werewolf

di J C Jasper
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Into the darkness ***
Capitolo 3: *** The great magician ***



Capitolo 1
*** prologo ***


 

 

 

Gadriel sfogliava le pagine con molta cura, facendo attenzione a non strappare la sottile e ingiallita carta.

Il dorso del tomo, di cuoio color porpora gli aveva sempre dato una sensazione di sicurezza.

Gli faceva pensare a suo padre, al giorno in cui gli era stata data la notizia, a quanto aveva pianto.

Appoggiò il diario sull’erba, vicino a se.

Vi appoggiò sopra una mano e si distese sull’erba, era stanco, stanco dentro, la vita passava monotona, a quei momenti estivi, se pur carichi di gioia e spensierata serenità, mancava qualche dettaglio, da qualche tempo una voglia rodeva dentro di lui, voglia di combattere.

Con una smorfia sul viso cercò di non pensare a discorsi che varcarono a tempo passato la soglia della sua mente.

Alzò lo sguardo alla volta stellata, quei minuscoli puntini luminosi parevano ardere a molta distanza, ma lui li sentiva vicini a fargli compagnia.

Il suono della foresta echeggiava alle sue spalle.

Scettico sui suoi stessi sentimenti, così contrastanti e misteriosi, come avvolti da una sottile e impenetrabile coltre di fumo che celava la voce che aveva sempre sentito dentro.

La sua mano scivolo lungo le vesti da caccia e afferrò con decisione la fredda elsa del pugnale che portava sempre con se.

Lo sguainò.

Lo stridore metallico gli provocò un pungente dolore nelle  orecchie che gli parvero ovattate dalla lunga dormita, il breve fastidio scomparve dopo poco, scorrevole come acqua in un ruscello.

Si specchiò nella lama poco affilata che presentava segni e ossidazioni provocate dal persistente utilizzo.

Quella lama, regalatagli dal padre per il suo dodicesimo compleanno, lo aveva accompagnato in tutte le sue avventure, che ora gli scorrevano nella mente inamovibili dai suoi ricordi più profondi, a cui aveva sempre attinto nei momenti di bisogno o di tristezza.

La fresca brezza tipica delle notti estive si mosse fra i fili d’erba della colina, fino a risalirgli la schiena dandogli una sensazione di etereo piacere.

Con strani giochi di luci e ombre come legna scalpitante in un camino le lucciole danzavano all’unisono e gli ronzavano attorno, creando un atmosfera magica da cui non si sarebbe facilmente separato.

Mentre le palpebre si chiudevano lentamente, la sua mente venne pervasa da una dolce nenia.

Tutto si fece sfocato, le luci si tramutarono in ombre e la sua mente scivolò addietro ove aveva vissuto mentre i pensieri si dimenavano per riuscire a raggiungere la luce.

Un dolce tepore lo avvolse come nelle mattine di metà primavera.

Sospirò esausto.

Poi fu silenzio.

Rotto dal canto degli uccelli sempre vispi.

Le nebbie lo presero, cullato dalle onde del mare e dalla neve dei monti il suo ultimo pensiero si levò leggiadro verso il cielo d’estate, mentre il suo mortale corpo, segnato dagli anni e dagli avvenimenti restò, gloria del passato, leggenda nei cuori dei sopravvissuti, conosciuto come colui che riuscì a trattenere il mostro dentro di se.

Il coltello, conficcato nel suo petto, scintillava alla luce dell’alba, 

sangue di lupo.

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Capitolo 2
*** Into the darkness ***


Capitolo 1 

Into the darkness

 

Si era preparato bene quella mattina, uscito di casa di buon ora, si era incamminato lungo le sponde cristalline del laghetto vicino alla sua capanna, illuminato dal sole.

Si fermò a specchiarsi sull’acqua che, pervasa di riflessi, appariva gioiosa e vivace.

Si piegò, nonostante i piccoli dolori alla schiena contratti in una sonora caduta che aveva meritato le risate degli amici, e prese un sassolino e con voga lo lanciò più lontano che poteva, facendo increspare l’acqua ove riconobbe qualche pesce verde e azzurro, che nuotava sinuoso come si librava come un uccello nel cielo.

Pensò.

Aveva un gran sorriso stampato sulla faccia.

