Pirates of the Caribbean 4 -E se la fonte non fosse l'unico obiettivo?

di _Frency_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** A Tortuga per ritrovare vecchie conoscenze. ***
Capitolo 3: *** Segreti e piani. ***
Capitolo 4: *** Duelli e saccheggi. ***
Capitolo 5: *** Informazioni. ***
Capitolo 6: *** Sirena Serena. ***
Capitolo 7: *** Sirena Serena. (2^parte) ***
Capitolo 8: *** In viaggio. ***
Capitolo 9: *** Ponce de Leon. ***
Capitolo 10: *** Una fenditura nella roccia. ***
Capitolo 11: *** Problemi. ***
Capitolo 12: *** Combattimento. ***
Capitolo 13: *** La Fonte della Giovinezza. ***
Capitolo 14: *** Vivere o morire. ***
Capitolo 15: *** Pensieri. ***
Capitolo 16: *** Il mio cuore è in uno scrigno. ***
Capitolo 17: *** Ritrovarsi. ***
Capitolo 18: *** Sono un uomo libero. ***
Capitolo 19: *** All'orizzonte. ***
Capitolo 20: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Capitolo 1: Prologo

Il mantello nero della notte l'avvolgeva, freddo, misterioso e silenzioso; il rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli era l'unico suono in quella stranamente fresca sera di agosto.La luna splendeva alta, un disco luminoso perfetto, come solo poche cose al mondo. Strisciava lungo le pareti delle piccole casette del porto, l'una addossata all'altra, cercando di muoversi silenziosamente e di non farsi scorgere dalle guardie che sorvegliavano con aria assente la baia. Aveva poco tempo e lo sapeva, di li a poche ore avrebbero notato la sua assenza e avrebbero inviato subito degli uomini a cercarla...se poi l'avessero trovata...beh, meglio non pensarci per ora, si disse. Aumentò ancora di più il passo finché non fu costretta a lasciare la protezione dei muri delle case per imboccare la strada dritta che conduceva sino alla passerella del porto, la stessa passerella su cui...no, meglio non rivangare antichi ricordi. Arrivò fin sotto la prua di una gigantesca nave, un raggio di luna illuminò la fiancata e le permise di leggere il nome inciso sopra: “White Queen”. La ragazza sorrise.

 “Ecco quanto mi avete chiesto” disse la ragazza, lasciando cadere nelle mani del capitano un sacchetto logoro. L'uomo ne rovesciò il contenuto sul tavolo dove erano spiegate varie carte nautiche: 7 monete d'oro ne uscirono tintinnando e il capitano sorrise compiaciuto. “Benvenuto a bordo, ragazzo. Arriveremo a destinazione entro un paio di giorni.” La giovane donna fece un breve cenno col capo e si recò a passo svelto nella stiva, dove si addormentò in un'amaca sgualcita. Il suo unico pensiero prima di addormentarsi fu che dopotutto, gli antichi stratagemmi funzionavano sempre.

“Milady? Posso entrare? Sono le 8 e oggi avete la cerimonia a casa di Miss. Evelina, ricordate? Milady?!” la domestica, un po' seccata per l'ostinato silenzio, prese a picchiare con più insistenza i pugni sulla porta. Quando si rese conto che non c'era nessuno all'interno della stanza si precipitò in cucina a chiedere alla cuoca se aveva visto la milady scendere prima per la colazione, cosa alquanto improbabile. Il secco no della robusta donna mise in allarme la domestica, che con passo svelto si diresse nella biblioteca: all'interno di essa vi era, oltre ad una quantità enorme di libri, un piccolo comò con un cassetto. Al suo interno c'era una scatolina contenete un passe-partout che permetteva di aprire ogni stanza della villa. La donna afferrò la chiave e corse fino alla camera della giovane, con mani tremanti l'aprì e ciò che vide al suo interno la lasciò senza fiato: la finestra spalancata, il letto sfatto e un lenzuolo che penzolava giù dalla finestra, sino a sfiorare la ghiaia del viale. 
Emise un urlo strozzato e, sconvolta, corse di nuovo lungo la scalinata, aprì la porta della villa e, sempre correndo, si recò fin nel centro di Port Royal, alla sede della Compagnia delle Indie Orientali. La poveretta chiese di poter essere ricevuta urgentemente da Lord Seamus Beckett, figlio primogenito di Lord Cutler Beckett, che si era guadagnato il titolo dopo la morte del padre nella lotta con la Fratellanza.

“Vi prego, è questione di massima urgenza, la governatrice è scomparsa, forse rapita!” disse tra le lacrime Ara, la domestica. Le guardie, anche se non troppo impressionate o sconvolte dalla notizia l'accompagnarono sin nello studio del Lord.

Il giovane, che non doveva avere più di vent'anni, era seduto ad una scrivania di mogano scuro, e stava consultando alcuni libri. Quando aprirono la porta alzò gli occhi svogliato, per soffermarsi sulla figura della piccola Ara. “Vi prego aiutatemi, la governatrice, Miss Turner, è scomparsa!” pronunciò tutto d'un fiato.

“ Cosa?! La governatrice, scomparsa? Spero per voi che non mi stiate prendendo in giro!” disse il Lord, alterato. “No, vi giuro, è la verità, questa mattina non era nei suoi alloggi, c'era solo un lenzuolo spiegato fuori dalla finestra.”

“Alt, ferma! Ciò significa che non è stata rapita o che è scomparsa, ma che è fuggita! Presto, ditemi, perché avrebbe avuto motivo di fuggire? Parlate!” aggiunse. “Io...io...non lo so...però...so che da tempo se ne stava a consultare libri e mappe, facendo calcoli e se qualcuno poneva domande rimaneva vaga....diceva che...che...non poteva più aspettare...non so a cosa si riferisse...però una cosa la ricordo...un giorno ho sbirciato tra le carte con la scusa di riordinare” confessò, “e le ho viste spiegate sulla zona vicino a Cuba...nulla di più...”

Lord Seamus Beckett la guardò un istante, poi prese a rimuginare ad alta voce: “Allora, vediamo...Miss Turner è sposata, se non erro...ha molte conoscenze tra i pirati, essendo anche Regina del Consiglio della Fratellanza, in più suo padre è morto e lei è governatrice. Ora, tu mi dici che lei consultava delle carte, che indicavano zone nei pressi di Cuba, nel Mar dei Caraibi...Pensa, Seamus, pensa, perché...?” Aveva cominciato a camminare avanti e indietro, finché ad un certo punto si voltò verso le guardie e Ara, un'espressione strana in volto.

“Signori...qual è il più grande porto di pirati della zona?” chiese con voce soffocata “Ehm...Tortuga, signore?” rispose la più anziana delle guardie.

“Esatto” disse con voce stridula Lord Beckett junior “E...dove si trova?” chiese ancora con voce al limite dell'isterico.

“Vicino a Cuba, signore.” rispose sempre la stessa guardia.

“T-tortuga...?” domandò con voce tremante Ara

“Beh, milady, le coincidenze sono veramente tante...quindi, dovendo noi iniziare le ricerche per ritrovare la nostra adorata governatrice...inizieremo da lì, dopotutto...è un po' che non facciamo visita ai nostri amati amici pirati!” sentenziò con voce a metà tra il sarcastico e il preoccupato. Poi disse, rivolgendosi alle guardie: “Preparate la “Interceptor II”, si parte domani con la marea. La ritroveremo.” Ara volse uno sguardo preoccupato fuori dalla finestra...chissà dov'era in quel momento la sua adorata padrona.

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Capitolo 2
*** A Tortuga per ritrovare vecchie conoscenze. ***


Ed ecco il secondo capitolo! Ho visto che leggete, ma non recensite :(  
Mi lasciereste un commentino, anche piccolino piccolino, giusto per sapere che ne pensate?
Grazie in anticipo!

Capitolo 2: A Tortuga per ritrovare vecchie conoscenze.

“Sveglia mozzo! Siamo arrivati!” una voce rude e un alito di rum pestilenziale la svegliarono, sottraendola al suo sonno tormentato. Barcollò sin sul ponte: il mare era calmo e piatto, il cielo terso: giornata splendida, in poche parole. Fece un veloce cenno di saluto al vecchio capitano e scese agilmente dalla scaletta e con un piccolo salto fu a terra. Il profumo della salsedine era, se possibile, ancor più acuto che a Port Royal; le vecchie locande dall'aria dismessa pullulavano di ubriaconi già a mezzogiorno...e poi tanta gente, corsari in cerca di una ciurma, pirati dai larghi cappelli e le mani inanellate, vecchi storpi che brancolavano appoggiati a nodosi bastoni, donne dall'aria poco raccomandabile strizzate in abiti dai corsetti consunti. Per la giovane fu come un salto indietro nel tempo, e tanti ricordi l'assalirono soffocandola in una marea di pensieri aggrovigliati, come un gomitolo di lana. Diede un'occhiata veloce ai nomi delle stamberghe...no, il posto che cercava lei era lontano, praticamente dalla parte opposta dell'isoletta, se voleva raggiungere il suo obbiettivo entro sera le serviva una cavalcatura con cui muoversi più velocemente...bingo!, pensò vedendo un cavallo che si abbeverava in un vecchio secchio. Si avvicinò all'animale con passo furtivo e prese ad armeggiare con le briglie che lo legavano ad un paletto di legno. Con poche veloci mosse sciolse il nodo e, con un balzo, montò in groppa all'animale, il quale, preso di sorpresa mandò un acuto nitrito e si lanciò al galoppo, facendosi largo tra la gente a suon di calci e morsi. La ragazza non poté fare a meno di sorridere allegra...ah, come le erano mancate cose di quel genere: furtarelli, infischiarsene apertamente degli altri, non rispettare le regole. Essere se stessa. Già, perché non era lei quando sorrideva fintamente felice alle cene di gala, o ascoltava annoiata i consigli del vicegovernatore, o ancora indossava un abito sgargiante. Quella era solo una maschera, un'enorme farsa che era abituata a portare avanti fin da bambina, fin quando non aveva conosciuto Lui. Perché non si può non cambiare dopo aver conosciuto uno come lui, semplicemente non si può. La vera lei era...una piratessa, fatta e finita. Involontariamente, quella parola le faceva salire le lacrime agli occhi, ma si fece forza e le ricacciò indietro, sorridendo amara. 
Erano passate alcune ore, dovevano essere all'incirca le tre del pomeriggio; si permise una piccola sosta...più per il cavallo che per se. Ricominciarono la loro corsa sfrenata e lei capì d'essere giunta a destinazione solo quando il cielo tinse di rosa e il mare assunse una splendida colorazione azzurrina.
Il primo segno inconfondibile furono i canti sguaiati, il secondo il rumore di spade che cozzano, il terzo la puzza d'alcol che si sentiva da miglia. Lasciò il cavallo in una macchia d'alberi dietro la locanda e aggirò la costruzione fino a trovarsi difronte al molo: vi era ormeggiata una nave, una nave dalle vele nere. La ragazza entrò, o meglio, si fece largo a forza tra ubriaconi e pirati che facevano a botte sul pavimento di legno dalle assi scricchiolanti della locanda. Era una delle più grandi di  Tortuga e la preferita di quasi ogni corsaro. Aggirò un paio di tavoli, declinò una ventina di inviti a bere “un goccino” (che si trasformava sempre in un boccale da due litri...) e scavalcò un vecchio addormentato che russava in modo assurdo. Dopo poco lo vide: era di spalle, ma lei lo riconobbe immediatamente, dopotutto non ci si dimentica facilmente di un tipo come lui...

Il solito cappello tricorno calcato in testa, il nodo della bandana rossa che spuntava tra la massa di capelli castani pieni di treccine e perline varie. La spada penzolava nel fodero ed era semi coperta dalla giacca che gli arrivava al ginocchio. Per un attimo la ragazza rimase impalata a fissargli la schiena, lui stava parlando con un uomo dai capelli brizzolati e le basette assai lunghe, il volto coperto di cicatrici...Mastro Gibbs. Capitano di seconda della Perla Nera, era meglio noto come “Tarda testuggine di mare”, soprannome affibbiatogli dal capitano che aveva qualche difficoltà a ricordarsi i nomi.
La giovane aveva pensato tante volte a come sarebbe stato rincontrarlo...ed ora eccolo lì, impegnato a discorrere con il suo compagno d'abbordaggi...ancora faticava a crederci, ma era vero. Con passo dapprima incerto e poi via via più sicuro gli si avvicinò, fino a picchiettargli con mano tremante su una spalla “Capitan Jack Sparrow?” gli chiese con voce fievole, sapendo bene la risposta. Lui si girò e, appena vide la persona che gli stava di fronte, il suo cuore perse un battito: difatti la ragazza aveva tolto il cappello con un gesto elegante e ora una cascata di riccioli dorati le ricadevano sulle spalle.

“Elizabeth...?” chiese lui con voce incerta e gli occhi sgranati; anche Gibbs la stava guardando e sorrideva sorpreso.

“Già...” disse “Allora, Sparrow, pensi di offrirmi qualcosa o resterai lì a fissarmi a bocca aperta?” domandò con ironia, più per spezzare quella tremenda tensione formatasi che per la voglia di bere.

“Ma certo, milady! Ehi tu, sì, tu...un boccale di rum, svelto!” disse ad un giovanotto che girava tra i tavoli. Si poteva dire tutto di Jack, ma non che non si sapesse riprendere in fretta dalle sorprese, infatti, dopo il primo momento di sgomento, stava seduto accanto ad Elizabeth con un ghigno stampato in volto, apparentemente tranquillo.

“Quanto tempo, gioia è proprio tanto che non ci vediamo...ad essere sincero avevo smesso da tempo in una tua...come dire...visita.”

“ In effetti, Jack, la mia non è proprio una visita di piacere, nel senso, non sono venuta da te perché non avevo nulla da fare.”

“Beh, mi sembra giusto, guai a rivedersi in condizioni tranquille...uff!”

“Oh, avanti Jack, sono tre anni che non ci vediamo, ti prego di essere comprensivo o almeno di ascoltarmi!” s'accese lei.

“Ok...” bofonchiò contrariato lui.

“Bene, intanto, come sono passati questi anni? Tutto un rubare, sgozzare, navigare?” chiese interessata.

“Mah...signor Gibbs, come definireste voi questi anni?” chiese con un sorrisino al suo secondo.

“Duri, miss Swann, molto duri, più dei precedenti...tra spagnoli e la vostra Compagnie delle Indie...massacranti.”

“Esatto” sibilò Jack, “Ma tu, dolcezza, che mi racconti?” domandò sornione.

“Direi anni pieni di solitudine, sì, sono stata molto sola...purtroppo...”disse con voce malinconica, poi aggiunse: “Jack, la mia vita era migliore tra assalti e bordate, fughe spericolate e duelli sanguinosi, pazienza se rischiavamo di morire!!”

“Non immagini come ti capisco...” sbuffò lui “Comunque Lizzie...come mai a Tortuga, potendo essere in un salotto a sorseggiare the in compagnia di eleganti signore? Capisco la noia, ma venire sin qua per così poco, non mi sembri il tipo!”

“Beh...preferirei parlarne in privato” disse scoccando un occhiata a tutta la gente lì intorno

“Mah, sono tutti ubriachi e rimbecilliti, non ti sentirà nessuno. Se però ti riferisci a Mastro Gibbs...” disse, accennando al vecchio amico di sloggiare.

“No, no, non è assolutamente per il signor Gibbs.” rispose sorridendo affabile all'interessato “Mi riferivo all'altra gente...la marina sicuramente mi starà cercando e potrebbero esserci soldati...vabbè io ti spiego, se poi succede qualcosa è colpa tua, chiaro?”

Jack fece un segno di assenso con il capo, cercando  immaginare di cosa stesse per parlargli la ragazza.

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Capitolo 3
*** Segreti e piani. ***


Capitolo 3: Segreti e piani

Jack osservò Elizabeth: il modo di sistemarsi nervosamente i capelli dietro l'orecchio, come cercava di trovare le parole per iniziare quel (a sua insaputa) lungo racconto. Era cambiata, non molto, ma era cambiata...forse più pallida, i capelli più lunghi dell'ultima volta che l'aveva incontrata, eppure gli occhi erano gli stessi, caldi, profondi, fieri, che non si abbassavano davanti a nessuno. Invece lui non era cambiato, forse una cicatrice in più, ma nulla di che. Era sempre il leggendario, unico, affascinante, ironico, scaltro, capitano della Perla Nera.

“Allora Jackie, ci sono parecchie cose che devo dirti...innanzitutto, come bene ricorderai, Will è capitano dell'Olandese Volante, e per mia e sua grande sfortuna può scendere a terra solo- una- volta- ogni- dieci- anni.” le ultime parole le scandì con forza, stingendo i pugni sul tavolo “Io, per rivederlo un solo misero giorno, devo aspettare altri 7 maledettissimi anni!” disse con foga e rabbia.

“Lo so cara, ricordo più che bene! Ho rinunciato all'immortalità per permettergli di sopravvivere.” le rammentò Jack “Gioia, scusa ma tutto questo cosa centra con il motivo per cui tu sei qui?”

“Centra, capitano, eccome se centra! É il motivo per cui sono cui! Io non posso pensare di vivere il resto della mia vita sola, Jack! Quindi, in poche parole, io ricordo che tu possedevi le carte nautiche ai confini del mondo. Bene, ti chiedo di accompagnarmi alla Fonte della Giovinezza, così io berrò l'acqua ed allora potrò seguire Will sull'Olandese, perché sarò immortale e non sarò costretta ad aspettarlo a terra!” disse Elizabeth tutto d'un fiato. Jack volse a Gibbs uno sguardo sconcertato dopo quel fiume di rivelazioni e progetti, poi tornò a guardare Lizzie negli occhi.

