Loving you a thousand times

di SSONGMAR
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXV ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXVI ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXVII ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVIII ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXIX ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXX ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXXI ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXXII ***
Capitolo 33: *** Capitolo XXXIII ***
Capitolo 34: *** Capitolo XXXIV ***
Capitolo 35: *** Capitolo XXXV ***
Capitolo 36: *** Capitolo XXXVI ***
Capitolo 37: *** Capitolo XXXVII ***
Capitolo 38: *** Capitolo XXXVIII ***
Capitolo 39: *** Capitolo XXXIX ***
Capitolo 40: *** Capitolo XL ***
Capitolo 41: *** Capitolo XLI ***
Capitolo 42: *** Capitolo XLII ***
Capitolo 43: *** Capitolo XLIII ***
Capitolo 44: *** Capitolo XLIV ***
Capitolo 45: *** Capitolo XLV ***
Capitolo 46: *** Capitolo XLVI ***
Capitolo 47: *** Capitolo XLVII ***
Capitolo 48: *** Capitolo XLVIII ***
Capitolo 49: *** Capitolo XLIX ***
Capitolo 50: *** Capitolo L - FINE - ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Lui mi guardava da lontano ed i suoi occhi erano sommersi dalle lacrime.
A tale visione rimasi pietrificata, non conoscevo il ragazzo in questione ma ero certa di amarlo. Lui mi si avvicinò e si portò una mano al cuore e con voce tremante disse…”
- Ciel - una voce stridula in lontananza interruppe il mio meraviglioso sogno. Mi svegliai e mi ritrovai distesa nel mio letto sfatto a guardare il soffitto che quella mattina sembrava essere più interessante del solito. – Ciel – urlò di nuovo mia madre. – Sono sveglia – risposi con aria seccata. Mi diressi verso il bagno e mi diedi una bella rinfrescata; era il 16 Settembre ed era il primo giorno di scuola. Indossai la mia divisa; dopo un’estate intera avevo dimenticato la morbidezza della sua stoffa, una divisa semplice alla marinara, gonna blu a vita alta con una camicetta bianca ed un bel fiocco rosso che rappresentava la mia scuola. Scesi in cucina e non ebbi modo di fare colazione poiché ero abbastanza in ritardo, ed era solo il primo giorno di scuola.
- Abbiamo finalmente l’onore di vederti – borbottò mio padre mentre era intento a leggere il giornale; io non risposi, gli diedi un leggero sguardo e scappai via prendendo il pranzo che mia madre aveva amorevolmente preparato.
La mia scuola disponeva di una mensa ma quel cibo era davvero immangiabile ed, avendo avuto una brutta esperienza al secondo anno, mia madre aveva deciso di prepararmi un pranzo pronto.
- Ehi Ciel – qualcuno aveva sollecitato la mia attenzione residua. Mi voltai e vidi Key, il mio migliore amico che mi si avvicinava in tutto il suo splendore. Ci eravamo conosciuti all’asilo ed avevamo frequentato anche le elementari e le medie assieme, ed ecco che ci ritrovavamo al quinti anno, ancora insieme e più amici di prima.
Key è un ragazzo alto, biondo e con due occhioni azzurri e profondi, che praticamente parlano.
Prendemmo il bus e ci dirigemmo direttamente verso gli ultimi posti, eravamo soliti ad accucciarci l’uno accanto all’altra con le cuffiette alle orecchie ad ascoltare i nostri gruppi preferiti.
Arrivati a destinazione io feci un sospiro profondissimo; ero contenta di ritornare a scuola poiché avrei rivisto le mie amiche, ma l’esame di stato mi rendeva assai nervosa.
Key mi poggiò la mano sulla spalla e con un cenno di sorriso mi fece capire che avremmo affrontato, come sempre, quel nuovo anno assieme.
Un branco di disagiate stavano arrivando da lontano correndo. Erano le mie amiche, le migliori per essere precisi. Con loro condividevo tutto ed erano praticamente la mia famiglia. Ines, Savannah, Sophie, Sully, Jasmine e Selvy, le persone più strambe che avessi mai conosciuto.

Ines è la mia cara amica dai capelli rosso fuoco, ha una pelle chiarissima piena di lentiggini e degli occhioni verde smeraldo. Simpatica e socievole ma abbastanza chiusa quando si tratta di esprimere i sentimenti. Altezza media e fidanzata con Jonny, l’amore della sua vita.
Savannah è l’intellettuale del gruppo. Capelli corti ed occhi castani, innamorata del solito stronzo di turno.
Sophie e quella un po’ snob. Altissima e sempre alla moda, capelli color caramello ed occhi azzurri.
Jasmine, invece, è la solita pigrona. Capelli castano scuro, occhi neri ed altezza media, come tutte noi d’altronde.
Poi c’è Sully, la creativa del gruppo, se fosse nata in un’epoca diversa avrebbe sicuramente fatto concorrenza a tantissimi artisti con i suoi disegni. Capelli biondi ed occhi blu notte, ma ahimè tanto timida ed impacciata.
Selvy, la ribelle del gruppo. Ama tutto ciò che si avvicini al rap ed il suo stile è molto particolare. Ama tantissimo i teschi e cose di genere rock. Capelli ricci e biondi, occhi castano/verdi; la solita stronza.
Per finire ci sono io. Una ragazza semplice ma tanto sognatrice, a tal punto da ritrovarsi sempre con la testa tra le nuvole, capelli lunghi e neri, occhi castano scuro e tanta voglia di fare.



Felici per esserci riviste entrammo in classe e ci posizionammo ai nostri posti, io mi sedetti accanto ad Ines che, a quanto pare, aveva tanto da raccontare. Era fidanzata da ormai sei anni e quella appena finita era stata l’estate che aveva trascorso insieme al suo ragazzo, Jonny. Era emozionatissima e la cosa mi puzzava.. aveva finalmente avuto la sua prima volta?
Ad interrompere la nostra eccitazione fu la preside che piombò improvvisamente in classe spalancando la porta con tal forza da far tremare tutte le finestre. Altezzosa come sempre mostrò il suo sorriso sgargiante e finto, come le extension che portava ai capelli. – Buongiorno classe – disse tutta entusiasta. – Ho la gioia e l’onore di presentarvi il vostro nuovo professore di matematica. – In classe si udì un coro scocciato. – Si, so benissimo quanto voi siate in contrasto con la materia – aggiunse lei – ed è proprio per questo che ho deciso di assegnarvi un professore poco più grande di voi. Non siate maleducati e trattatelo bene. – La notizia mise in moto gli ormoni di tutta la componente femminile della mia classe, facendo invece calare lo sconforto e la rabbia sui volti dei maschi. – Prego professor Wolf, entri pure. -
Varcò la soglia il nostro nuovo professore.
In classe ci fu silenzio. Era giovane, alto, palestrato e moro. Pelle chiara e candida come la neve, occhi grandi, scuri e profondi. Alzò lo sguardo ed accennò un sorriso.
- Salve ragazzi, lieto di conoscervi, io sono il professor Lendon Wolf. -

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Il mio cuore ebbe un sussulto, stranamente il suo volto aveva qualcosa di familiare. - Bene professore, allora lascio la classe nelle sue mani- disse la preside civettando – se ha qualche problema non esiti a chiamarmi, sarò sempre a sua completa disposizione -. La preside ci lasciò soli e l’intera classe rimase in silenzio, tutti erano intenti a guardare il nuovo prof che, sentendosi gli occhi puntati addosso, sorrideva imbarazzato e ad occhi bassi. – Bene – disse portandosi le mani alla bocca – prima di iniziare mi piacerebbe togliere lo stupore dai vostri volti – sorrise – posso sembrare un ventenne magari, ma ho già 27 anni, mi reputo un vecchietto rispetto a voi -. Tutta la classe rise per quell’affermazione, era palese che stesse scherzando. Il professore prese il registro e lo scrutò attentamente. Trascorse qualche minuto e mentre leggeva tutti i nomi dell’appello uno in particolare richiamò la mia attenzione. - Ciel Owen – sobbalzai dalla sedia non appena sentii il mio nome. Ines si girò a fissarmi; il professore osservava attentamente ognuno di noi ma nessuno rispondeva. - Ciel Owen – ripeté con tono più alto. Mandai giù della saliva – eccomi – dissi alzandomi delicatamente. I suoi occhi incrociarono i miei, molto probabilmente, anzi, sicuramente, divenni rossa come un peperone. Io e la matematica non andavamo affatto d’accordo e ritrovarmi un professore così mi imbarazzava, e non poco. - Lei è la signorina Owen? – chiese il professore. – Si – risposi io. – Bene signorina Owen, che ne direbbe di esporci un po’ il programma? -. Cos’è che esattamente avevano udito le mie orecchie in quel momento? Improvvisamente tutto il sangue che scorreva nelle mie vene invase il mio cervello, mi voltai e cercai lo sguardo di Sully, la più brava della classe in quella materia. Sully accolse il mio richiamo d’aiuto e timidamente intervenne – scusi prof, se possibile vorrei esporle io il programma dello scorso anno -. Il professore mi guardò divertito io, intanto, ero rimasta attonita, ferma al mio posto a sguardo basso. – Prego parli pure – aggiunse infine lui. Sully si alzò dal suo posto e si diresse alla lavagna, il professore sembrava interessato alle sue parole e allo stesso modo l’intera classe; io, invece, avevo solo voglia di sprofondare e scappare via da quel luogo. Alla fine della lezione il professore ci lasciò con una notizia; ci disse che sarebbe stato il nostro coordinatore e che ci saremmo visti spesso. Quando uscì dalla classe io feci un sospiro di sollievo. Tutte le mie amiche mi si avvicinarono, compreso Key che sorridendo mi prendeva in giro. Ad un certo punto si avvicinò Victoria; era praticamente la più bella della scuola e tutti le sbavavano dietro. Bella, dannata e fastidiosamente ricca e viziata e, ciliegina sulla torta, era anche molto intelligente; insomma, la perfezione fatta a persona, capace di far sentire inutile qualsiasi ragazza le si avvicinasse. Peggior nemica di Savannah nonché fidanzata ufficialmente con colui di cui era perdutamente innamorata, Jeremy, alto, moro ed occhi verde smeraldo, tanto perfetto quanto stronzo. - Non ti smentisci mai cara Ciel – disse con aria di sfida – Te con i ragazzi proprio zero – fece un occhiolino e lasciò la classe immergendosi in una sonora risata. Io mi limitai ad abbassare il capo. Mi vergognavo ancora troppo per quello che era accaduto poco prima – bella come prima impressione – pensavo. L’orario scolastico passò velocemente ed era già terminato il primo giorno di scuola. Quella sera decisi di non tornare a casa con Key in pullman poiché avevo voglia di fare due passi, lo salutai amichevolmente e mi incamminai. Poco più distante dalla scuola vi era una macchina nera, sportiva e bellissima. Il proprietario aveva bucato una ruota e l’aveva lasciata incustodita. La guardai per qualche secondo e continuai a camminare quando ad un tratto sentii qualcuno tossire per richiamare la mia attenzione. Mi voltai e sgranai gli occhi, era il mio nuovo professore conciato un tantino male; capelli scompigliati, camicia leggermente sbottonata e cravatta annodata malissimo, tutto sporco di nero. – Ehm.. lei è la signorina Owen, giusto? – Mi avvicinai e annuii, lui sorrise e si guardò intorno, portò una mano tra i capelli e si grattò il capo. In quel momento io rimasi semplicemente a fissarlo, poteva sembrare di tutto ma non un professore di matematica e quei 27 anni li portava benissimo. Mi feci coraggio e gli rivolsi la parola. – Le serve aiuto? – dissi avvicinandomi lentamente. Lui mi guardò come se un angelo fosse sceso dal paradiso solo per aiutarlo nelle sue sventure. – Il punto è che sono nuovo della zona e non conosco nessuno, ironia della sorte ho il cellulare scarico e in questo quartiere non c’è traccia di un meccanico – disse amareggiato ma in un modo che mi fece sorridere. Io ripensai alla figuraccia fatta in mattinata e per rimediare mi offrii di aiutarlo, presi il cellulare dalla borsa e glielo porsi. – Tenga può usare il mio e non si preoccupi del tempo che impiega per telefonare, può parlare quanto vuole, ho i minuti illimitati -. Sul suo volto spuntò un sorriso a trentadue denti, afferrò volentieri il cellulare sfiorandomi le dita; in quel momento un brivido mi percosse la schiena ma cercai di non dargli troppo peso. Il professore ci mise davvero pochissimo a telefonare e mentre mi porse di nuovo il cellulare qualcuno stava già arrivando con una ruota di scorta. Era un ragazzo sulla ventina e somigliava tantissimo al professore, alto con capelli ed occhi scuri. - Grazie a Dio sei qui – disse il professore alzando gli occhi al cielo – vieni, ti presento la signorina Owen che è stata così gentile da aiutarmi. Lei è una delle mie nuove alunne - . Il ragazzo si avvicinò e mi strinse dolcemente la mano. – Ciao io sono Oliver, sono il fratello minore del professore, piacere di conoscerti - . Io lo guarda e ricambiando il sorriso mi presentai. Si era ormai fatto tardi ed io dovevo tornare a casa. Feci per avviarmi ma il professore mi fermò. – Signorina Owen, è stata gentilissima nell’aiutarmi e adesso è mio dovere ricambiare, posso darle un passaggio? – In quel momento non sapevo cosa rispondere e mi limitai ad accennare un sorriso; era il mio professore dopotutto ma non sapevo nulla di lui tranne la professione, il suo nome e l’età. Per tutto il tragitto nessuno parlò, io mi sentivo nervosa e mi sudavano le mani. Arrivammo nel mio quartiere ed io lo feci accostare, lui si girò verso di me e per l’ennesima volta mi sorrise – grazie professore – dissi impacciata – figurati e grazie a te – rispose con tono cortese. Aprii lo sportello e scesi, mi voltai e lui mi sorrise per l’ultima volta e poi sfrecciò via. Mi incamminai verso la soglia e toccandomi le tasche mi accorsi che mi mancava qualcosa; insieme ad un piccolo pezzo di cuore avevo perso il mio mp3.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Quella sera andai a dormire con una strana sensazione e mi risvegliai allo stesso modo.
Al mio risveglio mia sorella era impalata accanto al mio letto, manco fosse Sadako di ‘The Ring’, sobbalzai nel vederla e lei divertita scappò via prendendomi in giro – muoviti dormigliona che la colazione è pronta- mi disse saltellando. Mia sorella ha 11 anni, si chiama Alice ed è una vera peste.
Scesi in cucina e tutti erano già riuniti intorno alla tavola come nella pubblicità della mulino bianco. Mio padre intento a legge il suo solito giornale, mia madre sempre ai fornelli e mio fratello, Mark, con il suo i-pod nelle orecchie; bhè tanto mulino bianco non sembravamo. Consumai velocemente la mia colazione, mi preparai e mi avviai alla fermata del bus. Grazie a mia sorella quella mattina feci presto e alla fermata ero ancora sola. In lontananza vidi Key e Sophie avvicinarsi. – Giorno Ciel, oggi sono con voi – disse Sophie sorridendo. Io la guardai e sorrisi. Non era la prima volta che prendeva il bus con noi, di solito l’accompagnava il suo autista ma ogni tanto la signorina faceva una piccola eccezione facendo un salto ai piani bassi.
Key quella mattina mi guardava in modo strano, come se mi stesse nascondendo qualcosa, ma cosa poteva essere? – Tutto bene Key? – gli chiesi preoccupata. – Si come sempre Ciel, perché me lo chiedi? – rispose lui, fingendo indifferenza, io scrollai la testa e non risposi. Arrivati a scuola incontrai il resto della trupe e ci dirigemmo in classe. Alla prima ora avevamo quel simpaticone del professor Mc Flurry, nostro professore di economia e commercio e nostro migliore amico. Prima di iniziare la lezione il prof era solito raccontarci le sue avventure e noi interessati ascoltavamo sempre cosa aveva da dire. C’era sempre da sbellicarsi dalle risate e la cosa era piacevole poiché, restare sempre seduti nella stessa classe, per cinque ore non era una cosa poi tanto bella.
Arrivò ricreazione, io sentivo il bisogno di sgranchire un po’ le gambe, mi mancava la mia biblioteca e quindi decisi di farci un salto. Chiesi alle mie amiche se volessero accompagnarmi ma, a quanto pare, avevano tutte da fare qualcosa.
Mi incamminai per andare in biblioteca, era tanto che non ci andavo, per tutta l’estate l’aria che vi si respirava all’interno mi era mancata tantissimo. Lì dentro io ci avevo praticamente il mondo ed era un posto solo mio, visto che nessuno azzardava ad andarci; a quanto pare la cultura spaventa molte persone.
Per arrivare in biblioteca dovevo passare per la sala musica. La nostra sala musica era davvero grande e all’interno vi era un pianoforte a coda bellissimo. Da lontano sentii un melodia familiare. Qualcuno stava suonando la mia canzone preferita. Tornai indietro e mi diressi verso la sala musica, la melodia si faceva sempre più forte ed era così dolce, mi piaceva tanto e ci avrei giurato, qualcuno ci stava canticchiando sopra.
Spalancai la porta e.. seduto accanto al piano c’era il nuovo professore di matematica.
Si voltò verso di me e mi sorrise – non pensavo che questa melodia avesse questo potere – disse lasciando cadere le mani dal piano, io lo guardai stranita; non riuscivo a capire a cosa si riferisse. Lui mi guardava, molto probabilmente si era accorto che non avevo capito bene a cosa si riferisse – non è forse tuo questo? - . Tra le mani aveva il mio mp3, il mio adorato mp3, ecco dov’era finito. Lo guardai e feci si con la testa, poi mi avvicinai per recuperarlo. – Ti sarà scivolato ieri mentre scendevi dalla macchina – disse porgendomi l’mp3. – Grazie prof – ringraziai. Lui si voltò e continuò a suonare quella melodia. Dio, quelle dita lunghe su quel piano, quella melodia; mi stava semplicemente trasportando in un’altra dimensione. – E’ strano per un professore di matematica saper suonare il piano – dissi stupidamente. – Sono umano, il professore è solo la mia professione, ho anche una vita sai? – disse ridendo. Io mi sentivo le guance bollenti, perché continuavo a dire solo cavolate? E soprattutto, perché sempre in sua presenza? Il professore mi guardò e mi fece spazio accanto a lui, io prima di sedermi tentennai un pochino ma poi cedetti. – Sono rimasto con te da solo nella mia mente, e nei miei sogni ho baciato le tue labbra migliaia di volte – disse guardandomi negli occhi. Il cuore a momenti usciva dal petto per il suo forte tamburellare, ma cosa stava succedendo? E cosa aveva appena detto? – Non è forse così che inizia la tua canzone?- si voltò e iniziò a mettere più note assieme che composero quella magnifica melodia. – Era ancora acceso quando lo trovai e la prima canzone era proprio questa, presumo sia la tua preferita – mi disse mentre continuava a suonare, io chiusi gli occhi e mi lasciai cullare e con un cenno della testa annuii.
La campanella suonò ed io dovetti tornare in classe, la ricreazione era finita e non ero riuscita ad andare in biblioteca, avevo però di nuovo con me il mio amato mp3 ed avevo scoperto una nuova cosa del professore; sapeva suonare il piano e soprattutto cantava divinamente.
Mentre tornavo in classe qualcuno mi prese per il braccio, era Key ed aveva un’espressione piuttosto arrabbiata. – Posso sapere cosa sta succedendo? – disse portandosi una mano alla fronte. Io lo guardai stranita – cosa intendi? – dissi inclinando un po’ il capo. – Cosa intendo? Oh signorinella, sai benissimo cosa intendo!- . La cosa era seria, lui sembrava molto arrabbiato ed io non riuscivo a capire a cosa alludesse con quelle parole. – Ieri ti ho vista scendere dalla macchina del nuovo professore di matematica oggi, invece, vedo che lasciate entrambi la sala di musica, posta tra l’altro in un’altra zona della scuola e in un luogo dove non ci va mai quasi nessuno -. Io lo guardai e per un attimo rimasi intontita, non sapevo cosa dire perché quelle avvenute erano solo coincidenze, ma sapevo che se l’avessi detto a Key di sicuro non mi avrebbe creduto. Stavo per aprir bocca quando improvvisamente arrivò Sully – ehi voi due, non avete intenzione di tornare in classe? Guardate che la signorina Anderson è già arrivata- , Key mi lanciò un’occhiata di ghiaccio e raggiunse Sully per andare in classe.
Le ore passarono velocemente ed io pensavo sempre alla stessa cosa. In realtà era successo tutto così in fretta che manco io riuscivo bene a capire. L’unica cosa che sapevo era che dovevo assolutamente parlare con Key e chiarire questo malinteso.
Eppure quella strana sensazione era ancora in me. Ripensai per un attimo a ciò che era accaduto nella sala musica ed il mio cuore ritornò a battere forte. Perché quell’uomo era capace di farmi questo strano effetto? – Oh cavolo Ciel, ma ti rendi conto che stiamo parlando del tuo professore di matematica – ripetevo tra me e me.
Mi ricomposi e ritornai ad ascoltare la lezione.
All’uscita da scuola Key non volle tornare con me in bus, disse che aveva da fare e che si sarebbe trattenuto a scuola più del dovuto. Afferrai il concetto e me ne tornai a casa da sola, accesi l’mp3 e mi immersi nel mio mondo.
Erano verso le 20:00 quando decisi di andare a fare una passeggiata, in realtà avevo intenzione di mandare un messaggio a Key e dirgli di incontrarci al parco.
Trovai un pretesto con i miei ed uscii.