Continuò sul sentiero, mentre il dolce venticello mattutino smorzava l’afa insolita di una mattina d’autunno.

Incontrò Sierred, un suo amico, che si recava alla forgia per lavorare.

Sierred era un tritone.

Li aveva sempre trovati strani i tritoni, o almeno inusuali per quelle terre del nord.

Erano grassi e bassi, non portavano calzature, perchè i piedi, se pur squamati erano duri come la roccia.

L’aspetto umano veniva tradito dalle branchie poste sui lati del collo, e la colorazione cutanea leggermente tendente al blu.

I capelli erano sostituiti da basse corna bianche, che secondo la leggenda vennero donate dal dio della caccia Leahesnie, per il loro coraggio.

Formidabili arcieri, al pari dei più rinomati generali umani, i tritoni erano pur abili nell’uso della spada corta, che maneggiavano con destrezza.

Dopo la veloce riflessione Gadriel continuò sui suoi passi, ammirando il sole che lo avrebbe favorito nella battuta di caccia.

In lontananza vedeva già il bosco nero, così chiamato per le nere foglie dei suoi alberi.

Molta strada aveva ancora da percorrere.

Per far passare il tempo più velocemente iniziò a canticchiare una strofa di una canzone che aveva sentito al la taverna.

Veramente la cantava ogni sera Iris, una giovane di cui si era invaghito, ma alla quale non aveva mai chiesto la mano per un ballo, anche se ci era andato vicino alla festa per Dewar, dio delle armi, che si celebrava per ricordare il dono della lama che venne fatto agli uomini.

Era stato fermato dalla vergogna, e da quel momento non era riuscito neanche a parlarle.

Di Iris non poteva dimenticare i lunghi capelli castani, che raccoglieva dietro il capo durante la corsa.

Bellissima, non l’avrebbe mai dimenticata.

Felice nel constatare che una grande frazione di strada era già stata eseguita in un tempo accettabile accelerò il passo, fino a raggiungere una corsetta slanciata.

Il sentiero di ghiaia largo circa 6 bracci costeggiava i campi di grano dei grandi possidenti terrieri, quasi tutti sotto il comando dello Jarl, il re del feudo che ora era Derhin, figlio di Dashel.

-Persone spregevoli, assetate di potere- pensò. 

Gadriel si ricordò anche che nella terra di Riddem, sola conosciuta e in continua espansione si trovavano 8 feudi, ognuno governato dal suo Jarl.

Era arrivato, entrò nel bosco nero pieno di gigantesce querce millenarie, ma che lui conosceva benissimo grazie alle sue regolari battute di caccia, da cui tornava quasi sempre vittorioso.

Con il sole alto nel cielo ma quasi completamente oscurato dalle foglie degli alti alberi si nascose tra i bassi cespugli,

in ascolto,

alla meticolosa ricerca di una preda.

Udì un fruscio poco distante,

sporse la testa per osservare l’animale.

Un magnifico cervo, raro per quei boschi.

Avendo come unica arma il coltello, dopo la rottura dell’arco che usava abitualmente per la caccia, aveva bisogno di avvicinarsi molto al bersagliò.

Silenzioso come un sussurro scattò, mettendo però il piede su un bastone che si ruppe provocando molto rumore, che allertò tutti i possibili animali ner raggio di cento bracci. 

Il cervo si girò 

e spaventato iniziò a correre via tra i grandi alberi.

L’unica scelta, se pur rischiosa che aveva Gadriel era quella di corrergli dietro.

In una frazione di secondo prese la decisione e partì all’inseguimento.

Non potendo minimamente eguagliare il cervo in velocità, usò l’astuzia, usando sentieri laterali che avrebbero duvuto tagliare la strada all’animale.

Così fu.

Riuscì quasi a prenderlo, ma per un soffio mancò il colpo, che andò a vuoto.

Stanco, lasciò correre via l’animale.

Era giunto in una parte della foresta che non conosceva bene.

Si trovava nel buio quasi totale e sentì freddo.

Preoccupato per la zona che gli incuteva timore cercò di orientarsi.

Improvvisamente.

Fu scaraventato a terra da un ombra nera.

La vide poi allontanarsi sotto i colpi del suo coltello.   

Il grande e possente mannaro si stava avvicinando a Gadriel, ancora a terra.