“Ehm...cara, chi di dice che io sia disposto a compiere simile viaggio...per cosa poi? Per la tua immortalità! E se volessi bere io quell'acqua, ehm???”

“Oh, avanti Jack, se avessi VERAMENTE voluto bere quell'acqua perché non lo hai fatto tempo fa? E poi, scusa, potremmo bere entrambi l'acqua, no?” disse la donna. “Ti prego, in nome della nostra...amicizia...?”aggiunse speranzosa

“Umm...entrambi immortali eh? Già la cosa si fa più interessante...Ricapitolando: raggiungiamo la fonte, beviamo l'acqua, diventiamo immortali; tu sei libera di seguire Mastro Turner e io di scorrazzare per i sette mari senza temere spade e pallottole. Interessante...Lizzie, ho cambiato idea! Ti accompagnerò alla Fonte della Vita Eterna! Contenta?” disse con un sorriso che non prometteva nulla di buono

“S-sì...ti basta davvero poco per cambiare idea...” rispose lei, che conosceva bene il pirata e sapeva che tramava qualcosa.

“Allora è deciso! Mastro Gibbs, raduna l'equipaggio, salpiamo 'sta sera stessa!” ordinò Jack.

“Agli ordini capitano.” rispose, dileguandosi poi alla ricerca del resto dell'equipaggio sceso a terra.

Poco dopo, tutti gli uomini dell'equipaggio si stavano radunando sul molo, accalcandosi per salire sulla nave. Elizabeth era rimasta in disparte, a rimuginare sugli ultimi avvenimenti dell'ultima ora, quando Jack le arrivò alle spalle, facendola sobbalzare.

“Allora, pronta a salpare...Regina?” domandò affabile.

“I-io.. certo che sono pronta...dopotutto, te l'ho chiesto io, no?!” rispose seccata.
“Umm...sarà...beh, vorrà dire che avremo modo di rivivere i bei momenti passati insieme!” ghignò il pirata.
“Non vedo l'ora!” ribatté ironica, anche se in fondo in fondo era felice di avere il modo di passare del tempo con il leggendario Sparrow...come amica, naturalmente!

“Se non vi dispiace milady, siamo pronti a salpare.” la distrasse dai sui pensieri il capitano. Lei annuì e, accompagnata da Jack che l'aveva presa a braccetto, salì a bordo della Perla Nera. Una volta sul ponte, facendosi largo tra uomini che spiegavano vele e sistemavano casse, Jack condusse Elizabeth nella sua futura cabina, attigua a quella del capitano.

“Bene, avrai notato che è la stessa cabina di anni fa...quindi, beh, sai dove trovare ciò che ti occorre.”

“Grazie Jack, di tutto.” gli disse con dolce sorriso “Ma posso chiederti un'altra cosa?”

“Certo gioia.”

“Beh...non è vero che tu non hai mai provato, in questi anni, a trovare la fonte, giusto?”

“Cara, come dire, sì, è vero che non è vero che io non ho mai provato ad arrivare alla fonte. Ma circostanze che richiedevano coraggio e valore mi hanno impedito di raggiungere il mio obbiettivo.” rivelò con un sorrisetto.

“Quindi ti eri arreso?” domandò lei.

“Arreso? Sono il capitano Jack Sparrow, io non mi arrendo, io...rinuncio di malavoglia per qualcosa di più concreto, vicino e meno pericoloso...comprendi???”

“Ah, sì, Jackie, comprendo.” ribatté sorridendo.

“Bene, è tardi e sarai stanca, buona notte!” le disse uscendo dalla cabina con la sua camminata ciondolante. La ragazza annuì poco convinta: avrebbe di gran lunga preferito parlare un altro po' con lui, sapere qualcosa di più sulla loro missione, se possedeva le carte, se il viaggio sarebbe stato lungo, ma c'erano così tanti interrogativi, ce ne erano sempre stati...troppi. Difatti era partita con l'intento di trovare Jack e convincerlo a condurla alla Fonte della Vita Eterna, trascurando ogni cosa all'infuori di tutto ciò, come ad esempio l'ubicazione esatta della fonte, che sapeva solo essere su un isoletta nei pressi di Cuba. E il rituale? Perché sicuramente c'era un rituale, e lei non aveva idea di in cosa consistesse. Doveva informarsi, sapere quanto più possibile per evitare brutte sorprese; Jack non avrebbe avuto modo di sottrarsi  ad un “piccolo” interrogatorio!

Il mattino dopo, però, la bella Lizzie fu svegliata da una bordata di cannone.

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Capitolo 4
*** Duelli e saccheggi. ***


Ecco il quarto capitolo! Vedo che continuate a leggere, ma non recensite! Vanno bene anche commenti negativi, ma ci terrei davvero tanto a sapere cosa ne pensate...anche per capire se continuare ad aggiornarla o meno...Grazie comunque a chi legge!

Capitolo 4: Duelli e saccheggi

Appena si rese conto di quanto stava accadendo, afferrò svelta il cinturone con il fodero e le pistole e si precipitò sul ponte: una nave inglese era a poca distanza da loro e aveva cominciato a dar fuoco alle polveri. Elizabeth scorse Jack, impegnato a dirigere gli uomini con i soliti strampalati gesti.

“Amici tuoi, cara?” le domandò facendosele vicino.

“Non direttamente...GIU’!!!” urlò Lizzie, schivando una cannonata.

“ FUOCO ALLE POLVERI!!!” urlò di rimando Sparrow.

 

Lord Seamus Beckett stava osservando la scena dal parapetto dell' Interceptor II, mentre il suo primo ufficiale dirigeva i cannonieri. Non solo quella era la nave di Jack Sparrow, il leggendario capitano, ma su di essa veleggiava la sua governatrice, Miss Turner, facilmente riconoscibile con i capelli biondi ondeggianti al vento. Esattamente il giorno prima un vecchio pescatore di Tortuga aveva riferito ai suoi uomini in perlustrazione di una donna bionda che, la notte precedente, era salpata con il capitano della Perla Nera. Dopodiché, per lui era stato facile andare all'inseguimento della nave dalle vele nere rattoppate. Se però rivoleva Miss Swann viva, avrebbe dovuto cercare di contrattare con i pirati, e Jack non gliela avrebbe certo resa, non se la ragazza e il capitano avevano un presumibile accordo.

Le due navi si erano intanto affiancate, tanto che i pirati era già pronti con i rampini per l'abbordaggio. Così Lord Beckett fece cenno ai suoi di rimanere fermi e a gran voce chiamò Sparrow, tanto che i pirati smisero di sparare come indiavolati.

“Sparrow, rendimi Miss Turner, governatrice di Port Royal, e vi lasceremo andare indenni!” tuonò. Per tutta risposta Elizabeth, stufa di essere sempre merce di scambio e fregandosene altamente del fatto che fossero sui compatriotti, gli scaricò la carabina addosso. Beckett, abbassatosi in tempo da schivare le pallottole, comandò fuoco senza pietà. Se la donna fosse morta...beh, peggio per lei, lui il suo dovere di comandante l'aveva fatto, avrebbero trovato un nuovo governatore! I pirati, orgogliosi della loro regina, andarono all'assalto. Jack e Elizabeth cominciarono subito con un ottima carneficina, tra colpi di spada e pallottole, ma gli inglesi non rimasero certo a guardare, anzi, risposero volentieri ai colpi dei pirati. Elizabeth afferrò svelta una corda e si slanciò sul ponte della nave inglese, pronta per incrociare le lame con Lord Seamus. Poco dopo si fronteggiavano, mentre alle loro spalle infuriava la battaglia. Occhi negli occhi si studiarono per un attimo, poi attaccarono: le lame cozzarono violentemente, sprizzando scintille; entrambi paravano con grande maestria e lanciavano affondi senza pietà, con grande foga. Ma, per quanto un soldato possa essere agile e bravo, non potrà mai competere con una donna che ha l'arte della scherma nel sangue e che è stata addestrata da sanguinosi e sleali pirati. Infatti bastò un affondo meglio mirato per ferire il Lord al fianco ed uno scorretto sgambetto per farlo cadere rovinosamente a terra, dopodiché...beh, l'inglese dovette ringraziare la clemenza e quel pizzico di umanità di Elizabeth se rimase in vita.

“Fai ritirare i tuoi! Andatevene!” tuonò la ragazza “Ah, ovviamente non senza prima aver pagato la giusta somma per averci disturbato!” urlò lei, in modo che tutti si fermarono e ascoltarono le sue parole. I pirati risero del Lord sanguinante a terra e dell'umorismo della loro regina.

“Quanto?” domandò ansimando.

“Umm...tutte le casse d'oro e monete che avete con voi! Poi, visto che mi avete buttato giù dal letto senza darmi il tempo di scolarmi la mia rituale tazza di caffè allungato, tutte le armi finiscono nella nostra stiva!” urlò, poi fece cenno ai pirati di iniziare il saccheggio e questi certo non se lo fecero ripetere.

“Siete spietata!” biascicò il Lord. Gli occhi della ragazza s’incendiarono di furore e con un calcio rimandò a terra l’uomo che tanto faticosamente si era messo in ginocchio.

“Sono quanto mi hanno costretto a diventare…” sussurrò poi all’orecchio del malcapitato, per poi urlare di nuovo: “La nave è nostra! Legate gli uomini dell’equipaggio: a mare!”

I pirati scoppiarono in un assordante giubileo.

“Quanto a voi…” continuò con aria di ribrezzo “…tornatevene pure a Port Royal se ci riuscite e, sempre che ci arriviate, dite che la loro governatrice si vergogna d’essere Inglese.” Il Lord la fissò a bocca aperta per lo stupore. Era praticamente un sacrilegio rinnegare la propria patria.

“V-voi…non sapete ciò che dite…” bisbigliò.

“Oh, lo so eccome invece! Ma basta chiacchiere: è tempo di fare un tuffo, non pare anche a voi, Lord?”

“Siete una rinnegata!” urlò allora l’inglese, mentre veniva legato per i polsi e spinto verso l’asse, lasciando una gocciolante scia di sangue dietro di se “Ci rincontreremo, costi quel che costi, e vi pentirete di non avermi ucciso!”

“Comincio già ora a pentirmene, parlate troppo, sapete?” ghignò lei, provocando le risa di parecchi pirati.

Un’ultima occhiata d’odio tra i due, prima che i flutti inghiottissero il corpo del Lord e, poco dopo, anche quello degli altri marinai.

Finito di occuparsi dell’equipaggio, i bucanieri caricarono tutte le casse ricolme d'oro sulla Perla Nera.

Jack aveva osservata tutta la scena, dal duello al saccheggio, ed era rimasto senza parole: Lizzie era cambiata. Come se ora potesse scaricare su qualcuno la sua rabbia e il suo dolore...come se quegli anni, invece di affiancarla l'avessero resa più forte di prima. Decisamente, dovevano parlare.

Era ormai sera e il cielo si tingeva dei colori caldi del tramonto. Jack Sparrow era al timone, lo sguardo fisso sull'orizzonte. Quando Elizabeth uscì dalla cabina lo vide così, e non poté fare a meno di considerare quanto quello sguardo le fosse mancato in quei lunghi anni, quante volte l'avesse sognato. Gli si avvicinò cauta, come se potesse rovinare con la sua presenza quello scenario perfetto; gli si mise affianco, in silenzio.

“Allora Lizzie...io credo dovremmo parlare un po'...”

“Umm...”

“Questa mattina, sei stata...come dire...perfida e magnanima al tempo stesso! Hai lasciato in vita Beckett, eppure gli hai fatto pagare con l'umiliazione più grande tale “dono”! Cosa è successo? Sei diversa.”

“Accidenti Jack! Mi stupisci, non ti facevo un osservatore così profondo!”

“Cara, sono il Capitano Jack Sparrow, no?”

“Già...”

“Ma, per una volta, non si parlava di me, quindi...”

“Quindi nulla! Jack, prima che Will fosse legato all'Olandese io serbavo speranze in un futuro tranquillo al fianco dell'uomo che amavo...ma ora, che dovrei aspettarlo dieci anni prima di incontrarlo, dimmi che senso ha la mia vita! É per questo che ti ho chiesto di intraprendere questo viaggio disperato...perché è l'unica via di scampo verso una prematura e forzata solitudine! Perciò oggi sono stata perfida nell'umiliarlo, perciò l'ho lasciato in vita, per avere qualcuno, anche in un futuro molto prossimo, su cui riversare la mia rabbia e il mio dolore represso!” aveva parlato velocemente, senza guardare il pirata negli occhi.

“Ah, comprendo...”

“No, non puoi capire, tu sei sempre stato libero e per sempre lo sarai, perché sei nato libero e libero morirai...io no. C'è sempre qualcuno che decidesse per me, che gestisse la mia vita al mio posto, ho patito sofferenze per futili motivi...Jack, non so, ma credo che tu non abbia mai provato ciò che ho provato io: come un'eterna prigione, finché non ti ho conosciuto. Allora ho assaporato un briciolo di libertà...poi le nostre strade si sono divise e la mia prigione ha di nuovo chiuso le sue porte.”

Jack rimase in silenzio, perché lei aveva ragione, purtroppo. Una lacrima silenziosa aveva solcato il bel viso di Elizabeth, che non aveva cercato minimamente di fermarla, nonostante fosse davanti al capitano. Quello che fece Jack la lasciò piacevolmente sorpresa: la prese delicatamente per il braccio e l'attirò a se, stingendola in un dolce abbraccio. Lizzie si rifugiò volentieri in quel calore, stringendo con forza la camicia del pirata.

“Tu sarai libera se vorrai essere libera, sei tu padrona della tua vita.” le bisbigliò lui all' orecchio; la ragazza alzò lo sguardo e gli sorrise, grata.

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Capitolo 5
*** Informazioni. ***


Capitolo 5: Informazioni

Il giorno seguente, Jack e Gibbs si trovavano sul ponte a discutere della rotta.
“Vede signor Gibbs, se i miei calcoli sono esatti, nel giro di una settimana raggiungeremo l'isola e in due o tre giorni troveremo la fonte.”
“Benissimo capitano...avete controllato la rotta?”
“Certo che no. La mia bussola in mano mia, in questo caso, non funziona, perché è la cosa che più desidera Elizabeth, non io. Alla luce di questo fatto, lascerò la bussola a Miss Swann e sarà lei a indicarci l'esatta via.”
“Ah!”
“Su, non restate lì impalato, per ora fate rotta verso nord-ovest, io vado a cercare Miss Swann.” Così dicendo il capitano lasciò Mastro Gibbs per recarsi nelle cabine,dato che Elizabeth non era salita in coperta.
Stava per dirigersi verso quella della donna, ma passando davanti alla sua sentì dei rumori provenire dall'interno. Leggermente allarmato, aprì cautamente la porta: al suo interno Elizabeth, che gli dava le spalle, stava rovistando in un vecchio baule pieno di carte e libri.
“Se avessi voluto che mettessi in ordine i miei appunti te l'avrei chiesto senza esitare, ma grazie del pensiero spontaneo!” disse, e la ragazza si voltò spaventata.
“I-io...avevo bisogno...di...ecco...u-una...una...una bottiglia di rum! Perché...ecco, sì, mi era venuta sete e ricordavo che tu ne tieni sempre una in cabina...”
“Dici? E come mai la cerchi in un baule quando fa bella mostra di se sul tavolo?” le disse indicando la bottiglia sulla scrivania.
“Oh! La stavo appunto cercando! Magnifico, non riuscivo a trovarla!”
“Sì certamente...” disse chiudendo la porta della cabina alle sue spalle “Perché non la smetti di fingere e mi dici che cerchi!” domandò afferrandola per un polso.
“Ompf...” sbuffò contrariata.
“Avanti, non è difficile!” la spronò lui.
“E va bene! Diciamo che volevo, come dire, documentarmi sulla fonte per non arrivare impreparata.” confessò.
“Troppa grazia chiedermelo, eh?” domandò ironico, avvicinandosi di più a lei.
“Perché immagino tu sappia tutto, vero?” sbuffò lei.
“Non proprio tutto, ma so del rituale. Me ne parlò mio padre quando feci il mio primo tentativo di arrivarci.” Lei si fece più attenta, era circa mezz'ora che rovistava nel suo baule ma non aveva trovato nulla di interessante, se non l'approssimativa ubicazione dell'isola e un trattato sulla vegetazione del luogo, a quanto pareva molto rigogliosa.
“Allora, in cosa consiste il rituale?” domandò lei.
“Servono due calici d'argento appartenuti a Ponce de Leon, una lacrima di sirena, l'acqua della fonte e una persona da sacrificare.” rivelò lui
“Hai detto s-sirena?!” chiese sconcertata
“Già, per questo ora ci stiamo dirigendo a White Cap Bay, luogo che pullula di sirene, soprattutto in questa stagione.”
“Scusa, ma dopo aver trovato gli oggetti, che bisogna farne?”
“Oh-oh è qui che viene il bello! Allora, in entrambi i calici si versa l'acqua della fonte, in uno si mette anche la lacrima di sirena. La persona che beve il calice con la lacrima ottiene tutti gli anni di vita che l'altro, colui che berrà dall'altro calice, avrebbe vissuto. Così diverrà praticamente immortale!” le spiegò.
“Wow! Ma allora, se entrambi vogliamo l'immortalità...serviranno due lacrime di sirena e due persone da immolare.” rifletté lei.
“Molto perspicace gioia!” lei lo guardò attentamente negli occhi: “Non mi stai prendendo in giro, vero?” domandò improvvisamente sospettosa.
“Che motivo ne avrei?” ribatté lui.
“N-non lo so...”
“E allora perché fai domande se poi neanche tu sai perché le fai?”
“Oh, basta! Sei...sei...” disse nervosa
“Sono...?” le chiese, ormai i loro visi erano talmente vicini…Elizabeth fu stordita dall'odore di mare e rum di Jack mentre si perdeva in quegli occhi così scuri.
“Sei irritante e mi confondi con i tuoi giochetti di parole!” sbuffò adirata, più che altro con se stessa per essersi lasciata incantata, seppur per un secondo, dallo sguardo del pirata.
“Ah, interessante...” lei per tutta risposta strattonò violentemente il polso in modo da sottrarsi a quel contatto e si allontanò da lui.
“Scusa Lizzie ma il nostro colloquio non è finito.” Così dicendo le lanciò la bussola che lei prese al volo “Sembra che anche questa volta sarai tu a guidarci! Vedi però di chiarire bene cosa più vuoi al mondo, sai, per non fare errori, come la scorsa volta...” disse ironico per poi uscire dalla cabina, mentre lei lo fulminava con lo sguardo.
 
