Who are you, Helena?

di TheDreamcatcher
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Capo ***
Capitolo 2: *** Mentine e Coca-Cola ***
Capitolo 3: *** Cominciano i guai. ***
Capitolo 4: *** La vecchietta ***
Capitolo 5: *** Il viaggio ***
Capitolo 6: *** Un grande segreto viene a galla... ***
Capitolo 7: *** Una fata turchina e un incontro imprevisto. ***
Capitolo 8: *** Allora, cambiamo aria? ***



Capitolo 1
*** Il Capo ***


Il Capo se ne stava seduto dietro la sua lucidissima e costosissima scrivania. Dopo circa quarant’anni di servizi all’ASS, l’Agenzia di Spionaggio Supersegreta, pensava proprio di meritarsela.
All’improvviso un uomo sulla trentina entrò tutto trafelato dalla sua porta di vetro costosissima e lucidissima. Nella fretta, ovviamente, non aveva fatto caso a nessuna delle due cose, e dopo aver lasciato le sue meravigliose impronte digitali sul vetro il Capo gli lanciò un’occhiata non poco inquietante.
     - Mi perdoni, Capo, ma c’è un’emergenza: ha presente il diamante di Sheijkandeng?
     - Oh, agente Jason. Sì, er… il diamante dal nome impronunciabile. Come dimenticarlo, ha popolato i miei incubi per mesi.
     - Bene, allora penso proprio che dovrà subirlo anche da sveglio. Lo hanno rubato.
Il capo era sbiancato. Il diamante di Sheijkandeng era famoso perché, anziché essere candido e luminoso come una piccola stella, aveva un’aura verde speranza che lo circondava, rendendolo unico. Del nome non si conosceva l’origine, sconosciuta anche ai più esperti, anche perché in tutta sincerità nessuno aveva la benché minima idea di cosa volesse dire “Sheijkandeng”. Chi potrebbe essere così bastardo da dare un nome del genere a una bellezza come il Diamante Verde, peraltro di inestimabile valore?
     - Cosa… ma che… come hanno fatto a rubarlo? Quand’è successo? CHI PUÓ ESSERE STATO?
     - Capo, la prego, si calmi… è stato rubato in un minuscolo paesino di collina di nome Middletown.
     - Middletown? Mai sentito.
     - In effetti, signore, è un paesino praticamente insignificante.
     - E che cosa diavolo ci faceva il diamante di Skdj…Sgha…Shg… insomma, ‘sto brillante verde in una schifezzina del genere?
     - Beh, signore, la città ha un bellissimo municipio storico e proprio lì è stata allestita una mostra di alcuni oggetti di inestimabile valore per attirare turisti durante il periodo estivo. Il diamante era tra questi oggetti:  è stato protetto con laser, vetri, guardie, allarmi, TUTTO, ma evidentemente non è servito.
Il Capo mise del tabacco nella sua fedele pipa, cui aveva dato nome René in onore di Magritte, e cominciò a fumare. Purtroppo per lui, anche se voleva farsi il figo, l’età lo aveva un po’ indebolito, così quando aspirò forte dalla finì quasi per strozzarsi. Tranquilli, il buon vecchio agente Jason aveva i riflessi pronti. Per fortuna.
     - Ci sono sospettati?
     - Abbiamo indagato a lungo, ma… - Jason si grattò la testa perplesso – i sospettati sono tutti soggetti alquanto… strani. Eppure tutte le prove conducono proprio a loro.
Il primo è una vecchiet… ehm, un’anziana donna di ottantasei anni di nome Jane Johnson. Vedova. Vive sola in una villetta di quelle che possono ospitare solo tenere nonne che lavorano all’uncinetto, ma nonostante questo è un’ex agente dell’effebiai.
Il secondo, il più probabile, è un uomo di quarantacinque anni di nome Neal Vik, sposato senza figli, nato in Germania. Lavora in una scuola di arti marziali, dove insegna karate.
L’ultima è… una ragazzina di quindici anni. Il suo nome è Helena Morris, vive coi genitori, ha un fratello maggiore e frequenta un liceo linguistico, secondo anno.
Sinceramente, signore… che razza di caso è mai questo??
     - Jason, questa è proprio una bella domanda. Direi di interrogare e tenere sotto controllo la nonnet.. er, l’ex FBI e il Chuck Norris tedesco, mentre per la ragazzina manderei due matricole in una semplice missione d’osservamento. La seguono per un po’ di tempo, annotano amicizie amori e crisi d’identità per poi tornare qui e collaborare a chiudere il caso. Ora dobbiamo solo decidere quali matricole mandare.
     - Capo, io ci avrei pensato. Ha presente… gli agenti Way e Iero?
Il Capo stava per strozzarsi di nuovo. Santo Jason.
     - E io, secondo te, manderei quei due imbranati  in missione, per di più insieme?
     - Beh, signore, saranno anche scarsi ma sono comunque con noi. Inoltre credo che nella loro prima missione possano trovare la possibilità di migliorarsi…
Il Capo aspirò nuovamente dalla vecchia, stramaledetta pipa e scosse la testa. Era sì una missione semplice, praticamente elementare, ma ce l’avrebbero fatta quei due a cavarsela?
     - Jason, mandali a chiamare. Ma ti giuro che se combinano uno dei loro soliti casini…




Nota dell'autrice: chiedo scusa già da ora per eventuali errori di grammatica/ortogtafia o per brutture come la grande distanza (che ora dovrei aver sistemato) tra il trattino e le parole nel discorso diretto, o la divisione tra i capitoletti fatta un po' male. Il fatto è che solitamente scrivo la sera tardi, e quando pubblico il capitolo non ho né tempo né tantomeno voglia di aggiustare l'aspetto, e qualche parolina sbagliata può sempre sfuggire...
Ringrazio vivamente MariaGraziaKilljoy e A ghost behind words, che mi hanno sostenuta (e opportunamente minacciata per giusta causa) nello scrivere questa FF e, nel caso di Ghost, tante altre.
Ovviamente vi invito a recensire la storia, se già la seguite o se vi interessa, mi interessa molto sapere cosa pensano gli altri autori e/o recensori. Accetto anche critiche e recensioni negative, se sono comunque rispettose, perciò se volete segnalare qualcosa che non vi piace siete liberi di farlo ;)
Grazie per l'attenzione!
Frankie :)

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Capitolo 2
*** Mentine e Coca-Cola ***


Gerard Arthur Way e Frank Anthony Iero erano due matricole… come definirle… poco capaci, ecco.
Forse perché erano alle prime armi, forse perché nessuno dei due andava d’accordo con i propri colleghi, fatto sta che combinavano un disastro dopo l’altro. Inoltre, c’era il problema che questa volta avrebbero dovuto lavorare insieme.
Già, perché “quei due imbranati” non si erano mai nemmeno incrociati nel corridoio. Forse perché lavoravano in due sedi diverse? Probabile, anzi, sicuramente, il motivo era quello (ma no?). Ma adesso provate a immaginare un ragazzo che cambia capelli praticamente una volta al mese, beve caffè in quantità industriali (ma così industriali che il Capo aveva dovuto istallare una macchinetta per il caffè nel suo mini ufficio. Solo per lui.), perde la metà dei documenti di vitale importanza affidatagli, disegna sugli appunti dei suoi superiori e si ritrova a cantare sculettando nel corridoio seguito dalle occhiate perplesse dei segretari. Ecco, questo era Gerard.
Ora provate ad immaginare un ragazzino timido, impacciato, con un sorriso tenerissimo ma capacità di coordinazione pari a zero, che per sbaglio getta nel tritacarte i documenti (e sempre accidentalmente in sua mano gli oggetti più cari dei colleghi che sparlano malignamente alle sue spalle si defenestrano. Accidentalmente, eh.), sulla scrivania anziché avere una foto della sua ragazza ha l’immagine della sua chitarra (con sui a volte si ritrova anche a parlare…ehm…), viene sospeso dal lavoro un giorno sì e l’altro pure per le misteriose sparizioni/defenestrazioni o per insulti ai colleghi diabolici. In effetti almeno col Capo poteva essere un po’ più delicato… e questo era Frank.
Ora immaginate questi due soggetti coinvolti entrambi, insieme, unitamente, congiuntamente, inseparabilmente, compattamente (ok la smetto) in un caso di spionaggio. Sarebbe come mettere le mentine nella Coca-Cola: BOOM.
 Quindi adesso potreste capire perché il Capo era così preoccupato. No, ma che preoccupato, avrebbe preferito mandare un paio di procioni con l’artrite piuttosto che loro. Jason, però, lo conosceva molto bene e sarebbe riuscito perfino a convincerlo di smettere di strozzarsi con la sua amata pipa, se avesse voluto; avendo visto sia in Gerard e Frank capacità nascoste (mooooolto nascoste) aveva pensato che mandarli insieme a Middletown li avesse stimolati ad impegnarsi di più. Pensava che fossero fatti l’uno per l’altro…

