Thought you was Batman

di POPster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo Extra #1 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo Extra #2 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Nuova pagina 1

Capitolo 1

    Innanzi tutto, devo avvertirvi.
    La storia che vi sto per raccontare andrà oltre i limiti dell'ordinario. Probabilmente molti di voi non crederanno alle mie parole, e penso che sia più che giusto. Ognuno ha il diritto di credere a ciò che preferisce.
    Comunque, io vi ho avvertito.
    Dovrei precisare che io non sono una persona come le altre. Anzi, io sono unica.
    Lo so, dicendo questo perdo già parecchi punti in partenza, perché ora penserete che sono una di quelle ragazze che si sentono delle fighe assurde e cose del genere. In mia difesa, posso dirvi che non è così. Non sono affatto una figa assurda, se è quello che vi state chiedendo. Cioè, non sono nemmeno il tipo di ragazza abbastanza bella da causare tamponamenti a catena quando attraversa la strada, per dirne una. Nessun automobilista ha avuto mai alcun incidente perché distratto dalla mia bellezza.
    Quando dico che sono unica, intendo tutt'altra cosa. Non ho nemmeno tre teste, comunque, se è quello che vi state chiedendo.
    E poi, dovrei spiegarmi meglio: non sono proprio unica, diciamo che sono unica nel mio genere.
    Ora, avendo fatto le mie premesse, dovrei cominciare col raccontare che questa storia iniziò con un'esplosione, anche se, sinceramente, non è andata proprio così, ma giuro che ci arriveremo presto.

    Comunque, la prima esplosione è il motivo per cui le cose che sto per raccontarvi cominciarono a prendere vita.
O, per dirla a modo mio, il motivo per cui la mia vita cominciò a prendere una piega decisamente pietosa.
    Ora, non mi piace fare la vittima, né niente del genere, quindi non starò qui a piangermi addosso, non ora che so perché stava succedendo tutto quel che stava succedendo.
    Comunque, dico sul serio, la mia vita era diventata una cosa pietosa.
    Bene, tornando all'esplosione, avvenne nella zona industriale di Belleville, poco lontano da casa mia - ovviamente, se non conoscete Belleville, è giusto informarvi che tutto è poco lontano da tutto, visto che è una cittadina grande quanto la mano di un neonato.
    Dicevo, l'esplosione avvenne nella zona industriale. Fu una fabbrica di saponi o qualcosa del genere, a saltare in aria. I telegiornali ne parlarono per un'infinità di giorni, e sembrava che tutti a Belleville soffrissero per l'incidente.
    Il che, direte voi, era comprensibile, giusto?
    Insomma, chissà quanti lavoratori erano morti, in quell'incidente. Chissà quanti danni aveva arrecato alla nostra povera popolazione, quell'incidente...
    Beh, ve lo dico io: nessuno avrebbe dovuto preoccuparsi, e nessuno avrebbe dovuto essere triste. E non perché siamo un popolo di insensibili, sia chiaro. Ma perché - e non ditemi che non vi avevo avvertito! - quella fabbrica non era mai esistita. Quindi, non c'era nessun lavoratore dentro. Ovvero, nessun morto. Niente di niente, lo giuro.
    Lo so, è assurdo credermi, ma vi assicuro che non c'era nessuna fabbrica di saponi lì, nonostante tutti fossero convinti che ci fosse. E tutti erano convinti che fosse saltata in aria, e che fossero morti un sacco di uomini innocenti.
    Dunque, io comunque sapevo che non era così, lo sapevo io e lo sapevano anche altre persone, ma per ovvi motivi non potevamo dirlo.
    Innanzitutto, è bene avvertirvi che io ho sempre vissuto un lato della mia vita in modo segreto. Cioè, è chiaro che ci sono delle cose che non potevo mostrare al mondo intero, ok? Ecco, una di queste cose era che quella dannata fabbrica di saponi non era mai esistita. E comunque, la maggioranza della popolazione ci credeva, quindi provare ad affermare il contrario sarebbe stato inutile.
    Ora, dovete comprendere che di fronte a certe situazioni, e a certe persone, alcuni comportamenti sarebbero stati totalmente inutili.
    Comunque, dato che non piangevo la perdita di alcun lavoratore-mai-esistito o cose simili, vi starete chiedendo perché mai quell'esplosione fu così importante. Ecco, quel giorno, il giorno dell'esplosione intendo, fu anche il giorno in cui venni mollata, di punto in bianco, dal mio ragazzo.
    Oh, per dire le cose come stavano, non è che venni "mollata". Venni proprio abbandonata.
    Mi lasciò un biglietto scritto in tutta fretta, su un dannato post-it giallo. Lo aveva appiccicato al frigorifero, e c'era scritto "Giuro che potrò spiegarti tutto, spero di tornare presto. XO, Frank".
    Sorvolando lo stato d'ansia che prese il sopravvento in quel momento, comunque, pensai di aver bisogno di parlarne con qualcuno. Insomma, non ero un geniaccio, ovviamente, ma non ero nemmeno stupida, e potevo affermare con certezza che quella finta esplosione e la sparizione di Frank fossero due eventi ben collegati tra loro.
    E' giusto, nonostante non sia una cosa facile, parlarvi di Frank, a questo punto.
    Bene, anche lui era speciale. Cioè, per speciale intendo proprio speciale. Come lo ero io, insomma.
    Comunque, io definivo Frank il "figlio di tutti". E non perché sua madre fosse una di quelle delle quali non potevi dire con certezza di chi fosse il bambino che portava in grembo, sia chiaro. Lo definivo il figlio di tutti perché tutti gli volevano un bene dell'anima. Giuro, eh, non sto esagerando. Anche mio padre, a volte mi stupiva, per quanto si dimostrasse affezionato a Frank. Cioè, non era una cosa normale, a volte mi faceva venire il sangue al cervello tutto quel suo modo di fare nei confronti di Frank.
    Ma riuscivo a comprenderlo, perché insomma, Frank era Frank, e nessuno poteva resistergli, nemmeno io.
    Nemmeno voi, ne sono certa. Anche se devo ammettere che non è che mi innamorai di lui perché era il tipo di persona che aiutava una vecchietta ad attraversare la strada. Cominciai a legarmi a lui quando entrambi scoprimmo di avere tante cose in comune. O solo una, in realtà, ma dato che questa cosa ricopriva gran parte della nostra essenza ed esistenza, dire tante sarebbe lo stesso.
    Ora, come ho detto, Belleville è piccolissima, quindi non c'è da stupirsi se dico che c'era una sola scuola pubblica, che sia io che Frank frequentavamo.
    Nonostante questo, comunque, non è che io e Frank fossimo amici, ai tempi, né niente del genere. Cioè, le nostre vite non si incrociavano mai, fatta eccezione per i momenti in cui era ovvio che si incrociassero, tipo quando avevamo lezione insieme e cose del genere. Insomma, se Belleville era una cittadina piccolissima, potete immaginare quanto ancor più piccolo fosse il suo unico liceo.
    Insomma, come ho detto, ci sono delle cose che non puoi prendere e raccontare al mondo intero, e fortunatamente ho ricevuto - al  riguardo - un'educazione alquanto chiara da mio padre. Si, giusto, mio padre sapeva tutto. E quando dico tutto, intendo proprio tutto, anche le cose che io non sapevo!
    Dunque, mi aveva insegnato a tenere per me le mie abilità. Ogni tanto era frustrante, ma lui riusciva a tenere la situazione sotto controllo, ad esempio ricordandomi quanto fosse più divertente manipolare la mente della gente, se la gente non sapeva che riuscivo a farlo. E comunque, come ho detto, non sono mica una stupida, non avevo certo intenzione di correre per Belleville urlando "Ehi! Ho dei superpoteri!", ci mancherebbe. Quindi, anche se mio padre preferiva che non facessi uso delle mie abilità, sapeva che comunque non gli avrei dato retta. Dai, vorrei vedere voi, da adolescenti, con il mio potere, cosa avreste fatto. Anzi, secondo me sono stata anche fin troppo brava a mantenermi nei limiti. Ah, per la cronaca, appunto - e giuro che nemmeno ora voglio vantarmi né niente del genere! - mio padre mi diceva sempre che avrei potuto conquistare il mondo. Me lo diceva sin da quando ero bambina, e beh, è ovvio che inizialmente credevo che me lo dicesse solo per aumentare la mia autostima - almeno, fin quando non venni alla scoperta del fatto che aveva dannatamente ragione. Ma quel momento arrivò molto più tardi.
    Per chiarirvi le idee, io ho il potere di manipolare la mente della gente. Anzi, io ho più poteri mentali, in realtà, ma il primo di cui venni a conosceza era proprio quello di manipolare le menti.
    Successe per caso, in realtà, e ai tempi ero solo una ragazzina.
    Comunque, torniamo a Frank. La sua abilità era quella di potersi rendere invisibile. Dico sul serio, proprio invisibile.
    Anche lui, come me - certo, non era mica uno stupido, Frank - teneva la cosa per sé, ma poi arrivò il giorno in cui entrambi dovemmo uscire allo scoperto. E posso ammettere che quello rientra tra uno dei giorni più belli della mia vita.
    Ora, è chiaro che avere uno strano potere non è propriamente normale, o almeno, per me non lo era, quindi mi sentivo davvero strana. Come ho detto, mio padre sapeva sempre tantissime cose - davvero tantissime! - quindi mi parlava sempre di altre persone con delle strane e quasi assurde capacità, ma io non ne avevo mai conosciuta una, e a volte mi ero ritrovata a chiedermi se mi parlasse di altre persone come me solo per non farmi sentire un'aliena sola al mondo. Comunque, nonostante mio padre fosse stato sempre chiaro sul fatto che non dovessi parlare a nessuno dei miei poteri, non posso negare che quando Frank mi scoprì una parte di me si sentì immediatamente sollevata.
   
    Avevo 15 anni ed ero nell'ufficio del Preside, perché quella stronza di Kitty mi aveva presa a parolacce ancora una volta, ed io le avevo letteralmente strappato una ciocca di quei suoi lunghi capelli color nocciola dalla testa, nell'intento di... beh, si, non ne potevo più e volevo appunto farle del male.
    Comunque, per chiarire, non è che io sia un tipo aggressivo, in genere. Ma quella Kitty mi tormentava da sempre.
    Ecco, c'è da dire anche che io non ero simpatica quasi a nessuno. Per essere chiari, tutti avevano un'idea sbagliata di me. Ora, io riuscivo anche a comprenderlo, ma non potevo farci nulla.
    In pratica, mio padre era sempre stato iperprotettivo nei miei confronti, anche se ai tempi non riuscivo a capire il perché. Era così protettivo che io avevo una guardia del corpo.
    Dico sul serio, un omone alto e robusto che mi accompagnava a scuola in una macchina stracostosa con i vetri antiproiettile. Nemmeno fossi stata la figlia del Presidente!
    E' chiaro che per me, essendo cresciuta in quel modo - intendo, sempre protetta e tutto il resto - era quasi normale, ma per i miei compagni di scuola non lo era affatto. Insomma, ovviamente pensavano che fossi una cazzo di principessina con la puzza sotto il naso, perché l'accostamento di una guardia del corpo, unito al fatto che per essere sicura che nessuno scoprisse le mie capacità preferivo starmene sulle mie, aggiunto alla mia capacità di ottenere tutto quello che volevo - e dico, tutto! - da chiunque mi faceva sembrare davvero una ragazzina spocchiosa e viziata. E Kitty mi detestava per questo. E quel giorno, non lo so, non la sopportavo più e così le saltai addosso e le strappai via una ciocca di capelli, guadagnandomi un richiamo dal Preside della scuola.
    Il punto è che io avevo la capacità di manipolare la mente di chiunque - o beh, quasi, visto che mio padre per esempio non rientrava in quella lista - e beh, mi bastò dire "Non credo di meritare una punizione", che il Preside mi congedò dicendomi che non credeva meritassi una punizione.
    Si, era così semplice, davvero.
    Quando uscii dall'ufficio del Preside - dopo averlo convinto anche a lasciarmi uscire prima saltando così le successive ore di educazione fisica - mi incamminai verso la zona industriale di Belleville, perché in quel posto c'erano solo fabbriche e non ci incontravi mai nessuno che stava lì a passeggiare e cose simili, quindi potevi farti gli affari tuoi e tutto il resto. Era - tristemente - uno dei miei posti preferiti della città.
    Ovviamente, non ero completamente sola, e il punto è che cominciai a svilluppare i miei poteri solo dopo, quindi in quel momento non riuscivo a sentire la presenza di nessun altro. Quindi potete immaginare come saltai letteralmente dallo spavento, quando sentii una mano afferrarmi la spalla, dietro di me.
    Giuro che me la feci sotto, sopratutto perché più andavo avanti con gli anni, più mi rendevo conto che se mio padre non era il Presidente degli Stati Uniti, ed io ero l'unica persona in tutta Belleville a girare con una guardia del corpo, significava che avevo qualcosa di cui preoccuparmi seriamente.
    Pietrificata, mi voltai quasi contro voglia. Insomma, andavo in giro con una macchina con i vetri antiproiettile! E se voltandomi mi sarei trovata davanti qualcuno con una pistola puntata contro la mia testa? Si, potevo manipolarlo e fargli gettare l'arma, direte voi, ma è ovvio che anche la mia mente fosse pietrificata, in quel momento.
    Comunque, trassi un respiro di sollievo quando mi trovai di fronte a Frank Iero, che quasi mortificato lasciò andare la presa.
    «Scusa... non volevo spaventarti...» disse cercando di sembrare calmo e rilassato.
    Ora, è inutile che vi dica che Frank era dannatamente carino, comunque.
    Cercai di calmarmi, riprendendo fiato ed aspettando che i battiti del mio cuore si regolarizzassero. Ok, da una parte mi dispiaceva di non avere una pistola puntata alla testa, ma non perché mi piacesse rischiare la vita, è solo che almeno avrei avuto la conferma che le paranoie di mio padre sulla mia vita in pericolo fossero almeno giustificate. Oh, non avevo idea. L'ho detto che mio padre sa un sacco di cose, giusto?
    Comunque, Frank mi sorrise, quando vide che finalmente ero tornata in me. Poi inarcò le sopracciglia, e infine con espressione seria incrociò le braccia sul petto.
    «Come fai?» mi chiede scrutandomi, dopo un pò.
    Io sollevai un sopracciglio guardandolo confusa «Come faccio cosa?» chiesi scrutandolo anche io, per cercare di capire se si riferisse davvero al mio potere o qualcosa del genere.
    Lui fece una specie di risatina, ma non sembrava divertito «Come fai ad ottenere sempre quello che desideri?» specificò.
    Appunto, si riferiva proprio a quello.
    Con nonchalance scrollai le spalle, riprendendo a camminare. Lui mi affiancò e prese a camminare al mio fianco.
    «Non fare finta di niente, Candice!» mi disse dopo un pò, guardandomi. Io continuavo a tenere lo sguardo fisso al suolo, perché non sapevo cosa dovevo dire. Conoscevo a mala pena Frank, sapevo che era un bravo ragazzo, che tutti gli volevano bene e che si faceva i fatti suoi. Ma non capivo perché volesse tanto sapere della mia abilità.
    «...non faccio nulla, ok? Chiedo, e la gente mi da quello che voglio. Non è niente di speciale. Forse sono simpatica...» dissi sforzandomi di non ridere alla mia ultima frase.
    Frank fece una smorfia «Se te lo sto domandando è perché ho le prove che tu sia... tu...» si bloccò, d'un tratto, come se stesse cercando il termine giusto.
    «Io?» feci, perché una parte di me voleva che continuasse a spiegare la sua teoria, qualsiasi essa fosse. Beh, in realtà, ne avevo bisogno, perché ok, mio padre sapeva tutto, ma ciò non significava che fosse lo stesso per me. Assolutamente.
    Frank sospirò «Bene.» disse secco, facendo qualche passo davanti a me, camminando all'indietro, per tenere lo sguardo nel mio «Guardami...».
    Io lo guardai, inizialmente curiosa di cosa avesse intenzione di fare. Lo vidi sorridere e poi BAM!, sparì nel nulla. Giuro.
    Così come era apparso, Frank sparì. Ma non è che si fosse messo a correre o cose simili. Era semplicemente sparito. Era diventato invisibile. Giuro che restai a bocca aperta. Letteralmente.
    Sentii la sua voce alle mie spalle «Ora dimmi come fai tu...» mormorò, parlandomi quasi nell'orecchio «Ti prego.» aggiunse.
    Beh, non so come spiegarlo, ma quello era davvero il giorno più bello della mia vita. Finalmente avevo incontrato qualcuno di diverso! Cioè, qualcuno strano come me! No, non posso descrivere la gioia che provai.
    «Io... non lo so. Non so spiegare come funziona...» ammisi, dopo un pò, ritrovandomi di nuovo di fronte a Frank. Notando il suo sguardo quasi deluso dalla mia ignoranza, mi sforzai di provare a spiegargli come funzionava il mio potere - per quanto ne sapevo, comunque.
    «Ok... credo che...» pensai bene a come spiegarlo. Cioè, non era mica facile «Beh, non è complicato. Guardo una persona e gli dico quello che vorrei e boh, improvvisamente sembrano che lo vogliano anche loro.».
    Frank sorrise. Probabilmente nemmeno lui avrebbe saputo spiegare il meccanismo in base a cui riusciva a diventare invisibile.
    «Puoi farlo con me?» mi chiese, ed io lo guardai confusa. Insomma, nessuno mi aveva mai chiesto prima di manipolargli la mente, era ovvio.
    Comunque mi piaceva l'idea, perché, come ho detto, ero contenta di poter condividere quel dannato segreto con qualcuno. Quindi sospirai, pensando a qualcosa da fargli fare.
    Mi venne istintivo sorridere «Ok.» lo guardai negli occhi, cercando di sembrare seria «...credo che tu abbia voglia di saltellare sul posto...» dissi, rendendomi conto di quanto suonasse stupida quella richiesta. Sul serio, lo giuro, non avevo mai fatto fare a nessuno una cosa del genere.
    Frank inizialmente mi guardò quasi come se pensasse che lo stessi prendendo in giro, ma dopo mezzo secondo, ecco che cominciò a saltellare lì di fronte a me.
    Comunque, si, la nostra storia iniziò così, con lui che mi saltellava davanti come una di quelle palline di gomma che rimbalzavano senza sosta.
    Non è la cosa più romantica del mondo, lo so. Non ho mica detto che questo sarebbe stato un romanzo d'amore, comunque.
    Anzi, alla fine, appunto, Frank era sparito nel nulla. Dopo anni di fidanzamento, ok? Vivevamo insieme, cazzo. E lui era sparito nel nulla, dopo quella prima esplosione in quella dannata fabbrica inesistente.
    Non sapevo quale fosse il legame tra le due cose, ma doveva esserci. Ne ero sicura.

- - -  


Non so davvero che scrivere, quindi spero vi piaccia e basta, fatemi sapere, ci tengo più del solito con questa nuova FF, davvero. Ogni commento, apprezzamento, parere, consiglio, è più che ben accetto. xoxo

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Nuova pagina 1

Capitolo 2

    Dunque, ci sono altri punti da chiarire, prima di parlare di ciò che successe a seguito delle esplosioni.
Per dirne uno, quelli che credevamo fossero dei poteri straordinari, beh, non erano nulla in confronto a ciò che davvero avremmo potuto fare. Era come... beh, per esempio, eravamo come dei bambini che avevano appena imparato a scrivere tutte le lettere dell'alfabeto. Pensavamo che fosse grandioso, ma non avevamo ancora idea di quante cose avremmo potuto scrivere, sapendo tutte le lettere dell'alfabeto e come unirle insieme. Ecco, qualcosa del genere.
    Io e Frank eravamo davvero ansiosi di scoprire fin dove potevamo arrivare. E poi, come ho già detto, i miei poteri non funzionavano con mio padre, dunque ora avevo una persona con la quale oltre a poterne parlare tranquillamente, potevo anche esercitarmi. Ci eravamo detti che avremmo lavorato duro, per scoprire chi fossimo, perché fossimo così, e quanto grandiose potessero diventare le nostre abilità.
    Infatti, già il giorno stesso in cui incontrai - o meglio, lui mi seguì - Frank nella Zona Industriale, passammo gran parte del pomeriggio a sperimentare le nostre abilità. Fu così entusiasmante che mi dimenticai totalmente del mio coprifuoco.
    Quando tornai a casa, con ben due ore e mezzo di ritardo, ed un atroce mal di testa per quanto avevo sforzato la mia mente a creare illusioni e a manipolare quella di Frank, mi aspettavo una ramanzina da parte di mio padre che non sarebbe finita mai. Insomma, mi mandava in giro con una guardia del corpo, figuriamoci come sarebbe stato agitato non vedendomi rincasare nell'ora prestabilita!
    Quindi, quando invece con mio stupore lo trovai serenamente seduto sulla sua poltrona a leggere un giornale con aria stranamente rilassata, capii che mio padre, ancora una volta, sapeva molte più cose di me. Capii che sapeva di Frank, e che si fidava di lui. Altrimenti avrebbe mandato uno dei suoi uomini migliori a cercarmi. Se non lo aveva fatto, c'era un motivo.
    Oh, ovviamente, non avevo idea di quale fosse quel motivo. Pensai solo che finalmente le cose stavano prendendo la giusta piega.
    Le cose andarono anche meglio, quando mio padre mi chiese di presentarglielo. Beh, ovviamente inizialmente mi sentivo in imbarazzo. Non volevo che Frank pensasse che avessi chissà quali strane idee. Ma gli raccontai di mio padre, e di quante cose sapesse, così Frank decise di incontrarlo ben volentieri.
    Un'altra cosa che devo dire su Frank, è che era dannatamente curioso. Davvero. Si sforzava davvero tantissimo ad elaborare teorie su ciò che eravamo e tutto il resto.
    Frank voleva sapere. Ed io, che credevo di sapere molte cose sul mio potere e tutto il resto, dovetti ammettere che non ne sapevo poi molto, nonostante avessi ricevuto una minima educazione al riguardo. O meglio, io mi accontentavo di sapere ciò che mio padre voleva farmi sapere. Mi bastava, andava bene così. Insomma, c'è chi nasce con due teste, chi soffre di strane malattie... a me era andata più che bene, no?
    L'unica altra persona più curiosa di Frank era il suo migliore amico, Mikey Way.
    Bene, Mikey era un altro sapientone, ma le cose che sapeva erano frutto di ricerche e studi e cose del genere.
    (Si, forse non ero così sveglia, perché fin quando non fu lui a chiedermi come facesse mio padre a sapere tutte quelle cose su questi poteri, io non mi ero mai posta la domanda. Pensavo che lo sapesse e basta).
    Comunque, Mikey era un ragazzo alto e magro, con dei pesanti occhiali da vista sul naso ed un quadernino sempre a portata di mano su cui appuntava ogni minima cosa. Ma non aveva alcun potere. Forse, pensavo, era per questo che fosse così affascinato dalle nostre abilità da supereroi. Perché lui era un ragazzo ordinario.
    Comunque, sapevo di potermi fidare anche di lui, perché Frank si fidava ciecamente, e perché era uno di quei ragazzi che non sanno mentire. Di quelli che puoi leggere come un libro aperto. Non aveva strane intenzioni, non era uno di quelli - chiunque essi fossero - da cui mio padre voleva proteggermi. Probabilmente se qualcuno gli avesse messo in mano una pistola, pensavo, Mikey si sarebbe sparato su una gamba nel tentativo di infilarla nella fondina. Sul serio. Mikey era imbranato, non faceva paura nemmeno ad un moccioso.
    Capii comunque presto che invece mio padre non nutriva troppa simpatia per Mikey. Ci fu un periodo in cui mi chiesi anche se non fosse perché lui non aveva poteri, ma pensai che fosse una cosa davvero stupida. Scoprii poi, comunque, che non gli piaceva Mikey perché lo considerava troppo curioso e ficcanaso. Oh, gli feci notare che Frank era curioso e ficcanaso allo stesso modo, ma ogni volta mio padre scrollava le spalle e sorrideva, rispondendomi che Frank era Frank.
    Ve l'avevo detto, che mio padre lo adorava, no?