Erano parecchi giorni che navigavano ormai e, secondo i calcoli di Jack e di Elizabeth, nel  giro di poco tempo sarebbero arrivati a White Cap Bay, per trovare la sirena, la cui lacrima era fondamentale per la riuscita del rituale.
La donna passava le sue giornate sul ponte scrutando l’orizzonte e la bussola del capitano. Era turbata e un po’ preoccupata per la faccenda della sirenetta…
Accadde in un uggioso mattino: le sabbiose coste bianche della baia apparvero all’orizzonte dopo tanta sospirata attesa. Nessuno però perse tempo, meno che mai Jack: con la sua ciondolante andatura raggiunse Lizzie sul ponte, il sorriso a incorniciargli le labbra.
“Allora…questa volta le idee erano più chiare, eh?” le disse.
“Taci Sparrow e fammi scendere a terra!” ribatté brusca lei.
“Gibbs, la scialuppa è pronta?”
“Certo capitano!”
“Allora, miss Swann, prego, dopo di lei” la beffeggiò lui. Dopo poco Jack, Elizabeth e Gibbs si trovavano a bordo della scialuppa e, tempo un paio di colpi di remi, erano a terra.
“Allora, per la sirena cosa bisogna fare?” domandò lei.
“Semplice gioia, si attende la notte, precisamente si aspetta che la luna vecchia sia tra le braccia della nuova…è notte di plenilunio.”
“Ma, ma…è appena mattino, che intendi fare tutto il giorno, nel senso, che bisogno c’era di scendere ora?!” domandò furiosa lei.
“Tecnicamente, non c’era, ma avevo voglia di cambiare paesaggio.”
“Tu sei pazzo, letteralmente pazzo!”
“E tu sei innamorata di un morto!” disse lui per poi capire troppo tardi quanto l’avesse ferita tale frase.
“Se-io-sono-sposata-con-un-morto-è-anche-colpa-tua!” disse mentre le lacrime salivano inevitabilmente agli occhi.
“Cara se non avessi fatto pugnalare il cuore di Jones al tuo amato, lui sarebbe morto definitivamente e io sarei capitano dell’Olandese, gran cosa di sicuro, ma potresti rivedermi solo una volta ogni morte di papa!” disse lui.
“E chi ti dice che avrei voluto rivederti?”  ribatté lei testarda.
“Ahah, Lizzie, parli così, proprio tu?”
“Non è divertente Jack!!”
“Sì che lo è…lo è eccome, perché mi vengono dei dubbi sulla vera natura del tuo viaggio.” insinuò velenoso lui. 
“TACI! Tu non sai niente!” urlò lei, mentre le lacrime scendevano a rigarle il volto. Furiosa, voltò le spalle ai due pirati e andò a sedersi su uno scoglio, fissano con sguardo vuoto il mare. Perché? Perché tutto quello? Perché Jack aveva così stramaledettamente ragione? Era vero…no, si disse, scuotendo la testa come per scacciare quel pensiero.
Le ore passavano lente e Jack non aveva mai spostato gli occhi dalla giovane, guardando la cascata dorata che le ricadeva aggrovigliata sulle spalle. Gibbs, dal canto suo, si era presto messo a tracannare rum, per poi cadere ubriaco fradicio sulla spiaggia.
Erano circa le otto di sera quando il globo lucente delle luna aveva fatto capolino tra le nuvole. Elizabeth si alzò controvoglia, per nulla entusiasta di restare a stretto contatto con i due pirati per altro tempo. <> si disse.
“Allora Sparrow…come si fa per la sirena?”
“Molto semplice…ora saliamo al vecchio faro…”disse indicando la torretta “…poi accendiamo la luce, il fascio luminoso colpirà la barcaccia su cui starà navigando Gibbs, fungendo da esca. Poi, per spingere le care sirenette a riva, beh, ci penserà la Perla! Facile, no?”
“Un giochetto, veramente!” sbuffò la ragazza “E il povero mastro Gibbs? Lo lasci andare così?”
“Cara, è il suo lavoro! Comunque non sarà solo!” disse il pirata indicando un’altra scialuppa che stava raggiungendo la spiaggia.
“Avremo bisogno di aiuto.” Spiegò vedendo la faccia ancora perplessa di lei.
Dopo pochi minuti scendevano a terra un’altra dozzina di uomini, metà dei quali risalì poco dopo con mastro Gibbs sul vecchio legno, alla volta della rischiosa operazione.
 

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Capitolo 6
*** Sirena Serena. ***


Capitolo 6: Sirena Serena
 Decisamente, la ragazza non era tranquilla e tanto meno lo era il povero Gibbs, seduto sulla scialuppa, dove due colossi dalla pelle color dell’ebano remavano con voga.
Arrivati nel punto in cui il faro proiettava la sua luce si fermarono.
“E adesso?” domandò uno dei vecchi marinai.
“Adesso si canta…” sbuffò Gibbs.
“Si canta?!” chiesero sbalorditi gli altri.
“Il capitano non ve lo ha detto?”
La faccia degli uomini era a dir poco sbalordita. Cantare? Loro si limitavano ad un più o meno intonato:
 
Quindici uomini sulla cassa del morto
Yo-ho-ho e una bottiglia di rum!
Agli altri han pensato il bere e il demonio
Yo-ho-ho e una bottiglia di rum!
 
“Scusa perché dovremmo cantare?” chiese un altro dubbioso.
“Semplice, la musica attira le sirene!” rispose Gibbs, ormai rassegnatosi al fatto di dover intonare la loro eterna canzone. Stavano per aprir bocca quando il giovane mozzo, a bordo con loro da appena un mese, cominciò a cantare una strana melodia:
 
C'è un'audace marinaio che attendo dentro al cuore…
Non conosco il suo nome, ma ho bisogno del suo amore…
Oh fanciulle innamorate venite tutte qua,
l'allegro audace marinaio un giorno arriverà…
Solo lui può consolare questo cuore spezzato a metà,
il mio audace marinaio prima o poi arriverà…
C'è un audace marinaio che attendo dentro al cuore,
non conosco il suo nome,
ma ho bisogno del suo amore.
 
 I marinai ascoltavano il ragazzo cantare, con una nota malinconica nella voce, eppur ammaliante.
Un movimento dell’acqua che fece dondolare la barca scosse ognuno dai suoi pensieri; si fecero attenti, le pistole strette nella sinistra e un coltellaccio nella destra.
“…Non conosco il suo nome…”
Un'altra spinta che fece muovere la scialuppa, e nelle scure acque torbide i pirati poterono vedere nuotare qualcosa…o qualcuno.
“…ma ho bisogno del suo amore.” Gli uomini si voltarono di scatto, spaventati: la melodiosa e calda voce che aveva concluso il verso della canzone non era certo quella del ragazzino.
Il volto e il busto di una splendida donna, dalla pallida e opalescente carnagione, emergeva dall’acqua. Con un rapido movimento si avvicinò alla barca, i capelli biondi che fluttuavano dietro di lei, e si appoggiò con un braccio al ruvido legno.
I pirati erano incantati a guardare il volto da eterna ragazzina della giovane, che li fissava con i suoi occhi celesti, della stessa tonalità del mare da cui proveniva. Indubbiamente bella, indubbiamente letale.
 
Nello stesso istante, sulla riva, alcuni pirati avevano teso le reti e aspettavano in ansia immersi nell’acqua fino al ginocchio. Jack camminava nervoso sul piccolo pontile che fungeva da molo, mentre Elizabeth fissava la scena con il cannocchiale.
“Jack?...”
“Dimmi.”
“Una sirena si è avvicinata alla barca.” Sussurrò.
Il capitano si fece più attento, le si avvicinò e le fece cenno di passargli il cannocchiale.
“Ah, dritti alla meta…”
“…e conquista la preda.” Finì per lui la ragazza.
Si scambiarono un veloce sguardo d’intesa, poi fecero cenno agli uomini di stare pronti.
 
Sulla scialuppa, i filibustieri erano ormai soggiogati dal melodioso canto della sirena, a cui si erano aggiunte le voci delle compagne, anch’esse appoggiate languidamente alla barca. Decisamente non si sarebbero riscossi facilmente, finché ciò che sarebbe dovuto essere la loro condanna si tramutò nella loro salvezza. La prima sirena aveva allungato le piccole mani a sfiorare il braccio del giovane mozzo, fino a trarlo a se con un’inaspettata forza, di cui il poveretto dalla mente offuscata non si rese conto.
C'è un audace marinaio che attendo dentro al cuore…”
Un po’ più vicino, i compagni troppo impegnati a cercar di resistere alle altre sirene per pensare a te.
“…non conosco il suo nome…”
Ora puoi specchiarti nei suoi occhi, vedi chiaramente una piccolo neo sul collo niveo, ma ti importano di più le sue labbra, tanto vicine che puoi sfiorarle. Ma mentre cerchi di baciarla, lei si scosta, ti costringe a spingerti oltre il parapetto e a sfiorare l’acqua, fino a che sei con la testa sott’acqua.
“…ma ho bisogno del suo amore.”
L’ultimo verso è inghiottito dal mare, e solo quando il suo viso si storce in una grottesca maschera, in cui non riesci a ritrovare i bei lineamenti delicati; e l’ossigeno, o meglio la sua assenza, si fa sentire, capisci che è tardi. Forse è l’istinto di sopravvivenza che ti porta a rialzare il viso dall’acqua, nonostante le sue mani ti artiglino la schiena per non farti scappare, o forse è la salda presa di un tuo compagno a salvarti.
Poi un caotico disordine piratesco. Le sirene, stanche di aspettare, si erano gettate sulla scialuppa con portentosi balzi e nello stesso istante i marinai avevano “ritrovato la ragione”. Colpi di pistola risuonarono nell’aria, zampilli di sangue macchiarono gli abiti. La scialuppa ben presto si ritrovò con uno squarcio nel fondale e nell’impossibilità di rimanere a lungo a galla; un poderoso colpo di coda da parte di una sirena la fece ribaltare una volta per tutte. L’unico pensiero dei marinai, una volta che il mare si richiuse sopra di loro, fu che l’acqua era gelida. E che le sirene erano tanto belle quanto mostruose.


...continua...

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Capitolo 7
*** Sirena Serena. (2^parte) ***


Capitolo 7: Sirena Serena. (2^parte)

Quando Mastro Gibbs riaprì gli occhi si ritrovò steso piuttosto scompostamente sulla spiaggia. Era ancora buio e faceva fatica a scorgere i contorni delle figure che si agitavano con foga  a pochi metri da lui. Il mare era stranamente calmo, dopo tutta la confusione creata dalle belle sirene. Ora era la spiaggia animata e frenetica.

“L’abbiamo presa! L’abbiamo presa!”

Ma perché non ricordava nulla?

“Gibbs!” un marinaio gli tese la mano, aiutandolo ad alzarsi, e strattonandolo per una manica della camicia logora lo trasse vicino al luogo dove si accalcavano tutti.

“Mastro Gibbs, presto venite a vedere!” era la voce del capitano che lo incitava a farsi più vicino.

Quando riuscì a vedere cosa celava la cerchia di pirati, Gibbs non credette ai suoi occhi: una piccola sirena, dai lunghi capelli bruni e gli occhi verde mare, stava dimenandosi in una piccola pozza d’acqua. Però, poté constatare il vecchio mastro, una lunga striscia rossastra macchiava la coda della creatura: era ferita.

“Allora, che ne dite Mastro Gibbs, non è…graziosa?” fece Jack, gesticolando ampiamente.

“Sicuro capitano, ed è ancor più sicuro che vi darà un aiuto per raggiungere la vostra tanto agognata immortalità!”

“La nostra  tanto agognata immortalità!” sottolineò Elizabeth perfidamente.

“Ma certo, la nostra immortalità!” ribatté il capitano roteando gli occhi verso il cielo che stava cominciando a schiarire.

“E ora, su, ehi, voi due!” apostrofò due marinai vicino alla sirena “Tornate alla Perla e prendete la cassa!”

Solo in quel momento Gibbs poté notare che la Perla Nera era molto più vicina alla riva rispetto a poche ore prima. Eppure, nella sua mente vi era come un buco nero che aveva inghiottito ogni ricordo riguardante il lasso di tempo tra l’attacco delle sirene e adesso.

“Capitano?”

“Sì, Mastro Gibbs?”

“Ehm, non so come dire, ma non ricordo nulla di ciò che accaduto! Come avete fatto a catturare la sirena?!”

“Oh, mia tarda testuggine di mare, la memoria comincia a fare cilecca, eh? Comunque, sei stato sbalzato via dalla scialuppa e hai perso conoscenza. Uno dei nostri è riuscito a riportarti a riva prima che ti sbranassero vivo quelle adorabili creature!” sorrise affabile prima di riprendere “Nello stesso momento, io avevo lanciato un paio di fuochi colorati, il segnale prestabilito con quelli a bordo della Perla, in modo che cominciassero a fare fuoco e intanto avvicinarsi alla riva, in modo da spingerle verso di noi.”

“Ah!”

“Poi, dato che non riprendevi i sensi ti abbiamo disteso a riva, intanto ci siamo accorti, o meglio, Lizzie si è accorta” si corresse, vista la faccia con cui lo osservava “ Della piccola e ,continuo a sottolineare, adorabile sirenetta che si era spiaggiata.”

“Ah, sì, ora capisco!”

“Bene! Sarebbero guai a perdere la tua leggendaria memoria!” asserì con aria beffarda.

“Bah, se lo dite voi…”

Avrebbe sicuramente ribattuto, se il gruppo di marinai non fosse tornato a terra con la cassa di vetro che avrebbe contenuto la sirena. La riempirono velocemente d’acqua, dopodiché tornarono vicino alla pozza dove la sirena continuava a dimenarsi. Non senza alcune difficoltà riuscirono ad “adagiarla” nella gabbia di vetro.

“Mi fa così…così…pena!” sussurrò Elizabeth, mentre osservava i marinai preparare un accampamento provvisorio e piuttosto rudimentale per la notte.

“Vedila così: niente lacrima, niente immortalità. E niente immortalità, beh, niente Will!” disse Jack avvicinandosele.

“Sì, questo lo so, ma…”

Fu interrotta dalla rude voce di un pirata.

“Capitano, questa… questa…cosa, dove la mettiamo?!”

“Ma almeno diamole un nome!” sbottò Elizabeth.

“Va bene, va bene, uno alla volta! Allora, tu, metti la vasca lontano dal fuoco; tornando a noi, sceglile tu un nome, è compito da donne!”

“Hn, non ti sopporto, Capitan Jack Sparrow dei miei stivali!” ringhiò frustrata allontanandosi.

 

<<È bella>> fu il primo pensiero di Elizabeth quando si sedette davanti alla teca a guardarla <>

Si era addormentata da quasi dieci minuti, e per altrettanto tempo lei era rimasta ad osservarla. I lineamenti delicati, raggomitolata in posizione fetale sul fondo della teca.

<>

“Serena” pronunciò ad alta voce, quasi a voler saggiare il suono di quel nome.

“La sirena Serena…” riprovò sorridendo “Sì. Tu sei Serena.”

Quella notte la ragazza si coricò a fianco della sirena, nonostante l’aria fresca e umida. Per la sua immortalità avrebbe fatto soffrire un’altra creatura. Un essere mostruoso, questo sì, ma dopotutto non aveva commesso altro peccato che essere se stesso e seguire la sua natura.

Con questi pensieri chiuse gli occhi, eppure non riusciva a prendere sonno. Forse le troppe emozioni, forse il fatto di avere affianco una sirena con stinti omicidi, forse l’emozione di essere un passo più vicino a Will. Già, Will, ragione di tanti sforzi e sofferenze. Will.

Voltò il capo, in modo da vedere Jack steso accanto al fuoco, a pancia in su, con una bottiglia di rum semivuota accanto. No, non solo Will. Jack.

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Capitolo 8
*** In viaggio. ***


Capitolo 8: In viaggio

Il risveglio per la ragazza non era stato dei migliori. Anzi, diciamo pure che era stato pessimo, per non dire terrificante. L’umidita aveva ridotto la sua schiena delicata come quella di un’ottantenne con i reumatismi, nell’aria c’era ancora puzza di alcool e legna bruciata, il tutto accompagnato a quello pungente della salsedine. Ovviamente per non parlare della ciurma, che grugniva e bestemmiava contro il caldo infernale.
Ci erano voluti dieci minuti buoni, tra sbuffi e urli, per riuscire a smuovere la teca contenente la sirena, che si era conficcata nella sabbia più profondamente di quanto si erano immaginati. Quando finalmente si erano incamminati nel folto della jungla intricata dell’isoletta, il sole era alto e le esalazioni pestilenziali di quel pantano non contribuivano certo a migliorare l’umore della ciurma, Elizabeth compresa, che camminava affianco a Jack, davanti alla comitiva, bussola in mano e speranza nel cuore.
Jack era parecchio strano per i gusti di Elizabeth, solita a vederlo spavaldo in ogni situazione. Stava silenzioso, mordicchiandosi nervosamente le nocche della mano sinistra, come se fosse indeciso se parlare o meno. Dopo minuti di sguardi fugaci nella sua direzione, espressioni corrucciate e smorfie strane, Lizzie decise di averne a basta. Mentre i marinai riposavano seduti in una radura leggermente ombreggiata, gli si avvicinò.