e su questo aveva proprio ragione.
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Mentre il Capo era impegnato a sbattere la testa contro il muro, essendosi pentito di aver affidato la missione del brillocco verde alle due matricole peggiori della storia, nella classe 2B di un liceo scientifico una ragazza sonnecchiava nel suo posto al secondo banco, dal lato della finestra.
-          Signorina Morris, per caso la lezione le pare noiosa? Già che si è accomodata, vuole ordinare anche tè e biscotti? - risatine da parte dei soliti leccacul… ragazzi che trovano divertenti le battute della prof – vediamo, si accomodi meglio qui sulla cattedra e mi traduca la frase che ho qui sul MIO libro. Venga, venga.
La ragazza si alzò, anzi, si trascinò svogliatamente fino alla cattedra, ignorando del tutto lo sguardo da “adesso vediamo chi frega l’altra” della prof. Lesse le due righe di frase giusto una volta, poi tradusse.
L’espressione beffarda era sparita.
-          Ha fatto un piccolo errore, signorina Morris. Questa parola – indicò un piccolo ammasso di lettere in mezzo alla frase – si traduce con “sole”, non “alba”. Puoi andare a posto. –

La voce sembrava esasperata ma arrendevole. Helena Morris aveva fregato per l’ennesima volta una di quelle megere chiamate “professoresse”. Fuck Yeah.
Guardò fuori dalla finestra e pensò che le uniche cose interessanti in quella schifezzina di paesino dove viveva succedevano sempre mentre non c’era: il giorno prima avevano rubato il diamante di Sheijkandeng (ebbene sì, per ricordarsi il nome se lo era dovuto scrivere sulla mano) e lei pensava bene di essere una dei sospettati perché, nel momento in cui era stato trafugato quel coso, nessuno sapeva dove si trovasse né cosa stesse facendo. Quella mattina avrebbe voluto marinare la scuola (come se non lo facesse quasi ogni giorno) per poter vedere le auto dei servizi segreti parcheggiarsi davanti alle case degli altri potenziali ladri di diamanti e sentire le domande degli agenti. Purtroppo però, le ansia di sua madre rimanevano quelle che erano: DISTRUTTIVE.
“Helena, amoruccio mio, stamattina ti accompagno io a scuola, eh? Che prendere l’autobus è pericoloso, metti che c’è il ladro del diamante e poi ti rapisce chiede il riscatto o forse ti ammazza NO TU STAMATTINA VIENI CON ME SIGNORINA. NIENTE AUTOBUS, QUESTO PAESE É TROPPO PERICOLOSO”
 Chissà se erano passati anche davanti a casa sua. Magari avrebbero fatto irruzione da un momento all’altro nella sua aula, interrompendo la lezione e sequestrandola per interrogarla. Avrebbero salvato ben ventisei alunni innocenti dalle grinfie delle megere sopra citate.
Ok, adesso la sua fantasia stava divagando dal problema principale: come avrebbero agito con lei?

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Capitolo 3
*** Cominciano i guai. ***


 - Ciao, io mi chiamo Fran…
 - BUONGIORNO, IO SONO GERARD PIACERE DI CONOSCERTI!
Un ragazzo dai capelli neri e gli occhi verde scuro mostrava un sorriso a trentadue denti, presentandosi molto sobriamente al nuovo collega. L’altro, dal canto suo, era rimasto un po’ sconvolto dall’esuberanza del primo, e lo fissava allo stesso tempo divertito e leggermente perplesso.
- Ah… ciao, Gerard. Dunque, noi saremo colleghi?
- Già… spero di trovarmi bene, almeno con te.
- Sei anche tu una vittima di quei cretini? Voglio dire, i tuoi colleghi sparlano di te senza motivo?
- Sì, ogni tanto succede... ma con te sarà tutto diverso, me lo sento! Questa volta riuscirò a stupire il Capo e a farmi promuovere, YYEEEAAHHH.
Frank era un po’ stordito.
- Ehm… ok, va tutto bene. Senti, tu hai già delle informazioni su quella ragazza, Helena?
 - Certo che ce le ho! Che ne dici se… - prese un po’ di fiato. Beh, d’altronde non era abituato a invitare qualcuno per un appuntamento - ci prendiamo un caffè insieme e vediamo cosa possiamo fare?
- Cos… un caffè? Va ben, cioè, sì, OKAY.
A dirla tutta, nemmeno Frank era poi così esperto.
Si avviarono verso il primo bar vicino alla Sede dove il capo li aveva appena convocati, ma era pieno di agenti che già ridevano sotto i baffi alla vista delle due matricole che prendevano un caffè insieme. Che poi, Gerard da solo ne avrebbe presi minimo tre o quattro, quindi l’espressione “un caffè” in questo caso risulta poco realistica.
Frank già sentiva le goccioline di sudore sulla fronte per il panico.
Ah, no, stava solo iniziando a piovere.
In ogni caso non era una bella situazione, e notando la nonchalance di Gerard (o forse era più menefreghismo) decise che questa volta doveva essere lui a fare il primo passo ed evitare la sua rovina.
- Che ne dici se offro io a un bar di fiducia, eh? Così possiamo stare in santa pace…
- Che bella idea! Spero però che costi poco, perché il caffè per me è sacro. SACRO.
Frank si morse la lingua. Ok, la situazione si faceva un po’ imbarazzante, soprattutto perché in realtà non ce l’aveva un bar di fiducia. Tradotto: erano capperi amari.
Con Gerard accanto che stava già avendo i primi sintomi da astinenza da caffeina e le goccioline di pioggia che cominciavano a diventare veri e propri goccioloni, Frank si aggirava per le strade con un’espressione vagamente sperduta. Finalmente trovò un buco piuttosto carino e con prezzi non molto alti, nonché vuoto. Corse dentro e fece uno dei suoi sorrisi da “AdessoMiAiutiPerchéHoUnaFacciaCucciolosa” e provò a far collaborare il barista. Quest’ultimo era un maciste di circa due metri per tre, con la faccia da zotico e un’espressione paurosamente minacciosa.
- Ok, Gerard, questo è un mio caro AMICO – fece l’occhiolino al barista – che adesso ci prenderà un tavolo tutto per noi e ci farà tutti i caffè che vogliamo, vero?
 - Amico? Chi sarebbe “amico”?
- Ma TU, è ovvio no? – fece un altro occhiolino ancora più evidente.
- Ma se non so manco chi sei!
- Ma come! No, forse non ti ricordi… sono, io Frank!
- Frank? Non conosco nessun Frank. E adesso fuori di qui, idioti!
L’omaccione tentò di cacciarli e Gerard stava già per rovinare tutto dicendo la sua, quando il collega lo prese di peso e lo rinchiuse in una sottospecie di sgabuzzino quattro metri per quattro sulla cui porta era scritto “toilet”.
Poi, con estremo coraggio, si avvicinò al maciste e cercò di chiarire le cose.
- Senti, tu non piaci a me e io non piaccio a te, ma ho bisogno del tuo aiuto. Mi sono cacciato nei guai e adesso devi semplicemente far finta di essere mio amico. Non ti chiedo sconti né niente, devi solo farci stare in un posto tranquillo e in pace, d’accordo?
A quel punto il barista la squadrò un attimo. Poi sul suo faccione si stirò un sorriso perverso da guinness dei primati.
- Eeeeh, ma che ti pensi che non l’avevo capito! – tirò qualche gomitata d’intesa a Frank, che rischiò di rompersi una o due costole – Tu ed il tuo AMICO volete stare soli, eh? Sì, certo, AMICO…
Il ragazzo stava già per mandarlo “gentilmente” a quel paese, poi ci ripensò. Certo, non gli piaceva molto dover fare la parte del fidanzatino che si nasconde, ma era un’ottima scusa per non farsi pestare dal maciste. Oltre al fatto che Gee avrebbe involontariamente recitato benissimo, grazie alla sua… virilità.
 - Ebbene sì, hai fatto centro. Però non dirlo a nessuno, eh? Se ci scoprono siamo finiti!
- No, no ma cosa, non lo dirò a nessunissimissimissimo!
- Bene. Ora libero la belva in crisi di astinenza, ovvero Gerard, e tu preparati a recitare la parte. Com’è che ti chiami?
- Faust. Tu Frank, no? Bene… facciamolo, allora.
Ovviamente appena “la belva” uscì dal bagno, a Faust scappò un risolino.
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Non erano agenti dell’FBI. Non erano agenti di nessuna federazione di spionaggio famosa o rinomata. Non erano poliziotti, non erano investigatori privati. Allora, chi erano?
Helena non riusciva a togliersi dalla mente questo dubbio. A chi era stato affidato il caso del Diamante Verde? Sicuramente non a degli imbecilli, data la sua importanza. La ragazza avrebbe avuto a che fare con spie vere. La curiosità fremeva da ogni centimetro del suo corpo.
Eppure non riusciva a capire chi fossero quegli uomini che gironzolavano nel paese facendo finta di essere semplici turisti, o che di nascosto interrogavano gli altri due sospettati.
Decise di lasciar perdere i compiti di algebra e guardare fuori dalla finestra; come se da un momento all’altro dovessero arrivare. Sentiva che quella storia del diamante sarebbe stata importante: non sapeva perché, lo percepiva. La sua vita sarebbe finalmente cambiata.
Non che fosse triste o scontenta, affatto: viveva con una madre apprensiva ma in fondo buona, aveva degli amici, andava bene a scuola, stava bene con se stessa, cambiava stile ogni volta che voleva. Era capace di avere i capelli un giorno verdi e quello dopo biondi, e quello dopo ancora, presa da un periodo hippie, del suo naturale castano-rossiccio. Poteva essere cento persone diverse rimanendo sempre se stessa.
Questo era uno dei grandi talenti della ragazza, oltre il saper fregare i professori e il saper cantare divinamente: fingeva davvero bene. Un’ottima attrice. Non mentiva per cattiveria: non avrebbe mai fatto del male a nessuno, nemmeno a quella rompiscatole di sua madre o a quel gruppo di oche che pensavano solo a prendere tutti in giro. Lo faceva, come dire… per ambizione e soddisfazione personale.
Continuò a fissare il vialetto di casa: prima o poi, qualcuno l’avrebbe seguita. Ne era più che certa.

