Beyond di Stateira (/viewuser.php?uid=11251)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Weird dream ***
Capitolo 2: *** What friends are for ***
Capitolo 3: *** Names ***
Capitolo 4: *** Me or not me? ***
Capitolo 5: *** Dice ***
Capitolo 6: *** Memories ***
Capitolo 7: *** Feelings ***
Capitolo 8: *** Lakeside ***
Capitolo 9: *** Salix ***
Capitolo 10: *** Pulcherrimus ***
Capitolo 11: *** Castra ***
Capitolo 12: *** Sleepless ***
Capitolo 13: *** Triumviratus ***
Capitolo 14: *** Duo milia ***
Capitolo 15: *** Dillon ***
Capitolo 16: *** Arceo! ***
Capitolo 17: *** Imber ***
Capitolo 18: *** Ignis ***
Capitolo 19: *** Caelum terraque ***
Capitolo 20: *** Trumphator ***
Capitolo 21: *** Alea iacta est ***
Capitolo 22: *** Veritas ***
Capitolo 23: *** Omnia amor vincit ***
Capitolo 24: *** Domus ***
Capitolo 1 *** Weird dream ***
PREMESSA
PREMESSA
La storia è
ambientata in un ipotetico settimo anno, ma si slega dagli eventi della saga,
perciò non contiene alcuno spoiler.
I personaggi che
non siano Draco, Harry, i loro compagni e insegnanti, e tutto ciò che
direttamente gravita attorno al mondo di HP, che appartengono agli aventi
diritto, sono di mia esclusiva creazione, e non intendono riferirsi ad alcuna
personalità realmente esistita.
Le ambientazioni
e le vicende storiche sullo sfondo sono verosimili, ma non vogliono in alcun
modo essere scrupolosamente attinenti a ciò che è la realtà storica, che viene
piegata alle esigenze della finzione.
Ho scelto il
rating arancione, per il momento, perché non ho ancora un’idea chiarissima su
come risolverò alcune questioni. Perciò mi riservo di modificarlo in futuro, in
caso di necessità e previo avvertimento.
Non saprei
cos’altro aggiungere. Credo di non essere mai stata tanto coinvolta
emotivamente in una fic come con questa. Forse soltanto in un altro caso.
Quindi spero di riuscire a trasmettervi anche solo la metà delle emozioni che
io ho provato scrivendola.
1. Weird dream
Harry sfilò gli
occhiali e li ripiegò alla bene e meglio. Procedette a tentoni fino al
comodino, e li appoggiò sopra alla pergamena che il giorno dopo avrebbe dovuto
consegnare alla McGranitt.
- Oh no, la
conclusione per la ricerca. – gemette appena avvertì la carta ruvida sotto le
dita.
- Ci penserai
domani. – borbottò Ron, voltandosi dall’altra parte. – Anzi, ci penseremo
domani. -
Harry sbuffò e fece
un mezzo sorrisetto.
- ‘notte Ron. -
- ‘notte Harry. -
La camera dei
ragazzi piombò in buio rilassato, vellutato dal riverbero delle stelle che
filtrava da dietro le finestre. Era una bella notte serena, probabilmente una
delle ultime, prima che il freddo e le nuvole cominciassero ad assediare
Hogwarts, come tutti gli inverni.
Harry chiuse gli
occhi. Adorava la sensazione delle coperte che scacciano il primo freddo, e
quei brividi piacevoli della pelle che si adatta al calore. Si addormentò prima
di riuscire a rendersene conto. Il rientro fra le mura della scuola aveva da
sempre un duplice effetto su di lui, rassicurante da un lato, e spossante
dall’altro. Durante i primi giorni i professori si scatenavano, e questo era
tristemente risaputo. Niente che lui non fosse preparato ad affrontare, o
quantomeno a cercare di svincolare. Purché fosse rigorosamente in compagnia
degli amici di sempre, specialmente quell’anno, che per loro aveva un sapore
tutto particolare, un’ultima occasione da sfruttare fino in fondo.
Si addormentò in
una buffa posizione un po’ accovacciata, con la mano sinistra ficcata sotto al
cuscino e le ginocchia rannicchiate. Fluttuò per alcuni minuti in un
piacevolissimo stato di stordimento, in equilibrio fra immagini, suoni
ovattati, bozze di sogni e di ricordi, per poi finire accarezzato da una
morbida sensazione di brezza.
Si risvegliò in
quello che aveva tutta l’aria di essere una sconfinata distesa di prateria.
- Uhm, ma cos… -
Harry si tirò su a sedere, strofinandosi la faccia per cercare di recuperare un
po’ di lucidità.
Tastò il terreno
circostante e i pantaloni, alla ricerca della sua bacchetta, ma niente, nessuna
traccia.
- Ron? – chiamò,
allarmato. – Ragazzi? -
Nulla.
Il sole batteva
fortissimo, come se fosse stato pieno giorno. Harry si mise in piedi e,
ammiccando, cercò di orientarsi.
- Ma dove diavolo
sono finito. – mormorò girando e rigirando su sé stesso, alla ricerca di un
qualche punto di riferimento.
Hogwarts non si
vedeva. Anzi, non si vedeva nemmeno l’ombra delle montagne che circondavano la
scuola, o dei boschi verde cupo che le facevano da cornice. Il paesaggio
irreale in cui Harry si trovava immerso sembrava sconfinato.
Cominciò a
camminare. Non c’era molto altro che potesse fare, visto che a quel punto
l’unica speranza era quella di trovare qualcuno a cui chiedere delle
indicazioni.
Si domandò come
fosse potuto succedere. Non era possibile Smaterializzarsi fra le mura di
Hogwarts, perciò era assurdo pensare che nel sonno avesse potuto farlo
accidentalmente. Nemmeno da prendere in considerazione, o a Hermione sarebbe
venuto un colpo.
Harry inciampò su
un ciottolo, e digrignò i denti, saltellando come un pazzo per non perdere
l’equilibrio.
Cominciava a
sentire caldo. Possibile che fosse finito così tanto lontano che persino la
temperatura era cambiata?
- Grandioso, e
adesso che accidenti faccio. – ringhiò fra sé e sé, trafficando con le fibbie
del mantello.
Quando finalmente
lo ebbe slacciato, se lo fece passare sopra alla testa, per arrotolarlo attorno
al braccio e liberarsi così dell’impaccio, ma riuscì a malapena a sgomberare lo
sguardo dal tessuto nero, che per poco non venne travolto da un qualcosa che
gli passò di fianco, fulmineo.
- Ma quello. –
soffiò, allucinato. – Quello era un unicorno. -
Il cavallo nitrì in
lontananza, scomparendo verso l’orizzonte soleggiato, ma pochi istanti dopo un
altro nitrito gli fece eco.
Un altro cavallo,
questa volta un comune cavallo, si materializzò dietro di lui, e gli passò di
fianco, lanciato all’inseguimento dell’unicorno. Era marrone chiaro, snello, e
si muoveva rapidissimo.
Harry rimase
imbambolato a seguire con lo sguardo anche il secondo animale che si
allontanava senza lasciare traccia.
- Non è possibile.
– gemette. – Non può essere vero. Ma che razza di posto è questo? -
Il povero Harry
cercò invano di individuare nuovamente i due animali, ma senza successo. Valutò
fra sé la possibilità di incamminarsi verso la loro stessa direzione, sperando
di incappare in una qualche presenza umana, e proprio allora si alzò un debole
vento che scompigliò l’erba monocroma sotto ai suoi piedi.
- Riesci a
sentirmi? -
Una voce maschile
lo fece sobbalzare all’improvviso. Harry si voltò e si rivoltò in tutte le
direzioni, ma non c’era nessuno, non una sola traccia.
- Chi sei? –
chiese, agitato. – Dove sei? -
- Aiutami. – gli
rispose la voce.
- Chi sei? -
- Devi aiutarmi. -
Harry cercò ancora
di individuare la fonte di quella voce. Ma niente, sembrava provenire da ogni
direzione indistintamente, come se fosse trasportata dal vento.
- Dove sei? Fatti
vedere! -
- Aiutami. -
- Fatti vedere! -
Come obbedendo al
suo comando, dal nulla apparve una figura avvolta in un mantello. Nonostante il
sole abbacinante Harry non riuscì a scorgerne che i contorni sfocati dell’ombra.
Era lontana ed indecisa, eppure aveva qualcosa di strano e di peculiare che
Harry potè giurare di conoscere.
- Ti prego,
aiutami. – disse di nuovo.
- Ma chi sei. –
Il giovane uomo
tese una mano verso di lui, e facendolo uscì un poco dalla membrana di oscurità
in cui sembrava essere avvolto. Harry ricambiò istintivamente il gesto, come se
quel semplice cercarsi di mani potesse annullare la distanza indefinita che li
separava.
E ad un tratto lo
vide, come in un flash fugace: i capelli neri, le labbra sottili, le linee del
viso squadrate.
- Papà. – soffiò,
- Aiutami, ti
supplico. -
- Papà! -
La figura dell’uomo
tornò ad essere inghiottita dal buio, e allora Harry si mise a correre, più
veloce che potè, ma più i suoi piedi calpestavano il terreno coperto di erba,
più la distanza fra loro si faceva incalcolabile.
- Aspetta! – ansimò
inutilmente.
L’uomo si faceva
sempre più lontano, e sempre più piccolo. Ad un tratto Harry mise il piede in
fallo, e perse l’equilibrio, finendo con il cadere rovinosamente a terra.
Riuscì a scorgere con la coda dell’occhio il frammento di legno su cui era
scivolato, vi intravide qualcosa inciso sopra, alcune lettere tracciate a mano,
ma quasi subito tornò a fissare l’orizzonte, alla ricerca dell’apparizione di
poco prima.
Non c’era più
nessuno, nessuna traccia dell’uomo con il mantello che gli somigliava così
tanto, né di nessun’altra presenza.
Harry scalciò con
rabbia il pezzo di legno che lo aveva fatto cadere, facendolo rotolare in là di
qualche passo.
“OMNIA”, lesse
sulla sua superficie scheggiata e irregolare, nel silenzio assoluto di quel
luogo fuori dal mondo.
- Harry! – si
sentì chiamare all’improvviso.
- Harry! -
Scattò subito in
piedi, esasperato.
- Harry! -
Il brandello di
legno cominciò a vorticare furiosamente su sé stesso e, in breve tempo, attorno
ad esso si scatenò una sorta di spirale.
- Harry! -
Harry si afferrò la
testa fra le mani e trattenne un grido.
- Hey, Harry!
Harry! -
Riaprì gli occhi
seduto sul suo letto, e la prima cosa che riuscì a mettere a fuoco fu la faccia
preoccupata di Ron.
- Per l’amor del
cielo, amico, che è successo? – lo sentì esclamare, e quasi nello stesso
momento si sentì scrollare energicamente le spalle. Anche Seamus, Neville e
Dean erano svegli, ed erano riuniti attorno al suo letto. Soltanto in quel
momento, quando una luce tenue gli colpì gli occhi, si rese conto che doveva
già essere mattina.
- Va tutto bene,
Ron. – lo rassicurò. – Ho solo fatto un sogno. Un sogno assurdo. -
- Qualcosa che
riguarda… insomma… Tu-sai-chi? – si allarmò immediatamente Neville.
- No, direi di no.
Non è stato spaventoso, è stato piuttosto. – Harry aggrottò la fronte,
sforzandosi di trovare un termine adatto. – Strano. Sì, davvero strano. Credo
di aver sognato mio padre. -
Ron e gli altri si
scambiarono qualche occhiata.
- Forza, adesso
alzati. – lo incoraggiò Ron. – E’ quasi ora di scendere per la colazione, e se
tardiamo Hermione andrà su tutte le furie. –
ANGOLINO!
Eccoci qui, con una
nuova avventura. Mi sono presa un po’ di pausa dalla fine di TLC 2, per motivi
tecnici di studio, ma soprattutto per avere il tempo di delineare per bene la
trama di questa nuova storia, e cominciare con una stesura corposa dei
capitoli. Non vi nascondo di sentirmi davvero molto, molto emozionata, ho
investito ed investirò tanto in questa storia, e spero di tutto cuore di non
deludervi.
Grazie a tutti
coloro che leggeranno, e che mi dedicheranno il tempo di una recensione, a
presto con il prossimo capitolo!
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Capitolo 2 *** What friends are for ***
Cap 2: scene di vita a hogwarts con draco, (fine e consegna relazione)
notte e di nuovo sogni
- Cavoli, cavoli,
cavoli. – Ron rosicchiò la cima della sua piuma, e sputacchiò nervosamente
qualche pelucco bianco rimasto impigliato fra i denti. – Harry ti prego, dammi
una mano. –
Harry grugnì
qualcosa che Ron prese come un invito a continuare.
- Senti un po’ qui.
– sospirò. – “… Trasfigurare un boa costrittore in una cravatta è quindi
scarsamente consigliabile, in quanto… “ in quanto cosa, Harry? Non è già
dannatamente evidente, il perché? -
- Non lo so. –
borbottò Harry.
Era da una decina
di minuti che se ne stava con le braccia spalmate sul tavolo della Sala Grande,
e con la faccia appoggiata su di esse, totalmente indifferenze al viavai delle
pietanze della colazione.
- Va tutto bene? –
si preoccupò Hermione, cercando di affacciarsi oltre i gomiti di Harry.
- Sì, sì. – sbuffò
lui.
- Sei sicuro? Non
hai toccato cibo. -
- Non ho molta
fame. -
Harry si costrinse
comunque ad allungare una mano per pescare una fetta di pane tostato. Hermione
gli porse lestamente il vassoietto del burro, e lui ce ne buttò sopra una
quantità a caso, spalmandolo in qualche modo. Mangiucchiò il pane un pezzetto
alla volta, soltanto per non far preoccupare Hermione, visto che il suo stomaco
sembrava deciso a tenere chiusi i battenti per il resto della giornata.
- Tu l’hai finita
la tua relazione? -
- N-nh. La finirò
dopo, durante la lezione di Storia della Magia. -
Stranamente
Hermione non sfoderò la sua solita voce gracchiante per rimproverarlo. Si
limitò ad uno sguardo pensieroso, ma poi lo lasciò in pace. E Harry gliene fu
enormemente riconoscente.
Da quando si era
alzato gli sembrava di non essere riuscito a scrollarsi di dosso una strana
sensazione legata al suo sogno. Era rimasto in bagno per un sacco di tempo, si
era lavato e rilavato la faccia con l’acqua gelida, ma niente, lo stordimento
non accennava ad andarsene. Nonostante questo era sceso con Ron, aveva
incontrato Hermione davanti al ritratto della Signora Grassa, e insieme si
erano diretti verso la Sala Grande, come al solito. Per ben due volte aveva
rischiato di capitombolare sui soliti, vecchi gradini malandati che conosceva
come le sue tasche. Evidentemente saltarli non era una cosa che gli riuscisse
automatica come aveva sperato, tuttavia non si era preoccupato di nulla finchè
non si era seduto al suo posto, al tavolo Grifondoro.
Lì, appena piatti,
piattini, caraffe e vassoi avevano fatto la loro trionfale comparsa, Harry si
era reso conto che no, decisamente qualcosa non funzionava: non aveva fame,
proprio per niente, e questo aveva dell’incredibile.
* * *
La lezione di
Trasfigurazione era in comune con Serpeverde. E chissà come mai, ciò non
contribuiva granché a risollevare l’umore di Harry.
Nemmeno notare
quanto quella mattina Draco Malfoy fosse agitato gli fu di aiuto. Probabilmente
l’idiota non aveva fatto la sua relazione, o non era riuscito a copiarla da
qualche suo compagno, e adesso si ritrovava sulla stessa barca della stragrande
maggioranza dei comuni mortali che popolavano l’aula bislunga, in trepidante
attesa della McGranitt. Si dispiacque soltanto di non essere sufficientemente
sveglio per godersi quel piccolo, involontario momento di trionfo.
Lui, la sua
relazione l’aveva in qualche modo finita. Per fortuna gli mancavano solo una
manciata di righe, che aveva riempito con considerazioni a caso, banalità di
ogni sorta, e una frase finale che suonava come un rifiuto categorico di
inventare alcunché di originale. Poco male, poteva contare su un discreto
andamento generale e sulla speranza che, per una volta, la McGranitt avrebbe potuto chiudere un occhio sulla sua mancanza di fantasia. In fin dei conti
era pur sempre l’inizio dell’anno, un po’ di pietà era d’obbligo.
Certo, se proprio
la professoressa voleva un saggio di creatività, avrebbe sempre potuto
scrivergli un bel riassunto del suo sogno. Harry era sempre stato parecchio
estroso, quando si trattava di sogni, ma doveva ammettere che l’ultimo batteva
tutta la concorrenza. Se ci ripensava, riusciva ancora a provare uno strano
senso di malinconia per il modo in cui suo padre era apparso, e poi scomparso,
davanti ai suoi occhi. Non gli era capitato molto spesso di sognarlo, e
probabilmente mai di vederlo così bene in volto.
Quella volta di
quattro anni prima, quando per la prima volta era riuscito ad evocare il suo
Patronus, si era illuso di aver trovato un modo per riavere indietro suo padre,
e ne era stato felice, incredibilmente felice. Si era sentito rassicurato e
riscaldato, dopo così tanto tempo. Ma aver rivisto suo padre in sogno, aver
constatato con i propri occhi la somiglianza pazzesca con lui, aver sentito la
sua voce, pure quella identica, aveva cambiato completamente la prospettiva.
Probabilmente la
questione era molto più semplice di ciò che appariva: l’Harry di quattro anni
prima era troppo piccolo e fragile per poter affrontare un ricordo così dolce e
doloroso, mentre l’Harry di adesso ne aveva passate abbastanza da essere pronto
per poter conoscere, almeno in sogno, il padre che gli era sempre mancato.
Almeno, così gli
piaceva credere. Era un bel pensiero, dopotutto.
Harry consegnò la
sua relazione assieme a Ron, lasciandola distrattamente sul tavolo della
McGranitt. La lezione era passata via velocemente, e adesso lo aspettava un
pomeriggio di relativa tranquillità. Camminando a testa bassa, perso nelle sue
elucubrazioni, nemmeno si rese conto di aver urtato qualcuno, finchè Ron non
gli allungò una gomitata allarmata.
- Scusa. – borbottò
a mezza bocca.
- “Scusa”, Potter?
-
La voce irritata di
Malfoy gli strappò un sospiro.
- Sì, ho detto
scusa. – ribadì, sorpassando il Serpeverde senza ulteriori indugi.
Dalla fine del
corridoio, lo sentì ribollire come un calderone, e alla fine sbraitare un “Vai
al diavolo, dannato Potter”.
Però, doveva
essergli andata davvero male, con la relazione per la McGranitt.
* * *
- Aiutami. -
- Papà? -
- Ti prego.
Aiutami. -
- Papà! Papà,
aspetta! -
- Mi serve il tuo
aiuto. -
- No, non
andartene! -
Harry sbarrò gli
occhi, e si ritrovò aggrappato al cuscino. Le coperte si erano scompaginate qua
e là nel letto, lasciandolo al freddo. E lui in quel momento il freddo se lo
sentiva fin dentro le ossa.
Ancora la stessa
pianura sconfinata, con delle macchie di alberi all’orizzonte, ancora suo
padre, avvolto in un manto che aveva qualcosa di regale, ancora la stessa,
disperata richiesta di aiuto.
Harry si strinse le
tempie fra le mani, sentendole pulsare. Soltanto una cosa era cambiata, o per
meglio dire si era aggiunta a tutto il caos che già imperava: una sensazione di
tristezza cosmica, e di nostalgia talmente potente da far salire le lacrime
agli occhi senza nemmeno comprenderne il perché. Se n’era sentito schiacciato,
quando aveva incrociato lo sguardo di suo padre.
- Harry. – biascicò
all’improvviso Ron.
Harry si accigliò,
e si decise a rimettersi sdraiato. – Scusami. – mormorò. – Non volevo
svegliarti. -
- Fa niente. C’è
qualcosa che non va? -
- No. Cioè, non lo
so. Ho rifatto lo stesso sogno. -
- Vuoi dire lo
stesso di ieri? -
- Già. -
Harry sentì Ron che
litigava con le sue coperte per potersi rigirare.
- Hey Harry, allora
credi che sia qualcosa si importante? – sussurrò Ron con prudenza.
- Vorrei saperti
rispondere. Non lo so, ma mi sembra strano ripetere lo stesso sogno per due
volte. -
- Magari allora
potremmo dirlo ad Hermione. –
- Credi? -
- Beh, lei sa
sempre cosa fare, no? -
Harry abbozzò ad un
sorriso. – Vero. – concesse. – Non è ne abbiamo mai ricavato niente di buono, a
tenerle nascosto qualcosa. –
Ron accese una
candela sul suo comodino, irradiando la camera di un lumino tenue che,
fortunatamente, non disturbò gli altri tre. – Hey, Harry. Stai bene davvero?
Voglio dire, hai bisogno di qualcosa? –
Harry sorrise, e
fece cenno di diniego. – Sto bene. – lo rassicurò. – Non ti preoccupare. -
- Uhm. D’accordo. –
Ron spense la candela, e si rimise a letto.
- Però. –
insistette, alzando involontariamente il tono della voce. – Però. – ripeté a
voce più bassa. – Se ti servisse qualcosa, se avessi bisogno di una mano,
insomma, non farti problemi, ok? Chiedi. -
- Ho capito.
Grazie, Ron. -
- Di niente. -
Harry poté giurare
che Ron si stesse sentendo fiero si sé, per avergli offerto il suo aiuto. Era
davvero un ragazzo d’oro.
- Allora
buonanotte. -
- Sì. Buonanotte. -
* * *
Hermione inarcò le
sopracciglia fino a farle quasi sparire nella frangia che le copriva parte
della fronte, e per un bel po’ si dimenticò completamente di masticare i suoi
cereali.
Il momento della
colazione stava diventando sempre più pregante per Harry, a quanto sembrava. Da
almeno due mattine a quella parte non faceva che portare scompiglio. L’unica
nota positiva della giornata era che Malfoy non era sceso per la colazione,
liberando Harry dalla sua fastidiosa presenza, oltre che dal rischio che si
mettesse ad origliare.
- Tuo padre? –
scandì di nuovo Hermione, tanto per essere sicura.
- Credo di sì. Chi
altri poteva essere, la somiglianza era incredibile. -
- Ma hai detto che
è un ragazzo, no? Che aveva pressappoco la tua età. -
- Sì, e allora? -
Hermione puntò
l’indice destro contro il mento, e lo tamburellò. – Com’è possibile che tu
abbia visto tuo padre da giovane? –
- Non lo so. –
ammise Harry. – Ma non mi pare qualcosa di così assurdo. Ho visto delle
fotografie, e l’ho persino visto nel Pensatoio di Piton tempo fa, non ti
ricordi? -
- Uhm, d’accordo. –
concesse Hermione. – Ma ad ogni modo c’è qualcosa di strano. -
Aveva perfettamente
ragione. Dopo essersi riaddormentato, Harry era piombato nuovamente nel
medesimo sogno. Con lo stesso copione e gli stessi, deludenti risultati. Era
inquietante il ripetersi ossessivo di quelle visioni, anche se due sole notti
erano troppo poche per dichiararsi allarmati.
- Ogni volta che lo
sogno, è più vicino. – considerò. – Ma se cerco di parlargli lui non mi
risponde. Continua semplicemente a chiedermi di aiutarlo, ma come faccio, se
non so nemmeno che cosa vuole? -
- Le persone morte
non chiedono aiuto, Harry. – disse Hermione, con una sicurezza e una
schiettezza che fecero rabbrividire i suoi amici.
Harry la vide quasi
subito arrossire per il disagio, ma dentro di sé sapeva di non poterla
contraddire. I morti non hanno bisogno di aiuto, questo era poco ma sicuro.
- Già. – le venne
incontro, accordandole implicitamente il suo perdono per quella frase. – Ma
allora che cosa credi che sia? -
- Non ne ho idea. –
ammise lei. – Però non mi sembra una cosa da sottovalutare. Soprattutto visto
che i tuoi sogni non ci hanno mai traditi. -
- Credi che sia
qualcosa che ha a che fare con… con Voldemort? – azzardò Ron facendo una
vocetta sottile sottile.
Hermione serrò le
labbra, ma il suo silenzio non aveva bisogno di ulteriori considerazioni.
Distolse lo sguardo, prima di riprendere a parlare.
- Ad ogni modo, è
troppo presto per saltare a delle conclusioni. Forse ci stiamo allarmando per
niente, però è meglio tenersi pronti ad ogni evenienza. -
- Che cosa
significa “per ogni evenienza”? -
Di nuovo silenzio.
Rotto dopo un sorso di succo d’arancia, da una frase che aveva un ché di
stentoreo. – Per il momento non possiamo far altro che stare a vedere. -
* * *
La sera successiva,
Harry andò a dormire con una consapevolezza inedita.
Tutto ciò che lui,
Hermione e Ron avevano congetturato durante l’intera giornata appena trascorsa
non li aveva portati da nessuna parte, ma per lo meno lo aveva reso certo che
la questione non andasse presa sottogamba.
Non che lui avesse
mai preso sottogamba i suoi sogni. Ma in passato, le cose stavano diversamente,
e le sue visioni oniriche erano sempre stati degli indizi più o meno chiari,
più o meno importanti, circa quella che lui, per anni interi, aveva considerato
la sua grande missione.
Ora che però questa
missione era stata compiuta, che Voldemort era stato sconfitto, e che tutto era
tornato alla normalità, che senso aveva pensare che qualcosa, dentro la sua
testa, mantenesse un legame con il passato? Con chi, poi? E perché mai suo
padre avrebbe dovuto aver bisogno del suo aiuto?
Non una di queste
domande aveva ancora uno straccio di risposta, ma se Ron ci aveva visto giusto,
se veramente tutta questa faccenda aveva a che fare con Voldemort, allora
bisognava tenersi pronti ad agire. A cominciare da quel momento, visto che
l’unico che poteva sperare di venire a capo del mistero era lui, che per il
momento poteva solo sforzarsi di chiudere gli occhi e sperare di addormentarsi
in fretta, per ripiombare in quel sogno.
ANGOLINO!
Grazie infinite per
l’accoglienza, sono veramente felice!
Innanzitutto, devo
dirlo, perché oltre ai nomi che definire “soliti” mi riempie di gioia, perché
sono quelli che leggo da tanto tempo, e che ogni volta mi stupisco e mi
commuovo di rivedere, ho visto anche molti nomi nuovi. Che siate lettori nuovi
di zecca, o che vi siate decisi a farvi avanti solo ora, vi ringrazio in ogni
caso, mi fate davvero felice!
Scusate se non
rispondo a ciascuno, ma le domande che mi avete posto per ora non possono avere
risposta, mi spiace! Nemmeno quelle sulla durata della fic. Ho buttato giù
un’ossatura dei capitoli, quindi una mezza idea ce l’ho, ma per ora non mi
sbilancio a darvi notizie, perché sono ancora alle prese con numerosi punti
interrogativi, e non vorrei deludervi sparando un numero troppo alto che poi
sarebbe destinato a contrarsi.
Soprattutto
considerando il fatto che la nascita e lo sviluppo di alcuni capitoli dipenderà
in gran parte dalle reazioni che riceverò da voi. Essendo, come ho già detto,
un lavoro a cui tengo moltissimo, non voglio renderlo pesante, perciò se vedrò
che vi annoierete taglierò delle parti e andrò più spedita.
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Capitolo 3 *** Names ***
Cap 3: scopriamo il nome di Marzio, ma niente di più
La stessa pianura
sconfinata, e, questa volta, la macchia di alberi più vicina, a pochi passi da
lui. Il sole era irrealmente abbacinante, come se il cielo non fosse stato
fatto d’aria, e non fosse stato in grado di filtrare la sua luce. Faceva sempre
caldo, ed era sempre tutto perfettamente immobile.
Harry non perse
nemmeno più tempo a stupirsi: le cose erano andate come lui aveva sperato,
perciò si incamminò verso i bei faggi rigogliosi che costituivano la sola isola
del paesaggio con passo deciso, e con tutta l’intenzione di sfruttare fino in
fondo l’opportunità. Fra le foglie cadute degli alberi avrebbe potuto trovare
delle tracce, indizi di qualsiasi tipo che potessero aiutarlo a vederci un po’
più chiaro in tutta quella faccenda.
Se quello era un sogno,
e se quindi tutto ciò che vedeva era irreale, e creato dalla sua mente, non
doveva far altro che desiderare di capire che cosa stesse succedendo. Animato
da questa elementare considerazione, si mise ad aguzzare la vista fra i cumuli
di fogliame colorato che giacevano a terra, e che si animavano e reagivano come
fossero state vive, ad ogni suo passo.
All’improvviso,
molte altre foglie cominciarono a cadere dalle cime degli alberi, formando una
vera e propria pioggia di petali dorati e rossicci. Harry si dimenticò per un
momento del resto. Era uno spettacolo bellissimo, perché ogni foglia che gli
cadeva addosso era una carezza, e gli dava l’impressione che ognuna di esse
stesse raccontando storie bellissime.
Si lasciò andare a
quella pace avvolgente e silenziosissima. Si sedette a terra, poi si distese,
sorridendo come uno sciocco. Allargò le braccia e le gambe, e si lasciò
sprofondare nel tappeto morbido di foglie; sotto la sua schiena avvertiva la
presenza del terreno friabile, e di una quantità di sassi, pezzi di legna,
rami, e lo colse la netta impressione che ognuno di essi avesse un significato
importante per lui.
Affondò la mano, e
pescò qualcosa, un lembo di stoffa bianco, molto stropicciato. Se lo portò
davanti agli occhi tenendoselo sospeso sul volto, e all’improvvisò inorridì.
Il brandello lungo
di tessuto, lungo e stretto, e irregolare, forse una fascia improvvisata, era
macchiato in più punti di sangue.
- Salute. -
Harry sobbalzò e
scattò su di soprassalto. Si rimise in ginocchio, e poi in piedi, sollevò lo
sguardo e lui era lì, come se niente fosse.
Identico a lui,
davvero identico, persino nel modo di sorridere. Era alto come lui, portava i
capelli corti come lui; la sola cosa che gli mancava erano gli occhiali. E la
cicatrice.
- Papà. – soffiò,
lasciando scivolare via la mano dalla tasca del mantello che conteneva la sua
bacchetta magica che, questa volta, lo aveva seguito nel sogno.
Il giovane uomo
fece una strana espressione, a metà fra il divertito e il rassegnato, e avanzò
verso di lui facendo crepitare le foglie sotto ai suoi piedi.
Harry gli si
precipitò incontro non appena lo vide muoversi. – Perché non mi hai mai parlato
fino ad ora? – gli riversò addosso come una cascata impazzita. – Perché hai
continuato a sfuggirmi? E perché hai bisogno di… -
- Mi dispiace. – lo
interruppe lui, con voce gentile. – Ma io non sono tuo padre. -
Harry inghiottì le
sue ultime domande, aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito.
- Ma… ma come. -
- Mi dispiace
davvero. – si scusò il ragazzo, con genuina sincerità.
Le sue parole
semplici lo avevano lasciato lì così, frastornato, ad ascoltare il rombo del
suo sangue che pulsava nelle orecchie.
Il castello di
carte che lui e i suoi amici si erano impegnati a costruire era crollato ancora
prima di essere completo. Harry avvertì una bruciante sensazione di delusione,
perché nonostante tutto l’idea di avere la possibilità di rivedere suo padre
nei suoi sogni gli era parsa fin dall’inizio come uno splendido regalo. Si
vedeva già a correre in suo aiuto, qualsiasi fosse il motivo, e chissà che
magari non sarebbe riuscito a riabbracciare anche la mamma, in un modo o
nell’altro, o per lo meno a guadagnarsi la garanzia che quel loro piccolo
angolo notturno sarebbe rimasto per sempre un’isola protetta.
Era difficile
ammetterlo ora, dopo aver fatto tanto per dissimularlo, ma Harry era stato
entusiasta dei suoi sogni, fin da subito, e come il peggiore dei poppanti aveva
visto suo padre in quella figura perché aveva voluto vederlo, con tutte le sue
forze.
- E’ perché ci
assomigliamo, vero? – cercò di riprendere la conversazione l’altro, apparendo
un filino imbarazzato.
Harry si rese
allora conto di un piccolo, assurdo dettaglio: quel tipo gli somigliava davvero
come una goccia d’acqua, perché aveva persino gli occhi verdi, proprio come
lui. Occhi verdi che lui sapeva benissimo non poter essere di suo padre.
- Ma allora chi
sei? -
Il ragazzo sembrò
enormemente sollevato dalla domanda di Harry. Gli fece un sorriso grande, e
persino un piccolo gesto di inchino con la testa.
- Mi chiamo Marzio
Fabio Saverio. E tu? Puoi dirmi come ti chiami? -
- Harry. -
- Harry e basta? -
Harry aggrottò la
fronte, un tantino confuso. – Beh, come altro dovrei chiamarmi? Harry James
Potter, ecco. -
- Oh. – fece
l’altro, con un certo rispetto. – E come vuoi che ti chiami? James? -
- James? Perché mai
dovresti chiamarmi James, scusa ? Io mi chiamo Harry! -
Lo strano ragazzo
diede un sorrisone francamente eccessivo. – Beh, allora se davvero mi permetti di
chiamarti Harry, tu potrai chiamarmi Marzio. –
- Perché, come
altro avrei dovuto… oh, senti, lasciamo perdere. Marzio ed Harry andranno
benissimo, o qui finiremo con il buttare via una nottata per decidere i nomi. –
Il vento tirò un
sospiro fra loro, portando alle loro narici l’odore delle foglie fresche da
poco cadute, sapido e piacevole.
Harry incrociò le
mani al petto con cipiglio serio. – Ho molte domande da farti. – esordì.
- Sì, immagino che
sia comprensibile. -
– Tanto per
cominciare: come diavolo fai ad essere identico a me? -
Marzio si strinse
nelle spalle, sornione, e mentre Harry si prendeva un po’ di tempo per
osservarlo, si rese conto che ciò che aveva appena detto non era del tutto
esatto: Marzio era sì tale e quale a lui, ma era vestito in modo completamente
diverso dal suo: portava delle scarpe strane, che sembravano fatte di cuoio, e
indossava una tunica chiarissima, di quelle che Harry era certo di aver visto
addosso a delle statue antiche, in qualche museo. Sopra portava un mantello, e
quel dettaglio era l’unica cosa che Harry aveva sempre notato di lui.
- Chi sei, e perché
compari nei miei sogni? -
L’espressione
dell’altro si rabbuiò all’improvviso. – Perché ho disperatamente bisogno del
tuo aiuto. -
– E perché ti serve
il mio aiuto? -
- Perché sei
l’unico che può farlo. -
- E perché proprio
io? -
- Perché tu sei
uguale a me. -
Harry ebbe
l’impressione che la testa stesse per esplodergli. - … E allora? – gemette.
- E’ una storia
lunga, Harry, davvero molto lunga. -
- Hey, non puoi
pensare di cavartela così a buon mercato. Se davvero vuoi che ti aiuti il
minimo che tu possa fare è spiegarmi la situazione, no? Ad esempio, perché ci
hai messo così tanto a dirmi il tuo nome? Te l’ho chiesto un milione di volte,
ma tu non mi hai mai risposto. -
-
Perché era troppo presto. – rispose Marzio con semplicità.
- Troppo presto? -
- Già. -
- E questo che cosa
significa, scusa? -
Marzio socchiuse la
bocca, e gettò la testa all’indietro, perdendosi fra le nuvolette fumose che
decoravano il cielo.
- Significa che ora
tu devi svegliarti. -
- Hey, hey,
aspetta. -
Marzio gli concesse
un sorriso mite. – Ci rivedremo presto, Harry. – mormorò.
Un attimo dopo,
Harry si risvegliò nel suo letto.
* * *
Né Seamus, né Dean,
né Neville, e nemmeno Ron notarono nulla di strano in Harry, la mattina
seguente. E Harry ne fu sollevato, perché si era impegnato con tutte le sue
forze per non dare nell’occhio.
Visto lo strano
evolversi della situazione, aveva deciso che la cosa più saggia da fare era
cercare di tirare in mezzo il minor numero possibile di persone in quella
faccenda; con Ron avrebbe parlato più tardi, assieme ad Hermione. Ma gli altri
dovevano continuare a credere che fosse tutto risolto, e che l’incidente di due
notti prima non fosse stato altro che un banale incubo. Un po’ gli dispiaceva
di lasciare fuori dai giochi proprio tre fra le persone che gli erano state al
fianco con più coraggio soltanto l’estate prima, durante la breve ma tremenda
lotta contro i Mangiamorte. Ma era stata proprio la guerra ad insegnargli che
coinvolgere significa mettere in pericolo, e su questi suoi nuovi sogni
gravavano ancora troppi punti interrogativi.
Poteva essere tutta
una trappola ordita da chissà chi, come poteva benissimo trattarsi del pazzesco
frutto della sua fantasia.
Dentro di sé, Harry
era costretto a lottare contro l’infantile desiderio di rimettersi a letto,
chiudere gli occhi e cercare di incontrare di nuovo questo Marzio per
tempestarlo di domande; ma la fretta non lo avrebbe portato a niente di buono.
Riassunse nella
testa le cose più importanti che aveva sentito, quelle da non dimenticare
assolutamente di riferire agli altri, e si impose di sorridere delle
circostanza, ricacciando in fondo al cuore l’amarezza e la malinconia per il sentimento
infantile che lo aveva accompagnato fino a poco prima, così duramente deluso.
* * *
Harry radunò
Hermione e Ron nella Sala Comune di Grifondoro, durante la pausa subito dopo il
pranzo. Aveva accennato loro qualcosa già durante la lezione di Incantesimi, ma
Vitious aveva scelto proprio quel giorno per insegnare alla classe un
incantesimo nuovo di zecca, e per di più particolarmente laborioso, ragione più
che valida per decidere di rimandare ogni ulteriore discussione a più tardi.
- E così, non è tuo
padre. – ragionò Hermione. – A sentire te, sembra che venga fuori dritto da un
libro di storia. -
- E’ il suo
abbigliamento che mi ha lasciato di stucco. Hai presente quelle statue greche e
romane? Come quelle che ci sono al British Museum? -
- Che cos’è il
British Museum? -
Il povero Ron venne
zittito da un’occhiataccia congiunta degli altri due, e si chiuse a tartaruga
fra le spalle.
- Discriminato
perché sono un mago. – protestò flebilmente fra sé. – E dire che fino a
quest’estate quelli perseguitati erano i Babbani. -
- Da come me l’hai
descritto sembrerebbe più un Romano che un Greco. E anche il nome mi suonava
latino, come hai detto che si chiama, scusa? -
- Non lo so. –
borbottò Harry. - Si chiama Marzio… Fabio… Severo, Saverio Fabio, non ho capito
un accidente. -
Hermione strinse le
mani sui fianchi, e Ron, seduto di fianco a lei, ebbe un vago tremito di paura
che gli fecero scordare in un baleno tutte le sue spinose questioni
discriminatorie.
– Come sarebbe a
dire che non lo sai, Harry? – lo riprese. – Per un uomo dell’antica Roma è
fondamentale distinguere i propri nomi! -
- E perché, scusa?
Di primo nome fa Marzio, che diamine vuoi che me ne importi degli altri nomi? -
Hermione alzò gli
occhi al cielo. – Gli altri nomi, Harry. – cominciò con petulanza. – Sono
importantissimi, per sapere chi sia questo tizio. Il primo nome è quello
riservato alla cerchia familiare, o alle persone intime. Il secondo è quello
della sua famiglia, un po’ come il nostro cognome, e il terzo è quello che conta,
quello con cui tutti lo chiamano. –
- … Oh. – fece
Harry. – Ecco perché era così stupito di potermi chiamare per nome. -
- Cielo, Harry, che
confusione gli avrai fatto fare, poverino. -
- Poverino lui?!? –
Harry non lesinò per niente sulla lunghezza del broncio. – E io, allora? Marzio
di qua, Fabio di là, che si decida una buona volta! E poi al diavolo, mi
spieghi cosa ci fa un Romano nella mia testa? -
- E che cosa vuoi
che ne sappia io! -
- Ragazzi, io non
ci ho capito un bel niente. – intervenne candidamente Ron. – Ma non mi pare il
caso di stare qui a perdere tempo con discorsi del genere. Abbiamo il suo nome,
no? E allora perché non cerchiamo qualche notizia? -
Hermione gli
concesse un’occhiata sinceramente stupita ed ammirata che lo offese un po’.
- Hai ragione. –
constatò. – Non ci resta che sperare che in biblioteca ci sia qualche risposta.
-
ANGOLINO!
Annuncio, T Jill si
è impegnata formalmente a passare tutte le pagine incriminate ai lettori
minorenni, in caso di rating rosso, quindi gentili signori della polizia, le
retate dovete farle a casa sua! Muahahaha!
Dai, scherzi a
parte, grazie di cuore per tutte le recensioni, sono contentissima che la
storia vi interessi! Rispondo un po’ ai vostri commenti, ovviamente per quello
che posso dire. Vi ricordo che, per i disguidi occorsi al sito, le eventuali
recensioni scritte il 17/02 sono andate perdute, perciò, se non trovate qui il
vostro nome, è per questo motivo. Mi spiace, cercherò di rispondervi la
prossima volta!
Lake: grazie mille! Non ti posso dire niente,
però hai ragione, mai nascondere nulla a Hermione!
Ginny W: grazie! Eh sì, Draco è sempre Draco…
The Fly: mia cara, non posso dire nulla di nulla, ma
stai tranquilla che ogni cosa ha il suo perché!
Koorime: sì sì, mantieniti salda per gli esami!
Tanto questo capitolo non ha risolto granché, ci vorrà ancora un po’ per avere
tutto chiaro.
Chiara: sono contentissima che tu veda i tre simili
a quelli originali, in effetti cerco di evitare, nel limite del possibile, di
andare OOC, e in questa storia non ce ne sarà bisogno.
Dark: povera, mi è impazzita totalmente!
>///<
Herm83: aiuto, come hai fatto a leggere tutto in
una settimana? Sei un genio!
Smemorella: doppia recensione, rispostone unico! Aiuto,
aiuto, non mi maltrattare! Ç__ç certo che con l’immagine dell’amputazione mi
hai proprio fatto passare la voglia di tagliare pezzi, poi finirei con il
sentirmi in colpa come fossi una macellaia! Il tuo riassunto non fa una piega,
ma non mi strapperai una parola, no no! E non mettetevi in combutta fra di voi!
Tsubychan: grazie, come sono contenta!
T Jill: Ah, la nostra paladina di Star Trek… guarda
che ti sei impegnata formalmente! Waaa, i temi di prima media, che nostalgia.
Me ne ricordo uno fantastico sui Promessi Sposi in cui mi accanivo con tutta
l’anima contro Lucia, con l’argomentazione schietta “più sfigata così non è
fisiologicamente possibile”.
Puciu: hihi, nessuna risposta, ma grazie dei
complimenti! Sì, in effetti mi cimento raramente con il mistero, un pochino in
Haunters, ma qui le cose sono molto diverse e più complicate.
Little Star: la saggezza di Ron è insuperabile. Per il
resto tesorino, sono zittissima!
Lady: oh, ma che bello, grazie mille! Non
immagini come anche io mi stia gustando la stesura!
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Capitolo 4 *** Me or not me? ***
Cap 4: I ragazzi fanno ricerche senza risultati
In biblioteca,
normalmente, le risposte si sprecavano. Il problema era riuscire ad
individuarle. L’impressionante conoscenza di Hermione aveva permesso ai ragazzi
di fare una buona scrematura di libri che certamente non sarebbero serviti,
focalizzando così la loro attenzione su una dozzina di volumi che trattavano di
storia romana, storia della magia antica, religioni classiche, civiltà magica
antica, riti magici antichi e tutto ciò che poteva odorare di latino.
- Avete sentito la
novità? – buttò lì Ron, occhieggiando svogliatamente al libro che gli era stato
appena assegnato. – Malfoy è finito in infermeria per chissà quale gravissima
malattia. -
- Te lo dico io che
malattia ha, quello. – borbottò tetra Hermione. – La malattia del “papino non
mi compra più bei voti”. Dai, rimettiamoci al lavoro. -
Harry ridacchiò da
dietro il suo libro, sfogliato ormai quasi interamente senza uno straccio di
risultato.
Le cose andarono
per le lunghe, ma le ore diligentemente passate sui libri non dettero alcun
frutto. Di Marzio la storia di Roma era piena, ma nessuno sembrava fare al caso
loro. Tanto per cominciare, Harry non aveva idea se questo tizio fosse un mago,
per non parlare di possibili indizi sulla sua vita. La sola cosa che aveva
potuto assodare con disarmante certezza era che quel ragazzo gli somigliava
come una goccia d’acqua. Ma a quanto pareva, la Roma di due millenni prima era sprovvista di macchine fotografiche, magiche o babbane che fossero.
- Niente. – sbuffò
Hermione, palesemente contrariata. – Niente di niente. -
- Non siamo nemmeno
certi che sia Romano, no? – rincarò Harry. – In fondo parlava inglese, potrebbe
semplicemente avere un nome eccentrico. -
- E vestirsi a quel
modo? -
Harry fece
spallucce. – Il mondo è pieno di gente strana, no? -
Hermione alzò gli
occhi al soffitto della biblioteca, percorso dalle dita sottili dell’oscurità
che cominciava ad infiltrarsi nell’edificio, annunciando l’imminente
avvicinarsi dell’ora di cena.
- Non siamo venuti
a capo di niente. – appurò. – E nemmeno riusciremo a farlo, se prima non
sappiamo qualcosa in più. Harry, devi parlare con questo tizio, e chiedergli
chi è, da dove viene e cosa vuole. -
- E pensi che non
ci abbia già provato? – ribatté Harry, piccato. – Quello lì ha la bocca più
cucita di un Mangiamorte recidivo. -
- Ottimo, ci
mancavano solo i Mangiamorte. –
- Hey, non
intendevo dire che è un Mangiamorte. –
- Però potrebbe
esserlo. –
Hermione non aveva
affatto voglia di scherzare. La faccenda la preoccupava più di quanto dessero a
vedere i suoi occhi brillanti. Si poteva intuire, se si prestava attenzione
allo scattare nervoso delle sopracciglia oltre la frangia.
- Non lo so, non so
davvero che dire. – si arrese Harry. – Questo tizio non dice nulla, e per
quanto ne so potrebbe tranquillamente venire da un altro pianeta. –
- E’ un bel
mistero. – gli fece eco Ron. – Cose del genere sarebbero terreno fertile per la Cooman. –
Hermione arricciò
il naso. – Impossibile. – decretò con tono saputo. – Noi stiamo parlando di
cose reali, mentre la Cooman si occupa soltanto di scempiaggini. –
- E dai, non
arrabbiarti ogni volta che si parla di lei. A suo modo si è resa utile. –
- Oh sì. Anche
Fuffy si è reso utile, allora. –
- A modo suo, sì! –
Harry si prese una
pausa dai suoi pensieri, per osservare i suoi amici battibeccare. Vedere che
nulla era cambiato, e che perciò c’erano buone possibilità che nulla cambiasse
nemmeno in futuro, gli era di straordinario aiuto, soprattutto in un momento
come quello, in cui sembrava che tutto quanto intorno a lui dovesse
stravolgersi.
- Sentite ragazzi,
ho riflettuto su una cosa. – disse con voce mite.
Hermione si
interruppe nel bel mezzo di un “Rooon!” per dedicargli la sua attenzione. Harry
abbassò la testa senza un motivo preciso. La luce polverosa che penetrava dai
finestroni della biblioteca si infranse sui suoi occhiali, baluginando e
nascondendo il suo sguardo.
- Ho pensato che
potrebbe essere una questione più semplice di quanto sembri. Voglio dire, è un
mio sogno, no? –
- Dove vuoi
arrivare? – indagò Hermione.
- Beh, il punto è
che questo Marzio potrei semplicemente essere io, no? Insomma, siamo identici,
parliamo in modo identico, ci comportiamo in modo identico. –
- Ma allora perché
dovrebbe avere un altro nome? – chiese innocentemente Ron.
- Mah, chi lo sa.
Forse è un’immagine riflessa, un me stesso diverso. –
- Cos’è questa,
psicanalisi? –
- Che cos’è la
pisacalisi? –
Hermione
assottigliò le labbra, e investì Ron con un gesto eloquente.
Glielo.avrebbe.spiegato.dopo.
- Potrebbe essere,
non credi? Potrei essere io a chiedere aiuto a me stesso. – continuò Harry.
- Sì, potrebbe. In
ogni caso, il punto è che per scoprirlo non puoi fare altro che rivederlo e
parlargli. –
- Fammi capire,
perché diavolo dovresti chiedere aiuto a te stesso? – gemette Ron. – Voglio
dire, non ha senso! Se hai un problema chiedi una mano agli altri, no? –
Harry fece un
sorriso grande a quell’amico che si era conquistato un posto speciale nel suo
cuore proprio con la sua generosità spontanea. – Beh, sì – lo accontentò. –
Però non è sempre così semplice. –
- Ma dai,
stupidaggini. – insistette Ron. – Secondo me devi soltanto riuscire a fargli
sputare il rospo, a questo tipo. Forse è spaventato, e vuole prima cercare di
capire se può fidarsi di te. -
- Spaventato lui? –
si inalberò Harry. – Fidarsi lui? Hey, sono io quello che ha subito una
violazione del suo spazio mentale! -
- Come la fai
tragica, Harry. – ridacchiò Hermione. – Ti conosco abbastanza per poter essere
certa che un po’ di avventura ti mancava. -
* * *
- Ci rivediamo. -
- Già, ci
rivediamo. – petulò Harry. – E se provi a scapparmi anche stavolta mi arrabbio
sul serio. -
Marzio sorrise, e
fece un gesto di resa con le mani.
Era l’ora del
tramonto. C’era una luce bellissima, che si irradiava come tanti fili argentati
di ragnatela sulle loro teste. L’aria era talmente ricca di suggestioni da
diffondere un profumo tutto suo, e le nuvole erano viola, e blu, e arancioni,
come cristalli che giocavano a riflettersi l’uno nell’altro. La malinconia, che
faceva sempre da quieto sottofondo ad ogni sogno, era declinata in una nota
dolcissima. Un violino, si sarebbe detto.
- Marzio. – chiamò
Harry per rompere il silenzio. – Io vorrei farti delle domande. –
- Lo capisco. È
legittimo. –
- Ecco, ripenso
spesso a questi sogni, in cui ti vedo. –
- Dici davvero? –
Harry inarcò le
sopracciglia. – Certo. –
Marzio parve
rasserenato. Anzi no, addirittura contento. Harry colse il barlume di un
sorrisino sulla sua bocca nascosta dall’ombra del naso.
- Beh, dunque. –
riprese. – Innanzitutto mi chiedevo chi tu fossi. Insomma, hai un aspetto
strano, sembri uscito da un qualche film. –
- Io? Te l’ho
detto, mi chiamo Marzio. –
- Non mi basta. –
Marzio gli rivolse
uno sguardo carico di tanti sentimenti diversi. La vergogna era fra essi, non
c’era dubbio.
- Non cercare di
strafare, Harry. Il mio è un consiglio. -
- Sembra più una
minaccia. -
- Una minaccia? –
Marzio inarcò le sopracciglia, e si affrettò a negare con la testa. – Non lo
farei mai. – protestò, tutto serio. – Non ho alcuna intenzione di minacciarti.
Non ne ho motivo. –
- Non ne hai motivo
perché sei me? – sputò fuori Harry senza rendersene conto.
Marzio rimase
imbambolato, e l’imbarazzo ci mise poco ad insinuarsi fra loro.
- Non so come
spiegarmi. Tu chi sei? Sei una parte di me? –
Il ragazzo alzò gli
occhi chiari al cielo. – Credo di no. – disse mitemente.
- Credi? –
- Non ne sono
sicuro. Non più. –
Harry sentì la
quota della sua pazienza virare bruscamente verso il basso. – Maledizione,
perché non cerchi di spiegarti meglio? -
- Beh, dunque. –
fece Marzio, costernato. – Non so nemmeno io come fare. Io sono diverso da te,
ma è altrettanto vero che soltanto tu puoi vedermi. –
- E perché proprio
io? -
- Te l’ho già
spiegato. Perché tu sei identico a me. -
- Sì, ma allora? -
- E allora. –
Marzio si strinse nelle spalle. - Io non potrei mettermi in contatto con nessun
altro. -
Già. Più chiaro di
così non poteva essere.
- Fammi capire. –
gemette Harry. – Tu mi puoi contattare perché mi somigli in modo
impressionante. - Si mordicchiò un labbro, pensieroso. – Ma allora il mio
ragionamento ha senso. Tu sei me. –
Marzio si
stropicciò il ciuffo nero della fronte. – No, direi di no. – bofonchiò,
leggermente più convinto di prima.
- E allora sei un
mio avo. -
- Non credo. –
Marzio roteò un dito in aria, meditabondo. – Io e te siamo più, come dire…
delle specie di prima e dopo, ecco. -
- Come se fossimo
la stessa persona. –
- Sì. Però no. –
- Cioè? Lo siamo,
ma non lo siamo? –
- Sì. Immagino di
sì. Come dire. – Marzio tamburellò le dita sulla coscia, alla ricerca delle
giuste parole. – Noi siamo come due raggi di una stessa ruota, capisci? –
- Due raggi della
stessa ruota. – Harry si soffermò sull’immagine finché non la ebbe
metabolizzata a sufficienza. Non era facile, ma doveva ammettere che il
paragone era immediato.
- Ma tu chi sei? Un
fantasma? Da dove vieni? -
- Oh no, non sono
un fantasma. Se lo fossi potrebbe vedermi chiunque, e poi potrei apparirti in
qualsiasi momento, non solo nei sogni. –
- Allora tu sei
nella mia testa? -
Marzio ridacchiò. -
No, no, sono anche fuori. Ma al di fuori dei tuoi sogni è come se non
esistessi. -
Le sue ultime
parole evocarono una tristezza assordante. Più lo ascoltava dargli quelle
prime, confuse spiegazioni, più Harry sentiva che c’erano milioni di cose che
ancora non sapeva e non riusciva a capire. Arricciò le labbra.
– E allora? Da dove
vieni? -
- Beh… - Marzio
socchiuse gli occhi, concentrato. – Io vengo da più di duemila anni fa. Da
Roma. -
Harry strabuzzò gli
occhi. Hermione aveva fatto centro, ma la cosa non poteva comunque non
lasciarlo di sasso.
- Hai detto Roma. –
ragionò. – Quindi vuol dire che sei una specie di imperatore? -
- Imperatore?!? –
gemette Marzio, prendendo improvvisamente a giravoltarsi in ogni direzione. –
Ma sei pazzo? A Roma non ci sono imperatori! -
- Come sarebbe a
dire che non ci sono imperatori, io… -
- Shhh, taci, vuoi
farti arrest… - Marzio rimase con un dito a mezz’aria, zittendosi nel pieno
della frase. – Oh. – soffiò. – Oh, già. Giusto. Nessuno può più arrestarti,
ormai. -
Il peso oberante di
quella malinconia che già da prima fluttuava pericolosamente sulle loro teste
schiacciò nuovamente Harry. Era spuntata all’improvviso, cavalcando le parole
del Romano, e aveva sprigionato la sua potenza impressionante su di loro,
arrivando a concretizzarsi nel colore dell’atmosfera che si faceva via via più
opaco.
- Ma chi sei
veramente? – quasi singhiozzò. – Perché adesso mi sento così? -
- Mi dispiace. – si
scusò Marzio. –Credo di essere io a scaricarti addosso queste brutte
sensazioni. -
- Cerca di non
farlo, maledizione. -
- Non posso, non so
come fare. Scusami tanto. -
Harry sospirò, e
cercò con tutte le sue forze di pensare a qualcosa di bello, di allegro, invocò
persino qualcosa di stupido che lo aiutasse a tirare fuori un sorriso. Una
qualsiasi, maledetta sensazione piacevole. Gli ci volle Moody, e quell’idiota
di Malfoy trasformato in furetto, per sentirsi un po’ meglio. Appena ebbe
riacquistato la forza per risollevare lo sguardo, colse lo sguardo perplesso di
Marzio.
- Lascia stare. –
mormorò. – Vai avanti. -
- Sì. -
Marzio sembrò
pensarci su. Quando pensava, piegava leggermente gli angoli della bocca,
proprio come faceva lui. Probabilmente Harry non si sarebbe mai abituato ad una
stranezza del genere.
- Beh, vedi, Harry.
- Marzio si passò una mano fra i capelli, come Harry si era visto fare molte
volte. – Io sto cercando una persona. È per questo che sono qui. -
Appena Marzio disse
“qui”, il paesaggio attorno a loro prese ad oscillare. Era come vedere tutto
attorno attraverso la lente di un occhiale sfocata, che deforma ogni cosa.
Soltanto un
istante, e tutto tornò nuovamente alla normalità.
- Pazzesco. –
soffiò Harry. -
- Sì, lo so. -
Proprio in quel momento,
un robusto nitrito si alzò nell’aria. Harry e Marzio si voltarono nello stesso
momento, e videro un unicorno correre loro incontro rapidissimo. Era lucente, e
bellissimo, e anche da quella distanza Harry percepì il suo sguardo intenso e
dolcissimo che gli colpiva il cuore. Subito dietro di lui, correva un cavallo
marrone chiaro, con la bella criniera scura che ondeggiava nel vento. Era molto
più grande, e fiero, rispetto all’unicorno, ma nonostante ciò sembrava che i
due animali corressero esattamente alla stessa velocità.
- Ma quei cavalli…
– soffiò Harry.
Finì la frase da
solo, nel suo letto.
Ci mise qualche
istante a mettere a fuoco la fioca luce del mattino che bussava alla spessa
tenda che copriva la finestra della camera, e quindi realizzare di essere
tornato alla realtà.
Era già mattino.
Di nuovo.
ANGOLINO!
Sono appena
tornata, ma domattina sparisco di nuovo per il capodanno, quindi volevo
approfittare di questo spazietto per augurare a tutti quanti buone feste! Vi
ringrazio moltissimo per le mail che mi avete mandato, risponderò il prima
possibile. Che vi siate abbuffati come allegri porcellini da ingrasso o no (e
comunque, avete sempre il cenone per rimediare), la cosa davvero importante è
DIVERTIRSI!
Sarò in trasferta a
Venezia per una settimana circa, arrivederci a presto!
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Capitolo 5 *** Dice ***
4B passano i giorni, nuovi dettagli
Più passavano i
giorni, più Harry aveva l’impressione di giocare una partita a dadi con sé
stesso. Stava a pensare per ore, finché la testa non gli faceva male da
scoppiare, e allora se ne sgattaiolava via verso Hogsmeade, per cercarsi un
angolino ai Tre Manici dove bere qualcosa di caldo e pensare, pensare ancora.
La sua vita
sembrava indissolubilmente legata al passato: quando non era stato più il suo
passato personale, a costringerlo ad una lotta tutta scritta in una cicatrice,
era venuto il Passato, quello con la p maiuscola, che abita i libri polverosi
della biblioteca. Anche quel passato era fatto di persone, Marzio ne era una
prova. Con il senno di poi, Harry avrebbe voluto seguire con più attenzione le
lezioni di Storia della Magia, e magari saperne un po’ di più su chi si
nascondeva dietro ai nomi snocciolati con caratteri monotoni dalle pagine
giallognole dei volumi. Nomi che erano stati vivi, un tempo, nomi che avevano
fatto voltare persone, nomi che avevano chiamato occhi e voci.
Harry si sentiva
parte di tutto questo; e temeva di esserne risucchiato. Era pericoloso
desiderare sempre più fortemente di addormentarsi, era pericolosa l’empatia con
Marzio, e tutto ciò che stava accadendo non era che un potenziale buco nero in
cui lui si stava gettando ad occhi chiusi. Per un momento gli venne da
sorridere. Straordinariamente prevedibile.
* * *
- Se tu fossi un
fantasma, chiunque potrebbe vederti. –
- Esattamente. –
- Ma non sei
un’illusione. Voglio dire… -
Harry si morse la
punta della lingue, e Marzio gli sorrise. Il suo modo di comunicare che capiva
i suoi dubbi era originale. Gentile, ma anche un pochino ilare. Doveva trovare
buffo il suo spaesamento, almeno quanto lui trovava incomprensibile la
situazione in cui si era andato a cacciare.
- Tieni, stringimi
la mano. – lo incoraggiò tendendo la sua verso di lui. – Puoi anche afferrare i
miei vestiti, o quello che più ti pare. Non sono uno spettro, puoi toccarmi. –
Harry gli strinse
la mano con decisione, e provò un’inspiegabile sensazione di sollievo nel
constatare che Marzio era solido e caldo, esattamente come lui. Era vero. Non è
che avesse mai davvero sospettato il contrario. O per meglio dire, non aveva
mai confidato a sé stesso quel sospetto, in quei giorni. Paura di perdere tempo
dietro ad un sogno? Forse un po’. Harry aveva fatto la pelle dura a lottare per
essere creduto, negli anni passati; ma allora lui era sempre stato convinto di
ciò che diceva, e il non essere ascoltato era stata più una sfida che un motivo
di dubbio. Le cose però si erano messe diversamente, ora. E il fatto che la
mano di Marzio fosse una mano, una mano vera, era la prova che serviva a lui
più che agli altri che no, non stava immaginando tutto. Ancora una volta.
- Però non riesco
ancora a capire chi tu sia. –
- E’ difficile. –
Marzio arricciò le labbra. – Credo di essere una sorta di spirito. Nessuno mi
può vedere al di fuori di te, è un po’ come se fossi a metà fra un fantasma e
un sogno. –
- Ma se tu non puoi
comunicare con nessuno all’infuori di me. – ragionò Harry. - Questo significa
che hai dovuto aspettare fino ad oggi, per poter chiedere aiuto? –
Harry terminò la
sua frase appena prima che una cosa terribile accadesse. Una marea antica
quanto può esserlo il disegno delle nuvole lo travolse, e gli fece a brandelli
il petto. Marzio strinse le labbra fra i denti, ed Harry assistette ad una
scena incredibile, lo vide affrettarsi a richiamarla indietro, dentro ai suoi
occhi.
- E’ così. Ho
aspettato molto tempo. –
- Ma non ha senso.
– gemette Harry sentendosi soffocare. – La tua è stata una condanna! –
- Forse sì. Ma né
tu né io abbiamo il diritto di dirlo. – il sorriso di Marzio si aprì
all’improvviso, facendo un po’ di luce fra le fronde indolenti dei giunchi e
delle canne rigogliose che oscillavano accompagnando la corrente del fiume che
i due stavano costeggiando.
– Posso solo essere
felice di averti trovato, finalmente. –
* * *
Harry non aveva
creduto nemmeno per un secondo che Marzio fosse felice. Lo strazio sordo e
senza scampo che lo travolgeva di tanto in tanto, se solo lui accennava ad
un’espressione triste, lasciandolo lì senza fiato, in ginocchio, vinto dalla
voglia di piangere ed urlare tutto il dolore dell’universo, non era possibile
che nascesse da una persona felice.
Non poteva esserci
gioia in quegli occhi che sarebbero stati identici ai suoi, se non fossero
stati ammantati di una dignità antica, che non aveva niente di polveroso, di un
contegno imperscrutabile, e di orgoglio, tanto orgoglio. Soltanto un tempo
lontanissimo aveva potuto generare un uomo come lui, ed Harry si vergognava di
vedere così poco di quella nobiltà in sé.
- Non so nemmeno
perché soffre così. – si lamentò. – Io vorrei fare qualcosa, ma se lui non si
decide a parlare… -
- Io mi sono fatta
un’idea. – lo interruppe gravemente Hermione. – Non posso averne la certezza,
ma ciò che tu dici di provare mi ricorda terribilmente i Dissennatori. –
Ron sgranò gli
occhi vivaci. – Oh no. – mormorò. – Tu pensi che…? –
- Non ne sono
certa. – ribadì Hermione, cercando di mantenersi sul neutrale. – Ma forse
questo ragazzo ha subito il Bacio. E il fatto che sia legato a te spiega perché
tu sia partecipe del suo dolore. –
Partecipe del suo
dolore. Più che altro, ne era vittima.
* * *
- Ma perché non mi
porti da chi stai cercando? -
Marzio si strinse
nelle spalle. – Non posso. Non sono io a decidere che cosa farti vedere. – con
gli occhi verdi abbracciò pigramente l’orizzonte piatto. – Vedi, questo è il
territorio dell’Icenia. Quella laggiù è la loro capitale, si chiama Venta. –
Harry aguzzò la
vista e mise a fuoco un muro di cinta non troppo alto, che correva in mezzo al
nulla della prateria formando una figura ellittica. Al di là di esso non si
scorgevano i tetti delle case, solo alcune aste, probabilmente parti di recinti
o di torri, ma la vita di quel luogo si manifestava salendo verso il cielo
attraverso decine di colonnine di fumo che si sprigionavano da camini o da
falò.
- Dove ci troviamo?
–
Marzio si grattò
una tempia. – Dunque, se non faccio confusione dovremmo essere nel Norfolk. Con
il tempo, i signori del tuo Paese hanno modificato molto la geografia. Oggi
Venta non esiste più, se tu andassi dove ci troviamo adesso, ci troveresti
l’aperta campagna, campi, e qualche villaggio. –
- L’aperta
campagna. – mormorò Harry, cercando di darsi ragione di come qualcosa possa
venire schiacciato dal tempo senza lasciare di sé che un nome. Duemila anni che
non sono niente, eppure sembrava di essere in un altro universo.
- Spiegami una
cosa, Marzio. Come fai a parlare l’inglese? Non hai detto di essere un Romano?
-
Marzio sorrise
tristemente. Harry pregò soltanto di riuscire a sopravvivere ad un’altra
scarica della sua stramaledettissima disperazione.
– Vago su queste
terre da due millenni, Harry. Ho imparato tutte le lingue che sono passate per
quest’isola. –
- Quindi credi che
sia capitata la stessa cosa anche a chi stai cercando? -
Il sorriso del
soldato si tinse di una nota più tenera, e ancora più malinconica. - Spero di
sì. A volte era piuttosto complicato capirsi. -
Harry annuì. Niente
di fatto, chissà perché niente di fatto. C’era quasi da restarci male.
– Andiamo a Venta,
allora? –
- No. Adesso è
tempo che tu ti svegli. -
* * *
“Adesso è tempo che
tu ti svegli”.
Marzio sfuggiva
così alle domande più insidiose. Se solo ci pensava, a Harry veniva una gran
voglia di strozzarlo. Quella mattina non differiva dalle altre, nemmeno un po’.
Si alzò dal letto parecchio scocciato, sgattaiolò in bagno e si diede una
lavata di faccia prima che gli altri si svegliassero. Tanto, di rimettersi a
dormire per altri dieci minuti non se ne parlava nemmeno. Scese di sotto, nella
Sala Comune, e tirò fuori un libro dalla sua borsa, uno dei pochi che Hermione
aveva ritenuto degni di un’analisi più approfondita. Si era fatto dei segnalini
con qualche pezzetto di pergamena su quelli che potevano essere i passaggi più
interessanti. Icenia, eh? Tanto per cominciare sarebbe stata buona cosa capire
che cosa ci facesse in un posto così lontano da casa. Del nome di Marzio non
c’era traccia da nessuna parte, ma va bene, la storia non ricorda i nomi di
tutti, no? Non ci sono abbastanza pagine per tutti, e se si badasse a
sottigliezze del genere, allora tutti avrebbero una storia da raccontare. E
allora non esisterebbe più un mare in cui annegare, l’immensa fossa comune
della storia.
“Adesso è tempo che
tu ti svegli”.
Quanta tristezza
illuminava i suoi occhi, quando lo diceva. Harry credeva sinceramente che
Marzio volesse parlare, ma fosse costretto a tacere, chissà per quale motivo.
Però hey, con la chiaroveggenza lui non c’era mai andato granché d’accordo.
Lo aspettava una
giornatina di tutto rispetto: la mattinata sarebbe stata uno straziante
susseguirsi di Pozioni e Incantesimi, e nel pomeriggio, gli allenamenti. Non
poteva assolutamente mollare la squadra da sola, giù al campo. Punto primo,
Ginny lo avrebbe ucciso, e con ogni probabilità lo avrebbe fatto in modo
assurdamente crudele. Punto secondo, lui aveva voglia di andare a giocare.
Davvero. Il fatto era che le circostanze sembravano decise a mettersi contro di
lui. Quando devi pensare a come uscire vivo da una guerra contro il mago più
pericoloso del pianeta, non è che ti rimanga molto tempo per meditare sugli
schemi d’attacco più efficaci contro Corvonero.
E al momento Harry
era pressoché punto e a capo. Decisamente, c’erano questioni più grosse che
popolavano la sua testa e che reclamavano la sua attenzione. Lo aveva confidato
ad Hermione, augurandosi di trovare una mano amica che gli indicasse una
qualche direzione. Hermione aveva fatto di meglio, lo aveva affondato del
tutto.
“ Stai crescendo,
Harry”. Si era limitata a fargli notare. Riflettendoci su, Harry era rimasto
impressionato dalla quantità di cose sottintese alle sue parole.
Era una conseguenza
logica che avesse deciso di non perdere l’allenamento per dimostrare che poteva
ancora essere una ragazzo come tutti gli altri, ancora per un po’.