“Si può sapere, di grazia, cos’hai oggi?!” sibilò puntandogli l’indice al petto, le sopracciglia aggrottate.

“Umm…” borbottò lui, storcendo la bocca.

“Umm?” ripeté lei incredula “Non hai aperto bocca da ‘sta mattina e tutto quello che ottengo è “Umm”. Ma quanti litri di rum ti sei bevuto ieri sera?”

“Umm…”

“Ancora?!”

“Umm, è complesso da spiegare…”

“Provaci!” sbuffò lei con un’alzata di spalle.

“Ah…ehm…no, fa lo stesso, proseguiamo!” concluse correndo nuovamente in capo del gruppo, sfuggendo “abilmente” all’interrogatorio di Elizabeth.
Inutile dire che la ragazza, nell’arco della giornata provò varie volte a estorcere qualche parola che non fosse “Umm” dalla bocca di Jack, con ben scarsi risultati. Ad un certo punto esausta, si lasciò cadere mollemente su un sasso, imitata da parecchi uomini.

“Allora Jack, quanto ancora?” domandò Gibbs.

“Mia cara tarda testuggine di mare, primo, dobbiamo ancora prendere i calici di Ponce de Leon, situati chissà dove, secondo, arrivare alla fonte, che se la memoria non mi inganna…” disse mentre estraeva la mappa rubata a Barbossa anni addietro “Dovrebbe essere ubicata a qualche miglio da qui!” finì indicando un punto sulla tela sgualcita.

“Propongo di dividerci, allora.” Disse Elizabeth.

“Bene…” asserì il capitano, ottenendo cenni d’assenso da tutta la ciurma.

“Io e l’equipaggio ci incamminiamo verso la fonte, tu vai alla ricerca dei calici. Mi sembra più che corretto!”

“Cosa?!” fece stupito lui “Voi in gruppo e io solo come un cane pulcioso che porta un mazzo di chiavi?!”

“Jack, dovresti apprezzare questo mio gesto di fiducia!”

“Chi ti dice che non andrò alla Fonte lasciandoti senza calici?” provò il capitano, con quella sua solita arietta furba.

“Io mi porto dietro la sirena.” Fece ovvia lei, roteando gli occhi per tanta stupidità.Jack storse le labbra e poi tese la mano destra verso Lizzie, che lo guardò alquanto perplessa.

“La bussola. Mi serve. Non è indicata la nave di Ponce de Leon sulla mappa. Perciò, scambio.”

“Ah…bene.” riconsegnò l’oggetto al suo proprietario, intascando poi la mappa che lui le porgeva.

Poi, senza aggiungere altro, il fiero (ma al momento abbastanza depresso) capitano della Perla Nera si incamminò, scomparendo nel folto.
 
Il sole pomeridiano batteva sul ponte lucido della nave, bruciando e scottando la pelle incartapecorita dei vecchi marinai; sfiorando delicatamente le livree nuove di zecca degli ufficiali. La bandiera inglese che sventolava fiera al vento. E un sorriso inquietante a incorniciare le labbra di un capitano, o meglio di un Lord.
 
Sulla battigia Jack correva, la bandana svolazzante e il cappello trattenuto a malapena da una mano dell’uomo. Da un pezzo correva sulla spiaggia, alla disperata ricerca di quella maledetta nave che avrebbe aggiunto un tassello al complicato puzzle che erano arrivati a comporre, in un disperato tentativo di portarlo a termine nel minor tempo possibile. Mentre sfidavano il tempo, mentre sfidavano vita e morte, mentre sfidavano se stessi, alla fine era solo un gioco. Un gioco difficile, che spesso trovava macabra conclusione, ma non nel caso di Sparrow. O almeno, non per ora.
 

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Capitolo 9
*** Ponce de Leon. ***


Salve a tutti! Mi scuso immensamente per il terribile ritardo, ma ho avuto qualche contrattempo che mi ha impedito di aggiornare con maggior velocità. Non aggiungo altro, solo buona lettura!

Capitolo 9: Ponce de Leon

Il risveglio per la ragazza non era stato dei migliori. Anzi, diciamo pure che era stato pessimo, per non dire terrificante. L’umidita aveva ridotto la sua schiena delicata come quella di un’ottantenne con i reumatismi, nell’aria c’era ancora puzza di alcool e legna bruciata, il tutto accompagnato a quello pungente della salsedine. Ovviamente per non parlare della ciurma, che grugniva e bestemmiava contro il caldo infernale.
Ci erano voluti dieci minuti buoni, tra sbuffi e urli, per riuscire a smuovere la teca contenente la sirena, che si era conficcata nella sabbia più profondamente di quanto si erano immaginati. Quando finalmente si erano incamminati nel folto della giungla intricata dell’isoletta, il sole era alto e le esalazioni pestilenziali di quel pantano non contribuivano certo a migliorare l’umore della ciurma, Elizabeth compresa, che camminava affianco a Jack, davanti alla comitiva, bussola in mano e speranza nel cuore.
Jack era parecchio strano per i gusti di Elizabeth, solita a vederlo spavaldo in ogni situazione. Stava silenzioso, mordicchiandosi nervosamente le nocche della mano sinistra, come se fosse indeciso se parlare o meno. Dopo minuti di sguardi fugaci nella sua direzione, espressioni corrucciate e smorfie strane, Lizzie decise di averne  abbastanza. Mentre i marinai riposavano seduti in una radura leggermente ombreggiata, gli si avvicinò.

“Si può sapere, di grazia, cos’hai oggi?!” sibilò puntandogli l’indice al petto, le sopracciglia aggrottate.

“Umm…” borbottò lui, storcendo la bocca.

“Umm?” ripeté lei incredula “Non hai aperto bocca da ‘sta mattina e tutto quello che ottengo è “Umm”. No, ma quanti litri di rum ti sei bevuto ieri sera?!”

“Umm…”

“Ancora?!”

“Umm, è assai complesso da spiegare…”

“Provaci!” sbuffò lei con un’alzata di spalle.

“Ah…ehm…no, fa lo stesso, perchè mai perdere tempo inutilmente con simili futilità!” concluse correndo nuovamente in capo del gruppo, sfuggendo “abilmente” all’interrogatorio di Elizabeth.
Inutile dire che la ragazza, nell’arco della giornata provò varie volte a estorcere qualche parola che non fosse “Umm” dalla bocca di Jack, con ben scarsi risultati. Ad un certo punto esausta, si lasciò cadere mollemente su un sasso, imitata da parecchi uomini.

“Allora Jack, quanto ancora?” domandò Gibbs.

“Mia cara tarda testuggine di mare, primo, dobbiamo ancora prendere i calici di Ponce de Leon, situati chissà dove, secondo, arrivare alla fonte, che se la memoria non mi inganna…” disse mentre estraeva la mappa rubata a Barbossa anni addietro “Dovrebbe essere ubicata a qualche miglio da qui!” finì indicando un punto sulla tela sgualcita.

“Propongo di dividerci, allora.” Disse Elizabeth.

“Bene…” asserì il capitano, ottenendo cenni d’assenso da tutta la ciurma.

“Io e l’equipaggio ci incamminiamo verso la fonte, tu vai alla ricerca dei calici. Mi sembra più che corretto!”

“Cosa?!” fece stupito lui “Voi in gruppo e io solo come un cane?!”

“Jack, dovresti apprezzare questo mio gesto di fiducia!”

“Chi ti dice che non andrò alla Fonte lasciandoti senza calici?” provò il capitano.

“Io mi porto dietro la sirena.” Fece ovvia lei, roteando gli occhi per tanta stupidità.
Jack storse le labbra e poi tese la mano destra verso Lizzie, che lo guardò alquanto perplessa.

“La bussola mi serve. Non è indicata la nave di Ponce de Leon sulla mappa. Perciò, mia cara Miss Swann, propongo uno scambio.”

“Ah…bene.” riconsegnò l’oggetto al suo proprietario, intascando poi la mappa che lui le porgeva.
Poi, senza aggiungere altro, il fiero (ma al momento abbastanza depresso) capitano della Perla Nera si incamminò con il suo ondeggiante passo, scomparendo nel folto.
 
Il sole pomeridiano batteva sul ponte lucido della nave, bruciando e scottando la pelle incartapecorita dei vecchi marinai; sfiorando delicatamente le livree nuove di zecca degli ufficiali. La bandiera inglese che sventolava fiera al vento. E un sorriso inquietante a incorniciare le labbra di un capitano, o meglio di un Lord. Che presto, molto presto, avrebbe ottenuto la sua tanta agonata vendetta. 

Sulla battigia Jack correva, la bandana svolazzante e il cappello trattenuto a malapena da una mano dell’uomo. Da un pezzo correva sulla spiaggia, alla disperata ricerca di quella maledetta nave che avrebbe aggiunto un tassello al complicato puzzle che erano arrivati a comporre, in un disperato tentativo di portarlo a termine nel minor tempo possibile. Mentre sfidavano il tempo, mentre sfidavano vita e morte, mentre sfidavano se stessi, alla fine era solo un gioco. Un gioco difficile, che spesso trovava macabra conclusione, ma non nel caso di Sparrow. O almeno, non per ora.
A notte inoltrata, quando le prime stelle facevano capolino dal manto notturno, come puntini in una trapunta scura, Jack scorse i contorni indistinti di una nave. Una nave spiaggiata…o meglio, una nave in precario equilibrio su una rupe. Riuscito in qualche modo ad inerpicarsi sulla scogliera fino a riuscire a raggiungere la nave, si preparava, con gli occhi scintillanti, a cercare i calici. Rovistò per quasi un’ora in quell’ammasso di cianfrusaglie dorate, tra monete di ogni paese e gioielli e armi d’ogni forgia. Stava per arrendersi alla stanchezza, quando un raggio di luna, filtrante da un boccaporto arrugginito, illuminò un piccolo cofanetto, attirando la sua attenzione. Con un colpo secco aprì lo scrigno, e esultò interiormente di gioia. Due calici scintillanti facevano bella mostra di sé. Non fece in tempo nemmeno a sfiorarli che sentì un fruscio, poi un forte colpo alla testa e tutto si fece nero.

Quando riaprì gli occhi, stordito e con la testa che pulsava terribilmente come dopo la peggiore delle sbornie, mise a malapena a fuoco l’ambiente circostante. Si trovava seduto sulla spiaggia, con la schiena appoggiata ad un albero e i polsi e le caviglie strettamente legati. Provò ad alzare lo sguardo, ma la luce calda e accecante gli fece presto cambiare idea. Notò la forma di una nave che spiccava chiaramente, ormeggiata non molto al largo, sulla quale sventolava la tanto odiata bandiera inglese. Perciò, per il bel capitano, quando vide un ufficiale dalla casacca blu e bianca non fu poi tanto uno shock.

“Ci si rincontra, Sparrow.” Una voce odiosa, dal forte accento inglese e simile ad un’altra voce tanto conosciuta, gli fece storcere le labbra disgustato, prima di fare le dovute correzioni al suo interlocutore, in piedi di fronte a lui.

“Capitan Jack Sparrow, se permettete.” Ghignò beffardo il pirata, sorridendo ironico.

“No, nella posizione in cui vi trovate non potete permettervi nemmeno questo, caro capitano.” Ribatté Lord Seamus Beckett, accovacciandosi alla sua altezza, in modo da poterlo scrutare negli occhi.

“Ditemi allora voi, cosa può permettersi un pover’uomo in queste condizioni.”

“Penso, che dovendo scegliere tra vita e morte, uno come voi possa permettersi il lusso di tradire i suoi compagni.” Berciò il Lord beffardo.

“Ah…” il capitano sorrise, uno di quei sorrisetti difficili di interpretare.

"Vi do un'ora per pensarci, sapete che in caso di rifiuto vi spetta la morte, lenta e dolorosa, con un cappio ad adornarvi il collo." detto questo l'inglese se ne andò, lascinado Jack a rimuginare sulla situazione.

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Capitolo 10
*** Una fenditura nella roccia. ***


Ciao a tutti! Allora, premetto che questo capitolo è venuto più corto del solito, e me ne dispiace. Però non avrei potuto procedere altrimenti, dato che il prossimo capitolo sarà ricco di avvenimenti, e mettere tutto in uno solo lo avrebbe reso esageratamente lungo. Perdonatemi per questa volta! :)
Ne approfitto per aggiungere che mi sono accorta di aver sbagliato i titoli dei due capitoli precedenti (ho dimenticato di correggerli dalla versione originale) e sono davvero mortificata, ma avevo la testa un po' tra le nuvole mentre postavo! Prometto che li correggero al più presto!
Giusto l'ultima nota, poi ho finito di rompervi le scatole: parto per la montagna tra pochi giorni, perciò temo che non riuscirò ad aggiornare molto presto, mi spiace.
Detto questo, spero solo vorrete lascirmi un commentino piccino piccino! Alla prossima ;)



Capitolo 10: Una fenditura nella roccia

Una leggenda narra di un temibile capitano, sovrano dei sette mari, condannato ad un’esistenza solitaria e ad un destino ormai segnato. Un capitano che navigava le acque dei defunti, un capitano solo, con lo sciabordio delle onde e il fetore della morte come unici compagni. Il capitano di una nave fantasma, un capitano dalla ciurma dannata e condannata a vagare con egli in eterno. Un unico compito incombeva su questo capitano e sulla sua ciurma: dovevano traghettare le anime dei defunti sino nell’aldilà Questo capitano poteva scendere a terra solo una volta ogni dieci anni. Da colei a cui aveva donato il suo cuore.

Elizabeth si svegliò di soprassalto, il buio che avvolgeva ancora ogni cosa.  Il respiro era affannato e la mente ancora piena di immagini del sogno appena interrotto. Avrebbe volentieri bevuto una tazza di latte caldo per calmarsi un’ attimo, e in quel momento rimpianse come poche volte in vita sua la scelta di non essersene rimasta a casa. Ah, la sua bella villa, con il balcone della stanza da letto che si affacciava sul porto e sul mare circostante; con i camerieri e le damigelle pronte a servirla e a riverirla. Scosse bruscamente la testa a quei pensieri: aveva avuto un’infanzia e un’adolescenza comode, certo, ma non era lo stile di vita che faceva per lei, poco ma sicuro. Lei era per il mare che si stendeva a vista d’occhio, era per le navi che fendevano il mare burrascoso senza paura, era per le sanguinose battaglie. No, ripensandoci, in quel momento non avrebbe voluto una tazza di latte caldo, bensì un abbraccio o una semplice pacca sulla spalla da una persona cara, come Will ad esempio. Sorrise mesta, come gli mancava! Sentiva nostalgia di ogni cosa di lui, dalla voce calda e rassicurante alle mani callose da fabbro che sapevano essere estremamente delicate quando l’accarezzavano. Sentiva mancanza dei suoi occhi scuri, che le trasmettevano amore ma anche sicurezza in ogni momento. Sospirò, mentre si alzava dal suo giaciglio improvvisato e si incamminava per fare una breve perlustrazione del territorio circostante in attesa che il resto dell’equipaggio si destasse. Il giorno precedente avevano camminato parecchio, ed ormai mancava davvero poco alla Fonte, almeno stando alla mappa e alle indicazioni fornitele da Jack.
 
Intanto, un celebre capitano di nostra conoscenza camminava svelto davanti ad un gruppo di inglesi capitanato dal Lord, il quale si era anche premurato di rubare i due calici d’argento di Ponce de Leon e di darli al suo luogotenente. Mentre Jack cercava di ritrovare l’orientamento in quella fitta giungla, nella sua mente si affollavano mille idee e piani. Il buio pesto, rischiarato solo dai sottili raggi di un sole che cominciava lentamente a sorgere, non facilitava certo le cose. Anzi, se possibile le peggiorava solo: i giochi di luce creavano strani disegni sulle piante circostanti, e spesso si rischiava di scambiare sottili ombre per velenosi serpenti e viceversa. Decisamente, Jack avrebbe preferito mille volte trovarsi sulla sua adorata Perla, priva di qualsiasi animale schifoso, eccetto per la scimmietta maledetta.

“Allora, Sparrow, quanto manca alla Fonte?” sbottò Beckett.

“Come devo dirvelo che non ne ho la minima idea?!” sibilò di rimando il pirata, stizzito.

“Ed in ogni caso, anche se noi avessimo la fortuna di giungere alla Fonte interi” disse lanciando un’occhiata preoccupata ad un serpentello “non è detto che il rimanente dell’equipaggio, Miss Turner compresa, sia già arrivato. Perciò, se i miei suddetti compagni non sono già arrivati, voi non potrete avere la tanto bramata e agognata vendetta, comprendete?!” Aggiunse gesticolando come suo solito.

