Gli Imperfetti di Lady Rea (/viewuser.php?uid=282003)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bullstrode ***
Capitolo 2: *** Parkinson ***
Capitolo 3: *** Zabini ***
Capitolo 4: *** Nott ***
Capitolo 5: *** Intermezzo con Rosier Audrey ***
Capitolo 6: *** Tiger ***
Capitolo 7: *** Malfoy ***
Capitolo 8: *** Greengrass D. ***
Capitolo 9: *** Greengrass A. ***
Capitolo 10: *** Intermezzo con Bones Susan ***
Capitolo 1 *** Bullstrode ***
Gli Imperfetti
#Bullstrode
Millicent
"Non ti
sei mai pentita di
quello che hai fatto? Non ti sei mai chiesta se era giusto o
sbagliato?"
"Non ho
mai avuto la capacità
di provare pentimento o dispiacere, signor Ministro"
Non
era mai stata particolarmente
considerata durante i suoi anni a Hogwarts.
Derisa
dagli studenti delle altre case
per il suo corpo massiccio e poco aggraziato, ignorata dai suoi
compagni perché poco socievole.
Sempre
silenziosa, si aggirava per la
scuola come un fantasma rassegnato alla solitudine.
Ogni
tanto si ritrovava per caso nella
sala comune della casa, insieme agli altri, quasi partecipe delle
loro vite, delle loro emozioni.
Viveva
di riflesso l'angoscia di
Malfoy, la tristezza di Parkinson, la folle felicità di
Zabini, la
rabbia sottile di Nott. S'immergeva in quelle emozioni sconosciute,
cercando di capirle, di renderle sue.
Tentava
disperatamente di far tremare,
di gioia o di dolore, quel muscolo che giaceva all'interno del suo
petto.
Eppure
nulla.
Nessuno
sforzo portava risultati.
Tutto
era muto e immobile.
Lo
era stato quando aveva seppellito
suo padre, un freddo Natale di qualche anno fa.
Lo
era stato quando venne convocata
davanti al Signore Oscuro.
L'unica
cosa che ricordava era il lento
scorrere del sangue mentre il marchio bruciava sulla sua pelle. La
piccola pozza di sangue che s'allargava sotto i piedi del suo
Signore.
Suo
padre sarebbe stata fiero di lei.
Le
avrebbe sorriso, ma lei avrebbe
risposto con una delle sue smorfie, pallidi tentativi di provare
contentezza.
Millicent
Bullstrode avrebbe fatto
l'unica cosa che era in grado di fare: ubbidire.
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Capitolo 2 *** Parkinson ***
#Parkinson
Pansy
“Se
continua a non parlare, a non spiegarci quale posizione aveva la sua
famiglia, le conseguenze potrebbero essere gravissime.”
“
… “
“Sul
serio? E' questa la sua linea difensiva?”
“
… “
Non era mai stata simpatica, Pansy Parkinson.
Riusciva ad attirare le occhiate maligne di tutta la scuola con un solo
gesto, con una sola parola.
Non era mai stata simpatica, nemmeno cordiale con quelli della sua casa.
Era maledettamente orgogliosa di quell'isolamento voluto, quell'aspro
tentativo di essere impenetrabile e dura.
Applicava con precisione i pochi insegnamenti che sua madre le aveva
impartito a suon di grida e Maledizioni Senza Perdono.
La freddezza è la miglior armatura di una donna;
così le ripeteva la madre.
Ogni tanto si concedeva una frase, un breve racconto di un aneddoto, un
insulto sussurrato con voce arrochita dalle sigarette babbane che
fumava di nascosto, nei bagni dell'ultimo piano.
Nonostante i colpi al viso, il sangue che colava copioso dalla tempia,
le mani legate e segnate da centinaia di tagli, le labbra spaccate, la
gola secca e le momentanee perdite di coscienza, Pansy non aveva mai
parlato.
Non aveva mai supplicato.
Non aveva mai pianto.
