In questo ghiaccio si scioglie il mio cuore

di SweetNemy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Paura degli altri ***
Capitolo 2: *** Un ragazzo difficile ***
Capitolo 3: *** Attimi di terrore ***
Capitolo 4: *** Una nuova vita ***
Capitolo 5: *** Un amore improvviso ***
Capitolo 6: *** Un posto unico ***
Capitolo 7: *** Ritorno a scuola ***
Capitolo 8: *** S.A.S.P. ***
Capitolo 9: *** 21 Agosto ***
Capitolo 10: *** E fu amore! ***



Capitolo 1
*** Paura degli altri ***


Ciaooo a tutti. Come promesso, sono tornataaa! :D Questa è la mia nuova storia e racconta di una ragazza, Anna, che dopo aver girato per quattordici anni in giro per il mondo, si stabilisce definitivamente nella città in cui è nata. Qui conoscerà una ragazza come lei di nome Serena. Mentre queste due ragazze si divertono, dall'altra parte del mondo c'è un ragazzo con una vita indegna che cerca solo un po' di libertà. Grazie a due persone speciali, però la sua vita migliorerà radicalmente. Ecco una breve trama. Buona lettura. ^-^

Capitolo I

-Paura degli altri.-

“Caro Diario,                                                                                                                                                4/08/2012
come ogni sera sono qui a scriverti, raccontandoti usualmente quello che ho fatto oggi! Credo ti stia scocciando, dato che scrivo sempre e solo le stesse cose. Due mesi fa sono iniziate le vacanze estive e io non sono ancora uscita di casa, non che prima lo facessi! Avrei sempre sognato poter andare a scuola, svegliarmi presto la mattina, prendere l’autobus pieno zeppo di persone e poi rincontrare gli amici di sempre in una classe, per poi fare lezione insieme ad altri miei coetanei. Ma siccome i miei genitori si spostano continuamente per lavoro, non mi trovo per più di tre mesi nello stesso posto, e non vale la pena iniziare la scuola, per questo motivo ho sempre studiato a casa con un tutor speciale. Mio padre è una sottospecie di archeologo, dico sottospecie perché è solo un aiutante! Se gli chiedi qualsiasi cosa sulla storia non la sa! Mia madre è casalinga e odia terribilmente fare le valigie e cambiare casa, per questo a poco a poco sta finendo per odiare mio padre e il suo lavoro e... come si dice? Le donne hanno una gran forza di volontà! L’ha convinto a rimanere in un posto e a cercarsi lavoro. Così lui non ha perso tempo per andare ad abitare nel luogo in cui sia io che lui siamo nati, una cittadina italiana affacciata da un lato sul mare, con le montagne alle spalle e con un vulcano, visto un po’ celestino per la lontananza, a nord. La mia casa è tutta bianca con le rifiniture in grigio perlato. È una villetta con un piccolo giardino sul retro. Di fronte alla casa in cui abito adesso, e spero per sempre, c’è un piccolo campo da calcio, circondato da una rete e intorno alla rete c’è una specie di piazzetta, con delle panchine, delle giostre, degli alberi e cespugli colorati e molte persone che vanno lì per incontrarsi e divertirsi insieme. Mi diverte vedere le persone che non conosco picchiarsi amichevolmente e prendersi in giro a vicenda, ma allo stesso tempo mi intenerisce guardare le coppie di ragazzi che dolcemente si abbracciano e si scambiano baci. Dall’alto della mia finestra ho potuto notare che in quel parco ci sono varie fasce di persone: ci sono i bambini che giocano innocentemente a calcio, i ragazzi che giocano a calcio per poter fare delle partite, i bambini che vengono lì per le giostre, i ragazzi e le ragazze “seri” che giocano a pallavolo o parlano e i ragazzi più o meno grandi di me che si sentono più di quel che sono e si credono grandi, ma in realtà non valgono niente, anche se a volte sanno essere incredibilmente simpatici. Domani voglio andarci. Forse divento amica di qualcuno. Ti tengo aggiornato.                                                                                                              
                                                                                                                                                             Ciao . Anna.”
Questi sono i pensieri di una quindicenne che non vede l’ora di andare a scuola per farsi nuovi amici. La sua giornata terminò con l’aggiornare il suo carissimo diario, ma domani ne inizierà un’altra molto più bella, almeno per la sua aspettativa...
La mattina seguente fu svegliata dall’odore del caffè. Sì, anche se era solo una ragazzina amava da morire il caffè! Fece tutte le cose che era usuale fare di mattina e uscì in esplorazione, sebbene conoscesse poco quel luogo. Guardò intorno dalla sua finestra e notò che a pochi passi da casa sua c’era una spiaggetta, così si infilò il costume, prese un telo e decise di recarsi lì.
Il mondo all’esterno le sembrava nuovo e misterioso, ma a lei quel mistero intrigava parecchio! Le è sempre piaciuto conoscere cose nuove, anche se a volte si ha nostalgia di quelle vecchie e quando lei è tornata in questa città è come se si fosse accesa!
Si guardava intorno meravigliata, non perché il paesaggio sia bellissimo, ma per la semplicità di quel posto, per la semplicità delle persone che vi abitano. Fu lì che capì che lei era come loro. Questi pensieri furono subito fermati dalla vista di quella spiaggia: era piena zeppa di persone, si guardò intorno per trovare posto e notò che non lontano da lì, su quella spiaggia, c’era una scogliera fatta di scogli bianchi molto particolari, decise di andare lì perché c’erano meno persone.
Distese il telo, si tolse i vestiti e si tuffò da uno scoglio assaporando a pieno il piacere del mare. Erano passati due anni dall’ultimo bagno. Era da una settimana in quel posto, ma da maggio a fine luglio era stata in Colorado, uno stato non bagnato dal mare!
Dopo un paio d’ore passate a tuffarsi e a nuotare decise di tornare a casa, anche perché da sola cominciava ad annoiarsi. Giunta a casa stese il telo in giardino e andò a farsi una doccia per togliere il sale dal corpo.
Dopodiché arrivò sua madre, la salutò con un gran sorriso e le disse che era andata a nuotare, e che oggi sarebbe andata nel parco di fronte casa sua. Sua madre alla notizia che era uscita e si era divertita si rallegrò, dato che dal trasloco era passata una settimana e lei non era mai uscita, e neanche prima, in Colorado, usciva mai di casa!
Sua madre le assomigliava molto. Come lei, Anna aveva dei fantastici capelli dorati e ricci lunghi fino a metà schiena e degli splendidi occhi castani che con la luce del sole brillavano come due diamanti.
Il pomeriggio arrivò inaspettatamente presto e Anna si diresse in quel parco.
Arrivata lì si guardò intorno e si diresse subito dai ragazzi che lei aveva reputato seri. Erano cinque ragazzi, tre maschi e due femmine che giocavano a pallavolo.
-Ciao. – disse sorridendo. – posso giocare con voi?
-Chi sei? – disse uno dei ragazzi del gruppo.
-Ah, già. Scusa! Mi chiamo Anna.
-Sei di qua?
-Sono nata qui, ma sono cresciuta in giro per il mondo. Ora sono tornata da una settimana e starò qui spero per sempre.
-Ok. Hai una storia molto interessante. Io sono Giulio – disse quel ragazzo, dai capelli e gli occhi neri, poi continuò. – Lui è Marco. – disse indicando un ragazzo con i capelli castani lisci e gli occhi verdi. – Lui è Silvio. – indicò ancora un ragazzo, stavolta con i capelli biondi e gli occhi azzurri, con l’aria da esaltato. – E loro sono Emanuela e Marina – disse, infine, indicando due ragazze entrambe con i capelli mossi e neri e con gli occhi castani.
Finite le presentazioni, mi spiegarono il gioco, chiamato “Sette si schiaccia”.
Questo gioco consisteva nel passarsi sei volte la palla e poi la settima volta schiacciarla verso qualcuno. Se riesci a colpire quella persona, la stessa esce; se invece quella persona blocca la palla, è colui che l’ha tirata ad uscire. Anche se era un gioco da bambini (infatti i ragazzi avevano dodici anni) era sempre meglio che restare chiusa in casa. Una volta finito il gioco, mi dissi che volevo rischiare, quindi feci una domanda ai ragazzi.
-Ragazzi, ci sono dei ragazzi quindicenni in questo posto?
-Certo! C’è Gianluca – disse Marco indicando un tipo moro strano sulla bici che prendeva in giro tutti credendosi il re dell’universo. –E c’è Biagio – riprese indicando un altro ragazzo, sempre dai capelli scuri, che girava con dei pantaloncini stretti blu e una camicia bianca di tre taglie superiore alla sua, per non parlare dei capelli! Un ciuffo che se lo piastri arriva fin sotto il mento!
-Ah... – disse disgustata. “Certo, a volte l’apparenza inganna, possono essere bravi ragazzi, se li si conosce meglio." – Non c’è qualcuno più normale?
-No. C’è solo quella ragazza – indicò una ragazza bionda isolata che leggeva un libro.
-Grazie. È stato un piacere stare con voi!
-Quando vuoi! Noi siamo sempre qui! – dissero salutandola e lei si diresse verso quella ragazza.
-Ciao. Cosa leggi?
-Me l’hanno assegnato per la scuola. È uno di quei romanzi antichi dove non si capisce niente e dove un capitolo sembra esso stesso un libro.
-Ho capito. Comunque io sono Anna.
-Serena. Tu cosa stavi facendo?
-Stavo giocando a pallavolo con quei ragazzi. – dissi indicandoli.
-Ah, la band dei mocciosi! Il fatto è che loro sono troppo mocciosi, i quindicenni sono troppo esaltati. Rimarrebbe il gruppo delle ragazze quattordicenni: ci sono, sì, delle esaltate, ma anche delle ragazze a posto!
“Mi girai per guardare se c’erano davvero ragazze a posto in quel gruppo. La risposta? Beh, di certo erano meglio di quegli esaltati sulle bici, ma lo stesso era come se sentissero di avere vent’anni. Beh, credo che l’unica ragazza a posto qui sia Serena.”
-Tu hai delle amiche in questo posto?
-Nel parco no, ma ho due amiche. Una abita in Sicilia e non la vedo quasi mai e l’altra abita in centro, ma da tre mesi è fidanzata e per questo non è che la vedo poi così tanto. Rimarrebbe mia cugina, ma lei abita comunque a trecento km da qui. E tu, invece?
-Eh, io ho una sola amica. Si chiama Jessie e vive in Canada.
-Canada? Sei canadese?
-No, ma ho vissuto un po’ in giro per il mondo per la mia famiglia, ma ora mi sono stabilita in questa città e intendo rimanerci per sempre.
-Ti va di uscire in centro stasera? Magari andiamo a mangiare una pizza!
-Ma è martedì!
-Chi ha detto che il martedì non si può uscire?
-D’accordo. Ci vediamo alle otto. Io abito nella casa di fronte. Vienimi a chiamare. Ciao!
Così Anna tornò a casa soddisfatta, ora aveva un’amica.
I due giorni seguenti lei e Serena si divertirono tantissimo, andarono in quel parco e si schizzarono l’acqua, brindarono con la coca-cola in lattina, fecero un patto che niente le avrebbe separate. Erano diventate come ferro e calamita, praticamente inseparabili, poi arrivò il martedì sera, quando finalmente uscirono.
Serena, come prestabilito, venne a chiamarla sotto e casa e insieme si diressero nella migliore pizzeria al centro. Si accomodarono in un tavolo libero e ordinarono due “Margherite” e una bottiglia di coca-cola.
Dopo una mezzoretta la pizza arrivò. Era incredibile, anche di martedì sera quel locale era pieno di gente!
-Ecco la pizza! – disse Serena.
“La mangiai esitando... non so da quanti anni non mangiavo una pizza come si deve! Quando all’improvviso mi lasciai sfuggire un’affermazione che fece ridere la mia amica.”
-Wow. Non ricordavo che la pizza fosse così buona qui.
-Beh, questa è la città in cui è nata! Tutti ce l’hanno rubata, ma l’originale è sempre meglio.
-Lo penso anch’io.
Così si concluse quella serata stupenda tra Anna e Serena che erano diventate ottime amiche.
Nel frattempo, in Australia, e, quindi, nell’altra parte del mondo un ragazzo scocciato di non poter tornare nel luogo in cui è nato e trascurato dai genitori, deve prendere un’importante decisione...
-Porrò fine alla mia vita?