Lord Beckett evitò di cercare di raccapezzarsi in quel discorso pronunciato in pochi secondi ad una velocità preoccupante; si limitò a lanciargli un’occhiata fulminante e a fargli segno di procedere. C’era un disperato bisogno di serrare i tempi.
Stava tutto lì il problema, stava nel tempo, una cosa che a Jack Sparrow non era mai bastata. Perché non aveva avuto tempo di pensare quando aveva salvato Elizabeth da morte certa anni addietro, semplicemente si era tuffato nel tentativo di riportarla a galla prima che fosse troppo tardi. Quando Lizzie l’aveva baciato non aveva avuto il tempo (e la forza di volontà) per respingerla. Non aveva avuto tempo a sufficienza per ragionare quando Will era stramazzato al suolo dell’Olandese Volante con una spada conficcata nel petto: aveva dovuto fargli pugnalare il cuore di Davy Jones. Infine, non aveva avuto tempo di studiare un piano decente nella misera ora che gli aveva concesso il Lord. Insomma, a Jack Sparrow il tempo non piaceva. Per principio, ma soprattutto perché non ne aveva mai avuto a sufficienza.
La piccola carovana procedeva svelta. Elizabeth si era consultata brevemente con Gibbs e, in comune accordo, avevano deciso di riprendere la marcia nonostante il sole non fosse ancora del tutto sorto. La ragazza era in testa al gruppo come consuetudine e studiava con attenzione la mappa, distratta dai capelli che le sventagliavano davanti al volto, spinti dalla brezza mattutina.

“Miss Turner, allora, siamo giunti? La ciurma comincia a essere stanca di questo continuo girovagare!” disse Mastro Gibbs affiancandosi alla giovane piratessa
.
“Secondo la mappa dovrebbe essere qui, non capisco!” Rispose sconfortata.

“Guardate dinanzi a voi, Mastro Gibbs, dovreste riuscire a scorgere una specie di feritoia nella roccia: l’ingresso alla grotta contenente la Fonte, suppongo.”

Il pirata cercò allora di  trovare una spaccatura tra le pareti di roccia che gli si paravano davanti, imitato dalla ragazza, che si premurò di spargere la voce tra i marinai, e ben presto una dozzina di teste erano levate verso l’altro, il cerca di una qualsiasi crepa degna di nota.

 “Miss Turner! Guardate là!” la voce di uno dei pirati richiamò l’attenzione di Elizabeth, che volse lo sguardo dove le veniva indicato dal giovane marinaio. Una fenditura, seminascosta da una macchia di alberi, lasciava intravedere l’ingresso angusto di una caverna. La donna sorrise, scambiando un’occhiata d’intesa con Gibbs. Ormai la vita eterna era a portata di mano.

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Capitolo 11
*** Problemi. ***


 

Ciao gente!
Scusatemi tanto per il ritardo abissale, ma è ricominciata la scuola e con lei le tonnellate di compiti, perciò il capitolo era rimasto fermo ad un punto morto, senza che riuscissi a trovare il tempo per continuarlo. Spero di riuscire a farmi perdonare! Buona lettura! :)

Capitolo 11: Problemi

In fila indiana, appiattendosi contro la parete umida e scivolosa, i pirati facevano il loro ingresso nella grotta. Il problema maggiore si era presentato quando era stato il momento di far entrare la sirena, visto che la vasca era troppo grande e non sarebbe mai passata per la strettoia.

“Dobbiamo prendere le lacrime ora, non c’è più modo di portacela dietro.” Fece Gibbs, rimasto ancora fuori assieme alla ragazza e ad un altro paio pirati.

“Esatto, così poi finalmente la lasceremo crepare e non saremo costretti a portarcela dietro come un peso morto!” rincarnò uno dei pirati. Elizabeth lo fulminò con lo sguardo.

“Come osi?! Sarò io a far crepare te se avrai ancora l’ardire di proferir parola senza il mio consenso!” urlò la Regina dei Pirati, facendo indietreggiare di un passo il mal capitato.

“Mastro Gibbs, quello scellerato di Jack non mi ha consegnato la fiala per contenere le lacrime, è necessario che la sirena ci segua.” Affermò poi.

“Ma Miss Turner, lo vede anche lei che è impossibile…”

“Trovate un modo o…” la ragazza non terminò la frase che un rumore di vetri infranti li fece voltare. I due marinai incaricati di portare la sirena avevano lasciato un po’ troppo bruscamente la teca, mandandola in frantumi e facendo precipitare con un tonfo sordo la sirena al suolo, che, sotto gli occhi increduli di tutti, si rannicchiò con la coda al petto finché quest’ultima non si tramutò in un paio di esili e diafane gambe. Elizabeth era incredula, sbalordita da quella metamorfosi immediata. Si riscosse velocemente, accortasi della completa nudità della ragazza, e le si avvicinò porgendole la sua giacca logora, affinché potesse coprirsi un minimo. Incenerì con lo sguardo i marinai che avevano azzardato un sorrisetto malizioso, per poi dedicare nuovamente l’attenzione alla sirena non più sirena.

“Ehi, non avere paura…Ti prometto che non ti faremo del male…” esordì la donna. La ragazza bruna, Serena, non rispose, ma sembrava capire Elizabeth, che proseguì spiccia.

“Io non ti farò del male e ti restituirò la libertà, ma tu in cambio dovrai piangere una lacrima per me. Intesi?” domandò.

Serena continuò a scrutarla con i suoi occhi profondi come il mare di cui portavano il colore. Sembrava poterle leggerle l’anima, e la piratessa si sentì a disagio come poche volte in vita sua. Dopo qualche istante la bruna accennò un debole “sì” con il capo riccioluto. La donna, soddisfatta, si rialzò, facendole cenno di seguirla. Serena tentò di mettersi in piedi, per poi però cadere maldestramente ai piedi del mastro, che, mosso da spirito di compassione, le pose un braccio dietro le spalle e l’aiutò a rialzarsi, sorreggendola.

“Non preoccupatevi Miss Turner: a lei penso io.” Disse Gibbs.

“Bene, vi ringrazio.”

Dopodiché, Elizabeth entrò nella stretta fenditura: aveva proceduto qualche istante nel buio, prima di afferrare la fiaccola che un marinaio le porgeva. Il getto luminoso rischiarò d’un colpo le tenebre che pochi istanti prima gli avvolgeva. La caverna non era dissimile a molte altre grotte che presenziavano nella zona e dal soffitto colavano minuscole gocce d’ acqua fredda che si infilavano dentro la casacca dei marinai senza che potessero farci nulla, e le poche che non correvano lungo le loro schiena facendoli rabbrividire andavano a morire in pozze di liquido stagnante non più definibile acqua. L’odore di muffa e vegetali in putrefazione era insopportabile; certamente quello non sembrava l’ingresso verso la miracolosa Fonte che tutti si erano immaginati.

“Allora, che si fa ora?” chiese uno dei marinai con un ringhio.

“Tsk, si procede, no?” ribatte Lizzie, non facendosi intimorire. Alzò la torcia, muovendo qualche passo avanti a se, facendo vagare lo sguardo alla ricerca di qualsiasi cosa, un dettaglio, un indizio, in grado di portarli finalmente alla tanto agognata Fonte. Fece cenno a un marinaio di avvicinarsi, gli mise in mano la torcia e srotolò la mappa che teneva sempre infilata nel risvolto dei pantaloni. Sbuffò sonoramente.

“Qui non dice assolutamente nulla su come raggiungere la Fonte! Vi sono solo scarabocchiate alcune parole in spagnolo e ci sono disegnati un paio di calici vicino a…” si bloccò, scuotendo la testa, esasperata. “Ompf, non ne ho la più pallida idea.” Confessò.

Un mormorio di scontento si levò tra l’equipaggio, che mastro Gibbs tentò subito di mettere a tacere.

“Aspettiamo Jack, magari lui è riuscito a trovare i calici e potrà aiutarci in qualche modo.” Cercò di confortarla il mastro.

“Allora capitiamo a proposito, che ne dite, Miss Turner?” Una voce odiosa, assai familiare, fece voltare la ragazza e la sua ciurma.

Elizabeth assottigliò gli occhi, ormai abituatisi all’oscurità, e mise a fuoco la sagoma del Lord, e accanto a lui quella di Jack.

“Jack!” senza rendersene conto aveva urlato il nome del pirata, lanciandosi di scatto contro di lui, per venire fermata suo malgrado da una carabina puntata contro il suo petto.

“Non così di fretta, Miss. Penso proprio che voi abbiate qualcosa che ci interessa...” disse Lord Beckett occhieggiando la sirena, ancora sorretta da Gibbs.



...Continua...

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Capitolo 12
*** Combattimento. ***


Mi scuso per il ritardo! Buona lettura :)

Capitolo 12: Combattimento

Non era tensione quella che aleggiava in quell’anfratto di roccia, era azione allo stato puro, era frenetica calma celata dietro occhiate disperate lanciate in ogni direzione. Era un misto micidiale di mille sensazioni diverse, appartenenti ad altrettante parecchie persone. Era il momento della resa o della vittoria, era il momento di decidere. Dopotutto, la vita è costellata di scelte, o no?
Elizabeth era rimasta immobile, la carabina ancora fermamente puntata contro di lei. I suoi occhi, illuminati dal fuoco delle torce, invano cercavano di incontrare quelli del capitano, che sembrava piuttosto impegnato nell’arrovellarsi il cervello in cerca di un modo per sottrarsi dalla mira dei fucili, senza venire scannato nel tentativo di provarci. Il diabolico sorrisetto che però andava man mano a delineare le labbra del pirata non facevano presagire nulla di buono. Anzi. Quello era il sorrisetto alla Jack Sparrow, che precedeva la via di fuga alla Sparrow. Assurdamente efficacie, con anche relativamente pochi effetti collaterali gravi.
Il monologo portato avanti da Lord Beckett fino a quel momento, su come i pirati fossero irrimediabilmente perduti e prossimi ad una lenta morte “appesi per il collo”, venne bruscamente interrotto. È superfluo, vero, dire da chi?
Jack, con tutta l’eleganza di cui disponeva, si era allontanato dai soldati, con paio di mosse azzeccate delle mani e un breve inchino alla carabina che prima si ritrovava puntata sulla schiena. In pieno stile Sparrow, poi, si era avvicinato al Lord, picchiettandogli su una spalla con l’indice inanellato. Questi si era voltato piuttosto stupito, incrociando il ghigno dorato e beffardo del pirata e inarcando le sopracciglia perplesso e alquanto allarmato.

“Sparrow…” proferì atono.

“Precisamente. Vedete, my Lord,  ho ragionato a lungo durante questi giorni di prigionia, arrivando ad una bizzarra ma non impossibile conclusione.” Fece Jack con aria misteriosa.

“Ebbene?”

“Voi” disse, calcando parecchio sulla parola “Possedete i calici, ma loro” e anche questa volta calcò sull’ultima parola “Posseggono la sirena e le lacrime che ne derivano. Perciò, se vogliamo tutti la vita eterna possiamo seguire due strade: massacro o collaborazione.” Rivelò, sorridendo furbo.

L’inglese fece per ribattere, ma Jack fu abbastanza svelto da interromperlo, ricominciando a esporre il suo pensiero, giungendo sino alla parte saliente.

“Per quanto io sia incline alla prima opzione, visto che comincio a non tollerare più il vostro orrido parrucchino, trovo sconveniente sporcare di sangue questo luogo oltre ogni dire ragguardevole, perciò trovo logico e appropriato trovare un punto di incontro e collaborare.” Ghignò bastardo Jack, esponendo le sue idee con tutto lo charme di cui era dotato, il che vale a dire parecchio.

“Se anche se solo pensate che noi scenderemo a patti con voi filibustieri vi sbagliate di grosso” ringhiò uno degli ufficiali, sguainando la spada ancor prima che il Lord potesse controbattere alla proposta del pirata. Nel giro di pochi istanti tutti i marinai ancora in grado di impugnare un arma, a causa dei vari “contrattempi” incontrati durante la marcia, avevano imbracciato fucili e brandito spade, subito imitati dai pirati, che avevano accompagnato lo stridio delle spade sguainate con urla e ululati rabbiosi.
 
I combattimenti sono fatti di mille piccoli particolari, ed è praticamente impossibile coglierli tutti in un misero istante.
 
Jack aveva fatto in tempo a calcarsi in testa il cappello a tricorno e a sgusciare via dalla mischia, prima che gli uomini di entrambe le parti si scagliassero l’uno sull’altro, senza esitazioni.
 
Ci sono occhiate, occhi che vagano da un capo all’altro del campo in ricerca di uno sguardo amico, di un' iride dai colori famigliari in cui trovare coraggio e conforto.
 
Elizabeth aveva approfittato della confusione per cercare di ritrovare Jack in mezzo a quella mischia.
 
C’è tensione, tanta, c’è la paura di non ritrovare più il compagno di eterne scorribande.
 
Si era buttata in quel groviglio di corpi senza timore, la spada alta pronta ad aiutarla ad aprirsi un varco in quel caos.
 
Ci sono odori, fumo di torce e polvere da sparo, sudore e sangue. Il muschio che ricopre le pareti e la muffa che creano un alone di stantio. L’umido che impregna le pareti, e una lontana nota di salsedine, che giunge dal mare lontano. Il caldo che viene a crearsi diviene insopportabile, ma l’olezzo indefinibile lo è ancora meno.
 
Ma, tra questi mille odori, una prepotente zaffata famigliare di rum e alcool d’ogni genere aveva investito la ragazza. A quello era seguita una mano che le artigliava un polso, strattonandola e facendola voltare, in modo che potesse incontrare gli occhi e il sorrisetto sghembo del capitano.
 
Ci sono suoni, tanti, troppi. Spade che cozzano. Fucili che sparano e detonazioni che rimbombano nella volta della grotta, facendo fremere le pietre.
Ci sono urla. Queste ultime sono le più varie e terribili: ululati di dolore, grida di cieca e malsana gioia, ringhi rabbiosi di sconfitta. Si odono tonfi di corpi che cadono al suolo senza vita, lame che trafiggono la carne e respiri mozzati. In tutto questo caos, però, c’è anche il ritmico scendere cadenzato di una goccia d’acqua da una roccia. Nessuno potrebbe sentirla. Nessuno.
 
La voce di Jack sovrastava il fragore della battaglia nel cercare di comunicare il suo piano alla ragazza, mentre si nascondevano dietro una roccia scheggiata.

“Elizabeth cara, dovete aiutarmi!”

“Jack, hai fatto scoppiare un pandemonio! È bastata una misera richiesta di accordo che hanno provocato l’esatto opposto!” urlò di rimando la ragazza, a metà tra l’arrabbiato e l’entusiasta.

“Era la mia intenzione dolcezza, lo so che nessuno avrebbe mai accettato l’accordo, e questa ne è la prova.” fece serafico lui.

“Ad ogni modo, dobbiamo raccattare i calici e cercare di trovare questa maledetta fonte!”

Lei annuì appena, mentre un proiettile fischiava sopra le loro teste.

“Dove li tenevano?” domandò lei, sporgendosi un attimo per sparare un colpo ad un inglese troppo vicino e vivo per i suoi gusti.

“In una bisaccia, l’aveva a tracolla il Lord.” rispose il pirata, lanciandosi occhiate in giro, nel tentativo di rintracciare Lord Beckett.

Lizzie cominciò a osservarsi febbrilmente intorno, finché non puntò un dito contro una figura precisa.

“Là!” urlò, e senza pensarci uscì nuovamente allo scoperto, seguita a ruota dal pirata, che le difendeva le spalle mentre lei avanzava risoluta verso Lord Seamus.
 
In tutto questo, Gibbs si batteva valorosamente, cercando nel frattempo di proteggere anche la sirena, che a mala pena si reggeva in piedi. Un altro filibustiere gli dava man forte contro un paio di inglesi che li stavano chiudendo sempre più verso la parete rocciosa. Qualche altro colpo di sciabola, e con un gesto abile il secondo pirata sfilò dal cinturone logoro una bella pistola arabescata, mandando all’altro mondo uno dei due nemici con un colpo preciso. Presto anche il secondo cadde al suolo con cinque o sei centimetri di ferro nel cuore.
Vista da questa prospettiva si potrebbe dire che i pirati avessero la meglio, ma anche le giubbe rosse non se la cavavano male, anzi. Già troppi pirati giacevano al suolo per i gusti di Gibbs e del resto della ciurma.

“Chissà Jack dove è andato a caccia…” nemmeno terminò la frase, vedendo il bizzarro spettacolino che gli si parava davanti: Jack, Elizabeth e il Lord che infierivano a vicenda sull’avversario, mentre nella mano sinistra Jack reggeva quella che sembrava una vecchia sacca di pelle sgualcita, che tintinnava ad ogni passo ciondolante del capitano. Il capitano, infatti, era riuscito ad appropriarsi della bisaccia, tagliando una delle bretelle con cui il Lord se la teneva al collo e lasciandola cadere tra le mani svelte della ragazza, che abilmente se ne era impossessata e l’aveva rilanciata al pirata. Ecco dunque che erano finiti in uno di quegli intrecci in cui se ti fermi, muori. Le cose sembravano andare bene per i due, ma presto un altro ufficiale era andato a dare man forte al proprio superiore, rendendo il gioco equo.
Un rapido scambio di sguardi tra i due pirati, la lama della spada di Jack che si conficcava nel petto dell’inglese e che si sfilava dal duello, lasciando Elizabeth e Lord Beckett a fronteggiarsi. Inutili i ringhi di quest’ultimo e le urla di incitamento verso i suoi (ben pochi) uomini rimasti.
Intanto il furbo capitano correva nel suo strano modo verso una roccia sopraelevata, fermandosi un attimo per estrarre i due calici argentati dalla sacca e tirando un lungo sospiro per riprender fiato. Non sapendo bene che fare per riuscire a trovare la Fonte e per cercare di distrarre i pochi uomini sopravvissuti e riportarli alla sua attenzione, fece la cosa più naturale che gli venne in mente: sbatte i due calici tra loro, producendo un suono argentino e limpido, vagamente metallico. L’attenzione l’ottenne senza dubbio, poiché tutte le teste si voltarono verso di lui, e svariati paia di occhi sorpresi lo fissarono, mentre le spade cessavano temporaneamente di cozzare e le carabine di tonare. Neanche il tempo di fiatare o di finire il nemico che si trovavano di fronte, che una limpida pozza d’acqua andava formandosi sul soffitto di roccia sopra le loro teste. Sembrava formatasi per magia, e la cosa strana era che non accennava a fermarsi o a gocciolare verso gli uomini sottostanti...