Come un soldato addestrato sopportava tutto con una certa stoica
indifferenza.
Solo gli occhi fiatavano.
Quegli
occhi verdi che mandavano bagliori di accesa e violenta freddezza, il triste
preludio di una vendetta.
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Capitolo 3 *** Zabini ***
#Zabini
Blaise
“Siamo
certi che verrà a
testimoniare domani, signor Zabini?”
“Avete
la mia parola, signor
Ministro.”
L'eleganza
delle sue vesti, quel
giorno, non riuscirono ad oscurare il suo volto teso, mentre entrava
con passo sicuro nell'aula di tribunale e sguardo incrinato da una
serie di emozioni che non sapeva definire.
Gioia
per essere vivo ed innocente?
Rabbia
per dover ubbidire a sciocche
regole?
Sconforto
per dover condannare qualcuno
a morte?
Non
lo sapeva e ben poco gli
interessava indagare sulla natura di quei sentimenti intricati.
Si
sedette su una scomoda poltrona e
cominciò a raccogliere le idee, pronto a fare qualunque
cosa, pur di
scagionarsi completamente.
Rispose
con la solita prudenza, attento
a non dare troppe informazioni, a non confondere e a non farsi
confondersi.
Ma
quando alzò lo sguardo incrociò
gli occhi spenti e muti di Millicent e una strana stretta al cuore lo
fece vacillare per un secondo.
Un
tempo erano stati compagni di casa.
Un
tempo lui la prendeva in giro per la
sua goffaggine, per la sua mole e quello sguardo arcigno che
imbruttiva quel volto anonimo.
Un
tempo avrebbe atto qualunque cosa
pur di veder spuntare un sorriso fra quelle labbra sottili e pallide.
Chinò
la testa e rispose velocemente
ad un'altra domanda e quando gli fu permesso di andarsene, si
precipitò fuori, scordandosi l'etichetta e il savoir faire
per una
volta.
S'incamminò
per i corridoi arrabbiato
e deluso, ancora una volta si era dimostrato solo un vigliacco.
Un
vigliacco, fedele solo a sé stesso.
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Capitolo 4 *** Nott ***
#Nott
Theodore
“Non
doveva andare a finire così, Theodore.”
“Padre,
è andata meglio di quanto sperassi.”
Erano
molte le qualità che veniva riconosciute a Theodore Nott sin
dal primo anno a Hogwarts, ma la più ammirata era la sua
intelligenza.
Non era scontata e precisa come quella di Hermione Granger, frutto di
notti passate a studiare e condite con l'ansia e il senso
d'inferiorità; era una intelligenza intuitiva, scaltra e per
nulla scontata.
Osservando
gli altri aveva iniziato a riconoscere intrighi e tradimenti.
I
Tassorosso non erano alla fine così santi come sembravano.
Tutti quei sorrisi e quelle moine celavano tradimenti di ogni genere e
una grave mancanza di autostima.
I
Corvonero si nascondevano dietro la scusa dei libri e dei compiti pur
di non sentirsi inadeguati mentre i cari Grifondoro non perdevano
occasione di perdere la testa e diventare protagonisti di assurde scene.
I
Serpeverde erano tutt'altra cosa, nessuno di loro aveva paura di
mostrare la sua vera natura, Nott meno di tutti.
Preferiva
una lettura extra-scolastica alle chiacchiere in Sala, una passeggiata
solitaria vicino ai confini della foresta o del lago, l'efficienza
delle azioni anziché il ronzio delle vuote parole.
Per
questo non si era stupito quando Potter aveva annunciato al mondo il
ritorno del Signore Oscuro, per questo aveva fatto di tutto per
sembrare innocente agli occhi del Ministero della Giustizia Magica.
Era
riuscito a far cadere ogni accusa, ogni possibile dubbio e con sua
grande gioia gli furono riconsegnati la sua bacchetta e tutti i beni
della sua antica famiglia. Era
ritornato a vivere nel vecchio e polveroso castello scozzese, isolato
come ad Hogwarts e dedito ai suoi studi sull'Alchimia e la
Trasfigurazione.
