio è chiuso e Kotori è morta due settimane fa.- rispose lui, voltando le spalle a tutti. – E se proprio devo dirlo, ho continuato a lavorare per lei finché non ha chiuso il negozio. Era vecchia e non ce la faceva nemmeno a servire quei tre clienti che venivano.-

- Avevi promesso di smettere!- protestò la madre, ma con meno veemenza.

- Ho smesso, infatti.-

- Lo sai che non mi piaceva, quel posto! Perché mi hai disobbedito?-

- Tanto il negozio è fuori dal centro. E non era frequentato da gente che vi conosce. Non vi ho fatti sfigurare Nessuno sa che vostro figlio perdeva tempo con una vecchia scema e la sua bottega patetica.-

- No, non è questo! Era sempre frequentato da gente strana, gente fuori di testa!- tentò di difendersi la madre, forse colpita dalla notizia della morte della vecchia. Il ragazzo uscì dalla stanza senza rispondere.

Mentre si allontanava dalla cucina, sentì Hideki dire a Daisuke che era un idiota, perché poteva evitare di tirare fuori la cosa, e Naoko che difendeva la posizione materna riguardo al lavoro in una pulciosa bottega di vernici.

Che poi non erano vernici, tanto per cominciare.

Erano colori. Colori di tutti i tipi, dalle matite ai carboncini, dalle tempere ai colori per stoffa. Aveva venduto pastelli a cera ai bimbi delle elementari, e acrilici agli studenti dell’università. Aveva visto maestre comprare scorte di pennarelli per le loro classi, e bizzarri cosplayers venire a chiedere le migliori tinte per stoffe e materiali improbabili.

E si era divertito un sacco. Kotori era un po’ rimbambita, su questo non c’erano dubbi, però almeno se le parlava di acquarello o mine da 1,5 non lo guardava come se fosse stato una sorta di apparizione.

E soprattutto... era un genere di contatto con gli esseri umani che non gli dispiaceva. Vedeva persone interessanti, ci scambiava due parole, ma non le conosceva mai troppo a fondo, e così poteva tenersi il lato interessante che mostravano, senza dover entrare in contatto con il lato sgradevole. E poteva sfogare il suo istinto altruista, per il quale era sempre stato denigrato da tutti. “Diventa più cattivo”, dicevano, fin da quando era mocciosetto delle elementari.

Ci aveva provato.

Davvero, ci aveva provato con tutto se stesso.

Probabilmente non era fatto per essere cattivo, ecco tutto. Così aveva smesso di provare, rassegnandosi a rimanere sensibile, scemo e solo. Non era poi così male, se doveva essere onesto.

Prese la sua roba ed uscì per raggiungere la scuola.

Aveva smesso di provare ad essere cattivo un po’ più di un anno prima. Perché una persona gli aveva fatto capire che non ce n’era poi così bisogno. Così cominciò a pensare a quella persona, ai suoi sorrisi, ai suoi inquietanti accenni a poteri spirituali... e alla sua scomparsa.

E poi per fortuna (prima di diventare troppo triste) gli venne in mente che era in ritardo come la protagonista di uno shoujo, e che aveva come un presentimento strano, per quella giornata.


Tsugumi stava andando verso la stazione, a piedi: era marzo e la primavera si avvicinava sempre più. Le giornate erano limpide e tiepide, ed era un peccato sprecarle tra auto e tram. Tanto poi la aspettavano un paio d’ore di treno, per raggiungere Tokyo e la redazione.

Lungo la strada si fermò ad un’edicola. La negoziante sorrise, la conosceva. Lei prese una rivista di manga – la negoziante immaginava che la sua scelta sarebbe stata quella.

In quel momento arrivò qualcun altro, alla piccola edicola. Qualcuno in ritardo, che probabilmente aveva pensato che tanto valeva ritardare ancora. Lui non la conosceva, ma lei sapeva anche troppo bene chi era lui. Il ragazzo afferrò gli ultimi due volumetti appena pubblicati delle Clamp e una delle più popolari riviste di shounen. Poi ci pensò un attimo, e infine prese anche lo stesso raccoglitore di shoujo che aveva acquistato anche lei.

Tsugumi sorrise. In qualche modo, dunque, si poteva dire che anche lui la conoscesse.

Shuichi corse via, e Tsugumi riprese la sua strada, iniziando a sfogliare la rivista. Come ogni settimana, raggiunse in fretta le pagine dedicate a Yoake no oto, un manga di successo sceneggiato da Eriko Kashino e disegnato da Tsubasa Amane.

Tsubasa Amane.

Cielo, erano proprio prevedibili, lei e Iori!

Era diventata una disegnatrice di successo, la sua piccola amica scema, ma non si era dimenticata di loro, delle loro storie e delle meravigliose avventure che avevano creato, in altri mondi. Tsubasa Amane, uno dei personaggi preferiti di Iori. Tsugumi non l’adorava così tanto. Anzi, avevano litigato un sacco su quel personaggio. Tsugumi voleva addirittura farla morire! Ma alla fine, la perseveranza di Iori aveva avuto la meglio, salvando la povera Tsubasa.

E ora che Iori era famosa, aveva scelto il nome della loro creaturina come pseudonimo.

Beh, non che Tsugumi fosse stata da meno, certo. Ma le faceva sempre tenerezza leggere “Tsubasa Amane” in fondo alla pagina iniziale di ogni capitolo. Che tra l’altro era sempre una meravigliosa illustrazione nata dalle mani talentuose di Iori. Questa settimana c’era una delle protagoniste, vestita con un abito occidentale ottocentesco, ritratta sotto la luna.

In ogni tratto di quell’immagine, Tsugumi avrebbe potuto ritrovare un frammento della loro adolescenza. Una goccia della loro fantasia, condivisa fin dal primo momento in cui si erano incontrate. Un inno alla loro amicizia, nella più fine e insignificante linea dello splendido disegno.

Sospirò, facendo sparire la rivista nella borsa. Era arrivata alla stazione. Un treno l’avrebbe condotta a Tokyo, in città avrebbe preso un tram, e nel giro di due ore e mezza avrebbe raggiunto la redazione dove si pubblicava quella rivista.

Lo stesso luogo nel quale in quel periodo lavorava la ricercatissima disegnatrice Tsubasa Amane.

Sì, lo stesso luogo. La famosa Tsubasa Amane, e la giovane sceneggiatrice emergente Nagisa Hidenori in quel periodo lavoravano per la stessa rivista.

E... naturalmente, non si erano mai incontrate.


Uscì da scuola col suo solito passo veloce, camminando con lo sguardo fisso, come chi ha un proposito da portare a termine. Solo che lui di solito non aveva nessun proposito. Non ne aveva mai, se non di liberarsi di quella maledizione e smetterla di fermare passanti per strada, rivelando loro verità il più delle volte fastidiose o imbarazzanti.

Cioè, esattamente quel che stava per accadere.

- Se si ferma in questo negozio, perderà il tram.-

L’uomo con gli occhiali si voltò verso di lui, piuttosto sconcertato.

- E tu che ne sai del mio tram?- domandò. Hikari desiderò sprofondare nel cuore più ardente e misterioso della Terra, una volta per tutte.

- No. Cioè. Volevo dire. Mi sembra ci sia un sacco di traffico, e siccome prima si guardava intorno, come per cercare la fermata del tram, magari...-

- Beh, in ogni modo hai ragione.- tagliò corto dell’uomo. – Grazie del consiglio, anche se non ho la più pallida idea di cosa volessi dire!-

L’altro lo lasciò solo, e Hikari dovette farsi forza per non mettersi a gridare – o a piangere, più facilmente.

Perché?

Che senso aveva?

Riproviamo.

Si ricordò del pomeriggio precedente, all’improvviso.

Riproviamo, aveva detto quel tipo troppo schietto.

Il liceo Hanako era vicino. Magari era lì. Lui era appena uscito, magari il tipo aveva qualche attività...

Nel tempo in cui rifletteva sul fatto che sicuramente non l’avrebbe mai trovato, e che se anche l’avesse trovato, quello probabilmente l’avrebbe mandato diritto a quel paese, era già entrato nel parco della scuola, e ora correva verso l’ingresso, con l’orrenda sensazione che il tizio e il tram facessero parte di qualcosa di più importante.

La campanella di fine lezioni suonò mentre ancora si guardava attorno, spaesato, e in breve fu investito dal fiume in piena degli studenti in uscita. Se guardava bene...Se stava attento...Se...

- Sei già nei guai un’altra volta?-

Shuichi gli andò incontro, flemmatico e un po’ depresso come sempre. Hikari invece si illuminò, al vederlo.

- Senti, io...- Poi si rese conto che forse non era molto educato. Piombare così nell’esistenza di un estraneo, assalirlo all’uscita della scuola con i suoi angosciosi dubbi. No, non era educato. Oh, perché doveva essere tutto così complicato?

- Dai, non ti fare problemi.- Shuichi lo prese gentilmente per un braccio, portandolo fuori dalla traiettoria degli studenti in uscita, e conducendolo ad una panchina, appena fuori dal perimetro della scuola.

- Posso...posso spiegarti?- mormorò Hikari, titubante.

- Sei qui apposta, no?-

- Ho detto ad un tizio, davanti alla libreria, qui vicino, che se non si sbrigava avrebbe perso il tram.-

- Tu guarda che bella previsione evocativa.- commentò Shuichi, tirando fuori la sua cartella di disegni. – Ok, vediamo se ho fatto qualcosa di strano che può aiutarci.-

Quando i primi disegni vennero alla luce – disegni fatti con cognizione di causa! – Hikari spalancò gli occhi per lo stupore.

- Ma tu sei... sei veramente bravo!- mormorò, quasi timoroso di toccare i fogli che contenevano tanto splendore.

- Mah, me la cavo.- minimizzò l’altro. – Senti, l’unica cosa strana è questa.- disse poi, mostrando ad Hikari un foglio su cui erano state disegnate delle strane macchie confuse. – E visto così, a me sembra l’effetto dell’inchiostro che si rovescia su un foglio. O sono delle macchie di sangue.-

Hikari guardò a lungo il disegno, poi scosse la testa.

- Non ho idea di cosa significhi. Ma... sei sicuro di aver fatto come con la storia dei francobolli? Cioè, non sai quando l’hai fatto?-

- No.- ammise Shuichi. Ma subito dopo sembrò rianimarsi. – Ma so che manca qualcosa.-

Estrasse un lapis dalla borsa e afferrò il disegno, gettandovisi sopra come in trance. Hikari tentò di balbettare qualche domanda, ma non ebbe alcuna risposta. Shuichi era stato risucchiato dal disegno misterioso.

E quando si rialzò, col viso affaticato e il respiro ansimante, il disegno non era più così misterioso. C’erano vetri rotti, sullo sfondo, e in primo piano lo schizzo di due figure umane, una contro l’altra, in atteggiamento bellicoso.

- Erano macchie di sangue.- disse soltanto. Poi parve tornare in sé. – Ehi, cos’ho fatto?-

- Non lo so.- sussurrò Hikari, confuso. – Non ne ho idea!-

- Dai, ragioniamoci!- tentò di scrollarlo l’altro.

- Ragionare su cosa? Io non riesco a capire, ho guardato il disegno ma...-

- Almeno fai finta di ragionarci, cavolo! Stare qui a fare l’emo non ti servirà a nulla!-

- Eh? Fare cosa?-

- Oh, insomma. Dai, vedendo il disegno e pensando alla premonizione, non ti viene in mente nulla?-

- Uhm... che... che se fosse salito sul tram ci sarebbe stato un dirottamento finito in incidente?-

- Forse. Anche se questi due tipi qui mi sembra che stiano litigando. Non c’è uno dei due che punta una pistola contro l’altro. No?-

- Che ne so io? Il disegno l’hai fatto tu!-

- ...che palle. Comunque, se le cose stanno così, hai fatto bene a dirglielo.-

Tacquero tutti e due, cercando di sentirsi bene all’idea che questa volta era stato tutto molto semplice.

E invece no, e lo sapevano tutti e due.

- Non avrei avuto bisogno dei tuoi disegni.- disse timidamente Hikari. – E invece hai dovuto disegnare, addirittura qui davanti a me. C’è qualcosa che non va.-

- Aspetta...-

Shuichi socchiuse gli occhi, e lasciò che la strana trance lo riafferrasse di nuovo, per trascinarlo con sé. Girò il foglio e schizzò qualcos’altro.

- Cosa... Oh.- mormorò, tornando in sé. – Nuovi indizi da non capire.-

Hikari prese il foglio e si concentrò su quel che vedeva.

Un tram in lontananza. Un uomo con dei libri in mano. Niente sangue, niente vetri rotti.

Dei libri?

- E se questo fosse lui, che si è fermato in libreria e ha perso il tram?- domandò.

- L’altro potrebbe essere lui che...- Shuichi girò il foglio, e indicò uno dei due personaggi ritratti nell’atto di litigare. Aveva gli occhiali, come l’uomo disegnato sul retro del foglio. – Che sale sul tram, litiga con qualcuno, magari col conducente, e provoca un incidente!-

- Allora non dovevo dirgli di prendere il tram!- gemette Hikari, sconvolto. Shuichi scattò in piedi, tenendo in mano il disegno.

- E dai, possiamo ancora fermarlo!-

- E come? Sarà successo venti minuti fa, forse mezz’ora, e adesso...-

- Sì, ma l’incidente succederà vicino a piazza Yamato, e ci vogliono almeno quaranta minuti per arrivarci. Se corriamo molto in fretta, riusciremo a salire alla fermata prima!-

- Ehi, come fai a sapere di piazza Yamato?-

- Uhm...- Shuichi guardò il disegno con i vetri e il sangue, poi ne indicò un punto all’altro. – Vedi? Qui dietro ho disegnato quella strana fontana futuristica che sta lì. Credo. Oh, insomma, è uno schizzo così brutto che non può che essere quella roba.-

- E quando l’hai disegnata? Io prima non l’ho vista!-

- Nemmeno io.-

- E non ti ho visto andare in trance!-

- Magari eri troppo impegnato a fare l’emo. Dai, muoviti!-

Lo afferrò per un braccio, e senza dire nient’altro iniziò a correre.

Hikari pensò che se quello lì non era nel club di atletica, era veramente un idiota.


Arrivarono alla fermata giusta mezzi morti, e praticamente un secondo prima del tram, a bordo del quale Hikari riconobbe il tizio con gli occhiali. Che era in piedi, accanto al conducente, e sembrava piuttosto alterato per qualcosa. I due non stettero nemmeno a scambiarsi un’occhiata: si lanciarono sopra e raggiunsero i litiganti.

- E’ una vergogna! Le chiedo un’informazione, e lei cosa fa? Mi risponde male! Ah, ma io la denuncerò, se lo ricordi!-

- La pianti e si metta a sedere.-

- Andrò a reclamare alla sede centrale della compagnia dei trasporti, e...-

Il conducente imprecò, ed evitò per un pelo un ciclista. Dai passeggeri si levarono parole sdegnate e di ammonimento, ma né il cliente infuriato né il conducente sembrarono farvi caso.

- Mi ricorderò di lei, della sua faccia, mi farò dare le foto di tutti i conducenti che...-

- Ehm.-

L’uomo si voltò, ancora a mezzo della sua orazione contro il conducente.

- E tu che vuoi?-

- Se vuole un’indicazione, può chiederla a me, non c’è bisogno di provocare un incidente.- rispose Shuichi, dimesso come al solito. Dietro di lui, Hikari stava ancora tentando di riprendersi dopo la corsa troppo superiore alle sue possibilità.

- Ma che razza di gente!- proruppe l’uomo, sempre più sdegnato. – Basta, io scendo!-

E lo fece: alla fermata di piazza Yamato corse fuori dal tram, borbottando offese indecenti all’indirizzo del conducente, della compagnia dei trasporti pubblici e pure dei ragazzini impiccioni che turbavano i tranquilli passeggeri.

- Forse saremmo dovuti scendere anche noi.- disse Hikari, che finalmente aveva ripreso a respirare.

- Perché?-

- Perché non abbiamo il...-

- Biglietto, per favore!-

Questa volta i loro sguardi si incontrarono.

- Oh, ma perché?- borbottò Hikari, tornando al suo tono piagnucoloso.

- E’ la conseguenza naturale di quando cerchi di aiutare qualcuno.- rispose Shuichi.

Hikari scosse la testa, rassegnato. Shuichi liquidò tutto con un’alzata di spalle. Poi tirarono fuori i portafogli, preparandosi a mettere insieme i loro averi per pagare almeno metà della multa.




...continua...

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Capitolo 3
*** III - Dream for me ***


Grazie davvero a tutti quelli che seguono e commentano! *inchino*

Buon Natale a tutti!

(La citazione musicale iniziale viene da “Surrender”, di Angela Aki.)




III – Dream for me


You have to mend it, you have to end it

before the chance passes by

Break down the fences and your defences

Open your heart, you have to try

- Questa città ha sempre avuto qualcosa di strano, eh?-

Tsugumi sollevò la testa di scatto, quasi spaventata dalla voce improvvisa che veniva a distoglierla dal suo lavoro.

- Beh...- balbettò, tentando di capire cosa intendesse la bibliotecaria. La quale, appena si fu accorta di aver creato un certo disagio nella donna, si affrettò a scusarsi.

- Non volevo disturbarla o coglierla di sorpresa! Mi perdoni, è che la vedo così spesso qui, e mi chiede sempre libri sulla nostra città, libri di storia e di tradizioni... E mi sono presa la libertà di parlare con lei.-

Tsugumi chiuse il librone su cui era concentrata e scosse la testa, sorridendo.

- Nessun disturbo. Ho letto per più di un’ora, credo di aver bisogno di una pausa.-

- E’ un’insegnante di storia?- domandò la bibliotecaria, una signora più o meno della stessa età di Tsugumi. Nel modo di vestire ricercato e un po’ lezioso, nella voce da ragazzina, aveva qualcosa che le ricordava Iori. E questo era sicuramente un punto a suo favore.

- No.- rispose Tsugumi. – Mi serve per lavoro, però, questa ricerca.-

- Non posso sapere che lavoro fa?-

- Uhm... Mi occupo di fumetti.-

- Oh, ma che bello! E’ una sceneggiatrice, o una consulente, magari?-

- Qualcosa del genere.-

- Sta lavorando a un manga sulla nostra città?-

Sembrava divertita e un po’ scettica, di fronte a quella prospettiva. Tsugumi osservò per qualche istante la collezione di libri che aveva preso, e scosse la testa.

- Non so bene nemmeno io. Forse ha ragione lei. E’ vero quello che ha detto all’inizio. E’ sempre stata una città strana.-

L’altra donna annuì, facendosi pensierosa.

- E’ come se, confrontando le leggende più antiche e quelle vicine a noi, ci fossero degli schemi che si ripetono.- osservò. Tsugumi annuì, colpita da quelle parole così calzanti.

- Esatto. Ci sono cose tipiche di questa città.-

- Luoghi molto cupi, dove succedono cose brutte.- continuò la donna. – Come il parco Tsubaki, qui vicino. Ci sono aneddoti su questa zona da molto tempo. E continuano ad accaderci cose orribili. L’anno scorso hanno ritrovato il corpo di una ragazzina, proprio qui nel parco. Era stata strangolata. E’ stata una mia collega a trovarla: è dovuta rimanere a casa per un mese, era sotto shock.-

- Luoghi maledetti e luoghi magici.- confermò Tsugumi, aprendo uno dei libri. – Per esempio, lo sa che questa zona era considerata sacra, in passato?- Indicò una cartina di quelle terre, due secoli prima. La bibliotecaria si affacciò sul libro, osservando con interesse.

- E adesso cosa c’è, in quella zona?- domandò. Tsugumi rise e voltò pagina, mostrandole una foto recente della stessa area.

- Il centro commerciale più grande della città.-

- Oh, che brutta fine, per una zona sacra!- commentò l’altra, ridendo, ma leggermente inorridita. Tsugumi fece cenno di sì, però avrebbe voluto dirle che, in fondo, quel che c’era di sacro era rimasto. In qualche strano modo...

- E poi, c’è il pattern più comune, nelle leggende della nostra città.- riprese la bibliotecaria, pescando un librettino tra quelli ammucchiati da Tsugumi. – Le presenze benefiche. I misteriosi protettori. Le figure nell’ombra che fanno muovere le ruote del destino nella direzione giusta. E’ affascinante, vero? E anche consolante, se uno ci crede.-

Tsugumi ebbe tre secondi di smarrimento. Poi riuscì a sorridere, ma non poté dire altro.

Affascinante, sì.

E consolante.

E folle, e incredibile, e vero.


- Se scopro che hai fatto qualche previsione a sproposito ai negozianti della cartoleria, ti uccido. Sono gli unici da cui trovo la roba per disegnare a un prezzo decente, e vicino a casa.-

- Non ho detto niente a quelli là! Era il tipo del caffè al secondo piano.-

- Ehi, ma fanno dei dolci notevoli, lì! Se non ci fanno più entrare per colpa tua, è la tua fine.-

- Ma no, dai, perché non dovrebbero più farci entrare?-

- Perché tu hai predetto morte e desolazione al gestore, forse?-

- Senti, gli ho solo detto di comprare un libro, se vuole restare in vita!-

Shuichi si fermò in mezzo alla strada, guardando l’altro con aria totalmente sconfitta.

- Una bella cosa, da sentirsi dire.- commentò, quasi non avesse le forze di reagire altrimenti. Il più piccolo protestò, come al solito, che non era colpa sua. Ma ormai erano arrivati alla loro meta, e la loro difficile missione li strappò da ogni altro pensiero.

Dovevano fronteggiare la vittima della previsione di Hikari e convincerlo, in qualche modo, che Hikari aveva ragione.

Ma prima di tutto, naturalmente, dovevano capire che diavolo significasse la previsione di Hikari.

- Allora...- Shuichi tirò fuori il solito pacco di fogli volanti dalla sua borsa, e si mise a cercarne uno in particolare, disseminando pagine schizzate e colorate ovunque. – Io penso che il nostro disegno sia questo.-

- Sì, se magari eviti di lasciare la scia di fogli, io posso evitare di doverli raccogliere!- rispose Hikari, saltellando qua e là per recuperare i preziosi disegni lasciati in giro con tanta noncuranza.

- Mah. Per quanto mi interessano.- fu la risposta. Hikari si fermò, mentre cercava di acchiappare un ritratto svolazzante. Shuichi si voltò, per capire come mai l’altro aveva smesso di camminare. E incontrò il viso di Hikari, stupito, con un’aria quasi ferita. – Ehi, che ho detto?-

- Riesci a fare cose davvero belle, e non te ne frega nulla?- domandò Hikari, contrariato.

- Insomma. Cioè. Sì, mi importa. Sennò non mi sprecherei nemmeno.- balbettò Shuichi, colto di sorpresa. – E’ che, alla fine, non me ne faccio nulla. Disegno, mi piace, non riesco a farne a meno. Ma poi tutta quella roba rimane nella mia borsa, non serve a nulla e a nessuno. Al massimo te li guardi tu e ci fai tutte quelle facce ammirate. Basta. Non è che devo venderli o cose del genere.-

Hikari guardò con tristezza i fogli che teneva in mano.

- Dovresti.-

- Dovrei cosa?-

- Venderli. Regalarli. Farli vedere in giro, farci qualcosa.-

- Sì, come no. Dai, piantala di pensare ai miei disegni, e vieni qui. C’è un solo disegno che deve interessarti ora.-

Hikari sospirò, e sembrò mettere da parte le rimostranze, per il momento. Restituì all’altro i disegni che aveva raccolto, e si concentrò sullo schizzo che Shuichi gli porgeva.

- Hai una vaga idea del perché dovrebbe servirci a qualcosa un cesto di verdure?- domandò dopo qualche istante, piuttosto perplesso.

- Se l’avessi saputo non l’avrei chiesto a te.-

- Non hai avuto qualche sensazione particolare, mentre disegnavi queste verdure?-

- Sì, un profondo moto di schifo, perché i cetrioli li odio. Ma che cavolo mi chiedi? Non hai ancora capito come funziona questa cosa del disegno? E’ inconscio, non so bene nemmeno quando e come li faccio! Sei tu quello che dovrebbe dare un senso ai miei disegni, con le tue predizioni!-

- Eh, sì, la fai facile, tu! Anche per me è inconscio, e comunque credevo fossi tu a dover aiutare me, con i disegni!-

Shuichi decise di non mandare avanti quella sterile discussione, e si concentrò sulle verdure, che li guardavano dal foglio bianco, beate e serene nel loro cesto, senza problemi di futuro.