    Dunque, tornando alle esplosioni, come dicevo, Frank sparì dopo la prima esplosione. Il fatto che Frank se ne fosse andato lasciandomi quello stupido biglietto mi aveva davvero devastata. Insomma, non aveva molto senso. Non riuscivo a capirlo. Non avevamo nemmeno delle crisi di coppia o cose del genere.
    Mikey Way aveva le sue strane teorie, ma io ero troppo giù di morale per dargli retta, mentre mio padre diceva che se Frank aveva scritto che sarebbe tornato presto, dovevo calmarmi ed aspettare che quel presto arrivasse. Beh, si, se ve lo state chiedendo, mio padre sapeva tutto ma non era un gran genio nelle questioni di cuore - infondo era separato da mia madre praticamente da una vita intera!
    Bene, circa sei mesi dopo la prima esplosione, ce ne fu un'altra. Inutile dire che era saltata in aria un'altra fabbrica inesistente.
    L'esplosione avvenne di mattina, causando un vero e proprio blocco in città. Tutti erano ipnotizzati dalla tragedia, e si, mi irritava parecchio l'idea che praticamente l'intera popolazione di Belleville credesse davvero che un'altra fabbrica fosse saltata in aria!
    Comunque io decisi di andarmene a lavoro come tutti gli altri giorni, nonostante sapessi che quella mattina non sarebbe entrato nemmeno un cliente al negozio.
    Per la cronaca, lavoravo in un negozio di abbigliamento come commessa. Non perché avessi bisogno di soldi, più che altro perché avevo bisogno di tenermi occupata.
    Nel negozio stavo da sola, il mio capo era andato a curiosare nella zona industriale. Avevo attaccato da meno di un'ora, quando Mikey Way fece il suo ingresso, con l'aria sconvolta, i capelli spettinati e gli occhiali calati sul naso.
    Si sporse sul bancone, senza dire nulla per qualche secondo per riprendere fiato. Capii che aveva corso per arrivare lì.
    «Ehi, che ci fai qui?» chiesi guardandolo con poco interesse. In quel periodo, avevo chiesto a Mikey di starmi lontano. Non perché non fosse simpatico o niente del genere. Ma ogni volta parlava di Frank e tutto il resto, e non ce la facevo davvero a sopportarlo.
    Lui si tirò su, cercando di comporsi «Sono... sono venuto a vedere se fossi ancora qui!» esclamò fissandomi.
    Lo guardai sollevando un sopracciglio «Dove sarei dovuta andare?» chiesi confusa, piegando una maglietta sul bancone.
    Mikey scrollò le spalle. Sapevo che avrebbe tirato fuori una delle sue teorie, perché aveva la classica faccia "sto per tirare fuori una delle mie teorie". Mi guardò «Beh, visto che con la prima esplosione era sparito Frank, pensavo che magari stavolta saresti sparita tu...».
    Feci una specie di espressione offesa «Magari, eh?» mormorai.
    Lui scosse la testa «Non magari nel senso di magari, comunque. Era un'idea. Ma visto che non sei sparita...» fece una pausa, tirando fuori dalla tasca un foglio stropicciato. Lo stese sul bancone e lo lisciò «...posso cancellare l'ipotesi che qualcuno stia facendo esplodere fabbriche inesistenti per distrarre la popolazione dal rapimento di persone con strani poteri» mugugnò cancellando una riga sul foglio.
    «E' un'ipotesi idiota, comunque...» commentai.
    Era un'ipotesi idiota davvero, secondo me, perché Frank non era stato rapito. Frank era scappato. Insomma, mi aveva lasciato un post-it, chi ha il tempo di lasciare un messaggio su un frigorifero mentre viene rapito?
    Vidi che Mikey ora aveva l'espressione "devo-andare-a-fondo-nella-faccenda", e lo guardai accigliata «E' inutile, Mikey. Tutte queste tue paranoie sullo scoprire perché Frank se n'è andato, sono inutili, ok?» dissi stanca di doverne parlare ancora. Ecco perché non volevo vedere Mikey. Perchè se ne usciva sempre con Frank. Dio, quanto non volevo parlare di Frank!
    Mise il broncio, guardandosi intorno «Beh, non è che tu abbia molto da fare, comunque.» osservò «...andiamo nella Zona Industriale... andiamo a vedere cosa sta succedendo...» supplicò.
    Sospirai, socchiudendo gli occhi.
    La cosa non aveva richiesto molto sforzo. Mikey si guardò intorno sbuffando «Sei una stronza!» disse. Quello che stava osservando, ora, era un negozio stracolmo di clienti. La parte ridicola della situazione era che nonostante nella mia mente fosse ben chiara la visione dell'illusione che stavo trasmettendo a Mikey, potevo comunque vederlo scansarsi per far passare persone che in realtà non erano lì. Si, insomma, si muoveva tra la folla davanti al bancone ma in realtà io sapevo che non c'era nessuna folla. Era solo Mikey, che vedeva ciò che io volevo fargli vedere.
    Questo era un altro degli aspetti del mio potere che avevo imparato a conoscere solo col tempo.
    «Lo so che questa gente non è davvero qui! Smettila!» mi disse, serio.
    Non riuscii a trattenere una risatina. Era divertente, comunque. Sospirai, scacciando via quell'illusione. Mikey mi guardò, triste «Perché non vuoi trovare Frank?» chiese quasi sussurrando.
    Oh, beh, non è che non volessi trovarlo, comunque.
    Mi spostai una ciocca di capelli dal volto, e ci pensai un pò su. Dannato Mikey, sembrava sempre un bambino quando metteva il broncio, e alla fine ti veniva voglia di dargli retta. Ecco perché non volevo frequentarlo!
    Feci il giro del bancone e presi le chiavi del negozio. Lo condussi fuori ed abbassai la serranda.
    Nell'aria c'era un pesante odore di bruciato, che mi faceva venire la nausea. Mi chiesi come fosse possibile che quelle finte esplosioni sembrassero così dannatamente vere.
    A passo svelto camminai con Mikey verso la zona industriale.
    Non c'era più nessuno, quando arrivammo. Incrociammo una pattuglia della polizia che stava andando via da lì, dal luogo in cui si presumeva ci fosse stato un incendio o qualcosa di simile.
    Ora, questa è un'altra cosa che non capivamo: Mikey non aveva alcun potere, ma anche lui, come me e mio padre, ad esempio, riusciva a vedere che la fabbrica che si diceva esplosa, in realtà, non era esplosa affatto. Era ancora lì. Era una vecchia fabbrica abbandonata da anni ormai, era mal ridotta e tutto, ma non era esplosa. Non c'era un incendio. Mi chiedevo come fosse possibile che tutti sembravano vedere fuoco e fiamme dove in realtà c'era solo... una semplice catapecchia abbandonata, ecco.
    Forse, pensai, era proprio per questo che Mikey voleva andare a fondo nella faccenda. Nonostante non avesse dei superpoteri o quello che erano, riusciva comunque a vedere la realtà della questione. Mi ricordai anche che comunque era sempre consapevole di quando cercavo di inculcargli in testa qualche illusione, in effetti. Cioè, vedeva quello che volevo io, ma sapeva che non era reale. Non come tutti gli altri.
    Pensai che forse era perché lui sapeva cose che gli altri non sapevano. Forse, essendo cosciente della facciata della questione che stavamo tenendo nascosta alla popolazione di Belleville, riusciva a rendersi conto di ciò che era vero e ciò che era illusorio.
    Provai un grande mal di testa, a pensare a tutte quelle cose. Non faceva per me, indagare e tutto il resto.
    Mikey mi fece cenno di seguirlo, mentre si addentrava nella fabbrica non-esplosa.
    C'era una grande porta rossa, scolorita, che doveva essere l'entrata. I vetri alle finestre laterali erano rotti e sporchi. Scacciai via l'idea di poter incontrare qualche topo o cose del genere, non sarebbe stato il massimo. La porta comunque era aperta, e quando Mikey la spalancò cigolò leggermente.
    «Cosa è stato?» mi chiese voltandosi per guardarmi, dopo un pò. Restammo in silenzio per qualche secondo, cercando di sentire di nuovo quel rumore. Era stato come un... una specie di gemito, o di lamento.
    Proveniva dalla parte ovest del fabbricato, così a passo lento, cercando di non fare rumore, procedemmo da quella parte.
    Lo scenario mi mise davvero ansia.
    C'era un uomo, sdraiato a terra, accovacciato come se fosse dolorante, che si lamentava. Era di spalle, quindi non potevamo vedere il suo aspetto. Indossava un paio di jeans chiari ed impolverati, degli stivali ed una giacca blu con uno strano logo sulla schiena.
    Mikey mi guardò per un attimo, evidentemente indeciso se avvicinarsi o meno, ma prima che potessi dire qualcosa, si accovacciò su quell'uomo, scuotendogli un braccio.
    «Ehi... va tutto bene?» chiese, ed io non riuscii a trattenere una risatina. Era una domanda idiota, dai! Non puoi chiedere ad un uomo accovacciato a terra se va tutto bene.
    Il tizio ci mise un pò a riaprire gli occhi. Ci mise a fuoco, poi sembrò improvvisamente spaventato da noi.
    Ora, la cosa mi sembrava fuori dal normale. Insomma, io e Mikey non avevamo certo la faccia di due tipi che mettono paura alla gente, lo giuro.
    Si tirò su e con le gambe si fece forza per indietreggiare, continuando a fissarci entrambi.
    Beh, se mettevamo paura noi, non osavo immaginare cosa avrebbe pensato guardandosi allo specchio. Innanzitutto i suoi capelli, di un innaturale colore rosso fuoco, erano sporchi e spettinati. Il suo volto, che ok, aveva dei lineamenti molto delicati, era lurido, come fosse stato preso a schiaffi da una pozzanghera, per intenderci.
    Ed io, in realtà, avevo una paura tremenda. Sopratutto perché notai che portava una fondina alla cintura del jeans. E che nella fondina c'era una pistola. Ok, era una pistola strana. Era gialla, e sembrava una pistola giocattolo, in realtà. Ma era pur sempre una pistola, ed io ero cresciuta protetta da vetri antiproiettile!
    Ebbi ancora più paura quando lo vidi fermare il suo sguardo su di me, attentamente, mentre posizionava la sua mano sinistra proprio sulla pistola.
    Deglutii, sperando che non avesse intenzione di spararmi, e nel frattempo ebbi anche il tempo di maledirmi per aver convinto mio padre, qualche anno prima, a liberarmi dalla mia guardia del corpo!
    «...chi siete?» chiese dopo un pò, continuando a fissarmi, ancora con la mano sulla pistola.
    Feci un respiro profondo. Non mi piaceva quella situazione!
    Mikey si schiarì la gola, allungando una mano per aiutarlo a sollevarsi «Io sono Mikey, e lei è Candice...» disse, cercando di sembrare meno agitato di quanto fosse in realtà.
    Il ragazzo strinse gli occhi, come se mi stesse studiando «Dove sono?» chiese ancora, tirandosi su.
    Sembrava si fosse rilassato, il che era una buona cosa.
    «...in una vecchia fabbrica...» spiegò Mikey «Come ti chiami?».
    L'altro ci guardò di nuovo entrambi, come se volesse ispezionarci.
    Ci fu un lungo attimo di silenzio.
    «Party Poison» pronunciò infine.
Ok, la situazione andava oltre i limiti del normale. E per dirlo io, che avevo dei cavolo di superpoteri, significa che era davvero una situazione ridicola! Che razza di nome è Party Poison, comunque? Quel tizio con quella strana pistola, e quei capelli rosso fuoco, con quel nome così ridicolo, era davvero strano. Pensai che forse era solo uno che si era fatto di acidi a qualche Rave Party, il che avrebbe spiegato il modo in cui era conciato e quell'aria così spaesata. Ma ovviamente, mi sbagliavo.
    Mikey comunque sembrava meno divertito di me. Non che io stessi ridendo a crepapelle. E' che mi stavo chiedendo se Party fosse il nome o il cognome.
    Aggrottò la fronte, pensando «Da dove vieni?» gli chiese, dopo un pò.
    Party - o Poison, ancora non lo sapevo - scosse la testa «Non lo so...» mormorò poi. E beh, sembrava sinceramente confuso. Come se effettivamente non sapesse da quale luogo provenisse.
    «Credo di conoscerti...» aggiunse dopo un pò, guardandomi di nuovo con quell'aria inquietante. Io sollevai un sopracciglio «Non direi... insomma, conosco tutti qui a Belleville e posso assicurarti che tu non sei di qui...» spiegai sperando che la mia considerazione non lo offendesse «...e posso giurarti di non essere mai uscita dal perimetro di questa cittadina...».
    Party Poison mi guardò confuso. Dio, quanto volevo uscire da quella situazione! Ero abituata alle risposte sempre pronte di mio padre, e alle mille teorie di Mikey e Frank, ed ora invece ero qui davanti ad un perfetto sconosciuto che tra l'altro sembrava provenisse da un altro pianeta, che mi guardava come se io, e dico, io, avessi delle risposte per lui. No che non ne avevo, quindi volevo che la smettesse di guardarmi così, come se mi stavo sbagliando e lui mi conoscesse davvero.
    «Belleville, hai detto?» mugugnò avvicinandosi a me «In che zona siamo? E perché non usate dei nomi in codice? Non dirmi che state dalla loro parte!?» chiese alzando il tono della voce nell'ultima domanda.
    Ok, devo dirvelo che non avevo assolutamente idea di cosa stesse parlando? Pensai che avrei dovuto chiamare mio padre, lui quasi sicuramente aveva una risposta. Ma sapevo che non voleva vedermi coinvolta nelle ricerche di Mikey, sopratutto quando avevano a che fare con le esplosioni. Era stato abbastanza chiaro al riguardo.
    Scrollai le spalle, guardando Mikey per chiedergli aiuto. Lui annuì, come per farmi capire che aveva la situazione sotto controllo. Certo.
    «Siamo a Belleville, nel Jersey...» spiegò, parlando quasi con cautela, come se stesse per dire qualcosa di pericoloso «...perché dovremmo avere dei nomi in codice?» chiese dopo.
    Il ragazzo con i capelli rossi si guardò intorno, e con un paio di lunghi passi si avvicinò alla finestra impolverata alle sue spalle. Guardò fuori, anche se potevo scommettere che non avrebbe cambiato nulla quel gesto, dato che c'erano solo delle dannate fabbriche, lì intorno.
    Fece un respiro profondo, massaggiandosi le tempie, come se stesse pensando qualcosa. Poi sollevò di nuovo lo sguardo verso di noi «Non so cosa sia successo. Non so dove sono, né perché sono qui. Non so nulla!» disse suonando disperato. Mi guardò negli occhi, facendo un passo nella mia direzione «Perché sono così sicuro di conoscerti?» mi chiese, come se si aspettasse davvero una risposta plausibile.
    Scossi la testa «Non ne ho la più pallida idea...» mormorai. Cominciava a dispiacermi il fatto di non poter essergli utile in alcun modo, ma poi ebbi un lampo di genio. Insomma, ve l'ho detto che i miei poteri erano qualcosa di fenomenale, no? Bene, con Frank, allenandomi e sforzandomi più che potevo ogni giorno, arrivammo a scoprire che tra le tante cose che la mia testa sapeva fare, c'era anche il leggere l'interno delle persone.
    Ovviamente non parlo di codici genetici, e DNA e cose simili. E no, nemmeno il pensiero. Cioè, non era leggere la mente della gente tipo quei giochetti in cui devi pensare un numero e il mago di turno lo indovina. Riuscivo a leggere la storia delle persone. O meglio, riuscivo a percepire i loro ricordi, alcuni loro pensieri, il loro stato d'animo, roba del genere.
    Lanciai un'occhiata a Mikey, per fargli capire le mie intenzioni. Poi allungai una mano sulla guancia di Party Poison, delicatamente,  e socchiusi gli occhi. Non ci voleva molto, in genere. Certo, non ero così ben allenata, ma solitamente qualcosa riuscivo a percepire.
    In quel momento, invece, non percepii nulla, se non che Party Poison si era immediatamente irrigidito, come se fosse impaurito da ciò che stavo facendo, o dal semplice fatto che lo stessi toccando. Ovviamente, dato che non sapeva chi fossi.
    Mi concentrai più che potevo, e sentii una specie di calore sulla mano a contatto con il volto di Party Poison. E più secondi passavano, più il calore aumentava.
    Sentii anche una specie di fitta alla testa. Al cervello, credo.
    Riaprii gli occhi con disappunto. Diceva davvero, non sapeva assolutamente nulla. Eccetto il suo nome. E beh, per quanto ne sapeva, si chiamava davvero Party Poison. Ed era sincero anche quando diceva che credeva di conoscermi.
    Lo guardai cercando di sorridere, nonostante non fosse una situazione piacevole «...hai bisogno di darti una sistemata, comunque...» dissi, facendogli notare come fosse mal ridotto.
    Lui si guardò le mani ed i vestiti sporchi, poi guardò con diffidenza sia me che Mikey «Come faccio a sapere che posso fidarmi di voi?» chiese.
    E io che ne sapevo? Sospirai «...ok, tanto per dirne una, l'unico con un'arma qui, sei tu...» feci notare, e lui istintivamente posò ancora una volta la mano sulla pistola. Dio, se avesse continuato così giuro che gli avrei chiesto di spararmi al più presto possibile, non riuscivo a sostenere quell'ondata di ansia che mi colpiva ogni volta che la sua mano si avvicinava all'arma!
    Comunque, sembrò che la cosa gli andasse bene. E poi, oltre a non avere delle armi, come ho detto, né io né Mikey avevamo delle facce da far paura.
    Chiesi a Mikey se potevamo portarlo da lui, ma disse che sua madre era in casa - e si, la madre di Mikey non aveva niente a che fare con i superpoteri e le strane esplosioni, per quanto ne sapevamo, quindi non era il caso di potrarle in casa un tizio venuto fuori dal nulla perché non sapevamo come spiegarle la cosa. A casa di mio padre non c'era verso. Oh, quanto avrebbe rotto, sapendo che ero stata nella Zona Industriale appena dopo un'esplosione! Ultimamente mi aveva anche fatto promettere che avrei usato i miei poteri il meno possibile. Stava diventando misterioso e paranoico.
    Dunque, l'unica alternativa, era portarlo a casa mia.
    Beh, ecco, quando dissi che io e Frank vivevamo insieme, intendo dire che avevamo deciso di andare a convivere quando finimmo il liceo. Prendemmo un appartamento poco lontano da casa di mio padre - oh, beh, giusto. Tutto era poco lontano, lì - ma da quando Frank era sparito, io non ci andavo quasi mai, fatta eccezione per le rare volte in cui dovevo passare a prendere qualcosa, e roba del genere.
    Si lo so, non stavo affrontando l'abbandono di Frank nel migliore dei modi. Comunque, quello era l'unico posto in cui avremmo potuto portare Party Poison.
    Fortunatamente, la strada da percorrere non era molta, e alle poche persone che incontrammo nonostante inizialmente si focalizzarono sull'aspetto eccentrico di Party Poison, ero riuscita a far deviare la loro mente facendogli immaginare che Party Poison non avesse nulla di interessante, avesse l'aspetto di un qualsiasi ragazzo del Jersey, e non fosse completamente sporco dalla testa ai piedi.




Ok, ed anche il capitolo due è andato. Grazie a chiunque ha messo la storia nelle preferite, e sopratutto grazie ha chi ha lasciato una recensione.
A presto
xoxo

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Terexina EFP

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3   

    Feci un respiro profondo, prima di aprire la porta di casa. Insomma, non mettevo piede lì da molto, l'avevo detto.
    Le tapparelle erano abbassate, quindi allungai una mano sulla parete per accendere la luce. C'era un fastidioso odore di chiuso, e Mikey si affrettò ad aprire la finestra del salotto.
    Party Poison fece qualche passo all'interno, trovandosi davanti alla vetrina accanto alla libreria. Si immobilizzò, guardando il suo riflesso.
    «...wow, ho un aspetto orrendo...» mormorò, passandosi una mano sulla faccia.
    Io e Mikey annuimmo. Non aveva idea. Uscii dal salotto ed entrai nella mia camera da letto. Si, se ve lo state chiedendo, sentii una morsa al cuore quando entrai lì. Cercando di non pensare a Frank, mi avvicinai alla cassettiera di fronte al letto ed aprii il secondo cassetto, tirandone poi fuori un paio di t-shirt. Di Frank, ovviamente.
    Presi degli altri vestiti di Frank, ridendo da sola per quanto ridicola fosse quella situazione. Avevo detto che Mikey mi faceva sempre pensare a Frank? Bene, quella volta le aveva battute decisamente tutte!
    Presi anche un asciugamano, e tornai nel salotto.
    «Tieni... vai a darti una ripulita...» dissi, porgendo i panni puliti a Party Poison, che li guardò come per decidere se andassero bene o meno. Poi mi sorrise - e si, restai stupita del fatto che sapesse anche sorridere. Credevo sapesse solo fare domande e posizionare la mano sulla pistola pronto a sparare - e si chiuse nel bagno.
   
    Mikey restò in silenzio per un pò, finché finalmente sentì l'acqua della doccia scorrere.
    «Chi diavolo è!?» mi chiese, seguendomi in cucina.
    «Party Poison...» dissi io ovvia, aprendo la finestra per far entrare un pò di luce.
    Mikey sbuffò. Detestava quando - ovvero, il più delle volte - non elaboravo particolari teorie come lui «Ha qualcosa che non va!».
    Sorrisi «Puoi dirlo forte. Scommetto che i suoi l'hanno concepito ad un Rave Party. Il che spiega il suo aspetto bizzarro e il suo nome. Cioè, non può chiamarsi Party Poison. E non ho ancora capito quale dei due sia il nome e quale il cognome...» dissi divertita. Mikey comunque non rise con me. Ovvio che non lo fece.
    «Dobbiamo scoprire qualcosa su di lui! Che ci faceva lì? Da dove viene?» chiese preoccupato. Potevo vedere quella scintilla nei suoi occhi, tipica di Mikey. Di quando cominciava ad appassionarsi a qualcosa.
    Per un attimo, pregai perché trovasse una fidanzata, così avrebbe avuto qualcosaltro a cui pensare.
    «...Mikey... io non sono Frank. Io non elaboro teorie e non ho la minima idea di come fare a scoprire qualcosa su di lui.» ammisi, sentendomi quasi in colpa, per un attimo.
    Lui mi guardò, sistemandosi gli occhiali sul naso, e tirò di nuovo fuori quel suo foglietto. Scrisse qualcosa in tutta fretta, poi lo rimise in tasca. Non volevo nemmeno sapere cosa fosse. Sarebbe stato capace di ipotizzare su rapimenti alieni, anche.
    Restammo in silenzio per un pò, entrambi riflettendo su quel Party Poison, finché lui non comparve sulla porta della cucina, con addosso i vestiti di Frank. Oh, beh, non posso negare che sentii lo stomaco chiudersi, o qualcosa del genere.
    Mi maledii per aver dato retta a Mikey. Lo sapevo, che sarebbe andata a finire così.
    «Ok... ed ora?» chiese Party Poison, guardando me e Mikey confuso. Non sapevo come rispondere. Ora sembrava che volesse il nostro aiuto per capire qualcosa su ciò che gli era successo, o su chi fosse o da dove venisse, ma ovviamente noi non sapevamo da dove iniziare.
    Guardai Mikey mordersi il labbro, pensoso. Poi il suo sguardo si illuminò, e lo puntò nella mia direzione, con un sorriso ampio sulle labbra.
    «Tu puoi aiutarlo a ricordare!» mi disse, eccessivamente eccitato per i miei gusti.
    Aggrottai la fronte, non sicura che avesse ragione «Io?» chiesi ancora.
    Lui annuì energicamente «Si! Ti ricordi quando Frank aveva bevuto così tanto da non ricordare dove aveva lasciato il suo cellulare, e tu hai fatto una di quelle tue cose e lui alla fine si è ricordato dove l'aveva messo?» fece, parlando velocemente e ad alta voce.
    Non ero sicura di poter parlare così liberamente dei miei poteri davanti a Party Poison, così guardai nella sua direzione ma non sembrava troppo sconvolto dal fatto che Mikey stesse dicendo che avevo delle particolari capacità. Pensai che probabilmente, se gli avessimo detto di bere succo di sterco di mucca, lo avrebbe fatto, pur di capire qualcosa sulla faccenda.
    Comunque, scossi la testa.
    «Mikey, un conto è trovare un cellulare, un altro trovare il passato di uno sconosciuto!» sibilai. Lui fece spallucce. Pensava davvero che potessi farcela.
    Sospirai, perché sapevo che probabilmente aveva ragione. Insomma, lui aveva studiato certe cose, io le facevo e basta, quindi forse ne sapeva più di me.
    «...ed ho anche elaborato un'altra teoria!» aggiunse dopo un pò, ancora sorridendo «Pensaci! Frank è sparito con un'esplosione, lui è apparso con un'esplosione! Deve esserci un collegamento tra le due cose!» spiegò, guardandomi come se dovessi esporre io stessa il collegamento. Ovviamente, non ne ero in grado. Mi sembrava di fare uno di quei test di logica o qualcosa del genere, ma come ho detto, non ero affatto dell'umore per questo genere di cose.
    Party Poison si schiarì la gola.
    «Allora, potete davvero aiutarmi?» chiese con un filo di speranza nello sguardo.
Annuii, nonostante fossi cosciente del fatto che la cosa mi sarebbe costata un sacco di energia fisica e mentale.
    Dopo aver fatto accomodare Party Poison sul mio divano, mi sedetti davanti a lui, e feci un respiro profondo. Devo ammetterlo, non sapevo assolutamente da dove avrei dovuto cominciare. Non avevo mai fatto una cosa del genere. Mikey però continuava a dire che ne ero in grado, e comunque, provare non sarebbe costato nulla.
    Cercai di concentrarmi al meglio, e vi assicuro che avere Mikey che non mi toglieva di dosso quello sguardo speranzoso non aiutava affatto, e alla fine chiusi gli occhi.
    Insomma, stavo improvvisando.
    Provai ad immaginare Party Poison, facendo quella cosa dell'entrare nella sua mente o quello che era, sperando che magari da qualche parte nel suo inconscio ci fosse qualche informazione sulle sue origini, ma tutto quello che riuscii ad ottenere fu un'improvviso dolore alla testa accompagnato dalle immagini sfocate di un... ecco, era un deserto. E insomma, potete capire che riuscire a localizzare un deserto non è la cosa più facile al mondo. Avete idea di quanti deserti ci sono, nel mondo?
    Riaprii gli occhi, e Mikey mi sorrise «Allora?» domandò, fiducioso. Mi massaggiai la fronte, scuotendo la testa «...non lo so, Mikey. L'avevo detto che non ero in grado...».
    Party Poison aggrottò la fronte «Non ci sei riuscita?» mi chiese.
    Scossi ancora la testa «No... ho visto solo un deserto...» mormorai, dispiaciuta. Lui ci pensò su, ma dalla sua espressione compresi che non riuscì a ricordare assolutamente nulla.
    Provai e riprovai almeno altre quindici volte, ma ad ogni tentativo sentivo la testa quasi scoppiare. Era come se ci fosse una specie di barriera, e non appena riuscivo ad intravedere qualche minima immagine sfocata, ecco che qualcosa sembrava respingermi. Qualsiasi cosa fosse, non era affatto piacevole.
    «Ok, penso che dovremmo fare una pausa...» propose Party Poison dopo un pò.
    Mikey annuì, anche se potevo dire con certezza che avrebbe voluto vedermi tentare ancora una volta.
    Fortunatamente il suo cellulare squillò prima che potesse chiedermi effettivamente di provare ancora.
    Si allontanò per rispondere, ed io guardai Party Poison «Mi dispiace, ma non credo di poterti aiutare...» mormorai. Il fatto che mi sorrise mi lasciò sorpresa. Insomma, pensavo che io all'idea di non ricordare nulla della mia vita avrei cominciato a piangere come una fontana.
    «Non preoccuparti... troverò un modo...» disse, fiducioso.
    Annuii, poco convinta, e guardai Mikey rientrare nel salotto «Ok, io devo tornare a casa...» disse, rimettendo il cellulare nella tasca dei pantaloni.
    Guardai l'ora. E si, anche io dovevo andare a casa di mio padre, altrimenti avrebbe fatto davvero troppe domande, dato che raramente facevo più tardi del solito senza avvertirlo.
    Mi domandai se fosse sicuro lasciare un estraneo totale in casa mia, ma insomma, non potevo certo portarmelo dietro. Anzi, ero molto sicura di non voler affatto accennare di Party Poison a mio padre. Figuriamoci, avrebbe dato di matto se gli avessi raccontato di aver portato in casa un totale sconosciuto, armato e senza memoria.
    Con Mikey, ci mettemmo d'accordo sul fatto che dopo cena saremmo entrambi tornati nel mio appartamento. Nel frattempo, Party Poison si sarebbe riposato, io avrei preso qualcosa da mangiare per lui nella dispenza di mio padre, e Mikey avrebbe controllato tra i suoi appunti un metodo per riuscire ad aiutarlo a ritrovare la memoria.