Ciao Key, sono appena uscita da casa e mi sto dirigendo al parco
che ne dici vuoi farci un salto? Ti aspetto alla solita altalena.
                                                                                                Ciel.
Inviai il messaggio e mi incamminai.
Arrivata a destinazione come promesso mi sedetti sull’altalena ad aspettarlo.
Erano ormai le 20:32 e di Key manco l’ombra. Improvvisamente, però, vidi spuntare Scricciolo, il suo cagnolino che scodinzolando a più non posso mi si avvicinò.
Key arrivò, non mi guardò e si sedette direttamente sull’altalena accanto alla mia.
- Ecco Key, io in realtà volevo parlarti del malinteso che si è venuto a creare – dissi cercando di aggiustare le cose. – Non preoccuparti, non hai nulla da dovermi spiegare, anzi scusa se oggi ti ho assalita in quel modo -. Key si scusò ma il suo tono continuava ad essere freddo ed io cominciavo seriamente a preoccuparmi. Non era mai capitato prima una cosa del genere, avevo paura, paura di perdere il mio migliore amico. Cominciai a piangere e Key si voltò a fissarmi. – Scusami Key è che io ho davvero paura. Credimi quelle di ieri e oggi sono state solo coincidenze. Non è successo nulla tra me ed il nuovo prof -. Le lacrime continuavano a scendere interrottamente dai miei occhi. Mi stavo vergognando per quello che stava accadendo, eppure non riuscivo a fermarmi. Key si avvicinò a me, si accovacciò e mi asciugò le lacrime. – Adesso smettila – mi disse quasi sussurrando. – Sei bellissima quando sorridi, non rovinare il tuo viso con queste lacrime. Se dici che non è successo nulla io ti credo ma sai, sono il tuo migliore amico e mi piacerebbe essere informato la prossima volta. Cosa succede se ti prendi una cotta per il professore? – Io smisi di piangere e alzai lo sguardo per guardarlo. – Una cotta per il prof? – ritornai a sguardo basso e mi strinsi una mano al cuore; in effetti Key non aveva tutti i torti, qualcosa dentro di me si stava muovendo ma ancora non avevo capito cosa fosse esattamente.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


I mesi trascorsero veloci, la fine del quadrimestre era vicina e con essa si avvicinava anche il Natale.
Era una giornata grigia e piovosa ed eravamo nell’ora di matematica.
Il professore stava interrogando Victoria che, nonostante fosse super preparata e fidanzata aggiungerei, ci provava spudoratamente con il prof.
Io me ne stavo nel mio banchetto con le mani tra i capelli; al primo quadrimestre ero riuscita a prendere pieni voti in tutte le materie tranne che in matematica, ma non potevo farci nulla, quella materia davvero non mi andava giù.
L’interrogazione di Victoria continuava e tutta la classe era intenta a guardarla con aria di sufficienza.
- Allora prof, le è piaciuto il mio orale? – disse mordendosi le labbra e toccandosi i capelli. Odiosa! Il professore la guardò e rise – che dire signorina Victoria, da una come lei mi aspettavo di meglio -. Tutta la classe scoppiò in una sonora risata mentre Victoria seccata se ne tornò a posto. I miei occhi luccicavano dalla contentezza ed io e le mie amiche ridevamo a più non posso. Il professore ci sapeva proprio fare, ed io.. me ne stavo innamorando.
L’ora passò in fretta ed il prof prima di andare via fece una serie di annunci.
L’ultimo non fu di mio gradimento.. oppure si?
- Bene ragazzi, siccome siamo quasi alla fine del quadrimestre da vostro coordinatore è mio compito dirvi determinate cose. Sapete tutti benissimo che la vostra situazione in matematica non è delle migliori, ma con impegno siamo riusciti, bene o male, ad arrivare tutti alla sufficienza, eccetto una persona -. Io abbassai il capo, sapevo stesse parlando di me. Quando l’alzai mi ritrovai il prof che intanto si era seduto davanti alla cattedra con le mani conserte che mi fissava divertito. – Allora signorina Owen? – io lo guardai e non sapevo cosa rispondere. – Ho fatto di tutto prof – dissi con un viso disperato, manco mi fosse morto il gatto. – Lo so signorina Owen, lei ha dei bellissimi voti in tutte le materie, ma nella mia purtroppo non riesce ad arrivare alla sufficienza, almeno non quella piena -.
 Ero davvero disperata, anche le mie amiche non erano poi così brave, ma avevano avuto delle botte di culo ed io lo venni a sapere troppo tardi. Savannah e Sully studiavano assieme e Sully era bravissima. Ines aveva Jonny che l’aiutava; lui studiava al liceo scientifico. Il padre di Sophie era un famoso ragioniere, mentre Jasmine e Selvy se la cavavano a scrocco, per quanto riguarda Key aveva provato più volte ad aiutarmi, ma la mia testa di coccio proprio non riusciva ad impegnarsi e soprattutto ero troppo impegnata con la pallavolo per pensare alla matematica.
- Sarò rimandata? – dissi quasi piangendo. Il professore scoppiò in una sonora risata e con lui anche le mie amiche. Ines mi guardava tipo ‘ ma cavolo dici?’
- Come può essere rimandata? – disse il prof una volta asciugatosi le lacrime dal tanto ridere. Si divertitevi pure su una povera disagiata. – Semplicemente le servono delle ripetizioni – aggiunse.
Ripetizioni? E adesso chi lo diceva ai miei? In diciotto anni di vita non avevo mai avuto bisogno di ripetizioni, perché proprio adesso che stavo per diplomarmi?
- Ne ho parlato con gli altri professori, sarò io stesso a darti ripetizioni quindi non preoccuparti, i tuoi non si devono manco scomodare per trovare un bravo prof-.
Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata mentre i miei occhi stavano sicuramente per uscire dalle orbite. Tutta la classe rimase in silenzio mentre le mie amiche sottovoce mi prendevano in giro. Mi voltai verso Key e vidi che guardava fuori dalla finestra, aveva i pugni stretti e piano, dava dei piccoli colpetti al banco. Il mio cuore continuava a battere, mi guardavo intorno e tutto si faceva lento; il tempo si era fermato ma una voce, però fece tornare tutto alla normalità.
- La santarellina con il prof di mate – disse quella vipera di Victoria. – Mi raccomando cara, è solo un ventisettenne, vedi di non fargli cambiare idea sulle donne- rise e andò via. Savannah si avvicinò e la fulminò con lo sguardo. – La odio troppo a quella tizia io. E’ ancora viva perché l’omicidio è illegale altrimenti sarebbe morta per mano mia già da un bel pezzo – tutte la guardammo e scoppiammo a ridere. – Che fortuna che hai avuto Ciel – disse Sophie mentre si specchiava – manco io vado bene a mate, perché mio padre è ragioniere? – disse un tantino infastidita. Ines intanto mi accarezzava i capelli, lei era l’unica che aveva fiutato qualcosa sin dal primo giorno di scuola, ma era stata sempre in silenzio.

Un’altra pesante giornata di scuola era terminata. Salutai le mie amiche e stavo per andare via. Pioveva a dirotto ma fortunatamente avevo il mio caro ombrellino giallo sempre a portata di mano. Lo comprai giallo proprio perché era il colore del sole, e in una giornata di pioggia un po’ di sole ci voleva proprio. Feci per incamminarmi quando una voce sulla soglia della porta mi fermò. – Signorina Owen – era il prof che se ne stava lì senza ombrello. – Le serve un passaggio prof? – dissi io con tutta la naturalezza di questo mondo, lui mi guardò e mi sorrise – in realtà volevo parlarti delle ripetizioni, ma se sei tanto gentile da accompagnarmi alla macchina te lo dico strada facendo -. Io annuii e feci spazio al prof sotto il mio ombrello, lui mi si avvicinò e poggiò le sue mani sulle mie per prendere il manico. Ecco che il mio cuore ritornò a tamburellare, eravamo troppo vicini, avevo paura potesse sentire.
- Siccome siamo agli sgoccioli vorrei iniziare le ripetizioni da domani se per te non è un problema – disse – avrei voluto cominciare oggi ma a quanto pare la scuola non ha potuto darci un’aula -. Io lo guardai e con la stessa naturalezza di prima dissi – ci sarebbe la biblioteca prof, di solito non ci va mai nessuno, non potremmo usufruirne? -
Il professore mi guardò interessato – hai ragione, allora vai pure a casa torno indietro e dopo mi arrangio per la pioggia, se faccio presente subito la cosa alla preside magari domani potremo iniziare -. Si staccò dal manico e iniziò a correre come un disperato sotto la pioggia; per la seconda volta non riuscivo a vederlo come un prof, era troppo buffo. Si voltò indietro e lanciò un sorrisone bellissimo. Come potevo non amare quel sorriso?
Tornai a casa e raccontai delle ripetizioni ai miei che stranamente accettarono con entusiasmo. – Ti farà bene fare della vera matematica – disse mia madre mentre apparecchiava la tavola.


Il giorno seguente mi avviai a scuola e dopo cinque ore di lezione mi diressi, come promesso, in biblioteca. Ero arrivata in anticipo quindi feci un giro tra gli scaffali mentre accarezzavo qualche libro e, ad occhi chiusi, mi lasciavo cullare lentamente dal profumo che emanavano. Quando aprii gli occhi mi ritrovai il professor Wolf che, poggiato ad uno scaffale a braccia conserte, mi guardava con un piccolo sorriso. – Da quanto è lì prof? – dissi con gli occhi sgranati come quando si vede un mostro. – Tanto da capire che sei innamorata di questi meravigliosi libri – disse lui mentre si avvicinava. – Ti piace leggere? – mi chiese interessato – tantissimo e oltre a leggere adoro anche scrivere, lo faccio sin da bambina, è proprio amore – sorrisi mentre diventavo rossa. Improvvisamente sentimmo un rumore fortissimo, come se qualcuno avesse urtato su qualcosa. Il professore si sporse mentre io indietreggiai.
Da lontano qualcuno ansimava, cosa cavolo stava succedendo?
Il professore mi portò le mani intorno al collo, sentivo la pressione che si alzava mentre l’uso delle gambe mi stava quasi abbandonando. Poggiò lentamente una mano sulla mia  bocca come se volesse impedirmi di parlare. – Shh – mi bisbigliò.
Improvvisamente sentimmo un altro rumore, questa volta più forte e più vicino.
- Dio Mc Flurry – una voce femminile spezzò il silenzio.
Io ed il prof ci guardammo increduli.
Lì su quei banchi polverosi e quei meravigliosi libri, quasi al buio, la preside ed il prof Mc Flurry colti in flagrante.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Diventammo entrambi rossi dalla vergogna, il professor Wolf mi prese la mano e mi trascinò via da quel luogo che ormai era diventato lo scenario di un film a luci rosse.
Ci fermammo verso la sala di musica e nessuno dei due si azzardava a parlare, l’imbarazzo era tatuato sui nostri volti, solo restammo fermi e ci tenevamo per mano.
Passarono alcuni minuti e quando ci rendemmo conto di essere ancora per mano lasciammo la presa subito. – Scusami – mi disse il prof imbarazzato. – Non si preoccupi – cercai di rassicurarlo. – Ieri la preside non era disponibile per ricevermi così parlai con la segretaria della questione ‘biblioteca’ ma molto probabilmente non avrà riferito il mio messaggio – confessò lui. – Dobbiamo assolutamente trovare un posto per le ripetizioni.. ehm.. le sta bene casa mia? – a quelle parole il mio cuore cessò di battere per qualche minuto. La sola idea mi faceva tremare tutto il cuore.
Era la prima volta che mi sentivo così, le mani mi stavano sudando, il cuore a momenti usciva dal petto ed io, non riuscivo a parlare.
- Signorina Owen? – la voce del professore mi riportò alla realtà. – Che dice, è un problema per lei? – mi disse toccandosi la nuca. Io mi feci coraggio e risposi - no prof, se per lei va bene.. – il professore sorrise, mi fece strada e ci dirigemmo verso la sua auto.


Arrivammo nel suo quartiere.
Era un quartiere tranquillo e molto diverso dal mio, si vedeva lontano un miglio che non vi abitavano famiglie, era troppo silenzioso ed ordinato.
La casa del prof era grandissima ma piuttosto bianca ed aveva, a mio parere, un qualcosa di malinconico.
- Prego entri signorina Owen e non faccia caso al disordine – disse imbarazzato, ma non riuscivo a capire di quale disordine parlasse poiché era tutto ordinato e pulito.
Andammo in salotto e mi fece segno per farmi capire di sedermi.
- Mi dispiace ancora per prima – disse per l’ennesima volta imbarazzato. – Non si preoccupi professore, lei non poteva saperlo -. In effetti la notizia lasciò a bocca aperta entrambi, non potevamo minimamente immaginare che la preside ed il prof Mc Flurry se la spassassero in quel modo.
Cominciammo con le ripetizioni, io ero davvero molto agitata e non sapevo assolutamente dove avrei dovuto prendere la concentrazione.
Il professore mi era vicino, forse un po’ troppo, lo sentivo respirare ed il suo profumo era così bello.. sapeva di uomo.
Per circa un’oretta restammo in quel modo; lui intento a spiegare ed io col cuore in gola.
- Si fa una pausa? – mi disse mentre si stiracchiava, io lo guardai e col capo feci si sorridendo. Lui si alzò dalla sedie e si diresse molto probabilmente in cucina – se hai bisogno del bagno è la seconda porta a destra – mi disse mentre si allontanava.
In effetti ne avevo proprio bisogno così mi alzai e mi diressi in corridoio e mentre raggiungevo la porta del bagno una foto richiamò particolarmente la mia attenzione.
Era una foto,presumo, non troppo vecchia e c’era il professore con una ragazza, alta, bellissima con occhi grandi e blu come il mare.
Quando ritornai in salotto il prof era seduto al tavolo con due tazzone di cioccolato caldo ed era intento a soffiare nella sua tazzona. Alzò lo sguardo e mi sorrise – prego, vieni Ciel - . Quando gli sentii pronunciare il mio nome il mio cuore ebbe un sussulto, le sue labbra in movimento erano così belle e soprattutto il suono che emanavano mi lasciava sempre pietrificata. Arrossii e abbassai il capo – oh, scusami forse non è abituata a tutta questa confidenza signorina Owen, se vuole non la chiamo più Ciel – disse quando si accorse del mio imbarazzo. Io alzai il capo e quasi balbettando dissi che mi andava bene e che poteva darmi del tu.
Bevvi la mia cioccolata calda, intorno a noi c’era silenzio; un silenzio che non faceva altro che rendermi sempre più nervosa.
- Ehm, ecco prof in realtà prima ho visto una foto in corridoio.. è la sua ragazza? – chiesi come se fosse una domanda tipo ‘ quanto fa due più due?’, non sapevo manco io cosa mi era preso in quel momento. Il professore distolse lo sguardo dalla sua cioccolata e lo rivolse a me. Non l’avevo mai visto in quel modo, lo conoscevo da tre mesi eppure quello sguardo mi era nuovo. Uno sguardo profondo ma assente allo stesso tempo; mi ci perdevo dentro.
- Lei era la mia ragazza.. – disse sottolineando ‘era’ – E’ morta in un incidente d’auto la scorsa estate -. A quella notizia ebbi una stretta al cuore, non potevo minimamente immaginare una cosa del genere. Mi portai una mano sulle labbra – mi scusi, non volevo – dissi quasi come se stessi per piangere. Il professore mi guardò nuovamente. I miei occhi erano rossi, per l’ennesima volta avevo fatto una figuraccia; una figuraccia che non mi sarei mai potuta perdonare. Chiusi gli occhi e feci un profondo sospiro, quando li riaprii vidi il suo volto davanti al mio, troppo vicino per evitare il suo sguardo, troppo vicino per non sentirlo respirare, troppo vicino per non accorgermi di quanto io lo amassi già.
Lui mi prese la mano e la tolse dalla mia bocca, si avvicinò e mi asciugò una lacrima che intanto non ero riuscita a fermare – che carina – sorrise.
- Non ti devi preoccupare – mi diede del tu – non potevi saperlo -.
Nonostante mi avesse detto questo io mi sentivo in colpa, tremendamente in colpa e mi scusai per altre cinquanta volte. Lui mi raccontò di quanto l’avesse amata e di come fosse stato il destino tanto crudele con loro.
In quel momento mi sentii inadatta, ero lì e lui mi stava aprendo il suo cuore ed io non potevo fare nulla per aiutarlo, potevo solo ascoltare; anche se avrei voluto tanto abbracciarlo.
Il tempo stava scorrendo via come se nulla fosse, eravamo così impegnati a parlare che non ci rendemmo conto dell’ora e della pioggia che stava cadendo chissà da quanto tempo ormai.
- Non pensavo tu fossi così matura – mi disse accennandomi un piccolo sorriso.
Io lo guardai e ricambiai il suo sorriso – grazie – dissi sottovoce.
Mi sentivo bene ma allo stesso tempo ero triste; triste perché mi aveva parlato del suo amore, di quanto fosse stato innamorato e di quanto amasse ancora e pensavo a me, che semplicemente mi stavo cacciando in un guaio più grande di un’intera casa. Pensavo a Key, al mio migliore amico, che mi aveva avvisato e aveva previsto tutto.


Ormai si era fatta ora e dovevo tornare a casa, sicuramente i miei si stavano chiedendo per quale motivo ritardassi. Anche la pioggia cessò di cadere e quindi potevo lentamente incamminarmi.
Presi le mie cose e le riposi lentamente nella borsa, feci per alzarmi e andar via quando qualcosa mi tirò indietro facendomi inciampare e cadere come una stupida.
Chiusi gli occhi dalla paura e quando li riaprii vidi che ad attutire la mia caduta era stato il professore.
Era completamente coricato sopra di me ed aveva le sue mani sotto al mio capo per evitare che mi facessi male.
In quel momento ci fu silenzio. Bum bum  qualcuno stava bussando, era il mio cuore che non cessava di correre all’impazzata. Non ci scostavamo, non distoglievamo lo sguardo, lui semplicemente restava immobile come se avesse prese il mondo tra le mani. Mi guardava con quegli occhi profondi ed io guardavo lui. Sembravamo esserci catapultati in un altro mondo, dove non esisteva nessuno, dove c’eravamo solo io e lui, dove non esistevano ragioni, dove si perdeva praticamente la testa.. dove non si era più coscienti. I respiri diventarono affannati e i cuori battevano all’unisono.. il tempo si fermò e quando riuscii a riprendere coscienza le sue caldi labbra avevano già incontrato le mie.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Restammo in quel modo per una paio di minuti e quando il tempo riprese a scorrere ci staccammo di colpo. Ci guardammo come se avessimo commesso l’errore più brutto della nostra vita ed entrambi avevamo, molto probabilmente, la pressione alle stelle.
Il mio cuore si faceva sentire; a quanto pare non aveva nessuna intenzione di starsene buono per conto suo. Il professore si portò una mano sugli occhi, si vergognava e si vedeva. Io ero completamente pietrificata, troppo sorpresa per dire qualcosa, troppo emozionata per restare lì a parlare.
- Scusami Ciel – disse mentre guardava da un’altra parte – Non so cosa mi sia preso, ti chiedo umilmente scusa -.
 A quelle parole non sapevo cosa rispondere. Tremavo, tremavo ed era evidente. Si alzò da terra e mi porse la sua mano – Ti aiuto ad alzarti – disse ancora imbarazzato. Io allungai la mano e restavo in silenzio con lo sguardo basso, pensavo che molto probabilmente non avrei avuto più il coraggio di guardarlo in faccia. ‘E’ possibile innamorarsi in soli tre mesi?’ ripetevo tra me e me, e quando alzai lo sguardo trovai la risposta davanti ai miei occhi.


Tornai a casa con il suo sapore ancora stampato sulle labbra. Sapevano di lui, sapevano del caro professore Lendon Wolf, colui che aveva rapito il mio cuore.
La notte non riuscivo a dormire, pensavo sempre alla stessa cosa e mi chiedevo cosa esattamente avesse spinto il professore a fare un gesto del genere.
Erano verso le due di notte quando decisi di chiamare Savannah, innamorata da sempre, colei che avrebbe potuto sicuramente aiutarmi.
- Ehm, pronto? – disse Savannah tutt’assonnata.
- Ciao Savannah, sono io.. scusami se ti disturbo a quest’ora – dissi, pentendomi amaramente di averla chiamata nel cuore della notte.
- Ciel? Come mai mi hai telefonata? E’ successo qualcosa? -
A quelle parole un vulcano dentro di me eruttò improvvisamente.
- C’è che è la prima volta che mi sento in questo modo. C’è che so che sto facendo un errore, un errore grande molto più di me stessa e so pure che non porterà a nulla di buono.
Innamorata, molto probabilmente, sin dal primo giorno. Del suo sorriso, della sua voce, dei suoi occhi e di quelle mani che lentamente sfiorano il piano.
Già, delle sue mani che si poggiano sulle mie con naturalezza e le stringono forte ma delicatamente. Delle sue mani tra i miei capelli. Della sua bocca che pronuncia il mio nome, il movimento delle labbra, il calore che emanano e la dolcezza, quando hanno incontrato le mie – dissi tutto d’un fiato mentre mi immersi in un fiume di lacrime.
Savannah restò per qualche minuto in silenzio – Ciel, te sei impazzita – disse.
In fondo non aveva tutti i torti, ero realmente impazzita e lo sapevo, ma non potevo farci nulla.
- Ma se sei innamorata, segui il tuo cuore – aggiunse.

Il mattino seguente incontrai, come sempre, Key alla fermata del bus.
- Come sono andate le ripetizioni? – mi disse un po’ infastidito. – Bene – risposi io, fingendo che nulla fosse successo, anche se in realtà quella mattina avrei voluto tanto starmene nel letto ed evitare di vedere il professore. Come avrei dovuto comportarmi?
La campanella suonò e alle prime due ore avevamo proprio matematica.
Ines non era venuta a scuola e quindi mi ritrovai sola, al primo banco..
Il professore entrò, tutto sembrava normale, era tranquillo e portava tra le mani dei fogli bianchi. – Compito a sorpresa – disse tutto entusiasta. La classe sbottò in un urlo di disapprovazione mentre io fui colpita da una doccia fredda in pieno inverno.
Il professore girò per i banchi e lasciò a tutti il foglio bianco della verifica e quando mi si avvicinò io semplicemente restai col capo abbassato, ancora mi batteva troppo il cuore per ciò che era successo il giorno prima. Passò per tutti i banchi ed io mi voltai a guardarlo, sembrava tranquillo, proprio come se nulla tra di noi fosse successo. Ci diede un’ora di tempo e noi iniziammo la verifica.
Quando posai lo sguardo su quel foglio mi accorsi che erano tutti gli esercizi che avevamo provato il giorno prima e quindi sapevo perfettamente tutte le risposte, sgranai gli occhi e portai il mio sguardo a lui, che intanto si era seduto alla cattedra. Aveva tra le mani il registro e stava riportando la nostra verifica.
Cominciai a scrivere e il tutto non mi sembrava vero, era la prima volta che conoscevo a memoria tutte le risposte e mi emozionai per questo.
Alla fine della verifica tutti erano arrabbiati per la decisione del prof poiché nessuno aveva studiato io, invece, ero al settimo cielo perché l’otto per quel compito nessuno me lo toglieva. Il professore lasciò la classe ed io, dimenticandomi per un momento dell’accaduto, gli corsi incontro per ringraziarlo; in un certo senso sapevo che l’aveva fatto per me. – Professore- dissi correndo mentre lui si allontanava. Il professore si girò, mi guardò ma distolse subito lo sguardo, sembrava imbarazzato. Fu in quel momento che mi ‘ricordai’ dell’accaduto e mi sentii stupida, tanto stupida.
- Mi dica signorina Owen – disse il professore ritornandomi a guardare. – Ecco.. – dissi io esitando – in realtà volevo ringraziarla, guardando il compito mi sono accorta di conoscere a memoria tutte le risposte, poiché erano quelle provate ieri.. mi sentivo in debito con lei -. Il professore mi guardò – Non deve sentirsi in debito con me, io ho semplicemente fatto il mio lavoro e lei il suo, adesso la sua media potrà trovare una stabilità e al primo quadrimestre le garantisco il sette pieno, non ha più bisogno delle ripetizioni e al secondo quadrimestre cerchi di impegnarsi di più – disse con tono freddo e scostante, mi salutò ed andò via. Per un po’ io rimasi impalata a guardarlo lasciare il corridoio, gli occhi mi bruciavano, molto probabilmente mi si erano riempiti di lacrime, qualcuno mi poggiò una mano sulla spalla e mi diede una piccola pacca.
- Era a questo che ti riferivi stanotte? – disse Savannah con aria preoccupata.
Stupidamente una lacrima scivolò dal mio viso – Oh, Dio buono.. perché sto piangendo? – dissi con un sorriso imbarazzato. Savannah mi accolse tra le sue braccia – Ti sei cacciata in un bel guaio amichetta mia, ma è tipico di te.. distanze, amori impossibili, sei sempre stata una persona affascinata da queste cose ma non pensavo potessi davvero provarli anche nella vita reale -  mi confidò mentre si accorse che da lontano qualcuno ci stava osservando.



