Gli Imperfetti

di Lady Rea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bullstrode ***
Capitolo 2: *** Parkinson ***
Capitolo 3: *** Zabini ***
Capitolo 4: *** Nott ***
Capitolo 5: *** Intermezzo con Rosier Audrey ***
Capitolo 6: *** Tiger ***
Capitolo 7: *** Malfoy ***
Capitolo 8: *** Greengrass D. ***
Capitolo 9: *** Greengrass A. ***
Capitolo 10: *** Intermezzo con Bones Susan ***



Capitolo 1
*** Bullstrode ***




Gli Imperfetti


 #Bullstrode Millicent


"Non ti sei mai pentita di quello che hai fatto? Non ti sei mai chiesta se era giusto o sbagliato?"
"Non ho mai avuto la capacità di provare pentimento o dispiacere, signor Ministro"



Non era mai stata particolarmente considerata durante i suoi anni a Hogwarts.
Derisa dagli studenti delle altre case per il suo corpo massiccio e poco aggraziato, ignorata dai suoi compagni perché poco socievole.
Sempre silenziosa, si aggirava per la scuola come un fantasma rassegnato alla solitudine.
Ogni tanto si ritrovava per caso nella sala comune della casa, insieme agli altri, quasi partecipe delle loro vite, delle loro emozioni.
Viveva di riflesso l'angoscia di Malfoy, la tristezza di Parkinson, la folle felicità di Zabini, la rabbia sottile di Nott. S'immergeva in quelle emozioni sconosciute, cercando di capirle, di renderle sue.
Tentava disperatamente di far tremare, di gioia o di dolore, quel muscolo che giaceva all'interno del suo petto.
Eppure nulla.
Nessuno sforzo portava risultati.
Tutto era muto e immobile.
Lo era stato quando aveva seppellito suo padre, un freddo Natale di qualche anno fa.
Lo era stato quando venne convocata davanti al Signore Oscuro.
L'unica cosa che ricordava era il lento scorrere del sangue mentre il marchio bruciava sulla sua pelle. La piccola pozza di sangue che s'allargava sotto i piedi del suo Signore.
Suo padre sarebbe stata fiero di lei.
Le avrebbe sorriso, ma lei avrebbe risposto con una delle sue smorfie, pallidi tentativi di provare contentezza.
Millicent Bullstrode avrebbe fatto l'unica cosa che era in grado di fare: ubbidire.




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Capitolo 2
*** Parkinson ***



#Parkinson Pansy




“Se continua a non parlare, a non spiegarci quale posizione aveva la sua famiglia, le conseguenze potrebbero essere gravissime.”
“ … “
“Sul serio? E' questa la sua linea difensiva?”
“ … “





Non era mai stata simpatica, Pansy Parkinson.
Riusciva ad attirare le occhiate maligne di tutta la scuola con un solo gesto, con una sola parola.
Non era mai stata simpatica, nemmeno cordiale con quelli della sua casa.
Era maledettamente orgogliosa di quell'isolamento voluto, quell'aspro tentativo di essere impenetrabile e dura.
Applicava con precisione i pochi insegnamenti che sua madre le aveva impartito a suon di grida e Maledizioni Senza Perdono.
La freddezza è la miglior armatura di una donna; così le ripeteva la madre.
Ogni tanto si concedeva una frase, un breve racconto di un aneddoto, un insulto sussurrato con voce arrochita dalle sigarette babbane che fumava di nascosto, nei bagni dell'ultimo piano.
Nonostante i colpi al viso, il sangue che colava copioso dalla tempia, le mani legate e segnate da centinaia di tagli, le labbra spaccate, la gola secca e le momentanee perdite di coscienza, Pansy non aveva mai parlato.
Non aveva mai supplicato.
Non aveva mai pianto.
Come un soldato addestrato sopportava tutto con una certa stoica indifferenza.
Solo gli occhi fiatavano.
Quegli occhi verdi che mandavano bagliori di accesa e violenta freddezza, il triste preludio di una vendetta.

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Capitolo 3
*** Zabini ***


#Zabini Blaise

“Siamo certi che verrà a testimoniare domani, signor Zabini?”
“Avete la mia parola, signor Ministro.”