* * *
- Signor Malfoy. –
Draco Malfoy
sollevò improvvisamente la testa all’indirizzo del professor Vitious, come se
si fosse appena svegliato da chissà quale sogno ad occhi aperti.
- Le dispiacerebbe
rispondermi, signor Malfoy. – trillò la voce decisamente irritata del
professore.
- Ahm… Uhm… dunque.
–
Non aveva la più
pallida idea di quale fosse la domanda, eh? Si vedeva lontano un miglio. Benché
Harry avesse sempre pensato che una situazione del genere lo avrebbe riempito
di un’euforia incontenibile, fu costretto ad ammettere che un po’ gli
dispiaceva per il Furetto. Per uno dei seguenti motivi, a scelta: o si stava
lentamente ma inesorabilmente trasformando in un Grifondoro di quelli
ortodossi, o il Furetto non sembrava più il Furetto di un tempo, perciò provare
un po’ di pietà per questo nuovo Malfoy non era poi un peccato così grave.
- L’Incanto
Florealis. – borbottò.
Se Malfoy l’avesse
sentito, bene, altrimenti pazienza. Del resto, mica voleva aiutarlo. Il suo era
più che altro un ripasso ad alta voce.
- L’Incanto
Florealis. – sentì farfugliare a Malfoy. – Va eseguito… con un movimento molto
lento del polso. Un errore comporta la trasformazione della pianta che si
voleva far rifiorire in… magma. No, no, melma, melma. Nel migliore dei casi. –
Harry sorrise. Ora
poteva dire di sentirsi un po’ come Hermione.
Vitious arricciò il
naso facendo traballare i suoi occhialetti. – Va bene, signor Malfoy. –
concesse. – Ma la prossima volta la prego di prestare più attenzione alla
lezione. O almeno, si sforzi di fingere. –
Draco Malfoy annuì
frettolosamente, tenendo gli occhi bassi sul suo banco. Appena l’attenzione di
Vitious veleggiò verso altri lidi, si girò di scatto verso Harry, e gli scoccò
una specie di occhiata allucinata. Harry non seppe bene come replicare.
Guardarlo di traverso o fare qualcosa di antipatico, a quel punto, sarebbe
suonato un tantino fuori luogo; ma non poteva nemmeno fargli un bel sorrisone
complice, no? Si limitò ad una scrollatine di spalle, che nei suoi intenti
voleva essere monito a lasciar perdere qualsiasi domanda. Era successo e basta.
Malfoy, grazie al
cielo, si attenne scrupolosamente alle sue indicazioni immaginarie. Alla fine
della lezione si alzò dal suo banco, aspettò che i due o tre della sua
combriccola lo raggiungessero, e infilò la porta tenendo lo sguardo
ostinatamente inchiodato su qualsiasi cosa non fosse Harry. Non sputacchiò
nemmeno un po’ di veleno, però. Se era il suo personalissimo modo di
dimostrarli la sua gratitudine, allora grazie tante, ad Harry andava più che
bene.
- Andiamo giù al
campo? – lo risvegliò Ron, con una voce che scoppiettava di entusiasmo.
- Ti seguo. -
* * *
Dio, ma da quanto
tempo era che non si allenava? Harry aprì i rubinetti dell’acqua della doccia e
aspettò che lo scroscio divenisse sufficientemente caldo per potersi dare una
bella risciacquata. I muscoli della sua schiena tiravano come se fossero state
corde tese, e anche il collo gli doleva tutto, per lo sforzo della posizione e
per il freddo sempre più pungente dell’inverno che avanzava a passo di carica.
Ci aveva impiegato
un po’ a prendere il Boccino. In linea di massima non poteva lamentarsi del suo
lavoro, o di quello dei suoi compagni, ma c’era una discreta quantità di
ruggine che andava assolutamente grattata via dalla squadra. Ron sembrava
tornato indietro nel tempo, e ogni volta che la Pluffa arrivava dalle sue parti prendeva ad agitarsi come se si fosse improvvisamente
dimenticato tutte le regole del Quidditch.
Si rivestì in
fretta, per non prendersi un malanno. Ron si era inaspettatamente offerto di
riportare Boccino e compagnia nel capanno dietro al campo da gioco, e Ginny
doveva essere ancora sotto la doccia, e chissà per quante ore ancora ci sarebbe
rimasta, perciò a Harry non restava che rifarsi la strada di ritorno al
castello tutto da solo. Un po’ triste, ma non ne sarebbe morto.
Si incamminò
scalpicciando i piedi lungo il sentierino lastricato solo a tratti. Dove la
pietra non c’era, la terra mezza congelata crocchiava sotto le suole delle
scarpe. A pensare a Marzio, gli venivano i brividi: come diavolo facevano, a
quei tempi, a proteggersi dal freddo? D’accordo i mantelli, d’accordo le tuniche
di lana, ma che diavolo, faceva freddo, e lui dubitava seriamente che quella
gente fosse provvista di scarponi da montagna con la suola rinforzata. E di
sicuro, non avevano i maglioni della signora Weasley, che potevano anche essere
di gusto un po’ dubbio, ma quando si trattava di riparare dal gelo, erano il
meglio sulla piazza. Chissà, magari all’epoca erano tutti maghi, e giravano
avvolti da un incantesimo riscaldante, una specie di stufetta magica. Un po’
improbabile, eh?
E a proposito. A
proposito.
- Non gliel’ho
chiesto. – mormorò Harry fra sé, fulminato. – Che razza di idiota, non gliel’ho
chiesto. –
Le sue imprecazioni
a mezza voce scatenarono la reazione delle foglie secche cadute a terra. O
meglio, di ciò che c’era sopra. Harry mise a fuoco il fagotto nero che giaceva
abbandonato sotto ad uno dei grossi tronchi quasi spogli che sorgevano
sparpagliati fra il castello di Hogwarts e i suoi immensi giardini. Se non si
fosse mosso Harry non ci avrebbe fatto caso, e con ogni probabilità lo avrebbe
preso per un’ombra, o per un sacco lasciato lì da chissà chi. E invece.
- Ma… Malfoy?!?! –
Draco Malfoy,
niente di meno che, sollevò a fatica il suo sguardo annacquato su di lui.
Tremava come un disperato.
- Che diavolo vuoi.
– farfugliò con voce impastata.
- Che diavolo ci
fai qui fuori? –
- E a te cosa
importa? –
Simpatico come
sempre, non c’era che dire. Harry si odiò tantissimo per ciò che stava per
dire.
- Hey, c’è qualcosa
che non va? -
Stupida anima da
Grifondoro.
- Certo che sì,
Sfregiato. Ci sei tu. –
Ecco, appunto.
- Non avrai intenzioni
suicide, vero Malfoy? –
Malfoy aggrottò le
sopracciglia. Più che infastidito, sembrava perplesso.
- Ho sentito dire
che sei stato malato. – buttò lì Harry, cercando di cacciare fuori un tono che
lasciasse capire che lui credeva ben poco a quella notizia. – Vuoi darti il
colpo di grazia? –
A sorpresa, Draco
non reagì nel modo che Harry si sarebbe aspettato. Non sbraitò improperi, non
sputacchiò niente di velenoso, non alzò nemmeno i pugni in segno di sfida.
- Senti, Potter.
–quasi gemette il suo nome. Era strano da morire. – Lasciami dormire, ok?
Lasciami solo dormire un po’. –
Harry si sentì in
dovere di correggere il tiro. Più che altro, provava lo stesso senso di
spiazzamento della mattina, quando lo aveva salvato dalla domanda di Vitious e
lui non aveva praticamente reagito. Certo che fare gli avversari di Draco
Malfoy era un lavoretto abbastanza semplice, ma cercare di andargli incontro
era un’impresa degna di menzione.
Alzò le mani in
segno di resa. – D’accordo. – mormorò con un tono un po’ più accondiscendente.
– Guarda che non volevo disturbarti. È solo che se rimani qui congelerai. –
- Pazienza. – sentì
bofonchiare al Serpeverde tutto raggomitolato su se stesso.
Arricciò il labbro
inferiore, e si rassegnò ad incamminarsi verso la scuola. – Già. Pazienza. -
ANGOLINO!
Buon anno (che
ritardo vergognoso)! Scusate per l’attesa, ma sono stata via per un po’, fra il
Natale a Milano e il Capodanno a Venezia, e sono stata formalmente minacciata
di morte, se mi fossi messa a scrivere anche solo la lista della spesa. A voi
come sono andate le feste? Delirio di Capodanno?
Nota semi-demente
al titolo del capitolo. Non è la voce del verbo dire, ma dadi, in inglese. XD
A proposito della
fic, leggendo la recensione di Synoa volevo rassicurare tutti riguardo ad una
cosa: questa storia è molto diversa da quasi tutti i miei lavori precedenti; è
già scritta in buona parte, e ha uno sviluppo graduale. Non fatevi quindi
nessun problema né scrupolo se al momento non vi convince, o vi lascia un po’
così. Sono perfettamente consapevole che darà il meglio di sé soltanto una
volta conclusa, quando sarà possibile rileggerla nel suo insieme e sviscerare
tutti quei meccanismi che la pubblicazione per capitoli tende a disperdere un
po’. Mi premurerò di mettere qualche nota negli angolini, per aiutarvi a
godervi meglio cose che possono sfuggire, così non impazzirete troppo!
Fra ro: ti ringrazio tanto, e scusa per il ritardo!
The fly: non sai quante domande affollano la mia!
>///< per esempio: di che segno è Marzio? Qual è il suo colore preferito?
È libero questa sera? Se me lo sposassi, che cognome prenderei? Ok basta, fine.
Vado a fustigarmi.
Smemorella: grazie zia smemo!!! Ho bevuto poco, sono
stata bravissima. Che invidia la Francia, anche se con sto freddo non so quanto
mare ti sarai fatta. O non sarai una di quelle folli che si lanciano in acqua
per capodanno? Lo sai che se l’hai fatto ti sei guadagnata la mia
incondizionata adorazione, vero?
Puciu: Draco è arrivato, visto? Da adesso vedrai
che la sua presenza sarà sempre più importante. Non preoccuparti, tutto verrà
svelato! Nuuu, Topolino, sono secoli che non ne leggo uno!
Synoa: grazie mille, e auguri (in ritardo) anche a
te! E non ti preoccupare per la storia, c’è tempo per farsi un’idea.
Tsubychan: sono sempre muta come un pesce, mi conosci!
XD
T Jill: meglio se Kuro-tan non legge il tuo
augurio, altrimenti si mette ad inseguirmi con uno scopettone in mano, e con
intenzioni tutt’altro che affettuose! XD ma lo spumantone di capodanno non me
l’ha levato proprio nessuno! Ma insomma, anche tu ti sei divertita, o
corrompitrice di anime innocenti! Io adoro la montagna, non vedo l’ora di
andare a consumare gli sci sulle piste il mese prossimo!
Rodelinda: ma
grazie, grazie mille! Guarda, ti giuro sul mio onore che di Mary Sue ( o Gary
Stu, trattandosi di nuovo personaggio maschile) non ne vedrai, qui. Non
immagini quanto abbia in odio questo genere di stereotipo. Quasi quanto odio i
violentatori della grammatica. Il tuo apprezzamento mi riempie davvero di gioia
perché ce l’ho messa tutta per cercare di dare una buona caratterizzazione a
tutti i personaggi.
Melisanna: grazie mille, e ricambio gli auguri! Hermione
e Ron avranno una parte un po’ più corposa questa volta. Soprattutto
nell’evitare che a Harry si fonda il cervello a furia di lambiccarsi.
Lady: hihihi, non ti preoccupare, il sono per la
congettura libera! Adesso che Draco ha fatto la sua comparsa, vedremo che cosa
c’entra in tutto questo casino.
Dark: ma no, duemilahot mi piace da morire! XD
Chiara: non scusarti per il ritardo, sono io che
dovrei vergognarmi! XD Sono contentissima di suscitare la tua curiosità, e
Marzio è più che contento di avere una fan. Sai com’è, i Romani si gasano, ma
non credo che verrà mai a chiederti il numero di telefono. Secondo me con la
tecnologia è al livello rasoterra di Ron.
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Capitolo 6 *** Memories ***
Cap 6: altri dettagli, si scopre il nome di Derevan, Harry vede marzio
sulla riva di un fiume, che ne incide il nome su dei gi
Quella sera, Harry
faticò parecchio a prendere sonno. C’era di che stupirsene, vista la
giornataccia pazzesca appena trascorsa. I muscoli della sua schiena reclamavano
un po’ di riposo, i muscoli delle braccia minacciavano di abbandonarlo al suo
destino, ma le palpebre continuavano a scattare verso l’alto, in barba alle più
elementari leggi della fisica – e al buonsenso.
- Dannazione. –
spifferò contro il cuscino, come se schiacciarselo sulla faccia fino a
soffocare potesse tornare di una qualche utilità.
- Che c’è? Non
riesci a dormire? –
Lo squittio
assonnato di Ron lo raggiunse senza svegliare nessuno. Neville ronfava
leggermente, coprendo le loro due voci.
- Già. – soffiò. –
Non capisco come mai. –
Un lumicino tenue
fece la sua improvvisa comparsa sotto le coperte del letto di Ron. – Beh. –
azzardò lui mettendosi a sedere con esasperata attenzione, per non far cigolare
il materasso. – Magari è perché sei un po’ teso. –
- Teso? E per cosa?
–
- Per il tizio di
Roma. In fondo, addormentarsi significa doverlo incontrare, no? –
- Marzio? – Harry
si strinse nelle spalle. – Ma io non ho paura di lui. -
- No, no,
d’accordo. Ma magari la faccenda ti mette un po’ d’ansia. –
Harry poteva pure
essere miope, ma Ron ci vedeva benissimo, e in quel momento sapeva di avere gli
occhi di Harry puntati addosso.
- Io ti capirei,
eh! – si affrettò ad aggiungere. – Figurati come mi sentirei io a trovarmi
davanti uno come me, che viene da mille anni fa… -
- Un po’ di più. –
- Eh? –
Harry roteò gli
occhi. – Se è un Romano, Ron, sono un po’ più di mille anni. Hermione ti
ucciderebbe, se ti sentisse. –
- Ah. Oh. – Ron non
parve per nulla rassicurato dalla prospettiva. – Beh, insomma, quello che
voglio dirti è che non ti devi fare scrupoli a parlarne con me, sai? Nemmeno io
mi sentirei troppo a mio agio, a parlare con uno pieno di lentiggini, vestito
come una statua, e tutte quelle cose. –
Harry sorrise. –
Grazie, Ron. –
Un fruscio leggero
annunciò che Ron si stava maldestramente infilando nelle sue coperte. – Di
nulla. – bofonchiò imbarazzato. – E se quello comincia a comportarsi in modo
strano, tu dimmelo, che io vado a chiedere in prestito una mazza da uno dei
nostri battitori, e poi gli faccio vedere io chi comanda, qui. –
- Sei un genio,
Ron. – sghignazzò Harry. – Non so davvero come farei senza di me. –
Ron tacque.
Probabilmente si stava gonfiando come un pesce palla. La lucina si spense e la
stanza piombò di nuovo nel suo pacifico buio. Harry si rese conto di avere le
palpebre un po’ più pesanti di prima, e lo doveva solo a Ron.
* * *
- Finalmente sei
riuscito ad addormentarti. Avevo paura che non sarei riuscito ad incontrarti,
questa notte. –
Harry si strinse
nelle spalle a mò di scusa, e buttò lì un: - E’ stata una giornata dura. – che
non era nemmeno una menzogna.
Marzio non si
preoccupò molto delle scuse. Sembrava particolarmente teso, come se fosse in
attesa di qualcosa di molto importante. Nemmeno il tempo di mettersi a suo agio
nel sogno, che cominciò a camminare spedito, costringendo Harry a caracollargli
dietro lungo la strada accidentata che discendeva nemmeno troppo gradualmente
verso l’orizzonte, mosso dall’ondeggiare scintillante del mare.
- Dobbiamo
sbrigarci, Harry. –
- Sbrigarci per che
cosa? –
- Se siamo
fortunati, riuscirò a farti vedere una cosa. –
Un rumore secco si
levò all’improvviso, sembrava il battere insistente su qualcosa di secco. Era
piuttosto flebile, si distingueva soltanto perché tutto ciò che li circondava
era silenzioso, e persino il vento si limitava a sussurrare appena, fra le
foglioline dei giunchi che crescevano vicino alla riva.
Marzio strinse i
punti, e prese a correre all’improvviso. Il povero Harry rimase indietro di una
decina di metri buoni, e nonostante gli sforzi non riusciva a risicare che
pochi passi, su quella scheggia di romano che correva come se avesse avuto le
ali ai piedi, indifferente allo svolazzare del suo mantello rosso.
Si fermarono
entrambi, Harry con il fiato corto e Marzio con il cuore in gola, sul ciglio di
un piccolo promontorio che si avvallava bruscamente verso il mare. Sotto di
loro, la strisciolina di sabbia distava pochi passi, ma scendere già sarebbe
stata un’impresa, scoscesa com’era la roccia.
- Laggiù. – indicò
Marzio, tendendo tutto il braccio verso destra. C’era un piccolo cespuglio di
giuncaglie e qualche altra pianta che si lasciava scuotere dall’arietta del
mare, e accovacciato in mezzo ad esso stava una figura, tutta rannicchiata,
intenta a lavorare qualcosa. –
- Ma… ma quello. –
Harry non poteva
crederci. La figura non sembrava essersi accorta di loro, e questo non aiutava
per niente. Proprio quando Harry pensava di aver trovato il bandolo della
matassa, per orientarsi un po’ in quella pazzesca avventura, un altro pezzo di
puzzle arrivava a scombinare ogni cosa.
- Quello sono io. –
- No, Harry. –
mormorò Marzio. – Quello sono io. –
Harry risollevò a
fatica lo sguardo su Marzio. – Ma che cosa signif… -
- Vieni. –
Senza nemmeno
lasciarlo finito, e con gli occhi che brillavano di un verde intensissimo e
pieno di decisione, Marzio lo afferrò per un polso e lo trascinò verso la
spiaggia, balzando giù dalla roccia come un gatto.
Se Harry non si
ruppe qualche osso, fu solo per puro miracolo, perché non ebbe il tempo di
recuperare un po’ di stabilità sulle gambe, che fu di nuovo sballottato a passo
di corsa. C’erano due ragazzi perfettamente identici, che si stavano
scapicollando verso di lui; come diavolo faceva quella figura a non
accorgersene?
Il secondo Marzio
sembrava cieco, sordo e muto. Non si mosse in un millimetro nemmeno quando gli
altri due gli furono dietro le spalle.
- Non può sentirci,
né vederci. – spiegò Marzio, prevenendo le domande di Harry. – Questo sono io,
esattamente com’ero mille e più anni fa. E’ il mio ricordo, finalmente. –
Harry sbattè le palpebre,
sforzandosi di elaborare le parole di Marzio il più in fretta possibile. –
Quindi. – concluse. – Questo sei tu che fai qualcosa che stavi facendo allora?
–
- Esatto. È la mia
memoria che si materializza davanti ai tuoi occhi. È per questo che non ci
sente, né ci vede. –
- Ma che cosa stai
facendo? –
Marzio indicò
debolmente il tronchetto di legno che il suo ricordo si rigirava fra le mani.
- Guarda tu stesso.
-
Harry obbedì. Un
po’ riluttante, si sporse oltre le spalle del Marzio seduto a terra, e gli vide
un coltellino tozzo e piuttosto rudimentale in mano, con cui aveva grattato la
corteccia del legno e inciso alcune lettere spigolose. –
- Non riesco a
leggere. – disse, contrariato. – De… Dep… -
Marzio soffiò via i
trucioli e la polvere di legno dalla sua opera, e passò un dito sulla scritta.
–
- Derevan. C’è
scritto Derevan, mi pare. -
Harry si voltò
bruscamente, appoggiandosi con le mani alle spalle del Marzio che non poteva
vederlo.
- Hey, senti. –
sbuffò. - Sono stufo di leggere parole su pezzi di le… -
Harry si voltò, ma
Marzio non c’era più. Con il cuore in gola abbassò lo sguardo, e se lo trovò
davanti in ginocchio, con le dita tutte intrecciate sul ventre. Distingueva
soltanto la massa dei suoi capelli neri, da quella posizione, ma ci volle un
attimo per intuire, e venire travolti e scaraventati a terra.
- No! – sentì di
dover gridare. – Che… Che cosa succede!?! –
Marzio produsse
solo un flebile: - Scusami. – ma non si riprese indietro il suo dolore. Non
cambiò niente, l’aria nei polmoni continuava a bruciare.
I tre giovani
perfettamente identici si ritrovarono ad essere tutti e tre a terra, a un passo
di distanza l’uno dall’altro: uno impegnato a ritoccare il suo pezzo di legno,
tutto orgoglioso; l’altro spezzato da un dolore zitto e velenoso, e l’ultimo
schiacciato dalla confusione e dalle emozioni incontrollabili che gli si
riversavano addosso da chissà dove.
All’improvviso, la
terra prese a scuotersi con tale violenza, che sembrava dovesse collassate su
sé stessa. L’unico dei tre che non si accorse di nulla fu il secondo Marzio,
quello che rifletteva i suoi ricordi.
- Stiamo per
andarcene. – si riscosse Marzio.
- Vuoi dire che mi
sto svegliando? -
- No. Voglio dire
che il ricordo sta svanendo, e che ora torneremo al punto di partenza. -
* * *
Per “punto di
partenza”, Marzio intendeva il boschetto nel quale si erano incontrati per la
prima volta. Le foglie erano sempre dello stesso arancione brillante, e
nonostante il terreno ne fosse coperto per uno spessore notevole, le chiome non
erano affatto spoglie, come se quell’isola di alberi fosse la commistione di
due fotografie scattate in due momenti diversi.
Si sentiva molto
meglio, tanto che non riusciva a credere di essere stato nel baratro della
disperazione solo fino a pochi secondi prima. Tutte le sensazioni orrende erano
svanite in una bolla di sapone.
- Marzio, ma che
cos’è successo? – domandò, stordito.
Marzio gli stava
dando le spalle, ed era intento a rassettarsi il mantello.
- Beh, vedi. –
cominciò con leggerezza. – Esiste una regola a cui io sono costretto a
sottostare. Non mi è permesso di rivelarti alcune cose, a meno che tu non le
veda con i tuoi occhi. È per questo che appena mi sono reso conto di dove ci
trovavamo, ti ho trascinato sulla spiaggia. -
- Ma scusa, tu come
fai a sapere che c’è la possibilità di vedere una cosa del genere? -
Marzio fece
spallucce. – Beh, non ne ho la certezza. Ma vedi, questo luogo in cui ci
troviamo ora, è come uno spazio fuori dal mondo. Quando invece mi accorgo di
trovarmi in un posto che conosco, significa che ci sono speranze di riuscire a
farti vedere. -
Harry rifletté un
momento su una domanda che gli nacque praticamente spontanea.
- Ma quindi. –
chiese con una certa vergogna. – Senza di me, tu non puoi vedere i tuoi
ricordi? -
Marzio formò un
sorrisino sommesso. – No. Sospirò. – Senza di te, io posso solo ricordare, come
tutti.
- Capisco. Senti,
c’è una cosa che vorrei sapere di te. Ecco, ci penso da qualche giorno, ormai.
– fece Harry, omettendo di specificare l’imbarazzante circostanza in cui si era
ritrovato a rimuginare sulla questione. – Mi sono chiesto se tu sia un mago.
Insomma, con tutte queste faccende dell’anima, del riuscire a parlarmi,
significa che tu…? -
- Che sono un mago
anch’io, sì. – rispose mitemente Marzio.
- Quindi tu facevi
il mago, ai tuoi tempi? Ma di che cosa ti occupavi, scusa? -
Di incantare
indumenti riscaldanti per i suoi compaesani, Harry lo dubitava fortemente. Dio,
ma da dove gli era venuta fuori una domanda del genere?
Marzio strofinò un
piede sul terreno, calpestando qualche foglia secche. – Non è una cosa semplice
da spiegare. Io sono un militare al servizio della Repubblica di Roma. –
cominciò con tono solenne. – Sono a capo della VIIII Legione, e comando
personalmente il reparto di cavalleria magica del… -
- Hey frena,
aspetta un momento. – lo interruppe Harry, allucinato. – Voi avevate dei
reparti militari composti da maghi? A quei tempi? –
Marzio lo guardò un
po’ in tralice. – Ovviamente sì. – rispose cercando di mantenersi naturale. –
Come ti aspetti che potessimo combattere una popolazione celtica? -
- Non lo so, ma
credevo… -
- E come credi che
abbiamo preso la Grecia, o l’Egitto? – ridacchiò Marzio. – Da quelle parti ci
sono fior di maghi che nemmeno immagini. I miei successori hanno fatto una
fatica dannata per riuscire a tenerli a freno. –
Un mondo nuovo si
spalancava agli occhi di Harry. Certo che, se cose del genere si fossero
sapute, un sacco di bambini avrebbero studiato la storia con molto più entusiasmo.
- Ehm, ti ho
interrotto. – si scusò. – Mi stavi dicendo del tuo ruolo. -
- Sì, certo.
Dunque, per ordine del grande Gaio Giulio Cesare, che è dovuto rientrare a Roma
per… Ehm… -
Marzio si zittì
bruscamente. Sembrava piuttosto imbarazzato. Harry non potè fare altro che
aggrottare la fronte, e aspettare che riprendesse il discorso. Certo che quel
tipo era davvero molto strano.
- Per importanti
motivi politici. – ne uscì il Romano, riprendendo colore, come se fosse appena
sfuggito ad una tremenda insidia. – Io sono stato insignito del titolo di
Legato di questa regione, e mi trovo di stanzia qui fino a nuovo ordine. -
- Oh, Legato. –
fece Harry, impressionato. – Ti offendi se ti dico che non ho la minima idea di
che cosa significhi? -
Marzio fece
spallucce, poverino. – No, figurati. – sbottò. – il Legato è una sorta di
comandante generale, il responsabile di un’intera legione. È un incarico di
prestigio, sai. –
- Però. – Commentò
Harry, stavolta impressionato davvero. – Allora eri un bel pezzo grosso, eh? –
- Beh. – gongolò
Marzio. – Diciamo che me la cavavo bene. –
Che tipo. Harry non
potè nascondere di provare un certo orgoglio, all’idea che qualcuno di così
spaventosamente identico a lui fosse stato un’importante condottiero. Chissà se
lo avrebbero smistato a Grifondoro, per il suo valore.
- Senti, posso
fartela io una domanda, adesso? –
Harry scrollò le
spalle, risvegliandosi all’istante dalle sue considerazioni. – Certo, fai pure.
–
- Ecco, riguarda
quelli. – disse Marzio additando i suoi occhiali. – Ho notato che da qualche
tempo la gente li porta. Servono per vedere meglio, o mi sbaglio? –
Harry aggrottò le
sopracciglia, piuttosto colpito dal brusco cambio di argomento. Che diamine, un
secondo sei lì a discutere di cariche militari, e il secondo dopo di occhiali.
– No, è giusto. – confermò.
- Uhm. –
Harry cominciava a
capire dove volesse andare a parare. Ma con una puntina di crudeltà, si disse
che non aveva nessuna intenzione andargli incontro.
- Ehm, senti… E’
che mi incuriosiscono. Insomma, sai, vedo un sacco di cose, ma non posso
toccare niente. Non è che… -
- Che? –
- … Che. Me li
faresti provare? –
Harry sbuffò una
risatina. – Guarda che non vanno bene per tutti. – spiegò. – Se tu ci vedi già
bene, con questi vedrai tutto deformato. –
- Beh, ma a me
piacerebbe provarli. – si intestardì Marzio. – Non puoi proprio prestarmeli? –
- Come vuoi. –
Concesse Harry. – Ma stai attento a non romperli, sono di vetro. -
Marzio agguantò gli
occhiali di Harry con un sorriso idiota piantato sulla faccia, e il povero
Grifondoro si ritrovò immerso in un mondo tutto sfocato. Si infilò gli occhiali
reggendoli saldamente per le due asticelle, e appena li ebbe appoggiati sul
naso diede un balzo all’indietro.
- Per le frecce di
Diana! – esclamò, scuotendo la testa a tutta forza.
- Ti avevo
avvisato. – sospirò Harry, sghignazzando impunemente sotto i baffi.
Era bella,
l’atmosfera ilare che era venuta a crearsi. Le lacrime e il vuoto di qualche
minuto prima sembravano degli incubi lontani, esorcizzati dal sole abbacinante
e caldo che dava fuoco a tutta la prateria sconfinata che circondava la loro
oasi alberata. Harry sperava con tutto il cuore di non spezzarla, ma tacere,
per uno come lui, sarebbe stata solo un’ipocrisia.
- C’è un’ultima cosa
che ti vorrei chiedere. Un’altra. – borbottò. Anche se dubito chi mi
risponderai. –
- Tu provaci. –
Harry arricciò il
naso. – Beh, è facile. Vorrei sapere chi è Derevan. –
Marzio si adombrò,
ma meno di quanto Harry si sarebbe aspettato.
- Di questo non
posso dirti molto. – mormorò. – Te l’ho detto, è la regola. Derevan è… beh… -
Le sue ultime
parole furono sovrastate da un potente nitrito metallico. Marzio alzò gli
occhi, mentre Harry si precipitò verso il brusco confine della macchia di
alberi, dimentico della sua domanda. Dall’immensità della pianura, comparvero
l’unicorno e lo stallone color nocciola che aveva visto già altre volte.
Galoppavano veloci
come il vento, inseguendosi verso l’orizzonte, come se non si fossero dovuti
fermare mai.
- Quei due animali,
sono gli stessi di… -
- Ecco. – sussurrò
Marzio. – Quello è Derevan. –
* * *
- Dobbiamo chiedere
il parere di Silente. -
Hermione sapeva
tirare fuori la grinta, quando ce n’era bisogno. Di contro, però, il suo tono
di voce tendeva a diventare terrificantemente stentoreo.
- Ma Hermione. –
pigolò Harry. – Forse ti stai allarmando per nulla. -
- Non mi sto
affatto allarmando. – lo fulminò lei. – Sto solo considerando la possibilità
che ci siano dei rischi. E ad ogni modo, se c’è qualcuno che può darci una mano
a vederci un po’ più chiaro, è solo Silente. -
- Non ha tutti i
torti. – fece Ron, restando sul chi va là. – Se nemmeno Hermione è riuscita a
trovare qualche libro utile, allora significa che quel libro non esiste. Non ci
resta che provare a chiedere aiuto a Silente. È sempre meglio che affidarsi
alla Cooman, no? -
- Puoi dirlo. – si
arrese Harry, e anche Hermione annuì solennemente.
- Il massimo che ne
caverebbe fuori è che si tratta di un presagio di sventura. -
- Dimentichi il
fatto che morirò a breve. -
- Ma certo, e fra
atroci sofferenze. -
I ragazzi
sghignazzarono, guadagnandosi le occhiate perplesse dei loro compagni che
occupavano la Sala Comune. Loro erano seduti sulla solita poltrona vicino al
camino, immersi nel loro mondo. Ormai nessuno ci faceva più caso, eppure era
rassicurante che alcune cose non cambiassero mai.
* * *
Harry era stato
ricevuto assieme ai due amici. In verità Piton, che guarda caso faceva da mediatore
per i ricevimenti straordinari degli studenti, aveva fatto il diavolo a quattro
per far entrare solo Potter, ma Hermione aveva insistito così tanto che, alla
fine, persino lui aveva dovuto capitolare.
- Non ti ha
mentito, Harry. – disse quietamente Silente.
Ci era voluto un
po’ per riassumere la situazione. Harry tendeva a fare una confusione della
malora, e fu una vera fortuna che ci fossero stati lì Hermione a raddrizzare il
tiro, o Ron, a tirare fuori certi dettagli che lui nemmeno si ricordava di aver
raccontato. Il preside era stato ad ascoltarli, dapprima annuendo ad ogni
frase; poi, con il proseguire del racconto, i suoi cenni si erano fatti sempre
più radi, fino a scomparire del tutto.
– La sua situazione
è molto particolare. –
- Potrebbe
spiegarsi meglio, Preside? – lo pregò Hermione.
L’anziano uomo si
richiuse leggermente nelle spalle ossute. Non c’era niente che potesse scalfire
la sua maestosità, soprattutto quando si configurava come la sola possibile
fonte di risposte; e di risposte, ne aveva sempre una.
- Vedete, quando
un’anima muore, se ne va per sempre, e non c’è nulla che si possa fare per
riportarla indietro. – esordì con la sua consueta voce grave. – L’alternativa è
che non sia pronta al trapasso, e in questo caso rimane qui, sottoforma di
fantasma. E questo direi che lo sapete già. Lo sanno più o meno tutti, invero.
Ciò che invece pochi sanno è che esiste un’ulteriore possibilità. –
- E’ quella in cui
si trova Marzio, vero? –
Silente accennò con
il capo. – E’ una cosa molto rara. Accade quando la persona che muore non
riesce ad andarsene completamente. Resta prigioniera di questo mondo, non per
paura, ma perché c’è qualcosa di molto importante la lega ad esso. Qualcosa che
reputa più importante della sua stessa esistenza. –
Harry si grattò il
mento con la punta dell’indice. - Dev’essere per forza la persona di cui mi ha
parlato, Derevan. –
Silente non annuì
né negò. – Le anime fanno un patto terribile, per poter restare in quella
condizione di mezzo, Harry. –
- Sarebbe a dire? –
- Beh, vedi, esse
accettano di sottostare alle leggi del caso. Rimangono in attesa per secoli,
condannate a non poter essere viste né sentite, se non da una sorta di anima
gemella che chissà quando e dove verrà al mondo. –
- E’ proprio quello
che è successo ad Harry, no? – si animò Ron.
- E’ esatto. Ma
vedete, ragazzi, le cose sono più complesse di quanto ci possa sembrare. Non ci
sono certezze, quando si rimane nella condizione di mezzo. Derevan, ad esempio,
potrebbe essere trapassato serenamente, e non trovarsi più qui. Ed anche
ammettendo che non sia così, se egli non ha trovato la sua anima gemella, o se
essa è troppo lontana per poterla incontrare, allora sarà tutto inutile. –
- Ma signore. –
rifletté Harry. – Se per un’anima esiste questa scelta, allora significa che
gli deve per forza essere concessa la possibilità di ritrovare ciò che cerca.
Altrimenti tutto questo non avrebbe senso. –
Hermione annuì alle
parole dell’amico, e si voltò di scatto verso il preside, gli occhi animati da
quella luce attenta di chi cerca una conferma all’ovvio.
Silente se ne
rimase immobile, avvolto nei suoi vestiti eccentrici. Per un attimo, parve una
statua oracolare.
– Harry. – sospirò.
I suoi occhialetti a mezzaluna specchiavano la luce pacata dei suoi occhi,
pieni di un languore strano. – Purtroppo le cose non sono sempre così semplici.
A queste anime non è dovuto nulla; rimanere qui è una loro scelta, e loro si
fanno carico di tutti i rischi. –
- Ma allora perché
Marzio avrebbe scelto una strada così assurda? –
- Ti mentirei, se
ti dicessi che so cosa ci aspetta, dopo che abbiamo lasciato questa vita. –
disse allora il preside, con un sorriso che da solo esprimeva un conforto e una
saggezza indicibili. – Ma so per certo che ciò che c’è di là è pace. Se l’anima
di un uomo la rifiuta, e decide di rimanere nel nostro mondo a soffrire una
solitudine che dura per secoli, significa che essa è piena di una forza molto,
molto più forte di qualunque altra cosa. Più forte della pace, della
solitudine, della morte stessa. Marzio non potrà mai ritrovare la sua pace,
perché questa pace non è racchiusa nella morte, ma in qualcosa che si trova
ancora qui, e che lui ti sta chiedendo di aiutarlo a cercare. –
Harry annuì, con la
testa china. Solo le ultime parole costituivano materiale da far scoppiare la
testa per giorni, eppure lui sentiva, benché non fosse stato detto né fatto
nulla di particolare, che era ora di andare.
- Signore, io… -
aggiunse alla fine, a voce un po’ bassa, perché un po’ si vergognava. – Forse sono
stato un po’ duro con lui, all’inizio. Ma ho sempre avuto intenzione di
aiutarlo. Sempre. –
Silente non
manifestò alcuna reazione. Sorrise in modo talmente lieve che la barba non si
mosse, lasciando tutto nascosto.
– Sono certo che
tutto si risolverà per il meglio. –
ANGOLINO!
Ok, è un
periodaccio. Nel senso che mi trovo in piena fase baka.
Scrivo cose baka.
Penso cose baka.
Dico, faccio,
ascolto, leggo, mangio e bevo cose baka.
E chi è di Fire
& Blade sa anche che cosa tutto ciò sta producendo.
E ho questa fic da
pubblicare! Questa fic che tenta di darsi un tono, piena di cose carine e
commoventi!
Manderò tutto in
vacca, lo sento. Marzio e Harry si ubriacheranno di Scivolizia con a Tonio
Cartonio, e assieme a tutta la loro combriccola istituiranno un mega trenino e
balleranno con Deidara al ritmo della Caramelldansen (chi non sapesse cosa sia,
voli all’istante su youtube e lo scopra. E assurga così ad un rango semidivino
altrimenti impossibile da raggiungere).
Per la cronaca, il
siparietto idiota degli occhiali di Harry è tutta colpa della vocina baka che
imperversa in questo periodo nel mio cervello monolocale. Come. Volevasi.
Dimostrare.
Divinità emo,
ascoltate la mia supplica! Scendete su di me e deprimetemi all’inverosimile!
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Capitolo 7 *** Feelings ***
Cap 6: Derevan è Malfoy, Harry scopre ulteriori dettagli, e comincia a
sospettare che l’insonnia di Draco dipenda da quello
- Mi sono
sbagliata. – ammise Hermione, non senza una certa riluttanza. – Se avesse
ricevuto il Bacio, non potrebbe ricordarsi di questo Derevan. –
- Il suo ricordo lo
fa soffrire. – obiettò Harry.
- Solo perché
probabilmente prova nostalgia. –
Harry e Ron
annuirono, non avendo nulla con cui ribattere.
Ognuno aveva
reagito a modo suo, all’evolversi della situazione: Hermione sembrava quella
meno turbata. Subito dopo essere stati ricevuti da Silente, era tornata in
biblioteca a fare delle ricerche su questo Derevan, ma come per Marzio, non era
riuscita a trovare niente. L’aveva presa in modo professionale, però, e più che
curarsi di Marzio, era chiaro che ciò che davvero le stava a cuore era Harry:
non era poi così strano, visto che per lei Marzio restava nulla più che un
sogno; anzi, meno di questo, un semplice racconto che usciva dalla bocca di
Harry. Nulla per cui barattare il benessere di uno dei suoi amici più cari.
Ron, invece, la
viveva un po’ più da vicino, visto che con Harry condivideva la stanza, ed
anche il segreto dei suoi sogni, data la sua decisione di tenere tutto nascosto
a Seamus e agli altri. Per lui, Marzio era un pochino più tangibile, e forse
anche per questo si sentiva un po’ più coinvolto. Harry era certo che, senza
nemmeno conoscerlo di persona, lo avesse preso in simpatia.
Harry, dal canto
suo, non si era ancora fatto un’idea precisa di ciò che provava. Era difficile
da spiegare, ma quando aveva letto e pronunciato il nome di Derevan per la
prima volta, gli era sembrato qualcosa di naturale. Proprio come se lo avesse
conosciuto anche lui da duemila anni.
- Ma perché non ti
ha parlato prima di questo Derevan? –
- C’è qualcosa che
gli impedisce di farlo, vero? – indovinò Hermione.
Harry annuì. I
silenzi di Marzio lo avevano fatto infuriare spesso, in passato, e ripensandoci
adesso si sentiva stupido. Come al solito, la sua impazienza lo aveva condotto
sull’orlo di una brutta cantonata.
- E’ la regola. Me
l’ha spiegato lui. –
- La regola? –
- Esiste una regola
secondo la quale non può rivelarmi nulla che io non veda con i miei occhi,
attraverso i suoi ricordi. –
- Wow. – fischiò
Ron. – Così, per capirci qualcosa, ti trovi con altri due Harry attorno. Amico,
io ci perderei la testa. –
Harry ridacchiò, e
gli diede ragione. Era abbastanza paradossale, come situazione, ma raccontarla
era molto più complicato che viverla con i propri occhi. Il Marzio con cui
parlava era vivo, era tangibile, mentre quello che aveva visto incarnare i suoi
ricordi era più distante, proprio come se Harry avesse rivisto sé stessi in un
filmino girato tempo prima. Molto, molto tempo prima.
I tre Grifondoro
finirono di pranzare, ed Hermione pensò bene di guastare l’ultimo boccone di
dolce tirando fuori dalla sua borsa l’orario della giornata.
- Voi due avete
lezione di Erbologia. – ponderò. – Io, invece, vado a seguire Rune Antiche. –
- Rune Antiche! –
gemette Ron, strabuzzando gli occhi. – Ma si può sapere come fai a seguire una
cosa così mortale? –
- E’ interessante.
– ribatté Hermione, piccata.
- Sì, come no. Di
sicuro, su di me avrebbe degli “interessanti” effetti soporiferi. –
- Farebbero invidia
alle pozioni di Piton. – ghignò Harry.
* * *
La lezione di
Erbologia con Tassorosso non stava andando malaccio. Harry doveva ammettere di
nutrire una segreta passione per le performance di Neville, che aveva la
singolare caratteristica di riuscire alla grande nelle estrazioni di pollini e
linfe, se solo riusciva a non farsi mangiare dalla pianta.
Durante il giorno,
cercava di distrarsi quanto più possibile da Marzio; sentiva di averne bisogno,
per conservare un po’ di equilibrio. Ne aveva avuto abbastanza dei periodi bui,
in cui si era lanciato a testa bassa in qualunque avventura lo avesse
coinvolto, con il risultato di farsi prendere puntualmente per pazzo. Stavolta,
aveva i suoi amici vicini, e Silente, e ciò era più che sufficiente. In più,
doveva ottenere dei buoni voti, se voleva sperare d i essere accettato
all’accademia per diventare Auror. E lui voleva, voleva eccome.
- Ahi, dannazione!
– gridò Ron, ritirando di scatto il dito.
- Che è successo? –
- Quella maledetta
pianta mi ho morso! –
- Faccia vedere
qui. – impose la professoressa Sprite, allungando la mano paffuta per esaminare
la mano del ragazzo.
Il dito indice
sanguinava, anche se non troppo copiosamente. Ron, per un momento, la guardò
pieno di speranza, ma il suo fu un passo fatale.
- Su, non mi dirà
che vuole arrendersi per così poco, signor Weasley. – esclamò giovialmente la
professoressa. – Ecco qui, una foglia di dittamo, e potrà tranquillamente
andare a farsi medicare al termine della lezione. –
- Ma… Ma
professoressa. – mugugnò Ron. – Mi fa davvero molto male, mi creda. –
- Ma certo che le
credo, caro. – lo rassicurò lei. – Ma una T sul registro, per non essere
riuscito a ricavare nemmeno un semino piccolo così dalla sua pianta mi pare
molto più doloroso, non crede? -
- Strega. – sibilò
Ron. – Altro che Tassorosso, quella farebbe le scarpe a Piton. –
- Ma dai, dillo,
che ti stavi solo annoiando a morte. –
La lezione si concluse,
fortunatamente, e a quel punto Ron non ebbe più scampo: si era lagnato talmente
tanto con la professoressa Sprite, che fu obbligato ad andare in infermeria a
farsi medicare, altrimenti tutto il palchetto sarebbe miseramente crollato.
Harry si offrì di accompagnarlo, per evitare che fosse la prof in persona a
farlo, e Ron non fece altro che masticare calorosi “ti devo la vita” per tutto
il lungo, lunghissimo tragitto.
- Possiamo entrare,
Madama Chips? –
Si sentirono i
rintocchi dei tacchi tozzi dell’infermiera risuonare dietro il portone di
legno, che un attimo dopo si aprì con un cigolio sostenuto.
- Vi serve
qualcosa, cari? –
- Abbiamo un
ferito. – sorrise Harry, guadagnandosi una gomitata dell’amico, e il ritiro
immediato di tutte le promesse di gratitudine eterna.
Madama Chips
analizzò con un’occhiatina fulminea il dito arrossato di Ron.
- Denterba, eh? –
concluse.
- Maledetta
sterpaglia. – brontolò Ron.
- Su, signor
Weasley, non è il caso di prendersela, non è niente di grave. –
I tre percorsero il
piccolo corridoio che introduceva all’infermeria, scivolando con le scarpe sul
pavimento lustro. I letti occupati erano pochissimi, molto maggiore era il
numero degli studenti che avevano rimediato qualche accidente curabile in un
attimo, e che quindi se ne stavano appollaiati su panche e sedie, in attesa che
la pozione di turno facesse effetto.
Su uno degli
sparuti letti occupati, svettava una testa familiare. Harry se ne accorse prima
di Ron, e si fermò bruscamente davanti alla figura seduta sul materasso, tutta
rannicchiata su sé stessa.
- Hermione? –
chiamò, accennando ad inchinarsi per controllare che fosse davvero lei.
Hermione sollevò piano
la faccia, come se farlo le costasse una fatica tremenda.
Harry arricciò le
labbra.
- Ma cosa ti è
successo? – balbettò, gli occhi sgranati sul volto dell’amica, pieno di
orribili segni. Sembrava che qualcosa le avesse bruciato tutte le guance, ora
giallastre per l’impacco curante che Madama Chips le aveva applicato. Anche Ron
li raggiunse, dimenticandosi completamente del suo dito morsicato; quando la
vide, cacciò un gemito di dolore.
Hermione singhiozzò,
e scosse la testa per non dover parlare.
- Hey, Hermione. –
la incoraggiò Harry, osando posare con estrema delicatezza le mani sulle sue
spalle. – Che cos’è stato? Un incidente? –
Di nuovo un forte
segno di diniego.
- Eri a Rune
Antiche, no? – fece Ron, concitato. – Non puoi esserti fatta quella roba lì, è
impossibile! –
- Hermione, dicci
chi o cosa è stato. –
La poverina tentò
una terza volta di negare, ma le scappò un singulto sonoro.
- Ma… Malfoy. –
disse con un filino di voce.
- Malfoy? – esclamò
Harry. – Malfoy ti ha fatto questo? –
Stavolta, Hermione
annuì, scuotendo i capelli riccioluti.
- Come osa,
vigliacco di un furetto, io lo… -
- Io non lo so
perché. – gemette Hermione di sua spontanea volontà, più per frenare la rabbia
di Ron che per convinzione.
- Ma ti ha
aggredita? Ti ha detto qualcosa? Le andò incontro Harry.
- No. È stato per i
fatti suoi per tutta la lezione, ma all’improvviso si è alzato, e mi ha puntato
contro la bacchetta. Non fatto in tempo a difendermi. –
Harry la abbracciò
per cercare di confortarla. La sentiva piangere discretamente, come se se ne
vergognasse.
- Mi gridava
addosso come un forsennato. – continuò Hermione. – Mi ha messo una paura
tremenda. –
Harry non aveva
idea di cosa dire. Conosceva Malfoy da anni e sapeva che era il tipo da tiri
meschini, certo: ma aggredire Hermione nel bel mezzo di una lezione…
E, oltretutto,
soltanto il giorno prima lo aveva trovato mezzo tramortito dal freddo sotto ad
un albero.
- Hai notato niente
di strano? Non lo so, ha detto qualcosa, fatto qualcosa? -
Lei scosse la
testa. – Balbettava. – spiegò. – Continuava a ripetere “tu, tu, tu”, ma non
capivo che cosa volesse da me. –
- Signor Weasley! –
tuonò all’improvviso una voce, facendo sobbalzare i tre. Nemmeno il tempo di
voltarsi, che Madama Chips aveva afferrato Ron per un braccio, e lo aveva messo
in piedi a viva forza.
- Non stava
morendo, qualche minuto fa? – domandò con aria minacciosa. – Se vuole essere
medicato non può scomparire così. –
Ron si produsse in
qualche scusa mortificata, e fu costretto ad abbandonare Harry ed Hermione per seguire
l’agguerrita infermiera.
Harry si trattenne
con Hermione finché gli fu concesso. Ormai si era fatto pomeriggio inoltrato, e
l’avrebbero dimessa con ogni probabilità il giorno dopo, appena l’unguento
avesse fatto effetto e le scottature fossero completamente scomparse.
Quanto a Malfoy,
Harry giurò che appena gli fosse capitato fra le mani, gli avrebbe cambiato i
connotati a suon di pugni.
* * *
- Sei arrivato
tardi anche questa notte. –
- Scusa. – borbottò
Harry, svogliato. – E’ successa una cosa ad una cara amica, sono rimasto alzato
fino a tardi. –
- Oh. Mi spiace. –
Harry scrollò le
spalle. Non gli andava proprio di parlare di Hermione, specialmente con
qualcuno che nemmeno sapeva chi fosse. – Ebbene? – borbottò per riportare la
questione su un piano che potesse sviare l’attenzione di Marzio.
Marzio si buttò a
sedere sul suo mantello rosso, stirando in avanti le gambe con fare apatico. –
Che cosa c’è, ti annoi a stare qui? –
- Non fare
l’offeso, non è che mi annoio. – sbuffò Harry. – E’ solo che mi sembra di stare
sempre qui fermo, ad aspettare. –
- Tu ed io abbiamo
un concetto molto diverso dell’attesa. – constatò mitemente Marzio. – Quelli
che per te sono giorni, per me sono secoli. –
- Io non li ho i
secoli. – disse precipitosamente Harry, finendo con il risultare brusco. – Mi
dispiace. –
Il Romano si
oscurò, e Harry si sentì tremendamente in colpa. Sapeva di aver detto
esattamente ciò che pensava, ma che diamine, avrebbe potuto mordersi la lingua,
prima di sputarlo in quel modo.
Cominciò a spirare
un venticello lieve, che pure sapeva di linea di divisione fra loro, labile sì,
ma presente, come labile ma vero era stato il loro accenno di litigio.
- Capisco. – disse
infine Marzio, quando il silenzio cominciò a pesare un po’ troppo. – Se vuoi
smetterò di… -
- Oh, dai. – lo
interruppe infastidito Harry. – Ormai dovresti averlo capito che voglio
aiutarti. È che non so che cosa fare. –
- Non c’è niente da
fare. C’è solo da continuare ad aspettare. –
- Mi pare che tu
sia un po’ troppo rassegnato a quest’attesa, eh? – lo rimproverò Harry, che si
piantò davanti a lui con le braccia conserte, proiettando la sua ombra fin
oltre il suo corpo. – Perché invece non infrangi un po’ di regole e non mi dici
qualcosa? Perché non dai il modo di capire un po’ di più in che razza di
pasticcio ti sei cacciato? –
Marzio tirò fuori
un mezzo sorriso.
- Dai, coraggio! –
rincarò Harry. – Fuori la voce! Parliamo di Derevan, parliamo dei cavalli di
ieri, parliamo di come venire fuori da questo vicolo cieco! –
- Harry, ti prego.
–
- Che c’è? Ho detto
qualcosa che non va? –
Marzio fece
ciondolare la testa. – Quel nome. – mormorò. – Non lo dire, per favore. –
- Perché?
Altrimenti che succede? Derevan, Derevan, Derevan, Derevan, De… -
L’onda, questa
volta, lo travolse sottoforma di una scossa elettrica. Harry rimase lì,
impalato, a balbettare le ultime sillabe del nome, prima di crollare. Si
afferrò la testa fra le mani, certo che se la sarebbe sentita scoppiare fra le
mani, e improvvisamente la gola gli si serrò come se avesse avuto un cappio al
collo.
- Ma chi è. – singhiozzò
Harry. – Chi è Derevan. –
Marzio strappò
violentemente dalla terra tutta l’erba che la sua mano riusciva a raccogliere.
– Non posso. Non posso. –
- Maledizione, ti
prego! Io devo vederlo, devo vederlo! Oddio, ti prego, fammelo vedere,
soltanto… -
- … Soltanto una
volta. –
Harry sgranò gli
occhi offuscati dalle lacrime, e guardò Marzio attraverso il velo di nebbia che
gli si era formato davanti. Lo vide stringere forte i pugni, e anche la
mandibola, e cercare con lo sguardo chissà cosa, nella terra rimasta nuda.
- Una volta ancora.
–
- Tu… - spirò.
- Io… -
Un’altra onda, che
rimescolò tutto quanto. Harry provò gioia, e sollievo, una stretta allo
stomaco, e male dappertutto.
- Tu lo ami. Io
riesco a sentirlo. –
Marzio gli concesse
uno sguardo rassegnato. – Davvero ci riesci? – mormorò senza alcun entusiasmo.
- Sì. Sento ogni
cosa. Tu… tu lo ami. Ami Derevan. -
- Più di qualunque
altra cosa nell’universo. -
Harry rivide la sua
conversazione con Silente, e all’improvviso ogni cosa andò al suo posto. Le
regole disumane, il non trovare pace, l’accettare qualsiasi condizione per
avere anche solo una speranza. Bastava che una minima parte del sentimento che
ora gli riempiva il cuore fosse vera, per spiegare tutto.
Attorno a loro, il
paesaggio cominciò ad oscillare violentemente. Era la stessa impressione di
vedere attraverso una lente caleidoscopica che Harry aveva avuto tempo prima.
Si accucciò e serrò gli occhi per non perdere l’equilibrio. Il suolo si
squagliò sotto ai suoi piedi, si sentì scivolare giù, e poi più niente.
- Hey. –
Harry grugnì, e
riaprì gli occhi soltanto quando alla voce che lo richiamava si aggiunge lo
strattonare deciso di una mano. Lo sguardo mise a fuoco con una certa fatica
l’ombra che lo sovrastava, e che aveva tutta l’aria di esser sveglia da
parecchio tempo più di lui.
- Ma cos… Marzio? –
Harry si tirò su a
sedere, frastornato. – Ma come? – indagò. – Siamo ancora dentro al sogno? –
- Certamente. – gli
sorrise lui. – Credevi di esserti svegliato? –
- Uhm. – Harry si
passò una mano fra i capelli, stropicciando alcuni ciuffi. – Sai com’è, ha
cominciato a ballare tutto. –
Marzio gli assestò
una pacca d’incoraggiamento piuttosto robusta, e si ritirò su in piedi.
- Vieni. – disse
soltanto.
Harry era abbastanza
certo di riconoscere quel posto. In realtà non era proprio lo stesso lido del
sogno precedente, ma qualcosa gli diceva che dovesse trovarsi nelle immediate
vicinanze. C’era lo stesso tipo di paesaggio, con le canne che lambivano
l’acqua del mare, la spiaggia con la sabbia grossa e biancastra.
Imitò Marzio, che
si era accucciato dietro ad un cespo fittissimo.
- E’ un tuo
ricordo? – volle sapere.
Ricevette un deciso
segno di assenso.
- Ma allora perché
ce ne stiamo nascosti? Tanto non ci può vedere, no? –
- Shhh. –
Harry, finalmente,
inquadrò una presenza sulla spiaggia. Dava loro le spalle, ma Harry fu sicuro
che non si trattasse dell’altro Marzio. Portava i capelli lunghi fin sotto le
orecchie, tutti scompigliati, e resi color bronzo dai riflessi del sole
nascosto in buona parte dalla sua figura.
Pochi istanti dopo,
il Marzio fittizio sbucò fuori da dietro le loro spalle, facendo mancare il
respiro a Harry. Li superò senza accorgersi di loro, scattò verso il
bagnasciuga, sorprendentemente rapido, e intrappolò con un poderoso abbraccio
la figura voltata di spalle.
- Ti ho preso! –
esultò. – Sei mio prigioniero, ora! –
Il ragazzo cominciò
ad agitarsi come un pazzo, senza riuscire a liberarsi. – No, lascia, lascia! –
gridava fra le risate, con uno strano accento che rimarcava e arrotondava molte
consonanti.
- Mai. – mormorò
Marzio.
- Cosa? –
- Mai. – replicò il
Marzio del ricordo, facendosi serio. – Non ti lascerò mai andare. –
Finalmente allentò
la presa, giusto per permettergli di rigirarsi nel suo abbraccio, e poi lo
sollevò in alto.
- Tu sei mio! – gli
disse, e Harry fu percorso da un violento brivido.
- Ma… ma quello è
Malfoy! – esclamò, allucinato. – Che diamine ci fa Malfoy nel mio… -
Marzio si era
irrigidito, accanto a lui, e teneva gli occhi sbarrati verso Draco, che non
smetteva di ridere assieme alla sua memoria.
Chiaro. Tutto
chiaro.
- E’ lui che
cerchi. – soffiò, incredulo.
- Da duemila anni.
– mormorò Marzio. – Sono duemila anni che non smetto di cercarlo. E se ora
andassi da lui, non potrei nemmeno toccarlo. –
Harry continuò per
un mezzo minuto buono a ciondolare la testa fra Marzio e Malfoy, fino a quando
non gli venne la nausea. A quante migliaia di cose stava pensando, in quel
momento? Marzio cercava Malfoy, Draco Maofy. O meglio, il suo equivalente, ma
questo che cosa cambiava? Era pur sempre Malfoy.
In tutta la nebbia
addensata nella sua testa, soltanto una domanda era davvero chiara. E,
ironicamente, era anche quella che probabilmente sarebbe per sempre rimasta
senza una risposta: com’era possibile? Come potevano essere lui, e Malfoy, e
Marzio? Si chiama destino, questa roba?
- Tu… Malfoy… -
Come lo hai
chiamato? -
- Malfoy. –
biascicò Harry. – Si chiama Malfoy, Draco Malfoy. -
Marzio si voltò
verso di lui talmente di scatto che lo fece sobbalzare all’indietro. – Lo
conosci? – ansimò, con gli occhi che brillavano di luce propria.
- Beh… - prese
tempo Harry, senza sapere come spiegarsi senza combinare un casino. – Lo
conosco, però… Non è che io e lui andiamo molto d’accordo, in realtà. –
- Ma lo conosci! Tu
lo conosci! –
- Sì, ma… -
Harry si rese conto
che il paesaggio davanti a lui stava cominciando a perdere di consistenza. Una
volta tanto, si sentì vigliaccamente sollevato dal fatto che fosse ora di
svegliarsi, anche se il giorno che gli si prospettava davanti non era affatto allettante.
ANGOLINO!
Uff, ma che
capitoli lunghi che sto scrivendo.
Eccoci al giro di
boa. Adesso che abbiamo confermato i nostri sospetti, siamo tutti felici e
contenti, ma vi posso garantire che il bello comincia solo adesso.
Evviva, risposte!
La risposta
pubblica di oggi è per Iul: grazie per avermi segnalato l’errore della
frase ripetuta, ho provveduto a sistemare!
Per la questione
nel numero VIIII, invece, magari può interessare a tutti: no, non è un errore.
Solitamente il 9 si
scrive IX, ma quando si designavano le legioni, le regole erano diverse.
La VIIII legio Hispanica, quella a cui appartiene
Marzio, si scrive proprio così, come anche la IIII legio; e lo stesso vale per i loro multipli. Le altre Legioni invece, se non ricordo male, sono individuate
dai consueti numeri romani. Non sono certa del perché, ma penso possa trattarsi
di una questione di comodità nel segnalarsi il numero di appartenenza in battaglia,
dato che lo si faceva con le dita, e sollevare quattro dita, o fare V più
quattro veniva più semplice.
Hokori: Ciao Chiara, bentornata! Mi sembrava un
nick nuovo, questo, in effetti. Eh sì, queste regole poi verranno fuori pian
piano, con il tempo, vedrai. Anche per la questione Cesare, tempo al tempo! E
per le altre domande… bocca cucita!
Little Star: ma dai, sai che non avevo fatto caso alle
iniziali uguali? Giuro che non è una cosa voluta! Anche perché se no avrei
dovuto dare la stessa cosa per Harry, ma l’unico nome romano con la H che mi venga in mente al momento è Horatius. Direi di no -___-
Tsubychan: ma no, è un moraccione con gli occhi
viola, cosa credi! ^__^
Herm: non preoccuparti, cara, è normale. Baka
vuol dire stupido in giapponese, ed è più o meno il fulcro di ciò che sto
producendo al momento: demenza allo stato puro!
The Fly: ma infatti, poveraccio! Beh ti dirò, per
come l’ho concepito io, si sta bene nel boschetto! Va beh, magari è un attimino
noioso…
Dark: ma come non ti piace la Caramelldansen! O_o è la seconda invenzione del millennio, dopo il cioccolato!
Mokona: applauso per il nick. Macchè scusarti, hai
fatto un riassunto eccellente! Eh, le conoscenze storiche sono più che altro
frutto di passione personale per tutto ciò che viene prima di Cristo; e non da
ultimo, delle massacranti interrogazioni della mia prof del liceo, che al
confronto quelle dell’università mi fanno ridere!
T Jill: o compostissima Vulcan, nonché
corrompitrice di ex anime innocenti! Oh mio dio, le tue definizioni di baka
sono fenomenali, giuro che mi hanno spezzata. No, niente Kamikaze, ma ammetto
che mi sto dando da fare per fondare la tredicesima Casa dello Zodiaco(non mi
permetterei mai di fregare la dimora a Mur), da cui sovrintendere
all’accoppiamento degli altri dodici bei cavalieri. Ehm… comunque, Baka in
giapponese significa stupido, matto, demenziale. Se per puro caso hai buttato
un occhio a “because she said so” ti renderai conto che, nonostante mi dia un
certo contegno, non sono proprio il paradigma della persona seria. Se poi
parliamo di pigmei… lasciamo perdere, la mia altezza non esattamente
grattacielica è un tasto dolente (sindrome di Edward Elric che si fa sentire)
Puciu:hihihi, ma dai, non ti deprimere! Anche con
questo capitolo ti sentirai intelligentissima, scommetto. Vedi sopra, per la
spiegazione di baka. E’ anche un modo di dire loro, che può spaziare ad un
innocuo “scemo” a insulti ben più pesanti!
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Capitolo 8 *** Lakeside ***
Altri sogni, scene del passato Marzio/Derevan
Harry si ridestò
con la testa che girava come se fosse appena sceso da un ottovolante.
Qualche secondo, e
raccattò brandelli di ciò che era successo a sufficienza per fargli rizzare i
capelli, e svegliarlo del tutto. Avvertì attorno a sé il frusciare di numerose
lenzuola, sotto cui i suoi compagni di dormitorio si stavano stiracchiando, a
mò di serpenti pigri. Prima di riuscire a rendersene ragionevolmente conto, era
scattato in piedi, e si era precipitato verso il bagno, come se fosse stato un
rifugio da tutti i mali del mondo.
* * *
Non posso dirlo a
nessuno.
La filastrocca era
cominciata proprio in bagno, mentre, sapone acqua fredda come alleati, Harry si
era risvegliato del tutto.
Hermione, Ron.
Difficilmente avrebbero capito. E al di là di tutto, diamine, era anche il
fatto che lui faceva fatica a capire. Dentro al sogno, guardando Marzio, e quel
Derevan, gli era sembrato di saperlo da sempre, ma alla luce del sole le cose
tornavano ad essere complicate.
Alcune tessere del
mosaico, certo, tornavano al loro posto: se Malfoy si comportava come un
tarantolato, era perché probabilmente anche lui doveva avere delle visioni, e
se tanto dava tanto, era Derevan ad occupare le sue notti.
Ripensando al modo
assurdo in cui si era comportato, Harry realizzò quanto diversa era stata la
loro reazione, ad un medesimo fatto. Lui aveva degli amici, con cui parlare e
da cui sentirsi capito, e a prescindere da loro, non aveva mai preso la
faccenda in modo negativo. Un po’ di tensione, certo, ma alla fine era stata quasi
la forza dell’abitudine a dirgli che cosa fare.
Malfoy, invece,
chissà se lo aveva detto a qualcuno. A voler rivedere l’episodio dell’albero
con il senno di poi, ci si rendeva conto che nel suo atteggiamento, oltre che
il fastidio e la stanchezza, c’era anche molta paura.
Derevan non era
cattivo. Non gli era sembrato cattivo, per quel poco che aveva potuto vederlo.
E allora, perché Malfoy avrebbe dovuto esserne terrorizzato?
Non ne aveva idea,
ma a questo punto, una cosa era sicura: doveva parlare con lui. E vedere un po’
il da farsi. E, nel frattempo, non dire nulla a Ron e a Hermione.
Che mangiavano la
loro colazione in tutta tranquillità, e sembravano non essersi accorti di
niente.
- Allora, nessuna
novità. –
- No, nessuna. –
Harry mentì, e si
sentì pungere dal senso di colpa. Avrebbe voluto scusarsi per ciò che stava
facendo, se solo non fosse risultato mostruosamente sospetto.
- Non c’è fretta. –
disse Hermione, leggera. – Non c’è alcun bisogno di correre. Pian piano la
situazione si sbroglierà da sé, no? –
- Già. –
Ron diede
un’occhiata al piatto di Harry, e aggrottò le sopracciglia.
- Hey, non hai
fame? – disse, limitandosi ad accennare con il mento al piatto praticamente
vuoto dell’amico, dove troneggiava una solitaria, striminzita salsiccia, e una
fetta di pan carrè svogliatamente rosicchiato.
- Come? O no, no,
figurati. È solo che stavo pensando di…. Di cambiare, non mi vanno le salsicce.
Mi passi un uovo sodo, per favore? –
Ron scrollò le
spalle, e gli passò il suo uovo senza farci troppa attenzione.
Harry cominciò a
farlo a brandelli con la forchetta, per fare volume nel piatto, e per dare allo
stesso tempo l’idea di averne mangiato un po’, e mentre torturava con minuzia
l’albume gelatinoso, nella più totale indifferenza, gli scappò uno sguardo
verso il tavolo di Serpeverde.
Malfoy era seduto
al suo posto, ed era intento a spiluccare un biscotto, o un pezzo di pane,
difficile a dirsi. Nemmeno lui era troppo affamato, ma d’altra parte era
talmente magrolino che probabilmente quella era una razione di cibo
assolutamente generosa, per lui.
Non avrebbe mai
trovato l’occasione giusta per parlargli. Che cavolo avrebbe dovuto dirgli?
“Hey, vedi anche tu spiriti latini in pena? Benvenuto nel club!”.
Sì già, come no. E
magari, il passo successivo sarebbe stato diventare amici per la vita.
Divertente, prima o poi avrebbe dovuto raccontarla a Seamus, lo avrebbe fatto
morire dalle risate.
* * *
Alla fine, Harry
decise che la cosa più saggia da fare era sedersi sulla riva del fiume, ed
aspettare. D’accordo è una cosa che si dovrebbe fare con gli avversari, e non
con qualcuno a cui si dovrebbe parlare, ma Malfoy faceva caso a sé.
Il fatto era anche
che Harry non aveva la più pallida idea di come affrontarlo.
Marzio aveva
reagito prendendo praticamente fuoco, e diavolo, lui lo capiva, perché aveva
provato sulla sua pelle che cosa significasse essere disperatamente innamorato
di quel Derevan.
Che però, era
Malfoy.
Cioè, no. Derevan
stava a Malfoy come lui stava a Marzio, ma questo non serviva a rendere le cose
più semplici.
- Harry, allora? Mi
passi la carta delle costellazioni? –
- Ah. Sì, sì,
tieni. –
- E’ un’ora che te
la chiedo, ma dove hai la testa? –
- Sì, scusami
Hermione. Mi ero distratto. –
- Guarda che se
vuoi qualcosa da lui, è meglio che gliela chiedi in latino. – sghignazzò Ron.
- Perché in latino?
–
- No, niente, Sam,
niente. –
- Sai il latino,
Harry? –
- Ma no, figurati.
Torna a studiare. –
- Io lo so, il
latino! Lupus in fabula! Alea iacta est! –
A Harry non venne
per niente da ridere. Per un attimo ebbe la sensazione di trovarsi in un paese
straniero, in cui la gente non facesse altro che snocciolare luoghi comuni.
- Hai sbagliato di
nuovo, Ron. Non lo vedi che hai messo Venere dopo Marte? –
Magari avrebbe
potuto tornare da Silente, e raccontare a lui tutto quanto.
Sì, come no. Si
sarebbe fatto una risata, e gli avrebbe detto “ perché non vai a parlare con il
signor Malfoy, mio caro ragazzo?”. E poi si sarebbe messo al balcone, per
godersi lo spettacolo di lui che si arrovellava a trovare il modo di
avvicinarlo senza far gridare al miracolo mezza Hogwarts.
Certo che
innamorarsi di Malfoy…
Cioè, di Derevan.
Ci voleva un bel
coraggio.
Ma Derevan era
innamorato di Marzio?
Da quello che aveva
potuto vedere, gran poco, e in controluce, si sarebbe detto di sì. Gli era
sembrato illuminarsi di gioia, quando Marzio lo aveva abbracciato. Però Malfoy
era un viscido serpente, e se lo era anche Derevan, allora avrebbe potuto
fingere tutto quanto, per un qualche tornaconto personale.
Harry non se ne
intendeva granché, ma aveva ben chiaro che Marzio fosse una personalità di
tutto rispetto, e a chi non faceva comodo un amante così importante?
Probabilmente era ricco, possedeva terre o chissà cos’altro, e a malincuore
Harry dovette ammettere che, se era allocco la metà di quanto lo era lui,
irretirlo non sarebbe stata poi un’impresa impossibile.