  
Ciaooo.. Spero vi sia piaciuto questo capitolo. Ci vediamo il 25 con in continuo. Cosa succederà a questo ragazzo??
Questo e molto altro nel prossimo capitolo. (Ahahahah, sembro una narratrice di un telefilm ahahah) Ciao.
SWEET NEMY <3
 
 

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Capitolo 2
*** Un ragazzo difficile ***


Capitolo II

-Un ragazzo difficile-   

Melbourne, Australia.
Questi sono, forse, gli ultimi pensieri di un ragazzo quindicenne che ha preso una decisione dalla quale non si torna più indietro.
“Caro diario,
ascoltami bene perché molto probabilmente questa è l’ultima volta che ti scrivo. Da quando Dario è morto non ho versato una lacrima, non mi sono mai arrabbiato con me stesso e mai... dico mai sono andato a parlare con lui sulla sua tomba. Non sono un fratello spregevole, ma sono molto confuso!
Troppi avvenimenti, accaduti così velocemente, è come se il mio cervello non li avesse sopportati.
Sono passati esattamente tre anni, ma il suo ricordo è ancora acceso in me. Non so perché continuo a ripetermi che è stata colpa mia. Eravamo in due in quell’auto, lui non ce l’ha fatta, mentre io sì. Da quando è successo i miei si sono separati e mia madre si è subito risposata con un uomo ricco e si è trasformata in un mostro senza cuore, spietata. Non mi ascolta nemmeno.
I miei amici mi credono pazzo e comincio a credere che abbiano ragione: sto davvero impazzendo!
Ora sono in camera mia, seduto a scriverti e a contemplare la mia stanza. Ora ti lascio, vado sull’attico per non tornare. Addio.
                                                                                                                                                                    Clay”
Il ragazzo riposò il suo diario e prese l’ascensore che lo portò all’ultimo piano del palazzo, dopodiché si recò verso la porta che portava sull’attico. Stranamente essa era chiusa, allora decise di bussare suo cugino che abitava all’ultimo piano del palazzo.
-Chi è? – arrivò la voce di un ragazzo dalla porta.
-Sono Clay, apri.                                                                         
-Ciao, Clay cosa ci fai qui?
-Niente, mi daresti la chiave della porta dell’attico.
-D’accordo, ma... perché vuoi andare sull’attico alle tre del pomeriggio?
-Voglio prendere il sole. – rispose mentendo il ragazzo.
Nonostante pensava non fosse la verità, Aaron gli diede le chiavi, seguendolo di nascosto.
Clay, ignaro che Aaron lo stesse seguendo si diresse verso la porta dell’attico, la aprì e uscì all’aperto, assaporando il fresco sapore del vento.
Chiuse la porta alle sue spalle e camminò per qualche secondo, raggiungendo il centro dell’attico, mentre Aaron si nascose dietro a un muretto seguendo con gli occhi suo cugino.
Clay proseguì arrivando al bordo dell’attico. Lì c’era un muretto fatto di mattoni alto circa un metro e oltre il muretto c’era il vuoto in cui il ragazzo voleva lanciarsi per smettere di esistere.
Pochi passi, ancora pochi istanti lo dividevano da quel muro, dalla fine della sua giovane vita.
Quei secondi passarono e arrivò al muretto. Prima si affacciò giù, poi vi salì sopra respirando affannosamente per l’altezza e anche un po’ per la paura.
Altri pochi secondi e poi chiuse gli occhi, lasciandosi cadere giù. Si era lanciato, eppure dopo neanche mezzo secondo non sentiva più quella sensazione di cadere nello stomaco, né il dolore dell’impatto, né altri suoni, avvertiva solo un leggero dolore al polso. Dopo un po’, rendendosene conto aprì gli occhi lentamente e poi li spalancò notando lo stesso panorama sotto a sé, notò il suo corpo intatto e senza ferite e poi guardò su, notando che il suo polso era bloccato da qualcosa: era una mano!
Guardò ancora più in alto e notò che la mano che l’aveva salvato da quell’attimo di follia era di suo cugino Aaron. Lui, appena aveva capito le sue intenzioni, era subito corso dietro, afferrandolo il più presto possibile e per fortuna c’era riuscito.
-Aaron...
-Mi spieghi che volevi fare?
-Volevo porre fine alla mia vita da schifo.
-Tu non poni fine proprio a niente. – disse tirandolo su e trascinandolo dentro casa sua con la forza. – ora mi racconti perché volevi buttarti giù.
-Te l’ho detto. Ho una vita da schifo! La morte di Dario ha scombussolato sia la mia vita che quella dei miei genitori. Io mi sento in colpa perché mi chiedo: “Perché lui è morto e io no?”, mia madre e mio padre hanno divorziato e lei si è sposata con “Mr. Solo i soldi fanno la felicità” e da quando è successo lei si è trasformata in un automa spietato che obbedisce agli ordini come un cagnolino. Mio padre non so che fine abbia fatto, so solo che ha lasciato l’Australia e io mi sento così inutile. Non riesco a trovare un motivo valido per continuare a vivere.
-Non devi sentirti in colpa per Dario perché tu non c’entri e poi tu dovresti essere come tutti gli altri ragazzi, con tanti sogni e aspettative. Ecco, tu non hai un sogno?
-Ne ho uno e ho chiesto a mia madre se posso realizzarlo, ma lei dopo averlo chiesto a suo marito ha detto di no.
-Qual è questo sogno?
-Voglio ritornare in Italia, nella città in cui sono nato e ho trascorso la mia infanzia.
-Ho capito. Intanto vieni a vivere con me, a casa mia.
-Dai, ma tu vivi con Daiana.
-Ci siamo lasciati due giorni fa.
-Davvero? Perché?
-Mi ha detto di amare un altro...
-Sono idiota!
-Perché dici così?
-Mentre tu sei distrutto per questo motivo, io ti reco problemi con i miei dubbi da adolescente pazzo!
-Non devi dire così, tu non mi rechi alcun problema, anzi, mi faresti compagnia.
-Grazie. - disse abbracciandolo.
-Dai, ora vado a prendere le tue cose giù. - disse andando fuori.
Il ragazzo era deciso, voleva che suo cugino vivesse una vita degna! Così andò in casa di Clay e mise in una valigia gigante tutte le sue cose lasciando la sua camera completamente vuota e ritornando da suo cugino.
Clay lo ringraziò e sistemò le sue cose in una stanza vuota.
La sera arrivò presto e i due andarono a dormire. A Clay quel cambiamento piaceva, almeno riusciva ad essere felice; a Aaron il fatto di stare solo in un letto così grande metteva un po' di tristezza.
La mattina seguente mentre preparava la colazione, Aaron, venne distratto dal suono del campanello.
-Chi è?
Ma dall'altra parte solo silenzio, quindi incuriosito decise di aprire.
-Cosa ci fai qui?
-Volevo vedere come stessi.
-Magnificamente!
-Sicuro?
-Tu come staresti se il più grande amore della tua vita ti direbbe che ama un altro?
-Male.
-Me ne ero quasi dimenticato, vai via...
-Non è quello che vuoi...
-So quello che voglio. E ora vai via. - disse il ragazzo alzando la voce
-Perché ti arrabbi?
-Non sono affari tuoi, ora la mia vita non è più tua.
-Ma io la rivoglio mia.
-Mi dispiace, l'amore non batte l'orgoglio e poi ora devo prendermi cura di mio cugino. Ciao. - disse chiudendo la porta.
Si appoggiò alla porta alzando la testa al soffitto e più passava il tempo, più era arrabbiato con la ragazza più importante della sua vita, ma allo stesso tempo la ragazza che gli aveva spezzato il cuore .
I suoi pensieri vennero distratti dal suono del campanello. La sua rabbia gli fece credere che fosse di nuovo lei, ma appena aprì la porta...
-Senti Daiana, io non voglio saperne più niente -disse mentre si voltava, ma la persona che vide non fu Daiana, ma sua zia, ovvero la madre di Clay -zia, scusa, credevo fosse la mia ragazza, anzi ex ragazza.
-Le tue questioni sentimentali non mi riguardano, sono passata solo per sapere se il moccioso era qui.
-Se per il moccioso intendi tuo figlio, sì, è qui. Ha quindici anni, comunque.
-Ah, beh digli di tornare immediatamente a casa!
-Per colpa tua ha tentato di suicidarsi. Se non era per me avresti un figlio sulla coscienza.
-Beh... tienitelo! Combina solo guai.
-La ricchezza ti ha accecato il cuore...
-Non so di cosa parli. Ora vado.
-Dico a Clay che sei passata?
-Fa' un po' come ti pare. - disse andando via.
Il ragazzo non riusciva a capire come e perché fosse cambiata così tanto, ma poi gli vennero in mente le parole di suo cugino e si rese conto che la colpa era solo del suo nuovo marito.
Dopo un po' si diresse con la colazione nella stanza di Clay.
-Era lei?
-In realtà era tua madre.
-Cosa voleva?
-Niente, voleva sapere di te... Tieni, ti ho portato la colazione. - disse andando via.
-Ho sentito tutto. Grazie.
-Figurati.
-Ho sentito anche Daiana. Come stai?
-Sono arrabbiato.
-Se fossi solo arrabbiato non piangeresti.
-Infatti non sto piangendo.
-Aaron... Non sai quante volte io ho trattenuto le lacrime. Nervosismo, occhi lucidi, bocca che si arriccia da sola. Ci ho convissuto ogni giorno...
-Hai ragione... Ma non posso, non devo. Io ho una dignità - disse andando via.
Ritornò dopo venti minuti e salutò Clay dicendogli di dover andare a lavoro.
Rimase a pensare, disteso sul letto e con la testa rivolta al soffitto, per così tanto tempo che si dimenticò anche di mangiare e di conseguenza che ora fosse.
-Clay, sono a casa! – la voce di Aaron rimbombava nella sua mente facendolo distrarre.
-Ciao. – disse mentre si alzava, sedendosi e aspettando l’arrivo di suo cugino in camera sua. – ti vedo felice. È successo qualcosa?
-In realtà sì. Mi hanno licenziato perché ero troppo giovane e inesperto e cose del genere.
-Sei contento perché ti hanno licenziato?
-Quel lavoro non faceva per me, e poi mi hanno liquidato ben 30.000 $.
-Non è che siano molti...
-Io sono felice perché ho una sorpresa per te. E poi ho il conto in banca.
-Che sorpresa?
-Tieni – disse il ragazzo porgendogli la busta.
Clay aprì la busta aspettandosi di tutto, ma non quello che vide! Gli brillavano gli occhi e un tanto ricercato e splendido sorriso comparve sul suo volto. Quella sorpresa, quel regalo gli avrebbe ridato la libertà.

 
 
Salve a tuttiii. Anche se il 1° capitolo non l'ha cagato quasi nessuno, ho pubblicato lo stesso il secondo. Grazie per averlo letto :D Spero che continuerete a seguire la mia storia.
Ciaooo a tutti.
SweetNemy

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Capitolo 3
*** Attimi di terrore ***