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Capitolo 4
*** La vecchietta ***


I due amici erano rimasti nel bar per ore, ed ore, ed ore, ed… ok, la smetto.
Avevano raccolto un sacco di informazioni sul loro obbiettivo, Helena, e anche l’uno sull’altro. Ovviamente, una volta aver risolto il problema dell’astinenza da caffeina di Gerard: ma alla fine erano bastati due cappuccini, un caffè macchiato, tre espressi e un caffè triplo per farlo… rilassare?

Il lavoro iniziava nel migliore dei modi: entrambi, forse per la prima volta in tutta la loro vita, si sentivano realizzati e soddisfatti di ciò che stavano facendo, oltre che apprezzati da qualcun altro. Frank stava vincendo la sua timidezza, e Gerard finalmente poteva essere se stesso con qualcuno senza che quest’ultimo lo credesse pazzo.
Avevano quindi organizzato un piano molto semplice: si sarebbero stanziati a Middletown per un certo lasso di tempo e avrebbero seguito Helena, magari riuscendo a entrare nella scuola (a costo di diventare quei poveri uomini che passano tutto il giorno a pulire, portare il caffè ai prof e sopportare branche di ragazzini urlanti e deliranti. Sì, a costo di diventare bidelli) o trovando un posto dove dormire che fosse vicino alla sua casa. Inizialmente volevano affittare due stanze d’albergo ma, come aveva fatto notare Gerard, avrebbero potuto spiarli più facilmente; senza contare il fatto che probabilmente c’erano altre agenzie di spionaggio che volevano arrivare per prime alla soluzione del caso del rinomato brillocco, perciò sarebbero potuti esseri spiati e controllati a loro volta. Alla fine, decisero di affittare due monolocali malmessi e non vecchi, non antichi, praticamente preistorici nella strada adiacente alla casa di Helena Morris. 
Entro due giorni sarebbero partiti per una nuova avventura; insieme.
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Nel frattempo che i due eroi (?) preparavano le valigie, il Capo, seguito ovviamente dal fedelissimo Jason e da una piccola squadra, si aggirava per le strade di Middletown alla disperata ricerca degli altri due temibili sospettati, soprannominati “la vecchietta di Madagascar” e “il karateka tedesco”. Due soggettini innocui a caso, proprio.
Sapendo che il signor Vik non avrebbe gradito molto la presenza di spie, il Capo e Jason decisero di passare a fare… ehm… una visitina alla signora Johnson. Ovviamente, al “karateka tedesco” ci avrebbero pensato i poveri agenti di scorta.
Come avrete ben capito, il Capo non era un tipo molto altruista.
La casa era una villetta che si estendeva tutta sul piano terra, piena di ricami alle finestre, vasi di gerani, tendine di pizzo, steccato verniciato di un vago rosa pallido, il tetto rosso e le pareti esterne gialle. Insomma, era la classica abitazione di una nonna carina e coccolosa che passa le giornate a preparare tè, biscotti, dolci e squisitezze varie per i nipotini ed eventuali ospiti.
Anche una volta entrati in casa, l’atmosfera fiabesca non permetteva di intuire neanche lontanamente di cosa si fosse occupata la signora Jane Johnson nel suo passato: disegni di bambini attaccati alle pareti, centrini, sedie a dondolo, il caminetto antico con su vasi, quadri e statuine, le poltrone in vecchio stile, perfino l’odore di biscottini al burro che solitamente si sente in luoghi come questo.
- Allora, miei cari ragazzi, come mai vi trovate qui, in questa dolcissima ma sperduta cittadina?
- Mia cara signora, siamo agenti segreti. Stiamo indagando sul furto del diamante di… Skgh…
-  Sheijkandeng, Capo.
- Giusto. Grazie Jason: il Diamante Verde. Ora, a quanto pare lei è tra i sospettati, perciò dovremmo farle qualche domanda… ovviamente se non creiamo disturbo, si vede che è una persona per bene, ma sa com’è le procedure sono uguali per tutti.
- Ma certo, caro, comprendo perfettamente. Se potreste scusarmi solo un attimo, vado a prendere gli occhiali che ho lasciato nell’altra stanza… ma prego, voi accomodatevi pure sul divano!
Jason e il Capo si accomodarono senza troppi ripensamenti: dovevano ammettere che il divano a fiorellini era proprio comodo e dava un’aria di grande familiarità.
Si stavano giusto rilassando, quando Jason spalancò gli occhi e  guardò il tavolino.
- C-Capo… ehm, gli occhiali della signora…
- Li è andati a prendere nell’altra stanza, Jason, qual è il problema?
- Capo, gli occhiali sono qui!
- Qui? Ah, beh, se ne sarà dimenticata, la vado a chiamar…EEEEEEEEEEEEEEEEEEH!
La vecchietta era ricomparsa nel salotto con tanto di mitra in mano. Improvvisamente, sembrò tornare l’agente dell’effebiai che era stata anni ed anni prima…
- Che cosa credevate, eh? Pensate che sia una stupida? Ma fatemi il piacere, voi giovani di oggi credete di poterci fregare… Ho lavorato all’effebiai per più di quarant’anni, so benissimo come funzionano queste cose!
Jason era lì lì per contraddire la donna sul “giovani”, data l’età leggermente avanzata del Capo… ma pensò che fosse meglio tacere. Sì, decisamente non era il momento.
Il Capo e Jason si guardarono increduli, sudando freddo. Da dove veniva fuori quel bestione che la vecchietta aveva puntato contro di loro? Era forse impazzita?
In quel momento il Capo si pentì di aver lasciato il karateka agli altri agenti.
-S- signora… m-ma noi non oseremmo mai prenderla per il cu… uhm, prenderla in giro. Stiamo davvero conducendo un’indagine sul diamante, e purtroppo lei è davvero tra i sospettati…
La signora Johnson sembrò placarsi: ma lo sguardo truce e indagatore stava ancora squadrando i due.
- Spero per voi che stiate dicendo la verità. Facciamo così: se voi mi deste i vostri dati, e mi faceste qualche… favorino, potrei lasciarvi indagare su di me e vi perdonerei del disturbo che mi avete procurato…
Il Capo stava per sclerare, ma il santo Jason lo aveva… dissuaso dall’interrompere la nonna con una dolcissima gomitata nelle costole.
- … Se invece non volete collaborare con me, beh, l’effebiai rimane sempre in contatto con la sottoscritta. Potrebbe anche darsi che si interessi al caso del diamante di cui mi stavate parlando…
Jason e il Capo sbiancarono. La competizione tra le diverse agenzie di spionaggio e l’effebiai era globalmente risaputa, e risolvere un caso del genere era un’enorme conquista per l’agenzia del Capo. Non potevano, non dovevano lasciare che l’effebiai ficcasse il naso nei loro affari.
- D’accordo, Jane Johnson. Collaboreremo con lei.
- Oh, ma come siete ragionevoli! – posò il mitra per avvicinarsi ad un computer all’apparenza preistorico, ma che nascondeva un congegno di ultima generazione.