Interrompeva
quei mesi di solitudine voluta solo per incontrare suo padre, per non
passare agli occhi degli Auror come il classico figlio ingrato. Durante
una delle sue regolari visite, decise per una volta di allontanarsi a
piedi, assaporando l'aria frizzante di novembre, cercando di muoversi
con disinvoltura per le strade Babbane della capitale.
Voleva
raggiungere il centro ed entrare in una libreria, giusto per capire
qual'era il livello di preparazione dei Babbani quando i suoi occhi
notarono una chioma rossiccia.
Si
bloccò, rendendosi conto che solo un idiota non avrebbe
pensato d'incontrarla da quelle parti, lei che viveva a poca distanza
dal Ministero.
S'impose
di girare all'incrocio e di voltarle le spalle ancora una volta, ma il
suo sorriso sincero, lo irrigidì completamente.
Fu
solo quando lei si avvicinò a lui, una distanza talmente
ridicola che un tempo lui colmava con un bacio, si permise di respirare
profondamente e rispondere al suo sorriso.
Dopo
anni passati ad osservare gli altri e a preparare mosse solitarie, si
lasciò andare a un sorriso e all'incertezza del futuro.
L'unica
cosa che ora gli premeva fare era baciare quelle labbra sorridenti, al
resto avrebbe pensato in un altro momento.
Precisazioni:
{L'identità
della ragazza dalla chioma rossa, verrà svelata
prossimamente.}
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Capitolo 5 *** Intermezzo con Rosier Audrey ***
Intermezzo
con #Rosier
Audrey
“Sei
triste per lui?”
“No,
non credo almeno. Non l'ho mai
conosciuto. Mi sono resa conto che sono l'ultima a portare questo
cognome.”
Faceva
freddo.
Il
vento spazzava via foglie e persone,
s'insinuava negli abiti e congelava polmoni e porzioni di pelle. Il
sole splendeva pallido e lontano, quasi si fosse dimenticato del
pianeta e dei suoi abitanti.
Sotto
i suoi piedi giaceva la sua
famiglia.
La
lapide di suo padre recava solo la
data di nascita e le iniziali.
Nulla di più e nulla di meno.
Il
resto della famiglia aveva almeno la
data di morte, reale o presunta.
Tolse
con le scarpe qualche foglia
morta davanti al pezzo di marmo e si sedette.
-Ciao
papà.- sussurrò al vuoto.
-Sai,
forse ho trovato quello giusto,
intendo di ragazzo. Se tu fossi vivo, mi avresti impedito anche solo
di conoscerlo, ma a me non importa. E' comunque un Purosangue, se ti
interessa saperlo, tuttavia non ha mai sostenuto la tua causa. E'
carino e gentile, un po' troppo ansioso e pomposo certe volte, ma
è
un difetto che m'intenerisce. Mi ha chiesto di andare a vivere con
lui. Per un attimo mi sono lasciata tramortire dal suo lunghissimo
discorso sul poco tempo che passiamo insieme, ma poi ho visto quella
scintilla nel suo sguardo. La stessa di mamma quando delirava e
credeva che saresti tornato. Mi ama, a modo suo certo, ma mi ama.-
sospirò e cercò di trattenere i singhiozzi che
minacciavano di
fuoriuscire. -Invece di essere triste per la tua morte, ne sono
contenta. Con te e i tuoi folli ideali al mio fianco, oggi non sarei
quello che sono: un buon Auror, una fidanzata e in futuro spero una
moglie e una madre.-
Si
morse violentemente le labbra e con
uno scatto secco si alzò per poi voltare le spalle alle
diverse
lapidi ed incamminarsi verso l'uscita di quel piccolo cimitero.