Si grattò la testa
con la punta della piuma, fregandosene delle goccioline d’inchiostro che,
tanto, non si sarebbero viste mai fra i suoi capelli.
Il fatto era che
più cercava di convincersi che Derevan fosse una specie di mostro succhia
sangue, più una fastidiosa sensazione dentro di lui gli diceva che si sbagliava
di grosso.
Quello che aveva
visto su quella spiaggia, era stata la fotografia senza tempo di una gioia di
stare insieme che era vecchia come l’umanità.
Si può fingere così
tanto bene? Se la risposta era sì, allora Harry odiava Derevan con tutto il
cuore, lo odiava molto più di Malfoy, perché quella sì che era autentica perfidia.
Ma se era no, c’erano un paio di cosette da rimettere in discussione.
- Ragazzi, avete
idea di che ore siano? –
- Sì. – Hermione si
chinò verso la borsa dei suoi libri, e ne tirò fuori il suo orologio da polso. Non
indossava mai davanti agli altri, fin dal loro primo anno, ma che teneva sempre
con sé, anche se, ogni volta che si sentiva dare della Mezzosangue, lo
ricacciava sempre più in fondo.
- Sono le quattro e
mezza precise. –
- Bene. –
Harry si alzò in
piedi, e radunò con studiata calma i suoi libri e i suoi appunti.
- Dove te ne vai? –
indagò Ron.
I Serpeverde
dovevano stare terminando il loro allenamento proprio in quel momento, se la
memoria non lo ingannava.
- Vado a fare un
salto giù in biblioteca. – disse allegramente. – Se non sarò di ritorno prima,
ci rivediamo giù per cena. –
- Ma Harry, perché
vai…? -
Harry non diede
ascolto alle proteste flebili dei suoi compagni. Infilò l’uscita, dileguandosi
dietro al ritratto della Signora Grassa che, un momento dopo, si richiuse alle
sue spalle.
Era ora di darsi
una mossa.
* * *
Come aveva
previsto, Malfoy si materializzò all’orizzonte, con il borsone del materiale da
Quidditch che ciondolava dalla spalla destra. Beh, non che ci fosse voluto un
genio di tattica militare: quello era l’unico sentiero che si potesse
ragionevolmente percorrere per tornare dal campo alla scuola, e di Malfoy tutto
si poteva dire, tranne che non fosse una persona pragmatica. Per suo enorme
sollievo, vide che era da solo. Niente scimmioni stupidi con cui dover fare i
conti preliminarmente.
- Hey, Malfoy. –
Malfoy incespicò
sulla stradina ciottolosa, al sentirsi chiamare. Reclinò la testa da un lato,
guardando Harry con aria piuttosto allucinata.
- Potter? –
Praticamente un
chiedere conferma che fosse proprio chi pensava lui fosse.
Harry si diede una
spintarella con le mani e staccò la schiena dal tronco dell’albero dove,
volutissima ironia, aveva trovato Malfoy mezzo morto di freddo non più di qualche
giorno prima.
- Senti, hai un
minuto? –
- Ovviamente no. –
Harry alzò gli
occhi al cielo, coperto da uno strato uniforme di nuvole che sembravano
metallo.
- E’ per una cosa
seria. – disse perentorio. – Mi dedicherai un minuto del tuo tempo, e poi
potrai andartene al diavolo. –
- Ti ringrazio,
Potter. –
Harry fece
spallucce. – Chi sono io per fermarti? –
Harry non aveva
un’idea precisa del perché si fosse incamminato verso il Lago Nero, con Malfoy
al seguito. Voleva un posto dove potessero stare in santa pace, senza sguardi,
e soprattutto orecchie, indiscreti, ma perché proprio il lago?
Quando il suo piede
registrò il brusco cambiamento di appoggio fra il terriccio erboso e croccante
per il ghiaccio, e la consistenza instabile, tutta ciottoli e sabbiolina della
riva, si rese conto del perché, ed ebbe un brivido.
- Senti. – esordì,
come se improvvisamente gli fosse venuta una fretta furiosa di andarsene via da
lì il prima possibile. – Di recente, mi capita spesso di vedere una persona,
nei miei sogni. Una persona identica a me, che chiede il mio aiuto. –
Malfoy sussultò, e
Harry tirò segretamente un sospiro di sollievo. – Ne sai qualcosa anche tu? –
- Non è colpa mia.
– sbottò il Serpeverde, piccato.
- Non sto dicendo
che sia colpa tua. – sospirò Harry, sforzandosi di investire una buona quantità
della sua pazienza in quella conversazione. – Quello che mi interessa sapere è
se per caso sta capitando la stessa cosa anche a te. –
- No. –
Sì, invece, razza
di bugiardo patologico.
- Malfoy. – tentò
di forzarlo gentilmente. – Ti osservo da almeno una settimana, e in questo
periodo non hai fatto altro che comportarti in modo sempre più strano. –
- Tu mi osservi? Ma
come osi, razza di malato! –
Harry lo ignorò.
Nonostante si stesse adoperando, piuttosto bene tra l’altro, per comportarsi
come il solito Malfoy, dava un’impressione troppo forte di essere una specie di
animale in gabbia.
- Malfoy, non mi va
di scherzare. – troncò. – Tu sei strano, e ho ragione di credere che sia per lo
stesso motivo che tormenta me. Non devi erigermi un monumento, devi soltanto
dirmi se ho ragione o no. –
Draco corrucciò le
sopracciglia chiare. Prese a mordicchiarsi la punta della lingua, considerando
chissà che cosa in quella sua testa, mentre Harry gli teneva gli occhi addosso nella
speranza sciocca che potessero essere un’arma in più per convincerlo a parlare.
- Sì. –
Praticamente uno
sbuffo di vapore dalla bocca, che tagliò a malapena la tensione fra i due.
Harry lo sapeva, se l’era aspettata quella risposta, ma in ogni caso
l’impressione fu tanta.
Adesso c’era
qualcosa di grande, di enorme, che lo univa a Draco Malfoy.
- Ok. –
- Ok? Non è ok,
Potter. Forse lo sarà per te, che sei abituato alle stranezze. –
- Hey, sembra che
questa cosa ti faccia una paura matta. –
Vide Draco
ricacciarsi tutto dentro al suo mantello pesante, infagottandosi su come un
bambino. Gli fece persino un po’ di tenerezza.
- Quindi lo vedi
anche tu. – borbottò.
- Beh, non
esattamente. –
Draco strabuzzò gli
occhi, e lo guardò come se lo avesse appena tradito nella cosa più intima e
importante che aveva. Harry rielaborò le proprie parole, e si affrettò a
ritrattare.
- Cioè, non vedo il
tipo che vedi tu. Si chiama Derevan, vero? –
- E tu come lo sai?
–
Harry fece
spallucce. – Io non vedo lui, ma vedo Marzio. –
- Marzio? –
- Già. –
- E chi sarebbe? –
Questa volta, fu il
turno di Harry di strabuzzare gli occhi.
– Ma come… non sai
chi è Marzio? –
Cenno di diniego.
- Perciò tu non sei
riuscito a vedere. –
- Oh, la vuoi
finire di parlare in modo così criptico? Mi hai preso per un Tassorosso o che
altro? Che diamine significherebbe che non ho visto, eh? –
Harry fece per
aprire la bocca, ma il ricordo di Marzio lo folgorò, e lo convinse a
richiuderla di scatto. C’era quella regola. Normalmente, Harry si sarebbe fatto
ben pochi scrupoli ad infrangerla, ma la sua disobbedienza avrebbe anche potuto
significare qualcosa di molto grave, e a lui non andava di giocare con Marzio.
E ancora di meno, di mettere a repentaglio l’incolumità di Malfoy, che poteva
anche essere un furetto detestabile, ma era pur sempre un compagno.
- Senti, io credo
che ci sia solo una cosa da fare. – mormorò, prendendo a calci qualche povero
ciottolo con l’unica colpa di trovarsi sulla sua strada. – Dovresti parlare a
Derevan, e io a Marzio. Devi farti spiegare tutto da lui, dirgli che io vedo
Marzio, e chiedergli che cosa dobbiamo fare ora. –
- Hey, ma dico, sei
impazzito? – sputò Draco, stringendosi ancora di più nel mantello, fino quasi a
sparirci dentro. – Perché dovrei darti una mano con i tuoi assurdi problemi? –
- Perché questo
assurdo problema è anche tuo, Malfoy. –
- E allora lo
risolverò a modo mio. – fece lui, risoluto. – Mi rivolgerò a qualche bravo
esorcista, andrò al San Mungo, se necessario, e farò sparire quella specie di
brutta copia dalla mia testa.
- Non farlo. –
La voce di Harry
suonò troppo perentoria persino alle sue stesse orecchie. Per un attimo gli era
sembrato che fosse stato Marzio a parlare al posto suo.
- Malfoy,
ascoltami, non farlo. È la scelta più sbagliata che tu possa fare. Vuoi davvero
liberarti di lui? Bene, allora digli che conosci me, e che io vedo Marzio, e se
ne andrà da solo. –
- Perché dovrei
dirgli di questo Marzio? –
- Perché sì. –
Sarà stato per la
foga, o per la confusione, o anche per la voglia di vedere la fine del tunnel. Harry
si fermò tutto ad un tratto, e non seppe nemmeno lui perché, mise le mani sulle
spalle di Malfoy e gliele strinse con forza.
- Fidati di me. –
gli disse con un tono quasi ansioso. – Ti prego, fai come ti ho detto. –
Draco non si mosse.
Aveva sussultato, prima, quando Harry gli aveva afferrato le spalle; ma adesso
se ne stava immobile, come a volersi ergere contro di lui.
- Se lo farai, ti
guadagnerai la mia gratitudine, e credimi, non solo la mia. Non devi avere
paura di Derevan, devi soltanto parlare con lui, e stare a sentire cos’ha da
dirti. Puoi farlo, non dire di no. –
- Già. E poi? –
- E poi non lo so,
dovremo vedercela fra di noi. Domattina ci incontreremo, e vedremo cosa fare,
per ora non saprei che altro proporti. –
La riva del lago
svoltò bruscamente verso nord, ma i due ragazzi non la seguirono, imboccando
invece la via verso il ritorno. Per un po’, camminarono nel silenzio, fingendo
di ignorarsi o quasi, di sicuro storditi da tutte le parole che si erano detti,
e del tutto intenzionati a non andare oltre. Quando la sagoma della scuola fu
sufficientemente enorme da pretendere che i sue si dividessero, per non destare
sospetti, Harry strinse le spalle fasciate nel mantello a mò di saluto, ma
Draco lo fermò.
- Dimmi una cosa,
Potter. – aggiunse solamente. – Questo Marzio… è uguale a te come Derevan è
uguale a me? –
Una domanda del
genere faceva un po’ effetto, considerando tutto. Harry annuì, e Malfoy gli
fece eco, e si allontanò, frusciando fra gli altri studenti, diretto chissà
dove.
Doveva sapere un
bel po’ di cose meno di lui, evidentemente. Ma diavolo, se era sveglio.
ANGOLINO
(sconfinato)!
PUBBLICAZIONE IN
ANTICIPO PER FESTEGGIARE!!!
La prof di civiltà
greca ha accettato di seguire la mia tesi (su Alessandro Magno, ovviamente).
Ora, voi non potete capire, quella donna per me è DIO. Vi giuro, mi darei fuoco
se me lo chiedesse. È il mio idolo. Presente le teen ager che si emozionano
quando vedono i Tokio Hotel? Ecco, io mi emoziono quando vedo lei. Che non è
molto sano, mi rendo conto, ma tant’è.
Mi sono prostrata e
l’ho implorata via mail e Ella mi ha accettata (per pietà, probabilmente) come
umile tesista. Le pulirò casa per un anno, le luciderò le scarpe, le porterò a
spasso il cane e le andrò a comprare le sigarette ogni giorno.
Ok, ok,
ricomponiamoci. Mi ero ripromessa di fare un discorso saggio e lo farò, anche
se al momento sono qui che trinco coca cola e cioccolato per festeggiare.
Qualcuno mi insulti, per favore, ho bisogno di sgonfiarmi un po’.
Oggi salto le
risposte, perché volevo spendere due parole a proposito del sondaggio promosso
dal sito, e della situazione generale di EFP. Non me ne vogliate, e lasciatemi
tante belle recensioni in questo capitolo, così al prossimo vi rispondo, promesso
^^.
Come autrice
piuttosto (?!?!) attiva nel sito, mi sembra giusto tenermi informata su ciò che
accade, anche se non ho direttamente a che fare con l’amministrazione. Ora,
immagino che tutti quanti sappiate che è in corso un importante sondaggio, che
terminerà il 29 gennaio. Serve per decidere se permettere le recensioni ai soli
utenti loggati, o meno, e la questione mi pare piuttosto pregnante.
È nato un dibattito
che ha assunto toni spiacevoli, e che ha portato alle dimissioni di tre
validissimi amministratori, stanchi evidentemente di essere attaccati, e di non
veder riconosciuto il loro lavoro.
Che è
preziosissimo, e chiunque si permetta di negarlo se la vedrà personalmente con
me.
Perché, infatti, si
vuole far questo? Per una ragione fondamentale: stroncare le recensioni
offensive o no-sense fatte da anonimi idioti con un senso dell’umorismo
discutibile. E nel caso di persistenza, rendere i suddetti recensori facilmente
rintracciabili e punibili dall’amministratore, oltre che dall’autore stesso.
Per altro, il discorso può essere visto anche in modo meno drammatico: un
recensore potrebbe aver lasciato una recensione poco chiara, o molto
interessante, perciò l’autore vorrebbe poterlo contattare per approfondire, ma
se l’autore è anonimo non è in alcun modo possibile.
La mia personale
esperienza, in fatto di recensioni, è molto positiva: che siano state di
recensori loggati o anonimi, ho sempre ricevuto messaggi rispettosi del
regolamento, e anche nel momento della critica, corretti, con me innanzitutto.
Ho avuto a che fare con pochissimi episodi di palese stupidità, e di questo
ringrazio tutti voi, che vi siete dimostrati dal primo all’ultimo persone
intelligenti e mature, e animate da una passione sincera quanto la mia, e dalla
voglia di scambiarsi impressioni, emozioni, idee.
Vi ringrazio,
davvero, perché contribuite a creare un ambiente sereno e proficuo per tutti, e
auguro di cuore a tutti gli autori di EFP di avere dei lettori come voi.
Mi rendo conto che
non tutti hanno questa fortuna, e che alcuni autori sono perseguitati da
recensioni volgari, insulti pesanti, no-sense, spoiler gratuiti e quant’altro,
tutte rigorosamente anonime, e trovo tutto ciò estremamente triste, perché
davvero, se uno non ha nulla di meglio da fare che entrare in un sito e
insultare senza motivo persone che nemmeno conosce, è meglio che si faccia una
vita.
Tra l’altro, come
autrice ho la simpatica abitudine, che credo sia condivisa anche da altri, di
andare a curiosare nei profili dei miei recensori, specialmente se nuovi: le
vostre presentazioni, le immagini che mettete, i test (vi odio quando li
mettete, perché non resisto, e ci perdo le giornate finchè non riesco a far
uscire il risultato che voglio io), le vostre fic e le vostre preferenze, per
farmi un po’ un’idea di chi siete, e avvicinarmi il più possibile. Sfogliando
un po’ fra le mie fic ho constatato che siete per la maggior parte loggati, e
mi fa molto piacere.
Ad ogni modo, il
messaggio che volevo passarvi, a seguito di tutte queste considerazioni è: VOTATE.
Se non l’avete già fatto, leggetevi le news, fatevi una vostra idea, e votate.
Per una volta che la decisione è lasciata a noi utenti tramite vero e proprio
referendum, è importantissimo rispondere numerosi, e contribuire al
miglioramento del sito.
Bene, adesso che ho
fatto il mio siparietto politico-sociale e il mio ennesimo balletto di trionfo sono
soddisfatta, e posso tornare a versare fiumi di lacrime sulla mia ultima
Gin/Izuru. ç___ç
Mi sono lanciata a
testa bassa nel fandom di Bleach e no, non credo che mi fermerò. Nonostante il
mio stupido scatolone digitale si ostini a cercare di farmi scrivere Beach, che
fa molto Di Caprio -___-.
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Capitolo 9 *** Salix ***
6B_Notte nel sogno di Draco, Derevan gli spiega che l’unico modo è
dormire insieme, e lo implora di farlo
Draco scivolò su
alcuni sassi sdrucciolevoli per la pioggia. Si rimise in piedi, imprecando a
mezza voce per il ginocchio che gli bruciava come se fosse caduto su dei
tizzoni ardenti, ma si decise ad andare avanti, almeno per quella volta.
- Hey, tu! – ringhiò,
rivolgendosi al cielo livido e ferito dai tuoni.
Le gocce d’acqua
continuarono ad abbatterglisi sulla faccia disordinatamente, senza fornirgli
uno straccio di risposta. Ma pioveva maledettamente sempre, in quel posto?
Ridotto peggio di
una spugna, e intirizzito da ogni fiato di vento che gli si accaniva addosso,
Draco proseguì il suo breve cammino superando un muretto diroccato, e giungendo
finalmente ad un dolce avvallamento del terreno da cui sorgeva, unico elemento
di verticalità nello stendersi sconfinato della prateria, un grande salice
piangente.
Era un luogo
pacifico, eppure Draco era teso come una corda di violino, per nulla sedotto da
quel senso di sicurezza fittizio. Sapeva che lo strano ragazzo identico a lui
era sotto quell’albero. Lo aveva sempre trovato lì, a prendersi l’acqua come se
niente fosse, senza provare nemmeno a sfruttare i rami cadenti per un po’ di
riparo. Appena gli si fu avvicinato a sufficienza, lui ripiegò la testa e si
affrettò a rialzarsi da terra. I suoi bizzarri vestiti grondavano fango, ma
sembrava proprio che a lui non importasse un bel niente.
- Sei venuto a
cercarmi? – domandò, a metà fra lo speranzoso e lo spaventato.
- Voglio sapere chi
sei. – lo minacciò Draco.
Derevan si
mordicchiò il labbro inferiore. – Ma io ho cercato di dirtelo. Solo che tu non
mi hai mai voluto ascoltare. –
Draco si prese un
respiro, perché ok, doveva stare calmo.
Vero, vero, non si
poteva dire che fosse mai stato granché carino con lui. Ma andiamo, ti ritrovi
catapultato in un sogno assurdo, e un tizio che pare il tuo riflesso viene a
chiederti aiuto, farfugliando cose a proposito di millenni che se ne sono
andati, di popoli di cui persino la storia si era dimenticata. Chi, a questo
mondo, sarebbe mai stato carino?
Oh, maledizione, a
parte Potter. Potter non fa testo.
- E va bene,
parliamo con calma. – concesse. – Io ti starò a sentire se tu ti deciderai a
spiegarmi perché sei nella mia testa, e chi mi ha trascinato in questo casino.
–
- D’accordo, però,
potresti fare una cosa, prima? – Derevan lo guardò in modo strano, come se
fosse dispiaciuto per lui. – Potresti far smettere questa pioggia, per favore?
–
Draco sgranò gli
occhi. – Cheee? –
- Non riesco a
comunicare con te, finché continui a rovesciarmi addosso montagne d’acqua. –
- Io non rovescio
proprio un bel niente! –
- E invece sì. –
insistette con pazienza Derevan. – Io mi accorgo che tu stai arrivando perché
all’improvviso comincia a piovere, e quando ti risvegli, la pioggia cessa. Che
cos’è che ti fa piovere? –
Draco arretrò di un
passo, e lo fece perché le parole di quel tipo, il suo tono, il suo sguardo, lo
avevano niente meno che terrorizzato.
- Senti, non fa
nulla. – ritrattò Derevan. – Mi prendo la pioggia, non andare via. Mi diresti
come ti chiami? –
- Uhm. Mi chiamo
Draco. –
- Draco. Io mi
chiamo Derevan. Te l’ho detto, no? –
Draco detestò il
non riuscire a trovare alcun tono di rimprovero, nelle sue parole. Ma che
cos’era, un diavolo di Tassorosso?
- Sì, sì, lo so. –
- Bene. Sono felice
di poterti conoscere. –
- Io sarei felice
di sapere che cosa vuoi da me. –
Derevan accarezzò
delicatamente una treccia di foglie che cadevano dai rami del salice. – Vorrei
che tu mi aiutassi a trovare una persona che mi è molto cara. – spiegò con
semplicità.
Draco sussultò.
Quello che gli aveva detto Potter era la verità, ma non era quello il problema
principale. Non sussistevano ragioni valide per dubitare della sincerità di uno
stupido Grifondoro come lui, ma adesso, lui cosa avrebbe dovuto fare? Dirgli
che la pappa era già pronta, farlo patire un po’, scoprire cosa poteva
venirgliene in cambio?
Oh, al diavolo.
La sua priorità
assoluta era quella di levarsi il maledetto ragazzino impiccione dai piedi, no?
- D’accordo.
D’accordo, stammi a sentire. – prese fiato, prima di affondare il colpo di
grazia. – C’è una persona che conosco, e che mi ha parlato di te. Dice di
conoscerti, e di conoscere un certo Marzio, ma io non ho capito quasi nulla di
quello che mi ha detto, perché… -
- Marzio? – lo
interruppe Derevan. – Hai detto Marzio? –
- Uhmpf. Non è lui
quello che cerchi? –
Derevan gli rivolse
uno sguardo talmente limpido che lo spaventò di nuovo.
- Tu non dovresti
vederlo. Non riesci a vederlo, vero? –
- No. Ma c’è
questo… tizio, che ci riesce. Perciò mi ha chiesto di parlare con te, e di
chiederti, non lo so, qualcosa. –
Nell’aria c’era
l’odore forte di erba bagnata e di terriccio che si levava, sbalzato dal cadere
delle gocce di pioggia.
- Riferirai a
questa persona ciò che ti dico? –
- E’ ovvio, no? –
Derevan annuì. –
Allora, potresti chiedergli di riferire a Marzio una cosa? Che l’ho aspettato.
Sempre. Ecco, solo questo. –
Draco si sentì
avvolgere da sentmenti che, strano a dirsi, sembrava avessero a che fare
proprio con elementi come quelli. Improvvisamente quel ragazzo biondo gli parve
meno pericoloso, e meno detestabile. C’era qualcosa di strano nel guardarlo,
come se lui avesse avuto qualcosa che Draco non aveva, nonostante fossero così
identici; qualcosa che Draco non gli invidiava, e non per cattiveria.
- Così, conosci
l’aspetto di Marzio. –
- Beh, l’aspetto di
Potter. –
- Come si chiama? –
Draco prese tempo.
- Harry Potter. –
disse tutto d’un fiato. – E’ quello che vede Marzio. Se loro si assomigliano
come noi, allora è come se l’avessi visto. –
Derevan annuì, e
all’improvviso fece un sorriso furbetto. – Si assomigliano di sicuro. – asserì.
– Ma dimmi un po’, non ti andrebbe di vedere il Marzio quello vero? –
Draco inarcò le
sopracciglia, suo malgrado interessato. – Saresti capace di mostrarmelo? –
- Beh, solo se tu
lo vuoi. –
E così dicendo,
agitò un dito nell’aria piovosa, e subito tutto quanto prese ad ondeggiare,
come se all’improvviso una gigantesca lente d’ingrandimento si fosse frapposta
fra gli occhi di Draco e la realtà.
* * *
Come niente, si
ritrovarono in una macchia boscosa. Draco barcollò un attimo, prima di
ristabilire l’equilibrio e darsi un’occhiata intorno, nella speranza di
orientarsi.
Fatica sprecata.
- Guarda laggiù. –
Derevan indicò
l’orizzonte alla loro destra, dove oltre l’intrigo verdeggiante degli alberi,
si scorgeva una sorta di mole scura.
- Quella è la città
dove sono nato, Venta. È la città principale dell’Icenia. –
- Siamo in Icenia?
–
Derevan inclinò la
testa, sorpreso. – Conosci l’Icenia? –
- Conosco la storia
della mia nazione. – protestò Draco. – So che I’icenia era abitata da
popolazioni celtiche. –
- Oh. E sai anche
che subì un’invasione, da parte di un potentissimo popolo che veniva dal
continente? –
Draco rimase
imbambolato. Non perché non lo sapesse, ma perché ora filava tutto. Decisamente,
quel ragazzo si portava dentro una montagna di cose che lo rendevano ancora più
senza tempo di quanto già non fosse. Eppure tutto se ne restava sotto quella
pelle mite che sembrava non dovesse mutare mai.
- Quindi tu hai
combattuto contro Marzio? –
Derevan gli fece un
sorriso dolce. E non era possibile che qualcuno potesse sorridere di una
domanda del genere.
– Seguimi. – gli
disse, senza dargli una risposta.
Insieme, presero la
via opposta a quella che li avrebbe portati a Venta, inoltrandosi nella
vegetazione robusta. Non pioveva, in quel posto, anzi c’era un certo tepore
piacevole che regalò un po’ di sollievo alle ossa del povero Draco.
Il Serpeverde
giravoltò varie volte su sé stesso, ormai rassegnato a non riconoscere nulla di
familiare, ma deciso ad andare quantomeno in fondo a tutta la faccenda. Non
capitava tutti i giorni di godersi dal vivo un paesaggio morto da duemila anni.
Talmente occupato a
imprimersi nella mente ogni dettaglio, finì per sbattere contro la schiena di
Derevan, che gli si era fermato davanti bruscamente.
- Hey, ma che
diavolo combini! –
- Shhh. –
Derevan fece un
cenno con la testa, verso il tronco di un albero.
Ai piedi del quale
stavano seduti… lui. E Potter.
- Un momento. –
- Non devi
allarmarti. – lo prevenne Derevan. – Quelli siamo io e Marzio. Ti sto mostrando
un mio ricordo, ora, Draco. –
- Eh? Come una
specie di Pensatoio? –
- In qualche modo,
sì. –
Draco tornò a
concentrarsi sui due personaggi seduti. Lui – cioè, Derevan. – teneva in mano
un coltellino, con cui stava riducendo in scaglie la corteccia di un albero,
mentre l’altro, il Potter romano, lo stava ad osservare in silenzio.
- Sei un maestro
con le pozioni. – disse improvvisamente Marzio.
- Questa non è una
pozione. È un infuso contro la febbre. –
- La febbre? –
- Uhm. Alcuni
bambini della mia città si sono malati. Uno è morto. Era piccolo, figlio di un
bravo cacciatore. –
- Oh. Mi spiace. –
Derevan fece un
rapido cenno di diniego. – Da quando camminare su questa terra non è più
sicuro, non è facile andare a cercare erbe. E questo boschetto non potrà durare
per sempre. –
Marzio si mise in
ginocchio, e piantò i pugni per terra per potersi sporgere di più. – E’ colpa
mia, vero? – mormorò.
Derevan smise di
lavorare la corteccia. Posò la ciotola che aveva riempito ai suoi piedi, e si
dedicò solo allora a rispondere all’impaziente romano, come se due azioni così
importanti non si fossero potute svolgere nello stesso momento.
- Non ci sono colpe,
gli uomini combattono per la terra e per il cielo. È così da sempre, e sempre
sarà così. –
- Ma non è giusto.
– protestò Marzio. – Non è giusto che bambini innocenti muoiano senza nemmeno
sapere che cos’è la guerra. Noi non vogliamo farvi del male, Derevan, se tu
convincessi la tua gente ad arrendersi… -
- Questo è escluso.
– lo interruppe l’Iceno. – Il tuo popolo delle aquile non è il solo ad avere un
orgoglio, uomo d’armi. –
Marzio si zittì.
Il rumore della
corteccia che tornava a frantumarsi fra le dita esperte di Derevan faceva da
accompagnamento al frusciare delle foglie, e al cinguettio allegro di qualche
uccello appollaiato su uno dei tanti rami.
- Allora, ti
procurerò io tutte le erbe che servono. – disse il Romano, risoluto. – Non
sarai più costretto ad uscire, ti basterà chiedermi ciò che ti occorre, e io te
ne farò avere dieci volte tanto. –
- Dieci volte. –
sorrise mitemente Derevan.
- Cento volte. –
ribadì Marzio. – Qualsiasi cosa, purché tu non debba rischiare la vita fuori
dalla tua città. –
Derevan sospirò. –
Sono capace di difendermi. –
- No, non è vero.
Tu non avresti il cuore di uccidere un uomo. -
- Non è questo che…
ah! –
Un gesto brusco, e
la lama del coltellino si conficcò nel palmo di Derevan, che la estrasse
frettolosamente dalla ferita, digrignando i denti.
- Fammi vedere. –
- Non è importante.
Sto bene. –
Marzio fece una
strana smorfia di rimprovero, e gli agguantò il braccio con un movimento
sorprendentemente veloce.
- Stai sanguinando.
– borbottò, come se avesse voluto farlo sentire in colpa. – Ecco, ci penso io.
–
- Ma cosa fai, no!
–
Troppo tardi.
Marzio aveva appena strappato a viva forza un lembo considerevole di stoffa
bianca dalla sua tunica.
- Ecco, avvolgi
stretta la ferita, fermerà l’emorragia. –
Derevan lo osservò
in silenzio, concentrato nella delicata operazione di bendaggio. Suo malgrado,
arrossì.
- Ti preoccupi
troppo. –
- Certo che mi
preoccupo. – Marzio gli rivolse un sorriso ampio, e quasi divertito. – Lo sai
che non c’è nulla al mondo di cui mi preoccupi di più, mea spes. –
Derevan si strinse
fra le dita la fasciatura, macchiata del suo sangue che pian piano si
rapprendeva, e si lasciò abbracciare.
- Sei spaventato? –
- No. Non ho mai
paura di niente, quando ci sei tu. –
Marzio gli scompaginò
delicatamente i capelli biondi, e ne baciò una ciocca. – Allora vorrei essere
al tuo fianco sempre. –
- Potresti farmi
prigioniero. –
Marzio inarcò un
sopracciglio. – Di nuovo? –
- Sono stati giorni
felici per me, quelli. Non può esistere prigionia più bella. –
- Se dici così,
finirò con il rapirti davvero un’altra volta. E poi, ai miei soldati spiegherò
che tu sei l’unico barbaro che riesca a scovare, fuori dalle mura di Venta. –
- Barbaro? –
Draco, che fino a
quel momento non aveva praticamente respirato, riuscì a racimolare la forza
solo per ripetere quella misera parola.
- Non lo dice con
disprezzo. – lo giustificò Derevan. – Loro chiamano così chiunque non sia della
loro terra. –
Proprio in quel
momento, dopo alcune frasi che Draco si era perso, Marzio fece voltare Derevan,
ancora nel suo abbraccio, e gli baciò le labbra, in silenzio, immobile.
Draco sbarrò gli
occhi, e si ritrovò soltanto a chiedersi perché lo sapeva già. Perché era come
se avesse sempre saputo che Derevan era innamorato di quel Marzio.
Gli tornò in mente
la conversazione con Potter, e come si era sentito strano insieme a lui; e
anche come aveva aggredito Hermione Granger, il giorno prima. Di quell’episodio
sconnesso, ricordò soprattutto l’immensa, stupida voglia di piangere che lo
aveva assalito.
Il familiare senso
di nausea e di spaesamento di prima lo travolse tutto d’un tratto, ributtandolo
quasi con violenza sotto al salice da cui erano partiti.
- Sei turbato? –
indagò prudentemente Derevan.
E la sua era una
gran bella domanda.
Perché no, non era
turbato. Cioè sì, lo era, dannazione se lo era, ma non perché era Marzio.
Quello era logico, era qualcosa di necessario, ma il fatto era che Marzio
assomigliava a Potter un po’ troppo, per i suoi gusti, anche se non aveva quei
suoi stupidi occhiali, e, insomma, quel suo aspetto sofferente.
- Quel tipo mi
sembra più sveglio di Potter. – disse, tirando un po’ le somme.
- Però. – ridacchiò
Derevan. – Sei uno che non le manda a dire tu, eh? Chissà questo povero Potter,
quanta pazienza. –
- Bah, io detesto
Potter. –
- Lo detesti? – si
stupì Derevan. – Ma dai. È strano che le anime gemelle provino sentimenti
opposti a noi. –
- Lo odieresti
anche tu, se lo conoscessi. È sempre così pateticamente leale, e perfettino, e
buono con tutti, e incorruttibile. Sembra che… -
- … Sembra che il
suo senso della giustizia sia più solido di qualsiasi altra cosa. –
Draco boccheggiò,
mentre Derevan lo osservava di sottecchi. – Ho ragione? –
Draco fece una
specie di smorfia.
- Già. – si rispose
da solo Derevan. – Lui era così. Era l’uomo della giustizia. Ascolta, Draco, mi
rendo conto di chiederti molto. Ma lui mi manca più di quanto mi manchi tutta
la mia vita, e io non potrei mai perdonarmi di perdere quest’occasione. –
- Che cosa vorresti
dire? –
L’Iceno sollevò
lentamente lo sguardo su di lui, timoroso. – Esiste un modo, per permettermi di
rivedere Marzio. Mi aiuteresti? –
ANGOLINO!
Eccomi di ritorno
dalla montagna, yahoo! Con la mia tuta nuova fiammante da perfetta shinigami
(liberi di non crederci: pantaloni neri e giacca bianca, con tanto di stemma
della Terza Compagnia appiccicato sulla schiena, Gin Ichimaru ruuuulez!), mi
sono dedicata all’abbattimento indiscriminato di ignari snowboarder su e giù
per le Dolomiti, con i Within Temptation a fare da colonna sonora. Mi sono
giocata un ginocchio, e mezzo fratello, e ho scoperto perché la nera “muro” si
chiama così, ma sono esperienze…
Ma torniamo a noi!
Allora, ce
l’abbiamo? Chi di voi si è orientato, con il famoso pezzo di stoffa
insanguinato che Harry ritrovò in occasione di uno dei primissimi incontri con
Marzio?
Scommetto che siete
in pochi, ma non vi preoccupate: è quello che vi dicevo sulla piena godibilità
di questa storia.
Nota: Mea Spes significa “mia speranza”. È
un’espressione che a noi può apparire singolare, ma che allora era molto dolce,
un po’ come “amore mio”.
Subito le risposte,
come promesso!
Crissunrise: wawawa, ma grazie! Non ti preoccupare,
adesso Draco entrerà nel pieno ruolo di protagonista nella fic!
Isuzu: con questo capitolo ti si saranno chiarite
un po’ le idee, spero!
Ginny W: ti ringrazio moltissimo, e anche per la
recensione su NA!
Herm: eh, si sa che Draco è un po’ antipatico,
ma per me si lascia andare…
Francesca Akira: mah, e chi lo sa… certo che povera
Herm! XD
Hokori: in realtà Derevan ci riserverà delle
strane sorprese, già da questo capitolo si intuisce che tipo è…
The fly: visto che ti ho accontentata subito?
Puciu: su su, coraggio neuroni, il mistero si
risolverà presto! E anche sulle parti slash, qualcosa bolle in pentola, già da
adesso…
Rodelinda: hihi, quoto in pieno. E ti ringrazio delle
tue parole, mi riempiono di gioia.
Smemorella: ma certo che te la farò leggere. È una
spassosissima tesi sul dionisismo in Alessandro Magno, che altro non è che
un’infima scusa per parlare impunemente di orge gay. Che ti aspettavi da me! XD
Tsubychan: adesso verrà il turno di Harry, intanto
spero che tu ti sia goduta questo Draco un po’ confusetto!
Little star: mah, sarà già innamorato? Lo dirà a
Marzio? E gli elefanti volano? Quesiti complessi e misteriosi… ti dirò, Draco
se non è un po’ acidello non ci piace, meno male che c’è Derevan, che è un
tesorino…
Lady: mia cara, noi andremo d’accordo. Tanto per
cominciare, fila a leggerti “Swords” prima che si saturi di capitoli, perché
sto scrivendo miliardi di cose, perché quando si tratta di bei ragazzotti
shinigami non mi ferma più nessuno. Secondo: dimmi che anche tu sei convinta
che il komos di Persepoli nasconda un qualche rito dionisiaco di purificazione
di Tebe! Prevedo di scriverci chilometri di pagine, e devo assolutamente
convincere tutti i miei prof dell’importanza di tutto ciò per Alessandro!!! Ok,
fine delirio. Uhm, guarda, sui nomi, sia di Marzio che di Derevan, ci saranno
delle delucidazioni in corso d’opera. Comunque ti anticipo che il nome Marzio
l’ho scelto senza un motivo pregnante, in realtà è uno di quelli che
preferisco, volendo evitare Tibullo, Gallo, Arsio compagnia.
Blaise: grazie grazie grazie (no, non si era
capito proprio, ma nemmeno un po’ XD)
melisanna: uhm, trovi? Guarda, potrebbe benissimo
essere, perché sto cercando, come dire, di raggiungere uno stadio un po’ più
profondo della caratterizzazione dei personaggi, perciò è più che probabile che
prenda qualche cantonata con il povero Harry. Ci farò più attenzione, e d’ora
in poi, con l’entrata in scena più costante di Draco, spero che le cose si
equilibrino meglio!
dark: hihihi, ci siamo intese alla perfezione
allora!
Jill:wuhu, e vai con le tesi vergognose, propongo
di fondare un’associazione!
Koorime:non ne parliamo, è il mio timore più grande,
so già che non riuscirò a trattenermi!
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Capitolo 10 *** Pulcherrimus ***
Premessa: questo capitolo contiene riferimenti yaoi/slash più espliciti
che in precedenza
Premessa: questo
capitolo contiene riferimenti yaoi/slash più espliciti che in precedenza. Non
ho ritenuto di dover alzare il rating per essi, ma se lo reputate opportuno,
segnalatemelo.
Harry si agitava
fra le coperte mezze sfatte del suo letto. Per fortuna, Ron aveva il sonno
abbastanza pesante da non lasciarsi disturbare da quisquilie come un amico alle
prese con i suoi strani sogni. La stellata, fuori dalla finestra del
dormitorio, era fulgida, come quelle senza tempo immortalate in poesie e
dipinti da quegli uomini che erano riusciti a staccare lo sguardo dalla terra. Harry
però, con gli occhi chiusi e la faccia soffocata sul cuscino, non poteva
vederla.
- Non va bene. – si
preoccupò Marzio. – Se questo Malfoy non accetta Derevan, lui è completamente
impotente. Non può fare nulla per imporre la sua presenza, è la regola. –
Harry si strinse
nelle spalle, sentendosi un po’ inutile. – Posso solo sperare che mi abbia
ascoltato, quando gli ho detto che deve fidarsi. Ma Malfoy è un testone. –
- Non ci voleva. –
- Mi è sembrato
spaventato. – si sentì in dovere di difenderlo Harry. – Non è difficile da
capire, non credi anche tu? –
- Sì, sì,
d’accordo. – asserì Marzio, un po’ duramente.
- Senti, Derevan è
un tipo aggressivo? No, perché se è solo la metà di Malfoy… –
- Derevan è il
ragazzo più dolce di questo mondo! – si infervorò il Romano. – Tu nemmeno
immagini quanto sia gentile e buono, non farebbe male ad una mosca. –
- Oh. – ritrattò
Harry, alle prese con l’immaginare un Malfoy ineditamente innocuo. – Beh,
allora… che cosa succede, se Malfoy si ostina a cacciarlo? –
Marzio si oscurò. –
Succede che Derevan sarà costretto ad andarsene dai suoi sogni, e mettersi a
cercare qualcun altro. Potrebbero volerci altri secoli prima che riesca a
trovare un’altra anima gemella, e per allora potrei non trovarla io, e così la
spirale non avrebbe più fine. –
Harry si mordicchiò
il labbro inferiore, ciondolando lentamente la testa in segno di assenso. C’era
da immaginarselo, che le cose sarebbero potute andare così, ma in cuor suo non
ne voleva sapere di gettare la spugna in quel modo, dopo aver conosciuto un po’
Marzio. Malfoy o non Malfoy, oramai il desiderio che quei due potessero
ricongiungersi era diventato anche il suo.
- Ok, senti.
Parlerò con Malfoy, e lo convincerò a collaborare con noi. Deve pur avere uno
straccio di cuore da qualche parte, e mi rifiuto di credere che sia così gelido
da restare indifferente alla vostra situazione. –
- Se così fosse? –
- Se così fosse, lo
riempirò di pugni finché non gli tirerò Derevan fuori dalla testa, e te lo
servirò su un piatto d’argento. –
Marzio arricciò il
naso, impressionato. – Dì un po’, non ti piace proprio questo Malfoy, eh? –
- Nemmeno un po’. –
confermò bruscamente Harry. – E’ che si crede chissà chi, e invece è un
rompiscatole spocchioso e arrogante, e non è capace di combinare altro che
guai. –
- E magari ti
straccia con le pozioni. –
- Puoi dirlo forte,
lui e quel suo sorrisetto da “sono il dio dei calderoni”. –
- Senti, come siamo
messi a Ippogrifi? –
- Oh, lascia
perdere, credo che quelle bestie siano allergiche a Draco peggio che un gatto
all’acqua. Perché me lo chiedi? –
Marzio ridacchiò e
fece spallucce, limitandosi ad un: - No, niente. – che sapeva tanto di bugia.
Harry, comunque,
non ebbe modo di indagare oltre.
- Oh oh, mi sa che
ci siamo. – ghignò il romano, appena l’atmosfera cominciò ad addensarsi e a
sfocarsi.
I due furono
sbalzati nel bel mezzo di un prato sterminato del tutto simile a quello che
circondava il bosco in cui Harry incontrava Marzio. L’erba era più scura, però,
per via del sole al tramonto, e aguzzando un po’ la vista Harry si accorse che
proprio monotono non era, perché poco lontano da loro sorgeva una sorta di
capanna di legno che assomigliava vagamente ad un magazzino per gli attrezzi; e
a non più di un chilometro di distanza, verso ovest, ben visibile nell’aria
tersa, sorgeva una cinta alta e nera, fatta di grossi tronchi ben scortecciati.
- Quella è Venta? È
la stessa città che abbiamo visto tempo fa? – provò ad indovinare Harry.
Ma Marzio non lo
stava ascoltando. Il suo ghigno si era volatilizzato immediatamente giunti in
quel luogo, e tutta la sua attenzione adesso era concentrata sulla casupola di
legno.
- Hey, va tutto
bene? –
Il Romano si
riscosse, e si affrettò ad annuire, per altro senza nessuna convinzione. Quando
si incamminò verso il capanno Harry lo seguì, ma lui si fermò subito, e lo
guardò in modo strano.
- Forse è meglio
che tu… - disse con voce rotta, interrompendosi quasi subito e riprendendo a camminare,
come se improvvisamente non gli fosse importato più di niente.
Harry gli si rimise
alle calcagna, confuso dal suo strano comportamento, e anche un po’ spaventato.
Giunti a pochi passi dalla piccola costruzione, Harry scorse qualcosa muoversi
oltre l’angolo formato dalle assi di legno che ne formavano le deboli pareti.
Si affacciò, e ci
mancò poco che finisse con il sedere per terra dallo stupore e dallo sgomento.
Legati ad un ceppo
piantato frettolosamente nel terriccio morbido, c’erano due cavalli, I due
cavalli, quelli apparsi più volte nei suoi sogni, interrompendoli sul più
bello.
- Ma questi… -
Marzio lo seguì con
lo sguardo assorto. – Oh, eccoli. – mormorò.
Si fece avanti
pigramente, mentre le due cavalcature non si accorgevano né di lui né di Harry.
- Questo è di
Derevan. – spiegò, con una punta di tenerezza, accennando con il capo all’
unicorno dal manto di uno scintillante colore cangiante che pasceva tranquillo.
– E’ un animale magnifico. Si chiama Shay, nella lingua di derevan significa
“dono”. –
- Non sapevo che
gli unicorni si potessero addomesticare. –
- Derevan è l’unica
persona che io abbia mai conosciuto, a montare un unicorno. E Shay non si
lasciava toccare da nessun altro all’infuori di lui. Con lui era dolcissimo e
premuroso, tra loro c’era un’alchimia speciale, e se tutto ciò che si dice
sugli unicorni risponde a verità, allora Derevan era sul serio un’anima baciata
dagli dèi. –
Harry annuì. Lui
non sapeva troppe cose sugli unicorni, ma si ricordava bene tutti quelli che
aveva visto, anche di quello morto del primo anno, perché quello spettacolo gli
aveva straziato il cuore come poche altre cose.
- Quindi questo è
il tuo? – domandò indicando l’altro cavallo, messo quasi esattamente di profilo
rispetto a loro.
- Esatto. È il mio
splendido stallone. – rispose Marzio con un certo orgoglio nella voce. –
Fulgor, il lampo. Ah, quante corse a perdifiato, su e giù per le colline fuori
Roma. –
Appena pronunciato
il suo nome, l’animale sollevò il muso e diede una decisa scossa al crine nero,
come se fosse riuscito a sentire la voce del suo padrone. Per un momento,
Marzio sembrò sul punto di commuoversi.
- Senti. – disse
sottovoce. – Io vado dentro. –
- Vengo anch’io. –
Sul viso squadrato
di Marzio apparve un’ombra preoccupata, ma il Romano non disse niente,
limitandosi ad incamminarsi lentamente vero il lato opposto della capanna,
dov’era la porta.
Raggiunsero insieme
l’entrata, e la varcarono. Senza nemmeno sapere perché, Harry lo fece in punta
di piedi, in una sorta di silenzio rispettoso di chissà che cosa.
Si trovò davanti
un’unica stanza, e immediatamente superato l’uscio, c’erano dei gradini di
legno, costruiti grossolanamente con delle assi inchiodate e legate fra loro.
Si scendeva di pochi scalini, poi si apriva una sorta di lungo ballatoio che
correva lungo le altre tre pareti della casupola, e di nuovo giù, per un’altra
manciata di passi. Mentre, tutt’attorno al ballatoio, stavano appesi alle
pareti delle corde, pale, e altri strumenti da lavoro, sul pavimento formato da
assi irregolari c’erano sacchi pieni di paglia, alcune coperte e alcune ciotole
di legno e di argilla.
E c’erano Marzio, e
Derevan.
Harry deglutì
rumorosamente.
Marzio stava
spogliando lentamente l’Iceno, con gesti misurati e infinitamente attenti.
- Pulcherrimus es
tu. – Mormorò, vagando con occhi persi sulla sua pelle cerulea, e lasciandosi
investire dal suo profumo che saliva tenue ed inebriante dalle sue spalle, dal
petto e dalle braccia.
Derevan respirava a
fatica, incapace di pronunciare anche solo una parola. Improvvisamente, si
voltò verso di lui e chiese le sue labbra, sfiorandole con le dita fino ad
attirarle contro le sue, in un bacio che ingoiava lacrime che nessuno dei due
riusciva a versare.
Non c’era tempo,
ora, non era il momento. Scesero sulle ginocchia, stretti e tremanti entrambi.
Derevan si morse
l’interno della guancia, mentre schiudeva le gambe esitando, e sentiva i
fianchi dell’amante farsi spazio fra esse.
- Io non… -
- Lo so. Farò
piano.
- Ho paura. –
Marzio gli
accarezzò teneramente un ciuffo di capelli che gli scendeva quasi fino al
mento, rapito dall’innocenza della sua sincerità. - Shhh, va tutto bene. – lo
rassicurò.
- Non sei tu a
farmi paura. – insistette Derevan. – E’ tutto ciò che ci circonda. –
- Non devi
pensarci. In questo momento solo queste pareti spoglie conoscono il nostro
segreto. –
Marzio parlava ad
occhi chiusi, strusciando il suo viso su quello di Derevan; ondeggiava
delicatamente sopra di lui, lambendo ogni volta le sue labbra e baciandole
piano, con una devozione inesplicabile.
Gli posò un bacio
sulla guancia, prima che la sua bocca si contraesse in un sospiro. Derevan
trattenne solo in parte una smorfia di dolore, ma la dissimulò premendo il
volto sul suo torace. Marzio lo allontanò, e non c’erano dubbi che volesse
vederlo in viso e sapere ogni cosa delle sue sensazioni. I suoi occhi erano
resi acquosi dal piacere che il suo corpo provava, ma anche dolci
dall’apprensione per il suo amante.
Si sistemò
delicatamente in modo da poter controllare ogni movimento e renderlo il più
delicato possibile. Derevan lo lasciò fare, e lo implorò di continuare.
Gli strinse le mani
sul petto, incurvò il bacino, fremette, lo guardò; sembrava che non gli
importasse nulla del dolore, lui voleva essere suo, voleva solo poterlo amare
come il suo cuore gli chiedeva di farlo, così totalmente da far sparire ogni
altra cosa e lasciarli soli, lì, nel bel mezzo del nulla.
Harry indietreggiò
verso la scala. Non sapeva nemmeno cosa provare, se orrore, o paura, o disperazione.
C’era qualcosa che gli pizzicava lo stomaco, si sentiva l’addome informicolito
e, soprattutto, la testa gli girava come una trottola impazzita.
- Ti dispiace se
rimango qui. – soffiò Marzio, senza nemmeno voltarsi verso di lui. – Soltanto per
un momento. –
Harry non gli
rispose. Risalì le scale correndo, proprio mente Marzio cominciava ad ansimare
un po’ più forte.
Quando si fu
richiuso la porticina di legno, continuò a correre verso l’aperta prateria,
finchè non ebbe più fiato.
I sospiri e i
gemiti dei due amanti gli rombavano ancora nelle orecchie e nonostante se ne
fosse allontanato, era come se non riuscisse a mettere fra di loro una distanza
sufficiente.
Capiva Marzio,
davvero, e non lo giudicava, però non avrebbe retto oltre a quello spettacolo
surreale, e spaventosamente, spaventosamente giusto.
Aveva provato
qualcosa, guardando quei due fare…
Qualcosa di cui non
voleva sapere niente.
Si era sentito
voyeur di un momento estremamente intimo che non avrebbe dovuto riguardarlo, ma
una voce in lui gli aveva dato il diritto di vedere e di sapere, e anche di
provare quel qualcosa che aveva guastato. Era di nuovo l’amore di Marzio che lo
invadeva, anche se adesso Derevan aveva una faccia, una faccia sbagliatissima,
e così inedita e dolce con lui.
Camminò ancora un
po’, passeggiando in tondo nelle vicinanze della casupola, senza poter fare
altro che aspettare che Marzio uscisse di lì. Si rese conto che il giorno dopo
avrebbe dovuto affrontare Draco, parlare con lui. Rabbrividì, terrorizzato
all’idea di non sapere che cosa gli avrebbe raccontato, con quelle immagini
negli occhi.
Lui non era Marzio,
e Malfoy non era Derevan, e ciò che era accaduto fra di loro non li riguardava.
Però…
Però.
Dio, com’era
diventato tutto complicato. Lui ci avrebbe anche provato, a dire a quel Romano
che senti, le cose si stanno facendo decisamente troppo strane, ma si
conosceva, non sarebbe mai riuscito a tirarsi indietro, dopo che lui gli aveva
aperto tutto il suo mondo.
Però Malfoy aveva
ragione, essere dei Grifondoro era più una grana che un vanto.
Girò attorno alla
capanna per quella che doveva essere la quinta volta ormai, quando finalmente
si decise a fermarsi sul retro, dove sostavano i due cavalli lasciati a
pascolare nei dintorni. Si accorse di essersi sbagliato circa i paramenti dei
due destrieri: quello di Marzio era legato, mentre l’unicorno di Derevan era
libero. Non aveva sella né redini, e del resto c’era da chiedersi se un animale
del genere avrebbe mai sopportato di essere imbrigliato e imbacuccato come un
ronzino qualunque.
Il cavallo di
Marzio, in confronto a Shay, era un vero gigante. Lui sì che era legato ad una
corda, ma il nodo era talmente molle, e il palo piantato in modo così
superficiale che sarebbe bastato uno strattone nemmeno troppo deciso per
liberarsi.
Evidentemente,
entrambi i cavalieri sapevano che le loro cavalcature non li avrebbero
abbandonati. È sempre una bella cosa la fiducia, anche quando si tratta di
cavalli.
Fulgor, o come
diamine si chiamava, era un po’ più tranquillo del suo compagno. Shay di tanto
in tanto batteva con forza lo zoccolo sul terreno, producendo un tonfo attutito
contro il terriccio morbido. Fulgor lo guardava in modo straordinariamente
vivido, come avrebbe fatto un essere umano. Era persino buffo il modo in cui
sembrava volerlo rimproverare. Shay allora si innervosiva, piccato per
quell’atteggiamento autoritario nei suoi confronti, e scalciava più forte,
sbuffando per dispetto. Il cavallo si sollevava sulle zampe posteriori per far
valere la sua stazza, e allora l’unicorno scuoteva pigramente la sua
incredibile criniera, trapuntata di stelle anche in pieno giorno, e i due
finivano con lo studiarsi ancora per un po’, per poi ignorarsi alcuni minuti, e
ricominciare tutto daccapo.
Facevano un po’
ridere, in effetti.
- Harry. –
Per un momento,
ebbe l’impressione che fosse stato l’unicorno a chiamarlo.
Marzio lo sorprese
alle spalle. Aveva un aspetto piuttosto scosso, e se ne stava chiuso nel suo
mantello rosso come se avesse avuto addosso tutto il freddo del mondo.
- Mi dispiace. –
disse soltanto. Si stava scusando per tutto, per averlo lasciato entrare in
quel posto in primis, e per essere rimasto dentro dopo, ritagliandosi qualche
minuto di egoistica e disperata contemplazione della sua stessa memoria,
dimentico di Harry per quel poco che poté.
- Non fa nulla. –
Marzio annuì fra
sé, tenendo gli occhi bassi. – Mi sono comportato in modo infantile. – cercò di
insistere, palesemente per tornare su un argomento che sapeva benissimo essere
imbarazzante per Harry, ma di cui lui aveva bisogno di parlare, dopo secoli e
secoli di silenzio. Anche per questo si era scusato, poco prima.
- Posso capirti. –
- Davvero? –
- Ma certo. Credo
che mi comporterei così anche io, se potessi rivivere qualcosa di bello con chi
amo, anche se… -
- Anche se è
un’illusione. –
Harry reclinò la
testa, osservando i due cavalli che si litigavano una zolla di terra che
entrambi reputavano particolarmente appetitosa.
- Facevano sempre
così? – indagò, giusto per cambiare discorso.
Marzio si strinse
nelle spalle, con divertita rassegnazione. – Più o meno. Una volta, ricordo che
Shay cercò di rubare delle mele a Fulgor, e Fulgor gli cacciò una musata che
per poco non lo mandò a sbattere contro un albero. E quel piccolo demonio reagì
caricandolo a testa bassa. Se Derevan non fosse intervenuto a separarli si
sarebbero ammazzati di sicuro. –
- Derevan? –
- Già. Ha un ottimo
ascendente sugli animali. Tranne che sugli Ippogrifi. –
- E perché? –
- Oh, non me lo
chiedere. Non ho idea del perché, ma era terrorizzato dagli Ippogrifi. Se ne
vedeva uno prendeva a strillare come un pazzo, e correva a nascondersi il più
lontano possibile. –
- Ma non mi dire. –
sghignazzò Harry.
In quel momento,
Shay sollevò la testa, guardando dritto verso di loro. Harry arretrò di un
passo, impressionato dalla forza dello sguardo dell’unicorno, e dalla sua
limpidezza perfetta.
Fulgor lo imitò, un
po’ meno convinto. Marzio si limitò a rimanersene lì fermo, consapevole più di
Harry che i due destrieri potevano forse avvertirli nell’atmosfera, ma di certo
non vederli.
- Shay è un animale
molto intelligente. – aggiunse riprendendo il suo discorso. - Ma non è troppo
gentile con chiunque non sia Derevan. E Fulgor è buono, ma è un tantino
orgoglioso, e se perde la pazienza sono guai. Potrebbero essere buoni amici, e
invece si fanno i dispetti come due monelli. –
- Tu e Derevan,
invece? Non eravate diversi? –
Il Romano fece un
gesto incomprensibile con la mano, come se avesse voluto scacciare via qualcosa.
Si buttò a sedere sull’erba fresca con un tonfo, stiracchiandosi.
- Io e Derevan
eravamo molto diversi. – spiegò a mezza voce. – Ma vedi, ci sono delle
differenze che sono delle occasioni, e ti rendono più ricco. Derevan mi ha dato
moltissimo proprio perché vedeva il mondo in una maniera completamente diversa
da come lo vedevo io. –
- Ma questo non vi
portava a scontrarvi? – volle sapere Harry, un po’ scettico.
- Qualche volta sì.
– asserì Marzio. – Quando si trattava di orgoglio, nessuno dei due voleva mai
cedere. Ma era bello così, io amavo vederlo infiammarsi per ciò in cui credeva,
e darmi addosso perché secondo lui io non ero altro che un’aquila ottusa. –
Raccolse un filo
d’erba verde brillante, e prese ad accarezzarne delicatamente lo stelo, sul
recto e sul verso, facendoselo scorrere fra il pollice e l’indice.
- Comunque, Derevan
era un ragazzo dolcissimo. Lui amava qualsiasi cosa abitasse questa terra, e
non sapeva nemmeno che cosa significassero il tradimento, l’odio, e sentimenti
del genere. Certe volte, quando potevamo dormire insieme, mi si rannicchiava
fra le braccia e mi diceva che gli facevo paura, perché io conoscevo queste
cose tremende. Diceva che per questo io ero più freddo, ma anche più saggio,
perché un veleno lo si riconosce soltanto se lo si è assunto almeno una volta.
–
- E tu? Ti sentivi
più freddo, rispetto a lui? –
Marzio sorrise
amaramente fino quasi a ridere, e fra accenni di singulti disse: - Io mi
sentivo un mostro, rispetto a lui. Con le mie mani, avevo ucciso uomini, e
fatto soffrire vedove e orfani condannandoli alla schiavitù. Lui, con le sue,
curava le malattie e le ferite, e dava conforto a chiunque ne avesse avuto
bisogno. Guarì anche me innumerevoli volte, e nonostante andassi a combattere
la sua gente, mi aspettava con le lacrime agli occhi, e piangeva su ogni mia
ferita come se fossero state sue. In quei momenti, lui metteva il suo cuore di
cristallo fra le mie mani di fango, e io mi appellavo agli dèi perché
purificassero il mio cuore e mi rendessero degno di lui. Non sono altro che un
soldato, eppure lui mi ha dato tutto sé stesso, la sua anima di fanciullo e il
suo corpo incantato, la sua pelle, e i suoi baci, e tante altre cose ancora. –
- Merlino, lo amavi
come un… - Harry non seppe nemmeno come terminare la sua frase, tanto era
difficile cercare una definizione adeguata.
- Come un pazzo,
vero? – lo aiutò Marzio.
- Come un pazzo. –
- Già. –
Marzio si rimise in
piedi di scatto, e quando Harry tentò di imitarlo, confuso, il paesaggio
attorno a loro prese a vorticare.
- Harry, ho solo un
modo per poterlo rivedere, uno soltanto. – disse, sovrastando a fatica uno
strano vento irreale che mugghiava da ogni direzione verso di loro. – Ma mi
occorre il tuo aiuto. –
ANGOLINO!
Uff, festeggiamo la
fine della sessione di esami! Non ci crederete mai, ma l’ultimo l’ho passato
discorrendo di fanfictions. Biblioteconomia, si parlava di plagio e copywrigth,
e sapete come vanno queste cose, una frase tira l’altra…
Mi sono eroicamente
astenuta dallo specificare al prof che scrivo storie yaoi. A un certo punto ci
ho pure pensato, ma mi è sembrato più saggio evitare di dire qualcosa che
avrebbe potuto usare contro di me al momento del voto.
Nota: Pulcherrimus es tu, significa “sei
bellissimo” o “sei splendido”. Quel tu funziona un po’ come in italiano.
Potrebbe essere omesso, e per questo la sua presenza rimarca la forza della
frase. Tu, proprio tu, sei bellissimo.
Inoltre, ve ne
siate accorti o meno, Marzio nei suoi discorsi salta continuamente dal tempo
passato al presente. Non è un errore o una svista, è del tutto voluto, per
cercare di sottolineare la confusione che lui stesso vive, fra ciò che era e
ciò che è, fra il fatto che Derevan sia un ricordo, ma sia anche tangibile.
Dunque, oggi invece
che rispondere a ciascuno ho deciso di dedicare questo spazio a delle
delucidazioni generali su domande che sono ricorse. Spero che possa esservi
utile!
Innanzitutto, la
questione Draco/Derevan nel sogno. In realtà Derevan non gli mostra ciò che
vuole, non può farlo. Come avrete avuto modo di capire, Marzio e Derevan
“sentono” quando un ricordo sta per materializzarsi, ma nessuno dei due è in
grado di prevedere quale sarà. Rileggendo il capitolo mi sono resa conto
dell’ambiguità delle parole di Derevan. Non intendeva dire che se Draco vuole,
lui gli mostrerà un ricordo preciso, ma che dipende dalla sua volontà il vedere
un qualsiasi ricordo. Se Draco si chiude, come Marzio spiega in questo
capitolo, Derevan non può fare nulla, incluso mostrargli i suoi ricordi. Tenete
presente che più avanti, a queste considerazione si aggiungerà un altro
tassello, che per ora non vi svelo.
Secondo, la benda
insanguinata. Come mai viene data a Derevan per fasciare la ferita, ma poi
compare nel sogno di Marzio? Non è perché lui l’abbia conservata, ma
semplicemente perché un sogno è un sogno, un affastellarsi di ricordi e
desideri, per cui la benda rappresenta Derevan, e il gesto premuroso che Marzio
compì in quell’occasione. Inoltre, in questo modo si crea una rete di richiami
fra i sogni di Draco e Harry. Prendete la storia degli Ippogrifi. Riguarda
Derevan/Draco, ma solo Harry lo sa! È tutto un incastrarsi di elementi che,
spiegati così, farebbero venire il mal di testa.
Poi, e qui vi
volevo, però lo ha notato solo Dark: vi siete accorti che Draco, proprio
l’arrogante Draco che discrimina chiunque non sia come lui, è rimasto
allucinato per quel “barbaro” detto a Derevan? Per forza: Derevan è un po’ sé
stesso, e si sa che chi discrimina non tollera di essere discriminato. Chissà
che non gli serva di lezione…
Infine: il “mondo”,
come ormai lo avete ribattezzato, dove Draco e Derevan, e Marzio e Harry si
incontrano. È proprio come dice Synoa, è una sorta di terra franca nel sogno,
dove Marzio e Derevan hanno alcuni poteri, come appunto quello di mostrare dei
ricordi, ma dove Draco e Harry conservano la loro influenza, trattandosi pur
sempre dei loro sogni. È un mondo ancora avvolto nel mistero, comunque, e tale
rimarrà per un po’!
Ecco qui, spero di
aver fatto un po’ di chiarezza su ciò che potevo chiarirvi. Grazie per tutte le
vostre recensioni, e mi raccomando, se avete dubbi non esitate a chiedere. Se
non ho risposto a qualcosa, naturalmente, è perché vi voglio male e desidero
che continuiate a soffrire, perciò rassegnatevi! ^___^
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Capitolo 11 *** Castra ***
Cap 6c Draco ed Harry si raccontano alcune cose, facendo un po’ di
chiarezza
Alle otto in
punto, dietro la serra numero tre.
Vedi di non
mancare.
D.M.
Harry quasi non ci
poteva credere, che Malfoy si fosse scomodato a fare la prima mossa. L’unica
lezione che avevano seguito insieme quel giorno era stata quella di
Incantesimi, e appena il bigliettino, frettolosamente piegato a farfalla, si
era posato sul suo banco, Harry aveva subito pensato ad un errore.
Non gli aveva
risposto per iscritto. Aveva fatto un cenno di assenso guardandolo con la coda
dell’occhio, e aveva visto che Malfoy si rimetteva tranquillo al lavoro sul suo
bicchiere d’acqua da congelare.
- Iberno! – esclamò
anche lui, imitando il resto della classe, e ottenendo una discreta crosticina
superficiale che non era affatto male, come primo esito.
Spiò Draco, e vide
che lui era riuscito a congelare quasi metà del bicchiere.
Accidenti.
Hermione aveva congelato
alla perfezione il suo, ma non c’entrava niente. Prima di tutto, perché
Hermione era Hermione, e nessuno con un po’ di sale in zucca si sarebbe mai
messo in competizione con lei. Secondo, perché era una sfida fra lui e Draco.
Marzio gli aveva detto che anche Derevan stracciava lui con le pozioni, perciò
d’accordo, passi, ma questo non era un buon motivo per farsi pestare i piedi
anche in tutte le altre materie.
- Iberno! -
Ottenne poco più di
prima, mentre Draco era migliorato di almeno due dita. Ma quanto veloce
imparava, quello?
- Iberno! -
Neville Paciock
diede una specie di rantolo, e un momento dopo il suo bicchiere esplose per la
pressione del ghiaccio, mandando schegge di vetro in ogni direzione.
Harry abbassò la
testa d’istinto, e per poco con finì a sbattere contro quella di Ron, che lo
aveva preceduto. Dall’improvvisato rifugio sotto al banco, vide Draco Malfoy,
che era seduto esattamente nel posto parallelo a quello di Neville, sull’altra
fila, vacillare, e poi cadere all’indietro con un gemito.
- Malfoy! – gridò,
catapultandosi fuori dal suo posto per raggiungerlo. – Sei ferito, stai bene? -
Draco gli scoccò
un’occhiata sconvolta, resa ancora più grottesca dal rigagnolo di sangue che
gli colava giù dal sopracciglio destro. Nel silenzio che calò sull’aula, Harry
si rese conto di cosa aveva fatto, e degli sguardi allucinati dei suoi
compagni, tutti puntati su di lui.
- Che cosa stai
facendo, Potter. – sibilò, ma nel farlo contrasse inavvertitamente la fronte, e
un fiotto di sangue gli colò sull’occhio accecandolo.
- Sei ferito. – fu
l’unica risposta che Harry riuscì a formulare.
Grazie al cielo,
Vitious smosse l’aria, raggiungendo l’alunno ed esaminandolo rapidamente.
- Niente di grave,
è solo un graffio. – constatò. – Vada in infermeria a farsi medicare. –
Draco obbedì.
Ignorò Pansy Parkinson, che si era entusiasticamente offerta di accompagnarlo,
e infilò la porta tenendo una mano premuta sul taglio.
Harry invece
ritornò al suo posto, con ancora gli occhi di tutti addosso. Quello di Ron e
Quello di Hermione, nella fattispecie.
- Wow, ma che ti
salta in testa! –
- Stai zitto, Ron,
ha soltanto aiutato un compagno che si era fatto male! -
- Ma è Malfoy! -
A quello, nemmeno
Hermione ebbe nulla da controbattere. Cercò di interrogare Harry con lo
sguardo, ma lui si sottrasse impacciatamente, sforzandosi di riprendere
l’esercizio come nulla fosse. Per fortuna che aveva stracciato il biglietto di
Malfoy e se l’era ficcato in tasca prima che qualcuno potesse vederlo.
* * *
Draco si presentò
puntualissimo. Harry notò il cerotto applicato sulla fronte, che gli conferiva
un aspetto ancora più immusonito del solito. Sorrise, però: tutto sommato,
faceva tenerezza.
- Non ho intenzione
di perdere troppo tempo qui. – puntualizzò. – Perciò sputa il rospo. -
Harry cacciò un
sospiro, e si disse che Marzio era un uomo fortunato, ad avere a che fare con
la versione gemello buono di Malfoy.
- Hai parlato con
Derevan? -
- Certo che sì. -
- Ebbene? -
Draco arricciò il
naso. – Aveva dei gusti pessimi. – fu la lapidaria risposta.
A Harry scappò una
risatina, nonostante il commento di Malfoy fosse una palese frecciata in sua
direzione. Se non altro, se Derevan gli aveva parlato di lui e Marzio, voleva
dire che avevano raggiunto un livello sufficiente di confidenza. Era un
notevole passo avanti, considerando che fino al giorno prima Draco voleva farsi
ricoverare al San Mungo. Certo che bisognava essere seriamente disperati, per
fare di Malfoy il proprio confidente.
- D’accordo, e
oltre ad avere gusti pessimi? -
- Posso dirti una
cosa, in tutta franchezza? –
Si informò Draco.
Domanda retorica.
- Quel Derevan non
lo so. È che è mi sembra un po’ troppo perfettino. Credo che lo chiamerò San
Derevan. –
- Non mi dire che
ho un concorrente. –
- Sei nei guai fino
al collo, Potter. Lo sapevi che è anche un geniaccio con le pozioni? –
- Beh, scommetto
che è perché non aveva un insegnante come Piton. –
- E’ perché è più
intelligente di te, Sfregiato. Del resto, se mi somiglia… -
- Ha ha. Com’è che
hai appena finito di dire che è gentile e carino, allora? Tu non sei gentile e
carino, Malfoy, nemmeno quando dormi. –
Draco strabuzzò gli
occhi, come se la considerazione di Harry lo avesse ferito sul serio. I casi
erano due, o il furetto era istericamente convinto di essere buono e dolce come
una torta di fragole, o la sua era una tipica messinscena alla Malfoy, ma che
più tipica non si poteva.
- Sto scherzando. -
- Guarda che non mi
interessa un bel niente se stai scherzando o no! -
Harry fece roteare
gli occhi.
- Senti, a
proposito, Marzio mi ha detto una cosa. – disse, sperando di farsi perdonare
con un baratto di notizie. – Mi ha spiegato come fare perché possano rivedersi.
