La nostra vita con Zoe

di Montana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Kalokagathia ***
Capitolo 2: *** 2. Gli amici di Léon ***
Capitolo 3: *** 3. Orgoglio parigino ***
Capitolo 4: *** 4. Questo è l'inizio di qualcosa di buono ***
Capitolo 5: *** 5. Di amici e di famiglia ***
Capitolo 6: *** 6. Litigi, zucchero e cerotti ***
Capitolo 7: *** 7. C'era la neve... ***
Capitolo 8: *** 8. Giorno di neve ***
Capitolo 9: *** 9. Imprevisti e probabilità ***
Capitolo 10: *** 10. La regola dell'amico ***
Capitolo 11: *** 11. Gomme che si bucano e grandi preparativi ***
Capitolo 12: *** 12. La Festa d'Autunno ***
Capitolo 13: *** 13. After Party ***
Capitolo 14: *** 14. Lungo il Viale dei Sogni Infranti ***
Capitolo 15: *** 15. Tranquilla, siam qui noi. ***
Capitolo 16: *** 16. Eiffel ***
Capitolo 17: *** 17. Vacanze Romane ***



Capitolo 1
*** 1. Kalokagathia ***


La nostra vita con Zoe

1. Kalokagathìa

 

καλὸς καi ἀγαθός


Kalòs kaì agathòs. Letteralmente, “bello e buono”.
Una delle prime cose che insegnano al Liceo Classico è questa, la teoria del bello e buono che gli antichi Greci avevano tanto a cuore.
Il tutto è riconducibile nelle due parole greche καλὸς κἀγαθός, la kalokagathìa. I miti greci ne sono pieni.
Nell’Iliade tutti danno ragione ad Achille perché è bello e buono, e picchiano Tersite perché è brutto, zoppo e storpio.
Nonostante tutto, anche al giorno d’oggi è rimasta nel nostro subconscio la convinzione che se una persona è bella esternamente dev’esserlo anche all’interno.
A questo Zoe non credeva affatto.
Aveva quattordici anni compiuti da poco più di due mesi, e se ne stava seduta al suo banco in seconda fila a fissare con aria dubbiosa la lavagna, sulla qualche appariva chiara e strafottente quella strana scritta, καλὸς
κἀi ἀγαθός.
Il professore di lettere, con la testa a forma di lampadina e una pelata centrale che assomigliava molto a un nido per uccellini, un paio di occhiali che gli davano almeno dieci anni di più e un problema di adenoidi che lo faceva sputacchiare ovunque, stava parlando proprio di quando Achille picchia Tersite per aver detto l’unica cosa sensata sulla guerra di Troia.
Zoe aveva una gran voglia di alzarsi e dirgli che molto probabilmente se ci fosse stato avrebbe fatto la stessa fine dello storpio ma si trattenne.
Un’improvvisa scossa del banco la distrasse.
Il suo vicino di banco, un armadio biondo con gli occhi chiari che cambiavano colore a seconda del tempo, mormorò qualche parola di scusa e ricominciò a prendere pedestremente appunti.
Zoe sospirò e si guardò attorno: a parte il suo vicino di banco e i due che già dopo due mesi si erano rivelati i più bravi della classe, nessuno stava attento.
C’era chi mandava SMS o semplicemente giocava col cellulare, chi fissava il vuoto e persino chi aveva appoggiato la testa sul banco e dormiva, come il biondo all’ultimo banco.
La luce del sole che illuminava la stanza, quel sole troppo caldo per essere il ventitre di ottobre (il riscaldamento globale c’era davvero allora), unita alla monotona spiegazione e a quella stanchezza intrinseca delle prime ore di scuola spingeva veramente al sonno, dopotutto. Ma a Zoe quell’argomento interessava.
Non l’Iliade, figuriamoci. La superficialità dei Greci e quella maledetta kalokagathìa. Cosa gli faceva pensare che chi era brutto non fosse buono? E soprattutto, perché chi era bello invece doveva esserlo?
Zoe non lo era, e lo sapeva.
Era una bella ragazza, glielo dicevano tutti anche se lei non ci credeva, ma era marcia dentro. E questo nessuno, a meno che non si fosse sforzato di vedere dentro di lei, l’avrebbe mai capito.

Quando era entrato in classe il primo giorno di quarta ginnasio, Marco aveva trovato due banchi ancora liberi, tutti e due in seconda fila, uno centrale e l’altro accanto alla finestra.
Senza pensarci due volte aveva scelto quello, trascinandosi dietro l’ex compagno delle medie con cui si era ritrovato in classe.
Dopo un mese e una rotazione di banchi, era ancora lì.
Era felice di ciò, aveva quasi una dipendenza dal sole che gli scaldava la pelle, forse dovuta alla sua nascita a fine agosto sotto il solleone.
Ma il sole di ottobre è profondamente diverso da quello di Agosto, e in quella mattina a due mesi esatti dal suo compleanno gli faceva solo venir voglia di dormire.
La sua vicina di banco, una biondina di nome Chiara, stava messaggiando con l’amica Cecilia della fila centrale, quindi era di ben poca compagnia.
Si passò una mano tra i capelli e lanciò un’occhiata alla lavagna. καλὸς kai κἀγαθός lesse, e il suo cervello da poco abituato al greco tradusse “bello e buono”.
Dunque il professore stava parlando della kalokagathia da due ore? ecco perché nessuno lo stava più ascoltando.
«Nessuno degli Achei da retta a Tersite, non solo perché Achille è più forte e famoso di lui, ma anche perché Tersite è storpio!»
Marco fece una smorfia e si raddrizzò sulla sedia, allungando tutti i muscoli indolenziti. Se mai si fosse trovato catapultato nell’antica Grecia, pensò, non avrebbe avuto vita facile.
Non era bello, anzi, aveva sentito molte ragazze dire l’esatto contrario. Ma ne era consapevole.
L’acne giovanile aveva cominciato a comparire sul suo viso a dodici anni e non l’aveva mai lasciato, e quei pochi peli che aveva in faccia non aumentavano affatto il suo fascino. In più aveva l’apparecchio fisso, le piastrine.
Però aveva parecchio senso dell’umorismo, un fisico atletico e due occhi verdi che personalmente trovava molto belli, ma che nessuna ragazza notava mai. Fortunatamente si trovava ancora in quel periodo della pubertà maschile dove il calcio e gli amici sono più importanti delle ragazze.
Un rumore improvviso alla sua sinistra lo fece girare.
Léon, quell’energumeno biondo che faceva con lui metà della strada per tornare a casa, aveva probabilmente cancellato qualcosa con troppa veemenza, urtando il banco della sua vicina.
La ragazza in questione, quella col nome che deriva dal greco e il cognome francese che era dopo di lui nell’elenco alfabetico, sbuffò infastidita e lasciò correre lo sguardo su tutti i compagni, senza incontrare mai quello incuriosito di Marco, poi tornò a fissare la lavagna.
Aveva un’aria strana, come se lei fosse stata a conoscenza di cose che neanche gli antichi greci avevano capito. E ne sembrava piuttosto convinta. Come se non approvasse.
Dopo averla fissata per qualche minuto, Marco si rese conto che, a parte la pagina del libro che aveva aperto sul banco, lei era l’unica cosa che avesse fissato per più di pochi secondi, e anche l’unica a cui aveva prestato effettivamente attenzione.
Non era una cosa normale, e se non voleva essere preso per un maniaco doveva smettere in fretta, ma qualcosa in lei lo aveva colpito. Forse l’aria così contrariata per quello che stava dicendo il prof, che di sicuro non era dovuta unicamente agli schizzi di saliva che l’uomo disseminava a destra e a manca ad ogni parola.
Ritornando alla sua posizione vegetativa iniziale, Marco registrò il pensiero che doveva chiederle cos’avesse contro la kalokagathìa.
Avevano quattordici anni, e quella fu solo la prima volta che le vite di Zoe e Marco si scontravano bruscamente.

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Capitolo 2
*** 2. Gli amici di Léon ***


La nostra vita con Zoe

2. Gli amici di Léon

 


Léon aveva gli occhi verdi quella mattina, e una fidanzata da accompagnare a scuola per la prima volta.
L’aveva conosciuta un mese prima di Natale, ma era riuscito a strapparle un bacio e un assenso solo durante le vacanze.
Si chiamava Giulia, aveva quindici anni come lui, come lui andava al Liceo Classico e ascoltava il rock e il metal.
Abitava fuori città, ma quella mattina si era fatta portare presto dai suoi a casa di Léon per andare a scuola assieme. Fortunatamente non era in classe con lui, altrimenti il ragazzo sapeva che sarebbe stato vittima delle prese in giro di ben ventidue persone. E gli bastavano quelle di due sole persone.
Erano arrivati davanti a scuola già da un po’, e se ne stavano in disparte per avere un po’ di privacy.
«Queste due persone che devi presentarmi quando arrivano?» gli chiese lei, incuriosita.
«Credimi, quando li avrai conosciuti non ti affascineranno più così tanto...»
«Ma sono i tuoi migliori amici! Voglio conoscerli!»
Com’era ingenua, poverina. Stava per abbracciarla, ma il telefono gli vibrò in tasca. La pace era finita.
«Put your hands up in the air, se sei quello con il giubbotto azzurro e lo zaino verde in compagnia di quella un po’ bassa col berretto rosso! Come se potesse esserci un’altra anima con uno zaino come il tuo. Z.»
Con un sorrisetto Léon si rinfilò il cellulare in tasca e si guardò attorno. Individuati i due amici alzò le braccia appena sopra la testa, scatenando le loro risa e la perplessità della fidanzata.
«Preparati perché stanno arrivando.»
Giulia alzò lo sguardo e si vide venire incontro la coppia più strana che avesse mai visto.
Un ragazzo e una ragazza, entrambi vestiti di nero, lei con un cappotto nonostante fosse il 9 di gennaio, lui con un normale piumino. Lei camminava in bilico sul muretto e quando perdeva l’equilibrio si appoggiava a lui, che doveva essere alto più o meno come lei camminando pari.
Lui teneva le mani nelle tasche del piumino e ogni tanto si spostava la tracolla della borsa verde acqua che sbatteva contro quella con la Union Jack di lei, lei gesticolava vistosamente diminuendo così ancora di più lo scarso equilibrio che aveva.
Quando arrivarono alla fine del muretto lui lasciò che lei usasse la sua spalla per aiutarsi a scendere, poi finalmente arrivarono davanti a loro.
La prima cosa che Giulia notò fu la profonda differenza tra i due visi. Lei era una bella ragazza, la pelle bianca e intonsa come porcellana, gli occhi castani leggermente allungati e i capelli castani raccolti in una treccia a spina di pesce.
La pelle del viso del ragazzo invece era arrossata e screpolata dal vento invernale, e rovinata dall’acne. Probabilmente aveva i capelli corti, la berretta li nascondeva, ma che aveva gli occhi verdi si vedeva bene. Quelli di Léon erano molto più belli.
«Allora è lei quella con cui ci sfinisci da novembre! Alleluia!» esordì la ragazza, sorridendo.
Quelli erano i momenti in cui Léon detestava i suoi migliori amici.
«Esatto. Allora ragazzi, lei è Giulia, la mia ragazza. Giulia, loro sono Marco e Zoe, i miei migliori amici. Purtroppo.»
«Purtroppo?! Dovresti solo ringraziarci, siamo gli unici disposti a sopportarti! Piuttosto, non è un po’ troppo bella per te?» chiese Marco.
Giulia arrossì, Léon provò l’ardente desiderio e Zoe spezzò la tensione cominciando a ridere.
«Senti da che pulpito vien la predica! Ti sei mai guardato allo specchio? Secondo la tua logica, chi ti prenderebbe mai?»
Lui le passò un braccio attorno alle spalle con un sorriso strafottente sul viso «Mia cara, per me solo il meglio!» esclamò.
Giulia sorrise «Ma come siete carini!» si lasciò scappare.
Zoe, Marco e Léon si guardarono con aria dubbiosa, poi i primi due scoppiarono a ridere fragorosamente, tanto che Giulia si ritrovò a pensare che i migliori amici del suo ragazzo facessero uso (anzi, abuso) di sostanza stupefacenti.
«Oh, hai proprio ragione mia cara, siamo adorabili!»
«Siamo proprio meravigliosi!» risposero, continuando a ridere e arrotando le r come due cretini.
Zoe fu la prima a notare i lampi d’odio che stavano lanciando gli occhi di Léon. Cercò di riprendere un certo contegno e diede una gomitata nelle costole a Marco perché facesse lo stesso.
«Bene, noi vi lasciamo qui a pomiciare liberamente e entriamo. Anche perché devo copiare latino prima che lo faccia lui.»
«Eh no, mia cara! Questa volta copio prima io!»
«Guarda che ti lascerei anche copiare per primo, se solo non avessi l’assurdo terrore di essere scoperto e non scrivessi per questo una frase ogni dieci minuti. E se riuscissi a interpretare correttamente un’altra calligrafia oltre alla tua e alla mia!»
«Questo perché tu scrivi male quanto me!»
E così se ne andarono, insultandosi e ridendo, lasciando a Giulia il tempo di chiedere spiegazioni.
«Allora sono questi i famosi migliori amici! Mi piacciono, devono essere molto simpatici. Potevi dirmelo però, che sono...»
«Pazzi? Io te l’avevo detto! Ma tranquilla, di solito lo sono un po’ di meno, ma non ci vedevamo da un sacco quindi...»
«Ma no, non pazzi! Che stanno insieme! Perché non me l’hai detto?»
Léon sorrise «Perché non stanno insieme. Ma molti lo pensano, ecco perché si sono messi a fare gli stupidi in quel modo quando hai detto che sono carini. Sono solo migliori amici, ed è un bene per il mondo che non stiano assieme: sarebbero a dir poco esplosivi assieme.»
«Sono solo amici? Davvero? Non si direbbe, io non li conosco ma mi sembrava che ci fosse una chimica pazzesca tra quei due. Da quanto si conoscono?»
«Si conoscono da settembre della prima superiore, ma sono così amici solo da febbraio dell’anno scorso. Anzi, noi tre siamo così amici solo da allora. Ma questa è una storia lunga e te la racconterò un’altra volta, perché si sta facendo tardi e quei due mi hanno fatto venire in mente che anch’io devo copiare latino. Ti accompagno in classe, prima.»

Tornata a casa da scuola, dopo un pranzo in compagnia della madre Federica, Zoe si sciolse la complicata treccia, si infilò dei vestiti più comodi e si immerse nella lettura di Dickens, promettendo alla madre che avrebbe studiato in sua assenza.
Quando, tre ore e innumerevoli capitoli dopo, si sentì piena fino all’orlo di orfani, carbone e maltrattamenti vari, decise che era finalmente il momento di leggere un po’ gli appunti di geometria.
Si sedette a gambe incrociate alla scrivania, ma proprio mentre si accingeva ad aprire l’ordinatissimo quaderno il cellulare appoggiato lì accanto vibrò.
Zoe si sporse un poco a vedere chi le aveva mandato il messaggio che oscurava la foto con i suoi migliori amici che aveva come sfondo. Era proprio Marco, che proponeva un aperitivo al solito bar. Zoe decise che il teorema dell’angolo esterno poteva aspettare; dopotutto erano appena tornati dalle vacanze di Natale, e la suddivisione dell’anno scolastico in trimestre e pentamestre permetteva agli alunni di riposare un’altra settimana prima di ripartire con le spiegazioni e le interrogazioni.
Mancava mezz’ora all’appuntamento, prendendo la bici ci avrebbe messo non più di cinque minuti.
Poteva prendersela comoda.
Si rivestì come quella mattina, assicurandosi che le pieghe del kilt scozzese cadessero perfettamente dritte, che le calze fossero intatte e che non ci fossero macchie di cibo sulla camicia nera. Si infilò il cappotto nero, avvolse attorno al collo la sciarpa beige e con i guanti rossi in una mano e le chiavi di casa nell’altra uscì dalla porta e si diresse in giardino. Solo quando le cadde l’occhio sul suo riflesso in una delle vetrate della serra si accorse di avere ancora i capelli sciolti «Merde!» esclamò, appoggiando guanti e chiavi sul muretto e cercando precipitosamente di riparare al danno.
Purtroppo però mancavano cinque minuti all’appuntamento, così riuscì a farsi solo una misera treccia semplice.
Prese la sua vecchia bici rossa e uscì in strada, pensando che tanto quei due non si sarebbero mai accorti del cambiamento della sua pettinatura.

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Capitolo 3
*** 3. Orgoglio parigino ***


La nostra vita con Zoe

3. Orgoglio parigino


Il solito bar era in centro, abbastanza vicino ad una delle strade principali, ma non ci andava molta gente.
Era il classico posto per la gente del luogo, e il barista di nome Filippo si vantava di sapere a memoria le ordinazioni di tutti quelli che andavano da lui almeno tre volte, e di conoscere tutti i gruppo di ragazzi a menadito.
Per questo, osservando i due ragazzi al solito tavolo nell’angolo a destra, era stupito di non vedere anche quella ragazza che era sempre con loro.
Almeno finché non la vide entrare, sorridere agli amici e raggiungerli. Un giorno le avrebbe chiesto di chi era la ragazza, o comunque di chi dei due era innamorata.
Le speranze di Zoe svanirono immediatamente quando Marco cominciò a fissarla con un sorriso cattivo e non smise finché non si fu accomodata sulla sedia accanto a lui.
«Guarda Léon, Mademoiselle Perfezione è spettinata stasera!»
Lei gli rifilò un calcio nello stinco «Zitto, troglodita. E tirati su quei capelli, che stai meglio.» lo rimbeccò.
«La berretta li abbasserebbe, e comunque no. Ti tienili sciolti piuttosto!» aggiunse, vedendo che la ragazza si era sciolta i capelli per rifarsi la treccia.
Léon spostò lo sguardo da uno all’altro, sorridendo «Mi siete mancati, ragazzi!» esclamò.
«Anche tu ci sei mancato, ma noi eravamo qui in questa meravigliosa cittadina mentre tu eri a Parigi o in un qualche altro posto a pomiciare con la tua ragazza, quindi direi che sei stato meglio tu.» rispose Marco.
«Giusto! E Giulia?»
«Era invitata anche lei?!»
«No, l’aperitivo per tre al solito bar è solo per noi. Non ci siamo venuti neanche noi due da soli quando tu non c’eri. Intendevo, com’è? Sei già stato a casa sua? È già stata a casa tua? Quando vi siete messi insieme con precisione?» «Te l’ha data?» s’intromise Marco.
Zoe si legò la treccia e diede una botta in testa all’amico «Questo in realtà interessa solo a lui, me lo chiede da quando ci hai detto che vi eravate messi insieme.»
«Veramente interessa anche a te, perché se la perdo io la scommessa la perdi anche tu!»
All’inizio dell’estate precedente, durante l’ultimo aperitivo prima delle vacanze, avevano scommesso su chi avrebbe perso per primo la verginità. Léon e Marco avevano scommesso su loro stessi, Zoe su Marco. Avevano scommesso due euro, il prezzo di un preservativo nel distributore là fuori.
A gennaio nessuno aveva ancora vinto.
«Tre Coca Cole, una con ghiaccio, una col limone e una con ghiaccio e limone!» li interruppe Filippo, che come volevasi dimostrare sapeva perfettamente cosa volevano.
«E se avessimo voluto qualcosa di alcolico?» si lamentò Marco, afferrando il suo bicchiere con il limone.
«Avreste comunque dovuto aspettare la fine dell’estate, perché avete ancora tutti quindici anni.»
Léon nascose una risatina bevendo qualche sorso dal suo bicchiere con ghiaccio e limone.
«Non tergiversare, sottospecie di felino. Ti ho fatto un bel po’ di domande ed esigo altrettante risposte!» lo redarguì Zoe, avvicinandogli pericolosamente il bicchiere ghiacciato alla pelle scoperta del braccio.
Lui lo spostò rapidamente «Ok, ok! Com’è? Fantastica. Quando sono con lei è tutto perfetto, lei è perfetta. Anche se ha avuto un problema con l’apparecchio e per qualche giorno non ci siamo potuti andare...»
A quelle parole Marco rise, rischiando di farsi uscire la Coca dal naso. Zoe gli diede qualche pacca comprensiva sulla schiena, nascondendo un sorriso dietro al bicchiere.
Léon alzò gli occhi al cielo «Quali erano le altre domande? Ah sì, sono stato a casa sua. Ma i suoi mi odiano. E lei è stata a casa mia. Ma mia madre la odia.»
«Complimenti! Durerete proprio a lungo!» fu il commento di Zoe.
«Taci tu, Mademoiselle Perfezione!»
«Monsieur Testa di Cazzo, vuoi che ti ricordi chi di noi due ha ancora la r moscia e chi invece di francese ha solo il cognome?»
Marco stese bene le gambe sotto al tavolo «Amo quando il vostro orgoglio francese viene fuori così impetuoso!»
I due amici gli rifilarono un’occhiataccia, poi scoppiarono a ridere.
Zoe alzò il bicchiere «Ah, ragazzi, quanto mi siete mancati! Brindiamo! Agli aperitivi al solito bar, a noi tre, a Léon e Giulia...» «Sperando che non gliela dia perché voglio vincere io!»
«Lasciamo che sia il fato a decidere! Cincin! À votre santé!»

Enrique Blanchard era nato e cresciuto a Parigi, e come ogni francese che si rispetti viveva nella convinzione che loro erano i migliori di tutti in tutto, e che meglio delle donne francesi non ci fosse nulla.
Questo finché non aveva conosciuto Federica Bandini, italiana e più giovane di lui di due anni.
Il loro era stato amore a prima vista. Anzi, visita.
Visita guidata al Louvre dove lui lavorava due volte a settimana per pagarsi le lezioni di medicina.
Due volte a settimana, e quel lunedì di settembre, quando gli alberi avevano già cominciato a perdere le foglie e il sole faceva già solo luce, mentre parlava ad un gruppo di italiani della Vergine delle Rocce di Leonardo lo sguardo gli era caduto su quella ragazza giovane dall’aria timida e i capelli ramati che prendeva diligentemente appunti.
L’aveva fermata alla fine della visita e aveva scoperto che parlava perfettamente il francese, infatti aveva appena finito il Liceo Linguistico e si era presa qualche mese per visitare le città dove avrebbe potuto lavorare dopo l’università, e soprattutto dove fare quella.
Si erano presi un caffè, e le settimane a Parigi erano diventate mesi, poi anni. E la loro relazione era diventata via via sempre più solida fino al matrimonio.
In viaggio di nozze erano tornati in Italia e lui si era innamorato di quel paese, soprattutto delle città d’arte lungo la riviera romagnola da dove veniva proprio Federica.
Dopo due anni di matrimonio, a meno di un mese dal quinti anniversario del loro primo incontro era nata la loro prima e unica figlia, Zoe. L’avevano chiamata Zoe perché a lui quel nome era sempre piaciuto, e quando lei gli aveva detto qual era il suo significato l’aveva amato ancora di più.
Veniva dal greco, e significava “vita”.
Quando Zoe compì cinque anni, la famiglia si trasferì in Italia, dove Enrique aveva trovato lavoro. Ebbero fortuna, riuscirono a tornare nella città natale di Federica.
Quando Zoe compì undici anni, dopo tre anni dal logopedista per smettere di arrotare la r, sarebbero dovuti tornare tutti in Francia, ma decisero che sarebbe partito solo Enrique per dare un minimo di continuità a Zoe. Già dopo soli due anni se ne pentirono amaramente, ma ormai era troppo tardi.
Enrique tornava in Italia ogni weekend e durante le ferie estive, e a Natale o a Capodanno.
Poi cominciò a tornare un solo weekend al mese, e durante le ferie estive, a Natale o a Capodanno.
Il resto del tempo lo passava in Francia, nella sua amata Parigi, che era sempre stata la sua casa e sempre lo sarebbe stata.
Trascinò stancamente il trolley oltre la soglia e si chiuse la pesante porta alle spalle. Oltre alla massiccia cancellata nera, e ovviamente i muri, la porta era l’unica cosa non di vetro o cristallo in quella casa, certe volte fin troppo piena di luce.
Non che fosse foto fobico, ma la luce lo faceva sentire colpevole.
«Enrique? Sei tornato?» una voce cristallina lo accolse dal piano di sopra, accompagnata da un veloce rumore di passi.
«Papà!» gridò la proprietaria di quei passi, una bambina dagli occhi color nocciola e i capelli biondi.
Enrique la prese in braccio, stanco ma sorridente.
Parigi era decisamente meglio dell’Italia.

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Capitolo 4
*** 4. Questo è l'inizio di qualcosa di buono ***


La nostra vita con Zoe

4. Questo è l'inizio di qualcosa di buono

 


Pioveva. La pioggia cadeva forte e scivolava lenta lungo il vetro della finestra dell’aula. Forse se fossero stati in un’altra aula la vista sarebbe stata migliore; dietro alla scuola c’era un parco e davanti un ampio piazzale di ghiaia e sampietrini.
Ma dalla finestra della sua classe Zoe vedeva solo la pioggia infrangersi contro i vetri sporchi della finestra.
Non era una gran giornata. Pioveva, il sole che tanto amava l’aveva abbandonata, così come Adele, l’unica persona nella classe con cui avesse legato. In più il suo vicino di banco, con la sua solita grazia da elefante, cancellando le aveva mosso il banco mentre prendeva appunti, facendole tracciare una riga su tutto quello che aveva scritto. Era stato seccante, ma forse la reazione di Zoe era stata un po’ eccessiva.
Con un sospiro affranto pensò che avrebbe dovuto scusarsi, poi infilò la mano nel sacchetto di biscotti che teneva nell’altra.
«Ehi Zoe, me ne dai uno?»
Si girò e si trovò davanti proprio lui, Léon, il suo vicino di banco, con alcuni degli altri ragazzi della classe.
Zoe era di indole generosa, ma non capitava proprio tanto spesso che sua madre preparasse i biscotti, così con molta noncuranza chiese «Di cosa?»
«Cracker. È evidente che stai mangiando dei cracker.»
Zoe fece un sorrisetto ma non accennò a dargli retta.
Léon allora provò a giocare il suo jolly «Dai, per favore! Ti prometto che starò più attento a cancellare la prossima volta!»
«Allora va bene, ma impegnati sul serio!»
«Perché? Cos’è successo?» chiese uno degli altri ragazzi, con un ridicolo caschetto biondo... Tommaso!
«Mah niente, il mio banco si muove e prima ho urtato il suo mentre stava prendendo appunti e ha tirato una riga alla cazzo...» spiegò Léon assaggiando il biscotto.
«Mettici un po’ di carta sotto!»
Gli occhi di Zoe saettarono da Léon al ragazzo che aveva parlato, quello magro, con l’apparecchio e il ciuffo sollevato.
E gli occhi verdi, ora che ci faceva caso.
Ma non le veniva proprio in mente il suo nome... maledetto cervello bacato, perché non registrava le informazioni importanti?!
«Sotto alla gamba che dondola, dici? Cavolo Marc, sei un genio!»
Marc, Marco. Ecco chi era.
Quello con la felpa con la bandiera inglese che era stato interrogato in greco il giorno prima con Adele. Quanti dettagli inutili...
«In verità credevo che c’avessi già provato ma non ci fossi riuscito. Ecco perché non te l’ho mai suggerito. Comunque, dato che gli hai dato questa idea geniale, grazie mille Marco!»
«Figurati. Posso avere un biscotto anch’io adesso?»
Zoe lo guardò esterrefatta per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere e di porgergli un biscotto complimentandosi con lui per la sua sfacciataggine.
Checché ne pensasse Léon, la loro amicizia a tre era iniziata quel giorno, in quel momento. Anche se prima che lei e Marco avessero una conversazione degna di essere definita tale dovettero passare tre mesi, anche se il primo aperitivo l’avevano preso a maggio, nacque proprio lì.
La campanella della fine dell’intervallo suonò proprio mentre Marco prendeva il biscotto dalla mano della compagna, con una precisione assai degna di miglior causa, impedendogli di dirle qualunque altra cosa come invece avrebbe voluto.
Certo, non aveva intenzione di chiederle cos’avesse contro la kalokagathia dopo averle scroccato un biscotto, avrebbe avuto ben poco senso persino per lui. Voleva solo un pretesto, un argomento di conversazione, invece quella ragazza scivolò rapida verso il suo banco accartocciando il sacchetto dei biscotti.
Léon gli diede una pacca sulla schiena e la seguì, lui si sedette di peso al suo banco tirando fuori il libro di matematica; due fantastiche ore di scomposizione in fattori sarebbero certamente state il finale perfetto di quella magnifica mattinata.
Ma quella che entrò in classe non fu la loro prof di matematica. Era un’altra insegnante che spesso vedevano girare per la scuola, con i piedi a papera sempre infilati in un paio di ballerine, gli occhiali rossi e una maglia dei Muppets assolutamente inadatta alla sua età.
Li squadrò titubante «Siete la 4A, vero?»
Tutti annuirono «Bene, la vostra insegnante non c’è, vi farò supplenza per quest’ora. Cosa avreste dovuto avere?»
La tensione nell’aria era palpabile. Qualcuno, con la stessa aria di un artificiere che disinnesca una bomba, disse «Matematica...?»
«Fantastico, io insegno spagnolo, non posso esservi di nessun aiuto. Fate quello che vi pare, senza fare confusione.»
L’ultima precisazione era più o meno inutile, appena aveva detto spagnolo tutti avevano cominciato ad esultare, abbracciarsi e spostarsi vicino ai propri amici.
Adele aveva scelto proprio il giorno giusto per ammalarsi, pensò Zoe mentre cercava di mangiare le briciole dal sacchetto dei biscotti.
«Quei biscotti sono davvero buoni. Dove li hai presi?»
Léon, ancora Léon. Non aveva amici con cui parlare?
«Li ha fatti mia madre?»
«Tua madre?! Ma è bravissima!»
Zoe accennò un sorriso «Sì. Peccato che non abbia quasi mai abbastanza tempo libero per farli, o gli ingredienti giusti.»
«E tu non sei brava quanto lei? Potresti prepararli tu!»
«Oh, è meglio di no! In cucina sono una frana, so farmi solo della pasta molto al dente. L’unica volta che ho provato a fare dei biscotti ho rischiato di dar fuoco alla casa!» esclamò, scoppiando a ridere al ricordo dell’espressione di sua madre quando era tornata a casa.
A Léon non parve vero; l’aveva sentita ridere due volte in un giorno, per la prima volta da quando la conosceva.
«Come mai porti sempre la gonna?»
Quella domanda era tutto fuorché normale, pensò Zoe, ma si annoiava quindi decise di rispondergli per vedere dove voleva andare a parare.
«Non la porto sempre. In palestra uso i calzoncini.»
«Vorrei anche vedere che ti presentassi con un vestito da cheerleader!»
«Non sfidarmi, ho vinto scommesse anche più... strane.»
Léon avrebbe voluto chiederle che genere di scommesse, ma l’esitazione della ragazza lo convinse a desistere. Zoe Blanchard era un campo minato e lui voleva uscirne vivo, soprattutto voleva poter chiacchierare con la sua vicina di banco come con ogni altra persona, anche se questa vicina era la ragazza più strana che avesse mai conosciuto.
«Mi piacciono le gonne, comunque. Nei collegi inglesi le ragazze devono portarla, e io amo quei posti. Poiché non ci studierò mai, porto le gonne per fingere di farlo. È una cosa strana, non sei obbligato a capirla.»
«Ti piace così tanto l’Inghilterra? Davvero?»
Zoe lo guardò sconsolata, poi si chinò a prendere della roba dalla cartella e la appoggiò sul banco: diario, portafoglio, cover del cellulare, cellulare stesso con lo sfondo illuminato e per ultima la stessa cartella. Su tutti c’era la bandiera inglese, e una foto di Londra faceva da sfondo al cellulare.
Léon si sentì improvvisamente più stupido che mai: era il suo vicino di banco da un mese e non si era mai accorto che su metà della sua cancelleria era disegnata la Union Jack.
Nemmeno lui avrebbe voluto parlarci, con un vicino di banco così.
Lei però non sembrava offesa. Si guardò attorno, poi puntò i suoi occhi dubbiosi su di lui e gli chiese perché non andava da un qualche suo amico. Lui le rispose con sincerità che non voleva lasciarla da sola e voleva continuare a chiacchierare un po’ con lei.
Chiacchierarono per quasi due ore, solo verso la fine della seconda lui si spostò per andare da Tommaso a giocare a carte.
Marco li aveva fissati bene o male per tutto il tempo, sbocconcellando quel magnifico biscotto e chiedendosi cos’avessero mai da dirsi, magari con una punta d’invidia.
Quando Léon si alzò fu tentato di prendere il suo posto, ma non avrebbe avuto alcun senso, e con quella ragazza Marco non voleva fare passi falsi.
Zoe Blanchard era un labirinto, e lui avrebbe avuto bisogno di molto filo e molto ingegno per raggiungere il suo centro.