Fu
solo una volta tornata a casa o
meglio a casa di Percy, che si accorse delle mani chiuse a pugno
dentro le tasche in realtà tremavano, le spalle ogni tanto
sussultavano. Appoggiò la giacca e si tolse la sciarpa,
sorrise quando inciampò nella cartella da lavoro di Percy e
lo trovò sdraiato sul
divano con una pezzo di stoffa bagnato sugli occhi.
La camicia era
stropicciata, il maglione era stato gettato lontano, la cravatta
allentata e gli occhiali facevano compagnia a una pila di documenti
posati sul tavolino che sicuramente aveva cercato di visionare prima
di crollare per la stanchezza.
Controllò
la temperatura della sua
fronte spostando la pezza, ottenendo il solo risultato di svegliarlo
dal suo sonno febbrile ed agitato.
-Ehi
… Hai le mani congelate.-
-Sei
tu che hai la fronte bollente,
Weasley. Vuoi che ti preparo una pozione mentre dormi un po' sul
letto?-
Percy
scosse la testa e si raddrizzò.
-No, sto meglio. Ho bisogno solo di una notte di sonno piena.-
Audrey
si sistemò accanto a lui e si
lasciò abbracciare e distendere. Gli depositò
piccoli baci lungo la
spalla, arrivando all'orecchio e alla guancia. Sorrise notando che la
temperatura della sua pelle non era poi così alta.
Rimasero in
silenzio a lungo, beandosi della pace momentanea che si respirava in
quella casa.
-E
allora? Non mi racconti niente?-
chiese improvvisamente Percy.
Audrey
aggrottò le sopracciglia e
strofinò contro il suo petto la fronte accigliata. -Cosa
vuoi che ti
dica? Erano solo delle lapidi, le stesse dell'anno scorso.-
-Quindi?
Essere l'ultima Rosier non …
Non ti colpisce in nessun modo?-
-No.
Perché altrimenti non sarei qui
con te, Percy.-
Non
aggiunsero altro per quella sera.
Non
ne avevano bisogno.
Una
volta trovato il coraggio
necessario, Percy le avrebbe fatto la proposta, chiedendole
così di
cambiare cognome e di cominciare a scrivere un nuovo futuro.
Audrey
avrebbe accettato senza esitare, felice di poter stendere, finalmente,
un
panno trasparente sul passato.
_//_
*Audrey
è un personaggio inserito da JKR come compagna di Percy
Weasley. Nulla si sa però sul suo cognome da nubile, sul
passato e sulle possibili storie ed intrecci.
Quindi
l'idea di affiancarle il nome di Rosier, o meglio la parentela con Evan
Rosier, mangiamorte ucciso in duello da Malocchio Moody durante la
prima guerra magiva, è di mia inventiva.
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Capitolo 6 *** Tiger ***
#Tiger Vincent
“Siamo
sicuri che non ci sia anche il suo amico?”
“No,
abbiamo cercato dappertutto, questo è l'unico cadavere
rivenuto: Vincent Tiger, Serpeverde, 17 anni appena compiuti.”
Era
morto.
Lo
aveva capito fin da subito.
Non
appena le sue labbra screpolate avevano pronunciato l'antico e potente
incantesimo, lo aveva compreso. Il fuoco maledetto si era gettato
immediatamente contro quei odiosi tre idioti, ma qualcosa era andato
storto. Forse era la stanza, forse era la sua bacchetta o
più semplicemente era la sua totale incapacità di
fare qualcosa di buona.
Da
lì a qualche minuto, le fiamme lo avrebbero raggiunto e arso
vivo.
Vede
le pareti della stanza delle necessità restringersi e
incoraggiare le fiamme a ucciderlo.
Grida
forte, prima di morire.
Grida
tutta la sua frustrazione.
Grida
tutta la sua delusione.
Non
doveva finire in questo modo.
Lui
non era scappato, lui era lì pronto a servire, pronto a
vincere, non a morire.