Capitolo III

-Attimi di terrore-

{Punto di vista di Anna}
Mi svegliai presto quella mattina e decisi di chiamare Serena per uscire un po’ insieme: un giretto in centro sotto i primi raggi del sole è sempre la cosa migliore che ci sia.
Mentre camminavamo allegramente, a Serena squillò il cellulare. Un nuovo messaggio da una sua vecchia conoscenza, una sua ex amica che l’aveva lasciata per delle ragazze che lei riteneva migliori.
“Ciao Serena. Scusami se mi sono comportata in quel modo. Ma ora sono qui perché voglio riconquistare la tua amicizia. Anche se ho ancora le mie amiche senza te non è lo stesso. Antonella”
-Chi è? – chiesi curiosa.
-Antonella. Una mia amica.
-È la stessa Antonella che ti aveva rimpiazzata con altre tre ragazze?
-Ora è cambiata.
-Io non ci spererei tanto.
-Eccola! – disse, quasi con gli occhi brillanti e salutandola a distanza.
La vidi bene, bella ragazza, sì. Capelli neri lisci e lunghi e occhi dello stesso colore abbastanza piccoli e profondi, una carnagione né molto chiara, né tanto scura. Poi si concentrò sugli abiti. Partendo dall’alto aveva un berretto verde fluorescente in testa con sopra scritto in fucsia “I love London”, poi si poteva vedere bene una maglietta fucsia con un cuore gigante rosso e un pantaloncino che copriva a malapena il fondoschiena dello stesso colore del cappello. Ai piedi Superga rosso pomodoro che non c’entrava niente col contesto, se si vuole escludere il cuore sulla maglia o l’evidente velo di rossetto sulla sua bocca. Sugli occhi tre quintali di eye-liner nero le coprivano le palpebre, camminando in una linea precisa che si andava a congiungere all’esterno dell’occhio con la matita, anche essa nera, messa sotto, sia internamente che esternamente. Sulle unghie uno smalto arancione fluorescente terminava quel completo. Mi feci subito un’idea. Seguiva la moda stupida di indossare abiti o accessori con la scritta “Londra” o con la bandiera della Gran Bretagna; e anche quella di indossare abiti fluorescenti con dei colori che insieme non si possono guardare. Poi, il trucco era così pesante, che pareva non avesse gli occhi. Nonostante questo, decisi di seguire Serena. Come si dice: “l’abito non fa il monaco”...
...almeno lo speravo!
-Ciao Anto, come stai? – la voce di Serena era piena di gioia.
-Bene. Loro le conosci già. – disse alludendo alle sue amiche. – Lei è Giada – disse indicando una ragazza con un vestitino a mezza coscia, bionda e liscia senza troppo trucco. – Lei è Sara. – indicò stavolta una bella ragazza mora più bassa di lei con lo stesso abbigliamento fluorescente, questa volta giallo. –E lei è Giusy. – infine fece segno a una ragazza bionda platinata con le mêches viola e gli occhi azzurri. Il suo abbigliamento era ancora più strambo. Aveva una canotta che le copriva a malapena mezza pancia e una gonnellina di jeans cortissima a pieghe con una cintura nera a rete. Sotto calze nere a rete con le Converse nere ai piedi. I suoi capelli erano raccolti in due codini arruffati dove non entravano tutti i capelli e quelli che non entravano erano completamente viola.
Ma i genitori a queste qui?
-Piacere. – disse Anna stringendo la mano a ognuna di loro.
-Che ne dite di andare al pub per giovani stasera? Apre alle 17.00 e potremmo andare a quell’orario. Il divertimento è assicurato. Musica, ballo, ragazzi di ogni tipo e ovviamente alcool di ogni tipo! – Disse Giusy come se avesse detto una cosa normale.
-Va bene. Ma andiamo verso le 19.00. Dai, alle cinque stanno gli sfigati di undici - dodici anni. –Disse stranamente Serena.
-Serena! Ma che dici, non ti riconosco. – disse Anna meravigliata.
-E dai Anna, ogni tanto flirtare e bere un bicchiere non fa male. Ci tengo che tu venga.
-E va bene, vengo. Ma lo faccio solo per te.
-Grazie.
Prima di andare Antonella disse:
-Anna, stasera metti qualcosa che arrivi sopra al ginocchio. Non vorrei che sembrassi una nonna. Anzi, tutte a casa mia. E non portate niente, useremo i miei vestiti.
-D'accordo - dissi anche se non ero per niente d'accordo.
La sera purtroppo arrivò presto e come disse Antonella mi limitai a fare una doccia dove riflessi chiaramente sulla serata. Credevo mi avrebbe fatto vestire in stile punk o pagliaccio, e invece...
L'ora arrivò presto e mi diressi a casa di Antonella. Mi accolse con piacere e mi fece accomodare sul divano.
Mentre ascoltavo musica rock, la mia preferita, Giusy disse di andare tutte in camera di Antonella. Feci, credo, il centesimo sbuffo dal mio arrivo e mi alzai, seguendo a raffica Serena.
-Ragazze, questi sono i vestiti che indosserete! - disse entusiasta Antonella.
Tutte le ragazze guardavano meravigliate quei vestiti, tranne io. Io ero assolutamente impassibile,anzi ero disgustata.
Ora non voglio fare tanto la brava ragazza, quella seguace della castità prematrimoniale, ma vestirsi in questo modo a 15 anni mi sembra un po' troppo.
Presi l'abito che spettava a me e andai a indossarlo. Era composto di un bustino stretto celeste e pieno di brillantini dorati, senza spalle e troppo scollato. Il vestito, se così si può definire visto che per me è una maglia lunga, arrivava appena a un quarto di coscia e diveniva sempre più scuro man mano che si scendeva . Ai piedi avevo delle scarpe nere aperte con dei lacci fino alle caviglie e con dei tacchi così alti che non riuscivo a vederne la fine. 
I miei capelli non li riconoscevo più.                                                                                    
Raccolti in una specie di chignon arruffato con dei ciuffi che spuntavano dappertutto.
I miei occhi erano spariti. S'intravedeva a stento quella piccola lucina verde, sovrastata da un ombretto blu notte molto calcato, con una linea spessa di eye-liner nero e sotto matita nera spessissima chiudeva i miei occhi. Sulla mia bocca rossetto rosso scuro forte poco lucido rendeva quel look ancora più selvaggio. E diciamo che ero quella conciata meglio. Avevo quasi vergogna ad uscire di casa così e per la strada tenevo lo sguardo basso e le mani sul vestito (se così si può definire).
Arrivammo in quel pub dopo 10 minuti, che a me sembrarono un'eternità!
Quando arrivai lì mi sembrava tutto tranquillo, c'era musica da discoteca e tanti bambini che ballavano, fin quando...
-Bambini il vostro turno è finito! Si facciano avanti i grandi! - disse un uomo grosso e imponente che poteva essere il proprietario o il Dj.
Quando i bambini andarono via, tanti ragazzi, comprese noi, andarono a ballare.
Finché si balla va bene...
Passò mezz'ora e Giusy, Antonella, Giada e Serena cominciarono a bere senza sosta. Stavo quasi per bere anch'io.
Appoggiai il bicchiere alle labbra preparandomi a bere; ma qualcosa mi frenò.
-Ma che cavolo sto facendo? - pensai appoggiando il bicchiere sul banco e correndo via piangendo.
Corsi senza sosta fino a giungere alla ringhiera della spiaggia. C'era una scala a qualche metro di distanza, ma decisi di togliermi quei trampoli e di saltare giù, nonostante fosse alto un metro e mezzo.
Il tutto mi rese più libera, ma quel vestito e quel trucco mi rendevano quella che non sono. Mentre passeggiavo sulla spiaggia, piangevo, non so perché... Forse perché in un momento avevo perso la mia dignità.
Poco dopo passò un ragazzo.
-Perché piangi? - mi disse anche non conoscendomi.
-Non sono affari tuoi. - risposi fredda.
-E invece sì. Se una ragazza piange, un ragazzo ha il dovere di farla ridere. E ora alza quello sguardo.
-No. Mi hanno fatto indossare questo vestito che non copre niente e un quintale di trucco. Io non sono questa, io sono più semplice.
Quel ragazzo incredibilmente mi abbracciò e io alzai lo sguardo per guardarlo.


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Capelli castani un po' lunghi e occhi verdi più chiari dei miei. Dall'abbigliamento sembrava semplice e un bravo ragazzo. Sciolse quell'abbraccio appena mi calmai e mi diede la sua camicia per coprirmi. Devo dire che andava molto meglio. Poi mi sciolse i capelli, aggiustandomeli e mi prese in braccio portandomi a casa sua, dove non c'era nessuno.
-Dove siamo? - chiesi smarrita.
-A casa mia. Non c'è nessuno e non ci sarà nessuno fino alle 10.
-Ma che ora è?
-Le otto e mezza. Comunque io sono Stefano.
-Giusto. Anna. Posso chiederti un favore? Poi dopo tolgo il disturbo.
-Certo. Per me puoi restare quanto vuoi.
-Posso togliermi questo vestito e il trucco per favore?
-Certo. Il bagno è lì. – disse indicando una stanza.
In borsa avevo lo struccante e i vestiti con i quali ero andata a casa di Antonella. Non persi tempo e mi rivestii in modo decente. Uscii con il sorriso perché ora finalmente mi sentivo me stessa.
-Sai che così sei più bella?
-Grazie. – dissi arrossendo leggermente.                        
-Ti va di fare una passeggiata sulla spiaggia?
-Certo che mi va, ti devo molto.
-Sciocchezze. Ho solo fatto quello che qualsiasi ragazzo avrebbe fatto...
-Sai che questo non è vero.
Dissi, ma la sua risposta fu un silenzio totale seguito da un “vieni, andiamo” detto con un briciolo di voce.
Non ci mettemmo molto ad arrivare sulla spiaggia e arrivati lì quel silenzio continuò, fino a quando Stefano mi fece una domanda, una di quelle fatte tanto per parlare.
-Chi sono i tuoi amici?
-Beh, ho dei ragazzi vicino casa mia nel parco con cui gioco a “Sette si schiaccia” e una ragazza, Serena, che... ora non so se è ancora mia amica. Sai, lei ha rincontrato altre amiche più divertenti e inaffidabili e le ha preferite a me. Ora non so cosa pensare. Di amici veri non ne ho, ne ho solo una, ma abita in Canada. E tu, invece?
-La mia storia è molto interessante. All’asilo avevo tre amici, ero uno abbastanza popolare e non mi prendeva in giro nessuno. Questi tre si sono poi alleati alle elementari dicendomi che non mi meritavano e cose varie. Va beh, avevo sempre altre due amiche simpatiche. In seguito, queste ragazze si sono messe in competizione per me e io le ho abbandonate. Dalla quarta elementare a oggi ho conquistato tanti amici, ma alcuni troppo studiosi, altri troppo esaltati, li ho lasciati tutti. Meglio soli, che male accompagnati. Non ho mai trovato qualcuno che mi completasse. Io sono spontaneo, allegro, simpatico e talvolta egoista; io vorrei un amico che fosse non molto allegro, ma che ridesse a tutte le mie sciocchezze, che fosse altruista, almeno potrei imparare qualcosa da lui. Vorrei qualcuno che sia sfrontato, che affronti tutto e che non si metta in competizione con me, ma che mi dica guardandomi negli occhi: “la vedi quella sfida? Anche se hai paura la supereremo insieme”. Ecco, ho finito! Come mai hai un’amica in Canada?
-Tu mi hai acceso completamente, ragazzo mio. Credo che tu abbia trovato l’amico che cerchi. Comunque perché ho sempre vissuto in giro per il mondo, ma ora resterò qui per sempre e ne sono contenta.
-Perché con tanti posti proprio qui?
-Perché tu, devi sapere che io qui ci sono nata, e amo questa città più di quanto amo me stessa. Amo la sua semplicità, amo il fatto che ci sia un posto chiamato “Cornettificio”, che ci sia un gelato artigianale buonissimo, che il cibo in sé sia squisito; amo il verde, la natura, i boschi, le montagne che questa città ci offre, ma allo stesso tempo il mare che c’è. Sì, non è proprio il migliore, ma è accogliente, è splendido. Amo la gente, perché è semplice, si accontenta di poco. Amo il fatto che, se c’è qualcuno che critica questa città, appena arriva, non vuole più andarsene.
-Èvero! Sai che non ci avevo mai pensato? Mi sa che hai ragione. Ho davvero trovato l’amico, anzi... l’amica, che stavo cercando. – disse ridendo. Quel ragazzo era fantastico!
Dopo un po’ mi chiamò mamma dicendo di tornare a casa. Salutai Stefano e mi diressi verso casa. Mentre camminavo felice e spensierata per la strada, qualche minuto dopo aver salutato Ste, una voce mi chiama a qualche metro.
-Anna! Fermati – diceva  forte.
-Che è successo?
-Volevo dirti che, se non ti dà fastidio ovviamente, potrei. Sempre se vuoi, potrei accompagnarti a casa. Sai è buio e non mi sembra carino lasciarti qui, da sola. –disse tentennando e un po’ evidentemente emozionato. Aveva gli occhi che non guardavano mai nella stessa direzione, come quelli di un bambino che aspetta di sapere se sua madre lo accompagna al parco giochi o come quelli di un cagnolino che aspetta buono il suo pranzo. Quegli occhi intensi che appena guardavo, mi aprivano un orizzonte da cui era difficile distogliersi.
Pochi secondi, pochi attimi. Sapevo già cosa rispondere, ma mi ero persa nei suoi grandi occhi verdi.
-Certo che puoi. – dissi con un gran sorriso.
-Prometti che non t’arrabbi se ti dico una cosa?
-Tutto quello che vuoi.
-Quando sorridi sei ancora più bella.
-Nessuno ti ha detto che non bisogna dire le bugie?
-Nessuno ti ha mai detto che sei bellissima?
-In realtà tu sei il primo, se si vuole escludere mia madre.
-La gente non capisce niente. Ti va di andare al mare domani mattina?
-Certamente! Ti va bene alle nove all’inizio della scogliera?
-Va benissimo! Comunque ti lascio il mio numero. – disse estraendo un pezzo di carta dalla tasca. – l’avevo scritto prima a casa mentre ti cambiavi.
-Grazie. Me lo segno. – tirai fuori il cellulare e lo salvai in rubrica, dove c’era solo il numero di mamma, di papà, di Serena, di Antonella e di Jessie, e gli feci uno squillo.
Arrivai a casa dopo cinque minuti e lo salutai.
Di sera, prima che mi addormentassi, mi squillò il cellulare. Un nuovo messaggio, lessi. Proveniva da Stefano. Dopo averlo letto un sorriso comparve sul mio volto.
 