    Arrivai a casa poco dopo, e trovai mio padre intento a preparare la cena - ok, una di quelle cene precotte che erano davvero abituali in casa sua. Indossava uno dei suoi soliti completi. Non riuscivo ad immaginare come potesse sentirsi comodo stando tutto il giorno, tutti i giorni, dentro ad una camicia.
    Mi guardò, e sollevò un sopracciglio. Aveva un aspetto particolarmente stanco, anche se il suo lavoro, da buon direttore di una qualche azienda della quale non sapevo molto - giuro che per gran parte della mia vita pensavo si occupasse di integratori alimentari, ma ci arriveremo - non fosse particolarmente stancante. Insomma, il più delle volte doveva risolvere dei problemi aziendali, stava ore al telefono e viaggiava parecchio per lavoro, ma solitamente non sembrava mai così stanco.
    «Dove sei stata?» mi domandò, smettendo per un attimo di mescolare il risotto liofilizzato nel pentolino.
    Scrollai le spalle, cercando di sembrare il più possibile naturale «A lavoro...» mentii, nascondendo la testa nel frigorifero fingendo di cercare qualcosa da mangiare.
    Tirai fuori una bottiglietta d'acqua, alla fine, giusto per fare scena, e bevvi un sorso, mentre lui continuava a guardarmi con quel sopracciglio sollevato.
    «Si?» domandò, tornando a girare il risotto «Perché ha chiamato il tuo capo, prima, dicendo che hai lasciato il negozio chiuso, oggi...» aggiunse poi.
    Come non detto, mio padre sapeva sempre tutto! Sorrisi, cercando di trovare una scusa plausibile per aver mollato il negozio. Oh, non mi venne nulla di decente in mente.
    «Allora?» fece lui, serio.
    Le rughe sulla sua fronte mi fecero comprendere che quell'espressione era particolarmente accigliata.
    «Ehm...» feci un respiro profondo. Ok, l'unico motivo per cui mio padre mi lasciava un pò di privacy era la mia vita sentimentale. «Ok. Ho conosciuto un ragazzo...» dissi cercando di metterci più enfasi del dovuto, per dare l'idea della ragazza pseudoinnamorata o qualcosa del genere. Lo sguardo di mio padre era di totale disappunto «Un ragazzo?» chiese, puntandomi il suo sguardo addosso.
    Mi schiarii la gola, guardando altrove «Uhm, si... un ragazzo, esatto...» mormorai, prendendo i piatti dalla credenza per apparecchiare la tavola, se non altro per perdere un pò di tempo.
    «Che significa che hai conosciuto un ragazzo? Chi è? Come si chiama?» chiese, il tono della sua voce era lievemente aumentato, all'improvviso.
    Alzai gli occhi al cielo, maledicendomi. Se solo avessi avuto una vita sociale decente, avrei potuto incolpare qualche amica o cose del genere. Ma ovviamente io non avevo amiche da incolpare. Merda.
    «Significa che ho conosciuto un ragazzo, tutto qui... e comunque, non lo conosci, quindi smettila con tutte queste domande, ok?» risposi, sperando che la conversazione finisse lì.
    Ovviamente mio padre non aveva intenzione di finirla lì, figuriamoci.
    «No che non la smetto con le domande. E Frank, comunque? Che farai quando tornerà a casa?».
    Che domanda del cazzo era, quella? Sentii il sangue bollirmi nelle vene. Non era assolutamente normale che mio padre pensasse ancora a Frank quando io stavo cercando in ogni modo di non farlo.
    «Oh, beh, è quando tornerà, comunque? Non mi sembra si sia fatto vivo, sono passati mesi ormai, da quando...» feci un respiro profondo, cercando di calmarmi. Ero sull'orlo di una crisi di pianto. Era stata una giornata dannatamente faticosa, ecco «...dovresti smetterla di ripetermi che tornerà. Per favore...» mugugnai infine.
    Lo sentii sospirare «Chi è questo ragazzo, allora?» mi domandò di nuovo, dopo un pò, versando la cena nei piatti.
    Mi sedetti al mio solito posto, anche se non avevo affatto fame.
    Scrollai le spalle. Con un padre così iperprotettivo, comunque, non potevo certo uscirmene con Party Poison e tutto il resto «E'... è un amico di Mikey...» mentii, evitando di guardarlo.
    Presi a smuovere il risotto nel piatto con la forchetta, priva di appetito.
    «Ha un nome, o si chiama "Amico di Mikey"?» fece lui accennando una risatina. Sollevai lo sguardo dal piatto per volgerlo a lui, che era seduto di fronte a me «Ha un nome, ovviamente... ma non ne voglio parlare, perchè non è nulla di serio, ok? E' solo... un ragazzo.» mormorai, sbuffando.
    Mio padre annuì «Voglio solo assicurarmi che tu sia al sicuro, mi preoccupo per te...» disse, protettivo.
    «Credo di sapermela cavare, ok?» risposi io, cercando di sembrare convincente. Finalmente, mio padre decise di smetterla lì, ed io ne fui incredibilmente lieta.
    Mangiammo in silenzio - o meglio, lui mangiò, io continuai a giocherellare con i chicchi di riso - e a fine cena mio padre si alzò da tavola con aria ansiosa, quasi, scusandosi perché doveva andare nel suo studio a fare una telefonata di lavoro importante di cui aveva dimenticato.
    Sparecchiai la tavola ed infilai i piatti nella lavastoviglie. Poi, dopo aver controllato che mio padre non fosse nei paraggi, presi qualche busta di cibo precotto o liofilizzato nella dispensa e lo infilai nella mia borsa.
    Mio padre tornò in cucina dopo quasi un quarto d'ora, con un sorriso stampato sulle labbra. Non sapevo quale fosse l'argomento della telefonata di lavoro, ma gli aveva fatto bene, supposi, perché sembrava più rilassato ora.
    «Ehm... senti, io ora devo uscire, va bene?» dissi io sperando che non ricominciasse con le domande.
    Lui si passò una mano tra i capelli grigi, annuendo «Candice, posso stare tranquillo?» mi domandò.
    «Certo, papà...» annuii roteando gli occhi.
    Mio padre mi guardò, poi sorrise di nuovo «Ok... non tornare tardi, va bene? Io domani mattina devo partire, per lavoro, ok?».
    Mi morsi il labbro, sapendo che forse non dire ciò che stavo per dire sarebbe stato meglio. Ma lo dissi lo stesso «Credo che... credo che per stanotte, dormirò a casa mia...» dissi quasi sussurrando.
    Mio padre spalancò gli occhi, in un'espressione quasi scioccata «Come sarebbe? Non hai detto che non è niente di serio, con questo ragazzo?» domandò preoccupato, ed in evidente imbarazzo.
    Dio, era una situazione ridicola. Lui pensava che avevo intenzione di fare sesso con un amico di Mikey Way, ed io in realtà volevo solo evitare di lasciare un perfetto sconosciuto da solo per tutta la notte nel mio appartamento!
    Scossi la testa, arrossendo «No no, cioè, si, non è per quello...» dissi, volendomi sotterrare. Non si parla di certe cose con il proprio padre, è ovvio! «...è che è pur sempre il mio appartamento e insomma, non è che posso continuare a pagare l'affitto e a non viverci solo perché altrimenti mi torna in mente Frank...» dissi. Oh, quella si che era una gran cavolata. Ciò significava che da quel momento in poi io sarei dovuta tornare davvero a stare nell'appartamento che dividevo con Frank, nonostante in realtà non mi sentivo ancora pronta. Ok, non so se riuscite a rendervi conto di quanto quella casa fosse vuota senza la sua presenza!
    Mio padre sospirò scuotendo la testa «Non mi piace che ti sia rassegnata...» mormorò, ed io dovetti mordermi la lingua per evitare di riprendere un'altra discussione. Non poteva davvero continuare a stare dalla parte di Frank, non dopo che lui mi aveva lasciata senza farsi sentire per tutti quei dannati e strazianti mesi!
    Si voltò, pronto ad andarsene, ma poi sulla porta della cucina si fermò e tornò a guardarmi «Candice, mi raccomando, non fare nulla di stupido, ok?» fece, poi finalmente andò in camera sua.
    Trassi un respiro di sollievo. Finalmente potevo uscire da quella situazione.
    Presi la mia borsa ed uscii, sperando che quando sarei arrivata nel mio appartamento ci avrei trovato anche Mikey.
    Durante il tragitto, mentre camminavo a passo svelto sperando che mio padre non mi stesse pedinando per scoprire chi fosse il ragazzo misterioso, ebbi una specie di lampo. Non un lampo di genio, un lampo terrificante!
    Come diavolo era possibile che nonostante io avessi letteralmente utilizzato dei poteri fuori dall'ordinario con lui, Party Poison non fosse affatto sconcertato, sconvolto, o stupito della cosa!?
    Insomma, chiunque, anche lo stesso Mikey che era già a conoscenza dei poteri di Frank, restò stupito quando mi vide usarli, per tipo, le prime trecento volte! Possibile che Party Poison non avesse avuto nulla da dire al riguardo? Non intendo dire che dovesse pensare che fossi una strega o cose del genere ma, insomma, non aveva reagito come chiunque avrebbe fatto, di fronte a questo genere di cose. Insomma, chi resta così tranquillo davanti ad una ragazza con dei dannati superpoteri?
    Mi resi conto che il battito del mio cuore era accelerato. E mi resi conto anche che avevo quasi paura, ora. Chi diavolo era Party Poison? E se fosse davvero pericoloso? Se fosse davvero qualcuno da cui mio padre voleva difendermi sin da quando ero bambina?
    Quasi saltai, quando sentii il mio cellulare squillare. Lessi il numero di Mikey sul display e risposi al volo «Cazzo, Mikey, c'è qualcosa che non torna!» dissi prima ancora che lui rispondesse «Perché non ha reagito in nessun modo, davanti ai miei poteri!?» chiesi cercando di non urlare. Stavo letteralmente andando fuori di testa. Improvvisamente, non volevo più andare al mio appartamento. Volevo fare dietrofront e correre da mio padre dicendogli tutta la verità. Sicuramente mio padre sapeva qualcosa, lui sapeva sempre tutto!
    «Ehi, calma...» mi fece Mikey, dall'altro lato del telefono «Io sono già al tuo appartamento e, Dio, Candice, devi venire assolutamente! Devi vedere cosa è in grado di fare!» disse lui entusiasta.
    «Cosa?» chiesi confusa.
    «Vieni qui e basta! E cerca di respirare, sei agitata da morire. Se la cosa può aiutare, sappi che anche lui è... speciale, come voi...» spiegò, poi riagganciò il telefono.
    Affrettai il passo e quando fui a pochi metri dal mio appartamento cominciai a correre. Avevo dannatamente bisogno di capire di cosa diavolo stesse parlando Mikey.
   
   

    - - -

Ok, spero vi piaccia anche questo.
Grazie mille per il supporto, le recensioni, tutto.
Vi adoro.
PS: presto avrò voglia di disegnare i personaggi di questa FF ed allegherò un disegno ad ogni capitolo. [come impelacarsi in situazioni complicate da soli]

xoxo

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Nuova pagina 1

Capitolo 4

    Quando entrai in casa avevo il fiato corto per la corsa fatta per arrivare il prima possibile.
    La telefonata di Mikey aveva contribuito a rendermi ancora più ansiosa e nervosa.
Ora, vi è mai capitato di organizzare una serata tranquilla tra amici in casa, e ritrovarvi l'intero corpo studentesco nel vostro salotto intento a ubriacarsi e smontarvi l'appartamento da cima a fondo?
    Ok, a me non è mai successo - ve l'ho detto che non andavo a genio a molta gente - ma suppongo che il sentimento che si prova nel vedere la propria casa deturpata sia qualcosa di decisamente devastante.
    Trovai Mikey e Party Poison in piedi di fronte alla parete del salotto. Intenti ad osservare con ammirazione il disegno in grandezza naturale di un deserto. Prendeva tutta la parete. Ed io restai a bocca aperta per almeno una buona manciata di secondi.
    «Ma che cazzo avete fatto!?» chiesi bruscamente avvicinandomi ai due, osservando come la bella parete del mio salotto fosse stata dipinta di un panorama arido che mi faceva sentire caldo solo a guardarlo. Era ridicolo, avevo lasciato Party Poison per un'ora al massimo e lui aveva davvero scarabocchiato i muri di casa mia senza troppi complimenti!
    Io e Frank ci avevamo messo una settimana intera per dipingere le pareti per fare quel dannato effetto tamponato che a lui piaceva tanto, ed ora ecco che uno sconosciuto senza passato e senza memoria aveva coperto il tutto con il disegno di un maledetto deserto.
    «Non è grandioso?» chiese Mikey continuando a guardare la parete, con tono entusiasta.
    Scossi la testa «No che non lo è! Che cavolo!» sbottai «E' questa la cosa grandiosa che sa fare Party Poison!? Dei murales sulle pareti di casa mia!?» chiesi agitata.
    Mikey mi sorrise ed annuì «Si! Innanzi tutto, lo ha fatto senza nemmeno prendere in mano un pennello o che ne so io! Ha solo, non lo so, passato una mano sul muro et voilà! Guarda cos'ha creato!» spiegò letteralmente elettrizzato dalla faccenda.
    Nonostante pensassi fosse davvero una figata poter disegnare passando la mano sulla superfice, non riuscivo a smetterla di sentirmi nervosa per come quel dannato Poison avesse deturpato casa mia.
    «Bene, allora vedi di passare un'altra volta la tua mano magica sulla parete e falla tornare come prima!» dissi acida rivolta a lui, che mi guardò con un velo di dispiacere.
    «No! Tu non capisci!» esclamò Mikey spingendomi più vicino alla parete.
    «No Mikey, sei tu che non capisci! Se non fate sparire questo coso dalla mia parete io-» mi fermai. Io cosa? Volevo solo che casa mia tornasse come prima, non doveva essere troppo difficile comprenderlo, e invece Mikey continuava a guardare quel deserto, affascinato.
    Indicò un punto nella parte destra e mi incitò a guardare meglio. Non lo avevo affatto notato. Spalancai gli occhi, sorpresa e confusa.
    C'era disegnata una vecchia auto - una Pontiac Trans-Am con il disegno della bandiera Americana sulla fiancata. E sedute a terra, fuori dalla macchina, c'erano cinque persone.
    Mi avvicinai ulteriormente. Cazzo, quelle non erano cinque persone qualunque. Quelli eravamo io, Frank, Mikey, Party Poison ed un altro tizio con una folta chioma castana che ero sicura di aver già visto da qualche parte.
    Restai in silenzio per qualche minuto, cercando di formulare la domanda giusta. Ma nella mia testa vorticavano un bel mucchio di domande.
    Mi voltai verso Party Poison, che contemplava il disegno con aria confusa. E se era confuso lui che l'aveva creato, figuriamoci io.
    «Come... cos'è?» chiesi quasi sussurrando «...cosa significa?» aggiunsi, non riuscendo a dare un senso compiuto alle mille domande che mi stavo facendo.
    Lui scrollò le spalle «Non lo so...» mormorò aggrottando le sopracciglia. Si passò una mano tra i capelli scuotendo la testa «Non ne ho idea...».
    Mikey sorrise «Qualsiasi cosa sia, è grandioso!» esclamò «Insomma, Candice, guardaci! Quelli siamo noi! Quello è Frank!».
    Pensai che la mia testa stesse per scoppiare entro qualche secondo. Chi diavolo era Party Poison e cosa diavolo significava quel disegno!?
    «Conosci Frank? Sai dove si trova?» domandai con voce tremante. Si ok, ci speravo. Insomma, qualsiasi cosa fosse successa, era chiaro che doveva esserci qualcosa dietro la sua sparizione improvvisa! E Party Poison sapeva molto più di quanto voleva farci credere. Eppure era chiaro che non ricordasse nulla. Sembrava decisamente confuso, ed io volevo solo delle risposte.
    E beh, avevo anche voglia di piangere. E di chiamare mio padre e chiedergli di aiutarmi.
    «Chi sei, tu?» chiesi rivolta a Poison.
   Lui scrollò le spalle «Non lo so! Non so niente!» sbottò con un filo di disperazione nella voce. Portò le mani tra i capelli, e sollevando una ciocca di questi, notai i contorni di un piccolo disegno dietro la nuca. Mi avvicinai per osservarlo meglio. Indossava una maglia a maniche corte e non aveva alcun tatuaggio sul resto del corpo, quindi quello mi incuriosì.
    Sollevai un sopracciglio. Era una specie di smile nero con due occhi a palla ed un sorriso a mezzaluna. Ok, non era nulla di rilevante. Sbuffai, socchiudendo gli occhi per un istante, cercando di pensare ad una soluzione. Non ne potevo più di non sapere nulla.
    Guardai Mikey sperando che avesse formulato una delle sue mille teorie, ma compresi dal suo sguardo che stavolta non aveva formulato assolutamente nulla.
    Feci un respiro profondo, cercando di calmarmi. Non potevo assolutamente chiamare mio padre, non potevo chiedere aiuto a nessuno, potevo solo contare sul mio potere e sperare di riuscire ad entrare nella mente di Poison, anche a costo di farmi scoppiare la testa.
    Quando Mikey si chiuse in cucina a contemplare i suoi appunti sulle teorie riguardanti le esplosioni, la scomparsa di Frank e l'arrivo di Poison, io decisi di mettermi all'opera.
    Mi sedetti di fronte a Party Poison, a terra, davanti al disegno sulla parete.
    Chiusi gli occhi cercando di concentrarmi al massimo, e con non poca esitazione poggiai una mano su quella di Poison.
Anche stavolta sentii come un bruciore sotto il palmo della mia mano. E notai anche che aumentava più io mi concentravo. Era una sensazione fastidiosa, in un certo senso, ma se era già complicato riuscire ad entrare nella sua testa così, non potevo certo permettermi il lusso di spostare la mia mano.
    L'immagine del deserto mi apparì di nuovo come un lampo, era lo stesso deserto che avevo visto la prima volta, e lo stesso che Poison aveva disegnato.
    D'un tratto le immagini cominciarono ad alternarsi, in una sequenza caotica che durava poco più di qualche millesimo di secondo. L'auto che aveva disegnato, la pistola gialla, un uomo con una strana maschera, un grande edificio a vetri, di nuovo il deserto, Frank e Mikey con quell'altro ragazzo nel disegno, una stanza poco illuminata e poi io, io che avevo i polsi legati su una sedia e lo sguardo pieno di terrore.
    Spalancai gli occhi in preda al panico. Che cazzo di pensieri contorti c'erano, nella mente di Party Poison!?
    Allontanai la mano dalla sua ed indietreggiai.
    «Cosa hai visto?» mi chiese guardandomi preoccupato.
    I battiti del mio cuore erano accelerati. Strinsi la mano contro il mio petto, bruciava.
    «Cosa hai visto!?» chiese di nuovo avvicinandosi. Notai che i suoi occhi verdi brillavano nella speranza di qualche grandiosa scoperta. Prima che riuscissi ad allontanarmi ulteriormente, Poison mi afferrò il polso. Sono sicura che non volesse farmi male. «Allora?» chiese ancora, con urgenza nella voce.
    Dio, sentii come se il polso mi stesse andando a fuoco. Sentivo il bruciore partire da lì ed espandersi lungo tutto il braccio.
    «Lasciami!» riuscii a dire scuotendo via la sua mano dalla presa. Osservammo entrambi il mio polso, stupiti. C'erano i segni della mano di Poison, i segni delle sue dita, in una chiazza rossa sulla mia pelle. E facevano un male terribile.
    Mi strofinai il polso borbottando qualche imprecazione rivolta a Mikey Way che mi aveva coinvolta in questa ridicola situazione senza senso.
    «C'era ancora il deserto. Ed un uomo mascherato. E poi...» feci un respiro profondo «...poi c'ero io. Legata ad una sedia. Credo che...». Non riuscii a dirlo. Mio padre aveva ragione. Mio padre aveva i suoi buoni motivi per essere così protettivo nei miei confronti, e qualunque questi fossero, io avevo dannatamente paura.
    Poison scosse la testa, preoccupato «...lo sapevo. Sapevo che ti avevo già vista da qualche parte...» mormorò guardandomi.
    Dio, non era affatto d'aiuto. Non mi interessava sapere che lui sapeva, mi interessava sapere cosa diavolo stava succedendo!
    Lentamente, con la testa che mi girava ed il polso che bruciava da morire, mi alzai ed andai in cucina.
    Trovai Mikey intento a rileggere alcuni suoi appunti su un bloc notes, e mi sedetti davanti a lui «Mikey, ti prego, dimmi che hai qualche risposta...» dissi supplichevole.
    «Cos'è successo?» mi domandò, sollevando un sopracciglio e puntando gli occhi sul mio polso.
    Scossi la testa «...non credo che l'unico potere di Party Poison sia quello di disegnare murales in casa della gente che lo ospita...» sospirai «...mi ha afferrato il polso e... cazzo, non lo so, era come se il mio braccio stesse per andare a fuoco!» spiegai sentendomi sempre più confusa.
    «Come è possibile?» chiese Mikey. Ok, un'altra domanda. Ed io volevo solo una, giuro, una sola risposta.
     «Non lo so, Mikey! Sei tu quello che fa teorie e supposizioni, possibile che non sei arrivato ad alcuna conclusione?» chiesi disperata. Le immagini nella mente di Poison mi avevano inquietata, ed io ora volevo sapere perché c'era Frank nella sua testa, e sopratutto, perché c'ero io legata ad una dannatissima sedia in preda al terrore.
    Mikey sospirò scuotendo la testa. Fantastico, per la prima volta nella sua vita, non aveva formulato nessuna maledetta teoria.
    Suppongo che per quanto fossi nervosa ed agitata, probabilmente sarebbe bastata anche l'ipotesi più ridicola ed inverosimile a calmarmi. Qualsiasi cosa purché potessi smetterla di credere di essere finita in un universo parallelo dove nulla aveva un senso logico.
    «Candice, perché non ti riposi un pò?» mi disse, dopo qualche minuto di silenzio «...hai un'aria stravolta... non appena avrò scoperto qualcosa, verrò a svegliarti» aggiunse poi.
    Annuii massaggiandomi le tempie. Mi stava scoppiando la testa.
    Tornai nel salotto e trovai Party Poison intento a contemplare la sua bella opera d'arte. Feci una smorfia, pensando che se fosse stato il dipinto di un panorama migliore probabilmente mi sarebbe anche piaciuto. Ma era un dannato inutile e desolato deserto. E poi c'eravamo noi. Qualunque fosse il senso di quel disegno, volevo solamente che sparisse dalla mia parete.
    Mi sedetti sul divano ed accesi la televisione. Ovviamente, non c'era da stupirsi che ovunque non si parlava d'altro che dell'ultima esplosione. Non posso negare che avrei voluto tirare il telecomando in fronte all'inviato del telefgiornale che stava intervistando un testimone dell'accaduto o chiunque fosse. Volevo che la smettessero tutti di credere alle esplosioni. Volevo una dannata vita normale con uno stupido e noiosissimo lavoro ed una casa senza deserti dipinti sulle pareti ed un ex fidanzato che avesse avuto almeno le palle per lasciarmi decentemente e non con un post-it appiccicato al frigorifero.
    «Fa male?» domandò Party Poison sedendosi accanto a me, facendo un cenno con la testa in direzione del polso che senza nemmeno pensarci mi stavo massaggiando con una mano. Guardai il punto arrossato e scossi la testa «Non più...» mormorai.
    «Scusa... non volevo farti male» disse con tono sincero «...Dio, non sapevo nemmeno di saperlo fare!».
    Provai immediatamente un pò di pena nei suoi confronti. Io ero così disperata perché cercavo delle risposte, e potevo solo immaginare quanto lo fosse lui che non aveva nemmeno la minima idea di chi fosse e di come fosse arrivato fino a noi. Insomma, non sapere nulla riguardo sé stessi deve essere tremendamente orrendo!
    Accennai un sorriso, se non altro per cercare di fargli capire che non ce l'avevo affatto con lui.
    Ok, magari non ero così furba, ma sul serio, non credevo affatto che avesse intenzione di farmi del male.
    «E' uno strano potere, il tuo...» commentai dopo un pò «...insomma, tu ustioni la gente...».
Party Poison sospirò «Non ho intenzione di ustionare nessuno... non voglio fare del male a nessuno e...».
    Lo guardai, sollevando un sopracciglio. Aveva un'aria particolarmente spaventata.
    «Hai paura?» chiesi, cercando di decifrare la sua espressione.
    Lui scrollò le spalle «...si, credo di avere paura. Non so chi sono, né perché sono qui, e non» fece un respiro profondo «....non so quanti poteri ho. Ho disegnato quella parete, ti ho bruciato il braccio, e... non lo so, sono sicuro che non sia tutto qui. Sono sicuro di saper fare altre cose, ma non so quali cose, e... dio, non voglio fare del male a nessuno!».
    Sembrava sinceramente affranto, e io ci pensai su. Era inquietante avere in casa qualcuno che probabilmente aveva la capacità di staccarti la testa dal collo con uno sguardo e non era nemmeno in grado di gestire la cosa, ma pensai a quanto fu tranquillizzante sapere, ai tempi, di poter contare sull'aiuto di Frank nello sviluppo dei miei poteri, e probabilmente Poison meritava lo stesso aiuto. Forse aveva bisogno di allenarsi ed imparare a gestire la situazione.
    Ed anche se la cosa mi sarebbe costata qualche ustionatura, pensai che per il meglio di tutti avrei dovuto aiutarlo.
    «Tieni...» dissi porgerndogli la mano, preparandomi psicologicamente a non urlare se con uno sguardo l'avesse trinciata via o roba simile. Oh, com'ero idiota.
    Lui guardò la mia mano e scosse la testa «No, non voglio farti del male!» disse serio.
    «Devi imparare a gestire i tuoi poteri, quindi prendi questa mano e cerca di capire come devi fare per non darmi fuoco, ok?» dissi sbuffando, avvicinandomi a lui.
    Continuò ad osservarmi senza mostrarsi intenzionato a collaborare, così alzai gli occhi al cielo «Ok, Party Poison, se non impari a gestire i tuoi poteri non ti lascerò restare in casa mia. Se permetti, il mio spirito di conservazione mi suggerisce di non dormire in un appartamento abitato da strani esseri venuti dal nulla che non sanno gestire i propri superpoteri...».
    Poison fece una smorfia «Spirito di conservazione? Ma se mi stai chiedendo di bruciarti una mano!».
    «Non ti sto chiedendo di bruciarmi la mano! Ti sto chiedendo di prendere la mia mano cercando di non bruciarmi, è diverso» sospirai «...io e Frank abbiamo fatto grandi progressi, aiutandoci a vicenda...».
    Lo vidi sollevare un sopracciglio «Credevo che Frank fosse innominabile...» commentò confuso.
    «Cosa te lo ha fatto credere?» domandai curiosa.
    Lui fece spallucce «L'ha detto Mikey, quando è arrivato. Mi ha detto che non posso frugare nelle tue cose, che non devo fare nulla di stupido e che in tua presenza non si parla di Frank...» spiegò.
    Roteai gli occhi «Si, certo, lui non fa che parlare d'altro...» mormorai. Approfittai del fatto che si fosse distratto per afferrare la sua mano.
    Ok, fece uno strano effetto. Insomma, stare seduta sul mio divano a stringere la mano di un ragazzo che non era Frank faceva uno strano effetto.
    «Mikey mi ha detto che Frank è sparito nel nulla...» aggiunse Poison dopo un pò.
    «No, ok, non parliamone, va bene?».
    Poison annuì «Ok, scusa...» mormorò guardando le nostre mani congiunte.
    Non sentivo nulla. Intendo, nessun bruciore.
    Sorrisi «Vedi? Non sto prendendo fuoco!» dissi soddisfatta di avere almeno una certezza, dopo il milione di domande del giorno.
    Qualsiasi potere poteva essere controllato.
    Comunque, Party Poison sembrò nervoso «Ok... ma ho comunque paura di farti male» borbottò. In quel preciso istante sentii la mia mano provare lo stesso calore che avevo sentito precedentemente, quando mi aveva afferrato il polso e mi aveva bruciata.
    «Non mi farai del male...» dissi cercando di non pensare a quanto sempre più fastidioso diventasse quel calore.
    «E se lo facessi!?» chiese agitato.
    Compresi subito che più si innervosiva, più il calore aumentava. Scossi la testa, deglutendo, sforzandomi di sorridere nonostante il dolore alla mano si stesse espandendo lungo tutto il braccio. Giuro che bruciare non è affatto una bella sensazione.
    «Non pensarci! Non pensare a quello che puoi fare, ok?» dissi con tono forzatamente calmo «Bene, uhm...» cercai di pensare a qualcosa che potesse distrarlo. Ovviamente non mi venne in mente nulla, se non un ridicolo «Mi piace il colore dei tuoi occhi.».
    Si, giuro, volevo seppellirmi da qualche parte. Era una cosa totalmente stupida, ma pensai che i complimenti mettono di buon umore e dovevo distrarlo prima di ritrovarmi a contorcermi per il dolore.
    E comunque la cosa funzionò. I lati delle labbra di Poison si sollevarono in una specie di sorriso compiaciuto, e la sua mano smise di bruciare come fuoco ardente.
    Quella era una grande cosa. Intendo, sapere che renderlo nervoso lo avrebbe fatto diventare una torcia umana o qualcosa del genere.
    Mi sentii soddisfatta di me stessa. Finalmente anche io dopo tanti anni ero riuscita ad arrivare ad una conclusione. Sorrisi pensando che doveva essere soddisfacente per Mikey fare tutte quelle teorie. Era una bella sensazione.
    «Ti ho fatto male, non è vero?» chiese Party Poison scostando la sua mano dalla mia, e notando quanto fosse arrossata.
    Annuii, ma scrollai le spalle «Ha iniziato a farmi male quando ti sei impanicato, pensando che potevi farmi male...» spiegai. Mi alzai dal divano, per andare nel bagno a fasciarmi la mano sperando che il dolore passasse presto. Poison mi seguì «Aspetta, vengo ad aiutarti...» disse sorridendo cordiale.
    Presi delle bende dalla cassetta per il primo soccorso - si, con un padre come il mio, figuriamoci se non avevo una cassetta per il primo soccorso in casa - e gliele porsi.
    Bagnai la mano con acqua gelida e dopo averla asciugata tamponando la porsi a Poison per lasciare che la bendasse. Era di fronte a me, concentrato in ciò che stava facendo. Pensai che aveva lo stesso sguardo assorto che aveva Mikey quando studiava i suoi appunti sulle teorie e i superpoteri.
    Continuai a guardarlo, il suo volto era a pochi centimetri dal mio e sinceramente non ero ad una distanza così ravvicinata con un ragazzo da tantissimo tempo. Per non parlare del fatto che l'unico ragazzo con cui ero mai stata era Frank.
    Pensai che era vero, comunque. Gli occhi di Party Poison erano davvero affascinanti.
    Lo vidi sorridere e sollevare lo sguardo sul mio volto.
    «Grazie...» disse guardandomi negli occhi, ed io sollevai un sopracciglio. Ora, non so da dove venisse ma se era stato lui a medicare me, ero io che dovevo ringraziarlo, non il contrario.
    «...grazie a te, piuttosto» commentai divertita da quanto fosse strano quel tipo.
    Lui scosse la testa ancora sorridendo, lasciando andare la mia mano ben fasciata «No, intendo, per l'ennesimo complimento ai miei occhi...».
    Arrossii scuotendo la testa «Oh, no, era solo per distrarti...» mi giustificai in evidente imbarazzo.
    Poison aggrottò la fronte «Per distrarmi? Da cosa? Ti sto solo fasciando la mano» disse con tono di ovvietà.
    «Io non ho detto nulla, adesso...» dissi confusa.
    «Si che lo hai detto. Hai detto che i miei occhi sono affascinanti...».
    Deglutii supponendo che le mie guance fossero in fiamme «Non l'ho detto... io l'ho solamente pensato...» mormorai.
Bene, le risorse di Party Poison erano infinite. Il ragazzo cominciava quasi ad inquietarmi. Quanti dannati poteri potevano racchiudersi in una persona sola!? E poi, insomma, sapeva leggere il pensiero!
    «Fantastico... ho un altro potere, dunque...» mugugnò lui allontanandosi, con aria riflessiva.
    Sospirai chiedendomi seriamente di quante cose fosse capace Party Poison. E probabilmente lui si stava chiedendo la stessa cosa, vista la sua aria pensierosa.
    «Credi che Mikey riuscirà a scoprire qualcosa?» mi chiese gettandosi di peso sul divano. Presi posto al suo fianco, e scrollai le spalle «Spero di si, anche se a conti fatti non abbiamo nulla su cui lavorare...» sospirai sperando nella geniale mente di Mikey.
    Poison mi fece un paio di domande sul servizio alla televisione, riguardo l'esplosione, ed io gli raccontai cosa era successo. Poi, non so bene come o quanto tempo dopo, ci addormentammo lì, dividendo il divano per la nottata, cosa che solitamente facevo con Frank.