-
- Lo sai anche tu?
– esclamò Draco, sembrando enormemente sollevato. – Te lo ha detto, il tuo? –
Harry rimase per un
attimo imbambolato a guardarlo con una faccia strana, per il modo assurdo in
cui Malfoy si era rivolto a loro. – Hey, guarda che non sono mica i nostri
gatti domestici. – borbottò ridacchiando.
- Va beh, va beh. –
tagliò corto il Serpeverde.
- Ok. Beh, allora,
se lo sai… che facciamo? -
- Che facciamo,
Potter? NON facciamo! -
Harry si aggiustò
gli occhiali sul naso, ripetendosi mentalmente che con Malfoy ci voleva una
vagonata di pazienza. Marzio avrebbe dovuto trovare il modo di ringraziarlo,
altroché.
- Malfoy. –
sospirò. – Sei dentro a questa faccenda, ormai. Non puoi tirartene fuori come
niente fosse. Non ce l’hai un cuore, accidenti? -
- Non voglio
dormire con te! – strepitò Draco, inviperito. – E non vedo come il mio cuore
possa c’entrare in tutto questo! -
- Dobbiamo
solamente dormire insieme per una notte. Non significa mica sposarsi, mi pare. -
- Fammi capire, tu
saresti disposto a farlo? -
- Sì, sarei
disposto a farlo. Perché quelle due persone soffrono. Vorrebbero rivedersi ma
non possono, e la loro unica possibilità siamo noi. Non me ne frega un
accidente se tu sei talmente infantile da reputarlo disgustoso. Marzio ama il tuo
Derevan, e per quell’amore sono ancora qui dopo duemila anni. Duemila anni, lo
capisci, Malfoy? –
Draco, suo
malgrado, ammutolì del tutto.
- Perciò sì. –
concluse Harry. – Sarei disposto a fare l’incommensurabile sacrificio di
dormire con te senza comportarmi come un moccioso. E dimmi pure che sono un
Grifondoro della malora, ma mi piacerebbe tanto sapere come fai a restare
indifferente a tutto questo. -
- Non ho detto che
sono indifferente. – brontolò, sulla difensiva.
Harry reclinò la
testa per osservarlo attentamente. Borbottò un: - Non volevo aggredirti. – e
scrollò le spalle quando Draco le scrollò a sua volta.
Nel silenzio calato
fra i due ragazzi, si contavano le folate di vento gelato che sgusciava fra le
foglie degli alberi tutt’intorno a loro, e le faceva frinire. Il cielo era di
un bellissimo buio suggestivo, per nulla soffocante. C’erano le stelle, la luna
quasi piena e le nuvole agili che passavano sopra di loro sembravano cicatrici
profonde nella volta celeste. Harry si domandò quanto Marzio dovesse essere
debitore a spettacoli come quelli, per il suo amore. Ammiccò furtivamente verso
Draco, rannicchiato vicino a lui, con tutte le luci della notte riflesse sul
viso.
- Stai tremando. –
mormorò dolcemente. – Vuoi il mio mantello? -
- Al diavolo, sto
benissimo con il mio. -
Harry si alzò in
piedi. Draco non lo calcolò finché non sentì che aveva smesso di trafficare,
perché una specie di cortina nera gli oscurò gli occhi.
- Sicuro? –
insistette il Grifondoro, sventolandogli davanti il suo mantello. – Draco ne
avvertì il tepore, a pochi centimetri di distanza da lui.
- Sei sordo? –
sbottò. – Ho detto che non mi serve. -
- E va bene, come
vuoi tu. -
Harry si avvolse il
mantello attorno alle spalle e lo riallacciò, con uno strano sorrisetto saputo
stampato sulla faccia.
- La sai una cosa?
– aggiunse mentre si rimetteva a sedere. – Più che a Derevan, tu assomigli al
suo cavallo. -
* * *
D’accordo, il
paragone con il cavallo era stata un’idea infelice. Malfoy lo aveva preso a
calci fino all’imbocco delle scale per i sotterranei, e a niente era valso il
penoso tentativo di specificare che era un unicorno, e quindi a ben vedere il
suo era stato un complimento.
- Ahia. – borbottò
il povero Harry, buttandosi sul letto senza scaricare il peso sul suo
fondoschiena maltrattato.
- Uhm? Che succede?
-
- Niente, niente. -
Ron si tirò su a
sedere sul letto. Dopo qualche brusio confuso, si accese una candela sul suo
comodino.
- Ma sei tornato
adesso? -
- Sì. Scusa, non
volevo svegliarti. -
- Vorrai dire
svegliarci. – irruppe la voce di Seamus.
- Dove ti eri
andato a cacciare? -
Harry ebbe un
brivido freddo, al ritrovarsi circondato da tutti i suoi compagni, svegli e
attivi come non mai.
- Niente di importante,
stavo facendo qualche ricerca. – buttò lì, pregando che avessero tutti troppo
sonno per mettersi a smascherare le sue bugie.
- Ah sì? Non è che
incontravi qualche bella ragazza? -
Harry arrossì, e
con lo sguardo implorò l’aiuto di Ron. Che non si fece pregare, e inventò su
due piedi una ipotetica ricerca sulle conseguenze dei boa costrittori/cravatta
sulla salute che la McGranitt aveva affidato loro. Harry si sentì piuttosto in
colpa, per approfittare così di lui: il povero Ron dava per scontato che lui si
fosse dato da fare per qualcosa che riguardava Marzio e i suoi sogni, ma non
poteva nemmeno immaginare in cosa fosse consistita esattamente la sua ricerca.
Si ripromise di
dirgli tutto, a lui e ad Hermione. Una volta che con Malfoy le cose si fossero
stabilizzate.
* * *
- Allora? -
- Credo che si stia
più o meno convincendo a collaborare. Domani andremo a parlare con il nostro
preside, insieme, e decideremo cosa fare. -
- Ma non potete
semplicemente sdraiarvi su un letto e dormire? -
Harry sorrise,
anche se un po’ tristemente.
– Capisco la tua
fretta, però credo che sia molto meglio andarci con calma. Tu non conosci
Malfoy, non hai idea di quanto sia lunatico. E poi è meglio che il professor
Silente sia aggiornato. Ti assicuro che può soltanto esserci di aiuto. –
Marzio sbuffò, ma
sembrò essersi convinto. O almeno rassegnato.
- Questo preside è
molto potente, vero? -
- Sì. Ma tu come
fai a saperlo? -
- Uhm. Lo sento. -
Harry trattenne il
fiato. – Ma come. – balbettò. – Mi leggi nel pensiero? -
Marzio lo guardò un
po’ in tralice, prima di mettersi a ridere. – Ma no, intendevo dire che l’ho
avvertito dal tuo tono di voce. Ne parli con grande rispetto. Perché hai paura
che ti legga nel pensiero? –
Harry sbarrò gli
occhi, colto in fallo.
- Mi nascondi
qualcosa? -
Si affrettò a
negare con forza.
Marzio assunse
un’espressione sorniona.
- Ehm, perché non
cerchi di evocare qualche ricordo? -
- Hai tutta questa
fretta? -
- No, però… -
Il terreno sotto ai
piedi di Harry si sdoppiò, provocandogli una forte vertigine, e Marzio scrollò
le spalle, come a dire che era stato molto fortunato.
Si ritrovarono in
uno scenario completamente nuovo per Harry. Un fitto canneto ondeggiava su
quella che aveva l’aria di essere una palude. Ormeggiate quasi a perdita
d’occhio lungo la riva fangosa, c’erano delle minuscole imbarcazioni bislunghe
che assomigliavano vagamente a delle canoe, e che ad occhio non potevano
contenere più di un paio di persone. Altre invece erano decisamente più grandi
e robuste, e avevano dei fianchi ben alti, quasi dei parapetti. Altre ancora,
infine, avevano l’aspetto di piccole chiatte.
- Oh, bene. –
esclamò Marzio. – Sbrighiamoci, siamo proprio vicini. -
Vicini a che cosa,
Harry non fece in tempo a domandarglielo, perché quel diavolo di Romano era già
partito a tutta velocità verso l’entroterra, praticamente correndo incontro al
sole ben alto nel cielo terso. Superarono una collinetta gibbosa, e si
ritrovarono inaspettatamente davanti ad un’enorme recinzione fortificata, con
tanto di guardie e portoni d’ingresso.
- Ma dove siamo? -
- Al mio castra. –
annunciò Marzio, gonfiandosi come un pavone. – È stata la nostra base per
moltissimo tempo, durante la conquista di questa zona. In linea d’aria, Venta è
laggiù. – disse, indicando il nord. – Non dista più di un’ora a cavallo. -
- E’ un punto
strategico. – osservò Harry. – Siete sulla costa, ma la collina vi ripara. -
- Già, e sull’altro
lato, la spianata non permette attacchi a sorpresa. È un ottimo posto. Pensa che
lo scelse Il nobile Cesare in persona, prima di lasciare a me il comando per
tornare a Roma. -
- Oh. Tornò a Roma
per proclamarsi imperatore, gius… -
- Zitto! -
Marzio schizzò
indietro come un gatto a cui era appena stata tirata la coda. Il povero Harry
lo guardò senza capire, mentre si ricomponeva in fretta e furia, e si schiariva
la voce, facendo finta di niente.
- Ho detto qualcosa
di sbagliato? -
- Uhm, facciamo una
cosa, lasciamo perdere l’argomento Cesare, eh? -
Harry
fece spallucce. A meno di non
venire a sapere di improbabili parentele fra lui e Marzio, ne aveva già
abbastanza di lui, Derevan e cavalli connessi, senza bisogno che si mettesse in
mezzo anche un tizio con il nasone.
- Dai vieni,
entriamo. -
Superarono le
sentinelle di guardia senza che nessuno si accorgesse di loro, e del resto era
normale che fosse così. Però era la prima volta che si ritrovavano in mezzo a
tante persone, e non si poteva negare che il fatto che tutti continuassero a
parlare fra loro come nulla fosse facesse un certo effetto.
Una volta dentro,
Harry rimase a bocca aperta: all’interno delle palizzate di protezione, c’erano
centinaia di tende, disposte in fila con una precisione impressionante. Tutte
identiche, stessi colori e stesse dimensioni, sembravano un enorme campo di
testuggini. Alcune avevano delle insegne o delle lance piantate fuori, ma
nessun altro elemento permetteva di distinguerle. Se i soldati vivevano lì,
dovevano aver escogitato il modo per ritrovare la via di casa ogni giorno,
altrimenti sarebbe stato il putiferio. E dire che lui si lamentava del percorso
labirintico per raggiungere il suo dormitorio.
Più in là, si
innalzavano delle costruzioni in legno che potevano essere stalle, ma anche
alloggi, chi lo sa.
- Quello è il tuo
esercito? – esclamò, ammirato.
- La mia Legione,
sì. – annuì Marzio con un certo orgoglio. – Quegli uomini che vedi là davanti
sono i nostri arcieri che si esercitano. – disse puntando il dito verso un
gruppo di una ventina di uomini, tutti raggruppati assieme e rivolti verso una
balla di fieno. – Le macchine da guerra sono sistemate laggiù, dietro a
quell’edificio. E poi ci sono le scuderie, e le armerie, tutte là, sulla
sinistra. –
- Ma… - Harry
aggrottò le sopracciglia, un tantino confuso. – Non mi hai detto di essere un
mago? -
- Certo. Lo sono,
infatti. -
- E allora non
usavate la magia, per combattere? –
Marzio sorrise,
reclinando un po’ la testa. – Che cosa conosci di più, dell’esercito romano,
Harry? Le falangi o le bacchette?–
- Beh, direi le
falangi. -
- E ti sei mai
chiesto perché? -
Harry sbattè le
palpebre, confuso.
– Allora c’erano
molti meno maghi di oggi. – spiegò Marzio, stropicciandosi distrattamente un
lembo della tunica. – Con noi ci sono degli ottimi pozionisti, e dei veggenti,
che si occupano di tenerci in forza e di propiziare la battaglia. E comunque,
usare la magia sarebbe inutile. Il popolo di Derevan è molto più potente del
nostro; i nostri pochi maghi non avrebbero possibilità contro di loro. Derevan
stesso è infinitamente più potente di me. –
- Oh, capisco. –
Harry ebbe un
brivido, alla prospettiva che Malfoy potesse essere più forte di lui. Aveva già
combinato guai a sufficienza con le sue capacità attuali, non voleva nemmeno
pensare a cosa avrebbe potuto combinare un Draco in versione potenziata.
- Draco è più
potente di te, Harry? -
Ecco, appunto.
Esattamente la domanda che Harry si stava augurando Marzio non gli facesse.
- Beh… - fece, poco
convinto. – Draco è piuttosto in gamba, ma io credo di essere migliore. Lui
però sa volare bene, ed è bravo con le pozioni. -
- Ma è potente? –
Lo interruppe Marzio. – Lascia perdere se è più o meno bravo di te. È più
potente? -
Harry inarcò un
sopracciglio. – Come sarebbe, se è bravo o potente? Non è la stessa cosa? –
- Oh, no! – Marzio
rise di cuore, come se Harry avesse appena fatto una grossolana figuraccia. –
No, certo che no, sono cose molto diverse! -
Harry non era per
niente convinto, ma con una certa stizza non poté far altro che aspettare che
il Romano smettesse di ridere, per poter sperare in una qualche spiegazione.
- C’è una bella
differenza. – riprese Marzio, ridacchiando. – Un mago può essere
incredibilmente potente, eppure essere un disastro con la bacchetta, oppure
essere mediocremente dotato, ma riuscire a sfruttare al massimo il suo potere,
e sembrare il miglior mago del mondo. Non te le insegnano queste cose, a
scuola? –
Harry grugnì. – No. –
Ecco un’altra cosa
che lui non sapeva, scoperta nel modo meno probabile.
- Oh, ma guarda un
po’, si parla di potenze. -
Derevan comparve
all’improvviso da dietro un angolo, facendo fare un balzo a Harry. Era
equipaggiato di un’enorme anfora che aveva tutta l’aria di pesare come una
dannata.
- Dove vai? –
indagò Marzio, spuntando anch’egli alle spalle dei due, e stendendo
definitivamente Harry.
Derevan tirò un
lungo respiro. Lo fissò con aria molto seria, prendendosi il suo tempo per
concentrarsi, prima di parlare.
- Vado a prendere
l’acqua, nel pozzo. – rispose, scandendo per bene le parole.
- Al pozzo. –
ridacchiò Marzio. – Preferirei che tu non ci finissi dentro. –
- Oh. Al pozzo.
Vado a prendere l’acqua, al pozzo. –
- Impari in fretta.
–
- La tua lingua non
è difficile. – constatò Derevan. – Ma non capisco perché la parte più
importante la teniate sempre in fondo. –
Marzio si strinse
nelle spalle. – Nescio. – rispose laconico. – Però quando hai finito fila
subito al mio alloggio. Non mi piace che tu te ne vada in giro nel castra. -
- Me ne vado in
giro nel castra. – ripeté Derevan, mostrandogli la punta della lingua con un
ché di malandrino. – Non capisco! –
- Non fare il
furbo, lo so che mi hai capito benissimo. –
- Non capisco, non
capisco! -
l’Iceno se ne sparì
saltellando da dov’era venuto, in barba all’anfora mastodontica che si portava
in braccio, e che a rigor di logica avrebbe dovuto piegare a metà un qualsiasi
uomo della sua stazza.
- Hey, ma ti prende
in giro! – protestò Harry.
- E così, ti lasci
prendere in giro da un ragazzino, eh? –
Harry si
zittì. Marzio,
di fianco a lui, era rigido ed attentissimo.
Dalla stessa
direzione da cui era provenuto Marzio, cioè dalle loro spalle, arrivò uno
strano tipo smilzo, dagli zigomi spigolosi e dal sorriso mordace. Portava un
curioso pizzetto sottile solo sulla punta del mento, e i capelli, che dovevano
essere riccioli, parecchio corti.
- Non è affatto
dignitoso, Legato. -
Marzio alzò gli
occhi al cielo, e si voltò verso di lui.
- Anacore. –
scandì. – Perché ti diverti tanto a spiarmi come un segugio, invece che
occuparti delle tue faccende? -
- Perché sono
greco, ovviamente. Pensavi davvero che me ne sarei rimasto a compilare annali
per tutto il pomeriggio, invece che dilettarmi a farmi gli affari tuoi? -
- No, non ci ho
sperato nemmeno per un momento. –
Il nuovo arrivato
ridacchiò. – Se negli annali potessi riportare anche chiacchiere e aneddoti,
sarei ben contento di fare il mio lavoro. Ma voi Romani siete tremendamente
noiosi, quando si tratta di queste cose. –
Calò un silenzio
disteso. Per qualche istante, i due uomini guardarono verso lo stesso punto,
dove Derevan si era dileguato poco prima. Harry provò una sensazione appagante
di complicità che lo fece sorridere esattamente come sorrideva il Marzio del
ricordo, con le labbra piegate verso destra e le palpebre socchiuse.
- E comunque. –
Anacore si corrucciò. – Lo sai che Tito aspetta solo che tu faccia un passo
falso, amico mio. –
Marzio scrollò
brevemente le spalle. – Sì, lo so. – Rispose, laconico.
- Allora saprai
anche che dovesti lasciar libero il ragazzo. È meglio per te se lo dimentichi
in fretta, e lo restituisci alla sua gente. Con un po’ di fortuna, sopravvivrà
alle battaglie e se ne resterà a vivere tranquillo in queste terre
insopportabilmente erbose. -
- Non credo di
poterlo fare. È il mio cuore che non vuole liberarsi di lui. -
- Ma così finirai
in grossi guai. -
- Lo so bene. Bah,
Azio Tito Quinto. – rifletté, rigirandosi quel nome nella bocca. – Nulla mi
leva dalla testa che qualcuno lo abbia spedito qui con il solo scopo di farmi
sparire. –
- Chi è Azio Tito
non so cosa? – sibilò Harry.
Marzio fissava il
vuoto con sguardo assente. – Tito è uno dei prefetti del castra. – recitò.
- E non era tuo
amico? –
- Non troppo. Non
credo abbia mai digerito il fatto di dover prendere ordini da uno più giovane
di lui. –
- E quindi… -
- Già. Se avesse
scoperto di me e di Derevan, avrebbe avuto l’occasione perfetta per
calpestarmi. –
- Ma cosa ci faceva
Derevan nel tuo accampamento? -
Per un attimo, il
sorriso di Marzio si animò di uno scintillio malizioso.
- Era un
prigioniero. -
- Un prigioniero? -
- Un ostaggio. Non
era niente di inconsueto allora, e per me era una scusa più che perfetta per
averlo con me. -
- Ma allora Derevan
rimase con te? Rimase anche quando tornaste a Roma? -
Marzio si oscurò, e
sfuggì verso il sole con lo sguardo.
- No. – rispose. –
Tito cominciava a sospettare troppo, e allora io lo lasciai libero, perché
temevo che potesse cercare di ucciderlo. -
- Vuoi dire che vi
siete perduti così? -
- No, certo che no.
Continuai ad andare da lui, non avrei mai sopportato di perderlo. Ci
incontravamo di nascosto, ma un giorno cademmo in un’imboscata. -
- E… come… -
- Vuoi sapere com’è
finita? -
Harry annuì
debolmente, a disagio.
- Ci uccisero tutti
e due. – disse semplicemente Marzio. – Lui fu ucciso perché era un barbaro, ed
io fui giustiziato per alto tradimento. -
Harry si morse un
labbro.
Non si era
sbagliato, allora, sul suo presentimento. Quel presentimento che si era
trascinato dietro fin dall’inizio, fra alti e bassi, che ci fosse qualcosa di
tremendamente sbagliato che aleggiava nell’aria. Eppure, sembrava così
perfetto: il loro amore sincero, quei sorrisi, l’allegria di Derevan. Sembrava
che non dovesse finire mai.
Tutto ciò che gli
riuscì di dire fu un mesto e inutile: – Mi dispiace. –
Marzio scosse
dolcemente la testa.
– Sono passati più
di duemila anni, eppure non riesco ancora a dimenticare quel momento. Lo
massacrarono lì, davanti ai miei occhi, ed io non potei fare niente per
salvarlo. Poi giustiziarono me, mi pugnalarono alle spalle. –
- Cani. -
- Ti sbagli. –
Marzio abbozzò un sorriso amaro. – I miei compagni lo fecero per pietà. Avrei
dovuto attendere l’alba seguente, per la mia condanna, e invece mi uccisero
subito. Quando videro com’ero ridotto decisero di risparmiarmi una notte di sofferenza.
Essere colpiti alle spalle è il disonore che tocca ai traditori, ma loro mi
fecero inginocchiare davanti a Derevan, così potei morire sul suo corpo ancora
caldo. Molti di loro piangevano, mentre mi uccidevano. –
- Che… che
mostruosità! – strepitò Harry, sdegnato. – La legge del tuo popolo era ingiusta
e disgustosa! -
- Ah sì? – Marzio
lo guardò, con occhi spenti, e voce piatta. – E tu chi sei, per dirlo? -
- Beh… - Harry si
sentì improvvisamente meno sicuro di sé, con lo sguardo di Marzio addosso. –
Una legge che uccide chi si ama è crudele. -
- Il tuo popolo,
oggi, ha leggi che l’amore lo discriminano. Non è altrettanto crudele? -
- Ma… -
- Non sono stato
giustiziato perché amavo un altro uomo, Harry. Sono stato giustiziato perché
amandolo ho tradito Roma. -
- Ma non è vero! Tu
non hai tradito nessuno, hai solo amato qualcuno che per te era importante! -
- Tu non puoi
capire. È passato troppo tempo, e sono cambiate troppe cose, perché tu possa
capire. Io ho combattuto, per quella legge che mi ha ucciso, e quando ho
sentito per la prima volta il mio cuore battere per lui, sapevo già a cosa
sarei andato incontro. -
Harry si paralizzò,
con un dito a mezz’aria che ancora pretendevano di essere ascoltate. – Ma
allora perché lo hai fatto? – gemette, senza capire. - Perché non sei rimasto
con il tuo esercito? -
- Perché me ne
sarei pentito per sempre. Perché avrei vissuto nel rimpianto, e perché sarei
morto comunque, senza di lui. Sono duemila anni che aspetto qui, Harry, e
credimi, sono stanco, sono disperato, sono consumato dalla nostalgia. Ma non
sono pentito. Non mi sono mai pentito, in questi duemila anni, mai, nemmeno per
un istante. Derevan vale altri duemila anni di attesa, per me, e duemila anni
ancora. –
Harry si accorse di
stare singhiozzando soltanto quando la vista gli si appannò. Non era d’accordo
e provava una rabbia furiosa verso Marzio, verso un pazzo che era stato
chiamato a scegliere fra l’amore e la sua stessa vita, e aveva scelto l’amore
senza nemmeno pensarci un secondo. Persone così dovevano esistere soltanto
nelle stupide favole che si raccontano ai bambini per convincerli che il mondo
è bello, prima che si rendano conto con i loro occhi di quanto immense siano le
bugie che contengono.
Le ultime cose che
registrò furono il sorriso pacato di Marzio, la voce allegra di Anacore che
discorreva di gioco d’azzardo, e il rimbombo insopportabile del suo stesso
sangue nelle orecchie.
Si risvegliò nel
suo letto, madido di sudore. Era ancora presto, l’alba non era che un accenno
di luce dietro all’orizzonte. Richiuse gli occhi, e provò la sensazione di un
soffio freddo sugli occhi che glieli fece riaprire. Una grossa lacrima si
staccò dalle ciglia e cadde su una macchia scura del cuscino, su cui, prima di
lei, dovevano esserne scivolate molte altre.
ANGOLINO!
Sì va beh, ma
quando finisce sto capitolo? Oddio, mi viene da piangere, a pensare a quante
altre cose ci sono ancora da scoprire e da raccontare. Questa storia non finirà
mai, yay!
NOTE: Nescio
significa “non lo so”, mentre il castra è l’accampamento militare romano. Da
cui fra l’altro derivano tutti i nomi di città inglesi che terminano in
–chester. Manchester, tanto per nominare la più famosa.
Inoltre, non
stupitevi della reazione di Marzio davanti alle incaute parole di Harry. Giulio
Cesare non è mai stato imperatore, e questo lo sappiamo tutti, no? Il primo
imperatore riconosciuto come tale fu il suo gran figliolo Ottaviano Augusto. Ed
all’epoca inneggiare, o quanto meno insinuare, che Giulio Cesare fosse
imperatore significava implicitamente negare il potere del Senato, e quindi
farsi buttare dritti in un’arena, nella migliore delle ipotesi.
Ho appena guardato
il musical di Bleach, quindi sto malissimo, mal di pancia da eccesso di risate.
Se rispondo cose sconclusionate non ve la prendete con me!
Francesca Akira: beh, noi ci siamo divertiti a fare i
voyeur del voyeur, ma lui poveretto a momenti ci restava!
Little Star: mia cara, certo che è voluta, ma più che
una veggente sono contorta! XD. Hihi, lo hai notato eh, i due cavalli rischiano
di diventare i miei prossimi personaggi preferiti!
Ginny W: addirittura troppo emozionata, ma dai che
mi lusinghi!
The fly: lo abbiamo già scoperto, visto? Non volevo
farvi penare, ma ho l’impressione la faccenda sarà piuttosto dura, da adesso in
avanti! Hihi, guarda che l’ippogrifite si trasmette attraverso tempo e spazio!
Smemorella: dunque, dunque, dunque. Ti ringrazio. Lo
so che lo faccio ogni benedetta lo volta, e che palle, sempre le stesse cose,
ma non ci posso fare niente. Sai quanto sia felice che qualcosa che esce fuori
dalle mie dita faccia emozionare qualcuno, e insomma, non ti racconto quanto mi
emoziono io quando mi isolo dal pianeta Terra per scrivere questa storia, capitolo
dopo capitolo. Non sbagli, qui è tutto un chiasmo, tutto un intreccio di mille
fili che, piaccia o no, legano persone e tempi diversi. Ma in effetti, ci sono
poi così tante diversità? Se un amore ti spacca il cuore, non ha grande
importanza quando, come e dove tu sia vissuto.
Fann: ma ciao tesoro! È tantissimo che non ci si
sente, sono proprio contenta di vederti sbucare fuori, e sapere che segui anche
questa, ma quanta pazienza hai? Fra l’altro, che poi non si dica che mi
distraggo, ho visto che la tua sezione Yaoi su Scanduzioni va a gonfie vele, e
non nascondo che prego ogni sera perché appaia fra i progetti qualcosa su
Bleach, magari una Gin/Izuru che mi faccia fluttuare in giro per casa in stato
catalettico per qualche oretta *blush*
Melisanna: che bello, mi fa molto piacere sapere di
aver raddrizzato un po’ il tiro! Le memorie di Adriano, libro su cui ahimè non
sono ancora riuscita a mettere le manacce. Ed è il colmo, per una yaoifan
scatenata come me. Sarà una sorta di reverenza per qualcosa che è esistito
veramente, che mi fa dire che dovrò aspettare il momento giusto per addentrarmi
in esso. Magari quando avrò finito questa fic.
Herm83: hihihi, hai ragione tu, in realtà c’è
stato un errore di prospettiva, d’ora in poi scopriremo che i veri protagonisti
sono Fulgor e Shay! XD
Dark: Evviva il poliglottismo! (O_o) su, su, non
dirmi così che poi mi preoccupo per te! Ma scherzi, sono più che felice di
averti fatto questo regalino, te lo dedico di tutto cuore!
Lady: sono alle prese con l’amico Plutarco al
momento, insomma, va avanti a gonfie vele. E se ti consola, Ale è Ale per tutta
la famiglia, ormai. E Efestione è Barbie Regina dei Macedoni, secondo mio
fratello -__-‘. Mah, qui i casi sono due, o Draco è una dolcezza in incognito,
oppure la sua vera anima gemella è Shay, ne verrà fuori un improbabile
triangolo Draco/Marzio/Shay, o qualcosa di altrettanto assurdo, e si scoprirà
che questa fic è in realtà una demenziale/trash, e che io ho un senso
dell’umorismo davvero pessimo!
Synoa:già risolto, visto? Ah, quanto sono buona,
dovrei ricevere un premio in cioccolata.
Puciu: hihi, recensisci i capitoli pari! Guarda,
“ti elogio” mi piace veramente un sacco, sei autorizzata ad usarlo! È un po’
come “stolto”, che secondo me è una parola fenomenale, che userei sempre, per
come suona. Peccato che la gente normalmente non apprezzi, ma va beh, sto
divagando. Gianni e Franco, levatemi una curiosità: ma voi due siete una coppia
yaoi? No così, giusto per sapere, deformazione professionale. Ok, adesso la
pianto sul serio. Commossa che anche questa fic abbia funzionato come
anti-drug, ci sto investendo energie e, ahimè, sofferenze, e non posso che
gioire di ogni gocciolina di sentimento che trasuda dallo schermo. Ok è
veramente la giornata dei paragoni idioti, vado a nascondermi prima che sia
troppo tardi.
Rodelinda: mia cara, piangiamo insieme la grammatica
perduta. Pensa che giusto ieri sera ho assestato un sano calcio nello stinco al
mio povero ragazzo che mi ha sbagliato clamorosamente un congiuntivo. Un po’
drastico come sistema, ma il fatto che si sia messo a gridare “potessi,
potessi, volevo dire potessi!” mi ha convinta che è questo il metodo giusto,
yeah! Inutile specificare che l’immaginare una tastiera a ranocchia mi ha fatta
svenire per l’invidia. Ora ne desidero ardentemente una a forma di maialino, e
voglio tassativamente il tasto di Invio arricciato sul codino.
Blaise: kukuku, certo che l’ho fatto *assume posa
trionfante*. Lo scorso capitolo aveva quasi fatto piangere anche me, e questo
ci è riuscito ancora meglio, ti consola? Hihi, Derevan e Draco si somigliano
più di quanto sembri, non sarà che uno dei due è più dolce di quanto ci vuol
far credere? Oppure è Derevan che in realtà è acido -__-
Far:oh mio dio ecco che mi emoziono. Guarda,
quella frase devo dire che è uscita proprio spontanea. Non sono stata lì più di
tanto a pensarci su, mi è venuto naturale scriverlo. Il chè la dice lunga su
come la pensi sul loro rapporto.
Hokori:hihihi, figurati, è quello che dico sempre
anche io all’autista del bus quando vado in università ^^’. Un’altra fan dei
cavalli, qui finirò con il deviare il fuoco della storia su di loro! Per il
resto taaaanti grazie, anche perché la lime velata è un ritorno dopo secoli di
lemon pesanti a tutto spiano, ci ho dovuto lavorare su!
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Capitolo 12 *** Sleepless ***
Cap 7: draco e Harry da Silente
Draco e Harry si
scambiarono un’occhiata esitante, prima di prendere posto sulle due poltroncine
che Silente aveva indicato loro con un sorriso. Il Grifondoro era stato in
quell’ufficio un numero infinitamente maggiore di volte rispetto al compagno, o
non faceva nemmeno più caso agli sguardi indiscreti dei vecchi presidi, che
occhieggiavano dalla parete alle spalle di Silente e si scambiavano sussurri.
Draco era parecchio
nervoso, e un po’ gli dispiaceva. Riusciva a capirlo dal modo in cui
accavallava e scavalcava continuamente le gambe, e anche dalla forza con cui
teneva le braccia incrociate al petto, come se si fosse ritrovato delle spade
puntate contro.
- Prendete pure, ma
siate svelti a masticare. – esordì Silente, sospingendo nel frattempo verso i due
la ciotola di liquirizie che teneva sempre sul tavolo. – Allora, dovete
parlarmi di qualcosa? -
Harry cercò di
nuovo lo sguardo di Draco, per valutare come cominciare, ma trovandolo
ringhioso e anche parecchio smarrito, decise di andargli incontro.
- Riguardo alla
faccenda del ragazzo romano che vedo in sogno, signore. – cominciò per
entrambi. – Ho parlato con lui, durante le ultime notti, e mi ha raccontato
parecchie cose di lui, e di Derevan. -
Si mantenne
volutamente sul vago. Non aveva detto a Draco della loro morte, né tanto meno
dell’episodio precedente nella capanna. Non aveva la minima idea se Malfoy
sapesse qualcosa, ma per niente al mondo si sarebbe arrischiato a fare il primo
passo e raccontargliele.
- Inoltre, la cosa
più importante che abbiamo scoperto, è che Derevan è in contatto con Draco.
Perciò, a proposito di quello che mi ha detto l’ultima volta, ce la possiamo
fare, possiamo fare in modo che si incontrino. –
Silente rivolse uno
sguardo buono e vagamente divertito a Draco, che non ricambiò. – Bene, signor
Malfoy. Posso sperare che quindi lei abbia ritrovato un sonno tranquillo? -
- Proprio per
niente. -
- Suvvia, se si
sforzasse di essere più amichevole con chi le chiede aiuto, sono certo che
anche lei troverebbe divertente questa storia. -
Harry osservò il
breve scambio di battute rimanendosene in silenzio. Parola dopo parola, alcuni
ingranaggi cominciarono a funzionare, sortendo un risultato che era allo stesso
tempo ovvio e sconcertante.
- Ma allora, lei
sapeva già tutto. – congetturò. – Quando io venni a raccontarle di Marzio,
Draco era già stato in infermeria. Deve per forza averle detto che cosa lo
faceva star male, perciò lei sapeva. –
Silente sorrise
sornione. – In realtà, Harry, il signor Malfoy mi disse soltanto che la sua
camera era infestata da uno spettro che entrava nei suoi sogni, e non lo
lasciava dormire. Una scusa del genere la si usa solo quando si desidera a
tutti i costi cambiare compagni di stanza, non trovi? –
- Oh, ma per
favore, vorrebbe farmi credere che lei non aveva capito tutto? –
- Perché mi
sopravvaluti così tanto, ragazzo? Vuoi lusingarmi? –
- Nessuno vuole
lusingare nessuno. – si intromise burberamente Draco. – Se sono arrivato fin
qui è soltanto perché voglio che questa storia finisca il prima possibile.
Voglio tornarmene alla mia vita ed essere lasciato in pace da spiriti e spettri
in pena. -
- E’ proprio sicuro
di voler essere lasciato in pace? -
Malfoy avvampò
all’improvviso. Un po’ perché era stato punto sul vivo, e un po’ perché la domanda
che Silente gli aveva sottoposto non era per niente ovvia come sembrava.
- Calmati, dai. –
lo pregò Harry. – Litigando non ne verremo fuori. Sappiamo già che cosa
dobbiamo fare, no? -
- I due spiriti vi
hanno parlato di questo? -
Harry annuì con forza.
– Hanno detto che dobbiamo dormire insieme. Così facendo, i nostri sogni si
fonderanno, e loro potranno incontrarsi. O almeno, questo è quello che ho
capito. -
- Quel Derevan mi
ha detto che è necessario che dormiamo vicini. – aggiunse Draco, quasi impossibile
da capire, per quanto borbottava. – Non basta che siamo in una stessa stanza,
dovremo addirittura dividere il letto. -
- Capisco. Sì, in
effetti è molto probabile che sia proprio così. -
- Però non capisco,
professo Silente. Se dobbiamo far entrare in comunione i nostri sogni, perché è
necessaria una vicinanza fisica? Voglio dire, perché non ci riusciamo già
dormendo normalmente nei nostri letti? -
- Perché quello in
cui vi trovate, quando incontrate Derevan e Marzio, non è propriamente un sogno.
-
- Cioè, è una
realtà parallela? -
- Uhm, direi più di
una specie di sogno oltre il sogno. Un limbo, se vogliamo. Vedete, il fatto che
voi siate le anime gemelle di questi due spiriti, fa sì che vi leghi una sorta
di filo rosso. E più questo filo si accorcia, più forte diviene il legame.
Capite? –
- Sì, è chiaro? -
Chiaro? Ma come
diavolo faceva Potter ad essere così rilassato, mentre il preside delirava di
fili rossi e assurdità di ogni genere. Sospirò, sconfitto: tanto, fra i tre,
quello che sarebbe stato zittito era lui.
- E’ per questo che
dovete dormire vicini, in modo che la fusione fra i vostri sogni possa avvenire
e rimanere stabile. -
- Ma allora, come
dovremmo fare? Ci servirebbe un dormitorio, o un posto dove dormire. -
- La Stanza delle Necessità. – propose Harry. – Basterà desiderare che diventi una stanza di
dormitorio. –
- Preferirei di no.
– lo contraddisse Silente. – La Stanza delle Necessità non è un parco giochi. È
un luogo pregno di una magia molto potente, che nel peggiore dei casi potrebbe
interferire con i vostri sogni e provocare danni irreversibili. No, è meglio
che vi accontentiate di una camera come tutte le altre. -
- Ma non possiamo
restare nei dormitori. – osservò Harry. – Voglio dire, non posso dormire con
Malfoy assieme a Ron e agli altri. E se io provassi a entrare nel dormitorio di
Serpeverde, finirei Schiantato prima di aver varcato la soglia. –
- Questo è ovvio,
Potter. – sbuffò Draco. – Non ti vorrei nel mio dormitorio nemmeno fra
diecimila anni. –
Silente si divertì
ad osservare i due ragazzi che si pungolavano senza tregua. Afferrò una
caramella alla liquirizia e la masticò rapidamente, prima di inghiottirla.
- Oh, ma in effetti
ci sarebbe una soluzione. – disse con noncuranza. – In fondo, anche gli insegnanti
hanno i loro alloggi.
* * *
“ Anche gli
insegnanti hanno i loro alloggi”.
Già, nonostante ci
si trovasse spesso nella condizione di pensare il contrario, i professori non
dormivano nelle loro aule, in qualche pertugio nascosto sotto la cattedra, e
quelli che non erano capocasa, e che quindi non alloggiavano nei quattro
dormitori, avevano delle stanze sparse qua e là nell’immenso castello. Stanze
che, a sentire il preside, superavano sempre di numero i docenti, per evitare
che qualcuno dovesse dormire sotto le stelle.
- Non voglio
dormire di fianco alla Cooman! – gemette Draco, e Harry non se la sentì di
contraddirlo.
Nella torre in cui
si trovava l’aula di Divinazione, c’erano appunto due di questi alloggi per i
docenti, uno dei quali era occupato dalla delirante professoressa mentre
l’altro era, guarda caso, vuoto.
- Su, la cara
Sibilla non vi darà nessun fastidio, se ignorerete i grugniti notturni. -
- Gru… gniti
notturni? -
Draco per poco non
perse l’equilibrio, mentre Harry ridacchiò, oltrepassando la porta nascosta nel
muro che Silente aveva aperto.
La camera aveva un
aspetto migliore di quelle dei dormitori, e c’era da giurarci: innanzitutto era
molto più spaziosa, e conteneva appena due letti, uno singolo ed uno
matrimoniale. Inoltre aveva un bagno privato, da cui si accedeva attraverso una
porticina scura. Essendo ubicata nella torre, godeva di una luce corposa pur
disponendo di una finestra nemmeno troppo grande. Harry se ne sentì
rassicurato, mentre Draco non sembrava per niente entusiasta all’idea, abituato
com’era al suo sotterraneo maleodorante e buio.
Purtroppo,
l’armadio era uno solo, e Harry immaginò che dividerlo con Malfoy sarebbe stata
una vera lotta. Beh, o il serpeverde si rassegnava a vedere i suoi preziosi
mantelli affiancati a camicie e maglioni, o peggio per lui.
- Eccovi una copia
di chiavi per ciascuno. Mi raccomando di non far entrare qui nessun altro oltre
voi due. È pur sempre un alloggio destinato ad un insegnante. -
- Per quanto
dovremo restare in questa prigione? – volle sapere Malfoy.
- Questo sarete voi
a dirlo. Quando tutto si sarà sistemato, tornerete ai vostri dormitori, e
riprenderete la vita di sempre. -
Harry diede un
sospiro sconsolato, mentre Draco masticò acidamente un – Grandioso. –
* * *
- Harry, dove stai
andando con quel baule? -
Harry trovò
Hermione e Ron esattamente dove si aspettava di trovarli, ovvero seduti sul
loro divano storico davanti al camino, in Sala Comune.
Posò il suo
bagaglio, quasi servisse a raccogliere le forze che gli servivano per
affrontare il discorso con loro.
- Che cosa?!?! –
esalò Hermione.
- Il tizio che
Marzio cerca è Malfoy?!? – le fece eco Ron.
Harry scosse la
testa sconsolato.
- Non Malfoy. –
disse con il tono di chi doveva averlo già ripetuto milioni di volte. - Ma
Derevan, che è in contatto con Malfoy. -
- Che importa! È
comunque una tragedia! -
- Non ci posso
credere. – ragionò Hermione. – Harry, perché non ce lo hai detto subito? -
- Perché… - esitò
Harry. – Beh, perché immaginavo quale sarebbe stata la vostra reazione.
Insomma, prima di dirvelo ho provato a sistemare tutto da solo, o almeno di
vedere come si metteva con Malfoy. Ma direi che le cose hanno preso una piega
inaspettata. -
Hermione scosse la
testa come una maestria. – Non essere sciocco. Noi siamo tuoi amici, e ti
sosterremo in qualunque caso. Giusto Ron? -
- … -
- Ho detto, giusto
Ron? -
- Sì, sì. Però hey,
questo non vuol mica dire che dobbiamo diventare amici di Malfoy, spero. -
Hermione si arrese,
lasciando per un po’ Ron a sobbollire nel suo brodo.
- Sono amareggiata.
– sottolineò. – Credevo che non ci fosse più bisogno di ripetertelo ormai. -
- Mi dispiace. -
- Sì, ti dispiace.
Lo dici sempre, tutte le volte che ci nascondi qualcosa. -
Harry piegò le
labbra in un broncio mortificato. Non lo faceva per ottenere il perdono, gli
dispiaceva sul serio di essere stato zitto. Era proprio vero che non si ricava
mai niente di buono, a nascondere le cose agli amici.
Dopo alcuni secondi
di silenzio, Hermione decise che era abbastanza. Si spogliò dell’espressione
severa, per vestire i più rassicuranti panni di sempre.
- Ascolta. –
riprese, professionale. – Quante possibilità ci sono che la cosa vada in porto?
-
- Non ne ho la più
pallida idea. Nemmeno Silente ha potuto fare pronostici. -
- Uhm. E quante ce
ne sono che Malfoy ti giochi qualche brutto tiro? -
- Direi poche. Al
momento non mi sembra in vena di scherzare. L’ha presa molto peggio di me, e
gli piaccia o no io sono l’unico che può aiutarlo. Potrei sbagliarmi, ma ho la
vaga impressione che a modo suo si fidi di me. -
- Sì, capisco. Deve
essere spaventato e confuso. – immaginò Hermione.
- Hey! – saltò su
Ron, agitando un dito in direzione dei due amici. – Ma vi sentite? Parlate di
quella belva di Malfoy come se fosse una tenera Puffola Pigmea! -
- Ma Ron, Malfoy è
una Puffola Pigmea, te lo garantisco io. – ghignò Harry.
Il povero Ron perse
colore. – E tu come fai a saperlo. – esalò.
- Smettila, vuoi
per caso ucciderlo? – lo rimproverò Hermione. – Ron, Harry sta scherzando. Ma
quello che adesso è importante è cercare di stare uniti anche se c’è di mezzo
Malfoy. Non che possiamo fare molto per aiutarvi, vista la situazione. -
- Già, a parte
montare di guardia fuori dalla porta ed essere pronto a salvarti se il Furetto
prova ad ucciderti. -
Occhiataccia di
Hermione, e tornò il silenzio.
- Ragazzi, non
dovete preoccuparvi, è una storia che posso risolvere con le mie forze. – li
rassicurò Harry.
- Ne sei certo? -
- Ma sì. Te l’ho
detto, se Silente ci permette di provare a farli entrare in contatto, vuol dire
che non corriamo pericoli. E Marzio è una brava persona, mi fido di lui. Una
volta tanto, sono contento di non dovervi trascinare nei miei guai. -
Hermione annuì,
anche se non dava l‘impressione di essere molto convinta.
- Continuerò a fare
qualche ricerca. – si offrì. – A questo punto, abbiamo capito che concentrarsi
sui nomi non serve. Proverò a scoprire qualcosa di più su questo tipo di sogni,
soprattutto se non comportino dei rischi. -
- Sì, mi sembra un’ottima
idea. –
- E io che cosa
faccio? -
- Tu, Ron, potresti
dare una mano a Harry a portare il baule di sopra, no? -
* * *
Harry e Draco
poterono fingere che la loro nuova camera non esistesse per il resto del
pomeriggio. Il Grifondoro salì la torre e sistemò le sue cose alla bene e
meglio, senza che ci fosse traccia di Draco, che vi trasferì i suoi bagagli
un’oretta più tardi, ritrovandosi già, con somma irritazione, l’armadio mezzo
pieno. Sistemato tutto, comunque, entrambi decisero di tornarsene nei
rispettivi dormitori d’origine, come niente fosse.
Malfoy si limitò a
comunicare ai suoi compagni che era stato trasferito in un’altra camera per
proteggerlo dal fantasma persecutore, Harry rimase in sala comune con Ron ed
Hermione, a raccontare loro gli ultimi sogni. Riferì ciò che Marzio gli aveva
raccontato a proposito della morte sua e di Derevan, ma omise anche con loro
l’episodio del capanno. Non che non sapessero che quei due si amavano: lo
sapevano tutti, persino Draco, e non ci voleva molto ad immaginare che
esistesse anche una dimensione fisica, nel loro rapporto.
Era una cosa sua,
ecco tutto.
Cenarono
ignorandosi reciprocamente, ognuno circondato dalla propria compagnia, che mai
come in quel momento aveva significato un intero mondo. Ma il tempo, piaccia o
meno, trascorre, perciò dopo appena un’ora da quando i dessert avevano fatto la
loro apparizione sulle tavole, eccoli lì, in quella stessa camera che non
avevano voluto calcolare per tutto il giorno, a evitare di guardarsi perché non
si aveva niente da dire.
- Beh, speriamo che
vada tutto bene. – azzardò Harry.
- Vai al diavolo, è
solo colpa tua se mi ritrovo in questa situazione. -
- Hey, non
cominciare,
Draco sibilò
contrariato, e si ficcò sotto le coperte come se si fosse dovuto sdraiare in
una bara. Si fece più piccolo che potè, nell’angolo sinistro del letto. Anche
Harry se ne rimase per conto suo dalla sua parte, di modo che in mezzo a loro
venisse a crearsi uno spazio di un’intera piazza, che avrebbe ospitato
comodamente altre due persone, magari meno schizzinose di loro.
- Spengo la luce? -
- Certo che spegni
la luce. Altrimenti come faccio a dormire, secondo te? -
- Mmh, ma quanto
sei indisponente. Buona notte, Malfoy. -
- Buona notte,
Potter. -
La luce fu spenta,
ma nulla cambiò. Per Draco, il respiro di Harry nel silenzio era come una
raffica di vento assordante, e Harry dal canto suo si sentiva prigioniero delle
lenzuola. Provò a muoversi, ma Draco gli ringhiò subito - Stai fermo,
maledizione. - e allora niente, si torna al punto di partenza.
Dopo una mezz’ora
buona a fissare il soffitto e sentirsi inutili, Harry provò di nuovo a stendere
una gamba, ma niente, di nuovo improperi.
- Non stavi
dormendo? -
- Ovvio che no,
come pensi che faccia a dormire, in una condizione del genere? -
- Dovresti provare
a rilassarti. -
- Ma senti da che
pulpito! -
- Beh magari è
troppo presto per avere sonno. -
- Oh, non dirmi,
facciamo il gioco della verità finchè non ci addormentiamo per la noia. -
Con uno sbuffo,
Harry scalciò via le coperte e si tirò su a sedere.
- Hey, stammi a
sentire. – protestò, voltato verso una qualche parte che sperava fosse Malfoy.
– Nemmeno io mi diverto, chiaro? -
- Ma se tu sei nato
per questo genere di avventure, San Potter! -
- Dio, adesso non
cominciare. -
- Non cominciare?
Guarda che io vivevo tranquillo e sereno la mia vita, prima che tu e quel tuo
Romano veniste a tirarmi in mezzo a questo casino. -
- Nessuno ti ha
tirato in mezzo a nulla, smetti di accusarmi di colpe che non ho. Ci sei finito
in mezzo perché sì, perché doveva andare così, e soltanto ieri anche tu eri
d’accordo nell’andare avanti. –
- Ieri era diverso!
–
- Ah sì? Beh, mi
dispiace che tu sia imbarazzato, ragazzina isterica. –
- Hai dato della
ragazzina a me? –
Stavolta fu il
turno di Draco a tirarsi su a sedere. – Ripetilo! -
- E dai, piantala,
rimettiamoci giù e cerchiamo di dormire. -
Sì, già, magari.
Dovevano essere ormai le due del mattino, quando l’ennesimo sbadiglio di Draco
convince Harry a girarsi.
- Stai cascando dal
sonno. – osservò.
- Complimenti,
genio, ottimo spirito di osservazione. -
- Se ti mettessi
l’anima in pace, riusciresti a dormire, e faresti dormire anche me. -
- Non provare a
farmi passare per un molestatore, adesso. -
- Uff, ma che razza
di vittima. -
- Al diavolo. -
- Sì, sì,
buonanotte Malfoy. -
Passata una
mezz’ora, Harry sentì il respiro del Serpeverde farsi più regolare e profondo.
- Furetto? – provò
a chiamare.
Malfoy non gli
rispose, e lui tirò un sospiro. Almeno lui si era addormentato, dei due, mentre
per sé stesso prevedeva poche speranze. Osservandolo nella semi oscurità, gli
prese un nodo alla gola. Il pensiero di quel sogno nel capanno gli franò nella
testa, facendogli esplodere il cuore. Marzio doveva aver passato un’infinità di
notti coricato di fianco al suo Derevan, e se in quel momento poteva sentirlo,
sicuramente scalpitava perché lui si addormentasse.
E invece non ci
riusciva.
Si sentiva in
colpa, e turbato. Pensieri, ricordi e sensazioni si mescolavano e si infrangevano
sul suo cuore come flutti. Faceva freddo, e Malfoy era mezzo scoperto. Erano le
reminescenze di Marzio, che lo facevano preoccupare per lui? Erano le sue mani
o quelle del Romano, che afferravano le coperte per risistemargliele addosso?
- Uhm. -
Un occhio grigio e
lucido puntato su di lui, e un’altra domanda. Era il suo volto, o quello di
Marzio, ad avvampare?
- Scusa, non volevo
svegliarti. -
- Non stavo
dormendo. -
Harry sospirò. –
D’accordo. Allora buonanotte. -
- E’ la terza volta
che lo dici, ma non mi sembra proprio una buonanotte. -
- Che cosa vuoi,
Malfoy, le coccole? -
- Le favole. -
Harry sogghignò. –
Che idiota. Allora te ne racconto una bella su un Romano e un Iceno. -
- Wow, questa sì
che è un’idea, Potter. È talmente noiosa che mi addormenterò come un sasso. -
- E’ noiosa per te
che non hai un cuore. -
- Impossibile. Sono
vivo. -
- Sì, sì, sarai
alimentato da una qualche pompa pneumatica. -
- Hey che cos’era,
un insulto? -
- Certo che sì. I
Babbani non fanno che andare in giro a dare della pompa pneumatica alle persone
che non sopportano. Allora, c’era una volta un Romano, che un bel giorno
incontrò un Iceno e ne se innamorò. -
- Hai scordato di
specificare che l’Iceno era bellissimo. -
- No Malfoy,
l’Iceno era sopportabile. La gente si accontenta di poco a volte, sai? -
- Tu ti accontenti
di poco, Grifondoro. -
- Uffa. Insomma, ci
sono questi due che si amano, e che vogliono stare insieme. Ma c’è un problema,
i loro popoli sono in guerra, e il destino è contro di loro. -
- Sì, sì, bla bla
bla e fine. -
- Tu sai come va a
finire? -
Draco diede una
scrollata di spalle da sotto le coperte. – Ma sì, come vuoi che finisca,
vivranno felici e contenti, e continueranno a cercarsi anche da morti, e
schifezze nauseanti del genere. -
- Sei un idiota. -
Draco si tirò su a
sedere di colpo.
- Che cos’hai
detto? -
- Che sei un
idiota. – ringhiò di nuovo Harry. – E che non hai capito niente. -
- Ma che vuoi? Come
diavolo ti permetti di parlarmi in questo modo?-
- Chiudi quella
bocca, Malfoy. Il giorno in cui perderai l’abitudine di parlare a sproposito
sarò felice. -
- Come osi! Hey
sono io quello che è stato messo in mezzo! -
- Oh finiscila con
questa storia, una buona volta. Non riesco a credere che tu sia così cinico da
lavartene le mani. Scusami, se ho pensato che anche tu avessi dei sentimenti. -
- Non ti rare in
ballo i miei sentimenti, adesso. Che cosa c’entrano, eh? -
Le quattro del
mattino, e ancora non si vedeva via d’uscita.
- Si può sapere
perché non me l’hai detto?!?! – strepitò Malfoy.
Harry non potè
negare di sentirsi in parte in colpa. – Beh, che vuoi che ti dica, pensavo che
potesse ferirti. Invece noto con piacere che non potrebbe importartene di meno.
-
- Certo che non me
ne importa, se si sono fatti ammazzare è un problema loro! Ma tu non avevi il
diritto di tenertelo per te! -
- Hey, guarda che
ha fatto soffrire anche me. Ci ho messo un po’ a metabolizzarlo. -
- Metabolizzarlo?
Potter animo, sono spiriti, è ovvio che fossero morti! -
- C’è modo e modo
di morire. -
- Appunto per
questo dovevi dirmelo, invece che stare zitto. Tzk, e poi parli di collaborare.
-
- Oh, come se fosse
facile collaborare con te,vero? Non sei stato granché disponibile in questi
giorni, mi pare. -
- No che non lo
sono stato. Mi spieghi come si fa ad essere disponibile con qualcuno che non ti
dice niente? Se non te ne fossi accorto, Potter, mi hai fatto sentire come uno
stupido aggeggio da sfruttare per raggiungere il tuo nobile scopo. Beh grazie
tante, non lo sono. -
- Non eri tu quello
che volevi liberarti dallo spettro maligno? -
- Divertente. Ridi,
ridi pure finché non ti sarai strozzato. Almeno io ho la decenza di dire che
questa storia non mi piace, e non mi piace perché non è un gioco. -
- Non ho mai detto
che fosse un gioco. -
- Ma ti comporti
come se lo fosse, mi sbaglio? L’hai presa per una grande giostra in cui poter
esibire la tua magnanimità, mentre non sei che un pallone gonfiato che non sa
nemmeno quello che sta facendo. -
- Sono in buona
compagnia, di un moccioso egoista e vigliacco, che ha paura di affrontare
persino i suoi sogni, per rendersi utile una volta tanto, mentre le due persone
che si trova davanti sono morte per ciò in cui credevano. -
- Ma io non sono
Derevan! – si sfogò Malfoy, scalciando via le coperte. – E tu non sei Marzio,
perciò smettila di comportarti come un eroe e svegliati! -
Harry si irrigidì,
inebetito dall’ultimo attacco di Draco. Lentamente, si rimise giù, afferrò un
lembo della coperta e se la tirò fino al mento.
- Vai al diavolo,
Malfoy. – sillabò. – Sul serio, vai al diavolo. –
|
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Capitolo 13 *** Triumviratus ***
Cap 8: Il giorno dopo, però, parlano a lungo, instaurando un minimo di
rapporto di fiducia
- Beh, e allora? -
Hermione mise fine
a minuti e minuti di inutile attesa sbottando contro un Harry più che mai
assorbito dalla sua colazione. Lui fece finta ancora per alcuni secondi di
essere impegnatissimo a spalmare la marmellata di fragole sul pane tostato
senza sprecarne un filo, e conferendogli pure una certa forma artistica. Ma
Hermione non era certo tipo da farsi incantare con così poco, e ci si era messo
anche Ron che, di fianco a lei, aveva incrociato le braccia con il suo solito
fare corrucciato. Ok, basta marmellata artistica.
- Mmh, niente. –
borbottò con la bocca mezza piena e gli occhi rigorosamente puntati da qualche
altra parte.
- Che cosa vuol
dire niente? Non ci siete riusciti? -
- Già. Malfoy non è
molto collaborativo. -
Hermione lo
analizzò dal bordo del vetro del suo bicchiere mezzo riempito di zucca. – Beh,
che ti aspettavi. – disse con cipiglio saccente. – E’ Malfoy, no? Credevo che
lo conoscessi. -
Già, lo credeva
anche lui. Harry diede una scrollata di spalle che sperò essere significativa,
ed evitò di rispondere. Non gli andava di beccarsi del bambino solo perché da
quando aveva instaurato una specie di rapporto con Draco, si era convinto di
essersi sempre sbagliato sul suo conto.
Oddio, non del
tutto. Malfoy gli aveva ampiamente confermato di essere un viziato damerino
testardo, ma anche di essere sveglio, e a modo suo umano. Gli dava un fastidio
pazzesco pensare di essersi fatto fregare.
- Penso che
riproveremo. – buttò lì, senza nemmeno impegnarsi a farcire le sue parole di
convinzione.
- Qualcosa è andato
storto, allora? -
- Non abbiamo
dormito, semplicemente. -
- Cosa?!? -
Hermione sembrò
aver messo a fuoco solo in quel momento le occhiaie tremende, a fatica nascoste
dagli occhiali, che appesantivano lo sguardo dell’amico. Si mordicchiò il
labbro inferiore, a disagio per essere stata così dura e per non avere una
soluzione brillante pronta sulla punta della lingua. Tentò di essere
incoraggiante.
- Beh, è normale.
Forse dovreste parlare un po’ e cercare di entrare più in confidenza. -
- Ci abbiamo già
provato. E per poco non venivamo alle mani. – Harry fece un grugno infastidito,
e si cacciò in bocca l’ultimo rimasuglio di pane e marmellata artistica. – E’
che Malfoy è… non lo so. – si sfogò. – La persona più strozzabile
dell’universo. Con quel suo modo di fare, come se avesse capito tutto lui, e
come se ne esce con i suoi discorsi assurdi, e poi non gli va mai bene niente,
uno cerca di dormire ma non c’è pericolo… -
- Mandalo al
diavolo, Harry. – se ne venne fuori Ron.
Harry lo guardò in
modo strano, a metà fra il tentato e l’offeso.
Ron se ne rimase
immobile, apparentemente tranquillo, e animato da uno sguardo insolitamente
penetrante, a cui l’amico cedette il passo, dopo una breve quanto inutile
lotta.
- No. – sospirò. –
Non posso tradire Marzio proprio adesso, non perché Malfoy fa i capricci. -
- Dovresti proprio
chiedere a quel Marzio che cosa ci abbia trovato in Derevan. Se è antipatico la
metà di Malfoy, io gli sarei girata alla larga. -
- Già. -
- Ha toccato
qualche brutto tasto, eh? -
- Uhm? -
- Dai. Lo vedo
dalla faccia che hai. Sembri reduce da un funerale. Tu sei arrabbiato nero con
Malfoy, perché quell’idiota avrà messo il dito in qualche piaga. -
- Non avrà osato
prendere in giro i tuoi genitori, vero? – si infervorò Ron.
- No. Non sarebbe
vivo, altrimenti. -
- Dovresti
parlargli. Però non alla tua solita maniera. – sentenziò Hermione, alzando
persino il dito indice. – Se due testoni come voi cercano di superarsi a
vicenda, ci credo che ne viene fuori una litigata. Prova a starlo a sentire, e
convincilo ad ascoltare te. Quello che dovete fare è troppo importante, per
mollare tutto. Lo hai detto anche tu. -
* * *
Niente di più vero.
Forte di quell’unica convinzione, Harry infilò il corridoio che portava al
piano superiore, e si nascose in uno dei pertugi che ospitavano la lunga fila
di finestrelle strettissime che facevano da cornice all’intero perimetro. Draco
aveva Storia della Magia, ne era arcisicuro, e quindi doveva passare per forza
da lì.
Non si fece
attendere, in effetti: fu uno dei primi studenti a arrivare al piano ancora
semideserto, e evidentemente era troppo nero per aver voglia di compagnia, dato
che era tutto solo. Harry ringraziò la circostanza: la sola idea di dover
improvvisare un palchetto per portarselo via sotto il naso del suoi compagni
gli dava la nausea, per quanto stupidi potessero essere.
- Fermati. Devo
parlarti. -
Il Serpeverde si
voltò di scatto e gli cacciò uno sguardo velenifero.
- Sparisci
all’istante. -
- Ho detto che devo
parlarti. -
- Sto andando a
lezione. -
- Datti malato e
seguimi. -
Alla fine, Draco
non ebbe il tempo per darsi malato. Harry lo afferrò per un braccio e lo
trascinò di sotto, fra lo stupore dei pochi studenti che si avventuravano per le
loro stesse strade. Imboccò un corridoio tozzo, e si infilò dentro ad un’aula
deserta con la sicurezza che poteva avere solo qualcuno che aveva già
controllato in precedenza che la via fosse libera.
Si buttò a sedere
su un banco vuoto, e incrociò rapidamente le braccia al petto.
- Fuori fa freddo.
– borbottò a mo di giustificazione.
- Non ho tutta la
vita, Potter. – ringhiò Draco per tutta risposta, restandosene prudentemente
nei paraggi della porta.
- Beh, allora sarò
breve. Penso di doverti delle scuse, per ieri notte. Perciò, scusa. -
- “perciò
scusa”?!?! -
- Volevi che fossi
rapido e conciso, no? -
- D’accordo, ma
così mi sembra un po’ troppo. -
Harry inarcò le
sopracciglia e sbuffò. – Dai, volevo solo scherzare. Senti, ho sbagliato a
mandarti al diavolo. Eravamo tutti e due nervosi, e ci siamo aggrediti. -
Draco si fissò le
mani, palesemente indeciso. Trascorse qualche secondo di silenzio, che
nonostante tutto non era troppo carico di tensione. Si trattava pur sempre di
due ragazzi, due persone ragionevoli, che con un po’ di fatica cercavano di
confrontarsi. Si poteva anche fare. Forse.
- D’accordo. –
disse con una certa esitazione. Sembrava molto stanco, e non solo per via del
sonno perduto.
- Mi spiace che tu
ti sia sentito usato. Dico davvero. Non era assolutamente mia intenzione. –
- Lo spero bene. -
Harry formò un
mezzo sorriso, e buttò lì un: – Non sei molto a tuo agio con questa storia, eh?
– che voleva essere gentile.
- No, per niente. -
- Già. Senti, io ti
capisco. Forse abbiamo solo sbagliato approccio. Dovremmo provare a parlare un
po’ noi due, invece che focalizzarci sempre su Marzio e Derevan. Hai ragione tu,
noi non siamo loro. – rispose, sorvolando sul tono forzato delle ultime parole
che, per qualche maledetta ragione, non gli era piaciuto pronunciare.
- Io non vorrei mai
essere Derevan. – rimbrottò Draco. – Quello è troppo carino e gentile. Con te
soprattutto. Cioè, con Marzio. -
- Ci credo, Marzio
è un tipo affascinante! -
Draco cercò di
fulminare Harry con un’occhiataccia, ma questi rise, smorzando del tutto la
pesantezza dell’atmosfera.
- Senti, da me a
te. – riprese il Grifondoro. – Siamo finiti dentro ad una storia surreale, però
io sono convinto di voler andare avanti, ed aiutare questi due. E scusami se ho
dato per scontato che lo fossi anche tu, hai il diritto di volerci pensare
sopra. -
- Non è che ci devo
pensare sopra. Derevan non mi darà mai tregua se non lo aiuto, e io voglio
ritornare al mio quieto vivere il prima possibile. -
- Sì, però se non
desideri aiutarli davvero, io credo che non ne verremo fuori. Sai come la
penso, e io so che la mia idea serve solo a far di me il Grifondoro più
Grifondoro dell’universo. Ma il fatto è che senza di te ho le mani legate, e
per quanto Marzio possa aver bisogno di noi, sei tu che vivi nel presente, ed è
te che continuerò ad avere sotto il naso per il resto dell’anno, anche quando
questa storia sarà finita. -
- Quindi scarichi
su di me tutte le responsabilità? -
- Scemo. Sto solo
cercando di dire che già che ci siamo potremmo anche parlare un po’. Così tu
potrai ficcarti in quella testa dura che ti puoi fidare di me, e che non
perderai l’onore a fare una buona azione. -
- Non sei
spiritoso. Non mi sembra di aver mai detto che non voglio farlo. Solo che ci
sono troppe cose che non mi quadrano, e vorrei vederci più chiaro. -
- Ti capisco. Però
penso che Marzio e Derevan siano persone di cui possiamo fidarci. Avrebbero già
avuto molte occasioni per farci del male, se avessero voluto. -
- Uhm. Beh, sei tu
quello che se ne intende di eroi. -
- Ti adoro quando
fai così. – sghignazzò Harry. – Avresti del talento come comico, se solo fossi
un po’ meno acido. Vedi, è per questo che sarei contento di poterti conoscere
meglio. Sono quasi certo che tu non sia poi tanto male. -
- Lusingato, Potty.
– borbottò Draco. – E dimmi, vuoi conoscere il mio segno zodiacale, per sapere
tutto di me? -
- Non credo. Magari
alla Cooman interesserebbe, ma io preferirei il vecchio metodo della
chiacchierata. -
- Grandioso. Qual è
il tuo colore preferito? -
- Il rosso, è
ovvio. Meglio se abbinato all’oro. -
Draco alzò gli
occhi al cielo. – Buona risposta, Sfregiato. – si complimentò.
- Lo dici perché di
solito mi sottovaluti. -
- E’ una bella
sfida non sottovalutarti. Se magari ti impegnassi ad essere un po’ meno
paladino della giustizia, forse non mi daresti così sui nervi. -
- Gelosone. Dillo,
che mi volevi a Serpeverde. -
Draco strabuzzò gli
occhi. – Brrr. – esclamò. – Non riesco ad immaginare niente di più
terrorizzante di te che te ne vai in giro a rovinare il buon nome di Salazar! -
- Almeno Piton mi
avrebbe visto più di buon occhio. -
- Oh, non credo
proprio. Sai, il professor Piton soffre di un’antipatia cutanea per gli inetti.
E, mi dispiace dirtelo Potty, ma nessuna uniforme ti avrebbe salvato dalla tua
sconcertante incapacità. -
- Ma sentilo,
Mister Paiolo di tutti i tempi. Sai Furetto, se fossi stato assegnato a
Serpeverde, a quest’ora potresti essere la mia riserva, anziché farti fregare
il Boccino da sotto il naso ad ogni partita. -
Punto sul vivo,
Draco assunse un colore paonazzo, e avanzò di un paio di lunghe falcate.
- Tu saresti la
riserva! – tuonò. – E non avresti nemmeno la speranza di poter giocare, con uno
come me davanti! -
Harry ridacchiò
sotto ai baffi della furia di Draco, e scrollò le spalle, come a voler chiudere
la conversazione.
- Almeno saremmo
abituati a dormire assieme, e non avremmo di questi problemi. -
- Non sarei così
ottimista, fossi in te. Ho il forte sospetto che tu russi. -
- Cosa? Hey, io non
russo! -
- Mah, staremo a
vedere. -
- Ma senti un po’
il principino dal sonno dolce. Secondo me tu ti agiti come un forsennato. -
- Questo lo dici
tu, mio caro Potter. E se così fosse, tanto meglio, almeno potrei prenderti a
calci, e tu non potresti replicare. -
- Certo che
replicherei. -
- Oh, io dico di
no. Sei troppo Grifondoro per svegliarmi nel cuore della notte, solo per dirmi
di stare fermo. -
Harry mugugnò,
guadagnandosi un’occhiatina trionfale da parte di Draco. Proprio in quel
momento, il corridoio si animò dello scalpiccio degli altri studenti, e delle
loro voci che si mescolavano e si scavalcavano le une con le altre. Harry
controllò l’orologio che portava al polso, per avere la superflua conferma che
l’ora di lezione fosse terminata.
- Allora, acqua
passata? -
Draco lo guardò in
tralice. – Che razza di espressioni sono? -
- … -
- Acqua passata,
acqua passata. -
- Ok. Bene. Allora,
ci vediamo questa sera? -
- Non me lo
ricordare. -
- Che cosa ti
tocca, adesso? -
- Divinazione. -
- Uhm, che invidia.
Io invece filo giù alla Foresta. Lezione di Cura. -
- Non so chi debba
invidiare chi, sai, Potter? -
- Ma finiscila.
Hagrid è un bravo insegnante, e se per caso vedo un Ippogrifo, te lo saluto! -
Harry balzò giù dal
banco, e infilò rapido la porta, perdendosi gli ultimi improperi di Draco che
andarono a confondersi con i rumori della folla. Si sentiva incredibilmente
leggero.
* * *
Draco fece caso ad
una cosa, quando quella sera Harry si coricò vicino a lui, un attimo prima di
spegnere la luce. Senza gli occhiali, la sua somiglianza con Marzio era
qualcosa di sconcertante.
Non che ciò lo
sfiorasse in qualche modo, ovviamente.
Quando
chiuse gli occhi, e li riaprì su una radura soleggiata, capì che qualcosa non
funzionava. O meglio, che qualcosa aveva funzionato. Si guardò attorno,
cercando di nascondere a sé stesso la sua trepidazione: il posto era alo stesso
tempo identico e diverso da quello in cui aveva incontrato Derevan.