L'eleganza delle sue vesti, quel giorno, non riuscirono ad oscurare il suo volto teso, mentre entrava con passo sicuro nell'aula di tribunale e sguardo incrinato da una serie di emozioni che non sapeva definire.
Gioia per essere vivo ed innocente?
Rabbia per dover ubbidire a sciocche regole?
Sconforto per dover condannare qualcuno a morte?
Non lo sapeva e ben poco gli interessava indagare sulla natura di quei sentimenti intricati.
Si sedette su una scomoda poltrona e cominciò a raccogliere le idee, pronto a fare qualunque cosa, pur di scagionarsi completamente.
Rispose con la solita prudenza, attento a non dare troppe informazioni, a non confondere e a non farsi confondersi.
Ma quando alzò lo sguardo incrociò gli occhi spenti e muti di Millicent e una strana stretta al cuore lo fece vacillare per un secondo.
Un tempo erano stati compagni di casa.
Un tempo lui la prendeva in giro per la sua goffaggine, per la sua mole e quello sguardo arcigno che imbruttiva quel volto anonimo.
Un tempo avrebbe atto qualunque cosa pur di veder spuntare un sorriso fra quelle labbra sottili e pallide.
Chinò la testa e rispose velocemente ad un'altra domanda e quando gli fu permesso di andarsene, si precipitò fuori, scordandosi l'etichetta e il savoir faire per una volta.
S'incamminò per i corridoi arrabbiato e deluso, ancora una volta si era dimostrato solo un vigliacco.
Un vigliacco, fedele solo a sé stesso.

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Capitolo 4
*** Nott ***


#Nott Theodore

“Non doveva andare a finire così, Theodore.”
“Padre, è andata meglio di quanto sperassi.”



Erano molte le qualità che veniva riconosciute a Theodore Nott sin dal primo anno a Hogwarts, ma la più ammirata era la sua intelligenza.
Non era scontata e precisa come quella di Hermione Granger, frutto di notti passate a studiare e condite con l'ansia e il senso d'inferiorità; era una intelligenza intuitiva, scaltra e per nulla scontata.

Osservando gli altri aveva iniziato a riconoscere intrighi e tradimenti.
I Tassorosso non erano alla fine così santi come sembravano.
Tutti quei sorrisi e quelle moine celavano tradimenti di ogni genere e una grave mancanza di autostima.

I Corvonero si nascondevano dietro la scusa dei libri e dei compiti pur di non sentirsi inadeguati mentre i cari Grifondoro non perdevano occasione di perdere la testa e diventare protagonisti di assurde scene.
I Serpeverde erano tutt'altra cosa, nessuno di loro aveva paura di mostrare la sua vera natura, Nott meno di tutti.
Preferiva una lettura extra-scolastica alle chiacchiere in Sala, una passeggiata solitaria vicino ai confini della foresta o del lago, l'efficienza delle azioni anziché il ronzio delle vuote parole.
Per questo non si era stupito quando Potter aveva annunciato al mondo il ritorno del Signore Oscuro, per questo aveva fatto di tutto per sembrare innocente agli occhi del Ministero della Giustizia Magica.
Era riuscito a far cadere ogni accusa, ogni possibile dubbio e con sua grande gioia gli furono riconsegnati la sua bacchetta e tutti i beni della sua antica famiglia. Era ritornato a vivere nel vecchio e polveroso castello scozzese, isolato come ad Hogwarts e dedito ai suoi studi sull'Alchimia e la Trasfigurazione.
Interrompeva quei mesi di solitudine voluta solo per incontrare suo padre, per non passare agli occhi degli Auror come il classico figlio ingrato. Durante una delle sue regolari visite, decise per una volta di allontanarsi a piedi, assaporando l'aria frizzante di novembre, cercando di muoversi con disinvoltura per le strade Babbane della capitale.
Voleva raggiungere il centro ed entrare in una libreria, giusto per capire qual'era il livello di preparazione dei Babbani quando i suoi occhi notarono una chioma rossiccia.
Si bloccò, rendendosi conto che solo un idiota non avrebbe pensato d'incontrarla da quelle parti, lei che viveva a poca distanza dal Ministero.
S'impose di girare all'incrocio e di voltarle le spalle ancora una volta, ma il suo sorriso sincero, lo irrigidì completamente.
Fu solo quando lei si avvicinò a lui, una distanza talmente ridicola che un tempo lui colmava con un bacio, si permise di respirare profondamente e rispondere al suo sorriso.
Dopo anni passati ad osservare gli altri e a preparare mosse solitarie, si lasciò andare a un sorriso e all'incertezza del futuro.
L'unica cosa che ora gli premeva fare era baciare quelle labbra sorridenti, al resto avrebbe pensato in un altro momento.