Dopo la confusione iniziale riuscì a riordinare le idee e a mettere a fuoco l’assalitore.

Come un diavolo nero, i suoi lunghi e e argentei canini risaltavano sulla pelliccia nera come la pece.

I grandi occhi gialli che riflettevano la luce come specchi incutevano terrore al pari degli artigli affilati e ricurvi, ancora gocciolanti di sangue che Gadriel temeva fosse il suo.

Quando in posizione eretta il lupo superava di diversi bracci un uomo, la sua muscolatura non aveva pari nelle foreste nere.

La belva avanzava lenta come un boia verso il patibolo, pronto a uccidere per diletto.

Gadriel si strinse forte il tomo rosso porpora al petto, lo aveva fin da quando aveva memoria, ma non aveva mai letto neanche una pagina.

Cerco di indietreggiare strisciando, il fango rendeva difficili i movimenti e impregnava i vestiti, sporchi di sangue.

provò ad alzarsi ma un lacerante dolore sordo gli bloccò la schiena.

Urlò.

Dolore.

Le lacrime ormai scendevano lente, sulla sua faccia, 

il mannaro ormai a qualche braccio di distanza fremeva all’odore del sangue.

Non aveva mai visto un licantropo vero, nessuno lo aveva mai visto da almeno duecento anni, la figura mitologica faceva parte delle leggende delle grandi battaglie tra i popoli liberi di Riddem e i mannari, guidati da Razulnes, il mannaro bianco.

Si diceva che nelle vene dei mannari scorresse il sangue di tutti coloro che avevano ucciso.

Con getture simili non interessavano a Gadriel.

Sentì un intenso calore a livello dei tagli.

Gadriel cercò invano la spada tra le foglie secche d’autunno di quel bosco spettrale, 

trovò  solo frammenti di ferro spezzati dalla forza sovrumana della bestia che pareva essere venuta dall’oscurità.

Sarebbe veramente morto lì, in quel freddo bosco?

Omai cosa importava chiederselo?

 

 

 

 

 

 

 

Una serie di sentimenti si scatenarono nella sua mente, elaborava un modo per sopravvivere, scappare,                       ma costretto a terra in un buio e desolato bosco, con un mannaro pronto a ucciderlo non aveva alternative.

Era in trappola, senza via di scampo.

Reggeva ancora lo scudo con la mano sinistra, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla contro un avversario che aveva mandato in frantumi la sua spada.

La fine si avvicinava, mentre la brezza spirava lenta facendo alzare le foglie nere.

Pensava a Iris, non l’avrebbe più vista.

Pensava al suo tomo rosso porpora, le memorie di suo padre.

Si strinse a se,

un ultimo abbraccio prima del fatale destino a cui non si sentiva ancora riservato.

Improvvisamente tuonò luce d’azzurro accecante tra gli alberi della foresta.

L’urlo del mannaro.

Il buio.

Un ombra veniva verso di lui sfocata.

Quando fu vicina riconobbe occhi verdi.

Elfici.

Il buio ghernì la sua mente

Mentre l’imbrunire prendeva il posto agli ultimi raggi di sole egli ancora viveva.

 

 

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Capitolo 3
*** The great magician ***


Capitolo 2

The great magician

 

Annebbiato.

-svegliati- disse l’anziana.

Gadriel si alzò di scatto spaventando l’elfo che si ritrasse per non essere colpita.

Subito la mano istintivamente scivolò sulla cinta con un movimento involontario per prendere il coltello.

Non c’era.

-calmati, non c’è niente da temere-

La stanza dove si trovava era arredata grezzamente, il letto dove si trovava sdraiato e poco lontano un rozzo comodino.

Aveva tutta l’aria di essere la casa di un pescatore, anche se l’anziana signora, ad un esame più attento un elfo, non ne dava l’idea. 

Un arazzo rosso chiaro copriva quasi completamente le pareti marroni, ad eccezione di un piccolo camino per il focolare che ora era acceso, e che irradiava la stanza con una luce fioca che bastava a malapena per vedere tutto intorno.

Molto probabilmente vi erano stanze adiacenti, non più grandi di quella in cui si trovava.

-chi sei?- chiese sbigottito Gadriel

-c’è bisogno che tu lo sappia?- rispose con altezza 

Guardò negli occhi l’elfo, era ancora scettico.