Tanto
per cominciare, lì non pioveva, con somma gioia delle sue ossa. Inoltre non
vedeva salici all’orizzonte, ma solo un piccolo bosco che sorgeva nel bel mezzo
del nulla. Bosco che gli suonava stranamente familiare.
Si
mise a correre verso quella direzione, augurandosi che Potter fosse laggiù,
perché cominciava ad averne abbastanza di quel prato agorafobico.
Vi giunse più in
fretta di quanto aveva pronosticato. Si appoggiò al primo albero disponibile
per riprendere fiato, e con le orecchie assordate dal rimbombo del suo sangue
non sentì il fruscio di fogli secche che venivano calpestate.
Due ombre gli si
pararono all’improvviso davanti, facendolo sussultare.
- Hey, Potter? Sei
tu? -
Harry si ficcò le
mani in tasca e annuì. - Sei davvero Malfoy, o ti sto sognando? –
- Sono davvero io.
-
- Come faccio ad
esserne certo? Dimostramelo, dimmi qualcosa che non posso sapere di te. -
- Dio, non ti
sopporto. -
- A ha. Ho detto
qualcosa che non so. -
Draco si arrese,
alzando gli occhi al cielo. – E va bene! Ho un neo vicino all’ombelico, in
basso a sinistra. Contento? -
- Direi di sì.
Credo che solo l’originale Malfoy si sarebbe infuriato per una cosa del genere.
Domattina posso controllare se ce l’hai davvero? -
- Miseria, Potter,
certo che no! -
- Dov’è Derevan? –
domandò impaziente Marzio.
Draco lo guardò,
mettendolo a fuoco per la prima volta. Era esattamente come lo aveva visto, ma
gli faceva uno strano effetto che ora lo guardasse negli occhi, abituato
com’era ad essere trapassato dal simulacro dei ricordi di Derevan. Gli restituì
uno sguardo strano e confuso.
– Non lo so. –
ammise. – Credevo fosse qui con voi. -
Per un istante,
sembrò che tutto si fosse gelato. Harry rivolse a Marzio un’occhiata ansiosa,
terrorizzato all’idea di sentirsi franare addosso una di quelle orrende
sensazioni di baratro. Il Romano, stranamente, se ne stava fermo, come se si
fosse estraniato dal mondo. Che cosa diavolo stava succedendo, perché Derevan
non era lì?
- Capisco. –
mormorò dopo un po’, con voce assolutamente calma.
- Io invece no. –
protestò Draco. – Perché Derevan non c’è? -
- Perché
probabilmente qualcosa è andato storto. Sei certo di essere addormentato? -
- Che razza di
domande fai, non vedi che sono qui? -
Harry lo fulminò
con lo sguardo, mentre Marzio non parve far troppo caso alla sua arroganza.
- Allora siete
sicuri di essere abbastanza vicini? -
- Siamo sullo
stesso letto. – confermò Harry. – A meno che Malfoy non sia caduto giù. -
- Tu sarai caduto
giù, brutto Grifondoro dei miei stivali. – protestò Draco.
Marzio diede un
sospiro grave, che costrinse gli altri due al silenzio. Si sforzava in modo
evidente di nascondere la propria delusione per non far sentire in colpa gli
altri due, ma era troppo anche per lui.
- Mi dispiace. –
gli disse Harry, terribilmente accorato.
- Non fa niente.
Posso aspettare fino a domani. -
- Potremmo provare
a svegliarci per controllare che cosa non va, no? – propose Draco.
- Sarebbe inutile.
Il risveglio viene da solo, né voi né io possiamo decidere di farvi svegliare.
E poi c’è sempre il rischio che non vi riaddormentiate più. -
- Credevo che fossi
in grado di farlo. – accusò Harry.
- Mi sopravvaluti.
Io sento che ti stai svegliando, ma non posso né volerlo né impedirlo. Anche
questo fa parte delle regole. -
- Uhm. A proposito,
dimmi una cosa. -
Harry scoccò un’occhiata
a Draco, che per il momento sembrava assorbito da un minuzioso esame di Marzio,
dalla testa ai piedi. Da quando gliene aveva accennato, la notte precedente, ci
aveva pensato su molto, ma non era riuscito ad approdare a nessuna risposta
plausibile.
- Riguardo la
faccenda dell’imboscata, e il resto. – disse fra i denti, cercando di non far
notare le sue parole a Draco. – Hai infranto le regole, vero? Me ne hai parlato
senza che io vedessi. -
Marzio subito si
irrigidì, come se fosse stato colto il flagrante. Anche Draco si irrigidì, ma
solo per imitazione. Era talmente concentrato sul Romano che gli era saltato il
cuore in gola all’unisono con lui. Effettivamente, Marzio era proprio identico
a Harry: le uniche differenze, oltre agli occhiali e ai vestiti, erano la
costituzione, leggermente più muscolosa, e la cicatrice.
Marzio non era uno
Sfregiato, già. Nel partecipare ai ricordi di Derevan non se n’era mai reso
conto, perché semplicemente aveva dato la cicatrice per scontata. E invece non
c’era. E dire che lui aveva sempre connessa in modo automatico alla faccia di
Harry.
- L’ho infranta a
metà. – confessò Marzio. – E’ vero che te ne ho parlato senza che tu abbia
visto nulla, ma non avrei potuto farlo, se tu non lo avessi già saputo. -
- Già saputo? Ma
come facevo a saperlo? -
Marzio reclinò la
testa, e con un solo sguardo gli entrò letteralmente nella testa. – Guarda
dentro il tuo cuore. – lo invitò. – E’ una sensazione che già conoscevi,
qualcosa che sentivi come inevitabile, no? -
Harry capì cosa
voleva dire. I lunghi istanti di strazio che aveva provato senza un preciso
motivo, quella sensazione di sbagliato a cui aveva dato un nome soltanto con le
parole di Marzio, tutto assumeva un senso, e molti tasselli andavano al loro
posto. Provò di nuovo una fitta di dolore, e una gran voglia di piangere, ma
stavolta era tutto più ovattato, come quando un incubo ti viene spiegato, ed
improvvisamente fa meno paura.
Come se la morte
non fosse poi una cosa così terribile, non per chi ha un’anima troppo carica di
sentimenti per potersene andare. Che cos’è, in fondo? Buio, silenzio, un’oasi
di alberi nel nulla? Allora vale di meno di un sorriso, è ben poca cosa,
paragonata al bagaglio di ricordi intoccabili che la vita lascia, e se Derevan
era stato questo, e molto di più, tutto diventa più semplice: la morte spaventa
solo chi non ha vissuto. E Marzio, lui poteva dirlo, rarissimo fra tutte le
anime degli uomini, di essersi bagnato il volto con la pioggia di ogni suo
giorno, passato con Derevan.
Era questo, era
tutto questo. Era enorme.
- Potter? – Draco
occhieggiò con diffidenza ai due ragazzi identici che aveva davanti a sé,
protestando con lo sguardo per essere stato escluso dalla conversazione. – Ti
spiacerebbe spiegare anche a me di cosa state farneticando? -
Marzio sorrise,
pieno di tenerezza. – Sei proprio come lui. – mormorò. – Identico. Dèi, come
aggrottava le sopracciglia, quando non capiva qualcosa. –
Tese una mano verso
Draco, ed Harry si ritrovò a fissarla con occhi rapaci.
- Vorrei toccarti.
Ti prego, mi permetterai di toccarti il volto, sono una volta? -
Harry sentì una
morsa allo stomaco, e la voglia improvvisa di prendere a pugni Marzio. Lui era
lì per il suo Derevan, ma quello non era Derevan. Era Draco, e lui Draco non
poteva toccarlo. Non doveva toccarlo, diamine.
- No. – si sorprese
a dire.
Marzio si arrestò
bruscamente, con la mano a mezz’aria.
- Voglio dire… lui
non è… - borbottò Harry, confuso.
- Potter, ma che
dici? -
Marzio sorrise, e
si limitò a ritrarre la mano senza fiatare.
Draco cercava
ancora di orientarsi in tutta la situazione, il sangue che gli ribolliva per la
rabbia, nel vedere come fra Marzio ed Harry esistessero delle dinamiche e delle
chimiche che fra lui e Derevan non c’erano.
Un po’ era colpa
sua? Beh, forse, ma una cosa era certa: il giorno dopo, anzi, la sera, avrebbe
dato una bella strigliata a quell’Iceno.
Harry riaprì gli
occhi. Non si era reso conto di essere scivolato fuori dal sogno, e nemmeno che
fosse l’alba. Si stropicciò gli occhi, che si abituarono in fretta alla luce
fioca che esitava ad innalzarsi oltre l’orizzonte montagnoso, e per prima cosa
si girò su un fianco.
E sospirò.
- Idiota. – mugugnò
ad un Draco beatamente addormentato, nonostante l’assurda posizione in cui si
trovava: un braccio buttato all’indietro, l’altro che sporgeva dal letto, una
gamba del tutto crollata giù e tutto il busto storto; per non parlare della
faccia, girata verso destra, e del fatto che fosse completamente scoperto.
- Lo dicevo io, che
ti agiti come una furia. -
E così, l’incontro
era andato a monte per colpa di quello squilibrato di Malfoy, e delle sue manie
circensi.
Harry si grattò la
testa e stirò in avanti le braccia. Com’era carino, messo così. Se avesse
potuto, gli avrebbe scattato una fotografia. E poi, per tutte le scope e i
boccini del mondo, ne avrebbe affisse delle copie in tutta la scuola,
rigorosamente in formato gigante. E che poi non si dicesse che la sua
destinazione di vocazione non era Serpeverde.
Per il momento, si
accontentò di tirare su il groviglio di coperte che Draco aveva divelto, e
rimboccargliele per bene fino al collo. Perché alla fine dei giochi, restava
pur sempre un Grifondoro.
ANGOLINO!
Perfetto. Da questo
capitolo in poi, piangerò ininterrottamente fino alla fine. Perché va beh, è
così, quando mi faccio prendere troppo da una storia finisce sempre male.
Sopportatemi.
Nota: Il titolo si riferisce al triumvirato,
forma politica in uso a Roma, basata appunto su tre uomini con uguali poteri,
che in linea di principio dovevano collaborare. Ovvio l’ironico riferimento
all’incontro dei nostri tre protagonisti.
Koorime:
porta pazienza, in questo periodo sono molto di corsa! Grazie per tutto, e sì,
la sensazione di spaesamento è comprensibile… direi che con questo capitolo
qualche passetto avanti lo abbiamo fatto.
Fra
ro: grazie!
Little
star: ma no, la Cooman è nella stanza attigua, per fortuna! Se no sai che
tragedia!
Puciu:
accidenti, spero che Franco riesca a mettere una toppa alla situazione… grazie
di tutto, soprattutto per la tua sincerità, mi rende doppiamente felice! Sì i
titoli sono una cosa voluta; in realtà non c’è un motivo preciso, è una mezza
sfida con me stessa.
Hokori:
dai, che qualcosa si è mosso in questo cap… già, anche troppo, accidenti a Draco
-__- huhuhu, certo che mordono, e forte anche!
Tsuby:
ottima idea… ma per la salute dei nostri eroi, meglio che del sonnifero si
occupi Hermione…
The
fly: beh, farli cominciare buoni e pacifici sarebbe stato non da loro… evviva
le botte!
Smemorella:
aiuto! *scappa* *anzi no, ritorna per dire una cosa* io ti ooooodio, per quel
quiz sui cartoni!!! Mi ci sto spaccando la testa sopra da giorni, e sono solo a
quota 25!!! Quelle faccine che mi guardano, e io le conosco, ma non mi ricordo
il titolo, aaargh!
Dark:
hihih, poveretto, sempre a farci ste figure…
Blaise:
che ci vuoi fare, non potevamo aspettarci niente di diverso da questi fenomeni
da baraccone. Meno male che adesso cominciamo a ragionare.
far:
oddio, i tuoi collage sono insuperabili… mi si sono sovrapposte le immagini di
Ron sbiancato, e Harry che sistema le coperte a una muffola pigmea
grigio/verde… aiuto.
Rodelinda:
certo che ce l’hai solo tu, ma prossimamente mi metterò anche io alla caccia di
qualcosa di baka per il mio pc. Huhuhu, l’economia della storia in fin dei
conti procede da sola. Il capitolo è stato doveroso per questa
riappacificazione, anche perché Harry e Draco che dormono felici e contenti
come niente fosse la prima notte sarebbe stato totalmente OOC e improbabile.
Lady:
hai fatto centro su tutta la linea, mia cara! Ha, come amo i lettori attenti.
Oltre al titolo, ci hai anche preso su quella sibillina frase di Malfoy, e
sulla sua importanza capitale…
T
Jill: mia cara, non ti preoccupare, le indigestioni sono sempre gradite in
questo campo! Piuttosto, sai che io mi aspetto una tua partecipazione al
concorso, veeero?
Layla84:
ti ringrazio tantissimo! Hihi, poveri, loro non sono così contenti invece!
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Capitolo 14 *** Duo milia ***
Cap 8b- primo incontro
- Che cos’hai
sognato? -
- E’ stato
stranissimo. – rifletté Draco. – Non sono riuscito a trovare Derevan. Ero da
solo, e pioveva a dirotto. -
Forse era perché
era sabato mattina, e il pomeriggio riservava ai ragazzi una capatina a
Hogsmeade che prometteva un po’ di distrazione; forse era il fatto che il sole
fuori dalla finestra, gelido ma luminosissimo, stridesse con le parole di
Malfoy. Ad ogni modo, sembrava più che mai intenzionato a lasciarsi un po’
andare, e andava bene così. Harry se ne rimase accucciato fra le coperte ad
ascoltarlo parlare del piccolo grande niente in cui aveva trascorso le ore di
sonno rimaste, dopo l’incontro con Marzio.
Lui non si era più
riaddormentato. Un po’ perché Draco occupava una bella porzione del suo posto
con la sua gamba, costringendolo a starsene rintuzzato in un maledetto angolino
senza piumone, e un po’ anche perché semplicemente, guardarlo dormire gli aveva
tolto il sonno.
Non c’entrava nulla
con Marzio, anzi: non era Derevan che aveva visto. Per un attimo aveva sentito
il bisogno di un confidente a cui affidare tutto quello che stava provando, e
chissà come mai gli era subito venuto in mente il Romano. Aveva provato un
doloroso senso di colpa nei riguardi di Hermione e di Ron, perché sempre di più
quella faccenda andava assumendo contorni latini, incomprensibili per chiunque
non la avesse conosciuta sulla sua pelle. Ovvero Draco.
Ma Draco, in quel
momento, era quanto di più nebuloso si fosse mai ritrovato fra le mani.
Era talmente
mutevole da fargli venire il mal di testa, con i suoi repentini cambi d’umore
scatenati da un nonnulla, che buttavano a mare ore di conversazione con una
persona di un’intelligenza stupefacente, di cui ci si poteva soltanto
innamorare.
Chi era davvero
Draco? E chi era Derevan? Harry rimuginava anche su questa apparente dicotomia
che conviveva in un medesimo corpo, adattando lo stesso sorriso, gli stessi
occhi, le stesse espressioni a gratuità odiosità o alla dolcezza più soave in
modo disarmante.
Se Derevan aveva
finto, allora Marzio si era fatto prendere in giro per duemila anni. Se invece
era Draco a nascondersi, stupido lui, ed egoista, a negarsi al mondo. Ma
conoscendo Derevan per quel poco che gli era stato permesso di vedere, e
tornando ad analizzare Malfoy, dopo il sommario quanto capitale giudizio che un
bambino di undici anni aveva formulato verso un coetaneo troppo lontano dal suo
mondo, ci si rendeva conto che nessuna delle due ipotesi era plausibile.
Draco era, doveva
essere, entrambe le cose. Entrambe le sfumature di sorriso avevano senso sulle
sue labbra, anche, e soprattutto, quando comparivano a sproposito. Viveva
tenendo ben custodito dentro di sé quell’anima umana così vergognosamente
fragile per i suoi gusti, ma doveva essere anche dispotico e antipatico, e polemico
a non finire.
Era necessario.
Altrimenti, sarebbe stato Derevan, non Draco.
Un paio d’ore dopo,
Harry incespicava nella neve con un gruppo di amici, ma i pensieri erano più o
meno gli stessi. La decisione di passare i pomeriggi separati era stata in
pratica obbligata, nonostante Harry avesse avuto non poca difficoltà a
nascondere la sua delusione.
Con Draco ci stava
solo la sera e la notte, e la cosa aveva dello squallido. Malfoy, da parte sua,
non aveva reagito in modo particolare: si era stretto nelle spalle, limitandosi
a borbottare qualche imprecazione contro il freddo che ci sarebbe stato. Si era
sbottonato soltanto per un attimo, facendo magistralmente finta di niente.
- Passi da
Mielandia? -
- Mah, credo di sì.
-
- Uhm. Perché io ci
vado. -
Harry si era
guardato bene dal commentare. Non voleva mica finire scaraventato fuori dalla
porta a calci, o qualcosa del genere.
- Harry, mi stai
ascoltando? -
- Sì, sì. Va
meglio. -
- Non ti stava
ascoltando. – chiosò Ron, ridendosela sotto ai baffi.
- E’ una cosa
importante. – lo rimproverò Hermione. – Siamo all’ultimo anno, e manca poco ai
M.A.G.O. Devi pensare anche a quelli, non ti puoi permettere di dimenticarti
dello studio. Per una volta che non è in gioco la tua vita, puoi pure farli
aspettare, no? -
Wow, sembrava
parecchio inacidita.
- Tu lo studio non
te lo dimentichi mai invece, eh? – borbottò Ron. Pessima mossa.
- Non ti
preoccupare. – la rassicurò Harry, cercando di correre in aiuto dell’amico
minacciato da una di quelle occhiate che non perdonano. – Non sto trascurando
niente. È che non credo che si possa aspettare. -
- Ma che dici? Sono
rimasti in attesa per duemila anni, un mesetto o due non farà differenza. -
- Hey, è ancora
gennaio! – protestò Ron, colorandosi di una lieve sfumatura di panico.
- Già, ma una volta
finiti gli esami, ognuno se ne va per la sua strada. Mi spieghi come faccio con
Malfoy? -
Lo chiese più a sé
stesso che a Hermione.
Dopo quello che
stava succedendo…
Dopo tutto quello
che stava succedendo.
Insomma, una volta
che si fosse risolto, basta? Sarebbe finito tutto così? Lui e Draco si
sarebbero ignorati per la strade di Diagon Alley, come se mai qualcosa di
immenso li avesse tenuti uniti a viva forza per un po’?
Pensarlo gli mise
addosso un umore nero.
Se due persone si
erano spinte fino ai confini del continente per incontrarsi, e nonostante le
difficoltà inimmaginabili che si erano trovate ad affrontare, non si erano mai
più perdute, allora lui non avrebbe perso Draco, non a causa di una stupida
ipocrisia, o dell’indolenza che addormenta i sentimenti e riduce le persone a
numeri su un’agenda che non si sfoglia mai.
Gli si
attorcigliava lo stomaco soltanto all’idea.
* * *
- Hey. -
Sentì un rimescolio
di coperte che annunciavano il tentativo di Draco di girarsi verso di lui.
Aveva inquadrato una cosa, in quelle sere: era freddoloso a livelli da non
credere. Salvo poi scoprirsi perché nel sonno si agitava come una scimmia, ma
questa è un’altra storia.
- Sto morendo di
sonno. – disse, un po’ come monito e un po’ come rassicurazione.
- Sì, ti lascio
dormire. Solo una cosa, tu come pensi che finirà questa storia? -
- Non lo so.
Vivranno tutti felici e contenti. Anzi, trapasseranno felici e contenti, o
qualcosa del genere. -
- Sì, sì, d’accordo.
Ma intendo dire… noi? Cioè, dopo… che facciamo? -
Draco inarcò un
sopracciglio abbastanza da far intravedere il movimento nella semioscurità. –
Che facciamo dopo? – si interrogò. – E cosa vuoi che ne sappia. Ci troveremo un
lavoro, e diventeremo due vecchi rompiscatole, come tutti. E magari ogni tanto
tireremo fuori il discorso, davanti ad un tè. Non so tu, ma io sono sicuro che
mi sentirò patetico al massimo. -
Harry si fece una
risatina contro il cuscino. Perché già immaginare Malfoy da vecchio era qualcosa
di allucinante in sé, ma soprattutto perché Draco lo aveva in qualche modo
incluso nel suo futuro. A lui andava benissimo rivangare vecchie avventure
davanti ad un tè caldo, insieme a lui.
- Allora… partenza?
-
- Evviva. -
- E dai, dovresti
cercare di goderti il lato divertente. -
- Sì, come no.
Notte. -
- Buonanotte. -
- … Senti, Harry.
Posso, vero? -
- Certo che puoi. -
- Uhm. Beh, senti, visto
che te ne intendi, non è pericoloso, vero? -
Malfoy doveva avere
paura che, una volta riunitisi quei due, sarebbe scoppiato il finimondo, o
sarebbero finiti travolti da un mare di scintille, o giù di lì. Vagamente
infantile, eh?
- No. Rilassati,
andrà tutto bene. -
- Hey, però tu non
mi mollare, quando siamo di là. Ok? -
Non un ombra di
acidità nella sua voce; soltanto la sincerità di chi sottopone un timore
comprensibile. Per l’ennesima volta.
Harry sorrise, e
nel farlo emise un soffio che scompigliò un ciuffo di capelli di Draco.
- Non ti mollo. –
lo rassicurò. – Non voglio trovarmi a fare il terzo incomodo. -
- Che diavolo,
avranno un po’ di ritegno, no? -
- Io non ne sarei
così sicuro. Dopo tutto quel tempo, saranno arcistufi di aspettare. -
Il povero Malfoy
rabbrividì, e Harry si augurò di non avergli guastato il sonno.
Cosa che, fortunatamente,
non avvenne.
Harry era appena
approdato nel boschetto dove Marzio lo aspettava. Lo sorprese concentrato a
scuotere il suo mantello rosso e a lisciarlo con cura, ma per non metterlo in
imbarazzo, si annunciò facendo un po’ di rumore con le foglie e i ramoscelli
caduti. Dopotutto, era pur sempre un uomo innamorato.
- Credo che si sia
addormentato. – gli assicurò.
- Lo faccio
addormentare io, se fallisce anche stavolta. -
Harry sorrise
bonariamente.
- Mi sembri teso. -
- Lo sono. Aspetto
questo momento da duemila anni, e per la lancia di Minerva, sembra che non
debba arrivare mai. -
- Arriverà. -
Marzio annuì, con
la vista offuscata dall’emozione.
- Se dovesse
scoppiarmi il cuore, tienimi su tu. – mormorò in uno strano modo serio.
- Sarà emozionato
anche lui. -
- Ma lui è
bellissimo, con le lacrime agli occhi. Mentre io sembro uno stupido. –
- Tanto per te è
sempre perfetto, vero? –
Marzio sorrise, e
non negò.
– Tutti gli uomini
innamorati sono vanitosi, e credono di aver donato il loro cuore alla persona
migliore di tutto il mondo. E io sono ancora convinto di questo. –
Due figure bionde
apparvero, come se si fossero Materializzate, ad una decina di metri da loro. Si
guardarono l’un l’altro e cominciarono ad avanzare verso di loro, in silenzio,
attraversando la luce intensissima del sole.
Harry sentì Marzio
trattenere il fiato, e si scoprì emozionato a sua volta, per lui.
All’ultimo momento,
una delle due figure si staccò e si mise a correre.
Marzio spalancò le
braccia e lo prese al volo, rischiando di caracollare all’indietro. Taceva, e
anche il vento, e tutto quanto. Attorno a loro si era creato un silenzio
perfetto che zittiva anche gli ultimi passi di Draco, i respiri e i battiti del
cuore, per racchiudere quel momento in uno scrigno geloso.
Come una qualche
arcana clessidra che, finalmente, aveva finito la sua sabbia, e si era fermata.
E così, questo era
Derevan. Quel Derevan che era valso una vita, e poi i duemila anni seguenti, a
sentire Marzio.
Dio, ora che gli
era vicino, Harry si rendeva conto di quanto fosse straordinariamente identico
a Draco.
Però, loro due non
erano due specchi, come lui e Marzio: Derevan sembrava una sorta di versione
più autentica di Draco. C’erano un’infinità di minuscole differenze fra di
loro: i capelli scomposti, più naturali, il volto rilassato, raddolcito da un
bel sorriso, la pelle un poco più arrossata sulle guance.
Eppure, era Draco.
Era così tanto Draco.
- Duemila anni. –
mormorò Marzio, con un filo di voce.
- Sì. – Derevan
tese la mano per accarezzargli il volto. Aveva la stessa voce di Draco, ma
declinata in un tono più gentile. – Abbiamo aspettato tanto. -
- Potter… -
- Shhh. -
Harry si defilò e
prese Draco per un braccio, portandolo in disparte. Draco gli scoccò
un’occhiatina infastidita, ma si rassegnò a tacere, per una qualche forma di
rispetto verso gli altri due.
- Mea spes. -
mormorò Marzio, le mani affondate nei suoi capelli biondi, gli stessi di
duemila anni prima.
- Io sono sempre
stato qui. Sempre. -
- Lo so. Anche io.
Ho pregato tutti gli dèi ogni giorno, per poterti rivedere ancora. -
- E io ho pregato i
miei. Allora, forse ci hanno ascoltati. -
Derevan sorrise fra
le lacrime, e a tutti lì, a Harry e a Marzio, e forse anche a Draco, mancò il
fiato, perché era veramente bello oltre ogni dire.
- Avrei voluto gridartelo,
quando ti ho visto arrivare. È solo colpa mia, mi dispiace. –
- Non dirlo. Era la
strada che dovevamo percorrere, Derevan. Lo sapevo anch’io. –
- Ho provato a
dirti che ti amavo, ma non ce l’ho fatta. Mi è mancata l’aria. –
- Io ti ho sentito,
dentro al mio cuore. Dolce sole, ci sono tante cose che avrei voluto dirti,
perdonami se la lingua mi si è fatta di pietra, vedendoti cadere. –
Si parlavano a
bassa voce, labbra contro labbra. Derevan singhiozzava di tanto in tanto, e
Marzio tratteneva i suoi a fatica, più per orgoglio che per altro. Veniva
voglia di prenderlo a schiaffi: se non era quella l’occasione giusta per
piangere, stupido testone che non era altro…
Derevan guardò
furtivamente attorno a sé, ai suoi piedi, aggirando Marzio.
- Sei sempre stato
in questo luogo? È buffo. Io invece sono rimasto ad aspettarti sotto al salix.
–
- Il salix? –
- Me l’avevi detto
tu, che mi avrebbe protetto. –
Marzio se lo
strinse forte al petto. Derevan divenne improvvisamente piccolissimo, circondato
dal suo ampio mantello rosso sangue, i suoi capelli gettati all’indietro, come
tanti raggi di sole.
- Non ho mai smesso
nemmeno per un momento di pensare a te. Ti ho cercato senza sosta fra queste
foglie cadute, e nella forma delle nuvole, finché la mia mente offuscata non mi
ha concesso di rifugiarmi in qualche illusione. E adesso eccoti qui, e io ti
devo delle scuse. Non ti ricordavo così bello. –
- Riesci ancora a
toccarmi con ogni tua parola. Dèi di tutta la terra, sei tu. Sei davvero tu. –
Derevan reclinò di
lato la testa, e si lasciò zittire dal bacio di una bocca che non aveva mai
scordato. Ora lo sapevano, se mai ci fosse stato qualche dubbio, che tutti
quegli anni erano valsi. Ogni secondo di quel dolore, ogni notte passata
abbracciandosi le ginocchia, nella solitudine sconfinata della loro mezza
morte. Era valsa anche solo per quel bacio.
- Tzk. E adesso che
facciamo? Contiamo le foglie? -
Fino a quel
momento, Harry aveva sentito tutto il suo corpo galleggiare nel senso di
vittoria e di sollievo. Ma se ci si mette Draco, il tonfo a terra è assicurato.
- Diavolo, Malfoy,
non riesci ad essere nemmeno un po’ felice, per loro? –
Draco piantò lì un
broncio furibondo, schizzando un’occhiatina infima agli altri due. Non ebbe
cuore di fingere con sé stesso che ciò che stava accadendo non lo sfiorava
nemmeno un po’. Ma, naturalmente, si guardò bene dall’ammetterlo con Potter.
- Se vuoi
ripassiamo Trasfigurazioni. Ne so una davvero bella sui boa costrittori. -
- Ma piantala. –
gracchiò Draco. – Piuttosto, il tuo clone è un vero disastro come baciatore. -
- Li stai
guardando?!?! – Harry non sapeva se essere divertito o scandalizzato. –
Draco!?!? -
Draco scrollò le
spalle, e continuò imperterrito a fissare qualcosa oltre la spalla di Harry.
- Beh, che c’è? Non
faccio niente di male. -
- Ma fai il
ficcanaso! -
- La tua è solo
invidia. Vuoi che ti faccia la telecronaca? -
- No, voglio che
guardi me, e smetti di guardare loro! -
Harry gli prese le
guance fra le mani e lo voltò bruscamente verso di sé. Pessima mossa, visto che
si ritrovò ad affrontare gli occhi di Draco senza essersi minimamente
preparato. Sbatté le palpebre, in crisi nera su cosa fare adesso che lo aveva
così vicino; si chiese che cosa diavolo gli passasse per la testa, o perché
sentisse che il sangue gli stava fluendo via dalle mani facendolo raggelare.
- Spione. -
Lo esalò,
lasciandolo andare esausto, e pregando soltanto che Malfoy non dicesse né
facesse nulla.
In effetti, non
accadde. E lui si sorprese ad essere deluso. Avrebbe tanto voluto sapere che
cosa stava accadendo.
Derevan e Marzio si
erano seduti. Il Romano gli carezzava i capelli facendoci glissare piano le
dita, come se non riuscisse a credere di poterli toccare, mentre l’Iceno si era
accoccolato fra le sue gambe, tenendosi stretto ad un suo braccio.
- Aspetterei altri
due millenni, per poterti baciare di nuovo. – proruppe Marzio.
- Io farei la
stessa cosa. –
- Lo so, e mi
chiedo se la nostra non sia soltanto follia. Ma adesso non voglio pensarci. Non
voglio perderti mai più. –
Derevan gli strinse
gentilmente il braccio, e si allungò per raggiungere il suo orecchio, e
sussurrare qualcosa. Marzio arrossì e lo guardò per un attimo come se fosse
appena caduto da un albero. L’Iceno reclinò la testa, e si sospinse via,
gattonando di qualche passo in avanti.
- Draco? – chiamò.
– Siete ancora lì? –
Draco si sporse dal
tronco robusto di un albero, a qualche metro da loro.
- Scusateci, se vi
abbiamo esclusi. –
- Lascia stare. –
disse Harry, prima che Malfoy avesse il tempo di dire qualcosa di assolutamente
acido.
Derevan batté con
una mano il terreno coperto di foglie. - Perché non venite qui? –
Draco sbarrò gli
occhi e, ritirandosi dietro alla corteccia, scosse vigorosamente la testa.
- Ma dai, non fare
l’antipatico, adesso. –
- Hey, non voglio
mica stare a guardarli mentre fanno i fidanzatini. –
- Bah, cammina,
stupido. –
Harry si trascinò
dietro Draco esattamente come lo aveva portato via, con il Serpeverde che
opponeva una passiva e rassegnata resistenza.
- Scusa. – borbottò
Marzio, imbarazzato.
- Non dirlo
nemmeno, vi capiamo benissimo. Se volete stare da soli, ce ne andiamo a fare
una passeggiata. –
- Hey, io non
voglio perdermi in questo posto, Potter! –
- Ha ragione Draco.
– asserì Marzio. – E poi rischiate di imbattervi di nuovo in Shay e Fulgor che
si rincorrono. –
- Shay?!? – esclamò
Derevan.
- Non lo vedevi,
tu? – si stupì Marzio. – A me ogni tanto passavano davanti, Fulgor e il tuo puledro.
–
Derevan imbronciò
le labbra. – Sai che Shay odia essere chiamato puledro. – disse, tutto serio.
- Shay odia
moltissime cose. –
- Perché è un
unicorno. È una creatura gentile, se ci si sforza di capirla. –
- Tu riuscivi a
capirlo. – borbottò Marzio, puntandogli contro l’indice. – Perché tu sei
speciale, e lui è il tuo dono da parte degli dèi. A me non avrebbe mai dato
retta. –
- Se quell’unicorno
si fosse chiamato Draco, sarebbe stato perfetto. – commentò Harry, sornione.
Lui e Marzio si
scambiarono un’occhiata complice, mentre Derevan rimase lì, perplesso. Draco
non aveva idea di che cosa stessero dicendo, ma per andare sul sicuro, piantò
una gomitata offesa nelle costole del Grifondoro.
- Ahio, ma sei
matto? –
- Non azzardarti a
parlare male di me, o il prossimo è un pugno. –
- Non stavo
parlando male di te! Insomma, non del tutto. –
I due nemici
storici si squadrarono per qualche istante ancora, prima di voltarsi
reciprocamente le spalle, ostentando di ignorarsi l’un l’altro.
- Begli alberi. –
borbottò Harry. –
- Invece no, sono
spogli e vecchi. –
- Io dico che sono
belli. –
- Io dico di no. –
- Sì!-
- No!-
- Sì!!! –
Draco arricciò le
labbra per rispondere, ma qualcosa lo fermò con il soffio della parola già in
bocca.
- Hey, ma… questo
posto io lo conosco. –
Harry lo guardò un
po’ perplesso, mentre Derevan produsse un sorriso mite.
- Te ne sei
accorto? –
Draco si alzò in
piedi, muovendo alcuni passi qui e là, senza una precisa direzione. Accarezzò
alcuni tronchi con concentrazione, cercando in essi una qualche conferma al suo
sospetto.
- E’ il bosco dove
mi hai portato tu. – disse, rivolgendosi implicitamente a Derevan. – Quello in
cui ti sei ferito la mano.
Fu il turno di
Harry di sentirsi escluso, mentre Derevan annuiva felice, Marzio si chiudeva un
po’ in sé stesso, e gli uccelli continuavano a cinguettare sopra di loro, fra i
rami protettivi di quegli alberi immortali.
ANGOLINO!
Ma guarda, il
sospirato incontro proprio al capitolo quattordici, il mio numero fortunato.
Ah, la Somma tutto vede e tutto può.
Nota: Il titolo significa semplicemente
duemila. E poi, questa è veramente una pignoleria. Perché Derevan invoca gli
dèi della terra? Principalmente, perché la religione celtica tributava grande
importanza alle divinità legate alla terra, piuttosto che a quelle celesti. Forse
avete presente le rappresentazioni di querce, o foglie di querce, abbastanza
comuni in quella civiltà, perché la quercia era l’albero più sacro. Anche se in
assoluto, i numi più importanti erano quelle guerrieri (la terribile Morrigan).
Ma decisamente, non erano appropriate in questo contesto.
Chiedo venia se
nemmeno in questo capitolo potrò rispondervi. Purtroppo, per tutta una serie di
problemi, sono rimasta molto indietro con il lavoro, e devo correre subito a
completare anche i capitoli di Swords, di Elements e di Because she said so.
Scusatemi, spero di
recuperare in fretta, in modo da potervi dedicare più spazio la prossima volta.
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Capitolo 15 *** Dillon ***
8b: Secondo incontro
La giornata
seguente trascorse nella più catatonica confusione.
Per quanto
riguardava Harry, se il mondo fosse finito la sera prima, sarebbe stato
perfetto: con Marzio e Derevan allacciati ai piedi di un albero, Draco e la sua
smorfia diffidente, e lui in preda ad un’ubriachezza sconosciuta.
Andava bene così,
no? C’erano un sacco di cose fuori posto, ma andava bene così.
Draco andava sempre
più conquistandosi posizioni inaspettate. Gli faceva male che in quel preciso
momento non fosse lì con lui, e sempre di più, cresceva la sensazione che
salutarlo la mattina, scambiare qualche parola durante gli intervalli delle
lezioni, trattarsi bene, ridere, scoprire di andare d’accordo, non gli bastasse
più.
Ma andava bene
così, davvero.
Voleva bene a
Draco. Bene da morire. Solo la sera prima, lui gli aveva chiesto implicitamente
aiuto di fronte ad un immaginario pericolo, e Harry fu fulminato dalla
consapevolezza che gliel’avrebbe dato. Avrebbe spaccato teste, per lui, senza
remore.
Era la stessa cosa
che Marzio aveva fatto per Derevan?
Che domanda
stupida.
Ad ogni modo, Harry
cominciava a dare un nome alle sue nebulose sensazioni, un nome che non suonava
per niente rassicurante, e che sono a pensarci lo faceva rabbrividire.
Le cose si facevano
sempre più difficili man mano che si chiarivano; i suoi amici non sapevano
niente, Draco con ogni probabilità non sospettava nemmeno lontanamente ciò che
gli passava per la testa, ma il lato positivo di quella situazione è che
c’erano migliaia di scuse per poter rimandare, ed aspettare ancora, e ancora.
La sera, all’ora di
rientro in camera, si accorse subito che Draco era strano.
Durante la cena
aveva cercato spessissimo il suo sguardo, arrivando a farsi rimproverare da
Hermione, ma non lo aveva mai incrociato. E adesso che lo osservava
placidamente uscire dal bagno, con il viso lavato e il pigiama addosso, pronto
per la notte, avrebbe voluto fermare tutto per chiedergli che cosa non andasse.
Ma si sarebbe
potuto permettere una tale confidenza?
- Draco… -
- Ho molto sonno. –
lo prevenne lui, quasi gli avesse letto nel pensiero. – Buonanotte. –
Spense con un gesto
stizzito la lucina della sua candela, costringendo Harry a fare altrettanto.
Maledizione. Moriva
davvero dalla voglia di avere sotto gli occhi la coppia più affiatata del
pianeta, interpretata sarcasticamente dalla faccia sua e di Draco, mentre loro
due si sarebbero guardati attorno, e tutt’al più avrebbero scambiato qualche
mortificante parola di circostanza.
Prima di chiudere
gli occhi, si morse la lingua, per la cattiveria del suo ultimo pensiero. Non
era da lui, e sapeva perfettamente di non pensarlo davvero. Ciò che aveva mosso
quell’idea scintillata fuori all’improvviso era stato qualcosa di diverso dalla
malizia o dal fastidio. Harry aveva la netta impressione che si trattasse di
una forma di invidia.
Ed era ironico, no?
Draco gli aveva sputato addosso litri di veleno per tutti quegli anni, perché
lo invidiava. Harry non era mai riuscito, in tutta sincerità, a comprendere
come fosse possibile invidiare proprio lui. Invidiare la sua cicatrice, invidiare
tutti quegli sguardi puntati su di lui, che si aspettavano sempre qualcosa di
enorme.
Ed ora, era lui che
si ritrovava ad invidiare qualcuno, perché, maledizione, erano così felici,
insieme, loro due.
Pazzesco.
L’invidia è una
malattia molto diffusa e facilmente trasmissibile, a quanto sembrava.
Con questi pensieri
per compagni, faticò non poco a prendere sonno, e così, quando riaprì gli occhi
sull’ormai familiare radura, si ritrovò di fronte un Draco a braccia conserte e
dallo sguardo furibondo, e un Derevan a dir poco terrorizzato.
- Che fine avevi
fatto, si può sapere? – abbaiò Malfoy, avanzando con aria minacciosa verso di
lui.
- Draco, non
occorre… - gemette il povero Derevan, invano.
Fu una vera fortuna
che Marzio apparve proprio in quel momento a salvare un Harry ancora tramortito
dall’ira di Draco, facendo capolino da dietro un albero.
- Meno male. –
sospirò. – Temevo che non saresti più riuscito ad addormentarti. –
Derevan gli corse
subito incontro, il viso illuminato da una gioia indicibile, mentre Harry
tratteneva a stento i gorgoglii del suo stomaco vedendoli che si abbracciavano,
vedendo come faticassero ad allentare la stretta delle braccia per lasciarsi
andare anche sono di un poco.
Non ebbe il
coraggio di guardare Draco, comunque.
- Ma no. –
borbottò. – Stavo soltanto… pensando ad alcune cose. Non credevo fosse passato
così tanto tempo. –
- Ma fammi il
piacere. – insistette Draco, impietoso. – Noi siamo qui che ti aspettiamo da
secoli, e tu che fai? Ti metti a pensare? Andiamo, non lo hai fatto per una
vita, ti sembra il momento per cominciare? –
Harry strabuzzò gli
occhi, basito.
Ma che gli era
preso a Malfoy, tutto d’un tratto?
- Insomma, mi
dispiace. – farfugliò, confuso.
- Va tutto bene,
sono arrivati. Ti prego, non arrabbiarti. – cercò di incoraggiarlo Derevan.
Draco persistette
nel tenere Harry sotto scacco con uno sguardo che definire rancoroso era poco.
All’improvviso, lo distolse, e borbottò un: - Avevi promesso che non mi avresti
mollato da solo. – che fece correre un lungo brivido lungo la schiena del
Grifondoro.
Marzio sbarrò gli
occhi, e prese a guardare sgomento ora Derevan, ora Draco. Il suo Iceno replicò
con un sorrisino dei suoi, appena accennato e pieno di allusioni.
Harry, dal canto
suo, sentì le ginocchia tremare. Era solo una frase detta così, e perfettamente
degna di Malfoy, ma se l’impressione che nel dirla fosse arrossito fosse stata
vera, se Draco avesse voluto sottintendere qualcosa, una cosa qualsiasi,
avrebbe dato un senso ed un colore a molte cose, e lui ne sarebbe stato felice.
Felice come, ne era sicuro, non si era mai sentito in vita sua.
In quel momento,
Marzio si sollevò dal tronco a cui era rimasto appoggiato. Si avvicinò a Derevan
e gli afferrò una mano prepotentemente, come se avesse avvertito una qualche
minaccia avvicinarsi.
Lui ricambiò la
stretta, smarrito.
- Dove andiamo? –
domandò il Romano.
- Non lo so. –
Harry non fece
nemmeno in tempo a chiedere di che cosa stessero parlando, che l’atmosfera si
dilatò improvvisamente ed assunse i contorni sfocati e distorti di quando il
materializzarsi di una memoria era imminente.
Tutto tornò alla
normalità in pochi istanti, e in tutt’altro luogo.
I quattro si
rimisero in piedi, intontiti: si trovavano nell’esatta corrispondenza di una
foce ad estuario di un fiumiciattolo limpido, che creava una suggestiva elle
scorrendo verso la sua meta. Alla loro destra sia apriva il mare,
cristallizzato dalla miriade di riflessi del sole che brillava su di loro.
Immediatamente
dietro di loro, un pigro nitrito segnalò la presenza di due inattesi ospiti.
Derevan si girò,
illuminandosi.
- Shay! –
Fece per correre
incontro al suo amatissimo unicorno, ma Marzio gli afferrò il polso con forza,
strattonandolo leggermente.
- Non può vederti.
– lo avvertì con voce inaspettatamente dura. – Né sentirti. –
Ma, come a volerlo
contraddire, Shay scrollò improvvisamente la criniera, e fece alcuni passi
nervosi attorno a Fulgor, che da parte sua si sforzava di ignorarlo e di
continuare a brucare l’erba in santa pace.
- Oh. Sì. – mormorò
Derevan, affranto.
Draco strinse
violentemente il pungo, fino a far impallidire le nocche; Harry scorse il suo
gesto, ma decise che non era il caso di intervenire. La situazione era già
sufficientemente tesa.
- Questo non è
altro che un ricordo. – sbraitò infatti il Serpeverde. – Me lo hai detto tu,
no? E’ logico che non può accorgersi di te. Svegliati! –
- Draco! –
- No, non fa
niente. – lo zittì Derevan con un cenno. – Ha ragione. Mi sono fatto prendere
dall’emozione, scusatemi tanto. –
- Oh, per gli dèi,
vieni qui. – quasi ringhiò Marzio, afferrandolo per una spalla e stringendoselo
al petto.
- Che cosa stai
cercando di fare, eh? Di tenerti dentro il tuo dolore? –
- Se voglio, ne
sono capace anche io. –
- Sciocco. I tuoi
occhi ti hanno sempre tradito. Riesco a vedere le tue lacrime mai nate fin da
qui. –
- Mi dispiace. È
solo che… mi dispiace tanto. -
- Ti prego. Sono
stato troppo duro, non ne avevo il diritto. Se potessi, dolce sole, ti farei
riabbracciare il tuo Shay, lo sai. –
Derevan scosse la
testa, strofinando la fronte contro la tunica bianca di Marzio.
Per la prima volta
in vita sua, Draco avrebbe voluto sotterrarsi per il senso di colpa. Il modo in
cui aveva attaccato Derevan era stato eccessivo persino per i suoi standard, ma
dannazione, non aveva davvero potuto trattenersi.
Vedere il gesto
infantile dell’Iceno, sentire le sue parole remissive di scuse e diventare una
furia era stato un tutt’uno. Ancora più che dalla sua rabbia, era tormentato
dalla sua incapacità di comprendere come Derevan potesse essere così… così
tutto.
Così buono, così
gentile, così innamorato del mondo, e di quel maledetto Romano che sembrava non
aver altro scopo nella vita che lui. Lui non avrebbe mai e poi mai agito in
quel modo, anzi; se Potter si fosse permesso di afferrargli un polso, glielo
avrebbe come minimo staccato.
Già.
Se Potter si fosse
preoccupato per lui, o roba simile, gli sarebbe venuta la nausea, ecco cosa.
Lui non era
Derevan, tutto il contrario: era quanto di più lontano si potesse pensare. Non
era così patetico e sentimentale, e nemmeno fragile, e non aveva bisogno di
buttarsi fra le braccia di Potter, o di un sostituto, per sentirsi meglio.
E ciò nonostante,
non era stata sua intenzione attaccarlo in quel modo.
- Sapete. – riprese
Derevan, senza lasciare la presa sulla veste del suo compagno. – Shay, nella
mia lingua, significa… -
- Significa dono. –
lo prevenne Harry.
Derevan strabuzzò
gli occhi, stupito. – Come fai a sapere… gliel’hai detto tu? –
Marzio tergiversò,
grattandosi distrattamente il mento per darsi un tono. – E’ possibile. –
- Come sarebbe a
dire che è possibile? O glielo hai detto tu, oppure Harry conosce il dialetto
celtico. E non mi sembra probabile. –
- Beh, non
sottovalutarlo, è un ragazzo in gamba! –
- Sei uno spione,
accidenti, mi hai rovinato la sorpresa. – protestò Derevan.
Harry sogghignò
alla buffa scenetta, soprattutto perché, nello stesso istante, Shay pensò bene
di caricare maldestramente Fulgor, dandogli una musata offesa sul fianco, a cui
il cavallo reagì respingendolo e battendo con forza uno zoccolo a pochi
centimetri dalle sue zampe, a monito.
- Poveri noi. –
considerò. – In mezzo a due coppie di litiganti. –
- Beh, io
preferisco occuparmi di questi. Sistemali tu i cavalli, Potter. –
- Andiamo, sono
cavalli, mica Ippogrifi. –
- Stai cercando di
insinuare qualcosa? –
- Assolutamente sì.
–
- Ecco, buon per …
Hey, che cos’hai detto? –
Prima che le coppie
di litiganti divenissero tre, Derevan scoppiò in una risata limpida quanto
improvvisa.
- E così. –
sghignazzò, rivolgendosi implicitamente ad Harry. – Ti ha detto tutto sui nomi
dei cavalli, ma nulla sui nostri? –
Harry avrebbe
voluto replicare che la situazione in cui si era trovato a rivelarglieli non
era stata delle più facili. Ma faceva ancora fatica a perdonarsi l’intrusione
di quella notte, nel loro giaciglio segreto, perciò desistette, stemperando il
tutto in una scrollata di spalle.
- Il nome Derevan
significa “colui che scrive poesie”. – affermò Marzio con un certo, commosso
orgoglio. – Mentre il mio è molto più umile. Deriva dal nome del nostro dio
della guerra, Marte. Di buon auspicio, per un uomo d’armi. –
- Per la mia gente,
il nome di una persona è molto importante. – spiegò Derevan. – Esso custodisce
parte della nostra anima, e ci accompagna per sempre. Ecco perché ho scelto
questo, per il mio unicorno. –
- Bah,
stupidaggini. – ribatté Draco. – Non credo a queste cose, il mio nome l’hanno
scelto i miei genitori, e non ha niente a che fare con me. –
- No, se tu non lo
permetti. Ho detto che un nome custodisce parte dell’anima di una persona. Ma
non la rivelerà mai, se questa persona non lo vorrà. Ti ricordi di Dillon? Il
suo nome significa “fedele”. Non ti sembra perfetto? –
Draco strinse i
denti, facendosi improvvisamente scuro. – Sarebbe stato molto meglio “infame”.
–
- Di cosa parlate?
– si intromise Harry, confuso.
In effetti, anche
Marzio non sembrava seguire il filo del discorso. Reclinò la testa verso
Derevan, con le labbra imbronciate in un moto meditabondo.
- Dillon non era
quella ragazza che era al tuo fianco quando… -
Derevan si limitò
ad annuire, chiaramente intenzionato a troncare lì la frase di Marzio.
- E’ stato il primo
ed unico ricordo che sono riuscito a mostrare a Draco, prima che voi vi
parlaste. – spiegò. – E purtroppo non è stato piacevole. L’ho forzato a vedere,
ma le conseguenze sono state orribili. – Chinò il capo, sconsolato. – Mi
dispiace moltissimo. Ti ho fatto stare male soltanto perché volevo che ti
fidassi di me. -
- Lo hai fatto
perché volevi rivedere Marzio. Il tuo gesto è comprensibile. – gli andò
incontro Harry, non prima di essersi assicurato che quel testone di Draco
collaborasse.
- Ma rimane una
grave infrazione. Se i ricordi sono spiacevoli, almeno si è preparati al
peggio, ma così, costringendolo, non ho fatto che spaventarlo. –
- Ma cos’è
accaduto? -
l’Iceno provò ad
intercettare lo sguardo del suo gemello, ma dovette arrendersi al suo broncio
ostinato, e proseguire lui il racconto.
- Una notte. –
cominciò, reclinandosi contro Marzio come se il ricordare lo stancasse molto. –
Dillon mi sorprese mentre uscivo di nascosto da Venta. Sapeva che sarei venuto
ad incontrare te, e cercò in ogni modo di trattenermi, e di convincermi a
dimenticarti. Disse cose orribili su di te e sul tuo popolo, ma dovete capirla,
povera sorella mia, era solo spaventata dalla guerra, e temeva che potesse
accadermi qualcosa. Purtroppo, i miei sentimenti si sono riversati su Draco, e
quando lei mi ha afferrato per le vesti, disposta a lottare con me pur di
fermarmi, lui si è sentito male, e il sogno è svanito. -
- Non credevo fosse
tua sorella. -
- Non lo è, di
sangue. Ma siamo cresciuti insieme, e per me lo è sempre stata. Purtroppo Draco
ha dovuto assistere a quella scena a causa mia, non avrei mai voluto che
capitasse. -
- Povero cerbiatto,
non ti è mai riuscito di trattare male le persone. – lo canzonò Marzio,
soffiandogli sulla nuca. – Proprio mai. -
Derevan gli rivolse
uno sguardo brusco e addolorato, ma Harry non vi prestò molta attenzione,
occupato com’era a mettere a posto alcuni tasselli del suo personale mosaico.
- Una ragazza che
voleva fermare Derevan. – ragionò. – E tu hai provato i suoi sentimenti, come
io sentivo quelli di Marzio. Perciò il tuo istinto è stato quello di reagire. -
Finalmente annuì,
guardandolo risolutamente negli occhi.
- Hermione. -
Draco schizzò via
precipitosamente da quel contatto visivo così indagatore. Arrossì violentemente,
ma cercò in ogni modo di non curarsene, preferendo dedicarsi all’erba, alle
nuvole, ai cavalli, a qualsiasi cosa che non fosse Harry.
- Hai aggredito
Hermione senza motivo, quella mattina. Lo hai fatto per questo, vero? Perché
questa Dillon è Hermione. -
- Harry. – cercò di
intervenire Marzio, per soffocare sul nascere un tono di voce che minacciava di
incrinarsi sempre più ad ogni sillaba.
- E’ così? –
insistette lui. – Tu hai fatto del male a Hermione perché non sei riuscito a
distinguere il sogno dalla realtà? -
- Oh, falla finita!
– esplose Draco, nero di rabbia. – Che diavolo ne sai, tu, eh? Che diavolo ne
sai! -
- Ne so quanto te,
idiota. Credi che non abbia provato anche io quello che hai provato tu? Chi ti
ha dato il diritto di puntare la bacchetta contro di lei, soltanto per una
somiglianza, brutto incosciente! -
- Harry, non
arrabbiarti. – disse Derevan, accorato. – È stata tutta colpa mia, sono davvero
mortificato. Ti prego, non prendertela con lui. -
- Lo ha fatto in
preda a sentimenti che non conosceva. – aggiunse Marzio. – Li hai provati anche
tu, lo sai cosa vuol dire. -
- Io non ho mai
aggredito nessuno, però. – ringhiò Harry.
- Perché non ne hai
avuto l’occasione. -
Tre contro uno.
Harry si sentì incredibilmente amareggiato dal tradimento di Marzio. Draco
aveva agito istintivamente, furioso per i sentimenti terribili che il sogno gli
aveva suscitato.
E allora?
Non era una
giustificazione plausibile, quella. Altrimenti, lui avrebbe già dovuto baciarlo
da un pezzo, con la scusa di essere mosso dai sentimenti di Marzio. Perché l’unico
che doveva soffocare ciò che sentiva era lui?
- E va bene. –
acconsentì. – Ho capito, lasciamo perdere. -
- Dite a Dillon…
cioè, alla vostra amica, che mi scuso tanto. – li pregò Derevan, con quella sua
sincerità disarmante che, se l’amore possiede un motivo, doveva per forza essere
il primo dell’amore di Marzio.
- La Granger non è mia amica. – sputacchiò Draco.
- No, ma mia sì. –
ribatté Harry. – Non ti preoccupare, le spiegherò tutto io. Ma vorrei comunque
che Draco le facesse le sue scuse. Pretendo che lo faccia. -
- Te lo puoi
scordare. -
- Draco. – gemette
Derevan, esausto, mentre Marzio se la rideva di nascosto. – Non potresti fare
uno sforzo? -
- Non con la Granger. Vacci tu a scusarti. -
- Lo farei, ma non
mi è possibile. Non lo faresti tu, in mia vece? -
- Nemmeno morto. -
Dal ridacchiare,
Marzio passò ad una risata a singulti. – Somiglia in modo impressionante al tuo
puledro. – esclamò, per nulla toccato dall’importanza della discussione. – Per
Giove saettatore, non mi stupirei se gli spuntasse un corno sulla fronte
proprio davanti ai miei occhi. -
- Shay non è un
puledro. E l’ostinazione non è un difetto, ma un pregio. Se la si modera un
poco. -
- Lo dici solo
perché i destrieri assomigliano ai padroni. -
Marzio si avvicinò
cautamente all’Iceno, e gli premette un dito sul naso. – Non è vero, piccolo
mulo? -
Proprio in quel
momento, un vociare allegro li sorprese alle spalle.
Marzio e Derevan
stavano tornando dalla riva del mare rincorrendosi, madidi d’acqua, e avvolti
alla bene e meglio dai vestiti indossati frettolosamente.
- Non prendi me,
non prendi me! -
- Vieni qui,
impertinente! -
Shay si animò,
rivedendo il suo padrone. Cominciò a trottare impaziente tutt’attorno a Fulgor,
che invece aspettava pacifico il ritorno di Marzio. Ad un tratto, la sua lunga
coda nera frusciò con forza, finendo dritta in faccia all’unicorno che si
ostinava a correre qua e là. Nessuno ci avrebbe mai creduto, ma quel gesto era
stato così palesemente volontario, da farli sembrare umani. Shay diede un
nitrito furibondo, e come a volersi vendicare gli si parò di fronte e scrollò
la sua criniera cangiante.
Mentre i due
destrieri si scrutavano biechi, i loro padroni arrivarono a pochi passi di
distanza da loro, investendoli dell’odore frizzante e particolare della
salsedine. Si lasciarono cadere sull’erba fresca, ansimando per la corsa, e
sorridendo al sole, che li illuminava e li asciugava assieme ai soffi di vento.
Marzio fu subito sopra Derevan, per torturarlo con baci e morsi che non
lasciavano segni sulla sua pelle chiara, arrossata dall’acqua e dalla luce pura
dell’estate.
– Ho aspettato per
sempre di rivedere quel tuo sorriso, vivendo di ricordi come questi. – mormorò
Marzio. – Quel modo che hai tu, che ti brillano gli occhi, e tutta l’aria
attorno a te. –
- Era bello. –
annuì Derevan, emozionato. – In quei momenti non c’eravamo che noi. Avrei tanto
voluto restare su quel prato per sempre. -
- Il tuo desiderio
è stato esaudito, allora, perché siamo ancora qui. -
- Lo abbiamo
esaudito insieme. Però… - Derevan si voltò verso il suo amante all’improvviso,
serio. – Ci è costato molto. In tutti questi anni ho tanto desiderato poter
sapere se… -
- Non parlare. Non
chiederlo nemmeno. Se tu svanissi in questo stesso istante dalle mie braccia, io
aspetterei altri duemila anni, per poterti stringere di nuovo, anche solo una
volta. E così sempre, per l’eternità, vivrei per quell’unico momento da
trascorrere insieme. E non avrei un solo dubbio. –
Derevan si
acquietò, protetto dal suo abbraccio saldo. – In tutto questo tempo, la mia più
grande paura è stata quella di non ritrovarti. Temevo che tu potessi aver
scelto la pace, invece dell’attesa. –
- Quale pace? –
rispose Marzio, animoso. – Quale pace, senza di te? Ridotto per sempre ad
un’ombra solitaria nell’Averno, quale pace avrei potuto trovare? Fossero stati
anche i Campi Elisi, avrei vagato per sempre fra le distese sconfinate dei loro
giardini senza mai trovare il mio posto. No, Derevan, non ho pensato nemmeno
per un istante di andarmene senza di te. Sarebbe stato come morire una seconda
volta. -
- Lo so. Perdonami,
per la mia paura. Ho atteso così tanto che anche io ho creduto di morire molte
altre volte, ma adesso che sei qui mi sembra sia stata solo una lunghissima
notte di incubi. Nient’altro che uno scherzo della luna. -
- Sei un ingenuo.
Il tuo sorriso è uno scherzo della luna. -
Il Derevan sdraiato
a terra sorrise, in un gioco di specchi mozzafiato.
- Mea
spes. Ut ego caelum, astraque. –
- Io… non… -
- Non capisci,
vero? –
- No. –
- Res nullius
momenti. Non ha importanza. -
* * *
Harry aprì gli
occhi che il sole era già alto. Stiracchiando le braccia, urtò inavvertitamente
qualcosa che subito lo fece ritirare.
- Scusa. – biascicò
a quello che, dopo un’analisi più attenta, si rivelò essere un cuscino.
Un tantinello
stordito, si tirò su a sedere, e finalmente mise a fuoco lo sciabordio
dell’acqua che scorreva, una porta più in là.
Draco doveva
essersi alzato prima, e lo aveva preceduto nella doccia. E ciò equivaleva ad
arrivare con un ritardo micidiale a colazione.
Strano, comunque.
Che sua maestà Draco Malfoy si fosse svegliato prima di lui.
ANGOLINO!
Comincio subito con
lo scusarmi per il ritardo.
Sono un po’ in
difficoltà con gli aggiornamenti, principalmente perché questo non è proprio un
momento d’oro, ma vorrei comunque riuscire a mantenere un livello di resa
decente per la storia.
Intanto, abbiamo
finalmente compreso il perché Draco abbia aggredito Hermione. Particolare che,
direi, rivela molto circa il suo stato d’animo. Ci tenevo inoltre a dedicare
qualche riga alla spiegazione dei nomi di Marzio e Derevan. Lo so che non è
importante ai fini della storia in sé, ma mi sembrava bello farlo. Inoltre,
abbiamo aggiunto un altro piccolo tassello al meccanismo dei ricordi: in
teoria, ed infrangendo le regole, è possibile forzare, ma come avete visto, non
è stata un’idea felice, considerando la reazione di Draco.
Nota: “Mea spes. Caelum, astraque ut ego”
significa: mia speranza/amore mio, per me sei il cielo, e le stelle. La frase
seguente, invece, è una locuzione, letteralmente sarebbe “è una cosa di nessuna
importanza”.
Detto questo,
passiamo alle risposte, che è troppo che mi tocca trascurarle, ma questa volta
non ci sono scuse!
Risposta pubblica
per Hokori: tesoro, ti sono immensamente grata per tutti complimenti e
le osservazioni che hai fatto, tutte azzeccatissime. Rispondo alla domanda
riguardo l’ambientazione: perché si incontrano nella macchia boschiva che ospita
Marzio? Beh, in realtà, in fase di progettazione, mi sono detta che avrei
dovuto creare un terzo ambiente, diverso dal bosco e dal salice, per
l’incontro. Ma poi ho pensato che la storia è già abbastanza complessa per sé,
senza gravarvi con la descrizione di un nuovo luogo dove ambientarsi. E ho
scelto il bosco perché più evocativo, perché è il luogo dove Marzio ha curato
la mano di Derevan, e dove è rimasto ad aspettarlo per sempre. Tutto qui,
quindi, è stata una scelta estranea ai meccanismi della trama.
Little Star:
hihihi, mi piace l’idea del libro. Vedrai che per la legge del contrappasso…
Ehm, Draco ha un lato dolce? Esattamente, dove? No, no, ok, non voglio saperlo…
lo lascio scoprire a Harry. ^^
Francesca Akira:
ehm, non ho colto la similitudine… Adesso mi do da fare con Google per venire a
capo del mistero! Oh mamma, tante parole complicate ç__ç
Ginny W: hehe, ci
vuole un po’ di pazienza. Sai com’è, quando si ha a che fare con due tali
ottusi…
The Fly: che ci
vuoi fare, Harry è portato per questi filmini mentali sul futuro. Meno male che
Draco non si smentisce mai!
Dark: ma guarda te
questa che si dà al latino! D’ora in poi, marzio dirà oh cribbius (che secondo
me, al vocativo fa proprio cribbio), ad ogni piè sospinto. Beh consolati, se tu
vedi cuoricini, io vedo avatar yaoi ovunque…
Puciu: ma nooo, non
ti angosciare! Che poi buaaah, mi sento in colpa, mi faccio mille problemi, e
non ne veniamo più fuori! Tanto poi fai la modesta, ma scrivi delle recensioni
da lacrime, accidenti! Guarda, non hai tutti i torti riguardo alla situazione
da dilemma: io l’ho risolta con un paio di regole base, ovvero aderenza ai due
caratteri che avevo creato, e evitare barocchismi e eccessive fanfare. Io penso
che due che si trovano in una situazione del genere, alla fine rimangano a
guardarsi lì, attoniti, senza dire niente per ore, troppo sconvolti
dall’essersi ritrovati. Ehm, visto che questa via non era percorribile, ho
optato per una via di mezzo, dolce ma sobria. Waaa, neuroni teneri, un giorno
scriverò una storia su di voi. E per il seguito beh… non ti sei persa nulla,
ancora tutto è avvolto nell’ombra…
Koorime: tesoro, ho
investito volentieri mezz’ora della mia vita per leggere la recensione! XD dai
scherzi a parte, sono queste le cose che mi piacciono, quando uno mi costringe
a tornare ai punti della fic per seguire i suoi ragionamenti e le sue
considerazioni. Partiamo subito da Hermione: diciamo che mi sono attenuta
all’Hermione dei primi anni, e soprattutto ad una semplice regola che avevo
deciso fin dall’inizio: lei non ha nulla contro Marzio, ma Harry è Harry, è lui
il suo amico, perciò lui la priorità. Comunque, la cosa avrà modo di evolversi,
vedrai. Harry, come dire, galleggia attorno a Draco in modo piuttosto confuso,
questo lo abbiamo capito. Marzio invece è una patata lessa, e ci piace così XD.
Dunque, alle tue domande si troverà qualche risposta in seguito. Per il
momento, rispondo con un’altra domanda: tu cosa diresti nell’orecchio all’uomo
che ami, e che non vedi da duemila anni? XD
Smemo: tesoro, non
dirlo nemmeno. Figurati se sono offesa o arrabbiata, non mi devi alcun tipo di
scuse! Schiettamente, qui i casi sono due: o non hai apprezzato la mia scelta
di assoluta sobrietà, perciò la scena ti è sembrata un po’ spoglia, oppure,
semplicemente, potevo fare meglio. E in entrambi i casi non sei tu a doverti
scusare, ma io. Se c’entri in qualche modo la faccenda di NA, ovviamente non lo
so. Posso dirti che ha lasciato sconcertata anche me. Do piena ragione alle
amministratrici, è evidente, ma in generale si è esagerato. Per me, la storia
andrebbe cancellata, e l’autrice contattata, e aiutata a scriverne una
migliore, sempre ammesso che non sia un flame. Le urla, le polemiche, le
parolacce, sono di troppo, anche se comprensibili come moto di rabbia. Sarà che
anche io sono una mozzarella, e se devo criticare ti coccolo da morire,
cercando il più possibile di dare dei consigli e di incoraggiare.
T Jill: grazie
tesoro! Anche io non vedevo l’ora di scrivere di questo momento. Non sono del
tutto soddisfatta, perché un momento del genere meriterebbe Dante, altro che
Stat.
Draco Malfoy: hihi,
auguri che quei due si capiscano, ottusi come sono…
Layla: hihihi,
piuttosto inquietante come immagine, eh? Abbiamo già fatto dei progressi, dai,
ma Draco è duro di comprendonio, perciò attendiamo speranzosi.
Blaise: grazie
mille! Sono contenta che ti sia commossa, ma mi raccomando non allagare la
tastiera, che poi sono guai!
Rodelinda:
figurati, anche io sono di una lentezza folgorante. Mi trovo d’accordo con ciò
che dici, ma ti dirò, in qualche modo credo che delle persone del genere
possano esistere. Sono pochissime, probabilmente due in tutto il mondo, però ho
talmente tanta fiducia nella forza dell’essere umano, e probabilmente sono
suggestionata dal mio stesso racconto, che mi dico “però, forse è una cosa meno
astratta di quanto sembri”. Lo so, lo so, sono una bambina! XD
Far: Ehm,. Ok,
tutto chiaro! Ho afferrato in pieno cosa volevi dirmi, posso dire che sei una
“tagliaincollatrice” terribilmente efficace? PS ho visto che ti sei iscritta a
F&B, benvenuta!
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Capitolo 16 *** Arceo! ***
Cap 9: Draco appare turbato e nervoso, Harry cerca di parlare con lui ma
viene respinto
- E’ libero. –
Un tono distaccato.
Harry arricciò il
naso fin quasi a far scivolare giù il ponte degli occhiali.
Sì, Malfoy era
proprio strano. Solo un paio di ore prima gli aveva fatto una scenata pazzesca
perché lo aveva lasciato da solo, mentre adesso si comportava come se fosse il
loro primo giorno di convivenza. Per non parlare, poi, di tutti gli sbalzi
d’umore precedenti, roba da farsi venire il mal di testa.
Raccattò i suoi
vestiti dalla sedia su cui li aveva lasciati, ma sulla soglia del bagno si
bloccò, fulminato.
– Senti… - cominciò
senza voltarsi, vagamente imbarazzato. – L’altro giorno non te l’ho chiesto,
visto che le cose non erano andate alla perfezione. E’ vero che hai quel neo
vicino all’ombelico? –
- Ti sembra il
momento di pensare ai nei?!? – esplose Draco, peggio che se Harry avesse
toccato un argomento cruciale.
- Scusa, non te la
prendere. –
- Me la prendo
eccome. Sono in ritardo, muoio di fame, e non ho alcuna intenzione di aspettare
te, idiota! –
E a quelle parole,
uscì, schiantandosi la porta alle spalle.
Harry sbatté le
palpebre, stordito. Un’occhiata all’orologio, e un sospiro: - No, non sei in
ritardo. –
Che cosa gli era
preso, così all’improvviso?
Naturalmente, Harry
non sapeva dirlo, ma in compenso sapeva come poter chiamare la sensazione di
vuoto allo stomaco che lo aveva preso in quel momento: si chiamava delusione.
Delusione per aver
sperato in qualcosa che, evidentemente, non esisteva che nella sua mente.
Delusione anche per essersi ingannato con le sue stesse mani, credendo in un
rapporto complicato ma unico. Tutte quelle cose che gli pareva di aver
costruito assieme a Draco, mattone su mattone, erano bastate pochissime sue
parole per sgretolarle.
Harry ricordò,
quello era il Draco a cui era stato abituato per anni: cielo, ma come aveva
fatto a vivere tanto bene con il suo odio sulla pelle?
Una risposta c’era:
semplicemente Draco, un anno prima, non era il Draco che era diventato adesso,
per lui. Ripensò alle parole di Marzio, a quando gli aveva detto che aveva
rinunciato a tutto per Derevan, perché dimenticarlo e andarsene sarebbe stato
come morire.