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Capitolo 5
*** 5. Di amici e di famiglia ***


La nostra vita con Zoe

5. Di amici e famiglia


«Ragazzi, mi dispiace abbandonarvi ma ora devo proprio andare. Mia madre si starà chiedendo che fine ho fatto, e ho fame.»
Marco lanciò un’occhiata all’orologio appeso sopra al bancone «Hai ragione, è tardi. Léon, andiamo anche noi?»
«Meglio di sì, altrimenti Filippo ci farà pagare una tassa sul tavolo. Siamo qui da tre ore!»
Avevano già pagato, si alzarono, salutarono il barista e uscirono.
La differenza di temperatura tra il tepore del bar e l’aria gelida della sera di gennaio lì colpì brutalmente appena fuori. I due ragazzi rabbrividirono sbrigandosi a chiudere i piumini, Zoe parve non sentir niente nonostante avesse solo il cappotto.
Léon spesso si chiedeva come avesse fatto l’aria dell’Atlantico a temprare più lei in cinque anni che lui in undici.
La ragazza andò alla sua bicicletta e l’aprì.
«Sei sicura di non volere un passaggio?»
«Devi chiedermelo tutte le volte? Ti fa proprio piacere sentirti dire che sarebbe una cosa insensata perché io sono in bici e tu in moto?» rise lei. Fece per salire sulla bici ma si fermò, si girò e gettò di slancio le braccia al collo a Marco «Mi siete mancati così tanto... abbraccio d gruppo!» aggiunse, vedendo che Léon li stava guardando un po’ dubbioso.
«Abbraccio di gruppo.» ripeté minacciosa. Il ragazzo si unì all’abbraccio, rimasero così fermi in mezzo alla strada per qualche secondo poi Zoe si staccò e salì in sella alla sua bici rossa.
«Ancora quella? Quando si decideranno a prenderti una moto?» la canzonò Marco. Zoe non gli rispose neanche, partì facendogli un gestaccio e urlando «Ciao!!»
Quando fu sparita in fondo alla strada, Marco tornò a guardare Léon «Ok, ora che quell’impiastro di ragazza se n’è andata, parla.»
«Di cosa?»
«Di come hai passato le vacanze di Natale a casa con tua madre che ti stressava e ti deprimeva. Della tua ragazza, cretino!»
«E che c’è ancora da dire?! Vi ho detto quando ci siamo messi assieme, vi ho detto che sto benissimo con lei, cos’altro devo dirti?!»
Marco lo guardò assorto qualche secondo «Davvero non te l’ha data?»
«Ci tengo quanto te a vincere la scommessa, sarete i primi a cui lo dirò, stanne certo!»
«Almeno una sega te l’ha fatta?»
Léon scosse la testa.
«Lavoretti di altro genere?»
«Cazzo Marc, non stiamo insieme neanche da un mese! No!»
Marco si appoggiò alla sella della sua moto «Cazzo, è proprio una suora!»
«Parla quello che è stato tre mesi con una che non gli ha fatto neanche una sega!»
«Non farmi parlare di quella. Fosse stata una ragazza normale avrei vinto la scommessa. Fosse stata come Zoe...»
«Come Zoe? Zoe non mi sembra una ragazza normale. E non mi sembra il tipo che la darebbe a uno dopo esserci stata insieme tre mesi. O no?»
«No. Volevo solo dire che Zoe è... Zoe.»
Era una frase criptica persino per uno come lui, ma Léon preferì non approfondire «Comunque posso scommetterci, lei non è così casta. Vincerò di sicuro. E poi... sì, credo di essermi innamorato.»
Léon viveva nella convinzione che per innamorarsi di una persona ci si dovesse prima stare insieme, non il contrario. Sentirlo dire che si era innamorato dopo neanche un mese era una cosa alquanto sconvolgente.
Marco tolse il catenaccio alla moto e ci salì «Di già? L’ultima volta che me l’hai detto non è andata a finire tanto bene.»
«Io non direi. Dopotutto è la nostra migliore amica.»
L’altro mise in moto, il casco slacciato «Già. Ma Zoe è Zoe. È così e basta.»
«Zoe è Zoe. È diventata la tua filosofia di vita da stasera?»
Marco partì senza neanche rispondergli, con solo una mano alzata in cenno di saluto.
Léon sospirò; continuando a frequentare quei due, sarebbe diventato matto.

Federica riconobbe sua figlia da come aprì il portone. Anche perché non abitava nessun altro, a parte loro due ed Enrique quando tornava, in quella grande casa rosa in centro.
Federica capì anche, dal modo di camminare e dal fischiettio sommesso, che Zoe era di buon umore, ancor migliore di com’era quando era tornata da scuola, e questo la fece sorridere.
Aprì la porta e si trovò davanti la figlia che cercava le chiavi nelle tasche «Ehilà! Scusa se ho fatto tardi, è molto che mi aspetti?»
«No, sono appena tornata anch’io. Stavo per chiamarti, dov’eri?»
Federica lo sapeva perfettamente, ma dopo un’intera giornata passata a parlare in francese e spagnolo a comitive di anziani turisti aveva voglia di ascoltare qualcun altro.
«Al solito bar, con Emme e Elle. Ma prima ho studiato. Che fai per cena, Fed?» chiese Zoe, appoggiando il cappotto sulla sedia.
Zoe non chiamava mai sua madre mamma, a meno che non stesse piangendo e cercasse qualcuno perché la consolasse.
«Non saprei. Hai fame o hai mangiato al bar?»
«Ho mangiato, ma solo delle patatine. Ho ancora fame, tanta fame. C’è ancora della pizza?»
«Dipende. Una ciascuno o una in due?»
«Una ciascuno!» disse sedendosi.
Federica dovette trattenersi per non mostrarsi esageratamente felice e sollevata «Fantastico! Ti fanno bene quei ragazzi.»
«Me l’hai già detto, Fed. E ti ho già detto che non sono loro, sono le nostre risate. Bruciamo un sacco di calorie ridendo, e ci si allunga anche la vita. Diventeremo immortali!»
«Immortali e magrissimi, posso quasi vedervi! Quando ti deciderai a farmeli conoscere?»
«Dai Fed, li hai già visti l’anno scorso alla festa!»
Federica tirò fuori dal freezer le due pizze surgelate «Certo, in mezzo a tutti gli altri tuoi compagni! Voglio parlarci a quattr’occhi, vedere se sono simpatici come dici!»
«Fede, non sono mica i miei fidanzati. E poi mi conosci, ormai ho imparato a vedere le persone esattamente come sono, non come vorrei che fossero.» rispose lei, alzandosi e prendendo i piatti.
Nella cucina regnò il silenzio per qualche minuto.
«Però se proprio insisti te li presento.»
«Davvero?! Li inviti a pranzo qui?»
«No!»
«E dai! Lo so che sono grandi appassionati della mia cucina!»
Zoe sospirò «Fed, hanno mangiato solo i tuoi biscotti. E poi tu non ci sei mai a pranzo! Non avresti mai il tempo di cucinare uno dei tuoi deliziosi manicaretti!»
Il campanello del forno le avvertì che le pizze erano pronte.
«E invece ce la farà! Tu parlagli, decidete un giorno e vedrò di esserci.»
«Va bene... ora tira fuori quella pizza e sfamami, madre degenere.»

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Capitolo 6
*** 6. Litigi, zucchero e cerotti ***


La nostra vita con Zoe

6. Litigi, zucchero e cerotti

 


Come Léon, Marco e Zoe, Giulia frequentava il Liceo Classico, e come loro aveva quindici anni.
L’unica cosa che la differenziava dal suo ragazzo e i suoi migliori amici e la sezione.
Le due quinte ginnasio avevano in comune il professore di italiano, quella di inglese e un’ora di educazione fisica il mercoledì. In uno spogliatoio stavano le femmine di entrambe le classi, nell’altro i maschi.
Quando Giulia entrò nello spogliatoio individuò subito la gonna a quadri di Zoe e le rivolse un cenno di saluto; stava con Léon da quasi due mesi e in quel periodo aveva avuto diverse occasioni per chiacchierare con lei, la trovava una ragazza solare e simpatica. Zoe rispose al suo saluto con un sorriso, poi ricominciò a chiacchierare con Adele sbottonandosi la camicia.
Quel giorno Giulia si rese conto per la prima volta di una cosa, della quale probabilmente poteva rendersi conto anche prima ma la colpì in quel momento, all’improvviso: Zoe era troppo magra.
In classe con Giulia c’era una ragazza molto magra, ma era una magrezza diversa, più normale nella sua anormalità.
La magrezza di Zoe era impressionante, era quella di chi non mangia e si sforza di non farlo. La cassa toracica pareva quasi perforare la pelle bianco latte sul davanti, così come le scapole sulla schiena. Ma nessuno pareva essersene accorto, quindi pensò di aver esagerato.
Uscì dallo spogliatoio con un senso di malessere opprimente e salì in palestra, dove fortunatamente incontrò Léon.
«Ehi piccola! Non fai ginnastica oggi?» le chiese dandole un bacio.
«No, purtroppo devo ripassare latino. Posso farti una domanda strana?»
«Dimmi tutto.»
«So che non sono affari miei, ma Zoe per caso fa una qualche dieta?»
«Assolutamente no! Zoe mangia di tutto, e tanto. Carboidrati, carne, ben poche verdure... so che non sembra perché è molto magra, ma mangia! È come quella tua compagna, dai. Perché? Non avrai mica intenzione di metterti a dieta?!»
Giulia stava per rispondere ma l’insegnante la richiamò intimandole di mettersi seduta da qualche parte a ripassare.
Prima che si allontanasse Léon le sussurrò «Guarda che sei perfetta così!»
«Ma come sei romantico!» lo prese in giro Zoe, spuntando in quel momento alle sue spalle. Quella di educazione fisica era l’unica ora in cui non indossava una gonna, e contro ogni logica anche l’unica quando non si legava i capelli.
Aveva infatti i capelli sciolti, lunghi fin sotto le spalle, e indossava una maglia nera con una stampa di Londra e dei calzoncini bianchi.
«Ahah, come sei simpatica. Sei solo gelosa!»
«Gelosa?! E di cosa, di uno che mi dice... gialla?! Ma che cazzo fa? È un imbecille!»
Interdetto, Léon seguì lo sguardo accigliato della ragazza e vide Marco, che a differenza di loro due sfoggiava una maglia gialla. E questo non andava affatto bene, perché la loro insegnante aveva l’abitudine di fare le squadre in base ai colori delle maglie e così non sarebbero mai e poi mai stati tutti e tre insieme.
Marco si avvicinò agli amici con un sorrisetto «Stavi forse parlando di me?» chiese.
Zoe lo guardò male, le braccia incrociate sul petto «Gialla? Davvero, o ci stai prendendo in giro?»
«Beh, a me sembra proprio gialla. Perché?»
Zoe scosse la testa «Oggi proprio non va bene.» disse solo, allontanandosi per raggiungere le altre ragazze.
Zoe si riferiva alla discussione avuta con il ragazzo prima della ricreazione, perché lei voleva offrirsi volontaria in greco e lui le aveva rubato il posto copiando la versione da lei. Non era stava una litigata particolarmente violenta, ne avevano avute di peggiori, ma Zoe era uscita dalla classe piuttosto amareggiata e delusa e la cosa non era sfuggita a Léon.
Il ragazzo aveva pensato che il loro amico avrebbe trovato velocemente un modo per farsi perdonare, non uno per litigare ulteriormente.
«Non avevi tirato fuori una maglia nera, prima?»
«Sì, ma l’ho rimessa dentro subito.»
Léon stava per dirgli altri ma arrivò la prof e li divise velocemente in squadre per giocare a calcetto; come previsto Zoe, Léon e Adele finirono in una squadra e Marco in un’altra, e il destino volle che la prima partita la giocassero proprio le loro due squadre.
Dalla sua abituale postazione di portiere Léon poteva osservare con quanta cattiveria e precisione Zoe mirasse agli stinchi di Marco riuscendo comunque a non farsi squalificare dall’insegnante. Ad un certo punto però il ragazzo, forse stanco di questi continui attacchi alle sue gambe, le fece lo sgambetto per prenderle la palla, facendola cadere a terra.
Questa volta la prof fermò il gioco e sgridò Marco, che si scusò con Zoe e l’aiutò a rialzarsi. Dopo pochi minuti la prof fischiò tre volte annunciando la fine della partita, vinta dalla squadra nera grazie ad un gol di Adele.
Mentre si andavano a sedere fuori dal campo per lasciare spazio alle altre due squadre, Léon notò che Zoe aveva una strana espressione sul viso. «Ehi, stai bene?» le chiese.
Lei annuì senza troppa convinzione, lui però lasciò perdere pensando che fosse ancora arrabbiata con Marco.
Zoe si buttò pesantemente a terra, col fiatone e il cuore che le batteva forte nelle tempie. Si dedicò a guardare la partita, ma il suo sguardo fu intercettato da marco che le faceva le boccacce dalla parte opposta del campo.
Quel ragazzo aveva strani modi per chiedere scusa, pensò rispondendogli a tono. Qualcuno accanto a lei si alzò, lasciando libera una sedia tanto comoda quanto rara da trovare libera, così Zoe si alzò fulminea per sedersi.
Troppo fulminea.
La testa cominciò a girarle tremendamente, riuscì a sedersi solo appoggiandosi al muro. Chiuse gli occhi per qualche secondo per cercare di ristabilirsi, ma fu inutile; quando li riaprì vedeva tutto doppio e sfuocato, e i giocatori in movimento di certo non aiutavano.
In preda al panico puntò gli occhi sull’unico punto fermo che riuscì a trovare, la maglia gialla di Marco, che aveva smesso di farle le boccacce e la guardava preoccupato.
Poi tutto attorno a lei diventò nero.

La palestra era larga una quindicina di metri, venti al massimo.
Zoe impiegò più o meno tre secondi per svenire e dieci per cadere dalla sedia.
Marco ne impiegò tre per capire cosa le stava succedendo e una quindicina per attraversare la palestra di corsa, non riuscendo quindi ad evitare che battesse la fronte contro il bordo della panca lì accanto. La fermò però prima che scivolasse a terra, tenendola saldamente per le spalle e chiamandola insistentemente.
La prof, che non si era accorta di niente, fu richiamata da uno strillo acuto di Adele, mentre attorno a Marco e Zoe si era radunato un gruppo di ragazzi compresi Giulia e Léon.
«Fatele spazio, fatela respirare! E tu sta’ zitto, tanto non ti risponde!» intimò a Marco, che continuava a chiamare il nome dell’amica.
Zoe rinvenne quasi subito quando i compagni si allontanarono, e la prima cosa che vide fu di nuovo la maglia gialla di Marco.
Aveva la gola secca e male alla testa ma riuscì a mormorare «Beh? Che ho fatto?»
Marco, con il cuore che andava ancora a mille per il panico, fece un sorrisetto «Mah, niente... sei solo svenuta, facendoci prendere un colpo.»
Sentendosi dire che era svenuta Zoe cercò di mettersi velocemente a sedere, ma l’amico che la teneva ancora per le spalle la trattenne. La prof la guardò, poi fece segno ad Adele di avvicinarsi.
«Blanchard, vai a stenderti nello spogliatoio. Medrucci, tu accompagnala e dalle qualcosa da mangiare. Ce la fai a camminare?»
Zoe scosse la testa.
«La prendo in braccio io, prof. Tanto è leggerissima.» si offrì Marco, e senza nemmeno aspettare l’assenso dell’insegnante la prese da dietro le ginocchia e la sollevò.
«D’accordo, ma dopo torni subito qui. Blanchard, cinque minuti e vengo giù a fare la denuncia, cerca di ricordare bene tutto. Ah, uno di voi due le metta un cerotto sulla fronte!»
Marco e Adele annuirono, poi lui disse a Zoe di tenersi forte e si incamminò.
Ebbero qualche problema per le scale perché erano piuttosto strette, ma riuscirono ad arrivare illesi nello spogliatoio.
«Appoggiala sulla panca, io bado a cercare un cerotto e qualcosa da mangiare. Zoe, cerca di tenere le gambe sollevate.» ordinò Adele, crocerossina improvvisata. Stesasi sulla panca, Zoe piantò i piedi su una spalla di Marco che si era seduto lì accanto.
«Scusa, eh. Così hai una scusa per rimanere qui.»
«Fa’ con comodo. Ah volevo... chiederti scusa per primo.»
Zoe sospirò «Per aver copiato la versione ed avermi rubato il posto da volontario, per non esserti messo la maglia nera o per avermi spinta?»
«Entrambe le cose. E per la spinta, ovviamente. Ma non ti avevo già chiesto scusa?»
«Sì, ma se tu non mi avessi spinta probabilmente non sarei svenuta.»
Marco la guardò senza capire.
«Quando prima mi hai fatto lo sgambetto ho perso l’equilibrio e sono caduta, e quando mi sono rialzata mi girava già terribilmente la testa. Hai destabilizzato il mio centro dell’equilibrio e quando poi mi sono alzata di scatto si è destabilizzato di nuovo. Quindi sono svenuta.»
«Oh. Allora mi dispiace...»
«O forse è successo perché non avevo mangiato niente a ricreazione. Ma è sempre colpa tua, perché mi hai fatto passare la fame quando abbiamo litigato.»
Come riusciva a farlo sentire tremendamente in colpa lei, non ci riusciva nessuno.
«Io te l’avevo detto di mangiare. To’, prendi questa!» esclamò Adele arrivata in quel momento, lanciando all’amica una bustina di zucchero. Nell’altra mano ne aveva molte altre.»
Marco rimase lì con loro anche se Zoe si era rimessa a sedere normalmente, e quando lei ebbe finito di mangiare zucchero la tenne ferma mentre Adele le metteva il cerotto in fronte.
«Ti prego, non è così grave!! Poi questo cerotto è orribile, potevi prendere quello con i disegni! Sembrerò una menomata!» si lamentava lei.
«Io invece credo ti sia andata meglio, con il cerotto coi disegni avremmo fatto finta di non conoscerti!» le disse Marco ridendo. «E in più hai la temperatura perfetta, con questo ciuffo basta fare così e non si vede niente!» aggiunse, spettinandoglielo.
Lei sbuffò e guardò i due amici con la miglior faccia da cane abbandonato che le venne.
Marco sorrise intenerito, Adele la spettinò ulteriormente dicendo «Prima o poi farai venire un infarto a qualcuno, Zoe Blanchard!»
«Blanchard, sento che stai meglio! E tu cosa ci fai ancora qui? Non ti avevo detto di tornare subito in palestra? Vai, veloce!» li interruppe la prof, entrata in quel momento.
Marco diede una pacca sulla spalla all’amica e tornò su a giocare.

«Sei sicura di non volere un passaggio? Tanto con Giulia ci vediamo dopo, poi ti ha vista quindi capirebbe!»
Zoe sbuffò e si riprese la borsa da scuola «Léon, sono svenuta un’ora fa, l’unica cosa che me lo ricorda è questo maledetto cerotto. E poi sono svenuta, mica sono incinta! Posso portarli i pesi!»
I tre amici uscirono da scuola; il piazzale era talmente affollato che Zoe riconobbe sua madre solo quando se la vide venire incontro.
«Oh, no! Nascondetevi, vi prego!» mormorò ai due compagni, che la guardarono esterrefatti.
«Zoe! Eccoti finalmente! Quanto ci hai messo a uscire?!»
Quella che Léon si vide davanti era la copia leggermente invecchiata di Zoe.
Stessi capelli color cioccolato, stesso sorriso, stesso naso leggermente a punta, stesso accento leggermente straniero. Solo gli occhi erano diversi, verdi contro quelli nocciola della giovane.
«Ciao, Fed. Cosa ci fai qui? Non dovresti lavorare?» chiese Zoe.
«Ho due ore libere e ho deciso che pranziamo assieme. A meno che tu non debba fare qualcosa con i tuoi amici! Me li presenti?»
Chi diavolo era quella?!
Zoe sospirò «Ok. Fed, loro sono Léon e Marco. Ragazzi, lei è Federica. Mia madre.»
I due ragazzi rimasero a bocca aperta «Tua... madre?!»
Zoe li guardò tra lo stupito e il rassegnato «Mia madre. Ne ho una anch’io, sapete? Non mi sono generata da sola dal nulla. E poi tutti dicono che ci assomigliamo...»
«Questo di sicuro!» risposero i due praticamente in coro mentre la frase “sembra più tua sorella maggiore” echeggiava nelle loro teste.
Ci pensò proprio Federica a distrarli «Zoe, quello è un cerotto? Cos’hai fatto?»
«Niente, sono caduta in palestra e ho picchiato la testa. Niente di grave.» mentì prontamente Zoe. Ma Léon rovinò tutto dicendo «In realtà sei svenuta...»
«Svenuta?! Come hai fatto?»
«Mah, sai, la corsa, la pressione... un calo di zuccheri...»
«Calo di... non hai mangiato.»
Zoe si guardò i piedi con aria colpevole.
«Non hai mangiato! Qualcosa avrà in chissà quale modo interferito con la tua realtà e per protesta non hai mangiato! Questa me la paghi, mangerai il doppio a pranzo. Saluta i tuoi amici e andiamo. Scusate ragazzi, andiamo di fretta, ma presto vi voglio ospiti a pranzo!»
Zoe si scusò con i due amici con lo sguardo e seguì la madre, lasciandoli ammutoliti dallo stupore.

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Capitolo 7
*** 7. C'era la neve... ***


La nostra vita con Zoe

7. C'era la neve...

 


Aveva cominciato a nevicare. Pian piano, minuscoli fiocchi bianchi scendevano dal cielo violaceo a andavano a posarsi sull’asfalto, non abbastanza grandi da ricoprirlo.
Questo tempo nevoso aveva reso il pomeriggio tremendamente buio, tanto che l’aperitivo delle sei e mezzo era stato precipitosamente cambiato con una merenda delle quattro.
Léon lanciò un’altra occhiata fuori per vedere se Marco fosse arrivato, ma non vedendolo si rigirò verso Zoe con un sospiro rassegnato. La ragazza, dal canto suo, mescolava il suo the da circa dieci minuti, fissando il liquido vorticante nella tazza con aria assente.
«Se non ti sbrighi diventerà un the freddo.»
Zoe si riscosse «Cosa? Non ti stavo ascoltando, scusa.»
«Non stavo dicendo niente. Ma cos’hai? Tua madre ti ha sgridata tanto per lo svenimento?»
«Anche. Ha avuto persino il coraggio di prendersela con Marco perché era con lui che avevo litigato! Odio mia madre. Spero che non l’abbiate presa per pazza.» sbottò, sbattendo il cucchiaino nella tazza.
Léon sorrise «Pazza? No, è solo una madre molto apprensiva. L’esatto contrario della mia... Comunque vi assomigliate davvero un sacco!»
«No, io sono uguale a mio padre. Questo carattere così amabile risiede solo nei geni Blanchard, purtroppo.»
«Sì? Allora ringraziamo il cielo per avere a che fare solo con un esemplare!» esclamò Marco, entrato in quel momento assieme a una ventata di piccoli e gelidi fiocchi bianchi.
Si buttò a sedere di peso sulla panca di fianco a Zoe, facendole quasi rovesciare il the.
«Con delicatezza e riguardo come sempre, mi raccomando.» lo fulminò lei, spostandosi. Lui parve non notare l’acidità nella voce, bensì le diede un piffetto sul naso dicendo «Certo, e anche con nonchalance! Vedo piuttosto che non mi avete aspettato, grazie mille!»
«Sai, dovevi essere qui venti minuti fa; per cinque ti abbiamo aspettato, poi abbiamo pensato che ti fossi perso tra i fiocchi di neve. Piuttosto, tutta quest’allegria a cos’è dovuta?» chiese Léon, facendo segno alla cameriera di avvicinarsi.
«Alla neve!»
«Alla neve? Quanti anni hai, scusa?»
«Quindici, frequento la quinta ginnasio e tra due giorni dovrei fare una verifica di greco!» rispose lui, senza curarsi della provocazione.
«Hai usato il modo sbagliato, il condizionale.»
«E invece ho scelto questo modo apposta! Avete visto com’è fuori? Nevica piano, ma i fiocchi si fanno sempre più fitti e grossi. Scommetto il mio portafoglio della Juve che dopodomani saremo a casa, anzi forse già domani!»
Zoe bevve un sorso del suo the «Speriamo! Non ho capito tanto bene come si forma il futuro, una settimana in più per studiare non mi farebbe male.»
«Ma sta’ zitta, che tu vai sempre benissimo!» la zittirono gli amici ridendo.
«Si chiama memoria fotografica, e ogni tanto è un bene!»
Continuarono a chiacchierare del più e del meno finché non arrivò la cioccolata senza panna di Marco. Il ragazzo fece per prendere una bustina di zucchero dal contenitore ma quello era vuoto; prima che chiamasse di nuovo la cameriera, Zoe ne tirò fuori una dalla tasca e gliela porse «Tieni, ne ho altre cinque. Adele ha svaligiato la macchinetta o cose simili, suppongo.»
«A proposito, come stai? Hai convinto tua madre che non ti era successo niente di grave?»
«Sembrava impossibile anche a me, ma ce l’ho fatta. Però se vuoi essere invitato a pranzo per poter assaggiare i suoi manicaretti ti conviene migliorare la tua immagine ai suoi occhi. Non ti ha preso per nulla in simpatia, purtroppo.»
Marco mangiò una cucchiaiata di cioccolata «Come mai? Perché avevamo litigato? Ohi, non so che farci, spero cambierà idea.»
«Ma chissenefrega! Sei un suo amico, mica suo marito! Anche se le stai antipatico, cosa può fare?» s’intromise Léon.
«Léon, stai per caso cercando di confidarmi che tua madre mi odia?» gli chiese l’amico.
«Purtroppo sì. Non potremo mai convolare a nozze, fuggiamo da qualche altra parte, amore mio!» esclamò il biondo con fare melodrammatico.
Marco strinse forte la tazza fra le mani «Ma come? E i miei genitori? E mio fratello?»
Zoe affondò il viso tra le mani «Ma fuori nevica o viene giù droga pesante?! Romeo e Giulietta carissimi, sapete come andrà a finire la vostra bella storia d’amore, vero? Tuo fratello, o meglio tuo cugino, mi ucciderà, allora lui mi vendicherà e alla fine creperemo tutti e i nostri genitori ci piangeranno disperati giurando di far pace. Facile giurare su chi è già morto...» disse, guardandoli male.
I due ragazzi le rivolsero due sorrisi stupidi.
«Non guardatemi così. Guarda, Léon, che potrei dire alla tua vera Giulietta che la tradisci con questa qui!»
Léon stava per risponderle per le rime, ma si avvicinò al tavolo Filippo «Scusate ragazzi, ma nevica sempre più forte e vi conviene sbrigarvi ad andare a casa. Non per cacciarvi, ma...»
«Grazie Fil, hai ragione. Paghiamo e usciamo.» disse Zoe.
I tre furono in strada pochi minuti dopo.
«Blanchard, sei antipatica e totalmente priva di senso dell’umorismo.» esclamò Léon, sollevandosi il cappuccio della felpa.
«Grazie, lo so. Marco, tu invece hai una carriera da metereologo molto promettente!» disse la ragazza guardando esterrefatta la strada e le macchine completamente imbiancate.
Marco fece un piccolo inchino, mentre i piccoli fiocchi bianchi continuavano a cadere imperterriti e agguerriti «Vedrete che le scuole saranno chiuse già da domani!»
«Ma no, non va bene! Almeno una bella battaglia a palle di neve fuori da scuola ci vuole! Oppure...» Léon lasciò in sospeso la frase e si avvicinò pensieroso ad una macchina.
Zoe, ancora sotto la tettoia, portò una mano alla grande borsa (con la bandiera inglese, ovviamente) che aveva sulla spalla «Non pensarci neanche, Romeo. O non avrai un passaggio sotto il mio ombrello!» gridò.
I due ragazzi erano stupiti «Hai un ombrello e stai lasciando noi due che ne siamo privi qui sotto la neve?» chiese Marco.
«Sprovveduti.»
Seguì qualche secondo di caos totale.
Marco si avvicinò a Zoe per prenderle l’ombrello, Zoe ridendo cercò di spostarsi, una palla di neve spuntata da chissà dove attraversò la strada e colpì Marco dritto nel coppino, là dove pochi secondi prima si trovava Zoe. I due rimasero interdetti, poi Léon scoppiò a ridere «Scusa Marc, volevo prendere lei!»
Zoe gli rivolse un’occhiata cattiva «Ah sì? Marco, scusa Léon se è un coglione; cosa possiamo farci? E grazie per avermi involontariamente coperta. Posso ricambiare il favore accompagnandoti a casa con l’ombrello, lasciando il coglione al suo destino?» chiese, con una nonchalance incredibile.
Marco scoppiò a ridere e annuì.
«Stai scherzando, mi auguro.» esclamò Léon. Zoe neanche gli rispose, si mise a cercare l’ombrello.
«Quando fa questa faccia secondo te scherza?» gli disse Marco, prendendo l’amica per un braccio per stare in due sotto l’ombrello. Quando lei lo trovò e lo aprì però gli sfuggì un gemito «Pure questo?! Non hai proprio nulla che non abbia stampata sopra quella bandiera... ok, sto zitto.»
In realtà, lui e Léon stavano già pensando a cosa regalarle per il compleanno, ma qualunque cosa vedessero con la bandiera, Zoe ce l’aveva già.
«Giulietta, mi tradisci così?» supplicò Léon.
«Almeno lei ha le tette. Dovrebbe, perlomeno...»
«Esci da questo ombrello.»
Sempre ridendo, Marco stampò un bacio sulla guancia dell’amica «Dai, lo sai che scherzo! Hai un sacco di altre qualità!»
«Vaffanculo, spero che ti venga un bronchite per la palla di neve che ti ha tirato quello.» sbottò la ragazza, facendo un passo avanti sotto la neve.
Léon si infilò le mani in tasca e s’incamminò «Ragazzi, ci vediamo domani, tempo permettendo! Io me ne vado prima che la vostra pazzia mi contagi in maniera irreversibile.»
Lo seguirono con lo sguardo finché non girò l’angolo, poi Marco fu scosso da un tremito e Zoe decise che era meglio andare.
Per una decina di minuti camminarono avvolti da un silenzio quasi irreale, che ad un certo punto Zoe ruppe con una mezza risatina.
«Che c’è?»
«Ci stai pensando anche tu, vero?»
Il gelo che Marco sentì lungo la schiena, lo sapeva, non aveva niente a che fare con la neve che colava dal colletto.
«A cosa?» chiese, fissando con insistenza la strada davanti a sé.
Un’altra risatina.
«Non prendermi per il culo. È febbraio, è passato un anno esatto proprio due giorni fa, devi averci pensato. E poi, guarda adesso, non ti ricorda niente?»
Marco si mordicchiò le labbra screpolate dal freddo finché non sentì il sapore del sangue nella bocca, ma disse solo «Non so di cosa stai parlando.»
«Non ci credo.»
Zoe si fermò di colpo, lasciando per un attimo l’amico scoperto dall’ombrello, poi gli tirò un braccio per farlo girare verso di sé. Marco non ricordava di averla mai vista così risoluta, anche se in fondo alle pozze scure dei suoi occhi c’era qualcosa di indefinito.
«La neve, Marc. Le scuole chiuse. Léon da un’altra parte. C’erano anche un anno fa, tutte queste cose. Te le ricordi, Marc?» gli chiese quasi sottovoce, gli occhi puntati nei suoi.
Marco non aprì bocca, ma nella sua testa non riusciva a pensare ad altro se non “Non lo dire”»
«Te lo ricordi, Marc?»
Sempre più vicina, sempre più sottovoce.
Non lo dire.
«Nevicava anche il 4 febbraio dell’anno scorso, ti ricordi?»
Quella sua maledetta memoria fotografica.
Non lo dire.
«Non te lo ricordi proprio, Marc?»
Cattiva, subdola, determinata, stronza. Zoe.
Non lo dire.
«Nevicava anche quando mi hai baciata, Marc.»
Merda.
L’aveva detto.