 

- - -

Ok, non so che scrivere qui se non un grazie enorme per i mille complimenti e tutto il resto.
Spero di non deludervi con i capitoli successivi e di non averlo fatto con questo. A quanto pare le risorse di Party Poison sono infinite, e ci sono dei piccoli segnali sparsi nel capitolo che porteranno alle successive conclusioni riguardo la sua identità.
Spero di aggiornare al più presto, il prossimo capitolo è già pronto, sarà un "Capitolo Extra", e finalmente scoprirete che fine ha fatto Frank.
Detto questo, vi saluto.
xoxo

Terexina EFP

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Capitolo 5
*** Capitolo Extra #1 ***


Capitolo Extra #1

    6 mesi prima

    «Devi venire con me».
Frank guardò il tizio che si era presentato sulla porta del suo appartamento, sollevando un sopracciglio.
Non lo conosceva, era sicuro di non averlo mai visto prima «E tu saresti?» chiese scettico.
    La televisione era accesa, sintonizzata sull'esplosione appena avvenuta nella Zona Industriale di Belleville. Il ragazzo alla porta fece un respiro profondo, scuotendo la testa e smuovendo l'infinità di ricci castani che contornavano il suo volto.
    «Non c'è tempo per le chiacchiere. Ti spiegerò tutto dopo. Ma ora devi venire con me.» disse solo.
Frank rise divertito. Quel tizio sembrava uscito da un film o qualcosa del genere «Si, certo. Cos'è, siamo in Matrix?» disse tentando di richiudere la porta per tornarsene a guardare il notiziario.
    Il ragazzo però glielo impedì, poggiando una mano sulla porta e facendo forza per tenerla aperta «Mi manda Crow. Si tratta di Candice, ed ogni minuto che passa è un minuto in meno di addestramento, quindi smettila di fare domande, scrivile un biglietto in cui dici che tornerai presto, e vieni con me!» disse con aria severa.
    Frank restò in silenzio per qualche secondo, chiedendosi cosa diavolo stesse succedendo. Perché Crow non gli aveva semplicemente fatto una telefonata per avvisarlo che stava mandando qualcuno da lui? E comunque dove dovevano andare? E che c'entrava Candice?!
    Si rese conto che il tipo davanti a lui non scherzava, così sospirò «Ok. Posso sapere almeno quando tornerò a casa? Posso chiamare Candice per avvisarla che sto andando via?» chiese dirigendosi in cucina.
    «No. Puoi scriverle un biglietto, non parlare di me, o di Crow. Dille solo che prima o poi le spiegherai tutto, e basta. Meno cose sa, meglio è.» disse secco il tizio, seguendo Frank all'interno dell'appartamento.
    Lui alzò gli occhi al cielo. Se non fosse per il fatto che dietro a tutto questo c'era la mano di Crow, molto probabilmente avrebbe chiesto al tizio di andare ad importunare qualcun altro.
    Ma doveva essere qualcosa di serio, e sopratutto, se si trattava di Candice, Frank avrebbe fatto qualsiasi cosa.
    Scrisse qualcosa su un post-it, e lo attaccò al frigorifero.
    «Ok. Dove siamo diretti, comunque?» chiese Frank poi, guardando il tizio che sembrava avere fretta. Allungò una mano per prendere il suo cellulare, ma l'altro lo afferrò prima di Frank e se lo infilò in tasca «Questo non ti serve. Ed ora andiamo. Crow ti aspetta.» disse secco, uscendo dall'appartamento.
    Frank si guardò addosso. Stava indossando i pantaloni di una vecchia tuta ed una t-shirt sporca.
    «Posso almeno cambiarmi?» chiese sbuffando.
    «No, non puoi. Non abbiamo tempo. Smettila di fare domande e seguimi!» ordinò l'altro.
    «E che cazzo, però!» si lagnò Frank «Questo si chiama rapimento, lo sai?».
Il tizio si voltò a guardarlo, e scosse la testa con un mezzo sorriso sulle labbra «No, rapimento significa portare via qualcuno contro la sua volontà...».
    Frank annuì «Esatto! Infatti io non ho alcuna intenzione di venire con te, ma mi stai costringendo a farlo.».
    «No, per il momento ti ho solo detto che è per il bene di Candice, e tu ti sei convinto a venire con me. Ma se continui a blaterare giuro che ti tappo la bocca e ti chiudo nel cofano della mia auto. E quello si, sarebbe un rapimento».
    Frank sospirò «Ah-ah» fece sarcastico «Sei davvero simpatico, sai? Posso sapere almeno come diavolo ti chiami? O è un segreto di Stato anche il tuo nome?».
    «Ray Toro, ed ora smettila con tutte queste domande e seguimi.» rispose l'altro, incamminandosi verso la sua auto parcheggiata nel vialetto fuori dall'appartamento di Frank.

    Quando Frank aveva lasciato il suo appartamento aveva compreso che qualcosa di grave era successo, o stava succedendo, ma non aveva idea di cosa.
    Ray Toro guidò in silenzio, risopndendo a stento alle mille domande di Frank.
    Quando il ragazzo chiese perché stavano lasciando il New Jersey, Ray scrollò le spalle dicendo solo che Crow lo stava aspettando.
    Ovviamente la cosa non aveva molto senso, per Frank. Crow abitava a Belleville, non potevano incontrarsi lì?
    Comprendendo che non avrebbe ottenuto ulteriori informazioni, restò in silenzio per il resto del tragitto. Finché arrivarono finalmente a destinazione.
    A Dover, nel Delaware.
    Con più precisione in una zona deserta, nel quale spuntava solo un'enorme costruzione simile ad una base militare.
    C'erano dei grandi edifici recintati, delle torrette di controllo in ogni angolo, e alla destra del grande cancello d'entrata nella base, un gabbiotto di controllo fuori dal quale due uomini in divisa, armati, si occupavano di controllare i documenti di chi usciva o entrava.
    Quando Ray rallentò la macchina, comunque, le due guardie non gli chiesero nulla. Fecero un cenno con la testa ed aprirono il grande e pesante cancello.
    Frank aggrottò la fronte, quel Ray doveva essere qualcuno di importante.
    L'edificio principale della struttura era un grande palazzo a più piani, sul quale era affisso in grandi caratteri un cartello con su scritto "P-Plus".
Ray parcheggiò l'auto e disse a Frank di scendere e seguirlo. Frank osservò il logo sul cartello in cima all'edificio.
    «Questa sarebbe la sede dell'azienda di Crow?» chiese, curioso quanto confuso. Si guardò intorno. C'era un'area al lato sinistro del palazzo, in cui c'era una specie di parco artificiale e c'erano un mucchio di ragazzi seduti qua e là. A Frank sembrava fosse l'ora di ricreazione a scuola. Poi notò alcune persone sparse intorno al perimetro, tutti indossavano delle tute scure ed attillate, ed avevano tutti una pistola nella fondina ed un auricolare all'orecchio.
    Sembravano delle guardie anche loro. Non aveva senso.
    «Come mai tutta questa sicurezza, qui?» chiese seguendo Ray che nel frattempo aveva aperto il grande portone d'entrata «Crow non è tipo, il direttore di un'azienda di integratori alimentari o qualcosa del genere? Non mi dire che crede davvero che qualcuno possa assaltare una fabbrica di barrette energetiche!» disse ridendo.
    Ray sorrise e scosse la testa.
    L'interno dell'edificio sembrava la hall di un albergo. C'erano dei divanetti accostati alle pareti, dei vasi di fiori accanto a questi e un grande televisore all'angolo.
    L'edificio sembrava deserto, fatta eccezione per una ragazza con aria scazzata seduta in quella che doveva essere la reception.
    Ray la guardò, ma non disse nulla. Continuò a camminare, entrando in un corridoio sulla destra.
    Il pavimento in parquet sembrava fosse stato appena lucidato, alle pareti c'erano dei quadri famosi che Frank aveva visto su delle riviste, e il lungo corridoio aveva delle porte, tutte chiuse.
    Frank si guardò intorno curioso. In fondo al corridoio c'era una porta più grande, con sopra un'insegna d'oro incisa.
    "Gordon Crow"
Ray bussò sulla porta, e quando dall'interno il signor Crow diede il suo permesso ad entrare, l'aprì incitando Frank a mettere piede nell'ufficio.
    Il signor Crow era seduto alla sua scrivania. Indossava uno dei suoi soliti completi, ed aveva l'aria preoccupata.
    Sorrise a Ray.
    «Grazie, Toro. Puoi andare, ora...» disse congedandolo.
    Frank si avvicinò alla scrivania di Crow. Ora voleva sapere cosa ci facesse lì, e perché Crow non potesse incontrarlo nel suo appartamento a Belleville.
    E sopratutto, come la questione avesse a che fare con Candice.
    Fece un respiro profondo, sedendosi sulla poltrona in pelle di fronte alla scrivania.
    «Grazie per essere venuto, Frank...» disse il Signor Crow sforzando un sorriso.
Frank sollevò un sopracciglio «Non credo avessi molte alternative, comunque...» commentò «Allora, che succede? Giuro che non ci sto capendo assolutamente nulla, e quel Ray Toro, lì, non è stato affatto d'aiuto. Non ha parlato per tutto il viaggio, e comunque, non poteva semplicemente chiedermi di venire a casa sua? Dovevamo per forza incontrarci qui? E sopratutto, che posto è questo? Perché comincio a dubitare del fatto che lei si occupi di distribuzione di barrette energetiche, a questo punto!» disse d'un fiato, nervoso.
    Crow sorrise, all'ultima frase «Infatti io non mi occupo di barrette energetiche...» commentò, divertito. Prese qualche secondo per riflettere su come spiegare a Frank cosa stava succedendo, poi sospirò «Hai saputo dell'esplosione?» chiese.
    Frank annuì.
    «Bene. Frank, ci sono delle cose che devi sapere riguardo l'esplosione, riguardo i tuoi poteri e sopratutto riguardo mia figlia.» disse poi. Ma prima che Frank potesse dire qualcosa, continuò «Scommetto che anche tu, come tutti, ti sei sempre chiesto perché mai Candice andasse in giro con una guardia del corpo...»
    Frank annuì di nuovo, e Crow si alzò dal suo posto e prese un fascicolo da un cassetto, per poi fare il giro della scrivania e mostrare il fascicolo a Frank, che lo aprì e ne tirò fuori alcuni fogli. Erano dei disegni. Dei ritratti a colori.
    Frank li osservò confuso.
    «Che roba è?» chiese.
    Crow fece un respiro profondo «Questo» disse indicando il primo ritratto, il disegno di un uomo con un aspetto inquietante. Nonostante fosse solo un disegno, il suo sguardo sembrava minaccioso e pericoloso «...è Korse. E' uno psicopatico con una mente diabolica, ed il suo intento è quello di conquistare il mondo e rendere la razza umana priva di emozioni...».
    Frank fece una smorfia «Si? Sembra la storia di qualche fumetto...» mormorò guardando ancora il disegno.
    Crow scosse la testa «Purtroppo non lo è...».
    «E cos'ha a che fare questo Korse con me? E sopratutto, perché continuate a dire che c'è di mezzo anche Candice?» chise Frank.
    «Non credo ci sia un modo giusto per raccontare questa storia, quindi arriverò al dunque senza troppi giri di parole...» sospirò Crow «I poteri di Candice vanno davvero oltre l'immaginabile, Frank. Lei non sa solo manipolare la mente di chi ha davanti. Lei sarebbe in grado di manipolare la mente di un'intera popolazione. Lei saprebbe convincere l'intero pianeta che ciò che dice è giusto. Le basterebbe desiderarlo, davanti ad una telecamera, e mandare il video in diretta mondiale. Ed il mondo sarebbe nelle sue mani.» spiegò con aria costernata.
    Frank sorrise «Stiamo parlando della stessa Candice? Quella che si sente in colpa dopo aver persuaso il suo capo ad aumentarle la paga mensile?» chiese diverito. No, non potevano parlare della stessa Candice.
    Crow però annuì, ed era serio «Frank, non è un gioco, ok? Non sto scherzando. Quello che ti sto spiegando è dannatamente vero. E Candice è in pericolo!» fece una breve pausa. Il battito del suo cuore era aumentato, come ogni volta che pensava alla possibilità che qualcuno volesse portargli via Candice per... deglutì, passandosi una mano tra i capelli. Prese i disegni che Frank teneva in mano, e ne afferrò uno.
    «Korse è un uomo viscido, e non ha poteri come voi. Ma sa usare la violenza, e non si fa scrupoli a sparare, se ce n'è bisogno. Il suo piano per la conquista del mondo prevede l'aiuto da parte di persone malvagie come lui, o persone che lui ha in qualche modo costretto o manipolato. Lui è la persona più importante, in tutta questa operazione.» spiegò mettendo il ritratto sotto al naso di Frank «Lui sa assorbire i poteri di persone come te, e Candice... non sappiamo quanti poteri abbia, in totale. Sappiamo che ha già ucciso molte persone, sotto il controllo di Korse. E sappiamo che Korse lo manderà a prendere Candice, per fargli assorbire i suoi poteri e così cominciare il suo ridicolo piano di conquistare il mondo!» disse evidentemente agitato.
    «Ucciso? Cioè, questo uccide la gente?» chiese Frank preoccupato. Anche i suoi, di battiti del cuore, erano accelerati notevolmente «Lui vuole uccidere Candice?» chiese ancora, guardando Crow, e sperando in una risposta negativa.
    Crow deglutì, socchiudendo gli occhi come per riordinare le idee.
    «Lui assorbe la vita della gente. E con questa, i loro poteri.» mormorò Crow.
Frank guardò disgustato l'immagine che Crow gli aveva messo davanti.
    Il disegno di un ragazzo che probabilmente aveva la sua età, che indossava una giacca blu, una fondina contentente una pistola gialla, ed aveva degli strani capelli color fuoco.
    «Si chiama Party Poison. Ed è estremamente pericoloso...» spiegò Crow.
    Frank sentì il sangue bollirgli nelle vene. Quel tizio non avrebbe mai e poi mai sfiorato Candice!
    «Ed io, come posso aiutare?» chiese infine, promettendo a sé stesso che avrebbe fatto il possibile.
   