Precisazioni:
{L'identità della ragazza dalla chioma rossa, verrà svelata prossimamente.}




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Capitolo 5
*** Intermezzo con Rosier Audrey ***


Intermezzo con #Rosier Audrey


“Sei triste per lui?”
“No, non credo almeno. Non l'ho mai conosciuto. Mi sono resa conto che sono l'ultima a portare questo cognome.”


Faceva freddo.
Il vento spazzava via foglie e persone, s'insinuava negli abiti e congelava polmoni e porzioni di pelle. Il sole splendeva pallido e lontano, quasi si fosse dimenticato del pianeta e dei suoi abitanti.
Sotto i suoi piedi giaceva la sua famiglia.
La lapide di suo padre recava solo la data di nascita e le iniziali.
Nulla di più e nulla di meno.

Il resto della famiglia aveva almeno la data di morte, reale o presunta.
Tolse con le scarpe qualche foglia morta davanti al pezzo di marmo e si sedette.
-Ciao papà.- sussurrò al vuoto.
-Sai, forse ho trovato quello giusto, intendo di ragazzo. Se tu fossi vivo, mi avresti impedito anche solo di conoscerlo, ma a me non importa. E' comunque un Purosangue, se ti interessa saperlo, tuttavia non ha mai sostenuto la tua causa. E' carino e gentile, un po' troppo ansioso e pomposo certe volte, ma è un difetto che m'intenerisce. Mi ha chiesto di andare a vivere con lui. Per un attimo mi sono lasciata tramortire dal suo lunghissimo discorso sul poco tempo che passiamo insieme, ma poi ho visto quella scintilla nel suo sguardo. La stessa di mamma quando delirava e credeva che saresti tornato. Mi ama, a modo suo certo, ma mi ama.- sospirò e cercò di trattenere i singhiozzi che minacciavano di fuoriuscire. -Invece di essere triste per la tua morte, ne sono contenta. Con te e i tuoi folli ideali al mio fianco, oggi non sarei quello che sono: un buon Auror, una fidanzata e in futuro spero una moglie e una madre.-
Si morse violentemente le labbra e con uno scatto secco si alzò per poi voltare le spalle alle diverse lapidi ed incamminarsi verso l'uscita di quel piccolo cimitero.

Fu solo una volta tornata a casa o meglio a casa di Percy, che si accorse delle mani chiuse a pugno dentro le tasche in realtà tremavano, le spalle ogni tanto sussultavano. Appoggiò la giacca e si tolse la sciarpa, sorrise quando inciampò nella cartella da lavoro di Percy e lo trovò sdraiato sul divano con una pezzo di stoffa bagnato sugli occhi.
La camicia era stropicciata, il maglione era stato gettato lontano, la cravatta allentata e gli occhiali facevano compagnia a una pila di documenti posati sul tavolino che sicuramente aveva cercato di visionare prima di crollare per la stanchezza.

Controllò la temperatura della sua fronte spostando la pezza, ottenendo il solo risultato di svegliarlo dal suo sonno febbrile ed agitato.
-Ehi … Hai le mani congelate.-
-Sei tu che hai la fronte bollente, Weasley. Vuoi che ti preparo una pozione mentre dormi un po' sul letto?-
Percy scosse la testa e si raddrizzò. -No, sto meglio. Ho bisogno solo di una notte di sonno piena.-
Audrey si sistemò accanto a lui e si lasciò abbracciare e distendere. Gli depositò piccoli baci lungo la spalla, arrivando all'orecchio e alla guancia. Sorrise notando che la temperatura della sua pelle non era poi così alta.
Rimasero in silenzio a lungo, beandosi della pace momentanea che si respirava in quella casa.

-E allora? Non mi racconti niente?- chiese improvvisamente Percy.
Audrey aggrottò le sopracciglia e strofinò contro il suo petto la fronte accigliata. -Cosa vuoi che ti dica? Erano solo delle lapidi, le stesse dell'anno scorso.-
-Quindi? Essere l'ultima Rosier non … Non ti colpisce in nessun modo?-
-No. Perché altrimenti non sarei qui con te, Percy.-
Non aggiunsero altro per quella sera.
Non ne avevano bisogno.
Una volta trovato il coraggio necessario, Percy le avrebbe fatto la proposta, chiedendole così di cambiare cognome e di cominciare a scrivere un nuovo futuro.
Audrey avrebbe accettato senza esitare, felice di poter stendere, finalmente, un panno trasparente sul passato.