- Ripetimi un po’ cos’hai detto al tipo della pasticceria.-

- Che doveva comprare un libro per non morire.-

- Uhm. Non lo so. Magari se non compra il libro decide di andare in un ristorante dove lo avvelenano?-

- Possiamo chiedergli se aveva in programma di andare al ristorante.-

- Oppure nel libro c’è scritto come si cucina la verdura, e se la cucinerà da solo farà qualche casino e finirà per dar fuoco alla casa.-

- Abbiamo sempre bisogno di parlare con lui.-

- Ok. Però ci parlo io, e se ti viene da predire a sproposito, esci dal negozio.-

- Come se me ne accorgessi!-

- E non ti lamentare sempre.-

Shuichi infilò le verdure del mistero nella sua borsa (ancor più del mistero) e si diresse senza indugio verso la pasticceria, bella e scintillante, situata in un angolo strategico del centro commerciale, in un luogo dove chiunque potesse ammirare l’assortimento di dolci esposto in vetrina. Entrò e andò deciso verso l’uomo alla cassa. Quando gli fu davanti, all’improvviso tutto gli sembrò meno chiaro e meno sensato. Così rimase a fissare l’uomo, senza spiccicare parola, con Hikari che si nascondeva dietro di lui.

- Vuoi qualcosa?- chiese finalmente il negoziante, perplesso.

- Ehm. Sì. Noi...-

Hikari, incautamente, fece un passo verso destra, venendo fuori dal suo nascondiglio sicuro. L’uomo interruppe bruscamente Shuichi, iniziando a gesticolare e sbraitare. L’oggetto della sua ira era fin troppo chiaro.

- LUI! Ancora lui! Quel dannato mocciosetto maleducato che si permette di venire a prendermi in giro!-

- No, ecco, se mi ascolta un attimo, non voleva prenderla in...-

- Ti ho già detto un’ora fa di sparire! Che ci fai ancora qui? Vuoi che chiami la polizia?-

- Senta, le giuro che è un tipo affidabile, quando prevede il futuro.- tentò ancora Shuichi, ma l’uomo non lo stava nemmeno considerando. Continuava a indicare furiosamente Hikari, che alla fine decise di tornarsene al riparo dietro Shuichi.

- Sparite!- ruggì l’uomo.

- Mi creda. Davvero. Deve comprare un libro, oggi.- ripeté Shuichi. Non fu convincente, purtroppo. L’uomo lasciò la sua postazione alla cassa, e si erse minaccioso contro i due ragazzi. Shuichi afferrò l’altro per un braccio e lo trascinò via, prima di scoprire quanto effettivamente il tipo si fosse arrabbiato.

- Mi dispiace! Lo vedi? E’ sempre...- iniziò a piagnucolare Hikari, ma lo sguardo raggelante che Shuichi gli spedì lo convinse a smettere di parlare.

- Mi sa che dovrò proprio abituarmi a vivere così.- sospirò il ragazzo più grande, passato il momento di nervosismo. – Beh, dai. Se non altro abbiamo stabilito una volta per tutte che non ha intenzione di ascoltarci.-

- Sì, ma ora cosa facciamo?-

- E’ una domanda intelligente.-

- E questa non è una risposta.-

- Non è che posso sapere tutto.-

- Oh, insomma! Quello là rischia la vita, probabilmente, e noi stiamo qui a...-

- Chi è che rischia la vita?-

I due si voltarono, sorpresi dall’intervento inaspettato. Una donna, con un viso piacevole e rotondo e un cappotto viola indosso, stava sorridendo, incuriosita.

- Ehm...- riuscì a dire Hikari, perdendosi prima anche solo di cominciare a formulare un discorso sensato.

- L’uomo là dentro.- disse Shuichi, senza pensare bene a cosa stava facendo. La donna impallidì.

- Ma cosa state dicendo?-

- Lui prevede il futuro.- spiegò Shuichi, rendendosi conto di ciò che aveva appena combinato. – Ha previsto che l’uomo della pasticceria rischia la vita. Ma lui non ci ascolta.-

Rapida e letale, la donna scattò in avanti e colpì Shuichi con uno schiaffo. Il ragazzo non ebbe nemmeno tempo di provare a spostarsi.

- Razza di vagabondi maleducati, come vi permettete di venire a dire queste sciocchezze a mio marito?-

Shuichi abbassò la testa, diviso tra il desiderio di ridere e il bisogno di dire una serie di parolacce piuttosto colorite. Rinunciò ad entrambe le cose. Borbottò qualche parola di scusa, raccolse Hikari e si allontanò dal negozio.

Andarono a cercare un po’ di pace sulle sedie di un bar, a un paio di piani di distanza dalla pasticceria (e dai suoi minacciosi e maneschi proprietari.)

- Mi dispiace.- mormorò Hikari, dopo qualche minuto di silenzio imbarazzato.

- E di che?-

- Quella donna ti ha colpito per via della mia previsione. Ci sei andato di mezzo tu.-

- Sì, e volevo farti notare che anche quando ti ho conosciuto ci sono andato di mezzo io, e la multa del tram l’ho pagata pure io.-

Hikari sembrò mortificato. Iniziò a concentrarsi, per trattenere le lacrime. Shuichi alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa con aria critica.

- E dai! Scherzavo.-

- Ma è la verità.-

- D’accordo, è la verità, ma non è che mi importi granché. Sono stato io a dirti di provare a mettere insieme questi poteri. Abbiamo anche fatto due cose buone, no?-

- Sì, ma non è giusto che per colpa mia...-

- E piantala! Vuol dire che ti chiederò i danni. La prossima volta che devo vendere qualche organo per comprare la roba da disegno me la faccio pagare da te e siamo pari!-

Hikari si strofinò rabbiosamente gli occhi, facendo cenno di sì.

- E figuriamoci se non mi prendeva sul serio.- commentò Shuichi a mezza voce. – Vabbè, dai. Prendiamo qualcosa da mangiare e poi decidiamo cosa fare. Potremmo andare in libreria. Magari, visto che il nostro problema è un libro, c’è qualcosa che può aiutarci, lì.-

Hikari annuì: non si sarebbe provato a contraddire l’altro per nulla al mondo. Shuichi ordinò la merenda per entrambi, e poi guidò l’altro alla libreria più grande del centro commerciale. Era un posto che conosceva piuttosto bene, e vi si muoveva con sicurezza, riconoscendo le varie sezioni nel labirinto di scaffali. Hikari lo seguiva in silenzio, osservando con una certa ammirazione tutto ciò che l’altro gli mostrava.

Naturalmente finirono nella zona dedicata ai fumetti. Shuichi cominciò a parlare di autori, disegni e idee, e Hikari non poté fare a meno di notare la naturalezza con cui l’altro parlava. Minimizzava sempre, ma doveva essere molto appassionato. Probabilmente aveva letto libri tecnici sul disegno e sui fumetti. Sicuramente dietro il suo modo di disegnare così curato c’erano studio e impegno, anche se lui faceva finta di nulla.

- Ehi, senti.- azzardò il più piccolo a un certo punto.

- Uh?-

- Hai mai pensato di provare a disegnare un manga? Una storia breve. Una doujinshi. Anche solo per divertimento.-

- Mah, ci ho pensato.- ammise Shuichi. – Ma non sono molto bravo con le storie. Mi vengono idee per i personaggi. Per i particolari. A volte provo anche a immaginare chi possa essere la gente che disegno, però non vado molto oltre un background generale. Da solo non potrei combinare proprio nulla.-

- Dovresti trovare qualcuno che ti scrive le storie. Se vuoi...-

Poi Hikari si interruppe, voltandosi da un’altra parte.

- Se voglio cosa?-

- Niente. Dai, cerchiamo qualcosa che ci aiuti. Siamo qui per questo.-

- ... certo che sei veramente strano.- sospirò Shuichi. – Ok, cerchiamo.-

Si divisero e percorsero tutta la libreria, più volte. Quando si ritrovarono, una mezz’ora dopo, erano tutti e due piuttosto confusi e delusi.

- Niente!- esclamò Hikari. – Non ce la faremo mai!-

- Se ti lamenti di nuovo ti tiro un libro in testa!- minacciò Shuichi, afferrano il libro dall’aspetto più pesante che riuscì a selezionare, nello scaffale vicino.

- SHUICHI!- urlò Hikari, che si era improvvisamente rianimato.

- Che cavolo c’è ora?- domandò il più grande, così sconvolto dall’urlo da non aver nemmeno notato l’uso del suo nome da parte di Hikari.

- Il libro! Quello che tieni in mano!-

Shuichi analizzò la copertina del librone. Non l’aveva nemmeno notata. L’aveva preso da uno scaffale, mirando a quello con la costola più grossa, nella speranza che facesse più male, una volta schiantato su una testa vuota. Appena si fu reso conto di ciò che stringeva in mano, si lasciò sfuggire il sorriso più cristallino che Hikari gli avesse mai visto fare.

- Tu guarda un po’ le coincidenze.- commentò, con aria incredibilmente soddisfatta.

Sulla copertina bianca troneggiava la stessa bizzarra composizione di verdure che aveva disegnato lui.

- E’ sicuramente il libro che serve al pasticcere! Dobbiamo comprarlo e portarglielo!-

- E chiamare la polizia prima che ci ammazzi. Lui o sua moglie. Va bene.- rispose Shuichi, anche se era evidente che stava scherzando. La scoperta sembrava averlo entusiasmato.

- Ci vado solo io, a portarglielo.- si offrì Hikari, serio.

- Sì, in effetti con la stazza che ti ritrovi, sei proprio quello adatto.-

- Ho iniziato tutto io, e devo portarlo a termine!-

- Se non altro sai come far parlare il protagonista di un manga. Dovresti scrivermeli tu, i dialoghi. Muoviti, scemo! Dobbiamo vedere se abbiamo abbastanza soldi per pagare questo libro. Poi troveremo un modo per consegnarlo.-

E così pochi minuti dopo erano di nuovo davanti alla porta della pasticceria. Dietro il vetro potevano vedere il loro uomo che serviva una cliente, mentre la moglie portava gli ordini ai tavolini.

- Magari, visto che c’è gente, rinunceranno ad ucciderci subito.- commentò Shuichi. – Dai, senza paura. Tanto, la dignità l’abbiamo già persa.-

Fece il primo, coraggioso passo ed entrò Hikari lo seguì all'istante, desideroso di eguagliare l’eroismo dell’altro.

Entrarono, e immediatamente due sguardi fiammeggianti d’ira li investirono.

- Ce ne andiamo subito.- si premurò di annunciare Shuichi. – Vogliamo solo lasciarvi questo.-

Posò il libro sul tavolo più vicino alla donna e fece cenno all’altro che era il momento di sparire. E in effetti sparirono alla velocità della luce. Non così veloce da non sentire le ultime parole che la donna disse al marito.

- Oh ma... Questo libro... Sai, volevo proprio chiederti di andarmelo a prendere in biblioteca, stasera. Ma come hanno fatto a saperlo, quei due ragazzini?-


Si era fatto davvero tardi, e Tsugumi richiuse i suoi libroni, salutò la bibliotecaria e si apprestò a tornare a casa. Aveva fatto le sue ricerche, che le avevano confuso le idee, più che altro.

Non era del tutto vero, che voleva scrivere un manga sulla loro città e le sue leggende. L’idea c’era, sì, ma le ricerche erano dovute ad altro.

Tsugumi voleva capire davvero qualcosa di più sulla sua vita. Sul perché si era ritrovata a fare la protettrice della città, insieme a Iori, sulle ragioni che rendevano la loro città così strana. Ma, a quanto pareva, nelle cronache del posto si trovavano soltanto conferme dell’effettiva peculiarità del loro luogo natale. Non una sola ipotesi su come tutto fosse cominciato, o sul perché dovesse essere così.

Eppure, doveva esserci un modo per capire.

Era bello, sì, essere parte di una schiera infinita di protettori silenziosi e fedeli. Ma lei avrebbe voluto davvero capire le ragioni di quella storia nella quale c’erano anche loro.

Non appena ebbe messo piede fuori dalla biblioteca, si fermò, trattenendo a stento un grido.

Uno dei pali della luce piantati lungo la strada era crollato, e la strada ora era bloccata. Una lunga colonna di macchine era in attesa dei soccorsi stradali, che liberassero la corsia.

- Ha visto cos’è successo? Incredibile! Non riesco a capire come possa essere accaduta una cosa del genere!- le disse un uomo, che doveva essere uscito dalla biblioteca poco prima di lei. – Per fortuna che non passava nessuno! Poteva rimanerci qualcuno sotto.-

- Già.- mormorò Tsugumi, colta da una sensazione strana. – Già, per fortuna.-

Per fortuna, o magari perché c’è stato chi ha evitato che qualcuno passasse di lì proprio in quel momento?


- Avrà funzionato?-

- Ma sì.-

- Siamo sicuri?-

- Senti. Quando è successa la faccenda del tram. Quando all’inizio pensavamo di aver risolto tutto con la tua previsione e basta. Ti ricordi, no? Ce lo siamo sentiti, che qualcosa non andava. Adesso io non sento nulla. Anzi, se è possibile, mi sento soddisfatto di come sono andate le cose.-

Hikari sospirò e fece cenno di sì con la testa.

- Abbiamo fatto tardi anche stasera.- commentò, indicando il cielo già blu scuro.

- Avevamo le nostre buone ragioni. Con buona pace di mia mamma. I tuoi si arrabbiano?-

- Uhm. No. I miei vivono tra le nuvole. Possono succedere le cose più pazzesche, non si stupiscono nemmeno. Non ci fanno troppo caso.-

- Non dev’essere male, vivere così.-

- A me a volte fanno paura.-

Shuichi aprì la sua borsa magica e cominciò a cercare qualcosa. Due fogli svolazzarono fuori, come al solito. Hikari riuscì a prenderli al volo entrambi, e si sentì molto fiero della sua prodezza. Li rimise al loro posto senza nemmeno che il proprietario se ne accorgesse.

- Tieni.-

Shuichi gli piazzò in mano un foglio. Lievemente sgualcito, ma in condizioni migliori di molti altri. Hikari spalancò gli occhi per la sorpresa, senza parole. Era un disegno molto accurato, completamente colorato. Rappresentava due personaggi, una sorta di guerriera e un demone. Gli abiti, le decorazioni e le armi erano disegnati con mille particolari. I tratti dei volti richiamavano lo stile di disegnatori famosi, ma c’era comunque una certa originalità.

- Facci qualcosa.- aggiunse Shuichi, visto che Hikari non reagiva.

- Lo lasci a me?-

- Eh già.-

- Oh. E’... Grazie. Ma sei sicuro?-

- Te l’ho detto, li faccio e rimangono lì. Tu puoi farci qualcosa di meglio.-

Hikari prese una boccata d’aria e una dose di coraggio.

- Posso provare a inventare una storia. A volte ci ho pensato.-

Shuichi gli lanciò un’occhiata incuriosita.

- Perché no? Provaci. Del genere che vuoi. Basta sia una bella storia. Che faccia rimanere sulle spine, mentre si legge.-

- Ci provo. Ehi, senti, scusami se prima ti ho chiamato per nome.-

- Ma chiamami un po’ come ti pare.-

- Non volevo prendermi confidenza eccessiva.-

- Senti, visto che abbiamo deciso di andare in giro a salvare il mondo insieme, mi sembra che siamo già abbastanza in confidenza. Ora vado, perché i miei invece non vivono sulle nuvole e mi chiederanno tremila volte dove sono stato. Ci vediamo!-

Saltò sul tram che passava da lì in quel momento, facendo all’altro un cenno di saluto. Hikari rimase a fissare il disegno, già partito per un altro mondo.





...continua...

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Capitolo 4
*** IV - Someonelse's dream ***


Ancora un grazie stratosferico a chiunque segua questa storia! *inchin*

Buon 2008!

Vorrei dedicare questo capitolo in modo speciale a tutte le mie dilette creature nate nei primi giorni di gennaio.

La citazione musicale iniziale viene da “In the land of twilight, under the moon” di Kajura Yuki.

Le citazioni manghesche naturalmente vengono dalla mia esperienza di appassionata di manga. Diciamo che io e Shuichi abbiamo gli stessi gusti. Non so come vivono i ragazzi giapponesi la loro passione per i manga, però, come già ho detto, questa storia si svolge nel Giappone che sogniamo noi, e quindi... Penso possa essere accettabile.







III – Someonelse’s dream



Now you are watchin' us outside the circle

Wanna be in the company

Boy, but you are lonely

Dance with nobody

Run away child, to your hiding place




Tra poco sarebbe arrivato il giorno. Tra poco. Un altro meraviglioso giorno.

Un favoloso giorno post-incubo, nel quale sarebbe stato uno zombie perché si era rifiutato di tornare a dormire, una volta uscito dall’incubo.

Benissimo...

Hikari sbadigliò, strofinandosi gli occhi e immaginando il lungo giorno di tortura che gli si presentava davanti. Una mattinata di scuola praticamente inservibile, priva di concentrazione, ma densa di richiami da parte dei professori. Una continua lotta contro se stesso, per evitare di cedere ignominiosamente al sonno che lo avrebbe tormentato in ogni istante. Un tetro pomeriggio di mal di testa senza fine. Il tutto condito, molto probabilmente, da qualche predizione a sproposito: nei giorni dopo l’incubo, di solito, il suo potere sembrava diventare più incontrollabile che mai.

Beh, forse questa cosa alla fine era la meno peggio.

Si trovò a pensare (uno di quei pensieri che sfuggono al controllo e finiscono su strade dove non vorreste mai andare...avete presente?) che in quelle ultime settimane le cose erano migliorate. Un pochino, ma erano migliorate.

Oh, al diavolo il non voler ammettere la verità.

Era la prima volta in vita sua che andava a letto senza sentirsi prendere dall’angoscia che gli causava il non capire cosa gli stesse succedendo.

Le visioni c’erano sempre, e quella forza che si impossessava di lui, spingendolo a rivelare alla gente cos’aveva visto, non lo aveva certo lasciato. Ma almeno, adesso c’era qualcuno che lo aiutava. Qualcuno che interpretava le visioni, qualcuno che faceva del suo meglio per far sì che le premonizioni avessero un senso.

E servissero a qualcosa.

Era quella la cosa che gli era sempre bruciata di più. Va bene, aveva addosso questa maledizione, che attirava antipatia e sconcerto da parte dei suoi simili. Poteva anche sopportarlo. Una volta che ti ci abitui, non è così tremendo stare solo.

Però... quella sensazione orribile che non ti lasciava mai... la consapevolezza che avrebbe potuto evitare qualcosa di tremendo, e non l’aveva fatto perché non sapeva cosa diavolo doveva fare, quella era la cosa peggiore.

Da quando aveva incontrato quel tipo, qualcosa era cambiato, e tutto si era trasformato all’improvviso. Ed ora c’erano le battute pungenti di quel tipo, c’erano i suoi disegni enigmatici, complementari alle sue visioni, ma c’erano anche dei disegni stupendi che gli regalava senza motivo, e c’erano serate in cui, ogni tanto, parlavano anche di manga, di musica, di ragazze o di qualsiasi altra cosa, che non fossero futuri e visioni.

Ed era bello. Per la prima volta la maledizione non gli pesava. E si era quasi convinto di poter cambiare, smettendo di essere il frignone lamentoso di prima, per diventare una persona in gamba.

...sì, insomma, tutte queste splendide faccende non toglievano il fatto che avrebbe dovuto sopportare una giornata tremenda, col desiderio di addormentarsi ovunque, a causa di quello stupido incubo, che da qualche mese infestava la sua mente. Arrivava, rimaneva per due o tre notti di fila, ed era davvero una delle cose peggiori che Hikari avesse mai sperimentato.

Sospirando, guardò il cielo che si faceva sempre più chiaro.

Aveva sonno.

Ma non aveva voglia di precipitare nuovamente in quella follia.

Per ingannare il tempo, prese uno dei disegni che quel tipo gli aveva regalato (diciamo pure che glielo aveva sbattuto sotto il naso), e si mise a fissarlo, immaginando chi potesse essere il personaggio rappresentato.

Poco dopo prese un quaderno e una penna, e si mise a progettare qualcosa.


Le ore della giornata passarono anche più lente di quanto Hikari avesse temuto. Quando arrivò il momento di tornare a casa era così distrutto da non riuscire nemmeno a sentirsi sollevato. Uscì da scuola e salì sul tram meccanicamente, senza capire bene nemmeno come aveva fatto a trovarsi lì.

Ma sul tram accadde qualcosa che lo fece riscuotere.

Due fermate dopo quella davanti alla sua scuola, salì un uomo. Un uomo comune, a prima vista. A guardarlo meglio, era tutto fuorché comune.

A prima vista si notava che era un tipo assolutamente comune. A guardarlo meglio non c’era niente di strano, ma ispirava una sensazione inspiegabile. Metteva soggezione. Forse era il modo un po’ sprezzante con cui guardava il mondo, sicurezza di sé che sembrava trapelare da lui. Forse era una percezione che aveva solamente Hikari, in tutto il tram.

Comunque, lo straniero inquietante gli si sedette accanto.

E lì Hikari sperimentò qualcosa che non aveva mai provato prima.

Ebbe una visione, di questo ne era certo. La vide, chiara e nitida. La sentì, come sentiva, prima che vedere, tutte le cose: scorreva nel sangue, diventava brividi, diventava battiti furiosi del cuore e oppressione al petto. La visione prese possesso di lui, e subito dopo scattò il potere oscuro che lo obbligava a vaticinare, a rivelare ciò che aveva visto.

Solo che questa volta non riuscì a parlare.

Si voltò verso l’uomo, e le parole morirono prima di prendere forma. E subito dopo aveva dimenticato tutta la visione.

Quando si rese conto di ciò che era accaduto, spaventato ma anche determinato a capire, domandò uno sforzo alla propria mente, e cercò di ricordare cos’avesse visto.

Fu un’idea disastrosa.

Un istante dopo era crollato a terra, gridando ed agitandosi come se ci fosse qualcosa che gli stava facendo male. La gente immediatamente tentò di aiutarlo, di sollevarlo, di chiedergli cosa non andasse. Ma lui non sentiva niente... o meglio, sentiva anche troppo. Solo che non era in grado di fissare nella sua mente cosa fosse.

Poteva solo urlare.


Quando si riprese, era steso su una panchina, e almeno metà dei passeggeri del tram erano intorno a lui.

- Ehi, ragazzo, stai bene?- domandò il conducente, che sembrava un po’ scosso. Dello straniero che aveva causato tutto ciò, nessuna traccia.

- Ora sì.- mentì Hikari, sollevandosi. – Grazie di avermi soccorso. E’ tutto normale, mi succede spesso.-

- Senti, io dovrei portarti in ospedale...-

- No, assolutamente. Sto bene!-

- Ma non...-

- Non c’è bisogno, sto benissimo!-

Hikari stava veramente andando nel panico. Non stava benissimo per nulla, aveva l’impressione che il tram lo avesse investito tre o quattro volte, ma non era il caso di essere trasportato in un ospedale, dove avrebbe dovuto raccontare che si era sentito male perché il suo vicino di posto in tram non era normale!

Poi ebbe l’idea geniale.

- Mio fratello maggiore va a scuola al liceo Hana. Se non è troppo lontano, potrebbe portarmi lì.-

Il conducente sembrò giudicare questo un ottimo compromesso tra il suo orario di lavoro e la sua coscienza, e si preparò ad attuarlo.

Mentre salivano a bordo, Hikari si domandava cosa avrebbe detto Shuichi quando l’avrebbero fatto chiamare per suo fratello...

Decisamente l’idea era stata molto meno che geniale.


- Una crisi? Mio fratello?-

- Così ci ha detto il conducente del tram sul quale tuo fratello si è sentito male, Yukishiro-kun.- spiegò la professoressa. – Adesso è fuori dalla scuola. Se vuoi andare a raggiungerlo, sei dispensato dalle attività serali.-

- Va...va bene.-

Shuichi prese la sua roba, decisamente sconcertato. Avevano sbagliato persona. Se uno dei suoi fratelli si fosse sentito male, non sarebbero certo andati a cercare lui. Pura fantascienza. Soprattutto, uno dei suoi fratelli non avrebbe mai preso il tram. La scuola era vicinissima a casa. Avevano sbagliato persona e...

Oh, cavolo.

- Tu sei Shuichi Yukishiro?- lo apostrofò un tipo in divisa da conducente del tram.

- Già.-

- E lui è tuo fratello?-

Non esattamente.

- Già.-

- Allora lo affido a te?-

- Va bene.-

L’uomo mise letteralmente Hikari nelle sue mani, spingendo il ragazzo più esile verso l’altro, poi salutò e se ne andò in fretta.

-...scusa.- mormorò Hikari, arrossendo e abbassando lo sguardo.

- Tu hai da spiegarmi un sacco di cose, sai?-

- Sì, hai ragione, è che...- Hikari si prese la testa tra le mani, come colto da una fitta improvvisa. Shuichi sembrò decidere che l’omicidio del più giovane poteva aspettare.

- Ti senti male?-

- Ora no.-

- Cos’è successo? E’ qualcosa che dipende dai tuoi poteri?-

- Forse. Non lo so.-

Poi Hikari decise che non poteva più resistere alla debolezza o a qualcos’altro, perché chiuse gli occhi e scivolò in avanti. Shuichi lo riprese al volo prima che crollasse.

- Ehi!-

- Ho sonno. Ma non voglio dormire.- biascicò Hikari, perdendo conoscenza.

- Ehi! Che cavolo vuol dire?-

- ...aiutami.-

Perse i sensi, e non sentì la meravigliosa imprecazione, tutta diretta a lui, che Shuichi aveva appena inventato.