   

- - -
Bene, questo breve capitolo extra racconta ciò che succede al di fuori del POV di Candice. Spero non vi dispiaccia, ma era l'unico modo nelle mie capacità per lo meno di raccontare il lato B della storia (?).
Comunque, appunto per questo, ci saranno vari capitoli Extra durante la storia che racconteranno ciò che Candice non ha vissuto in prima persona.
Per consigli, suggerimenti, critiche, qualsiasi cosa, recensite pure ;)
xoxo

Terexina EFP

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Nuova pagina 1

Capitolo 5

    Nei giorni seguenti l'arrivo di Party Poison successero davvero tantissime cose.
Tanto per dirne una, scoprimmo che Poison aveva un'infinità di poteri. Sul serio, così tanti che persi addirittura il conto. E poi, Poison ritrovò la memoria. O qualcosa del genere. Non sapevo bene cosa fosse successo, ma una sera, dopo essere stata a cena da mio padre - che nel frattempo mi aveva tartassato di domande tanto da farmi scoppiare un atroce mal di testa - notai che Poison si comportava in modo strano.
    Ovviamente, devo premettere che nei giorni seguenti l'esplosione che lo portò da noi, io e Party Poison stringemmo una specie di... ah, ok, mi fa strano dirlo. Io mi resi conto che più i giorni passavano, più trovavo Poison affascinante, ed interessante, e ok, non credo ci sia nulla di male quindi lo dico, anche piuttosto sexy.
    Sopratutto quando dimenticava di prendere una maglietta dal cassetto di Frank e usciva dalla doccia a torso nudo e con i capelli scompigliati e umidi...
    Ok, basta parlare dell'effetto che mi faceva trovarmi davanti un Poison mezzo nudo. Dunque, dato che passavamo gran parte del nostro tempo insieme, e che lui era segregato nel mio appartamento come un ricercato dall'FBI, era ovvio che stringessimo un buon rapporto. Spesso ci ritrovavamo con Mikey a fare ricerche su ricerche e alla fine quando Mikey lasciava l'appartamento io e Poison ci addormentavamo sul divano.
    Comunque, mio padre continuava a stressarmi ogni giorno, dicendomi che sarebbe stato meglio tornare nel suo appartamento, che forse avevo bisogno di una nuova guardia del corpo, che dovevo fare molta attenzione, guardarmi intorno e un sacco di altre cose paranoiche totalmente senza senso.
    Era diventato quasi ossessivo, mi telefonava praticamente dieci volte al giorno per chiedermi con chi fossi e cosa stavo facendo.
    In tutto ciò, come dicevo comunque, Poison aveva cominciato a comportarsi in modo strano. Non ero stata in casa praticamente tutto il giorno, quindi non potevo sapere perché ora sembrava più disorientato di quando arrivò, e si comportava davvero in modo particolare. Per dirne una, notai che manteneva una certa distanza da me. Si rifiutò anche di mangiare seduto al mio fianco sul divano come facevamo di solito ormai. Ed ovviamente non mi addormentai con la testa sulla sua spalla. Anzi, quella sera forse per la prima volta dopo tutto quel tempo, mi ritrovai a dormire da sola nel lettone che prima dividevo con Frank.
    Il non sapere perché Poison fosse così taciturno, freddo e distaccato mi torturò per gran parte della notte, portandomi a fare mille supposizioni ridicole, tanto che mi sentivo quasi come Mikey.
    In più, la sera seguente scoprimmo che Mikey aveva anche lui dei poteri. Oh, beh, in realtà inizialmente pensai che fosse tutto frutto della sua immaginazione, e comunque la cosa mi spaventò abbastanza.
    Era venuto come al solito da me, per illuminare me e Party Poison con le sue altre teorie. Ne aveva formulate davvero tantissime. Stavolta comunque, a differenza delle altre sere, Poison sembrava disinteressato e anzi, anche abbastanza infastidito dalle supposizioni di Mikey, quasi come se non volesse nemmeno sentirle. Tanto che alla fine se ne andò a sdraiarsi sul divano dicendoci che non si sentiva "in vena" di chiacchierare.
    Mikey dovette ammettere che trovare informazioni credibili su persone con superpoteri era alquanto complicato. Il più delle cose che si trovavano nel web provenivano da egocentrici sfigati che avevano bisogno di attirare l'attenzione. Un gran mucchio di falsi allarmi.
    Comunque, mi spiegò che camminando avanti e indietro nel salotto di casa sua, intento a rimuginare sulle informazioni che aveva ottenuto dalle sue ultime ricerche, aveva notato che, sullo scaffale vicino alla televisione, quello dove Donna Way teneva allineate tutte le sue inquietanti bambole di porcellana, c'era nascosta una piccola cassettina contenente una chiave, e sulla chiave c'era impresso il simbolo che Poison aveva tatuato sulla nuca. Mi disse che la cosa non aveva senso, secondo lui, perché non riusciva a comprendere come mai Donna avesse una chiave del genere nascosta in casa e sopratutto non riusciva a trovare un collegamento tra Donna e Party Poison.
    Oh, ora che so tutta la storia, sin dal principio, quella situazione mi risulta alquanto scontata. Se solo fossi stata più sveglia, attenta o intelligente, avrei notato molto più facilmente tutti gli indizi che avevo sempre avuto sotto al naso.
    Comunque, io e Mikey ci addormentammo in cucina, con la testa poggiata sugli appunti sul tavolo, proprio come succedeva quando andavamo al liceo e studiavamo fino a tardi.
    E fin lì andava tutto bene. Poi d'un tratto Mikey si svegliò di soprassalto.
Era spaventato ed agitato. Aveva la fronte imperlata di sudore e tutta l'aria di aver fatto uno di quegli incubi così reali da farti venir voglia di andare a dormire nel lettone con i tuoi genitori!
    «Cazzo!» esclamò con voce roca, scuotendomi. Non che non avessi già aperto gli occhi comunque, sentendolo sussultare in quel modo. Aveva i battiti del cuore accelerati e gli occhi sgranati mentre cercava di calmarsi.
    «Che succede!?» chiesi preoccupata, stirandomi i muscoli delle braccia e delle spalle che facevano male vista la posizione scomoda in cui avevo dormito.
    Mikey si guardò intorno, come per controllare che nessuno potesse sentirci. Lentamente, facendomi cenno di non fare un fiato, si alzò ed accostò la porta della cucina, per poi avvicinarsi di nuovo a me.
    «Che hai?» chiesi ancora, sollevando un sopracciglio.
    Lui scosse la testa, guardando ancora una volta in direzione della porta come per assicurarsi che Poison non fosse in agguato «Candice... ho avuto una visione!» disse guardandomi negli occhi.
    In quel momento non sapevo se piangere perché mi aveva fatto prendere un colpo per una cosa così ridicola, o se ridere perché dall'aria che aveva sembrava crederci sul serio.
    «Mikey, hai fatto un brutto sogno...» mormorai scuotendo la testa, tirandomi su «Io me ne vado a letto, ho la schiena a pezzi...» aggiunsi poi, nel tentativo di dirigermi di là, ma Mikey mi fermò bloccandomi il passaggio.
    «Non era una visione, Candice!» esclamò cercando di non urlare. Poi abbassò la voce di qualche tono «Ho visto chiaramente Party Poison che ti...» deglutì abbassando lo sguardo «...non so cosa ti stava facendo! Ti aveva legata ad una sedia e ti... teneva le mani sulla tua testa, ed era come se volesse strapparti via il cervello, non so cosa volesse fare ma tu eri lì ed urlavi per il dolore! E non credo che sia solo un incubo!» spiegò.
    Oh, merda.
Non era qualcosa di molto simile ad uno dei flash che avevo visualizzato provando ad entrare nella testa di Poison!?
    E come diavolo faceva Mikey ad aver visto la mia stessa identica cosa, anzi, in modo più approfondito?
    E perché mai Party Poison avrebbe dovuto o voluto torturarmi, o strapparmi via il cervello, o fare qualsiasi cosa stesse facendo nel sogno di Mikey?
    E comunque, cosa avrei dovuto fare ora? Magari era proprio per questo che Poison si comportava in modo così strano, ultimamente... qualsiasi cosa fosse, comunque, non potevo davvero andare da Poison e chiedergli se aveva intenzione di farmi del male.
    E così cominciarono a vorticarmi in testa un milione di domande, che si aggiungevano all'altro milione di domande già presenti. Uno strazio, sul serio.
Mi domandai come mai non ero stata in grado di percepire le strane intenzioni di Poison. Mi ero sforzata così tanto per entrare nella sua mente, com'era possibile che non ero riuscita ad intercettare i suoi pensieri malvagi? Allora forse non ce ne erano e Mikey aveva davvero avuto solo un inquietante incubo? E comunque che c'entrava Donna Way e quella chiave che Mikey aveva trovato, con tutta questa storia? E dove diavolo era finito Frank? Perché non tornava e basta? Con lui era tutto più facile! E che sarebbe successo se avessi chiesto a mio padre di illuminarmi su tutta la faccenda? Ne sapeva davvero qualcosa in più, o magari stavolta anche lui non sarebbe stato in grado di darmi una risposta?
    Avevo il cervello in fiamme, tanto stavo pensando.
    Alla fine decisi di fingere di non sapere nulla. Decisi di non dire nulla a Poison riguardo l'incubo di Mikey, perché magari se lo avesse saputo avrebbe reagito male. Decisi di comportarmi come se tutto fosse ok, sperando che Poison non avesse, tra i tanti, anche qualche strano potere che gli facesse scoprire che sapevo che prima o poi mi avrebbe torturata, per qualche misterioso motivo.
    La mattina seguente io e Mikey lasciammo il mio appartamento prestissimo, con la scusa del lavoro e tutto il resto. Probabilmente avrei anche abbandonato il mio appartamento nelle mani di Poison per sempre purché non mi torturasse. Insomma, avete idea di cosa significhi dubitare che uno sconosciuto venuto dal nulla, che hai ospitato tanto gentilmente in casa tua, voglia mangiarti il cervello o qualsiasi cosa del genere? Ah, era un pensiero orrendo. Ovvio che non volevo essere torturata, legata ad una sedia, maltrattata e niente di simile.
    Quello che successe dopo, comunque, fu anche peggio.
    Mikey mi seguì per tutto il giorno come un cagnolino fedele, nonostante sapessimo entrambi che le sue capacità fisiche non gli avrebbero permesso di sconfiggere un tizio con più poteri di Dio nel caso avesse voluto rapirmi.
    Ovviamente, dato che io non sono affatto sveglia, fu Mikey ad accorgersi che una donna asiatica sui trent'anni, vestita in un elegante completo grigio, ci stava seguendo praticamente da ore.
    Era seduta a pochi tavoli dal nostro, nel cafè in cui avevamo fatto colazione, aveva passeggiato dall'altra parte del marciapiede mentre noi ci incamminavamo verso il mio posto di lavoro, aveva pranzato su una panchina di fronte alla vetrina e poi era di nuovo dietro di noi mentre gironzolavamo per Belleville senza meta chiedendoci se fosse o meno il caso di tornare a casa e rischiare che l'incubo di Mikey della notte precedente diventasse realtà.
    Mikey mi sussurrò di accelerare il passo perché la tizia asiatica gli metteva ansia - nel frattempo aveva supposto che poteva trattarsi di una complice di Poison, di una guardia del corpo mandata da mio padre e tante altre cose - ma prima ancora che potessi dargli retta, mi ritrovai la donna al fianco che mi sorrideva con uno dei sorrisi più plastici mai visti in tutta la mia vita.
    «Salve!» esclamò porgendomi una mano per presentarsi «Mi chiamo Kim ed ho assolutamente bisogno di parlarti, Candice» disse guardandomi negli occhi.
    Come faceva a sapere il mio nome? Oh, beh, pensai che avendomi seguita per tutto il giorno doveva pur aver appreso qualcosa sul mio conto.
    Sollevai un sopracciglio, guardando Mikey sperando che riuscisse a trovare qualcosa da dire. Tipo, non lo so "scusi ma andiamo di fretta" o cose simili.
    Non morivo dalla voglia di conversare con una stalker.
    Ma Mikey scrollò le spalle e basta, così sospirai. Pensai di usare il mio potere per entrare nella sua mente, cercare di captare qualche informazione o roba simile. Non feci nemmeno in tempo a pensarlo, che i lati delle labbra della donna si sollevarono in una specie di ghigno «Non provarci nemmeno, ragazzina...» disse con tono serio «Seguimi, e renderemo tutto meno complicato».
    Deglutii, chiedendomi seriamente chi diavolo fosse quella Kim e cosa volesse da me.
    Lanciai uno sguardo alla distanza che mi separava dal mio appartamento. Era poco più di un chilometro. Non ero mai stata così lieta di vivere in una cittadina così piccola come quel giorno!
    Guardai Mikey sperando che potesse capire il mio intento di correre il più velocemente possibile verso casa. Ok, lì c'era Poison che forse voleva uccidermi, ma l'idea di morire dentro le mura del mio appartamento passò in secondo piano. Quella Kim aveva uno sguardo pieno di cattiveria. Mi guardava come se volesse scuoiarmi viva e mangiare le mia interiora e poi gettare la mia carcassa in un fiume!
    - ok, ero un'appassionata di film horror, sia chiaro.
    Dunque, feci un respiro profondo e contai mentalmente fino a tre. Ringraziai il cielo quando compresi che Mikey aveva avuto la mia stessa idea e cominciò a correre al mio fianco verso l'appartamento di sua spontanea volontà.
    Corremmo a perdifiato, non ero mai stata così veloce in tutta la mia vita. Corremmo voltandoci indietro di tanto in tanto per controllare dove fosse Kim, se ci stesse seguendo o cosa.
    Con il cuore in gola, arrivati davanti al mio appartamento, dopo essermi accertata che Kim non ci fosse alle calcagna, presi le chiavi e le infilai nella serratra per aprire la porta. Mikey si teneva una mano sul fianco, aveva poggiato l'altra mano sullo stipite della porta e cercava di riprendere fiato.
    Girai la chiave e spalancai la porta sentendo un immediato sollievo nel vedere il mio appartamento. Come se fossi tornata nel mio nascondiglio sicuro.
    Oh, si, come no.
    Non feci nemmeno in tempo a mettere piede all'interno che sentii una mano afferrarmi la maglietta alle spalle e tirarmi indietro. Vidi lo sguardo di terrore negli occhi di Mikey che emise una specie di urlo spaventato. Fortunatamente, almeno Party Poison, incuriosito da quel rumore, si affacciò sull'ingresso dell'appartamento per vedere cosa stesse succedendo.
    Non potevo dire se fosse per la scena stessa, per il mio sguardo impaurito mentre Kim mi stringeva a sé con un braccio e mi puntava dei... ah, quella roba non l'avevo mai vista prima. Sembrava una specie di Wolverine, le erano usciti fuori dalle mani degli artigli lunghissimi ed affilati come coltelli, e me li stava puntando alla gola senza troppi complimenti.
    Potevo sentire le punte degli artigli spingere contro la mia pelle, e la salda presa di Kim sul mio corpo.
    Comunque, notai che l'espressione di Party Poison era un misto di sorpresa, paura e qualcos'altro che non avevo intenzione di analizzare in quel momento, dato che avevo una psicopatica intenta ad infilzarmi.
    Sentii Kim fare una specie di risatina alle mie spalle, non appena vide Poison.
    Poison si schiarì la gola, facendo un passo verso di noi, ma Kim indietreggiò spingendo ancora un pò più a fondo i suoi artigli contro la mia gola.
   
    Bene, tutto quello che accadde dopo fu così confuso che non credo di riuscire a raccontarvelo per bene. Posso solo dire che gli artigli di Kim stavano per entrarmi nella carne, quando sentii Poison esclamare "Tanto non ti serve a nulla, da morta!".
    Oh, quella si che era una bella notizia... insomma, di qualsiasi cosa si trattasse, per lo meno non era arrivata la mia ora! Magra consolazione, considerando il dolore alla gola, mentre Kim stringeva gli artigli contro la mia pelle.
    Il mio sguardo volava da Mikey a Poison, da Poison a Mikey. Li stavo silenziosamente implorando di fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
    E fu proprio quello il momento in cui successe. Il momento in cui Poison si scoprì per la prima volta, mostrandoci davvero di cosa fosse capace. E no, non fu nulla di piacevole.
    Non sapevo bene quali fossero i suoi poteri, ma vidi Poison fare uno scatto impercettibile che lo portò alle mie spalle. Sentii la presa di Kim farsi più rigida, ed improvvisamente, gelida. Oh, lo sguardo di Mikey che osservava tutta la scena in silenzio era qualcosa di spettacolare. Sembrava stesse guardando un cavolo di film o che ne so io. Era a bocca aperta, e compresi ben presto, quando finalmente la presa di Kim mi lasciò andare ed io riuscii a riprendere a respirare, portandomi una mano alla gola per fare pressione sulla ferita, che Poison mi aveva, almeno per il momento salvato la vita. E che per farlo, la stava togliendo a Kim.
    Assistere ad un omicidio non è affatto piacevole, se può interessarvi. Sopratutto quando l'omicidio avviene in maniera così inaspettata.
    Bene, Poison stava stringendo la testa di Kim tra le mani, quasi come se volesse stritolarle il cranio, e dall'espressione sofferente di Kim, aggiunta alle sue urla strazianti, doveva essere qualcosa di davvero doloroso. Non riuscivo a muovermi. Non riuscivo a dire nulla. Ero impotente, davanti a quella scena. E giuro, anche se può sembrare impossibile, Kim sembrò prosciugarsi. Volevo dire a Poison di smetterla, perché era ovvio che l'avrebbe uccisa e insomma, noi non eravamo assassini, giusto? Non riuscivo a dire nulla. Restai immobile davanti all'immagine di Poison che, grazie a chissà quale potere, stritolava la testa di Kim, e lei, piano piano, cominciò a prosciugarsi come... oh, no, non so come cosa. So solo che sembrava davvero che le fossero rimaste solo le ossa e la pelle. Nient'altro. Aveva l'aspetto di un cadavere in putrefazione. Oh, che scena orrenda. Mi sentii nauseata. Avevo voglia di vomitare.
    Quando Poison lasciò la presa dalla testa di Kim, il corpo della donna cadde a terra e fui sorpresa di non vederlo frantumarsi in mille pezzi, tanto fragile sembrava ora.
    Guardai Poison stringere i pugni. E così, improvvisamente, dagli spazi tra le nocche delle sue mani, ne uscirono fuori degli artigli affilati. Proprio come quelli di Kim.
    Fu in quel momento che compresi che Party Poison aveva la capacità di risucchiare i poteri - e la vita - degli altri.
    E fu già abbastanza straziante tutta la scena, che quando Mikey riuscì a parlare per dirmi «E' esattamente quello che faceva a te, nel mio sogno!» non avevo le forze fisiche e mentali per reagire in alcun modo.
    Pensavo solo che c'era una donna morta ai miei piedi, una donna che conosceva Party Poison a quanto sembrava, e che voleva uccidermi o rapirmi o qualsiasi altra cosa. Pensavo che ero stata davvero stupida a fidarmi di Poison come se niente fosse. Pensavo che mio padre si sarebbe incazzato da morire, non appena avrebbe saputo cosa stava succedendo. E pensavo che dovevo correre da mio padre per raccontargli tutto. Lui avrebbe avuto delle risposte. Ne ero sicura.

 

- - -

Eccoci qui con un nuovo capitolo!
Allora, innanzitutto voglio ringraziarvi tutte per le recensioni e sopratutto per i viaggi mentali riguardo le teorie e tutto il resto! VI ADORO!
Ebbene, si, eravamo rimasti al capitolo extra, quello in cui si scopre che Crow, ovvero il padre di Candice, sa dove si trova Frank e tutto, e sopratutto, si scopre che Poison lavora per Korse ed è, ohyeah, uno dei cattivi!
Ora, spero che anche questo capitolo vi piaccia, spero di non deludervi e spero di non avervi confuso le idee.
E spero che abbiate ancora altre supposizioni da raccontarmi, perché siete una grandissima fonte di ispirazione! u.u
Detto questo, sappiate che - vi prego non odiatemi per questo - considerato come stanno procedendo le cose, questa ff sarà una long davvero very very long, dato che al quinto capitolo - sesto considerando l'extra #1 - siamo ancora all'inizio. Con questo, spero di non scoraggiarvi, del tipo, spero che non vi aspettavate una storia breve e concisa! u.u
[chi mi conosce sa che non so scrivere storie brevi! XD]

Ok, ora vi lascio.
Commentate, recensite, teorizzate!

xoxo
THOR-exina

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Nuova pagina 1

Capitolo 6

    Osservai il corpo di Kim a terra per almeno... non lo so, un'infinità di tempo.
Mikey non aveva più detto una parola, e mentre pensavo a cosa avrei dovuto fare ora, sentivo Poison imprecare mentre si passava le mani tra i capelli come preso dal panico.
    Il che non era una cosa positiva. Non che ci fosse comunque qualcosa di positivo in tutta quella situazione. Io non riuscivo a fare altro che chiedermi cosa avrei dovuto fare. Se provare a scappare, correre con tutta la forza che avevo in corpo verso casa di mio padre e supplicarlo di aiutarmi, o restare lì e continuare a fissare il corpo deceduto e prosciugato di un'asiatica pseudokiller o qualsiasi cosa fosse.
    «Non puoi dirlo a tuo padre!» esclamò di botto Poison, voltandosi a guardarmi.
Giusto, sapeva leggermi il pensiero.
    Non avevo nemmeno la forza per riuscire a parlare, non riuscivo a farlo. Non che servisse, comunque.
    "Devo dirlo a mio padre!", pensai aggrottando la fronte.
    Poison si avvicinò a me con un passo svelto e mi afferrò le spalle con le mani, guardandomi negli occhi. Mi chiesi se avesse intenzione di strappare via i poteri anche a me, di prosciugarmi o cose del genere. Lui mi guardò per un attimo come... confuso, credo «Non ho intenzione di farti del male, ok?» mi disse parlando quasi sottovoce.
    Non è che potevo credergli così facilmente.
    «Lo so che non riesci a credermi, ma devi fidarti di me!» esclamò ancora. Stavo quasi detestando la nonchalance con cui mi leggeva il pensiero. Insomma, se avessi voluto che ascoltasse i miei pensieri li avrei esposti a voce alta.
    «Hai ragione, scusami...» disse indietreggiando «...ma è come se tu mi stessi urlando nei timpani... Non riesco a non... ascoltarti...» si giustificò. Poi fece un respiro profondo, spostandosi i capelli dal volto «Ora... dobbiamo disfarci del corpo...».
    Bene, quante volte vi è capitato di sentire questa frase in qualche film? Un milione? Sappiate che sentirsela dire nella realtà fa un effetto totalmente diverso. Venni colpita da un'ondata d'ansia.
    Io non dovevo disfarmi proprio di niente. Io non dovevo avere nulla a che fare con quell'omicidio. E non avevo alcuna intenzione di scavare una buca nel cortile dietro casa mia per buttarci dentro il cadavere di una sconosciuta che io non avevo ucciso. Assolutamente.
    «...ok, Candice, lo so che non riesci a comprendere cosa sia successo ma ti prego, devi aiutarmi a disfarmi di Kim, va bene?» disse poi Poison, quasi come una supplica.
    Lanciai un'occhiata a Mikey. Oh, come potevo sperare che sapesse cosa fosse giusto fare? Se ne stava lì impalato ad osservarci, pallido in volto, con un'espressione mista tra il confuso e l'impaurito. Davvero inutile.
    «Chi diavolo era questa Kim, e cosa voleva da me?!» chiesi bisognosa di spiegazioni. Ero così dannatamente nervosa che probabilmente avrei potuto passare le prossime ore seduta accanto ad un cadavere, pur di ottenere qualche risposta.
    Ormai erano giorni e giorni che mi facevo domande, e nessuno sapeva darmi una spiegazione giusta, e le domande continuavano ad accumularsi e la mia testa stava per scoppiare e, pensavo, non avrei sopportato ulteriore stress. Sarei impazzita prima. Sempre che non lo fossi già, pensai.
    Party Poison deglutì socchiudendo gli occhi «Non è ancora arrivato il momento delle spiegazioni...» mormorò.
    «Perché!?» chiesi quasi urlando. No, ok, urlai decisamente. «Perché cazzo non puoi spiegarmi che diavolo sta succedendo? Perché non posso sapere il motivo per il quale mi trovo coinvolta in un omicidio fantascientifico o quello che è!? Perché non puoi dirmi cosa diavolo volesse questa tipa da me!?» sbottai infine, sull'orlo di una crisi di pianto.
    Poison mi guardò con aria severa, aggrottando la fronte «Perché non posso e basta! Perché è più complicato di quanto pensi! E perché devo atternermi agli ordini che ho ricevuto!» disse deciso.
    No, così non andava bene. Così mi stava solo facendo venire in mente altre dannate domande!
    «Ordini!? Quali ordini!? Chi è che ti da degli ordini? Cosa diavolo vuoi da me!?» chiesi d'un fiato. Ora stavo anche piangendo. Non ne potevo più. Davvero. «Perché mai dovrei fidarmi di te!?» urlai ancora, avvicinandomi a Poison come se volessi sfidarlo. Proprio come quando capitava che litigavo con quell'idiota di Kitty a scuola e le andavo sotto per istigarla a fare a botte. Probabilmente avevo intenzione di istigare Poison ad uccidermi, così magari tutta quella storia sarebbe finita una volta per tutte.
    Ma Poison mi guardò dritto negli occhi, con quelle sue iridi di quel particolare tono verde che mi penetravano, e disse solo «Perché ti ho appena salvato la vita».
    Esattamente così, secco e deciso.
    Restai sorpresa da quella sua risposta. Perché beh, aveva ragione.
    Mi aveva appena salvato la vita. Perché mai non avrei dovuto fidarmi di lui?
    Restammo così, uno di fronte all'altra, a guardarci in silenzio. Poi Poison passò delicatamente un dito sulla mia guancia destra, per asciugarmi le lacrime.
    E se uno ti salva la vita ed asciuga le tue lacrime, perché mai poi dovrebbe volerti uccidere? Come potevo non fidarmi di lui, ora?
    «...potremmo portare il corpo in una delle fabbriche abbandonate nella Zona Industriale. Lì non ci va mai nessuno...» mormorai dopo un pò.
    Bene, ora stavo decisamente diventando la complice di un omicidio.
Ma considerando che Poison mi aveva appena salvato dalla morte, allora questo era il minimo che potevo fare.
    «Ok... vi aiuto...» disse d'un tratto Mikey. Come se fosse tornato sul pianeta Terra all'improvviso. Non aveva detto una parola fino ad allora, e mi aspettavo che cominciasse ad esporre strane teorie come al solito. Ma non disse nulla. Ci aiutò semplicemente a caricare il corpo di Kim nella macchina e a nasconderlo in una vecchia fabbrica.
   
    Se devo essere sincera, mi sentivo uno schifo. Uno schifo totale.
    Non sapevo cosa volesse Kim da me, ed anche se avevo intuito che non fosse decisamente una donna amorevole e affettuosa, non riuscivo a togliermi dalla testa che era morta per colpa mia.
    Certo, o io o lei. Questo concetto l'avevo compreso. E si, ero lieta di essere stata io quella che era sopravvissuta. Ma mi sentivo comunque uno schifo.
    Quando tornammo nel mio appartamento era decisamente tardi. Fuori era buio ed in strada non c'era nessuno. Mikey disse che non aveva voglia di tornare a casa, così restò con noi.
    Ci sedemmo nel salotto. Nessuno dei tre era in vena di chiacchiere.
    Passò almeno un'ora prima che qualcuno aprisse bocca. Mikey era quasi addormentato, con la testa poggiata su uno dei cuscini del divano.
    Poison mi guardò ed accennò un sorriso «Presto ti spiegherò ogni cosa...» sussurrò, e compresi che voleva solo tranquillizzarmi.
    Ma io pensai solo che una cosa simile me l'aveva scritta Frank prima di sparire nel nulla.
    E a quel ricordo, sorprendentemente, non dovetti accogliere il solito sentimento di nostalgia nei confronti di Frank, ma un'improvviso bisogno di sapere che Poison non mi avrebbe mai abbandonata.

    Non ricordo quando mi addormentai. Ricordo solo che ad un tratto Mikey mi svegliò, ancora una volta all'improvviso, ed ancora una volta con aria spaventata.
    «Candice...» sussurrò avvicinandosi a me. Ero crollata sul divano. Poison stava dormendo sulla poltrona al mio fianco.
    Ci misi un pò per mettere a fuoco la figura di Mikey davanti a me, nel buio. Quando gli occhi si abituarono all'oscurità, seguii i lineamenti delle ombre del suo viso e lo guardai senza dire nulla.
    Mikey si chinò per avvicinarsi ulteriormente «...Frank sta per tornare...» disse sottovoce.
    Sentii come una morsa allo stomaco, e al cuore. Mi chiesi se non stessi semplicemente sognando. Guardai ancora Mikey, aspettando che mi spiegasse come potesse esserne così certo.
    Lui fece un respiro profondo.
    «L'ho sognato... Frank sta per tornare... sta per tornare a casa...» disse solo, parlando nel mio orecchio.
    Lui non aggiunse altro, ed io non feci domande, per una volta.
    Avevo immaginato che all'idea del ritorno di Frank, Mikey avrebbe fatto i salti mortali, le capriole, e forse gli sarebbe anche spuntata fuori una coda che avrebbe potuto usare per scondinzolare per bene come un cagnolino fedele.
    Invece il tono della sua voce era preoccupato.
    Si allontanò di scatto, quando sentimmò Poison muoversi sulla poltrona «Che succede?» ci chiese con voce roca ed assonnata.
    Mikey si schiarì la gola «Uhm, niente... stavo dicendo a Candice di andarsene a dormire nel suo letto, così io sto sul divano...» mentì, guardando nel buio in direzione di Poison.
    Io feci un respiro profondo, alzandomi. Ero troppo esausta per dire qualsiasi cosa, così semplicemente me ne andai in camera mia, lasciando il divano a Mikey.