Spaventosamente,
ricalcavano la sua stessa situazione. Gli piacesse o meno, ormai aveva
conosciuto Draco, era entrato dentro Draco, anche solo di poche dita sotto al
sua pelle, e lo sapeva, non sarebbe tornato indietro.
Non si poteva.
Ciò che provava lo
faceva sentire pieno di forza, e al contempo smarrito in una confusione che
Draco non faceva che alimentare con il suo comportamento lunatico.
Decise di farsi il
favore di non pensarci su troppo. Se le lezioni, la giornata da trascorrere fra
aule, Sala Grande e Sala Comune gli fosse parsa, come ormai era, quasi del
tutto vuota, si sarebbe rifugiato in ricordi altrui, piuttosto che in fantasie
sue.
* * *
- C’è una cosa che
non riesco a capire. –
Harry sentì a
malapena la voce di Hermione, che parlava rimuginando fra sé. – Marzio e
Derevan si sono ritrovati grazie al vostro aiuto, no? –
Un pigro cenno del
capo, a sottolineare qualcosa di ovvio.
- Ma allora, perché
non se ne vanno? –
Harry si fece
improvvisamente più attento. Hermione dovette scambiare quel repentino drizzare
la testa per un gesto infastidito, perché si affrettò a ritrattare le sue
parole.
- Intendo dire, non
che io voglia che voi li cacciate. Solo, non capisco perché non possano trovare
la pace, ora che hanno ottenuto ciò per cui erano rimasti qui. –
Davvero una bella
domanda, la sua. Oltre che sensata, peraltro, era anche ovvia, perché diavolo
non ci aveva pensato fino a quel momento?
- Magari non è
davvero quello il loro obiettivo. – azzardò Ron.
- Lo escludo.
Quando Marzio mi ha spiegato perché fosse qui, mi ha detto chiaro e tondo che
aveva scelto di restare per sperare di incontrare Derevan. Me lo ricordo bene.
–
- Ma allora hai
ragione tu, Hermione, non ha senso. -
Tutti e tre si
strinsero nelle spalle, dubbiosi.
- Bisognerebbe
cercare di capire che significato ha il fatto che siano ancora qui. –
- L’unico
significato che ci vedo io è che Harry è costretto a dormire in camera con quel
disgustoso furetto di Malfoy. – osservò Ron, infarcendo ogni sua parola di
solidarietà fraterna. – E non lo invidio per niente. –
Harry ridacchiò, e
si limitò ad annuire. Se soltanto Ron avesse immaginato l’effetto che passare
le sue notti con Draco gli stava facendo, tutta la sua spremuta d’arancia gli
sarebbe andata per traverso, uccidendolo sul colpo.
Spiò con la coda
dell’occhio il tavolo Serpeverde, scorrendo fino ad individuare in un attimo il
posto di Malfoy. Si stupì di quanto fosse andato a colpo sicuro, come se si
fosse trattato di cercare il vecchio posto di un vecchio amico.
Stava rosicchiando
di malavoglia una fetta di pane tostato senza nulla spalmato sopra, forzandosi
in modo evidente di mettere qualcosa nello stomaco. Non parlava con nessuno,
anzi, se uno dei suoi compagni lo chiamava per chiedergli qualcosa, anche solo
di passargli il vassoio delle salsicce, gli scoccava uno sguardo talmente
caustico da zittirlo all’istante, e persino farlo allontanare precipitosamente.
Da un certo punto
di vista, era un sollievo, vedere che quella mattina ce l’aveva con il mondo, e
non solo con lui.
* * *
C’era un letto in
più, nella camera che Silente aveva provvisoriamente assegnato loro.
Harry ricordava di
averlo registrato distrattamente al loro ingresso, preoccupato al momento di
ben altre questioni. Nei giorni che erano seguiti, si era trasformato
nell’appendiabiti di Draco, che ci stendeva sopra la sua uniforme e il suo
mantello con cura meticolosa, assicurandosi che non si spiegazzassero. Harry
aveva imparato ad innamorarsi della cravatta verdeargento posata sul piccolo
mucchio di vestiti neri, come un serpente acciambellato elegantemente a guardia
al suo tesoro.
In quel momento,
invece, i vestiti non erano più lì, spostati sul comodino, in barba alla fobia
per la piega, e la coperta ancora vergine era gonfiata dal corpo rannicchiato
di Draco, voltato contro il muro.
Non aveva voluto
saperne di dormire con lui, quella notte. Harry era tornato in camera e lo
aveva visto armeggiare con il nuovo letto, ma non aveva fatto in tempo a
chiedergli che cosa succedesse, che era stato investito da una scarica di
improperi, sarcasticamente chiusi da un “buonanotte”.
A quel punto, che
fare? Una cosa soltanto, augurarsi che i sogni potessero fondersi in ogni caso,
per permettere almeno a Marzio e Derevan di rivedersi, mentre lui sarebbe
rimasto a fare i conti con l’incomprensibilità della situazione.
Harry si addentrò
nel suo sogno certo che Draco dormisse già da un pezzo. Perciò, quando
raggiunse i primi tronchi d’albero, e vide soltanto Marzio andargli incontro,
capì che non era andata come si era augurato, e una fitta di amarezza gli prese
lo stomaco, facendolo gorgogliare.
- Mi dispiace. – si
scusò e si riscusò, accorato. – Draco non ne ha voluto sapere di dormire con
me, ma giuro che lo farò ragionare, te lo prometto. –
Marzio ascoltò le
sue parole con un sorriso paziente, senza apparire particolarmente turbato.
- Vieni. – lo
invitò. – Visto che siamo qui, ti porto a vedere una cosa. –
- Sta per
materializzarsi un ricordo? –
Marzio sorrise. –
Ci siamo già dentro. –
Attraversarono
l’oasi boschiva, giungendo ad un avvallamento che dava verso l’aperto
entroterra, disseminato qua e là di arbusti, sentierini sterrati e bordati da
ciottoli chiari, che correvano tutti verso un profilo indistinto, segnato da
rigagnoli di fumo che salivano verso il cielo.
- Non mi sono reso
conto del cambiamento. –
- Nemmeno io so
cosa sia successo. Quando sei arrivato, eravamo già all’interno del ricordo. –
- E’ perché ci
stavi pensando, eh? –
Altro sorriso,
stavolta più discreto. – Sì. Forse ci stavo pensando. –
Marzio lo portò
oltre l’avvallamento, che reclinando per la seconda volta formava una specie di
conca a mezza ellisse, un po’ come quelle dei teatri. Il sole concentrava tutta
la sua intensità proprio lì, perciò la prima cosa che Harry riuscì ad
individuare fu il riflesso platinato dei capelli di Derevan, che giocavano con
la luce.
Arrossì di botto,
ma seguì Marzio, che trotterellò giù dal declivio, avvicinandosi con noncuranza
a sé stesso e a Derevan, intenti a parlare a bassa voce.
- Nella mia lingua
esiste un detto. – stava dicendo il Marzio sdraiato a terra, gravato del corpo
di Derevan per metà accomodato sul suo petto. L’Iceno impugnava tre ramoscelli
verdi, flessibili, che intrecciava con sapienza sotto gli occhi attenti del
Romano.
– “Omnia amor
vincit”. Sai cosa significa? –
Derevan scosse
lentamente la testa, rivolgendo all’indietro il suo sguardo azzurro e
concentrato.
- Significa – spiegò
allora il Romano, pescando con mite monotonia ciocche di capelli del suo
amante, che si lasciava scivolare fra le dita finché tutti i capelli non gli
sfuggivano, per poi ricominciare. – Significa due cose al tempo stesso: che
l’amore vince tutto, ma anche che tutto vince l’amore. È un gioco di parole
beffardo, ma molto saggio. –
- Come può essere
saggio, qualcosa che si contraddice? –
- Si contraddice
perché vuole insegnarti che sei tu a decidere del tuo destino. Sei tu, che devi
scegliere se il tuo amore vincerà su tutto, o se si lascerà sopraffare dalle
difficoltà. –
- E il nostro
amore, vincerà su tutto? –
Marzio produsse una
risata a lievi singulti, che fece vibrare il suo torace. Passò l’indice sulla
torque sottile ed elegante che ornava il collo di Derevan, prendendosi tempo
per rispondere.
- Lo sanno gli dèi,
amor mio. Però io lotterò con tutte le mie forze, perché il fato ci permetta di
restare insieme. Non mi arrenderò a questa guerra, Derevan. –
- Non lo farà
nemmeno la tua gente. E così la mia. Ho sempre più paura che presto o tardi
saremo chiamati a scegliere fra la nostra felicità e il legame con i nostri
popoli. –
- Io non ne sarò
capace. Roma mi ha dato la vita, tu me l’hai presa. Le saette di Giove si
abbatteranno su di me, che non ho avuto il coraggio di decidere che cosa amassi
di più. –
Derevan fece un
sorriso da brividi, più bello di un’aurora. – Un padre, un fratello, un figlio,
li si ama tutti, ma in modo molto diverso. Io amo te, e amo Venta e tutti i
suoi abitanti, e nessuno ruba posto all’altro, nel mio cuore. Lasciare questa
terra per seguirti nell’enorme campo militare che tu chiami capitale mi
ucciderebbe, così come rimanere in questo posto lontano dal tuo mondo
ucciderebbe te. –
- Troveremo un
compromesso, allora. – lo rassicurò Marzio. – Una città che sia piccola e
tranquilla, e circondata da colline erbose dove tu potrai andare in cerca di
erbe, coltivarne quante ne vorrai. Ce ne sono tante, di queste città, nel
territorio di Roma. –
- Ce ne sono molte
anche qui in Britannia. –
Harry avvertì un
disagio non suo impadronirsi della sua gola. La loro discussione era senza via
d’uscita, questo era evidente, eppure la conducevano con toni pacati, sempre
cercandosi l’un l’altro con carezze, anche solo annodandosi su un dito un lembo
di mantello. Avrebbe voluto, chissà, offrire loro la sua casa, pur di non
vederli così, dolcissimi e intimamente disperati.
Marzio affondò la
bocca fra i capelli dorati di Derevan, e le mani nei suoi vestiti, facendolo
rabbrividire.
- Vinceremo noi,
alla fine, vedrai. – lo rassicurò, ponendo implicitamente fine al discorso. –
In un modo o nell’altro, deve esistere una strada anche per noi. –
- Spero di trovarla
in fretta, allora, per percorrerla correndo finchè il fiato non verrà a
mancarmi. -
- E sia. Sono
sicuro che la nostra strada porti al mare, e noi la seguiremo guardando il sole
sorgere e tramontare tante volte quante non arriveremo mai a contare. –
Derevan annuì, e
sorrise. Con quale forza ci riuscisse, per Harry era un mistero, ma dovevano
essere cose come queste a rendere certe persone, pochissime, migliori e
diverse, al di sopra dei normali limiti oltre i quali chiunque avrebbe detto
no.
- Gli hai mentito.
– borbottò a mo di rimprovero. – Tu saresti rimasto lì a Venta, se te lo avesse
chiesto. Ho ragione? –
- Diciamo che
avrebbe dovuto insistere molto. –
- C’è qualcosa al
mondo che non faresti, per lui? –
Il Romano si
strinse nelle spalle con quella semplicità nobile che era sua e soltanto sua. –
Lui era l’unica cosa che facesse sorgere il sole, per me. Tu ce l’hai qualcosa
che faccia sorgere il sole? –
Harry abbassò
istintivamente gli occhi. – Beh, ho i miei amici. – rispose, sapendo
perfettamente che non era questa la risposta giusta.
Marzio non ribatté.
Gli fece un sorriso amichevole, ma Harry capì che gli mancava qualcosa quando
lo guardò negli occhi e li vide brillare in un modo che lui era piuttosto certo
di non aver mai visto nei propri.
Non era Marzio,
quello alla ricerca di qualcosa, fra loro due.
* * *
- Indietro,
indietro! –
- Fanteria,
riparare! Testudo! –
- Sagittarii,
incoccare! –
Draco scivolò
sull’erba e scosse la testa, tramortito dal chiasso insopportabile che lo
circondava.
- Tutto bene? – si
preoccupò Derevan, agguantandolo per un braccio e rimettendolo in piedi con
sorprendente forza. – Vieni, dobbiamo allontanarci da qui. –
- Ma che cosa sta
succedendo, si può sapere? –
Derevan non smise
di correre, né allentò la presa sul braccio di Draco.
- Sta succedendo la
guerra. – disse soltanto.
Sempre più confuso,
Draco si lasciò trascinare fino al limitare della radura su cui si stava
consumando la battaglia. Soltanto dopo aver aguzzato gli occhi, Draco riuscì a
scorgere sé stesso, cioè, Derevan, ritto davanti alla cinta che si apriva
sull’ampio portale d’ingresso per Venta. Teneva stretto nella mano destra un
lungo bastone di quercia, apparentemente spoglio e grezzo, con l’estremità
superiore abbruttita da noduli e rigonfiamenti informi.
Sparpagliati
attorno a lui, c’erano molti altri uomini vestiti come lui, e anche qualche
donna, quasi tutti dotati di bastoni simili.
E c’era anche
quella Dillon.
Shay invece, non si
vedeva da nessuna parte, e questo particolare inquietò Draco più di quanto si
sarebbe mai aspettato.
Attraversò tutto il
campo con lo sguardo, fino ad intercettare Fulgor. Non poteva sbagliarsi, era
proprio Marzio, quello che lo spronava di continuo, avanti e indietro,
percorrendo le fila di cavalieri romani schierate in perfetto ordine.
Erano in
impressionante vantaggio numerico, se paragonati agli Iceni, un vero muro umano
contro pochi, sparuti individui, che insistevano nella loro immobilità
impenetrabile.
- Devi combattere
contro Marzio. – considerò.
- E’ il nostro
dovere. – spiegò mitemente Derevan. – Lui è pur sempre l’uomo più importante
fra i suoi uomini, e io devo proteggere la mia gente, come capo druido è mia
precisa responsabilità. –
Draco strabuzzò gli
occhi. – T-tu!?!? – sputacchiò. – Tu eri un capo druido?!? –
Derevan si strinse
nelle spalle. – Da quando avevo dodici anni. –
- Ma sei un mostro!
–
- Già. Alle volte
arrivo a pensarlo anch’io. –
- Furio! –
Il grido angosciato
di Marzio riportò entrambi sulla scena della battaglia. Un cavaliere,
distaccatosi dal gruppo, era lanciato al galoppo proprio verso Venta. Incurante
dell’ordine ricevuto, spronò il suo cavallo e si lanciò di corsa contro
Derevan, immobile davanti al gruppo dei suoi compagni.
- Torna subito
indietro! –
- Perché,
comandante! – gridò di rimando il soldato, a malapena udibile nel frastuono. –
Abbattiamo i barbari, per la gloria di Roma! –
- Furio, non farlo!
–
Troppo tardi.
Marzio imprecò a
voce troppo bassa perché Draco potesse sentirlo, poi voltò bruscamente Fulgor,
e alzò un braccio.
- Cavalieri, prima
linea, attaccare! –
La prima linea si
distaccò con precisione impressionante dagli altri compagni, come degli altleti
sulla linea del via. Lui stesso, assieme ad Anacore, in groppa ad un robusto
destriero nero, di mise in coda ai suoi uomini, ma la sua espressione non era
quella di un vincitore che si prepara a dare il colpo di grazia alla sua
vittima.
Il galoppo dei
cavalli produceva un suono impressionante, una specie di ruggito furibondo che
si nutriva delle grida di guerra dei soldati, e del clangore del metallo delle
loro armi, che ad ogni passo cozzavano l’una sull’altra dando l’impressione che
fossero un unico, compatto mostro di ferro che avanzava, inarrestabile.
Derevan sbarrò gli
occhi. Sollevò con esasperante lentezza il suo bastone fino all’altezza del
viso, sotto gli occhi impassibili dei suoi conterranei e, mentre i Romani si
avvicinavano sempre di più, pronunciò, scandendole chiaramente, alcune
incomprensibili parole nella sua lingua.
Marzio e Anacore si
fermarono bruscamente, scambiandosi alla svelta uno sguardo di puro terrore.
- Uomini, ritirata!
– ordinò Marzio, ma quasi nessuno lo sentì.
Un boato.
Un boato spaventoso
si levò dal sottosuolo, come se la terra stessa stesse urlando, e ridusse ogni
altro rumore a poco più di un sospiro.
Tutto d’un tratto,
il terreno erboso sotto agli zoccoli dei destrieri divenne instabile.
I cavalli rimasti
nelle seconde linee nitrirono fortissimo, e presero a battere con forza gli
zoccoli, mentre quelli che stavano galoppando verso gli Iceni si imbizzarrirono
e scalciarono, disarcionando i loro cavalieri.
Fulgor si sollevò
anch’esso, agitando le zampe anteriori contro un nemico invisibile.
Dalla terra, fra lo
sconcerto di tutti, emersero dei sottili tentacoli di legno e di edere, che
come segugi si misero sulle tracce di qualsiasi individuo trovassero sulla loro
strada. I cavalli fuggirono, terrorizzati, mentre i soldati, rimasti
sparpagliati ed atterriti, sguainarono le spade, pronti a tranciare quei rami
malefici.
Chi fra loro
possedeva una bacchetta, la sfoderò, e prese ad evocare incantesimi di ogni
tipo, ma niente, nemmeno il fuoco poteva qualcosa contro quelle piante che
sembravano essere invulnerabili a tutto.
- Arceo! – gridò
Marzio, puntando la sua bacchetta stranamente tozza e lunga contro il suolo, ma
tutto ciò che ottenne fu di paralizzare per una manciata di secondi i tentacoli
protesi verso di lui.
- E’ magia
elementale. – disse Anacore, pietrificato. – Quel ragazzo padroneggia la magia
elementale. –
- Non ho mai visto
niente del genere. – ansimò Marzio.
- Presso il mio
popolo, è poco più che una leggenda. Non posso credere che ci sia qualcuno in
grado di usarla, e così giovane, per giunta. Possiede un potere sconfinato. –
- Lo so. E devo
fermarlo, o sarà la fine per tutti, qui. Anacore, tu torna subito nelle
retroguardie, e cerca di portare via più uomini che puoi. –
- Non hanno
possibilità di fuggire, a piedi sono troppo lenti. –
Marzio si avvolse
le briglie di Fulgor attorno alle mani, concentrato. – Usa tutto il tuo potere
per salvarli. Sollevali da terra, se necessario. –
Partì al galoppo,
lasciando Anacore da solo, ancora immobilizzato dalla paura. A fatica, il Greco
impugnò la sua strana bacchetta bislunga, tutta ornata di lamine di bronzo a
forma di luna, di sole e di edera.
- Exanistemi. –
Riuscì a sollevare
in aria una ventina di uomini, ma non ebbe nemmeno il tempo di voltare il
cavallo e spronarlo, che altrettanti tentacoli si drizzarono verso l’alto e,
attorcigliandosi attorno alle caviglie dei malcapitati, sciolsero l’incantesimo
come fosse nulla, e li schiantarono violentemente a terra.
Non erano che corpi
che andavano ad aggiungersi a corpi, sparpagliati ovunque e grottescamente
integri, come una distesa di dormienti.
Gli uomini toccati
dai tentacoli, infatti, crollavano a terra, come fulminati.
Draco pensò che
quelle piante magiche dovessero possedere lo stesso, spaventoso potere
dell’Anatema mortale, o non ci sarebbe stato altro modo per spiegare quel
fenomeno.
- L’edera risucchia
le loro anime. – mormorò Derevan, prevenendo la sua domanda. – E’ una morte
fulminea e completamente indolore. Il corpo non viene intaccato, non ce n’è
bisogno. –
- Pazzesco. –
- Le forze della
natura sanno essere crudeli, se glielo si chiede. –
- Fulvio! – gridò
di nuovo Marzio.
Il suo compagno, a
poche falcate da lui, lottava disperatamente contro uno di quei rami mostruosi.
- Comandante
Saverio! –
Ne arrivò un altro
che lo prese alle spalle, e anche lui si accasciò.
- Maledizione! –
imprecò, incitando Fulgor a correre più veloce.
- Vieni. – disse
Derevan, perentorio.
Il povero Draco
aveva lo stomaco distrutto dalla nausea, per l’eccesso di sensazioni, la vista
di tutti quei corpi, la paura e la confusione. Insieme, lasciarono il posto
sicuro da cui avevano assistito alla battaglia, per lanciarsi in una corsa a
perdifiato verso Venta, tagliando il percorso del Romano che, nel frattempo, si
era fermato presso un soldato a terra.
- Lucio Prospero
Basso, comandante. – gli sentì dire di sfuggita Draco.
- Lucio. Sali, e
reggiti forte. –
- Grazie,
comandante. –
Giunsero appena un
istante prima che Fulgor arrestasse la sua corsa, nitrendo. Marzio balzò giù,
incurante del manipolo di Iceni che si erano parati davanti al loro capo.
- Derevan! Fermati!
– ordinò duramente.
Derevan sembrava
posseduto da se stesso. Il bastone tremava violentemente nella sua mano tesa in
avanti, senza controllo.
- Derevan,
ascoltami! – lo chiamò a voce alta. – Devi fermarti! –
- Ma… Marzio. –
- Sono io, sono
qui. Adesso fermati. –
Draco si accorse in
quel momento della torque al collo di Derevan, che diede un bagliore prima di
spegnersi del tutto.
Derevan sbatté le
palpebre, e i tentacoli di edera cessarono all’istante di muoversi, cadendo
inanimati sul suolo. Respirando a singulti, rivolse lo sguardo al campo di battaglia
che si estendeva davanti a lui, disseminato di silenziosa morte.
- Sono stato io.
Guarda. –
- Adesso basta.
Basta. – ansimò Marzio, tremando quanto lui.
- Guarda! – disse
con voce strozzata. – Anche io so uccidere! –
E dopo quelle poche
parole, si lasciò cadere a terra, con la testa fra le mani.
- Derevan. –
- Anche io so
uccidere, come voi! –
- Non fare così,
vieni, alzati. –
- No, non mi
toccare. Sono diventato un assassino, non è vero? –
Dillon si parò
davanti a Derevan, risoluta. In realtà, tremava per la paura, e aveva gli occhi
umidi di lacrime, ma la sua intenzione di apparire forte davanti al nemico era
più che evidente.
- Vai via. –
ringhiò. – Tutto è colpa tua. –
- Lasciami parlare
con lui. – si oppose Marzio.
- Lui deve riposare.
Non servi tu. –
- E invece sì. –
Marzio le rivolse
uno sguardo furibondo, e, ben lontano dall’ascoltarla, si girò all’indirizzo
del soldato che aveva salvato.
- Tu, torna al
campo con il mio cavallo, e fai rapporto sulle perdite. Io vi raggiungerò fra
poco. –
- Ma comandante,
restare qui, da solo? –
- Obbedisci. –
Il povero Lucio era
troppo giovane e spaventato per osare controbattere. Una volta eclissatosi,
Marzio ritornò al suo obiettivo. Scansò Dillon, ignorando con alterigia il
bastone che lei gli puntava contro.
La poverina cercava
di mettergli paura e di allontanarlo da Derevan, senza capire che entrambi
erano lì per lo stesso motivo, quello di salvarlo dalle sue stesse azioni.
Non voleva farle
del male: il suo coraggio e la sua devozione erano da ammirare, non da punire.
- Alzati. –
- Non posso. –
- Certo che puoi. –
- No. Puoi
riuscirci tu, che con la tua spada falci gli uomini come fossero frutti maturi,
ma non io. -
- Non dire così,
non è vero. Anche per me è difficile, ogni Iceno che uccido, sei tu. -
- E allora come
fai? – gridò Derevan. – Dimmi come fai! -
Marzio si inchinò
lentamente, stringendosi forte al petto quel corpicino fragile e travolto dal
dolore.
- Come fai. –
singhiozzò Derevan. – A non sentirti le loro anime nel sangue. –
- Non fare mai più
niente di simile. Tu non sei fatto per uccidere. Io lo so. –
- Sarei impazzito,
senza il suo sostegno. – mormorò Derevan a Draco, come se avesse tenerezza di
sé stesso. Si voltò verso di lui, insistendo con lo sguardo finché non lo ebbe
costretto a guardarlo.
- Uccidere è una
cosa tremenda. – disse gravemente, facendo sobbalzare il Serpeverde. – E’
qualcosa che non si riesce a spiegare, ma che rimane conficcata dentro al cuore
per sempre. È come un marchio che incide sulla tua pelle il nome della tua
vittima, e ti costringe a farci i conti in ogni momento, mattina e sera, senza
mai una tregua. Non farlo mai, Draco: nemmeno tu sei fatto per uccidere. –
ANGOLINO!
Ed eccoci ad un
capitolo ricchissimo di riferimenti. Primo fra tutti, “omnia”. Ce lo
ricordiamo, quel frammento di legno che fece inciampare Harry nel primo
capitolo?
E poi un altro,
meno evidente: il primo sogno di Draco, ricordate? Marzio dice a Derevan che
lui non riuscirebbe mai ad uccidere, ma Derevan qui gli dimostra il contrario,
anche se sembra che gli costi molto. È una parentesi che squarcia il velo oltre
al loro idillio: appartengono pur sempre a due popoli in guerra.
Nota: la torque è il monile simbolo dei celti. Si
tratta di un girocollo rigido, di metallo, spesso finemente lavorato, che si
incrocia sul davanti senza toccarsi, un po’ come le dita di due mani.
Solitamente era un pezzo unico, ma ne esistevano anche a più incroci. Era
indossato da entrambi i sessi, aveva un grande valore sacrale, e i druidi
usavano benedirlo per infondergli potere magico e protettivo. Ne esistevano
molti “modelli”: alcuni indossati dai guerrieri, altri dai curatori, altri
dagli sposi, altri dai bambini e così via.
Ho cercato qualche
immagine in rete, così da darvi un’idea. Ciccate sui link!
Questa è una
classica torque singola
http://www.trigallia.com/montefortino/foto/torque.JPG
Questa è più
elaborata.
http://www.mysteriousworld.com/Content/Images/Journal/2003/Winter/Giants/Torque.jpg
Questo è un modello
molto diverso
http://www.metmuseum.org/toah/images/h2/h2_47.100.16.jpg
Questa invece è
doppia
http://www.jewellery-scottish.com/august8072/aug07torque.jpg
Per la parte sulla
battaglia, inizialmente avevo pensato di rendere gli ordini gridati dai
generali completamente in latino, ma siccome sono buona, oltre che pigra, ho
deciso di lasciare in latino solo alcune parole significative:
Testudo è la testuggine, la famosa ed impenetrabile
formazione di difesa di scudi uniti. Quando il comandante chiamava “testudo!”,
immediatamente si levava una piastra compatta di scudi identici, e per i nemici
erano cazzi. Aaah, mi esalto solo a pensarci!
I sagittarii
sì, sono semplicemente gli arcieri. Dite la verità, vi eravate fatti mille
filmini mentali di strani individui mezzi cavalli, eh? Scommetto che qualcuno
ha fatto di peggio, vedendosi Aiolios di Sagitter irrompere sulla scena, e
trasformare il tutto in uno stupido crossover baka. XD
Arceo significa “allontano”, “respingo”
Exanistemi è una parola greca che vuol dire insieme
“sollevare” e “allontanare”. Perché Anacore non è mica scemo.
Infine, una
specificazione doverosa sul termine “ Britannia”. Mi sono lungamente
documentata, ma ho capito che fra gli studiosi ci sono molti dubbi e molte
ipotesi su come i celti inglesi chiamassero la loro terra. Britannia deriva da
Britanni, che è uno dei popoli più importanti del territorio, e i Romani la
chiamavano così; perciò è verosimile che fosse un nome diffuso, e a questo mi
sono attenuta.
E adesso, se siete
ancora qui e non vi siete rotte per questa lezione extra di storia, rispostine!
Dark: ehm, già io non mi capacito
del fatto che non si vergognino di Draco e Harry, figurati ad avere altri ospiti!
^^
The
fly: speriamo
di no, altrimenti sono guai! Però ci hai preso, per il momento Draco non sembra
proprio disposto a far pace con se stesso, incurante dei sentimenti delle altre
parti coinvolte.
Far: hihihi, eccola che parte con
la selezione. Sembra tipo le classifiche in cui ti fanno sentire i pezzettini
delle canzoni mentre le enumerano!
Herm: ecco, visto? Non stare via due
settimane! Hihihi, Fulgor e Shay sono i protagonisti assoluti, loro sì che
hanno capito come gira il mondo!
Little
Star: ecco, gli
Him in questi casi sono davvero delle pessime scelte. Anche io ho studiato una
colonna sonora ad hoc, all’insegna dell’angoscia, con il risultato che non la
sento mai, perché o scrivo o mi dispero! E non parliamo di criminali, se io
sono riuscita a scovare un lato dolce in gente come Trevor, o Sasori, o
Ichimaru, mi sa che siamo sulla stessa lunghezza d’onda!
Ginny: Eh, chissà come mai è così
nervoso, mah ;)… buona pasqua anche a te!
Smemorella: nghaaa, non farmi tornare in
mente il giochino malefico! Sì, è tutto a posto, un attimo di casini vari, ecco
tutto! Ehm, tempeste ormonali? Io in primavera al massimo starnutisco,
decisamente non sono toccata da questo genere di problema! A proposito, mi sa
che la tua proposta sulla reazione di Draco è più aggressiva della mia! Almeno,
Harry ha ancora le rotule intatte… Beh, la loro funzione è quella… di tutti i
cavalli. Che poi potrebbe essere sottinteso qualcosa di più, trallallero
trallallà…
Anatrante: guarda, mi dispiace, ma non ti
posso rivelare proprio niente di niente, voglio che tutto si scopra cammin
facendo.
Koorime: tesoro del cielo, ho dedicato
con Somma gioia otto ore della mia esistenza alla tua recensione! Ora, dove
posso trovare un ferramenta che installi una trappola per topi a scadenza di
battiture sulla tua tastiera? XD Ok, la pianto, tanto lo sai che ti sono
enormemente grata e che mi prendo malissimo a leggere ogni tua recensione.
Insomma, Derevan è Derevan, e farli imboscare dietro al primo cespuglio non
sarebbe stato carino >.< Oltretutto, finchè Draco è tordo come una biscia
e non si rende conto di quanto di troppo sia, stiamo freschi. Poi, mi diverto
un mondo sulle tue analisi, perché ci prendi sempre, e allora parte il filmino
mentale corredato da colonna sonora “ooooh Detective Conan”. E finiamola qui,
va. La questione dell’invidia di Draco è un punto molto importante, e che avrà
modo di emergere, anche se già lo fa, fra le parole e nei gesti, per quanto
Draco ce la metta tutta per fare il ghiacciolo. Già, quoto in pieno la questione
stacca-lingua, Harry sarà pure innamorato e confuso, ma fesso del tutto no, e
Draco, diciamocelo, fa una certa paura. L’analisi di Draco prima o poi ci sarà,
perché è doverosa. Per il momento, mi diverto a nascondere i suoi stati d’animo
dietro a quel suo broncio mutevole, e in fondo non così inespugnabile…
Lady: eh, sua maestà Draco Malfoy a
volte si meriterebbe una scudisciata sul sederino, altroché! Ma siccome non
posso trasformare questa fic in una faccenda sadomaso, mi sa che Harry dovrà
beccarselo così com’è. Certamente, giusta osservazione: Marzio e Harry sono
diversi, prima di tutto perché Harry è molto più impulsivo del suo
corrispettivo, anche se il fatto che in questo cap Marzio si sia lanciato verso
Derevan, ignorando il pericolo mortale, la dice lunga. Sicuramente hanno più
punti in comune, e una maggiore disponibilità ad aprirsi, rispetto a Draco. Ma
diciamocelo, anche un guscio di noce è più aperto di Draco… -__-
Draco
Malfoy: Vedremo
più avanti, se Dillon avrà a che fare con Hermione o meno. Per quanto riguarda
l’altra domanda, invece, no, i ricordi sono “a senso unico”, e riguardano solo
Marzio e Derevan. Non è possibile, per loro, farsi gli affari di Harry e Draco!
XD
Blaise: grazie mille, stella! Yes,
sono contenta anche io di dipanare qualche mistero qua là, e mi diverto un
mondo a rivelare Draco non attraverso i suoi pensieri, ma attraverso le azioni.
Jill: hihihi, e fu così che mandammo
alle ortiche la trama, perché Harry fece un’incursione nella doccia, in preda a
erotomania… E così, Virgilio! Ti supplico, dimmi che Dante era un tipo carino,
e fra voi c’è stato del tenero…
Layla:
grazie infinite! Beh, sono molto contenta che tu, e un po’ tutti comunque,
abbiate recepito il passaggio chiave del muso di Draco per essere stato abbandonato.
Come già spiegavo, mi piace molto di più analizzarlo attraverso le sue azioni,
che non in modo classico. Per quanto riguarda le incursioni nei primi sogni di
Draco, è probabile che ci siano ancora degli spunti per parlarne, un po’ come è
successo qui, con Dillon.
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Capitolo 17 *** Imber ***
- Singolare
- Singolare. –
Harry provò un vago
ed indefinito senso di fastidio.
Avrebbe trovato
molte parole per definire la sua situazione, se glielo avessero chiesto, ma
“singolare” aveva un suono troppo ironico, persino canzonatorio. E, di certo,
la voce che l’aveva pronunciata non aveva fatto nulla per nasconderlo.
- Professor
Silente, ci dica che cosa dobbiamo fare. – insistette Hermione, accorata.
- Beh, lo farei
molto volentieri, ragazzi miei, ma temo di saperne quanto voi. –
- Ma insomma. –
squittì Ron. – E’ mai possibile che si finisca sempre in questi guai? –
- Via, via, non
perdiamoci d’animo, signor Weasley. Un problema esiste perché esiste una
soluzione, no? –
- Sì, d’accordo…
però… -
- Ho l’impressione
che Harry possa essere in pericolo. – si preoccupò Hermione. – Se queste due
anime non svaniscono, ora che il loro desiderio è esaudito, non sarà perché
qualcosa impedisce loro di farlo? –
- Esiste questa
possibilità. Ma, come Harry non è da solo ad affrontare la faccenda, visto che
c’è anche il signor Malfoy… -
Hermione si morse
il labbro inferiore, incassando il tacito rimprovero. – Sì, certamente. –
mormorò. – Anche Malfoy. –
- … Io credo che,
per ora, la sola cosa ragionevole da fare sia sforzarsi di stare uniti, e
cercare insieme di capire che cosa non va. –
Harry reclinò la
testa, decidendosi infine ad intervenire in quella discussione che tanto
direttamente lo riguardava.
– Dovremo parlarne
con Marzio e Derevan? –
- E’ una soluzione,
no? –
- Non lo so, Ron.
Non ti ricordi che Marzio, una volta, parlò ad Harry di regole da rispettare?
Forse non può dirgli niente. –
- E’ possibile. Ma
è ancora più probabile che nemmeno loro sappiano perché si trovino ancora qui.
Dopotutto, si sono ritrovati, perciò questo è già il loro paradiso. –
- Sta dicendo che
non hanno interesse ad andarsene? – ansimò Harry, colpito.
Draco, che fino a
quel momento se n’era rimasto rintanato dietro al suo broncio spaventoso,
appollaiato sulla sedia alla sinistra di Harry, quella più isolata di tutte,
scattò in avanti.
- Che se lo
scordino. – tuonò. – Ne ho piene le tasche di sogni, di Iceni, di cavalli e che
altro so io. –
Harry evitò
saggiamente ogni replica.
Considerando
l’andamento delle ultime ventiquattro - trentasei ore, contraddire Malfoy
sarebbe stato quanto di più controproducente si potesse fare.
Peccato non
potergli rinfacciare che non sempre le cose dipendevano dalla sua volontà, e il
fatto che lui ci tenesse tanto a sbarazzarsi di Marzio e Derevan non
significava affatto che loro se ne sarebbero andati.
Né tanto meno, che
lui volesse qualcosa del genere.
Perché anche lui
era coinvolto, no? Dio, c’era anche lui dentro a questa storia, aveva pur
diritto di parola tanto quanto Malfoy.
Dannazione a lui, e
a quel suo modo di fare che, chissà come e chissà perché, ti metteva nel sacco
prima ancora di avere il tempo di realizzare.
- Sia ragionevole,
signor Malfoy. È tardi per tirarsi indietro, ed è evidentemente troppo presto
per concludere. Con un po’ di pazienza, sono sicuro che verremo a capo del mistero.
–
- Un po’ di
pazienza? Quantifichiamo quell’”un po’”, signor Preside, perché io ho come
l’impressione che qui le settimane passino senza che niente cambi. –
Hermione lo
fulminò, inorridita per l’arroganza del suo tono. Silente, da parte sua, non si
scompose per l’atteggiamento, quanto piuttosto per ciò che aveva detto.
A malincuore,
dovette ammettere che non c’era risposta ad una simile domanda.
Giorni, settimane,
mesi. Anni.
Harry sentì il
proprio cuore accelerare improvvisamente.
- Ma signore, la
scuola finirà fra tre mesi. – farfugliò. – E’ impossibile, come facciamo a
mantenere un contatto? –
- Suvvia Harry, non
essere ingenuo. Potete benissimo mantenerlo. –
- Oh, certo che
possiamo mantenerlo. – ringhiò Draco. – Che ci vuole, basta vivere appiccicati
come sanguisughe. Magari dovremo persino cercarci casa insieme, così da poter
passare tutte le maledette notti della nostra vita a dormire insieme, eh? –
Lo sguardo gelido
di Draco, per un momento, fiammeggiò. – Sarò molto chiaro, con lei, signor Preside,
e con tutti voi, patetici illusi: preferisco finire fra le zanne di un drago
rabbioso, piuttosto che in una casa con Potter. Almeno, la prima opzione è
rapida. –
Colpito e
affondato.
- Io ti spacco la
faccia, maledetto. – giurò Ron, brandendo i pugni chiusi a sottolineare la
minaccia.
Il cenno fermo di
Silente bastò a fermare Ron, ma non Draco, che non aprì ulteriormente bocca, trincerandosi
nella sua posizione e limitandosi ad uscire dall’ufficio in modo composto e
rigido.
Nessuno stupore,
quindi, al momento del rientro in camera, nel constatare che di Draco non erano
rimasti che pochi vestiti di seconda scelta, che con ogni probabilità sarebbe
venuto a riprendersi con calma il giorno dopo.
Hermione si buttò a
sedere sul letto singolo, senza accorgersi dello sguardo rapace che Harry
involontariamente le rivolse, al vederla toccare il piumone ancora sfatto.
- Che cosa farai? –
domandò, diretta.
L’amico si strinse
nelle spalle. Fece scivolare svogliatamente le dita sul bordo del cuscino,
saggiandone la consistenza e cercando in essa una qualche forma di sostegno.
- Credo che resterò
qui ancora per un po’. – mormorò. – Nel caso Draco decida di tornare. –
- Ma sei matto? –
saltò su Ron. – Dico, lo hai sentito come ti ha trattato? Quel furetto
disgustoso meriterebbe solo un pugno nello stomaco, altroché! –
- Nemmeno secondo
me è una buona idea restare qui, Harry. A questo punto, torna al dormitorio.
Una qualche soluzione si troverà per forza. –
- Non esiste
soluzione, senza Draco. –
- Ma certo che
esiste, e noi la troveremo. –
Harry si massaggiò
le tempie, esasperato. – Vi dico. – scandì, sforzandosi in ogni modo di
mantenere la calma. – Che non è così. Vi sono grato per il vostro aiuto, ma voi
non potete capire. –
- Non cominciare a
fare l’eroe, adesso. – sbuffò Ron.
- Non mi diverto a
farlo. –
- Datevi una
calmata, tutti e due. Quello che Ron vuole dire è che è vero che non possiamo
essere partecipi, ma ci preoccupiamo comunque per te. Ti rendi conto che questa
storia ti sta portando un po’ troppo lontano? –
A Harry venne quasi
da ridere: non voleva pensarci, a quanto lontano stesse andando, ma di sicuro
c’era che i suoi amici erano i primi a non averne un’idea nemmeno vaga.
- Resterò qui. –
insistette.
- Commetti uno sbaglio.
–
- Ne ho commessi
tanti. Uno in più non farà differenza. –
Hermione sbuffò.
- Questa volta non
sei da solo a decidere. Se Malfoy non tornerà indietro, tu non potrai fare
nulla. –
- Di questo non ti
devi preoccupare. Tornerà indietro, deve farlo. –
- No, non deve. Non
ha senso dell’onore, e al contrario di te, lui non si sente legato al dovere di
aiutare Marzio e Derevan. –
- Maledizione! –
Harry schiantò un pugno sul materasso, facendo sobbalzare Hermione. – Perché
non volete darmi ascolto? Draco tornerà, non può non tornare, non dopo tutto
ciò che abbiamo visto e sentito insieme! –
Gradualmente, sotto
lo sguardo esterrefatto dei due amici, il volto di Harry tornò del colore
originale, da rosso fuoco che era diventato.
- Tornerà. – ripeté
per la centesima volta. – E’ soltanto spaventato dalla situazione, nient’altro.
Gli passerà e tornerà, e io lo aspetterò qui. –
- Harry… -
- E risolveremo
questa storia, insieme. –
Il discorso era
chiuso. Ron ribolliva per la rabbia, e probabilmente, più tardi, l’avrebbe
presa da parte e le avrebbe fatto una sfuriata con i fiocchi. Ma a quello ci
avrebbe pensato dopo.
- E’ ora di cena. –
constatò Hermione, cercando di salvare il salvabile.
* * *
- Non hai voluto
dormire con Harry, un’altra volta. –
Non c’era
risentimento, in Derevan. Non una maledetta traccia di rancore.
Draco digrignò i
denti, perché se almeno si fosse arrabbiato con lui, avrebbe avuto una buona
scusa per aggredirlo e cercare di sfogare, finalmente, tutto il magma che gli
opprimeva lo stomaco.
- Mi dispiace per
te. –
- E a me dispiace
per te. –
Draco strabuzzò gli
occhi, preso alla sprovvista.
- Ti dispiace per
cosa? –
Derevan sorrise a
metà, con un’aria che aveva del rassegnato. – Draco. – proclamò solennemente. –
Non ti accorgi di quanto sta piovendo? –
Scrollò le spalle.
Sì che se n’era
accorto, che razza di domande, con tutta l’acqua che stava venendo. Ma era
sempre stato così, in quel luogo; aveva dato per scontato che la pioggia fosse
parte integrante del suo sogno.
- Non ti accorgi
che quando lui ti è vicino, in cielo non c’è una nuvola? –
No.
Di questo non si
era mai accorto.
Anzi, era meglio
dire che aveva dato anche quel fenomeno per scontato. La pioggia gli
apparteneva, quanto il sole apparteneva ad Harry, perciò non era possibile che,
dove ci fosse lui, ci fossero nuvole.
Non poteva piovere,
se c’era lui. Non c’era niente da capire, era semplicemente così.
- Attento a come
parli. – lo minacciò. – Se stai cercando di insinuare qualcosa, io… -
Il quell’esatto
momento, lo scroscio della pioggia aumentò a dismisura, peggio che se dal cielo
fossero precipitate cascate d’acqua.
Il poco tessuto
ancora non bagnato del suoi vestiti si infradiciò del tutto, intirizzendolo e
facendogli colare il naso.
- Ma non c’è un
maledetto posto dove andare a ripararsi? – sbraitò.
- No, non c’è. Non
per questa pioggia. –
- Maledizione,
invece che stare qui a fare il saputello, fai qualcosa per farla finire, o qui
anneghiamo! –
Derevan sorrise, in
un modo o nell’altro divertito dalla scena. – Te l’ho spiegato, non posso fare
niente, io. Questa è la tua pioggia. –
- E allora spiegami
come farla finire, una buona volta. –
- Ascoltala. –
Il naso di Draco si
arricciò tutto. – Cosa? –
- Ma sì. – aggiunse
Derevan, come fosse la cosa più naturale del mondo. – Se ascolti ciò che ha da
dirti, lei se ne andrà. Il cuore è come un tesoro, non lo sai? Tenerlo
rinchiuso nel petto servirà a proteggerlo, ma in questo modo non potrà mai
brillare, e prima o poi verrà dimenticato. Se invece ti sforzi di ascoltare
questa pioggia che è dentro di te, se ne senti la voce oltre lo scroscio, e
presti attenzione alle sue parole, ci sono tante cose che potresti capire, di
te. Io la sento da quando sei nato, la voce di questa pioggia. Quando eri
piccolo, chiamava la tua mamma e il tuo papà così forte da assordarmi. –
Draco ebbe un
singulto violento.
La pioggia divenne
gelida, per qualche istante, talmente tanto da fare male alla pelle già
intirizzita.
- Ma poi è cambiato
qualcosa. – proseguì Derevan. – Da quando sei giunto qui, in questa scuola, le
voci si sono moltiplicate, contraddette, e alla fine un grido ha coperto tutti
gli altri. Hai davvero bisogno di ascoltare quella voce, Draco. Lui potrebbe
salvarti da te stesso. –
Come se le parole
di Derevan non fossero state già abbastanza, un improvviso tremore scosse la
terra, concretizzando davanti ai suoi occhi ciò che vorticava nella sua testa
senza sosta.
Si riprese solo per
accorgersi di non essersi praticamente mosso. Il luogo dove si trovava era
precisamente nei pressi del salice, a buon dire una decina di passi dal punto
di partenza.
L’albero, però, era
l’unica cosa rimasta identica a sé stessa: per il resto, era pieno giorno, il
sole brillava impetuoso sulle loro teste, e Derevan, l’altro Derevan, stava
addossato al fragile tronco della pianta.
Attorno a lui,
c’erano quattro grossi lupi.
Lo avevano
circondato, e ora ringhiavano insistentemente, battendo le code gonfie sulla
terra.
Draco lo sentiva
parlare loro dolcemente, nella sua lingua, ma le bestie non lo ascoltavano.
Terrorizzato, l’Iceno piantò davanti a sé il suo bastone, cercando invano di
costituire un confine oltre il quale i lupi non osassero spingersi.
Quello che sembrava
il capo branco, scoprì ancora di più la dentatura acuminata, e raspò il terreno
con le zampe, proprio in corrispondenza con il bastone.
- Ma sei pazzo! –
gemette Draco. – Perché non li cacci via, vuoi finire divorato? –
- Non mi davano
ascolto. – spiegò Derevan. Poteva giurarlo su quanto aveva di più caro al
mondo, non gli aveva mai visto in volto un’espressione così triste, fino ad
allora. – Non riuscivo a capire perché. –
- Al diavolo, a
quel punto spediscili all’altro mondo, prima che loro lo facciano con te, no? –
- Non posso. La loro
vita vale quanto la mia, non ho alcun diritto di ucciderli. –
La situazione stava
precipitando rapidamente. Derevan non dava in effetti segno di voler reagire
all’aggressione, mentre i quattro lupi lo stringevano sempre più, arrivando a
lambirgli le gambe con le fauci digrignate.
Tese una mano,
tentando di accarezzarli, ma la ritrasse in fretta, sfuggendo per un soffio ad
un morso letale.
Draco continuò a
tenere lo sguardo fisso su di essi, inclinando la testa di quel poco che
occorreva per poter parlare.
- Lui ti salverà,
vero? – chiese, anche se il suo sembrò più un proclama. – Arriverà a momenti, e
ti salverà. È così, vero? –
Derevan si morse il
labbro inferiore.
Proprio in quell’istante,
infatti, un fragoroso nitrito li colse alle spalle, e Marzio si materializzò
dalla stessa direzione da cui erano arrivati loro, scavalcandoli senza
accorgersi di nulla.
- Derevan! – gridò.
– Cosa fai, vieni via da lì! –
- Non posso! –
gemette l’Iceno. – Non mi lasciano passare! –
- Bene. – soffiò
Draco. Insisteva nel parlare, da solo più che con Derevan. – Ora sfodererà la
spada e caccerà via quelle bestiacce. Le ammazzerà, se necessario. –
- Draco… -
- Lo farà. Perché
ti ama, e se ti ama, deve farlo. –
Derevan non sapeva
se sorridere, o rattristarsi. Annuì, rinunciando ad aggiungere altro.
Marzio smontò in
fretta e furia da Fulgor, che si ritrasse nervosamente. Sguainò la spada e la
puntò contro il primo lupo, vibrando d’ira.
- Non ucciderli, ti
prego. –
- Perché ti
puntano? Non riesci ad allontanarli? –
- Ci ho provato, ma
non mi danno ascolto. Non riesco a capire. –
Marzio si morse la
punta della lingua e, tenendo sempre la lama davanti a sé, riuscì a far
scansare due lupi e a raggiungere l’Iceno.
- Shay? –
- Si è agitato
molto appena sono arrivati. Così gli ho detto di scappare. –
- Sì è agitato? –
Derevan scosse
vigorosamente la testa, provocando la violenta reazione del capobranco, che
azzannò e cercò di strattonare la spada di Marzio.
- D’accordo. –
mormorò il Romano. – Stringiti a me, e cerchiamo di allontanarci da qui. Ma ti
avverto, se ci attaccheranno, li ucciderò. –
- Solo se ci
attaccheranno. –
- Promesso. –
Marzio colpì con
forza il poderoso collo di uno degli animali, usando il piatto della spada. Il
lupo si ritrasse uggiolando, protetto da uno dei suoi compagni, che abbaiò
furiosamente contro i due. Marzio non si lasciò intimidire, anzi, fece roteare
ancora la sua daga per tenerli lontani, mentre, un passo alla volta, arretrava
verso Fulgor, che sbuffava minaccioso.
- Ma bene, bene,
bene. –
Una voce rapace
colse all’improvviso tutti i presenti, Draco incluso. Dalla macchia d’alberi
opposta alla loro posizione, e coperta dall’ombra del sole, uscì fuori un uomo
molto alto, a cavallo, bardato in un mantello rosso identico a quello di
Marzio.
- Comandante Marzio
Saverio. – scandì con un’espressione di grottesca ilarità. – A che deplorevole
scena mi tocca assistere. –
- Che stai
farneticando, Tito. – ringhiò Marzio, livido più di rabbia che di sorpresa per
la sua comparsa. – Aiutami a mandare via queste belve. –
- Belve? – le
sopracciglia rossastre e spigolose del nuovo venuto si rizzarono sotto il suo
mezzo elmo. – Io non vedo nessuna belva, qui. –
Marzio fece per
aprir bocca e sotterrarlo sotto un diluvio di ingiurie, ma le parole gli
morirono in bocca. Davanti a lui, infatti, non c’erano più quattro lupi, ma
quattro uomini, suoi soldati.
- Comandante Marzio
Saverio. – cantilenò Tito, oramai apertamente canzonatorio. – Stai puntando la
spada contro dei soldati di Roma, per proteggere un barbaro? Davvero un
comportamento poco adatto ad un Legato. –
- Animagus. –
gemette Draco. – Ma come… -
- Allora non
esistevano forme di controllo, come ci sono adesso. – mormorò Derevan. – Credo
che lui non lo sapesse. –
- Ecco perché non
ti davano ascolto. –
- Esatto. Le mie
parole funzionano sugli animali, non sugli uomini. –
Marzio strinse più
saldamente a sé un Derevan paralizzato dalla paura, e invece che foderare la
spada, la puntò minacciosamente contro Tito.
- Tu! – soffiò. –
Tu, maledetto vigliacco! –
- Modera i termini,
generale. – lo derise Tito. – Io, Azio Tito Quinto, prefetto della VIIII Legio,
dichiaro te, Marzio Saverio Fabio, Generale Legato, in arresto per alto
tradimento, in nomine senati populique Romani. Soldati! –
I quattro uomini
furono subito addosso ad un Marzio che, stupefatto, non oppose la minima
resistenza.
- Ah, naturalmente
legate anche il ragazzo. Di lui vedremo cosa farne più tardi. –
- Fai qualcosa! –
gridò Draco. – Diavolo, perché ve ne state lì fermi? –
- Che cosa avremmo
dovuto fare? – lo scoraggiò Derevan. – Se ci fossimo ribellati, avremmo dovuto
uccidere quegli uomini, e darci alla fuga. –
- Ma perché lui non
fa niente! Perché non ti protegge?!? –
Derevan indicò con
il mento un Marzio che, furibondo, si agitava come una belva, a stento
trattenuto da sue soldati, mentre Tito si caricava personalmente Derevan sul
suo cavallo, tenendolo malamente per i capelli.
- Lascialo
immediatamente andare, ti ho detto! –
- Perché dovrei, è
complice di questo crimine. –
- Oh, chiudi quella
lurida bocca. È me che vuoi, di lui non ti importa niente, liberalo subito! –
Tito ridacchiò,
tirando le redini del suo cavallo.
- Chissà, magari
anche il ragazzo potrebbe interessarmi… -
Le iridi chiare di
Marzio fiammeggiarono.
- Maledetto! –
ruggì. – Non osare toccarlo o me la pagherai cara! –
- Continua a
urlare, comandante Saverio! Ci sarà di che raccontare in giro, di un
prigioniero che minaccia i suoi carcerieri! –
- Derevan. – chiamò
Draco, con un filo di voce. – Dove vi stanno portando. –
- Al castra, al
loro accampamento. –
- Riuscirete a
sistemare tutto, vero? Voglio dire, Marzio si farà scagionare, ammazzerà di
pugni quel bastardo, e… -
- Draco. –
- Lo farà, vero? –
- No, Draco. Non può
farlo. –
- Perché no! –
Draco avvertì il
prurito leggero di una lacrima sfuggita via dall’occhio, ma non gli diede alcun
peso, non finchè si sentiva ancora in grado di trattenere i singhiozzi.
- Dovresti già
saperlo. –
- No, non voglio!
Lui ti deve salvare, deve farlo! Che amore è, altrimenti, eh? Dimmelo, che
amore è! –
- Draco, ciò che
non si è potuto salvare allora, si può salvare oggi. –
- Non mi importa
niente! Che senso ha, se tu sei morto per colpa sua! –
- Ti sbagli. Io
vedo solo vittime, qui. –
Draco si svegliò di
soprassalto, trovandosi prigioniero delle lenzuola bollenti e tutte
aggrovigliate. Registrò un gorgoglio sommesso, proveniente da chissà quale suo
compagno di stanza, e, immediatamente dopo, il gelo.
Tirò su con il
naso, scoprendosi le guance bagnate fino al mento, e tutto l’addome teso in uno
spasmo dolorosissimo che cercava di soffocargli il respiro.
Ancora a denti
digrignati, si alzò di scatto, agguantò il suo mantello abbandonato sulla
seggiola, e corse fuori, a piedi nudi.
ANGOLINO!
Questo capitolo e
il prossimo erano originariamente nati come un unicum.
Scrivendoli, però,
mi sono accorta che non solo il tutto diventava mostruosamente lungo, ma che,
soprattutto, si riempiva di una quantità eccessiva di avvenimenti, che avrebbe
finito con il creare confusione.
Ora, visto che
considerato che ho giurato su tutti gli dèi dell’Olimpo che con questa fic
avrei fatto un lavoro di immersione totale, senza accelerare i tempi nemmeno di
una virgola, ho ritenuto decisamente opportuno tagliarlo in due.
E poi, detesto dire
cose del genere, ma questo e il prossimo sono due fra i capitoli più
emozionanti, parlo per me che li scrivo, perciò tagliare pezzi per tenerli a
tutti i costi uniti sarebbe stato un delitto.
In
questo, la buona notizia, se vogliamo, è che i 15 capitoli che avevo stimato
all’inizio (che illusa che sono, eh?) stanno diventando un bel po’ di più. Me
miserrima, miserevole e miseranda.
NOTA: lo avrete intuito. “In
nomine senati populique romani” significa “nel nome del senato e del popolo
romano”, ed era una formula utilizzata ampiamente. Per gli amanti della
grammatica (esistono?) è giusto sottolineare che “senatus” presenta un genitivo
polimorfo, perciò, oltre a “senati”, esistono le forme “senatui” e “senatus”.
Ho scelto senati semplicemente per accordo con populi, e perché detesto
infangarmi nelle eccezioni, per una volta tanto che si può mantenere la forma
regolare!
Scappo,
perdonatemi se non vi rispondo anche se siete in pochi, ma ho in ballo delle
altre cosucce da pubblicare, e il tempo stringe!
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Capitolo 18 *** Ignis ***
Notte consogno di Harry, arrivo di Draco e chiarimento
Al primo,
violentissimo colpo di bastone, Harry distolse lo sguardo.
Derevan non fiatò.
Dando prova di una fierezza impressionante, strinse forte i denti, e raccolse
tutte le forze che aveva sulle sue labbra, dando vita ad un sorriso
indescrivibile.
- No. – gemette
Harry. – No, no, non possono farlo. -
- No! – gli fece
orribilmente eco Marzio, inginocchiato a terra, fra i suoi commilitoni, mentre
si dibatteva come un leone, invano, per cercare di raggiungere Derevan, di
fargli da scudo.
- Mi dispiace. –
soffiò lui, quasi esanime. – Mi dispiace tanto. -
- Derevan!
Fermatevi! –
Il corpo del
giovane Iceno era segnato un po’ dovunque da lividi già nerastri, segno che
dovessero avere almeno due giorni o tre. Erano piccoli, infidi, nascosti sulle
giunture ed in altri punti delicati, procurati con ogni probabilità con
l’impugnatura di un coltello. Dovevano fare un male indicibile.
Eppure Derevan non
dava segno di volersi lasciare andare. Resisteva, con il capo appena chino, gli
occhi limpidissimi e privi di lacrime.
- Avanti! – ordinò
Tito. – Non siete nemmeno capaci di ammazzare un ragazzino barbaro? -
Grandinarono
bastonate su bastonate, che si infrangevano assassine, una dopo l’altra, sul
corpo indifeso di Derevan, sempre più ripiegato su sé stesso. Ad ogni colpo
inferto in silenzio dai soldati, il gemito straziato di Marzio era il solo,
sconvolto suono che accompagnasse l’impatto sulla carne e sulle ossa del biondo
Iceno.
Harry scosse la
testa ancora, e ancora, come qualcuno che cerca di risvegliarsi da un incubo. –
Basta! – ansimò. – Basta, fermali! -
- Non posso farlo.
-
- Ma lo
uccideranno! -
- Lo so. -
In quel momento,
gli aguzzini si diedero il cambio, la prima fila con la seconda, e Derevan si
aggrappò all’ultimo alito di vita che gli restava per sollevarsi sulle braccia.
- Vale, Marzio. –
sussurrò. – Addio. –
- No! -
Un colpo si
abbatté, impietoso, sul collo di Derevan, che si accasciò a terra, vinto. Una
manciata di soldati lo accerchiarono, impedendo a Marzio di vederlo.
Harry, però, e
l’altro Marzio, loro potevano. Li videro colpire con forza la schiena, il collo
e la nuca di Derevan, ridotto ormai ad un esanime fagotto sanguinante. Il suo
corpo distrutto dalla brutalità dell’esecuzione emanava una incorruttibile
forza, nel suo mantenersi tutto intero, ed ancora dignitoso nonostante le
molteplici ferite.
Le labbra spaccate,
lo zigomo destro sbrecciato, non c’era nulla che potesse soffocare la sua
maestosa bellezza.
E non erano i soli
a sentirlo. I soldati lo colpivano con sempre meno convinzione, con timore,
addirittura, come se improvvisamente si fossero tutti resi conto di stare
uccidendo qualcosa di incommensurabile.
Tito Quinto stava
velocemente perdendo il sorriso tagliente che fino a quel momento era rimasto
annidato sulle sue labbra. Forse una morte che si faceva troppo attendere lo
annoiava, o forse nemmeno lui riusciva a provare gusto, guardando quello
spettacolo straziante.
- Finitelo in
fretta. – ordinò, ritirandosi verso l’interno del castra ad ampie falcate
nervose, scortato soltanto da due uomini. Diede un’impressione strana, il suo
ritirarsi fin troppo rapido: che stesse scappando, da chissà quale cosa
nascosta fra i granelli di terra secca e polverosa dello spiazzo.
Non appena il
Prefetto se ne fu andato, smisero tutti di infierire sul corpo di Derevan.
Come un penoso
sipario, si fecero da parte, lasciando passare Marzio, per l’ultimo atto della
loro tragedia.
Il generale,
l’ombra dell’uomo che, l’espressione degli occhi ancora lo testimoniava, era
stato fino a poco prima, si accovacciò in ginocchio accanto al suo dolce sole,
all’amore solo e grande di tutta la sua vita.
Pieno di tenerezza,
lo prese fra le braccia, senza smettere un attimo di accarezzargli i capelli
incrostati di sangue.
- Derevan. – chiamò
con un filo di voce.
Ma Derevan non gli
rispose.
- Mea spes. Mea una
lux. -
Era troppo tardi.
- Derevan. –
Per dirgli parole
dette mai abbastanza volte, per quell’ultima carezza sui lividi e sul sangue,
per cercare di estinguere i rimpianti di ogni istante passato senza tenergli le
mani fra le sue.
Era troppo tardi,
ormai. Per tutto.
- Signore… -
- Comandante
Saverio, dobbiamo portarti via. -
Anacore fu il primo
a fare un passo verso Marzio, immobilmente assorto nelle sue vane cure.
- Marzio, fratello
mio. -
- Se hai pietà. –
Marzio alzò su di
lui i suoi occhi ciechi, dove il verde smeraldo campeggiava sul rosso intenso
delle lacrime scese a rigargli le guance sporche. – Se hai un po’ di pietà per
questo sventurato, se sono tuo fratello, allora uccidimi. Abbi compassione di
me, non lasciarmi vivo. -
- Ma comandante… -
- Non sono più il
vostro comandante. – Marzio sfiorò con devozione una gota tumefatta del suo
compagno morto. – Non sono più niente. Non sono più nemmeno un uomo. -
- Uccidiamolo. –
gemette un soldato, dalla seconda fila.
- Non si può.
Bisogna attendere il sorgere del prossimo sole. -
- Ma così è peggio
della morte! -
- Marzio. – Anacore
si inchinò di fianco a lui. Anche il suo viso spigoloso e singolare, in quel
momento, riusciva ad emanare un dolore composto e nobile. – Dobbiamo obbedire
alla legge, lo sai. Ti spetta la condanna dei traditori. -
- Lo so. – parlò
Marzio, con un filo di voce.
- Bene. – Anacore
si alzò a fatica, cercando di tenere una mano sulla testa dell’amico. – Uomini,
ascoltatemi. L’esecuzione del comandante Legato avverrà ora stesso. -
- Ma signore! –
esclamarono uno sparuto pugno di soldati.
- Questi sono gli
ordini. – li liquidò Anacore. – In assenza di Tito, qui comando io. Prima fila,
avanzare. Sguainate le spade. –
Marzio fu preso per
le spalle da alcuni uomini, e fu fatto inginocchiare in modo più composto.
- Signore, io non
voglio che tu muoia. – singhiozzò un giovane centurione.
Marzio lo guardò
senza realmente vederlo. Era quel giovane, quel soldato che aveva salvato una
volta, tanto, tantissimo tempo prima, dalla furia di Derevan. Chissà, però, se
lo riconobbe.
I suoi uomini gli
si fecero attorno in silenzio, formando una semiellisse che lasciava libero il
lato dove giaceva Derevan. Libero, perché il loro comandante potesse crollare
su di lui, morendo.
- Al mio ordine. –
disse Anacore con voce spezzata.
- Derevan. –
mormorò Marzio, accarezzando con devozione i capelli disordinati dell’Iceno. –
Non ti lascio solo, anima mia, sto arrivando da te. Aspettami, ti prego.
Aspettami solo un altro istante. -
- Nunc. –
Marzio sentì la
schiena squarciarsi sotto il ferro tagliente dei suoi stessi soldati. Non
fiatò, non diede un gemito, il respiro bloccato nei polmoni, il corpo
irrigidito nel dolore e nell’ultimo anelito di orgoglio.
Nel silenzio
irreale, si coglievano soltanto i singhiozzi distrutti di alcuni uomini. Il
pianto dei soldati che per lui erano stati come fratelli, e che ora lo stavano
uccidendo.
- Erroso, Marzio,
fratello. – mormorò Anacore, spento.
- Vale, comandante
Saverio. -
- Sei stato il
miglior generale che io abbia mai avuto l’onore di servire, comandante Saverio.
–
- Vale Saverio. -
Marzio non aveva
parole da regalare a nessuno di loro. I suoi occhi andavano annebbiandosi
sempre di più, le sue mani e le sue gambe si intorpidivano, e lui, già morto
nello spirito, stava lasciando morire il proprio corpo su quello di Derevan.
Harry colse il
gesto fulmineo di Marzio, che accanto a lui si irrigidì, portandosi una mano allo
stomaco.
- Che cos’hai? –
gracchiò, maledicendosi per non avere nient’altro da dire.
- La nausea. –
spiegò Marzio. – Morire fa provare un forte senso di nausea. -
- E’ stato…? -
- Doloroso? No, non
credo. È una sensazione sgradevole, che ti stritola lo stomaco, ma niente di
più. Il dolore smetti di sentirlo quasi subito. -
Harry non faticò a
credergli, per una volta. Il corpo che si era accasciato senza più vita nella
polvere del campo fuori dal castra era un corpo che non mostrava alcun segno di
patimento, né di gioia, come se le ferite sanguinanti appartenessero ad un
altro.
Sempre annuendo a
chissà che cosa, si lasciò andare al pianto, come fecero tutti gli uomini che
aveva davanti, stretti l’uno all’altro come una famiglia che si stringe attorno
ad un fratello. Nonostante il bisogno prorompente di farlo, non si sentì in
diritto di piangere, anzi, aveva la sensazione che avrebbe dovuto dare
qualsiasi altra cosa che non fosse quella.
L’immobilità dei
corpi di Marzio e Derevan bastava, sola, a scatenare un inferno di dolore, di
rabbia e di incredulità.
- Ti hanno ucciso
come se fossi un animale. – gemette.
- E’ ciò che mi
spettava. Per la mia legge, ero un traditore. -
- Non è così. -
- So che può
sembrarti ingiusto. -
Anacore impartì alcuni
ordini secchi, e immediatamente quattro soldati si disposero a coppie, e
raccolsero i due giustiziati, per dirigersi, con gli altri compagni, verso
l’accesso del castra.
- Tutto ciò che è
accaduto dopo la mia morte non potrei mostrartelo nemmeno se volessi. – spiegò
Marzio. – Posso solamente raccontartelo. -
Ma ad Harry non
importava niente, di nessun racconto. Dopo ciò che aveva visto, non voleva, non
poteva sentire altro.
- Tu. – ringhiò fra
i singhiozzi. – Tu hai combattuto per tutto questo! Hai combattuto! -
Marzio rimase in
silenzio, a capo chino, di fronte alle accuse di Harry.
- Perché!?! -
- E’ la mia legge,
Harry. -
- No! Non è
possibile! Non può essere vero! -
- Harry… -
- Derevan è morto!
– gli ringhiò in faccia Harry, rosso di rabbia. – Lo hanno ucciso davanti a te
come se non fosse un essere umano, e tu hai difeso, questa legge che te lo ha
portato via! –
- Lo so. Ma ho
perdonato. -
- Come diavolo fai
a dire che hai perdonato?!? Se facessero una cosa del genere a Draco io- -
Harry si interruppe
bruscamente.
- Lo proteggeresti?
– domandò Marzio, serio al limite dell’inespressività.
- Certo che lo
proteggerei. Farei qualsiasi cosa per proteggerlo. -
- E pensi che io
non l’abbia fatto? -
- No, no che non lo
hai fatto. Lo hai guardato morire senza muovere un dito, come se non te ne
importasse niente. -
Una dolorosa ruga
d’espressione apparve fra le sopracciglia del Romano.
- Harry. – riprese
dopo qualche momento. – Te l’ho già spiegato, no? Non sono in grado di decidere
che cosa mostrarti di ciò che accadde. Ma se hai un po’ di fiducia in me, posso
giurarti sul mio onore che ho cercato con tutte le mie forze di salvarlo. -
- Non ci sei
riuscito. – lo accusò Harry.
Si sentiva un verme
a parlare così davanti ad un dolore così grande, ma la rabbia che mugghiava
dentro al suo stomaco non gli dava tregua, e se appena provava a ricordarsi che
Marzio non era altro che una vittima, ecco che lei tornava a caricare, a urlare
che no, una cosa del genere non sarebbe dovuta succedere mai, mai, per nessuna
ragione al mondo.
Marzio si morse con
forza le labbra. – Lo so. – mormorò. – Ma ci sono forze contro cui non si può
lottare, Harry. Sembra stupido dirlo, ma tu sei giovane, molto più giovane di
me, e sei anche molto coraggioso, e di gran cuore. Ma a volte la forza di
volontà non basta. Non basta desiderare qualcosa con tutto te stesso, perché
questa si avveri. Non basta, nemmeno se cerchi di strapparti l’anima dal cuore
per darla in pegno, non serve a niente, le cose accadono lo stesso, le persone
muoiono lo stesso, e tu ti ritrovi lì a tendere inutilmente i brandelli del tuo
cuore verso il cielo, chiedendo che te lo ridiano indietro. –
- Marzio. -
- …Che te lo
ridiano indietro. – Marzio smise di mordersi le labbra, arrendendosi infine
anche lui ai singhiozzi.
E Harry si sentì male,
per essere stato così spietato.
Era un uomo che
aveva perduto la persona più importante sotto ai suoi occhi.
Lo aveva visto
morire.
Lo aveva guardato
morire.
Aveva assistito
all’inesorabile sgretolarsi di quella vita.