_//_
*Audrey è un personaggio inserito da JKR come compagna di Percy Weasley. Nulla si sa però sul suo cognome da nubile, sul passato e sulle possibili storie ed intrecci.
Quindi l'idea di affiancarle il nome di Rosier, o meglio la parentela con Evan Rosier, mangiamorte ucciso in duello da Malocchio Moody durante la prima guerra magiva, è di mia inventiva.

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Capitolo 6
*** Tiger ***




#Tiger Vincent




“Siamo sicuri che non ci sia anche il suo amico?”
“No, abbiamo cercato dappertutto, questo è l'unico cadavere rivenuto: Vincent Tiger, Serpeverde, 17 anni appena compiuti.”




Era morto.
Lo aveva capito fin da subito.
Non appena le sue labbra screpolate avevano pronunciato l'antico e potente incantesimo, lo aveva compreso. Il fuoco maledetto si era gettato immediatamente contro quei odiosi tre idioti, ma qualcosa era andato storto. Forse era la stanza, forse era la sua bacchetta o più semplicemente era la sua totale incapacità di fare qualcosa di buona.
Da lì a qualche minuto, le fiamme lo avrebbero raggiunto e arso vivo.
Vede le pareti della stanza delle necessità restringersi e incoraggiare le fiamme a ucciderlo.
Grida forte, prima di morire.
Grida tutta la sua frustrazione.
Grida tutta la sua delusione.
Non doveva finire in questo modo.
Lui non era scappato, lui era lì pronto a servire, pronto a vincere, non a morire.
Con le lacrime agli occhi, la pelle bruciata, le urla soffocate nella gola, il corpo ricoperto da fuliggine, esalò gli ultimi dolorosi respiri.
Era un morto incompiuto.
Ucciso da sé stesso.
Ucciso dalle circostanze.

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Capitolo 7
*** Malfoy ***


#Malfoy Draco

“C'è niente che vuole aggiungere alla sua deposizione, signor Malfoy?”
“No, nulla di rilevante.”



Infilò la mano in tasca ed estrasse una piccola scatoletta di velluto.
Là, da molti anni, era riposto l'anello che suo padre aveva donato a sua madre.
Un anello con pietre nere e piccoli diamanti che riflettevano la luce.
Narcissa se l'era tolto anni prima, quando il suo piccolo e rassicurante universo era stato spazzato via dal ritorno del Signore Oscuro.
Sospirò e la ripose in tasca, rimettendosi a fissare la neve scendere e posarsi lenta su ogni superficie del giardino di casa sua.
Una volta consegnato l'anello ad Astoria, avrebbe ritrovato un minimo di serenità e avrebbe potuto cominciare a ricostruire, a progettare.
Avrebbe sistemato i conti alla famiglia e pagato quello che doveva al Ministero, si sarebbe buttato negli affari, investendo su pacchetti finanziari sicuri e sui terreni.
Era certo che sarebbe riuscito a finire il tutto poco dopo il settimo anno di Astoria e in primavera l'avrebbe sposata.
Era tutto molto semplice, molto lineare, molto preciso.
Eppure era ancora incerto, qualche piccola parte di lui gli sussurrava che Astoria non avrebbe mai imparato ad amarlo, forse solo a sopportarlo, mentre lui fremeva ad ogni suo respiro.
Indegno, ecco come si riteneva.
Ed era giusto così, non meritava amore.
Non meritava comprensione.



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Capitolo 8
*** Greengrass D. ***


#Greengrass Daphne

“Se vuoi … ricominciare, sai dove trovarmi, Daphne.”