...Continua...

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Capitolo 13
*** La Fonte della Giovinezza. ***


Ciao ragazzi! Innanzi tutto, BUON 2013!
Eheh, megli tardi che mai, direte voi, e avete ragione! :)
Ad ogni modo, ringrazio tutti i miei lettori per la pazienza che hanno dimostrato, davvero, se non fosse per voi questa avventura forse non sarebbe mai iniziata, perciò grazie a tutti, a chi legge in silenzio e a chi ha aggiunto la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Lo so che rompo, ma visto che è iniziato un nuovo anno, me lo lasciate un commentino? :) Io spero tanto di sì!
Buona lettura, spero di riuscire a postare il prossimo capitolo con più velocità!



Capitolo 13: La Fonte della Giovinezza

I volti di tutti i presenti erano rivolti verso l’alto, gli sguardi succubi di tale meraviglia. Uno strano silenzio carico d’attesa si era venuto a creare, rendendo nervosi parecchi uomini, il Lord compreso. Elizabeth, intanto, si fece largo tra il gruppetto di pirati e inglesi, sgomitando per arrivare più vicina a Jack ed esattamente sotto il centro della pozza d’acqua formatasi sulle loro teste.

“Deve essere quella la via.” Constatò emozionata, trattenendosi dal fregarsi le mani soddisfatta.

“Umm…bene, vista cotanta lungimiranza, siete anche in grado di dirci come attraversarla questa “via”, Miss Turner?” domandò beffardo Lord Seamus, per poi farsi subito più attento quando lei rispose, sicura:

“Dobbiamo solo attraversala.”

“Ma come?” intervenne Gibbs, che continuava a non capire, mentre continuava a tenersi ben salda tra le braccia la sirena.

A quella domanda la ragazza parve ragionarvi un attimo, per poi ritrovare la sua sicurezza.

“Jack, issami sulle tue spalle.” ordinò determinata al capitano, che le rivolse un’ occhiata stralunata, come se a parlare fosse stata una pazza.

“Tu sei impazzita! Cosa diavolo credi di fare?” bofonchiò lui, mettendo le mani avanti in segno di diniego.

“Oh, avanti, la vuoi questa maledetta vita eterna sì o no?” ribatté lei, avvicinandosigli. Il pirata sbuffò contrariato, per poi lasciare che la donna si avvicinasse.

“Pensi di reggermi?”

“Mi stai prendendo in giro, spero.” Ringhiò l’uomo di rimando, caricandosela agilmente sulle spalle, mentre lei si tendeva il più possibile, fino a sfiorare con la punta delle dita l’acqua. Era molto fredda, limpida e quasi impalpabile.

Nemmeno il tempo di formulare questi pensieri che la piratessa venne come risucchiata da quella strana pozza. Non ebbe neanche il tempo di sentirsi spaventata, poiché fu
una questione di pochi attimi, e il suo corpo già giaceva oltre la lastra d’acqua. Aprì gli occhi – che fino ad allora aveva tenuto strettamente serrati, reazione involontaria a

quello strano avvenimento – e rimase sbigottita da ciò che vide. 
Sembrava un altro mondo. Si presentava come una grotta di roccia scura, avente uno sbocco verso l’alto e facendo filtrare da questa grande spaccatura un ampio cono di 
luce argentea, quasi bianca. Lungo le pareti erano cresciute piante d’ogni sorta, da fitti rampicanti a splendidi fiori color rubino. Piccoli alberelli dal tronco esile e le chiome
spioventi circondavano quello che pareva un fiumiciattolo, che andava generandosi dalla medesima pozza d’acqua da dove la piratessa era sbucata fuori, e che arrivava a lambire le rocce circostanti. Alzò lo sguardo e, finalmente, la vide. La fonte di tanti sacrifici, di tante sofferenze e peripezie. Di tanta futura gioia. La Fonte della Giovinezza. Si ergeva in mezzo a quella specie di paradiso in rovina, circondata da quella luce irreale e abbagliante, esattamente al centro del fascio luminoso. Si presentava come un anello irregolare di roccia, posto in rialzo su alcuni altri massi coperti da un tappeto di muschio, da cui sgorgava un flebile fiotto d’acqua. La ragazza rimase incantata, come vittima di un sortilegio che le impediva di distogliere lo sguardo. Mosse appena qualche passo, prima di sentire un tonfo, seguito da alcune imprecazioni. Eppure, nemmeno allora si voltò. Aveva l’immortalità ad un passo…cosa importava tutto il resto? Ora l’idea di seguire Will non sembrava un concetto così astratto. Anzi. Era come un sogno vivido, reale.
Alle sue spalle Jack, Gibbs con Serena, Lord Seamus e il resto degli uomini sopravvissuti, pirati o inglesi che fossero, si trovavano ammassati accanto al passaggio che aveva permesso loro di giungere in quel luogo. Nessuno proferì parola per qualche minuto.
Poi accadde. Veloce, rapida come uno schiocco di una frusta, una spada era stata sguainata. Una lama inglese aveva trafitto un corpo pirata, e da lì in poi era stato il caos. Le lame avevano preso a cozzare nuovamente, in un continuo crepitio di ferri. Le urla si erano di nuovo alzate, più forti di prima nonostante l’inferiorità numerica di entrambi le parti. Il sangue presto aveva preso a sgorgare, macchiando di scarlatto l’acqua, le rocce e quei radi ciuffi d’erba. In tutto questo, però, una figura immobile, che a stento percepiva ciò che la circondava. Elizabeth, da quanto il suo sguardo si era posato sulla Fonte, non aveva capito letteralmente più nulla. Il suo cervello aveva smesso di connettere, sentiva le membra intorpidite e mille voci ronzarle in tesa, pronunciando parole sconnesse. Vide appena la figura di Jack che le correva in contro, una smorfia terrorizzata a increspare le sue labbra e gli occhi sbarrati. Si chiese il perché di quella frenesia.
Dopotutto, lì si stava così bene, sentiva la calma avvolgerla e il silenzio farsi strada nella sua mente, mettendo a tacere tutte quelle voci. Solo quando un lancinante dolore le pervase il petto, mozzandole il respiro e lasciandola in ginocchio, sbarrò gli occhi, andando a toccarsi il petto e ritraendo la mano poco dopo. Era macchiata di un rosso vivo, caldo e denso. Alzò lo sguardo, come in trance, incontrando quello di Jack. E poi tutto si fece buio. 

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Capitolo 14
*** Vivere o morire. ***


Ciao ragazzi! Sono tornata, e decisamente prima del solito! Sono abbastanza soddifatta di questo capitolo, se però avete consigli da darmi o correzioni da farmi, sarò felicissima di parlarne con voi! Ovviamente ringrazio ancora Fafy Ste, che ha recensito il precedente capitolo, e tutti quelli che seguono, ricordano, preferiscono. Siete più importanti di quanto non pensiate! :) 
Non vi anticipo nulla, l'unica cosa che vi dico è che ci avviciniamo sempre più verso un punto saliente della nostra storia. Sperando di non aver deluso le vostre aspettative, vi lascio alla lettura!


Capitolo 14: Vivere o morire

Il pirata aveva sgranato gli occhi, il fiato corto per la corsa e il cuore che martellava furioso nel petto. Non credeva a ciò che vedeva, letteralmente: Elizabeth che si accasciava al suolo, inerte, il petto che andava ricoprendosi di copioso sangue scarlatto, non poteva certo essere una visione reale. Lei non poteva… nemmeno voleva pensarlo. Il suo corpo reagì spontaneamente, non ebbe neanche il tempo di ragionare. Un cenno del capo ad un compagno, che si era precipitato a coinvolgere il famigerato inglese in una furiosa lotta, e aveva trovato il tempo di soccorrere la donna.
Gibbs, dal canto suo, aveva assistito alla scena e, sempre tenendosi Serena accanto, che a mala pena muoveva qualche passo spaventata, si era piombato accanto al capitano e alla sua Regina.

“Jack!”

“Gibbs, maledizione!” urlò di rimando il pirata, cercando di mantenere il sangue freddo. “Ho bisogno che tu resti qui a proteggerla e a difenderla, fai qualcosa, cerca di fermare l’emorragia, ho bisogno di qualche secondo, il tempo di prendere una goccia di acqua miracolosa!” spiegò con voce concitata, mentre sia che Gibbs che Serena si piegavano sul corpo della giovane.

“Guardaci le spalle.” proferì Serena, e il pirata per un secondo rimase sorpreso dall’udire la sua delicata voce, che così raramente aveva udito. “Io penserò a lei.” Asserì convinta, stracciando la camicia della giovane per vedere dove la lama l’avesse ferita.
 
Sparrow, intanto, era balzato lontano appena ne aveva avuto modo, e spalleggiato da un altro filibustiere si era fatto strada verso la Fonte. Sapeva bene che non sarebbe stato semplice, era un chiaro monito lo sguardo del Lord che mai l’aveva perso di vista, e che ora si dirigeva verso di lui con la spada sguainata. Un paio di balzi, e si ritrovò davanti alla strana fontana, i calici ancora stretti con un laccio di tela logora alla cintura, come si era premurato di fare una volta giunti al cospetto della Fonte della Giovinezza. Gli sfilò rapidi, portandoli sotto il getto d’acqua limpida e fredda. Qualche goccia tintinnò cristallina contro l’argento dei calici. A Jack sembrava tutto troppo, orrendamente facile. Difatti…

“Sparrow, ma che pensiero carino facilitarmi il lavoro.” Sibilò Lord Beckett, puntandogli il freddo ferro imbrattato di sangue grumoso contro. “I calici.” Aggiunse perentorio.

Jack, per la prima volta forse dalla morte di Will non aveva voglia di liberarsi dell’avversario improvvisando i suoi famosi giochetti. Voleva arrivare solo dritto al sodo, e subito.
<> si ritrovò a pensare. Aveva i calici stretti in precario equilibrio nella mano destra, e la sinistra ancora libera. Improvvisò una rapida mossa con quella mano, quel tanto che bastava per arrivare alla pistola, e il suo gesto fu talmente rapido che soprese anche il Lord, che nel giro di una manciata di secondi si era ritrovato con una pistola puntata alla fronte, e un pirata ardente dalla voglia di premere il grilletto.

“Infame.” Mugugnò Beckett.

“No… Giusto.” Ringhiò di rimando il pirata, ma, invece di premere il grilletto, si limitò a ad alzare di poco la canna arabescata della pistola e a sbatterla violentemente sulla testa dell’inglese, che cadde tramortito al suolo. Sghignazzò soddisfatto, certamente sarebbe rimasto k.o. il tempo necessario per evitare l’inevitabile.
Corse come un pazzo, fino al gruppetto dei suoi compari. Serena sorreggeva Elizabeth, sussurrandole parole in una lingua a lui sconosciuta; un lembo della camicia della donna avvolgeva il petto della piratessa, arrestando parzialmente la copiosa fuoriuscita di sangue.

“Jack, ce l’hai fatta!” esultò il luogotenente.

“Ceramente, mastro Gibbs, ne dubitavate forse?” domandò assottigliando gli occhi, per poi rivolgersi alla sirena.

“Devi piangere. Ti prego, ho bisogno che tu pianga in questo calice, devi farlo per lei. Ricorda che Elizabeth è sempre stata l’unica a mostrarti…rispetto.” Disse sbrigativo.

“Aspetta Jack, ci manca qualcuno da sacrificare!” gli ricordò ansante Gibbs, mentre lasciava un regalino di piombo nel petto di una giubba rossa. Egli trattenne il fiato, come sopraffatto da tutti quei vincoli, tutte quelle limitazioni che gli remavano ampiamente contro.

“Oh, io non temo certo la …” fece per dire il capitano, per poi venire interrotto bruscamente.

“Non dite così, Capitan Jack Sparrow. Voi temete la morte come ogni uomo, nonostante l’abbiate già precedentemente affrontata. Non c’è bisogno del vostro sacrificio, mi immolerò io. Dopotutto, sono già condannata. Una volta prese sembianza umane non abbiamo che pochi giorni di vita.” rivelò la sirena.

A Jack parve stringersi il cuore di gioia (e sollievo, in fondo in fondo), mentre osservava la giovane Serena accingersi a versare una lacrima limpida come  rugiada in uno dei due calici.
Si ritrovò a stringere la mano di Elizabeth tra le sue senza nemmeno rendersene conto, rimirandone il sorriso affaticato e l’espressione sofferente.
Appena Serena bevve dal suo calice, Jack allungò una mano per portare l’altro alle labbra di Lizzie, che però vi posò sopra un paio di dita, tremolante, respingendolo. Con evidente sforzo articolò qualche parola di protesta.

“Se bevo io… Non ci sarà tempo per te.” Biascicò.

“Spero che abbiate voglia di fare dell’ironia, Miss Swann. Sono forse io quello che sta per morire dissanguato?” domandò con una lieve nota ti tirato sarcasmo.

La ragazza non protestò ancora, limitandosi a scuotere impercettibilmente il capo. Con una rumorosa sorsata mandò giù il contenuto del suo calice.
Subito una specie di folata di forte vento investì il gruppetto e i pochi uomini ancora sopravvissuti (un paio di ufficiali, il Lord e tre pirati malconci) con inaudita potenza. Serene venne sollevata da questo getto d’aria inaspettato, mentre Sparrow si calcava in testa il tricorno di cuoio, onde evitare di perdere il suo prezioso cappello.
Serena, volteggiando sospesa grazie a quello strano ciclone in miniatura, si ritrovò ben presto a girare sempre più velocemente, finché lembi della sua pelle candida venivano strappati violentemente dal proprio corpo esile, mettendo a nudo prima muscoli e poi ossa. La scena diede origine ad un macabro spettacolo, da cui però nessuno riusciva a staccare gli occhi.
Fu un attimo, della sirena non rimase che polvere fluttuante nel vento, ombra misera di ciò che era stata, ma forse vera essenza della sua anima. Intanto, la ferita sul petto della piratessa iniziò, lentamente, a rimarginarsi, finché di essa non rimase che sangue raggrumato sulla camicia. Elizabeth, che aveva portato gli occhi all’altezza del suo petto rialzò lo sguardo, lucido di commozione, incontrando quello assente di Jack. Il pirata si limitò a stringerla tra le sue braccia, lasciando che lei si abbandonasse ad un pianto liberatorio.

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Capitolo 15
*** Pensieri. ***


Buondì ciurmaglia!

Ci sono due paroline da dire su questo capitolo, che è molto, molto introspettivo. Ho cercato di analizzare con sottigliezza la situazione, scavando nei pensieri del nostro capitano preferito. Ho fatto un piccolo tuffo nel suo passato, cercando e trovando spunti interessanti. Spero che non risulti noioso, bensì mi auguro che lo troviate interessante!
Altra cosa importante: con questo capitolo si inizia la seconda parte del nostro viaggio, il ritorno. Ecco allora che non è più la Fonte della Giovinezza l'obiettivo da raggiungere, ma gli orizzonti si aprono un'altra volta. Cosa riserverà il futuro per i nostri pirati? Solo un indizio: dai prossimi due o tre capitoli rientrerà in gioco una vecchia conoscenza. Non aggiungo altro!

Come sempre ringrazio chi preferisce, segue, ricorda e recensisce.


Buona lettura! :)


Capitolo 15: Pensieri


La Perla Nera era salpata due giorni dopo, le vele scure rattoppate che si gonfiavano alla prima brezza mattutina. Il sole velato da una cortina di nubi rendeva il clima meno
torrido, e di conseguenza più sopportabile il viaggio a bordo della nave. Jack fissava l’orizzonte con aria assorta; la macchia verde dell’isola che man mano di allontanava
dalla loro vista. Una malcelata preoccupazione adombrava l’animo del capitano, che stringeva in una morsa d’acciaio il parapetto di legno sul castello di prua. Il viaggio di
ritorno non era iniziato bene, non era iniziato bene per nulla. Elizabeth aveva pianto. Disperata e felice allo stesso tempo. Aveva serrato le labbra ostinatamente, come una
bimba capricciosa. Eppure nel suo gesto non c’era alcun capriccio: c’era paura. Nervosismo. I suoi occhi inizialmente si erano riempiti di terrore, poi di desolazione. E il vuoto,
il nulla più totale*, aveva inghiottito tutto. Aveva smesso di parlare con l’equipaggio e con lo stesso Jack, che vanamente ogni sera si recava nella sua cabina, abbracciandola
gentile, premuroso. Si era rinchiusa in un ostinato silenzio. Se Jack avesse saputo che quelli sarebbero stati gli effetti “collaterali” dell’immortalità probabilmente avrebbe
impedito alla ragazza di imbarcarsi in quel viaggio. In effetti, era quasi felice di essere un comune mortale. Quasi.

Mentre il vento gli scompigliava i rasta scuri e i vari gingilli che aveva tra la folta chioma, il pirata cercava di venire a capo di quella ingrata situazione. Metà del suo
equipaggio (quella metà che con lui era sceso) era praticamente morta. Appena tre corsari erano sopravvissuti del gruppo, Il Guercio, Serpente e Joe. Erano tre uomini

valorosi, che corrispondevano perfettamente ai canoni del pirata ideale: Il Guercio era cieco da un occhio, ma era il miglior tiratore di tutta la Perla. Nessuno sapeva come
aveva perso l’occhio sinistro, e molti vi favoleggiano intorno. Certo era che l’atteggiamento del diretto interessato non faceva che alimentare queste leggende. Serpente era
appena un ragazzo, magro, dinoccolato, sinuoso come un serpente, e come la straordinaria capacità di contorcersi nelle maniere più improbabili. Jack sapeva bene che quello
sarebbe stato un bell’acquisto, di fatti si era rivelato sin da subito un ragazzo sveglio e coraggioso. Joe era un vecchio commilitone del capitano da quando quest’ultimo
prestava servizio nella Compagnia delle Indie Orientali. Erano divenuti amici poco prima che Jack decidesse di disertare, e quando questo era accaduto egli l’aveva seguito.
Sparrow era rimasto parecchio colpito dalla decisione del compagno a suo tempo, ma ora comprendeva quella scelta: erano troppo ribelli, troppo liberi, per essere legati ad
una qualsiasi bandiera che non fosse quella nera, che orgogliosamente sventolava al sole.