- Allora… quali sono i vostri nomi?
Jason si rese conto in quel preciso istante che lui sapeva tutto del Capo. Sapeva dei suoi vizi, le sue storie, il suo passato. Per lui il Capo era come un nonno un po’ burbero che, dopo averlo pregato, ti racconta delle bellissime favole. Conosceva tutto di lui.
Tutto, tranne il nome.





Piccola nota dell'autrice:  Buonasera a tutti, cari lettori! Sono finalmente tornata alla carica... mi dispiace averci messo così tanto tempo per un capitolo così breve, ma con le vacanze avevo bisogno di mettere in stand-by il cervello. Che comunque credo sia difettoso, almeno a giudicare dalla genialità di questa storia (?)
Volevo dire solo un paio di cose: innanzitutto, sopra ho citato i bidelli. Forse a qualcuno può sembrare offensivo, non so, a volte leggo di persone che si lamentano per molto meno perciò ci tengo a dire che non è assolutamente un insulto, è solo ironia. Male che va, vi ho avvertiti.
Secondo: mi farebbe molto piacere, se c'è qualcuno che segue questa FF ma non ha il coraggio di recensirla, sentire i pareri di qualcuno, anche negativi. Su, fatevi avanti, non siate timidi!
A presto con un nuovo capitolo (al quale sto lavorando... e vi dico una sola cosa: Frank e i suoi cani LOL)!
Francesca :)

 

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Capitolo 5
*** Il viaggio ***


- Ehm… Frank?
- Sì, Gerd?
- Cosa sono quei cosi?
- Cos’è, non ti piacciono i miei cani?
I due giovincelli (?) si erano incontrati davanti a casa di Frank per comprimere le valigie nella macchina di Gerard e partire per Middletown. Era una giornata nuvolosa, con un tempo uggioso che avrebbe sicuramente portato la pioggia.
Vorrei tanto poter dire che c’era un silenzio quasi tombale, per dare atmosfera: ma, purtroppo, la triste realtà dei fatti è che i settordicimila cani di Frank facevano più casino di un gruppo di vuvuzelas.
- No, Frank, non è che non mi piacciono… è che fanno un po’ di rumore…
- CHE HAI DETTO? NON RIESCO A SENTIRTI!
Ecco, come volevasi dimostrare.
- Scusami eh, ma mentre tu critichi i miei tenerissimi cuccioli perché stanno abbaiando, com’è naturale che facciano… che dovrei dire io? Ti sei portato una macchinetta del caffè! Ma fosse solo quella non ci sarebbe problema… è la busta di cialde che mi preoccupa.
La busta era così grande che se l’era dovuta portare su una di quelle carrette rosse a quattro ruote stile dopoguerra.
I due si guardarono sconsolati: come avrebbero fatto a sistemarsi nella misera, piccola auto di Gerard?
Dopo circa due ore e mezza la situazione era più o meno questa.
Gerard aveva dovuto lasciare metà delle sue cialde. Frank aveva proposto di metterle nella valigia, magari comprimendole un po’, ma quando Gerd aveva tentato di aprirla questa era scoppiata per la quantità disumana di vestiti. Ergo, le cialde dovevano sparire.
Le valigie erano state messe un po’ a forza nel bagagliaio, così come i cani di Frank (che non poteva lasciare a qualcuno perché, poverini, senza il loro padrone si sentivano persi) erano comodamente compressi come tante sardine in scatola nei posti di dietro abbaiando, latrando e lasciando numerosi ricordini sui sedili dell’auto…
I due amici erano seduti davanti, con Gerard che tra i sette/otto caffè presi da poco e il caos causato dai cani era così nervoso che, ad un certo punto, non avendo un divisorio tra i posti davanti e quelli dietro, prese una tenda e l’appiccicò lì, cercando di sopportare almeno le facce canine che ogni tanto spuntavano a sbirciare il padrone.

Erano pronti per partire.

 
Helena era ancora nella sua stanza piena di poster, a strimpellare la chitarra.
Si sentiva offesa: come mai nessuno era ancora venuto a indagare su di lei e quel maledettissimo brillocco?
Aveva visto un’auto sospetta fermarsi davanti alla casa della terribile vecchietta e un’altra davanti a quella del tedesco della scuola di karate.
Ma da lei, nessuno.
Si chiese se forse l’avessero sottovalutata: in fondo, lei voleva attenzioni. Voleva farsi valere, voleva incontrare delle vere spie e far capire a qualcuno che non era la solita ragazzina coi capelli tinti e le idee confuse che fangirleggiava davanti alle sue band preferite.
Ovvio, Helena era pur sempre un’adolescente, questi comportamenti facevano parte di lei: ma tutti la limitavano a queste poche cose. Forse perché viveva in un paesino, forse perché era piuttosto misteriosa e taciturna, forse perché in fondo non aveva a chi dimostrare le sue capacità.
Improvvisamente, sbatté la chitarra per terra, causando un rumore sordo e scordato. Lo strumento si ruppe alla base e dal fondo uscì una pietra luminosa, circondata da un alone verde.

Forse avrebbe fatto meglio a trovare un nascondiglio più sicuro.