Non era arrivato lì con l’intenzione di farlo.
Aveva deciso con Léon di vedersi da quest’ultimo un pomeriggio per ripassare ma anche per il dolce far niente in compagnia.
Nevicava quasi ininterrottamente tre giorni, le scuole erano chiuse fino a data da destinarsi.
Il paradiso degli studenti.
Ma quando aveva suonato a casa dell’amico, se l’era trovato davanti completamente vestito da neve.
«Palle di neve?» chiese.
Léon era allibito «Cosa ci fai tu qui, oggi?»
«Beh, è mercoledì, avevamo deciso per oggi...»
«Cazzo. C’è la partita!»
Léon giocava a rugby, ma Marco era più che sicuro che non dovesse giocare anche con la neve.
«Partita di cosa?»
«Rugby, i Mondiali! La mia antenna si è fottuta per la neve, mi ero dimenticato del nostro programma, sto andando a guardarla da Zoe!»
Nonostante un piccolo inconveniente, Zoe e Léon erano diventati ottimi amici in quei mesi. La ragazza aveva cominciato ad aprirsi di più con tutti, persino con Marco. Che però aveva ancora quel dubbio da porle...
«Se non le da fastidio vengo anch’io! Così qualcuno le fa compagnia, non credo che le interessi particolarmente il rugby.»
Léon l’aveva ringraziato e si era scusato di nuovo, poi si erano incamminati verso la casa della ragazza.
Quando Zoe, che si era armata di Dickens e tanta pazienza per passare il pomeriggio, aprì la porta, si trovò quindi davanti tutti e due i suoi compagni di classe.
Stupita chiese «Rugbista anche tu?»
Marco fece una smorfia «No, seguo solo il calcio. Ma Léon è rincoglionito, si era dimenticato di avermi dato appuntamento per studiare proprio oggi, ma tanto non avevo nulla da fare e l’ho accompagnato. Sempre se non disturbo.» aggiunse.
Zoe sorrise «Ma figurati, almeno ci sarà qualcuno con cui parlare! Entrate pure.»
La casa di Zoe era grande, enorme per chi come loro due viveva in un appartamento. E soprattutto era vuota.
La madre di lei, andata a Parigi per il weekend, era rimasta bloccata all’aeroporto a causa del maltempo in Italia. Zoe aveva la casa tutta per sé fino alla riapertura degli aeroporti, insomma.
«Sei sempre contraria all’idea del festino, Zoe?» le chiese Léon mentre la ragazza appendeva i giubbotti e Marco si guardava intorno con circospezione.
«Più che altro, nessuno a parte voi riuscirebbe a venire! E un festino a tre è triste!» rise lei precedendoli «Allora qui c’è il salotto, il televisore lo vedi, sai tu su che canale è quello che ti interessa. Se volete c’è anche qualcosa da mangiare.»
«Ci sono i biscotti di tua madre?»
«Vorrei ricordarti che è via fino a chissà quando, quindi la mia scorta non si tocca! Vabbè, io vi lascio alle vostre cose da uomini, se vi serve qualcosa sono di sopra in camera.»

Marco non ne poteva più già dopo dieci minuti.
Resistesse per quindici, poi si alzò di scatto da divano.
«Mi serve il bagno, sai dov’è?»
«Chiedi a Zoe di sopra.»
Salì piano la stretta scala a chiocciola e, arrivato di sopra, si avvicinò all’unica porta socchiusa che trovò. Bussò piano e attese.
Zoe sollevò la testa dal suo capolavoro inglese «Avanti!»
«Ciao. scusa, cercavo il bagno...»
«La porta in fondo al corridoio, proprio qui di fronte.»
Marco tentennò qualche secondo «Quale?»
«L’unica porta in fondo al corridoio.» disse Zoe sorridendo «Ma non credo che ti interessi davvero. Non ne puoi più della partita, vero?»
Marco fece un sospiro rassegnato «Per me esiste solo il calcio. E Léon è talmente preso che si è dimenticato di spiegarmi le regole!»
Zoe rise «Secondo te perché mi sono rintanata qui? Entra, dai, facciamoci compagnia.»

Non era entrato in camera sua con l’intenzione di farlo.
Si era semplicemente seduto al fianco della sua compagna sul copriletto con la bandiera inglese, aveva osservato attentamente la gigantografia di Londra sulla parete opposta e tutte le altre cose bandierate in giro per la stanza e le aveva scherzosamente chiesto l’origine di quella sua insana passione. Anche lei gli aveva risposto scherzosamente, ma con uno strano sguardo che l’aveva convinto a cambiare argomento.
Avevano chiacchierato, riso, scherzato, come se si conoscessero da una vita. E poi, mentre riprendevano fiato dopo una risata particolarmente lunga, l’aveva fatto.
Senza un motivo apparente.
Più che un bacio, le aveva dato una craniata.
E quando l’aveva sentita rimanere rigida e immobile sotto le sue labbra, aveva capito di aver fatto una delle più grandi idiozie della sua vita.
Si allontanò immediatamente, maledicendo l’imbarazzo che gli stava tingendo le guance di rosso.
«Zoe, io, ecco... scusa ma...»
«Ma che cazzo avete tutti?!» esclamò la Ragazza, scattando in piedi «Prima Léon, adesso tu! non è che perché vi faccio entrare in casa mia potete cercare di baciarmi, lo capite o no?!» continuò, guardandolo frustrata.
«No, scusa, io non volevo, solo che...»
«Sei scivolato? Non sapevi a cosa appoggiarti e hai trovato le mie labbra così, per caso?» lo sfotté lei. Lui arrossì ulteriormente.
Zoe sospirò per calmarsi e si appoggiò alla sedia (rigorosamente con la bandiera inglese) lì accanto.
«Allora, dato che tu stai zitto farò anche con te questo fantastico discorsetto imbarazzante che ho già fatto a Léon. Io non so cosa abbiate voi, forse qualche ormone gasato dalla pubertà, ma io non ne ho quindi non ho intenzione di rovinare il mio rapporto con nessuno, ma nemmeno di approfondirlo, mi sono spiegata?»
«Me nemmeno io lo voglio!»
«E allora che cazzo...»
«Volevo solo farti una domanda!»
«Una domanda? E come cazzo potevo risponderti, se...»
«Cos’hai contro la kalokagathìa
Zoe si fermò a metà del gesto, le braccia ancora sollevate in una posa quasi plastica, gli occhi fermi nei suoi, una strana espressione sul viso. Faceva quasi impressione.
«Che cosa?» sputò fuori dopo un minuto, che al ragazzo sembrò durare una vita. «Che cos’ho contro cosa?»
«La kalokagathìa. Sai, quella cosa che abbiamo fatto all’inizio dell’anno, la teoria del...»
«Del bello e buono, dell’Iliade, lo so.»
Si risedette al suo fianco, improvvisamente esausta «Mi stai veramente dicendo che mi hai baciata per sapere cos’ho contro la kalokagathìa? Cosa ti fa pensare che io abbia qualcosa contro una teoria antica quasi quanto l’uomo, poi?» gli chiese.
Suo malgrado, Marco sorrise «Il tono con cui ne parli, per esempio. Non lo so, una volta in classe mi è sembrato che facessi delle strane facce mentre il prof parlava. Ma magari erano dovute agli sputi delle adenoidi...»
Anche a Zoe sfuggì un sorriso «No, è vero, odio la kalokagathìa. Trovo totalmente ingiusto il fatto che qualcuno perché è bello debba per forza essere anche buono, coraggioso e valoroso, e invece se è brutto debba per forza essere malvagio, corrotto e stupido. Non ha senso. Metti che uno sia bellissimo, buono e valoroso quanto ti pare, poi capita che ha un incidente, che ne so, rimane sfigurato. E dopo? Le sue buone qualità scompaiono assieme alla sua bellezza? Ho visto più persone belle che brutte dotate di una cattiveria oltre misura.»
Fece una pausa, Marco pensò che aspettasse un suo parere e cercò di pensare a qualcosa di intelligente da dire, ma lei ricominciò a parlare «Pensa se questa cosa fosse una legge vigente ai giorni nostri. Chi credi che sopravvivrebbe, ad esempio, in classe da noi? Ben poca gente. So che le persone pensano che sia una cosa strettamente da superficiali, tutti dicono che l’aspetto non conta, ma quante ragazze belle, o che credono di esserlo, hai mai visto con un ragazzo anonimo, o brutto? Nessuna. Sono tutte brave a prendersi il bello di turno, che può essere il ragazzo migliore del mondo, non lo metto in dubbio, ma può anche essere il più stronzo. E a quelli che parlando di selezione naturale, guarda, mi verrebbe voglia di spaccargli la faccia. E lo farei, se solo non avessi la massa muscolare pari a quella di un insetto stecco a dieta! Se è selezione naturale, perché non prendiamo tutti quelli sotto lo standard di bellezza e non li eliminiamo? Perché non c’è uno standard di bellezza, forse? Perché tutti sono belli, a modo loro?»
«Perché a questo punto io avrei resistito ben poco, oltretutto.» si lasciò sfuggire Marco.
Zoe parve ricordarsi in quel momento di avere un ascoltatore «Perché, scusa?»
Marco si indicò «Non saprei, secondo te?»
«Tu non sei brutto.»
«Questo lo dici perché secondo te tutti sono belli, in un modo o in un altro.»
Zoe scosse la testa «No, non è vero. Non sei brutto. Sei l’esempio per la mia teoria. Non avrai la bellezza classica, ma sei bello anche tu.»
«E tu sei molto gentile.»
«Mi stai dando ragione come... ai matti?»
Lo sguardo gelido che gli rivolse lo convinse a dire «No, no, sto ascoltando. Vorrei sapere cosa trovi di bello in me.»
«Il fisico, ad esempio. Hai degli addominali che fanno paura.»
Marco rimase a bocca aperta «E tu come cazzo fai a saperlo?!»
«Chi di noi due quando fa goal alle partite di calcetto a scuola si leva la maglia e gira per la palestra?»
Silenzio.
«Appunto. Gli occhi. Sono verdi, di un verde strano però. Sono più belli di quelli di Léon. E probabilmente quando ti toglierai l’apparecchio potrò dirti che hai un bel sorriso. In più hai senso dell’umorismo.»
Zoe era la prima ragazza che gli diceva quelle cose. Nessuna l’aveva mai definito bello.
«Quella non è una cosa fisica.»
«Lo so, ma è innegabile. Perciò se ti ritieni brutto ma hai senso dell’umorismo, e sicuramente migliaia di altre qualità che non conosco, sfati la kalokagathìa
Marco aveva quasi il mal di testa «Sei contorta, Zoe Blanchard.»
Lei fece un sorrisetto storto «Lo so, me l’hanno detto in molti. Anche questo sfata la kalokagathìa: tutti mi ritengono bella, quindi dovrei essere pure adorabile e simpatica e altre mille cose che non sono, invece sono contorta e scontrosa! C.v.d.!»
«Anche Odisseo era contorto.»
«Ulisse era un genio.»
A quel punto, Marco disse «Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.»
«Il Piccolo Principe. Ha centrato in pieno il mio concetto.»
«Forse sei stata tu a riprendere il suo, dato che sei nata un bel po’ dopo di lui...»
Zoe scoppiò a ridere «Forse. Bene, ora che ti ho detto cos’ho contro la kalokagathìa, hai altro da chiedere?»
«No, non me ne vengono in mente altre. In futuro comunque so come farti rispondere!» rispose lui con un sogghigno.
«Dandomi delle testate?» rispose lei, massaggiandosi la fronte.
«Esattamente!»
«C’è una cosa che dicono su di te che mi sembra vera, allora.»
«Cosa?»
«Sei un asso nei colpi di testa, a calcio.»

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Capitolo 8
*** 8. Giorno di neve ***


La nostra vita con Zoe

8. Giorno di neve


Marco sorrise «Ah, quella volta! Mi era completamente passata di mente, ma ora che mi ci fai pensare hai ragione, nevicava!»
Zoe scoppiò a ridere e lo spinse via «Non te lo ricordi?! Ma va’, va’ a prendere in giro qualcun altro!» disse, girandosi.
Marco l’afferrò per un polso e se la tirò di nuovo vicino per stare sotto l’ombrello «Non sei indimenticabile come credi, Blanchard!»
Zoe lo guardò male, poi con un sorriso cattivo lo afferrò per il colletto del giubbotto e se lo tirò vicino.
Troppo vicino, almeno per gli standard di Marco, che si ringraziò mentalmente per essere cresciuto di due centimetri in quell’anno.
«Beh? Hai qualche domanda da farmi?» le chiese, sperando che lei non notasse niente di strano nella sua voce.
«No, volevo vedere se così ti saresti ricordato qualcosa in più. Allora?»
Zoe Blanchard era una stronza, Marco non avrebbe mai smesso di ripeterlo. Ma ogni tanto lui riusciva da arrivare quasi al suo livello.
«Sì, direi di sì. Ma se ce l’avessi io, una domanda?»
«Chiedi.»
Gli stava veramente chiedendo di baciarla, o voleva una testata?
Esitò qualche secondo, poi si chinò a darle un piccolo morso sul naso.
Zoe strillò «Ahia! Deficiente! Perdi il diritto alla domanda così!»
Marco rise «Così impari a giocare con il fuoco, Mademoiselle Perfezione. Dai, piantiamola di dire idiozie e andiamo.»
«Io sono arrivata.»
Guardandosi attorno Marco si accorse che erano effettivamente di fronte alla casa di Zoe, probabilmente dall’inizio della discussione.
«Ma hai promesso di accompagnarmi a casa con l’ombrello!»
«Il mio ombrello ti accompagnerà, infatti. E trattalo bene, altrimenti ti rispedisco a Londra a prenderlo ok? A domani, scuola o non scuola!»

Quella mattina Léon fu svegliato due volte.
La prima da sua madre, che gli disse qualcosa che non capì perché era ancora mezzo addormentato e uscì.
La seconda da un trillo diverso da quello della sveglia, meno ritmico, più prolungato ed insistente; quello del campanello.
Lo lasciò suonare tre volte prima di decidersi ad alzarsi e camminare sacramentando contro sua madre che si dimenticava sempre le chiavi. La voce che sentì nel citofono però non fu quella di sua madre. Troppo squillante, troppo spazientita, troppo Zoe.
«Alla buonora! È la terza volta che suono! Dai, sei pronto? Scendi?»
«Zoe? Che ci fai tu qui? Non mi passi mai a prendere...»
Zoe sbuffò divertita «Ma tu i messaggi non li leggi? Niente scuola oggi, Léon!»
«Eh? Perché?»
«Oh, ma esistono le finestre in casa tua?! Sì esistono, perché le stiamo vedendo da fuori! Ti prego vai in salotto e guarda fuori.»
Ancora rincoglionito dal sonno e da tutte quelle informazioni, Léon ubbidì come un automa.
Fuori dalla finestra era tutto bianco, così maledettamente bianco e luminoso che gli occhi chiari di Léon chiesero pietà.
Le previsioni di Marco si erano rivelate giuste, pensò, mentre osservava il paesaggio quasi fiabesco attorno a lui, prima che qualcosa di grande e bianco si spiaccicasse sul vetro.
Svegliato da quel rumore improvviso, si sbrigò ad aprire i vetri. Per strada c’erano Marco, con un’improponibile giacca a vento rossa, e Zoe imbacuccata come non mai.
«Ma sei pazzo?! Potevi rompere il vetro!» esclamò Zoe, rivolta a Marco.
«Mi sa che l’unica cosa che abbiamo rotto sono i sogni di Léon... Stavi ancora dormendo, vero?»
«Sì! Ma cosa ci fate voi qui?»
«Ti abbiamo mandato dei messaggi! Mega battaglia a palle di neve da Cecilia, dobbiamo essere lì tra dieci minuti! Facci salire nel frattempo, abbiamo freddo!»
Léon ubbidì; nonostante il brutto risveglio non voleva lasciare i suoi migliori amici al freddo e al gelo. Peccato solo che fosse in pigiama quando se li trovò davanti, e il suo pigiama fosse costituito da una vecchia canottiera lacera e da un paio di bermuda di felpa sporchi, macchiati e corti.
«Oddio, scusate. Scusa, Zoe.» disse, quando intuì perché l’amica avesse quello sguardo strano.
«No problem, sono stata costretta a sprecare mezz’ora del mio tempo a guardare questo qui fare colazione in boxer...»
Marco alzò gli occhi al cielo, esasperato «Zoe, te lo dico un’ultima volta, il 90% dei maschi dorme in boxer!»
«Non a febbraio!»
«Ti è andata bene allora, d’estate dormo nudo!»
«Maniaco!!»
Léon spostava lo sguardo da uno all’altro come fosse a una partita di ping-pong «Fare pure come se non ci fossi...» biascicò.
«Vatti a vestire!» gli gridarono gli amici.
Léon obbedì, e quando torno vestito da neve trovò gi amici ancora impegnati nella discussione che, dal rossore vivo sulle guance di Zoe e dall’aria divertita di Marco, dedusse doveva essere diventata sempre più maliziosa «Allora vogliamo andare o no?» s’intromise, per salvare l’amica dall’autocombustione.
«Io sono pronta da due ore!» si lamentò lei, più che felice di concludere quella discussione, aprendo la porta di casa dell’amico.

Due ore e parecchi quintali di neve dopo, quindici dei ventitre alunni della classe 5A si salutarono dandosi appuntamento lì dopo la prossima nevicata, che a giudicare dal colore del cielo non avrebbe tardato molto ad arrivare.
Marco e Léon, che tra tutti erano quelli che avevano tirato e preso più palle, tremavano e battevano i denti come matti, mentre Zoe li precedeva di qualche passo e sembrava reduce da una tranquilla passeggiata in clima primaverile.
«Di’ un po’ Blanchard, tua madre ha deciso di imbottirti come un panino? Quanti strati di vestiti hai, per non avere neanche un po’ freddo?» sibilò Léon, battendo i denti.
Zoe ringraziò di essere più avanti di loro, così che non potessero vederla in faccia «Ehm sì, ho tre pile, due maglie e questa orribile giacca da sci di mia madre. E gli annessi pantaloni. E queste... magnifiche scarpe per non scivolare, con due paia di calzini. Ma ho comunque un po’ freddo.» rispose, cercando di mantenere ferma la voce.
«Beata te. Mi servirebbe una cioccolata calda, ma il solito bar è chiuso...» si lamentò Marco.
«Volete pranzare da me? Mia madre non tornerà a casa fino a stasera...»
«Ma Zoe abita più vicino!»
«Perché ti stai autoinvitando a casa mia? E poi mia madre è in casa e no, non ho intenzione di presentarvi oggi. Casa sua mi sembra l’idea migliore.» rispose lei, rimettendosi al passo con gli amici.

Pranzarono a casa di Léon, con della pasta quasi cruda condita con un sugo bruciacchiato, della Coca Cola calda e sgasata e dei popcorn, perché in casa non c’era nient’altro di commestibile.
Mangiarono e risero, delle lamentele di Zoe sulla qualità del cibo, delle imitazioni che Marco faceva di alcune loro compagne, del tono buono e sottomesso di Léon al telefono con sua madre, della serie di trasmissioni idiote che si trovarono a guardare dopo pranzo, quando fuori aveva ricominciato a nevicare.
Zoe parlò incessantemente nell’orecchio di Marco per mezz’ora, per dargli fastidio, e i ragazzi per vendicarsi presero una biro ciascuno e cominciarono a scriverle addosso.
Zoe urlava così tanto che Léon si accorse che il suo telefono stava suonando solo dopo il quinti squillo, riuscì a rispondere a Giulia per il rotto della cuffia «Scusa amore, stavamo torturando Zoe!»
Giulia rise, un po’ dubbiosa «Torturando Zoe? Come, e perché, di grazia?»
«Parlava. Le stiamo scrivendo addosso. Aspetta... Marc, ce la fai a tenerla ferma cinque minuti? È Giulia!»
«CIAO GIULIA!» gridarono gli altri due, poi Marco assicurò all’amico che avrebbe tenuto Zoe ferma il più possibile.
Léon corse in cucina per parlare un po’ con la sua ragazza, che a causa della neve non avrebbe rivisto fino al ritorno a scuola. I cinque minuti diventarono dieci, quindici, trenta, quarantacinque, un’ora, un’ora e mezza, un’ora e tre quarti.
Quando tornò in sala per scusarsi con gli amici, trovò il televisore acceso su un documentario sulle aste che nessuno dei due stava seguendo, in quanto Zoe era addormentata praticamente in braccio a Marco e lui con uno strano sorriso sulle labbra continuava a disegnarle faccine sorridenti sulle braccia pallide e sottili.
Guardandoli così, Léon si ritrovò a pensare che era stato davvero fortunato ad incontrare e diventare amico di quei due pazzi.





Il capitolo è vergognosamente corto, soprattutto in confronto a quello dell'ultima volta, ma serviva un momento di stacco. Prometto che il prossimo sarà lungo, sarà sempre ambientato durante il secondo anno di Liceo, anzi, arriverà quasi fino alla fine. Ma ne abbiamo altri tre da passare con loro, quindi don't worry :)
Ah, fateci caso, perché qui c'è un accenno al misterioso passato di Zoe...

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Capitolo 9
*** 9. Imprevisti e probabilità ***


La nostra vita con Zoe

9. Imprevisti e probabilità

 


Pioveva forte, e ovviamente Zoe era senza ombrello perché, ovviamente, Marco non gliel’aveva ancora riportato.
Si fermò sotto un portico a riprendere fiato e lanciò un’occhiata sconsolata all’orlo fradicio della sua amata gonna a quadri e gli schizzi infangati su stivali e calze; era inutile, quando camminava aveva una vera e propria calamita per pozzanghere e schizzi di ogni genere.
Ah, ma Marco gliel’avrebbe pagata...
Prese un profondo respiro e corse verso l’altro portico, per essere all’asciutto, tra le bestemmie e gli insulti dei vecchi che evitava per un soffio. Dopo cinque minuti di corsa, acqua e schizzi raggiunse finalmente la casa di Marco. Prima di suonare il campanello lanciò un’occhiataccia alla pensilina della fermata dell’autobus dove sarebbe dovuta scendere.
«Chi è?» «Aprimi cazzo, che diluvia!»
Il portone si aprì con uno scatto e Zoe fu velocissima ad entrare e richiuderselo alle spalle. Ma anche nell’androne buio e coperto le parve di sentir sgocciolare: era definitivamente impazzita?
Si guardò attorno e si accorse con estremo disappunto di essere lei la fonte di tale sgocciolamento, in quanto si era bagnata molto più di quanto pensasse.
“Speriamo che Marco abbia qualcosa di asciutto...” pensò, prendendo l’ascensore.
Marco l’aspettava sulla porta, e appena la vide la guardò esterrefatto «Che cazzo c’era, un buco sul tetto dell’autobus?!» le chiese.
«Non sono venuta in autobus...»
«Ma abiti dall’altra parte della città!»
«Credimi, lo so. Ho sbagliato autobus, sono scesa prima e ho fatto il resto della strada a piedi. Ora ti prego, fammi entrare, sono fradicia.»
«Hai sbagliato autobus? Ahahahah, ti adoro soprattutto per questo! Ma non puoi entrare così, bagneresti ovunque, e ti verrebbe un accidente.»
«Allora portami dei vestiti asciutti.»
Marco scomparve dentro l’appartamento per tornare qualche minuto dopo con una maglia della Juve, dei pantaloni di felpa e la felpa blu con la bandiera inglese che piaceva tanto a Zoe.
«Dammi i vestiti bagnati, intanto li metto di là ad asciugare.»
Zoe lo guardò male «Vuoi per caso che mi cambi qui, fuori da casa tua, mentre tu mi guardi?»
«Beh, tu mi hai visto in boxer...»
«Io sono più pudica di te! Mi tocca sempre dirti tutto... Ce li hai degli stracci asciutti? Perfetto, stendili davanti a me facendo una specie di sentiero fino al bagno. Pensi di farcela? Veloce!»
Un quarto d’ora, diversi stracci, qualche scoppio di risa, qualche insulto e una veloce asciugatura ai capelli dopo, i due amici si sedettero finalmente al tavolo del salotto a fare ciò che aveva costretto Zoe a quell’Odissea: una ricerca di storia.
«Se penso che mi sono fatta quella corsa sotto la pioggia per una cazzo di ricerca sui Carolingii, guarda, la mia voglia di uccidere il prof sale di momento in momento.» sbuffò Zoe, aprendo a caso il libro di storia per cercare le pagine a loro assegnate: ogni gruppo, o meglio coppia, aveva il proprio argomento, e poiché le coppie erano in ordine alfabetico, Antonucci e Blanchard avevano l’alleanza assicurata.
Marco prese un’enciclopedia «Scusa se te lo chiedo, ma perché non ti sei portata dietro l’ombrello?»
Zoe lo fulminò «Perché il mio ombrello ce l’hai ancora tu.» «Oh.»
Finiti i convenevoli, i due iniziarono la ricerca.
Zoe era piuttosto brava a scuola, soprattutto grazie alla sua memoria fotografica che i professori e buona parte dei compagni non conoscevano, in più il professore di storia l’aveva bollata come migliore amica di Adele, la sua prediletta (Adele era un’espertissima lecchina, non c’era un professore che non l’adorasse per questo), tendendo per questo ad essere più gentile anche con lei.
Marco invece non era uno studente particolarmente brillante, aveva in tutte le materie la sufficienza o poco più. L’aiuto di Zoe durante verifiche e interrogazioni era prezioso e utile, quindi speravano avrebbe funzionato anche con le ricerche-
Ma almeno un po’ di impegno anche lui avrebbe dovuto mettercelo, e invece...
«Zoe... posso farti una domanda?» chiese, dopo circa venti minuti passati a sfogliare l’enciclopedia. Zoe annuì distrattamente.
«In ordine alfabetico, viene prima CAL di CAR, vero?»
«Mi preoccupi, l’alfabeto lo insegnano alle elementari... perché?»
Silenzio, troppo silenzio. Zoe fu colta da un dubbio «Marc... che volume di enciclopedia è quello?»
«Ehm... da CAB a CAL.»
Zoe sbatté i pugni sul tavolo «Sei. Un. Imbecille. Vai a prendere il libro giusto!» esclamò, ma in quel momento suonarono alla porta. Zoe sbuffando si alzò e andò di là a cercare il libro giusto, Marco invece andò ad aprire la porta.
Si trovò davanti il suo vicino di casa, nonché suo migliore amico d’infanzia, un ragazzo di un anno in più di lui di nome Lorenzo «Ehi, Lo! Come va?»
Lorenzo sorrise «Marc! Allora ci sei! Hai da fare, o ci sta una partita alla Play?»
«No, mi dispiace ma devo... studiare.»
«Marc, si può sapere come cazzo è girata casa tua?!» esclamò Zoe spuntando alle spalle del ragazzo. Quando però lo vide parlare con il ragazzo biondo si zittì imbarazzata e fece dietrofront.
«Ah, tu intendi questo con studiare? Bel lavoro, piccoletto!»
Marco arrossì «Ma no, non hai capito un cazzo! Dobbiamo fare una ricerca di storia...»
«Marco, sono biondo, non stupido. Quella felpa che ha addosso, te l’ho regalata proprio io. E non mi sembra il tipo da maglie della Juve. Per curiosità, cos’avete fatto ai suoi vestiti?» chiese malizioso.
Marco sospirò «È venuta qui a piedi, senza ombrello, sotto al diluvio per fare una stramaledetta ricerca di storia. I suoi vestiti sono di là ad asciugarsi, ecco perché le ho dato i miei.»
Lorenzo stava per ribattere quando Zoe si ripresentò alle spalle di Marco, più calma, leggermente arrossita e coi capelli raccolti.
«Ciao... Scusa Marc, dove sono le enciclopedie?»
«Sono nello studio di mio padre, vicino alla mia camera. Ah, allora, Zoe lui è Lorenzo. Lorenzo, lei è Zoe.»
«Piacere... Beh ciao.» lo salutò la ragazza.
«Piacere mio... Complimenti, Marc. Quando pensate di passare dal greco ad altre lingue?» aggiunse Lorenzo con un ghigno, quando fu sicuro che la ragazza fosse abbastanza lontana.
«A parte che stiamo facendo storia e non greco, e poi mai, è la mia migliore amica, nient’altro.»
Lorenzo parve rifletterci qualche secondo «Sei sicuro? Allora mi dai il suo numero?» «Lorenzo!»
«Cosa c’è?! dai, mi conosci, non sono né un maniaco, né uno stupratore, né uno stalker! Non è che perché tu sei cieco e non vedi che è attraente solo perché è la tua migliore amica allora nessuno lo nota!»
Marco si morse la lingua per non dare una rispostaccia all’amico e disse «Non è per quello, è che tu non la conosci. Zoe è... strana. Non so se sei il suo tipo, ma se ci tieni glielo chiedo, ok? Ora però lasciamo tornare da lei, altrimenti il tuo informatore sarà presto morto!»
Lorenzo rise e indietreggiò «D’accordo, aspetto notizie allora!»
Marco richiuse la porta e Lorenzo chiamò l’ascensore per tornare al suo appartamento. Mentre aspettava che arrivasse, pensò che sarebbe stato meglio per Marco se si fosse sbrigato a chiedere un parere alla sua strana amica.
Era davvero bella, un tipo interessante, e all’occhio attento del ragazzo biondo non era cero sfuggito che la felpa di Marco, dal taglio maschile, per quanto le fosse lunga le era stretta sul petto e lasciava poco spazio all’immaginazione.
La cosa strana, infatti, era che Marco non l’avesse notato...
 