    Quando mi svegliai il mattino seguente, la prima cosa che vidi fu Poison a petto nudo che rovistava nel cassetto di Frank alla ricerca di una maglietta.
    Ora, io non sono una di quelle tipe da film che quando si svegliano, anche dopo la peggiore nottata del mondo, sono già belle e profumate e truccate e perfette.
    Io quando mi sveglio ho il volto incorniciato da una criniera di capelli indomabili, il trucco della sera prima colato intorno agli occhi e il corpo sudaticcio... non un gran bel vedere, insomma.
    Così mi strofinai il viso con le mani, magari sperando in un miracolo che mi rendesse improvvisamente attraente perché... beh, perché non so se l'ho già detto ma più passavano i giorni più l'immagine di Poison che girava con tanta tranquillità a petto nudo per casa mi scombussolava alquanto gli ormoni...
    «Buongiorno...» sorrise «...scusami, stavo cercando una maglietta» disse afferrando una t-shirt rossa dal cassetto.
    Scrollai le spalle, pensando "Beh, non preoccuparti, dimenticati pure i jeans la prossima volta".
    Mi resi conto di quanto suonasse perverso il mio pensiero solo quando vidi Party Poison fare uno di quei suoi sorrisi compiaciuti, guardandomi con la coda dell'occhio prima di infilarsi la maglia.
    Dio, quando avrei imparato a ricordarmi di smetterla di pensare in sua presenza?
    «...ti prometto che cercherò un modo per riuscire a non leggerti il pensiero...» disse lui, sistemandosi i capelli rossi con una mano.
    Sperai che riuscisse a farlo davvero, perché ogni volta la situazione era veramente imbarazzante.
    Poison sospirò, sedendosi sul bordo del letto «Devo dirti una cosa...» disse improvvisamente inquietantemente serio. Mi sollevai poggiando la schiena sui cuscini, guardandolo in attesa che continuasse.
    «...basta che non cominci a farmi domande alle quali non posso rispondere...».
    Annuii, rassegnata. Ero già pronta a sfoderare le mie domande migliori, e invece niente. Ma andava bene, purché parlasse. Magari era arrivato il momento di farmi sapere cosa stava succedendo.
    «Bene. Tuo padre vuole uccidermi. Sa che sono qui, e l'unico motivo per cui non è ancora venuto a spararmi in fronte è perché ha paura che io possa farti del male prima ancora di riuscire a premere il grilletto...» disse d'un fiato.
    Wow, come poteva pretendere che non facessi domande?
    Perché mai mio padre lo voleva morto? E poi, perché mai mio padre aveva paura che Poison mi facesse del male? E perché diavolo non mi aveva detto che sapeva che stavo tenendo un soggetto a quanto pare pericoloso in casa!?
    Dall'espressione sul volto di Poison compresi che stava sentendo i miei pensieri, e non poteva darmi una risposta.
    «Dunque, non abbiamo molto tempo. Tuo padre è un uomo molto furbo, ma decisamente troppo ansioso. Il che significa che agirà prima del previsto, ed i nostri piani verranno stravolti».
    Nostri?
    «...l'importante è che tu comprenda che io non ho assolutamente intenzione di farti del male. Devi comprenderlo, perché devi fidarti di me. Devi avere assoluta fiducia nei miei confronti. Ti diranno tutti che sono pericoloso. Che sono un killer, che ho fatto delle cose orribili e che sono qui per farti del male. Ma tu devi promettermi che non dubiterai mai del fatto che non ho assolutamente intenzione di ferirti in alcun modo».
   Che bello, Poison aveva deciso di sputare il rospo e l'unica cosa che ne era venuta fuori era che mi stava semplicemente mettendo una paura fottuta addosso e mi stava confondendo ancora di più le idee.
    Innanzitutto, chi mi avrebbe detto di non fidarmi di lui? E perché allora tutti pensavano che lui era venuto per uccidermi o qualsiasi cosa fosse?
    No, non ci stavo capendo assolutamente nulla.
    Pensai che a questo punto, tanto valeva annuire e credergli. Infondo, almeno per il momento, era l'unica persona che sapeva qualcosa su tutta la faccenda. Oh, se sapeva...
    Certo, c'era anche mio padre, che stando alle parole di Poison mi stava tenendo all'oscuro di una grandissima quantità di cose, ma se interpellarlo significava istigarlo ad uccidere Party Poison, o istigare Party Poison ad uccidere me prima che mio padre uccidesse lui, era un gran casino che al momento volevo evitare.
    ...non che potessi rimandare quel momento in eterno.
    Prima o poi sarebbero state scoperte tutte le carte. Poison me lo stava dicendo, e mi stava gentilmente chiedendo di fidarmi di lui e di smetterla di riempirlo di domande alle quali, per motivi a me non molto chiari in quel momento, non poteva rispondere.
    «...ed ora arriva la parte più importante...» aggiunse Poison dopo un pò. Probabilmente dopo aver ascoltato tutto il caos che c'era nella mia testa. Sollevai un sopracciglio, curiosa. «Credevo di avere più tempo, ma non è così. Ed ora tu devi aiutarmi...».
    Non dovetti nemmeno chiedere. Mi spiegò che il suo intento era quello di risucchiare via i miei poteri. Mi disse che poteva farlo senza uccidermi. Senza farmi fare la stessa fine di Kim. E lo disse con tono convincente, certo. Se non fosse che sapevo che non ne era così sicuro. Lo sentivo.
    Lo capii dal modo in cui mi guardava. Da quel particolare velo di incertezza nel verde dei suoi occhi. Sorrise per convincermi. Per ricordarmi che gli avevo promesso che mi sarei fidata di lui.
    Mi disse «Se non lo faccio io, lo farà qualcun altro. Ma in quel caso, non sopravviverai.». Così, senza troppi giri di parole, eravamo arrivati finalmente ad una conferma: la mia vita era in pericolo, perché qualcuno voleva rubare i miei poteri.
    Feci un respiro profondo. Pensai che non volevo finire prosciugata come Kim. Che non volevo morire così. Pensai che Mikey l'aveva previsto, e che io avevo visto quella scena inquietante nella mente di Poison.
    Party Poison allungò una mano verso la mia.
    Pensai che non volevo perdere i miei poteri. Che erano una gran figata e che senza non sarei stata in grado di vivere. Pensai che non sapevo essere una ragazza normale, una ragazza senza strane ed inspiegabili capacità.
    «Sto cercando di salvarti, Candice...» sussurrò Poison, incrociando le sue dita tra le mie.
    Di nuovo quel calore, fastidioso e pungente, che dalla mano saliva verso il braccio, la spalla, la testa.
    Faceva dannatamente male. Faceva male e non ero sicura di riuscire a sopportarlo.
    Bruciava così tanto che sentivo il bisogno di urlare, e di piangere, e di spingere via Poison. Strinsi i denti e chiusi gli occhi. Cercai di pensare a qualcosa, qualsiasi cosa che non fosse quel dolore.
    Ma era come se la mia testa stesse andando a fuoco.
    «Smettila!» urlai, dopo non so quanto.
    Poison scostò immediatamente la sua mano dalla mia. Ne fui grata. Se avesse voluto uccidermi, non mi avrebbe ascoltata. Invece si era fermato.
    Guardai il mio braccio, alla ricerca di segni di ustioni e bruciature. Ma non c'era nulla. Solo le lunghe linee delle mie vene che sembravano diventate più scure e più nette sotto la pelle. Faceva senso. Sperai che non restasse così a lungo.
    «Passerà presto...» mormorò Poison senza guardarmi.
    «...fa male. Non riesco a sopportarlo...» dissi, massaggiandomi il braccio con la mano sinistra.
    Party Poison fece una smorfia. Compresi che quello era solo un assaggio del dolore che avrei provato quando avrebbe davvero risucchiato via tutti i miei poteri.
    Il battito del mio cuore accelerò bruscamente. Avevo paura. Avevo davvero una paura fottuta.
    Poi Poison fece qualcosa che mi sorprese. Mi abbracciò. Senza bruciarmi, senza niente del genere. Mi abbracciò, come per darmi conforto.
    Compresi che si sentiva in colpa per avermi fatto del male. Sentii che sapeva che probabilmente non sarebbe riuscito a salvarmi. Sapevo che lo stava pensando. Sapevo che tutta questa storia non avrebbe portato nulla di buono.
    Poggiai la fronte sulla sua spalla, ricambiando l'abbraccio.
    Ti prego, salvami. Non voglio morire.
    «Ti prometto che farò del mio meglio...» sussurrò Poison, sollevandomi il mento con una mano, per guardarmi dritta negli occhi.
    Aveva un buon profumo, e mi stava tenendo stretta a sé, proprio ciò di cui avevo bisogno. Era qualcuno che voleva proteggermi. Era qualcuno al mio fianco. Non potevo aver paura di lui. Non dovevo.
    Fece un sorriso impercettibile, sollevando di pochi millimetri i lati delle labbra.
    Continuavamo a guardarci negli occhi.
    Il verde delle sue iridi mi trasmetteva una strana sensazione di tranquillità.
    E così, non so nemmeno se ci pensai o meno, avvicinai ancora di più il mio volto al suo. Le mie labbra alle sue. E lo baciai.
    E forse era perché non facevo una cosa del genere da mesi ormai, forse perché avevo dimenticato tutto, ma giuro che provai una sensazione bellissima. Come un milione di brividi che colpivano ogni parte del mio corpo.
    Sentii la mano di Poison dietro la mia nuca, mentre spingeva il suo corpo contro il mio e trasformava il bacio, partito come l'ultimo desiderio - o qualcosa del genere - di una ragazza che probabilmente sarebbe morta prosciugata di ogni cellula vitale di lì a poco, in qualcosa di più... passionale, ecco.
    Ed era davvero qualcosa di grandioso, giuro. Una di quelle cose che sicuramente avrei raccontato alla mia migliore amica, se ne avessi avuta una.
    Almeno fin quando Poison non si fermò, e scostò di qualche centimetro il suo viso dal mio, e guardandomi con aria imbarazzata fece un respiro profondo.
    Ed io cominciai a pensare che probabilmente avevo commesso una delle stronzate più eclatanti della storia della mia vita. Pensai che non avrei mai e poi mai dovuto baciarlo. Pensai che ero una stupida e che volevo seppellirmi.
    Ma quello era niente in confronto a ciò che successe dopo qualche secondo.
    «Ehm... non siamo soli...» disse Poison, voltando la testa verso la porta della camera. Dove non c'era nessuno. Così lo guardai confusa, aggrottando la fronte. Ma lui continuava a guardare verso la porta, così guardai anche io in quella direzione e... BAM, Frank.
    Bene. Ora si che volevo seppellirmi.
 

 

- - -
Ok, spero che il capitolo non sia troppo lungo, o troppo confusionario, o troppo pessimo. Ci ho messo un pò a scriverlo perché mancano OHOHOH tipo, undici giorni al mio MATRIMONIO e sto tipo ajkshdajkhdjaskhdajk - ok, sono quattro mesi che sto così ma vabbè XD - e quindi comprendetemi.
    Comunque, sta uscendo fuori qualcosa in più. Questo capitolo dovrebbe far comprendere alcune cose, o stimolarvi a formulare nuove teorie, che sapete io amo da morire.
Comunque, spero vi sia piaciuto.
Per qualsiasi cosa, recensite, commentate, chiedete pure...
Vi adoro.

PS: si, ho cambiato nick, finalmente. Sono Thor-nata (?) alle origini u.u
Ah, e per chi non lo sapesse ancora, il Prologo di Preps 2 è stato pubblicato gente, ed aspetta solo che voi lo leggiate e lo commentate! u.u (???)
Ok, basta, vado al supermercato a comprare la cena.
xoxo
POPstitute

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Capitolo 8
*** Capitolo Extra #2 ***


Nuova pagina 1

Capitolo Extra #2

    California
    Molti anni prima

    L'ala Est del laboratorio di ricerca della Better Living Industries era ancora in fase di ristrutturazione.
Dopo l'esplosione accidentale avvenuta qualche settimana prima, Korse, il dirigente del segretissimo gruppo di ricerca e sviluppo al quale aveva dato vita insieme al suo compagno di studi e migliore amico Gordon Crow, aveva dato l'ordine di sospendere per un pò il loro progetto per dar modo ai soccorsi di riassemblare il laboratorio principale.
    Ma se da una parte l'esplosione aveva arrecato gravi danni alla struttura della base della BL/Ind., d'altro lato aveva - sorprendentemente - dato una spinta in più alla voglia di portare a termine il progetto ai due scienziati.
    Victoria, comunque, non riusciva a smetterla di preoccuparsi.
    Sentiva che qualcosa sarebbe andato storto. E comunque sia Korse che Crow erano stati molto vaghi quando gli aveva chiesto delucidazioni riguardo i possibili effetti collaterali dovuti all'esplosione.
    La cosa che la preoccupava di più era il fatto che le vittime principali dell'incidente erano stati i loro bambini.
    Si era ripetuta più volte che, anche se era inutile ormai, avrebbe dovuto dar retta a Donna Way quando questa suggerì che soggiornare in edifici così vicini al laboratorio sarebbe stato da evitare, se non altro per i bambini.
    Victoria allora pensava che Donna fosse semplicemente troppo ansiosa, e magari la gravidanza le aveva scombussolato così tanto gli ormoni che doveva per forza trovare un pretesto per andare contro alle decisioni della direzione.
    In fondo c'erano voluti anni ed anni di studi e lavori per costruire gli edifici della Better Living. Korse e Crow lavoravano a quel progetto sin da quando erano al primo anno di università, e ci avevano messo tutta la passione possibile.
    Avevano creato il tutto pensando ai comfort più adeguati alle esigenze delle loro famiglie, in modo che potessero si, dedicare gran parte del loro tempo al progetto che sostenevano avrebbe migliorato ed anche di molto lo stile di vita dell'uomo, ma, al tempo stesso, potessero passare il tempo libero con le rispettive famiglie.
    Korse aveva fatto costruire delle abitazioni tipiche, dove lui e i suoi dipendenti alloggiavano regolarmente. Oltre al laboratorio, aveva fatto costruire un edificio circondato da un ampio giardino, dove i bambini avrebbero potuto passare le giornate studiando e giocando.
    La sua idea era quella di ricreare uno stile di vita moderno e semplice. Voleva rendere la felicità a portata di mano di ogni uomo. E per farlo, bisognava cominciare dal comfort, dalle più piccole esigenze.
    Ma quello era niente in confronto al progetto a cui stava lavorando ormai da anni con Crow.
    I due avevano provato e riprovato, ed alla fine erano vicini tanto così dal realizzare il primo medicinale in grado di ampliare ed aumentare le abilità dell'uomo normale.
    Come si divertiva a ripetere spesso Victoria, forse i due avevano passato troppo tempo da ragazzini a fantasticare sui supereroi, ma le loro intenzioni erano quelle di far si che grazie ad un semplice medicinale tutti, chi in un modo e chi nell'altro, avrebbero avuto la possibilità di eccellere in uno specifico campo. Chi magari era già un bravo corridore, grazie alla loro invenzione sarebbe diventato un corridore eccellente. Chi aveva delle buone capacità mnemoniche, dopo l'utilizzo del medicinale, sarebbe diventato un vero genio della memoria...
    Quel medicinale avrebbe contribuito anche allo sviluppo di cure contro le malattie degenerative. Quello su cui stavano lavorando non era un semplice stimolatore dei neurotrasmettitori, ma una vera e propria possibilità di cambiare lo stile di vita attuale rendendolo decisamente migliore. Quasi perfetto.
   
    Ma quell'esplosione, quell'incidente, aveva mandato tutto all'aria.
    E nonostante i feriti non fossero gravi e per lo più si erano quasi del tutto ripresi, il lavoro di una vita intera era andato letteralmente in fumo.
    O almeno, così sembrava.
    Fu proprio Victoria ad accorgersi che qualcosa stava succedendo.
    Era seduta davanti alla finestra che dava sul cortile dove un gruppo di bambini stava giocando. Il loro spazio era ristretto, dato che parte del giardino era stato recintato a seguito dell'incidente.
    Teneva d'occhio più o meno tutti, ma il suo sguardo come al solito si posava su Candice sempre più a lungo.
La sua bambina sembrava essersi ripresa alla grande, nonostante facesse fatica a dormire tranquilla dopo lo spavento dell'esplosione. Correva da una parte all'altra, ed aveva insistito perché suo padre le togliesse quelle bruttissime bende che le fasciavano il braccio.
    Era proprio dalla parte del cortile più vicina al laboratorio, Candice, al momento dell'esplosione. Ma nonostante tutto, aveva riportato solo qualche ferita leggera in vari punti del corpo.
    Quella mattina aveva voluto togliere le bende, perché anche tutti gli altri bambini le avevano tolte, e lei non voleva che la prendessero in giro.
Stranamente suo padre, nonostante inizialmente fosse contrario, perché temeva che le ferite fossero ancora aperte, aveva presto acconsentito al capriccio di sua figlia senza troppe storie.
    Ed ora Candice correva e giocava come se niente fosse. Come se fosse la bambina più felice del mondo.
    Victoria sollevò un sopracciglio incuriosita, sporgendo la testa lievemente fuori dalla finestra, per ascoltare le parole della bambina, che, in piedi davanti ad un circolo formato dai suoi compagni di giochi, parlava a gran voce.
    «Ed ora comando io, sono io il capitano, punto e basta!» disse Candice con la sua voce squillante.
    La donna non fece in tempo a sorridere, per la cocciutaggine della bambina che le ricordava proprio quella di suo padre, che tornò immediatamente seria, non appena notò che, più o meno all'unisono, tutti gli altri bambini annuivano ripetendo «Ok, sei tu il capitano».
    Era una cosa fuori dal comune. Specialmente a quell'ora del tardo pomeriggio, quando ormai i ragazzini erano per lo più stanchi e si stranivano facilmente, era atipico il fatto che nessuno degli altri compagni cercasse di opporsi alla presunzione di Candice.
    Ma quello era solo l'inizio di una lunga serie di strani avvenimenti che misero in allarme Victoria prima, e Korse e Crow immediatamente dopo.
    Giorno dopo giorno, i bambini cominciavano a mostrare delle capacità decisamente anormali.
Ray aveva appena 9 anni, eppure aveva mostrato una forza spaventosa quando per giocare aveva lanciato la palla contro una parete frantumandola, letteralmente, nel punto in cui era stata colpita.
    Frank Iero era letteralmente sparito nel nulla per almeno quattro ore, giocando a nascondino con gli altri, diventando invisibile, di punto in bianco.
    E Mikey Way, il secondogenito di Donald e Donna, aveva raccontato di aver fatto degli stranissimi sogni per tre notti consecutive. Alcune parti dei suoi racconti si erano avverate, come se fosse un veggente o qualcosa del genere. Si trattava di piccole banalità, per lo più.
    D'altronde, nessuno credeva che potessero realizzarsi anche quegli incubi in cui il Dr. Crow rapiva delle persone o cose simili.
   
   

- - -
SBEDEBEM!
Ok, prima di tutto, perdonate la mia luuuunghissima assenza. Avevo anche la giustificazione firmata dalla sottoscritta ma il cane l'ha mangiata quando mi sono assentata a seguito di un rapimento alieno avvenuto nella notte tra il 29 e il 30 Febbraio.
Bene, perdonate anche la brevità [brevezza? Brevosità? Brevitudine? Dio, si nota che è da tanto che non scrivo, eh?] del capitolo, e scusate anche se invece di deliziarvi [?] con un capitolo in cui si continuano a narrare le vicende post riapparizione-di-Frank, vi ho postato uno dei Capitoli Extra in cui si narrano le vicende pre-tutto-quanto.
Ma questo capitolo prima o poi doveva arrivare, non so bene se per schiarirvi le idee [ghghgh] o per incasinarvele ancora di più [mwhawhawha].
Comunque vi prometto che il prossimo capitolo arriverà presto [inizio a scriverlo stasera stessa] e sarà molto più lungo.
Dunque, io vado a prendere i chiodi, così se ne avete voglia potete mettermi in croce con commenti del tipo "Fottiti, tutto sto tempo per pubblicare na minchiata simile".
PS: i martelli portateli voi, è Venerdì sera, e ciò significa che non cucino, non stiro e non faccio sforzi eccessivi u.u
[????]
*scappa via prima dell'arrivo dei medici del Centro di Igiene Mentale*

xoxo
Tere

Ah, e a chi non lascia una recensione - positiva o negativa che sia - gli puzzano i piedi! u.u

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 7 ***


Nuova pagina 1

Capitolo 7

    Impiegai più o meno due o tre minuti per riuscire a trovare la cosa giusta da dire.
Ovviamente non ci riuscii, così tutto ciò che pronunciai fu un imbarazzatissimo «Ehi, Frank!». Giuro. Sono sicura che in quel preciso istante Frank si stava facendo infiniti film mentali su come uccidermi. O su come uccidere Poison.
    Sono sicura che volesse ucciderlo. Cioè, disse proprio «Io ti uccido!». Più chiaro di così...
    Mi alzai di scatto, spingendo via Poison per mettermi davanti a lui prima che Frank potesse non lo so, ucciderlo sul serio.
    Quello che non mi aspettavo era l'effetto che avrebbe provocato in me guardare di nuovo Frank dritto negli occhi. Dopo tutto quel tempo.
Non so se riuscite a capirlo, ma faceva male. Davvero tanto male. Mi resi conto che stavo per piangere. Avevo gli occhi lucidi, e la gola in fiamme, e se avessi aperto bocca probabilmente sarei scoppiata in un mare di lacrime.
    Fortunatamente ci pensò Mikey a distoglierci da quella situazione. Frank era immobile davanti a me e sembrava non più arrabbiato come qualche secondo prima quando aveva annunciato a gran voce la sua intenzione di uccidere Poison. Ora guardava me, dritto negli occhi, e sembrava dispiaciuto, o deluso, o triste. O tutte e tre le cose insieme.
    «Frank! Cazzo, quando sei arrivato!? Da dove sei passato!?» chiese Mikey afferrandolo per un braccio per poi abbracciarlo come... come in realtà avrei voluto fare anche io.
    Frank gli fece un mezzo sorriso ricambiando l'abbraccio del suo amico.
    L'espressione di Frank tornò seria non appena si staccò da Mikey.
    «Che...» mormorò, poi fece un respiro profondo come per prendere tempo e riformulare la frase che stava per pronunciare «Cosa cazzo ci fa lui qui!?» domandò guardando Poison con aria velenosa «Esci dalla mia camera, dai miei vestiti e sopratutto stai lontano dalla mia ragazza o giuro che-».
    Poison fece una risatina. Una risatina davvero fastidiosa. Non c'era assolutamente bisogno di quella dannata risatina in effetti. Frank mi afferrò per un braccio e mi tirò verso di lui, come per proteggermi.
    Ok, aveva trovato un altro uomo nella nostra camera da letto, con i suoi vestiti addosso, sdraiato sulla sua ragazza, ma per prima cosa, lui se n'era andato chissà dove molti mesi prima quindi supposi che avrebbe dovuto perdere il diritto di poter dire che io ero la sua ragazza, e comunque, non c'era bisogno di essere così aggressivi.
    Subito dopo compresi che forse Frank era proprio una di quelle persone che consideravano Party Poison estremamente pericoloso. Non che avessi idea del perché e del come potesse pensare certe cose, ma era ovvio che lo pensava.
    «Cos'hai intenzione di farmi? Sei sicuro di aver finito il tuo addestramento? Crow ti ha davvero insegnato come uccidermi?» fece Poison, sollevando un sopracciglio.
    Ah, se solo avessi potuto fare qualche domanda al riguardo... del tipo "Perché mai mio padre avrebbe dovuto insegnare a Frank come uccidere Party Poison?". Insomma, mio padre...
    «Dove sei stato, Frank?» chiesi interrompendo per un attimo le loro occhiatacce reciproche «...perché te ne sei andato?» e con quest'ultima domanda scoppiai in lacrime, stringendomi a lui e poggiando il viso sulla sua spalla.
    Riaverlo, lì davanti a me, riuscire a sentire il suo profumo, il battito del suo cuore, era davvero... no, non credo ci siano parole per descrivere una sensazione simile.
    Volevo dirgli che mi era mancato, che era stato uno stronzo ad andarsene così ma che in realtà per tutti questi mesi non avevo fatto altro che sperare che tornasse. E finalmente era tornato, ed io avevo baciato Poison ed avevo creato un gran bel casino.
    Mi abbracciò. Mi strinse a sè ed era semplicemente bellissimo. C'erano un sacco di cose di cui dovevamo parlare, ma per quella manciata di secondi non mi importava di nulla. Frank era tornato, e il resto non contava.
    Sentii Mikey mormorare a Poison di lasciarci soli, così uscirono dalla camera chiudendosi la porta alle spalle.
   