  
Grazie per aver letto la mia storia. Se lasciaste una recensione ne sarei felice =) Vorrei sapere cosa ne pensate. Comunque questo è il 3° capitolo, non fate caso al disegno.. xD L'ho fatto io e fa un po' pena.. ma era x darvi un'idea di Anna e Stefano. Ne farò uno x ogni capitolo da oggi. ciaooo
SweetNemy <3
 
 

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Capitolo 4
*** Una nuova vita ***


Capitolo IV

-Una nuova vita-

{Punto di vista di Clay}      
Quando aprii quella busta non potevo credere ai miei occhi: due biglietti aereo per l’Italia. Sarei tornato nella mia città.
-Sei contento?
-Contentissimo, grazie! – dissi a gran voce, ma poi, rendendomi conto di una cosa, continuai – ma non è che ti reca problemi questo viaggio?
-Non è un viaggio! Ci trasferiamo lì! E poi mi farebbe bene cambiare aria e... non rivedere Daiana. - disse con un'espressione allegra, che andò svanendo non appena nominò il nome di quella ragazza.
-Tu la ami ancora, non è vero?  
-Dai, prepara le valigie. - disse con un'espressione pensierosa.
-Non le ho mai disfatte da quando sono arrivato qui. Tu dovresti fare le tue.
-Puoi farmele tu? Io vorrei andare a controllare se puoi viaggiare con me, anche senza la firma dei tuoi genitori.
-Ti ricordo che ho già il passaporto e già l'ho usato una volta, e ho anche quella specie di autorizzazione; quindi evita di trovare scuse assurde e va' a fare le valigie. Se vuoi ti do una mano.
-No... Va' a vedere se a casa tua c'è altra roba da prendere.
-D'accordo. - dissi rassegnato. Avevo capito che la mia domanda in qualche modo l'aveva scosso e allora decisi di scendere in casa mia.
Scesi usando le scale, così avrei impiegato più tempo. La tensione cresceva man mano che scendevo e che mi avvicinavo a quella porta. Il cuore mi batteva a mille e cominciavo ad avere il respiro affannato e a sudare freddo. Mi faceva sempre star male quel posto. Arrivo. Prendo aria e suono il campanello, per fortuna apre la cameriera.
-Salve, signorino Clay. Com'è stata la sua permanenza lontano da casa?
-Magnifica. Almeno Aaron mi tratta come si deve. Mamma è in casa?
-No. E neanche suo marito.
-Posso entrare?
-Certo! È casa sua!
Entrai facendo un sorriso a Sylvia, la cameriera, e andai nella mia stanza. Aaron aveva svuotato armadi e cassetti, ma restava la scrivania e parte della libreria.
Presi il mio zaino per la scuola e dentro ci infilai la mia passione: l'arte. Dipingere è una cosa fantastica! Presi la cartellina con i disegni e il mio inseparabile kit da disegno. Presi tutti i miei libri, i miei film e i miei Cd preferiti. Presi le mie due medaglie conquistate e in generale, tutti i trofei o le cose che mi hanno reso felice. Decisi di prendere un cofanetto dove c'erano tutti i miei giochi da bambino e dopo tutto ciò, richiusi lo zaino e decisi di andare via.
Mi girai puntando lo sguardo verso la porta, ma prima di andarle incontro mi guardai attorno, contemplando quell'ambiente per l'ultima volta.
Il mio sguardo venne attratto da un oggetto sulla scrivania: era una foto. La cornice era di legno, con al centro un piano di vetro e questo rifletteva la luce del sole che entrava dalla finestra. Poco dopo mi avvicinai, coprendo il sole, e notai Dario in quella foto. Il mio cuore si strinse e sentii che qualche lacrima voleva scendere. Non mi era mai successo, non gli avevo mai dato tanta importanza.
Inconsciamente incominciai a parlare.
-Ciao, Dario. Sono passati tre anni da quell'incidente e ora... solo ora, mi rendo conto di quello che ho perso. Sei stato l'unico che mi abbia appoggiato, quando Aaron non c'era. Non so perché continuo a ripetermi che se solo non avessi insistito così tanto per quella mostra tu saresti ancora qui, ma è così! Mi sento in colpa. – e lì qualche lacrima cominciava a scendere – Dario... io l’ho sognato qualche mese fa... ho sognato l’incidente. Era tutto così reale. C’eri tu che guidavi e sorridevi e io impaziente. Continuavi a ripetere: “dai, lo stadio è qui dietro, le mostre sono cose da femminucce! È meglio una bella partita di calcio che osservare dei quadri fatti da chissà chi”. Perché? Perché non ti ho dato ascolto? Beh, hai preso l’autostrada e mi hai accompagnato lì. Stavamo ritornando, era buio e una ragazza ti inviò un messaggio. Io dovevo sempre fare l’impiccione e allora presi il tuo cellulare e lo lessi, tu per riprenderlo non ti accorgesti della curva e finimmo fuori strada. La rete metallica che separava l’autostrada dalla duna si ruppe, e finimmo quasi giù. La macchina cadde dal mio lato, e in quell’incidente sarei dovuto morire io, ma poco prima dell’impatto finale, mi hai abbracciato forte, evitando così il mio impatto. Beh, dire che sei stato grande è dire poco, sei stato un eroe e come tale meritavi di vivere. Non te l’ho mai detto, ma l’ho sempre pensato. Ti voglio bene! – dissi tra tante lacrime gelide e qualche singhiozzo. Presi la foto e la strinsi a me chiudendo gli occhi per qualche secondo, poi la posai nello zaino e feci un grosso respiro e uscii a testa bassa salutando Sylvia.
Risalii le scale che, stranamente, tra mille pensieri subito terminarono e bussai Aaron.
-Chi è? – chiese lui.
-Sono io. – risposi con voce bassa per nascondere quella trafitta da un pianto abbastanza sentito.
-Fatto?
-Sì. Ho messo tutto qui. – dissi indicando lo zainetto e camminando in avanti a testa bassa.
-Stai bene?
-Sì. – dissi con una voce acuta, forse troppo acuta e credo che Aaron se n’è accorse.
-Cos’è successo?
-Niente. – dissi velocemente correndo in camera mia.
Lì, appoggiai lo zaino sul letto e andai dall’altra parte, sedendomi a terra e portando le ginocchia al petto con le braccia. Stringevo forte le mie gambe e appoggiai la testa sulle mani mentre qualche lacrima scendeva ancora.
Passarono pochi minuti, ma io rimasi completamente immobile, e la porta si aprì.
Sentivo dei passi avvicinarsi sempre di più, ma non volevo alzare la testa, fin quando non sentii la voce di Aaron.
-Clay...
A quel punto alzai la testa guardandolo fisso negli occhi, ma non dissi nulla. Lui sospirò e poi disse:
-Perché piangevi?
-Non piangevo...
-Hai gli occhi gonfi, perché piangevi?
Già... i miei tanto belli, ma stupidi occhi. Sono di un colore magnifico, azzurro, ma non come il cielo, ancora più chiaro; quello che tutti chiamano “color ghiaccio”, ma il mio non è spento, anzi è acceso e brillante. Solo che ho degli occhi molto delicati e appena verso qualche lacrima o prendo l’allergia mi si gonfiano in una maniera irriconoscibile.
Cambiando discorso, cosa devo dire ad Aaron? Dire le bugie non mi riesce molto bene. Ma che dico? Sono una frana a mentire! Forse dovrei dirgli la verità, spero solo che non mi prenda per pazzo.
-Ho visto una foto di Dario. È la prima volta che mi accorgo di quanto mi manca, è la prima volta che piango per la sua scomparsa, è la prima volta che ammetto che senza di lui la vita non ha il giusto significato.
-Clay anche a me manca tanto. Era la persona più sincera e gentile che conosca. A parte un cugino, era un amico, qualcuno di cui fidarsi, una persona attenta e allegra. Anche lui, come te, amava disegnare anche se tu questo non lo sai. Era il suo modo di esprimersi, ma da quando sua madre buttò via tutto il suo kit e alcuni suoi disegni lui non fu più lo stesso. Quelli che rimasero li presi io di nascosto e li conservai da qualche parte. Ora smettila di piangere e sorridi. Lui avrebbe voluto che fossi felice e andare via da qui ti renderà felice. Melbourne è magnifica, ma conserva dei brutti ricordi sia per me che per te.
-Hai ragione. A proposito, quando si parte?
-Domani alle due del pomeriggio. Ah, ricorda che lì sarà agosto! Quindi... metti qualcosa di leggero.
-D’accordo e... grazie!
Aaron mi sorrise e andò via, chiudendo la porta alle sue spalle. Aveva ragione, Dario avrebbe voluto che sorridessi e così farò.
Da oggi farò un patto con me stesso, sorriderò a qualsiasi cosa mi diranno; sorriderò qualsiasi cosa succeda; sorriderò perché non c’è cosa più bella e semplice al mondo di un sorriso. E con questo ho già vinto!
Quel giorno volò in fretta e arrivò il giorno della partenza: era già il 21 febbraio, ma lì sarebbe stato il 21 o 22 agosto al mio arrivo. Mi svegliai presto... insomma! Erano le dieci, ma di sera a furia di pensare mi era venuto il mal di testa. Per fortuna adesso stavo bene.
Il tempo di fare le cose essenziali ed ecco che già era l’una e già dovevamo partire. Presi le valigie e le caricai nell’auto di mio cugino e insieme partimmo per l’aeroporto.
Arrivati lì Aaron chiese il modulo o chissà cosa per portare l’auto e fecero i normali controlli a noi e alle valigie prima di salire. Tutto in regola e passammo.
Arrivammo sulla pista di decollo. Era immensa, l’aereo era immenso, tutto era immenso e tutto ciò era fantastico forse perché... sapeva di libertà.
Salimmo in aereo e ci sedemmo al posto stabilito e come suggerito dall’hostess allacciammo le cinture. La domanda fu spontanea.
-Aaron hai mai preso l’aereo?
-Qualche volta, ma per altre città australiane, non sono mai andato oltre. Tu?
-Sì, ma avevo tre anni e non ricordo molto. Che sensazione si prova?
-In realtà mi addormentavo sempre quindi... però vedrai.
-Bella risposta!
Non terminai di parlare che l’aereo decollò e la sensazione non era spiacevole, anzi, era divertente!
Nello zaino di Aaron c’erano musica, libri, fogli strani, biglietti e una specie di agenda blu. Nel mio c’erano i miei disegni e il mio diario. Nella noia decisi di guardare i disegni, perché il diario non sarebbe stato molto allegro.
Aprii la cartellina senza guardare cosa ci fosse e presi tutti i fogli capovolti dal più vecchio al più recente. Sul retro del primo che vidi c’era scritto:
“9 giugno 2006. Spiaggia a sud.”
Quando ho fatto questo disegno avevo si e no nove anni, e sopra era raffigurata una spiaggia col mare colorata con i pastelli. Devo dire che già a quell’età avevo una bella tecnica. I disegni seguenti raffiguravano tutti la mia stanza o posti inventati da me, alcuni i posti dove andavo spesso, come la spiaggia, la scuola o il parco dove io, Dario e Aaron facevamo i pic-nic.
Quest’aneddoto della mia vita è uno dei più divertenti: era il 27 settembre 2008 e andai a fare un pic-nic con Dario e Aaron in questo parco. Io dipingevo l’erba o lo stagno con le oche e loro ascoltavano musica rap ballando come due cretini. Ricordo che mentre dipingevo mi fecero i complimenti per il “capolavoro” e poi mi presero in braccio buttandomi nel laghetto delle oche.
Mentre ripercorrevo questi ricordi ridendo come uno scemo, Aaron parlava nel sonno.
Diceva cose del tipo: “Perché? Non doveva finire così.” E dopo un po’ disse quel nome: “Daiana”.
Avevo capito tutto e decisi di svegliarlo per limitare la sua sofferenza.
-Aaron. Svegliati! – dissi scuotendolo.
Passò qualche secondo e si svegliò.
-Che c’è? È successo qualcosa?
-Hai sognato Daiana.
-E tu come lo sai?
-Hai detto il suo nome mentre dormivi! Tutto bene?
-Prima o poi diventerò pazzo per quella ragazza! Lei mi fa impazzire, ma allo stesso tempo mi fa diventare furioso! Ora sta con un altro, e che ci stia con un altro. Tu, però, non ascoltare ciò che dico mentre dormo. Ascolta un po’ di musica.
-Io odio la musica rap.
-Un anno fa c’è stata una svolta nella mia vita: non ascolto più musica rap. Mi sono spostato sul rock.
-Rock? Non ne sento parlare molto spesso e non so di preciso cosa sia.
-Ascolta!
Non so perché lo feci, ma presi l’mp3 e schiacciai il pulsante “play”, facendo, così, iniziare la canzone.
C’era una piccola introduzione di chitarra, iniziava lenta, con un ritmo dolce, ma deciso. La voce del cantante era forte, graffiata, ma allo stesso tempo decisa e comunicativa come la musica. Quella canzone raccontava una storia, raccontava il passato, ma allo stesso tempo ti incitava a guardare al futuro. Una cosa spettacolare, avevo i brividi, ma allo stesso tempo avevo voglia di urlare. Tutto questo terminava con un meraviglioso assolo di chitarra elettrica che dava i brividi, ma allo stesso tempo una scarica di adrenalina fortissima! Questo è il rock.
Finì la canzone e mi lasciai sfuggire un “wow”.
Aaron si era riaddormentato, così, in preda alla noia, guardai fuori dal finestrino.

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C’erano tante nuvole e noi c’eravamo sopra!
Così finii per addormentarmi anch’io e... Aaron mi fece svegliare.
-Cavolo, Clay!
-Che c’è? – dissi spaventato.
-Tu sai parlare italiano?
A quel punto mi venne da ridere, e lo guardai ridendolo in faccia e dicendo:
-Ovvio! Perché tu no?
-Non molto bene!
Quel momento si concluse con una risata generale e dopodiché ci addormentammo entrambi finché l’aereo non atterrò. Ero finalmente arrivato lì!