Gerard stava per sclerare. I cani stavano facendo un casino assurdo e l’odore dei loro… ricordini si stava facendo insopportabile. Frank appariva impassibile, anzi, sembrava che stesse per addormentarsi.
L’unico motivo per cui non aveva ancora urlato contro l’amico era perché aveva paura di litigare con lui e stroncare per l’ennesima volta un rapporto di amicizia: e quella con Frank era un’amicizia speciale. Lo sentiva, era una sensazione viscerale e profonda.
Per questo, anziché esplodere, si era rivolto all’amico e, trattenendo i nervi, aveva chiesto:
 - Frank, che ne dici se ci fermiamo un po’? Sono quasi due ore che guido e sinceramente mi fa male la testa…
 - Certo, va bene. Guarda lì, c’è uno slargo. Ferma la macchina e sgranchiamoci un po’ le gambe… così magari faccio scendere anche loro – indicò i cani.
Gerd sgommò proprio sullo slargo indicato da Frank e scese con un’espressione da folle e i capelli volanti.
Frank appariva riposato e tranquillo. Beato lui…
Fece scendere le belve che lui chiamava “teneri cuccioli indifesi” e li lasciò liberi per il boschetto. Tanto sarebbero tornati al suo richiamo, per l’incontenibile gioia di Gerard.
Così i due amici erano rimasti soli, vicini all’auto stracarica ed evidentemente da pulire. Frank si offrì di rimediare appena arrivati a Middletown e Gerard si sentì un pochino meglio.
Tra i due c’era fin troppo silenzio.
- Hey Gerd, che ne dici se per rilassarci un po’ mettessimo della musica?
- Perché no! Cosa vorresti mettere? Ho un po’ di tutto: Queen, Iron Maiden, Beastie Boys, Misfits, Green Day, Metallica…
- Metti gli Iron Maiden, va’. Ci serve proprio un po’ di carica.
Una veloce occhiata d’intesa e gli Iron Maiden partirono sparati a tutto volume dall’autoradio.
Tra i due amici iniziò una discussione animata a tema musicale: critiche, consigli, esperienze di concerti. Frank raccontò della sua amata chitarra Pansy, che si era anche portato (ovviamente) e Gerard dei vari gruppi in cui aveva militato come cantante, che però non avevano mai superato i sei mesi di vita. Sembrava che tra i due nascesse una nuova complicità. Forse i loro neuroni stavano già immaginando un gruppo che avrebbe sfondato…

Ma era forse troppo presto per pensarci.
Sicuramente, però, era tardi per rimanere ancora a rilassarsi: di corsa Frank richiamò i suoi cani e il viaggio continuò.

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Capitolo 6
*** Un grande segreto viene a galla... ***


 - Allora, qual è il tuo nome? Suvvia, non farmi perdere tempo! Già non so usare questi maledetti aggeggi…
Il Capo stava letteralmente sudando freddo. Jason si sentì in dovere di aiutarlo, ma la tentazione di scoprire il suo nome era troppo forte. Decise di intervenire solo se la vecchietta avesse tirato fuori qualche altro bestione da strage generale.
 - E va bene, maledetta vecchietta sforna-biscotti. Se faccio questo è per il bene della mia agenzia, sappilo. E non provare a trattarci come dei cagnetti porta pantofole perché giuro che la pagherai cara. Jason: stai per scoprire un segreto che nessuno dovrebbe sapere. Mi raccomando a te, che sei come un figlio: non rivelare a nessuno ciò che sto per dire.
“Tutte ‘ste storie per dire un nome e un cognome”, pensavano Jason e la nonna. Ma non sapevano che cosa nascondesse quel nome.
 - E va bene. Il mio nome è Jason Green.
 - Jason Green, eh? J-A-S-O-N  G-R-E-E-N sì? Bene… e tu, giovincello? Eh? Ehi, tu! Mi senti? Accidenti, ‘sto ragazzo pare più sordo della mia trisnonna.
Jason era ammutolito. Il Capo aveva esattamente il suo stesso nome e cognome… e non poteva essere solo una coincidenza.
 - Hai ricollegato, eh, giovanotto? Vediamo se ho intuito il tuo ragionamento. Tuo padre, Mark, ti ha raccontato di averti dato il nome di suo padre, ovvero tuo nonno, che era scomparso in una missione speciale, dato che era un agente segreto. Poi tu, entusiasta delle storie di spionaggio, hai deciso di intraprendere la stessa strada dell’uomo da cui hai ereditato il nome… peccato che fossi un tipo poco avventuroso, in fondo. Così hai deciso di sfruttare la tua prontezza di riflessi per fare il mio assistente personale. Jason, credo che tu oramai abbia capito: io sono tuo nonno!
Una scena strappalacrime perfettamente a metà tra un film romanticoso e la celeberrima scena di Star Wars in cui darth Vader dice al povero Skywalker:”Luke, io sono tuo padre!”
 - Da-davvero… Capo? Tu sei… il nonno disperso?
 - Sì, Jason: in realtà ero stato imprigionato in un altro Paese e per poter tornare all’agenzia ho dovuto nascondere la mia vera identità. Dato che, come premio per essere riuscito a completare una missione così pericolosa, ero stato nominato capo, mi sono fatto chiamare semplicemente Capo e nessuno si è mai posto troppe domande.
 - Quindi tu hai saputo che io ero tuo nipote… per tutto questo tempo?
 - Sempre. – cos’è, un mix di film colossal? – Sin da quando eri bambino… ho seguito ogni tua mossa senza farmi notare da tuo padre che, diciamocelo in tutta sincerità, era proprio un impapito. Non s’è accorto di niente, il buon Mark.
 - Oh, nonno… ora che ti ho ritrovato vorrei tanto poterti abbracciare! Ma sono legato con questi maledetti cosi e…
 - Ma avete finito co’ ‘ste scene smielate? Potrei vomitare! – Severus Piton docet. – Adesso vogliamo concludere i nostri benedetti affari? Non ho tempo da perdere, io! Devo cucinare i biscotti per i miei nipoti e fare tre maglioncini all’uncinetto. E che cavolo!
 - Signora Johnson, lei è davvero senza cuore! Non si rende conto che per anni ho visto mio nipote senza poterlo mai abbracciare? Come si sentirebbe se non potesse fare da nonna ai suoi nipotini? Se non potesse vedere le loro faccette felici quando gli porta i regali o gli prepara i biscotti, né le espressioni scocciate quando critica i loro modi di fare troppo sbruffoni? (Mo ci vuole: ‘sti giovani d’oggi!).
 - … E va bene, avete vinto voi. In quanto nonna capisco benissimo ciò che provate… perciò vi lascerò liberi per un’ora al giorno in modo che potrete abbracciarvi come due amebe. Ma solo dopo aver finito questo pallosissimo lavoro: ho da fare io, neh!
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Gerard e Frank erano finalmente arrivati a quel rifugio di veterani della seconda guerra punica (quelli della seconda guerra modiale… tsé, erano dei ragazzuoli) chiamato Middletown. Lì non faticarono a trovare i loro monolocali, dato che c’erano giusto dieci case compresi il comune e la scuola elementare.
Il palazzo era, se possibile, ancora più vecchio degli abitanti: doveva risalire all’epoca etrusca, anzi, in alcuni punti del corridoio si potevano addirittura intravedere alcuni affreschi storici. Le scale scricchiolavano perfino se ci cadeva un capello e i muri erano così vicini tra loro che non c’era spazio né per farci entrare un corrimano (che sarebbe stato squallido anch’esso) né per far passare più di una persona alla volta; anzi, se la persona in questione fosse stata obesa, non ci sarebbe passata manco da sola. Dulcis in fundo, i tarli avevano oramai l’egemonia delle parti in legno e la muffa dei mattoni.
 In questo grazioso palazzo d’epoca (così lo definiva l’agenzia immobiliare), al terzo piano (che sarebbe la mansarda) c’erano, uno di fronte all’altro, due monolocali identici sullo stesso pianerottolo (che sarebbero rispettivamente due buchi nel muro e un minuscolo spazio in cui le scale sembravano interrompersi, ma in realtà era solo uno scalino un po’ più grande). In questi due appartament… ehm, tane di talpa, avrebbero vissuto i due amici.
Dopo la faticaccia per portare le valigie fino al terzo piano (rigorosamente senza ascensore e con uno ristrettissimo spazio vitale), Frank e Gerard entrarono nei rispettivi monolocali e provvidero a sistemare i loro oggetti. Per far salire i cani ci volle più di tre quarti d’ora, dato che perfino loro sembravano schifati dall’abitacolo. Quando si dice una vita da cani… No, okay, questa era davvero squallida.
Verso sera qualcuno bussò alla porta di Frank. Prima che se ne accorse però s’era praticamente già fatta notte, dato che il bussare era sovrastato dal latrato dei cani, infelici di vivere tutti insieme appassionatamente come delle sardine in scatola.
Quando finalmente il “bussatore” (nel caso vi stiate chiedendo se questa parole esista: sì, esiste. E se non doveste trovarla nel vocabolario non temete, l’ho appena coniata io. Tié.)riuscì a farsi sentire, cioè pochi secondi prima di sfondare la porta a calci e pugni, Frank andò ad aprire.
Credo che non vi siate nemmeno dovuti domandare chi fosse. Nel caso ve lo siate domandati: SHAME ON YOU.
Gerard entrò con un po’ di timidezza nell’appartamento di Frank: era quasi spoglio, a parte per l’altarino che aveva innalzato per la sua Pansy e i dischi che aveva gettato ovunque. Possiamo dire che a mobilia e tappezzeria ci pensavano i cani. Poi, va beh, aveva qualche vestito… ma quelle non erano cose importanti. Quando mai una persona in viaggio si porta i vestiti? Pft, ci fossimo ammattiti!
 - Ciao Frank… scusami ma mi sentivo un po’ solo.
 - CHE DICI?
La tappezzeria stava facendo un casino bestiale, il che contribuiva all’avanzare della precoce sordità di Frank.  
 - HO DETTO SCUSAMI SE SONO VENUTO A ROMPERTI LE COSIDDETTE MA MI SENTIVO SOLO.
 - MA CHE STAI DICENDO?
 - FAI TACERE QUELLE LURIDE PALLE DI PELO, FRANK!
Dopo aver passato un quarto d’ora a sgolarsi, Gerard prese Frank per un braccio e se lo trascinò di peso nel suo appartamento, lontano (si fa per dire) da cani di ogni razza e tipo nonostante lo strazio di Frank di lasciare soli “i suoi amorini”.
 - Finalmente! Dicevo?
 - Non lo so, non riuscivo bene a sentirti. Ma perché sono qui?
 - Niente, mi sentivo solo.
 - Se vuoi posso lasciarti uno dei miei can…
 - NON PROVARCI NEMMENO IERO. TI AMMAZZO STANOTTE, TU E I TUOI CANI.
 - Ugh. Va bene, ho capito, ti preparo un buon caffè, va’.
 - SUDICE CREATUREREPELLENTI, VERGOGNA DELLA NATURA, SPUTI DI TROLL, AMMASSI DI PELO, LURIDI MOLESTATORI…
Abbiamo appreso che a Gerard non stanno molto simpatici i cani di Frank. Dopo quel giorno, non riuscì a vederne mai più uno senza iniziare con uno dei suoi “esaurimenti dal troppo abbaiare”. Capita, soprattutto quando i tuoi vicini hanno minimo dieci cani a testa che a turno si dilettano nel fracassarti le noci di cocco ventiquattr’ore su ventiquattro e tu cerchi di impegnarti in qualcosa di costruttivo. Qualunque riferimento a fatti, luoghi o persone reali è puramente casuale.