Respirò a fondo e si sistemò nuovamente le inesistenti pieghe dell'abito scuro.
Passò le mani fra i capelli biondi per ravvivarli e calmarsi nuovamente.
Era davanti a quella porta rovinata dalle intemperie da troppo tempo.
Forse due ore, forse tre.
Aveva passeggiato a lungo il marciapiede, si era nascosta dietro un cassonetto quando l'aveva visto rientrare dopo aver fatto delle compere al negozietto di snack poco lontano.
Era lo stesso ragazzo che l'aveva baciata contro la sua volontà alla fine del sesto anno.
Dalla camminata ciondolante ed allegra, dal sorriso a volte luminoso, altre volte cupo.
Aveva tagliato i capelli, prima lunghi e ingovernabili, in un taglio corto e rassicurante.
Rimpianse subito quei capelli lunghi che adorava stringere quando la baciava famelico dietro statue e colonne, strappandola dalla monotonia della sua vita piatta e regalandole un fragile momento di ribellione.
Infine, con le mani sudate, bussò alla porta della piccola villetta di Michael Corner, ex studente di Corvonero. Fu tentata di fuggire, ma s'impose di rimanere, mentre la gola secca chiedeva litri di acqua, saliva e un po' di pace.
Quando sentì il chiavistello girare e la porta aprirsi, chinò il capo verso lo zerbino marrone, nascondendo le umilianti lacrime che già sgorgavano fuori.
-Sei tu … - disse semplicemente lui aprendo del tutto la porta e allontanandosi quasi incredulo.
-Prima che tu dica qualsiasi cosa, fammi prima parlare. So di avere commesso alcuni errori, anzi molti errori, ma non sapevo fare diversamente. Ho sempre vissuto seguendo una linea e non ho mai voluto imparare a contestare. Perché scontrarsi, gridare e ribellarsi quando la tua vita è tranquilla e serena ed hai tutto quello che una ragazzina vorrebbe?- sussurrò con voce spezzata. -Ho smesso di credere a quello che mi era stato insegnato molto prima che le cose precipitassero, ma nel mio piccolo non sapevo cosa fare. Sono solo qui per chiederti scusa per quello che ti hanno fatto. Scusa per quello che non ho fatto.-
Michael annuì lentamente. -Ti ho perdonata molto tempo fa.- ammise. -Ti ho perdonata quando mi hai salvato, Daphne.-
-Ah.- mormorò sorpresa la ragazza alzando per la prima volta lo sguardo verso l'altro.
Michael si avvicinò e la strinse in un abbraccio.
Respirò nuovamente quel suo profumo di fiori, si beò della morbidezza delle sue carni.
Spostò qualche ciocca bionda dal volto arrossato per il silenzioso pianto e la baciò.
Un bacio casto e lieve.
Un bacio rassicurante.
Daphne sorrise quasi incredula e si staccò lievemente da lui, con una domanda ancora in testa, un'ulteriore dubbio da sciogliere.
-Allora, ricominciamo?-
La sola risposta che ricevette fu un sorriso ampio e un braccio che la trascinava dentro.






*Michael Corner è uno studente di Corvonero, meglio conosciuto come il fidanzato iper-competitivo di Ginevra Weasley.
Corner durante il settimo anno diventa uno dei principali nemici dei Carrow e dei Mangiamorte presenti a Hogwarts. Sarà poi torturato per aver difeso un bambino del primo anno. In seguito parteciperà alla battaglia finale.

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Capitolo 9
*** Greengrass A. ***



#Greengrass Astoria


“Ti senti bene?”
“Non ti preoccupare Draco, stavo solo pensando.”



Che persona sarebbe diventato da grande Malfoy?
Se l'era chiesto spesso durante il suo terzo anno.
Non che provasse per lui dell'affetto o sentimenti simili, ma se l'era chiesto spesso.
Lo aveva visto prima spavaldo, vanitoso e cialtrone, poi silenzioso, pallido e spaventato.
L'atmosfera di cristallina serenità era stata spazzata via velocemente da quel marchio oscuro che brillava minaccioso sopra ognuno delle loro teste.
Anche lei aveva conosciuto la rabbia, quella cieca di suo padre, quella vendicativa del Signore Oscuro, quella sorda di sua madre. Aveva imparato a convivere con la costante angoscia, con il dolore e l'incertezza.
Ma anche quell'anno era passato, morti era stati seppelliti e vite erano drasticamente cambiate.
A cominciare dalla sua.
Posò il suo guardo distratto sull'anello che brillava alla luce del camino della soggiorno.
Si passò l'altra mano fra i capelli castani e sospirò.
Che persona sarebbe diventata lei?
Una moglie amorevole, gentile e presente?
Una moglie silenziosa e triste?
Una persona incapace di vedere oltre l'apparenza?
Cercò con lo sguardo Malfoy, in piedi con suo padre che discutevano di soldi ed investimenti.
Lo vide rispondere con educazione e precisione, lusingando suo padre quanto bastava per fargli gonfiare il petto d'orgoglio, convincendolo di essere il miglior uomo sulla terra.
I loro occhi s'incontrarono brevemente mentre lui si stava preparando da bere.
Un breve contatto visivo che mise in agitazione Astoria, sorpresa dal gentile sorrise che le aveva regalato.
Breve e intenso come un lampo in una notte scura.
Rispose subito con uno slancio che pensava di non vedere e per un secondo vide dissolversi quella strana ombra che aveva sempre chiuso Malfoy in una sorta di involucro neutro.
Quella notte, mentre sentiva le mani tremanti e goffe di Draco sul suo corpo, la labbra lascive che si posavano in ogni centimetro di pelle che concedeva, stretti una morsa disperata e ansimante, decise che avrebbe cercato in ogni modo di dissolvere per sempre quell'ombra che lo imprigionava.
Quello sforzo, quei tentativi l'avrebbero resa una persona migliore.