Ciaooo a tutti..
Finalmente sono tornata con il 4° capitolo, spero vi sia piaciuto! =P
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito la mia storia!! Spero abbiate gradito anche il disegnino!
Ci vediamo presto con il 5° Ciaooo a tutti!
SweetNemy

 

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Capitolo 5
*** Un amore improvviso ***


Capitolo V

-Un amore improvviso-

{Punto di vista di Anna}
Lo lessi due volte per capacitarmi che sia tutto vero e distolsi per un attimo gli occhi dal cellulare. Il cuore mi batteva a mille e la mia bocca era curvata in un sorriso che non voleva terminare. Una frase semplice, presa da chissà dove, mi faceva quell’effetto. Forse non m’importava chi era l’autore, m’importava che un ragazzo splendido come lui avesse scelto me per quella frase.
“Se io fossi l’universo, tu saresti le sue stelle. Senza le stelle esso sarebbe buio, freddo. Ecco cosa sarei io senza di te! Buonanotte.”
Era stato davvero dolcissimo e io mi sentivo davvero bene quella sera e anche quella notte, e anche quella mattina...
-Ciao Ste! – dissi felice.
-Ciao Anna. Come stai?
-Bene. Tu?
-Abbastanza bene. In verità devo dirti una cosa.
-Dimmi.
-Io... credo di essermi innamorato di te.
-Ma se mi conosci da un giorno?
-Non importa... sarà stato un colpo di fulmine o non so cosa, ma tu mi fai uno strano effetto. Non fraintendermi, uno strano, ma fantastico effetto!
-Ah... Mi dai il tempo di pensarci?
-Non c’è bisogno di pensarci. Rispondimi ora.
-Beh... io... – ero confusa! Non volevo dirgli di no, perché altrimenti sarebbe stato male, ma non volevo neanche mentirgli. – non lo so, Stefano. Tu sei un bravo ragazzo, ma io non sono mai stata con nessuno.
-E allora? C’è sempre una prima volta!
-Ma non così. È troppo all’improvviso. Magari... magari potremo conoscerci meglio.        
-Già so tutto quello che bisogna sapere su di te. Sei una ragazza splendida e hai un carattere fantastico.
-Anche tu sei molto simpatico e carino... ma non mi sembra abbastanza per essere una coppia.
-Lo è invece. Ti innamorerai pian piano, basta solo starmi vicino!
-Davvero è così semplice? – dissi con tono meravigliato. Forse Stefano aveva ragione, forse prima del vero amore c’è una semplice simpatia. Del resto l’estate è la stagione degli amori, forse mi farà solo bene. –Va bene!
-Quindi è un sì?
-Sì...
A quel punto mi prese il viso tra le mani e mi baciò. Forse stava durando un po’ troppo, quindi decisi di finirla lì.
-Oh, ma che ti sei incollato?
-Scusa... è così bello che è quasi impossibile rinunciarvi.
-Figurati. Beh, io ho caldo. Vado in acqua.
-Il mare è leggermente mosso oggi. Non allontanarti!
-Tu non vieni?
-Preferisco restare qui.
Non lo capivo. Perché non voleva stare con me se mi aveva appena baciato? E poi... mosso? Le “onde” saranno massimo di 5 cm.
Forse aveva paura dell’acqua. Ora mi veniva da ridere! Nessun ragazzo in questa città ha paura dell’acqua.
Sì, ci saranno ragazzi che non sapranno nuotare bene, ma è strano che un ragazzo tanto sereno e spontaneo abbia paura dell’acqua. Beh, c’è un solo modo per scoprirlo.
-Ste, ma hai paura dell’acqua?
-Cosa? No! Io, paura dell’acqua? No! Ma cosa vai a pensare?
-Se non ti immergi significa che hai paura dell’acqua.
-Cosa? Ora non ne ho voglia.
-Vieni qui immediatamente, altrimenti significa che non tieni a me e che non vuoi starmi vicino. – dissi cercando di farlo innervosire, e se anche questo non bastasse, ricorrerei alla parola magica per far cadere d’orgoglio un ragazzo. Ha funzionato con mio fratello che è tutto fuorché permaloso!
Stefano sbuffò e poi fece un passo e si avvicinò all’acqua. Camminò fino a quando l’acqua gli arrivava alle ginocchia.
-Caspita, è fredda! –disse con un tono strano.
Gli andai dietro e lo spinsi in acqua. Lanciò un urlo e cadde in acqua, io ovviamente ridevo. Non ci mise molto a rialzarsi, anche se sembrava molto nervoso e impacciato.
-Ormai mi sono immerso, quindi... mi prenderò una rivincita.
Mi prese in braccio e guardava l'orizzonte coi suoi occhi, mentre le sue mani mi tenevano sospesa in aria, camminò per qualche secondo e mi lanciò in acqua come se fossi una pietra.
Caddi ben in profondità, ma risalii subito in superficie andando da lui.
-Come vedo hai molta forza.
-Il mio costante allenamento giornaliero mi aiuta molto. Sai, io faccio in media 100 addominali al giorno, con almeno 50 flessioni e 10 km di corsa.
-Ah... - dissi con tono disgustato, ma non perché facesse tutta quella roba, ma per il suo tono mentre lo diceva. Mi sapeva di esaltato anche lui, e pure tanto!
Quella mattinata passò, per fortuna, velocemente e andai a casa.
Lì, sotto lo sguardo sorridente di mia madre, buttai tutto a terra e corsi in bagno a fare una doccia.
Quando uscii andai subito in cucina, siccome mamma aveva preparato da mangiare.
I giorni scorrevano in fretta ed era già passata una settimana.
Ste non si era fatto sentire, e non rispondeva alle mie chiamate, così decisi di andare a casa sua.
Presi aria e bussai.
-Chi è? - una voce femminile, ma allo stesso tempo imponente, mi rispose.
-Sono Anna, un'amica di Stefano. È in casa?
-Certo. Te lo chiamo subito. Entra.
Entrai e aspettai che Stefano arrivasse. Probabilmente stava dormendo, visto che aveva i capelli tutti scompigliati e gli occhi semichiusi.
-Ciao. Prima di dire qualsiasi cosa andiamo in camera mia. - disse afferrandomi per il polso e tirandomi.
-Perché mi hai portato qui?
-Mi dà fastidio che i miei ascoltino. -disse chiudendo la porta a chiave.
-Perché chiudi la porta a chiave?
-Non voglio che entrino. Tu, piuttosto, perché sei qui?
-Perché sono qui? Ste è da una settimana che non ti fai sentire, non rispondi alle mie chiamate. Ero preoccupata. Dicevi di amarmi, ma se ami qualcuno non puoi stare senza di lui neanche per un secondo, saresti disposto a tutto pur di vederlo e non mi sembra che abbia fatto molto pur di vedermi.
-Anna non è colpa mia, i miei vogliono una mano al lavoro e quindi mi sveglio presto di mattina e torno tardi di sera e non ho la forza di uscire.
-Faccio finta di crederci. Potevi chiamarmi, no?
-Non ci ho pensato.
-Faccio finta di crederti per la seconda volta.
-Anna io tengo a te.
-Davvero? Beh, a me non sembra.
Non finii di parlare che Stefano mi spinse contro il muro e mi baciò in modo molto intenso. Forse questo era bastato per farsi perdonare.
-Ora mi credi che ti amo?
-Forse... va beh, ora vado. Ciao... e fatti sentire ogni tanto.
-D’accordo. Ciao.
Uscii dalla stanza sorridente e salutai la madre di Ste, uscendo da quella casa. Il problema era che apparivo sorridente, ma dentro era terribilmente confusa. Sentivo che ogni giorno che passava mi avvicinavo sempre di più a lui, ma non sapevo se fosse uno sbaglio o una cosa giusta. Sapevo che lui, in qualche modo, mi voleva bene, ma non sapevo dire con certezza se quel bene fosse amore, o semplice affetto.
A me piaceva stare con lui, ma se l’amore è solo questo ti fa sentire un po’ a disagio.


  
Ciaoooo.. Grazie per aver letto :P . Secondo voi Anna si innamorerà di Ste e se sì quanto durerà? Lo scopriremo solo vivendo... u.u
Tra poco inizia la scuola.. sia per me che per i nostri protagonisti. Vi aspetto col prossimo capitolo. Mi raccomando, non perdetevelo perché scopriremo la reazione di Clay al suo arrivo nella sua città (Penso che abbiate capito da tanti dettagli che la città in questione è Napoli) xD e soprattutto scopriremo la storia di Aaron. Come mai viveva da solo a casa quando era a Melbourne? E soprattutto, avrà davvero deciso di dimenticare Daiana?? Ci sarà una sua riflessione molto personale .. Tutto questo e molto altro nel prossimo capitolo =P
Ora scappo che sta per iniziare la partita! Forza Italiaaa! Ciaooo :3
SweetNemy <3
 
 

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Capitolo 6
*** Un posto unico ***


Salveee a tutti! Scusate il ritardo ma siccome studio nn ho molto tempo. Questo capitolo narra l'arrivo di Clay nella sua città e sarà pieno di riflessioni e pensieri da parte del ragazzo! Può risultare un po' noioso ma le ultime frasi saranno fondamentali per il seguito! Ci vediamoooo!
SWEETNEMY :D