Riaprì gli occhi che era steso su una panchina, nel parco vicino al liceo Hanako. Poggiava la testa su qualcosa di morbido, e Shuichi era seduto a terra accanto a lui, in camicia, piuttosto infreddolito e incavolato, almeno a giudicare dalla prima impressione.

- Scusami.- mormorò, con una voglia incredibile di piangere.

- Frigna e ti prendo a calci.- disse l’altro, molto conciliante. Ok, passata la voglia di piangere.

- E’ stato un uomo sul tram.- cominciò a parlare in fretta. – Si è seduto accanto a me, io ho avuto una visione, stavo per dirgliela ma all’improvviso non riuscivo a parlare, e avevo dimenticato tutto. E quando ho cercato di ricordare, mi sono sentito malissimo. Come se qualcuno fosse nella mia testa. Come se qualcuno mi stesse facendo male. Non lo so. Urlavo e chiedevo aiuto, e sentivo male, e vedevo delle cose, ma non ricordo nulla. Io... Mi...-

- Lo so che ti dispiace.- lo interruppe Shuichi. – Non è colpa tua, di niente. E scusami se sono stato brusco. E’ che sono confuso anch’io, e prima ti ho visto svenire e piombarmi addosso, e non sapevo cosa fare.-

- Scus... Va bene. Immagino.-

- Hai due occhiaie che fai concorrenza a L.-

- A chi?-

- A L. Vai pazzo per Hikaru no go e non conosci Deathnote?-

- Me lo farò prestare da te, prima o poi.-

- Sei uno scroccone. Comunque è il manga dove c’è quella tipa bionda gotica che ho copiato, e ti era piaciuta tanto. A parte questo. Ma tu dormi?-

- Non molto, ultimamente.-

- E perché?-

- Perché a volte faccio degli incubi tremendi, e quando mi sveglio non ho voglia di riaddormentarmi.-

- Che cosa stupida.-

- Non lo è. Tu non sei lì dentro!-

- Cosa sogni?-

- Scale. Porte. Corridoi. Dover arrivare da qualche parte e perdermi. Le cose più brutte del mondo tutte dietro di me.-

Shuichi non rispose. Rimase ancora un po’ seduto a terra, pensieroso. Poi si alzò, facendo un lungo sospiro, e tese la mano a Hikari.

- Forse è il caso di andare, ora.-

- Non voglio tornare a casa.-

- Perché?-

- Perché morirò dall’angoscia, se penserò a cosa è successo oggi.-

- Lo sai che sei più strano del solito, vero? Comunque, io non posso rimanere con te. Mi dispiace. Ho una visita medica. E sono già in ritardo.-

- Non volevo chiederti di restare.-

- Ma se avessi potuto sarei rimasto. Ora però devo andare, e vorrei accompagnarti almeno fino al tuo tram.-

- Grazie... nii-san.-

- Se te ne vieni fuori di nuovo con questa storia... Oh, cavolo, speriamo che nessuno dei miei professori chieda notizie a mia madre del mio fratello che si era sentito male!-

Hikari inorridì all’idea, ma Shuichi risolse tutto con una specie di risata. Una delle rarissime risate di Shuichi. Insieme si incamminarono verso il tram. Quando Hikari salì, si sentì improvvisamente un po’ perso.

Ma non c’erano sconosciuti spaventosi, stavolta, e comunque sapeva a chi chiedere aiuto. Poteva anche provare a non aver paura.


Quella sera, quando sentì l’inquietante rumore, Hikari si spaventò abbastanza, ma non così tanto da urlare. Urlò invece quando capì di che rumore si trattasse. Ma per fortuna fu un urlo sommesso, come quelli che si era abituato a fare (si fa di tutto, per non essere notati), e nessuno della sua famiglia accorse in camera, per vedere di cosa si trattasse.

Però, insomma, aveva urlato per un buon motivo.

Anche voi avreste urlato, se vi foste resi conto che qualcuno stava bussando ai vetri della vostra finestra!

I dieci secondi prima di mettere a fuoco la faccia dell’invasore furono un inferno. Finalmente il povero Hikari riprese il controllo e capì che non rischiava la vita in alcun modo. Si trattava solo di quel tipo.

...ehi, perché Shuichi bussava alla sua finestra?

- Si può sapere cosa cavolo...-

- E parla piano! Ho fatto una cosa per te.-

- Eh?-

L’altro ragazzo tirò fuori un disegno ripiegato più volte, dalla tasca della giacca.

- Senti, magari è un’idiozia, ma l’ho fatto in trance, quindi forse ha senso.-

- Se ti degni di spiegare...-

- Guarda.-

Hikari spiegò il foglio e cercò di trovare un senso all’intreccio di linee e ricami che vi erano sopra.

- Non che ora mi sia tutto chiaro.-

- Prova a... Insomma, è scemo, è del tutto ipotetico, ma... potresti provare a portarlo a letto con te, la prossima volta che fai l’incubo?-

- Stanotte, immagino.- si lamentò Hikari. – Non viene mai una sola volta, viene almeno tre notti di fila e... ehi, aspetta, vuoi che dorma col tuo disegno come un orsacchiotto?-

- Non è che devi abbracciarlo.-

- Non è questo il punto!-

- Oh, insomma. Io l’ho fatto e sono venuto a portartelo. Tu fai quel che vuoi.-

Hikari guardò il disegno, guardò Shuichi ed ebbe voglia di ringraziarlo, ma dopo un rapido tuffo nei suoi pensieri, scoprì che non sapeva assolutamente come fare.

- Non pensavo che saresti venuto.-

- Non sapevi che sarei venuto, è ovvio che non lo pensassi.-

- No, non per quello. Potevi darmi il disegno domani.-

- No, ti prego, non puoi fare l’emo di nuovo!-

- La pianti di usare questa parola assurda? E poi, che vuol dire?-

- Vuol dire fare come Subaru.-

- Eh?-

- Sumeragi.-

- Chi?-

- Guarda che le Clamp hanno fatto anche altro, oltre a Chobits.-

- Sì, ma che c’entra?-

- Senti, io vado a casa, che se mi scoprono fuori sarà peggio di quando mia madre scoprirà che qualcuno ha fatto finta di essere mio fratello.-

- In ogni caso è sempre colpa mia, insomma.-

Shuichi lo offese senza ritegno, poi sparì, saltando giù dal basso davanzale. Hikari rimase solo col disegno, e la netta sensazione che fosse una cosa stupida. Però quel tipo era venuto fin qui per darglielo. E questo era molto meno stupido e più consolante.


Nel sonno correva. Superava porte, attraversava corridoi, svoltava e si ritrovava su strade conosciute, e le porte erano sempre di più, e i corridoi sempre più lunghi, e l’aria diminuiva, e lui doveva fuggire.

Da che parte? Dove devo andare?

Nel sogno piangeva, e non si vergognava, come quando gli veniva da piangere nella realtà. Perché se uno era lì, se uno sentiva quelle cose dietro le spalle, se uno si trovava a correre, con la certezza che l’avrebbero raggiunto, doveva piangere per forza.


Dove? Dove devo andare?

Perché io?

Perché qui?

Perché questo non è il tuo sogno, è il mio sogno.

Non è il tuo sogno.

E allora lasciami andare!

No. La tua anima, io la voglio. Non posso lasciarti andare.

Sei nel mio sogno, ci sei entrato così tante volte, eppure ancora...

Lasciami andare!

...non sei riuscito a capire...

Voglio uscire!

...chi sono io.

Voglio uscire, voglio uscire, voglio uscire!

Non conosci la strada, ti sei perso.

...no.


Si ritrovò qualcosa tra le mani. Sollevò l’oggetto, e attraverso le lacrime riuscì a vedere cos’era.

Una mappa. Aveva una mappa di quel luogo!

Si aggrappò al pezzo di carta con tutta la sua disperazione, e cercò di decifrarne i segni. Ma non c’era niente da decifrare: la mappa era di una chiarezza cristallina, e seguendo la sua guida sicura, raggiunse un corridoio diverso dagli altri, e poi una porta che non aveva mai visto prima, e finalmente un atrio, un grande atrio con torce alle pareti e un immenso portale.

E’... l’uscita?

Posò le mani sui battenti del portale. Prima di poter sapere cosa ci fosse di là, l’incubo svaniva e lui precipitava nel sonno.


*


Così non mi sbagliavo.

Divise, siete riuscite ad eludere la barriera, a comunicare, a creare un legame tra due persone, pericolose, come lo eravate voi.

Io non posso permettermi dei nemici, in questa città.

Vegliate pure su di loro e illudetevi di poterli salvare da me. La prima cosa che distruggerò saranno le loro anime.


*


Quando si svegliò, si accorse di cosa teneva in mano, e comprese all’istante.





...continua...

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Capitolo 5
*** V - Saved by a dream ***


Salve a tutti! La storia prosegue...

Un grazie immenso a chi segue la storia, a chi commenta, a chi l’ha messa nei preferiti... A tutti, davvero.

Come fanno tutti i fanwriter petulanti almeno una volta nella vita, vi chiedo di spendere mezzo minuto e tre parole per lasciarmi un pensiero su ciò che avete letto, se vi va.

Dunque, oggi conosceremo – in una situazione un po’ rischiosa – un personaggio del passato di Shuichi.

Buona lettura e grazie!

La citazione musicale iniziale viene da “Hitomi no Kakera” delle Fiction Junction.







V – Saved by a dream


Anata no mune ni wasureta

watashi no kakera

mada soko ni aru?


(I frammenti di me, che ho dimenticato dentro il tuo cuore

sono ancora sul fondo del tuo cuore?)




Iori sospirò, lasciandosi scivolare sul divano. Era veramente al limite delle forze. Chissà se tutti quelli che leggevano i suoi manga si rendevano conto di quanto fosse distruttivo il mestiere del disegnatore...

Chiuse gli occhi, appoggiandosi allo schienale, e cercando di rimettere insieme un po’ di forze. La giornata non era ancora finita. Mancavano poche ore, ma doveva resistere ancora. Immaginò di essere un guerriero di quelli che spesso disegnava, e di dover ricorrere alla sua tecnica segreta per rimanere sveglia.

Rise, pensando che era una cosa scema ma efficace.

E che gliel’aveva insegnata Tsugumi.

Tutto torna sempre lì.

Tutto torna sempre a te.

E proprio perché tutto tornava sempre a lei, Iori ricordò che aveva un modo perfetto per rovinarsi la serata. Ridendo di sé, la giovane donna si sporse per prendere la borsa che aveva abbandonato a terra, vi rovistò dentro e ne trasse fuori una rivista di shoujo. Sfogliò in fretta le pagine, fino a trovare il capitolo settimanale di Anata no kokoro no me, una storia di sentimenti e misteri scritta da Nagisa Hidenori.

Ci sarà un tuo messaggio, questa volta? Certo che ci sarà. Importante, o solo un pensiero per me, magari, ma ci sarà. Non manca mai. Non è mai mancato in questi quindici anni in cui sei mancata tu. Non ci siamo mai deluse, noi.


- Secondo me è un’idea cretina.-

- Secondo me quella di prima lo era, questa è ottima.-

- Ma dai! L’ho detto così per dire. Era un’idea cretina.-

- No, invece. Se ci lavoriamo su...-

- No.-

- Ehi, senti, sei tu che ti sei messo a inventare storie senza autorizzazione su un mio disegno!-

- Sei tu che mi hai lasciato quel disegno!-

- Sì, ma se ti metti a fantasticare sulla drammatica vita di Akiko...-

- Airi. Ho cambiato idea, non voglio chiamarla Akiko.

- ...è la terza volta che cambi idea.-

E avrebbe cambiato idea anche la quarta, probabilmente, prima della fine di quella conversazione, se non fossero stati interrotti.

- Shuichi, che ci fai fuori dal cancello?-

Sua madre attraversò in fretta il giardino, fino a raggiungere il figlio. Il ragazzo si voltò verso di lei con una certa indolenza, quasi per farle capire che fuori si stava bene, che il cielo stava diventando di colori splendidi, al crepuscolo, e che per un disegnatore come lui quella era un’occasione da non perdere.

- Oh, salve signora Yukishiro!- esclamò Hikari, accorgendosi all’improvviso che si era scordato delle buone maniere. Shuichi fece una risatina di fronte alla premura dell’altro.

- Salve. Tu devi essere Hikari.- indovinò lei, squadrando il ragazzo più piccolo in un modo che lo mise un po’ a disagio.

- Io...cioè...sì.-

La donna finalmente elargì un sorriso al ragazzo. Poi tornò a rivolgersi al figlio, mettendo fine alla sua permanenza all’esterno con uno sguardo deciso.

- Ti stiamo aspettando.-

- Senti, io devo andare. Non provarti a scartare quell’idea e vedi di non cambiarle nome.-

- La sua storia l’ho inventata io!- protestò Hikari.

- Ma lei l’ho disegnata io.-

- Shuichi?- insisté la signora Yukishiro, sulla soglia di casa. Dalla finestra della cucina fece capolino Naoko, con un sorriso che non prometteva niente di buono. Shuichi capì che era davvero il momento di andare.

- Mi stanno aspettando.-

- Vai. Ci vediamo domani dagli shinigami?- concluse Hikari, preparandosi ad andare.

- Ok. Vedi di trovarle un nome una volta per tutte.-

- Senti, non abbiamo ancora una storia e ti arrabbi se le cambio nome?-

- Appunto, visto che non abbiamo una storia, almeno avremmo un punto fermo.-

Hikari scosse la testa, ma rinunciò a replicare, temendo che la signora si arrabbiasse veramente. Fece un cenno di saluto all’altro e corse via.

- Cosa sarebbero, gli shinigami?- domandò la madre a Shuichi, mentre il ragazzo la raggiungeva in casa.

- Le panchine dietro la mia scuola.-

- E perché dite che sono gli shinigami?-

- No, è il mondo degli shinigami. E’ una sciocchezza che abbiamo inventato noi.-

- E che senso ha?-

Shuichi si chiuse la porta alle spalle e rimase pensieroso per qualche istante.

- Non ne ha.-

E’ una di quelle cose che se la spiegassimo, si smonterebbe completamente. Anche se quando l’abbiamo inventata ci sembrava così azzeccata.

Ma non è importante che abbia senso, no?


Il primo giorno di scuola erano tutti e due in ritardo, per motivi diversi. Ebbero entrambi lo stesso pensiero, anche se non se lo confessarono. Era tutta colpa dell’altro, e prima di conoscersi erano tutti e due la puntualità per definizione.

Oh, meglio così.

Se arrivi in ritardo, significa che stavi facendo qualcos’altro, prima.

Magari stavi finendo un disegno. Magari stavi buttando giù una trama sensata, per vedere se ci si poteva lavorare su.

- Com’è andata oggi?-

Shuichi gettò con noncuranza la sua borsa su una panchina del mondo degli shinigami, e una buona metà di quel che c’era dentro si sparse a terra. Cosa che accadeva con una frequenza media di tre volte al giorno.

- Mah.- rispose. – Al solito. C’è un allievo nuovo in classe mia.-

Hikari borbottò un’offesa alle pessime abitudini dell’altro, e si mise a raccogliere fogli, quaderni e tutto il resto. In un mese di conoscenza aveva scoperto che nella borsa di Shuichi poteva veramente starci ogni genere di cosa.

- Non è tornato a Tokyo dopo sei anni di assenza, vero?-

- No. E comunque, l’unico in questa città che potrebbe essere Kamui saresti tu.-

- Eh? Io? E perché?-

- Perché sei un frignone tale e quale.-

- Oh, ma come ti permetti?-

Shuichi rise, poi si stese sulla panchina, sbadigliando, e appoggiandosi sulla borsa e sui fogli che Hikari aveva appena radunato.

- Senti, se lo stai facendo apposta, dimmelo subito che così evito di tentare di riordinare!- protestò Hikari. L’unica risposta fu una risatina sommessa, che era molto più di una risposta affermativa.

- Allora arrangiati!-

Prese le cose che ancora teneva in mano e le gettò di nuovo a terra. Shuichi rise, e Hikari si sedette a terra. Sui quaderni dell’altro. Che non dette segno di curarsene particolarmente.

Avevano fatto abbastanza sciocchezze, potevano iniziare a parlare di cose serie.

- Allora, le hai trovato un nome?-

- No, ma ho deciso quello del suo ragazzo.-

- E cioè?-

- Tetsuya.-

- Ma non era il nome del suo nemico?-

- ...appunto.-


Si levò un vento stranamente freddo, mentre il sole cominciava a calare. I due si accorsero che era veramente tardi, e troncarono bruscamente la conversazione (scivolata pian piano in una discussione piuttosto accesa sul colore dell’elsa della spada di Tetsuya. Cioè, la discussione era partita di lì. Quando si fermarono, era in dubbio anche il fatto che Tetsuya avrebbe avuto una spada. Hikari stava virando pericolosamente sulla via del mecha, e Shuichi era pronto per lottare fino al sangue, per rimanere in ambiente fantasy.)

- Dai, forza, sennò i tuoi rompono.- incitò Shuichi, infilando alla rinfusa la sua roba in borsa.

- I miei se ne sbattono abbastanza, semmai. E’ tua mamma che mi squadra, quando mi vede con te.-

- E’ dalla notte dei tempi che non vede qualcuno con me. Capisci che è preoccupata.-

- E chi era, che sprecava il suo tempo con te?-

- Una ragazza.-

Hikari raccolse il maltrattato album dei disegni con una cura tutta particolare, porgendolo poi gentilmente all’altro.

- Hai avuto una ragazza?-

- Uhm. Non proprio. Diciamo che io avrei voluto che lo fosse.- confessò Shuichi, un po’ a fatica. – Ma ho come l’impressione che lei non ci pensasse nemmeno, a quello.-

- Era...- Hikari si fermò, timoroso di addentrarsi in territori che Shuichi non desiderava attraversare. – Era la persona che aveva dei poteri soprannaturali?-

- Non so se ne aveva o se era solo in grado di percepirli.- spiegò l’altro, serio. – Ma io credo di sì. Credo ne avesse. Solo che non me ne ha mai parlato.-

Tacquero per un po’, probabilmente domandandosi entrambi come erano finiti in quel discorso. Poi Shuichi rianimò la situazione.

- Forza, non dovevamo andare di corsa?-

E presero a correre davvero, dal mondo degli shinigami al mondo reale.

Solo che, non appena furono giunti per strada, Hikari si piantò in mezzo al marciapiede, immobile, come se avesse visto qualcosa di particolare.

- Ehi. Che cavolo succede?-

Shuichi lo raggiunse, lasciando cadere la borsa e precipitandosi a sostenerlo.

- Uh?- Hikari gli franò addosso, ma poi si riebbe improvvisamente. – Che c’è?-

- Sei tu che ti fai venire le crisi in mezzo alla strada.-

- Crisi?-

- Ti sei fermato. Hai avuto una visione?-

Hikari sembrò pensarci un po’. Poi si rimise in piedi da solo, strofinandosi gli occhi più volte.

- Sì. Però... Non so a chi era rivolta. Di solito so subito su chi è la visione. Infatti vado diretto dalla persona interessata. Ma questa volta, niente.-

- Non sarà che è su di me o su di te?-

- Non posso averne su di me. E se fosse stata su di te, ti avrei detto una cosa strana e apparentemente senza senso, no?-

- Questo è vero.-

- Shuichi...-

Il ragazzo più grande squadrò il più piccolo, inquietato dal suo tono di voce.

- Che c’è?-

- Non... Insomma... Puoi aiutarmi? Non so cos’era, però era qualcosa che...-

- Certo che ti aiuto.- rispose Shuichi. – Dai, vedi di ricordarti cos’era. Io intanto guardo i miei disegni per vedere se è spuntato qualcosa di strano.-

Hikari si sedette a terra, confuso e desolato. Shuichi si mise a frugare nel suo album, ma dopo qualche minuto tornò dall’altro, scuotendo la testa.

- Qui è tutto normale. E non mi viene voglia di disegnare. Non so.-

- Ma io una visione l’ho avuta!-

- Ci credo. Ma non ti ricordi niente?-

- Forse. Era il centro commerciale.-

- Sì, ma sono quasi le sette. Alle sette e mezzo di solito chiude. Se ci vogliamo andare, dobbiamo correre.-

- Ma non ricordo altro!-

- Magari ti viene in mente se ci andiamo.-

Hikari sembrò convincersi. Scattò in piedi e si mise a correre dietro all’altro.

Corsero, e nessuno dei due si accorse che qualcosa era caduto dalla borsa di Shuichi. Un foglio che fluttuò un po’ nel vento, prima di atterrare lontano da loro, in un’aiuola dove avrebbe subito rugiada e pioggia, e dove sarebbe morto. Quando cadde, però, non c’era stata ancora né rugiada né pioggia a cancellare il suo messaggio, e se qualcuno fosse passato di lì avrebbe potuto leggere chiaramente il kanji che vi era tracciato sopra:

Uso (Menzogna)


Entrarono nel centro commerciale, dal quale la gente stava iniziando a defluire. Prima Hikari era in svantaggio, nella corsa, ma adesso aveva guadagnato la prima posizione, e Shuichi gli andava dietro, chiedendosi come avesse fatto a diventare così veloce, e soprattutto, se finalmente avesse avuto una visione un po’ più chiara.

- Ehi! Aspettami! Dove stai andando?-

Ma l’altro sembrava non sentirlo. E la cosa non era bella per niente.

- Fermo!-

Non si fermò, anzi, corse deciso verso l’ascensore. Shuichi raddoppiò la velocità per raggiungerlo, e riuscì a tuffarsi nell’ascensore.

Atterrò malamente sul pavimento. Aprì bocca per chiamare Hikari, ma all’improvviso l’ascensore prese a salire vertiginosamente e si fece buio, tutto intorno a loro. La voce del ragazzo si fermò, e per qualche istante anche il suo respiro.

- Che cosa...- riuscì a mormorare, prima di essere investito da un vento gelido, senza provenienza, senza spiegazione. – Hikari!- invocò, lasciandosi prendere dal panico.

Gli rispose una voce lontana, spezzata dal pianto.

- Perché sei venuto anche tu?-

- Perché sei sparito qua dentro, idiota!-

- Non dovevi venire, ho fatto di tutto per lasciarti fuori!-

- Cosa? Ma che stai dicendo? Sei ancora in trance?-

- Non dovevi venire!-

- Perché? Perché volevi lasciarmi là?-

- Perché la visione mi ha mostrato te che morivi...-

E poi nel buio qualcosa si mosse. Il freddo si fece insopportabile, mentre l’ascensore volava a velocità spaventosa verso uno spazio che non esisteva. E qualcosa si mosse, sibilando parole incomprensibili. Hikari urlò, come se qualcuno gli stesse facendo del male. Shuichi scattò in avanti. Non sapeva bene cosa fare: voleva aiutare Hikari, voleva capire dov’era, voleva avere una percezione minima di quello che stava succedendo.

Qualcosa gli si serrò attorno al collo. Sentì la stretta farsi più forte, poi dolore e il respiro che si spezzava. Tentò di articolare qualche parola, ma era impossibile.

Nell’ascensore ci siamo solo noi due!

Perse i sensi mentre realizzava quella verità.

Hikari non si rese conto di niente: sentì solo un peso che gli cadeva addosso. Non urlò, perché avrebbe avuto terrore di sentire la sua voce che risuonava, in quel mondo inesistente in cui erano intrappolati.

Ma cos’era successo?

Aveva visto una visione, aveva chiaramente visto quel posto. E una cosa importante da fare. E quando era arrivato lì, c’era solo l’ascensore.

...solo che appena era entrato, aveva visto chiaramente la morte di Shuichi.

E ora...

Registrò cos’era il peso che gli era crollato addosso. Ebbe voglia di urlare, ed era come se qualcosa gli avesse piantato degli artigli in petto, impedendo all’aria di uscire, per dare vita a quell’urlo liberatorio. Allungò le braccia per circondare il corpo, iniziando a tremare.

Qualunque cosa fosse accaduto, che finisse presto.

Ma io lo so cos’è accaduto, lo so, lo so, eppure non ricordo quando è successo, non ricordo quando lo stavo facendo...

Voleva svanire, non voleva sentire niente, non voleva essere lì, correndo verso il nulla su un ascensore che non esisteva, immerso nel buio e nel freddo, e con Shuichi che...

Non è ancora la fine di tutto.

- Cosa?-

Ti ho detto che non è ancora la fine.

Era una voce reale, o la sentiva nella sua mente?

- Chi sei?-

Conta solo il fatto che ci sono.

- Perché siamo qui? Cos’è successo?-

La tua mente è stata ingannata. La visione era una menzogna. Quello che stavi per fare non dipendeva dalla tua volontà. C’è qualcuno nella tua mente.

- Che cosa? Nella mia mente? Ma che significa, chi è?-

La persona che vuole distruggervi. Qualcuno che vi teme. Ma non farti domande. Dobbiamo trovare il modo di risolvere questo guaio!

Hikari tacque, senza nemmeno la forza di fare altre domande. All’improvviso l’ascensore si fermò, il freddo prese ad attenuarsi e nel buio comparve una luminescenza leggera.

- Sei... tu?- mormorò lui, ipnotizzato dalle lievi linee di luce che, lentamente, andavano a comporre una figura.