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Capitolo 10
*** Intermezzo con Bones Susan ***




Intermezzo con Bones Susan



“Ne sei convinta? Insomma, non capisco cosa ci vedi in lui.”
“Ci vedo solo l'amore. Solo quello.”



Era la prima volta che lo fissava così a lungo.
I capelli scuri facevano a pugni con il cuscino candido. Il naso lungo e dritto donava carattere al viso, le labbra sottili leggermente spalancate regalavano al volto un taglio inaspettatamente gentile mentre quegli occhi marroni, che adesso chiusi dormivano, sapevano scuoterla ed emozionarla.
Raccolse intorno a sé il lenzuolo ed appoggiò il capo sulla sua spalla, chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal dolce respiro dell'unico ragazzo che aveva mai amato.


Il sole era ormai alto. Non era suo solito alzarsi tardi, ma per la prima volta dopo anni era riuscito a dormire con soddisfazione, godendosi il torpore del mattino e lasciando la stanchezza scivolare via. Quando si svegliò in quella stanza estranea dalle pareti gialle, quasi ebbe un infarto, ma poi la vide.
Era seduta su una piccola poltrona poco distante dal letto, immersa nella lettura di un grosso libro appoggiato sulle ginocchia nude.
I capelli rossi cascavano ribelli e scompigliati lungo il capo, gli occhi azzurri erano ingranditi dalle lenti degli occhiali scuri, le dita lunghe e curate che sfogliavano le pagine con particolare lentezza.
-Che cosa leggi?- le domandò mettendosi a sedere.
Susan Bones alzò lo sguardo su di lui improvvisamente e sorrise.
Un sorriso delicato e dolce.
Un sorriso che da tempo, Theodore Nott aveva sognato interrottamente.
-Il vecchio album di famiglia. Vecchi ricordi.- rispose lei richiudendo il porta foto con delicatezza.
-Perché?- chiese lui confuso.
Susan appoggiò l'album sulla grande scrivania e lo raggiunse sul letto.
Lo abbracciò stretto e gli baciò la tempia.
-Ricordo il passato, per creare un nuovo futuro.- rispose lentamente Susan fissandolo negli occhi.
Theodore aggrottò la fronte, sospettoso. -Nonostante tutto?-
-Nonostante tutto.-


Aveva insistito tanto, Susan, come mai aveva fatto, andando persino contro la sua pacatezza che da sempre mitigava ogni spigolosità a cui andava incontro.
Una cerimonia semplice, la sua.
Un abito tagliato appena sotto il ginocchio, con la gonna ampia, bianco e ricamato come la vesta che sua madre indossò più di vent'anni fa nel suo giorno speciale.
Una piccola chiesa, isolata dal resto del mondo, nascosta da piccoli boschi e colline verdi; pochi amici e nessun familiare. A lei non era rimasto nessuno, li aveva seppelliti tutti ormai e lui aveva preferito relegarli a uno sbiadito ricordo del passato.
Non c'erano stati pranzi lunghissimi o primi balli; solo qualche bottiglia consumata in silenzio, seduti su una tovaglia improvvisata a fissare l'orizzonte.
Ma a Susan era bastato.
Si accontentava di averlo finalmente accanto a sé, sentire la sua voce, baciare quelle labbra sottili, amare quel corpo, costruire giorno dopo giorno il loro personale puzzle, legati in vita e in morte.
Guardò per l'ennesima volta il semplice anello d'oro e sorrise.
Giorno per giorno.




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