Pensandoci, Jack era assai felice che quei tre non avessero subito la stessa sorte dei compagni. In genere egli cercava di non affezionarsi troppo alla sua ciurma, poiché “La
ciurma non è che un mezzo per giungere al proprio fine, la ciurma è traditoria. La ciurma cambia, si rinnova: non vi ci si può affezionare. La ciurma è al servizio del capitano,
ma stranamente la ciurma non serve il capitano: la ciurma serve se stessa.” Ecco il pensiero del pirata a proposito dei suoi compagni. Probabilmente certi pensieri erano
dettati anche da avvenimenti passati, eppure nel caso di Gibbs e dei tre nominati prima non aveva potuto che fare un’eccezione. Loro erano la sua unica, vera, ciurma. A loro

si era affezionato, e tanto anche. Erano i compagni di mille scorribande. Ovvio, vi erano anche altri, come Marty e Mr. Cotton, Pintel e Raghetti, ma con loro vi era un rapporto
diverso. Tralasciando il fatto che gli ultimi due gli si erano addirittura ammutinati contro, quelli erano amici, certo, ottimi per salvare donzelle in pericolo e recuperare tesori
perduti, ma non avrebbe lasciato mai la sua vita in mano a uno di quei quattro. Non era questione di intelligenza, secondo il capitano, saper riconoscere a prima vista a chi
poter affidare la propria vita. Era questione di pelle, di sensazioni. Certo, a volte ci si poteva anche sbagliare, e questo lo aveva imparato a sue spese. Per un attimo provò a
pensare se, a Lizzie, lui avesse dato quella sensazione di totale fiducia che lei aveva dato a lui. Perché sì, Jack Sparrow si fidava ciecamente di Elizabeth, e questo non
riusciva a spiegarselo visto che lei l’aveva dato in pasto al Krachen. L’aveva… ucciso.


Se lui le avesse dato quella sensazione, forse, lei non sarebbe rimasta chiusa in quell’odioso silenzio. Si sarebbe fidata, appunto, e gli avrebbe parlato, gli avrebbe fatto
capire cosa c’era che non andava. Anche se aveva la brutta sensazione di saperlo. Eppure, Lizzie aveva scelto di non morire mai piuttosto che osare una vita mortale.
Era codardia o furbizia la sua?, pensava il capitano, la fronte aggrottata davanti a quei pensieri. Un angolino della sua mente – quella parte razionale, piccola e praticamente
insignificante, che però ultimamente si faceva sentire, e spesso anche – gli diceva che sì, quella era codardia e non furbizia. Assolutamente. Eppure, quella parte della sua
coscienza che da sempre lo guidava gli stava urlando che la ragazza trasudava coraggio allo stato puro, che era esattamente come lui, che invano aveva cercato a lungo la
vita eterna. Anche perché ammettere che era vero il contrario equivaleva ad ammettere che lui era un codardo. Un codardo con i fiocchi, fatto e finito.



Spazio dell'Autrice:

Ebbene sì, sono riuscita anch'io a scrivere due righe sotto la storia, che soddisfazione! Evidentemente ho qualcosa da dire, eheheh! ;)

- * Piccola citazione da "La Storia Infinita" di cui consiglio la lettura a chi non ne avesse ancora apprezzato la meraviglia.

- E per concludere, ci tenevo a sottolineare che Il Guercio, Serpente e Joe sono personaggi di mia invenzione, di cui è assolutamente vietato il plagio!

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Capitolo 16
*** Il mio cuore è in uno scrigno. ***


Salve ciurmaglia!
Finalmente sono tornata!!! Sono felicissima, veramente! Scusate il mio orribile, mostruoso, tremendo (e chi più ne ha più ne metta) ritardo, ma "complicazioni sono sopraggiunte sul mio cammino" tanto per dirla alla Jack Sparrow. No, a parte gli scherzi, ero entrata in un periodo di "crisi" e non riuscivo a trovare le idee giuste per proseguire. Ecco perchè per un mese e più e non mi sono fatta viva. Ah, vergona su di me! ;)

Che dire? Che vi adoro lo sapete, visto che senza di voi questa avventura non sarebbe neanche iniziata!

Sperando che il nuovo capitolo vi piaccia, buona lettura!


Capitolo 16: Il mio cuore è in uno scrigno

Il vento soffiava forte, facendo gonfiare le vecchie vele ad uno sfrenato ritmo. Il ponte, una volta sporco, dal legno marcio e le assi scricchiolanti, era stato lucidato a dovere. Non che fosse un’occasione speciale. Di occasioni speciali non ce ne erano più state da un pezzo, nessun avvenimento particolare aveva turbato la calma piatta del veliero. Niente festeggiamenti – la maggior parte degli uomini nemmeno ricordava il giorno del proprio compleanno – o simili svaghi: con diligenza impeccabile e un filo di rassegnazione avevano portato avanti il loro lavoro.
 
I primi giorni erano stati terribili per lui, e se li ricordava bene, eccome se li ricordava. La costante consapevolezza di non poter fare mai ritorno se non per un tempo interminabile, la coscienza di essere morto nel corpo e nella mente, perché il suo cuore era rilegato in uno scrigno, serbato al sicuro da colei a cui quel cuore aveva donato. Non era facile. Il suo primo pensiero era stato rivolto a lei: non avrebbe mai vissuto accanto alla sua donna, non si sarebbe mai svegliato con il profumo della sua pelle a deliziarlo e i suoi capelli ribelli a solleticargli il volto. Non avrebbe mai assaporato la bellezza di vivere insieme, tornare a casa stanco e trovarla aspettarlo sorridente. Non avrebbe visto suo figlio, se mai fosse riuscito ad averne uno. Questo, forse, era il dolore più grande. Ricordava che lei,
quando fantasticavano su una possibile famiglia insieme, aveva alzato le spalle e scosso il capo sull’argomento figli. Aveva detto che era un impegno che non sarebbe mai riuscita a prendersi, che era
troppo pirata per essere una buona madre. Troppo giovane, troppo ribelle. Troppo Elizabeth, in fin dei conti. Eppure, mentre si sforzava di trovare mille validi motivi per non avere una progenie a cui
tener testa, aveva avvertito una nota malinconica nella sua voce, ed un ombra marchiarle lo sguardo per qualche secondo. Allora non vi aveva dato minimamente peso, si era dimenticato presto della faccenda. Eppure ora, con tutto quel tempo per pensare, si ritrovava a rimuginare sulla questione. E aveva capito. Era arrivato alla conclusione che era solo una maschera quella che lei indossava, che si nascondeva dietro una scorza dura per sopravvivere, per evitare di farsi pesare sul cuore il fardello delle sue decisioni. Decisioni che la rendevano felice, sì, ma che le proibivano di pensare troppo al futuro. Perché era così. Tutti loro avevano vissuto alla giornata, non sapendo se il giorno dopo si sarebbero risvegliati. Jack probabilmente aveva continuato, lui aveva trovato l’immortalità e il problema non si era posto. Ma… lei? Erano tre anni, se non di più, che non riceveva sue notizie. D’altro canto, come avrebbero fatto? Lui faceva la spola tra il mondo dei vivi e quello dei morti, traghettando anime in pena da una sponda all’altra, mentre lei viveva la sua vita, cercando di non farsi prendere troppo dai rimpianti.
 
I suoi uomini erano soliti a sostenere la loro ferma convinzione che, qualsiasi cosa sarebbe successa, il loro capitano mai avrebbe smesso di amare la sua donna, e lei altrettanto. Erano largamente convinti che il loro amore, puro e inscalfibile, sarebbe stato eterno. Avrebbero messo anche una mano sul fuoco, tanto ne erano certi. Nessuno, però, si poneva il problema di cercare di capire se la loro fosse una certezza, di quelle radicate nel cuore, o un semplice e ossessionante desiderio, un’autoconvinzione fondamentale per riuscire ad andare avanti e cercare di dimenticare gli orrori del passato. Il loro terrore era che, una volta tornati a terra, non ci fosse stata nessuna chioma bionda ad aspettarli. Ad aspettare il loro capitano.
Suo padre, Sputa-Fuoco Turner, vi sperava forse più di tutti, non solo perché tornare uno strano ibrido tra uomo e pesce non era in cima alla lista delle sue ambizioni, ma anche perché se quella donna avesse osato far soffrire il suo bambino, il suo William, non lo avrebbe sopportato. L’aveva incontrata giusto un paio di volte, e sempre in circostanze pericolose e drammatiche. Trovava quella ragazza coraggiosa, senza dubbio. Era forse la prima cosa che aveva pensato quando l’aveva vista; i capelli biondi arruffati sulle spalle, gli occhi scuri, caldi e avvolgenti, ricolmi di indecifrabili sentimenti. Le aveva biascicato contro frasi sconnesse che rammentava a stenti. Aveva appreso poi che lei era la ragione per cui suo figlio si era cimentato in pericolosi (quanto rocamboleschi) viaggi. Le era grata, in un certo senso: se ora poteva riabbracciare suo figlio era anche merito suo e di quel pazzo di Sparrow.
Già, Sparrow: lui come se la stava cavando? Ecco un altro dei quesiti di Sputa-Fuoco Turner, il quale non aveva affatto dimenticato l’amico di lunga data, a cui aveva tentato spesso di salvare la pelle, in particolar modo contro Barbossa e la sua ciurma di ammutinati. Peccato che non avesse potuto fare molto, infine.
 
Appoggiato mollemente al parapetto, il cappello dalla lunga piuma che ondeggiava al vento, Will Turner rimirava il paesaggio. Lo sguardo si perdeva all’orizzonte, dove il cielo e il mare diventavano tutt’uno. E proprio al confine di quel panorama dai contorni fittizi, la sagoma indistinta di un veliero faceva la sua comparsa.

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Capitolo 17
*** Ritrovarsi. ***


Salve a tutti! :)

Sono tornata ancora una volta, ahah! Non ditemi che avevate incominciato a perdere le speranze!
A parte gli scherzi, che dire di questo capitolo? Penso sia assai descrittivo e introspettivo, per non dire anche romantico!

Non dico altro, vi auguro solamente una buona lettura! ;)



Capitolo 17: Ritrovarsi.

Elizabeth avrebbe potuto giurare di aver sentito distintamente il suo cuore mancare un battito, quando Gibbs aveva annunciato con fare solenne che un veliero molto simile all’Olandese Volante si avvicinava a loro con velocità.
Jack aveva storto la bocca in una smorfia indecifrabile, a metà tra il sorpreso e lo sconcertato. Non aveva proferito parola alcuna, e con la sua camminante ondeggiante era andato a rintanarsi nella sua cabina, da cui non era uscito per tutto il giorno. In circostanza diverse, magari, Elizabeth si sarebbe voluta accertare che nulla di serio gravasse sull’animo del capitano, ma in quel momento la possibilità di rivedere nel giro di qualche ora il suo amato prevaricava ogni cosa. Il suo Will era vicino a lei. Non a miglia di distanza, non in oceani sconosciuti, non dall’altra parte del mondo. Vicino a lei.
 
Quando le due navi si affiancarono, per Will fu una vera gioia appurare che fosse il veliero del suo più caro amico, Jack. La Perla Nera era esattamente come la ricordava: imponente e maestosa, elegante e lugubre come pochi vascelli. Le vele stracciate e scure erano spiegate, producendo quel caratteristico rumore di stoffa che sbatte violentemente al vento. Will e gli uomini a lui più vicini erano presto andati a raggiungere i vecchi amici sul ponte della Perla. Il suo capitano era in piedi accanto al parapetto, il solito sorrisetto sghembo a incorniciargli le labbra. Il capello a fargli ombra e a nascondere in parte gli occhi, Will seppe con certezza di aver davanti lo stesso Jack Sparrow che lo aveva convinto a lasciare Port Royal con un semplice pugno di vane promesse.
Si era lentamente fatto da parte, gli occhi luminosi che lasciavano presagire una sorpresa. Will aveva mosso un passo avanti, per poi rimanere letteralmente paralizzato. La figura esile e longilinea di Elizabeth si era mostrata ai suoi occhi, lasciandolo senza fiato. Era meravigliosa, molto più di quanto ricordasse. I lunghi capelli biondi, mossi dal vento e resi un po’ crespi dalla salsedine, le incorniciavano il volto abbronzato, che aveva ben presto perso il suo pallore. Gli occhi caldi e ammalianti, circondati dalle lunghe ciglia scure, il nasino dritto e le labbra piene: il suo viso non gli era mai sembrato tanto perfetto. Ed era lì: la sua Elizabeth era lì, immobile quanto lui. Sfruttando il suo tentennare, lei non perse tempo per lanciargli le braccia al collo e stringerglisi addosso. Immerse le mani nei capelli lunghi e riccioluti del compagno, beandosi del suo profumo. Sapeva di uomo, di mare, di libertà. Il suo Will sapeva di libertà altrettanto quanto Jack ormai. Forse in maniera diversa, forse in un modo tutto suo di essere libero imprigionando il proprio cuore. Si permise di non sciogliere quell’abbraccio per ancora qualche istante, ascoltando quella mancanza di battito provenire dal suo petto. Ascoltando il silenzio. Si staccò lentamente da lui, che aveva gli occhi lucidi di commozione e gioia quanto lei. Entrambi non avevano ancora proferito parola, e il resto delle due ciurme aveva mantenuto un rispettoso silenzio.
 
-Will- aveva sussurrato il suo nome come se fosse qualcosa di estremamente prezioso. Perché, effettivamente, lo era.
 
-Elizabeth, Elizabeth…- lui aveva fatto lo stesso, chinando il capo sui suoi capelli dorati e ripetendo il suo nome come una cantilena. Perché il suo nome era dannatamente bello, e avrebbe potuto ripeterlo all’infinito.
Will si staccò leggermente da lei, sempre però tenendole un braccio posato intorno alla vita sottile. Scambiò uno sguardo d’intesa con Jack, che sembrava chiaramente voler dire: “Noi due dobbiamo assolutamente parlare”.
I due capitani e la ragazza si rifugiarono presto nella cabina, e mentre sorseggiavano rum (Jack, per l’occasione, non si era nemmeno attaccato direttamente al collo della bottiglia) i due raccontarono a Will della loro avventura. Lui li ascoltò silenzioso; si sarebbe detto sordo alle loro parole se non fosse stato per il suo viso, che cambiava espressione ad ogni antefatto narrato dalla sposa o dall’amico. Non ci poteva credere – o forse semplicemente non voleva, nella maniera più assoluta – che lei ora fosse esattamente come lui. Immortale. Eppure, associato alla sua ragazza, suonava così male quella parola! Di lei che apprezzava così tanto la vitalità, il suo essere perfettamente mortale, non riusciva proprio a capacitarsi della totale scomparsa della sua “mortalità”. Una vocina sibillina, però, proveniente dalla parte più egoista di se, gli mostrava la faccenda sotto tutt’altra prospettiva. Lei, adesso, lo avrebbe potuto seguire ovunque. Non avrebbe mai dovuto aspettarla per un tempo incommensurabile, non avrebbe dovuto temere che la morte la cogliesse quando lui non ci fosse stato, non avrebbe dovuto aver paura di perderla. Mai più. Quella era, decisamente, una prospettiva più rosea: avevano l’eternità davanti, dopotutto.
 
-Jack, tu cosa hai intenzione di fare adesso?- domandò ad un certo punto Will, sorridendo in direzione dell’amico, come se si aspettasse già la risposta.
 
-Ah, io seguirò il vento! Dove egli vorrà portarmi io lo seguirò, continuando a cavalcare le onde, fino alla fine dell’orizzonte- rispose sicuro il capitano, gli occhi resi luminosi probabilmente da una scintilla che gli proveniva direttamente dal cuore. E le aspettative di Will non furono deluse nemmeno quella volta: era sempre il solito Capitan Jack Sparrow.

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Capitolo 18
*** Sono un uomo libero. ***


Buonasera gente! :)

Eccomi ancora qua, cercando di portare avanti, passo passo, la nostra storia. Sì, ormai mi sento in dovere di dire "nostra" e non "mia", visto tutto il sostegno, anche silenzioso, che mi date! <3

Allora, niente parole per questo capitolo, se non che mi piace particolarmente. Fatemi sapere che cosa ne pensate, ovviamente.

Ultima novità: oggi è il mio compleanno!





Capitolo 18: Sono un uomo libero


William Turner, in quel momento, si sentiva l’uomo più felice del mondo. Il profumo della sua amata gli riempiva i polmoni, mischiandosi piacevolmente con quello del vecchio legno della cabina. Quest’ultima era fiocamente illuminata dalla luce del sole che filtrava dai tendaggi appena improvvisati.
Strinse appena un po’ di più la presa attorno al fianco della ragazza, che dormiva ancora piacevolmente, accoccolata con la testa sul suo petto. Il respiro lento e regolare; il rumore del cuore di lei che gli riempiva le orecchie, come amplificato per la mancanza del suo a battere in sincrono. Ecco come si sentiva William: senza un cuore da far battere all’unisono con quello della sua donna.
Lei, come conscia del suo turbamento, gli si strinse maggiormente addosso, portando una mano del suo petto, proprio all’altezza del… cuore. Aprì lentamente gli occhi, strizzando le palpebre in una maniera che il pirata trovò assai buffo, e stiracchiandosi leggermente. Alzò il viso verso quello di Will, incrociando i suoi occhi scuri e profondi, splendenti di gioia.
 