Con
le lacrime agli occhi, la pelle bruciata, le urla soffocate nella gola,
il corpo ricoperto da fuliggine, esalò gli ultimi dolorosi
respiri.
Era
un morto incompiuto.
Ucciso
da sé stesso.
Ucciso
dalle circostanze.
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Capitolo 7 *** Malfoy ***
#Malfoy
Draco
“C'è niente
che vuole aggiungere alla sua deposizione, signor Malfoy?”
“No, nulla di
rilevante.”
Infilò la mano in tasca ed estrasse una piccola scatoletta
di velluto.
Là, da molti anni, era riposto l'anello che suo padre aveva
donato a sua madre.
Un anello con pietre nere e piccoli diamanti che riflettevano la luce.
Narcissa se l'era tolto anni prima, quando il suo piccolo e
rassicurante universo era stato spazzato via dal ritorno del Signore
Oscuro.
Sospirò e la ripose in tasca, rimettendosi a fissare la neve
scendere e posarsi lenta su ogni superficie del giardino di casa sua.
Una volta consegnato l'anello ad Astoria, avrebbe ritrovato un minimo
di serenità e avrebbe potuto cominciare a ricostruire, a
progettare.
Avrebbe sistemato i conti alla famiglia e pagato quello che doveva al
Ministero, si sarebbe buttato negli affari, investendo su pacchetti
finanziari sicuri e sui terreni.
Era certo che sarebbe riuscito a finire il tutto poco dopo il settimo
anno di Astoria e in primavera l'avrebbe sposata.
Era tutto molto semplice, molto lineare, molto preciso.
Eppure era ancora incerto, qualche piccola parte di lui gli sussurrava
che Astoria non avrebbe mai imparato ad amarlo, forse solo a
sopportarlo, mentre lui fremeva ad ogni suo respiro.
Indegno, ecco come si riteneva.
Ed era giusto
così, non meritava amore.
Non meritava comprensione.
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Capitolo 8 *** Greengrass D. ***
#Greengrass
Daphne
“Se vuoi …
ricominciare, sai dove trovarmi, Daphne.”
Respirò
a fondo e si sistemò nuovamente le inesistenti pieghe
dell'abito scuro.
Passò
le mani fra i capelli biondi per ravvivarli e calmarsi nuovamente.
Era
davanti a quella porta rovinata dalle intemperie da troppo tempo.
Forse
due ore, forse tre.
Aveva
passeggiato a lungo il marciapiede, si era nascosta dietro un
cassonetto quando l'aveva visto rientrare dopo aver fatto delle compere al negozietto di snack poco lontano.
Era
lo stesso ragazzo che l'aveva baciata contro la sua volontà
alla fine del sesto anno.
Dalla
camminata ciondolante ed allegra, dal sorriso a volte luminoso, altre
volte cupo.
Aveva
tagliato i capelli, prima lunghi e ingovernabili, in un taglio corto e
rassicurante.
Rimpianse
subito quei capelli lunghi che adorava stringere quando la baciava
famelico dietro statue e colonne, strappandola dalla monotonia della sua
vita piatta e regalandole un fragile momento di ribellione.
Infine,
con le mani sudate, bussò alla porta della piccola villetta
di Michael Corner, ex studente di Corvonero. Fu tentata di fuggire, ma
s'impose di rimanere, mentre la gola secca chiedeva litri di acqua,
saliva e un po' di pace.
Quando
sentì il chiavistello girare e la porta aprirsi,
chinò il capo verso lo zerbino marrone, nascondendo le umilianti lacrime che già sgorgavano
fuori.
-Sei
tu … - disse semplicemente lui aprendo del tutto la porta e
allontanandosi quasi incredulo.