Capitolo VI
-Un posto unico-

{Punto di vista di Clay}

Scesi da quell’aereo, così rumoroso, ma in parte così dolce: è stato grazie a lui che sono arrivato qui! Mi guardo intorno con un grande sorriso, non tanto perché il paesaggio faccia ridere o sia strano, ma perché la bellezza di quella città andava oltre ogni aspettativa. Non la vedevo da dodici anni e non era cambiata di una virgola, anzi, era ancora bella!
I miei pensieri vennero distratti, come al solito, (credo di doverci fare l’abitudine) da Aaron.
-Clay? Clay ci sei? Sbrigati, dobbiamo prendere il treno.
-Certo, arrivo!
Eh, sì! La città in cui sono nato non si trova in centro, bensì nella periferia a sud, ma il paesaggio circostante è lo stesso.
Paragonare le spiagge sabbiose e immense dell’Australia a queste piccole spiagge di ciottoli e sabbia scura è come paragonare una montagna a una pietra.
Beh, però nessuno può spostare una montagna, mentre chiunque può spostare una pietra! Questo è un luogo di persone semplici che vivono per la famiglia, per il lavoro e per le tradizioni. I posti lo stesso; sono semplici, eleganti, raffinati, ricchi di storia e di cultura e io li definirei quasi strategici. Come al solito, in questo breve viaggio in treno Aaron mi distrae.
-Clay ma dove andremo a vivere?
-Eh? Bel dilemma. Io dove vivevo da piccolo?
-Non lo so. Non hai delle foto della tua vecchia casa?
-Sì. Ne ho molte nell’album. Ma è nella valigia.
-Facciamo una cosa. La prima notte la passeremo in un hotel, uno qualsiasi, il primo che troviamo. Lì vedrai il tuo album di foto e già se troviamo il numero civico o magari la casa dall’esterno è un inizio. Poi ci penserà Internet a trovare la strada.
-D’accordo. Sì. Buona idea.
Camminammo per svariati metri in cerca di un hotel e finalmente lo trovammo: un hotel altissimo dipinto di rosa antico all’esterno e di giallo all’interno. Io andai subito sopra, mentre Aaron restò lì per prenotare una stanza. Girovagavo per i corridoi guardandomi intorno: era tutto davvero fantastico ed estremamente semplice. Poco dopo mio cugino mi inviò un messaggio dicendomi di salire al 2° piano e di aspettarlo fuori la stanza 54; probabilmente era la nostra!
Quando arrivò entrammo e non persi tempo a prendere l’album: erano tante le foto e molte di esse non le degnavo di uno sguardo: sembrava che mia madre mi volesse bene, ma ovviamente questo è solo passato. A volte vorrei sapere dove sia mio padre, è tanto che lo cerco e mi farebbe sapere come sta.
E poi... eccomi da piccolo, qui, in questa città, a casa dei nonni insieme ai miei genitori, sorridente come non lo sono mai stato. Una casa dipinta di celestino chiaro dove s’intravedevano le montagne. Un giardino ben conservato tutto verde con alberi di arance, pesche e limoni e alcune piante aromatiche. E poi qualcosa di familiare: un passaggio a livello che avevo visto dal finestrino del treno. Non era cambiato tanto e decisi di andarci mentre Clay faceva una doccia.
Camminai ininterrottamente per almeno mezzo chilometro e alla fine riuscii a trovare quel posto: sembrava spettrale.
Quel celestino chiaro era diventato bianco sporco e a tratti grigio o verdino dalla muffa, il cancello era nero, tutto unto e arrugginito. Lo aprii e emanava un cigolio da mettere i brividi, un po’ di vento scuoteva le poche foglie rimaste di quegli alberi un tempo verdi e fece sbattere il cancello facendomi tremare ancor di più. Attraversai il giardino guardandomi attentamente intorno, scrutavo ogni centimetro cubo di quell’ambiente e dopo alcuni secondi raggiunsi la porta. La aprii e stavolta ci fu un cigolio un po’ più sopportabile. Beh, è naturale vedere ragnatele dappertutto e i mobili consumati, ma nel complesso era abbastanza carina la casa, se non fosse che questo stile vintage non si abbinava né a me, né a Clay.
Decisi di tornare in hotel.
-Clay ma tu quanti soldi hai?
-Ad occhio e croce circa 350.000 euro. Perché?
-Così. Per chiedere. Io ne un bel po’ e voglio mettere a posto la casa dei nonni.
-L’hai trovata?
-Sì. Ed è ridotta piuttosto male, per non parlare di quello stile vintage!
-Falla come vuoi, la scelta è tua! Basta che sia piena di luce.
-Sì, concordo! Quelle pareti marroni vanno abolite!
Così mi collegai ad internet e contattai un’equipe di ristrutturatori di case nelle vicinanze. C’era tutto l’essenziale: persino il tappezziere, il giardiniere e il piastrellista. Clay aveva affidato il compito a me e quindi spettava a me!
Il pomeriggio stesso questi ragazzi arrivarono alla casa dei nonni e gli spiegai la situazione. Dissero che avrebbero pensato a tutto loro, tranne che alla scelta dei colori e dei mobili. Mi studiai il volantino e in un quarto d’ora avevo già scelto tutto. Mi dissero anche che avevo buon gusto! Ma avendo una passione innata per l’arte so abbinare bene i colori e so quali sfumature danno un certo effetto.
Pensando alla pittura decisi di dipingere un po’. Andai in spiaggia col mio kit e mi misi all’opera: era tutto così fantastico. Un limpido mare azzurro dominava quell’atmosfera, sovrastato da un cielo sereno e oserei dire quasi ipnotico, e circondato da tante montagne che terminavano la loro corsa gettandosi in acqua. Qualcosa di semplice, ma allo stesso tempo magnifico, mi apriva il cuore e mi faceva pensare a un posto quasi magico, incantevole!
L’uomo senza immaginazione, senza una reazione del cuore e senza qualcosa da provare osservando un paesaggio, o qualsiasi cosa, di nuovo non sarebbe un uomo, ma una macchina.
Una persona qualunque avrebbe visto delle montagne, il mare e il cielo. Io vedo armonia, storia, natura! È strabiliante come la pioggia sia riuscita a modificare così perfettamente queste montagne. Secondo me queste montagne sono come noi: il risultato di qualcosa di fantastico, ma che possono, volendo, franare e farci del male. Il mare è lo stesso. E il cielo? E la pioggia? Sappiamo tutti cos’è la pioggia: l’acqua del mare evapora, sale in superficie, va verso il cielo, si condensa e cade sottoforma di pioggia. Se tutti vedessimo la pioggia così saremmo rovinati! A volte immagino la pioggia come le lacrime del cielo, è immaginando questo che quando dipingo riesco a comunicare chi sono agli altri.
L’arte è un linguaggio: un linguaggio che solo chi vede il mondo soggettivamente, oltre che oggettivamente può capire!
Ritornando alla realtà dopo circa tre settimane la squadra di ristrutturazioni mise a posto la casa, dipingendo anche le pareti e posizionando i mobili.
Quando entrai restai shoccato! Era bellissima. Uno splendido cancello argento e un giardino completamente rivisitato, verde, raggiante e pieno di alberi, piantine e fiori colorati. La porta d’ingresso era bianca con le rifiniture argentate e sovrastata da un muro sorretto da due piccole colonne di gesso (almeno credo che sia). Dentro l’ambiente si apriva con un ampio soggiorno con divani blu e bianchi, libreria attrezzata con libri, film e DVD e un televisore fantastico. Ambiente aperto con la sala da pranzo, con un tavolo da almeno 12 posti! Subito a destra c’era la cucina: era argentata e molto grande, con un gran bancone da lavorazione in marmo bianco. La cucina era provvista di un balcone.
Di fronte c’era, ovviamente, il bagno!
Andando al piano di sopra trovavamo un lungo corridoio celestino e cinque stanze. Partendo da destra c’era la camera da letto, la vecchia dei nonni, ma ora era moderna e davvero fantastica! Poi la mia camera; quella di Aaron; una stanza per gli ospiti matrimoniale e una singola. Infine c’erano due bagni. Uno normale e l’altro con la vasca idromassaggio: non ho resistito. Ogni stanza aveva un balcone molto spazioso, eccetto il bagno che invece aveva una grande finestra con tenda.
Credo di aver fatto un bel lavoro con i mobili, come per la rimozione del cortile sul retro e la costruzione di un garage e una piscina.
Dopo ciò mi fermai nella mia stanza: era completamente azzurra, come il mio colore preferito! C’era il letto, l’armadio, la libreria e la postazione studio. A proposito di studio, oggi sarebbe cominciata la scuola, ma io non ci sono andato!
La preside disse che dovrò incominciare da domani perché sarebbe stata la giornata delle presentazioni.
Domani dovrò cominciare il secondo anno del liceo scientifico. Chissà come andrà...

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Capitolo 7
*** Ritorno a scuola ***


Salveee a tutti.. scusate del ritardo ma ho avuto da studiare :S comunque ecco a voi un capitoletto appena sfornato è.é Spero vi piaccia! :P
SweetNemy <3

Capitolo VII

-Ritorno a scuola-

{Punto di vista di Clay}
Ero entrato insieme ad Aaron in quel posto da alcuni minuti ormai, e lo scrutavo come si fa con ogni posto nuovo. Solo l’atrio era immenso: c’erano tante persone che aspettavano parlando e tanti dipendenti che camminavano avanti e dietro per chissà cosa! Aspettammo qualche minuto e poi ci recammo in presidenza. Quella parola mi metteva i brividi, speriamo sia simpatica almeno!
Aaron bussò subito e entrò non appena gli fu dato il consenso, io lo seguii dopo un po’, quasi impaurito.
-Salve. – dissi quasi tremando.
-Ciao. Tu devi essere Clay. Rilassati, non ti mangio!
-Certo! – dissi più tranquillo, anche se di poco.
-Bene. Clay sei accompagnato da...?
Ora non sapevo se parlare o se semplicemente indicare Aaron, ma per fortuna quest’ultimo mi salvò da quella situazione spiacevole.
-Lo accompagno io. Mi chiamo Aaron e sono suo cugino.
-Cugino? E i genitori?
-I suoi genitori sono in Australia, sono io il suo tutore.
-D’accordo. Ho capito. Beh, al secondo anno c’è una classe di soli 21 alunni, rispetto la media di 24-26 delle altre classi. Ti consiglio di andare lì.
-Va benissimo. Dove si trova questa classe?
-Ti accompagnerà il collaboratore, lo trovi appena fuori la porta. Spero tu ti trova bene qui. Buona lezione.
-La ringrazio.
Alla fine non era tanto male, era abbastanza cordiale e rispettosa: credo mi troverò davvero bene! Ora fammi cercare il collaboratore.
-Tu sei il ragazzo nuovo?
-Sì.
-Seguimi, ti accompagno in classe.
-La ringrazio.
Dopo qualche metro salimmo le scale, un altro paio di metri di corridoio e finalmente giunsi in classe. Il signore bussò e dopo aver ricevuto il consenso aprì la porta.
-Buongiorno ragazzi, buongiorno professoressa. Questo è un nuovo alunno.
-Salve. C’è una ragazza nuova, siediti vicino a lei. – mi disse cercando di sembrare gentile, poi riferendosi al collaboratore, disse – riguardo a lei, vada via che qui bisogna fare lezione.
Dopo questo “simpaticissimo” saluto, mi sedetti dove stabilito e decisi di presentarmi a quella ragazza apparentemente annoiata o forse, persa nei suoi pensieri.
-Ciao. Io mi chiamo Clay.
-Eh? Scusa, pensavo ad altro. Comunque io sono Anna.
-Sei nata qui?
-Sì. Sono nata qui ma ho sempre vissuto in giro per il mondo, ma ora abito qui... per sempre! E tu, invece?
-Io sono nato qui e ci sono stato fino al mio terzo anno di vita, poi sono andato a vivere in Australia.
-In Australia? Perché?
-Diciamo che mio padre è italo - australiano e mia madre è australiana. Loro si sono lasciati tre anni fa e ho sempre vissuto con mia madre e con il suo nuovo marito, solo che poi... mi sono scocciato e sono andato a vivere con mio cugino Aaron e ora infatti sono qui con lui.
-Capito. Hai fratelli o sorelle?
-Sì, un fratello. – dissi con una voce bassa, quasi tremante. - E tu?
-Anch’io ho un fratello di 25 anni, ma da sei anni abita negli Stati Uniti. E tuo fratello dov’è, invece?
Esitai a lungo prima di rispondere, mi ero ripromesso di non piangere, ma io non so e non posso mentire.
-Lui è... – dissi abbassando lo sguardo – è in cielo.
-Scusa, mi dispiace.
-Non preoccuparti. Che prof. verrà ora?
-Dovrebbe venire storia, ma non lo conosco.
Non finimmo di parlare, che arrivò qualcuno. Era un uomo abbastanza alto, con i capelli neri lisci non molto corti, gli occhiali e gli occhi quasi come i miei. Avrà all’incirca una quarantina d’anni, ma conservati davvero bene. Sembrava simpatico e forse lo ora: ogni dubbio fu tolto quando cominciò a parlare.
-Buongiorno ragazzi. Mi chiamo Nicholas Cromi e sono il vostro insegnante di storia. – disse allegramente, poi cominciò a parlare di qualcosa riguardante la sua materia che non stetti tanto ad ascoltare, avevo una strana sensazione, sentivo che quell’uomo mi trasmetteva qualcosa, ma non so cosa. Era come se mi ricordasse qualcuno, solo che non sapevo dire chi.
Appena finì la sua lezione, ovvero nell’intervallo, lo seguii in sala professori per parlargli.
-Professore posso farle una domanda?
-Ci siamo appena salutati o sbaglio?
-Sì. È così.
-Bene, dev’essere importante. Fammi pure questa domanda.
-Ecco... non è esattamente una domanda. Volevo dirle che lei mi ricorda qualcuno. Non so se il fatto che abbiamo gli stessi occhi, lo stesso tipo e colore dei capelli, lo stesso sguardo e lei ha il nome di mio padre siano coincidenze. Lei le ha notate? Mi dica, anche a lei ricordo qualcuno?
-Come ti chiami? – disse tirando un gran respiro.
-Clay.
-Clay! No, mi dispiace, non mi dice niente questo nome – non era pienamente sicuro, ma feci finta di crederlo e andai via.
Ritornai in classe, dove ricevetti la notizia che per oggi, per mancanza di professori, la lezione era finita: tirai un sospiro di sollievo e uscii fuori.
Quella scuola era immensa, se non avessi avuto altro da fare mi sarei messo a contare quante persone vi erano.. senza contare quante erano ancora dentro a fare lezione. Mentre pensavo fui interrotto da Anna.
-Ehi, ciao! Ti va di fare un giro oggi? Siamo compagni di banco e dobbiamo conoscerci meglio.
-Volentieri. Ti va bene alle quattro fuori la scuola? Non ricordo tanto bene la città e quindi conosco solo la strada da casa mia e la scuola.
-Tranquillo. Ti farò visitare alcuni posti scoperti in questi mesi.
-Ci conto. Ci vediamo oggi.
Salutai Anna e andai a casa, pensando a tutte le possibili figuracce che avrei potuto fare di pomeriggio; del resto non sapevo nulla di lei e non sapevo come prenderla.
Senza accorgermene arrivai a casa dove mi “accolse” Aaron.
-Ah, Clay. Finalmente sei arrivato! Oggi mi daresti lezioni d’italiano?
-Oggi ho un appuntamento, facciamo un’altra volta.
-D’accordo. E con chi avresti quest’appuntamento?
-Con una mia compagna di classe, mi ha invitato ad uscire. – dissi con aria felice.
-Una ragazza che invita ad uscire un ragazzo? Com’è cambiato il mondo!
-Il mondo è sempre lo stesso, sono le persone che cambiano.
-Ti è bastato un giorno di scuola per diventare un poeta? E dopo l’intero anno cosa sarai?
-Non lo so.. spero solo più felice.
Dopo aver mangiato e, anche se imbarazzato, lavato i piatti, incominciai a prepararmi forse troppo...
Giunsero le tre e trenta e lasciai casa e dopo circa un quarto d’ora arrivai fuori scuola e stranamente Anna era già lì.
-Ciao. Stai aspettando da molto? – chiesi tanto per iniziare un discorso.
-No. Tranquillo.
-Dove andiamo?
-Seguimi.
Incominciò a camminare molto sicura di sé e io la seguii quasi perdendomi nei suoi passi. Non so perché, ma quella ragazza mi faceva un effetto strano. Tirava un leggero venticello che le scuoteva i capelli, ma lei rimaneva composta. Sul viso, un dolce sorriso, le irradiava gli occhi, facendo sorridere anche me. E quel suo modo di fare, poi, mi affascinava come nessun altro.
Ok, Clay. Calmati! Ragiona, è solo una ragazza, non può farti quest’effetto!
-Non lo so, so solo che è bellissima! – dissi non rendendomi conto.
-Cosa? – chiese lei curiosa.
-Ehm... questa città! È bellissima!
-E non hai ancora visto niente!
Arrivammo sul lungomare e ci sedemmo su una panchina, il mare era calmo ma tirava un po’ di vento. Si stava proprio bene.
-Come mai tuo fratello è in America?
-È lì per studiare in un college americano. Gli è sempre piaciuta l’idea e se ti confesso, anche a me piace l’idea di non averlo tra i piedi.
-Magari io ce l’avessi tra i piedi il mio.
-Scusa. Non volevo... ma, se non sono troppo invadente, com’è successo?
-Ha fatto un incidente d’auto per colpa mia.
-Sono sicura che non è stata colpa tua.
-E invece sì! – dissi urlando e alzandomi.
Dopo un po’ si alzò anche lei e mi venne dietro.
-Ti manca tanto, non è vero?
-Darei tutto per averlo di nuovo con me. Quando se n’è andato non avevo la forza di far niente, neanche di andare al suo funerale. E mai sono andato a parlare con lui. E il bello sai qual è? Che neanche mia madre è andata al suo funerale, troppo impegnata a tradire mio padre con quel bastardo! Solo mio padre ci andò. Il mio vero padre. Se solo sapessi dov’è finito! Credo solo che abbia lasciato l’Australia e che sia andato altrove, ma altrove sono un’infinità di posti. Non saprei da dove iniziare e per ora voglio stare qui con Aaron. Pensa che sono tanto ossessionato da credere che il professore di storia fosse mio padre, ha lo stesso nome, mi somiglia vagamente e non so cosa mi stia succedendo.
-Si vede che sei distrutto. Posso fare qualcosa per te?
-Credimi, già stai facendo tanto.
Così si concluse quella giornata, con uno sguardo intenso contornato da un velo di imbarazzo.