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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


NB: Questo capitolo è stato scritto dal punto di vista del professore riportando le sue emozioni

Eravamo troppo vicini e la cosa mi faceva stranamente battere il cuore, così decisi di prendere una pausa.
La guardavo, era così concentrata, sapevo che non ci stava comunque capendo nulla e la cosa mi faceva sorridere. Una ragazza di soli diciotto anni che riusciva a farmi sentire diverso, manco la mia cara Eles ci riusciva in questo modo.  Divisa sempre apposto, trucco leggero, gote rosa e capelli lunghi e neri, sembrava una bambola di porcellana. – Si fa una pausa? – dissi mentre fingevo di stiracchiarmi, lei mi guardò e col capo fece si sorridendomi. Un sorriso che le illuminava il viso. Mi alzai dalla sedia e mi diressi in cucina, con la scusa della cioccolata calda avrei anche potuto prendere una bella boccata d’aria. - Se hai bisogno del bagno è la seconda porta a destra – dissi e mi allontanai.
Preparai due tazzone di cioccolato caldo, col freddo che faceva fuori ci volevano proprio, ormai il Natale era vicino ed il clima non era uno dei migliori. Ritornai in salotto e mi accorsi che Ciel non c’era, molto probabilmente era andata in bagno. Mi sedetti e cominciai a soffiare nella mia cioccolata bollente. Ecco che spuntò Ciel con uno sguardo strano, perso. La guardai - prego, vieni Ciel – le dissi, convinto di richiamare al 100% la sua attenzione. Divenne rossa come un peperone ed abbassò di colpo il capo, mi sentii un po’ imbarazzato anch’io, le sue reazioni mi facevano sempre uno strano effetto.  - Oh, scusami forse non è abituata a tutta questa confidenza signorina Owen, se vuole non la chiamo più Ciel – dissi per farla stare meglio, lei mi guardò e quasi balbettando mi disse che andava bene e potevo darle del tu.
Si sedette ed iniziò a bere la sua cioccolata, sembrava così piccola ed innocente, mi faceva venir voglia di proteggerla. Mentre pensavo a tutto questo mi sentivo terribilmente in colpa, tutto questo movimento in me doveva finire; quando esattamente avevo cominciato a provare questo per lei? Molto probabilmente quando ritrovai il suo mp3, visto che stetti tutta la notte a cercare lo spartito di quella canzone solo per richiamare la sua attenzione. Mentre ero assorto tra i miei pensieri mi accorsi che intorno a noi c’era silenzio, un silenzio un po’ imbarazzante.
- Ehm, ecco prof in realtà prima ho visto una foto in corridoio.. è la sua ragazza? – mi chiese con estrema naturalezza, quando faceva così un po’ la invidiavo, perché la sua non era cattiveria o altro, era pura ingenuità. Distolsi lo sguardo dalla mia cioccolata e lo rivolsi a lei. La guardai come una persona di cui mi fidavo ciecamente e così decisi di dirle la verità. - Lei era la mia ragazza.. – dissi scandendo bene le parole -E’ morta in un incidente d’auto la scorsa estate -. Ciel mi guardò con degli occhi profondamente dispiaciuti per la sua domanda, si portò una mano sulle labbra – mi scusi, non volevo – mi disse mentre quasi stava per piangere. A quella scena ebbi una stretta al cuore, non volevo che stesse male per una cosa che non la riguardava.. Mi avvicinai lentamente al suo viso, avevo intenzione di baciarla in quel momento, avevo intenzione di dirle ‘ non piangere piccola, non è colpa tua’ ma non potevo, allora mi limitai a prendere la sua mano, la tolsi dalla sua bocca e le asciugai quella lacrima che non era riuscita a trattenere – che carina – mi limitai a dire sorridendo. – Non ti devi preoccupare, non potevi saperlo – aggiunsi, sperando potesse farla sentire meglio. Leggevo il sentimento di colpa e l’imbarazzo nei suoi occhi, non potevo lasciarla in quello stato allora decisi di raccontarle un po’ di me. Non volevo iniziasse a provare qualcosa per me allora le raccontai di quanto avessi amato Eles e di quanto il destino fosse stato crudele con noi, ma soprattutto di quanto l’amassi ancora. Mi ascoltava mentre il tempo scorreva, ma io non pensavo a nulla, semplicemente fissavo quegli occhioni scuri. - Non pensavo tu fossi così matura – le dissi complimentandomi, anche se in realtà avevo capito tutto sin dal primo giorno, quando pazientemente stette con me e la mia macchina rotta prestandomi gentilmente il suo aiuto. – Grazie – mi disse sorridendo e quasi sottovoce.
Guardai l’orologio e mi accorsi che si era fatto tardi, avrei voluto accompagnarla a casa ma la cosa si sarebbe ripetuta e se qualcuno ci avesse visti ci sarebbero stati problemi.
Prese le sue cose e fece per incamminarsi ma una piccola parte di stoffa della sua gonna era rimasta impigliata nel gancio del tavolo, facendola cadere. Fortunatamente fui abbastanza veloce da afferrarla e mettere le mani sotto il capo, se si fosse fatta male non me lo sarei mai perdonato. Mi ritrovai improvvisamente coricato sul suo corpo ed il suo viso quasi appiccicato al mio.
Sentii il mio cuore battere velocemente, tutto questo non sarebbe dovuto succedere.. mi stavo innamorando. Non ci scostavamo, non distoglievamo lo sguardo, io semplicemente restavo a guardarla.. avevo il mondo tra le mani, tutto ciò di cui avevo bisogno. Il tempo sembrò fermarsi e addirittura non riuscivo manco più a sentire la pioggia cadere. Le lancette dell’orologio giravano al contrario ed erano silenziose. In quel momento il cervello stava lottando col mio cuore, la ragione voleva vincere il sentimento ma qualcosa subentrò lasciando in secondo piano i due; fu l’istinto. Lentamente mi avvicinai di più alle sue soffici labbra, potevo sentire il suo respiro. I nostri cuori battevano all’unisono ed io molto probabilmente ero diventato matto. Non ero più in grado di ragionare e mi ero perso completamente; persi la coscienza e quando la ripresi mi accorsi che le mie labbra avevano già incontrato le sue.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


NB: Questo capitolo è stato scritto dal punto di vista del professore riportando le sue emozioni
La dolce sensazione delle sue morbidi labbra sulle mie mi fece perdere qualche anno, in quel momento non  mi sentivo affatto come il suo professore di matematica, semplicemente ero un ragazzo normale, come tanti che stava assaporando per la prima volta l’amore. Restammo in quel modo per un paio di minuti e quando il tempo riprese a scorrere ci staccammo di colpo. Lei mi guardava con aria stupita e lo stesso feci io, non riuscivo minimamente a capire il perché di questo mio gesto. Se ne stava seduta davanti a me col rosso in viso che la rendeva ancora più bella.
Mi portai una mano sugli occhi, ero imbarazzato e mi sentivo una persona crudele. – Scusami Ciel – le dissi senza guardarla – non so cosa mi sia preso, ti chiedo umilmente scusa -.
Posai il mio sguardo su di lei e la vidi tremare; che avesse avuto paura di quel mio gesto?
Mi avvicinai lentamente e le porsi la mano – ti aiuto ad alzarti – dissi ancora imbarazzato ma per lo più in colpa. Lei allungò la sua mano verso di me, restava in silenzio con lo sguardo basso.. ‘E’ possibile innamorarsi in soli tre mesi?’ ripetevo tra me e me, e quando lei ritornò a guardarmi, trovai la risposta davanti ai miei occhi.

Ciel andò via mentre io mi gettai di colpo sul divano, avrei voluto seriamente portare il tempo indietro per non commettere nuovamente lo stesso errore. Stetti tutta la notte sveglio a pensare, dovevo assolutamente trovare una soluzione e cosa fondamentale, non potevo restare solo con lei.
Accesi il computer e feci delle stupide ricerche; iniziai seriamente a pensare di essere malato. Una voce dentro me, però, mi consigliava di vedere la cosa da un’altra prospettiva: pensa se vi foste incontrati fuori dal contesto scolastico, due ragazzi che si innamorano, cosa può esserci di cattivo?
Il ragionamento non era male ma il punto non era questo, il punto era che noi purtroppo ci eravamo incontrati e conosciuti in un contesto preciso, dove entrambi avevamo dei ruoli e delle posizioni da rispettare. Io ero il suo professore, lei la mia piccola alunna.

Il mattino seguente mi preparai per andare a scuola, ero completamente distrutto ma felice perché ero riuscito a trovare una soluzione. Potevo fare un’ennesima verifica di matematica con gli esercizi che lei conosceva, così la sua media sarebbe migliorata e non avrebbe avuto più bisogno di ripetizioni; niente ripetizioni, niente tempo con lei.
La cosa mi rendeva un po’ triste ma era la soluzione migliore. Decisi di andare a lavoro e comportarmi come se nulla fosse successo. Restai per poco tempo fermo davanti alla porta prima di entrare in classe, tirai un forte sospiro e col mio sorriso di sempre decisi di affrontare quella giornata. – Compito a sorpresa – dissi tutt’entusiasta. La classe sbottò in un urlo di disapprovazione mentre vidi Ciel immobile, persa con lo sguardo nel vuoto. ‘Non preoccuparti ‘ dissi nella mia mente, ‘ sto facendo tutto questo per salvare entrambi ‘.
Girai per i banchi e lasciai la verifica ad ognuno dei miei alunni, quando mi avvicinai a lei vidi che restava ancora col capo abbassato, quella mattina era sola nel suo banco. Diedi un’ora di tempo e ritornai alla cattedra per riportare la verifica sul registro. Per tutta l’ora l’osservai, sorrideva, aveva capito che quel compito era stato studiato interamente per lei. Mi sentivo soddisfatto; nonostante tutto ero riuscito a farla sorridere. Alla fine dell’ora consegnarono i compiti. Sui volti dei miei alunni leggevo l’odio più profondo, Ciel era l’unica ad essere rilassata. Lasciai la classe e mi stavo dirigendo verso la segreteria quando una voce richiamò la mia attenzione. – Professore – era Ciel che si avvicinava a me correndo. La guardai ma distolsi stupidamente lo sguardo; perché continui a cercarmi Ciel? – Mi dica signorina Owen – dissi quando riuscii a guardarla di nuovo . – Ecco.. – disse quasi esitando - in realtà volevo ringraziarla, guardando il compito mi sono accorta di conoscere a memoria tutte le risposte, poiché erano quelle provate ieri.. mi sentivo in debito con lei -. La guardai, avrei voluto urlarle un ‘son felice che tu abbia capito ‘ ma mi limitai a rispondere in modo freddo e distaccato, dovevo mettere un punto a quel che stava nascendo dentro di me.
– Non deve sentirsi in debito con me, io ho semplicemente fatto il mio lavoro e lei il suo, adesso la sua media potrà trovare una stabilità e al primo quadrimestre le garantisco il sette pieno, non ha più bisogno delle ripetizioni e al secondo quadrimestre cerchi di impegnarsi di più – la salutai ed andai via.
Camminai lungo il corridoio senza mai voltarmi, mi sentivo un peso sul cuore. Svoltai l’angolo e mi poggiai al muro, portai la mano al petto e feci un sospiro. Mi voltai per controllare se fosse andata via ma la ritrovai tra le braccia di Savannah in lacrime. Fu in quel momento che capii che era ormai troppo tardi, non ero l’unico ad essermi cacciato in guaio così grande. Mi sporsi un po’ di più per controllare meglio quando mi accorsi che lo sguardo di Savannah aveva incontrato il mio.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Restai per un po’ incollata alle braccia di Savannah mentre lei cercava in tutti i modi di tirarmi su di morale. Improvvisamente il mio cellulare cominciò a vibrare, lo presi e vidi che c’era un messaggio di Ines. Guardai Savannah ed aprii il messaggio.

Ciao Ciel, scusami oggi ti ho lasciata sola nel banco.. è che non mi sento affatto bene. Non è che tu e le altre oggi fate un salto da me? Ti voglio bene.

Non appena leggemmo il messaggio di Ines pensammo che si era ammalata, tornammo in classe e ci mettemmo d’accordo con tutte le altre per andare a trovarla, Selvy, però, come al solito non poteva venire.
- Scusatemi ragazze, ma lo sapete che non posso. Non ho un passaggio – ci disse, noi non le dicemmo nulla, era difficile che si unisse a noi.
Le ore passarono ed uscite da scuola ci dirigemmo verso casa di Ines. L’aria era davvero fredda, a momenti le mie mani cadevano per quanto erano gelate, l’unica a non sentire mai freddo era Sophie, troppo impegnata a seguire la moda per indossare qualcosa di più pesante. Io, invece, insieme a Savannah, Sully e Jasmine, eravamo quelle più normali. Sciarpe e cappotti a non finire; manco dovessimo andare sulla neve.
Arrivammo a casa di Ines e sua sorella Kate ci aprì la porta – salve ragazze – ci disse facendoci entrare.
Casa di Ines era grandissima, e nonostante fosse abitata da tante persone, era sempre gelida.
- Ines è in camera sua, andate pure – disse Kate mostrandoci la scala. Salimmo e arrivammo in camera di Ines, era immersa sotto un mare di coperte ed era in lacrime. – Cosa ti prende Ines – dissi io sgranando gli occhi.  – Pensavamo tu fossi malata – aggiunse Savannah. – Grazie per essere venute ragazze – ci disse singhiozzando. – Io e Jonny abbiamo litigato ed io presa dalla rabbia l’ho lasciato -.
Un’espressione sorpresa calò sui nostri volti – cosa intendi per lasciato? – disse Sophie. Io mi avvicinai al letto di Ines e l’aiutai a tirarsi su. – Chiamalo – dissi di colpo. – Come faccio a chiamarlo? – disse Ines continuando a piangere – questa volta aveva ragione, ho sbagliato io e adesso non posso chiamarlo così.. non ho coraggio - . Savannah prese le coperte di Ines e le lanciò per aria, Ines nel letto rabbrividì. – Adesso se non ti alzi e muovi quel culo da quel letto ti ci butto giù io – disse Savannah quasi urlando, a volte quando ci si metteva aveva la dolcezza di un camionista. Io guardai Ines e feci si con la testa, le porsi una mano e lei si alzò. – Facciamo così - intervenni -  adesso gli mandi un messaggio dove gli dici di incontrarvi al parco, noi veniamo con te e ti aspettiamo ad un punto, okei? – Ines accettò la mia proposta e corse in bagno a prepararsi. Quando ebbe finito tornò da noi e ci chiese cosa avevamo fatto a scuola. – Un bellissimo compito di mate a sorpresa – disse Sully con un sorriso finto. – Avrò preso sicuramente 10 – intervenne Jasmine ridendo. – Come un compito a sorpresa? – disse Ines sgranando gli occhi. – E’ un regalo che ci ha fatto il bel professore di mate, solo per parare il culo alla nostra amichetta che a quanto pare si sta cacciando in un bel guaio -. Ines mi guardò con occhi scrutatori – cosa mi sono persa? – disse furbamente.
- Ecco.. – esitavo – in realtà tutte voi vi siete perse qualcosa - . Le mie amiche mi guardarono incuriosite – e muoviti a parlare, no? – sbottò Sophie.
- E’ successo ciò che non sarebbe mai dovuto accadere, in realtà è stata questione di secondi, ma le nostre labbra si sono incontrate.. -. Tutte sobbalzarono dal letto – cosa? – dissero in coro.
Ines mi guardò per l’ennesima volta e disse – io lo sapevo.. - . Savannah semplicemente restava in silenzio, avevo parlato con lei alle due di notte ed avevo pianto tra le sue braccia, nonostante non le avessi detto tanto aveva capito sin da subito. – Bhè, noi ti siamo vicine – aggiunse Ines – non è una cosa che accade tutti i giorni ma l’amore è pur sempre amore, giusto? – cercò di trovare il lato positivo della cosa.

Uscimmo da casa di Ines e ci dirigemmo al parco dove lei avrebbe dovuto incontrare Jonny per chiarire.
Arrivate al parco vedemmo Jonny seduto sulla panchina ad aspettare. – Su Ines, forza e coraggio – dicemmo e lei si incamminò. Nel frattempo noi decidemmo di andare al bar accanto alla piazza per prendere qualcosa di caldo. Avevo uno strano nodo in gola, ancora pensavo a ciò che era accaduto nel corridoio a scuola, chiudevo gli occhi e mi ritrovavo lo sguardo freddo e scostante del professore. Improvvisamente mentre ero distratta dai miei pensieri, urtai sbadatamente la testa contro qualcuno – scusi – dissi imbarazzata. Alzai lo sguardo e mi ritrovai il viso sorridente del fratello del professore – Oh, te sei l’alunna di mio fratello – sorrise. Le mie amiche mi guardarono con aria interrogativa, non avevo raccontato loro della ruota bucata e nemmeno di questo presunto fratello. – Ti sei fatta male? – mi disse chinandosi verso di me, troppo alto per potermi guardare negli occhi, io feci no con la testa e sorrisi. – Ti voglio offrire qualcosa, mi sento in colpa – mi disse con aria dispiaciuta – non preoccuparti – ribattei io.
Lui restò a fissarmi – sta per arrivare mio fratello, magari lo saluti – disse sorridendo. Savannah percepì il mio disagio, si avvicinò a me e mi afferrò per il braccio – sarà per la prossima volta, adesso dobbiamo scappare- e mi trascinò via con lei. Uscimmo di corsa dal bar – qui c’è qualcosa che non quadra – disse Savannah, - baci tra te ed il professore, conosci suo fratello.. mi dici cosa cavolo sta succedendo? -.
Abbassai lo sguardo sentendomi in colpa per non aver raccontato nulla alle mie amiche, tutte mi guardavano con aria curiosa; insomma erano le mie migliori amiche ed io avevo preferito il silenzio. Ci dirigemmo verso una panchina del parco quando vedemmo Ines e Jonny avvinghiati l’uno all’altra, scappò a tutte un sorriso, erano fidanzati da sei anni ormai e lontani proprio non ce li immaginavamo, per questo ogni volta che litigavano facevamo qualcosa per farli riavvicinare; anche perché solitamente era Ines a sbagliare, approfittandosi del buon cuore di quel Santo del fidanzato.
Ci sedemmo al parco ed io iniziai a raccontare tutto alle mie amiche, raccontai della ruota bucata e del fratello del prof, del suo passaggio e dell’mp3, raccontai del pianoforte e anche della sveltina che si erano fatti la preside e Mc Flurry ed infine arrivai a noi, al giorno delle ripetizioni a casa sua, alla sua ex e a quel bacio che mi era stato rubato. Le mie amiche mi guardarono come se stessero guardando un film – Che bello Ciel, quanto sei fortunata – disse Sophie stringendomi le mani. Savannah accennò una smorfia di disappunto, a lei non piaceva questa situazione e si vedeva. – Parleremo in privato – mi disse.

Stavo ritornando a casa quando un buon odorino richiamò la mia attenzione, erano le sette di sera ed io era ancora in giro con la mia divisa. La fame si faceva sentire allora mi fermai accanto a quella vetrina per ammirare quelle meravigliose pietanze. Improvvisamente qualcuno di familiare attirò la mia attenzione, era Key ed era in presenza di una ragazza; lo conoscevo da tanto eppure quella ragazza proprio mi era nuova.
Entrarono in un negozio che vendeva articoli da regalo e sembravano molto intimi. Key le sorrideva e lei ricambiava. Alta, mora ed occhi azzurri, perfetta insomma.
Improvvisamente il cellulare vibrò, lo presi e sul display il nome di Key fece capolino.

Domani sera alle otto, solita piazza, solita altalena.. ho qualcosa da dirti, per favore sii puntuale. Un bacio.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Il mattino seguente era Domenica e mi risvegliai al calduccio sotto una montagna di coperte nel mio bel lettone. Un profumino invitante arrivava direttamente dalla cucina e accanto al mio letto il cellulare terminava le ultime note della mia canzone preferita.
14 Dicembre, l’aria gelida ma in cielo un bellissimo sole rendeva la Domenica perfetta. Un’ultima settimana di scuola e poi sarebbero cominciate le vacanze di Natale, ero felice perché mi sarei potuta riposare, ma il solo pensiero di non rivedere il professor Wolf mi faceva sentire triste, anche se in me la scena in corridoio si ripeteva continuamente.
Scesi per la colazione e mi accorsi del solito quadretto che c’era tutte le mattine in casa Owen, se non fosse per l’assenza di quello stra-fortunato di mio fratello che era in vacanza sulla neve con il college. A pensarci qui la prima neve non era ancora caduta ‘mi piacerebbe trascorrere il giorno della prima neve con qualcuno di speciale’ pensavo. Subito dopo colazione, come tutte le Domeniche, andammo a messa e poi al cimitero dai miei nonni.
Camminavo per il vialetto alberato che mi avrebbe condotta alla tomba dei miei nonni, quando in lontananza vidi una figura assai familiare. Accovacciato su una tomba con un mazzo di fiori c’era il professor Wolf. Indossava un abito elegante nero, molto raffinato, non sembrava nemmeno lui. In quel momento rimasi semplicemente immobile, non sapevo se continuare a camminare oppure fermarmi a salutare. Mentre nella mia testa questi pensieri prendevano il sopravvento ecco che il prof si girò verso di me. Restò a fissarmi per un paio di secondi senza dire nulla, fu in quel momento che mi accorsi che magari aveva reagito in quel modo perché mi aveva vista per la prima volta senza divisa; perché credetemi, fa la differenza. Indossavo semplicemente un maglioncino verde acqua con un jeans stretto e gli stivaletti bassi neri che richiamavano il mio cappottino, la solita borsetta, un po’ di trucco ed i miei lunghi capelli sciolti.
Si alzò e mi sorrise – Salve signorina Owen – disse con estrema naturalezza – S-salve -  risposi io. – E’ qui da sola? – mi chiese mentre si guardava intorno – No, in realtà sono qui con la mia famiglia, si sono fermati a parlare con un amico di papà mentre io andavo dai nonni – risposi – Lei è qui per la sua ragazza? – continuai, mi sentivo davvero stupida per aver fatto una domanda del genere. Lui mi guardò e fece no con la testa – in realtà sono qui anch’io per i miei nonni – mi rispose – oggi è l’anniversario della loro morte -.
Tra noi calò di nuovo il silenzio, vederlo lì vestito in quel modo mi faceva sentire nervosa, aveva l’aria così matura ed era così bello. Notai che anche lui mi guardava costantemente, quasi come se volesse dirmi qualcosa.. – Sei bellissima – sentii improvvisamente mormorare. Non potevo credere alle mie orecchie e ai miei occhi, era lì davanti a me ed aveva lo sguardo basso, le sue guancie erano rosse come due peperoni  ed aveva appena detto a me di essere bellissima, e tu? Tu ti sei visto? Pensavo tra me e me.
Alzò lo sguardo e mi sorrise per poi sparire tra gli alberi di quel viale lasciandomi sola ed emozionata come non mai. Dove era finita la freddezza della scorsa volta?
Rincasammo ad ora di pranzo e pranzammo fino alle tre del pomeriggio, mia madre ci sapeva proprio fare ai fornelli. Mi diressi verso camera mia e mi immersi nel mio mondo sotto le note di ‘You are my + ‘ .
Squillò il cellulare, era Savannah e mi stava chiamando. – Ciao disagiata – dissi io con tono scherzoso – disagiata sarai te cara mia – rispose Savannah – sono nelle vicinanze del tuo quartiere, posso fare un salto da te? – concluse. – Certo vieni pure – dissi con tono squillante. Erano le 17:00 quando Savannah arrivò a casa mia, le offrii un succo e ci dirigemmo in camera mia. – Questa mattina l’ho visto – dissi omettendo il soggetto – era proprio di lui che ti volevo parlare – aggiunse Savannah. – Ciel – si fece seria – io non voglio che tu ti faccia del male, insomma lui è un uomo ed è il nostro professore -. Abbassai lo sguardo e lo rivolsi verso la finestra – lo so – risposi.