Gli elfi vivevano a Riddem da almeno un’era.

Erano alti, i grandi occhi verdi contraddistinguevano la maggior parte di loro.

Abili.

Originari di terre lontane che ormai avevano dimenticato vivevano totalmente inseriti nella società umana, cosa che non accadeva per i tritoni, quasi sempre costretti ai lavori più pesanti.

Vide e chiese.

-quanto ho dormito?-

-parecchio-

Gadriel si toccò il fianco, dove fino a qualche ora fa la sua carne era lacerata,

Niente.

Sembrava appena uscito da un sogno.

Era ancora preoccupato.

Si girò. 

-dove sono?- 

-in una capanna ai margini del lago- asserì

Gadriel ci avrebbe scommesso.

-mio marito ti ha salvato-.

-vorrei incontrarlo- chiese lui.

-Vieni, 

vuoi un po’ di vino?-

-Certamente- rispose pur di non sembrare scortese, anche se quel posto non lo convinceva affatto.

 

Rimase all’erta.

Venne condotto sul porticato che dava sul lago, che non riusciva a vedere a causa della tarda ora.

Ne percepì comunque la presenza.

Si avvicinò.

-Come ti chiami?- chiese il grande elfo vestito di bianco, che illuminato dal focolare all’interno pareva rosso come il sangue.

La voce rauca e piena 

Sembrava anziano, ma dopo tutto aveva ucciso un licantropo!

 

-Gadriel Septim- rispose

-quanti anni hai Gadriel Septim?- Si girò verso di lui.

Riconobbe subito i grandi occhi verdi e intensi degli elfi.

Il mento era quasi completamente ricoperto da una folta e grigia barba che gli arrivava al petto.

I lineamenti anziani erano traditi da una lucente spada che gli arrivava al ginocchio.

-18- ribatte Gadriel

Certo la sua tunica raffinata e la spada pregevole non si addicevano ad un pescatore.

-Grazie- aggiunse

-la vita è troppo corta per non compiere atti di buona volontà- rispose l’elfo con tono saggio -la creatura che ti ha attaccato non è solita in questa parte del globo, ho almeno da qualche centinaio d’anni-.

 

-come hai fatto ha ucciderlo?- chiese il ragazzo sbigottito.

-le mie arti arcane si addicono al mio rango di grande mago-

-un grande mago??- Gadriel ne aveva sentito parlare in una leggenda di suo nonno.

Potenti e saggi i grandi maghi erano i consiglieri e la più devastante forza militare del re.

Le loro fila non comprendeva più di una decina di adepti sparsi per il mondo.

Raramente utilizzati per scopi bellici, i grandi maghi passavano la vita a studiare incantamenti e illusioni nel buio, che mettevano in pratica per il bene della popolazione.

Noto solo il caso di Arghenor, un grande mago, che corrotto dall’oscurità aveva intrapreso la via del male con esiti disastrosi.

Tutto ciò successe quattro secoli fa, il mondo uscì devastato da una guerra che era sul punto di perdere.

Molte razze erano ad un passo dall’estinguersi.

I grandi maghi avevano conoscenze impressionanti, capaci di annientare un esercito se solo lo avrebbero voluto.

Le prime luci dell’alba comparvero sull’orizzonte, creando bellissimi riflessi e giochi di luce sull’acqua.

Gadriel non era certo il tipo da fare domande anche se avrebbe voluto porre molti quesiti.

-i mannari sono tornati per un motivo- i due si scambiarono un occhiata.

-Razulnhes è tornato,

 un antico male è risorto- disse con voce fioca e timorata.

Improvvisamente una voce tuonò nell’aria, come d’uno spettro.

Gadriel trasalì dallo spavento e poi contemplò un altro mito delle leggende,

il richiamo dei grandi maghi.

La breve frase in elfico riportava:

 

 

Khii daa em ra

De cyfa am et’

 

 

 

 -La notizia è quindi giunta, la nostra era vedrà una nuova battaglia-.

Calò il silenzio.

-Vieni, io ti ho salvato da morte certa e sarà ora di ripagare il debito, ora che anche le tue ferite sono guarite- disse con complicità l’elfo.

Con aria preoccupata Gadriel lo seguì.

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