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Capitolo 8
*** S.A.S.P. ***


Ragazziii mi scuso per il grande ritardo ma la scuola ruba tempo :S ecco a voi il nuovo capitolo :) Buona lettura <3

Capitolo VIII
-SASP-

Il giorno dopo arrivò presto e andai a scuola insieme ad Anna, stavamo instaurando un bel rapporto e ciò mi piaceva molto.
Alla prima ora avevamo il prof di storia che di sorpresa interrogò non sugli argomenti, ma sulle date storiche e io non credevo di poterle ricordare.
Scrisse un fatto storico alla lavagna e poi chiese alla classe chi sapesse quella data. Io non la sapevo.. ma, chiudendo un attimo gli occhi, mi passò per la mente un numero. Credevo fosse solo un caso, un effetto psicologico della mia mente, dopo che si stava parlando di date, ma quel numero, quella data mi ossessionava.. quindi decisi di alzare la mano.
Non potevo crederci, la risposta era corretta.
Per tutti gli altri avvenimenti che il prof scriveva alla lavagna chiudevo gli occhi e trovavo un numero ed era giusto!
-Clay, le ricordi bene le date storiche, forse troppo bene. Ne ero sicuro, sai? – disse facendomi uno sguardo strano, quasi come se si sentisse risoluto.
-In che senso?
-Nel senso che ho capito che sei un bravo alunno, chissà se sei anche bravo in matematica.
Dopo ciò suonò la campanella e come se fosse stato predetto entrò il professore di matematica. Notai dalla vicinanza delle ombre, che si proiettavano sull’uscio della porta, e da un leggero chiacchierio di sottofondo che i due professori si stavano dicendo qualcosa e, non so perché, sentivo che stessero parlando di me.
Entro in classe con un velo di curiosità sul viso e, dopo aver fatto l’appello, mi interrogò alla lavagna.
-Come ti chiami, giovanotto? – mi chiese curioso.
-Clay.
-Sei italiano?
-Italo – australiano.
-Italo – australiano. Interessante! – disse come se già fosse a conoscenza della risposta. Fece un sorriso spontaneo e poi aprì il libro. Qui si metteva male! Non ricordavo molto di matematica! – Scrivi quest’equazione!
“Equazione? Ah bene, proprio la cosa che ricordo meglio. È chiaro che farò una figuraccia!
Ma bene, anche le frazioni! Di bene in meglio. Solo un miracolo può salvarmi!”
Scrissi l’equazione seguendo il professore e poi feci finta di pensare.
-Avanti ragazzo, non è poi così difficile!
-Sì. Un secondo!
Non sapevo che fare, da dove cominciare. Misi una mano sul viso chiudendo involontariamente gli occhi e mi apparve in un attimo la stessa lavagna con l’equazione svolta.
La copiai come la mia mente mi suggeriva, un po’ per volta, senza che se ne accorgessero.
-Ecco fatto! – dissi con voce tremante dalla confusione e dalla paura.
Il professore la controllò attentamente e dopo qualche minuto mi guardò in faccia.
-Ti ho dato l’equazione più difficile del libro di prima. Alcuni ragazzi di terza hanno difficoltà a risolverla e chi ci riesce ci impiega almeno un quarto d’ora. E tu l’hai fatta correttamente in otto minuti. Notevole! Te ne do una del secondo anno ora, vediamo come te la cavi.
-Non me la faccia tanto difficile! – dissi intimorito.
-Ti do la più complicata, ragazzo mio! Voglio vedere se ne sei capace. Se ci riesci ti metto otto!
Avevo capito che il professore volesse mettermi alla prova. Speravo che la mia mente mi avesse aiutato anche stavolta.
La scrissi e, chiudendo gli occhi, la svolsi un po’ per volta, forse troppo velocemente!
Sta di fatto che la finii in dieci minuti e non appena il professore si voltò verso la lavagna rimase perplesso. Credevo di aver sbagliato qualcosa.
-Cosa c’è? Non va bene?
-No. Il fatto è che hai svolto in dieci minuti un equazione che ne richiede almeno venti, senza calcolatrice e senza che ti fermassi a pensare per molto tempo. Continua così, vai benissimo.
Gli sorrisi e andai a posto.
Iniziai a chiedermi come fosse possibile che trovavo le risposte ad ogni quesito, ad ogni problema, non appena chiudevo gli occhi. Questa cosa mi metteva paura, paura di me stesso, di quello che mi stava succedendo.
“Riflettendoci bene, ho cominciato a sentirmi strano da quando ho incontrato per la prima volta il professore di storia. Che sia lui la causa di tutto?
Quell’uomo mi ricorda molto mio padre, e sembra sapere tutto di me, cose che nemmeno io conosco. Mi incuriosisce molto sapere che la mente umana può arrivare a tanto. Ho bisogno di sapere qualcosa su di lui, ma sono consapevole che non si lascerà mai avvicinare da me. Però potrei seguirlo! Tanto è per una buona causa.”
Mentre pensavo a come pedinare il professore di storia, Anna mi chiamava.
-Clay! Clay! La lezione è finita!
-Uhm... scusa, stavo pensando!
-Stai tranquillo. Andiamo?
-Stamattina il professore di storia mi ha chiesto se potessi rimanere a scuola per un progetto. Mi dispiace. Ma tranquilla, oggi mi farò perdonare. Ci vediamo alle cinque al porto.
-Non ce n’era bisogno. Comunque ci vediamo oggi. Non mancare.
-Non mancherò stai tranquilla. Tanto credo che per le tre dovrei finire. Io vado. Ciao!
-Ciao. Divertiti!
“Sì. Divertente proprio! Che la ricerca abbia inizio. Come sempre il prof dovrebbe essere in sala professori.”
Non appena arrivai in sala professori ne vidi tantissimi, tranne quello che stavo cercando, quindi decisi di chiedere alla professoressa di italiano, che mi disse che era andato nel laboratorio di scienze.
Feci una corsa e lo raggiunsi. Stava parlando a telefono, per fortuna aveva iniziato da poco. Riuscii a sentire solo qualcosa.
-...sai, credo di averlo trovato. Ha i miei stessi occhi e il mio stesso sguardo. – poi una pausa – no, è troppo rischioso. Potrebbe avere un forte spavento, è una cosa al di là dell’immaginabile per un essere umano. È meglio che se ne accorga pian piano. – ancora un attimo di silenzio – se n’è accorgerà, tranquillo. È molto intelligente come ragazzo e già ha mostrato alcune sue doti speciali. Arrivo tra un attimo. Ci vediamo alla SASP.
“La SASP? Che cos’è la SASP? C’era un solo modo per scoprirlo. Pedinarlo! Via all’azione!”
Mi nascosi dietro la porta finché non scese le scale e dopodiché lo seguii.
Una volta usciti dalla scuola lui si diresse verso la strada principale, e iniziò a correre fino ad arrivare all’inizio di una traversa che terminava con una montagna ricoperta d’erba.
Lui arrivò alla montagna e, dopo aver controllato che nessuno fosse nei paraggi, scoprì l’erba in un punto, rivelando una cavità nella roccia. Egli vi entrò e dopo un po’ lo seguii molto lentamente.
Decisi di entrare, e vidi Nick su un ascensore a forma di trivellatrice che saliva. Quella stanza era buia e non mi accorsi che il muretto sul quale giacevo era spesso meno di un metro e rischiavo di cadere. Qualche secondo dopo l’ascensore scese, quasi come se stesse scavando a terra. Arrivò a qualche metro sotto di me e si fermò. Per salirci avrei dovuto saltare e allora presi coraggio e saltai.
Sull’asta centrale vi era un pannello di controllo. C’erano cinque piani sottoterreni e sette in alto. Tutti erano colorati di rosso, tranne uno! Era il primo piano, dove vi era scritto home che in inglese significa “casa”.
Provai a premere un piano a caso, il terzo in alto, dove vi era scritto meetings che in inglese può significare “incontri” o “riunioni”.
Diceva di inserire la tessera e di premere “ok”.
Non avendo la tessera scelsi il piano home, cui diceva di mostrare il dorso della mano sinistra allo scanner verticale.
Avvicinai la mano allo scanner e dopo alcuni secondi uscì una scritta “Accesso Consentito!” e iniziai a salire.
Arrivai davanti a un grande atrio fatto di pietra grigia su cui vi era una grande insegna: “S.A.S.P. SECRET ASSOCIATION FOR SPECIAL PEOPLE”, che tradotto significa “Associazione segreta per persone speciali”
Sotto l’insegna vi era una grande porta rossa contornata da decorazioni dorate, su cui vi era una scritta incisa: “Se sei qui significa che sei una persona speciale, che sul dorso della tua mano vi è la cicatrice di Alin. Apri questa porta per entrare nel mondo speciale.”
Clay aprì la porta e alzò lo sguardo ammirando il paesaggio: gli sembrava di sognare.
A terra vi era un soffice prato verde, con l’erba molto bassa; e in alto un cielo luminoso pieno di nuvole in cui splendeva un sole incantevole. Tutt’attorno era limitato da un orizzonte continuo che s’interrompeva solo in due punti: la porta dalla quale sono entrato e la scrivania che avevo di fronte a cui era seduto un uomo abbastanza anziano. Lui mi notò e mi chiese informazioni.
-Giovanotto cosa ci fai qui? Non ti ho mai visto! Come sei entrato?
-Ho passato la mano sullo scanner e l’ascensore si è messo in funzione.
-Come ti chiami?
-Clay Crosi. – dissi, mentre lui inseriva il mio nome sul computer.
-Non fai parte dell’associazione, mi dispiace. Ma... hai detto che sei riuscito a passare con lo scanner, giusto?
-Sì, in realtà c’è una cicatrice sulla mia mano. Mio padre disse che me la sono procurata con l’acido, ma io... io ricordo di averla sempre avuta.
-Tuo padre hai detto? Come si chiama tuo padre?
-Nicholas Crosi.
-Ne sei sicuro? Nicholas Crosi è il fondatore di questo posto! Ora lo chiamo per chiedere chiarimenti.
L’uomo era nettamente confuso, ma chiamò Nick per chiedere spiegazioni. Pochi secondi e qualcuno entrò dalla porta, ma non mi girai.
-Che succede Sir?
Poche parole... pochi suoni... pochi istanti... mi bastarono per accorgermi che quella voce non era quella di Nick, ma di un ragazzo...
Quella voce, quanti ricordi! L’avrei riconosciuta tra mille. Mi voltai con le lacrime agli occhi: era proprio lui!
****
***
**
*

Chi sarà il ragazzo che ha parlato?? Lo scopriremo solo vivendo :P alla prossima!
SWEETNEMY <3

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Capitolo 9
*** 21 Agosto ***