Erano le 19:30 e mi stavo preparando per raggiungere Key in piazza. Il mio migliore amico stava cambiando e la cosa mi faceva fin troppo male, non eravamo mai stati così ‘divisi’ come lo eravamo negli ultimi giorni e tutto questo stava accadendo a causa della mia cotta ( se così si può definite ) per il professor Wolf.
La temperatura era calata e fuori faceva un freddo che ti irrigidiva, ti sentivi come se tanti pugnali ti trafiggessero . Misi guanti, cappellino e sciarpona e mi incamminai. Al mio arrivo Key era già seduto sulla nostra altalena, guardava verso il basso e sembrava abbastanza triste. – Hey bel fusto – dissi io avvicinandomi, Key alzò lo sguardo e abbozzò un sorriso. Mi avvicinai lentamente e mi sedetti accanto a lui sulla mia altalena, mi portai entrambi le mani alla bocca e ci soffiai dentro, faceva troppo freddo. Tra noi c’era il silenzio più assoluto – allora, come mai mi hai chiamata qui? – dissi io per rompere il silenzio. – Devo parlarti – disse Key serio.  Si alzò dall’altalena e si accovacciò davanti a me, la scena mi fece ricordare l’ultima volta che eravamo stati lì. – Parto – mi disse come se fosse una cosa naturale.. – cosa? – gridai io alzandomi di colpo dall’altalena, Key mi prese le mani e le strinse forti alle sue. – Non è per sempre stupida, starò via solo qualche mese, mio padre ha trovato lavoro e vuole che io e la mia famiglia lo seguiamo-. Una lacrima stava quasi per scivolare sul mio viso ma Key la fermò. – Ti prego non piangere – mi disse con una voce quasi spezzata, si portò le mani in tasca e tirò fuori un piccolo pacchetto. – Questo è il tuo regalo di Natale in anticipo, sarò lontano e non potevo di certo mancare – disse – ma io non ho niente per te Key, io non ne sapevo nulla – dissi tutto d’un fiato. Key mi guardò e mi strinse fortissimo a sé – ho bisogno di un solo regalo in questo momento – sussurrò al mio orecchio. In quel momento mi sentii strana, cosa stava succedendo? Come si stava comportando il mio migliore amico? Eravamo stati spesso vicini, in passato quando eravamo più piccini avevamo anche dormito assieme, ma quella sera sentivo che la situazione era diversa. Key lasciò scorrere le sue mani dietro la mia schiena, portò le dita tra i miei lunghi capelli per poi prendere e stringere il mio viso tra le mani. I suoi profondi occhi blu crearono un varco nei miei occhi scuri, vi stavano penetrando come se volessero leggermi l’anima. In quel momento il viso del professor Wolf comparve davanti ai miei occhi, stavo viaggiando ma dove stavo andando esattamente?
Un calore improvviso invase il mio corpo, aprii gli occhi e mi ritrovai le labbra di Key sulle mie. Sgranai gli occhi e produssi uno strano suono, indietreggiai e spinsi Key lontano da me – Cosa fai? – dissi con le lacrime agli occhi. – Ci ho pensato tanto Ciel, non posso più esserti amico – disse Key stringendo i pugni – e soprattutto, non voglio che quel professore ti tocchi -. Quelle piccole lacrime diventarono un vero e proprio fiume, ormai non riuscivo più a trattenermi - ti odio Key – gli urlai contro mentre mi affrettavo ad andare via, lui mi seguì e mi afferrò per un braccio – ragiona per l’amor di Dio – mi urlò contro – sei tu quello che deve ragionare – risposi io – stai mandando a quel paese un’amicizia che va avanti da anni, ti rendi conto? – stavo male, stavo male e si vedeva. Key mi stringeva il polso ma non riuscivo a sentire dolore, ero troppo occupata a percepire quello che il mio cuore stava provando. – Adesso lasciami andare a casa – dissi continuando a piangere, Key mi lasciò il polso e mi strinse per l’ultima volta – Non andare via da me ti prego -  mi sussurrò. Non riuscivo più a reggere quello che stava succedendo, improvvisamente dei piccoli fiocchi di neve si posarono sulla mia guancia – la prima neve – dissi scostandomi da Key e rivolgendo gli occhi al cielo , - la prima neve e tu sei con me – rispose Key. Presi il regalo che mi aveva portato e lo aprii, era un bracciale col mio nome, era meraviglioso – Key, non dovevi – dissi io – L’ha scelto mia cugina, sapevo ti sarebbe piaciuto – ecco chi era la ragazza di ieri, ripetei tra me e me. – Adesso vado a casa – dissi fredda – ah, ed io ti sarò comunque amica, accada quel che accada – aggiunsi. Key si strinse nelle spalle, sembrava quasi fosse diventato più piccolo – Lo ami? – mi chiese senza accennare minimamente a chi fosse riferito.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


‘Lo ami?’  Le parole di Key continuavano a tamburellare nella mia testa.

Era ormai trascorsa una settimana dal nostro incontro, non avevo dato risposta alla sua domanda, lui era partito e sarebbe tornato chissà quando. La scuola era finita e le vacanze Natalizie erano cominciate.
In casa mia c’era un’atmosfera accogliente e tutti eravamo intenti a fare l’albero. Mio fratello Mark era finalmente tornato dalla sua vacanza e mi aveva portato un bellissimo regalo; dopo mio padre era l’uomo della mia vita, andavamo molto d’accordo ed aveva una protezione fraterna nei miei confronti che qualsiasi sorella minore avrebbe invidiato.
Nel pomeriggio mi diressi con le mie amiche al centro commerciale, dovevo fare compere per Natale. Era il 20 Dicembre e non avevo ancora comprato nulla perché ero solita fare le cose all’ultimo minuto.
Il  centro commerciale era tutto addobbato e di sottofondo vi era una bellissima musichetta Natalizia, tutto ciò mi metteva di buon umore, chiudevo gli occhi e respiravo i diversi profumi che inebriavano l’aria. - Il Natale è in assoluto la festività migliore che ci sia – pensavo.
Prima di comprare qualche regalo ci fermammo ad un negozio di abbigliamento, a capodanno ci sarebbe stata una sottospecie di festa a scuola ed io volevo comprare un bel vestito; chissà per quale motivo. Uno in particolare richiamò la mia attenzione. Rosa pesca, corto avanti e leggermente più lungo dietro, con un piccolo cinturino argentato sotto il seno. Semplice, sobrio; il mio stile. Lo misurai e notando quanto mi stesse bene lo comprai. Savannah, invece, comprò un vestitino nero, Sully uno blu scuro, Ines non amava affatto i vestitini quindi decise di optare per altro, Sophie  bhè era nel suo mondo e comprò a più non posso, la solita patita di moda, Jasmine ne comprò uno verde e Selvy i soliti teschi e cose rock.
Soddisfatte delle nostre compere ci dirigemmo al Mc per rimpinzarci fino a scoppiare.
- Sono pienissima – disse Ines mentre si toccava la pancia.
Da lontano intravedemmo quella vipera di Victoria con Jeremy, il suo ragazzo, il principe azzurro della povera Savannah. Savannah diventò di uno strano colorito, una tonalità che si avvicinava al rosso/viola.
- Salve bellezze – disse Victoria con fare altezzoso  - Ciao – sbottai io annoiata.
- Vi presento Jeremy ragazze mie, l’amore della mia vita – disse mentre lo accarezzava, quella vipera sapeva benissimo cosa provasse Savannah. – Salve – disse Jeremy guardandoci dall’alto in basso. Savannah si alzò di colpo dalla sedia e si diresse di corsa in bagno, io mi scusai e la seguii.
- Ehi Savy, cosa ti succede – dissi una volta raggiunta, lei si avvicinò a me e mi strinse fortissimo. – E’ quasi Natale Ciel, e sono quasi tre anni dal giorno in cui gli scrissi quella lettera che lui rifiutò – disse mentre si lasciò cadere in mille lacrime.
Savannah amava Jeremy più di ogni altra cosa al mondo ma Jeremy non le aveva mai dato troppa importanza, manco un saluto, le aveva sempre negato tutto. Si conoscevano da tanto poiché abitavano nello stesso quartiere e da piccoli erano soliti ritrovarsi per giocare, ma Jeremy era cambiato, la popolarità e ‘’ l’amore ‘’ di Victoria gli avevano dato alla testa. Consolai ancora per un po’ la mia amica e ce ne tornammo intanto dalle altre che erano ormai rimaste sole, sospirai e ritornai al posto mio.

Guardai l’orologio e mi accorsi che era quasi ora. Era la vigilia di Natale e gli ospiti stavano per arrivare; come da tradizione ci saremmo riuniti tutti e avremmo aspettato il Natale assieme. Intanto, mentre aspettavo, avevo aiutato mamma ad apparecchiare ed allestire le ultime cose.
- Grazie tesoro, adesso puoi anche andare in camera e indossare il tuo prezioso vestito blu – disse mia madre mentre si toglieva il grembiule da cucina. – Corro subito mamma – dissi entusiasta.
Ogni anno per Natale mia madre mi regalava un vestito da indossare, ogni anno un colore diverso e quest’anno era toccato al blu. Corsi in camera e mi impalai davanti allo specchio, giravo, mi guardavo.. stavo cambiando, il mio viso si stava trasformando, ma in positivo; i miei diciotto anni si stavano facendo sentire, nonostante sembrassi sempre una bambina quella sera stavo più che bene.
Il campanello suono, scesi in fretta e furia e lasciai il mio cellulare poggiato sul comodino.
Casa mia si riempì ben presto di molte persone, gli zii, la nonna, i miei cugini, tutti erano presenti e l’albero era zeppo di regali che io non vedevo l’ora di scartare, ci scambiammo gli auguri e la serata ebbe inizio.
Mia madre aveva preparato le pietanze più buone ed io mi detti parecchio da fare.
Il momento di aprire i regali era finalmente arrivato, era quasi mezzanotte ed io stavo già fremendo; ero ancora più eccitata dei miei cugini più piccoli, forse perché avevo fatto dei regali da invidiare e allora non vedevo l’ora di vedere le facce dei miei cari intenti a scartare il mio regalo.
Scartai i miei regali e ne fui davvero felice, profumi, borsette ed oggetti vari mi erano stati regalati mentre la nonna come al solito mi diede una bella manciata di soldini, le diedi un grosso bacio sulla guancia e corsi in camera a sistemare il tutto.
Quando entrai in camera mia era tutto buio ma una piccola lucina lampeggiava sul comodino, mi ricordai così del mio cellulare, ‘le mie amiche mi avranno inviato gli auguri di Natale’ pensai.. presi il cellulare e mi accorsi di non conoscere il numero, lo aprii..

Tutto accade per una ragione e a tutto c’è soluzione, anche quando le equazioni risultano impossibili alla fine c’è sempre un risultato e quel risultato è zero. Può sembrare un numero insignificante, un numero che non vale nulla ma talvolta è quello che vale di più. Uno speciale augurio di Buon Natale.. LW.

Lasciai che il cellulare mi cadesse dalle mani.
La matematica, quelle iniziali alla fine di quel messaggio, gli auguri speciali.
Il cuore iniziò a battere di continuo mentre i miei occhi si riempirono di lacrime, lacrime di gioia ovviamente. Sentii improvvisamente che la forza nelle gambe mi stava abbandonando e quindi mi lasciai cadere accanto al cellulare. Lessi per l’ennesima volta quel messaggio ed ogni volta non riuscivo a crederci.
‘ Perché avrà mandato quel messaggio? Come mai aveva il mio numero? Molto probabilmente avrà fatto copia e incolla e l’avrà mandato a tutte’ pensavo e ripensavo, mentre la mia testa litigava incessantemente col mio cuore.
Presi il cellulare tra le mani e lo strinsi forte e mentre mi mordevo le labbra dal nervoso pensavo a cosa avrei dovuto fare.. avrei dovuto rispondere?
Lessi il messaggio per l’ultima volta e decisi così di rispondere..

E soprattutto i numeri sono infiniti ma lo zero è il primo; viene prima di chiunque altro. Buon Natale prof.. Ciel

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


-Ciel le tue amiche sono giù che ti aspettano – la voce stridula di mia madre invase l’intero corridoio.
- Sono pronta mamma – risposi zampettando mentre ero intenta ad infilare anche l’altra scarpa.
Era finalmente arrivato il grande giorno, ultimo giorno dell’anno e grande festa a scuola. Ero molto agitata, avrei rivisto il professor Wolf e la cosa mi faceva battere tremendamente il cuore e sudare come mai sudato prima, dopo quel messaggio a Natale non ci eravamo più sentiti, lui non aveva risposto ed io avevo paura di aver fatto l’ennesima figuraccia e chissà come mai sempre con lui. Misi per finire un filo di lucidalabbra e corsi via. Giù le mie amiche mi stavano già aspettando, non vedevo però Ines, molto probabilmente sarebbe venuta alla festa insieme al suo Jonny. Noi, invece, eravamo le solite zitelle senza mai un accompagnatore ‘ se solo ci fosse Key, il mio caro Key’ pensavo ma poi ricordai l’accaduto.
Arrivammo a scuola e ci dirigemmo verso la palestra dove si sarebbe tenuta la festa. Appena entrai cominciai a guardarmi intorno, era già pieno zeppo di studenti e professori ma non riuscivo a vedere il professor Wolf. Un vestito nero super luccicante richiamò la mia attenzione, la preside si era proprio conciata per le ‘feste’. Aveva raccolto quei suoi capelli biondi finti in una coda ed aveva applicato all’interno dei piccoli lustrini, in mano aveva un bicchiere con qualche alcolico e stava parlando con qualcuno, ma non riuscivo a capire bene chi fosse.  Ecco arrivare quel gigantone del professor Mc Flurry che la portò via subito. La preside si allontanò e lasciò abbastanza spazio da lasciare intravedere il suo interlocutore che a mia sorpresa era il caro professor Wolf. Era lì fermo con un cocktail in mano, ed era splendido in abito elegante e sbarazzino allo stesso tempo. Abito blu con righe bianche, camicia bianca con colletto aperto che lasciava intravedere il suo meraviglioso collo e cravatta che diventava tutt’uno con la camicia, aveva anche messo degli orecchini che lo rendevano ancora più figo.  A tale visione divenni molto probabilmente rossa, lui si girò a guardarmi, mi aveva vista.. Dio se mi aveva vista. Mi guardò con uno sguardo sorpreso, i suoi occhi mi scrutarono affondo ed infine mi accennò un sorriso che io non potetti ricambiare. Qualcuno mi aveva trascinata via da lì spezzando quel feeling che si era creato. Era Ines, era arrivata e come previsto era insieme a Jonny. – Sera principesse – disse Ines tutta eccitata – Dio Ciel, sei meravigliosa.. questo vestito ti sta da Dio – disse scrutandomi attentamente. Io le sorrisi e mi voltai indietro per cercare lo sguardo del professore, ma non lo trovai.
La serata cominciò con il solito discorso della preside che era intanto salita sul palco per civettare come solo lei sapeva fare. – Bene miei cari, è giunto l’ultimo giorno di questo meraviglioso anno ed io ci tenevo davvero tanto a trascorrerlo con voi – disse più finta che mai.
- Avrà fatto tutto questo solo per poter stare accanto a Mc Flurry indisturbata – qualcuno aveva detto. Sgranai gli occhi, quella voce calda io la conoscevo. Mi girai alla mia destra e mi ritrovai il professore accanto, bello come non mai. – Buonasera professore – dissi imbarazzata – Sera a te cara Ciel – disse abbassando lo sguardo. La preside diede inizio alle danze ed il prof sparì tra la folla.
- Sei riuscita ad avere un ballo col caro professore? -  un’oca giuliva aveva detto, mi voltai e come pensavo era la cara Victoria. Indossava un vestito argento lungo con uno scollo dietro la schiena che quasi le scopriva  tutto il lato B , al posto del trucco aveva una maschera; si era truccata proprio tanto.
- Sparisci Victoria – disse Savannah prendendo le mie difese – Oh, la mia rivale in amore – disse con tono di sfida ed andò via. Savannah rimase impalata – Non la sopporto – disse.. – Lascia stare Savy – intervenne Sully mentre ci immergevamo tra la folla e ci scatenammo a ballare. Quando si trattava di ballare io ero in prima fila, avevo danzato per anni ma poi lasciai per seguire la pallavolo; si due cose completamente opposte, ma io sono così..
Lasciai la mischia per avvicinarmi al banco del buffet, avevo troppa sete. In un angolo intravidi Victoria, era senza Jeremy e stava importunando qualcuno. Pensai a Savannah e a quanto amore avrebbe potuto dare a quel Jeremy se solo la tizia non fosse stata la sua ragazza. Mi avvicinai lentamente e mi accorsi che la sua preda era il professore. Restai per un secondo immobile a guardare, quando vidi che entrambi uscirono fuori. In quel momento il mondo mi crollò praticamente addosso, il professore e Victoria che si allontanavano. Istintivamente decisi di seguirli.
- Signorina Victoria lei la deve smettere – disse il professore arrabbiato, non l’avevo mai visto così.
- Oh insomma Lendon, perché non posso avere una possibilità con te? Insomma mi hai vista? Sono spettacolare – disse Victoria mentre cercava di avvicinarsi al professore, il professore le diede una leggera spinta – Mi ascolti, lei è solo una ragazzina e lei non sa cosa sta facendo. Sono il suo professore, non è autorizzata a chiamarmi Lendon – disse appoggiandola al muro. Io mi portai le mani davanti alla bocca, sentivo gli occhi bruciare ma volevo cercare di non piangere altrimenti si sarebbe visto e le mie amiche avrebbero fatto una marea di domande. – Hai 27 anni, io ne ho 19. Non comportarti come un vecchio , otto anni non sono nulla – disse mentre cercò di scostare leggermente la spallina del suo vestito. Il professore si allontanò da lei – sei solo una ragazzina – disse. Victoria tirò su la spallina irritata – Non la pensa così quando guarda Ciel – passò la mano tra i capelli e andò via. Quando sentii il mio nome sgranai gli occhi, la reazione del professore mi fece restare immobile. Lui restò fermo impalato, stringeva i pugni ed era a sguardo basso, si avvicinò al muro e diede un pugno forte. Indietreggiai ma il mio vestito restò impigliato in qualcosa e caddi. – Chi c’è? – disse il professore quando sentì il rumore della mia caduta. Lentamente si avvicinò e mi vide, ero lì seduta a terra e desideravo solo sprofondare per l’imbarazzo. – Ciel – disse sorpreso – cosa ci fai qui da sola? - . Lo guardai, sotto la luce della luna era ancora più bello. – Mi-mi scusi professore, ero uscita a prendere un po’ d’aria – dissi io buttando già la prima cosa che mi passava per la testa. Il professore mi guardò sorpreso, mi porse la mano e mi fece alzare – hai sentito tutto? – disse imbarazzato – N-no.. – risposi mentendo.
Restammo a guardarci per qualche secondo, le nostre mani erano ancora unite, non avevamo lasciato la presa. Cos’era quest’atmosfera che si presentava ogni volta che stavamo assieme?
Il tempo si imbrunì improvvisamente ed io stavo praticamente congelando; insomma era il 31 Dicembre ed io indossavo un vestitino manco fosse estate. Cominciò a piovere, il professore continuava a tenermi la mano ed iniziammo a correre per cercare un riparo. Poco distante dalla palestra, nel cortile della scuola c’era una cabina telefonica che la preside aveva gentilmente fatto mettere per i professori, poiché secondo lei era sbagliato usare i cellulari a scuola. Il professore aprì la porta della cabina e vi entrammo. Eravamo bagnati fradici ed io stavo tremando. Il professore mi guardava, eravamo vicini ed io stavo quasi per morire. Tolse la sua giacca e la poggiò dolcemente sulle mie spalle – Tieni questa, non è molto ma ti aiuterà – disse mentre portava le sue braccia intorno al mio corpo. Fuori pioveva tanto ed io mi incantai a guardare la pioggia che mentre cadeva batteva incessantemente sui vetri di quella cabina. Dung dung.. Era questo il rumore che produceva. Mi voltai e mi ritrovai il viso del professore davanti al mio, ricominciai a tremare ma questa volta era per entrambi, anche lui tremava tanto; a cosa è dovuto Lendon, dal freddo oppure sono io? Si, nei miei pensieri lo chiamavo per nome, perché questo era il nome della persona che amavo.
Ed erano pensieri che mi invadevano la testa.
- E’ tutto sbagliato – disse improvvisamente, io lo guardai; a cosa si riferiva?
- Ciel, lo sai che è sbagliato vero? – ripeté – A cosa si riferisc.. – non finii di terminare la frase quando mi ritrovai le sue labbra sulle mie. Mi stringeva, mi stringeva e mi baciava, questa volta era un bacio vero, non uno rubato, un bacio che ti toglieva il respiro. Un bacio voluto, desiderato, acclamato. Un bacio che esprimeva dolcezza, amore.. un bacio che gridava; sto peccando ma ti voglio. Un bacio che entrambi, molto probabilmente, attendevamo da tanto.

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Mentre mi baciava le sue mani giocavano con le mie, le nostre dita si intrecciavano perfettamente, sembravamo essere fatti ad incastro; ci siamo incontrati perché doveva succedere, pensavo.
Con le dita lentamente accarezzò il mio braccio, arrivò al viso e mi sfiorò la guancia, lentamente mi spostò i capelli dall’orecchio e mi si avvicinò – perdonami – mi sussurrò dolcemente e poi si staccò.
Un minuto di silenzio imbarazzante invase improvvisamente quella cabina. Fuori era smesso di piovere, e nonostante facesse freddo, io sentivo caldo, tremendamente caldo. Mi toccai le guance e mi accorsi di essere rossa. Il professore ritornò a guardarmi – Ciel.. dovrei stare lontano da te, ma non ci riesco – disse quasi come se fosse disperato. Non capii esattamente cosa mi prese, mi avvicinai a lui e gli poggiai una mano sulla guancia, lui mi guardò sorpreso e lo ero anch’io, anch’io non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo. – So come ci si sente – gli dissi mentre lo guardavo negli occhi. Ero completamente impazzita.
- Mi manchi, non riesco a stare lontano da te, mi manchi sempre e sei presente in tutto ciò che faccio. Ogni giorno ringrazio Dio perché ha fatto si che ti conoscessi ma nello stesso momento mi sento male perché non posso toccarti o accarezzarti come vorrei – disse mentre si gettò su di me stringendomi fortissimo. Io ricambiai subito il suo abbraccio, chiusi gli occhi ed il suo dolce profumo invase le mie narici. –Vorrei urlare a tutti quanto tu sia bella con questo splendido vestito – disse mentre mi diede un piccolo bacio sulla fronte. In quel momento una lacrima percosse velocemente il mio viso. – Penso di amarti – gli dissi. Lui mi guardò sorpreso ma continuava ad accarezzare i miei capelli – La differenza di età, le nostre posizioni, io sono il tuo professore, tu sei la mia alunna se qualcuno ci scoprisse sarebbe finita per entrambi , io perderei il lavoro e tu potresti mettere a repentaglio la tua carriera scolastica ed io non voglio, cerca di comprendere –  disse.  Ed io comprendevo, capivo benissimo tutto quello che stava succedendo. – Non lo dirò a nessuno – promisi mentre lo guardavo speranzosa.

Uscimmo complici da quella cabina e tornammo alla festa. Fortunatamente le mie amiche non si accorsero della mia assenza infinita e quindi non fecero domande, almeno per quella sera non avrei dovuto mentire. Dire bugie non mi era mai piaciuto, ma in quel caso me la sentivo, in quel caso dovevo, in quel caso volevo. Da lontano vidi che il mio caro Lendon mi guardava ‘ ti prego, non guardarmi così o tutti capiranno’ pensavo, era già troppo che quella vipera di Victoria aveva notato qualcosa di strano in lui. La serata trascorse velocemente, arrivò il momento del conto alla rovescia. Ci posizionammo tutti davanti al maxi schermo e cominciammo a contare.. 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 – Buon anno – un urlo di gioia rimbombò in tutta la palestra. Sul palco vi erano la preside e gli altri prof che si abbracciavano calorosamente, quello più lungo fu l’abbraccio della preside e del prof Mc Flurry, forse dopotutto il professor Wolf non aveva tutti i torti.
Il mio cellulare squillò, era Key..

Auguri di Buon anno a te e famiglia, non dimenticarti di me.. ti prego.

Lessi il messaggio di Key e per un secondo il mio cuore si fermò. Key, amico mio.. io non provo i tuoi stessi sentimenti.
Ero rimasta per troppo tempo in piedi ed i miei poveri piedini reclamavano riposo, mi guardai intorno e scelsi la prima sedia. Le mie amiche mi raggiunsero e restammo per un pochino a chiacchierare – questa sera il prof è assolutamente sublime – disse Sophie mentre lo guardava con occhi sognanti, sorrisi, a quell’essere sublime io piacevo e non poco. Accanto a noi un paio di ragazze stavano parlando ed io ‘casualmente’  ascoltai. – Insegna in quinta B giusto? – disse una bionda cotonata – Si, Dio quanto è figo. Chissà le sue alunne quanti sogni erotici fanno su di lui – aggiunse una tipa – Io certamente proverei a sedurlo se fosse il mio prof -. Non conoscevo le ragazze in questione ma quei discorsetti assolutamente non mi piacevano. Lanciai il mio sguardo tra la folla e lo vidi, istintivamente un sorriso spuntò sulle mie labbra. Era seduto e stava armeggiando col cellulare, improvvisamente il mio squillò, lo presi ed era proprio un suo messaggio, sorrisi nuovamente; stava pensando a me.