Sono io.

Hikari si sollevò un po’ da terra. Stringeva ancora il corpo di Shuichi, ma non se ne era reso conto. Adesso tutta la sua attenzione era fissa sul visitatore misterioso.

I suoi occhi fissavano gli occhi di una ragazza. Una ragazza evanescente, con lunghissimi riccioli e una veste ondeggiante, che sembrava fatta di luce.

- Chi sei?-

Sono Eiko .

- Io non ti conosco.-

No, ma io conosco te.

- Come mi conosci?-

Conosco Shuichi. Sento tutto quel che sente lui. Seguo la sua vita, e quindi ti conosco. E’ grazie al suo tenace desiderio che io esista ancora nel vostro mondo, che io sono potuta apparire qui, ora.

- Ma tu sei la ragazza che... Quella che aveva dei poteri che...-

Sì, sono io.

- Sei... viva?-

E’ una domanda un po’ vaga, non trovi?

- Intendo, sei ancora su questa terra?-

Adesso sì.

- Shuichi è vivo?-

E’ vivo, perché ho fermato il tempo, per voi. Ma non è una cosa che potrei fare. Quindi, dobbiamo fare in fretta.

- Io... Shuichi...- La disperazione cominciò ad assalire Hikari di nuovo. – Sono stato io? Stavo tentando di strangolarlo? Ti prego, dimmi di no!-

Non eri tu. Era qualcuno, attraverso di te. Non hai nulla da rimproverarti. Ti sei fermato in tempo.

- E ora?-

Ora, appena il tempo ripartirà, l’ascensore si schianterà al suolo. E’ il potere del vostro avversario. Ha trasformato questo luogo nel tuo sogno, e ora lo domina.

- Ma chi è il nostro avversario?-

Qualcuno che vi ritiene un pericolo. Non posso spiegarti tutto. E’ già un miracolo che io sia qui. Posso solo dirti che non vi siete incontrati per caso. Che siete parte di una storia molto più grande di voi. Ci sono delle persone con un potere simile al vostro: sono state sconfitte dal vostro nemico, però ora vi proteggono.

- Ma cosa...-

Basta, adesso. Quando il tempo riprenderà a scorrere, devi trovare un modo per spezzare la sua possessione.

- Sì, ma non so come...-

Vi siete già trovati a dover contrastare questo nemico. Nei sogni, probabilmente. Come vi siete difesi?

- Non lo so! Nei sogni io ho con me un disegno di Shuichi, ma...-

Allora prova con quello.

- Ma che ci devo fare?-

Segui l’intuito. E’ il tuo potere, Hikari. I disegni, le storie... Quelli sono vostri e lì avete il dominio. Sono le vostre armi.

- Il dominio di cosa? Ti prego, aspetta un attimo! Chi è che vuole distruggerci?-

Una creatura consumata dall’odio per questa città. Ma ora basta così. Non posso restare. Coraggio!

- Aspetta! Aspetta!-

Se n’era andata: Hikari avvertì il vuoto, il buio e il freddo che tornavano tutti insieme.

Il disegno di Shuichi...

Frugò nelle tasche della sua giacca e recuperò uno schizzo dell’altro. Lo spiegò, e con l’ultima goccia di luce prima che l’oscurità inghiottisse di nuovo ogni cosa, vide che si trattava del progetto di uno stemma per la loro guerriera.

Seguire l’intuito un cavolo. A che serviva?

Il tempo riprese a correre in quell’istante: l’ascensore sobbalzò e riprese a precipitare. Hikari allungò una mano nell’oscurità e raggiunse la parete dell’ascensore.

Se davvero avevano qualche potere su ciò che inventavano, forse...

Fece correre le dita lungo la parete di metallo, immaginando di tracciarvi le linee dello stemma. Come una specie di incantesimo.

Magari era una cosa molto stupida, ma era l’unica cosa sensata che la sua testa gli aveva suggerito in quel momento...

Hikari strinse il corpo dell’amico, sperando di servire almeno da cuscino per l’altro,

se davvero si fossero schiantati, e serrò gli occhi.

L’ascensore si fermò, dolcemente, rispondendo alla chiamata di qualcuno. Quando le porte si aprirono, rivelarono agli occhi della folla sconcertata due ragazzi privi di sensi, uno dei quali stringeva in mano uno strano disegno.





...continua...

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Capitolo 6
*** VI - Dreams in the land of Twilight ***


Salve, carissimi! Bentornati ancora a queste pagine. Oggi torniamo indietro nel tempo di circa quindici anni, e scopriamo la storia di Iori e Tsugumi.

Questo capitolo è dedicato in modo speciale alle persone con le quali condivido le storie. Quelle che me le raccontano e ascoltano le mie, quelle con cui le inventiamo, le giochiamo, le commentiamo... Perché le storie hanno un potere sorprendente, ma diventano invincibili solo quando le condividi con qualcuno.

Un grazie immenso a Shu, Wren, Kairi, Melchan, Dira Real, Renki, Mia, Eriol, che stanno seguendo la storia. Grazie a chi l’ha preferitata. Un grazie anche a tutti i lettori che passano da qui (siete tanti, lo so, la storia ha davvero molte letture per un’originale, e io ne sono commossa, ve lo giuro. Se poi mi fate anche sapere qualcosa al riguardo... XDDD -> il morbo del fanwriter petulante!)

Grazie ancora, e buona lettura.

...questo è il mio capitolo preferito.

(Citazione iniziale, che ha ispirato anche il titolo: “Key of the Twilight”, Fiction Junction)






VI – Dreams in the Land of Twilight


Come with me in the twilight of a summer night for a while

Tell me of a story never ever told in the past

Take me back to the land

where my yearnings were born

The key to open the door is in your hand

Now fly me there



Era una ragazza piccolina e sempre sorridente, piuttosto benvoluta da tutti. Il genere che le dava un po’ sui nervi, forse perché lei era proprio l’esatto contrario. Quando entrava in classe salutava sempre tutti col sorriso, anche lei, ma lei rispondeva a malapena con una mezza sillaba. Non avrebbe ottenuto più di quella, che se lo mettesse bene in testa.

Con quelle trecce e i suoi fermaglietti a forma di stelline e cuori. Con i quaderni sempre in ordine e la sua disgustosa disponibilità.

Una mezza sillaba era anche troppo.

E fu una mezza sillaba per tutto il primo anno. Mentre quella persona inutile, Iori, se ne stava al centro dell’attenzione, Tsugumi pranzava da sola, passando le ore a scrivere chissà cosa nei suoi disordinati quaderni. Non apparteneva a nessun club scolastico. Andava male un po’ in tutte le materie scientifiche e si riprendeva solo grazie ai suoi voti strabilianti in lingua e letteratura. E stava da sola.

Immaginava che Iori la considerasse un’odiosa asociale, e immaginava quasi bene. Iori pensava che Tsugumi fosse un’asociale, ma non la odiava. Un po’ la compativa, però. Riceveva da lei mezza sillaba al giorno, ma non voleva di più. E pensava che quella mezza sillaba sarebbe stata per sempre l’unico contatto tra di loro.

Come spesso succede, la realtà sarebbe stata diversa dall’immaginazione.

Era cominciato tutto su un tram, bloccato in mezzo al traffico cittadino. Erano lì, una davanti all’altra, e un po’ per gentilezza, un po’ per vincere la noia, si erano messe a parlare.

Quando erano scese, quasi due ore dopo, il mondo era cambiato.

No, anzi, si poteva dire che il mondo era stato distrutto, ed era rinato di nuovo.

Tsugumi scoprì che alla gente piaceva la semplicità di Iori e il modo in cui lei metteva tutti a proprio agio, e per questo spesso la ragazzina si trovava al centro delle attenzioni. Ma non lo desiderava. Quello che desiderava era avere chi andasse oltre la sua immagine di persona dolce, e si sforzasse di capire i suoi dubbi e i suoi lati oscuri. Questo, però, nessuno lo faceva, mai.

Iori capì che Tsugumi non aveva mai fatto amicizia per davvero con nessuno, a causa di un carattere timido e di una goffaggine innata che le aveva sempre portato nient’altro che derisione e sorrisi non proprio gratificanti. Per questo era tanto prevenuta nei confronti dell’intero universo.

Ma il mondo era finito ed era ricominciato tutto da capo, nelle loro parole, tra le loro mani. Quel giorno di fine marzo avevano siglato un’alleanza indistruttibile, e tutto sarebbe cambiato.

Molto più di quanto pensavano loro.


- Mi aspetti per andare a casa?-

- Ho la riunione del comitato, dopo la lezione. Ma se ti va, ci troviamo al Ponte, più tardi.-

- Va bene.-

Erano consapevoli degli sguardi stupiti che attiravano, che continuavano ad attirare dopo mesi di amicizia. La figura eterea e solare di Iori faceva un effetto strano accanto alla personalità cupa e imbronciata di Tsugumi. Ma da quel giorno di marzo, nessuno era più riuscito a staccarle.

- Il ponte, Iori-chan?-

Iori regalò il suo sorriso radioso e gratuito alla ragazza che le aveva fatto la domanda, e si preparò a rispondere – una di quelle risposte che andavano sempre bene per tutto – ma questa volta rimase senza parole.

- Quale ponte?- insisté l’altra. Sembrava trovare Iori molto piacevole, e la presenza di Tsugumi non l’aveva mai resa entusiasta.

- Oh...ecco...E’ un posto che chiamiamo così.-

- Tu...e lei?-

Iori sorrise di nuovo e alzò le spalle.

- Mi stavi parlando di cosa hai fatto ieri, Ami-chan.-

Una volta le pesava, mettere via se stessa per assorbire le parole e le vite degli altri. Adesso non aveva più importanza. Perché esisteva una persona che avrebbe ascoltato le sue parole, e non ne avrebbe lasciate svanire nel vento neanche una.


Il Ponte era un cortiletto tra due palazzoni, con alcune panchine e un’aiuola piena di fiori eternamente sull’orlo della decomposizione. Il nome che avevano scelto non aveva molta logica. O meglio, ce l’aveva per loro. Il resto del mondo probabilmente avrebbe faticato a capire, ma chi se ne frega del resto del mondo, in casi simili.

- Allora, hai inventato il background di Aoi?-

- Sì. Solo che adesso si chiama Natsumi.-

-...di nuovo? Possibile che con te i nomi durino tre giorni al massimo?-

- Ti prometto che questo è definitivo!-

- Come no...-

All’ora di cena Natsumi era diventata Makoto. E all’improvviso Iori aveva fatto comparire un disegno, dal suo ordinato quaderno dove raccoglieva le sue meravigliose produzioni.

- Cos’è?- le chiese Tsugumi, affacciandosi sul foglio, su cui erano tracciate linee confuse.

- Non lo so.-

- Come sarebbe a dire?-

- Che non lo so davvero.-

- Ma l’hai fatto tu?-

- Sì, l’ho fatto io. Non ricordo bene quando. E perché. Ma mi inquieta molto. E’ come se dovessi ricordarmi di qualcosa... come se ci fosse un significato, che non riesco a capire.-

La voce di Iori era così colma di angoscia che Tsugumi desiderò immediatamente di poter capire quel maledetto disegno, per sentirla parlare con la sua solita vocina leggera. Così prese il foglio tra le mani e ci si concentrò sopra.

- Uno degli scaffali dell’aula di musica crollerà domattina, e se non facciamo qualcosa due ragazze rimarranno schiacciate sotto.

-...Tsugumi-chan?-

Tsugumi si riscosse, rendendosi conto che aveva perso qualche minuto. La sua memoria si rifiutava di farle vedere cos’aveva fatto in quegli ultimi istanti. Tutto ciò che ricordava era di aver preso in mano il foglio, e poi una sensazione strana, come la sua mente che si estraniava, che galleggiava da qualche parte.

- Ho detto qualcosa?-

- Che uno scaffale dell’aula di musica crollerà domattina, schiacciando due ragazze.-

- Io...-

Tsugumi si alzò in piedi di scatto, stringendo convulsamente il foglio tra le mani.

- L’ho detto perché tu l’hai disegnato!-

- Tsugumi-chan, cosa stai dicendo?-

- Non lo so! Cioè...io...Credo che...-

La ragazza lasciò cadere il disegno, passandosi una mano sul viso, quasi per cacciare via la sensazione di disagio che la stava assalendo.

- Non lo sai?-

La vocina di Iori era sempre più fievole e spaventata. Tsugumi si sentì in colpa, ma allo stesso tempo quel maledetto disegno sembrava volerle risvegliare qualcosa, dentro. Le mandava indicazioni, la obbligava a parlare...

- Iori, hai già fatto disegni come quello? Senza senso, senza ricordarti quando li hai fatti?-

- Non lo so. Credo di sì, ma li nascondo in fondo al quaderno, perché mi fanno paura. Non lo so, non lo so!-

- Calmati, dai. Ci sarà una spiegazione, no?-

- Perché hai detto quella cosa dell’aula di musica?-

- Perché mi ha spinta il disegno, a dirlo.-

- Guardando il disegno hai avuto come una premonizione?-

- Non lo so.-

- Senti, Tsugumi-chan, cerchiamo di non spaventarci troppo. Forse è stata solo una sensazione.-

- E’ stata solo una sensazione, ma era così reale...- ansimò l’altra, scattando in piedi e guardandosi attorno, come alla disperata ricerca di una direzione da prendere.

- Calmati, ora. Ti dico cosa faremo. Domattina arriveremo a scuola presto, andremo nell’aula di musica e daremo un’occhiata a quello scaffale. Va bene?-

- Sì, ma se...-

- Ora è troppo tardi, sarà giù tutto chiuso. Non preoccuparti. Andrà tutto bene.-

- Ma tutto cosa?-

Iori abbassò gli occhi e scosse la testa. Il suo tentativo di trattenere la paura fallì.

- Dai.- mormorò Tsugumi, prendendole una mano tra le sue. – Calmiamoci. Faremo come hai detto tu. Andrà tutto bene.-


Se il tram di Iori non avesse trovato traffico... se il professore di matematica non avesse fermato Tsugumi nel corridoio...

- Dai, corri!-

Tsugumi arrancava dietro l’amica, più agile e scattante, lungo il corridoio affollato. Erano dirette verso il luogo che dalla sera precedente infestava le loro menti. L’aula di musica, lo scaffale. Una premonizione. Una sensazione inspiegabile, per colpa di quel disegno misterioso.

Iori spalancò la porta e si fermò sulla soglia, completamente a corto di fiato. Non vide quel che stava succedendo, finché non sentì Tsugumi che rantolava qualcosa alle sue spalle.

- Le ragazze...-

C’erano due ragazze, in effetti, ed erano sotto uno scaffale. Ma nient’altro.

- Spostatevi di lì, voi due!- urlò Tsugumi, trovando un po’ di voce.

- Cosa?- Le due si voltarono, sconcertate.

- Non avete sentito? Per favore, spostatevi da lì!- implorò Iori, sempre cortese anche nel momento del panico.

Le due si spostarono, con aria scettica.

Un attimo dopo lo scaffale dietro di loro crollò rovinosamente al suolo. Le ragazze urlarono, tutte e quattro.

- Com’è accaduto?- gemette, terrorizzata Iori.

- Se non ci fossimo state noi...- mormorò Tsugumi.

- Le abbiamo salvate.-

Sopraggiunsero altri studenti, poi alcuni professori, e presto l’aula si riempì. La folla le ingoiò, e per qualche istante furono lasciate sole, con i loro pensieri e il loro stupore.

Poi qualcuno fece la domanda fatidica.

- E voi, come facevate a sapere che lo scaffale sarebbe caduto?-


- Ero entrata per prendere una cosa che credevo di aver dimenticato nell’aula di musica, e mi sono accorta che lo scaffale era piegato in avanti. Davvero.- ripeté Tsugumi per la millesima volta. Lei e Iori erano sedute nell’ufficio del preside, vicino alle due ragazze che avevano rischiato la vita.

- Certo che è quasi impossibile accorgersi di una cosa del genere.- insisté una delle professoresse, una delle prime soccorritrici.

- E allora come avrei fatto a saperlo?- ribatté stizzita Tsugumi. – Pensa che abbia fatto cadere lo scaffale con la telecinesi?-

- No. Immagino di no.- sospirò la professoressa. Iori fece del suo meglio per nascondere un sorriso.

No, la telecinesi no. E’ un altro tipo di potere.

- Va bene. Potete andare.- decise il preside. – E’ una fortuna che ve ne siate accorte, o poteva accadere qualcosa di molto brutto.-

Ma và?, pensò Iori, che si sentiva stranamente leggera.

Quasi felice.

Completa.

Come se quella mattina avesse avuto la rivelazione che aspettava da una vita intera.


Il secondo disegno di Iori suggerì a Tsugumi che dovevano evitare un drammatico incidente stradale impedendo che una signora di settant’anni prendesse l’auto dimenticandosi gli occhiali. Fu più difficile e divertente del previsto, e ci riuscirono in maniera soddisfacente.

Poi fu la volta di un inquietante furto in un supermercato. Mentre stavano litigando per elaborare una strategia, Iori finì per crollare addosso al futuro ladro, rivelando a tutti che portava una pistola nella tasca interna del giubbotto. Anche dopo anni avrebbe ricordato quel momento come uno dei più spaventosi della sua vita. (Tsugumi invece come uno dei più divertenti, ma non lo diceva a Iori.)

E così via... Ogni due-tre giorni c’era qualcosa di nuovo da fare, da capire. Ma loro l’avevano accettato, con la semplicità con cui avevano accettato il fatto di essere diventate amiche.

Tutto si era fatto più complicato, nella loro vita, e le loro giornate erano sicuramente più varie. Scuola, ritrovo al Ponte, ore passate insieme a discutere su storie e mondi (a volte anche ore molto, molto tarde.) E poi visite a luoghi storici nelle città vicine, guidate da Iori e dalla sua passione artistica, incursioni in negozi insoliti, addirittura partecipazione in cosplay a qualche convention fumettistica.

E ogni tanto, piccole missioni in giro per la città.

Erano cambiate davvero molte cose, da quando si erano incontrate, anche se nessuna delle due riusciva davvero a rendersene conto. Erano cambiate loro. Pian piano, avevano iniziato ad emettere quella timida luce che sprigiona da coloro che stanno camminando per la strada giusta. Chi stava loro attorno se ne accorgeva, e ora c’erano davvero molte persone che stavano loro attorno. Tsugumi era diventata la regista del club scolastico di teatro. Iori aveva iniziato a dare lezioni di disegno ai bambini del suo vicinato.

Le cose erano cambiate, sì.

Quando era piccola, Tsugumi era convinta che la strada per i regni della sua mente si nascondesse oltre la fine del viale di casa sua. Di giorno era una normalissima strada. Ma di sera, al crepuscolo, quando le ombre della sera confondevano le forme, disperdevano i confini, la strada si trasformava. Allora si apriva il sentiero segreto per la Terra che Tsugumi sognava.

Solo che... lei non poteva raggiungerla. Non sapeva perché, ma quel luogo che lei desiderava le era precluso.

Poi era arrivata Iori. In pochi istanti, con la magia che possedeva, aveva disegnato la mappa per arrivare laggiù. Insieme a Tsugumi si era incamminata lungo la strada. E poi, insieme, oltre la Porta, verso la Terra.

Ora Tsugumi viveva più di là che di qua, ma del resto era Inevitabile...

Le cose erano cambiate.

- Il giorno in cui incontri una persona con cui condividerai un pezzo della tua vita è speciale.– aveva detto una volta Iori, fissando l’infinito dietro di loro. – Il giorno in cui ti ho incontrata è il giorno in cui il mondo ha avuto inizio.-


- No, ti prego, non vestirlo con quella roba tremenda!-

- E perché? Io trovo gli stia così bene! Comunque, vai avanti a raccontarmi la storia.-

- D’accordo. Eravamo rimaste alla chiacchierata notturna di Kaoru e Takeshi.-

- Sai che sarebbero veramente carini insieme?-

- Non sognartelo nemmeno!-

- Oh, perché no?-

- Perché ho detto di no! Non voglio risvolti romantici nella mia storia!-

- Ma sono così carini!-

- Ho detto di no!-

- Ma sono così canon!-

- Ma sono io, il canon!-

- E’ che tu ti ostini a negare l’evidenza!-

- Ma non esiste l’evidenza, sono io che decido come vanno le cose, è la mia storia!-

- Ricordati! Ogni volta che neghi una coppia canon, succede qualcosa di molto, molto brutto!-

- Il mio canon dice che non ci sono coppie!-

- Perché non vuoi vedere la verità!-

- Mi spieghi di che verità parli???-

- Dovrò farti un promemoria. Non puoi andare contro il canon!-

- Insomma, mi ascolti o no?-

- Va bene, vai avanti...-

- D’accordo. Dicevamo... Ehi, cosa cavolo stai disegnando? Iori! Non provarci nemmeno...-


Avevano diciannove anni, quando vinsero il primo concorso. Una rivista piuttosto famosa pubblicò il loro piccolo manga, una storia breve, senza storie d’amore, ma ugualmente bella e sentita, e disegnata splendidamente.

Il giorno prima della vittoria avevano salvato una libreria da un incendio.

Erano felici, ed erano certe che tutto sarebbe andato avanti così, per sempre. Inoltre avevano iniziato a progettare un personaggio che sarebbe stato il migliore del mondo, di tutti i mondi, di tutti i sistemi di mondi esistiti ed esistenti. Ci stavano mettendo tutte loro stesse, e la creatura di carta prendeva vita giorno per giorno, iniziava a sorridere dagli schizzi di Iori, e nei quadernini di Tsugumi spuntavano uno dopo l’altro i frammenti della sua vita. Che sarebbe stata una grande vita. Eroica e memorabile. Un cuore puro, una forza sorprendente. Ne avrebbero raccontato la storia al mondo intero, molto presto.

Il giorno in cui era uscita la rivista su cui era stata pubblicata la loro storia, erano andate a comprarla insieme. Avevano brindato con una cioccolata calda, e avevano commentato ogni singola vignetta, con gioia e orgoglio.

Poi si erano salutate, prendendo strade diverse. Si erano date appuntamento al giorno dopo.

Non si erano viste mai più.

Quel che era successo era difficile anche da spiegare. Era come se il mondo di ognuna avesse dimenticato l’esistenza dell’altra. Genitori, amici... nessuno ricordava l’altra. Erano spariti oggetti scambiati, libri prestati, fotografie. Tutto in un istante, tutto senza ragione. Al telefono, l’altra non rispondeva. Se una cercava di raggiungere la casa dell’altra, non ci riusciva.

Lo sgomento si era trasformato lentamente in rassegnazione. I giorni, i mesi, gli anni... E avevano imparato a convivere con quella maledizione. Le loro vite erano cambiate. Tsugumi era andata a vivere da sola. Era riuscita a diventare una sceneggiatrice famosa, ma le sue storie si erano fatte cupe e tristi. Aveva iniziato a fumare troppo, era diventata nervosa e sgradevole.

Iori aveva lasciato il suo fidanzato, incapace di raccontargli la verità. Era diventata una collezionista di piccoli oggetti inutili, che le ricordavano il passato e la intristivano ogni giorno di più. Lavorava per riviste importanti e si faceva strada nel mondo dell’editoria fumettistica, ma le mancava qualcosa.

L’una veniva a conoscenza dei successi dell’altra, leggevano i manga dove l’altra aveva lavorato, cercavano notizie in giro per la rete. L’altra esisteva, dunque.

Eppure... non si potevano incontrare.

La mancanza dell’altra feriva i loro cuori, ma non era quello che aveva ingoiato le loro speranze e la loro forza. Erano terrorizzate dal fatto di non comprendere cosa fosse accaduto. Era la sensazione tremenda che la loro missione, il segreto che custodivano, fosse stato ostacolato, distrutto, e loro non avessero potuto fare niente per salvarlo.

Era come se il mondo iniziato tra le loro mani fosse stato conquistato da un’ombra che gli aveva tolto bellezza e senso.

Poi una mattina Iori si era alzata con un’idea folle. Aveva preso uno dei suoi disegni misteriosi – aveva continuato a farli, anche se non aveva più chi glieli interpretasse. Aveva racchiuso quelle linee insensate in una delle tavole del manga a cui stava lavorando.

E aveva aspettato.

Due settimane dopo, nel fumetto sceneggiato da Tsugumi, un personaggio diceva una frase un po’ strana, di difficile comprensione. Ma non per lei. Nel linguaggio complice che solo loro conoscevano, Tsugumi le stava dicendo che aveva interpretato il disegno, che era andato tutto bene, e che lei c’era, c’era davvero.

E un po’ di luce era tornata.


Due mesi prima che Hikari e Shuichi si conoscessero, le due donne avevano fatto lo stesso sogno: dovevano portare due ragazzi a conoscersi e fare amicizia.

Non si erano fatte troppe domande. Non l’avevano mai fatto. Sicure della presenza dell’altra, si erano gettate nell’impresa.





...continua...