-‘Giorno…- biascicò, la bocca ancora impastata.
 
-Buongiorno- le sussurrò contro le labbra, facendola sorridere di cuore.
 
Sì, sarebbe stato un risveglio più piacevole del solito.
 
Jack Sparrow, invece, aveva un diavolo per treccina (aveva lui stesso smesso di definirli capelli da un pezzo). Si era alzato stanco, dopo un sonno agitato. La chiacchierata avuta la sera prima con Will ed Elizabeth l’aveva lasciato con un senso di irrisolto addosso.

“Ah, io seguirò il vento! Dove egli vorrà portarmi io lo seguirò, continuando a cavalcare le onde, fino alla fine dell’orizzonte.”
 
Aveva detto così, ostentando forse più risolutezza e determinazione di quanto in realtà non avesse. Nulla di nuovo, d’altro canto: lui era un bugiardo consumato dagli anni di pratica. Conosceva a fondo l’arte dell’inganno, e ne era conscio. Ad ogni modo, non era quello il problema. No, non era quello. Il problema vero era che Jack Sparrow mentiva su tutto, tranne che sulla propria libertà. Lui, sulla propria libertà, non sputava menzogne. Lui era libero, dopotutto, a cosa gli sarebbe mai servito affermare il contrario? Eppure, la sera prima, si era reso conto di aver detto una menzogna senza rendersene conto. Ecco qual era il problema: se la menzogna fosse stata effettivamente che lui era libero, la verità era che lui era… in trappola. Aveva rimuginato a lungo su quel dannato e assurdo pensiero, senza venire a capo di una soluzione che lo soddisfacesse. Perché la realtà, nuda e cruda, gli si era presentata davanti: non era più un uomo libero, lui. Era solo l’ennesimo burattino vittima delle proprie ossessioni. Da quando quella lunga ed estenuante ricerca alla vita eterna era incominciata, lui non era mai più stato veramente libero. Aveva seguito ciò che gli sembrava la via più logica ed efficacie, e non aveva chiesto ausilio al cuore. Aveva spinto la sua nave nei più temibili mari, senza nemmeno essere sfiorato dal pensiero che potesse non riuscire ad uscirne. Un tempo, certe scelte le ponderava con cura, preoccupandosi della proprio vascello, e gettandosi alla cieca nel vuoto solo nei casi di estrema necessità (che si erano poi rivelati più numerosi del previsto). Senza riguardo aveva sballottato i suoi marinai, privandoli della possibilità di esprimere la propria opinione, come il più spietato dei capitani, e non il più magnanimo degli uomini qual era. E tutto per la sua ossessione di vivere per sempre, incatenato e impotente davanti a quella mirabile visione quale l’immortalità.
Un velo di tristezza gli adombrò gli occhi, facendogli assumere una strana nota di rimpianto che mai avevano preso. Strinse maggiormente il legno del parapetto, beandosi veramente, per la prima volta dopo tanto tempo, della sensazione del legno a tratti ruvido e a tratti delicato contro la pelle. Passò le mani sul bordo ancora per un istante, come a voler carezzare la sua amata Perla Nera, a volersi sentire nuovamente tutt’uno con lei. A sentirsi nuovamente il capitano della sua nave. E il padrone delle proprie ambizioni.
 
Quando Lizzie, silenziosa come una gatta dal passo felpato, gli si era fatta vicino, aveva sentito l’impellente bisogno di comunicarle i suoi pensieri. Lei, come a leggergli in quella testa irragionevole che si ritrovava, aveva posato le mani sulla balaustra, accanto a quelle grandi e callose del pirata. Ed aveva atteso, ben sapendo che prima o poi lui le avrebbe espresso i suoi turbamenti o pensieri sotto forma dell’usuale, enigmatica frase.
Jack, invece, non sapeva sinceramente da che parte iniziare. Era sì un tipo loquace, ma non certo uno che sbandierava i suoi… segreti ai quattro venti. In più, per annunciare la propria (ri)trovata libertà, bisognava senza dubbio essere efficaci. Molto efficaci, e anche toccanti e giustamente profondi.
 
-Sono un uomo libero- sussurrò, le parole immediatamente trasportate via dal vento.

Ecco. Jack Sparrow sapeva emozionare con quattro parole, sapeva trasmettere determinazione e voglia di fare con poche sillabe. Jack Sparrow parlava la difficile lingua del pirata, che è poeta del mare, e nei suoi versi meglio di chiunque altro sapeva esprimere il concetto di libertà, anche se in modo semplice.
Elizabeth volse il viso verso il suo, incrociando i suoi occhi luminosi. Sorrise.
 
-Non ne avevo mai dubitato, Capitano-.  

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Capitolo 19
*** All'orizzonte. ***


Buonasera ciurmaglia! :)

Eccomi nuovamente, dopo ben soli 11 giorni dall'ultimo aggiornamento!

Allora, mi sento di darvi la brutta notizia: questo è il penultimo capitolo, anzi l'ulitmo capitolo vero e proprio, perchè il prossimo sarà l'Epilogo. Avevo pensato di scrivere e avvertirvi, come fanno in molti, che a breve la storia si sarebbe conclusa, ma non ce l'ho fatta. Ad essere sincera, io seguo l'ispirazione e solo oggi ho definitivamente deciso che questo sarebbe stato il penultimo/ultimo capitolo. Non potete immaginare che sofferenza! :(
Va beh, si sapeva che prima o poi si sarebbe giunti a questo punto, perciò perchè rimandare? ;) Io mi sono divertita moltissimo a scrivere questa storia, e a seguire il mio seguito di lettori (sì, è un pensiero decisamente contorto!).
Ovviamente, spero che vi piaccia e che vogliate lasciarmi una piccola recensione per farmi sapere il vostro parere. Ci rivediamo all'Epilogo.

Buona lettura!




Capitolo 19: All'orizzonte

La perfezione che solo la semplicità e la pace verso se stessi sapevano dare era una cosa che Jack Sparrow, William Turner e Elizabeth Swann non avevano mai provato. Era una delle tante cose che gli accomunava. Nessuno dei tre si era mai sentito veramente partecipe di un momento perfetto. Né Jack, con le sue mille scorribande e conquiste, con la vista continua di meraviglie quali l’alba o il tramonto sul mare; né Will, con l’immortalità a disposizione e la fortuna di avere accanto a se la propria amata; né Lizzie, che nei suoi vent’anni da donna d’alta società non aveva mai vissuto nessuno di quei momenti di perfezione artefatta con la pretesa di crederci veramente. Nessuno, infine, riteneva di essere il rapporti perfetti con se stesso. Jack era continuamente preso da nuove ossessioni – rhum, donne, immortalità – e non riusciva a venire a patti con la coscienza della propria mortalità. Will, dal canto suo, era alle prese con il problema opposto: non avrebbe mai rivoluto tanto indietro la sua effimera mortalità. Nel sonno sognava ancora di avere un cuore a battergli nella cassa toracica, e quando si svegliava sudato quasi impazziva nel non sentire il suo cuore battere frenetico. Infine, Elizabeth non se la passava certo meglio. Nonostante la fermezza delle proprie convinzioni e dei propri desideri, qualche volta stralci di episodi passati tornavano a rinfrescarle la memoria. E il tarlo del dubbio le rodeva la coscienza, soprattutto quando la lontananza dal capitano – o meglio ancora, la totale assenza di essa – si faceva sentire. Ecco allora che quei tre pirati si trovavano ad avere l’ennesima cosa in comune: un grande, grandissimo caos in testa.
Si poteva allora capire se momentaneamente si trovavano in situazione di stallo, non sapendo nessuno da che parte farsi. Avevano deciso, di comune accordo, di separarsi il prima possibile. Niente rimpianti, niente lacrime. Solo la consapevolezza che, nonostante tutto, prima poi erano sicuri che si sarebbero ritrovati. Perché tra pirati era così, non era mai veramente un addio. Mai.
 
Elizabeth era seduta sulla scaletta che portava al timone della nave, giocherellando nervosamente con una ciocca di capelli e mordendosi le labbra. Era emozionata, e non vedeva l’ora di seguire il suo amato sul ponte dell’Olandese Volante. Non che non avesse dei brutti ricordi legati a quel veliero, ma erano stati come esorcizzati. Il profumo del mare, la meraviglia del sole caldo sulla pelle, il sorriso luminoso di Will: cosa aveva da temere, ormai?
 
I due capitani, intanto, avevano deciso di passare quella mattinata di calma piatta incrociando le lame sul ponte della nave. I ferri delle rispettive spade schioccavano con un rumore sordo, sprizzando scintille. I due, concentrati, erano rimasti taciturni inizialmente. Peccato che non fosse nelle corde di nessuno dei due il silenzio.
 
-Non ti avevo mai ringraziato veramente- esordì Will, parando un fendente di Jack al volo. Questi lo squadrò interrogativamente.
 
-Sai a cosa mi riferisco-
-No, temo di no- ribatté l’altro con un sorrisetto antipatico a incorniciargli le labbra. Will fece finta di nulla e proseguì: conosceva troppo bene Jack.
 
-Da solo penso che non ce l’avrei mai fatta, e nemmeno lei- sorrise, gettando un’occhiata fugace alla piratessa che li osservava con aria mesta poco distante.
 
-Ne sei certo? Hai sangue pirata nelle vene- Jack si divertiva a ritirar fuori quella faccenda, che tanti anni addietro aveva assai infastidito Will, ma che ora era totalmente indifferente all’insinuazione.
 
-Sì, penso che senza il celebre Capitan Jack Sparrow avrei fatto poca strada- disse sarcastico Will, incalzando Jack a suon di spada.
 
-Non mi devi ringraziare- fece lui dopo qualche attimi di silenzio, durante i quali il rumore delle spade che cozzavano era stato l’unico suono -Tu avresti fatto lo stesso per me-.
 
Will rimuginò un istante sulle parole del capitano: era la verità, almeno in parte. Probabilmente a suo tempo non avrebbe prestato aiuto ad un pirata senza una buona ragione, ma avrebbe certamente aiutate un uomo d’onore. E, in fondo, non era forse quello il leggendario Capitan Jack Sparrow?
 
La mattinata era passata velocemente, e il sole cocente del mezzodì era sopraggiunto per poi essere inghiottito a sua volta qualche ora più tardi, al crepuscolo. I tre pirati avevano passato un po’ diversamente dal solito la giornata, chiacchierando meno del solito e rispettando con reverenza i silenzi altrui. Cosa più unica che rara, soprattutto da parte di Jack. Al tramontare del sole, però, mentre quasi tutti i membri della ciurma e Will si erano ritirati sottocoperta per sbocconcellare qualcosa, lui non si era più trattenuto.
 
Lei era di spalle, con i biondi capelli lunghi e crespi mossi dal vento in morbide onde. La camicia che a suo tempo le aveva prestato le cadeva decisamente grande sulle spalle strette e la vita sottile. Gli sarebbe piaciuto scherzare con lei come ai vecchi tempi, quando erano solo Jake e Lizzie, e Will era solo un pensiero lontano. Lontano. L’unica cosa che a lui pareva lontanissima ed irraggiungibile, in quel momento, era lei, la sua Elizabeth. Nemmeno due metri di distanza e a lui pareva di essere dall’altra parte del globo. Come faceva? Come riusciva ad essere sempre ad un soffio dal perderla, come mai era come nebbia tra le sue dita?
Si schiarì rumorosamente la voce, facendola voltare bruscamente. Gli occhi caldi leggermente sgranati, l’espressione stupita di vederselo comparire inaspettatamente davanti agli occhi: ecco un’immagine di lei che mai avrebbe scordato, perché era così vera da farlo rimanere attonito a sua volta. Eccola, la sua piratessa, che con un bacio l’aveva ucciso. Era lì, viva e morta al tempo stesso, con l’eternità a disposizione. Eppure, nel profondo del cuore, Jack era convinto che nemmeno tutto quel tempo sarebbe bastato per farle chiarezza. Lei era prigioniera di due mondi, di cui uno totalmente sconosciuto ai suoi occhi di pirata incallito. E in quel momento avrebbe desiderato solo chiederle: "Perché?". Perché aveva lasciato tutto indietro, compresa la sua vita? Per amore? Lo amava davvero così tanto Will? Lui non avrebbe mai potuto arrivare a tanto solo per amore. O forse sì e non lo sapeva, visto che non era mai stato innamorato veramente. Se non del mare e della sua Perla Nera, ovvio, ma a questi ultimi aveva già consacrato la sua esistenza.
 
-Jack- sussurrò lei, distendendo le labbra in un sorriso che non le aveva mai visto. L’unica cosa che pensò era a quando fosse bello il suo nome pronunciato da quelle labbra, a che bel suono avesse pronunciato da quella voce melodiosa.
Le si era avvicinato, poggiando i palmi della mani sul parapetto in legno. Lei, silenziosa, si era accoccolata contro la spalla del pirata. Avevano fissato il mare limpido e il sole che spariva all’orizzonte e il cielo che lentamente imbruniva. Alla fine, silenziosamente, la notte era calata su di loro come una coperta scura e avvolgente.
 
Il mattino seguente, all’alba, Jack era salito sul ponte deserto. Aveva estratto la bussola dalla sua custodia con un gesto lento e sicuro. L’aveva tenuta aperta sul palmo della mano, con l’ago che roteava come impazzito sotto i suoi occhi vigili. E, infine, la bussola aveva indicato l’orizzonte.

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Capitolo 20
*** Epilogo. ***


In via del tutto eccezionale, i ringraziamenti e i saluti alla fine.

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Capitolo 20: Epilogo


C’era una spiaggia. Di questo era sicuro. Una spiaggia coperta dal manto scuro della notte e il mare calmo che ne lambiva la superficie. Una spiaggia di quelle con la sabbia fine, con i granelli microscopici che ti si infilano tra le pieghe dei vestiti e nei capelli, che ti rimane addosso anche dopo un bagno. Il vento tiepido e profumato di salsedine, lo stridio di una coppia di gabbiani. Lo sciabordio delle onde contro il legno umido del veliero.
 
Un pirata scrutava l’orizzonte appena illuminato da uno spicchio di luna, abbracciando con lo sguardo il panorama davanti a sé. Navigavano da molti giorni, ormai, senza nessun rammarico da parte della ciurma. Eppure, sentiva che quello era il momento giusto per fare un salto a Tortuga. Con l’ausilio dell’oscurità avevano attraccato, ma solo il pirata e il suo luogotenente erano scesi, furtivi, cercando di mantenersi non visti scivolando veloci lungo i muri scrostati delle case. Non avevano piani granché precisi: scendere a terra, bere un buon boccale di rum e magari trovare da discutere con qualche ubriacone. Fare a botte per un po’, uscire illesi dalla rissa e tornarsene a bordo. Entrarono nella prima locanda che pensavano facesse al caso loro, e i programmi vennero rispettati. La sorpresa di presentò all’uscita, quando il pirata si sentì strattonare in un vicolo buio da una presa ferrea, mentre un’altra mano gli impediva di urlare. Vide Gibbs, decisamente alticcio, tornare a bordo. Leggermente allarmato e non del tutto sobrio, cercò di divincolarsi come meglio poté. Quando finalmente quelle mani sconosciute sciolsero la presa e lui riuscì a voltarsi, cercò di guardare in volto il suo interlocutore. La figura alta era incappucciata, ma al di sotto dei lembi lisi del cappuccio il pirata poté nitidamente distinguere due inquietanti occhi color ghiaccio, illuminati dal bagliore di una torcia issata sul muro di una catapecchia poco distante.
 
-Se la vita eterna è ancora vostra ambizione posso darvi una gradita indicazione- fece con voce sibilante la figura, e nemmeno dal tono egli riuscì a capire se questi era un uomo o una donna. Il pirata si fece più attento, rizzando le orecchie e avvicinandosi alla figura.
 
-Parlate-
 
-Vi interessa davvero ancora l’immortalità e le possibilità che questa dà?- domandò ancora con voce flautata la figura misteriosa. Il pirata fece un cenno affermativo con il capo.
 
La figura portò una mano sotto il lungo mantello, per poi ritirarla fuori con una vecchia carta stretta tra le dita sottili sporche di polvere e chissà che altro. La srotolò lentamente sotto gli occhi avidi dell’uomo. Indietreggiò in modo che il fascio di luce inondasse la carta lisa e stropicciata, ma rimanendo sempre in ombra. Il pirata mosse un passo avanti, così da poter osservare da vicino ciò che sopra vi era inciso. A quella vista sorrise, e un luccichio dorato arrivò agli occhi della figura scura. Alzò lo sguardo, in modo da incrociare nuovamente lo sguardo acquoso del suo interlocutore, che interpretò quel sorrisetto sghembo e quell’occhiata d’intesa come un segno affermativo. Accettava.
 
-Èun piacere fare affari con voi, Capitan Jack Sparrow-
 
La figura non aveva smesso di sorridere.

Si ricominciava.




...Fine?



 

Ed eccoci qui, ciurmaglia, alla fine della nostra avventura!

Il tempo per me è volato quando scrivevo l'Epilogo di questa storia. Non ci credo che dopo più di un anno anche questa fan-fiction ha trovato la sua conclusione.


Io spero con tutto il cuore che la storia vi sia piaciuta e che abbiate trovato in questa fic una via per svagarvi e ritagliarvi cinque minuti di relax. 

Un grazie speciale a chi ha lasciato recensioni e grazie a tutti quelli che, anche silenziosamente, hanno preferito, seguito o ricordato.

Speriamo di ritrovarci, da qualche parte nel meraviglioso mondo di EFP! :)

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