    «Non devi fidarti di lui...» fu la prima cosa che mi disse Frank, quando riuscii a smetterla di piangere.
    Feci un respiro profondo «Non è pericoloso, Frank. Non lo conosci. Giuro che non-».
Frank fece una smorfia «Tu invece lo conosci? Cosa sai di lui? Da quanto tempo è che se ne sta qui in casa nostra?» domandò, palesemente arrabbiato «Da quanto tempo voi due-». Non riuscì nemmeno a finire la frase.
    Ovviamente quel "voi due" bastava a rendere l'idea di ciò che aveva in mente.
    «Dio, Frank, giuro che non è come sembra!» dissi, ancora prima di rendermi conto che era davvero una frase stupida da dire «No, ok, si, è come sembra ma giuro che...». Non so nemmeno cosa volevo dirgli, in realtà. Insomma, mi aveva trovata lì nella nostra camera a baciare un altro ragazzo che lui considerava altamente pericoloso...
    «Fanculo. Se avessi immaginato che tornare a casa sarebbe stato così giuro che sarei rimasto a Dover» mormorò lui sedendosi sul bordo del letto e passandosi una mano tra i capelli.
    Li aveva fatti crescere, e stava davvero bene, ma aveva appena detto che avrebbe preferito non tornare quindi non avevo alcuna intenzione di fargli i complimenti per il suo nuovo look.
    «Stai dicendo sul serio? Cioè, sei sparito per... Dio ho perso anche il conto di quanti giorni sono passati da quando te ne sei andato lasciandomi solo uno stupido ed inutile messaggio sul frigorifero, non ti sei degnato nemmeno di farti sentire da quando sei sparito, sono stata qui a chiedermi dove diavolo avevo sbagliato e perché sei stato così codardo da non dirmi nemmeno perché mi stavi lasciando! Ed ora di punto in bianco ti presenti qui e prima ancora di spiegarmi perché cazzo hai deciso di mandare a puttane la nostra storia ti comporti come se io avessi fatto il peggior torto al mondo baciando un ragazzo che, se tanto vuoi saperlo, non è affatto pericoloso ma addirittura mi ha salvato la vita, mentre tu eri chissà dove a fare chissà cosa!» esplosi, d'un tratto.
    Insomma, non era certo carino sentirsi dire che sarebbe stato meglio non tornare dopo tutto quello che avevo passato da quando se ne era andato!
    Frank mi guardò in silenzio, per almeno un minuto, mi guardò senza dire una parola. La sua espressione non comunicava nulla, ma madre natura mi aveva donato dei superpoteri che mi aiutarono a capire quanto male gli avessero fatto le mie parole.
    «Credi davvero che tra noi sia finita?» mi chiese mormorando, tenendo lo sguardo fisso sul suolo.
    Alzai gli occhi al cielo. Che cavolo di domanda era? No, dico, sul serio... era stato lui a lasciarmi, lui ad andarsene, lui a non dare spiegazioni, ed ora sembrava che la stronza di turno fossi proprio io.
    «Non c'è bisogno che tu risponda...» disse poi, alzandosi ed uscendo dalla stanza. Lasciandomi lì, di nuovo, da sola.
    Sperai che fosse solo un dannato incubo. Giuro che non desiderai altro che svegliarmi e scoprire che stavo dormendo e che nulla di tutto ciò fosse successo. Che fosse tutto un brutto sogno, il bacio con Poison, il ritorno di Frank...
    Quando andai in cucina Poison mi disse che Frank era uscito con Mikey, e che gli dispiaceva per tutta la situazione.
Come se fosse colpa sua, pensai...
    Mi sedetti sul bancone della cucina, guardando in silenzio Poison intento a preparare il caffè.
    «Credo di aver fantasticato almeno un milione di volte su come sarebbe stato rivedere Frank...» mormorai, senza nemmeno sapere se stessi parlando con Poison o con me stessa.
    Lui comunque lasciò stare la macchinetta del caffè e si fermò per guardarmi.
    «...sistemeremo anche questa situazione...» disse accennando un sorriso.
    «Tu credi? A me sembra che ogni giorno che passa sia sempre tutto più complicato...»
    Poison si avvicinò, posizionandosi di fronte a me. Sorrise, poggiando delicatamente la sua mano sulla mia «Beh, peggio di così cosa vuoi che succeda?».
    Sospirai «Mh, per esempio, scopro che tutti hanno ragione e tu sei davvero un serial killer psicopatico che vuole uccidermi. E la scenetta del "devi fidarti di me" è tutta una farsa, e l'unico motivo per cui mi hai baciata stamattina è per farmi cadere ai tuoi piedi e farmi credere che a me ci tieni davvero, e alla fine mi ritrovo morta e prosciugata, così al mio funerale non potranno nemmeno tenere la bara aperta» ipotizzai.
    Poison deglutì, spostando la sua mano dalla mia.
    Tornò a prepararsi il caffè, ed io tornai a pensare all'unico modo per riuscire a capire qualcosa su tutta la questione.
    Andai a vestirmi al volo e a passo svelto mi diressi a casa di mio padre.

    Aspettai di vedere mio padre uscire con la macchina prima di entrare. Prima di tutto non avevo voglia di parlare con lui, perché non sapevo davvero cosa avrei dovuto raccontargli: se la verità, se fingere che negli ultimi tempi non era successo nulla di entusiasmante, non ne avevo la minima idea.
    E poi, se fosse stato in casa non avrei potuto mettere piede nel suo studio, ed ovviamente era proprio lì che volevo andare.
    Sapevo che lì dentro ci teneva delle informazioni preziose, perché sin da quando ero una bambina, quella stanza della casa era decisamente off limits, una volta provai ad entrarci per curiosare un pò e mio padre reagì quasi come la Bestia che aveva trovato Belle nell'Ala Ovest.
    Chiaramente non avevo idea di cosa cercare, ma sapevo che avrei comunque trovato qualcosa. Accesi il suo computer e cominciai a rovistare tra le sue cartelle. Dopo aver visto decisamente troppe foto di famiglia, e vecchie foto scannerizzate dei miei da giovani che se la spassavano insieme ai genitori di Mikey, trovai una cartella curiosamente zeppa di files chiamata come l'azienda di mio padre: P-Plus.
    Non avevo il tempo per mettermi comoda a sfogliare ogni singolo file, quindi decisi di stampare ogni foglio ed immagine e qualsiasi altra cosa per poi dileguarmi lasciando tutto nella stessa esatta posizione in cui si trovava prima del mio arrivo.
    Mentre la stampante sputava fuori i fogli uno dopo l'altro, ero riuscita a leggere curiosi paragrafi sotto ad altrettanto curiose immagini. Tutto ciò che ero riuscita a comprendere era che mio padre sapeva dell'esistenza di Party Poison, perché c'era un intero fascicolo su di lui.
    E la parola più frequente era "omicida".
    Fantastico. Quando la stampante tirò fuori l'ultimo foglio, spensi il pc, sistemai tutto e con il cuore in gola per l'ansia uscii dalla casa di mio padre.
    Andai direttamente nella Zona Industriale. Lì potevo leggere tutti quei fascicoli senza essere disturbata.
    E il contenuto di quei file andava decisamente oltre ogni mia aspettativa più assurda...

 

---

Bene. Perdonate la mia assenza.
Ho avuto un pò di impegni ed un pò di problemi con internet e il pc portatile che uso per scrivere.
Ora sembra che sia internet che il pc funzionano quindi ho preso la palla al balzo (?) ed aggiornare almeno questa FF.
Dunque, spero il capitolo vi sia piaciuto, spero che non sia passato così tanto tempo che abbiate dimenticato cosa succedeva nei capitoli precedenti e spero mi lasciate una recensione per farmi sapere cosa ne pensate eccetera.

xo

Tere

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Capitolo 10
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

    Dopo aver letto ogni singolo foglio stampato dalla cartella top secret del pc di mio padre, avevo le idee ancora più confuse.
Avevo creduto che leggere quei files mi avrebbe dato delle risposte, mentre mi ritrovavo ad avere ancora più domande.
    Alcuni dei files contenevano vecchi documenti firmati dal pugno di mio padre e mia madre. Risalivano a quando avevo all'incirca sei o sette anni, ed erano stati rilasciati in California.
    Per quanto ne sapevo io, non ero mai stata da quelle parti, né da adulta, né tantomeno da bambina.
    Nonostante mio padre viaggiasse spesso per lavoro, i suoi spostamenti erano limitati alla costa est, così come i rari viaggi che facevamo insieme durante le vacanze estive.
    Ma quei documenti erano un semplice dettaglio trascurabile, in confronto agli altri fascicoli che avevo letto.
    Party Poison veniva nominato davvero troppo spesso. Era come se mio padre avesse un'ossessione nei suoi confronti.
    Gli unici altri nomi che citava così tanto erano Gerard e Korse.
    In una riga nominava anche Donna Way.
    Ora, è ben chiaro che io non sapevo assolutamente nulla di ciò che stava succedendo o che fosse successo nel passato.
    So solo che i miei genitori conoscevano Donna Way da anni, e che mia madre era una sua ottima amica.
    So anche che fino ad un certo punto andavano parecchio d'accordo, ma poi per qualche strano motivo i rapporti si slacciarono del tutto.
    Pensandoci meglio, riuscii a ricordare che il momento in cui mio padre smise di frequentare i Way risaliva allo stesso periodo in cui mia madre cominciò ad ammalarsi.
    Me ne stavo seduta con la schiena poggiata contro una parete di una delle mille fabbriche nella Zona Industriale, ed avevo totalmente perso la cognizione del tempo. Ormai in testa avevo solo l'idea di riuscire a capirci qualcosa. Così mi misi a riflettere sulla mia infanzia. Sul giorno in cui mia madre cominciò ad ammalarsi, poco prima del divorzio con mio padre.
    Ricordavo davvero pochissimo. Era come se avessi voluto rimuovere quei ricordi perché facevano male, e pensai che era comprensibile perché una delle scene più frequenti che riuscivo a farmi tornare in mente raffiguravano mia madre che piangeva istericamente ogni volta che usciva dallo studio di mio padre.
    Non ricordavo molto altro. Mi tornò in mente il giorno in cui mio padre mi portò un nuovo peluches e si sedette sul mio letto, cercando di tranquillizzarmi mentre mi spiegava che lui e la mamma non andavano più d'accordo ed avevano deciso che per il mio bene era meglio separarsi.
    Mi misi a piangere, perché io non volevo, ma lui mi abbracciò spiegandomi che purtroppo mia madre era molto malata ed era stata portata in un centro medico dove si sarebbero presi cura di lei.
    Eppure, dovetti sforzarmi infinitamente per far riaffiorare quei ricordi.
    Erano memorie sfocate e lontane, era quasi come se non mi appartenessero nemmeno.
    Mi provocai un fastidioso mal di testa, cercando di ricordare oltre, ma tutto ciò che mi veniva in mente erano le telefonate rare di mia madre che mi chiedeva come me la passavo e mi assicurava che presto si sarebbe presa cura di me.
    Col tempo cominciai a pensare che le cure che le stavano dando non fossero così adeguate, perché dopo anni ed anni ancora non era tornata.
    Mi abituai a non averla più intorno. A stare da sola con mio padre e la mia guardia del corpo.
    Sentivo la sua mancanza, ma ogni volta che piangevo mio padre veniva a consolarmi, e più passava il tempo, più la malinconia andava scemando. Era come se pian piano presi consapevolezza del fatto che mio padre aveva ragione. Che mia madre stava così male che era strettamente indispensabile, per il bene di tutti, che restasse sotto controllo in quell'ospedale dove io non potevo nemmeno andare a trovarla.
    Mi resi conto solo in quel momento, mentre la luce del sole spariva per dar spazio alla sera trasformando il tranquillo posto che mi ero trovata nella Zona Industriale in uno scenario quasi spaventoso tanto fosse buio e silenzioso, che era quasi assurdo.
    Non poteva essere normale il modo in cui pian piano rinunciai al desiderio di volermi ricongiungere a mia madre. Non poteva essere normale il modo in cui, mentre le prime volte che sentivo qualcuno nominare "Victoria" sentivo una fitta al cuore, col tempo anche il suo nome aveva smesso di smuovere qualcosa in me.
    Cominciai a pensare che io e mio padre eravamo entrambi delle persone orrende, perché l'avevamo abbandonata.
    Provai a ricordare qualcosaltro, qualche altro momento della mia infanzia.
    Mio padre non mi avrebbe mai e poi mai portata da lei, così cercai di rovistare nella mia memoria per riuscire magari a ricordare se mai fossi venuta a conoscenza del nome della clinica in cui era rinchiusa.
    Non ci riuscii. Non ricordai nulla.
    E non ebbi ulteriore tempo per pensarci.
    Sentii un rumore di passi pesanti sul suolo in ghiaia che circondava la fabbrica dove mi ero nascosta.
    Vi ho gia detto che da quelle parti non c'è mai nessuno, così non riuscii a non spaventarmi.
    Mi alzai in piedi, raccogliendo tutte le mie carte, pronta a correre il più velocemente possibile se ce ne fosse stato bisogno.
    Cercai di muovermi sielnziosamente verso la parte opposta alla provenienza del suono dei passi che si facevano sempre più vicini, ma prima ancora che potessi cominciare a correre, sentii una voce chiamarmi.
    Non conoscevo quella voce, ma d'istinto mi voltai.
    Alla penombra non riuscii a riconoscere i tratti del volto dell'uomo che avanzava verso di me.
    I suoi contorni erano delineati, aveva una grande chioma di capelli intorno al viso, ed avanzava lentamente, come per non spaventarmi.
    A qualche passo di distanza da lui, c'era anche una figura più minuta. Era una ragazza, era poco più alta di me ed aveva dei lunghi capelli che si muovevano sulle sue spalle ad ogni passo.
    «Chi siete?» chiesi. Non so bene se fosse giusto chiederlo, o anche solo restar ferma lì ad aspettare che si avvicinassero.
Comunque lo chiesi e basta.
    L'uomo sollevò le mani, come per farmi vedere che non impugnava armi e che non aveva intenzione di farmi del male.
    «Lavoriamo per tuo padre. Devi venire con noi.» disse.
    Come se ciò bastasse a convincermi che potevo fidarmi.
    Ovvio che non mi fidavo. Non mi fidavo di nessuno a quel punto.
    I due si guardarono per un attimo. Poi la ragazza fece un passo avanti.
    «Puoi fidarti di noi...» disse con quello che nella penombra mi sembrava un mezzo sorriso «Ma non abbiamo molto tempo, dobbiamo portarti da tuo padre».
    Anche senza i miei poteri avrei potuto sentire l'ansia che entrambi provavano in quel momento.
    «Che c'entra mio padre?» chiesi nervosa.
    Giuro che avrei pagato oro per sapere cosa diavolo stava succedendo, chi fossero quei due tipi e cosa diavolo c'entravano loro con me e mio padre.
    Sembrava che tutti conoscessero mio padre, chiunque avevo intorno aveva qualcosa a che fare con mio padre, o col suo lavoro, o con non so nemmeno io cosa che però era indubbiamente legata a mio padre.
    «E' lui che ci ha mandato qui a prenderti. Sa che hai rubato dei files dal suo computer, e vuole che ti portiamo da lui. Ma il tempo a nostra disposizione è davvero poco, ci sono così tante cose che dobbiamo spiegarti che purtroppo qualche minuto non basta.» rispose l'uomo.
    Sollevai un sopracciglio «Come fa mio padre a sapere che ho letto i suoi files? E cos'è che dovete spiegarmi? Riguarda i fogli che ho letto? Si tratta di quei documenti?» chiesi seriamente curiosa. Insomma, quei due sicuramente, con le buone o con le cattive, mi avrebbero portato via da lì, e sembravano davvero convincenti quando dicevano di dovermi spiegare ed io, l'ho detto, non volevo altro che delle delucidazioni quindi tanto valeva stare al loro gioco.
    «Bene, verrò con voi, allora.» dissi infine «Ma voi fareste bene a cominciare a spiegarmi tutta questa faccenda».
    Mi aspettai un sorriso, un sospiro di sollievo, non lo so, qualcosa.
Ma i due semplicemente fecero dietrofront «Seguici» dissero all'unisono, prendendo a camminare sulla ghiaia verso la strada principale della Zona Industriale.
    Feci qualche passo di corsa, per riuscire a stargli dietro. Camminavano velocemente e, sopratutto, non stavano ancora dicendo nulla.
    «Dunque?» chiesi cercando di superarli per poterli guardare in volto.
    Finalmente sulla strada principale i lampioni accesi illuminavano bene i due.
    La ragazza era decisamente carina. Aveva un viso sveglio e furbo, occhi scuri e carnagione olivastra. I suoi capelli erano incredibilmente lisci e lucenti, ed erano neri come il carbone.
    Mi ricordò una bambina che veniva a scuola con me quando ero piccola. Ma non ricordavo molto di quando ero piccola, quindi evitai di pensarci.
    Mi dissi che sicuramente al momento non era affatto rilevante.
    Ovviamente, come in vari momenti in tutta questa storia, avevo torto.

    «Sai mantenere un segreto?» chiese l'uomo.
    Non feci nemmeno in tempo a rispondere che lui riprese a parlare.
    «Non appena vedrai tuo padre, dovrai fingere di non aver capito nulla riguardo ciò che hai letto in quei fogli, ok?».
    Non riuscii a trattenere una risata «Oh, non c'è bisogno di fingere, non ci ho capito nulla sul serio...» mormorai, tornando immediatamente seria non appena i loro sguardi si posarono su di me glacialmente.
    Ok, non avevano molta voglia di scherzare, era chiaro.
    La ragazza mi lanciò un'occhiata anche abbastanza scocciata «Meglio così, allora...» disse alzando gli occhi al cielo.
    Poi mise una mano nella tasca della sua giacca di pelle e ne tirò fuori una collana d'argento, che aveva un ciondolo circolare sul quale erano incisi dei numeri.
    Era un numero di telefono, quello lo avevo capito.
    «Mettilo al collo. E non farlo vedere a tuo padre per nessun motivo al mondo.» disse seria. Dio, era carina quanto antipatica, comunque.
    Indossai la collana senza fare ulteriori domande.
    «Siamo arrivati» mormorò l'uomo indicando con un cenno della testa il vialetto d'entrata di casa mia.
    Avevo così tanti pensieri per la testa che il tragitto era sembrato più breve del solito.
Le luci della cucina erano accese, e l'auto di mio padre parcheggiata davanti al garage.
    Non la parcheggiava mai lì fuori se non quando andava di fretta.
    Era chiaro che quella sera tutti avevano fretta, in qualche modo.
    Feci un respiro profondo, seguendo i due, che tra l'altro erano stati anche così maleducati da non presentarsi, dentro casa.
    Mio padre ci venne incontro sull'ingresso, con un'aria preoccupata tanto quanto nervosa.
    «Candice!» esclamò. Pensai che volesse venirmi incontro ed abbracciarmi. Non so perché lo pensai, dato che comunque non lo fece.
    Restò in piedi, poi mi guardò, poi guardò il ragazzo, poi la ragazza.
    Poi voltò le spalle, e si incamminò verso la cucina.
    Spostò una sedia dal tavolo «Siediti...» disse, serio come se fosse appena morto qualcuno.
    Lo guardai incuriosita.
    Magari era arrivato il momento della verità! Magari mio padre aveva deciso di farmi capire cosa diavolo stava succendendo!
O magari mi stava per dire che ero diventata pazza ed avevo le allucinazioni ed in realtà non era successo affatto nulla ed io avevo ereditato il gene della follia da mia madre e...
    Mio padre spostò un'altra sedia e la posizionò di fronte a me. Fece un cenno con il capo alla ragazza.
    Lei fece una smorfia, e con molta poca grazia si mise seduta.
    «Ed ora?» chiesi. Per un attimo, pensai a quella scena che avevo visto nella mente di Poison. Quella in cui io ero su una sedia e Party Poison mi teneva la testa come per strapparmi via il cervello, come aveva detto Mikey.
    Scossi la testa. Mio padre non mi avrebbe mai fatto del male, mi dissi.
    La ragazza allungò una mano e mi afferrò il polso destro. Ritrassi il braccio, d'istinto, ma dal suo sguardo della serie "Idiota, non voglio mica amputartelo, dammi questo braccio e stai buona", compresi che ero un'idiota, che mica voleva amputarmi e che dovevo darle quel braccio e stare buona.

    Mi risvegliai alle 11,45.
Il sole era già alto nel cielo e filtrava dalle tende della mia cameretta prepotentemente.
    Mi sentivo davvero poco bene, la testa era pesante e ci misi un pò a mettere a fuoco la vista.
    Ero certa di non aver bevuto nulla di alcolico la sera precedente, eppure avevo tutti i sintomi di un post-sbornia clamoroso, mal di testa, nausea, stanchezza nonostante avessi dormito fino a tardi...
    Cercai di ricordare cosa fosse successo prima che andassi a letto, ma non ricordavo molto. Solo che mi ero messa a letto più presto del solito perché non mi sentivo molto bene.
    Dalla cucina provenivano dei rumori così, con molta fatica comunque, mi diressi al piano di sotto.
    Non sapevo nemmeno perché fossi a casa di mio padre e non a casa mia.
    Forse avevo litigato con Frank.
    Magari avevamo discusso ed io me ne ero andata a dormire da mio padre. Magari avevo pianto tutta la notte e quello era il motivo di un risveglio così faticoso.

 

- - -
Bene bene bene.
Noto con piacere che i più appassionati [?] hanno i piedi profumati [??]. Buon per voi.
Dunque, come promesso, eccovi il capitolo "vero" [cit.].
Spero sia di vostro gradimento.
Se non fosse, sbagliavo, i piedi vi puzzano ancora. Gnè.
[Le NdTeresina continuano a cadere nella fossa del degrado sempre più velocemente. Ho quasi paura.]
Ok, ricapitolando, nello scorso capitolo si è notato che A, non ho nominato Gerard, e B, ho usato "secondogenito" riferendomi a Mikey. Gh. Ghgh.
Qui notiamo un capellone [Ray] e una tizia sconosciuta che gia mi sta antipatica e manco so come si chiama [u.u] che, lavorando per Mr. Crow in persona, prendono Candice e ne fanno... oddio, non ricordo, non so cosa sia successo, mi sono svegliata così strana stamattina...

A presto.
XO
Tere, la vostra POPstituta di fiducia.
   

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 9 ***


Nuova pagina 1

«»