A onor del vero vanno fatte un paio di precisazioni. Se la signorina Tsugumi ha qualcosa di irrimediabilmente mio, Iori contiene in sé particolari raccolti da una collezione di persone che ho la fortuna di conoscere. Dai riccioli e il sorriso alla capacità di fare orari improponibili a parlare di storie (“prendo Bleach e vado via, eh!”), dalla sorprendente abilità di guida artistica alla mania di mettere in dubbio il mio canon, per non parlare poi del cosplay, Iori è un monumentale omaggio a chi ha portato me, nei luoghi dei miei sogni. Dunque... Grazie.

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Capitolo 7
*** VII - Dream and Wake ***


Dolci creature che seguite le vicende di questa gente, grazie di essere qui ancora una volta!

Questo è il capitolo che meno mi convince. Ci sono delle rivelazioni importanti, ma lo trovo scritto male. Ci ho rimesso le mani così tante volte che non so più come gestirlo, purtroppo. Vi chiedo quindi di perdonarlo, e di non abbandonare la lettura, anche se vi perderete un po’ tra i casini di questo capitolo.

Grazie a tutti!

La citazione musicale iniziale viene da “Universe”, di Maaya Sakamoto.







VII –Dream and Wake


Kurayami to yoake no sukima ni

hitorikiri...


(Da solo, nello spazio tra l’oscurità e l’alba...)



- Ehi.-

Non se lo aspettava, di trovarlo lì, all’uscita di scuola. Ci aveva sperato, sì, ma non ci contava più di tanto. I genitori di Shuichi non erano come i suoi. I genitori di Shuichi erano apprensivi. Non erano stati felici di essere contattati dall’ospedale, perché il loro figlio maggiore aveva perso i sensi in un ascensore, in compagnia di uno strano ragazzo che diceva di non ricordare niente di quel che era successo.

Shuichi era sempre tetro come al solito, con i capelli ancora più lunghi e la sua tracolla malridotta, e tutto questo era in qualche modo consolante.

Hikari gli corse incontro, senza dire niente. Non lo rivedeva dal giorno in cui avevano rischiato la vita insieme, due settimane prima. E l’idea di dover affrontare gli eventi dell’ascensore sarebbe stata tremenda anche per una persona meno apprensiva di lui...

- Tutto bene?-

- Io sto bene.- rispose Hikari. – Tu come stai? Ero in pensiero! Ma tua mamma ha telefonato ai miei, ha detto loro che non dovevo provarmi a contattarti, perché di sicuro era colpa mia o qualcosa del genere, e...-

- E piantala di agitarti così. Sto bene.-

Hikari abbassò la testa, confuso.

- Scusami. E’ che ho avuto paura. Non so cosa sia successo. E volevo parlarne con te, ma tu, per quanto ne sapevo, eri in coma in un ospedale, e non potevo nemmeno venire a vedere come stavi, e...-

Shuichi fece il millesimo cenno disperato all’altro, per farlo smettere di parlare, e finalmente riuscì ad ottenere tre secondi di silenzio.

- Sono rimasto svenuto quattro giorni. Ultimamente mi capitano cose strane. Anch’io volevo parlarne con te, ma mia madre ha iniziato a blaterare che probabilmente tu mi avevi spinto a drogarmi, o qualcosa del genere.-

- In un certo senso è vero. Io...- Hikari si fermò, comprendendo che avrebbe dovuto confessare all’altro la cosa che aveva tormentato la sua mente in quei giorni. – Nell’ascensore...-

- Hai tentato di strangolarmi.-

Hikari sollevò il viso e fissò l’altro negli occhi, terrorizzato.

- Lo sai?-

- C’eravamo solo io e te, non è così difficile immaginare come siano andate le cose.-

- E non...-

- Non?-

- Cioè tu... Non...-

- Non penso che ti ucciderò per vendicarmi, no.-

- Ma io...-

- Non eri in te. Era tutto confuso, lì. Non so bene cos’è successo, ma sono sicuro che era una specie di illusione. Era come essere rinchiusi in un incubo.-

- Potevo farti del male per davvero.-

- Non è andata così.-

- Io avrei paura.-

- Paura di che, di un idiota come te?-

- Se risuccederà...-

- Non mi farò prendere di sorpresa. Ti mollerò un pugno e vedrai che non mi farai nulla. E ora basta, per favore. Ok? Senti, in fondo me l’avevi detto, che portavi guai.-

Hikari abbandonò l’espressione desolata, spalancando gli occhi per la sorpresa.

- Cosa ti avrei detto?-

- Quando ti ho incontrato. Mi hai predetto che i miei guai stavano cominciando.-

- Ah. Non ricordo. E hai anche fatto un disegno, per quella previsione?-

- Certo.-

Shuichi fece la sua personale interpretazione di un sorriso, poi pescò un foglio spiegazzato dalla sua borsa delle meraviglie, e lo mise nelle mani dell’altro. Hikari lo prese, e il suo viso si riempì di stupore.

- Quando lo hai fatto?- domandò il più giovane.

- La sera del nostro incontro.-

- Lo sapevi? Sapevi che avremmo... Oppure hai...-

Shuichi riprese il foglio e vi fissò lo sguardo. C’era un’immagine ben definita, un viso femminile, una ragazza con i capelli lunghi e gli occhi chiusi.

- Insomma, è lo stesso personaggio su cui stiamo lavorando da un po’. L’hai disegnata in quel modo perché avevi visto questo disegno?-

- No. Quando ti ho portato il suo ritratto, ero convinto di averla appena immaginata. Questo disegno l’ho ritrovato ieri sera.-

- E come fai ad essere sicuro che è il disegno relativo a quella previsione?-

- Una sensazione. Ma ne sono sicuro.-

- Così la mia previsione significherebbe che... L’inizio dei nostri guai è Moyashi?-

Shuichi spalancò gli occhi, leggermente sconcertato.

- Come hai detto che vuoi chiamarla?-

- Moyashi.-

- Ma che razza di nome sarebbe?-

- Cos’ha che non va?-

- Vuol dire seme di soia! E’ un nome da pupazzo o da folletto, non da guerriera!-

- Ha il suo perché! Ha il suo senso nella storia, e sono sicuro che quando te lo racconterò ti piacerà!-

- Ah sì? Beh, allora raccontamelo!-

- Tu però offrimi la merenda.-

- Hai anche certe pretese?-

Hikari afferrò la tracolla della borsa e prese a correre, trascinandosi l’altro dietro. Gli era mancato tremendamente tutto quello. E aveva pensato che non ci sarebbe stato più nulla di simile.

Rimasero insieme tutto il pomeriggio. Era un settembre particolarmente mite, e stare fuori aveva la sua attrattiva. E poi erano due settimane che il mondo degli shinigami rimaneva disabitato.

Parlarono a lungo di Moyashi e Tetsuya, e di cose che non c’entravano niente con i loro poteri. Poi, mentre Shuichi raccoglieva i disegni, Hikari prese coraggio e richiamò l’attenzione dell’altro.

- Mentre eravamo nell’ascensore. Lo sai cosa ci ha salvati?-

Shuichi fu colto di sorpresa.

- Cosa?-

- E’ venuta una persona. Mi ha detto che ero stato ingannato da una visione falsa. Mi ha detto che siamo dentro a qualcosa di più grande di noi, e che qualcuno ci vuole distruggere, perché siamo pericolosi per lui. Lui entra nella mente delle persone, e le manovra, o qualcosa del genere.-

- E chi diavolo era, la persona che ti avrebbe detto queste cose?-

- Tu la conoscevi.-

Shuichi impallidì.

- Chi era?-

- Eiko.-

- Cosa?-

Shuichi stava fissando il vuoto, come se quel nome fosse bastato a sconvolgerlo del tutto. Hikari fece qualche passo indietro. Sarebbe voluto sparire in quell’istante. Si sentiva quasi colpevole per non averglielo detto prima.

No, in realtà si sentiva colpevole per essere stato lui a vedere Eiko.

- Mi ha detto di chiamarsi così. Mi ha detto che era legata a te. Che vuole proteggerci e non ci lascerà da soli. E’ lei che ci ha salvati.-

L’altro continuava a non rispondere, immerso in pensieri irraggiungibili.

- Shuichi?-

- E’ morta, vero?-

- Non lo so. Credo...-

- La rivedremo? Tornerà da noi? Almeno per spiegare. Almeno per una volta...-

Hikari indietreggiò ancora, come per difendersi dai sentimenti dell’altro.

- Non lo so. Lo spero. Vorrei davvero che potessi parlarle.-

- E’ sparita più di un anno fa.- mormorò Shuichi. Sembrava restio a parlare di quella faccenda. Per qualcuno così poco propenso a mostrare i suoi sentimenti doveva essere davvero difficile. Eppure anche Hikari doveva capire, così il racconto andò avanti. – Era... Non lo so nemmeno io, cos’era. Era la mia vicina di casa. E a me lei piaceva. E comunque era l’unica amica che avevo. Però... Quando la sua famiglia si è trasferita all’improvviso, io... Me lo immaginavo. Ho pensato subito che fosse morta. Non era tipo da sparire così. Senza nemmeno tentare di lasciare un messaggio.-

Hikari decise che poteva avvicinarsi di nuovo all’altro.

- Sono sicuro che la rivedrai.- provò a dire, sperando di non urtare i sentimenti di Shuichi. Lui non rispose, ma non sembrò infastidito da quelle parole.

- Già.- rispose, infine. Poi fece una pausa, come per allontanare quell’argomento, almeno per il momento. – Senti, parliamo un po’ di questa faccenda. Ascensori, sogni, cose del genere.-

- Metto la sveglia ogni due ore, e mi sveglio.-

- Cosa?-

- Ho paura di fare incubi. Io credo che il nostro avversario mi manovri nel sogno. Eiko ha detto che entra nelle menti, e anche nell’ascensore è successo tutto quel caos per colpa sua. Era nella mia mente. Non posso dormire, se so che quello è lì e vuole farmi fare cose. E ho perso la tua cartina.-

- Quando l’hai persa?-

- Non lo so. C’è un casino allucinante in camera mia. Non riesco a trovarla.-

Shuichi si fermò un attimo a riflettere. Poi si chinò e prese a raccogliere i disegni che aveva sparpagliato a terra. Frugò e cercò, finché ebbe trovato ciò che voleva.

- Tieni.-

Hikari prese il foglio che l’altro gli offriva, e vide che si trattava del disegno che aveva visto qualche ora prima. Il disegno che si accompagnava alla sua predizione di guai.

- Questo?-

- Sono sicuro che è la scelta giusta.-

- Va bene. E tu... Niente stranezze?-

- Diciamo che da quando è successa tutta la storia dell’ascensore ho il problema opposto al tuo. Mi sveglio all’improvviso e faccio dei disegni.-

- Ed è un problema?-

- ... se vedessi i disegni, capiresti.-

- E... allora...-

- Allora ho paura che il tizio misterioso stia rompendo le palle anche a me.-

Hikari aprì bocca per esporre l’ennesimo dubbio, ma fu bloccato dal fastidioso e improvviso trillo di una suoneria.

- Oh, cavolo.- borbottò Shuichi. – Me l’ha infilato in borsa. Mia madre. Il telefono.-

Il ragazzo pescò un cellulare che navigava tra i tesori celati nella sua borsa.

- Immaginerà con chi sei.- disse Hikari, con apprensione.

- Sai quanto me ne frega.- fu la tranquilla risposta dell’altro. Spense il telefono e lo gettò di nuovo in borsa. – Però è tardi. I tuoi si preoccuperanno.-

- Non così tanto.-

- Ma che razza di gente sono, i tuoi?-

- Te l’ho detto. Vivono in un mondo tutto loro. Finché non succede qualcosa di male, tutto va bene. Più o meno.-

- E com’è che tu sei così asfissiante, allora?-

- Sarà per via delle premonizioni, o qualcosa di simile.-

Shuichi si alzò, sospirando. Riassettò l’uniforme spiegazzata e infilò la tracolla.

- Penso sia ora di andare.-

- Ehi. Shuichi.- Hikari gli stava porgendo dei fogli strappati da un quaderno.

- Che cos’è?-

- Una cosa che ho scritto.-

- Vuoi che la legga?-

- Tienila da parte. Per stanotte. Magari è così noiosa che anche ti addormenti e non ti svegli per tutta la notte.-

Shuichi fece una risatina e prese i fogli. Li stirò per bene e li ripiegò con la stessa cura che l’altro aveva riservato al suo disegno. Poi mise la storia in tasca, e finalmente fece un sorriso pieno.

- Tu guarda cosa si deve fare per sopravvivere.-


- Dove sei stato?-

Shuichi transitò davanti a sua madre, superandola senza nemmeno degnarla di uno sguardo.

- In giro.- rispose lui, sparendo nella sua camera. Non fece in tempo a serrare la porta che sua madre era già entrata.

- Fino a quest’ora? Ti devo ricordare che fino a pochi giorni fa eri in ospedale?-

- Ora sto bene.-

- Non eri con quel tipo, spero...-

- Chi, il drogato?-

- Shuichi, smettila di prendermi in giro!-

La donna si avvicinò al figlio: non sembrava arrabbiata, soltanto molto preoccupata. Shuichi addolcì appena l’espressione gelida che aveva assunto.

- E tu smettila di non credermi, però. E’ la verità, non ricordiamo niente, ma probabilmente è andata semplicemente così: l’ascensore si è rotto, c’è stato uno scossone e siamo caduti.-

Il ragazzo si sedette sul letto e prese a tirare fuori i suoi disegni dalla borsa.

- Però adesso devi stare tranquillo e riguardarti.- insisté lei.

- Va bene.- concesse. La donna, poco convinta, uscì dalla stanza socchiudendo la porta.

- Sì, vallo a dire al mostro misterioso che passeggia nei nostri cervelli...- borbottò il ragazzo. Poi si alzò, andò alla sua scrivania, prese un foglio e socchiuse gli occhi.

- Nemmeno mi ricordo bene...- mormorò, avvertendo le mani che gli tremavano. Poi prese una matita, e cercò di tenerla salda tra le dita. Appoggiò la punta sul foglio e iniziò a tracciare una linea.

- Almeno in questo modo, fatti vedere.-

E le linee fiorirono in forme precise e aggraziate, dando vita a un volto, un sorriso. Una cascata di riccioli e un abito leggero, come una sorta di veste da angelo. Del resto, adesso andava in giro ad apparire ai suoi amici, salvando vite. Era una specie di angelo, no?

Sorrise, quando ebbe finito. Le somigliava abbastanza.

Quando arrivò l’ora di andare a dormire, Shuichi decise di sperimentare le virtù delle storie di Hikari. Era l’ennesima follia che gli toccava fare, ma ormai non si stupiva più molto. E poi, in quelle notti, quando si era svegliato e aveva disegnato senza rendersene conto, erano venute fuori cose tremende. Aveva fatto sparire chissà quanti schizzi incomprensibili, certo che fosse la cosa giusta da fare. Non riusciva nemmeno a guardarli o a provare ad interpretarli, quei disegni.

Accese la luce e si sistemò per bene, per leggere. Magari la storia era davvero così noiosa da farlo dormire, ma ne dubitava. Magari la magia stava da un’altra parte.

La storia non fu noiosa per nulla, l’aveva letta in pochi minuti.

Dovrebbe davvero continuare a scriverne, di roba così.

Fu il suo ultimo pensiero cosciente, fino alla mattina dopo.


Nel sogno Hikari era finito di nuovo in uno di quei labirinti che gli facevano paura. Era tutto bianco, questa volta: le vie, le pareti di pietra, la neve che scendeva, la luce strana e inquietante. Il bianco toglieva ogni più piccolo punto di riferimento e lo faceva sentire ancora più perso e senza speranze.

Oh, perché accidenti Shuichi non gli aveva disegnato una cartina?

Perché ci sono io.

Si voltò, e si trovò davanti una figura che si stagliava luminosa contro il bianco. Era tutta azzurra: i capelli, le vesti, l’aura attorno a lei. Aveva il viso e la mani pallidi, ma la luce che emanava faceva sembrare azzurrini anche quelli. Era una ragazza, una splendida ragazza.

Hikari sorrise: la conosceva molto bene. Era Moyashi, il loro personaggio.

- Tu?-

Lei gli tese la mano e lui l’afferrò.

Ti porto fuori da qui, in salvo.


- Ehi.-

Shuichi si affacciò alla finestra, stupito di vedere che il suo amico frignone aveva avuto il coraggio di entrare di nascosto nel suo giardino.

- Ma che hai fatto, hai strisciato nel fango?-

- Sai com’è, ho dovuto scavalcare un cancello, e siccome è piovuto per tutta la giornata...-

Shuichi rise e gli lanciò un asciugamano.

- Io comunque ho dormito, e tu?-

- Sì, anch’io.-

- Bene. Hai trovato la strada?-

- Mi ha aiutato Moyashi.-

Shuichi scosse la testa. Certo. Ogni logica era morta già da tempo, per loro due. Era perfettamente normale che il personaggio del manga che stavano progettando fosse piombato nei sogni di Hikari per salvarlo.

- Scrivimi altre storie.-

- Ehi, ascolta un attimo, non è che scrivo storie per farti dormire!- protestò l’altro.

- Tu scrivi.-

- Va bene. Ci provo. Intanto però tieni quella che ti ho dato.-

- Ok. Ci penserò uno storyboard.-

- Ti sei annoiato tanto a leggerla?-

- Idiota. Ti ho detto che voglio pensarci uno storyboard, quanto pensi mi sia annoiato?-

Il cielo aveva spento i suoi colori, lasciandosi conquistare dalle nuvole. Il giorno stava finendo, e l’estate era definitivamente andata. Shuichi si perse un attimo a guardare in alto, e poi oltre i confini reali, da qualche parte davvero lontana.

- Però dobbiamo fare qualcosa.- mormorò. – Non possiamo vivere così per sempre.-

- Ma a chi chiediamo aiuto?-

- Non lo so. Prova a chiedere a Moyashi. E’ lì per tirarti fuori dai guai, no?-

- Beh, sì, lo so, ma... Insomma...-

- Insomma che?-

- Insomma, sono in imbarazzo.- borbottò Hikari, arrossendo. Shuichi scoppiò a ridere di gusto, e rise a lungo, incurante delle proteste dell’altro.

- In imbarazzo... e perché?-

- Mah, non lo so!- si arrabbiò il più giovane. – E’ un mio personaggio! E tu l’hai disegnata troppo bella, e non so se le sta pensiero venire lì ad aiutarmi, e...-

- Oh, e piantala! Almeno nei sogni, cerca di parlare con una bella donna.-

- Ehi, cos’era, un modo per dire che...-

- Esattamente. E ora torno dentro, prima che mia mamma arrivi e ti trovi qui. Come minimo chiama la polizia e ti denuncia per aver invaso la nostra proprietà.-

Hikari sgattaiolò via, e Shuichi rientrò, cercando di non pensare all’assurdità di tutta la situazione.

Quella notte, quando si svegliò, rilesse la storia, iniziò ad immaginarci dei disegni, ma alla seconda vignetta era già piombato nel sonno.

La mattina seguente, però, non si svegliò prima degli altri, come al solito. Quando sua madre entrò nella sua stanza, lui stava ancora dormendo, seduto sul letto, con la luce accesa e dei fogli in mano. Contrariata, la donna fece per chiamarlo. Poi notò i fogli in mano al figlio.

Fu colta dalla curiosità, e glieli trasse delicatamente di mano. Si sentì in colpa, ma si sentì anche autorizzata dal fatto che il ragazzo le stesse chiaramente nascondendo qualcosa. E se magari, leggendo quei fogli, avesse potuto scoprire qualcosa di fondamentale sul ragazzo? Se in quel modo avesse potuto aiutarlo?

Qualche istante dopo Shuichi si svegliò, con una sensazione di freddo e disagio. Non si rese conto che la storia di Hikari era sparita. Confuso e mezzo addormentato come quasi tutte le persone lo sono, di prima mattina, raggiunse la cucina per cercare un po’ di caffè e risvegliarsi del tutto.

- Oggi viene tuo padre a prenderti, all’uscita di scuola.- gli annunciò la mamma.

Sua madre era comparsa dal nulla, a portargli la notizia peggiore del mondo.

- Perché?-

- Perché oggi passeremo la giornata tutti insieme. Tutti quanti. E’ così tanto tempo che non lo facciamo. Non ti pare?-

Shuichi annuì, rassegnato. Immaginò che sua madre si fosse messa in testa che lui era un ragazzo problematico e che magari era tutta colpa del clima familiare.

Beh, sì, problematico lo era, ma in un modo che sua madre nemmeno si immaginava.

- Ho detto ai professori di tenerti d’occhio. Non sognarti di scappare da scuola o cose del genere.-

- E perché dovrei?- borbottò. Improvvisamente un pensiero lo raggiunse. Qualcosa che doveva chiederle, assolutamente. – Mamma, tu lo sapevi che la figlia dei nostri vicini di casa era morta? Che non si erano trasferiti all’improvviso, ma se ne erano andati dopo la sua morte?-

Sua madre impallidì.

- Chi te l’ha detto?-

- E’ così, allora?-

- Sì, lo sapevamo.- ammise lei.

- E perché non mi avete detto niente?-

- Perché tu e lei... Tu le eri molto legato. Avevamo paura.-

- Paura di cosa?- domandò lui, che cominciava ad alterarsi. – Paura che fossi incapace di superare la cosa?-

- Avevamo paura che rimanessi sconvolto.- mormorò la donna, facendo qualche passo indietro.

- Come pensi che mi sia sentito, quando ho scoperto come sono andate davvero le cose?- gridò lui, alzandosi in piedi. La donna abbassò gli occhi.

- Scusami. Devi perdonarci. Ma è stata una cosa così orribile... E’ stata uccisa. La ritrovarono al parco Tsubaki. Ne parlò anche la TV. Di una ragazza morta probabilmente per soffocamento, ritrovata in quel parco. Ti ricordi? Non venne mai rivelata la sua identità.-

Shuichi annuì, iniziando a ricollegare i pezzi.

- Voi lo sapevate tutti?-

- Sì. Ma era per il tuo bene!- gemette la donna, addolorata di fronte alla reazione del figlio.

Lui la guardò con rabbia. Poi scivolò di nuovo a sedere, distogliendo gli occhi da lei.

- Te l’avremmo detto...- disse lei.

- E quando? Il giorno del mio matrimonio, magari, per essere sicuri che non mi sarei sconvolto più di tanto?- ribatté lui, cupo. – Non sono un bambino stupido. Cerca di fidarti di me.-

- Ma io mi fido di...-

- No, non ti fidi di me, e si vede!- Si alzò in piedi di nuovo. Non sembrava arrabbiato. Solo triste e confuso. La donna non ebbe il coraggio di dirgli niente. – Se vuoi dimostrare che ti fidi di me, allora...-

Allora cosa? Credimi se ti dico che ho dei superpoteri e che la salvezza della città dipende da me?

- Va bene, dai.- borbottò. Non aveva nessuna voglia di arrabbiarsi o discutere ancora.

Uscì di casa con il pensiero fisso su ciò che gli era stato nascosto per tanto tempo, completamente ignaro della sparizione della storia di Hikari. Per tutta la giornata rimase silenzioso e distante, e la sera si infilò nel letto senza ripensare alla sorta di magia che nelle notti precedenti lo aveva protetto.

Si svegliò, dopo meno di tre ore di sonno, si alzò, andò alla scrivania e cominciò a disegnare.

Quando i suoi occhi furono di nuovo capaci di vedere insieme alla sua mente, scoprì che non aveva tracciato linee vaghe o schizzi, sui fogli. Era una storia. Quattro pagine di storia, disegnate alla perfezione e colorate. Rimise i fogli in ordine (in qualche modo era certo che l’ordine fosse quello), e cominciò a leggere.

C’era Moyashi, vestita di azzurro, senza le sue armi, che correva attraverso un parco. Nelle prime scene il parco era un comunissimo parco, con alberi, aiuole e panchine. Poi però gli alberi si infittivano, e tra di essi spuntavano statue dalle forme orribili, facce allungate in grida di agonia, artigli protesi verso il cielo. Davvero la sua fantasia conteneva immagini simili?

A un tratto Moyashi si trovava di fronte qualcuno.

Quando aveva inventato un personaggio con un design del genere?

Era un uomo, piuttosto giovane. Uno di quei personaggi per cui, se fosse stato un mangaka vero, sarebbe stato amato dalle ragazze, probabilmente. L’uomo era alto e robusto, con un bel viso sorridente. Di quei sorrisi che nascondono un mondo di malizia e crudeltà, ma che sono, a loro modo, attraenti. Indossava una camicia bianca, a quadri azzurri, e una cravatta arancione. Aveva i capelli abbastanza lunghi, mossi. Li aveva colorati di verde, così come l’occhio destro del misterioso nemico. Quello sinistro era nascosto da una benda rossa.

Ed era un nemico, su quello non c’erano dubbi.

Moyashi gridava, cercando una spada che non c’era.

“Sei qui.” diceva l’uomo. “Sai chi sono?”

“Matsui Murasaki.” rispondeva lei, terrorizzata. In un modo orrendo. Non avrebbe mai disegnato un personaggio con tutto quell’orrore in viso.

“Ora mi prenderò i tuoi colori. La tua anima.”