Nota dell'autrice: Cari, carissimi lettori! Sono tornata dopo una lunga attesa, dopo interi pomeriggi passati sui libri ad esaurirmi! Spero di avervi strappato almeno uns sorrisino con questo nuovo, demenzialissimo capitolo!
*grilli di sottofondo*
E va bene. Come biasimarvi, è già tanto che non abbiate distrutto il computer arrivati qui! E nel caso ne abbiate rotto qualcuno io i danni non ve li risarcisco, sappiatelo.
Insomma, spero che continuiate a seguire la mia Frerard comica e che vi divertiate con le avventure di questi due strampalati agenti segreti... lasciatemi i vostri commenti, sia positivi che negativi, mi raccomando!
Baci, Frankie :)

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Capitolo 7
*** Una fata turchina e un incontro imprevisto. ***


La mattina dopo Gerard si era svegliato piuttosto frastornato: la crisi causata da quelle sudicie palle di pelo era passata e il caffè che Frank gli aveva fatto lo aveva aiutato un sacco.
Frank gli aveva fatto un caffè e lo aveva aiutato, pensò. Un buon caffè, precisò. Un ottimo caffè. Insomma, gli era piaciuto e pure tanto.
Frank era rimasto a dormire sul divano (sempre che quella schifezzina si potesse chiamare così). Com’è tenero mentre dorme, pensò Gerd, con quel faccino pacioccoso…
Poi guardò l’orologio: erano le otto del mattino. Si erano messi d’accordo per iniziare il loro lavoro alle nove e mezza… aveva giusto un po’ di tempo per farsi una passeggiatina, in attesa che Frank si svegliasse.
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- Hey, Helena.
Quella mattina per Helena era stata abbastanza odiosa, perciò vedere il viso dell’unica persona che avesse probabilmente mai amato in tutta la sua vita la riempì di gioia.
 - Hey, fratellone.
Il solito cenno d’intesa con James, una rapida occhiata e già il ragazzo aveva capito che qualcosa tormentava la sorella.
 -  La mamma ti fa ancora dannare? Ti ha fatto la sclerata perché ti sei tagliata o tinta i capelli come al solito? A proposito, carine quelle ciocche rosa.
 -  Nah, non è terribile stare con lei. Semplicemente, è un po’ apprensiva… molto apprensiva. No, per una volta non è lei il problema. E comunque le ciocche sono viola, non rosa. Tsé, pivello.
 - Allora cosa c’è? Ti sei innamorata, per caso? Qualche metallaro della scuola?
 - Certo che no! Helena Morris che si innamora? Mai visto. James, mi dispiace ma stavolta non posso proprio parlare.
In realtà avrebbe voluto confessare tutto al fratello che, dopotutto, le assomigliava in una maniera mostruosa e avrebbe capito le sue intenzioni. Magari l’avrebbe anche aiutata, chissà: erano due giovani ambiziosi, e lo dimostrava il fatto che James, astuto come una volpe, a soli vent’anni aveva trovato un lavoro e una casa in città. Helena lo stimava molto sia per questo sia perché, come lei, sapeva bene come ingannare altre persone. Così come le piaceva recitare una parte e suonare la chitarra, si sentiva soddisfatta quando riusciva a far passare inosservata una bugia e a far cadere qualcuno in un suo tranello.
Ma sì, pensò, in fondo poteva essere una buona idea parlarne con lui. Nel peggiore dei casi non avrebbe collaborato, ma sarebbe stato zitto. Il segreto, però, non andava rivelato lì, all’uscita dalla scuola, non in quel momento. Lo avrebbe portato nel suo rifugio.
 - Helena, ti si legge in faccia che ne hai combinata una delle tue. Sta’ tranquilla: con me, il tuo segreto sarà al sicuro.
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Frank si svegliò che erano quasi le dieci. Era terribilmente in ritardo per l’inizio dell’indagine e Gerard si sarebbe arrabbiato sicuramente.
Forse era stato lui a lasciarlo dormire?
Si alzò e si mise a fare il caffè. Stavolta era lui ad averne davvero bisogno: le occhiaie non lo avevano minimamente risparmiato e dai capelli sembrava avesse preso la scossa. Insomma, il classico aspetto zombiesco di chi si sveglia, no?
Sentì la porta aprirsi e la voce di Gerard squillare “BUONGIORNO DORMIGLIONE! MA CHE BEI CAPELLI!” e frasi del genere. Frank non si girò nemmeno per rispondergli, si era rassegnato all’idea che Gerard avesse oramai conosciuto il suo lato zombiesco. Comunque, pensò, dovremmo lavorare insieme quindi… chissenefrega.
Non sapeva poi che, dal canto suo, in fondo, Gerard provava una grande tenerezza nel vederlo così… al naturale.
 - Hey, Gerd! Allora oggi iniziamo le indagini, contento? Non vedo l’ora… mi raccomando, dobbiamo essere assolutamente impeccabili. Non facciamoci riconoscere, ben mimetizzat… MA CHE COSA HAI FATTO?
 - Ti piacciono? Mentre passeggiavo ho visto una parrucchiera che aveva tutti i colori di questo mondo! Non ho saputo resistere!
Le raccomandazioni di Frank erano andate a farsi benedire, annegate nel nuovissimo color turchese-azzurrino-fosforescente dei capelli di Gerard. Assolutamente anonimi e mimetizzabili, mi dicono.
 - Gerard, cosa hai combinato? Come farai a mimetizzarti con quei capelli?
 - Stai… stai dicendo che non ti piacciono? – Disse Gerard entrando in modalità comefaiasgridarequestobelfaccino – Eppure pochi giorni fa dicevi di apprezzare la mia creatività… -
Frank, che non poteva essere cattivo neanche volendo, vedendo quel faccino triste si sentì un po’ ingiusto: in fondo portare i capelli tinti era una moda, magari nessuno avrebbe mai pensato che qualcuno con quell’assurdo colore poteva essere una spia.
 - E va bene Gerd, puoi tenere i capelli azzurrini… anche perché credo che oramai sia molto difficile scolorirli. Farei prima a rasarti a zero, in pratica… -
 - NON CI PROVARE SAI.
 - Placati, stavo scherzando!
Così iniziarono i preparativi per seguire Helena Morris.
I due però non sapevano che proprio in quel momento la ragazzina stava passando sotto la loro finestra.