Ciaooo a tutti :) Scusate il grandissimo ritardo ma la scuola mi rompe il **** . Ecco a voi il nuovo capitolo :) un po' breve , ma il prossimo sarà più interessante :P

Capitolo IX

-21 agosto-

{Punto di vista di Clay}
Mi voltai di colpo scoprendo il volto di quella voce, una voce quasi angelica, dato che apparteneva a un angelo, o almeno credevo fosse tale. Era immerso in un’ombra di luce dovuta al sole che brillava e che ricopriva la zona della porta. I suoi capelli scuri, quasi neri brillavano e i suoi occhi di cristallo splendevano. Sembravano quasi lucidi, e il loro colore mi rimandava a quello di uno zaffiro lucente. Quei lineamenti così eleganti, raffinati, somigliavano in modo impressionante ai miei; ma i suoi erano molto più marcati, molto più segnati e una cicatrice all’altezza della tempia sinistra lo rendeva unico.
Sul dorso della mano la mia stessa cicatrice.. stavo iniziando a credere che non me la sia procurata con l’acido, ma sia davvero un simbolo che contraddistingue la gente come me e come quel ragazzo.
Mi concentrai più sul complesso che sui singoli tratti e i miei occhi si riempivano di lacrime che scendevano a dirotto ma la mia bocca, i cui estremi erano rivolti verso terra, non si apriva, né faceva una piega, tantomeno lasciava uscire un suono... fin quando quell’angelo parlò.
-Clay! Sei proprio tu? Come hai trovato questo posto?
La mia mente era assente, non riuscivo a proferire parola... lui osservò il fatto che non parlavo e decise di chiudere gli occhi e probabilmente leggermi nella mente.
Riaffioravo nella mia mente quello che era successo dall’inizio della mattinata ad ora e con me anche quel ragazzo lo percepiva. Dopo qualche minuto tutto finì e il giovane accennò un sorriso e parlò:
-Ero sicuro che prima o poi l’avresti capito e avresti scoperto questo posto, ma non pensavo così presto. Beh, ora ti starai chiedendo cosa ci faccio qui... – non finì di parlare che scoppiai e pronunciai quel nome.
-Dario! – dissi a gran voce con gli occhi umidi, ma spalancati come se non mi accorgessi che le lacrime scendevano.
Avevo paura di avanzare verso di lui, ma egli anticipò il mio desiderio: forse aveva letto di nuovo i miei pensieri, o forse era proprio quell’intesa che ci univa.
Avanzò lentamente verso di me, sicuro di sé come lo è sempre stato, ma allo stesso tempo dal suo tentennare capivo che era un po’ timoroso, anche se non ne conoscevo il motivo.
Pronunciò il mio nome con la sua voce angelica a non appena qualche passo da me, prima che ci unissimo in un caloroso abbraccio.
Sembra strano, perché a volte avrei giurato di odiarlo e invece ora, mi ritrovo felice come non mai di averlo qui con me, tra le mie braccia. Speravo solo non fosse un sogno. E se così fosse stato avrei chiesto volutamente di non essere mai più svegliato.
Mi rendo conto solo ora che rincontrare qualcuno che credevi di aver perso per sempre è una gioia immensa, che ti riempie il cuore, ma allo stesso tempo una fitta profonda a quest’ultimo, perché la paura di perderlo di nuovo è più forte.
-Ma sei proprio tu? Tu non eri...
-Non proprio... ora ti racconto com’è andata.
 
FLASHBACK*
Tutto cominciò quel pomeriggio quando decidemmo di andare allo stadio, ma tu insistevi per vedere la mostra dei quadri di Van Gogh.
-Dai, lo stadio è qui dietro, le mostre sono cose da femminucce! – dissi cercando di convincerti ad andare a vedere la partita di calcio. Ma non c’era verso di farti cambiare idea! Sei testardissimo! – È meglio una bella partita di calcio che osservare dei quadri fatti da chissà chi.
-Dai, Dario! È molto importante per me. Ti prego accompagnami!
-Va bene.
Così decisi di accompagnarti a quella mostra alquanto noiosa per me, ma i tuoi occhi brillavano davanti ogni opera, ogni dipinto e fui lì che capii quanto tu amassi l’arte, quanto essa ti appartenesse e quanto tu dipendessi da lei.
Stavamo ritornando e una ragazza con cui stavo instaurando un bel rapporto mi scrisse un messaggio e il mio telefono squillò. Tu lo prendesti e leggesti il messaggio a cui, anche se non diceva nulla di male, reagisti in modo eccessivo e io credevo che avesse scritto chissà cosa e invece... volevi solo esagerare, volevi farmi spaventare.
Nella fretta, nell’impulsività di prendere il cellulare lasciai il volante e non mi accorsi della curva. La macchina continuò dritta e... ricordo che tu provasti a girare il volante, ma il tempo non era sufficiente ormai più.
Tutto successe in un attimo. La rete metallica che separava l’autostrada dalla pendenza della collina si ruppe e finimmo fuori. Fu un secondo che provai ad avvicinarmi a te, ma qualcosa me lo impediva: la cintura di sicurezza.
L’ansia pian piano saliva e con essa si avvicinava anche il pensiero di lasciare questo mondo, ma se così fosse successo, avrei voluto che almeno tu... rimanessi in vita.
Tolsi con grande velocità la cintura di sicurezza e ti abbracciai più forte che potevo spingendoti contro il sedile.
Pochi attimi che equivalsero a poco meno di mezzo secondo e finimmo per schiantarci dal tuo lato. Quando successe entrambi perdemmo i sensi.
Da qui in poi non so cosa successe, so solo che mi risvegliai insieme a papà qui, credevo fossi in paradiso e in effetti ci sarei andato se non fosse stato per lui.
Egli mi parlò quando ero ad un passo dalla morte e mi stampò sulla mano questa cicatrice magica con la quale il corso naturale della mia vita ricominciò a scorrere; tu invece avevi solo una grande cicatrice sul braccio destro e una piccolissima sulla fronte e quindi venisti mandato in un ospedale normale.
Per tutti questi anni avete creduto che io fossi morto, ma in realtà io c’ero e ti ho sempre osservato, Clay, in ogni singolo momento della tua vita... e quando stavi per porre fine alla tua vita... beh io... ho concentrato tutti i poteri della mia mente per indurre Aaron a seguirti: ho usato la mente così intensamente che ho finito per esaurirmi e sono svenuto, ma per te sarei andato oltre i limiti che l’uomo può raggiungere.
FINE FLASHBACK*
 
-Quindi tu sei sempre stato qui?
-Sì. Papà ha deciso di simulare la mia morte per salvarmi da nostra madre.
-E io? Perché mi avete abbandonato al mio destino?
-Non c’è stato tempo. Nostro padre è solo riuscito a inciderti la cicatrice di Alin per permetterti di entrare in questo posto.
-Ho capito. Beh, sono felice di esservi ora. Ma cosa succederà? Perché avete creato quest’associazione? In cosa consiste?
-La SASP è una specie di mondo virtuale: pensalo come “The Sims” in versione guerra. Noi siamo i “Sims” e possediamo poteri sovrannaturali: tu, ad esempio, puoi svolgere, risolvere, controllare tutto ciò che vuoi con il solo potere della tua mente. Non so precisamente perché è stata creata questa associazione, ma una cosa è certa: noi, attraverso dei segnali laser telecomandati dalla nostra mente, dobbiamo sconfiggere una specie di virus.
Clay continuava a non capire. Che cosa avrebbe mai dovuto fare? E che cosa sarebbe mai potuto succedere?

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Capitolo 10
*** E fu amore! ***


Ragazziii mi scuso enormemente per il ritardo, ma non avevo mai tempo di scrivere. La scuola ruba tempo :O
Lo so che il capitolo fa schifo, il fatto è che questa storia non la sento più mia. Ora ne sto scrivendo un'altra che mi rappresenta a pieno e tra poco arriva l'estate e avrò modo di scrivere meglio.
Mi scuso ancora e continuate a seguirmi, non vi deluderò! ;)

Capitolo X

-E fu amore!-

Clay si ricordò di aver invitato Anna ad uscire oggi ed era in ritardo!
-No! Sono in ritardo. – esultò dispiaciuto.
-In ritardo per cosa? – chiese Dario curioso.
-Avevo invitato una mia amica ad uscire mezz’ora fa e se anche fosse ancora lì, quante probabilità ho che arrivi in poco tempo? Direi nessuna! Era importante uscire...
-Ti piace quella ragazza, vero?
-No!
-Non costringermi a leggerti nel pensiero. – disse il ragazzo scherzando, ma poi notando l’imbarazzo da parte di Clay decise di finirla e di proporgli una cosa – sai, io posso teletrasportarmi da un posto all’altro e se vuoi posso farlo ora.
-Sicuro che puoi lasciare questo posto?
-Sarà questione di pochi minuti.
Detto questo si teletrasportarono a qualche decina di metri dal posto dell’appuntamento e dopo un flagello di secondo Dario scomparve.
Clay corse fino a starle dietro, le toccò delicatamente le spalle, forse un po’ esitando.
-Ehi. – disse quella voce così dolce che poi si trasformò in uno schiaffo e in ira totale. – ti sembra questa l’ora di arrivare? Saresti dovuto venire mezz’ora fa!
-Sì, lo so. Scusa. Ho avuto un contrattempo.
-Cosa ha potuto trattenerti? Una ragazza più bella di me?
-Non poteva trattenermi qualcosa che non esiste.
Lo stupore della ragazza era ben visibile e con esso si addolcì anche il suo tono di voce.
-Con questa sei perdonato. – disse quasi imbarazzata.
Così i ragazzi andarono a sedersi su una panchina dolcemente illuminata dal caldo e lucente soffio dell’ultimo sole, che giocava con i corpi sotto lui proiettandoli in ogni direzione, sempre più inclinati.
Tuttavia al sole si accostava il vento, che faceva muovere ogni cosa e con le cose anche le loro ombre.
Se ne stavano lì buoni a farsi scompigliare i capelli e a bere un succo di frutta, finché Clay non decise di rompere il silenzio con una domanda piuttosto imbarazzante.
-Sei mai stata innamorata?
La ragazza stava quasi per strozzarsi, ma dopo un po’ di tosse rispose.
-Una volta. Ero con un ragazzo strano, all’apparenza un bravo ragazzo, ma in realtà era uno st****o! Si chiama Stefano. E tu?
-Ti ho chiesto se fossi stata innamorata, non fidanzata. Comunque io una volta... e mezza!
-C’è una differenza?
-Sì. Ed è anche grande!
-E qual è? – chiese la ragazza come una bambina curiosa di apprendere.
-Beh, il fidanzamento, lo stare insieme, è un unione oserei definire superficiale, in quanto lega due persone solo nel corpo e ciò fa male! Scoprire che c’è una grande sintonia e passi tutta la vita aspettando che sbocci e diventi amore e invece... appassisce senza neanche accorgertene!
L’amore invece, è qualcosa di più profondo, che unisce due persone nel corpo e nell’anima e le rende una sola cosa! Non è paragonabile a nulla. È immenso come il cielo, riservato come un tramonto, e tanto inaspettato che sembra magico.
-Ne parli come se fossi innamorato. – si girò guardandolo in quegli occhi che sembravano due grandi oceani, profondissimi, eppure di un colore così chiaro che potevi stare ore lì a fissarlo se avessi voluto cogliere tutte le sfumature presenti in quell’iride.
-Infatti lo sono. – disse rivolgendo il suo sguardo alla ragazza in modo più profondo, prendendo anche lui ad osservarle gli occhi, ora a nocciola, ora a menta. – di una ragazza meravigliosa, che ha degli occhi così profondi e allo stesso tempo così caldi che non mi fa paura neanche un po’ perdermi in essi!
Le poggiò la mano sulla guancia e notò la sua pelle tesa e tremante.
-Stai tremando – esitò guardando gli occhi della ragazza che si stringevano, quasi avesse paura – sembri una foglia d’autunno.
-Io... io non so cosa mi sta succedendo – disse con voce tremante, pronta a piangere. -Sento che il cuore mi batte forte, così forte che non riesco a controllare il respiro e sento che tutto questo mi piace, mi rassicura... in qualche modo!
Osservando i suoi occhi oscurarsi da una patina di lacrime, decise di abbracciarla e di stringerla forte a sé. Anche il cuore del ragazzo batteva forte e si sentiva, sotto la pelle, per la vicinanza.
-Non piangere, non mi rende felice.
-E perché? – disse mentre si aggrappava al ragazzo quasi fosse un cuscino di notte.
-Perché... quando sorridi sei bellissima.
All’improvviso le lacrime scomparvero e Anna guardò negli occhi Clay.
-Davvero?
-Certo che è vero, non sarei capace di mentirti!
-Perché mi guardi così?
-Perché non ho mai visto cosa più semplice e bella dei tuoi occhi.
-Perché mi stai dicendo tutte queste cose?
-Perché... ti amo! – disse il ragazzo sorridendo.
I due ragazzi si baciarono all’ultima luce del tramonto e così la felicità spettò di diritto anche a loro!

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