L’ultima pagina aveva un’illustrazione enorme, in cui l’uomo sorrideva, mentre i colori venivano via lentamente dalla figura di lei, che urlava, il viso contratto in un’espressione di dolore. Nella penultima vignetta c’era il corpo di lei, indubbiamente morta, del tutto priva di colori, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata in un grido che non avrebbe mai emesso.

L’ultima immagine era quella del sorriso di lui.

Shuichi afferrò i fogli, li accartocciò, li strappò in una miriade di frammenti. Poi corse fuori dalla sua stanza, molto vicino a cadere completamente nel panico.

E’ solo un disegno, sono solo disegni!

Non è così, e lo sai. C’è qualcos’altro. Non va bene, non dovevo rimanere sveglio!

Quando tornò in camera, la finestra era spalancata, e i pezzettini di carta erano volati via, tutti. Shuichi crollò a terra, nascose il viso tra le mani e rimase a tremare nel buio.




...continua...

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Capitolo 8
*** VIII - Episode 24 ***


Coming to the end, ancora una volta vi ringrazio tutti, uno ad uno, per essere arrivati fin qui. Questo è il penultimo capitolo, seguirà il finale e poi un epilogo. Quindi, sto barando, e questo è il terzultimo, ma il clima da imminente tragedia mi piaceva!XD

Mi sento un po’ frustrata: tutti i capitoli hanno la parola “dream” nel titolo, tranne questo! Ma il titolo che ho scelto era troppo calzante...

Immagino che anche in Giappone ci sia il costume di dare un numero diverso ai tram, a seconda del loro percorso?XD Se così non è, concedetemi la licenza poetica!XD

La citazione musicale iniziale viene da “The dream within”, Lara Fabian (Final Fantasy – The spirits within OST)

I due bambini alla fermata del tram sono di Wren, e la ringrazio per esserseli fatti rubare per una scena! ^_^

Buona lettura...






VIII – Episode 24



The voice is calling a song
A prayer
From deep inside you
To guide you
Be
The dream within
The light is shining


A flight on the wind
Salvation begins




Iori si svegliò con una sensazione di disagio appiccicata addosso. Era come se una nebbia umida e fredda avesse impregnato casa sua, le sue cose, i suoi vestiti, i suoi pensieri. Il cielo grigio rifletteva la sua ansia senza spiegazione. Si preparò in fretta, pensando che aveva bisogno di telefonare a qualcuno, sentire una voce conosciuta e cacciare via i rimasugli di sogni negativi.

Tentò due telefonate, ma in entrambi i casi non ebbe risposta.

- Oh, va bene. Basterà un the e qualche disegno.-

Il the venne fuori scialbo e si freddò subito, senza darle molto conforto.

- Che giornata iniziata male!- si disse, tentando di ridere. Ma non era sciocca: la sentiva anche lei, la sua voce che tremava, dietro la risata.

Era successo qualcosa, da qualche parte, quella notte. E aveva la tremenda sensazione che fosse accaduta ai loro protetti.

Si mise al lavoro: c’erano tavole da consegnare nel giro di poche ore, e l’indomani avrebbero visto la luce sulle pagine della rivista. Doveva darsi da fare.

Non appena si fu seduta, qualcosa si impossessò di lei. Era come un frammento del sogno che aveva fatto. Un brutto sogno. C’era un labirinto. Una ragazza. E poi... un parco? E qualcos’altro, che non voleva ricordare.

Non voleva. Non doveva.

Però...

Però ormai aveva preso le sue mani, e stava tracciando linee, stava dando indicazioni, stava obbedendo ad una volontà non sua. Le immagini presero vita e si fissarono sul foglio, e Iori non fu in grado di controllarsi, nemmeno quando tornò in sé. Aveva dimenticato tutto, quel momento di trance incerta e i suoi incubi. Le tavole furono consegnate, con la loro indicazione ben precisa.

Qualcuno l’avrebbe letta e seguita, come sempre.


La vignetta saltò agli occhi di Tsugumi dopo appena mezzo secondo che la pagina era stata esaminata. La sua intuizione funzionò, come al solito. Tsugumi sapeva esattamente cosa fare. Lo faceva da quindici anni. Iori nascondeva i disegni che prevedevano il futuro tra le vignette dei suoi manga, Tsugumi li comprendeva e agiva di conseguenza. Premurandosi poi di inserire nei suoi dialoghi qualcosa che segnalasse all’altra la missione compiuta.

Anche questa volta le sembrò immediata la comprensione del disegno.

La biblioteca vicino al parco Tsubaki. Doveva semplicemente far sì che qualcuno vi entrasse. Un uomo con gli occhiali. Piuttosto semplice. E piuttosto strano, anche. Da qualche giorno aveva la sensazione che stesse per accadere qualcosa di brutto, e la cosa peggiore era che questo presentimento non riguardava lei e Iori. O meglio, non solo loro.

Partiva dai loro ragazzini. Come se loro fossero l’obiettivo dell’evento negativo che aleggiava nell’aria. Ma non si fermava lì. Si preparava qualcosa di dimensioni enormi, lo avvertiva chiaramente.

Per ora, però, finché Iori non le diceva niente di più preciso, tutto ciò che poteva fare era far entrare un uomo in biblioteca.


Se quell’inizio di mattinata fosse stato l’inizio di una puntata di anime, sarebbe stata probabilmente la puntata 24 in una serie di 26 puntate. Il preludio ai guai, insomma, con quel cielo strano e l’aria umida. E il mal di testa leggero, e la brutta sensazione che si ha mentre si legge una storia che finirà malissimo.

Solo che quella sensazione non era diretta verso un manga o una delle sue storie. Era molto reale, e riguardava loro.

Hikari finì di prepararsi, cercando di spostare il pensiero sull’incarico di regista della compagnia teatrale scolastica che aveva accettato il giorno prima. Sarebbe stato un grosso impegno, ma la cosa gli piaceva, e aveva già molte idee. Tutto stava nel vedere se potevano metterle in pratica. Comunque la gente del gruppo teatrale era in gamba, gli sembrava disposta a imbarcarsi in cose abbastanza folli, e poi...

- Hikari!-

Sua madre piombò in camera sua, stringendo il telefono, con un’aria preoccupata come raramente l’aveva vista.

- Che succede, mamma?-

- Era la mamma del tuo amico.-

Il finale tragico non era una realtà così lontana, aveva ragione.

- Cos’è successo?-

- L’hanno portato in ospedale, stanotte. In stato di shock. Non riesce a parlare, sembra terrorizzato. Non sanno cosa gli sia successo. Sua madre ti vuole lì.-

- Me? Ma se sembra pensare che sia io la causa di tutti i mali di suo figlio!-

- Forse ha capito che sei l’unica persona che può farci qualcosa.-

Hikari fissò sua madre, senza capire. Troppe cose tutte insieme: Shuichi che stava male, la madre di Shuichi che chiedeva di lui, sua madre che diceva cose strane...

- Hikari, io non lo so cosa stia succedendo a te o al tuo amico. E non so perché non vuoi dircelo. Sono spaventata, e forse dovrei chiuderti in casa e obbligarti a dirmelo. Ma non ne sono capace. Credo sia meglio che tu vada in ospedale, invece. E quando il tuo amico starà bene, magari mi dirai cosa sta succedendo.-

Hikari le fece cenno di sì.

- Non credo che andrò a scuola.- le urlò, mentre correva via.

- Non avevo dubbi.-

Quando il ragazzo fu uscito di casa, la donna si diresse verso un piccolo armadio, che se ne stava nel corridoio, sempre chiuso. Ufficialmente la chiave era stata persa, dentro non c’era niente e il mobile era solo il ricordo della nonna paterna di Hikari.

La donna trasse fuori dai vestiti la catenina che portava, a cui erano appesi alcuni piccoli ciondoli. Uno aveva la forma di una chiave d’argento. Minuscola, perfetta per la minuscola apertura situata sotto la finta serratura dell’armadio. Infilò la chiave nella serratura segreta e la fece scattare. L’anta si aprì, rivelando uno scrigno, involto in un lungo nastro rosso.

- Vecchia strega, perché dovevi mettere nei guai proprio lui?- mormorò la donna, trattenendo le lacrime. Armeggiò con il fiocco e riuscì a sciogliere il nastro. Le ci volle un po’, ma alla fine fu in grado di aprire lo scrigno.

L’eredità spaventosa di Megumi, la madre di suo marito. Famosa per fermarsi pochissimo in ogni città in cui andava ad abitare. Ancora più famosa per la sua nomea di maga e veggente. Poco conosciuta, invece, come esperta di storia. Non della normale storia che si studia a scuola. No, quella vecchia pazza era sempre a raccontare episodi impensabili accaduti nelle città più piccole, nei villaggi più sconosciuti. E al centro dei suoi racconti improbabili c’erano sempre magie, poteri, futuri cambiati per pochi secondi, maledizioni antiche quanto il mondo.

Lei non le aveva mai creduto molto. Finché un giorno aveva visto qualcosa. Allora aveva dovuto credere, sì. Suo marito rimaneva in silenzio, diviso tra l’amore per la moglie e quello per la madre.

Poi Megumi si era stabilita lì, vicino a loro. Ho qualcosa da fare, diceva. Ho delle persone da trovare. Persone a cui affidare un compito.

Perché questa città ha sempre avuto qualcosa di oscuro. Fin dalle sue origini, questo luogo è stato prediletto dagli spiriti peggiori, dalle forze più negative. Il perché, si perde nel tempo, nella fondazione sanguinosa della città.

Eppure... Le altre forze hanno sempre dotato questa città di protettori, per bilanciare l’oscurità che vi abita – perché tutto tende all’equilibrio.

E quelli che come me conoscono il passato, hanno il dovere di insegnarlo a coloro che custodiranno la città.

Parole, un turbine di parole senza senso. L’importante era che rimanessero nei monologhi folli della vecchia e nelle sue stanze, e non finissero per influenzare il ragazzo.

Lei era sicura che Megumi lo avesse fatto apposta, a coinvolgere Hikari.

Non sono io che attribuisco poteri, io posso solo preparare la strada.

Mentiva, ovviamente. Doveva lasciare fuori il ragazzo da tutte le sue storie. Doveva farlo! Megumi l’aveva implorata di crescere suo figlio abituandolo all’idea dell’infinito universo spirituale che si nascondeva dietro la realtà sensibile, ma Megumi era morta quando Hikari aveva sei anni, e non aveva potuto fare molto danno, se non raccontargli le sue fiabe spaventose. Quando Megumi era morta, lei aveva nascosto tutta la sua roba nell’armadio, pregando che non venisse mai il momento in cui avrebbe scoperto che anche suo figlio era invischiato nella stessa follia.

E invece, adesso...

Frugò nello scrigno. Un mazzo di tarocchi, una scacchiera, dei piccoli quaderni. Fogli scritti, fogli disegnati. Oggetti colorati. Alcune foto.

Che senso ha, tutto questo?


Quando Hikari entrò nella stanza di Shuichi, si spostarono tutti per farlo passare, come se fosse stato lo specialista geniale in grado di risolvere la situazione con un’occhiata appena. Un’infermiera fece uscire tutti e lasciò i due ragazzi da soli nella stanza. Shuichi era disteso sul letto, pallidissimo. Appena lo vide arrivare, però, si rianimò. Si alzò di scatto, sforzandosi di chiamarlo per nome. Sembrava non avesse nemmeno le forze di parlare. Hikari gli fu accanto in un momento.

- Ehi, cosa diavolo ti è successo?- domandò, angosciato.

- Stanotte...- mormorò Shuichi. – Ho disegnato.-

- Ma... la storia non ha funzionato?-

- Non ce l’avevo.-

- E che fine ha fatto?-

- Non lo so.-

Hikari si avvicinò di più all’altro, per non perdere nemmeno una sillaba di quel rantolo appena percettibile che era la voce di Shuichi.

- Cos’hai disegnato?-

- Era... era orrendo. L’ho strappato. Una folata di vento. Sono volati via i pezzi. Mi sono sentito male.-

- Aspetta, aspetta un attimo. I pezzi del disegno strappato sono volati via?-

- Sì. Credo. Sono uscito dalla stanza. Tornato. C’era la finestra aperta. Non l’ho mai aperta.-

- Ok. Ho capito. Però calmati. Non può essere così grave. No? Era solo un disegno.-

- No! Era... era...-

- Calmati. Va bene. Era particolarmente brutto. Però...- Si fermò un attimo, come colto da un pensiero improvviso, e quando parlò di nuovo lo fece con la voce distante che usava quando il suo potere prendeva il sopravvento e lo spingeva a fare profezie a voce alta. – Non deve entrare in biblioteca. Quell’uomo. Altrimenti a tutta la città saranno sottratti i colori e l’anima.-

Poi tornò in sé, scuotendo la testa, come per cambiare l’immagine nel caleidoscopio folle che erano i suoi pensieri.

- Hikari, dammi un pezzo di carta e qualcosa per disegnare!-

- Ho di nuovo parlato a sproposito?- gemette il ragazzo, guardandosi attorno in cerca di quello che l’amico aveva richiesto.

- No, semmai hai detto una cosa fondamentale, ma se non provo a disegnare non lo sapremo mai!-

Hikari afferrò una borsa da donna che qualcuno aveva lasciato vicino al letto dell’amico e vi frugò dentro.

- E’ di tua madre?-

- Sì.-

- Si arrabbierà se usiamo il suo rossetto per disegnare?-

- Sì, ma non me ne frega nulla.-

Shuichi prese il rossetto della madre, socchiuse gli occhi e prese a tracciare linee sul lenzuolo bianco che lo copriva.

- Geniale.- borbottò Hikari. – Così dovremo portarci in giro il lenzuolo, adesso. Geniale davvero.-

- Stai zitto.- rispose Shuichi, tornando in sé. – Semmai dovremo riuscire a far sparire un paziente senza che nessuno ci dica nulla.-

- Tanto, ormai siamo alla puntata 24, le cose possono solo peggiorare.-

Shuichi gli lanciò un’occhiata un po’sconcertata, poi tese il lenzuolo davanti a sé, tentando di capire qualcosa nei segni rossi che aveva disegnato.

Non era un’immagine, era un ideogramma.

Uso (Menzogna).

- E’ una menzogna? La mia predizione?- mormorò Hikari.

- Non lo so. Credo di sì. Ma non riesco a capire.-

- Non è che hai sbagliato a disegnare e volevi fare un kanji completamente diverso?-

- E perché non puoi aver sbagliato tu?-

- Perché non sono cosciente mentre prevedo!-

- Nemmeno io mentre disegno.-

- Ma mentre interpreti sì!- gridò Hikari, esasperato. – Andiamo, è importante, questa volta!-

- Come lo sai?-

- Beh.- Si fermò, spaesato. – Non lo so. Credo. Te l’ho detto. E’ il potere della puntata 24. In una serie con 26 puntate.-

- Se esiste un aldilà, dovrò essere ricompensato per averti sopportato.- sospirò il ragazzo più grande. – Senti, facciamo così. Ora inventiamo un bel modo per evadere da qui. Poi andiamo alla biblioteca, e lì cerchiamo di capire meglio.-

- Va bene. Va benissimo.- rispose Hikari, stizzito. – Ci sono solo un milione e cinquecentomila difetti, al tuo piano. Prima di tutto: come ti porto fuori di qui senza essere immediatamente acchiappato e senza che tua madre mi uccida? Secondo, hai idea di quante biblioteche ci sono in questa città?-

- La biblioteca è quella vicina al parco Tsubaki.-

- Ah, e come lo sai?-

- Perché ieri notte nel disegno che ho fatto c’era quel posto. E perché ieri ho scoperto una cosa relativa al parco Tsubaki. E una cosa che mi hai detto nella tua previsione... Che la città perderà i suoi colori... L’ho scritto nel fumetto di ieri notte. Non era un disegno, era una storia. C’era un uomo, ed era venuto a prendere i colori di Moyashi.-

- Cosa? Moyashi? E com’è finita?-

Shuichi scosse la testa.

- Non come l’avresti fatta finire tu.-

- Ma chi era l’uomo che hai disegnato?-

- Matsui Murasaki.-

- Eh? Che razza di nome è?-

- Beh, se Murasaki è inteso come salsa di soia, direi che sta bene in coppia con Moyashi... -

- Non mettere sullo stesso piano due cose del tutto diverse!-

- Senti, non l’ho inventato, è venuto fuori da solo e...-

- E?-

Shuichi si guardò attorno, improvvisamente atterrito da qualcosa.

- Era nella mia mente.-

- Chi, Matsui Murasaki?-

- Non lo so. Il nostro avversario. E’ lui che me l’ha fatto disegnare. Allora, forse... Non lo so... Io... Il kanji forse è sbagliato. Forse noi...-

Hikari gli strappò di mano il lenzuolo e lo appallottolò, gettandolo lontano.

- Piantala di blaterare e mettiti le scarpe. Evadiamo.-

- E come? Fuori ci sono i miei genitori e gli infermieri, l’hai detto tu!-

- Ho una mezza idea.-

- Oh. Già le tue idee non sono granché. Figuriamoci quando sono mezze...- borbottò Shuichi, alzandosi in piedi con fatica e infilando le scarpe. – Se dobbiamo correre, non credo ce la farò. Mi sembra che ci sia qualcosa, dentro, che si sta mangiando le mie energie.-

- Se la mia mezza idea funziona, non ci sarà da correre.-

- Ok. Devo prepararmi a correre, allora.-

- Ti vuoi fidare?- gridò Hikari, risentito. Shuichi tacque ed evidentemente decise di fidarsi.

Appena furono fuori dalla stanza, furono subito accerchiati da parenti e infermieri, tutti con gli occhi puntati sul viso pallido di Shuichi.

- Possiamo andare insieme a prendere una boccata d’aria, e magari qualcosa da bere al bar?- domandò Hikari, con aria dimessa. E incredibilmente convincente. – Credo che dopo starà meglio.-

- Ma è opportuno?- domandò la mamma di Shuichi a una delle infermiere.

- Ma sì.- concesse la donna. – Mi sembra che abbia già ripreso un po’ di forze. Forse ci voleva davvero il suo amico, per farlo migliorare. Così, quando torneranno, magari Shuichi sarà pronto a dirci cosa gli è successo.-

- Certo.- confermò Hikari. – Sicuramente. Grazie. Torniamo subito.-


- Non mi dici nulla?-

Erano alla fermata del tram, e l’ospedale era dietro una curva, alle loro spalle.

- Era una buona mezza idea.- rispose Shuichi. – E tu hai tirato fuori una faccia tosta che non mi sarei mai aspettato.-

- E’ perché mi sottovaluti.-

- E’ perché fino a ieri ti saresti messo a frignare. Sei stato in gamba.-

- Se devo fare qualcosa, adesso provo a mettercela tutta.-

- Lo so. Me ne ero già accorto. Entri anche nei giardini altrui.-

Due tram si stavano avvicinando alla fermata.

- Il quindici arriva vicinissimo al parco Tsubaki.- disse Hikari, indicandolo, ma Shuichi non lo ascoltava.

- Ci hanno scoperti. Ci sono due infermieri che corrono verso di noi!- esclamò, angosciato, afferrando l’altro per un braccio.

- Dai, se corriamo ce la facciamo a prendere il tram!-

- Se ne accorgeranno. Vedranno il numero del tram su cui siamo saliti!-

- Aspetta!- Hikari si guardò attorno, e focalizzò la sua attenzione su due ragazzini, probabilmente di quinta o sesta elementare. – Ehi, voi due!- li chiamò.

- Noi?- domandò uno dei due interpellati, un ragazzino cortese, con gli occhiali e un sorriso gentile.

- Voi. Sentite, siamo un po’ nei guai, ma è a fin di bene. Quando quegli infermieri verranno qui, vi dispiacerebbe dire loro che siamo saliti sul trentadue?-

- Oh, va bene, nessun problema!- rispose il ragazzino con gli occhiali.

- Come sarebbe a dire?- si arrabbiò l’altro, un tipetto ombroso, con il codino. – Non sappiamo nemmeno chi sono!-

- Eh, dovremo fidarci!-

- Ma che stai dicendo?-

- Grazie, eh!- urlò Hikari, trascinando Shuichi con sé, e saltando sul tram numero quindici un attimo prima che le porte si chiudessero.

Il quindici sfrecciò via, mentre il conducente del trentadue fu costretto a fermare, a causa di due infermieri che, su indicazione di due ragazzini, erano convinti che a bordo ci fosse un paziente scappato dall’ospedale. A bordo non c’era proprio nessuno, e anche i due ragazzini sembravano essersi volatilizzati.


Tsugumi aveva fumato la diciannovesima sigaretta, mentre aspettava davanti alla biblioteca. Era un compito facile, ma anche tremendamente noioso. Era lì dalla mattina, ed erano già le quattro del pomeriggio. E ancora nessun tipo da dirottare dentro la biblioteca. E c’era da sperare che i suoi sensi e il suo istinto fossero abbastanza buoni da guidarla verso la persona giusta! Con un sospiro si accingeva già ad accendere la ventesima sigaretta, quando all’improvviso il tipo le si palesò davanti. A dire il vero, non aveva un aspetto del tutto rassicurante. Aveva uno sguardo strano, perso nel vuoto. Sembrava inseguire un pensiero con tutto se stesso, e non un bel pensiero. Le transitò davanti con aria assente, quasi senza notarla.

- Ehm... Mi scusi?-

Non la sentì. Lei si alzò dalla sua panchina e gli andò dietro.

- Mi scusi!-

L’uomo si voltò e le rivolse il suo sguardo lievemente disturbato. Tsugumi rabbrividì. Ma così doveva essere, era la previsione di Iori, e Iori non aveva mai sbagliato. Per qualche strana ragione, quell’uomo doveva entrare nella biblioteca.

- Mi scusi. Mi scusi davvero, sto per disturbarla, ma avrei bisogno del suo aiuto. Lei è di qui?-

- Sì. Sì, sono di qui.-

Anche la voce dell’uomo era poco rassicurante. Parlava lentamente, strascicando le parole.

- Ecco, può accompagnarmi un attimo in biblioteca? Ho bisogno di prendere un libro sulla storia locale, e le impiegate non hanno saputo consigliarmi niente di interessante, così pensavo che un abitante della città potesse essermi di aiuto.-

- Io non ne so niente.-

- Solo un momento. Solo per dare un’occhiata a un libro e dirmi se secondo lei è valido. Tra due minuti sarà di nuovo fuori.-

- Senta, io ho una cosa da fare.-

- Oh. Non ce la fa proprio a ritardare di un minuto?-

L’uomo assunse un’espressione seccata, e fece per ribattere, ma un attimo dopo si era fermato, come se un pensiero improvviso gli avesse attraversato la mente, facendogli vedere la situazione sotto un altro punto di vista.

- Sì.- mormorò. – Sì, perché no? Va bene. Vengo. Vengo con lei.-

In quel momento Tsugumi non era più sicura di essere nel giusto. Quell’uomo era strano. Stava succedendo qualcosa, l’azione che lei stava compiendo avrebbe messo in moto qualcosa. Eppure... Eppure Iori aveva dato un’indicazione chiara. L’unica interpretazione che il suo potere poteva dare del disegno era quella.

- Bene.- rispose, tentando di sorridere all’uomo. – Bene, andiamo.-

Stava facendo la cosa giusta. Stava facendo la cosa giusta, no?

Non c’erano dubbi. Era la cosa giusta.

Erano già sui gradini che conducevano all’ingresso della biblioteca, quando furono fermati da un grido.

- Non entrate!-

Tsugumi si voltò, e vide i loro due ragazzini, che dovevano aver corso come dei pazzi per arrivare fin lì ed avvertirla di...

- Non devo farlo entrare?-

- No!- Il più piccolo dei due sembrava completamente fuori di sé. – Lo fermi, non lo faccia entrare!-

- Ma perché?- domandò lei, afferrando istintivamente l’uomo per un braccio, per evitare che prendesse da solo la decisione di entrare.

- Perché...- cominciò il più piccolo, perdendosi un attimo dopo.

- Ne siete sicuri?- domandò lei. – E non cercate scuse cretine, con me, io lo so chi siete voi!-

Questa volta furono i due ragazzi a rimanere sconcertati e muti.

- Lo so chi siete, e so cosa potete fare. Posso farlo anch’io.- spiegò lei, lasciandosi addolcire il volto da un sorriso. – Ma a me è arrivata un’indicazione diversa. Mi è stato detto di farlo entrare.-

- Se lo fa entrare provocherà un incendio...- ansimò Shuichi, crollando a terra. Hikari si precipitò al suo fianco, per sostenerlo.

- Anche noi all’inizio ci siamo sbagliati.- spiegò alla donna. – Io ho avuto la premonizione, lui ha fatto un disegno che indicava il contrario. Ma poi...-

Tsugumi gridò. L’uomo si era liberato, e aveva tirato fuori qualcosa dalle tasche.

- Io ho una cosa da fare, e ora lei mi ha fatto perdere tempo e la farò qui.-

Prima che potessero fare qualsiasi movimento, l’uomo aveva gettato a terra una bottiglia di vetro, che si infranse, bagnando il pavimento con un liquido incolore. Poi si spostò di corsa, fissandoli con i suoi occhi sconvolti. Infine lanciò un accendino, mirando alla pozza trasparente ai piedi di Tsugumi.