In fin dei conti,
non aveva fatto anche lui lo stesso errore? Non aveva visto suo padre in lui,
perché aveva voluto vederlo? Non aveva chiesto a chissà quale dio del cielo, da
bambino, che gli restituisse la sua mamma e il suo papà?
E Cedric? E Sirius?
Non era rimasto a
guardare, maledizione, non era rimasto lì, fermo, a guardarli morire?
Proprio come lui?
- Marzio, io… -
- Perdonami. -
Marzio
si ricompose immediatamente, raddrizzando le spalle che solo un attimo prima
erano sembrate soverchiate dal peso del suo mantello. Harry pensò che quel
giovane uomo possedesse una forza sovrumana nel suo corpo.
- Vuoi raccontarmi
cosa accadde dopo? – disse cercando di essere più delicato possibile.
Marzio a sorpresa
formò un piccolo, fragilissimo sorriso.
- I miei compagni.
– cominciò con voce insolitamente profonda. – Iniziarono i preparativi per il
rito funebre. Chiesero a gran voce che mi si seppellisse con l’onore di un
comandante, nonostante tutto, e Tito Quinto fu costretto ad accettare. Ma non
potendo accanirsi su di me, lo fece su Derevan. Diede l’ordine di gettare il
corpo del barbaro nel fiume, senza onori. Ma i miei compagni erano degli uomini
straordinari. -
Harry provò una
sensazione di sollievo. Strano a dirsi, vista la situazione, ma era come se
avesse saputo dietro le parole di Marzio si celava qualcosa di autenticamente
bello.
- Fabbricarono un
manichino con della paglia e della legna. Alcuni dei nostri maghi riuscirono a
trasfigurarlo, dandogli un aspetto simile a quello di Derevan, e lo gettarono
nel fiume. Anacore, invece, nascose il vero corpo, lo ripulì e lo vestì. Il
giorno dopo furono celebrati i miei funerali, dove venni cremato sulla pira,
secondo le nostre usanze. Quinto rimase solo per l’accensione del fuoco. –
Le labbra sottili
di Marzio assunsero una piegolina amara. – Credo che volesse accertarsi che il
mio corpo bruciasse davvero, e che io mi levassi dai piedi una volta per tutte.
–
Harry imitò la sua
stessa espressione senza rendersene conto. Riusciva a sentire il dolore di
Marzio fin dentro alle ossa, e non c’era nulla che potesse fare per opporvisi.
- E così, portarono
lì Derevan di nascosto, e lo posarono sulla pira, lasciando che i nostri corpi
bruciassero insieme, che le nostre ceneri salissero unite verso il cielo. Io,
per mia parte, assistetti a tutto, ma Derevan non c’era, senza un intermediario
non ero in grado di vederlo. -
Dentro alle ultime
parole del Romano era racchiusa un’immensa gratitudine, rivolta a lui,
evidentemente. Harry si sentì importante, e come mai prima, pieno di forza.
- Fu… - commentò,
inspirando a fondo. – Fu bello, da parte dei tuoi compagni. -
- Fu un gesto
meraviglioso. – assentì Marzio. – Anacore e gli altri rischiarono moltissimo,
ma lo fecero per rispetto verso di me, e verso Derevan. Perché, nonostante mi
avessero condannato, loro avevano capito. -
All’improvviso, il
cielo prese a tuonare violentemente, facendo sobbalzare Harry per lo spavento.
- Quel giorno non
venne a piovere. – rifletté Marzio.
- E allora, che
significa? Mi sto svegliando? -
- Sì, credo proprio
di sì. -
Harry annuì, vago. – D’accordo. Allora…
-
- Non ti
preoccupare per me. -
- Resterai qui? -
- No. Dopo che tu
te ne sarai andato, tornerò al bosco. -
- Ho capito. Senti,
Marzio… -
Harry non fece in
tempo a concludere la sua frase, che si ritrovò sveglio, nel letto ampio della
sua camera provvisoria, avvolto dall’oscurità quasi totale della notte.
Il silenzio, però,
quello non era totale: un rumore concitato e sordo di passi si fece strada
nella sua testa ancora frastornata, proveniente da chissà dove.
La porta della
camera si spalancò rapida abbastanza da non emettere neppure un cigolio.
- Harry? – chiamò
una voce snaturata da una nota di panico.
Poteva essere il
sonno, certo. In piena notte, al buio, e dopo tutto quello che aveva visto, per
giunta.
Però.
Però, poteva anche
essere lui.
- Draco? -
L’ombra stagliata
contro l’uscio aperto si distaccò da esso, facendosi sempre più netta man mano
che gli si avvicinava.
Adesso che si
trovava lì, non sapeva nemmeno che cosa ci fosse andato a fare.
- Ho visto… E’
stato… - farfugliò. -
- Hey, va tutto
bene? -
- No. Direi di no.
-
Se lo sentì, che
ciò che turbava Draco era probabilmente la stessa cosa che turbava lui. Che diamine,
vedere Malfoy sulla soglia delle lacrime non era mica cosa da tutti i giorni.
- Vieni qui. – lo
invitò, battendo con il palmo della mano sul materasso.
Draco esitò un
momento, prima di assecondarlo, e andare a sedersi su quello che era stato il suo
lato del letto per alcuni giorni. Raccolse subito le gambe, infreddolite dalla
lunga corsa a piedi nudi.
- Non mordermi. –
si sentì dire, mentre un braccio andava ad avvolgergli le spalle con
discrezione, sorprendentemente caldo e rassicurante. Dio, aveva un bisogno
disperato, di quel braccio.
Senza che Harry
dicesse nulla, cominciò a snocciolare il racconto di ciò che aveva visto e
sentito. Dapprima esitando e rimangiandosi le parole, poi sempre più
precipitosamente, confessò fra i denti la rabbia che aveva provato nei
confronti di Marzio, per non essere riuscito a trarre in salvo Derevan dal
pericolo.
Harry capì molte
cose, circa la famosa imboscata di cui Marzio gli aveva accennato, e anche
circa quelle parole a cui non aveva voluto credere, sul suo tentativo di
salvarlo.
Chissà quanti
giorni erano trascorsi, fra la cattura e il momento dell’esecuzione.
Chissà che cosa non
aveva tentato, per strappare Derevan a ciò che li attendeva impietosamente.
Chissà, se avrebbe
dovuto raccontare a Draco il suo sogno, come lui stava facendo.
Riusciva quasi a
vederselo davanti, strepitare furioso, se non gli avesse detto nulla. Ma in
quel momento, se lo vedeva davanti scosso, che tentava di mantenersi saldo e di
non perdere per strada nemmeno una lacrima piccola piccola.
. Quel salice, io l’ho
riconosciuto. -
- Lo conosci? -
Draco annuì
lievemente. – E’ l’albero sotto cui ho incontrato Derevan. Credo che sia sempre
rimasto là sotto, ad aspettare. -
- Sì, capisco. -
- Sempre lì, fermo.
Voglio dire, duemila anni. Duemila anni sono un mucchio di tempo. E lui è
rimasto lì, ad aspettare sotto il salice. -
Harry espirò
lentamente attraverso le narici. Fuori, il cielo era ancora blu violaceo,
punterellato di un’infinità di candidi astri.
Era ancora notte, e
Draco era tutto intero: il tempo per dirgli tutto ciò che avrebbe dovuto, lo
aveva. Si sentì fortunato, oltre ogni dire.
- Dammi il
mantello, lo butto sulla sedia. – mormorò.
Dopo che Draco si
fu accoccolato sul cuscino, tirò su le coperte, allungandogliele fin dietro la
schiena.
Il Serpeverde
sospirò di piacere, al contatto con il morbido tepore del piumotto, dopo tanto
freddo. Si acquattò più vicino che potè ad Harry, cercando in tutti i modi di
non dare nell’occhio.
Non ci riuscì,
naturalmente, perché Harry se ne accorse, ma si guardò bene dal reagire.
Sì, era tutto
intero, e vivo; respirava a piccoli sbuffi, scandendo la pace della stanza, ed
era incredibile, era salvifico, era magnifico. Per quel poco di notte che
rimaneva, lo avrebbe lasciato riposare tranquillo, senza altri brutti sogni con
cui dover fare i conti.
C’era sempre il
giorno dopo.
ANGOLINO!
Ho
semplificato un po’ il rituale funebre romano, che in realtà era più elaborato,
e prevedeva una processione e un tot di altre cose. Ma non sono state solo
esigenze di copione: siamo in un campo militare, non a Roma, e Marzio è pur
sempre un traditore, quindi un funerale solenne ma sobrio mi sembrava più
adatto ed in linea con la trama.
Inoltre,
il titolo di questo capitolo fa coppia con quello precedente. Ignis e imber, il
fuoco e l’acquazzone.
Nota: Erroso è una parola
greca, significa “addio”. Nunc, invece, è latino, e significa “adesso”.
Mi
scuso di cuore per non potervi rispondere nemmeno questa volta. In realtà non
voglio darvi garanzie su quando potrò tornare a farlo, perché al momento un
paio di gravi problemi di carattere personale tengono le mie mani e la mia
testa lontane da questa tastiera.
Per
questo, è possibile che il prossimo capitolo tardi un po’ ad arrivare, perciò
non allarmatevi.
Tutto
ciò che vi chiedo sono tante belle recensioni sul capitolo, nel senso che vi
prego di non tener conto e di questa faccenda, che mi sembrava giusto
segnalarvi come causa della mia negligenza nel vostri confronti, ma che con la
storia non ha nulla a che vedere. Anche se so che sarebbe in buonissima fece,
non trasformate lo spazio pubblico delle recensioni in una pioggia di domande
sul genere “come stai, cos’è successo”, ecco. Non è il luogo adatto.
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Capitolo 19 *** Caelum terraque ***
CAP 11: si chiariscono e notte dedicata a Marzio e Derevan insieme
A colazione, Harry
comunicò asciuttamente agli amici che Draco era tornato.
Lo aveva fatto con
un tono che, più che riportare il rientro nei ranghi di un recalcitrante
ragazzino Serpeverde qualsiasi, sarebbe stato più consono alla cronaca del
ritorno in patria di un eroe.
Hermione si limitò
ad alzare gli occhi al cielo, celando un sorrisetto vago dietro alla tazza
bianca ricolma di tè. A Ron per poco non andò di traverso tutto il pasto, ma
poco importava.
Per la verità,
Harry non era nemmeno sicuro che il ritorno di Draco fosse effettivo. Si erano
svegliati un po’ di fretta quel mattino, scambiando poche battute sul genere
“la mia cravatta è un disastro”, o “perché questo mantello non vuole
collaborare”.
Nulla che
riguardasse la notte appena trascorsa, e, di conseguenza, quelle a venire.
Ma ci sperava,
ecco. Era stato indescrivibile averlo lì, infagottato su sé stesso e tutto
tremolante, che nonostante ciò dormiva beato, sollevato almeno per un po’ dal
peso della storia in cui si era ritrovato coinvolto, e che sempre più si faceva
opprimente.
Più tardi, Piton
attendeva i Grifondoro per due allegre ore di lezione in cui, c’era da
giurarlo, non si sarebbe spiccicata una parola.
Un sollievo, sotto
un certo punto di vista.
Giusto avviandosi
verso i sotterranei, Harry intercettò Malfoy, che procedeva a passo spedito
verso l’uscita, diretto alle serre, alla Foresta Proibita o giù di lì.
Non si azzardò a
salutarlo: circondato com’era dai suoi scagnozzi, avrebbe ottenuto al massimo
un’occhiataccia, e avrebbe messo nei casini entrambi. Perciò, meglio far finta
di niente, come se anche loro due fossero appartenuti a due popoli in guerra.
Un tantino
eccessivo, forse, come paragone, ma figlio di quella che ormai si poteva
chiamare abitudine.
Riuscì a vederlo
soltanto nel tardo pomeriggio.
Era tornato in
camera per darsi una ripulita, finito l’allenamento del dopo pranzo, quando un
trambusto disordinato lo aveva spaventato, e fatto scattare fuori dalla doccia.
La scena che gli si
era presentata davanti agli occhi era di quelle che non si dimenticano per
tutta la vita: Draco, armato di un baule dall’aspetto pesantissimo, con
un’espressione di autentico terrore dipinta sul volto, e dietro di lui, niente
meno che Sibilla Cooman in persona, a dargli il giusto sostegno morale.
- Ho sentito. –
esordì solennemente la donna, perfettamente incurante dell’ansimare distrutto
del povero Draco, e dell’asciugamano attorno alla vita di Harry. – Che siete
stati mandati qui dal Preside perché siete posseduti. -
- Ehm, non
esattamente posseduti, professoressa. – balbettò Harry, mentre il suo compagno
di stanza si accasciava sul letto, miagolando lamentele insensate circa il peso
del baule, la bruttezza della Cooman e l’ingiustizia della vita.
- Ma certo, certo,
caro, dicono tutti così. – lo rassicurò l’insegnante, annuendo con fare
simpatetico. – Non avete nulla da temere, è mio preciso dovere proteggere le
vostre giovani vite – o meglio, quello che ancora vi resta da vivere –
liberandovi dai maligni spiriti che vi infestano. -
Harry fu certo di
aver colto un deciso fruscio di stoffa, altezza cavallo dei pantaloni,
provenire dal letto dietro di sé. Sospirò, rassegnandosi alla battaglia.
- Ma professoressa
Cooman, ci stiamo già occupando di, ehm, estirpare il male che è in noi. Il
professor Silente ci ha spiegato come fare, e… -
- Mio caro,
moribondo ragazzo. – lo interruppe lei, afflitta. – Il professor Silente è una
così cara persona, ma temo non sia molto dotato nel campo della veggenza e
dell’esorcistica. -
- Chissà come mai.
– borbottò Draco, fortunatamente a voce bassa.
- Su, su,
raccontatemi tutto, così potrò liberarvi dal Maligno. -
Harry si voltò di
sfuggita, interrogando tacitamente Draco, che altrettanto tacitamente fornì una
risposta inequivocabile: “non provare a coinvolgermi in alcun modo, sei tu
quello buono, qui.”
Si grattò la nuca,
e decise per una via di mezzo, ovvero il raccontare qualche, e solo qualche,
accenno della vicenda alla professoressa Cooman, evitando accuratamente i
dettagli.
- … E quindi questi
spiriti desiderano potersi incontrare, e, beh, è tutto. -
- E’ tutto? – la Cooman roteò teatralmente la testa, tintinnante di ciondolini e fermacapelli. – Sei sicuro
che sia tutto? Niente fenomeni particolari, niente draghi sputafuoco, nessuno
specchio rotto? -
- Altroché se sono
sicuro. Niente di tutto ciò. -
Per qualche strana
ragione, sembrava delusa. Il ché poteva essere soltanto positivo per i due
ragazzi: delusione della Cooman significa scampato pericolo di morte immediata.
Era un’equazione comprovata, oramai.
- Oh, beh. –
borbottò. – Allora sbrigatevi. -
- Sbrigarci?
Sbrigarci a fare cosa? -
- A liberarvi di
loro, no? -
- E come? -
- Ve l’ho detto,
sbrigandovi. -
Draco sentì che se
avesse continuato a darle corda, non sarebbe uscito vivo dalla discussione.
Diede un gemito da mal di pancia a cui Harry fece vagamente eco.
- Ci sbrigheremo,
professoressa. – promise Harry, cominciando ad occhieggiare con una certa
insistenza alla porta. – Ora, se vuole scusarci, vorrei tornare a fare la
doccia, e Draco deve sistemare i bagagli… -
- Bagagli che
potrebbero contenere ostacoli di ogni genere al vostro compito. Ma siete
fortunati, ho giusto un po’ di tempo libero da dedicare all’esorcismo di tutti
gli abiti. -
Draco inspirò con il
naso molto, molto a fondo. - Professoressa, non avverte anche lei una voce
cavernosa provenire dal fondo delle scale? – disse, serafico.
La professoressa si
attivò immediatamente, rizzando le orecchie all’indirizzo della porta.
- Una voce, mio
caro? -
- Ma sì, ne sono
certo. Non sente? Oooh, mi sembra che stia chiamando proprio lei! -
- Andrò a
controllare. – propose lei, risoluta. – Se qualche spirito in pena chiede il
mio aiuto, interverrò. Chissà che non sia la nonna di quel povero signor
Paciock. -
Draco si chiuse la
porta alle spalle con un gemito liberatorio.
- Sei un genio del
male, lo sai? – lo riprese Harry.
- Il fine
giustifica i mezzi. Ce ne siamo liberati, no? -
- Già. Così potrò
finire la mia doccia in santa pace, sto congelando. -
- Già. Hey, senti.
-
- Uhm? -
Draco assestò un
paio di leggeri calcetti alla parete più corta del suo baule.
- Credo che
tornerò dormire qui. – borbottò ad occhi bassi.
- … Ok. -
- E’ che non ho
dormito bene, la scorsa notte. Voglio dire, quando… -
- Sì, lo so. Ne
parliamo con calma appena finisco. -
- Va bene. -
La doccia di Harry
fu la più rilassante, ma anche la più breve, che il Grifondoro ricordasse. Non
si prese nemmeno la briga di asciugarsi i capelli, nonostante in clima ancora
poco generoso.
Ritrovò Draco
seduto sul letto, intento ad osservare le proprie gambe ciondolare avanti e
indietro, ritmicamente. E decise di dirgli tutto.
Non c’era un motivo
preciso, semplicemente si mise seduto a sua volta, e con tutta la delicatezza
che poté, gli raccontò che cosa aveva visto.
Il commento di
Draco fu simile al suo.
- Oh. Adesso sì che
si chiariscono molte cose. -
Sul volto aveva
dipinta una brutta espressione rassegnata, che ad Harry non piacque per niente.
- Hey. Noi possiamo
aiutarli. -
- Forse. -
- No, non forse. Di
sicuro. -
- E allora perché
non ci siamo già riusciti? -
- Non lo so, ma lo
scopriremo. -
Draco corrugò le
sopracciglia, se non altro passando dal triste al sorpreso.
- Wow, San Potter
non si ferma davanti a niente, eh? -
- Certo che no. Sei
tu il furetto fifone, qui. -
- Hey, rimangiatelo
all’istante! -
- Non credo che lo
farò. -
- Giuro sul
cappello di Merlino che stanotte ti prendo a calci negli stinchi finché non te
li avrò consumati. -
- Ha ha, e io giuro
che ti lego i piedi come un salame, e voglio vedere se riesci a muoverti. -
- E io lo dico al
professor Piton! -
- E io alla
McGranitt! -
Harry ridacchiò fra
sé. – Così poi potremo assistere ad uno scontro fra titani. -
- Mio dio, ci
pensi? -
- La McGranitt vincerebbe sicuramente. -
- Oh, non credo
proprio. -
- Miei cari! -
Harry e Draco
tacquero all’istante e si voltarono entrambi, inorriditi, verso la parete vuota
che fiancheggiava l’ingresso del bagno, da dove proveniva la voce ovattata
della Cooman.
Scossero entrambi
la testa, accordandosi per una strategia vecchia come il mondo, ma sempre
efficace: fingere di non esistere.
- Volevo solo
dirvi. – proseguì la Cooman. – Che lo spettro non c’era, perciò state
tranquilli. E quando vi deciderete ad assecondare le sinistre presenze che
albergano nei vostri sogni, per favore fatelo in silenzio. Ma sbrigatevi! -
- Assecondare?
Sbrigarci? -
Draco si lasciò
cadere all’indietro, rimbalzando sul materasso. – Devo finirla di ascoltare
quella vecchia carampana, se non voglio fare la sua stessa fine. –
Harry fece un gesto
non curante all’indirizzo del muro. – Io l’ho sentita dire un paio di cose
sensate, qualche volta. – commentò. – Chissà, magari con qualche ciondolo e una
sfera di cristallo riusciremo a capire che diavolo vuole dire. –
- Per me vuole solo
esorcizzarci. -
- Beh, dovrà
riuscire a prendermi, prima. -
* * *
- Io sarei uno
spirito maligno? –
Il povero Derevan
corrugò le sopracciglia biondissime a formare un’espressione affranta.
– Ma-ma io… -
- Lascia perdere. –
lo rimbrottò Draco. – Non lo hai ancora capito, che quella è suonata come uno
gnomo di palude? -
- Nessuno dà dello
spirito maligno a Derevan. – masticò Marzio. – Nemmeno uno gnomo di palude. -
- Perché non trovi
il modo di manifestarti a lei? – ridacchiò Harry. – Chissà che finalmente non
abbia un’apparizione come si deve. –
- Oh, sai quante ne
avrei da dirgliene? Per la corona di Giunone, le faccio rimangiare tutto a fil
di spada. -
- Marzio. -
Derevan sorrise in
modo indulgente ed anche un po’ divertito.
Aveva il sovrumano
potere di zittire Marzio con un niente, di fermare la sua corsa con meno di una
parola, di placarlo, come fa un buon domatore con un leone nervoso.
- Draco è stato
grandioso. – si sentì in dovere di dire Harry. – L’ha abbindolata a dovere. -
- Ho fatto il mio
dovere di Serpeverde. – si schernì Draco.
- Oh, Draco, l’hai
ingannata? – si dispiacque Derevan.
- E che altro avrei
dovuto fare, invitarla a bere il tè? Vorrei vedere te al mio posto che avresti
fatto. -
- Le avrei spiegato
che non ci sono spiriti maligni. -
- Bravo, la fai
facile, tu. -
- Ha ragione Draco.
– sbottò Marzio. – Spirito maligno sarà lei. -
Beh, Harry poteva
dire tutto, tranne che non si stesse divertendo.
In quel momento,
non poteva pensare che Marzio e Derevan fossero morti.
Erano lì con lui,
che ridevano e parlavano, reali quanto lo era lui, e poco importava che i loro
corpi fossero polvere da duemila anni, perché le loro anime riuscivano ad
abbracciarsi ancora più forte di prima.
Proprio in quel
momento, un fruscio di vento annunciò quella distorsione caleidoscopica
dell’atmosfera ormai diventata un’abitudine. Sarebbero approdati chissà dove e
chissà quando, ma questa volta sarebbero stati tutti e quattro.
Sentì una mano
aggrapparsi saldamente al suo avambraccio, nel trambusto: Derevan gli offrì un
sorriso di velluto che gli paralizzò completamente lo stomaco, incendiandogli
le guance.
- Pronto a partire?
-
La sola cosa che
Harry riuscì a pensare, soverchiato dall’intensità della sua presenza, fu che
se Derevan non gli avesse lasciato subito il braccio, il suo cuore si sarebbe
riempito di lui fino a perdersi per sempre.
Approdarono ad una
riva giuncosa piuttosto simile a quella già incontrata tempo prima, ma molto
più fitta di canne che assiepavano la striscia d’acqua dolce che per un buon
tratto costeggiava il mare, probabilmente emergendo direttamente dal
sottosuolo.
- Guarda. –
sussurrò Marzio, non rivolto ad Harry, ma a Derevan.
- Sì. -
- E’ meraviglioso
essere qui. -
- Hey, guardate un
po’ laggiù, c’è qualcuno! -
Draco si lanciò
saltellando verso un cespuglio di giunchi che si agitava in dissonanza con gli
altri, mosso da qualcosa che si celava oltre la sua ombra.
Stava per scostare
le canne con entrambe le mani, quando qualcosa gli fu addosso, scaraventandolo
a terra.
- Attento! – gridò
Marzio, coprendolo con il proprio corpo e trascinandolo con sé lontano nella
caduta.
Draco registrò gli
steli su cui pochi secondi prima si erano posate le sue mani cadere a terra,
falciati di netto, e un attimo dopo, un secondo Marzio emergere dal passaggio
venutosi a creare, spada in mano.
- Uff, ma guarda tu
che faticaccia. –
- Tutto a posto? -
Era la voce di
Marzio, ad un centimetro dal suo orecchio.
Draco sbarrò gli
occhi e si irrigidì completamente mentre Marzio, ignaro della sua reazione,
cercava di tirarsi su sulle braccia.
- Stai bene? –
domandò di nuovo. – Scusami per averti buttato a terra a quel modo. -
Cominciò a
battergli con gentilezza le spalle e le braccia, per ripulirgli l’uniforme
dalla polvere. Troppo vicino.
- Sto bene! –
gracchiò Draco, scattando a sedere come se qualcosa gli avesse punto la
schiena.
- Meno male. Non
sapevo se quel colpo ti avrebbe ferito o solo trapassato, ma ho preferito
continuare a non saperlo. -
- Gra-grazie. -
- Non è niente. -
Marzio lo
sovrastava, intento a scrollare i propri vestiti alla bene e meglio, mentre
lui, ancora seduto, non faceva altro che fissarlo imbambolato.
- Dammi la mano. –
lo invitò. – Ti tiro su. Hop! -
Di nuovo troppo
vicino.
La mano di Marzio
era sorprendentemente solida, e più grande della sua, molto più di quando
avrebbe pensato. Era la mano di un guerriero, ma era gentile, per nulla rigida,
come se il Romano avesse il pieno ed assoluto controllo sulla forza di ogni suo
singolo muscolo.
- Siete tutti
interi? – si preoccupò Derevan, raggiungendoli assieme ad Harry appena l’altro
Marzio fu passato loro davanti. – Oh dèi del mare, che sollievo. -
Draco rivolse loro
un’incomprensibile espressione allarmata, oltre che violacea. Si allontanò
precipitosamente da Marzio, ma finendo quasi di fianco ad Harry, incespicò
ancora più in là, praticamente finendo dietro Derevan.
- Sei sicuro che
vada tutto bene? -
Annuì
impercettibilmente. Per un po’ non sarebbe riuscito a spiccicare parola, ne era
sicuro.
- Chi va là? –
tuonò la voce di Marzio.
Tutti e quattro si
girarono di scatto.
- Andiamo. – li
incitò Marzio, scattando alla volta di un sé stesso particolarmente teso.
- Fatti vedere! So
che ci sei. Vieni fuori! -
Non ottenendo
risposte, Marzio avanzò arrancando nella vegetazione fitta e diversificata, la
spada sempre dinnanzi. – Ti troverò. – minacciò. – E’ inutile che ti nascondi.
-
I quattro ragazzi
ebbero non poche difficoltà a seguirlo cercando di costruirsi un percorso
alternativo che aggirasse il suo. Erano quasi riusciti a raggiungerlo, quando
Derevan comparve da dietro un mazzo di canne impenetrabile dietro cui era
rimasto acquattato fino a quel momento.
Senza fiatare, tese
in avanti il suo bastone, ma non puntandolo contro Marzio, bensì tenendolo in
posizione orizzontale, a voler costituire una barriera, più che un’arma di
offesa.
Marzio si
immobilizzò, gli occhi sbarrati per la sorpresa.
Per qualche
istante, i due non fecero che fronteggiarsi in silenzio, del tutto immobili fra
il frusciare molle e ritmico delle piante agitate dal vento.
Marzio sembrava non
essere in grado di recuperare il controllo sul suo corpo paralizzato, mentre
Derevan, ad uno sguardo più attento, rivelava un tremore lieve ma significativo
di tutto il suo corpo. Le labbra, in particolare, fremevano debolmente, come
scosse dal freddo.
Vestiva un lungo
abito bianco, sporcato in più punti del bruno della terra e di tanti verdi e
gialli diversi, i succhi dei vegetali che lo circondavano, e null’altro che la
sua incredibile bellezza.
- Che cosa… sei. –
soffiò Marzio.
In cambio ebbe
alcune incomprensibili parole pronunciate con un tono che esitava troppo, per
riuscire a risultare minaccioso.
- Sei di questa
terra? Non riesci a capire la mia lingua? – provò di nuovo, ma fu inutile, il
giovane di fronte a lui brandì con maggiore determinazione il suo strano
bastone bitorzoluto.
- No. – cercò di
fermarlo. – Aspetta, non farlo. -
Allargò lentamente
le braccia, e con infinita cautela fece in gesto di posare a terra la sua
spada. Lo sguardo dello straniero mutò istantaneamente in un’indecisa sorpresa.
- Non voglio farti
del male. – scandì. – Capisci? Non voglio farti del male. –
Marzio avanzò con
infinita prudenza verso di lui, mostrandogli le mani aperte e disarmate. Il
giovane si ritrasse, allarmato, ma allo stesso tempo ritirò anche lui il suo
bastone, portandoselo sul fianco.
Il Romano azzardò
un lieve sorriso. – Così va bene. – sussurrò. – Non avere paura, non ti faccio
niente. -
Riuscì ad
avvicinarsi a lui fino ad averlo a poco più di un braccio di distanza. Il
poverino tradiva di tanto in tanto dei brividi violenti di paura, ma Marzio non
era che un uomo disarmato, davanti a quegli occhi grandi, di un azzurro raro,
opacizzato e prezioso come quello di una perla.
- Io mi chiamo
Marzio. – pronunciò, battendosi leggermente il petto con le dita. – Marzio. -
- Marzio. – cercò
di ripetere una voce vagamente roca. Il ragazzo imitò il suo gesto, toccandosi
il cuore.
- Derevan. -
- Derevan. Chi ti
ha mandato qui? Sei un messaggero degli dèi? -
Derevan scosse il
capo, interrogativo.
- Non riesci a
capirmi, vero? – sospirò Marzio.
– Tu. – spiegò,
indicandolo con prudenza. – Vieni da lassù? – concluse, puntando l’indice verso
l’alto.
Il povero Derevan
volse anch’egli il suo sguardo verso il cielo, ma non sembrò aver capito molto
più di prima. Scosse la testa, e con un sorriso incoraggiante gli indicò la
terra.
Marzio rinunciò a
spiegarsi. Forse lo aveva compreso, forse no, non lo avrebbe mai saputo. La
dolcezza inenarrabile del suo sguardo lo metteva in soggezione, proprio come se
fosse stato di fronte ad un prodigio.
- Si dice. –
mormorò fra sé. – Che gli dèi siano perfetti, e per quanto tentino di prendere
sembianze umane per mescolarsi ai mortali, la loro natura incorruttibile
traspaia, tradendoli. -
Derevan sbatté le
palpebre, del tutto smarrito. Di fronte al comportamento gentile di quello
straniero, però, prese un po’ di coraggio, e con pochi passi rapidi lo superò,
sorprendendolo.
Andò a raccogliere
la sua spada, maneggiandola un po’ maldestramente per il suo peso, e tornò
indietro a riconsegnargliela. Appena gliel’ebbe lasciata fra le mani, osservò
con sottile apprensione l’operazione di rifodero dell’arma, ma nonostante tutto
non si volle ritrarre.
Marzio attese
pazientemente che Derevan si sentisse nuovamente al sicuro, libero di muoversi.
Lo osservò mentre tornava al punto dove si era nascosto, e ne usciva con una
cesta piuttosto grande di vinchi verdi fra le mani, ricolma di ogni genere di
fiore, radice e arbusto.
- Stavi difendendo
il tuo tesoro. – gli disse sorridendo.
Derevan posò
meticolosamente il tutto a terra, mostrando con un certo orgoglio le sue mani
vuote, una volta rialzatosi.
Marzio non trovò
altro da fare che imitare il suo gesto, rassicurandolo una volta di più sulle
sue intenzioni.
Ma questa volta, se
le sentì afferrare gentilmente da due più piccole, straordinariamente morbide e
calde nonostante il lavoro.
Meravigliato,
scrutò il sorriso pieno di luce che gli si stava schiudendo davanti agli occhi,
finendo diventandone vittima. Per Derevan pareva estremamente importante, quel
gesto semplice solo in apparenza di tenersi le mani intrecciate, proprio come
le cannule del suo canestro.
Lo lasciò andare
all’improvviso, ma senza essere brusco.
Un nitrito
particolare, armonioso ed argentino, si levò dietro di loro, a cui Derevan
reagì come al richiamo di un amico.
Impugnato il suo
bastone, e abbracciata la sua cesta, formò un sorrisetto indeciso all’indirizzo
del Romano, che comprese così l’imminenza della separazione.
- No, aspetta. – lo
implorò, correndo verso le sue guance con un gesto di entrambe le mani suo
malgrado eccessivo, che morì in una carezza accennata appena.
- Aspetta, ti
prego. Potrò mai rivederti? Dove vai, dove devo cercarti? -
Con la mano non
occupata dalla sua preziosa corba Derevan rispose alla carezza, mantenendo gli
occhi fermi in quelli sempre più incantati dell’interlocutore del loro muto
dialogo.
- Marzio. – ripeté,
con un sorriso pieno di gioia, di sole, e di chissà cos’altro di inafferrabile
e lontano da ogni comprensione umana.
Corse via verso la
fonte del nitrito di poco prima, mentre Marzio se ne restava inerte a guardarlo
andare via.
Lo vide salire in
groppa a quello che, non poteva essere, sembrava a tutti gli effetti un
unicorno. Un animale piccolo e pieno di grazia, che risplendeva come una stella
in pieno giorno.
Anch’esso
un’apparizione, come il suo cavaliere?
- Derevan. -
No.
- Non posso
seguirti fin sull’Olimpo. -
Le apparizioni non
hanno un nome.
Terminò tutto senza
interruzione, e i quattro compagni furono ritraspostati al punto di partenza,
sotto l’ombra brulicante delle innumerevoli foglie che costituivano la
variopinta macchia di bosco in cui riposava Marzio.
Per un po’, regnò
un silenzio assorto fra di loro, ché nessuno sentiva di avere qualcosa di
sufficientemente importante da dire.
Derevan andò a
sedersi fra le gambe di Marzio, che lo attirò sulla sua spalle, cingendogli la
vita con entrambe le braccia.
Si erano
semplicemente dimenticati di tutto il resto.
Marzio diceva
qualche parola in latino, Derevan gli sorrideva, gli rispondeva nel suo
dialetto, e poi di nuovo un bacio, uno dietro l’altro, come gocce d’acqua, le
prime, dopo aver attraversato il lungo deserto dei secoli.
Ogni tanto si
sussurravano qualcosa in inglese, ma starli a sentire sarebbe parso ad Harry
come un intollerabile atto di invadenza. Più li guardava, però, più si chiedeva
come fosse possibile che fossero riusciti ad amarsi per tutto quel tempo. Per
secoli, miseria, secoli e secoli passati a nutrirsi delle proprie memorie.
Gli venne la pelle
d’oca al solo pensare che due persone del genere, due anime così candidamente
gemelle, fossero state tenute lontane. Non era stata vita la loro, fino a quel
momento, e non importava nulla il fatto che fossero degli spettri:
probabilmente erano stati molto più vivi nel momento della loro morte, vicini,
stretti, che in qualunque altro momento.
Aveva sempre,
inconsciamente pensato che, comunque si fossero conosciuti, da quell’istante in
poi non si fossero più lasciati, e invece un altro tassello andava al suo
posto, rivelandogli come anche il loro incontro si fosse svolto sul filo di un
precipizio.
Sapevano a malapena
i loro nomi, non si comprendevano se non con pochi, timidi gesti.
Chissà cosa li
aveva fatti ritrovare, quale coincidenza che, se non si fosse avverata, avrebbe
portato entrambi a scordarsi l’uno dell’altro, a credersi semplicemente un
sogno.
Lo sguardo gli
sfuggì verso Draco, seduto su un masso piatto, con le gambe incrociate e le
dita intrecciate sotto al mento a preghiera.
Un altro brivido lo
percorse.
Draco, e anche
tutte le altre persone che amava, Hermione, Ron, tutti quanti, era tutto così
labile, così facile preda del destino.
- Draco. –
gracchiò, con la voce irruvidita dal lungo silenzio.
Lui che lo aveva
lì, che aveva la fortuna di dividere con lui il suo tempo, che non avrebbe
avuto nessuna difficoltà a trovarlo sempre, ovunque fosse andato, che possedeva
scope, camini, gufi, qualsiasi cosa, non possedeva giustificazioni.
Soltanto per
inerzia si sarebbe rassegnato a vederlo sparire dalla sua vita, rimediando una
ben misera figura al cospetto di tanto invincibile amore.
Draco si riscosse,
e fece un cenno con la testa per segnalare che lo ascoltava.
Non che Harry
sapesse con precisione cosa avrebbe voluto dirgli. Probabilmente solo una cosa,
bambina ed egoista.
- Non posso
perderti. -
Draco tremò.
-Che cosa dici. –
mormorò senza spostare i pugni chiusi da sotto il mento.
- Ego a… ama… amas.
-
- Shhh. Non sei mai
stato troppo bravo con i verbi. -
- Ho sbagliato?
Vero? -
Marzio sorrise
glissando con le labbra sulla tempia di Derevan. – Un pochino. Ma adesso non ha
importanza. -
ANGOLINO!
Nota: contenutistica, più che storica. Marzio
impugna una spada, Derevan un cesto di erbe, e qui il parallelo fino ad ora
abbastanza velato si palesa. La spada di Godric, le pozioni che a Draco riescono
così bene, l’impossibilità di comunicare che è metafora di due modi del tutto
diversi di vedere la vita.
Derevan e Marzio
decidono di posare le loro armi e di stringersi le mani, venendosi incontro,
scambiandosi pochi gesti dal valore universale. Torniamo alle considerazioni di
Marzio, circa il fatto che Derevan gli avesse insegnato un modo nuovo di
pensare, e ci rendiamo conto che ciò che ancora li distingue da Harry e Draco è
che loro due, anche Harry, badate bene, non si sono ancora del tutto disarmati.
Mi occorreva
un’immagine di grande impatto “fotografico”, e non troppo facile da decifrare,
per affrontare questo nodo chiave, perciò mi sembrava corretto aggiungere
questa breve spiegazione.
Le due dita che
indicano cielo e terra, poi, di evidente sapore raffaellesco, me le dovete
perdonare.
E adesso, una nota di
carattere assolutamente personale.
Voglio ringraziare
con tutto il cuore ognuno di voi, per avermi compresa, e per l’attesa paziente.
Ho sospeso quasi tutto, nelle ultime settimane, pubblicando solo ciò che era
già pronto, come vi avevo anticipato. Da adesso in poi, con un attimo di calma,
tornerà tutto alla normalità.
Uff, il mondo pesa
decisamente di meno, adesso.
Mio padre è uscito
dall’ospedale, e sta bene. Il mio ragazzo è sparito e non tornerà,
naturalmente, ma a che servono gli uomini, se non a tirarsi indietro
esattamente nel momento in cui hai bisogno di loro?
Ah, ragazze mie,
meglio che continuiamo a sognare, va’. A pensarci bene, anche Harry è sparito
con una scusa idiota, al sesto anno. Oddio, chiunque desidererebbe sparire
davanti alla Piattola, ma questo dimostra che nemmeno lui è perfetto!
Ma ciancio alle
bande, passiamo a un po’ di risposte, va, che ve le meritate!
Draco Malfoy: ci ho pensato molto su prima di scrivere
quella scena cruenta, ma era necessaria. Innanzitutto, perché è rispettosa dei
metodi usati all’epoca, e poi perché doveva scuotere gli animi di Draco ed
Harry.
Sakura
Ashe: ti
ringrazio, e sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto!
Koorime: ed ecco svelato il segreto del mistero, in
realtà la tua antenata si nascondeva dietro Tito giurando vendetta. Cornovo era
solo una svista, non ti sto a raccontare, studi su studi, anzi grazie di
avermela fatta notare! Mentre il discorso del temporale è un malinteso, forse
non mi sono spiegata bene: significa semplicemente che Harry si sta svegliando,
e non è un temporale, ma semplicemente rumore di tuoni. Ho saltato la parte del
risveglio strictu sensu perché ero stufa di ripeterlo, tanto sapete come funziona,
no? Per il resto, tesoro mio, grazie mille. Mi riferisco al regalino, ovvio
(*ç*), ma anche alle tue recensioni, un po’ folli, un po’ serie, un po’ acute,
un po’ infinite, sempre e comunque graditissime, grazie di tutto cuore!
Somylit: ma guarda un po’, un funghetto che spunta
dal sottobosco ^^. Come autrice dovrei farti la paternale, “ nooo, recensisci,
agli autori fa piacere, è un giusto prezzo” ecc. Come lettrice, ammetto di
capirti un po’, tante volte non lo si fa per pura indolenza, altre perché
sinceramente non si sa cosa dire, nel bene o nel male, altre perché si vuole
aspettare di avere in mano più elementi, e si finisce con il dimenticarsi. Del
resto, il divario fra letture e recensioni è talmente pazzesco che sarebbe
bello poter fare un sondaggio del tipo “alzi la mano chi segue la storia” e
vedere quante manine si alzano! Comunque, pongo fine ai miei deliri e ti
ringrazio per aver fatto lo sforzo di farmi sapere cosa ne pensi, non solo di
Beyond, ma anche delle altre. Mi fa moltissimo piacere che ci sia gente che
segue anche altri fandom e che apprezza le mie spericolatezze, vedi Naruto e
Bleach su tutti.
Quanto all’unione
coatta fra Roma e Hogwarts, non sai quanto hai ragione! Ho penato molto nello
stendere la traccia generale, proprio perché il mio cruccio era far funzionare
questa improbabile miscela di lingue, culture, ambienti.
T Jill: Facciamo a gara di chi ha letto più fic?
Una cosa è certa, però, nell’ambito astronavi e alieni sexy mi stracci alla
grande, sto cominciando giusto adesso a muovere qualche passetto, grazie alla
più spumeggiante traduttrice in circolazione!
Waa, prometto che
mi farò ringraziare prossimamente anche per qualcosa di più tenero! Da un lato
sono davvero felice di essere riuscita a rendere bene lo strazio della morte di
Derevan e Marzio, dall’altra però mi sento talmente tanto in colpa che adesso
ho quasi paura di distribuire troppa melassa in giro, per riscattarmi…
Dark: la parte finale ci voleva, eh? Pensa che
non sapevo se tagliare subito alla fine del sogno e cominciare questo cap con
l’incontro con Draco, ma alla fine mi sono detta che il solo sogno di Harry era
troppo straziante per finire lì, ci voleva un minimo lumicino di speranza, per
non indurre nessuno al suicidio!
Kumiko Shirogane: oddio, Draco che si attacca ad Harry fa
molto sanguisuga *_*. Bella domanda, staremo a vedere cosa ne sarà dei nostri
quadrupedi del cuore, e anche per quel che riguarda Harry e Draco ci sono molte
incognite. Ma non temere, a tuto c’è risposta! Sempai? No, dai, che mi sento
vecchia, dimostro già mille anni? Ç__ç
Cornelia84: ti ringrazio moltissimo, anche se riferiti
ad una scena così drammatica, i complimenti sono sempre bene accetti! ^^
VavvyMalfoy: grazie mille! Buono studio del buon
Giovanni, dai che in fondo è divertente, è pieno di ovvi riferimenti homo…
Blaise: sì, anche io amo i nostri adorabili
legionari! Anacore è un tesoro, un vero eroe, come tutti quelli che non si sono
dimenticati di avere un cuore.
Fann: oh, tesoro! Sei la solita esagerata. Anche
io ti devo un grazie, per aver accettato quel mio malato progetto su cui
attualmente mi sto spezzando la schiena… Evviva la soul’s appearance!
Little star: definire il capitolo vivo è un
bell’azzardo XD. Ma ho capito perfettamente che cosa intendi dire, e ti ringrazio
moltissimo. Nuuu, non conosco Host Club, ma mi fido, in fondo lo stile manga
prima o poi frega tutti, volenti e nolenti! E grazie infinite per gli auguri!
The Fly: no, Draco ha sognato il momento in cui
Derevan e Marzio venivano catturati con l’inganno da Tito, ti ricordi?
Sicuramente, davanti a certe tragedie, anche i nostri eroi troveranno un po’ di
forza per smettere di barricarsi…
Far: eh beh, ma se qualcuno non le versava,
quelle lacrime, per Draco era peggio! Ti ringrazio veramente di cuore, sei
sempre dolcissima e piena di bellissime parole, impagabile!
Friz: ti ringrazio molto per il complimento! ^^
E non ti abbattere, sono più che certa che puoi scrivere delle recensioni
bellissime!
Rodelinda: Tu mi commuovi. Sì, scegliere di non dire,
nel senso di non affrontare i sentimenti di Marzio, limitandomi ad una
descrizione volutamente meccanica di azioni e parole, è qualcosa di
assolutamente voluto. Non certo perché temessi la sfida, ma più che altro per
una forma di rispetto. La sola cosa che umanamente si può pensare di fare, in
un simile momento, è chiudersi in un sordo “cosa devo fare, cosa devo fare” che
nemmeno la pretende, una vera risposta. Per questo, ho lasciato che il silenzio
restasse tale, possibilmente che si intravedesse, anche per non rischiare di
buttare tutto sul patetico.
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Capitolo 20 *** Trumphator ***
CAP 12: Harry decide di dirlo anche ad Hermione, che gli consiglia di
parlare con Draco, per cercare di chiarire le cose fra d
Si
sarebbe volentieri preso a pugni con le sue stesse mani.
Nonostante
Draco fosse cambiato radicalmente nei suoi confronti, dopo la brutta avventura
della notte precedente, e nonostante tutto ciò che aveva visto, e le
discussioni con Marzio, ancora non ci riusciva.
Non
riusciva a fare un singolo passo verso Draco senza tremare da capo a piedi.
Se
solo avesse potuto anche lui avvicinarlo, prendergli le mani e chiedergli se
fosse un angelo mandato da un dio.
Un
qualche dio dispettoso, magari, uno di quelli antipatici, che non ti verrebbe
mai in mente di pregare.
La
sua presenza si era fatta sempre più opprimentemente essenziale.
E
nonostante ciò, niente da fare, buio assoluto, lingua impastata.
Grifondoro
un bel niente, ecco cosa.
-
Guarda un po’ qua. -
Draco
gli piazzò sotto il naso una pergamena fitta di una calligrafia sottile, e un
sassetto grigiastro. Serio serio, puntò il dito indice contro una riga.
-
Qui dice che per trasfigurarlo in un rubino, devo pronunciare “ruber” e far
roteare due volte la bacchetta. Ma non funziona. -
Harry
si sforzò a prestare più attenzione alle parole tracciate sulla pergamena, che
al dito che vi sostava sopra.
-
Facciamo una prova. – propose.
Seguì
le istruzioni, e subito il sasso si mutò in una pietra luccicante.
Draco
arricciò il naso.
-
Come hai fatto? -
-
Ehm, come c’è scritto. -
-
Impossibile. -
Con
un movimento stizzito, fece tornare il sasso alla forma originaria.
-
Riprova, più piano. – comandò.
-
Provaci tu, invece. – ribatté Harry, suo malgrado divertito.
Con
la scusa di non volersi far vedere dai suoi compagni in compagnia di un
Grifondoro – del Grifondoro, che diamine – , Draco si rintanava a
studiare soltanto in camera, se si eccettuava qualche sparuta spedizione in
biblioteca, per motivi assolutamente fondamentali.
Così,
Harry aveva adottato quasi senza accorgersene la stessa abitudine.
Quasi,
perché in realtà la scelta era diventata necessaria, dopo che le ultime
verifiche che aveva preparato con gli altri, lo sguardo più sull’orologio che
sui libri, erano state un disastro, nonostante la presenza di Hermione.
Riuscire
a placare la sua ansia di Draco era un toccasana per il suo rendimento. E poi,
Draco sapeva il fatto suo in molte materie; guarda caso, quelle complementari
alle sue.
Infatti,
in Trasfigurazioni tendeva ad essere un disastro sconfortante.
Però
ce la metteva tutta.
Harry
si era abituato in fretta a questa inedita versione di Draco-secchioncello, che
aggrottava impercettibilmente le sopracciglia prima di una qualsiasi
operazione, che rileggeva diligentemente gli appunti, e solo alla luce di essi
valutava il da farsi, e che quando si trovava di fronte ad un ostacolo, si
incaponiva all’inverosimile finchè non riusciva a spuntarla, più per caparbietà
che per zelo.
Proprio
come…
Già.
Proprio
come un piccolo mulo.
-
Hai visto? – ringhiò, contrariato. – Ho fatto esattamente quello che hai fatto
tu, ma lo stupido sasso non collabora! -
-
E’ perché disegni il secondo cerchio un po’ più piccolo del primo. – osservò
Harry. – Devi riuscire a roteare il polso per due volte in modo identico. -
-
Impossibile. -
-
Che stupido. Dai, riprova. -
Draco
imprigionò la punta delle lingua fra i denti, mordicchiandola appena allo
scattare della prima rotazione.
-
Niente di niente! – esplose, indignato. – Maledizione! -
-
Qui. -
Harry
si tese all’indietro per permettere a Draco di sedersi sulle sue ginocchia. Gli
afferrò il polso con decisione, agitandolo prudentemente. Quando fu certo di
avervi preso confidenza, lo guidò affinché puntasse la bacchetta contro il
sassolino.
-
Avanti, pronuncia la formula. – lo invitò.
E
appena Draco prese a scandirla, gli fece roteare la mano per due volte,
mantenendola più ferma possibile.
Il
sasso brillò, e subito dopo si trasformò in un rubino perfetto.
Draco
sbattè le palpebre, allibito.
-
Ce l’ho fatta. -
-
Hai visto? -
-
Oh, al diavolo, ce l’ho fatta, ce l’ho fatta! -
Si
girò di scatto, brandendo ancora la bacchetta. Cacciò fuori un sorriso da
brividi, monello e pienamente soddisfatto. E luminosissimo, molto più dello
stupido rubino.
Harry
trasalì. Improvvisamente, le ginocchia su cui Draco stava accomodato presero a
bruciare, e così la mano con cui lo aveva tenuto.
Doveva
esserglisi incendiata anche la faccia, a giudicare dall’espressione stupita, e
subito dopo imbarazzata, di Draco. Che nonostante tutto non si rimise in piedi,
non subito.
-
Aehm, Harry, ti ringra… -
-
Non serve, non serve. – disse precipitosamente il Grifondoro. – L’ho fatto
volentieri. Sono contento che la trasfigurazione ti sia riuscita. -
-
Sì. Sì, la trasfigurazione. Voglio dire… -
-
E’ proprio perfetta. La pietra, sai… -
-
Già. Beh, allora grazie. Per avermi aiutato. -
-
Ma no. È stato un piacere. Cioè, se ti serve ancora una mano… -
-
Sì, sì. -
Draco
cominciò ad agitarsi. Decise di alzarsi, ma non si spostò dalla scrivania.
-
Senti. – borbottò. – Tieni. -
Harry
si vide porgere il rubino neonato da una mano un po’ esitante.
-
Visto che mi hai aiutato. Insomma, adesso che ho capito, riuscirò a farne un
altro. Perciò questo tienilo tu. Puoi spacciarlo per il tuo compito. -
Oh,
Draco.
-
E’ per ringraziarti. – puntualizzò nuovamente il Serpeverde.
-
D’accordo. Come siamo gentili, signor Malfoy. -
-
Hey, io non sono affatto gentile. Solo, ricambio i favori. -
-
D’accordo. Allora, come sovrapprezzo mi lascerai fare la doccia per primo. -
-
Ok… Hey! -
-
A ha, hai detto ok! -
* * *
In
effetti, era stato un motivo preciso quello che aveva spinto Harry a voler
essere pronto per la notte per primo. Quello che Draco era lentissimo a fare la
doccia, e che quindi, con ogni probabilità, lui si sarebbe già bello che
addormentato, nel frattempo.
Voleva
stare un minuto con Marzio. Un minuto soltanto.
-
E così. – Marzio aveva una faccia né ilare né seria, ma che al contempo era
entrambe. – Ti sei deciso, eh? -
-
Non prendermi in giro. – borbottò Harry. – Non è affatto divertente. -
-
Oh no che non lo è. – solidarizzò il Romano. – Ma devi affrontarlo. -
Harry
gli scoccò uno sguardo bieco.
-
La fai facile. Bah, avrei dovuto parlarne con Hermione. -
-
Oh no che non avresti dovuto. Dovevi proprio parlarne con me, invece. Draco è
qualcosa che riguarda noi. -
-
Non riguarda affatto te. Riguarda me e basta. -
Marzio
non trattenne troppo la mezza risata che tanta veemenza gli fece nascere
spontanea.
-
Va bene, va bene. Ma cerca di non voler strafare da solo, o saranno solo guai.
Ricordati che mi stai offrendo la possibilità di sdebitarmi per ciò che stai
facendo per me. -
Harry
alzò gli occhi al cielo.
-
Sentiamo, allora, hai qualche idea, grande stratega? Che dovrei fare? -
-
Dirgli che lo ami. -
-
Ma dico, sei impazzito?!? -
-
Perché, non è forse la verità? -
Harry
masticò rabbiosamente l’interno della guancia. – Certo che lo è. Ma secondo te
posso andare a dirgli una cosa del genere? -
-
Chissà. Magari sta solo aspettando questo. -
-
Tu non conosci Draco. -
Marzio
inarcò entrambe le sopracciglia, e Harry si mandò a quel paese da solo.
-
E va bene, lo conosci, ma non… non così! Tu conosci Derevan, che è una persona
totalmente diversa. -
-
Io e te non siamo molto diversi. -
-
E allora? -
Marzio
fece spallucce.
-
Ascoltami, lo so che non è semplice, ma non puoi fare altro che andare da lui e
dirgli che lo ami. Né più, né meno. -
-
Perché. – protestò Harry. – Ti pare che possa esistere qualcosa di più? -
Sul
volto del Romano apparve un fugace sorriso, che da solo servì a raddolcire la
sua espressione austera.
-
Non lo so. – rispose vagamente, senza tentare di nascondere il suo divertimento.
– Forse il vostro è un amore come tanti altri. O forse no. –
-
Tzk. Parli proprio tu. -
-
Oh Harry, non mi sopravvalutare. Io ho vissuto, e ho lottato, per un amore come
ce ne saranno migliaia al mondo. -
Amareggiato,
Harry stava per replicare che beh, per lui le cose non sarebbero affatto andate
così. Lo prevenne Marzio, che torturando con il piede due foglioline incollate
dall’umidità, le fece staccare.
-
In verità, il nostro amore non sarebbe mai dovuto esistere. – mormorò. – E non
so se questo sia stata la nostra condanna, o la nostra forza. Tutte le volte
che ho provato a lasciarlo andare, mi sono sentito mancare il fiato, eppure
avrei dovuto saperlo che lo facevo solo per il suo bene. No? -
Harry
non rispose. Tanto, la domanda non era rivolta a lui.
-
Ma l’amore rende egoisti. Ti spinge a voler restare accanto a quella persona
ogni singolo istante della tua vita, a stringerla più forte, sempre più, fino a
renderla parte di te stesso. Per sentirti più sicuro, per ripeterti che non la
lascerai andare mai. Forse eravamo troppo giovani entrambi, forse questo nostro
amore ci è piovuto addosso come una tempesta inarrestabile, come… -
Marzio
sollevò una mano a mezz’aria, accogliendo nel palmo una foglia di un curioso
arancione vivace. – Come queste foglie. Arrivano. -
Derevan
si materializzò alle loro spalle, e subito corse a buttarsi nell’abbraccio di
Marzio.
Al
diavolo, Harry valutò che ci voleva una bella faccia tosta, a dire che il loro
amore era come tanti altri.
Rifletté
sul fatto che, se avesse dovuto dare un giudizio così, su due piedi, schietto,
avrebbe decretato che Derevan era più bello di Draco.
Pur
essendo minime, le differenze fisiche fra di loro, giusto quel dito di statura,
quella pelle un po’ più arrossata e i capelli tagliati in maniera differente,
Derevan possedeva una bellezza più…
Più
ricca, ecco.
Stupidamente,
però, Harry sapeva anche che, se avesse dovuto scegliere, avrebbe scelto Draco
senza pensarci un secondo.
Avrebbe
scelto il gemello cattivo, fra i due, quello più complicato, più ingarbugliato.
Avrebbe preferito il boccio, al fiore già sbocciato.
- Miles meo! -
Marzio
se lo abbracciò, sorridendo.
-
Addirittura? – commentò. – Sei diventato un vero esperto! -
-
Sai, mentre ti aspettavo ho cercato di imparare meglio il latino, ascoltando i
tuoi compagni. – spiegò Derevan, annuendo vigorosamente. – Pensavo che quella
sarebbe diventata la lingua di tutta l’isola, e credevo che così ti avrei
trovato più facilmente, però… -
Marzio
gli avvolse teneramente un braccio attorno alle spalle. – Non ci sei riuscito?
-
-
Non molto. Tu eri così bravo ad insegnarmi le parole. Ti ricordi? Quando non ti
capivo, tu prendevi la tua bacchetta, e facevi apparire a mezz’aria l’oggetto.
E poi mi ripetevi la parola, finchè non riuscivo a pronunciarla. -
-
Sì, certo che me lo ricordo. -
-
Com’ era quella parola complicatissima? Quella che non riuscivo mai a ripetere?
-
-
Quale parola complicata? -
Derevan
si morse il labbro inferiore, e cercò di concentrarsi. – Quella strana. –
-
Oh. Tryumphator. -
-
Proprio quella! Tirun… -
-
Non ci pensare. Ormai sono suoni di nessuna importanza. –
Derevan
fece ciondolare leggermente la testa, indeciso. – Ricordo che fu l’unica parola
che non riuscisti a spiegarmi. Mi dicesti che non potevi farla apparire con la
tua bacchetta, che non sapevi come farmene comprendere il significato. Mi
sentii molto sciocco, perché sentivo che ne parlavi come se fosse qualcosa di
ovvio, di semplicissimo. Eppure, per me era un concetto lontanissimo. -
-
Ti sei addormentato senza aspettarmi. – borbottò Draco, immusonito.
Harry
si schernì dietro ad un sorrisetto colpevole.
-
Scusa. Sono crollato senza nemmeno accorgermene. – mentì.
-
Tzk. Il solito scansafatiche. -
-
Hey, sei tu che ci impieghi anni a farti una doccia. -
-
Perché la doccia me la faccio, io! -
Un
rimpallo di linguacce concluse degnamente il breve battibecco.
Appena
in tempo, per altro. Nemmeno riuscirono a mandarsi all’inferno, che furono
tutti e quattro catapultati via.
Anzi,
no.
Rimasero
esattamente lì dov’erano, sotto gli alberi snelli della piccola macchia
boschiva. Solo che Derevan e Marzio si erano sdoppiati, e una delle due coppie
non sembrava particolarmente felice.
- E cosa possiamo
fare? Andare avanti così? – stava borbottando amaramente Derevan. – Tu che non
ti decidi a dare l’ordine di distruggerci, e io che non riesco a chiedere alla
mia gente di arrendersi. -
- Vorrei lasciarvi
in pace. Tu lo sai che è vero. – fu l’accorata risposta. – Darei la mia spada,
per far ritirare i miei uomini e lasciarvi vivere in pace. -
-
Ma non puoi farlo. Marzio, il mio popolo appartiene ad un tempo che non è più,
siete voi il futuro. Presto o tardi noi soccomberemo, così come voi
soccomberete, un giorno, a qualche forza più grande di voi. È la legge del
mondo. -
- Oh tu che parli
di queste leggi arcane che conosci, dimmi che cosa dovrei fare, allora. Io non
voglio perderti. -
- Non lo so. –
rispose Derevan, con un sorriso che esprimeva una tristezza immensa. – Non so
risponderti. Credo di essere cieco del tuo stesso amore, perciò non riesco a
vedere niente di ciò che si estende oltre il tuo mantello. -
Draco si fece più
vicino a Harry.
Non tentò nemmeno
di dissimulare il suo gesto.
Probabilmente, era
spaventato, da ciò che stava sentendo.
- Il tuo popolo
redige grandi libri di memorie. Me lo ricordo, me li mostrò Anacore. Se tu mi
dimenticassi, il tuo nome entrerebbe fra quelle pagine eterne. Perciò liberati
di me, e vivi per sempre, vivi nella gloria che ti spetta. -
- Non mi importa
niente di vivere per sempre. - Marzio quasi gridò sulle labbra dell’amante. -
Non mi importa più della gloria, dell’onore, oh Derevan, non voglio niente di
tutto questo. Non voglio vivere in eterno, non voglio vivere nemmeno un giorno
senza di te. -
Sapere quanto
fossero vuote quelle parole, di fronte ad un destino che si sarebbe compiuto
comunque, faceva mancare la terra sotto i piedi. Nessuna pagina eterna per
nessuno dei due, Harry poteva ben dirlo, memore di tutte le ricerche fatte per
venire a capo del mistero.
La storia li aveva
spinti l’uno verso l’altro, ma poi li aveva dimenticati.
Esistono grandi
opere, scritte da grandi uomini, che raccontano di grandi amori.
Un vero peccato,
che nessuna di esse riporti nulla di reale. Che nessuno si ricordi di due
amanti immensi e sfortunati, che non hanno lottato contro draghi, né contro
pozioni magiche, ma che sono caduti di fronte ad una realtà inattaccabile,
quella di un tempo, di un luogo, di tutto l’universo che li teneva, che li
pretendeva separati.
Perché, alla fine
di tutto, è questo, no?
In qualunque epoca,
in qualsiasi posto del mondo, ci sono persone che si incontrano per non
lasciarsi mai più. Alcune sono favorite dalla sorte, e vivono felici la loro
vita; altre affrontano ogni giorno tanti piccoli grandi problemi, e vanno
avanti, con il sorriso sulle labbra; altre ancora, invece, si perdono, spesso
senza rendersi conto che si stanno buttando via, volenti o nolenti che siano.
Si lasciano perché
così non può andare, perché talvolta troppo sole che illumina un sentiero fa
più paura del buio.
- Noi ci amiamo! È
mostruoso, questo? Dimmelo, è mostruoso? -
Derevan si
ritrasse, digrignando i denti. – No. - gemette con una mano sulla bocca. - Ma
fa tanto, tanto male. -
- Lo so, piccolo
sole. Un amore come il nostro fa male, a volte. Questo è il suo enorme
potere>>
Una legge, poco più
di un’usanza, era stata loro fatale. Una legge per la quale Marzio aveva tante
volte brandito la spada con orgoglio, lo aveva ammesso lui stesso, e per la
quale, con lo stesso orgoglio, moriva, Romano fra i Romani.
Chissà per quale
motivo, a Harry tornò in mente il ricordo di quel giorno maledetto, e la
sensazione precisa di come Marzio non temesse né rifuggisse la morte, anzi.
Semplicemente, non avrebbe voluto portare Derevan con sé, avrebbe preferito
vederlo vivere tutti gli anni che gli sarebbero spettati, anche a costo di
dover vegliare per sempre su di lui come un invisibile spettro.
- Ogni momento che
riesco a rubare al mondo, per poter stare con te, è vitale. È più prezioso di
qualunque tesoro, perché è precario. Quando ci incontriamo, ogni volta che ci
baciamo, è come se salissi in equilibrio su una passerella sospesa sul vuoto.
Corriamo un pericolo tanto grande che sarebbe follia per chiunque altro. Ma non
per noi. -
- Forse perché
siamo folli. -
- Sì, luz mea una,
lo siamo, probabilmente. Però chiedimi di soffrire per te, e lo farò, chiedimi
di ridere, quando ti vedo ridere, chiedimi di fare qualunque follia. Ma non
chiedermi mai di pentirmi, o di provare vergogna. Non ci riesco. Da una parte,
la colpa mi trafigge, ma dall’altra, io so di non poter rinunciare a te. Mi
sento un uomo colpevole, sì, ma non un uomo spregevole. Con te, io vivo sempre
nell’onore di una promessa. –
Derevan chinò il
capo ed osò sfiorare il braccio del Romano. - Hai detto che avremmo dovuto
aspettare. – disse, esitando. – Allora aspettiamo, ti prego, aspettiamo che
qualcosa accada, che qualche dio venga a salvarci. Non c’è nulla che tu, né io,
possiamo fare, non serve dibattersi in questa rete di spine. -
Marzio gli voltò le
spalle, e per qualche secondo si aggirò su sé stesso come una bestia in gabbia.
– Io non so che fare. – confessò. – Vorrei proteggerti da tutto questo, ma
prima dovrei proteggerti da me. L’amore che mi porti non può condurti alla
disgrazia. Se potrò salvare almeno te, sappi che lo farò. -
- Tu sei testardo,
uomo di spada. – sorrise dolcemente Derevan. – Ma io verrò con te. Se questo è
scritto nel mio destino, di lasciare la mia bella terra per un paese straniero,
lo farò. Se sarà di morire, morirò, non ho paura. Seguirò l’ombra del tuo
mantello, ovunque essa mi condurrà. -
- Anche se dovesse
condurti al nulla? -
- Non puoi
chiedermelo. Non lo so, cosa sarà di noi, del nostro misero amore. -
- Forse non resterà
altro che polvere. Null’altro che polvere. -
Faceva fatica a
crederci.
Che lo stava
baciando.
Impacciatamente,
con gli occhi socchiusi e le labbra tese.
Tutta colpa della
polvere.
Della paura che
anche Draco finisse in polvere, dio, dovevano arrivare due anime disperate per
aprirgli gli occhi su ciò che rischiava di perdere?
Draco era, se
possibile, ancora più rigido di lui. Ma per Harry non esisteva niente al mondo
di più morbido di quella bocca sottile, sicuramente sorpresa.
Non aveva idea se
Marzio lo stesse vedendo, non gliene importava nemmeno molto. Avrebbe tuttalpiù
voluto gridargli “hai visto?”, ma in quel momento poteva anche lasciar perdere.
Lasciar perdere
tutto.
* * *
- Come fai a non
odiarlo. – domandò Draco a bruciapelo. – E’ colpa sua se ti hanno ucciso.
Saresti potuto scappare, e salvarti, perché non lo hai fatto? -
l’Iceno afferrò uno
dei rami del salice, giocherellandovi delicatamente. - Perché l’ombra del suo
manto indicava un’altra direzione. – rispose. – Non lo odio, Draco, non potrei
mai. Lui mi ha dato la morte, ma prima ancora mi ha dato la vita. –
Draco aprì la bocca
per replicare, invano. Derevan lo afferrò per il polso, opponendosi all’aria
sferzante.
- Sei pronto? –
domandò, allegro. – Li raggiungiamo. –
ANGOLINO!
L’ultimo pezzetto
è, spero sia chiaro, un minuscolo dialogo che Derevan e Draco hanno avuto,
prima di comparire nel boschetto di Marzio, quando il Romano annuncia ad Harry
“arrivano”. Volevo inserirlo nella corretta sequenza cronologica, ma poi ho
pensato che sarebbe stato più bello distaccarlo e lasciarlo in fondo, come un
pezzettino di puzzle capriccioso.
Per il resto,
eccoci. Abbiamo aspettato molto, eh? Mi picchiate se vi dico che comunque,
secondo me, non è stato troppo? Una volta tanto non è stato un colpo di
fulmine, il loro, ma un qualcosa che è maturato lentamente, giorno dopo giorno,
fino ad esplodere, quello sì, in un colpo di testa figlio anche, se vogliamo,
di un po’ di paura.
NOTA linguistica: a noi la parola triumphator può suonare
tutto sommato familiare. Ma, al di là del suo significato nel contesto della
storia, si tratta di un lemma effettivamente ostico.
Innanzitutto,
considerate che la pronuncia dovrebbe somigliare a “Tryvumpfàtor”, perché ph
non va letto propriamente “f”, e la i, come la u, assumevano un suono “y”
simile a quello greco.
Secondo step,
mettetevi un attimo nei panni non di noi che parliamo un lingua neolatina, ma
di un disgraziato Iceno che parla un dialetto celtico ^^
Cornelia: ti ringrazio moltissimo. Ahimè sì, è stata
veramente una scena complicata da organizzaree da gestire, ci tenevo molto a
renderla al meglio.
Draco Malfoy: eh sì, il capitombolo di Draco è stato
piuttosto illuminante, non trovi? Alla fine, eccoti accontentata!
Lily 4 ever: complimenti per il recupero di tutti
questi capitoli! ^^ Ti ringrazio molto,sono felice che la storia ti piaccia,
spero continuerai a seguirla!
T Jill: diciamo che ci mancava solo che mi cadesse
una tegola in testa, ed ero a posto! ^^ Hihihi, toglimi una curiosità, la tutina
blu è utile alla traduzione, o te ne stai comoda in braghette corte? E per
finire… viva la melassa!
Puciu: sei una gioia, grazie infinite per le tue
parole, per le tue considerazioni, per la tua pubblicità e anche per il canto
celebrativo. Visto che è stato d’aiuto? Non preoccuparti, ho intuito chi fosse
Clara dal fatto che parlavi al plurale…
Dark: sììì, sono meravigliosi! Ma il merito non
è mio, lo giuro, io non faccio proprio un bel piffero! Hihihi, certo, ciancio
alle bande è un po’ il mio motto XD
Kumiko Shirogane: eeeeh, mia cara, la Cooman non sai mai come prenderla! È una saggia o una squinternata? O entrambe?!? Quel che
c’è di sicuro è che ora non si permetterà più di dare dello spirito maligno al
povero Derevan, o Marzio la taglia a metà. E anche Harry, mi sa!
Yes, vai con
Stateira-neesama, non mi fa più sentire vecchia, e poi ha una certa assonanza
con Byakuya-neesama *__*. Guarda, se ti interessa, io ho trovato quella fra
setta di promo nella fic di qualcuno, onestamente non ricordo chi, dove c’era
scritto che la si può copiare e mettere anche nei propri lavori. Perciò puoi
farlo anche tu!
The fly: yes, il passo avanti c’è stato, per
fortuna! Sono d’accordo, il primo incontro non poteva essere qualcosa di
artificioso, sarebbe stato troppo forzato.