Marco tornò in salotto e ci trovò Zoe, con il volume enciclopedico giusto, i capelli di nuovo sciolti e per ognuno un diavolo.
«Razza di cretino!» lo apostrofò brandendo il pesante volume, con una tale veemenza che lui credette sul serio che gliel’avrebbe lanciato.
«Mi hai fatto pure fare una figura di merda davanti a uno sconosciuto!»
«Non è uno sconosciuto, è Lorenzo, abita proprio qui sopra. Era il mio migliore amico, quando eravamo piccoli.»
«In effetti mi sembra di averlo già visto da qualche parte...»
«Suppongo di sì, fa il Classico come noi ma ha un anno in più. Lorenzo Scotto, mai sentito?»
Zoe non gli rispose, aprì l’enciclopedia e iniziò a sfogliarla.
Marco si sedette lì accanto il più silenziosamente possibile, pensando che avrebbe dovuto portare cattive notizie all’amico.
Invece, dopo qualche minuto, Zoe disse «Scotto, hai detto?»
«Sì, perché?»
«Non credo di averlo come amico su facebook.»
Marco scoppiò a ridere «Ti prego, dimmi che non ti sei ripetuta mentalmente l’elenco dei tuoi amici! E comunque, anche se non ce l’hai tra gli amici, che differenza fa?»
«Nessuna. Ma potrei sempre aggiungerlo.»
Marco era esterrefatto «Zoe!»
«Che c’è?! È carino! E poi mica ho detto che voglio andarci a letto, voglio solo attaccare bottone!»
Marco sospirò e le sfilò il libro dalle mani «Lo so, Zoe, ma conosco Lorenzo e credimi, non vuole solo attaccare bottone...»
Zoe parve incupirsi, Marco fece per prenderle una mano ma lei si ritrasse.
«E quindi? Mi adatto facilmente, io. E poi sono l’unica del gruppo che non ha ancora avuto uno straccio di storia in tre anni! l’anno scorso tu con Serena, quest’anno quei due che già pensano al matrimonio!» sbottò, incrociando le braccia sul petto in un moto di stizza, e di qualcos’altro che il ragazzo non riuscì ad identificare.
Marco rimase in silenzio qualche secondo, consapevole che quella che si stava presentando ora era una parte di Zoe che né lui, né sospettava nessun altro, aveva mai visto, poi avvicinò di più la sedia a quella dell’amica e la strinse piano: aveva odore di pioggia, di capelli bagnati e del suo solito profumo, che, Marco lo sapeva bene, sarebbe rimasto a lungo sui suoi vestiti che lei indossava.
«Non fare così, dai... E non parlarmi di quella là, ti prego. Dai, ti prometto che metterò una buona parola per te, ok?»
Zoe gli fece un sorriso mesto e gli strinse piano una mano.
«Bene, ora però cominciamo questa maledetta ricerca...»
 
Zoe entrò in camera, chiuse la porta e si tolse gli stivali ancora umidi, poi appoggiò sul letto la felpa di Marco che lui le aveva lasciato; per un attimo, la bandiera sull’indumento spiccò su quella sulla coperta, poi si fusero confondendosi.
Zoe sospirò, massaggiandosi le tempie, poi aprì il portatile e vi si sedette davanti, per terra. Aspettò qualche secondo poi chiese «Allora, secondo voi cosa devo fare?»
Il silenzio che seguì quella sua domanda fu talmente opprimente da spaventarla, quasi. Poi però una voce gracchiante le rispose «Cosa dovrai mai fare?! Lui non sa quello che provi e tu non puoi passare tutta la vita ad aspettarlo! Ti devo ricordare cos’è successo l’ultima volta che l’hai fatto?»
Zoe boccheggiò, anche per la durezza di quelle parole, e cercò di concentrarsi su quello che voleva dire in risposta «Sì, ma la sapete la storia, insomma io...»
«No! Perché ti ostini in questo modo? Sei così irritante, cazzo, che...»
«Basta!» gridarono Zoe e una terza voce in simultanea, poi quest’ultima continuò «Non sapete che razza di stress sia avere a che fare con voi, tutte le volte fate così! Devi fare così: aspetta che sia lui ad aggiungerti e a contattarti, poi se tutto va bene, bene, sennò continua con la tua storia, ok?»
Di nuovo nella stanza regnò il silenzio per diversi secondi, poi di nuovo la terza voce disse «Beh, dato che state lasciando a me il comando della situazione, vorrei tanto dire che...»
«NO!» gridò di nuovo Zoe, chiudendo di scatto il portatile e alzandosi, con una voce a dir poco sconvolta.
In quel mentre sentì la porta di casa sbattere e sua madre urlare «Zoe, sono a casa!» e fu presa dal panico.
Corse in bagno e prese a frugare negli armadietti alla ricerca della sua ancora di salvezza.
Federica, sentendo che la figlia non rispondeva, suppose che stesse saltellando qua e là per la sua camera ascoltando la musica a volume elevatissimo come faceva di solito, così sbuffando salì le scale.
In camera di Zoe però lei non c’era; c’era il computer malamente sbattuto per terra, una felpa che, per quanto fosse con la bandiera inglese, non era sua, ma la ragazza non c’era.
«Zoe? Dove sei?»
«Bagno!» rispose lei.
Federica fece per raggiungerla ma si scontrarono sulla porta «Ehi! Beh, cos’è quella faccia?» le chiese la madre.
«Niente, solo un po’ di mal di testa. Dovevo prendere una decisione importante e ci ho riflettuto troppo.»
«Ah, va bene. Senti, per cena c’è solo la pizza, mi dispiace. Di chi è la felpa sul tuo letto?»
«Marc. Ho sbagliato fermata e ho fatto metà della strada sotto il diluvio. Ma almeno poi mi ha ridato l’ombrello. Per la cena non preoccuparti, non ho fame. Voglio solo... voglio solo andare a dormire.»
Federica, come ogni madre che si rispetti, sentendo il tono di sua figlia le posò una mano sulla fronte con aria preoccupata «Sei sicura di star bene? Hai una faccia...»
Zoe scansò la mano della madre e si sforzò di sorridere «Te lo giuro, Fed, sto bene, provaci tu a passare un pomeriggio a cercar di far fare qualcosa a quel disgraziato di Marc!»
Federica sospirò «Va bene, vai a letto, ma ti porto due biscotti che sennò ti svegli stanotte per la fame!»
 
Quella fu la primavera più piovosa degli ultimi cinquant’anni.
Certamente ne avrebbero beneficiato gli agricoltori e i fiumi, ma non l’umore di Zoe, né la carriera calcistica dilettante di Marco, né i capelli di Léon in quel momento.
I riccioli biondo cenere, infatti, gli si erano attaccati alla fronte e alle guance, mentre lui tentava di proteggere con l’ombrello almeno Giulia, da quella pioggia torrenziale.
«Léon, ti prego, vieni qui con me!» lo supplicò la fidanzata, per circa la milionesima volta da quando erano partiti dalla stazione. E per la milionesima volta Léon sospirò e le rispose «Amore, rinunciaci. E poi guarda, siamo arrivati!»
Léon abitava quasi in periferia, in un condominio dai muri gialli e dagli appartamenti minuscoli. Non che a lui, sua madre e il cane servisse molto spazio. Il padre non viveva con loro, ma in una città al confine con la Francia assieme alla sua nuova compagna.
Non erano mai stati una famiglia molto unita.
Anzi, non erano mai stati una famiglia.
E Léon, a causa degli orari lavorativi della madre, era sempre stato un bambino molto solo.
La madre non era in casa neanche quel pomeriggio, ma la cosa non gli dava affatto fastidio, anzi, gli permetteva di stare più e meglio con Giulia.
«Guardati, sei fradicio!» lo sgridò la ragazza, precedendolo nell’appartamento.
Il ragazzo sorrise «Almeno tu sei asciutta, missione compiuta! » disse, appendendo l’ormai fradicio giubbotto di jeans all’attaccapanni. La ragazza continuò a guardarlo malissimo «Fila in bagno. Immediatamente.»
«Cosa vuoi fare, una doccia per essere più bagnata di me?» chiese lui, accorgendosi troppo tardi dei velati doppi sensi nella frase.
Lei cercò di passarci sopra «No, voglio asciugarti quei maledettissimi capelli, e magari ne approfitterei per strozzarti con il telefono della doccia!»
«Non lo faresti mai...» la sfidò lui, incamminandosi verso il bagno.
Giulia lo fece sedere sul water, prese un asciugamano dallo scaffale e glielo mise sulla testa, poi cominciò a strofinare energicamente.
«Ahia! Così prendono fuoco!» si lamentò il biondo.
Giulia rise «Così almeno siamo sicuri che si asciugano! Ahahah, dai, scusa, adesso faccio più piano.»
Cominciò a massaggiare più lentamente, e da sotto l’asciugamano giallo non veniva più alcun rumore.
«Amore, ti sei addormentato?» chiese Giulia d’un tratto. Nessuna risposta.
La ragazza, un po’ preoccupata, smise di strofinare l’asciugamano sui capelli del ragazzo e si chinò verso di lui che, con uno scatto felino degno del suo nome, le prese i polsi e la baciò.
«Sei un idiota! Mi hai fatta spaventare!» esclamò lei divincolandosi.
Lui rise dei suoi miseri tentativi di liberarsi e se la fece sedere sulle ginocchia «Cosa poteva essermi successo, scusa? L’asciugamano in realtà era un alieno succhia cervelli?»
«Comincio davvero a crederlo, dopo questa tua uscita geniale. Mollami il polso, voglio abbracciarti.»
Léon obbedì e la ragazza lo strinse forte con le sue braccia sottili.
«A cosa devo tutto questo affetto?»
«Boh... Sei qui, sono qui, siamo qui. Ti amo. Non lo so, mi sento strana. Voglio stare con te...»
«Piccola, io sono con te, e ci starò fin quando lo vorrai. Come vorrai e dove vorrai. Ma non ho certo intenzione di passare il pomeriggio nel bagno, neanche tu riesci a farlo diventare un posto romantico. Andiamo in camera?» le chiese, baciandole delicatamente la tempia.
Giulia gli passò tutte e due le braccia attorno al collo annuendo, e Léon si alzò e la portò in braccio fino alla sua camera.
 
Aveva smesso di piovere, finalmente.
Giulia se n’era andata ormai da mezz’ora quando Léon uscì nuovamente di casa, respirando a pieni polmoni l’aria fresca e ancora profumata di pioggia. Raccattò la vecchia bici mezzo distrutta dal garage e partì a razzo verso il solito bar.
Marco e Zoe erano seduti lì fuori, li vide dal fondo della strada, e accelerò per fermarsi con una brusca inchiodata proprio davanti a loro, che non lo degnarono della benché minima attenzione.
Zoe era intenta a messaggiare con qualcuno, che a giudicare dall’espressione dubbiosa che Marco cercava di nascondere dietro la Gazzetta doveva essere Lorenzo Scotto, il suo amico con cui lei da poco si sentiva. Ma al momento, tutto ciò non aveva alcuna importanza.
Si avvicinò e sbatté le mani sul tavolo, facendoli sobbalzare entrambi.
«Ma sei deficiente?! Prima ci raduni qui poi ci fai morire di paura?! Ma vaffanculo!» esclamò Zoe, salvando all’ultimo momento il telefono da una rovinosa caduta. Marco si limitò ad un’occhiataccia da sopra il giornale.
Léon sfoderò il suo miglior sorriso smagliante «Mi dovete due euro a testa!» esclamò.
«In realtà l’ultima volta ho offerto io...» lo corresse Zoe.
Marco invece abbassò la Gazzetta e guardò l’amico con un’espressione esterrefatta «No...» mormorò.
«Ti dico di sì, avevo preso otto e perso una commessa... No...»
Finalmente anche Zoe aveva capito e stava guardando incredula l’amico. Che in tutta risposta sorrise e annuì.
Marco scattò in piedi «Le prove! Vogliamo le prove o non ci crediamo!» gridò, facendo girare tutte le poche persone nella strada.
«Ma che razza di prove vorresti, imbecille?! Dagli fiducia!» lo rimbeccò Zoe.
«Va bene, niente prove. Dettagli! Dettagli! Siediti, dai!»
Léon si sedette e Zoe lo guardò scandalizzata «Vuoi davvero sederti qui e raccontare così la tua prima volta?! Uomini, siete tremendi...» sbuffò.
«Se ti da tanto fastidio, paladina dei diritti delle donne, vattene.» le suggerì Marco.
Zoe si alzò in piedi e si lisciò la gonna «Credo proprio che lo farò, devo anche chiedere a Lorenzo se la mia versione va bene. Tu, tieni questi e ti prego, abbi un po’ di decenza.» concluse, porgendo a Léon una moneta da due euro.
«Io non ti do due euro, da qualcosa di più utile!»
Detto questo, Marco si alzò e si diresse verso il distributore di preservativi lì fuori. Ne scelse uno a caso, infilò due euro e tornò verso l’amico con il pacchettino arancione in mano.
«Tieni, così ne hai uno per la prossima volta!»
Léon rise e prese fuori il portafoglio per mettercelo dentro «Grazie Marc, anche se ne ho un altro pacchetto a casa. E comunque oggi non l’ho usato, quindi...»
«Ahahah, uomo previdente! Aspetta, cosa...?»
A Léon parve di aver detto qualcosa di sbagliato. Quando rialzò la testa e trovò i suoi due migliori amici che lo guardavano sgomenti, fu certo di averlo fatto.
«Cosa c’è?»
«Hai detto che non hai usato il preservativo?» chiese Zoe.
«Io? Sì, l’ho detto. No, non l’ho usato...»
Marco seppellì il volto tra le mani. Zoe cercò di non scoppiare a ridere.
«Perché fate quelle facce?»
«Oddio, questo è impazzito.»
«Impazzito?! Ma che cazzo c’è?!»
«Oh ti prego Zoe diglielo tu, giuro che non copierò mai più da te...»
«Léon, hai appena detto che non hai usato il preservativo, rischi di aver messo incinta la tua ragazza!» sbottò lei.
Léon ci mise qualche secondo a realizzare la cosa, poi sbiancò.
«Oh cazzo.»




Siete stati cattivi e non avete lasciato neanche una piccola recensione per l'ultimo capitolo, e allora io vi ho fatti aspettare tanto per mettere questo! Così imparate u.u
Scherzi a parte, so che odierete Lorenzo ma lasciatevelo dire, servirà a qualcosa. A niente di ovvio, però!
E fate un caloroso applauso a (quel coglione di) Léon, che ha vinto la scommessa e forse vincerà un bambino in omaggio! Yeah!

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Capitolo 10
*** 10. La regola dell'amico ***


La nostra vita con Zoe

10. La regola dell'amico


Alessandra Zufolio era sempre stata l’ultima.
Ultima di tre sorelle, ultima dell’elenco alfabetico, ultima a consegnare le verifiche, ultima ad entrare in classe il primo giorno di quinta ginnasio, cosa che l’aveva costretta a sedersi accanto all’ultima persona a cui avrebbe voluto farlo.
Era stata la prima solo in due cose: nelle gare di velocità, e nell’essere presa a pugni in faccia dalle conseguenze dell’essere ormai quasi adulta.
Perché con qualcuno, nessuno sapeva bene chi, Alessandra era andata a letto, e chiunque fosse stato non doveva essere andata a buon fine la cosa, perché nell’arco di poche settimane la ragazza era cambiata radicalmente.
E di sicuro non in meglio.
Era passata dall’essere una brava ragazza (certo, ogni tanto quando usciva la sera beveva un po’ troppo, ma aveva quindici anni, chi non lo faceva a quell’età?) all’essere conosciuta da tutti come una puttana. Se lo fosse davvero o no, non si sapeva.
Sembrava anzi che non gliene fregasse nulla, dava ragione a queste accuse comportandosi come tale, atteggiandosi e truccandosi esageratamente. Aveva litigato con tutte le ragazze della classe che erano state sue amiche e si era resa ancor più insopportabile a quelle che già da prima non la sopportavano.
Ma c’era una persona che Alessandra odiava più di ogni altro, a parte ovviamente chi l’aveva portata alla rovina; e quella persona era Zoe Blanchard.
Non perché fosse sempre la prima, per il semplice fatto che non lo era mai se non nei concorsi di scrittura. Neanche perché le aveva dato contro quando era cominciata la sua rovina, anzi, ci era semplicemente passata sopra con la sua tipica nonchalance francese ed era una delle poche che continuava a trattarla come prima.
Semplicemente Alessandra non riusciva a sopportare che Zoe Blanchard avesse ciò che lei desiderava ardentemente e non sapesse accettarlo.
Comunque non aveva mai esternato con chiarezza il suo odio verso la compagna, limitandosi ad avere con lei solo i rapporti strettamente necessari.
Quando quella mattina, dopo essere entrata in classe e aver appoggiato lo zaino sul banco, girandosi se la trovò davanti, con la sua irritante aria innocente, la sua irritante camicia e una delle innumerevoli e irritanti gonne a quadri, ne rimase in uguale modo irritata e sorpresa.
«Blanchard...» la salutò dubbiosa, con tono distaccato.
«Buongiorno, Alessandra. Posso farti una domanda, diciamo... un po’ privata?»
Alessandra fece una smorfia «Se vuoi chiedermi con quanti ragazzi mi sono imbucata sabato sera, Blanchard, arrivi tardi, me l’hanno già chiesto.»
Zoe sorrise, inaspettatamente «Trovo che questi siano fatti tuoi, non mi interessano. Ma volevo un consiglio da qualcuno più esperto di me, quindi...»
Alessandra si fece improvvisamente più attenta: Zoe Blanchard, altrimenti detta Mademoiselle Perfezione, aveva deciso di cedere e donarsi ai piaceri del sesso?
«Esperto in cosa?» chiese, godendo vedendola arrossire leggermente, ma rimanendoci male quando le rispose semplicemente «Profilassi.»
«Caspita, Blanchard, allora sei umana anche tu!» la canzonò.
«Veramente non... Vabbè, limitati a rispondere a questa domanda: si può rimanere incinta anche dopo la prima volta se non si usa il preservativo?»
Alessandra era stupefatta. Zoe Blanchard rischiava una gravidanza dopo la sua prima volta?! E chi diavolo era l’idiota che...
Lo sguardo di Alessandra corse velocemente alle spalle di Zoe, notando i suoi due amici che la guardavano piuttosto preoccupati e interessati. No, non poteva essere vero...
Notando dove puntava lo sguardo di Alessandra, Zoe avvampò «No! Non è come credi, non è per me! Io... io sono vergine, è Léon che è un idiota che rischia con Giulia, e hanno mandato me da te in quanto donna!» si affrettò a chiarire, arrotando un poco la r perché era nervosa.
Alessandra sospirò di sollievo «Grazie al cielo! Cominciavo a preoccuparmi. Comunque basta sapere a che punto del ciclo era, se era un giorno fertile o no. Su internet si può trovare facilmente.»
Zoe sorrise, riprendendo un colorito pressoché normale «Grazie mille, Alessandra. Quando avrò bisogno, anche se spero di non averne mai, chiederò consiglio a te.» le disse, e fece per andarsene.
Alessandra la richiamò «Blanchard, aspetta. Ho già un consiglio per te, anche se non lo vuoi. Non farlo aspettare troppo, non rimarrà per sempre. Anche l’amore più immortale si può esaurire, consumare, contro altri o contro la tua ostinazione.»
Zoe le rivolse un sorriso triste «Certe volte sarebbe meglio che succedesse...»

Dopo dodici giorni, innumerevoli crisi di nervi da parte di Léon, parecchie prese in giro da parte degli amici, lunghe telefonate tra Zoe e Giulia, un delirante pomeriggio a proporre nomi per il “leoncino” nascituro, la proposta di Marco di prendere al piccolo un costume da castoro, il conseguente pugno di Léon e un conclusivo esaurimento nervoso collettivo quando il primo giorno era saltato, il test di gravidanza acquistato da Giulia in incognito in una lugubre farmacia di periferia diede il risultato tanto atteso: non incinta.
Il risultato fu festeggiato da un urlo di gioia collettiva e da un aperitivo al solito bar: era ormai aprile inoltrato, aveva finalmente smesso di piovere, le giornate si erano allunate e i vestiti alleggeriti di quel tanto che bastava per poter prendere l’aperitivo fuori senza morire di freddo.
«Scommettiamo su chi sarà il secondo?» propose Marco sorseggiando la Coca Cola.
«Ah sì, perché abbiamo l’imbarazzo della scelta...»
«Beh, rimaniamo comunque in due! Io scommetto su di me, tu su di te e Léon sceglie!»
«Io non scommetto su di me...» mormorò Zoe.
I due ragazzi la guardarono stupiti «Hai molta fiducia nelle mie capacità...»
«E piantala! Ne abbiamo già parlato. E poi non ho in programma di trovare in tempi brevi qualcuno con cui andare a letto, quindi perderei. Quindi, scommetterei di nuovo su di te se solo non dovessi andare... a casa, sì. Fed torna prima stasera.»
«Fed? Non puoi chiamarla mamma come fanno tutte le persone normali?» la rimbeccò Marco mentre lei si alzava.
Anche Léon si alzò «Vado anch’io, devo finire latino. Ti accompagno fino in piazza?» chiese a Zoe con tutta la noncuranza possibile.
Zoe si morse piano un labbro: la piazza era l’ultimo punto che avevano in comune la strada per arrivare a casa sua e a quella di Léon per tornare dalla scuola. Non era vicina al solito bar, quindi quando Léon le dava appuntamento lì era per parlare di qualcosa da soli, senza Marco. E Zoe aveva paura di sapere di cosa volesse parlarle.
Tuttavia, non poteva rifiutarsi senza un motivo valido, così annuì.
Salutarono Marco e si avviarono; dopo un centinaio di metri in silenzio, Léon disse «Zoe, chi è il tuo migliore amico?»
«Siete tu e Marco.»
«Bene. E tra migliori amici cosa si fa?»
«Un’orgia?»
«Marco ti sta traviando. Dai, ritenta. Tra amici, ci si dice...»
«Tutto. Tra migliori amici ci si dice tutto. Ma io non posso dirvi tutto, Léon, ci sono cose di me che è meglio non sapere.»
«Va bene, non voglio sapere cose scabrose, tipo se sei una serial killer o cose di quest genere. Ma una cosa puoi dirmela, che mi sono incuriosito? Perché scommetteresti su Marco?»
Zoe sospirò «Ve l’ho già detto, non posso scommettere su di me!»
«D’accordo. Allora perché avevi scommesso su di lui anche l’anno scorso?»
«E su chi avrei dovuto scommettere, su di te?! scusa la sincerità, ma da quando hai cercato di baciarmi per me hai il sex appeal di un orsetto di peluche!»
Léon guardò male l’amica «Simpatica. Invece avresti dovuto cambiare la tua puntata quando mi sono messo con Giulia; fidanzato avevo la vittoria in pugno!»
«Vorrei ricordarti che Marco, ai tempi della scommessa, era fidanzato.»
«Vuoi dirmi che hai scommesso su di lui perché stava con quella?!»
«Assolutamente no! Gliel’ho detto e ripetuto centinaia di volte, lui con quella non avrebbe concluso niente.»
«E allora perché?! Scusami Zoe, ma non riesco proprio a capirlo, ed è un anno che mi scervello!»
Zoe trasse un altro, profondo sospiro «Léon, sei davvero sicuro di volerlo sapere?»
Léon sorrise, con il suo sorriso buono sulle labbra.
A Zoe veniva quasi da piangere per non potergli dire tutto, ma si consolò pensando che almeno quel dubbio poteva chiarirlo, e qual segreto condividerlo con qualcun altro oltre Adele.
«Ho scommesso su di lui perché non potevo scommettere su due persone contemporaneamente.»
«Tutta questa segretezza per una monetina lanciata mentalmente per scegliere tra me e Marco?»
«Ma allora non mi ascolti! Ti ho detto e ripetuto milioni di volte che non avrei mai scommesso su di te!»
Léon non capiva. Non riusciva proprio ad afferrare il concetto.
«Ma allora su chi altro volevi scommettere?»
«Léon, siamo in tre, se togliamo te chi rimane?»
«Beh, rimani tu. Ma allora perché volevi scommettere su voi due contemporaneamente? Per perdere la verginità nello stesso momento avreste dovuto...»
Finalmente, i pochi neuroni di Léon riuscirono a fare quel collegamento. Ne rimase interdetto, sia per la rivelazione sia perché non era riuscito ad arrivarci da solo. L’espressione imbarazzata e sarcastica di Zoe fu l’ultima conferma.
«Zoe... Ma quindi a te...»
«No! Non è come pensi. Marco non mi piace, non nel senso che sono innamorata di lui.»
«Tutto ciò va ben oltre le mie capacità di comprensione.»
Zoe sbuffò esasperata «Cazzo, Léon! Cosa ti ci vuole?! È semplicemente una cosa fisica. Un’attrazione, ma esclusivamente fisica.»
«E perché a lui non l’hai mai detto?»
«Perché siamo amici! E non potremmo mai essere scopamici, rovineremmo tutto! Sei felice, adesso? Ora che sai uno dei più grandi segreti di Zoe Blanchard? Ti senti importante? Vaffanculo, Léon!» esclamò, infilandosi al volo in una stradina laterale. Si fermò circa a metà per assicurarsi che Léon non l’avesse seguita: ovviamente non l’aveva fatto, secondo lui quando la gente aveva esaurimenti nervosi di quel genere doveva essere lasciata in pace. E a lei andava benissimo così.
Perché non gli aveva detto la verità. Quella la sapevano solo Adele, oltre a lei, Victoria e Virginie. Ovviamente, come potevano loro non saperlo? Era frustrante, pensò asciugandosi distrattamente una lacrima (quando aveva iniziato a piangere? Dopo aver abbandonato Léon, sperava), ma era meglio così.
Presto si sarebbe avverata la profezia di Alessandra, quella a cui nessuna delle persone sopracitate credeva, e anche quell’ostacolo sarebbe stato eliminato.
A quel pensiero le venne da piangere ancora di più, così si affrettò verso casa. Quando però arrivò, vide che c’era qualcuno davanti al cancello. Le venne il panico pensando che fosse Léon o Marco, ma era troppo biondo per essere Marco, e troppo magro per essere Léon.
«Lorenzo?» azzardò.
Il ragazzo si girò e le sorrise «Ciao Zoe! Passavo di qua e mi sono chiesto se volevi fare un giro... Ma stai piangendo?»
«Sì, ho litigato con mia mamma e mi sono fatta un giro dell’isolato per calmarmi, ma evidentemente non ha funzionato.»
Lorenzo fece una smorfia comprensiva «Mi dispiace... Conosco un posto qui vicino molto rilassante, vieni?» le chiese, porgendole la mano. Zoe lo fissò incerta per qualche secondo.
«Il Giardino delle Erbe Dimenticate?» chiese poi.
«Esattamente. Allora, ci stai?»
Zoe non ci pensò più e gli prese la mano, convinta.
Non era giustissimo, ma dare una mano al tempo era meglio.