La donna fece appena in tempo a gridare, poi si levarono le fiamme.


Iori si svegliò all’improvviso, si sentiva soffocare. Non riusciva a capire dove fosse e come ci fosse arrivata.

...andiamo, non farti prendere dal panico. E’ solo il tuo divano.

D’accordo, aveva capito dov’era, ma questo non spiegava niente. Non andava mai a dormire di pomeriggio, meno che mai su quello scomodissimo divano.

Infatti non sei andata a dormire, sei corsa al divano prima di svenire.

Benissimo. Sempre meglio.

Non è niente. Sarà stato un abbassamento di pressione. Una cosa normale.

Si sedette al tavolo da lavoro e cominciò a trarre lunghi respiri per calmarsi.

Quando tornò in sé, era passato chissà quanto, e il tavolo era cosparso di fogli pieni di segni, segni che ripetevano sempre lo stesso intricato disegno, incomprensibile.

E’ da ieri che qualcosa non va, e tu lo sai bene. Come se qualcuno fosse... Entrato nella tua testa. Per farti fare le cose sbagliate.

Fissò i disegni, sentendosi, come era già successo tante volte, completamente inutile. Senza Tsugumi... Senza di lei...

No!

Afferrò un foglio e una matita, stringendola furiosamente. Almeno poteva provare! Forse Tsugumi era in pericolo. Forse aveva addirittura disegnato qualcosa di sbagliato, forse c’era davvero qualcuno nella sua testa, e lei aveva mandato Tsugumi in mezzo ai guai.

Cominciò a riprodurre con calma il disegno che aveva fatto mentre era fuori di sé. Le linee si facevano sempre più distinte, la forma iniziava ad assumere proporzioni regolari.

Somiglia a qualcosa che conosco.

Provò a marcare di più i tratti, lavorando di intuito per tirare fuori un’immagine riconoscibile. E alla fine l’intuizione arrivò.

Oh, ma io so cos’è! E’ il disegno che c’era sulle vecchie porte della biblioteca... Quella che piaceva a Tsugumi. Quella vicina al parco Tsubaki. Poi le hanno tolte, quelle vecchie porte di legno, e ne hanno messe di nuovo. Ma Tsugumi mi aveva già chiesto di rifarle il simbolo. Voleva usarlo per qualcuno dei nostri manga.

La risposta non poteva essere più chiara di così.


Quando Iori arrivò alla biblioteca trovò la polizia, un capannello di gente concitata, e al centro di tutto quel caos due ragazzi che conosceva bene. Si precipitò tra la folla, chiedendo informazioni.

- Sembra che un piromane abbia tentato di dare fuoco alla biblioteca. Credo che l’abbiano fermato quei due ragazzi, là, e quella donna. La polizia l’ha già preso.-

- I tre stanno bene?- domandò lei.

- Sì, sì, le fiamme hanno solo bruciacchiato un po’ le porte della biblioteca.- rispose qualcun altro.

Iori prese a cercare con lo sguardo tra la gente, e localizzò i due ragazzi, che stavano parlando con un poliziotto.

- Dov’è la donna?- domandò.

- E’ lì, non la vede? Vicino ai due ragazzi!-

- Accidenti. Per fortuna che nessuno si è fatto male.-

- Forse sono riusciti a scappare prima di essere raggiunti dalle fiamme.-

- Ma l’incendio, come l’hanno domato?-

- Ci avrà pensato il personale della biblioteca.-

Iori nascose il viso tra le mani.

Sei qui, sei qui!

Iori rimase lì finché la folla si fu dissolta e la polizia se ne fu andata. Attese, finché non vide altri che i due ragazzini. Avanzò verso di loro, e loro si accorsero della sua presenza.

- Hikari! Shuichi!-

- Anche lei ci conosce per qualche strano motivo?- domandò Hikari, esasperato.

- Sì, siamo state io e la persona che è con voi, a farvi incontrare.-

- C’è qualcuno che parla con voi?- domandò Tsugumi, afferrando Shuichi per un braccio.

- Sì. E’ qui davanti a noi. Non è possibile non vederla!-

- Per me lo è. E’ una donna con i riccioli?-

- Sì, ma...-

- Cosa sta succedendo?- chiese Hikari. – Cos’è questa faccenda? Non potete vedervi?-

- No.- risposero le due, in coro.

- E’ colpa del nostro nemico.-

- E’ stata la persona che odia anche voi.-

- Calma!- le fermò Hikari. – Non parlate insieme!-

Tutte e due risero, poi Iori abbassò la testa, esattamente mentre l’altra iniziava a spiegare.

- Abbiamo un potere simile al vostro. Siamo state amiche e collaboratrici, finché un giorno, quindici anni fa, abbiamo scoperto di non poterci più vedere. Abbiamo continuato a tenerci in contatto, però.-

- Come?- domandò Shuichi.

- Beh, lei è Tsubasa Amane, io sono Nagisa Hidenori. Mandandoci messaggi tramite i nostri manga!-

- Chi siete?- gridò Hikari.

- Voi due?-

Di nuovo le due donne risero insieme. Tsugumi tacque, e Iori ricominciò a spiegare.

- Poi abbiamo sognato. Qualche mese fa abbiamo sognato voi. Sapevamo che c’eravate, e che era importante che vi incontraste. Dovevate collaborare, come noi. E forse sconfiggere il nostro comune avversario.-

- Si può sapere come avete fatto a manovrare il nostro incontro?- domandò Shuichi.

- E’ stata una faticaccia!-

- Voi due sembravate davvero incompatibili...-

- Stiamo di nuovo parlando in coro, vero?-

- Comunque, alla fine, a forza di darvi volantini di quel centro commerciale, ce l’ho fatta a farvici arrivare!- disse Tsugumi.

- Io, quando ho visto che entrambi frequentavate lo stesso centro commerciale, ho fatto finta di essere una commessa di quel posto!- spiegò Iori. – Un sacco di pomeriggi in cui ho lasciato indietro il lavoro, passati a cercare di spingervi nello stesso reparto. Non ne avete idea! Per fortuna alla fine il potere di Hikari vi ha dato una mano!-

- Una fortuna enorme...- borbottò Hikari.

- Suppongo di dovervi ringraziare.- disse Shuichi, trasognato, come se avesse appena pensato a voce alta, senza accorgersene.

- Davvero?- domandò Hikari, colto di sorpresa. Shuichi rimase senza parole, con un’espressione piuttosto idiota in viso. Le due donne risero, e Iori si passò rapidamente una mano sul viso.

- Iori starà piangendo di sicuro...- commentò Tsugumi.

All’improvviso si levò il vento. Si era fatto buio troppo presto anche per settembre. Shuichi perse l’equilibrio, e fu raccolto al volo da Hikari e Tsugumi.

- Che succede?- domandò l’amico.

- Non sto bene... E’ qualcosa...-

- E’ nel parco!- esclamò Iori, portando le mani al petto, come se di nuovo non riuscisse a respirare. – Non mi lascia, è ancora nella mia testa!-

- Qualunque cosa sia, va affrontato.- mormorò Shuichi.

- Ma non sappiamo come... E tu stai male!- protestò Hikari.

- Non possiamo rimanere così.- rispose Iori. – Non lo voglio nella mia testa!-

Nemmeno io lo voglio nelle nostre teste!, si ribellò Hikari. Ho visto cosa mi fa fare! Non voglio che faccia del male a nessuno di voi...

Guardò con preoccupazione l’amico, quella donnina pallida e determinata e la sua amica, che aveva un’espressione gelida e inflessibile. Poi spostò lo sguardo, andando oltre i confini del piccolo giardino della biblioteca, fino a raggiungere il parco Tsubaki.


Più stupidi e più intelligenti di quanto credessi. Perché?

Perché non riesco a prevedere esattamente cosa faranno?

Eppure io, più di chiunque altro, dovrei essere in grado di capire la loro mente!


- Da quando gli alberi del parco Tsubaki sono così fitti?- domandò Hikari, che guidava il piccolo gruppo.

- Questo non è più il parco Tsubaki.- dissero le due donne, quasi insieme.

- Lo è.- ribatté Shuichi. – Ma non quello che conosciamo noi. Qualcuno l’ha trasformato. Io l’ho disegnato.-

- Hai disegnato anche quelle?- domandò Hikari, rabbrividendo. Indicò qualcosa che improvvisamente era comparso tra gli alberi. Era una statua, qualcosa che sembrava voler rappresentare una creatura vivente, ma tutta ripiegata su sé stessa, raggrinzita. Come un disegno su un foglio accartocciato, o un’immagine appena abbozzata, e poi subito coperta da scarabocchi o cancellata.

- Sì. Ho disegnato tutto questo.-

- E hai disegnato anche me. E se non lo avessi fatto, voi non sareste qui, e di certo sareste più in forma. Ma per fortuna, senza il talismano che ti faceva dormire, sono riuscito a controllarti. La tua doujinshi mi ha dato vita. Sei un ragazzino talentuoso, era molto tempo che non mi disegnavano così bene...-

Dalle ombre emerse una figura. Alto, capelli verdi, camicia bianca e azzurra a quadri, cravatta arancio e benda rossa sull’occhio sinistro.

- E tu chi sei?- gridò Hikari, parandosi davanti al suo gruppetto, come per proteggerli.

- Matsui Murasaki. Un nome di cui vado molto fiero. Sono il vostro avversario.-





...continua...

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Capitolo 9
*** IX - The face of a faded dream ***


Ed eccoci al gran finale! Chi sarà Matsui Murasaki? E soprattutto, apprezzerete l’idea o mi manderete a quel paese?XD

Spero di no, spero che vi piaccia e la consideriate una conclusione degna. (Dopo questo capitolo ci sarà l’epilogo, quindi è il nostro penultimo appuntamento.)

Intanto, GRAZIE per essere arrivati fin qui! Grazie a Mia, Shu, Eriol, Melchan, Renki, Jucchan, Kairi, Wren, Dira Real, che seguono e commentano la storia. Grazie alle adorabili persone che l’hanno preferitata. Grazie ai lettori (che, se il contatore del sito ha ragione, sono davvero tanti! ç_ç

Dunque, on with the story!

Citazione musicale iniziale: Honoo no Tobira, Fiction Junction.





IX – The face of a faded dream




Kitsuzuita yubi de akatsuki no door wo hiraku yo

Ashita wo kono te de erabitoru to kimeta kara


(Aprirò la porta dell’alba, con le dita ferite,

perché queste mani sono quelle che sceglieranno il domani)






Era buio, ma lo vedevano benissimo. Hikari pensò che era davvero come in qualche puntata di un anime, quando il fatto che sia notte non impedisce agli spettatori – e ai personaggi, spesso – di vedersi senza alcun problema.

Già, e doveva smetterla di fare questi paragoni con gli anime e i manga, perché lì almeno un deus ex machina dell’ultimo minuto era sempre assicurato, mentre per loro la faccenda era un po’ più complicata.

- Continuo a chiedermi come degli idioti come voi siano riusciti a mandare a monte un piano progettato piuttosto bene...- disse Matsui Murasaki, frugando in tasca, per tirarne fuori sigaretta e accendino. Non sembrava particolarmente arrabbiato. Più che altro seccato. E curioso.

- Ti riferisci al fatto che hai cercato di farci portare un piromane in biblioteca?- domandò Hikari, che si sentiva un po’ il portavoce del gruppo, e non ne era molto felice. Di solito il cattivo se la prende per primo con chi sta parlando.

- Esatto. Quel piromane, me lo ero lavorato bene. Non è molto diverso da voi, a dire il vero. Fa disegni per hobby, legge manga, le solite storie. Entrare nella sua mente è stato semplice, e ancora di più convincerlo a incendiare qualcosa. E’ già un po’ fuori di testa di suo, poveretto. Però mi serviva qualcuno che lo accompagnasse in biblioteca. Non sono riuscito a farglielo fare. Sono bravino, nelle possessioni, ma non perfetto, purtroppo. Oh, beh, è solo questione di tempo!

Ma soprattutto, mi divertiva troppo l’idea di impiegare qualcuno di voi! Era un’idea splendida: i difensori della città, causa della sua distruzione!-

Hikari osservò per un attimo i volti degli altri tre, e capì tutti si stavano chiedendo la stessa cosa. Così si rassegnò al suo ruolo di interprete dei dubbi di tutti, e continuò a parlare.

- Ma che accidenti stai blaterando? Come pensi che un incendio in biblioteca potesse distruggere la città?-

- Quest’ultima domanda ha una risposta molto semplice. Questa zona, un tempo, era periferia, e qui non c’erano parchi o biblioteche, c’erano solo fabbriche. Lo sviluppo della città ha trasformato questo posto. Però una fabbrica è rimasta, e in attesa di essere trasferita, non è che la manutenzione sia granché. E’ la Atsugawa Farmaceutica, ed è separata dalla biblioteca solo da un cortiletto e una rete metallica. Le tubature di gas della biblioteca passano dal quel cortiletto e procedono verso la fabbrica. Un bell’incendio in biblioteca si sarebbe propagato verso la fabbrica, e un bell’incendio nella fabbrica avrebbe creato danni di non poco conto alla città. Fuoriuscita di composti chimici tossici, ad esempio. Una città velenosa come questa, avvelenata. Era un bel piano.-

- Potevi convincere quel tipo a incendiare direttamente la fabbrica!- ribatté Hikari, dimenticandosi per un attimo che quella era la realtà e che non si stava discutendo della solidità o meno di una trama.

- Sì, lo so.- rispose Murasaki, tirando una boccata dalla sigaretta. – Ma mi attraeva l’idea di distruggere la biblioteca.-

- Perché?-

- Perché quarant’anni fa dove ora c’è la biblioteca c’erano dei pulciosi alloggi per gli operai delle fabbriche, quelli meno abbienti, quelli che erano in cerca di una casa decente, di una sistemazione dignitosa. Ed è il posto dove sono nato.-

I quattro rimasero in silenzio per qualche istante, per rimettere insieme i frammenti dell’immagine che le parole di Murasaki avevano creato.

- Ma tu chi sei?- mormorò infine Shuichi. Murasaki rise, gettò il mozzicone di sigaretta a terra e ne accese un’altra.

- Io? Non è così facile dirlo. La definizione migliore, secondo me, è il volto di un sogno svanito.-

- Non che abbiamo capito meglio, ora...- borbottò Tsugumi.

- Per colpa di questa città e di quel dannato idiota, non sono altro che un sogno.- riprese Murasaki, facendosi improvvisamente rabbioso. Sembrava che quelle parole fossero più rivolte a se stesso che ai suoi avversari. Poi tornò a guardarli, sorridendo come prima. – In realtà è molto semplice. E voi dovreste capire bene. Io sono un personaggio.-

- Che cosa?- Questa volta Hikari non ebbe bisogno di guardare nessuno, per capire che quella era l’unica reazione di tutti.

- Un personaggio. Un gran bel personaggio, decisamente. Quell’idiota del mio autore era in gamba, aveva stoffa, e con uno sceneggiatore come si deve io sarei diventato uno splendido personaggio. Aveva poche idee, quell’idiota, ma erano buone. Con qualcuno che lo aiutasse... avrebbe conquistato il mondo dell’editoria! E invece no! No, perché lui aveva paura. Del mondo, del fallimento... Non lo so. Così non ha mai tirato fuori la mia storia dal cassetto. Ha continuato a lavorare in questa zona, ed è morto giovane e triste, senza mai aver provato a fare qualcosa di diverso. Per colpa sua, della sua vigliaccheria, ma anche per colpa di questa città! Questa città è triste e grigia, ti ingloba l’anima, ti succhia le idee e la fantasia e ti prosciuga del tutto! E io, per colpa sua e di questa città, sono rimasto come uno spettro, a vagare in questo posto orribile, senza potermi esprimere in alcun modo!-

- E perché ti sei accanito contro di noi?- gridò Iori.

- E noi che c’entriamo con le tue sfighe?- domandò Tsugumi, infuriata.

- Ah, perché quella che vi ho raccontato era solo la prima parte della storia.- rispose lui, riassumendo la sua aria sicura di sé e quasi allegra. – Per vent’anni ho fatto il fantasma triste, tra i cortili delle fabbriche, osservando i cambiamenti fisici della città, ma senza vedere alcun miglioramento nel suo cuore marcio. E poi, all’improvviso, ebbi un’idea. Sono un personaggio, e ho molte più possibilità di voi, sotto certi punti di vista. Provai ad entrare nella mente di qualcuno. Non è facile, e ci vuole molto tempo per imparare la tecnica. E poi, ovviamente, deve essere una mente che si presta a queste cose. Vale a dire, la mente di uno che inventa storie, o di un disegnatore, o anche di un appassionato ossesso di fumetti e libri, che non si spaventa di trovare un personaggio in giro tra i suoi pensieri.

Scoprii che potevo manovrare, entro un certo limite, queste persone. Oh, e allora cominciai a divertirmi! Era l’occasione di vendicarmi di questa città, e di dimostrare al mondo il mio valore. Non ero potuto diventare l’eroe di un manga, ma sarei diventato un cattivo indimenticabile!-

- Ah sì?- lo interruppe Hikari, seccato. – Cos’hai fatto, hai tentato di conquistare il mondo?-

- Niente di così banale. Almeno, non per ora. Non ne ho ancora le forze. Però mi sono dato da fare. Per esempio, il 90% dei crimini commessi qui attorno, è tutta opera mia. Penetro nelle menti disponibili, spingo persone qualunque a fare cose orrende. Non avete idea del numero di persone che sono seppellite qua sotto. Quelli che hanno ritrovato... sono meno della metà.-

Iori si lasciò sfuggire un gemito. Hikari sentì che Shuichi, accanto a lui, si irrigidiva e tratteneva il respiro. Poi vide gli occhi di Murasaki posarsi sul viso dell’amico.

- Lo so a cosa stai pensando, ragazzino. Stai pensando alla tua amica, vero? Esatto, hai indovinato. Vi ricordate quando quel giovane disegnatore, Kai Asuna, si è suicidato, un paio d’anni fa? Ecco, si è suicidato quando si è reso conto che aveva strangolato una ragazzina che passava di qui...

In realtà, si trattava di un caso molto particolare. La ragazzina ce l’avevo portata io, qui. Sai, anche lei scriveva storie. Non te l’aveva mai detto? La sua presenza accanto a te, un disegnatore, era pericolosa per me. Dovevo toglierla di mezzo. Così l’ho portata qui, e ci ho portato anche l’altro. Preso da un raptus improvviso, l’ha uccisa. E io stavo vedendo tutto, ed ero molto, molto compiaciuto.-

Shuichi scattò in avanti e fece per gettarsi contro Matsui Murasaki, ma l’uomo fece uno strano gesto, e il ragazzo dovette fermarsi, scivolando a terra sulle ginocchia, incapace di muoversi.

- Non dimenticare che sono ancora nella tua mente!- gli gridò. – E non pensare di potermi fare qualcosa! Posso entrare in voi e costringervi ad uccidervi a vicenda!-

- Perché ci hai divise?- lo interruppe Iori. – E perché ritenevi l’amica di Shuichi pericolosa per te? Perché hai tentato di fare del male anche a questi ragazzi?-

- Perché tu, piccola stupida, hai fatto un disegno che la tua amica non ha mai interpretato, ma io sì!- le rispose il personaggio, che stava lentamente perdendo il suo sorriso fascinoso, per assumere un’aria sempre più cattiva e adirata.

- Che significa?-

- Che io tengo d’occhio tutti i disegnatori e gli inventori di storie di questa dannata città. Per possedere le loro menti, ma anche perché ho sempre sperato di trovarne uno abbastanza all’altezza da inventarmi una storia. Una notte, girovagando tra i tuoi pensieri, ho visto quel disegno e ho capito subito il pericolo. Tu avevi fatto una previsione su di me! Avevi disegnato me, proprio me... Sconfitto da un altro personaggio! Un personaggio, lo compresi subito, che tu avresti disegnato, un frutto dell’alleanza tra te e quella ragazza così poco femminile!-

- Ehi, razza di esaltato senza un minimo di gusto estetico, come ti permetti?- ribatté Tsugumi.

- Ehi, senti un po’, riprovati a dire una cosa del genere su Tsugumi e ti... ti... ti cancello!- strillò Iori, contraendo il bel visino in una smorfia particolarmente cattiva.

Murasaki, per tutta risposta, rise.

- Comunque, non potevo permettere di essere sconfitto da un personaggio qualunque disegnato da due bambinette qualunque. Così pensai di uccidervi. Ma... scoprii che non potevo. Perché ormai le vostre menti erano connesse, i vostri poteri si erano incontrati, e vi proteggevate a vicenda da me. Non potevo più penetrare liberamente nelle vostre testoline di ragazzine stupide. Ero molto, molto arrabbiato. Sapete, mentre voi due diventavate amicone, ho fatto morire molte più persone del solito, e ho anche convinto un pazzo a far saltare la diga del fiume. Un’inondazione davvero graziosa, vero?-

- Piantala con l’esaltazione della tua pazzia e vieni al punto!- rispose Tsugumi.

- Va bene, va bene... Insomma, l’unica cosa che potevo fare era attingere ai miei poteri. I poteri di cui quel maledetto stupido del mio autore mi aveva dotato. Scoprii che potevo lanciare maledizioni. E ne scelsi una proprio carina, per voi due!-

- Tanto l’abbiamo aggirata, per ben quindici anni!- ribatté Iori.

- Eh, lo so. E non credere che non mi bruci. Però almeno avevo scampato il pericolo del vostro personaggio. Poi però... E’ successo ancora qualcosa di imprevisto. Già. Quelle maledette impiccione, pericolose anche da morte...-

- Stai parlando dell’amica di Shuichi?- domandò Tsugumi.

- E della nonna di Hikari.- rispose Murasaki.

- Mia nonna?-

- Sì, impiastro, non ascolti quando parlo?- si stizzì Murasaki. – La sua amichetta e tua nonna. Pericolose anche da morte!-

- Mia nonna... Mia nonna è morta investita da un’auto, in una zona non lontana da qui. Sei stato tu?-

- Certo che sono stato io!- sospirò Murasaki. – E’ un incubo spiegare la trama di questa faccenda a degli idioti come voi! Tua nonna era una mezza maga. E’ lei che aveva raccontato a Eiko tutte le faccende del mondo spirituale che quella ragazzina sfoggiava sempre. Quella maledetta strega di tua nonna sapeva che questa città è speciale. Che ci nascono persone speciali, di quando in quando. E voleva fare la guardiana, lei. Voleva aiutare i supereroi cittadini. Oh, ma non c’è riuscita! Il primo automobilista con la mente malleabile che è passato di qui, io ho...-

- BASTA!- Shuichi lo interruppe, sollevandosi in piedi con sforzo. – Non mi interessa cosa hai fatto. Non mi interessano le tue vanterie. Vai avanti, spiegami cos’altro hai fatto a noi!-

- Insomma. La tua amichetta e la nonna del tuo amico, ovunque siano, spero siano all’inferno, anche se ne dubito, si sono messe a mandare sogni, dall’aldilà. Sogni, a queste due. Perché voi due vi incontraste e diventaste amici. E ci sono riuscite. Dannate, più pericolose da morte che da vive!-

Questa volta non ci furono risposte. Di nuovo, avevano avuto una tale quantità di informazioni sconvolgenti che era difficile riuscire a rimetterle tutte insieme, per creare una storia sensata.

- E tu hai pensato che anche questi due ragazzi avrebbero potuto inventare un nemico per te?- domandò Iori.

- Non è che l’ho pensato. Lo sapevo.- puntualizzò lui, con aria saccente. – Ve l’ho detto, io tengo d’occhio tutti, qua. Soprattutto quelli che hanno un qualche genere di potere. Appena si sono conosciuti, tempo di un quarto d’ora... E già avevano profetizzato guai a venire. Hanno pensato che i guai riguardassero solo loro, ma non era così. I guai erano anche per me. Non a caso, il disegno esplicativo di quella profezia...-

- Moyashi.- concluse Hikari. – Moyashi è il personaggio destinato a sconfiggerti?-

- Nemmeno per sogno!- gridò Matsui Murasaki, risentito. – Sarebbe potuta esserlo, certo, ma ci avete lavorato troppo poco! Non vale nemmeno la metà di me, non ha poteri definiti, ha un’arma che fa ridere, è una ragazzina! Io vi ho tormentati a tal punto che per salvarvi a vicenda avete perso tempo, e quel dannato personaggio non è mai stato finito in maniera soddisfacente!-

- Come mai sei così forte, ora?- domandò Shuichi. – C’entra qualcosa il fumetto che ho disegnato ieri notte?-

- Certo!- Murasaki sorrise, compiaciuto. – Manovrando Hikari nel sogno, e te nella veglia insonne, mi stavo costruendo nuove energie, nuove possibilità. Una volta sono riuscito ad entrare nella mente di un tipo, costringendolo a pedinare Hikari. Credo tu ti sia sentito male su un tram, una volta. Ero piuttosto fiero di me, sì. Non è durato molto, purtroppo. C’è stato l’episodio dell’ascensore, lì avevo pasticciato con i pensieri di Hikari. Mi sembrava deboluccio al punto giusto.