-Prima
che tu dica qualsiasi cosa, fammi prima parlare. So di avere commesso
alcuni errori, anzi molti errori, ma non sapevo fare diversamente. Ho
sempre vissuto seguendo una linea e non ho mai voluto imparare a
contestare. Perché scontrarsi, gridare e ribellarsi quando
la tua vita è tranquilla e serena ed hai tutto quello che
una ragazzina vorrebbe?- sussurrò con voce spezzata. -Ho
smesso di credere a quello che mi era stato insegnato molto prima che
le cose precipitassero, ma nel mio piccolo non sapevo cosa fare. Sono
solo qui per chiederti scusa per quello che ti hanno fatto. Scusa per
quello che non ho fatto.-
Michael
annuì lentamente. -Ti ho perdonata molto tempo fa.- ammise.
-Ti ho perdonata quando mi hai salvato, Daphne.-
-Ah.- mormorò sorpresa la ragazza alzando per la prima volta
lo sguardo verso l'altro.
Michael
si avvicinò e la strinse in un abbraccio.
Respirò
nuovamente quel suo profumo di fiori, si beò della
morbidezza delle sue carni.
Spostò
qualche ciocca bionda dal volto arrossato per il silenzioso pianto e la
baciò.
Un
bacio casto e lieve.
Un
bacio rassicurante.
Daphne
sorrise quasi incredula e si staccò lievemente da lui, con
una domanda ancora in testa, un'ulteriore dubbio da sciogliere.
-Allora,
ricominciamo?-
La
sola risposta che ricevette fu un sorriso ampio e un braccio che la
trascinava dentro.
*Michael Corner è uno
studente di Corvonero, meglio conosciuto come il fidanzato
iper-competitivo di Ginevra Weasley.
Corner durante il settimo anno
diventa uno dei principali nemici dei Carrow e dei Mangiamorte presenti
a Hogwarts. Sarà poi torturato per aver difeso un bambino
del primo anno. In seguito parteciperà alla battaglia finale.
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Capitolo 9 *** Greengrass A. ***
#Greengrass Astoria
“Ti
senti bene?”
“Non
ti preoccupare Draco, stavo solo pensando.”
Che
persona sarebbe diventato da grande
Malfoy?
Se
l'era chiesto spesso durante il suo
terzo anno.
Non
che provasse per lui dell'affetto o
sentimenti simili, ma se l'era chiesto spesso.
Lo
aveva visto prima spavaldo, vanitoso
e cialtrone, poi silenzioso, pallido e spaventato.
L'atmosfera
di cristallina serenità
era stata spazzata via velocemente da quel marchio oscuro che
brillava minaccioso sopra ognuno delle loro teste.
Anche
lei aveva conosciuto la rabbia,
quella cieca di suo padre, quella vendicativa del Signore Oscuro,
quella sorda di sua madre. Aveva imparato a convivere con la costante
angoscia, con il dolore e l'incertezza.
Ma
anche quell'anno era passato, morti
era stati seppelliti e vite erano drasticamente cambiate.
A
cominciare dalla sua.
Posò
il suo guardo distratto
sull'anello che brillava alla luce del camino della soggiorno.
Si
passò l'altra mano fra i capelli
castani e sospirò.
Che
persona sarebbe diventata lei?
Una
moglie amorevole, gentile e
presente?
Una
moglie silenziosa e triste?
Una
persona incapace di vedere oltre
l'apparenza?
Cercò
con lo sguardo Malfoy, in piedi
con suo padre che discutevano di soldi ed investimenti.
Lo
vide rispondere con educazione e
precisione, lusingando suo padre quanto bastava per fargli gonfiare
il petto d'orgoglio, convincendolo di essere il miglior uomo sulla
terra.
I
loro occhi s'incontrarono brevemente
mentre lui si stava preparando da bere.
Un
breve contatto visivo che mise in
agitazione Astoria, sorpresa dal gentile sorrise che le aveva
regalato.
Breve
e intenso come un lampo in una
notte scura.
Rispose
subito con uno slancio che
pensava di non vedere e per un secondo vide dissolversi quella strana
ombra che aveva sempre chiuso Malfoy in una sorta di involucro
neutro.