Mi sto fustigando per averci messo così tanto tempo a scrivere questo capitolo ç__ç Chiedo umilmente perdono, vi prego!
Ma potreste essere genitli con me, perché vi ho messo un po' di Zoe/Marco, anche se non è tutto rose e fiori ;)
E ho messo anche tre nuovi personaggi che trovate anche nella mia one-shot "Le loro vite con Zoe" (qui il link
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1208640&i=1), e qualche citazione.
Il discorso di Alessandra a Zoe sull'amore immortale che si consuma viene dal grande Via col Vento, e la profezia di Alessandra a cui nessuno crede è ricalcata da quella di Cassandra, la profeta maledetta di Troia.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 11
*** 11. Gomme che si bucano e grandi preparativi ***


La nostra vita con Zoe

11. Gomme che si bucano e grandi preparativi

 

«Avete presente il Genio della lampada di Aladino? Quel poveretto rimane tre millenni lì rinchiuso, e all’inizio pensa “Il primo che mi libererà lo renderò felicissimo!” e poi...»
«Ehi! Zoe!» «Attimo...»
«Rimane lì un altro millennio e comincia a dire “Perché nessuno mi vuole? Adesso appena arriva qualcuno prima lo faccio penare un po’, poi però lo faccio felice!” Ma...»
«Zoe!!» «’Spetta un attimo...!»
«Alla fine, dopo un altro millennio, è sempre più arrabbiato e decide che chiunque li libererà meriterà di soffrire quando lui! Sapete cosa vuol dire questo? Se non si considerano le persone che vi amano, presto cominceranno ad...»
«ZOE!» «Sta’ zitto, cazzo!»
L’ultima parola fu fortunatamente coperta dal suono della campanella, altrimenti Zoe avrebbe fatto una terribile figuraccia con il nuovo prof di filosofia.
«Bene ragazzi, leggete un po’ i primi tre paragrafi e riflettete su quello che vi ho detto! Arrivederci!»
L’insegnante uscì prima che Zoe potesse chiedergli di ripetere l’ultima cosa che aveva detto, cosa che la irritò ulteriormente.
«Ora puoi ascoltarmi?» chiese una vocina flebile alle sue spalle.
Si girò, furiosa «Ma tu dovevi proprio ricominciare a parlarmi ora?!»
Marco le fece il suo solito sorriso innocente «Per essere precisi, ho ricominciato a parlarti a fine maggio, quasi non ho mai smesso...»
Zoe fu spinta dal desiderio di picchiarlo, ma si trattenne «Psicotico geloso. Vuoi dirmi qualcosa o volevi solo disturbarmi?» «Léon chiede se riesci a portare qualcosa alla Festa oppure no. Da bere, s’intende.»
Léon e Giulia stavano organizzando quella che sarebbe diventata, usando le parole di Léon, “la miglior festa casinista di sempre”, ribattezzata da Giulia come Festa d’Autunno per dare meno nell’occhio.
La famiglia di Giulia aveva una grande casa in campagna e l’avrebbero affidata alla figlia per un weekend, facendosi promettere che non sarebbe stata una cosa esagerata.
Come se 40 o 50 ragazzi, soli in una casa, con la possibilità di bere, ballare e fare tutto quello che volevano potessero non esagerare.
«E non poteva chiedermelo lui?!»
«No, lui sta diligentemente prendendo appunti.»
«Lo stavo facendo anch’io. Ora dimmi qual è stata l’ultima cosa che ha detto il prof, o ti picchio. Comunque sì, Léon, porto due bottiglie di vodka, mia madre non se ne accorgerà mai.»
Léon alzò il pollice in assenso, poi si alzò e lasciò Marco al suo destino.
«Non ho capito cos’ha detto, stavo parlando con te!» si difese quest’ultimo.
Prima che l’amica avesse un esaurimento nervoso, Adele si affrettò a dire «Ha detto che bisogna dare amore alle persone che ci amano o cominceranno ad odiarci. Léon, ti accompagno da Giulia?»
Usciti dalla classe, Léon sbuffò «Santo cielo, non ce la faccio più! Non so chi sia peggio! È da maggio che fanno così, litigano per ogni stupidaggine, come se dovessero dimostrarsi qualcosa!»
Adele fece un sorrisetto «Andiamo, Léon! Sappiamo entrambi perché avevano litigato a Maggio, è chiaro come il sole quello che stanno facendo: cercano di dimostrarsi che non hanno bisogno della loro amicizia.»
«Quando fai così mi fai venir voglia di essere una donna, voi capite sempre tutto... Secondo te la smetteranno?»
«Ma sì, dagli un po’ di tempo e sfogo alla Festa e la smetteranno.» lo confortò Adele, fermandosi alla macchinetta e lasciando l’amico libero di andare dalla sua ragazza.
 
Era l’inizio di maggio. I giorni si allungavano, il riscaldamento globale faceva sì che il caldo fosse già insopportabile.
Sfruttando queste cose, ogni sera Marco andava a correre nel parco vicino a casa, prima di cena. Quel giorno in particolare c’era andato prima, perché Zoe gli aveva dato buca per un pomeriggio di studio e idiozie (soprattutto idiozie, come finivano sempre i loro pomeriggi).
Entrò nell’ingresso del condominio proprio quando l’ascensore fu prenotato da qualcuno al quarto piano, quello proprio sopra al suo. Ma di fare le scale a piedi non ne aveva voglia, quindi aspettò.
Rimase molto stupito, quando dall’ascensore vide uscire, inconfondibile nella sua gonna di cotone a scacchi e la sua borsa con la bandiera, Zoe.
«Ehi, ciao! Cercavi me?» le chiese allegro.
«Marco! Ciao! Io, ecco...»
«Aspetta, ma non avevi un impegno?»
«Sì, ma... ho finito prima! E ti sono venuta a cercare!»
Per circa tre secondi, Marco le credette.
Ma poi si rese conto che c’era qualcosa che non quadrava.
«Aspetta, io abito al terzo piano, cosa ci facevi al quarto?»
«Ehm... ho sbagliato pulsante?»
«Zoe... Aspetta, eri da Lorenzo?»
«Scotto?» «Sì.»
«Sì.»
Marco assunse un’espressione così sconvolta, e delusa, che Zoe si pentì immediatamente di essere stata sincera.
«Lorenzo? Quello che era il mio migliore amico? E che cazzo hai fatto con lui oggi pomeriggio?!»
«Niente! Abbiamo solo fatto i compiti! Ha l’eccellenza in latino, ho pensato fosse una buona idea farmi dare una mano!»
Marco rise senz’allegria «Certo, una mano! E allora perché non me l’hai detto?»
«Ma io te l’ho detto! Ti ho detto o no che avevo un impegno?!» si difese Zoe, che aveva paura di scoprire il perché di quell’improbabile scenata.
«E non hai pensato che potevi specificare cosa dovevi fare?»
«Non capisco se sei incazzato perché volevi venire anche tu, perché non te l’ho detto o perché sei geloso, e...»
«Non sono geloso! Mi da solo fastidio che tu abbia deciso, così di punto in bianco, di andare a letto con quello che era il mio migliore amico e vive proprio sopra di me!»
Marco sapeva perfettamente che gli sarebbe arrivato uno schiaffo, a quel punto.
Quelle che non conosceva, erano le conseguenze che avrebbe avuto su di lui.
La prima fu, ovviamente, il male; Zoe non era assolutamente una ragazza forzuta, ma in quello schiaffo aveva messo tanta rabbia, frustrazione e delusione da farlo bruciare, e anche molto.
La seconda, conseguenza anche della prima, fu l’improvviso ritorno alla lucidità mentale. E si rese conto di aver appena accusato la sua migliore amica e, peggio ancora, che le aveva appena dimostrato di non avere fiducia in lei.
Poi ci fu anche la consapevolezza di essere uno schifo di migliore amico, ma quella gli venne dall’espressione delusa di Zoe.
«Cazzo Zoe, io non volevo, io...»
«Non volevi cosa? Lascia stare, non voglio davvero saperlo. Comunque la prossima volta che vado a studiare da qualcuno devo avvertirti sempre, o solo se è un tuo amico? E se è un tuo amico, devo avvertirti sempre o solo se ci sono precedentemente andata?»
«Che cosa?! Quindi ci siete andati?!»
Fu il turno di Zoe di rendersi conto di aver esagerato.
«Ehm... Non avevamo deciso di lasciar stare?»
«Per un cazzo, scusa il francesismo! Hai una storia con Lorenzo?»
«Ma no! Ci ha provato con me ma... no, non abbiamo una storia! E poi, che cazzo te ne frega?!»
«Me ne frega! Sono il tuo migliore amico!»
Zoe sentì qualcosa montarle dentro. Era stanca, avrebbe avuto bisogno di rilassarsi e invece stava litigando proprio con Marco.
Conosceva quel qualcosa, ed era meglio che non scoppiasse.
Non lì, non in quel momento, non con Marco.
«Non giocarti la carta del migliore amico deluso perché non ci crede nessuno, eh! Non so perché tu stia facendo così, ma accetta il mio consiglio: vai a farti fottere.»
Girò i tacchi ed uscì prima che il ragazzo potesse aggiungere qualunque cosa.
Era tornata a casa in autobus, come un automa, e arrivata a casa era scoppiata in un pianto disperato che era stato compito di Federica calmare.
Marco invece era salito da Lorenzo e si era fatto spiegare l’intera storia: sì, una sera avevano fatto un giro assieme e si erano baciati, ma non era successo nient’altro. Studiavano spesso assieme in biblioteca, ma quel giorno lui era infortunato e non poteva muoversi, quindi lei era andata a casa sua a studiare. E dovevano anche aver studiato bene, perché il giorno dopo Zoe alzò la sua media fino all’8.5 con una fantastica interrogazione.
Marco e Zoe rimasero quasi due settimane senza parlarsi, tutti e due erano troppo orgogliosi per fare il primo passo, tutti e due si vergognavano troppo per come si erano comportati e avevano paura che le loro scuse non venissero accettate. Fortunatamente un giorno Léon diede appuntamento ad entrambi al solito bar e non si presentò. Dopo due ore di discussioni e scuse, i due tornarono amici come prima.
O quasi.
 
Léon tornò accompagnato dal suono della campanella.
Rientrarono in classe, dove gli altri due avevano finalmente smesso di litigare; si erano seduti vicini, Zoe parlava con enfasi di chissà cosa, Marco la ascoltava giocherellando distrattamente con l’orlo della sua gonna.
“Dio, ma davvero non se ne rendono conto?! Non è possibile...” pensò Adele, mantenendo però il sorriso.
«Zoe, guarda che Marco non ti sta ascoltando. Con cosa gli stai martoriando i timpani? Filosofia?»
Tra le materie nuove del triennio, la preferita di Zoe era diventata filosofia. La sua mente così contorta riusciva a districarsi seguendo i pensieri filosofici, diceva per ridere.
«No, gli sto parlando di Jack e di come fa impazzire Fed! In quello però mi impegno anch’io, sto cercando di convincerla a prendergli la cuccetta in pile con la bandiera inglese...» rispose lei ridendo.
«Quel povero gatto tra un po’ chiederà asilo politico ad uno di noi! Ce l’ha ancora il fiocco intorno al collo?» chiese Léon, cercando di riappropriarsi della sua sedia. Zoe si alzò lisciandosi la gonna, Adele fece finta di non vedere l’espressione sul viso di Marco e disse «Ovvio che ce l’ha l’altro giorno gliel’ha lavato perché il bianco della bandiera era diventato un po’ grigio! E passa il suo tempo a coccolarlo, o meglio a torturarlo. Gli da sicuramente amore, mica come al Genio della lampada!»
Zoe la guardò male «Io do amore! Sono buona e gentile con tutti! A meno che non abbiano fatto qualcosa che mi ha irritata.»
«Credo tu abbia capito perfettamente di cosa sto parlando. O vuoi che te lo ricordi?»
«Grazie, no. Non vorrei averti sulla coscienza.»
I due ragazzi si guardarono smarriti da quello strano dialogo «Tu hai capito?» chiese Marco.
«Troppo complicate.» «Donne...»

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Stavolta il ritardo nell'aggiornamento ve lo merita. Spiegatemi, 36 visite all'ultimo capitolo e neanche una recensione? Questa è cattiveria!
Comunque, eccovelo qua. Un piccolo appunto sui prossimi aggiornamenti: il prossimo capitolo probabilmente arriverà già la settimana prossima, perché devo semplicemente ricopiarlo, e parlerà... della Festa d'Autunno! Preparatevi, ci saranno grandi cose ;)
I successivi capitoli arriveranno al massimo a due settimane di distanza l'uno dall'altro, perché la scuola ormai è cominciata (sigh) e non ho più così tanto tempo per scrivere!
Veniamo agli appunti su questo capitolo: il "gomme che si bucano" del titolo è preso dalla supenda "Una Donna per Amico" di Battisti, il discorso del Genio della lampada da quel genio del mio prof di filosofia (sono come Zoe, amiamo questa materia!) e Jack, da Union Jack, è il gattino che Marco e Léon regalano a Zoe per il suo compleanno. Seguirà una one-shot che ho in cantiere per raccontare anche questo!
Al prossimo capitolo! Recensite e riceverete dei biscotti in cambio <3

 

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Capitolo 12
*** 12. La Festa d'Autunno ***


La nostra vita con Zoe

La Festa d'Autunno

«Zoe! Ti sbrighi a scendere, sì o no?! Sei tu che devi andare alla festa!»
«Arrivo!»
Federica sbuffò, guardando per l’ennesima volta l’orologio: sua figlia era di sopra chiusa in camera da più di un’ora e rischiava di fare tardi a quella festa d’autunno di cui le parlava da settimane.
Finalmente fece la sua comparsa in cima alle scale «Scusa Fed, non sapevo cosa mettermi, ormai sono troppo abituata a vedermi con le gonne al ginocchio! Ti piace questo?»
Federica le sorrise e le accarezzò la testa «Stai benissimo, tesoro. Sei davvero bella, dovresti pettinarti così più spesso!»
«Sono solo boccoli! E non toccarmeli, si rovinano...»
Salirono in macchina «Quindi sei sicura che ti riporta a casa qualcuno domani, vero? Perché papà arriva alle 15, prima delle 17 tra una cosa e l’altra non saremo a casa.»
«Tranquilla Fed, o Léon, o Adele o Marco saranno così gentili da aiutarmi!»
«Perfetto... Hai preso tutto vero? Telefono, pigiama...»
Vodka, aggiunse mentalmente Zoe, limitandosi a sorridere e annuire.
Passarono a prendere Adele, anche lei con la borsa un po’ troppo pesante per un semplice pigiama. Grazie allo scarso senso dell’orientamento di Fed, alle indicazioni poco chiare di Zoe e alle risate convulse di Adele dovute a queste due cose, sbagliarono strada tre volte prima di arrivare a destinazione.
«Odio la campagna! La odio! Voi divertitevi, io cercherò di non perdermi di nuovo...» disse Fed scaricandole davanti alla casa.
«Ma mère est incapable...»sibilò Zoe affrettandosi.
«Cioè?»
«Mia madre è un incapace. Scusa, quando m’incazzo torno alla mia lingua madre.»
«È sempre fantastico comunque sentirti imprecare in francese!»
Zoe la guardò male e suonò al campanello. A giudicare dal volume della musica, la festa doveva essere in pieno svolgimento, e c’era anche il rischio che nessuno sentisse il campanello, ma per fortuna dopo qualche secondo la porta si aprì e apparve Léon, esaltato come non mai.
«Zoe! Adele! Eccovi finalmente, cominciavo a preoccuparmi!»
«Per noi o per gli alcolici? Eccoli, a proposito.» disse Adele, porgendogli le borse; il ragazzo ne tirò fuori due bottiglie di vodka e una di tequila.
«Per entrambi, ovviamente. Oh, siete fantastiche! Questi sono per voi, cicchetti di benvenuto, astenersi piattole ed astemi! Purtroppo è rimasto solo dell’Aperol, il resto l’ha preso il fratello di Giulia. Non preoccupatevi, è il nostro barman!»
Le due ragazze buttarono giù i cicchetti in un sorso, già stordite dalle troppe parole di Léon.
«Ora vi lascio, devo ritrovare la mia ragazza. Ah, Zoe, Marco ti aspetta al bar, è subito qui a destra, vicino alle scale. Ah, siete splendide!» continuò lui andandosene.
«Mon dieu, qualcuno lo plachi...» mormorò Zoe mettendosi a posto i capelli.
«Smetti di parlare in francese o Marco non ti capirà...»
 
Marco era stato il primo ad arrivare, quindi gli era spettato un cicchetto di vodka. Non aveva bevuto altro, stava aspettando Zoe per la sfida che aveva intenzione di proporle.
Stava giocherellando con la cannuccia di quel fondo di drink che qualcuno gli aveva lasciato circa mezz’ora prima quando la vide apparire in fondo al corridoio.
E rimase letteralmente senza parole.
Si era fatta i boccoli, non l’aveva mai vista pettinata così. Lunghi boccoli le incorniciavano il viso e le sfioravano il petto, e stonavano un po’ con la sua espressione leggermente accigliata.
E aveva un vestito, decisamente più corto delle sue solite gonnelline a scacchi da studentessa modello.
Era stupenda. E abbastanza sconvolgente.
«Ehi tu, chiudi la bocca che ci entrano le mosche!» lo richiamò alla realtà il fratello di Giulia da dietro il bancone.
Per darsi un contegno, o forse perché fu la prima cosa che gli venne in mente di fare, trangugiò quel che restava del drink, rischiando anche di soffocarsi. Nel frattempo la ragazza lo aveva individuato e lo raggiunse.
«Buonasera! Ti prego, dimmi che sei più sobrio di Léon, Cecilia e tutti gli altri che ho incontrato finora...»
«Sei bellissima stasera!» gli scappò.
Lei lo guardò dubbiosa «Come non detto... Mi cercavi davvero o era un sogno alcolico di Léon?»
«No, no, sono sobrio! E sì, ti cercavo. Era un complimento comunque, non dovresti reagire così quando te li fanno...»
«Scusami. Grazie mille, alla fine non ero molto convinta del vestito, ma sono felice che ti piaccia. Cosa volevi dirmi?»
Picchiandosi mentalmente per evitare di aggiungere altro, Marco le sorrise e indicò il bancone degli alcolici «Mademoiselle Perfezione, una volta ti ho sentita fare un’affermazione abbastanza azzardata: hai giurato di reggere l’alcol meglio di molti ragazzi. Beh, non per vantarmi, ma io lo reggo perfettamente e ti sfido, qui ed ora, ad una gara di shots!»
Zoe scoppiò a ridere «Tu sei pazzo! Non so se mi convenga bere tanto, ho preso delle medicine...»
«Ti tiri indietro, Zoe Blanchard?» la canzonò Marco, con un sorriso sarcastico.
«Con te che fai quella faccia? Neanche per sogno.» rispose lei, avvicinandosi.
«Perfetto! Cosa ti è toccato all’entrata?»
«Aperol.»
«Ah, a me vodka. Non voglio partire svantaggiato... ehi, amico! Uno shot di vodka!»
Dopo che ebbero pareggiato, partì la battaglia all’ultimo sangue. O meglio, all’ultimo goccio.
«Tequila!»
«Rum!»
«Vodka!»
«Alla pesca!»
«Limone!»
«Fragola!»
«Ragazzi, basta. Se poi vi sentite male danno la colpa a me. Fate una pausa, d’accordo?» s’intromise il fratello di Giulia.
Erano entrambi abbastanza ubriachi. Zoe continuava a ridere, appoggiata pesantemente al bancone; Marco invece si sentiva esageratamente euforico e vedeva tutto fastidiosamente sfuocato.
«Allora Zoe, ti arrendi?» le chiese il ragazzo, cercando di scandire bene le parole.
Lei biascicò qualcosa in risposta.
«Hai già perso l’uso corretto della parola?! No, ma complimenti!»
«Era francese, sottospecie di... ignorante. Ho detto che il tuo alito è... talmente alcolico che se mi aliti ancora addosso... mi fai bionda!» rispose lei, scoppiando di nuovo a ridere
«Credi che il tuo sia tanto meglio? Ah, quindi quando bevi... parli tutte le lingue?»
«Italiano, francese e inglese! Senti qua: well, let there be... the sunlight, let there… be rain, let the… broken hearted… love again!»declamò Zoe con aria fin troppo convinta.
Marco le fece un piccolo applauso «Mi piacciono queste frasi a effetto. Cos’è?»
«Una... canzone, credo. Chiedi troppo dalla mia mente annebbiata dall’alcol! E poi non sono ubriaca... Ma mi è sempre piaciuta, significa una cosa tipo...»
«Aspetta! Frase a effetto per l’ultimo shot! Ehi, per piacere, puoi farcene un altro? L’ultimo!»
«L’ultimo sul serio, eh!»
Per togliersi di torno quei due rompicoglioni, il barman decise di fargli il suo cocktail speciale. Prese i quattro superalcolici e li mischiò assieme, poi passò i bicchierini ai due assieme a due fettine di limone.
«Allora... lascia che il sole splenda, lascia... che piova, lascia che i cuori... spezzati amino ancora! Giù!»
Quello shot fu devastante, lasciò loro la gola in fiamme, la bocca anestetizzata e la testa completamente vuota. Mordendo il limone eliminarono almeno il secondo effetto, ma gli altri due perduravano.
«Cazzo. Cosa c’era lì dentro?!» esalò Marco, reggendosi con più forza al bancone.
«Non ne ho... la più pallida... idea. ma ho voglia di ballare. Oh sì, ho tanta voglia di ballare.»
Prima che Marco potesse dire qualunque cosa, in assenso o in dissenso, la ragazza l’aveva già trascinato nel salotto opportunamente trasformato in sala da ballo.
Entrarono, neanche a farlo apposta, proprio al partire di una canzone. Zoe emise un grido «Io amo questa canzone! We Are Young!» e trascinò di nuovo Marco, stavolta al centro della pista.
 

Give me a second I
I need to get my story straight
My friends are in the bathroom
Getting higher than the Empire State
My lover she’s waiting for me
Just across the bar
My seat’s been taken by some sunglasses
Asking ‘bout a scar and

I know I gave it to you months ago
I know you’re trying to forget
But between the drinks and subtle things
The holes in my apologies
You know I’m trying hard to take it back
So if by the time the bar closes
And you feel like fallin’ down
I’ll carry you home
 

“Tonight, we are young! So let’s set the world on fire, we can burn brighter than the sun!”
Quella canzone, pensò Adele, si addiceva particolarmente alla circostanza.
Le erano passati accanto Marco e Zoe, ubriachi fradici, e ora stavano ballando da qualche parte in mezzo a quella mandria di persone. Magari con un po’ d’alcol (un bel po’, a giudicare dalle loro facce) la situazione tra quei due si sarebbe risolta.
Le invece non aveva bevuto tanto, doveva ancora finire il primo drink e se ne stava seduta su un divanetto di cavallino (i genitori di Giulia dovevano avere uno spiccato senso dell’orrido).
«Ehi, tu non balli?» le chiese improvvisamente qualcuno davanti a lei.
Alzò la testa e vide un ragazzo alto, biondo e sorridente con un drink in mano.
«Evidentemente no... Neanche tu, deduco.»
«No, ho sete e mi fa male una gamba, è libero quel posto?»
Adele annuì e il ragazzo si sedette «Mi chiamo Eugenio, comunque. Eugenio Filippo, per la precisione.»
«Che nome del cazzo.» sfuggì alla ragazza.
Lui però rise «Lo so, infatti mi faccio chiamare solo Filippo dagli amici. Eugenio è per i prof e i miei genitori. Tu invece?»
«Maria Adele, ma ti prego, solo Adele. Anch’io odio il primo nome, la gente mi chiama Maria Adele solo se è incazzata con me!!»
Lui sorrise e indicò il suo drink «Cosa bevi, Adele?»
«Non lo so, ha fatto tutto il barman. Ma sa di frutta, qualunque cosa sia. Tu?»
«Coca Malibù. Sei in classe con Giulia?»
«No, con il suo ragazzo. Tu non vieni a scuola con noi, vero?»
«No, faccio lo Scientifico. Sono amico di Giulia e suo fratello da... una vita! Non vi ha mai parlato di me? Sono così fantastico!»
«E soprattutto sei modesto. Quindi sei Filippo, il ragazzo più modesto della città?» lo prese in giro lei.
«E tu per caso sei Adele, la persona meno polemica dell’Universo?»
«Abbiamo cominciato subito a chiamarci con i secondi nomi? Abbiamo fatto in fretta a fare amicizia!»
Filippo sorrise «In effetti... io faccio sempre amicizia con tutti. Perciò adesso rimarrò qui seduto a mitragliarti di domande finché non smetterà di farmi male la gamba. E vista la botta che ho preso l’altro giorno a calcio, penso che ci vorrà molto, molto tempo...»
 
A Marco girava la testa. E non capiva se fosse per l’alcol, per la musica troppo alta o perché Zoe gli stava troppo, troppo vicina.
Avevano cantato a squarciagola qualche canzone, poi improvvisamente era partito un lento. Loro due si erano guardati un po’ in imbarazzo e poi avevano cominciato a ballare.
Era così concentrato a cercare di riprendersi e ad ascoltare il testo della canzone, dove la cantante stava chiedendo al presunto ex ragazzo chi si credeva di essere perché era tornato da lei pensando che lo amasse ancora (e se ne andava in giro con un barattolo di cuori spezzati, un'immagine abbastanza agghiacciante secondo lui) da non rendersi conto che Zoe gli stava dicendo qualcosa. Fece per avvicinarsi per chiederle di ripetere, ma aveva la vista annebbiata e finì per darle solo una testata.
Chiuse gli occhi per il dolore e quando li riaprì vide qualcosa che gli fece tornare la vista lucida, anche troppo: gli occhi di Zoe.
Non se n’era mai accorto, ma erano stupendi. Grandi, luminosi, profondi e scuri, ma con qualche riflesso quasi dorato. Forse era tutto frutto della sua immaginazione dovuto all’alcol, ma aveva troppa voglia di dirglielo. Doveva trattenersi però, non doveva assolutamente dirle che...
«Non hai idea di che meraviglia siano i tuoi occhi visti da qui.»
Cazzo, l’aveva detto.
Ma no, per quanto fosse impastata quella non era la sua voce. Era quella di Zoe.
Si riscosse e la guardò, esterrefatto; sul viso dell’amica c’era un’espressione indefinibile, quasi inquietante.
«I miei...»
Lei non lo lasciò finire la frase, gli posò un dito sulle labbra, sempre guardandolo con quello sguardo strano e quell’espressione strana sul viso.
 
Léon si stava lentamente riprendendo dalla sbronza appena subita.
Si era bevuto quattro birre e due cocktail abbastanza micidiali, l’ultimo ricordo pressoché lucido che aveva era l’arrivo di Zoe e Adele.
Per questo, quando Giulia gli si parò davanti chiedendogli insistentemente se aveva visto dov’era la sua migliore amica, biascicò «Non lo so ma è arrivata prima, con Adele...»
«Non la sto cercando, so perfettamente dov’è!»
Léon la guardò, sempre più confuso. Giulia sbuffò e lo prese per un braccio «Vieni, vedrai che ti passa del tutto la sbronza!»
Lo trascinò nel salotto, dal quale Léon si era tenuto il più lontano possibile per tutta la sera perché odiava quella musica.
«Cosa c’è?»
«Aspetta... Ecco! La vedi adesso Zoe o no?!»
Léon si guardò attorno e la vide, finalmente.
Ma c’erano diverse cose strane, in lei.
Innanzitutto aveva i boccoli, e lei odiava sciogliersi i capelli, li teneva sempre intrecciati. Poi aveva un vestito, e quello non sarebbe stato neanche troppo strano se non fosse stato molto più corto del normale, e se lui non fosse stato convinto di averla vista con una gonna quando era arrivata.
Ma queste due cose erano niente, in confronto al fatto che la sua migliore amica era avvinghiata ad un ragazzo e si stavano baciando con parecchia enfasi.
Soprattutto considerando che il ragazzo in questione era indiscutibilmente Marco.
Giulia guardò con un sorriso l’espressione sbigottita sul viso del suo ragazzo e ringraziò di nuovo mentalmente suo fratello per il cocktail micidiale che aveva servito ai due suoi amici.
«Cazzo, sono davvero loro?»
«A meno che non abbiano dei sosia, direi proprio di sì.»
«Oh santo cielo... Sono ubriachi, vero? Tutto questo ci creerà dei problemi...»
Oppure no, e finalmente avrò ragione io...»
 
Anche Alessandra stava osservando la stessa scena, seduta in disparte su una specie di pouf. Non sapeva se ridere o piangere, si limitò ad un mezzo sorriso privo di qualsivoglia allegria e ad alzare il bicchiere che aveva in mano come in un brindisi a quella nuova vecchia coppia che si finalmente si sarebbe formata.
Le sembrava quasi impossibile che Zoe Blanchard avesse messo da parte tutte le sue seghe mentali, ma a quanto pareva Antonucci aveva più spirito persuasivo di quanto sembrasse.
«A cosa brindi?»
Quella voce, l’avrebbe riconosciuta tra mille. Anche tra un migliaio di voci registrate, avrebbe riconosciuto quella originale.
Così come avrebbe sempre riconosciuto i suoi occhi color foglia secca, il suo ciuffo di capelli chiari sempre perfettamente pettinati, quel naso leggermente a punta e quella smorfia che lei sapeva essere un sorriso.
«A niente. Non sto brindando, sto guardando com’è il mondo attraverso questo cocktail.»
«E com’è?»
«Distorto. E più rosa.»
Il ragazzo rise «Come mai sei qui da sola? Non si beve da soli alle feste? Stai aspettando qualcuno? Me, per esempio?»
Pur essendo esattamente quella la cosa che stava facendo, scosse meccanicamente la testa.
«Non stai aspettando nessuno, quindi? Vieni con me allora, ho visto un posto carino qua vicino...»
Avrebbe dovuto rifiutarsi, odiarlo al punto da non parlargli neanche più.
Ogni volta si ripeteva che non doveva più fare quello stesso, stupido errore. Eppure, anche quella sera gli prese la mano e lo seguì, con la piccola, vana speranza che quella volta sarebbe finita in modo diverso.
 