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Helena entrò proprio nel preistorico palazzo di Frank e Gerard. Infatti quel… coso apparteneva al nonno di Helena che, una volta deceduto, lo aveva lasciato alla signora K. Fowl. La suddetta donna era la madre di Helena dopo aver ripreso il nome da “single”. Ma questo inostri eroi non potevano saperlo, dato che il tutto era accaduto poco tempo prima del furto del brillocco verde.
Uno di questi appartamenti era proprio l’ex abitazione del nonno, che era stato uno dei primi rockettari del periodo negli anni ’50 e ’60, perciò aveva sempre amato quella stravagante nipotina. In più, la sua casa traboccava di piccoli tesori della musica come dischi originali, gadget e collezioni dell’epoca, e la giovine fanciulla si era sempre trovata in totale armonia con il luogo: dato che era l’unico appartamento non in affitto, lo aveva utilizzato come rifugio segreto.
 - Mi piace questo posto. Il nonno sarebbe contento di sapere che ci vieni ancora, ha sempre avuto un debole per la sua nipotina preferita. Cos’è che avresti combinato, stavolta?
 - Lo vedrai, James. Porta pazienza.
Andò nella stanza da letto del nonno: aprì quella che sembrava un pezzo di parete ricoperta di dischi, ma che si rivelò essere la porta di una cassaforte, ed estrasse una luminosissima pietra verde grande quanto una pallina da golf.
 - Ecco, che cos’ho combinato.
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Gerard e Frank uscirono di casa vestiti il più anonimamente possibile… cioè per quanto lo permettessero i capelli di Gerard. Proprio mentre si stavano allontanando, però, fu Helena ad andare incontro ai due soggetti, in compagnia di James.
 - Salve! Voi dovreste essere i due che hanno affittato gli appartamenti da mia madre… Benvenuti!
“Cosa? Madre? Ci conosce? Perché è venuta a parlarci? Santo cielo, il Capo ci farà il cu… uhm, la pelle!”
 - Ah, sì, siamo noi… davvero ben tenuti i monolocali, eh! Quindi tu sei la figlia… come ti chiami, ragazzina?
 - Io sono Helena, Helena Morris, e lui è mio fratello James. Ci sembrava opportuno salutarvi!
 - Beh, grazie, non dovev…
 - OH CIELO, QUEI CAPELLI! SONO STU-PEN-DI!
 - VERO? IO LI ADORO!
 - Te li ha fatti miss Kaey, eh? Quella è una maga con le tinte! Ci vado ogni settimana, pensa un po’ tu!
Continuarono così finché non arrivarono le due. Mentre i due maniaci dei colori sgargianti fangirlavano, Frank e James si guardavano senza ben sapere cosa dirsi; un po’ come quando due amiche si incontrano per strada e cominciano a chiacchierare scordandosi completamente dei loro mariti/fidanzati, che dal canto loro si guardano con reciproca compassione, aspettando il momento in cui le due donne si saluteranno, senza neanche presentarsi.
Poi si sentì un rumore stranissimo: sembrava un tuono, ma non si videro né lampi né fulmini. Un suono grave, che sembrava preannunciare qualcosa di terribile…
 - Scusate ragazzi, ma io avrei fame. Muoviti, Gerd. Ci sentiamo, eh, cià.
Avete capito bene, era lo stomaco di Frank che richiedeva cibo. L'affamato si trascinò Gerard in versione fata turchina per quei pochi metri che li separavano da una pizzeria, ci si infilò dentro ed ordinò una cinquantina di pizze da dividersi con l’amico. Poi, siccome era buono e non pensava solo a se stesso, chiese anche tre o quattro caffè per la fata turchina.
 - Poco ci mancava che ci scoprisse, Gerd! Accidenti, come abbiamo potuto affittare una casa da SUA MADRE?
 - Perché era l’unica che le affittava, Frank. Ma non tutto il male vien per nuocere: non sa che siamo agenti segreti, e la conversazione di oggi potrebbe avvicinarci a lei! Magari anziché infiltrarci come bidelli possiamo campare sulla sua fiducia. Insomma… facciamo i bravi turisti, eh? E magari fatti tingere un po’ quei capelli. Se li facessi biondi sarebbero più chic!
Non sto neanche a descrivere la faccia da Grumpy Cat di Frank. Su una cosa però, Gerd-fata turchina aveva ragione: Helena pensava che fossero dei semplici turisti. Magari questo metodo poteva rivelarsi anche più produttivo.
Così decise di seguire il consiglio di Gerd: e già che c’era, pensò che potevano anche passare da miss Kaey.
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 - Quelli sono gli agenti che pensi siano venuti per te?
 - Già. Non sembrano molto bravi, eh? Ma forse lo fanno apposta. In realtà cercano informazioni cercando di comprarsi la mia amicizia… ed è proprio ciò che desideravo facessero.
 - Credi che il tuo piano funzionerà? Helena, ti appoggio, credo che tu sia stata grandiosa ad ideare un progetto così, e molto coraggiosa ad attuarlo: hai delle grandi capacità, me lo sento. Però, ti prego, stai attenta: è un’arma a doppio taglio e lo sai meglio di me.
 - James, questa è una grande occasione. Sono consapevole dei rischi, ma devo coglierla al volo. Poi, ci sei passato anche tu, no? Hai fatto qualcosa di simile. Non hai rubato lo Sheijkandeng, ma il succo è lo stesso. Mi aiuterai?
James ci pensò: sua sorella aveva commesso un grave reato, ma cavolo, aveva rubato uno dei diamanti più preziosi del mondo, e aveva solo quindici anni! Aveva ragione, necessitava almeno di un’opportunità.
 - Certo che lo farò.


Perdonatemi, ma amo troppo le note: Salve, popolo! Ecco un nuovo capitolo un po' più lungo dei precedenti... Voglio scusarmi per la lunga attesa, ma se riesco a scrivere due righe in un giorno oramai è un miracolo.
Spero che continuiate a seguire questa demenzialissima FF e che, anche solo per un secondo, vi faccia tornare il sorriso :) mi raccomando, recensite! Voglio sentire il vostro parere!
Sperando di pubblicare presto un altro capitolo, vi saluto.
Frankie :)

p.s.: perdonate gli eventuali orrori di ortografia ^^" spesso li noto solo dopo molto tempo...