Quella
notte, mentre sentiva le mani
tremanti e goffe di Draco sul suo corpo, la labbra lascive che si
posavano in ogni centimetro di pelle che concedeva, stretti una morsa
disperata e ansimante, decise che avrebbe cercato in ogni modo di
dissolvere per sempre quell'ombra che lo imprigionava.
Quello
sforzo, quei tentativi
l'avrebbero resa una persona migliore.
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Capitolo 10 *** Intermezzo con Bones Susan ***
Intermezzo
con Bones Susan
“Ne sei convinta?
Insomma, non capisco cosa ci vedi in lui.”
“Ci vedo solo l'amore.
Solo quello.”
Era la prima volta che lo fissava così a lungo.
I capelli scuri facevano a pugni con il cuscino candido. Il naso lungo
e dritto donava carattere al viso, le labbra sottili leggermente
spalancate regalavano al volto un taglio inaspettatamente gentile
mentre quegli occhi marroni, che adesso chiusi dormivano, sapevano
scuoterla ed emozionarla.
Raccolse intorno a sé il lenzuolo ed appoggiò il
capo sulla sua spalla, chiuse gli occhi e si lasciò cullare
dal dolce respiro dell'unico ragazzo che aveva mai amato.
Il sole era ormai alto. Non era suo solito alzarsi tardi, ma per la
prima volta dopo anni era riuscito a dormire con soddisfazione,
godendosi il torpore del mattino e lasciando la stanchezza scivolare
via. Quando si svegliò in quella stanza estranea dalle
pareti gialle, quasi ebbe un infarto, ma poi la vide.
Era seduta su una piccola poltrona poco distante dal letto, immersa
nella lettura di un grosso libro appoggiato sulle ginocchia nude.
I capelli rossi cascavano ribelli e scompigliati lungo il capo, gli
occhi azzurri erano ingranditi dalle lenti degli occhiali scuri, le
dita lunghe e curate che sfogliavano le pagine con particolare lentezza.
-Che cosa leggi?- le domandò mettendosi a sedere.
Susan Bones alzò lo sguardo su di lui improvvisamente e
sorrise.
Un sorriso delicato e dolce.
Un sorriso che da tempo, Theodore Nott aveva sognato interrottamente.
-Il vecchio album di famiglia. Vecchi ricordi.- rispose lei richiudendo
il porta foto con delicatezza.
-Perché?- chiese lui confuso.
Susan appoggiò l'album sulla grande scrivania e lo raggiunse
sul letto.
Lo abbracciò stretto e gli baciò la tempia.
-Ricordo il passato, per creare un nuovo futuro.- rispose lentamente
Susan fissandolo negli occhi.
Theodore aggrottò la fronte, sospettoso. -Nonostante tutto?-
-Nonostante tutto.-
Aveva insistito tanto, Susan, come mai aveva fatto, andando persino
contro la sua pacatezza che da sempre mitigava ogni
spigolosità a cui andava incontro.
Una cerimonia semplice, la sua.
Un abito tagliato appena sotto il ginocchio, con la gonna ampia, bianco
e ricamato come la vesta che sua madre indossò
più di vent'anni fa nel suo giorno speciale.
Una piccola chiesa, isolata dal resto del mondo, nascosta da piccoli
boschi e colline verdi; pochi amici e nessun familiare. A lei non era
rimasto nessuno, li aveva seppelliti tutti ormai e lui aveva preferito
relegarli a uno sbiadito ricordo del passato.
Non c'erano stati pranzi lunghissimi o primi balli; solo qualche
bottiglia consumata in silenzio, seduti su una tovaglia improvvisata a
fissare l'orizzonte.
Ma a Susan era bastato.
Si accontentava di averlo finalmente accanto a sé, sentire
la sua voce, baciare quelle labbra sottili, amare quel corpo, costruire
giorno dopo giorno il loro personale puzzle, legati in vita e in morte.
Guardò per l'ennesima volta il semplice anello d'oro e
sorrise.
Giorno per giorno.
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