Dopo il suo primo bacio in terza media, Zoe ne aveva dati altri.
Non tantissimi, perché erano una cosa a cui teneva particolarmente, ma qualcuno sì.
Ma un bacio come quello, ne poteva essere certa, non l’aveva mai dato né ricevuto, e sotto sotto sapeva che non le sarebbe ricapitato molto presto.
Aveva sempre avuto una passione per gli occhi di Marco, talmente lucidi da sembrare quasi di vetro, e quella sera quando se li era trovati davanti aveva provato l’irrefrenabile voglia di affogarci dentro.
Per quello gli si era avvicinata senza mai abbassare lo sguardo, pensando che al massimo gli avrebbe dato un’altra testata e tutto sarebbe finito lì.
Ma evidentemente la loro storia di testate aveva deciso di salire di livello, perché lui aveva chiuso gli occhi e l’aveva baciata.
A quel punto Zoe aveva deciso di fregarsene degli occhi di marco per occuparsi di un’altra parte del suo viso.
Perché Marco la stava baciando e, l’aveva sempre immaginato, baciava veramente bene. Istintivamente gli strinse le braccia attorno al collo e si alzò leggermente sulle punte, perché lui l’aveva ormai superata di qualche centimetro, e lo sentì abbassarsi e stringerla.
Non capiva neanche come riuscissero ancora a respirare, ma non gliene fregava assolutamente niente. L’unico pensiero sensato che le attraversò la mente fu che, se fosse stato per lei, quel momento non sarebbe mai dovuto finire.
 
Marco invece era semplicemente euforico.
Non si era reso conto di quanto volesse realmente baciare Zoe finché non l’aveva fatto e non l’aveva sentita rispondere con passione.
Era così sottile che stringendola con forza come stava facendo poteva quasi abbracciare anche sé stesso, e sentiva il suo cuore battere così forte da fargli paura, come se stesse per uscire dalla cassa toracica ed entrare nella sua a far compagnia al suo, di cuore iperattivo.
Dopo quelli che gli sembrarono secoli, ma comunque troppo presto, furono costretti a separarsi. Riaprì gli occhi, ancora stordito, e si raddrizzò continuando a tenerla stretta. Zoe alzò lo sguardo, gli fece un sorriso timido e sconvolto e si appoggiò piano a lui.
Anche Marco sorrise, perché felice come in quel momento non lo era mai stato.

--
Volevate il bacio? Lo volevate?! Avete avuto il bacio!
Sì, d'accordo, gioite quanto vi pare. Tanto questa gggioia non durerà a lungo <3
(Non lanciatemi oggetti pesanti, sappiate che io vi voglio taaanto bene!)
Dunque, un paio di note sul capitolo: le canzoni, innanzitutto! Zoe al limite della sbronza cita "Sherry Darling" di Bruce Springsteen, la canzone che parte quando Zoe e Marco vanno a ballare è ovviamente We Are Young dei Fun., e la canzone che sente Marco di cui traduce il ritornello è Jar Of Hearts di Christina Perri (in inglese dice Who do you think you are/ Running 'round leaving scars/ Collecting your jar of hearts/ And tearing love apart).
Poi, mi raccomando, tenete bene a mente la storia di Alessandra perché presto o tardi si collegherà bene con tutto.
Ah, se non recensite neanche questa volta uscirò dai vostri computer e vi picchierò a sangue. Perché se questo non è un capitolo da recensire, ditemi voi cosa devo fare! Un'invasione aliena?! Uno tsunami?!

 

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Capitolo 13
*** 13. After Party ***


La nostra vita con Zoe

13. After Party

 


Léon aveva dormito praticamente mezz’ora, quella notte.
Mezz’ora che gli parve essere passata in un secondo, quando Giulia lo scosse per chiedergli ce le desse una mano a sistemare.
Impresa oltretutto alquanto ardua, perché la maggior parte delle persone erano ancora addormentate, per terra o sui divanetti. Altri se n’erano andati in gruppo, di persone sveglie c’erano solo Adele, Francesco, un ragazzo biondo che Giulia chiamò Filippo e il fratello di Giulia. Tutti stavano combattendo i postumi della nottata con un caffè forte preparato dal barista.
«Buongiorno...» biascicò Léon, sedendosi pesantemente su uno sgabello.
«’Giorno... Qualcuno di voi ha dormito stanotte?» chiese Adele sbadigliando.
«Beh io ho trovato un posticino silenzioso e relativamente comodo. Un po’ umido, certo, ma meglio del pavimento.» rispose Francesco che appariva riposato e fresco come una rosa.
Un pesante rumore di passi li fece girare: aria distrutta, capelli scarmigliato e labbra bianche, Zoe fece il suo ingresso nella sala.
Li guardò stupida, forse non si aspettava di vedere già così tanta gente lì, tentò un sorriso e si arrampicò su un altro sgabello. Poi guardò il fratello di Giulia e con voce roca chiese «Cosa cazzo avevi messo in quel cicchetto?»
«Qualunque cosa alcolica possa venirti in mente.»
«È micidiale. Davvero, la gente rischia di star male. Sai fare anche un caffè così micidiale?»
Il tono era sarcastico, ma Léon si accorse che era tutta una recita.
Gli occhi di Zoe avevano una luce completamente diversa, quando faceva del vero sarcasmo. E la mano con cui stava tamburellando sul bancone tremava leggermente.
Cercò con gli occhi Adele e lo sguardo che lei gli rivolse fu la conferma che evidentemente qualcosa non andava. Possibile che i problemi relativi a ciò che era successo la sera prima fossero già arrivati?
Come evocato da quel pensiero, arrivò anche Marco, che più che assonnato e sconvolto sembrava perplesso, quasi spaventato.
Sembrava una grottesca rappresentazione teatrale dove nessuno sapeva cosa fare e quindi tutti facevano il gioco del silenzio. Silenzio che Adele spezzò con uno dei suoi soliti «Buonsalve!»
Marco le sorrise e andò a sedersi, probabilmente per abitudine, accanto a Zoe: la ragazza gli sorrise da dietro la tazza, ma la mano che aveva appoggiata al bancone cominciò a tremare più forte.
 
Prima che il resto della gente si svegliasse, Giulia e suo fratello uscirono e fecero incetta di brioche nei bar vicini.
Erano rimasti lì per la notte venti-venticinque persone, tutte con le facce abbastanza stralunate e che se ne andarono prima di pranzo, ringraziando per la serata ed evitando così di mettere a posto.
Rimasero di nuovo solo Giulia, suo fratello, Léon, Adele, Filippo, Marco e Zoe, che mangiarono qualcosa di pronto e leggero (avevano ancora gli stomaci sconvolti dall’alcol) poi cominciarono a riordinare.
Bisognava raccogliere bicchieri e cartacce, rimettere a posto i mobili del salotto, eliminare le cicche di sigarette ed altro in giardino, pulire un po’ e spolverare. Léon e il fratello di Giulia, i due più forzuti, si occuparono dei mobili, Adele e Giulia di spolverare, Marco e Filippo dei bicchieri e Zoe fu spedita in giardino ad occuparsi delle cicche perché diceva di aver bisogno d’aria fresca.
Era inginocchiata per terra da quasi un’ora, quando qualcuno dietro di lei la fece spaventare dicendo «Ehi.»
Si girò, era Marco «Ehi...» gli rispose. Lui posò il sacco che aveva in mano e si avvicinò.
«Cosa fai?»
«Sto cercando di pulire questo porcile. Dentro avete finito?»
«Quasi. Ti do una mano.»
Si inginocchiò accanto a lei. Dopo qualche minuto, Marco riprese la parola,
«Stamattina mi sono un po’ preoccupato quando mi sono svegliato e tu non c’eri, credevo fossi stata male.»
«È all’incirca così. diciamo che l’averti avuto addosso tutta la notte non ha giovato al mio stomaco, sono dovuta andare in bagno e ho cercato di non svegliarti.»
Quella mattina Zoe si era svegliata stesa per terra con Marco steso quasi completamente addosso. Dopo aver passato cinque minuti a guardarlo pensando a quanto fosse adorabile quando dormiva, la mente le era finalmente tornata lucida e si era resa conto di quanto era sbagliato quello che stava pensando, e ancor peggio quello che era successo la sera prima. Era scivolata via con non poca fatica, assicurandosi di non svegliare Marco, ed era corsa in bagno anche se non doveva vomitare.
Marco si era svegliato circa venti minuti dopo, e trovandosi steso sul pavimento aveva intuito subito che c’era qualcosa che non andava. Il panico che l’aveva assalito quando aveva capito che quel qualcosa era la mancanza di Zoe era stato dovuto non tanto alla preoccupazione per la salute della ragazzo quanto al dubbio che se ne fosse andata.
Si erano rincontrati di sotto, con sua grande gioia, ma lei l’aveva evitato con molta nonchalance per tutta la mattina. E lui temeva di sapere perché quello stesse succedendo.
«Quanto abbiamo bevuto ieri sera?»
«Tanto! Troppo, forse...»
«Direi anch’io. Abbiamo fatto una cazzata.»
Marco non avrebbe mai definito “cazzata” quello che era successo la sera prima, ma non disse niente e rimase ad ascoltare.
«Una fantastica cazzata... ma pur sempre una cazzata. Non sei... non sei d’accordo?»
Marco continuò a non guardarla «Hai ragione. Avevamo bevuto e ci siamo lasciati andare.» rispose, piatto.
«Marco, rispondimi sinceramente.»
Se fosse stato una persona coraggiosa, Marco le avrebbe risposto sinceramente. Le avrebbe detto quello che pensava e avrebbe risolto lì la storia.
Ma Marco era un ragazzo, un adolescente con la testa ancora rintronata dalla sbornia della sera prima. Non era nella sua natura essere coraggioso.
Quindi guardò l’amica, le sorrise debolmente e rispose «Era solo una testata.»
Zoe scoppiò a ridere «Una testata! Non l’hai detto sul serio... Ti ho mai detto che sei un idiota?»
«Giusto un paio di volte...»
«Allora te lo ripeto: sei un idiota!»
 
Adele stava aspettando Zoe al varco. In tutti i sensi della parola.
Non la conosceva da tantissimo tempo, ma la conosceva bene.
Sapeva capire da uno sguardo o da un gesto cosa le stava succedendo, se era felice o triste, se con gli altri stava fingendo o no.
E quella mattina aveva capito appena l’aveva vista che qualcosa non andava. Ne era rimasta sorpresa, visti i precedenti avvenimenti, e stava cercando di trovarla da sola per chiederle cosa diamine fosse successo.
Quindi, appena vide lei e Marco rientrare dal giardino le si avvicinò, la prese a braccetto e la portò via dicendo «Zoe, mi serve una mano per trovare una cosa, vieni!»
La trascinò fino al bagno del piano di sopra, chiuse la porta e si piantò davanti all’amica a braccia incrociate dicendo «Ora mi dici tutto.»
Zoe sospirò «Ieri sera abbiamo fatto una sfida di cicchetti, solo che il fratello di Giulia ce ne ha fatto uno che era davvero micidiale. Eravamo completamente ubriachi, abbiamo ballato un po’ e...»
«Vi siete baciati, lo so. Oh, non fare quella faccia! Vi ho visti, anzi, chiunque fosse abbastanza sobrio vi ha visti! Voglio sapere cos’è successo, stamattina, e anche adesso!»
«Stamattina non è successo niente, se non che mi sono resa conto di aver fatto una cazzata, e adesso gliel’ho detto!»
«Tu hai fatto cosa?!»
«Non guardarmi come se fossi pazza! È meglio così, per entrambi! Dev’essere così!»
«Oh, non tirare fuori la questione della necessità, perché sai benissimo come la penso! Zoe, Marco è innamorato di te, ma non aspetterà all’infinito! E soprattutto non capisco perché tu non voglia che le cose vadano come devono andare, visto che tu sei innamorata di lui!»
«È  proprio quello il problema...» rispose Zoe con la voce che tremava piano.
«Zoe, ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Siete innamorati, ma tu non vuoi che stiate assieme perché...?»
«Perché non voglio che lui soffra!»
«Ma lui soffre non stando con te, Zoe! L’hai vista la sua faccia stamattina quando lo evitavi ed evitavi il suo sguardo? E sono sicura che hai visto anche quella che aveva quando siete rientrati, e anche quella che ha probabilmente fatto quando gli hai esposto le tue idee... dementi!»
«Non mi trattare come se fossi pazza!»
«Non lo sto facendo, ma tu non sei coerente! Non vuoi che Marco soffra ma...»
«So che se stessimo assieme soffrirebbe molto, molto di più!» scoppiò Zoe , cominciando a piangere.
E per la prima volta dopo anni, Zoe parlò. Come un fiume in piena rovesciò su Adele la sua storia, il suo segreto che aveva deciso di non rivelare più a nessuno. E pianse, pianse tutte le lacrime che non piangeva da anni, parlando di Marco e delle conseguenze che tutto quello avrebbe avuto su di lui, motivando finalmente la sua paura di legarsi a qualcuno a cui teneva sul serio,
Adele ascoltò esterrefatta, perché non riusciva a capire come e perché l’amica non avesse detto niente a nessuno per tutti quegli anni.
«Ma scusa, non puoi dirlo anche a Marco?»
«No! Lo perderei anche come amico! Ti prego, non dirlo a nessuno, lo sai solo tu! me lo prometti?»
Adele annuì e abbracciò forte l’amica, poi l’aiutò ad asciugarsi gli occhi e a ottenere di nuovo un aspetto presentabile.
Quando finalmente scesero, trovarono tutti ad aspettarle.
Léon si accorse subito che Zoe aveva pianto e cercò negli occhi di Adele il perché, ma lo sguardo che gli rivolse gli fece cambiare idea.
Marco non disse né fece niente, si limitò a tenere gli occhi puntati su Zoe per tutto il tempo.
«Bene, mancavate solo voi, ora possiamo chiudere la casa!»
«Ok... A proposito, qualcuno può darmi un passaggio a casa?»
«Oh, scusa Zoe, noi andiamo tutti con lui e la macchina può tenere solo cinque persone!» rispose Adele, indicando il fratello di Giulia.
«Ah. Aspetta, siamo in sette. Qualcuno rimane qui a farmi compagnia?»
Marco alzò la mano «No, ma se vuoi posso darti un passaggio. Sta arrivando mio padre...»
Adele non sapeva se ridere o piangere.
Neanche Zoe. Così si limitò a sorridere «Sei sicuro che non dia fastidio? Se sì, grazie mille!»
 
Non si rivolsero la parola per tutto il viaggio.
Al padre di Marco, quando chiese il perché di tutto quel silenzio, risposero che erano stanchi per la nottata di baldoria, ma era una scusa.
La verità era che il discorso di quella mattina aveva gettato le basi per un muro che prima o poi li avrebbe divisi del tutto.
Arrivarono davanti a casa di Zoe, dove c’era già parcheggiata la macchina di Fed.
«Oh, mia madre è già qui! Scusate il disturbo, avrei potuto chiamarla...» disse Zoe mentre accostavano.
Il padre di Marco le sorrise «Non preoccuparti, il viaggio avrei dovuto farlo comunque. Poi mio figlio mi aveva parlato tanto di te, volevo conoscerti!»
«Sì, mi scusi se non sono stata cordiale ma... è stata una festa devastante.»
«Oh sì, non avrei saputo descriverla meglio.» si aggiunse Marco.
«Beh grazie mille, arrivederci!» salutò Zoe uscendo dalla macchina.
«Bene, ora puoi spiegarmi cos’avete fatto?» chiese a Marco suo padre.
«Niente, papà, siamo solo... distrutti.» rispose lui, pensando nuovamente che parole più adatte di quella non ce n’erano.
Si sentiva distrutto e sentiva che qualcosa si stava distruggendo. E lui e Zoe avrebbero fatto meglio a spostarsi se non volevano esserne travolti.
Mentre Marco pensava queste cose, Zoe fu travolta dalle macerie, ma non da quelle della loro amicizia.
Aveva un mal di testa terrificante, voleva solo prendere le sue medicine e andare a letto, a suo padre avrebbe pensato la mattina dopo.
«Sono a casa!» si annunciò entrando. Nessuno le rispose, in casa c’era un silenzio irreale.
«Fed? Papà?» continuò un po’ più dubbiosa.
Di nuovo silenzio. Lasciò lo zaino per terra e andò di sopra.
Non c’era nessuno da nessuna parte, ma la porta della camera dei genitori era aperta.
Col sangue gelato nelle vene, si avvicinò piano.
«Mamma?»
 
L’unica cosa che Léon voleva fare era dormire. Perciò quando lesse il messaggio di Marco, che gli chiedeva di vedersi quella sera, fu seriamente tentato di lanciare il cellulare dalla finestra. Ma era un buon amico, quindi accettò.
Si videro al solito bar.
«Non potevi proprio aspettare domani?»
«No, è una cosa importante e non so cosa fare.»
«Dimmi.»
Marco trasse un profondo respiro per farsi coraggio, guardò Léon negli occhi e disse «Sono innamorato di Zoe.»

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TADADADAAAAN! Cliff-hanging!
So che mi amate esageratamente, in realta <3
Evitando i lanci di oggetti contundenti, passiamo alle cose salienti nel capitolo: mi scocciava trovare un nome al fratello di Giulia (non si era notato, vero?), tenete d'occhio Francesco e finalmente abbiamo avuto qualcosa sul problema di Zoe! Qualcuno ha qualche idea su cosa potrebbe essere? ;)

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Capitolo 14
*** 14. Lungo il Viale dei Sogni Infranti ***


La nostra vita con Zoe

14. Lungo il Viale dei Sogni Infranti



Léon si era sempre ritenuto un ragazzo intelligente.
Quando però Marco pronunciò quella frase, “mi sono innamorato di Zoe”, si rese conto di essere stato un vero idiota a non rendersene conto.
Perciò gli sfuggì un «E te ne sei reso conto solo adesso?!» che era più che altro rivolto a se stesso, ma che Marco prese come una presa in giro.
«Sì, me ne sono accorto solo adesso! Potevi anche dirmelo, simpaticone!»
«Ma no, io... Cioè, sei sicuro?»
«Stavolta sì! E credo anche di esserlo sempre stato! O almeno dalla prima volta che l’ho baciata!»
Léon rise «Dalla prima volta che l’hai baciata? Non sono passate neanche ventiquattrore!»
«Ma no, non da ieri sera! Io l’avevo già baciata una volta! Due anni fa, quando c’era la neve e siamo andati a casa sua, quando tu dovevi guardare la partita di rugby.»
Léon ci mise qualche secondo a realizzare di cosa stava parlando l’amico. Quando capì, lo guardò esterrefatto «Vi siete baciati?!» «No! Io ho baciato lei! O almeno quello era il mio intento, più che altro le ho dato una testata...» rifletté Marco.
Léon scosse la testa, sempre più confuso «Allora, due anni fa tu hai cercato di baciarla, poi però hai rinunciato a questi tuoi propositi, ma eri comunque innamorato di lei e te ne sei reso conto solo adesso che vi siete baciati?»
Marco annuì.
«E a lei l’hai detto?»
«No! Stavo per farlo oggi, ma mi ha smontato come un Lego! Ha detto chiaro e tondo che è stata una cazzata e che l’abbiamo fatto solo perché eravamo ubriachi. Cosa dovevo dirle? Le ho dato ragione. Ma te lo assicuro, Léon, che due amici non si baciano così, neanche da ubriachi fradici.»
Léon su questo era d’accordo «Ma Marco, ha ragione lei, siete amici! Se vi metteste assieme e poi vi lasciaste, rovinereste tutto! E poi dai, la conosciamo bene, Zoe non è il tipo da...»
L’occhiataccia gelida di Marco lo zittì.
«Da cosa? Dai, dillo.»
«Da una storia tanto per fare. E conoscendo te e le tue precedenti esperienze in fatto di ragazze, diciamo che non sembri il tipo da storia seria.»
«Ma lei non era Zoe! E non credo sia per quello che non vuole stare con me. Secondo me si sta nascondendo dietro ad un muro di scuse.»
«E quale sarebbe la verità?»
«Non lo so. Zoe è una matrioska di segreti, appena ne sveli uno ce n’è subito un altro, e ho come l’impressione che noi siamo solo al primo strato.»
“Parla per te” avrebbe voluto aggiungere Léon, memore della conversazione  avuta con Zoe in primavera, ma preferì star zitto.
«Quindi cosa pensi di fare? Insomma, tra voi c’è indubbiamente chimica, tu dici di essere innamorato di lei, ma sei sicuro? Riflettici bene, perché voglio bene ad entrambi e non voglio che stiate male. Allora?» disse Léon, chiedendosi nel frattempo perché nessuno si fosse reso conto che loro erano lì da un quarto d’ora senza consumare.
«Credo di averci riflettuto per due anni. Quindi direi proprio di sì, sono sicuro.» rispose Marco, serio come non l’aveva mai visto.
«Allora hai la mia benedizione. E prima che tu mi minacci di morte, non preoccuparti, non dirò nulla a Zoe. Ma quindi dimmi, cos’hai intenzione di fare?»
«Ah, non ne ho idea. Mi verrà in mente qualcosa, spero, ma adesso ho la testa vuota e la pancia ancora di più. Perché non ci vogliono far mangiare, stasera?!» chiese, come se si fosse reso conto solo in quel momento di aver anche dei bisogni fisici.
Léon si sbracciò un po’ per attirare l’attenzione della cameriera.
Quando questa se ne fu andata , Marco si passò una mano tra i capelli, si rimboccò le maniche e brandì con fare eroico la forchetta «E adesso, alla conquista di Zoe Blanchard! Ma prima, di un piatto di tagliatelle.»
 
Léon aveva bisogno di un caffè. Se avesse avuto un regno, l’avrebbe sicuramente venduto per un misero bicchierino di caffè delle macchinette. Purtroppo però il karma aveva deciso di volergli particolarmente male quella mattina, facendogli dimenticare il portafoglio a casa.
Se ne stava seduto sulla sedia appena fuori dal’aula, fissando il pavimento e provando ad elemosinare qualche centesimo dai compagni che passavano.
«Buongiorno, Léon, sei ancora con noi?» chiese la voce di Zoe in avvicinamento, mentre un paio di jeans chiari occupavano la sua visuale.
«No, sono ancora nel mondo dei sogni. Ma buongiorno anche a voi, Zoe ed amica di Zoe.»
«Ci vedi addirittura doppio? Dove la vedi una mia amica?» chiese Zoe, tra il divertito e il preoccupato.
Léon alzò gli occhi e vide che effettivamente davanti a lui c’era solo Zoe.
Ma c’era qualcosa che non andava.
Innanzitutto, aveva i capelli sciolti, ancora un po’ mossi dalla Festa, ma questo era il minimo. La ragazza infatti sfoggiava la felpa con la bandiera inglese di Marco, che il ragazzo le aveva regalato “in prestito” al compleanno, e un paio di jeans chiari e attillati che le fasciavano perfettamente le lunghe gambe magre.
«Zoe!»
«Oh, buongiorno!»
«Aspetta, ma hai...»
«La felpa? Lo so, mi sta lunga, ma almeno non larga.»
«No, non la felpa! Insomma, hai i jeans!»
Zoe lo guardò con aria interrogativa «Guarda che anch’io ne ho qualche paio. Non fare quella faccia, sono solo jeans!»
A dimostrare che non fosse successo nulla di grave, entrò in classe.
Fu accolta da molte occhiate sconcertate che le fecero capire di aver sbagliato.
La prima ad avvicinarsi con un sorriso dubbioso fu Adele «Ehi Zoe, buon salve. Come mai questo, ehm, cambio di look?»
«Sono solo jeans!» sbottò la francese, lanciando la borsa sul banco.
«Ma quella non è la felpa di Marco?» chiese qualcuno dal fondo della classe, qualcuno evidentemente più attento ai dettagli.
«Sì, gliel’ho regalata per il compleanno. È un regalo condiviso, però. Non credevo che te la saresti mai messa a scuola, come mai questo cambiamento?» chiese Marco, avvicinandosi.
Zoe finse un sorriso «Le cose cambiano e la gente con esse. Ho deciso di abbandonare l’utopia di studiare in un college inglese, quindi di conseguenza ho abbandonato anche le gonne a quadri.»
I tre amici erano sempre più esterrefatti.
«Ma Zoe, quello era il tuo sogno! Da quando ti conosciamo non hai mai smesso di ribadirlo, era il tuo obiettivo!»
«Lo so, ma non è possibile. Non è mica la fine del mondo. Bisogna solo crescere.»
Doveva essere successo qualcosa. Una persona come Zoe non avrebbe mai rinunciato così su due piedi al sogno di una vita, e gli occhi cupi e vuoti della ragazza testimoniavano la cosa. E non poteva trattarsi del litigio con Marco, pensò Adele, neanche alla luce delle più recenti rivelazioni. Prima che potesse chiederle cosa diamine fosse successo però entrò in classe la professoressa di italiano.
Dopi un’intera ora sulla Divina Commedia, l’insegnante decise di lasciare un po’ di tempo agli alunni per riprendere fiato prima di passare all’interrogazione. Era una brava insegnante, molto benvoluta dai suoi alunni soprattutto per la sua manica larga nei voti, ed era anche una donna simpatica.
Cominciò a parlare della sua famiglia, della figlia maggiore che stava per laurearsi e del figlio minore che aveva cominciato le elementari, e del marito che stava progettando un viaggio alle Maldive per il loro anniversario che l’avrebbe tenuta lontana da scuola come minimo una settimana.
Adele si accorse di Zoe circa a metà del discorso.
Stava piegata da un lato, la testa appoggiata ad una mano e tremava leggermente.
«Zoe? Cos’hai fatto?»
«Niente.» rispose lei con voce tremante.
Adele allora le spostò il braccio per guardarla in faccia e vide che stava piangendo. Senza farsi prendere dal panico alzò la mano «Prof, potremmo uscire? Zoe non si sente bene.» disse.
La prof le guardò stupita, poi si accorse che Zoe stava piangendo e acconsentì.
Adele la portò fuori, non in corridoio ma in giardino perché prendesse un po’ d’aria.
«Adesso vuoi spiegarmi cosa...»
«I miei si sono lasciati.»
Scoppiò a piangere, un pianto ancor più disperato di quello del giorno prima.
Adele la lasciò sfogare poi l’abbracciò forte, e fu così che le trovarono Marco e Léon quando le raggiunsero qualche minuto dopo.
«Che cazzo è successo?! Stai male?» chiese Marco angosciato.
Zoe si staccò da Adele e scosse la testa, asciugandosi gli occhi «No, no, niente d fisico. È solo che i miei... insomma, si sono lasciato.» balbettò.
Calò un silenzio gelido per qualche secondo, poi Léon esclamò «Oddio Zoe, mi dispiace così tanto!» e abbracciò di slancio l’amica, che ricominciò a piangere. Quando si fu di nuovo calmata, dopo esser stata abbracciata anche da Marco, si appoggiò piano alla spalla di questo e con la voce che tremava piano cominciò a raccontare.
«Mio padre sarebbe dovuto tornare ieri da Parigi, lo sapete no, che non è quasi mai a casa per via del lavoro. Quando sono tornata a casa però ho trovato Fed da sola e in lacrime. La storia non è poi così complicata, lui è rimasto a Parigi da... dalla sua seconda famiglia.»
Di nuovo silenzio.
«Seconda cosa?»
«Famiglia. Ha un’altra moglie, là, e un’altra figlia molto più piccola di me. Non credo che Fed gli abbia chiesto di scegliere, mia madre ci tiene alla sua dignità, ma penso che avrebbe comunque scelto loro. E Parigi, ovviamente. Con loro potrà avere tutto quello che ha sempre sognato.»
«E... tu e Fed?»
«Ce la caveremo, siamo forti. La cosa che più la ferisce è che per colpa di mio padre non potrò mai realizzare il mio, di sogno. È per quello che ho i jeans.»
«Aspetta, per colpa di tuo padre non potrai studiare in un college? Perché?»
«Perché qualunque associazione per andare a studiare all’estero chiede una situazione familiare stabile per evitare problemi con la famiglia ospitante, e soprattutto chiede che non ci siano problemi di dieta.»
«E tu hai problemi di dieta?»
«Sono stata anoressica quando facevo le medie, e tutt’ora quando sono fortemente sotto stress rifiuto il cibo.» spiegò Zoe, tormentandosi l’orlo della felpa, lo sguardo basso e le guance arrossate.
«Non devi vergognartene, capita spesso.» la rassicurò Adele.
Zoe fece un sorriso sarcastico «Certo, ma ben pochi riescono a rovinarsi futuro e sogni. Sono proprio fantastica, eh? Penso di capire perché mio padre abbia scelto la vita francese.» disse, gelida.
I tre amici si guardarono titubanti, poi Léon disse «A noi non importa niente di quello che pensa tuo padre. Non ti permetteremo mai di farti del male per qualcuno che evidentemente non ti vuole bene.»
«Esatto. Anche se lui non te ne vuole, noi te ne vogliamo il triplo. E ti faremo mangiare, anche a costo di infilarti a forza il cibo in bocca!» rincarò Adele, con il suo tono da generale che non ammette repliche.
«Perché Parigi sarà bella, e l’altra famiglia fantastica, ma se lui non ha te non sa cosa si perde.» concluse Marco con gli occhi un po’ tristi.
Quelli di Zoe tornarono lucidi «Cazzo ragazzi, nessuno mi aveva mai detto niente di simile. Io... grazie, grazie mille.»
«Prego, ma non metterti a piangere che comincio anch’io.» disse Léon.
«Abbraccio di gruppo?» propose Adele. Zoe annuì e i quattro si abbracciarono.
«Torniamo in classe? Penso che non saremo interrogati...» propose Léon.
Si avviarono. Marco trattenne Zoe per stare un po’ lontani dagli altri.
«Ti sta bene quella felpa.» le disse.
«Grazie. È la prima volta che me la metto fuori di casa, ma quando stamattina mi sono messa i calzoni è stata la prima felpa a cui ho pensato.»
«Così mi sento importante. No, dai, scherzo. Però davvero, se ti serve una mano, anche se ti senti sola, chiama. Io per te ci sono sempre, lo sai vero?» le disse mettendole un braccio attorno alle spalle.
Zoe annuì «Giorno e notte?» ironizzò.
«Quando vuoi! Non sto scherzando, guarda che se vuoi puoi chiamarmi anche nel cuore della notte!»
«Come sei sempre esagerato... Ma ti voglio bene soprattutto per questo!»
 