Capisci di ritrovarti una persona speciale tra le braccia quando sei completamente libero di scegliere. Lo capisci soprattutto quando a farti la corte sono mille persone e quando queste mille persone sono intorno a voi, intorno a te e a lei e tu nonostante tutto non riesci a vedere che lei. Questo accade a me, mille volti ma io guardo solo te. Buon anno piccola..

Sentii il cuore bussare. Quest’uomo non era assolutamente nato per essere il mio professore. Quest’uomo era nato per essere l’amore della mia vita.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Le vacanze erano ormai finite ed era tempo di ritornare a scuola, Gennaio, nuovo anno ed esami sempre più vicini.
Prendere il pullman di mattina mi sembrava sempre più strano poiché Key non c’era, sentivo tanto la sua mancanza ma non riuscivo a contattarlo; troppo presa dagli eventi accaduti. Il punto era che non volevo illuderlo, lui per me era solo un amico ed il mio cuore apparteneva già ad un’altra persona, molto probabilmente era scritto; il mio cuore doveva appartenere a lui.
Arrivai a scuola e rimasi ferma ad aspettare le mie amiche al cancello principale, arrivarono e ci dirigemmo in classe. Alla prima ora avevamo il prof Mc Flurry, ormai lo guardavo con occhi diversi, non era più il simpaticone di turno, bensì l’amante della preside. Non finii manco di pensare a lei quando piombò in classe tutta sorridente – Buongiorno quinta B – disse mentre sventolava dei fogli bianchi tra le mani – Buongiorno – sbottò la classe in modalità automatica. – E’ Gennaio e cominciano i corsi pomeridiani, qui con me ho gli orari ed i diversi corsi, mi raccomando scegliete per bene – disse mentre incaricò un mio compagno di classe a distribuirli. Mi voltai e guardai il banco vuoto di Key, tutti gli anni sceglievamo il corso di pallavolo assieme, quest’anno ci sarei dovuta andare da sola. Presi il foglio tra le mani ed incominciai a leggere: Pallavolo, letteratura, matematica, fotografia, cucito, potenziamate..  
- Potenziamate? – pensai ad alta voce – è la prima volta che ne sento parlare – dissi mentre fissavo il foglio attonita. In basso erano riportati gli orari, le classi ed i rispettivi professori che tenevano i corsi, la mia prima scelta fu la pallavolo, misi la crocetta nel quadratino senza pensarci ed ero entusiasta, finalmente avrei potuto scaricare tutta la mia tensione. Poco dopo il mio sguardo cadde su quel ‘potenziamate’ e a mia sorpresa era un corso del professor Wolf, il mio professor Wolf. Un sorriso a trentadue denti spuntò sulla mia bocca, non era matematica ma un corso di potenziamento quindi, essendo una frana in quella materia, ed avendo l’esame, avrei potuto scegliere quel corso senza problemi, senza preoccuparmi che qualcuno ci potesse scoprire. Presi la penna e tracciai un segno anche nel quadratino accanto al nome ‘potenziamate’ e consegnai. Purtroppo o per fortuna, nessuna delle mie amiche aveva scelto i miei stessi corsi quindi di pomeriggio avremmo fatto cose diverse.
La campanella segnò la fine della prima ora ed io ne approfittai per andare in bagno. Uscii dalla classe e mentre mi dirigevo ai servizi, qualcuno mi trascinò in un piccolo sgabuzzino al buio. Stavo per urlare quando uno ‘shh’ interruppe ogni singolo lamento. Appoggiò le sue mani sul mio viso, era buio non vedevo nulla ma capii che era lui, posò lentamente le sue labbra sulle mie e mi ci lasciò il suo sapore.
- Spero tu abbia scelto il potenziamate – disse ridendo. – Professore – sbottai io – sapevo che l’avevi fatto apposta – dissi addolcendomi e cambiando tono di voce. Lui mi strinse forte – mi manchi – disse sottovoce. In quel momento mi sentivo davvero morire, la scena si ripeteva, eravamo stretti in un piccolo spazio proprio come la notte di capodanno. Appoggiai la mia testa sul suo torace e riuscivo a sentire il suo cuore. I suoi battiti andavano a pari passo con i miei.. Portai le mie mani dietro la sua schiena e lo stinsi ancora più forte; avevo il mondo tra le mani.
La campanella tornò a suonare ed io dovevo tornare in classe – alla prossima ora piccola – mi disse, strizzò l’occhio ed andò via lasciandomi il suo cuore. Tornai in classe e mi ritrovai le mie amiche a fissarmi – tu non la conti giusta – dissero all’unisono – da quanto ti piace così tanto la matematica da partecipare anche al potenziamento? – disse Ines mentre rideva sotto i baffi. – Bhè.. ehm ragazze, voi ve la cavate rispetto me, quest’anno abbiamo l’esame ed io ho bisogno di capirci di più – dissi mentre giocherellavo con le dita – guardate le dita ragazze – disse Sophie – sta sicuramente mentendo – concluse fiera.
‘Vorrei poter dire la verità ragazze ma ora non posso, cercate di capire per favore, la scuola finirà presto ed io dirò tutto, ve lo prometto’ dicevo tra me e me mentre le guardavo.

Anche la prossima ora passò veloce ed era finalmente la terza ora; due ore di mate belle piene, non potevo essere più felice. Adoravo il Lunedì solo per questo. Entrò in classe col suo solito sorriso, era bellissimo, al buio non ero riuscita a vederlo. Indossava un pantalone nero con una semplice T-shirt ed una camicia bianca, in mano portava il cappotto e la sua solita borsa. Era semplice ma era favoloso.
Cominciò la sua lezione ed entrambi fingevamo come se nulla fosse successo, insomma lui era il mio professore ed io la sua alunna. – Oggi interroghiamo – disse guardando il registro – avete fatto gli esercizi per casa? – disse sorridendo. Oh cavolo.. seno e coseno. Non avevo capito una mazza.
Victoria si alzò – se permette prof vorrei venire volontaria – disse col suo solito tono da baldracca. – Non accetto volontari – disse il prof – troppo semplice signorina Victoria – lo amavo.
Io non ero assolutamente pronta ma se mi avesse chiamata all’interrogazione sarei stata più che felice.
- Hudson – disse il prof, Ines sobbalzò dalla sedia – Cavolo – disse sottovoce, si alzò e si diresse alla cattedra.
L’interrogazione iniziò ed io rimasi a fissarlo per tutta la durata mentre sul mio foglio degli appunti abbozzavo dei cuoricini e tracciavo le nostre iniziali. Ines, intanto, eseguiva gli esercizi che il prof le aveva assegnato alla lavagna, in classe regnava il silenzio più assoluto, avevano tutti paura di essere interrogati, io sotto i baffi ridevo. – Signorina Owen, le sembra il momento di ridere? –  richiamò il professore – mi scusi prof, stavo pensando ad una cosa – risposi – bene allora la dica anche a noi, farebbe piacere a tutti ridere un pochino – disse sarcastico, io mi strinsi nelle spalle e mi feci ancora più piccola mentre diventavo rossa come un pomodoro, il professore si accorse del mio imbarazzo e mi sorrise – rimanga concentrata – concluse e ritornò all’interrogazione.

Perfetto! Nessuno dubiterà nulla, siamo degli attori perfetti. Ci vediamo al potenziamento piccola, aula 12.

Scrisse a fine lezione.

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


NB Questo è un capitolo speciale ed è diviso in due parti. Nella prima parte è il professore a parlare e quindi sono riportate le sue emozioni, nella seconda parte, invece, parla Ciel.
Un grazie a chi legge e commenta la mia storia, continuate a seguire.


Conclusi di corsa la mia pausa pranzo e mi diressi verso l’aula 12 con mezz’ora di anticipo.
Recentemente erano accadute tantissime cose ed il mio solo ed unico pensiero era sempre lei.
In passato ero stato fidanzato, anche per molto tempo e se quell’incidente non fosse avvenuto mi sarei anche sposato, ma Eles non riusciva a farmi provare quello che Ciel mi aveva fatto provare in così poco tempo. E’ come quando vedi tutto grigio, poi arriva qualcuno ed il tuo mondo si colora, ecco lei per me era quel qualcuno. Entrai in classe e mi ritrovai un paio di ragazze che fremevano sedute ai primi banchi, guardai tra di loro e mi accorsi che la mia Ciel non era ancora arrivata. – Salve – dissi sorridendo – salve – mi risposero all’unisono. Mi sedetti alla cattedra e cominciai a tirar fuori i vari giochi che avrei voluto proporre per questo potenziamento, non volevo che il corso fosse noioso, semplicemente mi aspettavo qualcosa di carino ed innovativo. Alzai lo sguardo e mi ritrovai le ragazze a fissarmi, la cosa non mi toccava minimamente; solo Ciel mi scombussolava con lo sguardo. Fu così sin dal primo giorno che la vidi, quando più volte ripetei il suo nome ma lei imbarazzata non rispondeva, anche se son sicuro di essermi innamorato al piano.. si, quel giorno al piano.
Erano le tre ed era ora, il corso sarebbe dovuto cominciare. La classe era quasi piena, non mi aspettavo di vedere così tante persone ad un potenziamento di matematica, di solito vi partecipavano sempre in quattro pecorelle. La porta si aprì di colpo – Mi scusi professore – eccola, era arrivata ed era bellissima, aveva sicuramente corso per il ritardo ed il suo fiatone ed i capelli scompigliati accertavano la cosa.
- Prego si accomodi, non abbiamo ancora iniziato – le dissi mentre allungai la mano per mostrarle il suo posto, ci scambiammo uno sguardo complice ed iniziammo la lezione.


Era ora di pranzo ed io e le mie amiche stavamo consumando i nostri pasti.
Dopo aver mangiato come scrofe io decisi di recarmi sul tetto della scuola ad ammirare il cielo.
Pur essendo Gennaio la giornata era davvero meravigliosa e soprattutto avevo bisogno di starmene un po’ sola coi miei pensieri. Aprii la porta ed una boccata di vento scompigliò i miei capelli facendomi rabbrividire, scelsi un piccolo angolino e mi sedetti. Accesi l’mp3 e mi persi nel mio mondo lasciandomi cadere su ogni singola nota, Celebrate a tutto volume era davvero una cosa spettacolare.
Tra una canzone ed un’altra non mi accorsi che il tempo stava scorrendo via, guardai l’orologio e mi accorsi di quanto era tardi, il mio povero Lendon mi stava sicuramente aspettando, immaginavo me e lui praticamente soli; chi è che va ad un potenziamento di mate?
Spensi l’mp3 e mi affrettai subito a scendere le scale che sembravano non terminare più.
Arrivata fuori la porta dell’aula 12 mi chinai sulle ginocchia per riprendere fiato ma la cosa fu inutile, entrai e a mia sorpresa la classe era piena – Mi scusi professore – dissi mortificata, senza abbozzare nessuno sguardo ‘strano’ nei suoi confronti. – Prego si accomodi, non abbiamo ancora iniziato – mi disse in modo professionale, amavo la sua bocca ed il modo in cui parlava, aveva un modo di esprimersi eccezionale ed io ogni volta ne restavo ammaliata. Mi allungò un mano per mostrarmi un posto vuoto e ci scambiammo uno sguardo complice.
La lezione di potenziamento ebbe inizio, il professore cominciò dalle basi e ci spiegò tutto nei minimi dettagli senza procurarci noia. Accanto a me c’era una ragazza bellissima, Tiffany era il suo nome.
Il professore ci diede mezz’ora di pausa ed io ne approfittai per fare conoscenza con la mia nuova compagna di banco – Ciao – dissi con tono cortese – mi chiamo Ciel, questa è la prima volta che ti vedo a scuola – le dissi sorridendo, in realtà era vero, anche se la scuola era abbastanza grande conoscevo molte persone, non direttamente ma almeno riconoscevo i loro visi. – Ciao Ciel io sono Tiffany, mi sono trasferita da poco qui è per questo che è la prima volta che mi vedi ed, essendo indietro col programma, ho colto la palla al balzo e mi sono iscritta a questo corso – mi disse timidamente. Alta, capelli ed occhi scuri, viso abbastanza particolare, una ragazza semplice e bella.
 Restammo per tutta la pausa a parlare, parlammo un po’ di tutto, di cosa facevamo, dove viveva prima e soprattutto condividevamo la stessa passione per la musica; il mio gruppo preferito era anche il suo, oltre Sully avevo trovato un’altra persona con cui condividere la mia gioia all’uscita di un nuovo singolo.
Decisi così che sarebbe diventata mia amica.
La lezione terminò ed io restai ad aspettare il professore – tu non vieni Ciel? – mi disse Tiffany mentre si allontanava – no Tiffany, il professore del potenziamento è il mio prof di mate, ho delle cose da chiedergli – mentii spudoratamente, in realtà lo stavo aspettando perché mi era mancato, volevo stringergli le mani e stampare le mie labbra sulle sue. Il professore ripose le sue cose nella borsa e mi si avvicinò – Bhè signorina cosa ci fa ancora qui? Vuole un autografo come le sue colleghe? – disse sarcastico, io lo guardai e gli sorrisi
- faccia poco lo spiritoso signor professore – dissi con aria di sfida, lui mi si avvicinò e mi baciò.. un bacio lento e dolce come solo lui sapeva fare. Mi alzai dalla sedia e mi avvicinai a lui avvinghiandomi al suo corpo peggio di una cozza, chiusi gli occhi e respirai il suo profumo, troppo buono per passare inosservato.
L’idolo della scuola era tra le mie braccia ed era mio, solo mio.
- Come ti è sembrata questa prima lezione? – chiese lui tornando serio – Mi è piaciuta, è stata davvero interessante e sono riuscita a capire quasi tutto – dissi io sincera, lui mi guardò e mi sorrise – Non posso fare favoritismi nei tuoi confronti solo perché sei la mia piccola, lo sai, però posso aiutarti ed essere uno sprono che ti invogli a studiare – mi disse dolcemente.. ‘ solo perché sei la mia piccola’ ancora non ci credevo, quando mi chiamava così potevo anche morire, decisamente.
Tornai a casa verso sera e mi gettai sul divano come se avessi affrontato una dura giornata di lavoro, cenai e mi immersi in un lungo bagno caldo che mi ridiede vita. Pensai a lungo, pensai a Key e ai suoi sentimenti, al suo essere lontano, pensai al prof ed ai sentimenti sinceri che provavo nei suoi confronti. Pensavo alle mie amiche e alle bugie che dovevo raccontare e pensavo a Tiffany, la mia nuova amica.
Terminato il bagno misi il mio caro pigiamone con gli orsacchiotti e mi infilai a letto. Il cellulare vibrava, era lui, era Lendon e mi stava chiamando. Improvvisamente il cuore uscì dal petto e poi si rimise a posto, era la prima volta che ricevevo una sua chiamata e non ero pronta. Mandai giù della saliva, feci un sospiro di sollievo e risposi – Pronto? – dissi quasi sussurrando, all’altro capo del cellulare un piano produceva delle bellissime note ed ecco che sentii la voce del mio amato professore canticchiare una dolce canzone. Chiusi gli occhi e mi nascosi sotto le coperte per ascoltare meglio, la melodia era troppo dolce e la sua voce altrettanto, non potevo fare a meno di sorridere e sentire quasi di volare, stavo toccando le stelle e la luna che erano in cielo quella sera. D’un tratto la musica si stoppò – Dolce notte amore mio – sussurrò e pose fine alla chiamata.

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Le giornate a scuola scorrevano veloci e tra la pallavolo ed il corso di potenziamento non mi restava del tempo libero e tornavo a casa praticamente sfinita. Di recente si era fatto risentire Key, sembrava tutto normale, come se quella sera tra noi non fosse successo nulla, ed anch’io mi comportai allo stesso modo con lui, gli dissi che mi mancava e che non vedevo l’ora che sarebbe tornato.

La giornata era piovosa ed io ero abbastanza pensierosa, eravamo nell’ora di storia e mentre la prof spiegava io ero intenta a guardare fuori dalla finestra ed ammirare la pioggia che batteva sui vetri, chiusi gli occhi e nella mia mente riaffiorò il ricordo di quella sera di capodanno, riuscivo a vedere noi due stretti in silenzio tra l’imbarazzo ed il picchiettare della pioggia. – Terra chiama Ciel – disse Ines sventolando una mano davanti ai miei occhi – è suonata la ricreazione cosa fai lì impalata? – disse guardandomi sorpresa, di solito quando la campanella ci avvisava della ricreazione io ero la prima a lasciare la classe. Mi alzai dalla sedia ed uscii dalla classe e mi diressi al bar della scuola per prendere una cioccolata calda. Arrivai al bar e vidi il mio caro professore seduto a sorseggiare un caffè ed i miei occhi divennero più luminosi, tale luminosità, però, si spense all’improvviso quando da lontano vidi arrivare una biondona alta quasi due metri con tacchi a spillo e gonna vertiginosa e sembrava camminare in direzione del professor Wolf. Presi la cioccolata e scelsi un tavolo per poterli ‘spiare’ da lontano.  – Ciel – qualcuno urlò alle mie spalle, era Tiffany – shhhhh – dissi io con un dito davanti alla bocca – siediti Tiffany – la invitai. Tiffany si sedette e mi guardava con aria interrogativa mentre io ero intenta a guardare il professore e quella biondona che intanto non sapeva tenere le mani al proprio posto, più volte si avvicinò con le dita al viso di Lendon ma lui fortunatamente si scostava infastidito, riuscivo a notarlo io a distanza e non lei che le era seduta di fronte.
- Ma quello è il nostro bel professore del potenziamento di mate non è così? – disse Tiffany sottovoce, molto probabilmente aveva capito che stavo spiando proprio lui – esatto – sbottai io – e chi sarebbe quella donna, la sua ragazza? Devo dire che è davvero bella ed insieme formano davvero una coppia fantastica, non credi Ciel? – disse con tutta la sincerità di questo mondo. In quel momento mi sentii sprofondare, aveva ragione stavano benissimo assieme, erano entrambi adulti ed entrambi meravigliosi  e avrebbero potuto sicuramente avere moltissime cose in comune.. io, invece, ero solo una ragazzina e forse per lui una cotta momentanea. Mi strinsi nelle spalle e lasciai il bar per avviarmi in classe, il pomeriggio non mi presentai al corso di potenziamento ma preferii andare in palestra per scaricare tutta la rabbia e la tristezza accumulata.
Prima di dirigermi in palestra mi fermai in segretaria per vedere se era possibile usare la doccia dello spogliatoio quando mi ritrovai la biondona davanti, tra le mani aveva dei fogli protocollati e li stava firmando; era un’insegnante di italiano. La guardai, sgranai gli occhi e la mia bocca si aprì in automatico, tutto sembrava altro che una professoressa. – La sua classe sarà la quinta B – disse la segretaria, la donna prese i fogli e lasciò la segreteria. Restai per un momento immobile e pensai che molto probabilmente avrebbe cercato in tutti i modi di accalappiare il professore e se ce l’avesse messa tutta ce l’avrebbe pure fatta; come poteva una donna come quella competere con una come me? Insomma il mio professore era dolcissimo e diceva di amarmi, ma era pur sempre un uomo ed un uomo ha delle esigenze e delle voglie che molto probabilmente una ragazzina non è in grado di soddisfare, cosa importante ero ancora vergine.
Quando ripresi la facoltà di pensiero mi resi conto che la quinta B era la mia classe – Cosa? – urlai come se fosse normale, la segretaria mi guardò intontita – le serve una mano signorina? – mi disse mentre si toglieva gli occhiali – In realtà volevo sapere se era possibile usare la doccia dello spogliatoio in palestra – dissi io tutto d’un fiato – ma oggi non ci sono gli allenamenti – sbottò lei – lo so, volevo usarla per allenarmi- dissi e lei me lo lasciò fare. Mi diressi in palestra e scaricai tutte le cattive emozioni su quella palla, faceva freddissimo ma sentivo il sudore scorrere su ogni singola parte del mio corpo. Non solo quella donna civettava col mio professore, doveva per forza essere la mia nuova prof di Italiano? E la vecchia? Che fine aveva fatto? Sentii le forze abbandonarmi e mi lasciai cadere a terra, ero distesa e guardavo il soffitto, intorno a me c’era silenzio ma a fare rumore erano i miei pensieri, ma non potevo assolutamente prendere decisioni affrettate e soprattutto non potevo mostrarmi gelosa davanti a lui, cosa avrebbe potuto pensare? E cosa importante, le mie amiche avrebbero capito subito, fu per questo che decisi di assentarmi alla sua lezione per trascorrere un po’ di tempo da sola.
Lasciai la palestra e mi diressi alle docce, lasciai scorrere l’acqua su di me delicatamente ed oltre al sudore portò via tutti i cattivi pensieri, mi asciugai ed indossai nuovamente la mia divisa.
Ero per strada e stavo ritornando a casa, presi il cellulare dalla borsa e mi ritrovai un messaggio dal professore..

Ho posticipato la lezione di venti minuti ma non sei venuta ugualmente, ti ho vista al bar questa mattina e sembravi stare giù.. è successo qualcosa? Parlane con me, non voglio ci siano segreti tra noi..

In realtà manco io volevo che tra noi ci fossero segreti ma cosa potevo dirgli? Sono gelosa della prof d’italiano? Assolutamente!
Tornai a casa e non volli cenare, avevo lo stomaco troppo chiuso e poi per una volta di certo non sarei morta. Mi stesi sul letto e come al solito accesi il mio mp3. Poco dopo mi ricordai dei compiti da fare per casa e tra questi vi erano anche quelli di mate. Cominciai con psicologia, dovevo studiare due capitoli ed erano per il giorno dopo, feci un sospiro e cominciai a studiare. Parlavo ad alta voce, mi alzai dalla sedia e facevo avanti e indietro nella mia camera. Il mio telefono squillò, presa dallo studio non vidi il numero riportato sul display e risposi automatico – pronto? – dissi con naturalezza – sono poco più distante dal cancello di casa tua, puoi scendere? – sentii la sua voce, allontanai il cellulare dal mio orecchio e leggendo il suo nome sgranai gli occhi ‘ oh cavolo’ pensai.. come avevo potuto fare un simile errore?
Fortunatamente mio padre non aveva ancora gettato la spazzatura allora io mi offrii per portarla fuori così avevo una scusa per potermi allontanare. Mi diressi fuori al cancello e lo ritrovai poggiato alla sua macchina con le mani in tasca ed il capo chino. Mi avvicinai lentamente, sentivo il cuore in gola, ero agitata e non sapevo cosa dire. Alzò il capo lentamente e si buttò a capofitto su di me e mi strinse fortissimo, in quel momento avevo già dimenticato tutto; avevo dimenticato quella biondona ed il fatto che ci provasse spudoratamente con lui. – Perché non hai risposto al mio messaggio? – mi chiese mentre continuava a stringermi – mi dispiace ho terminato il credito – dissi io mentendo, in realtà non avevo risposto di proposito. – Perché sei qui? – chiesi con tono freddo, lui si staccò da me e mi guardò stranito – avevo voglia di vederti, ma cosa è successo? – chiese posando la sua mano sul mio viso, io abbassai il capo e non risposi.
Restammo in silenzio per un po’ e intanto lui decise di andare via, si voltò per salire in macchina ed io istintivamente afferrai il bordo della sua maglia – scusami – sussurrai, lui si voltò a guardarmi e mi spinse dolcemente vero la sua auto posandosi su di me – dimmi cosa ti preoccupa – disse guardandomi negli occhi – non voglio vederti triste, adoro il tuo sorriso – aggiunse, io mi avvicinai al suo viso e sfiorai leggermente le sue labbra, avevo voglia di controllare se riusciva a resistermi, avevo voglia di capire se contro quella donna avevo anche una minima possibilità. Il tutto fu improvviso, mi prese in braccio e mi strinse nuovamente a sé, le sue braccia erano intorno al mio collo e le mie gambe intorno al suo bacino, mi portò una mano tra i capelli e l’altra la lasciò scorrere lungo la mia schiena, un brivido mi percorse, iniziò con dei piccoli baci a stampo prima di lasciarsi andare completamente. Una lacrima corse lungo il mio viso, la dolcezza di quell’uomo era divina, lui era divino, assolutamente non poteva essere umano. Si staccò dalla mia bocca e mi guardò dritta negli occhi, era serio ma i suoi occhi luccicavano. Spostò i capelli dal mio collo e vi ci stampò un bacio.. – Ti amo – sussurrò per la prima volta al mio orecchio ponendo fine alla mia povera vita.