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Capitolo 8
*** Allora, cambiamo aria? ***


Era una luminosa e tiepida domenica mattina. Il sole si levava alto nel cielo, le nuvole tingevano il cielo azzurro di  batuffoli bianchi, gli uccellini cinguettavano lieti…
 - GERARD, SIAMO IN RITARDO, ALZATI O QUELL’ORSACCHIOTTO TE LO FICCO… aspetta, dormi con un orsacchiotto…?
 - Si chiama Poopy, e non è un’orsacchiotto. È un mostriciattolo carino e coccoloso.
 - Ma cos… oh, andiamo, non devo pensare a queste stupidaggini! Alza il culo e preparati, pelandrone.
 - Ooooh, sciallati brò. Ma che è tutta sta fretta?
 - Ti ricorda qualcosa questa conversazione? “Ciao, sono Helena, vi ricordate di me? Volevo invitarvi a fare una gita in montagna, così, giusto per cambiare aria! Che ne dite se ci vediamo domenica mattina alle nove davanti al vostro palazzo?”
Giusto il tempo di scaldare i neuroni e Gerd si ricordò della telefonata della ragazzina. L’orologio appeso alla parete segnava le nove e dieci.
Erano in ritardo.
In circa altri cinque minuti la fata turchina si era lavata, cibata e preparata, e aveva perfino perso tempo a scegliere i vestiti adatti per la montagna (rivoltando i suoi valigioni come dei calzini) e a preparare un piccolo zaino da trekking con borracce, felpe pesanti e quant’altro. Che poi, da dove venivano lo zainetto e l’attrezzatura da trekking? Bah, non sono cose che ci riguardano.
Alle nove e un quarto esatte Gerard si presentò nel pianerottolo e abbagliò Frank con un’espressione alquanto ilare dicendo: “Allora ciccio, partiamo?”
Appena sotto trovarono i due fratelli Morris che aspettavano (apparentemente) pazienti. Frank si scusò con entrambi, poi decisero di andare tutti nella stessa macchina per risparmiare. Così salirono tutti nella macchina di James, che i due agenti etichettarono “non ho la minima idea di che marca e modello sia, ma è sicuro costosa”. In effetti a Frank venne in mente il primo dubbio: come fa un ragazzino di vent’anni ad avere una macchina così bella quando io ho quella merdina?
E qui sorge spontaneo un dubbio anche a noi: come ha fatto Frank a svegliare Gerard che si trovava nel suo appartamento? Bah, non sono cose che ci riguardano.
 - Hey Frank, belli i capelli! Gerard ti ha convinto a visitare la nostra parrucchiera di fiducia, eh?
 - Cos… ah, sì. Mi andava di… cambiare, ecco.
Si era fatto convincere il giorno prima dalla fata turchina, la quale lo aveva trascinato dalla famosa miss Kaey. La scena svoltasi era più o meno questa: Gerard che cerca di convincere Frank a tingersi con un colore per ogni ciocca (come miss Kaey d’altronde), oppure farsi i capelli come i suoi, oppure farli rosa per contrasto, oppure di una specie di verde acido per accecare chiunque guardi i loro capelli vicini (che in effetti tra il turchese e il verde fluo i poveri bulbi oculari delle persone normali potrebbero non resistere allo shock).
Insomma, alla fine Frank se n’è esordito con “BASTA, SE MI PROPONETE ANCORA QUALCOSA DI INDECENTE ME NE VADO”
“Ma no, dai, perché fai così, volevo solo darti un’aria più… trasgressiva!”
“NON ME NE IMPORTA UNA BENEAMATE CIPPA DELL’ARIA TRASGRESSIVA. Io i capelli rosa o verde acido non me li faccio. In pizzeria dicevi biondi, perché ora te ne esci con queste tinte da sassy queen?”
“Beh il biondo ti sta bene, ma forse tutto biondo sembreresti una specie di principino delle favole…”
Improvvisamente i capelli turchesi si illuminarono. Gerard aveva avuto la brillante idea di tingere i capelli di Frank solo per metà ma, sapendo che l’amico non avrebbe accettato, decise di legarlo alla sedia e di fargli la tinta a tradimento. Ovviamente con la collaborazione della mitica miss Kaey, che nel frattempo si era divertita a fargli un taglio diverso.
Alla fine, quando Frank si era guardato allo specchio dopo un’ora di lavoro (mezza l’avevano persa solo per farlo stare fermo sulla sedia e imbavagliarlo per non sentirlo strepitare), si sentiva diverso. Sembrava più figo, questo era certo. Insomma, quella storia della tinta a metà non gli schifava poi tanto, anzi, non protestò nemmeno per ripagare la sedia semidistrutta e il sedativo per cavalli che avevano usato per tranquillizzarlo.
 - Bene, tra pochi minuti ci fermeremo per fare benzina. Questa macchina consuma troppo… spero che la cosa non vi dispiaccia, ci metterò poco.
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I nostri amici si erano fermati in una stazione di servizio piuttosto sperduta tra i monti. C’era solo un uomo a mettere la benzina, una specie di truzzo costretto ad allontanarsi dalla discoteca, evidentemente un disagiato della peggior specie. Mentre James faceva la benzina Helena, con la scusa di aiutarlo, si allontanò dalle spie, che rimasero a confabulare tra loro.
 - Beh, sembra che fino ad ora vada tutto bene. Ma hai notato la macchina di John?
 - James.
 - Sì, James, quello lì. Ha una macchina molto costosa e motlo ben tenuta: questo vuol dire che ha un lavoro importante. Ma è praticamente appena maggiorenne, come ha fatto a trovare un lavoro così ben pagato a soli vent’anni?
 - Forse è raccomandato…
 - E da chi? Ho fatto molte ricerche sugli altri familiari, ma nessuno sembra essere un personaggio influente.
 - Devo ricordarti che non sapevamo nemmeno di aver affittato l’appartamento nientedimeno che dalla madre del soggetto che stiamo spiando?
 - Era meglio se stavi zitto. Okay, ascoltami bene: dobbiamo scoprire qualcosa in più sulla loro vita privata. Lavoro, famiglia, cretinate varie: ovviamente evitiamo di fare domande sul diamante o che comunque potrebbero portarli a capire che non siamo qui per semplice turismo ma per spionaggio. Capito, Gerd? E non provare a fare come quando ti sei tinto i capelli o ti ammazzo nel sonno.
 - Sta’ tranquillo, ho capito. Piuttosto… ho sentito che l’FBI sta intervenendo nel caso. Alcuni agenti dalla base dicono che ci sono presenze sospette a Middletown… 
 - Che cosa? L'FBI? Oddio, siamo morti! Non riusciremo mai a risolvere il caso prima di loro! Spero solo che il Capo e Jason si stiano dando da fare... 
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 - Oh nonno, nonnino mio caro, ti voglio tanto tanto bene!
 - Oh, nipotino mio bello, anche io! Ti adoro! Sei così bello ed intelligente e simpatico!
 - E tu sei tanto avventuroso e… uhm… sei mio nonno!
 - Ooooooooohw!
 -  Oooooooohw!
Praticamente nello scantinato della casa della signora Johnson volavano cuoricini rosa; e la signora Johnson non ne era molto contenta.
 - E daje, staccatevi! L’ora del pucci-pucci miao-miao è finita.
 - NOOOOOOOOOOOOOOOOOO!
 -  NON PUO’ ESSERE DAVVERO COSI' CRUDELE!
 - NON POSSO STACCARMI DA LUI CAPISCE!
 - SONO PASSATI TANTI ANNI!
 - PER TANTO TEMPO NON HO POTUTO ABBRACCIARLO!
 - LEI E’ UNA DONNA INSENSIBILE!
 - Vabbò, sapete che vi dico, m’avete proprio scassato le prugne. Sembrate una coppietta di fidanzatini rincitrulliti. Non c’ho manco la forza di scendere le scale, sennò mi duole la sciatica. Arrangiatevi, cià.
 - HAI SENTITO? POSSIAMO RIMANERE!
 - CHE BELLO, TEMEVO DI NON RIVEDERTI FINO A DOMANI!
 - TI VOGLIO TANTO BENE!
 - IO DI PIU’!
 - NO, IO DI PIU’!
Nel frattempo la vecchietta se ne andò sbattendo la porta e mettendosi i tappi per le orecchie, pur di risparmiarsi i “pucci-pucci miao-miao”.
 - E comunque, io li odio, quei due.
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Anche Helena e James nel frattempo confabulavano. Si insospettivano sempre di più, e iniziavano a dubitare che Gerard e Frank fossero davvero due agenti segreti: ma, in ogni caso, andavano tenuti d'occhio, ed ogni occasione era buona. Chissà che quel giorno non potessero scoprire nulla d’importante…
 

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