Lo chiamò veramente.
Erano le tre di notte quando Marco fu svegliato dalla vibrazione del cellulare che aveva lasciato sul materasso. Di solito lo spegneva prima di dormire, la quella sera era letteralmente crollato sul libro che stava cercando di leggere (non avrebbe mai capito come facesse Zoe ad amare così tanto Dickens, era così deprimente!).
Cercò a tentoni il cellulare e rispose senza neanche guardare chi fosse.
«Pronto?»
«Marc?»
«Sì. Chi è?»
«Sono Zoe.»
Il ragazzo sobbalzò «Zoe! Che ore sono? È successo qualcosa?»
«No, solo che... Oddio, stavi dormendo. Stavi dormendo?»
«Eh? No, no, io stavo... leggendo. Un... fumetto.» biascicò Marco cercando di non far sentire il sonno nella voce.
Zoe però l’aveva capito immediatamente «Stavi dormendo! Oh santo cielo, quanto sono idiota?! Niente, dormi. Buonanotte!» esclamò imbarazzata.
«Aspetta! Ormai sono sveglio, dai, dimmi. Spengo la luce e ci sono.»
Spense la luce e si appoggiò con la schiena al muro «Dimmi.»
Dall’altra parte Zoe sospirò «In realtà non ho niente di particolare da dire. Solo che non riesco a dormire, e tu mi hai detto che potevo chiamare, e io... ti ho preso sul serio.»
«Hai fatto bene. Come mai non riesci a dormire?»
«Ogni volta che ci provo mi immagino l’altra famiglia. Ed è terribile, ma non riesco a pensare ad altro.» rispose lei, la voce stanca e tremante.
Nel sentirla così fragile e spezzata, Marco avrebbe voluto prendere la moto e raggiungerla a casa, ma non poteva quindi si limitò a dirle «Prova a pensare a qualcos’altro di più allegro!»
«E pensi sia facile?»
«No, non credo, ma secondo me puoi farcela.»
Ci fu qualche minuto di silenzio, il respiro di Zoe nella cornetta era quello lento e controllato di chi sta cercando di calmarsi.
«Non ci riesco.» sbottò lei dopo un po’.
«Ti ricordi quella volta che siamo andati al parco giochi con Adele e Léon?»
«Sì, ma cosa c’entra?»
«Qual era già il gioco che Adele non voleva fare e quando l’hai convinta poi strillava come un’aquila?»
«Quale... Ah, sì, quello con i piedi a penzoloni! Oddio, mi ha fischiato un orecchio per il resto del pomeriggio! Aspetta, è stata la stessa volta che la mela caramellata ti è rimasta attaccata all’apparecchio?»
Marco sorrise «Sì, è stata quella volta lì. Quando poi ci eravamo stesi sul prato e...»
«E sono partiti gli irrigatori! Ahahah è vero! Che Adele credeva che avesse cominciato a piovere! Dio, avevo riso così tanto che mi era venuto mal di stomaco!»
«Me lo ricordo, hai passato il resto del pomeriggio a lamentarti!»
«Non è vero! E se proprio vogliamo parlare di lamentele, sei tu quello che si è lamentato per tutta la sera, quella volta alla Fiera sugli autoscontri!»
Marco ci mise qualche secondo a capire di quale volta stesse parlando, poi scoppiò a ridere così forte che temette che i suoi genitori arrivassero a chiedere cos’aveva da ridere.
«Io mi sarò anche lamentato, ma ne avevo tutto il diritto! Scusa, quale persona normale alla guida di un autoscontro invece di lanciarsi contro le altre macchine comincia a girare su se stessa?!»
«Te l’ho detto! Io non l’avevo fatto apposta, ma tu ridevi così forte che era un peccato ricominciare a guidare normalmente!»
«No, tu sei sadica!»
Si presero qualche secondo per riprendere fiato.
«Che ore sono?» chiese Zoe.
«Le tre e mezza.»
«Hai sonno?»
«Se tu non ne hai, no.»
«No, ne ho un po’ anch’io. Sto meglio, davvero. Scusa se ti ho chiamato»
Marco sorrise «Piantala di scusarti. Adesso però dormi, che se domani ti interrogano poi vai male e ti lamenti.»
«Io non vado mai male, ho una memoria fotografica. Buonanotte, comunque. E grazie, Marc. Ti voglio bene.»
«Anch’io, Zoe. Tanto. Buonanotte.»

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Scusate il ritardo di un giorno ç___ç E grazie per aver di nuovo recensito ;)
Veniamo a noi. Allora, ecco svelato quello che era successo a Fed nell'altro capitolo. Ebbene sì, hanno scoperto la seconda famiglia di Enrique e non hanno intenzione di perdonarlo. Povera Zoe, così disillusa :( Ma c'è quell'amore di Marco che la consola *---* Sì, li amo troppo, sono troppo cucciolosi!
Poi basta, direi che l'unica cosa da dire è sul titolo del capitolo, preso ovviamente dalla canzone dei Green Day ;)
Riuscirà Marco a conquistare Zoe Blanchard, o dovrà accontentarsi delle tagliatelle? E riuscirà Zoe a coronare comunque il suo sogno?
Lo scoprirete nei prossimi capitoli!

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Capitolo 15
*** 15. Tranquilla, siam qui noi. ***


La nostra vita con Zoe

15. Tranquilla, siam qui noi.

 

La cioccolata contiene la feniletilammina, una sostanza chimica che rilasciata nell’organismo stimola il buonumore. Per questo nelle commedie romantiche le protagoniste, col cuore spezzato e magari pure infradiciate da un taxi che è passato un una pozzanghera lasciandole sole al margine della strada, tornano a casa e si arenano sul divano (a guardare altre commedie romantiche) con uno di quei barattoli formato esercito di gelato al cioccolato. E poi ha un odore e un sapore troppo buoni per non rallegrarti almeno un po’.
Zoe, che si sentiva addirittura come la pozzanghera, lesse la scatola della cioccolata in polvere e decise di metterne due bustine nel pentolino, anche se la dose consigliata era una.
Quando si era svegliata Fed era già andata a lavorare, si era alzata stranamente affamata e appunto perché la madre era assente aveva deciso di farsi una cioccolata calda.
Stava giusto per mettere il pentolino sul fuoco quando suonarono al campanello. Posò il pentolino, prese in braccio Jack per tenerlo lontano dal latte e si avviò verso il citofono elaborando una scusa per giustificare a sua madre la cioccolata.
«Fed?»
«Non proprio...»
Se non aveva cominciato a soffrire anche di allucinazioni uditive, quella era la voce di Marco. Premette il tasto per aprire il cancello e corse alla porta.
«Zoe! Possiamo mettere dentro le bici?»
La ragazza ci rimase di sale quando vide fuori dal suo cancello, con le bici e le borse da scuola, Marco e Léon.
«E voi cosa ci fate qui a quest’ora?!» chiese, facendogli segno di entrare.
I due sollevarono due sacchetti bianchi «Colazione?»
Zoe continuava a non capire, così aspettò che appoggiassero le bici alla serra, li lasciò entrare poi chiese «Colazione in che senso?»
«Ieri ci hai detto che quando sei nervosa non mangi, ma sappiamo che se non mangi poi ti sent male quindi abbiamo deciso di prenderci cura della tua dieta. Solo che siamo troppo in sincrono e abbiamo avuto entrambi la stessa idea. quindi abbiamo portato due brioche ciascuno.»
Zoe scoppiò a ridere «Ma io vi amo soprattutto per questo! Quindi neanche voi avete fatto colazione? Vi va una cioccolata calda? Me la stavo preparando...»
I tre amici andarono in cucina e Zoe lasciò a Léon per riuscire a cucinare. Marco invece si tenne a debita distanza dai due felini (soprattutto dal più piccolo),.
«Hai paura dei gatti, Marco?» lo sfotté la ragazza.
«No. Solo se mi stanno vicini e hanno gli artigli.»
«Quindi hai paura dei gatti.»
«No!»
«Va bene. Hai paura.»
«Zitta e cucina, donna!»
Casualmente, Marco fu colpito in testa da un cucchiaio di legno.
Pochi minuti dopo i tre erano seduti al tavolo, con tre tazze di cioccolata e quattro brioche.
«Illustratemi i gusti.»
«Io ne ho prese due alla marmellata.» disse Marco.
«Io due alla crema.»
«Allora adesso ne mangio una alla marmellata, quella alla crema la mangio al’intervallo.»
Mangiarono, chiacchierando e dicendo idiozie come al solito.
«Sapete che la cioccolata aumenta il desiderio sessuale?» se ne uscì ad un certo punto Marco, raschiando col cucchiaio il fondo della tazza.
«Maniaco.» «Uh, sarà per questo che ho voglia di saltarti addosso?»
Zoe guardò allarmato Léon «Non di prima mattina, non dopo aver mangiato, e soprattutto non a casa mia! Guarda che lo dico a Giulia!»
«Ah, ma Giulia lo sa! Sa anche che amo solo lei, Marco lo uso e basta.»
La ragazza si alzò brandendo la tazza contro l’amico «Ninfomane! Siete una coppia di pervertiti! Basta, fate quello che volete, io e Jack andiamo di sopra!»
«Ma stava scherzando!» si precipitò ad aggiungere Marco.
«Lo spero! Ma di sopra devo andarci comunque, non vengo a scuola in pigiama.»
Quando fu sicuro che Zoe non fosse più a portata d’orecchio, Léon si girò verso l’amico dicendo «Scusa! Ti giuro, io non volevo! Scusa!»
Marco si alzò per mettere le tazze ne lavello «Scusa per cosa? Per aver candidamente ammesso che mi usi e basta? Lo sapevo già...»
«Ah. Quindi non sei incazzato perché ho rovinato il tuo piano per la mattinata?»  azzardò Léon.
Marco lo guardò malissimo «Sì che sono incazzato, idiota! Mi sono alzato mezz’ora prima, ho sfidato il freddo a stomaco vuoto, ho strappato a uno di quei maledetti pensionati una brioche alla marmellata perché so che le piacciono, sono arrivato qui e ho trovato te! E non te ne sei andato, no, hai deciso di rimanere a rompere il cazzo!» esclamò.
«Ormai avevo già le brioche...»
«Te le mangiavi con Giulia!»
«È ammalata...»
«Te le mangiavi da solo! E se due ti sembravano troppe, quella che non volevi potevi mettertela...»
«Ehi, calmo, ho afferrato il concetto! Scusami, non lo farò mai più!» disse Léon, alzando le mani in segno di resa.
Marco aprì l’acqua. Seguì qualche secondo di silenzio, poi Léon con tono scherzoso disse «Sei proprio cotto, eh!»
Marco arrossì violentemente «Non è vero!» esclamò, chiudendo l’acqua così di colpo da schizzarsi tutto.
Léon rise «Oh, sì invece, caro mio! Sei un pero!»
«Piantala! È solo che dopo stanotte, una colazione sarebbe stata la conclusione perfetta!» sbottò il moro cercando di asciugarsi.
Léon lo guardò esterrefatto «Cos’avete fatto stanotte, scusa?»
«Abbiamo... no, ma che cazzo vai a pensare?! Abbiamo solo parlato! Al telefono, oltretutto...»
«Ieri sera?»
«No, stanotte. Saranno state boh, le tre. Di solito spengo il telefono, ma quell’inglese deprimente che le piace tanto mi ha letteralmente steso.»
«Ti sei messo a leggere Dickens?! Torniamo al discorso di prima, caro il mio pero!»
«Non era quello il punto! Mi ha chiamato perché non riusciva a dormire e abbiamo parlato un po’. Ho cercato di distrarla, parlando delle cose che abbiamo fatto assieme noi quattro e credo di esserci riuscito. E non sono un pero.»
Léon lo guardò intenerito «Ma guarda, come sei diventato tenero! Che fine ha fatto quella specie di maniaco sempre pronto a dir cazzate?»
«Beh, le cazzate ci sono sempre, sono nel mio DNA. Ma la parte maniaca, anche se mi sembra esagerato chiamarla così, deve scomparire se voglio raggiungere il mio obiettivo, e... porca puttana.»
«Porca puttana cosa?» chiese la voce di Zoe alle spalle di Léon.
Il ragazzo, vista la strana faccia dell’amico, decise di girarsi prima di trovare una scusa plausibile «Porca puttana perché si è dimenticato il riassunto di inglese.» disse poi.
Zoe lo guardò un po’ stranita, ma Léon era sicuro che se le avesse detto la verità, e cioè che Marco era rimasto emotivamente scioccato dalle sue gambe lunghe e sottili che spuntavano nella loro lunghezza e sottigliezza dal vestito grigio che la ragazza indossava, ci sarebbe rimasta ancora peggio.
«Ma è per domani...»
«Sì ma... oggi pomeriggio devo studiare greco e non mi va di fare anche inglese. Comunque qui c’è l’ultima brioche, è tardi, andiamo?» blaterò Marco, cercando di mantenere un certo contegno.
Zoe li guardò ancora qualche secondo come se si stesse chiedendo se fossero i suoi amici o degli alieni, poi scrollò le spalle e andò verso la porta d’ingresso.
Léon tirò una gomitata a Marco, soffocando una risata «Contieniti, pero!»
«Io?! Lei! Non aveva detto niente più gonne?!»
«Infatti quello è un vestito...»
 
All’intervallo i fantastici quattro fecero un giro della scuola (nonostante la frequentassero già da tre anni c’erano così tante scale e così tanti corridoi che Zoe rischiava di perdersi due o tre volte all’anno), Zoe mangiando la brioche e gli altri tre rifiutando i pezzi di quella che lei offriva.
Fortunatamente per Zoe ad un certo punto incontrarono Lorenzo Scotto, con il quale la ragazza continuava ad essere in buoni rapporti, che ricevette in dono l’ultima parte di brioche.
«Zoe, devi mangiare!» la redarguì Adele.
La ragazza sbuffò «merde, ho mangiato una brioche gigantesca questa mattina, e ho bevuto anche la cioccolata! Se vado avanti così altro che anoressia, potrete mangiarmi al posto del tacchino a Natale!»
«Mi dispiace deluderti, ma sinceramente credo che nessuno di noi a Natale mangi... Zoe?» la chiamò Marco, vedendo che si era fermata davanti alla bacheca degli annunci e stava leggendo qualcosa con molto interesse.
Si avvicinarono anche loro «Uhm, ti interessa far parte di una band heavy metal, prendere ripetizioni di francese o acquistare un libro usato?» chiese Léon.
Zoe scosse la testa «No, odio l’heavy metal, e per quanto riguarda il francese non ti rispondo neanche. Mi interessa quello.» rispose, indicando un foglio tra i pochi firmati dalla vicepreside e quindi della scuola.
«Il corso per il patentino? Per il cinquantino? Ma si fa in prima!»
«Lo so, ma non l’ho fatto perché non lo trovavo utile, visto come progettavo fosse la mia vita. Però ho sempre amato la Vespa, non mi dispiacerebbe averne una.»
«Beh, che problema c’è? Vai in segreteria e ti iscrivi, c’è scritto lì!» esclamò Adele.
«Sì, ma un problema c’è! Leggi qui.»
«La prova tecnica? Perché è un problema?»
«Perché non ho idea di come si guidi! La teoria la so bene, la ripassavo con Léon quando ha dato l’esame lui, ma nessuno dei miei genitori ha mai avuto una moto, quindi non ho mai fatto pratica. Quindi mi bocceranno di sicuro!»
Il pessimismo naturale di Zoe andava peggiorando a vista d’occhio, pensarono i tre, bisognava fare qualcosa. E Marco sapeva cosa.
«Basta che trovi qualcuno che ti insegni.» disse infatti.
Zoe sospirò «E chi?»
Léon capì quello che Marco voleva fare, e per espiare la colpa di quella mattina disse «Beh, Marc ha la moto ormai da due anni e non ha mai preso una multa né ha mai fatto un incidente! Potrebbe darti lui una mano!»
Zoe spostò lo sguardo da Léon a Marco «Lo faresti? Sei sicuro?»
Marco sorrise «Certo che lo farei! Dovresti esserne onorata, sono il migliore insegnante in circolazione. Hai un casco?»
«Non credo...» «Beh, ne ho io uno di riserva. Vogliamo cominciare già oggi pomeriggio?»
«Oh, va bene... Aspetta, non dovevi studiare greco?»
Marco aveva stranamente la risposta pronta «Beh, tu non sei mica un miserrimo riassunto di inglese! Allora?»
«Ahahah, grazie, sono molto onorata. Comunque va bene, grazie! Adesso però ci conviene tornare in classe, prima che decidiate di propinarmi qualcos’altro da mangiare.»
Rientrati in classe furono accolti da grida di gioia e festeggiamenti.
«Ok, cosa diamine è successo?» chiese Adele, preoccupata.
Un loro compagno di classe, Paolo, andò loro incontro dicendo «La prof sta assente questa e tutta la prossima settimana! La settimana delle verifiche! Saltiamo tutte le verifiche!!!»
Prima che uno qualunque di loro quattro potesse anche solo elaborare l’informazione, Paolo si avventò contro Zoe e la prese in braccio, poi la fece girare ridendo dei suoi insulti.
Chi non rideva per nulla era Marco, al quale Léon dovette dare più di una gomitata prima che smettesse di fulminare il compagno con lo sguardo.
“Ah, ma oggi pomeriggio non ci saranno rompicoglioni, non mi resta che attendere...” pensò, per farsi forza.
 
Quel pomeriggio quando arrivò davanti a casa sua Marco trovò Zoe fuori dal cancello ad aspettarlo. Con sua somma gioia si era messa qualcosa di più consono ad un viaggio in moto, anche se vederla con i jeans era comunque strano.
Mise la moto sul cavalletto e passò un casco alla compagna.
«Mi sono resa conto che c’è un problema...» disse lei prendendolo.
Nei secondi precedenti al continuo della frase, Marco pensò a tutti i peggiori problemi possibili, compresa l’Apocalisse e un qualche disastro naturale. Quindi, quando Zoe si limitò a dire «Su un cinquantino in due non ci si può andare» dovette trattenersi dallo scoppiare in una risata liberatoria.
«Come sei ingenua, piccola Zoe! È una delle regole meno rispettate del codice stradale. Non ci faranno una multa per questo! Dai, sali.»
Titubante, Zoe accettò «Devo attaccarmi a questa specie di portapacchi qui dietro o a te?»
«Non voglio sapere cosa intendi con “questa specie di portapacchi”... comunque dove vuoi, basta che ti tieni. E anche forte, è meglio.»
«Forte? Perché?!»
Marco scese dal cavalletto e mise in moto sogghignando «Perché l’altra regola poco rispettata è il limite di velocità!»
Non erano neanche arrivato in fondo alla strada che Zoe gli si era già attaccata saldamente come un mollusco ad uno scoglio, gridandogli in un orecchio di rallentare e altre cose in francese che non capì ma immaginò fossero perlopiù insulti.
Quando arrivarono al parcheggio deserto del cinema dove avevano deciso di provare, e finalmente Marco spense il motore, Zoe scese dalla moto molto più bianca del solito e tremando.
«Non fare mai più una cosa simile.» balbettò «Se si chiamano limiti massimi di velocità, e non minimi, c’è un motivo!»
Marco ridacchiò «Credimi, dopo un po’ i 50 cominciano ad annoiarti, e quando finalmente ti fai togliere i blocchi dai freni ti senti in paradiso. Ora vuoi iniziare questa lezione oppure no?»
Le spiegò brevemente i comandi e le lasciò fare qualche giro del parcheggio. Quando, circa mezz’ora dopo, riuscì finalmente a fare tutto ad una velocità superiore ai 10 km/h (ma non più dei 20) senza incertezze e fermandosi agli stop, e tornò davanti all’amico, il pallore e il tremore erano scomparsi.
Marco la aiutò a mettere la moto sul cavalletto poi finse di aspettare prima di dare un giudizio.
«Allora? Come sono andata? Lo so, ho saltato quello stop là in fondo, ma insomma...» cominciò a straparlare lei togliendosi il casco, rossa in viso per l’agitazione e per l’aria fredda.
«Calma, calma! È solo la prima lezione, insomma, cose basilari... ma sei stata bravissima! Un altro po’ di lezioni e sarai...»
“E sarai pronta per il patentino” avrebbe voluto dire, ma fu letteralmente travolto dall’abbraccio spezza-costole di Zoe.
«Grazie, grazie, grazie, grazie!» cominciò a ripetergli, frammentando le parole con delle risatine nervose per l’ansia.
Il ragazzo rimase piacevolmente stupito da cotanta manifestazione di gratitudine «Beh, prego. Per te ci sono sempre, te l’ho detto.»
Zoe si ritrasse un po’ imbarazzata, forse rendendosi conto di aver esagerato, visti i precedenti.
«Sì, beh... sì, grazie. Torniamo? Fed si starà preoccupando... Giuro che stavolta stringo di meno!»

--
Buonaseeera! Come va? Siete stati colpiti da un qualche disastro naturale/un serial killer vi ha rapiti?
No? Allora perché non recensite? -.-
Ringrazio il mio Madelino1601 per essere così aignante da averlo fatto comunque <3
Allora, direi che particolari appunti da fare in questo capitolo non ne ho! Il titolo è preso da "Gli anni" degli 883 (in onore della mia amica che assolutamente non può sopportarli), e anche il giro in moto dei nostri due adorabilissimi amici. Perché dai, non sono adorabili?! *-*
Le informazioni sul cioccolato le ho prese da Wikipedia e dalle mie scarsissime conoscenze in chimica, quindi non assicuro nulla.
Al prossimo capitolo, con una svolta! ;)

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Capitolo 16
*** 16. Eiffel ***


La nostra vita con Zoe

16. Eiffel

Zoe passò l’esame del patentino al primo tentativo e con un solo errore, e la pratica senza neanche uno, grazie alle settimanali lezioni di Marco. Purtroppo però Fed, apprensiva come ogni madre, le disse chiaramente che non le avrebbe comprato una moto, almeno non in un futuri prossimo. Zoe accettò di buon grado, era troppo eccitata per protestare.
La sfortuna volle che Marco si fosse ammalato qualche giorno prima dell’esame, e a causa della convalescenza e della gita imminente sua madre non gli diede il permesso di uscire con i due amici per festeggiare.
Non che avessero intenzione di fare chissà cosa, si limitarono a passare la serata in un bar (non il solito bar, senza Marco sarebbe stata un’eresia) che aveva aperto da poco e attirava molti ragazzi.
Il post era bello, la musica non troppo alta, le luci non troppo abbaglianti né troppo soffuse.
«Cosa prendi?» chiese Léon all’amica, avvicinandosi al bancone.
«Una Coca Cola con ghiaccio. Sì, ho deciso di non bere più, in nessuna circostanza. Dopo la Festa ho capito... i rischi, sì.»
Léon sorrise, comprensivo, e ordino la Coca e una birra per sé.
«Allora, come ci si sente ad essere idonei alla guida di un ciclomotore?» le chiese, ammirando il foglietto verde che Zoe aveva già messo nel portafoglio.
«Bene, mi sentirei ancora meglio se mia madre avesse deciso di prendermi la moto... Ma non si può avere tutto dalla vita! Magari se continuo ad andare bene a scuola me la prende a giugno.»
«Non impegnarti troppo, che diventi più brava di me!»
«Non mi impegno, ho una cosa che si chiama memoria fotografica!»
Chiacchierarono del più e del meno per tutta la sera, ridendo e scherzando e sorseggiando le loro bibite.
«Zoe, posso farti una domanda... strana?» tentò Léon ad un tratto.
La ragazza si irrigidì immediatamente «Strana in che senso?»
«Nel senso che la birra mi fa un po’ straparlare, ma niente di grave. Non fare quella faccia, no voglio chiederti di sposarmi!»
Zoe parve rilassarsi un po’ «Dai, dì questa cazzata!»
«Sei innamorata, Zoe?»
Lei sentì di nuovo il respiro bloccarsi in gola e la temperatura corporea aumentare improvvisamente, tanto che le guance cominciarono a bruciarle e, poteva saperlo, a diventare sempre più rosse.
A Léon sarebbe bastata questa reazione come risposta, ma lei si affrettò a rispondere «Innamorata? Oh, no. Non direi.»
«Come non direi?! Zoe, uno sa se è innamorato!» rise Léon, pensando poi però al povero marco che aveva impiegato quasi due anni a rendersene conto.
«Beh, allora no. Perché?»
«Boh, ho notato che in questi giorni sei sempre molto allegra, sorridi spesso, non ti sei neanche incazzata con Marc quando si è offerto al tuo posto!»
Zoe sospirò mescolando i cubetti di ghiaccio «Sto semplicemente cercando di godermi la vita nonostante tutto. Mi aiuta, e aiuta anche Fed.»
«Ah, scusa, hai ragione. Come sta?»
«Lei dice che sta bene, ma lo fa solo per non farmi preoccupare. Ci stiamo accanto, è l’unica cosa che possiamo fare no?»
«Dille che un giorno veniamo io e Marco a pranzo, o a cena! Ci manca la sua cucina.»
«Dice sempre che le mancate anche voi, quindi direi proprio che...»
«Ehi, Eiffel.»
Léon non aveva quasi sentito quella voce alle sue spalle, quindi impiegò qualche secondo a capire perché Zoe, passata dal rossore al pallore in un istante, stesse fissando con occhi sbarrati un punto impreciso dietro di lui.
Si voltò.
Dietro di loro c’era un ragazzo, presumibilmente della loro età, piuttosto alto e slanciato, con le spalle larghe e la schiena stranamente rigida. Aveva i lineamenti un po’ irregolari, il naso piuttosto grande, la mascella non molto marcata, gli occhi grandi e scuri, i capelli pettinati in un ciuffo forse un po’ troppo lungo.
«Eiffel.» ripeté questo, con una voce assurdamente stridula, mentre negli occhi gli si accendeva una scintilla di cattiveria che rispecchiava perfettamente il sorrisetto cattivo che gli segnava il viso.
«Da quanto tempo. Cosa ci fai qui? Credevo fossi partita per dove cazzo volevi andare, tipo a Fanculo.»
Léon spostò lo sguardo dal ragazzo a Zoe, aspettandosi una delle sue solite risposte a tono: la ragazza però sembrava paralizzata, gli occhi sbarrati, la bocca semiaperta e il viso pallido come quello di un cadavere.
«Beh? Hai perso la parola? Strano, mi sembrava che sapessi ancora parlare, visto che sei venuta fino a casa mia ad implorare il mio perdono, dopo l’incidente.»
Incidente? Di cosa diavolo stava parlando quel ragazzo?
«Scusa, sei sicuro di non aver sbagliato persona?» s’intromise Léon, dubbioso.
Il ragazzo parve notarlo solo in quel momento «Oh, guarda un po’ Eiffel, fai conquiste! Chi è questo ragazzo, un’altra delle tue vittime? Dimmi un po’, sa tutto di te?»
«Cosimo, sta’ zitto.» disse a quel punto Zoe, con voce tremante.
Cosimo accentuò il sorrisetto cattivo «Ah, quindi non lo sa! Dopo di me hai deciso di non dirlo più a nessuno, eh Eiffel? Mi sembra una grande idea, senza dubbio! Ma cosa succederà se un giorno ti ricapiterà quello che è successo quella volta? Non ti basta avere mio fratello sulla coscienza?»
«Tuo fratello sta benissimo, razza di stronzo.»
«Sta’ zitta, Eiffel! Non è di sicuro grazie a te che si è ripreso!»
«Beh, neanche grazie alla tua stronzaggine.»
«Ti ho detto di stare zitta!»
Come per magia Zoe chiuse la bocca e abbassò lo sguardo.
A quel punto Léon, che non accettava che la sua migliore amica venisse trattata così male dal primo che passava, si alzò in piedi e si piantò davanti al ragazzo «Hai qualche problema con Zoe? Perché sei hai un problema con lei ce l’hai anche con me. Vuoi discuterne?»
La mole di Léon dissuase Cosimo dall’andare avanti a discutere, quindi si limitò a lanciare un’ultima occhiata a Zoe e a dirle con tono di scherno «Ciao ciao, Eiffel, è stato proprio un piacere.»
Appena fu scomparso tra la gente Léon si voltò di nuovo verso Zoe, alla ricerca di una spiegazione. Lei però non sembrava volergliene dare, fissava il vuoto davanti a sé con aria assente, e spaventata.
«Léon... c’è un’altra uscita?» mormorò, così piano che il ragazzo dovette sporgersi verso di lei per sentire.
«Credo che quella porta dia sulla strada, ma non so se si può uscire... freghiamocene, mi sembra meglio.»
Prese l’amica per un braccio e la trascinò in strada; faceva quasi impressione, sembrava di trasportare una bambola o qualcosa del genere.
Quando furono abbastanza lontani dal locale, in una strada dove c’era poca gente, Léon prese Zoe per le spalle e la fece girare perché lo guardasse negli occhi.
«Ora Zoe tu ti calmi, fai un respiro profondo e mi spieghi cosa diavolo è successo là dentro. Chi cazzo era quello?!»
«Cosimo...»
«Questo mi sembrava di averlo capito, grazie! Quello che intendevo era, perché quel ragazzo ti ha aggredita in quel modo? Cosa gli hai fatto?»
Zoe stava tremando, ma cercò di fare un respiro profondo per calmarsi e disse «È una storia lunga... lunga e complicata. Delle medie.»
«Zoe, ti ha detto delle cose strane e brutte, posso sapere a cosa si riferiva oppure no?»
Lei stava per mettersi a piangere «Léon, ha ragione, ho fatto delle cose orribili alla sua famiglia... Non farmelo dire, ti prego! Mi odierai!»
Léon l’abbracciò piano «Zoe, sei la mia migliore amica, non posso odiarti. E ti giuro che non lo dirò a nessuno, se è questo che ti preoccupa.»
Zoe cercò di nuovo di calmarsi il più possibile, poi cominciò a raccontare.
 