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


Mi fece scivolare giù e ritornai coi piedi a terra, lo fissavo dritto negli occhi perché ancora non potevo credere alle parole che aveva appena pronunciato – Ti amo – ripeté quando si accorse del mio sguardo interrogativo. I miei occhi si riempirono per l’ennesima volta di lacrime, si sono una piagnona, ma non potevo farci nulla, era lui il mio primo vero ed unico amore e le emozioni che mi faceva provare erano in grado di scombussolarmi dentro. Nello stomaco avevo un uragano, altro che farfalle, io ci sentivo mille cavallette impazzite. Mi sorrise e si avvicinò lentamente al mio viso lasciando il sapore delle sue labbra sulle mie – buonanotte – sussurrò ed andò via lasciandomi un po’ di sé.

Il mese di Gennaio scivolò via come se nulla fosse ed ecco che eravamo già a Febbraio. Ero in classe e tutti i professori  ci parlavano dell’esame di stato. Il potenziamate stava andando bene ed io ero migliorata abbastanza in quella materia.
- Febbraio è un mese malinconico – borbottò Savannah durante la ricreazione – per quale motivo? – chiesi io ingenuamente – sta per arrivare San Valentino e noi come al solito siamo sole – disse con aria di sconforto. ‘ Siamo sole’ non era poi tanto corretto, almeno per me..
La campanella suonò e ci avvisò della fine della ricreazione, tornammo in classe e alla cattedra vi era già seduta la biondona, si, la mia nuova prof di italiano, la cara Larisse Ruvier che tutti i professori porci che gli sbavavano dietro si divertivano a chiamare Lary eccetto il mio prof che, pur essendo cordiale e gentile, preferiva mantenere una certa distanza professionale nonostante lei ci provasse con lui in ogni ora del giorno e della notte, si proprio così della notte. Si erano scambiati i numeri per questioni di lavoro ma lei non esitava a contattarlo anche quando non doveva; ‘una cena’ chiedeva ogni volta.
Nelle sue ore di lezione in classe regnava il silenzio più assoluto, i miei amici erano troppo impegnati a guardare le gonne vertiginose e lo scollo della maglietta per poter fare casino, improvvisamente la letteratura piaceva a tutti i maschi. La componente femminile, invece, odiava quella donna soprattutto Victoria che la vedeva come una sottospecie di rivale; chi delle due biondone l’avrebbe avuta vinta col caro professor Lendon Wolf? Ovviamente nessuna.. lui era mio.
- Bene ragazzi, oggi spieghiamo Shakespeare – disse la prof entusiasta – ci soffermeremo brevemente sulla vita e poi parleremo della celebre commedia Romeo e Giulietta – aggiunse.
- Romeo e Giulietta – pensai ad alta voce – quale amore fu più tormentato del loro? – la professoressa sentì il mio commento e abbozzò uno strano sorriso sulle labbra, quella donna mi odiava e l’aveva dimostrato sin dal primo giorno che aveva messo piede in quella classe. Avevamo ben tre ore di sua lezione e quindi la prima ora ci soffermammo sulla vita e alla seconda e la terza cominciammo a parlare di Romeo e Giulietta.

« Anche se tu mi dai tanta gioia questo giuramento di stanotte non mi piace:
È troppo avventato, affrettato, improvviso,
troppo simile al lampo, che svanisce
prima di poter dire 'eccolo, guarda' (...) »

Leggevo tra le pagine di quel libro e la classe era intenta ad ascoltarmi.
- Potremmo fare una rappresentazione di Romeo e Giulietta – disse la prof d’un tratto interrompendo la mia lettura. La classe la guardò attonita – una rappresentazione? – sbottò Sully rossa come un peperone, troppo timida per poter entrare in scena. – Potremmo farci un nostro adattamento teatrale e come colonna sonora usare le musiche del balletto classico – disse – ne parlerò con la preside – aggiunse.
La classe fece un gemito di disapprovazione – ma prof abbiamo gli esami, non possiamo perdere tempo in cose inutili – aggiunse un mio compagno di classe – non è inutile ed è istruttivo – sbottò la professoressa – prendetelo come mio metodo di studio – aggiunse e si alzò dalla cattedra per lasciare la classe, erano state tre ore di fuoco e fortunatamente alla prossima ora mi sarei potuta rilassare poiché avrei avuto lezione col caro professor Wolf. La professoressa restò ferma immobile accanto alla lavagna, non si muoveva ad andare via. Ecco che il professor Wolf bussò alla porta, lei si aggiustò i capelli – avanti – disse cambiando tono di voce. Il professore entrò e quella mattina sembrava essere più bello del solito, insomma ogni volta che lo vedevo pensavo sempre la stessa cosa, era dannatamente perfetto, non umano. La professoressa si avvicinò lentamente – oh Lendon sei qui – disse civettando, il professore la guardò e le sorrise – buongiorno- disse rivolgendosi a noi. La professoressa apparve infastidita, molto probabilmente si sentiva sempre più rifiutata dal professore ed io me la ridevo sotto i baffi anche se per un certo senso la cosa mi pareva assai strana; perché una donna come quella non riusciva ad attirare l’attenzione del professore mentre una come me si? E mentre i miei pensieri frullavano nella testa il professore si sedette alla cattedra e cominciò l’appello. Passarono circa venti minuti e la lezione ebbe inizio. Lendon era in gran forma e ci spiegò tantissime cose attirando l’attenzione di tutta la classe, questo perché era simpatico mentre spiegava e riusciva a far apparire interessante anche una materia noiosa come la matematica.
- Pensate alla matematica come la vostra donna o il vostro uomo – diceva spesso – e provate ad amarla profondamente – aggiungeva ed io facevo così, associavo la matematica a lui e non potevo fare altro che amarla. Dopo una lunga e saziante spiegazione il professore ci diede cinque minuti di pausa. Quella mattina era piuttosto elegante, indossava una camicia bianca con un gilet nero che richiamava il colore della cravatta e del pantalone. Si sedette alla cattedra ed allentò il nodo della sua cravatta e lo fece in un modo tremendamente sexy. – Prof lei sa che faremo una rappresentazione di Romeo e Giulietta? – disse improvvisamente Victoria attirando gli sguardi di tutta la classe su di lei – davvero? – chiese il prof – bhè mi sembra una bella cosa – aggiunse – se lei fosse Romeo ed io Giulietta vorrei provare la scena del bacio tutti i giorni – sbottò Victoria come se avesse detto una cosa normale, insomma era il suo professore come poteva dire una cosa del genere? La mia pressione sanguigna aumentò improvvisamente, mi sentivo il sangue al cervello. Il professore la guardò spazientito e non rispose.

Anche questa sua lezione era terminata ed io mi sentivo un vuoto dentro poiché il professore stranamente non mi aveva rivolto nemmeno un cenno di sorriso.
Era ora di pranzo ed io mi stavo dirigendo con le mie amiche alla mensa per poter consumare i pasti che le nostre mamme avevano amorevolmente preparato.
- Solo un appuntamento – qualcuno aveva detto richiamando la nostra attenzione, ci voltammo e a mia sorpresa vedemmo il professor Wolf con la professoressa Ruvier – andiamo via – sbottai improvvisamente spingendo lievemente le mie amiche per farle camminare – aspetta – disse Ines – restiamo a guardare cosa succede almeno così capisci se hai speranze o meno con lui – aggiunse mentre si voltò a guardarmi. La professoressa Ruvier si avvicinò pericolosamente al viso del mio professore facendolo indietreggiare, strinsi i pugni e corsi via – Ciel – gridarono le mie amiche all’unisono attirando l’attenzione di entrambi i professori.

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


Corsi a perdifiato lungo tutto il corridoio e mi spinsi in una classe vuota, mi accovacciai a terra ed incominciai a maledire il mio istinto che, ancora una volta, avrebbe potuto farmi cacciare in guai seri.
- Ciel – la voce del professore richiamò la mia attenzione, vide la porta socchiusa ed entrò nella mia stessa classe. – Cosa fai qui a terra? – mi disse accovacciandosi davanti a me – nulla – risposi – scusami, torna dalla professoressa, ti stavo facendo cacciare in un guaio grosso ed io non voglio – dissi a sguardo basso – siamo amici dal liceo – rispose lui – forse è per questo che è così nei miei confronti – aggiunse.
Insomma era davvero cieco? Si vedeva lontano un miglio quanto la prof stravedesse per lui.
Improvvisamente la porta si spalancò – cosa ci fate voi qui? – disse la professoressa sgranando gli occhi e lanciando fiammate su di me, io mi alzai, mi sistemai la divisa e a capo chino mi scusai ed uscii da quella classe. Fuori ad aspettarmi c’erano le mie amiche che mi guardavano con aria interrogativa e restavano in silenzio, alle mie spalle uscì il professore seguito dalla professoressa, tutti fissavano specialmente noi due ed io mi sentivo male, avevo paura che potessero pensare qualcosa. – Bhè ragazze che fate? Non andate a pranzo? – disse il professore sorridendo – e mi raccomando Ciel, mangia o ti risentirai male – aggiunse.
Ci dirigemmo verso la sala mensa e ci sedemmo ad un tavolo, tra noi regnava ancora il silenzio.
- Guarda che l’abbiamo capito – disse Savannah improvvisamente – capito cosa? – chiesi io – della tua relazione col professore – sbottò Ines, io le guardai ed abbassai lo sguardo improvvisamente – mi dispiace – sussurrai. Tutte si avvicinarono a me e mi strinsero forte – non ti devi scusare, se non ci hai detto nulla un motivo ci sarà – disse Ines accarezzandomi i capelli.
Adesso le mie amiche sapevano la verità allora potevo raccontare loro tutto, compreso il fatto che il professore mi avesse detto che mi amava. Passammo tutta l’ora di pranzo a chiacchierare dopodiché ognuno di noi si diresse al proprio corso.
Prima di passare dal corso, però, feci un salto in biblioteca. Camminavo per gli scaffali e ricordai il primo contatto che ebbi col professore, quando avvolse il suo braccio intorno al mio collo e poggiò la mano dolcemente sulla mia bocca, proprio quando il professor Mc Flurry e la preside consumavano su quel tavolo come se non ci fosse un domani.  
Intorno a me era tutto buio e si udiva un silenzio meraviglioso, amavo la tranquillità. Scelsi un libro e mi sedetti a terra, lo aprii e cominciai a leggere.

<< Tu mi ami >> mormoro.
I suoi occhi si spalancano ancora di più. Apre la bocca. Fa un respiro profondo, come per scaricarsi. Ha l’aria trascurata .. vulnerabile.
<> sussurra << Ti amo>>

Le frasi di quel libro mi stavano praticamente penetrando l’anima, ricordai quando il mio caro Lendon me lo disse quella sera fuori casa mia. I miei occhi cominciarono a sentire una certa pesantezza, non ero riuscita a piangere e quindi forse era normale. Li strofinai più volte ma nulla, li sentivo sempre più pesanti. Appoggiai la testa allo scaffale dietro di me e mi addormentai.
Al mio risveglio mille chiamate erano presenti sul mio cellulare: Savannah, Ines, Sophie.. tutti mi avevano cercato compreso il professor Wolf. Oltre alle chiamate vi erano anche messaggi..

Sophie: Ciel dove sei finita? Non dovevamo tornare a casa assieme? Anche il professore ti cerca, perché non sei andata a lezione?
Professor Wolf: Sei mancata di nuovo a lezione, dove sei Ciel? Mi sto seriamente preoccupando.

Dopo aver letto i messaggi guardai l’orologio, erano le sei di sera ed io ero ancora a scuola. Mi alzai di scatto e corsi via dalla biblioteca. Uscii fuori e mi accorsi che pioveva, rabbrividii, il tempo era davvero cattivo. Corsi lungo la navata destra della scuola e mi diressi al padiglione centrale, era deserta.
Tornai in classe e recuperai le mie cose per poi andare via.
Dei piccoli rumori di tacchi richiamarono la mia attenzione, avevo già capito chi poteva essere ma non dissi nulla. – Se pensi di avere speranze con lui sei una povera illusa – la professoressa alle mie spalle era a braccia conserte e mi parlò con aria di sfida – dove ti eri cacciata? Le tue amiche ti hanno cercato in lungo e in largo – aggiunse. – Mi sono addormentata in biblioteca – dissi – stavo leggendo un libro ed i miei occhi si sono chiusi – aggiunsi. La professoressa mi guardò e scoppiò in una sonora risata – leggi libri, scrivi molto bene e ti piacciono le commedie, se stai lontana da Lendon ti posso pure mettere il dieci – disse mentre si avvicinava a me, quel suo rossetto rosso su quelle labbra facevano intendere ancora di più quanto fosse una vipera quella donna. Non risposi alla sua affermazione, non mi sembrava il caso, presi le mie cose e feci per lasciare la classe – sarai la mia Giulietta – sbottò improvvisamente – domani ti farò avere il copione – la guardai per un’ultima volta ed andai via.
Non potevo credere alle mie orecchie, ci avevo visto bene sin dal primo momento, quella donna provava dei sentimenti per Lendon e soprattutto odiava me. E quella di prima cos’era una minaccia?
Frugai tra le mie cose ma non riuscivo a trovare il mio ombrello e stava piovendo a dirotto, presi la cartella e la poggiai sulla mia testa mentre iniziai a correre. Lungo la strada c’era una piccola rientranza in un muro, decisi così di entrarvi per ripararmi dal freddo e dalla pioggia. Il mio fiato stava diventando affannato, mi posai una mano sulla fronte e mi accorsi di avere la febbre. Il cellulare cominciò a squillare, era Lendon.
- Pronto? – risposi con fatica – Ciel, cos’è successo? Dove sei? Perché parli così? – mi riempì improvvisamente di domande – Lendon – dissi, era la prima volta che lo chiamavo così, dall’altro capo udii silenzio, molto probabilmente neanche lui si aspettava una cosa del genere – Piccola – sussurrò dolcemente – dove sei? Ti vengo a prendere – aggiunse. Diedi tutte le indicazioni esatte e chiudemmo la chiamata.
Continuavo a tremare incessantemente, sentivo freddo partendo dal profondo del mio cuore, stavo ancora pensando a quella vipera della professoressa Ruvier e avevo paura potesse portarmelo via.
Una macchina nera si fermò davanti a me, cominciavo a vederci offuscato ma quando l’uomo che scese dalla macchina  mi si avvicinò mi accorsi che era il professore. Mi prese in braccio ed io lo guardai per qualche secondo, poggiai la testa sul suo petto e mi riaddormentai, non poteva che essere lui, avevo riconosciuto il suo profumo. Quel profumo che solo Lendon portava,  quel profumo che avrei riconosciuto anche tra mille persone.

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


Mi risvegliai in un letto che non era il mio in una stanza che assolutamente non poteva essere la mia. Mi alzai di colpo dal letto e presi le lenzuola tra le mani. Mi guardavo intorno, non avevo mai visto quella stanza prima d’ora eppure l’arredamento aveva qualcosa di familiare.
- Non si preoccupi – sentii la voce del professore provenire da un’altra stanza – l’accompagnerò a casa dopo averla fatta cenare -. Scesi dal letto e mi accorsi di non indossare la mia divisa. Diventai rossa come un peperone, il professore mi aveva spogliato? Indosso avevo una sua camicia che mi stava da vestito, strofinai gli occhi e mi diressi in cucina, ecco dov’ero, ero a casa sua. – Ti sei svegliata Ciel – disse con un cenno di sorriso – mi sono preoccupato tanto ma Patricia ha detto che la febbre è scesa – aggiunse – Patricia? – dissi io guardandolo con aria interrogativa. Dalla cucina improvvisamente uscì una donna di mezza età, una persona squisita apparentemente che sembrava essere uscita da una di quelle pubblicità di Natale, dove la nonna prepara i biscotti. – Ciao Ciel – mi disse sorridendo – Salve – risposi educatamente io. Non mi sentivo bene ed ero anche tanto confusa, quella era casa del professore, e quella donna chi era? L’ultima volta non era qui, pensavo. – Ciel lei è Patricia, si occupa di tanto in tanto della casa – disse il professore presentandola – vive a casa dei miei è la nostra governante – aggiunse – è stata lei a spogliarti e a metterti la mia camicia – disse mentre si toccava il capo e arrossendo fece arrossire anche me.
Patricia prese il cappotto e lo indossò – Signorino io devo andare, la cena è pronta deve solo essere riscaldata – disse, salutò ed andò via lasciandoci soli.
Il mio cuore iniziò a tremare, l’ultima volta che eravamo rimasti soli a casa sua ci eravamo baciati. Cosa sarebbe successo questa volta? Il professore mi si avvicinò e mi poggiò una mano sulla fronte – menomale che è scesa la febbre – disse e si sedette accanto a me. Notai che mi scrutava attentamente e per un secondo si soffermò sulle mie gambe nude, lo vidi arrossire. –Dovresti dire ai tuoi di tornare a casa un po’ più tardi, dì loro che sei da qualche amica- mi suggerì, io presi il telefono e chiamai mia madre.
Fuori pioveva ancora, la situazione in cui eravamo e la pioggia mi fecero ricordare il giorno in cui le nostre labbra si sfiorarono per la prima volta. Lendon si alzò dalla sedia e si poggiò sul divano, mi guardò attentamente e con la mano fece cenno di sedermi accanto a lui, io mi alzai dalla sedia e titubante lo affiancai. Mi prese tra le braccia e mi fece stendere sul divano con il capo sulle sue gambe, prese le mie mani ed iniziò a giocarci, guardandomi negli occhi sorrideva e con la voce abbozzò una melodia. – Sto scrivendo una canzone – disse improvvisamente, io lo guardai e gli sorrisi – che canzone? – risposi – quella che sto canticchiando, ‘Loving you a thousand times’ è il suo titolo – disse accarezzandomi il viso – sei bellissima – aggiunse. Di colpo mi alzai ed avvicinai il mio viso al suo, ci guardammo profondamente negli occhi e alla fine ci baciammo. Dolcemente mi accarezzava e mi sussurrava delle parole, parole che facevano parte della sua canzone – vieni – disse improvvisamente prendendomi per mano, lo seguii e ci dirigemmo in una grande stanza, una stanza piena di finestre con al centro un pianoforte e vari spartiti. Il professore mi fece strada e si sedette al piano mentre io restai a fissarlo, mi sedetti accanto a lui e lui iniziò a suonare, chiusi gli occhi e poggiai la mia testa sulla sua spalla, la sua voce calda mi aveva invaso il cuore, era così bravo a cantare – avresti dovuto fare il professore di musica – dissi con naturalezza, lui mi guardò e mi sorrise – la musica è la mia passione, la matematica la mia donna – disse scherzoso, io lo guardai e sorridendo dissi – ed io, io cosa sono? – Tu? – chiese lui – Beh tu sei la mia vita – concluse posando le sue labbra sulla mia fronte.
Mi fece ascoltare ripetutamente tutta la canzone ed io ne avevo sempre più voglia, se non lo conoscessi di persona mi sarei comunque innamorata della sua voce, solo della sua voce perché è capace di rubarti l’anima. Il tempo scorreva veloce ed era arrivata l’ora di cena – vuoi fare una doccia? – mi chiese dolcemente lui – si – risposi io, ne avevo proprio bisogno. Presi la mia divisa e mi diressi in bagno, come al solito era tutto ben in ordine. Il professore si mise invece ai fornelli e stava riscaldando le cose che Patricia aveva amorevolmente preparato. Ero sotto la sua doccia e ancora non potevo crederci, mi guardavo in giro e vedevo le sue cose, le cose che lui usava quotidianamente come il pettine, lo spazzolino e soprattutto il suo profumo, quello di cui erano invaghite parecchie persone e tra queste vi era quella racchia della professoressa Ruvier, per poco mi ero scordata di lei. Uscii dalla doccia e portai il suo accappatoio intorno al mio corpo e mi ci avvolsi dentro, chiusi gli occhi e lasciai che il suo profumo invadesse le mie narici.
- E’ stato un gentiluomo – pensai – se fosse stato un altro in una situazione come questa mi avrebbe già portata a letto-. Mi asciugai, mi vestii ed uscii dal bagno. Camminando per il corridoio mi accorsi che le foto che avevo visto la scorsa volta non c’erano più, le aveva sostituite con foto del giorno della sua laurea e di lui al pianoforte. Mi diressi in cucina e trovai tutte le luci spente ed al centro della stanza un tavolo imbandito di cose buonissime e con delle bellissime candele accese – prego signorina – disse il professore porgendomi la mano, sembrava tutto un sogno, avrei cenato con lui e soprattutto era stato così dolce da preparare tutto questo per me. Presi la sua mano e mi diressi al tavolo, lui mi spostò la sedia e mi fece sedere. Si sedette di fronte a me e mi sorrise dopodiché cominciammo a mangiare. Per tutta la cena ci scambiammo sguardi complici e soprattutto innamorati, in quel momento pensai che l’avrei sicuramente amato per tutta la vita anche se magari un giorno qualcuno l’avesse portato via.
- Che rapporto c’è tra te e la professoressa Ruvier? – chiesi io curiosa, per quale motivo avevo voglia di rovinare quel momento magico? Sei sempre la solita Ciel – Siamo amici sin dal liceo, lei mi è sempre stata accanto, molto probabilmente ha sempre provato qualcosa per me ma io la vedo solo come un’amica – disse in tutta sincerità, io abbassai lo sguardo e sorrisi – credimi Ciel – disse lui richiamando la mia attenzione – oltre te non vedo più nessuna -.
Purtroppo la serata terminò ed io dovevo ritornare a casa, il professore fu tanto gentile da accompagnarmi in macchina. Arrivammo sotto casa mia e restammo cinque minuti fermi in macchina per salutarci.
Lendon si avvicinò al mio viso e stava quasi per baciarmi quando improvvisamente il suo telefono squillò..
- non rispondi? – dissi io, prese il cellulare tra le mani e fece una strana espressione. – Chi è? – chiesi istintivamente – è Larisse – rispose con tono scocciato, io abbassai il capo – ah – mi limitai a dire e senza un minimo contatto scesi dalla macchina – grazie per oggi – dissi ed andai via – Ciel – mi chiamò – la nostra è una relazione segreta, lei pensa io sia single è per questo che si comporta così con me – disse tutto d’un fiato – lo so – risposi io – buonanotte – conclusi lasciandolo lì col cellulare che squillava ed un nodo in gola.