Poi, però, avete sfoderato i vostri trucchetti: disegni, storie, cartine... Stucchevoli tentativi di proteggervi a vicenda, insomma.

Oh, ma la fortuna è tornata dalla mia parte, alla fine. Tu eri di nuovo insonne e debole. Sono entrato nella tua mente e ti ho spinto a disegnarmi. Tu l’hai fatto, e io ho acquistato potere. Sono riuscito a prendere possesso delle tue abilità e di quelle di Iori, manomettendo le loro predizioni, e spingendo Tsugumi a mettere in moto quella catena di eventi che avrebbe dovuto portare con l’incendio della Atsugawa Farmaceutica!-

- Ma noi siamo stati più forti!- gridò Iori, che sembrava trattenesse a stento il desiderio di correre da quel pazzo e prenderlo a schiaffi.

- Non ci conterei. Ricordatevi, vi sto ancora controllando. Shuichi mi ha disegnato, e io sono nella sua mente. Posso scatenarlo contro di voi. Posso indebolirvi a tal punto da far sì che vi uccida tutti. Posso farlo e lo farò, restando a guardare con immenso divertimento! Posso anche...-

- Non puoi fare niente, invece!- rispose Shuichi. – Non te lo lascerò fare.-

- Ah no?-

Un attimo dopo Shuichi gridò, avvertendo una volontà estranea alla sua che controllava i suoi movimenti. Si gettò a terra, per sfuggire a quella forza, ma un attimo dopo era di nuovo in piedi, e puntava Hikari.

- Fai qualcosa, ti prego!- gemette il ragazzo. – Non rimanere lì! Non voglio farti del male!-

- Non avere paura, Shuichi.- rispose Hikari, senza spostarsi. – Noi il personaggio l’abbiamo inventato, no? Che ne sa, lui, dei suoi poteri? Non ne ha idea. Non sa quanto è davvero forte. Non conosce il suo passato. Io sì. So cos’ha attraversato. Ha già combattuto con gente più forte e più esaltata di questo qua! E ha vinto.-

- Cosa vai blaterando, stupido?- chiese Murasaki. – Spostati, se non vuoi morire!-

Shuichi raggiunse Hikari e gli si gettò contro. Hikari lo afferrò al volo, stringendolo in un abbraccio.

- Moyashi può benissimo farcela a sconfiggerti! Sarai anche un cattivo da manga, ma non mi sembra tu conosca bene le storie degli eroi dei manga. La maggior parte dei cattivi è più forte degli eroi, e allora perché gli eroi vincono?-

- Perché l’editore altrimenti straccia il contratto dell’autore, razza di ingenuo!- rispose Murasaki, scoppiando in una risata sguaiata. – Ma qui, come vedi, non ci sono editori o correttori di bozze, e la fine la decido io!-

- Non è vero. Non illuderti di aver vinto!- ribatté il ragazzo. – Gli eroi vincono perché hanno una forza di volontà immensa! Vincono perché sono temerari, perché hanno un cuore puro, perché non hanno paura di sacrificarsi per gli amici.-

- Sai, penso che tu sia un po’ troppo idealista per fare il mangaka.- ribatté Murasaki, sprezzante. – Oggi vanno di moda manga molto più cinici...-

Fece un gesto, e Iori lanciò un grido, seguito da un ansimare penoso: qualcosa le stava togliendo il respiro. Bloccato tra le braccia di Hikari, Shuichi tentò di liberarsi, ancora sotto il controllo di Matsui Murasaki. Tsugumi si guardava attorno, angosciata, come se cercasse di sollevare il velo della maledizione per ritrovare Iori. Ma Hikari rimaneva immobile, gli occhi fissi sul suo avversario. Sembrava non avesse più nemmeno paura.

- Gli eroi vincono perché nonostante siano piccoli e fragili si sforzano fino al limite!-

In quell’istante qualcosa si materializzò davanti a loro. Una luce bianca, accecante, e poi una sagoma distinta. Una sagoma umana, una figura longilinea, vestita con una tunica. Era azzurra e bianca, i capelli azzurri e la pelle bianca, e aveva in mano una spada. I tratti della spada erano appena accennati, e così anche alcuni dei particolari del vestito e del corpo.

Ma il viso era disegnato perfettamente, ed era splendido. I grandi occhi azzurri erano seri, la bocca serrata, tutto il volto era teso e concentrato. La ragazza riluceva di mille sfumature di bianco e azzurro. La spada era fine e lunga. La teneva ferma, come cercando la posizione di attacco migliore.

- Se l’avessimo progettata meglio, quella spada...- mormorò Shuichi, completamente in preda al panico.

- Andrà bene. Ce la farà. Non è una novellina. Lo so.-

- Quando l’hai inventato il suo passato?-

- Adesso.-

- Adesso?-

Improvvisamente la spada si trasformò: divenne più precisa, più lunga e scintillò, come se un raggio di luce si fosse riflesso e spezzato sul filo temibile dell’arma.

- Non male.- commentò Hikari. – Non male davvero.-

- Cosa credete, che mi lasci impressionare da questa maghetta?- urlò Matsui Murasaki, allargando le braccia e creando una sorta di vortice nero.

- Non sono una maghetta, sono una guerriera.- rispose Moyashi, prima di scagliarsi contro di lui.

Nessuno dei presenti avrebbe mai dimenticato quel che seguì. Era come se il più incredibile e fantasioso dei duelli su carta fosse stato animato, ma in maniera di gran lunga più perfetta rispetto a qualsiasi anime mai sognato. Moyashi manovrava la spada con maestria, Murasaki rispondeva giocando con l’energia nera del suo vortice, facendole cambiare forma per difendersi dagli attacchi della guerriera o per attaccarla a sua volta. Lui era sicuro di sé e subdolo, lei era precisa e fulminea. Murasaki era attorniato dalle ombre, Moyashi risplendeva di più ad ogni colpo.

La spada luminosa era affilatissima, ma lo erano anche le armi che si formavano di volta in volta grazie alla magia maligna di Matsui Murasaki. Il rosso del sangue di entrambi macchiò quell’incredibile tavola a colori che aveva preso vita davanti ai loro occhi.

- E’ un personaggio da shoujo manga, non può avere possibilità contro di me!- urlò ad un tratto Murasaki, ferendo la ragazza a una spalla, in maniera apparentemente grave.

- Ehi, stupido, cos’hai contro gli shoujo?- si ribellò Iori.

- Secondo me il tuo autore voleva ficcarti in uno shoujo, in realtà.- commentò Tsugumi.

- Cosa? Ma non pensateci nemmeno!-

In quel momento Moyashi ferì Murasaki nello stesso punto in cui l’aveva colpita lui.

- Devi aver paura degli shoujo, allora.- rispose la guerriera.

- Ehi, Shuichi, ma tu volevi metterla in uno shoujo?-

- Sei tu lo sceneggiatore. Per me, basta sia una bella storia.-

- Lo sarà.- rispose Hikari, fissando con fiducia la loro creatura che combatteva per loro. – Lo è.-

- Non è alla mia altezza!- gridò Matsui Murasaki, dopo averla colpita di nuovo.

- Forse no...- rispose Hikari. – Ma ti sconfiggerà comunque!-

- E perché, perché nei manga vincono sempre i buoni?-

- Anche. Ma è molto più semplice, in questo caso. Perché tu non hai un creatore, mentre lei sì. Mentre combatte con te io e Shuichi stiamo aggiungendo particolari. Diventa più forte di te ad ogni colpo. Non puoi competere con lei. Sei tu che non sei alla sua altezza, adesso!-

- Che cosa?-

L’espressione stupita di Murasaki si trasformò all’istante in una smorfia di dolore e sgomento. Moyashi estrasse la spada dal petto dell’uomo, schizzando gocce rosse ovunque.

- Non è possibile...- mormorò il cattivo, indietreggiando. Le ombre si dissolsero, e rimase solo una piccola figura tremante, che diventava sempre più piccola. Matsui Murasaki stava svanendo, accartocciandosi su se stesso, perdendo i colori e l’anima – i colori sgargianti e impertinenti, l’anima nera, un condensato di malvagità.

- E’ la fine.- disse Moyashi.

Lo era davvero. In un attimo l’ultima macchia di colore che un tempo era stata Matsui Murasaki si cancellò per sempre dalla realtà. La battaglia era finita. La guerriera si voltò verso i suoi creatori e si inchinò a loro.

Dietro i ragazzi, due donne si stavano abbracciando, in lacrime.

Intanto il cielo si schiarì, tornando ad essere un semplice cielo di settembre, nell’ora del crepuscolo. C’era la luna, tre quarti di luna per illuminarli, e una manciata delle prime stelle. Attorno a loro, solo alcuni alberi vestiti di rosso e giallo, due panchine e una fontana. Però Moyashi era ancora lì, in ginocchio davanti a loro, a dimostrare che non era stato tutto un sogno.

- Grazie, Moyashi.- le disse Hikari.

La ragazza si alzò in piedi.

- C’è ancora qualcosa da fare.-

All’improvviso non era più solo una, ma c’era un’altra ragazza accanto a lei. I capelli erano diversi, ma i tratti del viso si somigliavano moltissimo.

- Eiko?- domandarono i due ragazzi, Hikari con stupore, Shuichi con appena un filo di voce.

- In un certo senso.- rispose la ragazza con i riccioli, sorridendo. – Hikari, quando ti sono comparsa davanti la prima volta, ti ho detto che una parte di me era ancora sulla terra, e per questo potevo apparire a voi. E’ la parte di me che Shuichi ha messo nel personaggio di Moyashi. Ci somigliamo molto, se guardi bene. Il ricordo di Shuichi, il suo amore e il suo desiderio di vedermi sono confluiti nel disegno di Moyashi. Per questo posso parlarvi. Però, la parte di me che veramente vi aiuta e vi protegge... è insieme a Megumi, tua nonna, Hikari. Io sono solo un ricordo. Ma la vera Eiko... è la protezione più importante che avete, e non vi lascerà.-

Shuichi fece un passo verso di lei, le prese le mani tra le sue e quelle divennero vere e reali per un istante. Sentì il tocco freddo e delicato delle mani di quella creatura che era un personaggio, un fantasma, un ricordo, un desiderio, e pianse in silenzio.

- Quello che di mio è in Moyashi non se ne andrà mai.- gli disse lei. – Così come quello che di mio è nel tuo cuore. E il mio cuore riposa in pace in un luogo dove può proteggervi. Non hai niente da lasciar andare, se non la tua tristezza.-

- Se avessi saputo... Avrei potuto...-

- Non avresti potuto. E nel male, c’è comunque qualcosa di buono: ho potuto aiutarvi. Non essere triste, ti prego. E tutti i ricordi che hai, usali come colori, e dai vita alle storie che ti verranno raccontate. Hikari è con te per questo. Per raccontarti storie. Voglio essere in tutte le storie, non come un’ombra triste, ma come un universo di colori. Lo farai, per me?-

- Va bene.-

Eiko sorrise, e anche Moyashi. Shuichi sollevò il viso, le guardò entrambe e sembrò accorgersi solo in quell’istante di quanto dell’una avesse messo nel disegnare l’altra.

Finalmente lasciò le mani di Eiko, e lei tornò a fondersi con Moyashi, nella luce bianca e azzurra che la circondava. Lentamente la luce divenne sempre più forte, e si infranse in una miriade di scintille candide. Moyashi svanì nella pioggia di luce.

- Io sono sempre qui, e la mia storia è appena cominciata.- disse, mentre il vento disperdeva le scintille nella notte, come fossero state fiocchi di neve.





...continua...

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Capitolo 10
*** X - Atarashii Sekai ***


Beh, sì, non ci credo nemmeno io. Ultimo capitolo. Per me, il viaggio di questa storia è stato divertente ed emozionante, spero lo sia stato anche per voi!

GRAZIE, a tutti, davvero.

Per domande, dubbi, chiarimenti, qualsiasi altra cosa: Dark Chest of Wonders

Grazieeee!!! I quattro disgraziati vi salutano!

Citazione musicale iniziale: Ring your song, Kajura Yuki (Tsubasa Chronicle OST)

Il titolo del capitolo significa “Un mondo nuovo”.

E i protagonisti mi sembrano tutti più scemi del solito, ma forse è solo l’eccitazione dell’ultimo capitolo.






X – Atarashii sekai





Now we've come so far from darkness
and will never be apart
so we leave for tomorrow
to start our lives again



- Non fa così freddo da un mezzo millennio!-

- Hai vissuto così tanto da saperlo?-

- No, ma ne sono sicura!-

Le due donne franarono dentro il bar, portando con loro una ventata gelida e un po’ di neve.

- Ordina subito due cioccolate calde così grandi da annegarci dentro!- esclamò quella con i riccioli. Si tolse il buffo cappello bianco con le orecchie da coniglio e i guanti che indossava, e si sedette sulla sedia più vicina. – Sto congelando davvero!-

- Senti un po’, pensi che io non stia congelando? Non pensi che anche a me farebbe piacere che qualcuno andasse ad ordinare due cioccolate calde?- ribatté l’altra, emergendo da un cappottone nero. – Cominci a darmi sui nervi!-

- Uff. E va bene. Vado io.-

- Ma no, dai!-

La donna col cappottone sparì verso il banco, e un attimo dopo era tornata, portando con sé alcune bustine di zucchero, che posò sul tavolo.

- Ho fatto la nostra ordinazione.- sospirò, sedendosi. – Fa freddissimo, ma a me piace. E nevica.-

- Sì, nevica!- esclamò l’altra, felice come una bambina. Poi prese una bustina di zucchero, la aprì e si mise a succhiarla. Anche questo con lo stesso entusiasmo (e la stessa faccia tosta) di una bambina.

- Ehi, Iori.-

- Che c’è, Tsugumi-chan?-

- Pensavo... Non dovremmo tenerli un po’ d’occhio, quei due?-

- E perché? Se la staranno cavando benissimo. Insomma, non per essere pignola, ma sono stati loro a salvare la situazione. A salvare anche noi. Certo, certo, col nostro aiuto, e grazie ad Eiko-chan e Megumi-san. Ma il colpo decisivo al cattivo della storia l’hanno dato loro. Non credo abbiano bisogno di due balie.-

- No, questo no. Ma pensa a noi. C’è voluto quasi un anno, prima di saper gestire bene i nostri poteri...-

- Beh, tra qualche mese sarà passato un anno dal loro incontro. Vedrai che andrà tutto alla grande. Sono degli splendidi guardiani, e con noi e loro in azione la città può stare tranquilla!-

Poi Iori sorrise, beata, e attaccò un’altra bustina di zucchero.

- Mah. Diciamo di sì.- borbottò Tsugumi.

Finalmente la cameriera portò le loro cioccolate. Iori batté le mani ed esultò senza ritegno. Tsugumi sorrise davanti alla deliziosa gioia genuina dell’altra.

- Tsugumi-chan, ma a te sembra così brutta questa città?- domandò Iori all’improvviso.

- Perché dici così?-

- Stavo ripensando alle parole di quel... uh... come si chiamava? Murasaki?-

- Matsui Murasaki, credo. Sì, ma lui aveva un motivo per odiare questa città.-

- Lo so, ma secondo te è una città grigia?-

- Non è particolarmente bella. E la sua storia ufficiale non è molto emozionante. Ma ci sono un sacco di aneddoti semisconosciuti molto carini. Ho fatto qualche ricerca, un giorno mi piacerebbe scriverci un manga.-

- E’ esattamente quel che penso io...-

- Cosa, che io devo scriverci un manga?-

- Sì. No. Insomma! Penso che questa città sia bruttina, ma siccome siamo dotate di fantasia, allora riusciamo a trasformarla. Completamente. Pensaci un po’. La sede della rivista per la quale lavoriamo ora è a Tokyo. E nessuna di noi due ha pensato di trasferirsi a Tokyo. Ci converrebbe, no?-

- Tokyo è vicina, in treno. E poi non mi andava di trasferirmi senza di te.-

- Neppure a me. Ma non mi va nemmeno ora.-

- Sarà che ci siamo affezionate al ruolo di supereroi della città...-

- O sarà che insieme riusciamo a farcela piacere.-

- Forse.- sospirò Tsugumi, girando il cucchiaino nella tazza ancora quasi piena.

- A me piace, se tu inventi storie su ogni luogo, ogni angolo. Per me i posti più grigi di questa città sono splendidi, se tu mi hai raccontato i loro segreti. E dietro alle porte, alle finestre, nei parchi e agli incroci abitano personaggi e creature a cui tu hai dato vita e io ho dato una veste. Come può non piacermi?-

- Iori, sei sempre troppo poetica.-

- Sì, lo so, ma ormai sono fatta così!-

E va bene così. Solo una come te poteva accompagnarmi alla fine della strada magica, fino ai miei regni desiderati e lontani.

- Lo so, e ti devo sopportare.-

- Oh, e non fare così! Anche tu sei molto più romantica di quanto ti piace far credere!-

- Ma per favore!-

- E invece sì!-

- E Kaoru e Takeshi sono canon!-

- Aaaaah, ancora con questa storia? Non ricominciare!-


- Sai che ogni volta che entro in questo posto mi vengono un po’ i brividi?-

- Non sarà che hai i brividi perché fuori ci sono settecento gradi sotto zero?-

Hikari lanciò un’occhiataccia a Shuichi, poi si diresse con sicurezza verso una direzione precisa.

- Ehi, dove vuoi andare?-

- Al bar.-

- Non possiamo andare ad uno dei bar del secondo piano?-

Hikari assunse un’aria contrariata.

- Perché proprio il secondo piano?-

- Cos’ha il secondo piano che non va?-

- No, è che... Quell’ascensore... Brutti ricordi.-

- No, per favore, no!-

Hikari dovette rassegnarsi. Modificò la sua direzione e cominciò a camminare (lentamente e guardandosi attorno con circospezione) verso l’ascensore incriminato.

- Va bene. Hai ragione tu.-

- Senti, non è che ti voglio forzare a prendere l’ascensore, se...-

Le porte dell’ascensore si spalancarono davanti a loro come un portale incantato, e Hikari spinse l’altro all’interno.

- Un eroe che non riesce a sconfiggere i vecchi traumi è un pericolo per se stesso e per gli altri.-

- Sì, sì, d’accordo.- borbottò Shuichi. – Piuttosto, invece di vaneggiare sugli eroi traumatizzati, vedi di sbrigarti a passarmi la trama per quella storia breve. Una trama dettagliata, su cui si possa lavorare. Tsugumi-san mi ha dato il depliant relativo al concorso, e scade tra un mese.-

- Ma dai, c’è un intero mese per lavorarci su!-

- Guarda che se voglio fare un buon lavoro ci vuole un sacco di tempo!-

- E dai, aspetta qualche giorno e ti do lo script.-

- Sei un pigro del cavolo...-

- Non sono pigro! E’ il club di teatro! Sto scrivendo una commedia per loro, e...-

- Anche il nostro club di teatro mi ha tirato dentro, per le scenografie, eppure trovo tempo per le cose importanti!-

- Va bene, va bene! Non rompere! Stanotte te la scrivo.-

- Non voglio una roba senza logica che hai scritto alle quattro di notte per senso del dovere, voglio una storia decente!-

- Quando mai ti ho affibbiato roba senza logica scritta per senso del dovere?- protestò il più giovane.

- Roba scritta alle quattro di notte sì, però!-

- Sentite, ma dove volete scendere? E’ la terza volta che fate su e giù con l’ascensore...- li interruppe una signora.

- Oh. Sì. Scusi.- balbettò Shuichi, rendendosi conto di quello che effettivamente stavano facendo.

- Sì! Abbiamo superato il vecchio trauma! Possiamo passare alla fase successiva dell’allenamento!- esclamò Hikari.

- Un giorno o l’altro chiederò i danni a Tsugumi-san e Iori-san per avermi fatto conoscere un idiota come te...-

Finalmente scelsero un piano che faceva al caso loro e lasciarono l’ascensore. Trovarono anche un bar e una merenda adeguata, ma prima naturalmente ci furono un paio di soste, in edicola e nel negozio di colori preferito di Shuichi.

- Tra poco è un anno che ci conosciamo.- notò all’improvviso Hikari.

- Già.-

- Mi sembra incredibile che ci siano successe tutte quelle cose.-

- A me sembra incredibile anche solo il fatto che mia madre mi permetta di vederti.-

- Oh, insomma! Non sono un criminale.-

- Comunque mi hai rapito dall’ospedale.-

- Ehi, ma eri consenziente!-

- Ma lei non ci ha mai creduto. E’ stata tua madre ad addolcirla. Vorrei sapere come ha fatto.-

- Non ne ho idea. E non mi sarei mai immaginato che mia nonna...-

Hikari si intristì, e smise di parlare.

- Mi dispiace che tu abbia dovuto scoprire in quel modo che è morta per colpa di Murasaki.- disse Shuichi.

- E’ morta per difendere la città. Questo mi tira su. Ed è bello sapere che è dalla nostra parte, lo è sempre stata.-

- Così hai svelato anche il mistero dei tuoi genitori. Del perché niente li stupisse veramente. Immagino sia normale, se hai avuto una maga in famiglia...-

- Mia mamma mi ha anche dato delle cose di mia nonna. C’è una cosa che dovrei farti vedere.-

- Cosa? E perché me lo dici solo ora?-

Hikari sospirò e scosse la testa.

- Scusami. Hai ragione. E’ che... Insomma, è una foto sua con Eiko, quando Eiko aveva otto anni.-

Shuichi non rispose subito, ma quando riprese a parlare si stava sforzando di sorridere.

- Aspetto che mi porti la foto.-

- Va bene. Tu non pensi proprio di dire la verità ai tuoi?-

- Come minimo mi farebbero ricoverare. Con due guardie davanti alla porta, questa volta.-

- Ma così è molto più da eroe di un manga. La gente con i poteri non può raccontarlo a chiunque, e la maggior parte delle volte i familiari non lo sanno.-

Shuichi rise. Un inventore di storie ti parlerà per metafore e artifici di trama in tutte le situazioni.

- Mi sembrano due vite diverse.- mormorò Hikari, cambiando all’improvviso tono alla conversazione.

- Cosa?-

- Prima di trovarmi in quest’avventura, e adesso. Sono due mondi diversi. Il mondo è ricominciato di nuovo, un anno fa.-

- Immagino di poter dire la stessa cosa.- ammise l’altro, senza guardare Hikari negli occhi.

- E... che ne pensi, di questo mondo nuovo?-

- Di sicuro è meglio di prima.-

- E vorresti continuare a viverci?-

- Perché no?-

Hikari sorrise, con un po’ di tristezza.

- Mi dispiace che come compagno di avventure ti sia toccato un disastro.-

- Non è così male, credimi. E’ un po’ una piattola, ma inventa delle belle storie. E quando ce n’è bisogno, c’è. Penso che un compagno di manga così vada più che bene.-

Hikari spostò lo sguardo oltre la vetrina del locale, oltre la gente che camminava fuori.

- Forse è meglio cambiare discorso, prima che vada out of character e mi trasformi in Card Captor Sakura.-

- Sarebbe davvero out of character. Lei è così precisa e puntuale, in confronto a te...-

- Ehi, ripeti un po’ cos’hai appena detto!-

- Che Card Captor Sakura sarebbe una tua temibile nemica. Tu potresti essere la Carta delle Lacrime. Esiste?-

- E piantala un po’!-

- O la Carta delle Risposte a Sproposito. La Carta del Ritardo.-

- La smetti?-

- La Carta delle Mezze Idee Poco Intelligenti.-

- E tu saresti la Carta della Perdita di Pazienza!-

- Le mie carte hanno nomi più fichi.-

- Sarà, ma quando si tratta di trovare titoli decenti alle nostre storie, sei un totale deficiente...-

- Ehi, sei tu che deve pensare ai titoli!-

- E questo chi l’ha deciso?-


C’erano dei bambini che giocavano, nel parco Tsubaki. La neve era abbastanza alta da offrire numerose possibilità di divertimento, ma non troppo da essere pericolosa. Le loro madri erano poco distanti, e vegliavano sui giochi.

E poi c’era una piccola figura, seduta su una panchina. Osservava il mondo attorno a sé e risplendeva lievemente. Era bianca, e si confondeva con il resto del mondo innevato.

Ad un certo punto una ragazzina le passò accanto, inseguendo una palla che era volata troppo lontano. Lei si alzò, fermò la palla, prima che sparisse tra gli alberi, e la restituì alla piccola proprietaria. La bimba sollevò il viso e incontrò gli occhi azzurri della ragazza tutta bianca.

- Sei fatta di neve?- le domandò, riempiendosi di stupore.

- Di neve, di sogni e ricordi.- rispose lei.

- E cosa fai qui?-

- Proteggo questo posto e le persone che ci vivono.-

- Sei molto bella.-

Lei ringraziò con un sorriso. La bimba corse via, mentre lei rimaneva immobile. Appena percettibile, ma sicura e presente come una roccia su cui si può fondare una città. Un riflesso della luce sulla neve, un sogno appena accennato, un ricordo di petali e lacrime.

La prima creatura di un mondo rinato.




Fine




Ja ne! Spero di risentirvi presto, in qualche altro mondo! ^_^

(Vieni a trovarmi al Worlds Hotel?)

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