«Le medie sono gli anni dei primi amori, no? Di quelli che il cuore comincia a batterti furiosamente, le farfalle ti volteggiano nello stomaco, le mani sudano, le ginocchia tremano, perdi la capacità di articolare una frase sensata e scoppi a ridere istericamente, e non hai idea del perché. Di quelli che ci rimani scottato, anzi bruciato fino all’osso.
O almeno è quello che successe a me. Credo sia stato quello che la gente definisce colpo di fulmine, di quelli che t’impalano lì dove sei e puzzi metaforicamente di bruciato per dei giorni. Eravamo in seconda media, e un giorno mentre stavo parlando con una mia compagna di classe vidi lui, Cosimo. Era stato nella classe accanto alla nostra anche l’anno precedente, ma non l’avevo mai notato. Strana la vita, eh? Stai chissà quanto accanto ad una persona senza notarla, poi un giorno puf! quella persona diventa tutto.
Dunque, mi presi questa cotta spaventosa per Cosimo. Ma tu mi conosci, sai quanto sono timida in realtà. Quindi non feci assolutamente niente, se non informarmi su come si chiamava e cominciare a riempire libri e quaderni di cuoricini.
Poi, un bellissimo giorno, una mia amica diventò la ragazza di un suo amico e finalmente riuscimmo a conoscerci. A quei tempi non ero ancora così... strana come adesso, stavo appena iniziando. Ero estremamente taciturna, ma con un’immaginazione fuori dal comune, e non mi divertivo a fare quelle cazzate che facevano loro, come andare al cinema tanto per passare il tempo o trascorrere intere serate in sala giochi. Sai, quelle sono stranezze che a quell’età rischiano di farti appiccicare addosso l’etichetta di “diversa”, che è anche un segnale di pericolo per quelli “normali”.
Fu più o meno quello che successe a me. Eravamo abbastanza amici, io e Cosimo, ma continuavo ad avere l’impressione, giusta, di non piacergli affatto. Capii che era per le mie stranezze, quindi cercai di adeguarmi alla massa. No, non fare quella faccia: so che suona strano, io che difendo sempre a spada tratta le mie idee, spontaneamente omologata alla massa. Ma dopotutto, cosa non si fa per amore?
Funzionò, per certi versi. Cosimo sembrava vedermi con occhi diversi, uscivamo insieme più spesso, passammo quasi tutta l’estate vedendoci ogni giorno, a settembre la nostra scuola organizzò un viaggio studio in Inghilterra e ci andammo assieme. Fu una cosa splendida: avevo già una passione per l’Inghilterra, ma se devo essere sincera fu lì che sbocciò l’amore. In ogni senso. Sì, siamo stati assieme per quei dieci giorni, forse grazie alla lontananza da casa, forse perché stavamo crescendo, forse perché i soliti amici non c’erano, forse perché lui era più se stesso.
E io, da inguaribile romantica quale sai che sono, credetti davvero che tutti sarebbe stato così anche una volta tornati in Italia. Ovviamente non successe, appena tornammo Cosimo cominciò a comportarsi come se non fosse successo nulla, e quando gli chiesi perché rispose che non era mai stato niente di serio. Finsi di essere d’accordo. Ma potevo mentire a tutti, tranne che a me stessa: smisi di mangiare, quasi completamente, e spesso ero colta da crisi di nervi. Fed era preoccupatissima, ma io continuavo a dirle che era tutto stress per la terza, l’esame e la scelta della scuola. Volevo andare allo Scientifico, sai? Cosimo sarebbe andato lì, tutto il nostro gruppo ci sarebbe andato. Fu lui stesso a chiedermelo, in uno di quegli assurdi momenti di incoerente dolcezza, quando eravamo tutti assieme a casa di qualcuno e lui ricominciava a comportarsi quasi come quando eravamo in Inghilterra.
Poi una sera avemmo l’incidente. Suo fratello Leonardo aveva diciotto anni a quel tempo, e i suoi gli avevano appena preso la macchina. Così una sera che dovevamo uscire gli chiedemmo un passaggio. Era una persona adorabile, simpatica e gentile, e ci capivamo alla perfezione, tanto che volle me davanti con lui al posto del fratello. Solo che quel giorno io e Cosimo avevamo litigato, anche per questo motivo, quindi io non avevo mangiato nulla e avevo i nervi a pezzi. E quindi niente, ebbi una crisi di nervi, di quelle in grande stile. Cosimo era l’unico che sapeva che ne soffrivo, Leonardo si spaventò e, cercando di capire cos’avessi, perse il controllo dell’auto e uscì di strada. Prese in pieno il guardrail. Ne uscimmo vivi tutti, stranamente, ma non illesi: Cosimo si ruppe un sopracciglio e si slogò una spalla, niente di grave, come i nostri amici seduti dietro con lui. A me e Leonardo andò molto peggio.
Io mi ero slacciata la cintura, cercavo aria, quindi mi ritrovai sbalzata fuori dal finestrino. Ho ancora le cicatrici, sulle braccia. Mi ruppi un braccio, e successe qualcosa alle mie terminazioni nervose per cui da quel giorno non sento più il caldo e il freddo, a meno che non siano esagerati. È per quello che quando tu, Marco e gli altri vi mettete il piumino io continuo a mettermi il cappotto, sì.
Leonardo la cintura l’aveva allacciata ma si sa, chi guida è sempre chi si fa più male. L’airbag fece il suo dovere, ma lui si ruppe due costole e per non so quale motivo entrò in coma. Ci rimase per più di un mese, sembrava irrecuperabile, credevamo tutti che sarebbe morto. È per questo che Cosimo mi odia, perché pensava che avessi ucciso suo fratello, ed è per questo che tutti quelli del nostro gruppo cominciarono ad evitarmi. Tutti cominciarono a farlo, in verità.
Ero quella pazza, nonché autolesionista e anoressica, che aveva quasi ucciso Leonardo, che era conosciuto da tutti perché fratello di Cosimo.
Cambiai decisioni, mi iscrissi al Classico proprio l’ultimo giorno possibile. Ho rischiato di non essere accettata, sai? Per fortuna ce l’ho fatta.
Non parlai più con nessuno, neanche con lo psicologo da cui mi mandarono i miei. Nei momenti più cupi penso ancora di essere stata io una delle cause della loro separazione, anche se riflettendoci mio padre aveva già l’altra donna.
Comunque, dopo le medie non vidi più nessuno di loro. Tranne Leonardo, che appena fu di nuovo in grado di muoversi picchiò suo fratello per quello che mi aveva detto e fatto e venne a scusarsi da parte sua. Non credo proprio che Cosimo volesse scusarsi, ma è stato un pensiero gentile. Ogni tanto ci sentiamo ancora, io e Leonardo.
È per questo che ero così... strana e scostante, all’inizio della scuola. Continuavo a colpevolizzarmi per quello che era successo, non volevo legarmi a nessuno per evitare di far male a qualcun altro. Poi però siete arrivati tu e Marco, e Adele, e tutti gli altri. Non sapevate nulla di me e siete voluti diventare miei amici. Ma se adesso che sai che razza di persona sono ti è passata la voglia di essere mio amico, ti capisco.»
«Zoe, che cazzo stai dicendo?»
La ragazza alzò gli occhi lucidi verso l’amico «Cosa?»
Léon la prese per le spalle «Zoe, tu non hai fatto niente. È stata tutta colpa di Cosimo, è a causa sua che hai avuto quella crisi e distratto Leonardo. Non è colpa tua, ed io continuerò ad essere tuo amico. Tutti noi continueremo a farlo, se...»
«No! Non lo dire a nessuno! Lo sapete solo tu e Adele.»
«Ok, va bene. Marco?»
Zoe restò zitta per qualche secondo «No, lui è meglio se non lo sa. Non so come reagirebbe e non voglio... che lo faccia troppo male.»
Il quel silenzio prima, e poi in quella risposta sospesa, Zoe mise più di quanto avrebbe voluto. Léon se ne accorse, ma era un buon amico e rimase zitto. Tuttavia era felice che Zoe si fosse finalmente aperta del tutto con lui.
O almeno così credeva.

--
No, non sono morta. A meno che voi non mi stiate lanciando oggetti contundenti, ma spero di no!
Ho solo avuto qualche problema, qualcosa tipo "occupazione", "fine del pentamestre" e canonico "blocco dello scrittore."
Ma mi auguro che questa botta vi risollevi! Alla prossima ;)

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Capitolo 17
*** 17. Vacanze Romane ***


La nostra vita con Zoe

17. Vacanze Romane

 
Come promesso, non ne parlarono più.
Continuarono le loro vite come se non fosse mai successo niente, come se Cosimo non fosse mai emerso dalla sabbia dei segreti di Zoe.
Léon non disse niente a Marco di cip che Zoe aveva lasciato trasparire quella sera, si limitò ad aiutare l’amico nei suoi strani piani per la conquista della ragazza, che andavano dal far colazione assieme ogni mercoledì allo studiare assieme per ogni interrogazione e verifica. Ciò aveva sicuramente portato ad un netto miglioramento dell’andamento scolastico di Marco, ma a niente di più.
Zoe, ignara della frustrazione del ragazzo, continuava a comportarsi come se nulla fosse, gli aveva anche promesso che sarebbe stata seduta vicino a lui nelle sei ore di pullman che li avrebbero portati a Roma per la grande gita. L’evento dell’anno, come lo chiamavano in molti.
Purtroppo per Léon, la classe di Giulia non avrebbe fatto la loro stessa gita: sarebbe stata solo la loro classe, e la fortuna li aveva assistiti ulteriormente accompagnandoli a due dei prof più incapaci e buoni.
“Sarà un disastro.” pensò Zoe la mattina della partenza, mente più addormentata che mai cercava di farsi una treccia. Aveva già sentito molti compagni parlare di alcolici, fumo e chissà cos’altro.
“Sarò anche noiosa e antipatica, ma non ho intenzione di fare uso né abuso di cose simili.” aggiunse, rinunciando al progetto treccia; il sonno era tanto e la concentrazione molto poca. I capelli sciolti sarebbero andati benissimo, per un viaggio di sei ore in pullman.
«Zoe? Sei pronta? Guarda che il pullman non aspetta te!» la chiamò Fed da sotto.
«Fed, quando capirai che nonostante tutto io arrivo sempre in orario, anzi, sono sempre tra i primi?» le rispose lei, tra una risata e uno sbadiglio, trascinando la valigia già dalle scale.
Fed le sorrise e l’aiutò a caricare il bagaglio in macchina.
«Come mai hai i capelli sciolti? Troppo stanca per farti una treccia?»
«Non ne hai idea... Dovrebbe essere illegale partire prima delle sei e mezza di mattina!»
«Dai su, almeno arriverete per pranzo. E potrai dormire un po’ in pullman, se pensi di riuscirci!»
«Con quelle belve che mi ritrovo per compagni di classe? Sei troppo ottimista, Fed.»
Rimasero un po’ in silenzio, Zoe guardava il cielo ancora grigio fuori dal finestrino sperando che a Roma il tempo fosse migliore.
«A proposito di compagni... mi raccomando, non fare idiozie.»
Zoe alzò la testa «Di che genere?»
«Zoe, ho avuto sedici anni anch’io, e sono stata anch’io in gita scolastica. Quindi sai benissimo di cosa sto parlando, o no?»
Zoe si girò faticosamente verso la madre con un sorrisetto stanco «Fed, davvero, non preoccuparti. Mi conosci, non farei mai niente di pericoloso. Soprattutto visto che adesso sto meglio. Che senso avrebbe farsi del male così stupidamente?»
Fed sospirò un po’ più tranquilla «Hai ragione, sei responsabile. E poi i tuoi amici non mi sembrano amanti degli stravizi!»
Nel frattempo erano arrivate al punto di ritrovo dove, a sostegno della tesi di Zoe, c’era ancora ben poca gente. C’era Léon, con la faccia di chi la notte ha dormito sì e no due ore, e lì accanto c’era Adele che sorrideva allo schermo del cellulare. Il caro Eugenio Filippo, per gli amici Filippo, era riuscito alla fine a conquistare il cuore della ragazza.
Fed aiutò la figlia a mettere la valigia nel pullman, salutò i professori e i ragazzi, si raccomandò un’ultima volta con Zoe e se ne andò.
«Buongiorno, cari. Léon, quanto hai dormito stanotte?»
«All’incirca due ore. Anzi, un’ora e mezzo. Per fortuna che adesso abbiamo sei ore per recuperare! Adele, avrei intenzione di dormire sulla tua spalla...»
«Tu e i tuoi seicento chili a peso morto sulla mia povera spalla? Non pensarci neanche. Chiedo asilo politico a Zoe!»
«No, Zoe sta vicino a Marco.»
«Se arriva...» aggiunse la ragazza.
«Oh, non si lascerebbe mai sfuggire un’occasione simile.» mormorò Léon, beccandosi una gomitata nelle costole da Adele.
Come previsto, il ragazzo arrivò pochi minuti dopo e rivendicò il suo diritto di precedenza sul posto vicino a Zoe.
«Speravo avessi cambiato idea durante la notte... Ci sto io vicino al finestrino!» esclamò lei, vedendo che la prof stava facendo salire tutti. Zoe aveva sempre considerato quello vicino al finestrino il posto più comodo, secondo solo a quello centrale in fondo. Anche Marco la pensava così, normalmente avrebbe ucciso pur di sedersi lì.
Ma per Zoe, questo ed altro.
«Ciao pero, come stai?» gli chiese infatti Léon, aiutandolo a mettere dentro la valigia.
«Non chiamarmi pero! Posso ribellarmi quando voglio! Solo che non capirebbe...»
«No, infatti, nessuno di noi sa quanto tu detesti stare nel posto vicino al corridoio...»
Marco non rispose, non lo guardò neanche male. Léon la prese come un’ammissione di colpa e cominciò a canticchiare «Pero, pero, sei un pero...» finché non furono sull’autobus.
«Chi è un pero?» chiese Adele.
«Marco!»
«E perché?» aggiunse Zoe.
Léon e Adele trattennero a stento una risata, Marco sospirò e disse «Perché ho sonno e non mi reggo in piedi, e ho fatto cadere tre volte la valigia prima che questo valoroso cavaliere mi desse una mano.»
«Oh, povero marco! Anch’io ho sonno, vieni qui e dormiamo un po’.»
Quando tutti furono seduti, finalmente i prof fecero l’appello e poi partirono. I loro compagni però facevano troppo rumore perché Zoe e marco riuscissero a dormire «Che due coglioni. Ascoltiamo un po’ di musica, valà.» sbottò la ragazza.
Sapendo che non sarebbe mai stata d’accordo con la sua scelta musicale, Marco le passò direttamente l’iPod. Ciò non le impedì di lamentarsi comunque, ma almeno trovò quasi subito una canzone di suo gradimento.
«Ligabue? Non credevo ti piacesse...» esclamò lui, sentendo nelle orecchie le prime note di Certe Notti.
«Beh, non mi piace, mi piace solo questa. Ogni tanto Fed impazzisce, la mette su a tutto volume e la cantiamo a squarciagola. Dice che le ricorda i bei vecchi tempi, allora le do retta.»
Spalla contro spalla, testa contro testa, i due ragazzi cominciarono a canticchiare a mezza voce la canzone.
Quasi non se ne accorsero, cullati dal pullman, che quella era finita...
 
Léon aveva mentito. Non aveva dormito un’ora e mezza, aveva dormito a malapena un’ora.
Aveva parlato al telefono con Giulia tutta la notte, dato che non si sarebbero visti per tre giorni e lei non poteva andare a salutarlo alla partenza. Avrebbe voluto riposarsi in pullman, aveva anche trovato una posizione relativamente comoda appoggiando la testa al finestrino, per quanto quello fosse freddo. Bastava solo rilassarsi un attimo e...
«Léon! Léon! Svegliati!»
Adele non era come Zoe. Se Zoe cominciava a scuoterti, l’effetto era pressoché nullo, il fastidio era quello di un moscerino.
Se invece era Adele a scuoterti, facendoti oltretutto sbattere ripetutamente la testa contro un vetro, l’effetto era molto e molto fastidioso.
«Cosa cazzo vuoi?» biascicò aprendo un occhio.
«Ecco un chiaro esempio di francesismo...» lo canzonò lei.
«Adele, ho dormito meno di un’ora stanotte. Voglio riposarmi, e invece tu cominci a scuotermi come se mancassero cinque minuti all’Apocalisse. Perciò sarà meglio che sia davvero così, altrimenti non assisteremo alla fine del mondo ma alla tua.» rispose lui, seccato.
Adele fece un sorrisetto «Non so se equivalga all’Apocalisse, ma di sicuro è degna di nota!» disse, spostandosi in modo che Léon potesse vedere l’altra metà di pullman.
Nei sedili dall’altra parte di corridoio, Zoe e Marco dormivano. Metà della classe lo stava facendo, anche Léon avrebbe voluto farlo.
Ma loro due stavano dormendo quasi abbracciati. Gli auricolari erano scivolati, emettevano ancora un flebile suono che però non li disturbava affatto. Zoe aveva appoggiato la testa alla spalla di Marco, la sua invece era inclinata dall’altra parte; le braccia erano incrociate, in una sorta di mezzo abbraccio che doveva essere in realtà piuttosto scomodo, ma di quello se ne sarebbero accorti solo al risveglio.
«Non sono una delle cose più adorabili del mondo?» sussurrò Adele.
Léon sorrise «Sì, è vero. Come vorrei che fossero sempre così, anziché far finta di non capirsi...» aggiunse.
Adele sospirò «Lo vorrei anch’io. Ma sono due coglioni. Lei soprattutto, perché non credo davvero che non se ne sia accorta!»
«Ah, quindi lei...?!»
«Léon, sii serio. Siete i suoi migliori amici, no? Ti sembra che vi tratti nello stesso modo?» chiese Adele, con tono ironico.
«No, sembra che tratti meglio me. Ma lo so che fa apposta, anche se non so perché lo faccia. O forse c’entra la sua vecchia storia...»
Adele si fece immediatamente più attenta «Quella storia? Te l’ha raccontata?»
«Sì, qualche sera fa. Abbiamo incontrato quel ragazzo, Cosimo, che ha cominciato ad insultarla, e alla fine l’ho convinta a dirmi cos’era successo. Però non capisco perché non si lasci andare con marco, insomma, non può avere ancora paura di quelle crisi di panico...»
Sul viso di Adele passò per un secondo un’espressione indecifrabile «No, non credo sia per quello. Dormi, dai. Se dovessero esserci sviluppi interessanti, provvederò a svegliarti.» disse, risedendosi bene.
 
Se si esprime un desiderio lanciando una monetina nella Fontana di Trevi, la leggenda vuole che quello si avvererà.
Marco generalmente non credeva a queste cose, ma mentre sorrideva all’obiettivo della macchina fotografica di Zoe in mano ad un passante che immortalava loro quattro che lanciavano centesimi in acqua, pensò che ci avrebbe volentieri lanciato l’intero portafoglio se ciò avesse potuto aiutarlo.
Si stava ancora mentalmente insultando per essersi reso conto che Zoe gli si era addormentata addosso quando ormai era troppo tardi, ovvero quando si erano già svegliati. Oltretutto aveva ancora un braccio indolenzito, quello che aveva inconsapevolmente retto il peso della ragazza per tutto il viaggio, quello a cui lei continuava ad aggrapparsi ogni volta che voleva fargli vedere qualcosa.
«Zoe, va bene che la sensibilità rimasta a questo braccio è ben poca, ma tra un po’ me lo stacchi...» disse, cercando di liberarsi dalla sua presa.
Lei però non demordeva «Guarda che bella questa foto! Sono venuta bene persino io!» esclamò, sventolandogli sotto il naso la macchina fotografica.
La foto era effettivamente molto bella. Stavano tutti e quattro lanciando la moneta nella fontana; Léon spiccava nell’angolo con la sua maglia a righe bianche e verdi, accecato dal sole e colto a metà della risata; Adele, al suo fianco, era l’unica abbastanza seria, anche se l’auricolare dell’iPod che le passava davanti al naso sminuiva un poco la sua serietà; al suo fianco c’era Zoe, colta all’apice della risata, con gli occhi chiusi e la testa piegata all’indietro. Sulla sua maglia spiccava una bandiera inglese, coordinata con la felpa di Marco, che chiudeva la fila sorridendo, con un braccio attorno al collo di Zoe.
Marco sorrise «È molto bella. La metterai nella cornice?»
Per Natale, Adele le aveva regalato una bella cornice, grande come metà parete e con lo skyline di Londra attorno, e Zoe la stava pian piano riempiendo di foto.
«Se in questi tre giorni non ne faremo di più belle, di sicuro.»
«Per fare delle belle foto non dovresti esserci tu, Zoe!» s’intromise Adele.
«Simpatica eh...»
«Ma no, intendevo dire che le foto sono più belle quando le fai tu, riesci a far venire bene tutti!»
Zoe arrossì un poco, come sempre quando le facevano un complimenti.
«Perché, Zoe fa delle belle foto?» chiese Léon, affiancandosi agli amici.
«Niente di speciale!» si schernì la francese «Ho fatto un corso, mi hanno regalato la macchina e mi piace fare le foto!»
«Sono molto belle! Tutte quelle che ha nella cornice le ha fatte lei!» continuò imperterrita Adele, che evidentemente trovava molto divertente il progressivo arrossire dell’amica.
«Veramente? Allora da questo momento ti proclamiamo fotografa ufficiale della gita!» esclamò Marco, mettendo al collo dell’amica la macchina fotografica con aria solenne.
Zoe sorrise, arrossendo ulteriormente «A Roma c’è troppa roba da fotografare, non so mica se avrò tempo da dedicarvi!»
«Beh, potremmo farle stasera in camera, a meno che non vogliate darvi all’alcol come progettano gli altri.» disse Léon, indicando i compagni.
«No, grazie. Ho detto no all’alcol, e sì al dormire. O allo stare con voi, se volete le foto.» rispose Zoe, scattandone una ad una statua lì vicina.
«Allora, stasera foto! Adesso però ci conviene sbrigarci, se non vogliamo perderci per Roma...»
 
Zoe e Adele, dopo una lauta cenetta al ristorante dell’albergo (pasta molto scotta e carne molto dura, che Zoe era stata costretta a mangiare dato che gli amici si preoccupavano ancora per la sua alimentazione), erano in camera ad aspettare i due amici. Avevano deciso di stare da loro perché la loro stanza aveva il balcone ed era abbastanza lontana dalle stanze dei professori. Per ammazzare il tempo nell’attesa, si stavano dilettando nel cantare Whitney Houston.
O meglio, a martoriare Whitney Houston.
Facevano così tanta confusione, tra improbabili gorgheggi e scoppi di risa, che si accorsero che c’era qualcuno alla porta solo quando questo qualcuno cominciò a bussare così forte da far tremare le pareti.
Zoe andò ad aprire, convinta di trovarsi davanti Marco e Léon, e invece si trovò davanti tutti i maschi della classe, ognuno con una bottiglia di birra in mano.
«Cosa ci fate voi qui?» chiese, un po’ scocciata.
«Cerchiamo Alessandra.» rispose Francesco «Non è camera sua, questa?»
«Evidentemente no. È quella sopra questa.» disse Zoe, sempre più scocciata.
«Ah. Perfetto, grazie Blanchard!» rispose il ragazzo, facendo dietrofront assieme a tutti gli altri.
Zoe chiuse la porta «Bene. Ci danno buca per un birra party. E se quell’idiota mi chiama ancora per cognome giuro che...»
La minaccia di Zoe fu interrotta da un nuovo bussare alla porta.
Adele sorrise «Come sei sempre pessimista! Vedi che sono tornati?» prese in giro l’amica, e aprì la porta. Fu letteralmente travolta dagli stessi maschi di prima, con le stesse bottiglie, che entrarono nella stanza al grido di “Stanno arrivando i prof, nascondeteci!”
Non arrivò nessuno, ma i ragazzi cominciarono a girare per la stanza finché qualcuno non gridò «Ehi, ma anche qui c’è il balcone!»
In meno di cinque minuti, Adele e Zoe si trovarono espropriate della loro camera, usata come base per il birra party.
«Aspettate, c’è un birra party in camera nostra, e non siamo state invitate?» chiese Zoe, sempre più arrabbiata.
«Esatto!» le rispose Paolo.
Adele prese in mano la situazione «Zoe, vai a prendere un po’ d’aria, prima che tu uccida qualcuno.»
La francese sbuffò, sibilò qualche parolaccia nella sua lingua madre e si chiuse in bagno. Da lì, uscì dalla finestra, andò sulla scala antincendio e salì.
 
Marco non vedeva l’ora che tutti organizzassero i loro affari in quel dannato birra party per potersi finalmente rilassare con Léon, Adele e Zoe.
C’era così tanta confusione in camera che si accorse dell’assenza di Zoe solo dopo quasi un quarto d’ora. Preso dal panico, abbandonò le sue bottiglie dove capitava e cercò Adele «Adele! Dov’è Zoe?!»
«Era incazzata, l’ho mandata a prendere un po’ d’aria ma si è chiusa in bagno. Anche voi, potevate evitare di unirvi a questa banda di idioti!!»
«Non l’abbiamo fatto, infatti! Servivano più braccia per portare le birre! Trova Léon, andate in camera nostra; io e Zoe arriviamo tra poco!»
Bussò alla porta del bagno, ma Zoe non rispose «Zoe, sono Marco. Dai, apri, dobbiamo andare con Adele e Léon!» disse, alla porta chiusa.
Zoe continuava ad ignorarlo, lui si appoggiò alla porta e quella si aprì, mostrando il bagno vuoto. E la finestra aperta.
«Oh, santo cielo. Dov’è andata?! Zoe!» esclamò Marco, affacciandosi alla finestra; la scala antincendio passava proprio lì davanti, capì subito che Zoe era salita lì e andata chissà dove. Gli sfuggì un gemito, non amava tanto i posti alti e non molto protetti, ma quello era l’unico modo per far tornare la ragazza. Quindi prese un respiro profondo e scavalcò il davanzale, poi salì sulla scala.
«Zoe!» chiamò, ma lei non rispose «Zoe! Vieni giù, cazzo!»
«Vieni su tu.» si sentì rispondere, da molto più in alto.
Maledicendo mentalmente la ragazza, il suo caratteraccio e il debole che lui aveva per entrambi, Marco salì ben due piani di scale prima di trovarla, in mezze maniche, appoggiata alla ringhiera.
«Non hai freddo?» le chiese. Lei, che si era girata verso di lui, fece una strana faccia e non rispose.
«Dai Zoe, non fare l’incazzata...»
«Potevate avvertire, almeno, prima di invadere la nostra camera per un cazzo di birra party.» disse lei.
«Allora, la scelta della vostra camera è stata un puro caso, erano convinti che stesse arrivando la prof e voi eravate lì vicine. E poi hanno bisogno di un balcone, non hanno solo alcol, non so se mi spiego...»
Zoe fece un sorrisetto e si rilassò un poco, lui si avvicinò.
«Infine, posso giurarti che né io né Léon volevamo farne parte. Avevano troppe bottiglie e troppe poche braccia per portarle. Stavamo aspettando che fossero abbastanza fatti o ubriachi per andarcene senza che se ne accorgessero, poi però ho visto che non c’eri e mi sono... preoccupato.»
Non si era solo preoccupato, si era spaventato a morte.
Non l’aveva vista da nessuna parte, e ovunque c’erano alcolici o peggio, e aveva sperimentato sulla sua pelle la bassa resistenza di Zoe all’alcol. Trovare la finestra del bagno aperta, poi, l’aveva angosciato ancora di più.
Zoe alzò gli occhi verso di lui: c’erano ancora delle accuse, in quello sguardo, ma gli credeva, si vedeva.
Rassicurato, il ragazzo le si avvicinò un altro po’, stando comunque sempre il più lontano possibile dalla ringhiera.
Zoe se ne accorse «Puoi appoggiarti, eh, guarda che non mordo mica.»
Marco scosse la testa «No, soffro di vertigini.»
«E sei salito fin quassù?!» gli chiese lei, incredula.
«Tu non saresti scesa...»
Zoe gli rivolse un sorriso intenerito, si staccò dalla ringhiera e gli si avvicinò. Gli mise le mani sulle spalle «Credi che io sia pazza?» gli chiese.
Lui scosse la testa «No, solo un po’ troppo permalosa! Ma ti... voglio bene soprattutto per questo.» aggiunse, abbracciandola.
Era gelida. Giustamente, era in maglietta su un tetto di notte a metà marzo...
«Zoe, non hai freddo?!» le chiese.
Lei annuì «Un po’ sì. Dove hai detto che sono gli altri?»
«In camera nostra.»
«Avete una finestra? Dà da questa parte?»
«Sì, perché? Oddio, no. Ti prego. Soffro di vertigini!»
«Appunto! Dai, che così ti passa.»

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Chiedo umilmente perdono per non aver aggiornato per tuuuuuutto questo tempo ç___ç
Ho avuto un periodo un bel po' di merda (febbraio-marzo) e poi tutto aprile ho dovuto impiegarlo per tirarmi su, emotivamente e scolasticamente parlando...
Ma vi prometto che tra questo e il prossimo capitolo non lascerò passare così tanto tempo, soprattutto perché ormai ci avviciniamo ad uno dei punti clue della storia!!
Cazzo, questo capitolo l'ho scritto così tanto tempo fa che non mi ricordo se ci sono particolari note o citazioni... Vabbè, a parte quella palese del titolo direi di no!
Al prossimo (più ravvicinato, ve lo giuro!) capitolo!!

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