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Capitolo 20
*** Capitolo XX ***


NB: Questo capitolo è stato scritto dal punto di vista del professore riportando le sue emozioni
 
Terminai la mia lezione di matematica e soddisfatto lasciai la classe. Mi sentivo un po’ vuoto nonostante tutto perché nemmeno per un secondo avevo posato la mia attenzione su Ciel, ma non potevo, non potevo assolutamente o l’intera classe si sarebbe accorta del modo speciale in cui la guardavo.
Percorsi il corridoio e da lontano vidi piombare davanti ai miei occhi Larisse, ‘ci risiamo’ ripensai, era dal tempo del liceo che si comportava in questo modo con me. – Ciao Lendon tesoruccio – disse con la sua voce squittante e fastidiosa – Ehi Larisse – dissi io scocciato, ma non se ne accorgeva? – Come te la passi? Prima in classe non mi hai manco guardata – aggiunse lei fingendo un piccolo broncio – scusami ma quando sono a scuola mi comporto in modo professionale – risposi io – bhè allora permettimi di proporti una cosa – disse facendo comparire sulle sue labbra un sorriso a trentadue denti – cosa vuoi propormi? – chiesi io fingendomi incuriosito, pensavo a qualche materia trasversale.. come no Lendon, a ventisette anni pensi che le donne pensino a questo? – Vorrei un appuntamento con te – disse lei avvicinandosi – cosa? – risposi io scostandomi – solo un appuntamento – ripeté avvicinandosi al mio viso, era pazza? Mi scostai velocemente e la voce delle mie alunne richiamò la mia attenzione – Ciel – avevano gridato all’unisono e quando mi voltai vidi che la mia Ciel stava scappando. Non persi tempo e le corsi subito dietro, improvvisamente mi accorsi che una classe era socchiusa – Ciel – dissi io prima di entrare ed una volta entrato la ritrovai lì, accovacciata a terra e la testa sulla mani – cosa fai qui a terra? – le chiesi mentre mi inginocchiavo davanti a lei – nulla – rispose – scusami, torna dalla professoressa, ti stavo facendo cacciare in un guaio grosso ed io non voglio – disse a sguardo basso – siamo amici dal liceo – ribattei io sperando di aggiustare le cose – forse è per questo che è così nei miei confronti – aggiunsi.
Stavo per avvicinarmi ancora di più a lei quando la porta si aprì di colpo – cosa ci fate voi qui? – disse Larisse guardando me e Ciel sorpresa ma soprattutto in malo modo, Ciel si alzò, sistemò la sua divisa e scusandosi uscì dalla classe come nulla fosse, l’ammiravo davvero tanto, molto probabilmente aveva la tristezza dentro, una tristezza che le stava mangiando il cuore eppure lei fingeva di stare bene. Uscimmo dalla classe ed il resto delle mie alunne, nonché amiche di Ciel, erano lì e ci guardavano con aria interrogativa. Iniziai a sudare, dovevo immediatamente inventare qualcosa – Bhè ragazze che fate? Non andate a pranzo? – dissi abbozzando un sorriso e cercando di essere più naturale possibile – e mi raccomando Ciel, mangia o ti risentirai male – aggiunsi ed andai via. Per tutta la durata del pranzo Larisse mi riempì di domande mentre io mi limitavo ad osservare Ciel da lontano, ecco che le amiche l’avevano circondata ed abbracciata fortissimo; è dolcissima la mia Ciel, è una persona veramente umile e si fa amare da tutti, pensavo.
Terminata la pausa pranzo mi diressi verso l’aula 12 dove ogni pomeriggio tenevo il potenziamate, stranamente le alunne da 30 erano arrivate a 35 ed era per questo che non potevo più accettare iscrizioni.
Entrai in classe e mi accorsi che Ciel non era ancora arrivata, la solita ritardataria, mi sedetti alla cattedra ed aspettai che si facessero le tre. – Professore questo completo le sta benissimo – disse improvvisamente una ragazza seduta ai primi banchi – grazie – mi limitai a dire sorridendo.
Erano ormai le 15:15 e Ciel non era ancora arrivata, non potevo aspettare ancora oltre. Guardai fuori dalla finestra e mi accorsi che stava piovendo. Iniziavo ad essere nervoso e preoccupato.
- Tiffany – chiesi alla compagna di banco di Ciel, avevo notato che erano diventate amiche e quindi avrebbe potuto sapere qualcosa – si professore? – rispose prontamente lei – sa per caso come mai l’alunna Ciel non è presente a lezione? – chiesi da ‘normale’ docente di matematica – no professore, oggi non ho proprio visto Ciel – rispose, annuii e cominciai la lezione.
Erano le cinque e mezza e la lezione di potenziamento era terminata, salutai le mie alunne e mi diressi verso l’uscita, stava ancora piovendo. Da lontano intravidi Sophie che sembrava cercare qualcosa – professore – mi chiamò improvvisamente – menomale che è qui – aggiunse – Cosa succede? – chiesi io preoccupato – Ciel – disse lei. Improvvisamente sentii come se il mio cuore si fosse fermato, provai paura – cosa è successo a Ciel? – chiesi preoccupato – è venuta a lezione? Dovevo tornare a casa con lei ma non la trovo – disse continuando a guardarsi intorno – no, non è venuta – risposi io, dove si era potuta cacciare? E se le fosse successo qualcosa? Mille domande stavano invadendo il mio cervello.
Corsi in macchina e mi misi immediatamente a cercarla, feci trentamila chiamate, il telefono squillava ma non riuscivo a rintracciarla. Decisi così di mandarle un messaggio.
Continuai a girare per tutto il quartiere che circondava la scuola, il cielo era ancora tutt’imbrunito e la pioggia non cessava di cadere. Erano ormai le 18:10 ed io provai a richiamarla – pronto? – la sua voce, finalmente aveva risposto ma era strana, sembrava affaticata, preoccupato cominciai a porle mille domande a raffica – Ciel, cos’è successo? Dove sei? Perché parli così? – mi stavo agitando – Lendon – disse lei, in quel momento potevo anche morire, era la prima volta che pronunciava il mio nome ed era davvero dolcissimo il modo in cui lo diceva – piccola – dissi spontaneamente, non potevo farne a meno di chiamarla così – dove sei? Ti vengo a prendere – le chiesi e quando ricevetti le informazioni necessarie chiudemmo la telefonata.
Mi fermai con la macchina proprio davanti a lei, era li e stava tremando dal freddo. Scesi dalla macchina e mi avvicinai, la presi in braccio e lei poggiò la sua testa sul mio petto addormentandosi.
Il mio cuore stava quasi per abbandonare il mio povero petto, la poggiai sul sedile accanto al mio e le misi la cintura di sicurezza. Le toccai la fronte e mi accorsi che scottava; con tutto quel freddo aveva preso la febbre, era bagnata fradicia ma nonostante tutto il suo profumo sapeva di buono, mi avvicinai lentamente e le diedi un bacio, mi aveva praticamente stregato.. non potevo più fare a meno di lei.
Mi rimisi al volante ed avvisai Patricia, la mia governante di preparare la cena.
Dopo tanto tempo l’avrei riportata a casa mia, in quel luogo dove tutto ebbe inizio.

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI ***


NB: Questo capitolo è stato scritto dal punto di vista del professore riportando le sue emozioni
 
 
La presi nuovamente in braccio e la scortai in casa dove Patricia mi venne incontro per aiutarmi, la posai dolcemente sul letto e lasciai che Patricia si occupasse di lei.
Mi spostai verso il soggiorno e mi guardavo intorno, ripensavo a quel giorno di ripetizioni e al fatto che non avrei dovuto baciarla e lasciare che entrambi finissimo in questo modo, ma adesso non mi importava perché io volevo lei. Feci una passeggiata in corridoio e guardai le foto che avevo cambiato ‘ chissà se nota il cambiamento’ pensavo tra me e me. Patricia mi raggiunse e mi disse che la febbre era scesa e che Ciel stava riposando, mi affacciai in camera da letto e la vidi sdraiata tra le mie lenzuola ed indosso aveva la mia camicia, avrei voluto farla mia per sempre. – Cosa ha intenzione di fare signorino? – disse Patricia preoccupata – Non si preoccupi, l’accompagnerò a casa dopo averla fatta cenare – rassicurai, Patricia mi guardò e ritornò in cucina.
Con un viso assonnato spuntò dalla porta del corridoio la mia cara Ciel – Ti sei svegliata Ciel – dissi abbozzando un sorriso - mi sono preoccupato tanto ma Patricia ha detto che la febbre è scesa – aggiunsi, Ciel mi guardò con aria interrogativa – Patricia? – chiese. Sentendo il suo nome Patricia uscì dalla cucina – ciao Ciel – disse sorridendo e Ciel ricambiò il saluto educatamente.
– Ciel lei è Patricia, si occupa di tanto in tanto della casa, vive a casa dei miei ed è la nostra governante è stata lei a spogliarti e a metterti la mia camicia – dissi mentre mi toccavo il capo preso dall’imbarazzo, dovevo precisare o avrebbe potuto pensare che fossi stato io a spogliarla. Lei mi guardò attentamente e abbassò lo sguardo col rosso in viso, il mio imbarazzo aveva contagiato anche lei.
La signora Patricia doveva andare via  – Signorino io devo andare, la cena è pronta deve solo essere riscaldata – disse prendendo il cappotto e salutando con un cenno della testa.
Eravamo rimasti soli e Ciel sembrava piuttosto agitata, la guardai e dentro di me sentii nascere dei forti sentimenti, ancora una volta.. le emozioni che mi trasmetteva lei erano bellissime.  Mi avvicinai a lei lentamente e le poggiai una mano sulla fronte per accettarmi in prima persona se stesse meglio – menomale che è scesa la febbre – dissi e mi sedetti accanto a lei. Era perfetta, era così piccola ma allo stesso tempo così donna davanti ai miei occhi, la guardai allungo, la scrutai attentamente e per qualche secondo mi soffermai sulle sue gambe nude e la cosa mi fece arrossire, era passato parecchio tempo dall’ultima volta che ero stato con una donna e raccontarlo mi faceva sentire tremendamente vecchio.
–Dovresti dire ai tuoi di tornare a casa un po’ più tardi, dì loro che sei da qualche amica- suggerii porgendole il telefono, lei mi ascoltò e fece la chiamata.
Guardai fuori dalla finestra e mi accorsi che pioveva ancora, mi alzai da quella sedia scomoda e mi lasciai cadere sul divano, guardai Ciel attentamente e con un cenno della mano le feci capire che la desideravo accanto a me. Titubante si alzò dalla sedia e si avvicinò lentamente a  me, la presi tra le braccia e la feci stendere sul divano lasciandole tenere la sua testa sulle mie gambe, presi le sue mani ed iniziai a giocarci ed incastrarle con le mie. I nostri sguardi si incontrarono ed il mio cuore sorrideva tanto forte da far sorridere anche me mentre con la bocca abbozzavo alcune parole della canzone che stavo componendo per lei.
– Sto scrivendo una canzone – dissi improvvisamente, lei mi guardò stupita ma mi sorrise dolcemente – che canzone? – chiese incuriosita – quella che sto canticchiando, ‘Loving you a thousand times’ è il suo titolo – le dissi accarezzandole il viso, i suoi occhi scuri mi guardavano, mi scrutavano e mi facevano capire che mi volevano – sei bellissima – non potei fare a meno di dirglielo. Alle mie parole di colpo si alzò e avvicinò pericolosamente il suo viso al mio ‘ finalmente ‘ pensai, ci guardammo negli occhi ancora una volta e poi ci baciammo. La sua pelle sotto le mie dita era così morbida, dolcemente l’accarezzavo e le sussurravo piccole frasi tratte dalla mia canzone – vieni – dissi prendendola per mano. La condussi nella stanza che io definivo ‘di meditazione’ dove era praticamente racchiusa tutta la mia vita, la musica. Mi sedetti al piano e mi accorsi che mi guardava con fare interrogativo, ma poi si sedette accanto a me ed io iniziai a suonare. Poggiò lentamente la sua testa sulla mia spalla e chiuse gli occhi sognante ed io pensavo che se il mondo sarebbe finito in quel preciso istante ne sarebbe davvero valsa la pena.
– Avresti dovuto fare il professore di musica – disse con naturalezza e fu un’affermazione che mi fece parecchio sorridere – la musica è la mia passione, la matematica la mia donna – dissi scherzando, lei mi guardò e mi sorrise – ed io, io cosa sono? – mi chiese, sembrava uno scricciolo – Tu? – domandai  – Beh tu sei la mia vita – conclusi posando le mie labbra sulla sua fronte.
Suonai per lei la nostra canzone ripetutamente e non ci accorgemmo delle ore che stavano scivolando via velocemente. Era arrivata ormai ora di cena – vuoi fare una doccia? – le chiesi, così avrei avuto tempo per prepararle una piccola sorpresa - si- rispose lei.
Si diresse in bagno mentre io mi diressi in salotto a preparare il tavolo. Non avevo organizzato nulla quindi dovevo fare del mio meglio e subito. Mi diressi in cucina e rovistando nei vari cassetti trovai fortunatamente delle candele mai usate, le portai in soggiorno e le lasciai sulla sedia prima di poterle appoggiare sul tavolo imbandito. Ritornai in cucina e riscaldai il cibo che Patricia aveva gentilmente preparato per noi.
Tutto era pronto ed io mi sedetti ad aspettarla, ecco che sentii dei piccoli passetti provenire dal corridoio.
Entrò in salotto e sul viso aveva un’espressione meravigliata e la cosa mi piaceva – prego signorina – dissi alzandomi dal mio posto e porgendole la mano, spostai la sedia e la feci sedere.
Cominciammo a mangiare, era seduta di fronte a me ed io ancora non potevo crederci, in poco tempo ero riuscito a creare un’atmosfera bellissima e non mi importava niente, perché lei era lì, era con me.
Se avessi raccontato a qualcuno della serata mi avrebbe sicuramente dato dello sfigato – hai la donna che ami a casa tua semi-nuda e non la porti a letto? – sicuramente sarebbero state queste le parole che mi avrebbe detto, ed io sarei stato felice di rispondere che prima del sesso c’è ben altro.
Le risate e gli sguardi complici e innamorati erano i protagonisti della serata.
- Che rapporto c’è tra te e la professoressa Ruvier? – chiese improvvisamente curiosa – Siamo amici sin dal liceo, lei mi è sempre stata accanto, molto probabilmente ha sempre provato qualcosa per me ma io la vedo solo come un’amica – mi limitai a rispondere in tutta sincerità, in fondo era vero, Larisse ci aveva provato con me più volte ma io non ero mai stato attratto da lei. – Credimi Ciel – continuai - oltre te non vedo più nessuna -.
La serata era purtroppo giunta alla fine, avrei pagato oro per tenerla stretta con me sotto le coperte quella sera ma purtroppo doveva tornare a casa ed io l’accompagnai ovviamente in macchina.
Arrivati sotto casa sua restammo per qualche secondo fermi in silenzio a fissarci ma le mie labbra reclamavano le sue. Mi avvicinai lentamente ma venni brutalmente interrotto dallo squillare del mio cellulare - non rispondi? – chiese Ciel fissando le mie tasche, presi il cellulare e a mia sorpresa vidi il numero di Larisse sullo schermo ‘ che palle’ pensai. – Chi è? – chiese ovviamente Ciel – è  Larisse – risposi semplicemente io, dentro provavo una rabbia non indifferente, aveva spezzato un momento magico quella stupida. Ciel abbassò il capo – ah – solo questo fu in grado di pronunciare, i battiti del mio cuore accellerarono improvvisamente, sapevo che quella chiamata le avrebbe fatto del male. Si girò senza darmi un ultimo bacio, senza un piccolo contatto – grazie per oggi – si limitò a dire ed andò via.
Ero in preda allo sconforto – Ciel – cercai di attirare la sua attenzione – la nostra è una relazione segreta, lei pensa io sia single è per questo che si comporta così con me – dissi tutto d’un fiato sperando lei riuscisse a capire – lo so – mi rispose fredda ed andò via. Il mio cellulare intanto continuava a squillare, poco dopo mi arrivò un messaggio..

Voglio fare l’amore con te! Larisse.

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII ***


Il giorno seguente mi alzai dal letto distrutta e il tempo, ancora piovigginoso, di certo non aiutava il mio umore. Quella mattina sarei dovuta entrare a scuola alle dieci ed io mi ero alzata con due ore di anticipo e ciò stava a significare che avevo tutto il tempo per prepararmi sia fisicamente che mentalmente per affrontare quella giornata. Scesi in cugina ed erano ormai tutti andati a scuola e a lavoro, ma tra i fornelli c’era ancora una superstite, mia madre. – Buongiorno – dissi mentre scendevo le scale e mi strofinavo l’occhio – buongiorno – disse mamma col suo solito sorriso splendente capace di far uscire il sole anche in un giorno piovigginoso come quello. Mi si avvicinò e poggiò sul bancone della cucina le ciambelle che a me piacevano tanto. Alla visione delle ciambelle sgranai gli occhi dalla felicità, uguale ad una bimba che vede per la prima volta il suo giocattolo o cartone preferito. – Allora? – la voce di mia madre interruppe i miei pensieri – allora cosa? – risposi io guardandola con un pezzo di ciambella che penzolava dalla mia bocca – beh, voglio dire tesoro.. hai 18 anni eppure non mi hai mai parlato di una cotta o un presunto fidanzato – disse con disinvoltura. Quell’affermazione improvvisa di mia madre fece andare di traverso quella deliziosa ciambella che stavo gustando ponendo quasi fine alla mia vita poiché mi stavo strozzando, mia madre impaurita mi diede due colpi secchi dietro la schiena e mi passò un bicchiere di latte per farmici  bere su – Ho capito, vado a lavoro – disse rassegnata, prese la borsa e mi diede un bacio sulla fronte – così non mi aiuti mamma – dissi io fingendo un broncio, lei mi sorrise e andò via chiudendo la porta dietro di sé.
Ero ormai rimasta sola in casa e c’era silenzio, riuscivo a sentire solo il leggero rumore della pioggia che cadeva. Mi diressi verso il bagno e decisi di immergermi in un caldo e rilassante bagno per poter scacciare via i miei pensieri. Preparai il tutto e alla fine, oltre al bagnoschiuma, aggiunsi dei sali profumati che avrebbero anche aiutato la mia pelle. Mi immersi e chiusi gli occhi lasciandomi cullare dalle piccole bolle che creava l’idromassaggio. Nella mia mente riaffiorò la sera prima, le dita del professore sulla mia pelle, le stesse dita che toccavano dolcemente il piano nel momento in cui suonava e cantava la canzone che aveva composto per me, per noi. Il suo dolce sorriso e le sue soffici labbra; se mi avessero chiesto che nome avesse l’amore io di certo avrei risposto Lendon.
Uscii dalla vasca e mi arrotolai l’asciugamano intorno al corpo, mi asciugai per bene e mi massaggiai dolcemente la pelle con la crema profumata; mi stavo trattando bene. Indossai la mia divisa e mi diressi alla fermata del bus chiudendo bene la porta alle mie spalle, portai l’mp3 alle orecchie e mi immersi nella meravigliosa melodia di Scribble, canzone che mi fece ricordare Key, il mio migliore amico.
Salita sul bus mi diressi, come al solito, agli ultimi posti e mi ci accoccolai guardando fuori dal finestrino.
Accesi il cellulare e mi ritrovai un messaggio di Lendon che non ebbi voglia di leggere ‘ magari più tardi ‘ pensai, alla prima ora avrei avuto quella vipera di Larisse e non avevo voglia di cambiare il mio umore, avevo trascorso troppo tempo a rilassarmi e a trattare bene il mio corpo.
Scesi dal pullman e aprii il mio ombrellino giallo ma urtai sfortunatamente contro qualcuno – scusami – dissi prontamente, alzai lo sguardo e fui accecata da quella visione; sorriso meraviglioso, denti bellissimi, capelli castano scuro, alto ed occhi scuri – figurati, scusami tu.. ti sei fatta male? – disse mentre si chinava pian piano verso di me – N-no – risposi titubante io – menomale.. piacere mi chiamo Joon – disse porgendomi la mano io la strinsi – Ciel – risposi e ricambiai il sorriso che intanto era stampato da un bel quarto d’ora sul suo viso. Restai per qualche secondo a chiacchierare con questo ragazzo sconosciuto quando la campanella ci avvisò dell’inizio delle lezioni, ci salutammo e ci dirigemmo ognuno nelle rispettive classi. Fuori dalla classe incontrai le mie amiche che mi vennero incontro salutandomi amorevolmente, entrammo in classe e con nostra sorpresa la prof era già lì, seduta alla cattedra intenta ad aggiustare le sue ciglia finte allo specchietto – buongiorno – gridammo all’unisono – buongiorno – rispose lei sorridendo.
Ci sedemmo ai nostri posti ed io poggiai la testa sul banco, non avevo voglia di passare tutte quelle ore lì.
- Che profumo – disse Ines improvvisamente – cosa hai fatto questa mattina? Ti sei preparata per il professore? – disse inarcando le sopracciglia alla Jonny Bravo – macché – risposi io ridendo.
Le nostre risate furono interrotte dal picchiettare sulla porta della classe – avanti – disse la professoressa alzandosi improvvisamente dalla sedia e aggiustandosi capelli e vestiti come solo noi donne sappiamo fare, ed ecco che a varcare quella soglia fu il professor Wolf, in quel preciso istante avrei voluto sprofondare, oggi non avevamo lezione con lui, io non dovevo andare al potenziamate e speravo, almeno questa volta, di riuscire a starmene tranquilla. – Buongiorno – disse all’intera classe – buongiorno – rispondemmo in coro.
- Bene ragazzi, ho parlato col professore di Romeo e Giulietta ed, essendo vostro coordinatore, sarà lui a darci una mano con le prove, l’organizzazione e quant’altro, ne abbiamo anche già parlato con la preside ed è felicissima di questa iniziativa – disse la professoressa tutta contenta ed eccitata, manco fosse la vincitrice di Chi vuol essere milionario? . In realtà lei aveva fatto tutto questo sicuramente per stare ancora più vicina al mio Lendon. Distolsi lo sguardo da quel quadretto che mi faceva quasi vomitare e lo diressi verso la finestra, finalmente era smesso di piovere e in cielo era quasi spuntato il sole. Mi scorsi di più e giù, accanto alla gabbia dei coniglietti che noi studenti stavamo allevando a scuola, vidi il ragazzo incontrato poco prima, stava dando da mangiare ai coniglietti e la buffa scena mi fece sorridere. – Ciel Owen – la voce da racchia della professoressa richiamò la mia attenzione – si professoressa? – risposi io fingendomi realmente interessata – come da programma TU sarai Giulietta- disse abbozzando un sorriso malefico, l’intera classe mi guardò stupita, compreso Lendon e tutti sbottarono in un – oooh – a dir poco fastidioso. – Di quale programma parla professoressa? – mi feci coraggio io e domandai – Non faccia la finta tonta, ne abbiamo parlato ieri – rispose dando un tono più alto a quel ‘ieri’, io mi strinsi nelle spalle e ritornai a guardare fuori dalla finestra, certamente c’era qualcosa di più interessante da vedere.
- Ciel sicuro che ti sta bene? – sussurrò Ines al mio orecchio – cosa posso fare? Mi odia – risposi io spazientita, Ines annuii con la testa facendomi capire che non avevo tutti i torti.
Finalmente la campanella suonò ed io fui in grado di uscire dalla classe e prendere un po’ d’aria, il cellulare vibrò, era un messaggio di Lendon..

Perché non rispondi ai miei messaggi?

Chiese semplicemente, ed aveva ragione a chiederlo.. Perché non stavo rispondendo ai suoi messaggi?
Ero assorta nei miei pensieri quando qualcuno col dito picchiettò sulla mia spalla, mi girai e quel biondo cotonato mi fece capire subito chi era – Questo è il copione, studialo per bene e togli le tue grinfie da Lendon o ti sbatto in presidenza – disse con fare minaccioso la professoressa – lei sta degenerando – risposi io – Sei solo una ragazzina viziata che non sa quel che vuole, pretendi di sapere cos’è l’amore non è così? Non è di certo quello che tu provi per Lendon – sbottò più malefica che mai – stai lontano da lui e la materia è tua altrimenti.. a noi due piccina – disse, alzò i tacchi e sculettando andò via.
Restai per qualche secondo a fissare il copione che intanto mi aveva lasciato e mi accorsi che una lacrima bagnò leggermente la prima pagina. Portai la mano agli occhi ed asciugai le mie lacrime e pensai che forse avrei dovuto fare qualcosa per sistemare quella situazione. Presi il cellulare tra le mani e fissai il numero di Lendon ripetutamente, lo composi e decisi di mandargli un messaggio diretto..