Capitolo 9

    Scendendo in cucina sentii la voce di Frank, e ne fui felice. Non so perché, l'ho detto, quella mattina mi sentivo davvero strana, ma era come se avessi sentito la mancanza di Frank per secoli. Sentii la porta di casa che si aprì, mio padre che bisbigliò qualcosa e Frank che rispose «Non si preoccupi, ci penso io».
    Come ho detto, non avevo idea di cosa stesse succedendo, o di cosa fosse successo, dunque aspettai solo di sentire mio padre richiudersi la porta di casa alle spalle e poi corsi incontro a Frank abbracciandolo come se non ci fosse un domani.
    Lui mi guardò per qualche secondo, poi sorrise imbarazzato «Ehi, dobbiamo parlare...» disse scostandosi.
Feci una smorfia. Forse avevo ragione, avevamo litigato e non me ne ricordavo.
    Mi fece sedere al tavolo della cucina e mi versò una tazza di caffè, prima di prendere posto di fronte a me.
    «Esattamente, cosa ricordi di ieri?» mi domandò, corrugando la fronte.
    Feci un respiro profondo cercando di nuovo di ricordare cosa fosse successo. Un vuoto totale. L'unica immagine che mi tornava in mente era della Zona Industriale.
    Ecco, ero andata nella Zona Industriale...
    «Credo di essere stata alle fabbriche...» mormorai guardando Frank nella speranza che potesse illuminarmi su cosa stesse accadendo. Perché non ricordavo nulla?
    «E nei giorni precedenti? Cosa hai fatto nei giorni precedenti?» chiese ancora.
    Lo guardai scettica. Non capivo se quell'interrogatorio avesse un senso o meno.
    «Uhm, non lo so, quello che faccio tutti i giorni credo... sono andata a lavoro, sono tornata a casa, ho preparato la cena anche per quello scroccone di Mikey che con la scusa di giocare con te alla Playstation si ferma a cena da noi da almeno due anni...». Frank non sembrava molto convinto di ciò che stavo dicendo, così provai a ricordare qualcosa di più specifico. Non mi venne in mente molto, in realtà «...mh, forse... ecco, forse siamo stati ad un party!» esclamai. Dio, non potevo aver perso la memoria, era ridicolo, che diamine stava succedendo!?
    Alla parola "party" Frank sollevò un sopracciglio «Ad un party?» chiese poco convinto.
    Annuii.
    Quando Frank non disse nulla per una buona manciata di secondi, cedetti alla disperazione «Ti prego, dimmi cosa sta succedendo» lo supplicai.
    Frank mi sorrise. Uno di quei sorrisi che faceva di solito per dirmi "sono qui e mi prenderò cura di te".Gliene fui grata. Mi disse di seguirlo ed andammo verso la porta di casa.
    Fuori, sul viale, c'era un'auto scura parcheggiata e Frank tenendomi per mano si avvicinò, per poi bussare sul finestrino.
    Quando questo si abbassò, intravidi un uomo grande e grosso vestito in un abito scuro. Una guardia del corpo. Bene, qualcosa allora la sapevo ancora. Anche se ero sicura che non avessi più bisogno di essere sorvegliata ventiquattro ore al giorno, almeno ricordavo che mio padre era maniacale al riguardo.
    «Ehi, ascolta, io e Candice ce ne stiamo buoni buoni al piano di sopra e non vorremmo essere disturbati, se capisci cosa intendo dire...» mormorò Frank in imbarazzo.
    L'omone annuì e richiuse il finestrino, e Frank mi riportò in tutta fretta dentro casa. Mi fece strada fino alla mia camera, e poi si chiuse la porta alle spalle.
    «Ok, la situazione è davvero complicata...» disse, sedendosi accanto a me sul letto.
Sospirai, allungando una mano per afferrare la sua «Ne abbiamo superate tante, di situazioni complicate, io e te...» mormorai sorridendo.
    Lui scosse la testa, scostando la sua mano dalla mia.
    Fantastico, Frank doveva avercela con me, per qualche ragione, perché era così vicino ma così distante allo stesso tempo.
    «Ok, aspetta!» dissi prima che lui potesse parlare «Dimmi prima cos'è successo tra me e te, ok? Non lo so, ci siamo lasciati? Abbiamo litigato? Perché prima mi guardi come se fossi qui per proteggermi da un'invasione aliena e spiegarmi i misteri dell'universo, poi ti allontani come se ti avessi fatto il più grande torto immaginabile e non ci sto capendo nulla, quindi dimmi, sei arrabbiato con me? Ho fatto qualcosa di sbagliato?» chiesi esasperata.
    Insomma, che mai poteva essere successo di così grave per cui Frank sembrava così distaccato?
    Lui fece un respiro profondo «Candy, ascolta, non posso dirti una cosa escludendo tutto il resto della faccenda, quindi devi stare un attimo zitta ed ascoltarmi...» disse sforzandosi per restare calmo.
    «Dimmi prima se perdendo la memoria ho rimosso anche il momento in cui io e te ci siamo lasciati!» esclamai di nuovo, insistendo.
    Frank sbuffò esasperato «Si! Ok? Si, hai dimenticato che ci siamo lasciati, che hai conosciuto un altro tipo che fino a qualche ora fa non aveva nemmeno un nome accettabile all'anagrafe, sono sparito per dei mesi e quando sono tornato ti ho trovata con lui nel nostro letto. E in tutto questo tuo padre è un uomo malvagio che ha manipolato tutti noi per i suoi scopi crudeli, e poi in realtà Crow non è nemmeno davvero tuo padre, ha rapito te e tua madre quando eri ancora una bambina, poi ha rinchiuso tua madre in uno dei suoi laboratori da scienziato pazzo, tra l'altro ieri ha mandato due sue reclute a cancellarti ogni frammento di memoria che potesse riguardare tutta la faccenda dato che stavi cominciando a scoprire un pò troppe cose, e in oltre ha rapito me addestrandomi e facendomi credere che stavo operando per il tuo bene, per difenderti, e-» fece un respiro profondo «Si, a quanto pare io e te non stiamo più insieme!».
    Wow.
Restai senza parole. Sentii il bisogno di piangere perché in qualche modo non riuscivo a non credere a quelle parole, eppure sembravano al tempo stesso così ridicole ed assurde. Non ricordavo nulla, e lui aveva tirato fuori delle storie così... così crudeli.
    «Dio, perché non vai a prendere un coltello e mi pugnali anche fisicamente, già che ci sei!?» chiesi con un filo di voce.
    Frank si passò una mano tra i capelli «Se tu non avessi insistito così tanto con tutte quelle domande te l'avrei spiegato in modo molto più delicato!» disse nervoso.
    «Come faccio a riavere la mia memoria indietro, ora?» chiesi dopo qualche lunghissimo minuto di silenzio.
    Frank si morse il labbro pensandoci su.
    «Vieni con me...» disse, afferrandomi la mano.
    Ora comprendevo perché prima si fosse allontanato. Era strano stringergli la mano dopo quello che era successo, anche se io non ne sapevo nulla e mi sembrava tutto così assurdo.
    Eppure, stringere la mano di Frank mi faceva sentire bene, mi faceva sentire al sicuro, perché in qualche modo Frank sapeva proteggermi e lo avrebbe fatto di fronte ad ogni ostacolo, ne ero certa.
    Lentamente guardai Frank sbiadire, fare quella sua cosa del diventare invisibile, ed era quasi normale, anche se non capivo perché lo stesse facendo. Ma poi notai che anche io, piano piano, e con la stessa intensità con cui sentivo le sue dita stringere le mie, stavo diventando trasparente.
    Ed era da restarci a bocca aperta, giuro! Non avevamo mai fatto una cosa simile prima, e non sapevo nemmeno che fossimo in grado di farlo. Anzi, non credevo nemmeno che fosse possibile, espandere i propri poteri a qualcun altro. Probabilmente, pensai, Frank aveva imparato a farlo durante la reclusione forzata di cui aveva parlato prima.
    D'un tratto mi sentii orrenda.
Dio, davvero mentre Frank se ne stava chissà dove ad allenarsi per essere pronto a proteggermi davanti a qualsiasi avversità io me ne stavo in questo buco di città a buttarmi tra le braccia di un tipo qualunque?
    «Frank, mi dispiace per quello che è successo...» mormorai, e se non fossi stata trasparente al 99% sarebbero state più che evidenti le mie guance in fiamme dall'imbarazzo.
    Era una situazione strana. Prima di allora, quando Frank diventava invisibile, io non riuscivo mai a vederlo, minimamente. Ed invece ora riuscivo ad intravedere qualche tratto del suo viso, eppure non c'era alcun segno di noi riflesso sullo specchio del mio armadio.
    Lui mi guardò, lo sentii sospirare, stringendomi ancora di più la mano in risposta.
    Significava che non era il momento di parlarne, che per il momento avrebbe messo la situazione in secondo piano. Ed anche se io volevo risolvere la questione subito, rispettai la sua decisione.
    Avrei voluto fargli sapere comunque che non avrei mai pensato ad un altro ragazzo. Che lui era tutto ciò di bello che mi fosse mai capitato e che comportarmi in quel modo era stato davvero stupido.
    Frank aprì la finestra con la mano libera, e mi fece cenno di seguirlo.
    Fantastico, compresi non solo che per restare in quello stato di trasparenza avrei dovuto stringergli la mano per tutto il tempo, ma anche che stavamo per calarci dal secondo piano di casa mia quando era più che chiaro al mondo intero che avessi seri problemi di equilibrio, io.
    Feci un respiro profondo. In oltre avevo solo una mano libera per aggrapparmi a qualunque cosa. Dio, pensai che sarei morta schiantata al suolo. E magari sarei rimasta anche invisibile, così nessuno si sarebbe accorto di me, stesa lì a terra.
    Sarei morta senza memoria, senza visibilità e senza fidanzato. Che fine pietosa mi aspettava.
    Invece, a quanto pareva, Frank aveva lavorato parecchio in quell'addestramento forzato, perché era molto più agile di quanto lo ricordavo - anche se effettivamente non ricordavo molto - e sicuramente ricordava molto meglio di me che c'erano dei comodi appigli sui tubi della grondaia dalla quale in effetti era salito fino alla mia stanza parecchie volte quando andavamo ancora a scuola.
    Sorrisi a quel ricordo, un pò perché era una delle poche cose che mi tornavano in mente, ed un pò perché era un bel ricordo. Ma scacciai subito via quel pensiero, quando Frank si voltò per guardarmi, finalmente a terra.
    Sapevo - e non solo grazie al mio potere - che non era affatto il momento.

    Camminammo, inizialmente a passo svelto, poi con meno fretta, verso la Zona Industriale. Quando arrivammo lì, Frank lasciò la mia mano.
Tornai ad essere visibile, ed anche lui. Pensai che era uno spasso poter andare in giro senza che nessuno si accorgesse di noi.
    «Hanno detto che ti avrebbero dato qualcosa... un bracciale, una collana... qualcosa con sopra incisi dei numeri...» mormorò Frank guardandomi.
    Ci pensai un pò su, poi mi ricordai di essermi svegliata con una ciocca di capelli incastrata in una collanina che non avevo mai visto prima.
    La tirai fuori dalla maglietta e me la sfilai. C'erano incisi dei numeri, così la porsi a Frank.
    «E' un numero di telefono?» chiesi.
Frank fece un mezzo sorriso scuotendo la testa «Dio, Candy, se dovessi occuparti di tutta questa faccenda da sola a quest'ora saresti già morta da un pezzo...» disse solo, prima di afferrare il suo cellulare dalla tasca dei jeans.
    Mi sentii stupida, ma ero certa che Frank avesse ragione. Erano decisamente troppe cifre per essere di un numero di telefono.
    Frank le digitò su una mappa sul suo cellulare e questa ci mostrò un punto rosso su Dover, nel Delaware.
    «Cosa c'è lì?» domandai curiosa.
    «Le persone che ci stanno aiutando...» rispose, rimettendo in tasca il cellulare. Poi tirò fuori le chiavi della nostra macchina. O della sua macchina. O mia. Ok, della macchina che avevamo comprato unendo i nostri risparmi ma che ora che a quanto pare ci eravamo lasciati non sapevo bene a chi dei due appartenesse.
    Era parcheggiata dietro ad una fabbrica, e poggiati contro il bagagliaio c'erano Mikey Way ed un tipo con dei capelli rossi che sorrideva come se ci conoscessimo già.
    Corsi incontro a Mikey perché essendo l'unico che non aveva dei superpoteri era abituato a sentirsi fuoriluogo, proprio come mi sentivo io ora, ed avevo bisogno di parlarne con qualcuno che potesse comprendermi. Non ero mai stata così felice di vedere Mikey in tutta la mia vita, probabilmente.
    «Way! Dio, non sai cosa sta succedendo!» esclamai raggiungendolo.
Lui sollevò un sopracciglio, assumendo quell'aria saccente che sfoggiava quando ad esempio finiva i compiti in classe prima di tutti gli altri «So tutto, è per questo che siamo qui... e credo che dovremmo sbrigarci...» disse aprendo la portiera dell'auto.
    Frank si sedette al posto del guidatore ed io guardai prima Mikey e poi il tipo strano «E tu saresti?» chiesi confusa. Giuro che non l'avevo davvero mai visto prima, eppure il suo volto mi sembrava familiare.
    «Party Poison...» mi disse, sorridendomi e porgendomi la mano. Ricambiai la stretta di mano pensandoci su... che razza di nome era Party Poison? Quello si che non era un nome minimamente accettabile all'anagrafe!
    E poi BAM, mi resi conto che a Belleville non potevano esserci tutte ste persone nuove con dei nomi così assurdi, così lasciai improvvisamente la sua mano imbarazzata.
    Ok, quella si che era una situazione al limite del ridicolo.
    E dunque perché ci stavamo portando dietro il tipo con cui Frank mi aveva trovata nel nostro letto? E tutti sapevano tranne me? Cioè, ero l'unica che non ricordava nulla?
    Sbuffai, montando in macchina, sul sedile anteriore, accanto a Frank.
    Mikey e quel Party Poison montarono dietro e finalmente partimmo, verso il Delaware.

    Fu un viaggio lungo e sopratutto silenzioso. Giuro che nessuno di noi disse una parola per tutto il tempo. A parte Mikey, che ci mise un pò a comprendere che nessuno di noi aveva voglia di parlare.
    Quando arrivammo a Dover, appena dopo l'uscita dall'autostrada, Frank parcheggiò l'auto in un fast food su cui regnava in bella vista un enorme sfera illuminata al neon, che in qualche modo ricordava il ciondolo che mi ero trovata addosso.
    Ovviamente aveva ragione, se mi fossi trovata in quella situazione da sola non ci sarei mai arrivata a capire che anche la forma di quel dannato ciondolo era un indizio in codice sul luogo in cui avrei dovuto incontrare qualcuno che non conoscevo nemmeno.
    Frank si guardò intorno. C'erano per lo più camionisti in sosta.
    Dopo qualche minuto arrivò un'auto. Era una Pontiac nera, uguale a quella macchina parlante e futuristica di Supercar.
    E a bordo dell'auto c'erano un uomo con un'infinita chioma di capelli ricci ed una ragazza che su  per giù doveva avere la mia età.
    Ci fecero cenno di seguirli e scesero dall'auto, per dirigersi verso il retro del fast food.
    Seguendo i loro ordini - avevo deciso che fare domande era inutile, quindi tanto valeva seguire il branco e fare come facevano gli altri - li raggiungemmo.
    «Crow ha sospettato qualcosa?» domandò Frank in direzione del tipo con i ricci.
    L'uomo scosse la testa con una smorfia, come per dire che era ovvio che Crow non avesse sospetti.
    Guardando tutti con aria confusa e curiosa, notai che la ragazza si stava avvicinando a me, con uno di quei fastidiosi sorrisi tipici delle persone che hanno decisamente troppa autostima.
    «Ed ecco la smemorata Candy...» disse sollevando un sopracciglio e squadrandomi dalla testa ai piedi.
    «Candice, non Candy» risposi infastidita.
    «Frank ti chiama sempre Candy, però...» fece, girandomi intorno.
    «Tu non sei Frank, però.» precisai, sbuffando. Era una situazione ridicola, non sapevo nemmeno chi fosse quella tipa.
    Trassi un respiro di sollievo quando finalmente il tipo con tutti quei capelli disse qualcosa.
    «Maya, smettila!» la rimproverò, come se fosse una ragazzina a scuola. Gliene fui grata. Aveva già un'aria poco simpatica prima di aprire bocca, ma se avesse continuato l'avrei indotta al suicidio.
    Lei fece una smorfia offesa e poi alzò gli occhi al cielo «Ok...» mormorò, allungando una mano verso di me. Afferrò il mio polso, ed io mi mossi per indietreggiare, ma Frank mi guardò come per dirmi di fidarmi di lei, così la lasciai fare.
    Fu una sensazione strana. Improvvisamente migliaia di flash mi attraversarono la mente.
    Quella Maya mi stava ridando i miei ricordi. Ed erano davvero tantissimi. Partivano da quando ero una bambina. C'erano immagini di me e mia madre e... e c'era un uomo, e non era mio padre. Intendo, non era Crow. Erano immagini confuse, ma ora che tornavo a comprendere, a ricordare, era come se avessi di fronte un enorme puzzle del quale per lo meno avevo già completato almeno i bordi.
    L'uomo che mi rimboccava le coperte insieme a mia madre non era Crow.
    Era quel Korse. Quello che secondo i fascicoli top secret di mio padre era un killer psicopatico e megalomane.
    Quel Korse era in realtà mio padre.
    Ed improvvisamente ricordai ogni cosa. Ricordi che non mi erano stati rimossi la sera precedente, ma anni prima, e per anni a seguire.
    Mio padre... Crow, faceva venire questa Maya da me, a cancellarmi la memoria.
    Crow aveva rapito me e mia madre da quel laboratorio di ricerca in cui vivevamo insieme... con Donna e Donald Way, e i loro figli.
Mikey e Gerard.
    Mi voltai verso Party Poison. Lui era Gerard Way. Lui era il primogenito dei Way.
    Ci fu un'esplosione, alcuni di noi bambini acquisirono dei poteri. Frank sapeva diventare invisibile, io sapevo manipolare la mente.
     Crow rapì me e mia madre.
    Crow la rinchiuse facendomi credere che fosse malata. Mia madre non era malata. Era stato lui a ridurla così.
    C'erano tanti, troppi ricordi.
    Erano così tanti che la testa cominciò a girarmi.
    E alla fine svennì, cadendo a terra, esausta.

 

- - -

Ok, bene, ho impiegato più o meno una giornata a scrivere questo capitolo.
E' arrivato il momento di smetterla di fare mindfuck hard (?) e fare quindi mindfuck soft (??) dunque spero che siate riusciti a comprendere il prequel di tutta la vicenda.
    So che la storia è scritta ad eventi già accaduti quindi in teoria Candice raccontando di questo momento sapeva già quello che era successo, ma scriverla come se non ricordasse nulla mi ha reso la cosa più semplice, quindi abbiate pietà di me.
    Per ogni cosa, ogni dubbio, perplessità, critica o qualsiasi altra cosa, vi supplico, sul serio, recensite o MPatemi o come vi pare ma fatemi sapere perché ci tengo davvero, ok? OK.
Sperando che il capitolo vi sia piaciuto, vi lascio.
A presto,
XO
POPst

PS: se ancora non lo avete fatto, mipiacciate la mia pagina FB, mi farebbe piacere ;)
POPstitute EFP

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 10 ***


Nuova pagina 1

Capitolo 10

    Quando mi risvegliai eravamo di nuovo in macchina, in viaggio verso casa.
Ero distesa sui sedili posteriori, accanto a Party Poison. Mi sollevai passandomi una mano sulla fronte, sentendomi nauseata.
    Lui non era Party Poison. Lui era Gerard Way. Desiderai quasi di svenire di nuovo, perché mi sentivo davvero a pezzi.
Non credevo di essere in grado di affrontare una situazione simile. Era davvero troppo.
Improvvisamente, mi resi conto di non sapere più chi fossi. No, non solo non ero più sicura di chi fossi io realmente. Non ero più sicura nemmeno di chi fossero le persone che avevo intorno.
    Avevo vissuto una vita a metà, e la consapevolezza di tutta quella situazione mi faceva una tale rabbia che avrei voluto andare ad armarmi ed uccidere tutti. Tutti quelli che mi avevano manipolata, che mi avevano mentito, che mi avevano cancellato, modificato, distorto la memoria.
    Pensai con amarezza che non sapevo nemmeno da dove cominciare. Non sapevo nemmeno chi voleva aiutarmi e chi no. Non sapevo nemmeno perché proprio io dovessi trovarmi in una situazione così assurda.
    Fino a qualche ora prima avevo un'idea di mio padre completamente diversa. Pensavo che fosse un grande uomo, con delle grandi responsabilità, che si era preso cura di me nel migliore dei modi, cercando sempre di accontentarmi e proteggermi.
    Ed ora, invece, sapere che  era tutta una messa in scena, che lui non era nemmeno il mio vero padre ma semplicemente un... sentivo la testa scoppiare. Da un lato c'era la consapevolezza che era stato proprio lui a farmi tutto questo, ma dall'altra c'erano i bei ricordi che avevo di lui. Quelli più vividi, quelli che nessuno aveva rimosso. Quelli con i quali ero cresciuta.
    Alla fine era pur sempre l'uomo che mi aveva cresciuta. Come potevo ritrovarmi a detestarlo, così di punto in bianco?
    Ma poi mi tornavano in mente le immagini che lui aveva fatto rimuovere dalla mia testa. Quelle in cui lui mi portava via dalla mia vera famiglia, in cui lui era tutto tranne l'uomo amorevole che credevo.
    Così sentivo il cervello pulsare, la testa scoppiarmi, mentre mi altalenavo tra sentimenti contrastanti tra loro.
    Forse stavo vivendo uno stato psicologico tipo la Sindrome di Stoccolma. Forse sentivo di non poter odiare Crow per quello che aveva fatto, perché per tutti quegli anni lo avevo visto come l'unico interessato a proteggermi.
    Forse tutta questa storia mi avrebbe portato ad un esaurimento nervoso.
    Forse avrei dovuto evitare di indagare, di cercare delle risposte. Perché ora che alcune risposte le avevo avute, sembrava tutto dannatamente più difficile.
    E d'un tratto mi resi conto che l'auto si era fermata.
    Eravamo di nuovo a Belleville. Nessuno di noi aveva detto una parola durante tutto il viaggio di ritorno. Ed ora eravamo tornati a Belleville ed io mi sentivo incredibilmente nervosa. Avrei preferito continuare a viaggiare, anche senza una meta, piuttosto che tornare a casa.
    Eravamo poco distanti da casa mia. Frank scese dall'auto ed aprì la portiera al mio fianco facendomi cenno di scendere.
    Gerard si mise alla guida e dopo aver dato un'occhiata veloce prima a me, poi a Frank, rimise in moto l'auto e se ne andò con Mikey.
    «Tra poco tuo padre-» Frank si schiarì la gola «Crow, intendo. Tra poco Crow tornerà a casa...» disse, stringendo la mia mano. Prese a camminare, con aria preoccupata, verso casa mia. Sentii una strana sensazione e guardai le nostre mani. Stavamo diventando invisibili, di nuovo.
    Ovviamente. Probabilmente quell'uomo che mio padre aveva messo di guardia di fronte casa pensava che stavamo ancora in camera a fare chissà cosa, non poteva certo vederci tornare.
    Arrivammo sotto la finestra della mia camera. Facemmo il percorso inverso, scalammo la parete con non poca fatica ed entrammo dalla finestra che avevamo lasciato aperta.
    Non pensavo, dopo tutta quella valanga di emozioni che avevo provato dal momento in cui quella tipa mi aveva ridato la memoria, di poter provare ancora dell'altro, una volta a casa.
    Invece, appena mi ritrovai nella mia stanza, nella mia mente riaffiorarono altre immagini, altre scene della mia infanzia delle quali ero stata privata per tutto quel tempo, altri ricordi che facevano male.
    Non sapevo più chi ero.
    Avevo letto un libro, una volta, in cui c'era scritto che tutto cambia. Che se la mattina quando ti svegli sei una persona, la sera, quando torni a casa, sei una persona diversa, perché inevitabilmente le esperienze che hai vissuto, anche le più minime, ti hanno cambiato, ti hanno dato delle consapevolezze differenti, o ti hanno lasciato dei dubbi, o comunque ti hanno in qualche modo riempito, così, tutti siamo sempre una persona diversa, giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto.
    Ed io mi resi conto che era esattamente così. Io ero una persona diversa, incredibilmente diversa, ora.
    Perché avevo, in poche ore, riavuto tutte le esperienze che Crow mi aveva fatto eliminare dalla mente. Tutto il passato che non sapevo nemmeno di aver vissuto, ora era tornato vivido come non mai, ed io per forza non potevo essere più la stessa Candice.
    Quella con una bella casa, un buon padre, tanti soldi, una guardia del corpo, Frank.
    Io ora ero Candice con un sacco di dubbi, di ricordi, di paure.
E Frank era così stranamente distante che sentivo il disperato bisogno di stringermi a lui, perché in tutto questo lui era l'unica certezza che avevo. O che almeno credevo di avere.
    Scossi la testa. Non potevo dubitare di Frank. Anzi, per essere sinceri, io avevo bisogno di fidarmi di lui.
    Così mi ritrovai ad abbracciarlo. A stringere le mie braccia così forti intorno al suo corpo.
    Eravamo ancora invisibili. E pensai che avrei voluto chiedergli di restare così, per sempre.
    Potevamo scappare da Belleville, restare invisibili agli occhi del mondo, vivere senza che nessuno sapesse di noi. Senza la paura di dover affrontare dei demoni che non sapevo nemmeno esistessero.
    Mi resi conto che avevo paura. Ma paura sul serio.
    Paura di quello che sarebbe successo.
    Perché se Crow mi aveva rapita, manipolata ed usata; se Party Poison era in realtà Gerard Way; se Frank era stato addestrato da mio padre; mia madre era stata indotta alla follia da lui... allora quante altre cose, potevano succedere?
    Quali altre cose, sarebbero successe?
    Così sentii il bisogno di piangere.
    Ma non ne ebbi la possibilità.
    Frank slacciò l'abbraccio, facendo un passo indietro.
    Guardai il mio corpo riprendere colore. Più velocemente, anche il suo.
    Sentimmo la porta di casa aprirsi. Poi la voce di mio Crow chiamare il mio nome.
    Sussultai. Non avevo voglia di vederlo. Avevo paura di lui.
    «Fingi di non sapere nulla!» sussurrò Frank.
    Mi strofinai gli occhi, feci un respiro profondo.
    Deglutii. I passi di mio padre si facevano sempre più vicini.
    Cercai di sembrare tranquilla, di non tremare.
    Crow bussò alla porta, prima di aprirla ed entrare «Ehi... come stai?» mi chiese.
Dovetti fare un altro respiro profondo, cercando di calmarmi e di scacciare via dalla mia testa tutti quei ricordi e quelle immagini di lui che Maya mi aveva ridato.
    Cercai di sembrare la solita Candice. Cercai di continuare a vederlo come avevo fatto fino a poche ore prima, semplicemente come mio padre. Come lui voleva che lo vedessi.
    Accennai un sorriso, probabilmente poco convincente, ma fu il meglio che riuscii a tirare fuori «Bene, sto molto meglio, ora...» dissi con poca convinzione.
    Lui mi guardò, fece un passo verso di me e mi accarezzò la testa. Come un vero padre che vuole coccolare sua figlia «Bene, ero davvero preoccupato...» disse sorridendo. Eppure non riuscivo a credere che il suo sorriso fosse finto. Era decisamente più bravo di me, a fingere. Guardò Frank con aria seria «Avete risolto le vostre questioni personali?» gli chiese, e forse se non fossi stata a conoscenza di tutto ciò che c'era dietro alla mia vita, probabilmente avrei pensato davvero che non ci fossero doppi sensi in quella frase.
    Invece ce ne erano, lo capii anche quando Frank fece un cenno deciso con la testa «E' tutto sotto controllo» disse serio, guardandolo negli occhi.
    «Posso stare tranquillo, allora?» chiese ancora mio padre. Crow. Guardando ancora Frank.
    Lui annuì senza aggiungere altro. Allora mio padre dichiarò che la sua giornata a lavoro era stata più stancante del solito e che aveva bisogno di riposare.
    Prima di uscire dalla stanza però, Frank lo fermò «Ho chiesto a Candice di tornare a casa nostra...» disse senza nemmeno guardarmi.
Non era vero, ovviamente. Non mi aveva chiesto di tornare a casa. Ma fui grata di sentirglielo dire, perché l'ultima cosa che volevo era starmene in quella casa con Crow.
    Mio padre lo guardò in silenzio per qualche secondo, poi scrollò le spalle «E' nelle tue mani, Frank, sai che ho piena fiducia in te...».
Altri significati nascosti. Non era un modo per dire "Ok, ma mi raccomando fate sesso sicuro e non metterla incinta", era un modo per dire "Confido nel fatto che manterrai il mio segreto e continuerai a farle credere che non stia accadendo assolutamente nulla".
    Anche se, supposi, non ci avrebbe messo troppo a chiedere a Maya di cancellarmi di nuovo la memoria, se ce ne fosse stato bisogno.

    «Mi dispiace che tu debba affrontare tutto questo...» disse Frank, dopo quello che mi era sembrato un secolo di silenzio, mentre camminavamo fianco a fianco verso casa nostra.
    Sospirai, stringendomi nelle spalle «E a me dispiace che tu debba affrontare tutto questo, per colpa mia e di mio padre...» mormorai.
    Mi rendevo conto di quanto fosse assurda tutta quella situazione. Di quanto fosse assurdo il fatto che mio padre avesse coinvolto tutte quelle persone in una missione per... ecco, era assurdo anche il fatto che non riuscissi a capire perché, comunque, aveva fatto tutto questo casino.
    Cosa voleva? Impossessarsi del mio potere? Impossessarsi del mondo? Impossessarsi del mondo sfruttando il mio potere?
    Frank mise un braccio intorno alle mie spalle e mi strinse a sé. Era un abbraccio bellissimo. Forse perché era proprio quello di cui avevo bisogno. Avevo bisogno di sentire la sua presenza. Di sentirlo al mio fianco.
    «...le cose saranno sempre più complicate, da ora in poi...» disse, con poco entusiasmo. Mi stampò un bacio sulla fronte, stringendomi a sé ancora di più «...ma ti prometto che farò il possibile per salvarti da tutto questo» aggiunse.
    Pensai che era incredibilmente dolce. Che mi era mancato.
    Pensai un mucchio di cose.
    Solo dopo qualche tempo mi resi conto di quanto peso avessero quelle parole.

 

- - -

Anche qui, mi scuso per la lunghissima assenza ma come per Le tue paure, i motivi sono sempre gli stessi e blah blah.
XO

A presto
POPst

   

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