Fra ro: eccoti accontentata, e grazie della
recensione!
Smemorella: hihihi, evviva, anche tu contagiata dal
magico mondo dei manga! Guarda, se la tua indole è simile alla mia, ti
proporrai di cominciare con calma, ma poi finirai con il divorare volumi su
volumi, preda della curiosità! Hihi, carino il promo, eh? Non è mio, però, non
posso vantarne la “maternità”! in ogni caso, hanno colto, hanno colto! E
secondo me, è tutto merito della Cooman, e della sua imperscrutabile saggezza.
Far: ma dai, non sono tonti! Definiamoli, ehm,
un po’ patatoni, ecco. E poi sai, le circostanze, il compito di Pozioni che
incombe, i cereali un po’ possi di colazione, uno non può mica essere sempre lì
attento a… ok, ok, sono tonti. -_-
Koorime: mi sento male. Ok, allora, mi immergo
nella lettura! *torna tre ore dopo* Innanzitutto, Gai-sensei! Ç__ç idolo e
modello di vita, illumina le nostre giovani vite! Ehm, ok, riprendiamoci. Yes,
difendo Draco e il suo gesto scaramantico. Era necessario. Altrimenti la
fic si chiudeva qui, con la sua tragica dipartita. Per il resto, guarda, è
tutto un gran casino, che se solo ci penso mi viene da piangere. Perciò le
spiegazioni sono rimandate a data da destinarsi! Hihi, sull’entrata in scena un
po’ ci avevo pensato anche io. È che è una verità, in fondo Derevan è
esibizionista tanto quanto Draco, ma in modo assolutamente ingenuo e naturale.
Draco tende a sbatterti in faccia ciò che possiede, Derevan se ne va in giro
come niente fosse con un unicorno al seguito, e una bellezza che traspare da
ogni dettaglio della sua figura. La morale è che sono entrambi dei megalomani!
Per la domanda, sì,
è senz’altro parte di quel nebuloso sistema di regole che dà anche un valore
temporale agli incontri. Innanzitutto, bisogna raggiungere un sonno profondo,
altrimenti ogni sonnellino sarebbe terreno di incontro. E poi, occorre un certo
lasso di tempo, vedersi per dieci minuti non avrebbe senso.
Vampire Berry: ciao, piacere di conoscerti! Ricambio le
felicitazioni per te e per Clara, certe brutte esperienze, quando sono
superate, diventano un tesoro di insegnamenti, non ci sono dubbi. E Puciu è una
ragazza d’oro, posso dirlo da quel pochino che ci si trasmette in questi
momenti di dibattito/risposta; è sempre entusiasta, affettuosa, sensibile. Sì,
se li merita proprio dei ringraziamenti! ^^ Benvenuta nel sito, e grazie dei
complimenti!
Blaise: grazie infinite! Sì, ora che siamo in
procinto di fare un bel po’ di passi avanti, ogni nodo viene al pettine,
soprattutto per Draco, a quanto sembra! Ottimo a sapersi, che l’aiutino è
servito, in effetti ogni volta che scrivo le note alla storia mi chiedo sempre
se qualcuno le legge o no -__-
Sakura: sono sicuramente d’accordo. La scena di
per sé vuole essere dolce, dolce come un primo incontro deve essere. Però, non
possiamo dimenticarci come, irrimediabilmente, andrà a finire, e per questo, in
ogni sorriso si vede un pochino di tristezza.
Herm83: sono felicissima per le tue parole. Come
mi fa tanto piacere una recensione ricca e articolata, mi piace anche quando
qualcuno ammette di non sapere cosa dire, è pur sempre un segno che si è
riusciti a trasmettere un’emozione!
Little Star: hihihi, mi fai pubblicità a modo tuo,
insomma! ^^ Ma dai, tu la spieghi benissimo, è proprio la storia in sé che è
complicata, ci credo che queste poverette non si raccapezzano più!
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Capitolo 21 *** Alea iacta est ***
Draco è silenzioso e distaccato
La
luce ferì gli occhi di Harry che già era vivace.
Il
Grifondoro ci mise un secondo o due, per decidersi ad aprire gli occhi. La
testa vorticava furiosamente per il sonno e per la marea di sensazioni rimaste
incastrate nei suoi sogni, che adesso minacciavano di riversarglisi tutte
addosso, appena la nebbia dello stordimento si fosse dissipata.
La
notte appena trascorsa, già.
Socchiuse
finalmente le palpebre, trovandosi davanti il peggior buongiorno che potesse
sperare di ricevere.
Niente
Draco.
Provò
ad aguzzare le orecchie, ma niente, non un singolo fruscio dal bagno.
D’accordo, probabilmente era scandalosamente tardi, ma non svegliarlo nemmeno…
Si
mise in piedi, decidendo che avrebbe almeno tentato di vestirsi in fretta, per
non saltare la colazione. Inoltre, Draco doveva per forza essere nella Sala
Grande. Controllò l’ora: aveva un quarto d’ora scarso per mettere sotto i denti
qualcosa.
Si
precipitò di sotto, ripetendosi che era abbastanza per mangiare e per
intercettare Draco, ma, scioccamente, non fece i conti con il fatto che, per il
suo stomaco, “Draco” e “colazione” non risultavano compatibili.
Lo
vide lì, compostamente seduto al suo solito posto, che rosicchiava del pane
tostato con un velo di miele e annuiva di tanto in tanto al fitto chiacchierare
di Theodore Nott.
E
gli passò l’appetito.
-
Hey, va tutto bene, Harry? -
Figurarsi.
Era
già sempre più difficile scindere il sogno dalla realtà. Che poi, non si
trattava nemmeno di sogni. E, maledizione, un momento prima lo stava baciando,
un momento dopo era come non conoscersi, era fingere, o forse no, e questo gli
faceva paura.
Che
cosa avrebbe dovuto fare?
Alzarsi,
andare da lui, dirgli che per lui non faceva alcuna differenza, se erano
quattro alberi o le mura vecchissime di Hogwarts a tenerli vicini?
…
abbracciarlo?
Draco
si ostinava a mantenersi illeggibile. I sorrisi che propinava a Nott, lui lo
vedeva, erano finti. Ma che cosa celassero, questo non era ancora capace di
interpretarlo.
Più
che altro, aveva una paura atroce di fare un passo falso, di dire una parola
sbagliata, e farsi sbattere in faccia quelle poche porte che era riuscito a
farsi aprire. Soprattutto ora che ogni lucchetto era diventato così
dannatamente importante.
Lo
guardò con insistenza per tutto il tempo, tra un misero sorso di caffèlatte
ormai tiepido e l’altro. Si stupiva di sé stesso, di come riuscisse a condurre
una conversazione decente con gli altri senza farsi scoprire.
Draco
sarebbe stato fiero di lui.
-
Dai, muoviamoci, abbiamo la lezione di Hagrid adesso, ci rimarrà male se
arriveremo in ritardo! -
Draco
non si alzava. Anche se la tavolata del Serpeverde era ormai mezza svuotata,
lui insisteva nel rimanersene seduto a sorseggiare qualcosa, conversando con i
suoi compagni più vicini con assoluta naturalezza.
Non
ci voleva molto, a capire che lo stesse facendo apposta. Non si sarebbe mosso
da lì nemmeno se lo avessero cacciato via, non finché Harry non si fosse levato
di torno.
Sconfitto,
si rassegnò a seguire Hermione, sgambettando mestamente verso il limitare della
Foresta.
Tanto,
il povero Hagrid ci sarebbe rimasto male comunque, per la sua totale mancanza
di attenzione. Si era dato ad un’appassionata spiegazione su una graziosa
specie di farfalla, carnivora e velenosa come un cobra, ma Harry aveva altro a
cui pensare.
E
mentre le parole “antidoto”, “notturna” e “ali” si rincorrevano l’un l’altra
nell’aria, lui si era immerso nella ricerca di una qualche spiegazione da poter
dare al comportamento di Draco.
Era
stata una mossa azzardata, la sua. Pochi dubbi a riguardo. Ma, a quel punto, si
sarebbe aspettato un cazzotto sul naso, un paio di maledizioni da schivare,
anche solo una scenata. Non il gelo, non il silenzio, non la precisa volontà di
evitarlo. Questo non aveva senso.
Quella
notte, tanto, si sarebbero dovuti rivedere per forza.
Perché,
per quanto infantile potesse essere Draco, non se ne sarebbe andato, vero? Non
un’altra volta, per lo meno, perché lui non gliel’avrebbe fatta passare liscia.
Si
sarebbe scusato con lui, se si fosse reso necessario, ma non poteva giocare un
tiro simile a Marzio e a Derevan, non adesso. Da tutto questo macello, doveva
riuscire a salvare almeno loro.
-
Harry. -
La
lezione era terminata in un soffio, ed Hermione lo costrinse a guardarlo negli
occhi, stanca delle ore di ottuso silenzio dell’amico. Sapeva come farlo
sentire in colpa, se voleva, con quel suo sguardo limpido e indagatore.
-
Scu…scusa, Hermione. Devo andare. -
-
Che cosa sta succedendo? Me lo vuoi dire? -
-
Niente, non succede niente. Devo andare a parlare con Draco. -
-
Ci stai escludendo da questa storia. C’è qualche motivo, vero? -
-
Ma no, cosa te lo fa pensare. Devo solamente dirgli che… niente di importante.
-
-
Harry. – Hermione inspirò a fondo, annunciando la sua intenzione di affondare
il coltello in qualche brutta piaga. – E’ da questa mattina che non proferisci
parola. Sei anche arrivato in ritardo, non hai mangiato, e non hai fatto altro
che fissare a vuoto il tavolo di Malfoy. -
-
Ma io… -
-
Non mi interrompere. Credi che ti conosca così poco? Credi che non mi accorga
di queste cose? Harry, tu hai qualcosa, e io sono preoccupata perché una volta
tanto non riesco a capire come posso aiutarti a… -
Non
terminò la frase.
Harry
la abbracciò con foga, finendo con il viso immerso nella massa dei suoi capelli
mossi.
-
Grazie, Herm. – sussurrò con la voce incrinata. – Davvero. Grazie. -
- Oh, Harry. –
Finalmente,
anche lei ricambiò la stretta, un po’ sorpresa, un po’ commossa, e un po’
imbarazzata.
-
Voglio solo aiutarti. -
-
Lo so. -
-
Allora dimmi come fare. -
-
Non posso. Non lo so nemmeno io, come aiutarmi. -
-
Si tratta di Marzio e di Derevan, vero? Non siete ancora riusciti a liberarli?
-
-
No, non ancora. Abbiamo visto molte cose, insieme, abbiamo capito che cos’è
successo, ma stiamo ancora aspettando. Marzio crede che il motivo sia che
dobbiamo riuscire a vedere qualcosa di importante. –
-
Ma allora è vero che potrebbero volerci anni. -
-
Sì. Ho paura di sì. -
-
Senti, non sta accadendo nulla di pericoloso, vero? -
Harry sorrise. Hermione era sempre Hermione.
-
No, niente di pericoloso. Il peggio che mi potrà capitare è che mi si spezzi il
cuore. Niente di più. -
Hermione
sbarrò gli occhi, e allontanò precipitosamente da sé l’amico.
-
Harry, tu… -
-
Scusa. – replicò lui, con un debole sorriso. – Scusami, per averti fatta
preoccupare. Ora sarà meglio che vada, o non riuscirò più a trovarlo. -
* * *
La
memoria non lo aveva ingannato.
Draco
usciva in quel momento dalla lezione di Divinazione, proprio con la cara, vecchia
Cooman. Dalla sua espressione, si deduceva che nemmeno quella volta si era
riusciti a ricavare qualcosa di sensato dal suo arzigogolato parlare.
-
Aspetta. -
Draco
se lo vide sbucare da dietro una nicchia. Allarmato, si guardò attorno, ma
nessuna via di fuga si prospettava nelle vicinanza: Harry lo aveva incastrato.
Dopotutto, era prevedibile.
-
Draco, ho bisogno di parlarti. -
-
Ehm. Devo andare a cercare un libro… -
-
Lo cercherai dopo. -
-
Ma è davvero molto importante. -
Harry
lo fulminò con lo sguardo.
-
Vieni con me. – ordinò, e a Draco non rimase altro da fare che seguirlo.
Finirono
nel posto più inaspettatamente banale che Harry potesse immaginare.
Scagliò
un ciottolo nell’immobilità del Lago Nero, che si infranse in tante piccole
onde offese.
Come
il giorno di mille anni prima, in cui avevano parlato per la prima volta. Ricordava
Draco per come lo aveva visto allora, strano e fragile, diversissimo dalla
persona che aveva davanti ora.
-
Non voglio farla lunga. – annunciò. – Vorrei solo sapere perché da stamattina
stai cercando di evitarmi. -
Draco,
che si era accovacciato su un grosso masso, alcuni passi dietro di lui, non
rispose subito. Si abbracciò le ginocchia, tenendo prudentemente lo sguardo
sulle proprie scarpe. Stava elaborando una strategia, ma non aveva l’aria di
chi avesse voglia di mentire.
-
Sono un po’ sottosopra. -
-
Lo sono anch’io. Draco, senti, per quel bacio… Sono stato avventato. Voglio
dire, se ci vuoi pensare su io ti capisco benissimo. Solo, per favore, smettila
di ignorarmi. -
Draco
smise di guardarsi i piedi, per fissare la schiena del Grifondoro, ancora
intento a distrarsi dalla tensione con i sassi della riva. Si stagliava
sfumando nei colori tersi di quella tarda mattina con poche nuvole, coperta dal
mantello scuro dell’uniforme e da qualcosa che non riusciva ad interpretare,
una sorta di cortina opaca.
Si
strofinò gli occhi, e capì: le dita erano bagnate.
-
Io… - si sforzò di scandire. – Io non lo so. Ho sbagliato, avrei dovuto
fermarti. -
-
Non dire così, non è successo nulla di grave. -
Harry
gli si fece vicino.
Maledizione,
no.
Non
in quel modo.
Non
con quel modo di fare comprensivo, non con quel mezzo sorriso dolce.
Sentì
che stava per scoppiare.
-
Hey. Draco, che cos’hai. -
-
Mi dispiace. –mormorò a fatica. – Mi dispiace. Io credo di essermi innamorato.
-
-
Draco… -
-
Di Marzio. -
Harry
sbarrò gli occhi.
Si
sentì mancare il terreno sotto ai piedi, e lo stomaco rivoltarsi come se fosse
stato preso a pugni, ma ne era certo, non era in un sogno.
Non
poteva nemmeno sperarlo.
-
Scusa. – soffiò Draco. – Ora sarà meglio che vada. -
-
As-aspetta. -
Gli
afferrò la manica con più forza del dovuto, bloccandolo a metà di un passo.
E
non seppe cosa dirgli. Lo aveva fermato così, impulsivamente, senza avere nulla
da aggiungere, senza sapere che parole usare.
Draco
non cercò di liberarsi, ma la sua espressione mortificata lo fece inorridire.
Fino
a pochi istanti prima avrebbe dato qualsiasi cosa per poter stare qualche
secondo con Draco, mentre ora non desiderava altro che scappare via, oppure
ancora meglio, tornare indietro fingere che non fosse mai successo niente.
Marzio.
Lo
odiò con tutto se stesso.
-
Dovresti parlargli. – gracchiò malamente, senza nemmeno guardarlo negli occhi.
Draco
non se l’aspettava proprio, un’uscita simile.
-
Non credo che… -
-
Ma sì. – Harry si fece coraggio, e in qualche modo riuscì a mettere insieme un
mezzo sorriso abbastanza convincente. – Se è questo ciò che provi, devi
dirglielo. –
-
Lo credi davvero? -
Annuì.
In realtà, sperava soltanto che Marzio gli mandasse il cuore in frantumi, e
questo era orribile da parte sua, ma non era giusto, lui aveva già Derevan, non
aveva assolutamente il diritto di prendersi anche Draco.
La
situazione di partenza, tutto d’un tratto, era ribaltata: adesso era Harry che si
trovava ad avere paura di dover passare tutta la sua vita al fianco di Draco,
ma soltanto per essere il veicolo attraverso cui permettergli di vedere colui
che davvero desiderava.
Perché
a quel punto, Marzio sarebbe rimasto con loro per sempre, e lui avrebbe finito
con l’impazzire.
Si
sentì un criminale. Avrebbe dovuto augurarsi con tutto il cuore la felicità di
Draco, ma quelle sono solo belle favole, perché la verità è che se la felicità
di Draco non poteva essere lui, non era la stessa cosa.
-
Sì. Parlagli. -
Draco
puntò un piede per terra, indeciso.
-
Ok. -
-
Stanotte stessa. -
Quella
stessa notte, sì.
Dato
che doveva mettere in gioco ogni cosa, tanto valeva farlo in fretta.
ANGOLINO!
Questa
settimana non riesco a rispondervi, sorry! Ho gli imbianchini in casa, perciò
sono costretta a scrivere le storie in altra sede, è già un miracolo che riesca
a connettermi tre minuti per aggiornare, destreggiandomi fra pennelli e
cellophane!
Per
fortuna, da settimana prossima tutto dovrebbe tornare alla normalità. Inclusi i
miei fumetti, che al momento giacciono in due scatoloni sigillati, in attesa
che le mensole ritornino al loro posto -___-
NOTA: naturalmente, il titolo
del capitolo si riferisce alla celeberrima frase di Giulio Cesare, “il dado è
tratto”. Harry ha giocato la sua carta, suggerendo a Draco cosa fare, perciò,
nel bene o nel male, adesso non ci si può più tirare indietro.
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Capitolo 22 *** Veritas ***
CAP 14: Marzio parla con Draco, aiutandolo a capire che non è di lui che
si è innamorato
-
Capisco. –
Marzio
si passò nervosamente una mano fra i capelli corti della nuca, prendendo tempo.
-
Draco, io credo che tu sia molto confuso. –
-
Confuso? – Draco inarcò un sopracciglio, poco convinto. – Senti, la situazione
è già abbastanza imbarazzante. Se devi mandarmi a quel paese, almeno non
girarci intorno. –
-
Nessuno vuole mandarti a quel paese. Sto solo cercando di capire ciò che provi
davvero. –
-
Ciò che provo davvero? Tzk, lo saprò io, no? –
Il
Romano si lasciò scappare un sorriso, che si tramutò subito dopo in
un’espressione colpevole. – No non credo. – rispose, tutto serio. – Ascolta,
proviamo a ragionare. Mi conosci da quanto, un mese? Poco più? Harry invece da
quanto lo conosci? –
-
Non cercare di cambiare discorso. – lo interruppe Draco, nervoso. – Senti, ho
capito come stanno le cose, sai? Tu non sei interessato a me, perché hai già
Derevan. -
-
Sì che sono interessato a te, invece. – protestò Marzio. – Tu sei un ragazzo in
gamba, intelligente e pieno di energia. –
-
Ma non sono come lui, vero? –
-
Certo che no. -
Draco
strabuzzò gli occhi.
L’aveva
sempre saputo che Marzio era un soldato. Il numero uno dei soldati, ma pur
sempre un soldato. Conoscendo Harry, poi, non si era mai aspettato da lui
uscite da gran signore.
Però,
Merlino, una mancanza di tatto del genere era inaccettabile! Ma qualcuno si era
mai preso la briga di insegnare un po’ di educazione, a quello?
Marzio
gli tese una mano, ma Draco rimase ottusamente sordo al suo invito. Si arrese
con un sospiro.
-
Lui è Derevan, e tu sei Draco. Non la capisci, questa differenza? –
-
E’ ovvio che la capisco, che razza di domande. –
-
Non ne sono sicuro. Altrimenti non credo che saresti qui a farti venire una
congestione alle guance per colpa mia. –
In
simpatia, le guance di Draco si infiammarono ancora di più. Proprio un
bell’aiuto.
-
Tu somigli a Derevan molto più di quanto non sembri a prima vista. Ma ciò che
hai vissuto, le sfide a cui sei stato chiamato, l’ambiente, tutto quanto è
diverso. E di conseguenza, anche tu sei diverso. Tu possiedi una freddezza che
lui non conosce, sai farti valere, e sei mille volte meno leggibile. Perché la
tua vita ti ha portato ad essere così. Perciò, io vorrei che ora tu ti facessi
una domanda, Draco. Che ti chiedessi se è davvero me che vuoi, o se invece è
ciò che hai visto fra me e Derevan, a suscitare in te tanta invidia. –
-
Non è invidia, la mia. – ringhiò Draco, sentendosi improvvisamente con le
spalle al muro. – Tu sei stato coraggioso, hai fatto di tutto per difendere ciò
in cui credevi, e per questo… -
-
Di eroi al mondo ce ne sono tanti, Draco. – lo interruppe Marzio, stringendosi
nelle spalle. – Se vuoi saperlo, ce n’è uno proprio dietro a quell’angolo
laggiù, che aspetta soltanto di potertelo dimostrare. –
Draco
inghiottì a vuoto.
-
Harry non… -
-
Non è come me? –
Marzio
rise di cuore.
-
No, infatti, non è come me. e voi due non siete mai andati troppo d’accordo. –
-
Per niente. –
-
… Fino ad ora. Mi sbaglio? –
Il
Serpeverde aggrottò severamente le sopracciglia.
Perché,
onestamente, ci mancava soltanto che ora Marzio cominciasse fargli una tirata
sul suo brutto rapporto con Harry, sul fatto che fosse tutto sbagliato, e che bla,
bla, bla. Lo sapeva benissimo anche lui, di non riuscire a stare vicino ad
Harry per più di un’ora senza che i nervi gli andassero a fuoco, perché
qualsiasi cosa lui dicesse o facesse non riusciva ad andargli bene.
La
faceva facile, lui, ma che ci provasse ad aprirsi un po’ con qualcuno che,
appena cercavi di abbattere un muro per lui, te lo ritrovavi sempre troppo,
troppo vicino.
Come
si fa, a non innalzare barriere su barriere?
Ecco,
Harry mancava di tatto come lui, nel suo essere sempre, spudoratamente lì a
fare la cosa giusta, a dire la cosa giusta, a pensare la cosa giusta.
A
pensarci bene, sai cosa c’è? Che Draco ce l’aveva un po’ anche con Marzio, per
essere perfetto quasi quanto Harry, anche se lui aveva perlomeno la decenza di
non far sentire Derevan sempre, cronicamente il numero due.
Perché
fra di loro le cose erano molto diverse. Loro non si erano mandati al diavolo
per anni, si erano semplicemente incontrati un bel giorno, e come niente fosse
si erano innamorati.
Ecco,
facile, liscio, indolore.
-
Tu commetti un errore di prospettiva. Hai visto me e Derevan come un qualcosa
di già fatto, di solido. E dentro di te hai pensato che sarebbe stato più
semplice sostituire Derevan, piuttosto che dover costruire tutto dal niente. Ma
Draco, la tua vita, il tuo destino, non sono in questo mondo di sogni. Sono
laggiù a Hogwarts, a Londra, nella vita che hai sempre vissuto. –
-
Ma io… –
-
Lo so cosa stai per dire. E la risposta è sì. La tua vita è là, anche con tutti
gli ostacoli e le difficoltà che dovrai affrontare. Non puoi scappare per
sempre, lo sai? –
Draco
si rannicchiò su sé stesso.
-
Tu hai capito tutte queste cose? Perché non me ne stupisco? –
-
Beh, diciamo che non sei del tutto impenetrabile. Ogni tanto, quando dai fuori
di matto, si vedono lontano mille stadi. –
-
Harry non le ha capite. –
-
Ma non farmi ridere, Harry le ha capite eccome! –
Si
sentì strattonare da una mano ampia e più che avvezza al comando, fino ad
essere rimesso in piedi.
-
Stammi a sentire, lui è la sola cosa che non puoi permetterti di perdere. Per
Ares sterminatore, hai dato o no ascolto a tutta quella benedetta pioggia? –
Draco
spalancò gli occhi fin quasi a farsi dolere i muscoli. – Tu come fai a… -
Marzio
lo interruppe strizzando di sottecchi un occhio.
-
Eh sì. Hai proprio combinato un bel pasticcio. –
Intanto,
dietro quell’angolo che il Romano gli aveva indicato poco prima, si consumava
un’altra, piccola tragedia.
-
La notte in cui tu non riuscisti a raggiungerci, un po’ di tempo fa. – spiegò
Harry a labbra strette. – Marzio cercò di toccare Draco. Fu perché vide te,
immagino, ma se ci penso adesso, maledizione… -
-
Non cercare prove di una colpevolezza che non c’è. – mormorò Derevan. – Perché
le troverai sempre e comunque. Marzio non è innamorato di Draco. Anche se lo
conosco abbastanza da poter dire che gli vuole un bene immenso. –
-
Tu credi di esserne sicuro, ma cosa ti dice che Draco non… -
-
Perché credi che tutte le persone al mondo vedano Draco nello stesso modo in
cui lo vedi tu? –
Harry
aprì la bocca per dire, un po’ alterato, che era ovvio, che Draco brillava di
luce propria, che bisognava essere ciechi, sordi e pazzi, per non rendersene
conto.
Per
fortuna non ne ebbe il tempo.
-
Draco è una persona speciale. – disse quietamente Derevan. – Lo è per te, per
me, anche per Marzio. Ma ci sono persone che lo disprezzano, altre che lo hanno
in odio, altre ancora a cui è indifferente, e infine qualcuno che lo considera
un amico e nulla di più. Tu commetti lo stesso, buffo errore di Marzio, di
credere che il mondo veda con i tuoi occhi. Ma se provi a pensarci, io avevo
Dillon, che mi chiamava fratello. E Anacore, il compagno di Marzio, mi prendeva
in giro, scherzava con me, mi trattava come fossi stato un suo scolaro. Alcuni
soldati mi salutavano, altri no, Tito mi odiava con tutto sé stesso. Come vedi,
nemmeno io ero mai lo stesso, agli occhi della gente. –
-
Non posso essere l’unica persona al mondo ad amare Draco. Non ci credo. –
-
Che male ci sarebbe? Così sarebbe il tuo piccolo segreto. –
Harry
dondolò la testa con poca convinzione. Capiva il significato delle parole di
Derevan, ma faceva una fatica pazzesca ad accettarle. Probabilmente sbagliava,
a pretendere che Draco fosse il centro del mondo, quando ciò valeva con ogni
evidenza solo per il suo, di mondo.
-
Come fai a non essere teso? – chiese con un mezzo sorriso. – Non ci pensi?
L’uomo che ami potrebbe sfuggirti dalle mani in questo momento. –
-
Sì può lottare contro ogni difficoltà che il destino ti mette davanti. – spiegò
Derevan, senza scomporsi. – Ma se la difficoltà viene dall’interno, allora non
c’è nulla che si possa fare. Se Marzio scegliesse Draco, vorrebbe dire che non
prova più per me l’amore che provava prima. E contro questo, non posso niente.
–
-
Dopo tutto quello che avete passato insieme? –
-
Anche l’amore più grande è un fuoco, e in quanto tale non è mai immune
all’acqua. Bisogna saper capire quando è il momento di arrendersi. –
-
Bah. Tanto è ovvio che sceglierà te. E se da un lato questo mi consola,
dall’altro non so più che cosa fare. –
-
Perché ti tormenti così duramente? –
-
Perché io non riuscirò mai ad essere come lui, Derevan. Voglio dire, lui è una
persona eccezionale, chi al mondo non si innamorerebbe di lui? È un eroe, ha
dato tutto per te, ha un cuore enorme e un sacco di altre qualità che se ci
penso mi viene da piangere. –
-
Mi sembra di aver sentito dire che anche tu sei un eroe. –
Harry
non gli rispose subito.
-
Beh, una specie. – ammise controvoglia.
-
Ascolta, non credo che ti occorra che qualcuno vissuto duemila anni più di te
venga a insegnarti certe cose. Non conta niente, che cosa sei, che cos’hai
fatto o non hai fatto. Io conosco Draco. Oso dire che lo conosco meglio di
chiunque altro. Conosco il suo cuore, che è lacerato dalle contraddizioni e dai
dubbi, e so che ciò di cui ha più bisogno al mondo è qualcuno che si prenda
cura di tutte queste ferite. E tu lo vuoi, vero? Non chiedi altro che poter
sciogliere il ghiaccio che impedisce al suo cuore di battere. –
-
Ho paura che non lo capirà mai. –
-
Lo capirà. - Derevan ridacchiò, mordicchiandosi un labbro. – Lo capirà dopo che
sarà passato attraverso la completa mancanza di tatto di Marzio. Se lo conosco
bene, in questo momento starà dicendo “oh no, stai sbagliando tutto”, e
gesticolerà a più non posso. –
-
Lo ami veramente, eh? –
L’Iceno
annuì con estrema semplicità. - Come non saprei spiegare. –
-
Siete fortunati, voi due. –
Derevan
incrociò il suo sguardo. Harry fu sicuro che in un lampo, tutta ciò che aveva
condiviso con Marzio, dal primo all’ultimo dei loro giorni, gli fosse passato
attraverso gli occhi limpidi.
-
Sì lo so. – disse, e lo disse con sincerità. – Non cambierei un solo giorno
della mia vita nemmeno con il paradiso. –
-
Lo vedo. – Harry si mise un po’ più tranquillo, rassegnandosi persino a sedersi
per terra. – Sai, un po’ mi fa arrabbiare, tutto questo. Tu mi piaci molto.
Dio, in realtà credo che tu sia la persona più straordinaria che abbia mai
conosciuto. Ma innamorarmi di te mi sembra impossibile. Voglio dire, non ci
riuscirei mai, perché in qualche modo… -
-
In qualche modo è sempre Draco, no? –
Derevan
formò un sorriso sottile.
In
quel momento, lo scoccare delle foglie secche annunciò che Marzio e Draco
stavano tornando.
Harry
scattò in piedi, al diavolo il poco di calma che era riuscito a mettere insieme
prima.
Appena
lo vide muoversi, Draco si inchiodò lì dov’era, guadagnandosi un’occhiataccia
da parte di Marzio.
-
Ehm… - sospirò, al limite della tensione. – Dunque, io… -
-
Non lo hai trattato male, vero? – si informò Derevan, sottoponendo Marzio ad
uno sguardo mite, ma che non tollerava menzogne.
-
No! – si difese lui. – Non ho fatto quasi niente, io. Quasi. –
-
Marzio… -
-
Gli ho solo dato una spintarella. Piccola piccola! Ma ci è arrivato tutto da
solo, lo giuro! -
-
D’accordo. Ti credo. Ma dunque? -
-
Dunque… - Marzio sogghignò, vagamente sornione. – Dunque penso che potremmo
andare a sdraiarci oltre quei cespugli laggiù, e lasciarli un po’ soli. –
Le
sopracciglia di Derevan si inarcarono buffissimamente fin quasi a scomparire
sotto la frangetta. Marzio ricambiò lo sguardo, un po’ colpevole e un po’ rosso
per l’uscita a dir poco spontanea.
Derevan
gli offrì la mano, tendendola in avanti fin quasi a toccare le pieghe della
tunica all’altezza del petto.
-
E-ecco, dunque… - Draco evitò accuratamente di incrociare lo sguardo di Harry,
mentre faceva appello a tutte le sue forze per sputare fuori quelle poche
parole che aveva da dire. – Ho parlato con Marzio, e insomma, lui mi ha detto…
cioè, ho capito che… parlando con lui, ho capito che forse non è lui che…
insomma, che non è lui che voglio davvero. –
Harry
sentì le cento tonnellate del macigno che gli pesava sulle spalle dissolversi
all’improvviso, facendogli quasi perdere l’equilibrio.
-
Draco… -
-
No, aspetta, non ho finito. – Draco si mise tutto impettito, ma mantenendo lo
sguardo basso. – La questione si fa molto semplice, a questo punto. Se tu puoi
perdonarmi, bene, altrimenti non ha importanza, posso capire. –
Disse
il tutto ad una velocità impressionante, e ad ogni parola la sua voce scendeva,
scendeva, finché non si ridusse ad un borbottio quasi incomprensibile.
-
Scemo. –
Harry
agganciò il mento di Draco fra il pollice e l’indice, e lo costrinse, aiutato
dalla sorpresa, a sollevare lo sguardo.
-
E’ ovvio che ti perdono. Non avresti nemmeno dovuto chiedermelo. -
Draco
diventò rosso come il fuoco, meravigliosamente rosso, per gli occhi che lo
guardavano, sorridendo sempre di più.
-
Bene. A-allora io… -
Al
diavolo, lasciò perdere anche lui, finalmente.
La
sua frase inutile non la terminò mai, schiacciando tutto il volto contro il
petto di Harry, in un abbraccio fortissimo, quasi violento, del tutto
necessario.
C’erano
due corpi, nella stanza impolverata dalla primissima luce dell’alba.
Vicinissimi, tenuti insieme dalle lenzuola del letto. Una testa, biondissima,
premeva su una spalla, inspirando ed espirando regolarmente sulla stoffa della
maglietta. A quella stessa maglietta era aggrappato un pugno mollemente chiuso,
mentre due braccia circondavano una vita, una gamba si era fratta strada fra
due ginocchia, alcune ciocche di capelli si erano mescolate.
Un
groviglio un po’ confuso, forse, ma inestricabile.
-
Hey, posso chiederti una cosa? –
-
Cosa? –
-
Ehm, ecco, mi dici che cosa ti ha detto Marzio, per farti… Beh, per farti
cambiare idea così? –
Draco
si strinse nelle spalle.
-
No, non lo saprai mai. –
Rispose
in tutta, urticante semplicità.
ANGOLINO!
È
un po’ cortino questo capitolo, ma dato che avevo intenzione di incentrarlo
soprattutto sul dialogo, allungarlo avrebbe significato renderlo ripetitivo.
Ecco,
non credo ci sia nulla da segnalare, a parte il fatto che spero che Marzio si
sia riguadagnato un po’ della vostra simpatia, poveretto *__*
Finalmente
le risposte, ma non temete! La oserei dire violenta ripresa degli esami
comporta che il tempo a mia disposizione si assottigli sempre più, perciò spero
di riuscire a rispondervi anche prossimamente!
Draco Malfoy: ti ringrazio molto! In
questo capitolo le cose si chiariscono. Come vedi non è stata una messinscena,
sarebbe stato troppo crudele, persino per uno come Draco!
Little Star: ma dai, povero Marzio.
Visto che non è poi malissimo? Insomma, è Draco che non ha esattamente ben
chiaro che cosa voglia dalla vita, ma c’è un rimedio a tutto!
Cornelia84: grazie! Hai proprio
ragione, una vera doccia gelata, ma siamo fortunati che la cosa si sia risolta
in fretta!
Koorime: vedo con enorme piacere
che gran parte delle tue supposizioni sono giuste. Draco ama Marzio perché,
come dici tu, e come dice anche Harry, innamorarsi di uno come lui è quasi
naturale, e perché, nonostante sia uno spirito, è, come dire, già pronto
all’uso, senza che ci sia bisogno di quel complicato periodo iniziale. Cosa
che, ovviamente, deriva dal fatto che senza nemmeno rendersene conto, lui si è
identificato in Derevan. Non per nulla, a ben vedere, no sembra farsi problemi
per Derevan. Non è che non sappia cosa aspettarsi da Harry, è proprio una
questione di non sapere da dove cominciare, visti i loro trascorsi.
Per
il resto, nuuu, perdonami, rimedio salutando subito gli orecchini (nu, gli
imbianchini non erano affatto estetici…), il povero Nello (che da oggi
diventerà Mello, e chi legge Death Note SA), fratello, cugini, zii, Freud,
tutti quanti!
Rodelinda: No, come mai un momento
di sconforto? Ma riguardo la fic? Guarda, credo sia abbastanza chiaro che non
ho nessun interesse a venire a raccontarti cose che non penso. Reputo la tua
fic una delle più buone del fandom LotR, che ahimè è spesso un po’ maltrattato.
Se gli arzigogoli amorosi della nostra Glorfy, nonché del fratellino, mi fanno
venire davvero voglia di ubriacarmi, un motivo ci sarà pure! Eh, povero Marzio,
me lo vedo molto impopolare in questo momento, ma non è colpa sua si chiama
guai su guai…
Layla: ti ringrazio moltissimo,
e spero che il sospirato confronto fra i due ti sia piaciuto!
Herm: ahia, se ti sei
immedesimata con Harry mi sa che non c’è da dormire tanto sereni in questi
giorni. Per fortuna che le cose si sono un po’ aggiustate, va!
Lady: su, su, non avercela
con Marzio ^_^. Poveretto, è quello che alla fine si ritrova nei pasticci senza
volerlo, per colpa della furbizia di Draco.
Far: nuuuu, se mi tratti
così soffro tantissimo! Ç__ç
T
Jill: non ti ho
fatto perdere la coincidenza, vero? No, che non mi rimani persa in mezzo alla
galassia fino alla prossima navetta, per carità!
Synoa: tranquilla, la mia casa è
tornata più o meno normale ( a parte la camera salmone -_-) e ti ringrazio
moltissimo per aver recensito, mi ha fatto un sacco di piacere rivederti! *__*
Dark:
ahia, i pali
fanno male! *_* beh, ma almeno mi consola che non ci siano solo persone che
attentano alla mia vita.
The Fly: dici bene, le cose si
facevano parecchio complicate, ma per fortuna che il nostro eroico Marzio ha
assestato al povero Draco una batosta decisiva…
CrisSunrise: *fugge dalle minacce*
ehm, ecco, tutto sistemato per fortuna! Sai, sono troppo giovane per morire!
Lily4ever: no no, come hai visto
non si è trattato di una menzogna, ma di, come possiamo definirla?
Rimbambitaggine di Draco ^^
Puciu: *___* mi sento in colpa
per Gianni e Franco. Però hai visto, tutto si è aggiustato in tempo, perciò non
mi odi, vero? VEEEERO? *piange*. Per quanto riguarda le ipotesi di G&F
(Grande & Fratello?!?), come hai visto la numero 1 non era azzeccata,
mentre la 2 e la 3 sono una commistione di elementi giusti. Ah, un minimo di
legnata bisognava pur dargliela, viva la mancanza di tatto di Marzio! E non ti
nascondo che per un attimo ho accarezzato l’ipotesi di Derevan che dava fuoco a
Draco, ma poi sarebbe stato un sentiero da cui difficilmente sarei venuta fuori
in modo non baka/demenziale…
Tsuby: per fortuna che c’era
Derevan a tenerlo su di morale, altrimenti avresti azzeccato in pieno la
previsione sul suo stato d’animo. Draco potrebbe veramente scrivere un libro su
come si attenta alle coronarie di un innamorato!
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰
del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
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Capitolo 23 *** Omnia amor vincit ***
Harry venne svegliato da uno spiffero di luce che filtrava dalla
finestra, mal coperta dalla tenda
Harry venne
svegliato da uno spiffero di luce che filtrava dalla finestra, mal coperta
dalla tenda. Socchiuse gli occhi di malavoglia, e, grazie al cielo, Draco era
ancora lì.
Dormiva a pancia in
giù, con la testa rivolta verso di lui, le labbra leggermente aperte, da cui
sbuffava. Aveva gli angoli degli occhi segnati dall’alone bianco tipico delle
lacrime.
E questo aveva un
significato immenso, per Harry.
Parolacce, litigi,
calci e pugni?
Non gliene
importava niente, avrebbe rifatto tutto quanto daccapo senza battere ciglio, ed
era grottesco pensare che soltanto alcuni mesi prima aveva messo piede a
Hogwarts per l’ultimo anno senza pensare a lui, senza nutrire che infastidita
indifferenza per gli occhi di Draco, così terribilmente luminosi.
Avrebbe dovuto
svegliarlo? Era ancora presto, non c’era fretta, ma esiste un momento migliore
al mondo per parlare un po’, quando il sonno ancora ti avvolge e ti rende
ubriaco, incapace di mentire?
Soffiò
delicatamente nel suo orecchio. Sapeva già che quando avrebbe aperto gli occhi,
si sarebbe sentito mancare.
- … Uhm. –
- Buongiorno. –
Draco aprì prima un
occhio solo, prudentemente. Assicuratosi che non ci fosse troppa luce, aprì
l’altro, appena uno spiraglio.
- Come stai? –
- Be-bene. –
- Sì? –
Davvero. Perché mi
hai svegliato? –
Harry si strinse
nelle spalle, e rispose semplicemente, candidamente: - Avevo voglia di
rivederti. –
- Ma se fino a un
minuto fa… -
- Di rivederti qui.
–
Draco non ebbe
niente da replicare. Aveva saputo fin da quando si era svegliato che ora, nel
suo mondo c’era una bella novità.
Una di più ed una
di meno, per dire meglio.
Gli veniva più
semplice accettare Harry se lo vedeva immerso nella natura onirica del bosco
che ospitava Marzio. Sinceramente, provava meno imbarazzo, per non parlare
dell’atmosfera.
C’era una cosa,
però, che faceva una differenza enorme da laggiù a lì.
Il pigiama di
Harry. Gli occhiali inguardabili posati sul comodino. I suoi piedi nudi, e con
ogni probabilità gelidi. Il cuscino con ancora impressa la forma della sua
testa.
Era. Tutto. Reale.
Aveva una
consistenza che il mantello di Marzio, il sole che brillava in quel mondo, i
capelli di Derevan, nulla di tutto ciò aveva.
Credeva di aver
compreso le parole del Romano. Diavolo, non c’era niente di difficile da
capire.
E invece non era
vero, l’ultimo tassello del puzzle andava al suo posto solo ora, proprio su
quel cuscino.
Anche Marzio e
Derevan, prima di loro, dovevano aver avuto un cuscino da condividere. Che li
aveva resi concreti come non erano più, ma come erano loro, invece.
Come un filo rosso
che aveva attraversato le epoche.
Piuttosto
decadente, come pensiero, ma con il singolare potere di farlo sentire bene.
- Harry. –
Dolcemente, si
lasciò cadere sulla spalla del Grifondoro, tenendosi strette le ginocchia al
petto.
- Scusa. – non
l’avrebbe ripetuto una seconda volta. Anzi, probabilmente non avrebbe mai più
pronunciato quella parola nel corso della sua vita.
Harry lo abbracciò
stretto, riuscendo a malapena a circondare schiena e ginocchia rannicchiate.
- Non fa niente.
Adesso basta con questa storia. –
- Dici sul serio? –
- A ha. Però tu non
scappare. D’accordo? –
- D’accordo. –
Harry ridacchiò,
distante. – Sai, credo che sarà piuttosto strano, all’inizio. –
- Lo penso anch’io.
–
- Se provi a
chiamarmi Marzio, ti uccido. –
- Non lo farò.
Nessuna voglia di
sciogliere l’abbraccio. La meraviglia di alzarsi presto.
- A proposito. Che
cosa credi che succederà? –
- Chi può dirlo?
Adesso però, c’è una cosa che dobbiamo fare. –
- Che cosa? –
- Te l’ho detto
ieri. Non far finta di essertelo scordato. –
Già, ieri.
Un giorno piuttosto
importante, diciamo, uno di quelli da segnare sul calendario con una bella X
rossa.
Si erano svegliati,
e per alcuni minuti fra loro era stato un silenzio imbarazzato a farla da
padrone. Ma Harry se l’era cavata abbastanza bene a dire qualcosa di stupido
che fece ridere Draco, e sciogliesse l’atmosfera.
Si erano lasciati
per seguire le lezioni, e nel tardo pomeriggio, Harry aveva disputato la penultima
partita di Quidditch della stagione, contro Corvonero. Draco era andato a
vederla, e per la prima volta in vita sua aveva sorriso per la vittoria di
qualcun altro. Per la vittoria di Grifondoro, nella fattispecie, vittoria sul
filo di lana, con uno scarto di cinque, miseri punti. Non si sentiva più tanto
inutile, per essersi fatto battere da Corvonero.
Poi l’aveva
aspettato fuori dagli spogliatoi, accovacciato contro il muro, non prima di
essersi dipinto sul volto una maschera che dissuadesse chiunque dal chiedergli
che cosa ci facesse lì.
Ed erano arrivati
tardi a cena, perché camminando senza una meta certa per lo sterminato parco
della scuola, parlando, ridendo, qualche volta mandandosi al diavolo, avevano
perso completamente la cognizione del tempo. Come quella passeggiata fosse
l’abitudine di una vita intera, dimenticata in chissà quale cassetto e riemersa
solo in quel momento, in occasione di uno stravolgimento importane
dell’arredamento.
Harry si era
guadagnato lo sguardo sospettoso di Hermione fisso su di lui per tutto il
pasto. Anzi più che sospettoso, sembrava essere sicuro. Sicuro di ciò che aveva
intuito.
Il fatto che lei,
comunque, non accennasse a voler commentare, era positivo, nell’immediatezza.
Certo, significava che prima o poi avrebbe dovuto presentarsi davanti a lei e a
tutti gli altri, per fornire un’adeguata e prolissa giustificazione su tutto
ciò che stava accadendo. Ma gli veniva concessa una deroga, per ora, intanto, per
fare un po’ di ordine con sé stesso.
Dopo aver mangiato,
Draco era andato in biblioteca, alla ricerca di un libro per un compito che non
poteva più rimandare oltre. Harry lo aveva aspettato sveglio, supino sul letto,
completamente assorto in chissà quali pensieri.
Draco si era
coricato, e aveva azzardato a dargli un bacio di sua iniziativa.
Era cominciato così
qualcosa che presto sarebbe sfuggito di mano ad entrambi.
Meraviglioso,
strano, spaventoso, come un viaggio.
In tutto ciò, la
raccomandazione di Harry approposito di quell’importantissima cosa che
avrebbero dovuto fare l’indomani era passata del tutto in secondo piano,
soffocata dall’ultimo bacio prima del sonno.
Chiudere gli occhi
e risvegliarsi nuovamente in quel luogo di là del sogno aveva lasciato loro
addosso un’inaspettata sensazione di libertà.
Il boschetto non si
vedeva più. E nemmeno il sole, e non una singola nuvola.
Solo erba, a
perdita d’occhio, erba verde chiaro, freschissima, uniforme, in ogni direzione.
E sopra i loro, un cielo altrettanto brillante della sua statica monocromia.
- Ma che cosa… -
- Siete arrivati. –
Marzio e Derevan
erano comparsi davanti a loro come dei miraggi. Entrambi in groppa a Fulgor,
con Shay al loro fianco, docile, una volta tanto.
- Ce ne andiamo. – aveva
detto Marzio, raggiante.
- Grazie per ogni
cosa. – gli aveva fatto eco Derevan.
Harry e Draco non
avevano capito subito.
- Ma come… ve ne
andate? –
Se ne andarono
davvero.
Marzio e Derevan,
così all’improvviso. Dopo tutto il tempo passato a cercare di cacciarli via, e
dopo essersi trovati, uniti, aver affrontato assieme un’avventura inenarrabile.
Se n’erano andati
sul serio.
Marzio aveva
spronato il suo cavallo, che era partito al galoppo, puntando verso di loro.
Nemmeno il tempo
per spaventarsene, che erano già scomparsi oltre una sorta di muro invisibile,
entrati in una dimensione nuova, sconosciuta, di sicuro il luogo più giusto per
loro.
Draco era rimasto
lì, impalato, a fissare il punto in cui si erano dissolti Derevan e Marzio.
- Ma… - esalò. –
Non li ho nemmeno salutati. –
Harry era rimasto
un passo dietro di lui, sapeva che era la cosa giusta da fare, e non voleva in
alcun modo disturbarlo. Pur nella sua perfetta immobilità, con il capo ancora
bel alzato, le braccia rilassate lungo il corpo, Draco stava piangendo.
Perciò, quella
mattina Harry si era svegliato per primo, conscio di sentirsi un po’ più solo,
ora che Marzio e Derevan non c’erano più. Era successo tutto troppo in fretta,
perché potesse dire di aver elaborato ciò che provava, ma in fondo al cuore,
almeno quello, era felice per loro.
- Forza, su.
Andiamo? –
- Voglio prima fare
colazione. –
- D’accordo. Però
poi vieni con me. –
- Ma non posso
saltare la lezione di Incantesimi. –
- Draco… -
- Sul serio! È
veramente, veramente importante. –
Harry alzò gli occhi
al soffitto, ridacchiando.
Tanto, gli piacesse
o meno, lo avrebbe trascinato nell’ufficio di Silente assieme a lui, a viva
forza.
* * *
Come in un film già
visto.
Fu di nuovo Harry a
parlare, quasi esclusivamente lui. Draco annuiva di tanto in tanto, ma non
perché fosse stizzito, questa volta. Harry si era ripromesso di proteggerlo,
per lasciare che sbollisse la tristezza in pace. Ogni volta che nominava
Derevan, si irrigidiva e lo guardava intensamente.
Poverino.
E dire che aveva
sprecato un sacco di tempo a dargli addosso. E ad avere una paura folle di lui,
soprattutto. Avrebbe scommesso la sua bacchetta che Draco avrebbe continuato
imperterrito a sostenere che tanto quello lì non gli piaceva nemmeno un po’,
che finalmente e n’era liberato, e tutti gli altri mattoncini che costituivano
la sua difesa.
Sarebbe bastato un
soffio per distruggerle, ma era necessario prendere contromisure. Lo avrebbe
lasciato sobbollire nel suo brodo, finché non avesse deciso di uscirne da solo.
Se c’era una lezione d’oro che aveva imparato, era che forzare Draco era sempre
e comunque una scelta sbagliata.
- Suppongo non
occorra dirvi che avete fatto ciò che era più giusto, ragazzi. –
- Se ripenso a
tutte le volte che ho sospettato di loro mi sento un verme. –
- Via, è normale.
Signor Malfoy, la vedo piuttosto scosso. Si sente bene? –
- Sì. Si signore,
sto bene. –
- Prenda una
liquirizia. –
- No, grazie. –
- Non faccia
complimenti, se vuole gliela stordisco io. –
Finalmente, Harry
prese il coraggio a quattro mani, e provò ad esporre con le parole meno
imbarazzanti che gli venissero in mente ciò che aveva da dire.
- Professor
Silente, ecco, noi ci chiedevamo se… -
- Che cosa,
ragazzo? –
- Se… Se fosse
possibile restare nella stanza dove ci troviamo ora. Insomma, fino al termine
dell’anno. Ehm, non è che non vogliamo tornare dai nostri compagni, ma sarebbe
molto meglio, insomma, per noi. –
Silente sorrise
ampiamente, facendo fremere la lunghissima barba bianca.
- No. – rispose,
con la massima affabilità.
Draco strabuzzò gli
occhi.
- … No?!?! –
- Se credete di
essere più speciali dei vostri compagni, temo che dobbiate rivedere le vostre
posizioni. Terminerete l’anno nei vostri rispettivi dormitori. – un ghigno,
quasi invisibile. – Quel che vorrete fare poi, fuori da questa scuola, non sarà
più affar mio. –
Harry capì,
ovviamente. E gli venne da ridere.
Chissà perché, in
quel momento mostruosamente imbarazzante, gli tornò in mente qualcosa di molto,
molto remoto, che soltanto in quel momento assumeva il suo pieno significato, e
si colorava, finalmente, della luce del sole.
“Omnia Amor
Vincit”.
Era tutto finito.
Marzio era con Derevan, finalmente, si erano ripresi la loro felicità, da
qualche parte chissà dove. Mentre lui era alla presa con il momento più imbarazzante
della sua vita.
Ora, aveva un
motivo in più per ridere.
ANGOLINO
Mi trovo costretta
a devolvere questo angolino ad una questione importante, saltando le risposte.
E vi assicuro che non mi piace per nulla.
Girovagando per la
rete mi sono imbattuta in un forum, dove trovo un’utente di nome Stateira. ,
cioè il nome Stateira seguito da un punto.
Superfluo
specificare che non sono io.
Ma non basta,
clicco sul collegamento al suo blog, che si trova in basso a sinistra, e scopro
che esso si intitola “La Pizia”. Che è il nome del mio blog.
Voglio lasciarvi il
link al profilo, e anche al blog, per dimostrarvi che non invento nulla.
http://forum.fuoriditesta.it/utenti/stateira--793.html
http://blog.fuoriditesta.it/vanny/
che, ironia della
sorte, fra gli ultimi post reca la citazione, ovviamente non autorizzata, di
uno stralcio del capitolo 4 di “Insegnami ad amare”.
Questo non è un
caso.
Non lo è, poco da
discutere.
Stateira non è un
nickname comune, come può essere un “Kikka”, un “Vale88”, o un “princess” che
senza dubbio sono gettonati.
Oserei dire che è
un nick molto singolare, che ha alle spalle tutta una storia, e a cui sono
profondamente legata. Oltre questo, a ulteriore riprova, il titolo del blog,
sicuramente non banale, con annessa citazione. Tre indizi fanno una prova, come
si suole dire.
Sono amareggiata.
Lo vivo male, come un furto di identità in primis, e come un’indebita
appropriazione di qualcosa che non si conosce.
Stateira sono io.
Un puntolino in fondo al nome non cambia le cose.
Ed oltre
all’amarezza, sono dispiaciuta, immensamente, che qualcuno si senta in diritto,
o magari persino in bisogno, di appropriarsi del nome di qualcun altro.
È così bello essere
sé stessi, che quando la gente non lo capisce mi sento triste per loro.
Stateira. , io ti
invito qui, davanti a tutti, perché so che in questi lidi ti trovi, a farti
viva.
Sono dell’opinione
che ogni cosa si possa risolvere con un sereno confronto, ma a questo punto
pretendo una spiegazione, una giustificazione, magari anche delle scuse, se non
oso troppo.
E c’è un’altra
cosa, che è una cavolata e che mi dispiace dover dire, ma ragazze, l’ANGOLINO!
è un marchio di fabbrica, e non mi piace vederlo comparire a mò funghetto in
mille altri posti. Non fatemici mettere il ™, vi prego, lo trovo molto triste.
Inventate altri termini, che so, “L’autrice parla”, “Spazio dell’autore”,
“extra”, qualsiasi cosa.
Se tutto questo
possa essere frutto di ammirazione, non lo so e non mi interessa, perché non è
questo il modo giusto di dimostrarmelo. Io vi ringrazio per ogni recensione che
mi lasciate, vi ringrazio per inserirmi fra le vostre preferenze, sono
felicissima che i miei racconti vi piacciano e gioisco di ogni vostra
dimostrazione di stima, dalla recensione alla mail, con tutto il cuore.
Ma questo
dev’essere, per il resto siate voi stessi, siate fieri delle vostre identità,
spremetevi le meningi per trovare nick nuovi, per essere originali in coerenza
con la vostra personalità.
Basta, finito, era
giusto affrontare questo discorso una volta per tutte.
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Capitolo 24 *** Domus ***
Cap 15 epilogo: sono passati cinque anni
- Sono tornato! –
Harry sbatté
inavvertitamente la porta di casa. Abbandonò il cappotto su sul divano,
sospirando.
- Dio, sono stanco
da morire. –
Draco fece capolino
all’improvviso dalla porta affrontata all’ingresso.
- Ciao. – esclamò.
– Ti precedo di dieci minuti al massimo. Ho appena finito di levarmi la
cravatta. –
- Sì? Peccato.
Pensavo di andare a mangiare fuori, stasera. –
- Mangiare fuori?
Ma fa freddo. –
- Hey, guardami.
Non ho la forza per mettermi a cucinare, non hai un po’ di pietà? –
Draco ghignò, un
ghigno dei suoi, inconfondibile.
- E va bene. –
sospirò, buttandosi a peso morto sul divano. – Però al diavolo, mi rivesto
dopo. –
Harry si avviò
verso il bagno scuotendo la testa.
Draco aveva un
rapporto morboso con quel divano: dal momento in cui lo toccava, passavano tre
minuti tondi prima che si addormentasse come un sasso.
Doveva darsi una
mossa a risciacquarsi.
- Sono sveglio. –
borbottò Draco, offeso come mai, quando Harry se lo abbracciò, la faccia ancora
mezza bagnata.
- Non per molto,
credo. –
- Al diavolo. Mi è
venuto sonno. –
- E’ da cinque anni
che questo maledetto divano ti fa venire sonno. Prima o poi lo cambio. –
- Non ti azzardare.
–
Harry ridacchiò.
Non l’avrebbe cambiato mai, ovviamente: quante altre occasioni avrebbe avuto di
vedere Draco crollare placidamente addormentato fra le sue braccia, come nella
più banale delle favole?
- Se ci
addormentiamo salteremo la cena. –
- Ma va. È
prestissimo e non ho fame. –
- Ti sveglierai con
lo stomaco che ulula. –
- Sì, sì.
Buonanotte. –
- Draco?!? –
- Oh, che vuoi che
ti dica. Stai sveglio a fare la guardia, e quando è ora caricami a spalle e
portami al ristorante. Svegliami solo quando arriva il primo piatto. –
Non accadde,
naturalmente. Come capitava sempre, Harry finiva con l’appoggiare il mento
sulla testa di Draco, e fissare il vuoto per un po’, finché il respiro regolare
del bell’addormentato, il silenzio, e probabilmente anche il misterioso potere
di quel malefico divano vincevano anche lui.
E meno male che aveva
il sonnoleggero, altrimenti si sarebbero svegliati giusto in tempo per la
colazione del giorno dopo, in un trionfo di torcicollo, indolenzimento e
formicolio.
Si assopì per pochi
minuti, fortunatamente. Appena riaprì gli occhi, cercò immediatamente l’orologio
da parete, provvidenzialmente appeso di fronte al divano.
Intuì subito che
qualcosa non tornava quando il salotto di casa, tutto, sparì, tramutandosi in
un inquietante deja vu.
Ebbe appena il
tempo di meravigliarsene, che si trovò affiancato da un Draco perfettamente
sveglio, e più che mai spaesato.
Passarono alcuni
secondi in silenzio, a guardarsi, con gli occhi sgranati.
- Dra-Draco? Sei
tu? O ti sto sognando? –
- Sono io. Che
diavolo sta succedendo? –
- Uhm. Spogliati. –
Draco strabuzzò gli
occhi. – Che cosa?!? Ma ti sei bevuto il cervello? –
- D’accordo, sei
proprio tu. Il Draco dei miei sogni si sarebbe spogliato senza protestare. –
- Se stai
insinuando per caso che io… -
- Shhh. Fai
silenzio. Lo senti anche tu? –
Draco rinunciò ad arrabbiarsi.
La situazione lo pretendeva, perciò lui si mise in ascolto. Appena abituato
l’orecchio al silenzio, lo sentì anche lui, sì: un rumore tenue, lontanissimo e
regolare. Come quello degli zoccoli di un cavallo.
- Non è possibile.
– soffiò Harry.
Eppure, non
sbagliava: su di un robusto cavallo color nocciola cavalcava una figura
circondata da un ampio mantello rosso, mosso dall’aria.
- Derevan? E
Marzio? –
Draco era
pietrificato.
Dal giorno in cui
il Romano e l’Iceno erano scomparsi, non erano tornati molto spesso
sull’argomento.
Intenzionalmente,
si capisce.
Draco l’aveva presa
a modo suo, perciò per molte volte aveva insistito sul dormire insieme, persino
a costo di andare a nascondersi negli spogliatoi attigui al campo di Quidditch.
Cercava di far passare il tutto per abitudine, inventava qualsiasi scusa, pur
di non dover confessare apertamente la sua amarezza e la sua speranza. Perché
la prima lo avrebbe fatto apparire umano, la seconda, infantile.
E Draco Malfoy non
cambia tanto facilmente.
- Harry! – Derevan
quasi gridò. Era proprio lui, chi altri poteva essere, il giovane uomo in
groppa ad un unicorno? Aveva gli occhi brillanti di stelle. – Draco! –
Agitò con forza una
mano, facendo sbuffare Shay.
- Che gioia che ci
siate! – esclamò, balzando giù dal destriero.
- Che… che gioia
che ci siamo? –
Marzio poggiò
entrambe le mani sulle spalle di Derevan, riuscendo a sedare il suo entusiasmo.
L’Iceno si fece più piccolo, fra quelle mani. Difficile dire quanta felicità ci
fosse, in quel suo impercettibile richiudersi.
- Sono trascorsi
cinque anni, dal giorno in cui ci siamo incontrati. – intonò Marzio,
solennemente.
Harry aggrottò la
fronte, di sfuggita si rese conto che Draco aveva fatto lo stesso.
Marzio e Derevan
Dimenticarli, questo
no, ma il giorno esatto è chiedere un po’ troppo.
- Quindi voi… -
- Non allarmatevi.
Va tutto bene. –
Era così. Andava
per davvero tutto bene.
Harry evitò di
menzionare l’ultimo loro incontro, sapendo alla perfezione che Draco avrebbe
anche potuto dare il peggio di sé; ma, prevedibilmente, fu Derevan stesso a
scusarsi, a spiegare che qualcosa, all’improvviso, una forza irresistibile, era
venuta a portarli via, e quanto duramente si erano opposti, soltanto per
riuscire almeno a dir loro un addio.
Si commosse, mentre
parlava: Marzio gli andò in aiuto a modo suo, militaresco, abbracciandolo
stretto al petto; pareva che non conoscesse altri modi per calmarlo che il
tentare di far scomparire le lacrime di Derevan dentro di sé.
Draco ingoiò il più
doloroso nodo alla gola che avesse mai provato in vita sua, ma piuttosto che
piangere come un pivello, piangere all’unisono con Derevan, che sì, sarebbe
stata proprio bella, piuttosto si sarebbe cavato gli occhi.
- Perciò, ora, dove
siete? –
- E chi lo sa. – Marzio
quasi ridacchiò. – E’ un posto strano. È immenso, e c’è molto silenzio. Ma
fintanto che lui è mio, per me è il paradiso. –
- E che cosa fate?
Insomma, riuscite a vedere quaggiù, o non lo so… - domandò Draco, d’impeto.
Sembrava che la questione lo preoccupasse non poco.
Derevan e Marzio si
scambiarono un’occhiata enigmatica.
- No. – rispose il
Romano. – Non vediamo niente. –
- Perciò non lo
sapete? Voglio dire, che abbiamo preso casa a Londra. –
- Davvero? Che
bella notizia. –
Harry aveva la netta
impressione che Marzio non fosse sorpreso per niente. E finché Derevan, che era
completamente incapace di mentire, se ne restava sulle sue, ciondolando la
testa e distraendosi con i fili d’erba, il dubbio non sarebbe svanito.
Ad ogni modo, nulla
scioglieva l’illusione di quattro vecchi amici che si rivedevano per caso, dopo
tanto tempo, ritrovandosi con una quantità di cose da dire, da ricordare, da
raccontare.
Marzio ringraziava
Draco, Harry ringraziava Marzio, Derevan entrambi: difficile dire quanti debiti
e quanti crediti potessero reclamare l’uno all’altro.
Il luogo che
avevano descritto faceva paura: immerso in una dimensione immobile,
agorofobica, di silenzi e fruscii. Ma loro ne parlavano come se fosse casa,
dopo aver vissuto quello che avevano vissuto, e poi aspettato tanto,
tantissimo. Tutto il tempo del mondo. Poteva essere strano risentire delle voci
che non fossero le loro, o vedere un’interruzione, un’irregolarità nella
traccia netta dell’orizzonte, un albero, qualunque cosa, ma anche non fosse
stato, pazienza: quello doveva essere il paradiso degli amori veri, se l’essere
soltanto loro due, sempre e solo loro due non li aveva fatti impazzire.
Erano entrambi
identici all’ultima volta, e se Draco e Harry somigliavano loro un po’ di più,
era perché godevano del privilegio del tempo. Loro invece, non avevano più
niente, se non il dono che essi stessi si erano fatti, il frutto di ciò per cui
avevano lottato.
- Siete liberi? –
- Sì. Adesso sì.
Completamente liberi. –
- Bene. Bene, sono
contento. Avete tutto il diritto di riscattarvi, dopo tutto quello che avete
passato. Avrete un sacco di cose da mettere a posto. –
- Harry, abbiamo
l’eternità per farlo. –
Derevan, nel
frattempo, si era accucciato vicino a Draco. Cercò di appoggiare la testa sulle
sue gambe, facendolo irrigidire come un bastone.
Lo guardò stupito, e
un attimo dopo gli era addosso, abbracciandolo mentre ricadevano entrambi
all’indietro.
- Non sei cambiato
per niente! – esclamò come se la cosa lo rendesse indicibilmente felice.
Non era vero,
comunque, povero Draco. In quegli anni ne aveva passate tante, dal lavoro, ai
Babbani, a Harry, che se non era cambiato lui…
- Forza, è ora di
andare. –
- Di già? –
Nonostante la lieve
protesta, Derevan si alzò docilmente.
- Fareste bene a
sbrigarvi anche voi. – continuò il Romano. – Su, non guardatemi in quel modo.
Ci rivedremo presto. –
- … Ci rivedremo?
Davvero? – osò chiedere Draco.
Derevan sorrise
senza darlo troppo a vedere. Né lui né Marzio gli risposero, ma poteva starne sicuro,
che in un modo o nell’altro…
- Avanti, l’ora è
tarda. –
- Tarda per cosa? –
- Il ristorante,
non vi ricordate? –
Si svegliarono
entrambi si soprassalto.
Il divano,
l’orologio da parete, era tutto al proprio posto.
Erano tornati a
casa. Ed era decisamente ora di cena.
Harry stiracchiò le
braccia in avanti, alla ricerca del corpo rannicchiato del suo compagno.
Che si era
accartocciato in modo innaturale su sé stesso.
- Hey. – gli
sussurrò nell’orecchio. – E’ una lacrima, quella lì nell’angolo dell’occhio? -
Draco gli scoccò
un’occhiataccia che voleva essere sdegnata.
Ma nel bel mezzo,
tirò su con il naso.
- Dai, vieni qui. –
Per un buon numero
di Minuti, Draco accettò la condizione di silenzio e di pace posta
dall’abbraccio in cui si era immerso. I vestiti di Harry, che magari erano
suoi, ma sapevano tantissimo di Harry, ne amplificavano il calore.
- Senti, Harry. –
cercò di dire addosso alla sua camicia. – Io non mi sento per niente meglio.
Voglio dire, il fatto di sapere che adesso sono felici da qualche parte non mi
fa stare bene. Sono morti, in un modo orrendo, e niente potrà mai cambiare
questo. –
- Perché hai dei
pensieri simili proprio adesso? Non hai visto anche tu com’erano felici? –
- Potrebbe essere
stato solo un sogno. –
- Draco. Lo sai che
non è vero. –
Draco costrinse le
labbra ad un movimento forzato.
- Se tu… se ti
succedesse qualcosa, non me ne fregherebbe niente di sapere che sei sereno
nell’aldilà o che so io. Non me ne fregherebbe proprio niente. –
- Oh. Capisco. Era
a questo che volevi arrivare. –
- Non ho voglia di
scherzare. Guarda che non me lo devi fare, un tiro del genere, hai capito? –
- E che cosa
faresti, cercheresti di raggiungermi? –
- Ma stai
scherzando? Non sono un Grifondoro, e non mi chiamo Derevan. Ho una fifa blu di
morire, io. Però non ti perdonerei mai. Sul serio, non verrei nemmeno al tuo
funerale. Venderei i tuoi libri ad un mercatino delle pulci, userei la tua
bacchetta come legna per il camino, e la tua scopa, la darei in pasto ad un drago.
–
Così mostruosamente
diversi. Harry avrebbe voluto essere in grado di simulare la morte soltanto per
vedere Draco che manteneva fede alla parola data. E invece sorrise
pazientemente, e gli rubò un bacio sulla nuca.
- Ti amo. –
mormorò.
- Ci mancherebbe
altro. E, signor Potter, ristorante italiano, prendere o lasciare. –
ANGOLINO!
È finita.
Ventiquattro come
le ore, un buon numero, tutto sommato. Soprattutto considerando che, in
origine, di capitoli dovevano essercene appena quindici.
Dedico quest’ultimo
Angolino a ringraziarvi uno per uno, come mi sembra giusto fare. Chi è stato un
lettore fedele, chi meno, chi si è fatto sentire una sola volta, chi ogni
settimana, con cocciuta ostinazione.
Riguardo la
cartella dove conservo tutti i capitoli, come si fa con una panoramica da un
elicottero. Ogni capitolo un suo perché, magari anche astruso, o persino
vezzoso, ma è lì.
Vi ricordo ciò che
vi dissi quando l’avventura partì, rileggete tutto daccapo, insieme, facendo
tesoro di ciò che già sapete per recuperare i pezzi di puzzle rimasti indietro.
Io da parte mia,
non faccio che congedarmi da questa favola con un po’ di malinconia, e la
consapevolezza di aver creato due stupidi testoni innamorati che dovevano
essere solo delle marionette, e invece hanno fatto quello che hanno voluto alla
faccia mia.
Cara Stateira., non
ho ricevuto alcun segno di vita da parte tua, ma sono ancora qui ad aspettare,
sai? Non vado da nessuna parte.
Grazie di cuore a:
Freehja
Summers84
The fly
Monte86
Pucui
Chiara
Ginnyw
Fedekikka
Dark011
Lady
Little
star
T Jill
Koorime
Far
Smemorella
Viettasil
Tsubychan
Gosa
Lake
Herm83
Lady
Synoa
Fra ro
Little star
Sheraz
Melisanna
Rodelinda
Mokona89
Iul
Hokori
Xla
CrisSunrise
Blaise
Isuzu
Francesca akira
Zizela
Angelikaforever
Piccolaserpe
Fann1kaoriyuki
Draco malfoy
Layla84
Sakuraashe
Anatrante
Kumiko shirogane
Somylit
Cornelia84
Friz
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Vampire
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