Smettiamo di vederci!

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Capitolo 23
*** Capitolo XXIII ***


Lasciai scivolare il cellulare dalle mani e mi accasciai a terra stremata, la forza aveva abbandonato le mie gambe e improvvisamente la vista diventò offuscata. Ricordo di aver perso i sensi e al mio risveglio essermi ritrovata nel lettino dell’infermeria della scuola. – Come va Ciel? – chiesero le mie amiche preoccupate, erano Ines, Savannah, Sully e Sophie ed erano riunite intorno al mio lettino – ragazze – riuscii solamente a dire, la testa mi girava ancora fortissimo e non riuscivo a staccarmi dal cuscino – perché sei venuta a scuola con la febbre? – disse Savannah preoccupata, io mi limitavo a guardarle e a non capire. Mi portai una mano sulla fronte e mi accorsi di scottare, molto probabilmente la febbre del giorno prima non era ancora del tutto scesa. – E’ stato un ragazzo a portarti qui – disse Sophie – un ragazzo? – chiesi io, chi poteva essere?
- Era davvero molto carino – ripeté, in un primo momento ripensai a ciò che era successo, al fatto che mi ritrovai la professoressa a minacciarmi e al fatto che avessi detto di smetterla di vederci all’uomo che avrei voluto vedere sempre più di ogni altra cosa al mondo. –  Dov’è il mio cellulare? – chiesi guardandomi intorno, Sully lo aveva tra le mani e me lo porse – ecco – disse. Guardai il cellulare e mi accorsi di non aver ricevuto ancora nessuna risposta, molto probabilmente non aveva ancora letto. Le mie amiche mi chiesero cosa fosse accaduto ed io raccontai tutto, avevo troppo bisogno di liberarmi e di raccontare ciò che mi era successo a qualcuno, e questo qualcuno non potevano che essere loro.

- Ma che stronza – sbottò improvvisamente Ines quando seppe della professoressa – Che troia – ci tenne a precisare Savannah, fine come sempre – cos’hai intenzione di fare quindi? – mi chiesero, io abbassai lo sguardo – meglio finirla qui – dissi ed una lacrima scivolò sul mio viso. – Sei pazza – urlarono all’unisono – come puoi porre fine alla vostra storia in questo modo? Insomma ce la stavate mettendo tutta – disse Ines tutto d’un fiato – Ragazze voi non capite – cominciai io mentre stringevo le lenzuola tra le mani dalla rabbia – devo per forza farla finita o quella vipera rovinerà entrambi – aggiunsi – non mi importa tanto di me, ma non voglio rovinare la sua carriera da professore – conclusi non riuscendo più a trattenere le lacrime, portai il viso tra le mani e cominciai a piangere a dirotto – hai ragione – sussurrò Ines mentre su buttò su di me per abbracciarmi.
Passai le ultime ore in infermeria mentre le mie amiche erano ritornate in classe per l’ultima ora di lezione, dopodiché ci sarebbe stato il pranzo ed io mi sarei dovuta alzare. Guardai fuori dalla finestra e mi accorsi che pioveva nuovamente, in questo ultimo periodo il tempo era davvero brutto. Di fronte a me la porta dell’infermeria si spalancò di colpo, era arrivato Lendon ed aveva il fiatone – ero a lezione, cosa è successo? – disse avvicinandosi a me poggiando una mano sul mio viso, io mi scostai e freddamente risposi – non hai letto il mio messaggio? – lui mi guardò stranita, portò le mani nelle tasche e lesse finalmente il mio messaggio. Restò per qualche secondo fermo a guardare il display senza accennare una singola parola.
Il silenzio si diffuse ben presto in quella stanza che sapeva di disinfettanti e medicine, l’unico rumore era quello del vento e della pioggia che picchiettavano sui vetri delle finestre.
- Perché questa decisione? – chiese improvvisamente lui rompendo il silenzio, strinsi ancora una volta le lenzuola tra le mani e mi affrettai a rispondere – ho capito che quella per te era solo una cotta momentanea – risposi mentendo spudoratamente, lui mi guardava incredulo, non sapeva se credermi o meno. Intanto nel mio cuore e nel mio stomaco si stava scatenando un uragano ‘ perdonami amore mio’ pensavo  ‘sto facendo tutto questo solo per non metterti nei guai ‘
Lendon si alzò dalla sedia e si diresse verso la finestra portandosi le mani tra i capelli – e me lo dici così? – disse con voce spezzata, improvvisamente i miei occhi divennero rossi, stavo per esplodere, avevo bisogno di piangere ma per far si che la cosa fosse credibile dovevo fare di tutto per non scoppiare – scusami – dissi sottovoce, il professore mi guardò per l’ultima volta, si avvicinò al lettino – pensavo fossi diversa – borbottò e andò via chiudendo con forza la porta alle sue spalle e fu a quel punto che scoppiai. Mi portai una mano a al petto e piangevo disperata, in quel momento mi sentivo morire.. tutti i ricordi e i momenti che avevo passato con lui riaffiorarono come per magia nella mia testa. Lo sconforto stava prendendo il sopravvento – perdonami, perdonami amore mio – urlavo ma nessuno poteva sentirmi, ero sola, triste e abbandonata, abbandonata ai miei sentimenti che purtroppo a causa di qualcuno dovevo reprimere – Ti amo – sussurrai prima di addormentarmi tra le lacrime.

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIV ***


Trascorse una settimana da quello spiacevole avvenimento e San Valentino era alle porte ormai.
Io ed il professore non ci eravamo più rivolti la parola e le sue ore in classe sembravano interminabili. Odiavo dover ascoltare la sua voce solo durante le sue interrogazioni, mi mancavano le sue mani che scivolavano sul piano ma soprattutto sulla mia pelle nell’attimo prima di un bacio, mi mancava lui. La bella  professoressa Larisse, invece, sembrava più che contenta e veniva ogni giorno in classe più radiosa che mai.
Le prove per Romeo e Giulietta erano cominciate ma Lendon non si era mai presentato ed io avevo ormai smesso di andare al potenziamate, preferivo scaricare la rabbia in palestra praticando la pallavolo.
A mia sorpresa il ragazzo che interpretava Romeo non era un mio compagno di classe, bensì quello splendido ragazzo che avevo conosciuto in quel giorno piovoso, quando sbadatamente mi ci scontrai, il dolce Joon, ma nonostante tutto il mio umore non era decisamente dei migliori, ero sempre giù di morale e mi accorgevo che Lendon notava tutto ma non si avvicinava a me, insomma l’avevo ferito dicendo che lui per me era solo una cotta momentanea. Avevo tanta voglia di urlargli contro tutta la verità, di dirgli semplicemente ‘Sto proteggendo te e il nostro amore’ , ma non potevo così mi limitavo a guardarlo da lontano e a sussurrargli con voce spezzata i miei sentimenti.

La giornata trascorse fortunatamente abbastanza veloce ed io tornai a casa stremata.
Erano verso le 18:00 quando il mio telefono squillò. – Pronto? – risposi – Muovi il culo sorella – la voce di Savannah era inconfondibile – Savannah – dissi sorpresa – E’ Sabato sera – sbottò lei – Hai intenzione di stare a casa? – aggiunse con tono interrogativo – come quasi tutti i Sabato – risposi – eh no bella mia, stasera si esce. Ti passiamo a prendere io e Sully verso le nove – concluse e terminò la chiamata.
Mi gettai sul letto sbuffando, non avevo proprio voglia di uscire.
Mi alzai dal letto e mi diressi al mio armadio, lo aprii e come al solito non avevo nulla di carino da poter indossare e tra l’altro era Febbraio e faceva freddo. Presi il cellulare tra le mani e restai a fissarlo.. ‘chissà cosa starà facendo in questo momento ‘ pensai. Rovistai un pochino tra le mie cose e alla fine optai per un jeans con tacchi neri, una maglietta bianca con una scritta sopra ed un giubbetto di pelle nero, borsa e così via. Avevo giusto tre ore per prepararmi. Scesi in cucina e dissi ai miei che sarei uscita – ci fa piacere tesoro – risposero all’unisono con un sorriso a trentadue denti stampato sul viso. Salii le scale e fuori dalla mia camera c’era mio fratello ad aspettarmi – Mark – dissi sorpresa, lui mi venne incontro e mi posò le mani sulle spalle – chi è? – disse improvvisamente, io lo guardai con aria interrogativa, a chi si stava riferendo? – Chi è chi? – chiesi inarcando la sopracciglia – colui che ti sta facendo soffrire così tanto – rispose. In quel momento abbassai gli occhi verso il pavimento, ero triste e Mark aveva capito tutto, manco i miei genitori si erano accorti di nulla – non è nessuno Mark, sono solo un po’ preoccupata per l’esame – mentii io.. – oh ma insomma Ciel, siamo a Febbraio a chi vuoi darla a bere? – aggiunse, io lo guardai e gli diedi un bacio sulla guancia – fratellone – dissi – non potrei amare nessun’altro ragazzo se non te – continuai e mi chiusi in camera mia. Chiusa la porta alle mie spalle feci un sospiro di sollievo e mi sedetti a terra – perdonami Mark – sussurrai. Erano le sette e siccome potevo andarmene con calma decisi di fare un bel bagno caldo e riservarmi lo stesso trattamento della scorsa volta. Aprii il rubinetto dell’acqua e la lasciai scorrere dolcemente mentre io ero intenta a liberarmi degli indumenti. Accesi il caldo bagno, faceva troppo freddo, e dei brividi percorsero ugualmente il mio corpo. In quel momento mi guardai allo specchio, mi scrutai attentamente e mi parve di vedere il viso di Lendon accanto al mio, mi portai una mano al cuore e lasciai che una lacrima cadesse lenta sul mio viso. Dovevo andare avanti, dovevo continuare per la mia strada, così facendo stavamo andando bene, la professoressa non mi stava più minacciando e Lendon era salvo, stavo salvando la sua carriera.
Accesi il mio mp3 ad alto volume e lasciai che la musica invadesse tutto il bagno, mi immersi nella vasca e mi feci cullare dalle note, Rust fu la prima canzone, una canzone che mi lasciava pensare, una canzone che esprimeva esattamente ciò che stavo provando in quel preciso istante.
Una volta vestita dovevo passare ai capelli e al trucco e poi ero pronta; di solito non mi truccavo tanto ma di Sabato sera, per quella volta che uscivo, mi piaceva giocherellare con i colori e fare delle belle sfumature sui miei grandi occhi scuri senza mai dimenticare, ovviamente, la matita. Mi misi allo specchio e cominciai a creare. Fui soddisfatta del mio lavoro e quindi potevo passare ai capelli, decisi di tenerli sciolti, ma li desideravo ondulati, al naturale; amavo i miei capelli neri proprio per questo.

Era ormai quasi ora, Savannah e Sully sarebbero arrivate da un momento all’altro, presi la mia borsa e riposi portafogli, cellulare, lucidalabbra, chiavi ed altre cose e mi diressi in cucina ad aspettare.
- Sei uno schianto sorellona – esultò mia sorella Alice – grazie piccola – dissi accarezzandole la testa.
Savannah e Sully erano finalmente arrivate – mamma, papà io vado – dissi mentre mi incamminavo – stai attenta – aggiunse mio padre ed io uscii.
- Che bomba – esclamò eccitata Savannah – bomba sarai te – sbottai io – come mai ti sei messa un vestitino? – chiesi, di solito per uscire non si vestiva così. Guardai Sully e la vidi vestita quasi alla mia stessa maniera, lei essendo molto timida era anche semplice nel vestire; troppo carina.
- Stasera si fanno conquiste ragazze mie – disse Savannah entusiasta – andiamo al nuovo locale che si è aperto in centro – aggiunse, io e Sully ci guardammo e stringendo le spalle spazientite sorridemmo all’unisono.
Arrivammo finalmente in questo fatidico locale, era molto carino ed era già pieno di gente. Entrammo e ci dirigemmo verso il bancone per ordinare qualcosa, prendemmo il menù dei drink e lo scrutammo attentamente – prendiamo la Sambuca- disse Sully euforica – l’ultima volta ti sei ubriacata – affermai ridendo io. Si, si era ubriacata. La dolce, tenera e timida Sully si era ubriacata in gita scolastica. Eravamo in Inghilterra e stavamo festeggiando perché dovevamo ripartire e fu anche in quell’occasione che diede il suo primo bacio ad un tipo che somigliava tantissimo a Mr Bean.
Io decisi di non bere alcolici e  le mie amiche mi seguirono. Prendemmo degli analcolici alla frutta, scegliemmo un posticino libero e ci accomodammo. – Uffa non c’è nessuno di interessante – sbottò annoiata Savannah, io la guardai e mi limitai a sorridere; non è che mi importava tanto incontrare qualcuno.
Improvvisamente la mia attenzione fu richiamata da un gruppo di ragazzi. Tra loro mi parve di vedere Lendon, mi sporsi per guardare meglio e mi accorsi che era proprio lui. Era vestito diversamente dal solito ed era davvero molto bello, con quel look sbarazzino sembrava decisamente più piccolo. Indossava un pantalone nero che aveva messo all’interno delle scarpe che fungevano da stivali, una maglietta bianca ed una giacca sportiva nera, cosa importante e fondamentale aveva rimesso gli orecchini, gli stessi che portava alla festa di capodanno. Sentii improvvisamente una forte scossa al cuore – Sully, Savannah – dissi tremando – cosa? – risposero all’unisono – C’è.. Lendon – borbottai e intanto non riuscivo a controllarmi, continuavo a tremare – ho bisogno di andare in bagno – dissi e mi alzai.
Lasciai quella confusione e mi diressi verso i bagni, vi entrai e mi guardai allo specchio – Calmati Ciel – dissi ad alta voce.

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Capitolo 25
*** Capitolo XXV ***


Il mio cuore continuava a battere fortissimo ed io continuavo a tremare incostantemente.
Mi guardavo allo specchio e mi accorsi dell’espressione malinconica che si era formata sul mio viso, cercai di calmarmi dandomi dei leggeri colpetti sulle guance, sospirai ed uscii dal bagno. A mia sorpresa era lì..
In quel momento il tempo sembrò fermarsi, il suo sguardo aveva incontrato il mio ed io non riuscii a trattenere una lacrima, stavo soffrendo troppo e lui era lì, ad un passo da me. Abbassai il capo e feci per andarmene ma lui mi afferrò per un braccio, mi voltai di scatto ma mi accorsi che lui non mi guardava, aveva il capo abbassato dall’altro lato e sembrava stare male, tanto male.
Cercai di parlare – Len.. – ma mi si avvicinò di colpo baciandomi, volevo tirarmi indietro per fargli capire che doveva smetterla, che non doveva continuare così ma non ce la feci e mi lasciai andare nel suo abbraccio, quell’abbraccio che mi era tanto mancato, quell’abbraccio che reclamava amore.
Eravamo uniti e le nostre labbra pure, il suo respiro era diventato mio. Ad un certo punto mi accorsi che una lacrima era scesa dal suo viso posandosi sulla mia guancia, mi scostai; entrambi stavamo piangendo.
- Dobbiamo dirci addio, lo sai vero? – dissi tornando alla realtà, lui mi guardò ma non parlava, aprii bocca per rispondere quando venimmo interrotti – cosa fate voi due qui? – Larisse alle nostre spalle, vestita come al solito da cagna. – Nulla – disse Lendon scostandosi lentamente da me – Oh ma guarda, la nostra piccola alunna viene anche in posti come questo? – disse avvicinandosi al braccio di Lendon e afferrandolo, Lendon si scostò leggermente e rimase a sguardo basso – buonasera – dissi cercando di andare via – cosa fai te ne vai? – disse lei con aria di sfida – non vorresti bere qualcosa con noi? – aggiunse. In quel momento la rabbia e la tristezza invasero il mio corpo ed io non potevo dire e fare nulla, scossi la testa ed andai via lasciando l’amore della mia vita tra le braccia di quella vipera. Mi accorsi che Lendon cercò di seguirmi – ti rovino Lendon – disse Larisse con tono spregevole, mi portai una mano sul viso e continuai a piangere e scappai dal locale. Mandai un messaggio alle mie amiche dicendo che ero tornata a casa.

Mi ritrovavo a vagare sola per le strade della città e nonostante il buio non provavo paura, anzi ero troppo impegnata ad odiare quella donna anche se infondo pensavo che quello che era accaduto fosse stata tutta colpa mia, non avrei mai dovuto innamorarmi di lui,ma cosa puoi farci quando ti accorgi che due anime sono legate dal destino?
Quando fui a casa i miei genitori rimasero sorpresi nel vedermi, io non dissi nulla e mi diressi in camera mia.
Mi buttai di colpo sul letto ed affondai il viso nel cuscino e intanto il cellulare continuava a vibrare.
Mi addormentai piangendo ed il mattino seguente il risveglio non fu uno dei migliori.
Ogni cosa mi parlava di lui anche quel vento gelido che pian piano si infiltrava in camera mia dalla fessura della finestra.
Era Domenica e la routine aveva inizio. Scesi a fare colazione e stranamente non trovai nessuno in casa, sul banco-colazione della cucina una rosa ed un biglietto..
 
Buon San Valentino Piccola, papà.

Era già San Valentino ed io non l’avrei trascorso con lui. Presi il cellulare e mi ritrovai 20 messaggi e 10 chiamate, tra i vari messaggi che avevano inviato le mie amiche ce n’era uno di Lendon.

Rimediamo a tutto ciò, sono pronto a sacrificare il mio lavoro per te, sono pronto a rischiare perché non mi importa di nulla. Questa sera alle 18:00 in punto a casa mia.. Buon San Valentino Piccola!

Dopo aver letto quel messaggio il cellulare mi cadde dalle mani, rimasi immobile: cosa avrei dovuto fare?
Chiamai Savannah e Sully per scusarmi e raccontai loro dell’accaduto.
-Ecco perché sei scappata – disse Sully – si ma questo non giustifica il suo gesto – sbottò Savannah – le sarebbe potuto capitare qualcosa di brutto – concluse. – Scusatemi – dissi sottovoce – verso le 16:00 siamo da te – disse Savannah e terminò la chiamata.
Mi gettai sul divano pensierosa, ero davvero preoccupata: perché si stava comportando in quel modo Lendon? Cosa intendeva col  sono pronto a sacrificare il mio lavoro per te? Era pazzo?
Mille pensieri mi invasero la testa così decisi di zittirli con la musica.

Erano le 16:00 e Sully e Savannah erano arrivate, con loro c’erano anche Sophie e Ines.
- Ines cosa ci fai qui? – dissi spontaneamente sgranando gli occhi – non dovresti festeggiare il San Valentino con Jonny? – conclusi – il San Valentino lo si festeggia stasera – disse lei ridacchiando – e poi dovevo aiutare una povera disagiata a riprendersi il suo amore – aggiunse dandomi un bacio sulla guancia. Le feci entrare e ci dirigemmo in camera mia.
In pochi minuti la mia camera prese le sembianze di un mercato, se mia madre l’avesse vista in quello stato sicuramente i suoi capelli sarebbero diventati ricci. Ad aiutarmi a trovare cosa indossare c’era ovviamente Sophie, chi meglio di lei se ne intendeva di moda?
Decisero di farmi indossare un vestitino bianco poco scollato dietro ma io mi sentivo tremendamente in imbarazzo – la vuoi smettere di sembrare una bambina? – disse Savannah inacidita – è un uomo di ventisette anni, mostrati un po’ più donna – infondo non aveva tutti i torti.
Mi prepararono un bagno caldo e mi sistemarono mani e capelli mentre Sully si occupava del trucco.

- Ecco ora sei perfetta – dissero all’unisono sorridendomi, mi guardai allo specchio e mi sentivo meravigliosa e lo ero davvero. Guardai le mie amiche e non potevo fare altro che apprezzarle e ringraziare il cielo di avermele fatte incontrare, mi avvicinai e diedi loro un grosso abbraccio – vi amo – dissi con tutta sincerità – risparmia i ti amo per chi lo merita davvero – disse Ines sorridendo facendo sorridere anche me.
Mi guardai per l’ultima volta allo specchio e con tono combattivo dissi – Vado a riprendermi ciò che è mio -.

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Capitolo 26
*** Capitolo XXVI ***


Con il cuore in gola mi diressi verso casa di Lendon, guardai il cellulare e mi accorsi di essere in anticipo di venti minuti quindi decisi di camminare a passo lento. Nel frattempo stavo formulando nella mia mente le cose che avrei dovuto dire.
Arrivai fuori casa sua e mi fermai per cinque secondi fuori il suo portone, mi guadai per l’ultima volta dallo specchietto, mi sistemai e tirando un sospiro di sollievo decisi di bussare. La porta si aprì automaticamente, nessuno era venuto ad aprire. Entrai in casa e vi ritrovai la luce soffusa, camminavo lentamente e di sottofondo c’era una dolce melodia, Lendon stava suonando il piano e quella musica io la conoscevo, era Loving you a thousand times quella che aveva scritto per me. Mi guardai intorno e mi ritrovai mille post-it attaccati alle pareti che mi indicavano le direzioni in cui sarei dovuta andare. I post-it portavano al salone, vi entrai e mi ritrovai una torta poggiata sul tavolino accanto al divano con un mazzo di rose ed una lettera. Mi avvicinai lentamente e mi sedetti al divano, annusai le rose chiudendo gli occhi e sorrisi dopodiché aprii la lettera:

Ho visto le lacrime bagnare i tuoi meravigliosi occhi, ho visto la tua bocca pronunciare parole amare ma non avrei mai potuto immaginare che dietro tutto questo ci fosse Larisse.
Sei stata una persona meravigliosa ed io mi sento un verme, un verme perché avrei dovuto capire da subito che stavi mentendo, non era vero che io per te fossi una cotta momentanea.. avrei dovuto scrutare i tuoi occhi con più attenzione. Non mi importa cosa succederà in futuro, quello che per me è importante è il presente, il mio presente insieme a te, il nostro presente ora.
Loving you a thousand times, hai capito bene amore mio Amandoti migliaia di volte, è quello che farò da oggi in poi, non è stato un caso che io scegliessi questo titolo per la nostra canzone.
Ho deciso di scriverti tutto su lettera perché nel frattempo avevo intenzione di suonare, la senti la musica che si diffonde nell’aria?
Perdonami piccola.. da persona adulta avrei dovuto comportarmi diversamente.
Perdonami perché sei stata forte e a causa mia hai dovuto affrontare tutto da sola, non è facile gestire Larisse e mi dispiace. Spero tanto tu in questo preciso istante non stia piangendo perché non mi va di vedere il tuo viso rigato ancora una volta, semplicemente prendi il tuo fascio di rose e corri da me. Ti amo!

Terminai di leggere la lettera e la strinsi forte sul cuore e come scritto presi il fascio di rose tra le mani e corsi da lui. Lo vidi, era lì intento a suonare il piano ma non appena mi vide si alzò e mi venne incontro. Mi fiondai tra le sue forti braccia e non potei trattenere le lacrime, per troppo tempo avevo aspettato quel magico momento. – Avevo detto di non piangere – sussurrò dolcemente lui sorridendo – sono lacrime di gioia – risposi io e lo erano, lo erano davvero. Ci stringemmo nuovamente ma alla fine lui posò le sue dolci labbra sulle mie bagnate dalle lacrime – perdonami – sussurrò ancora una volta. Lo guardai e feci no con la testa – perdonami tu, avrei dovuto dirti la verità – risposi – sei stata una vera donna lo sai? Sei la donna che amo – aggiunse e mi strinse ancora in un forte abbraccio – e sei bellissima stasera – concluse. Anche lui si era vestito molto elegante, camicia bianca e pantalone nero. – Come facevi a sapere di Larisse? – chiesi io – diciamo che un gruppetto di alunne si è lasciato un po’ andare – disse sorridendo ed io capii subito si riferisse alle mie amiche, dovevo tanto loro, mi erano sempre accanto e mi aiutavano in tutto.
Mi prese per mano e mi portò di nuovo in salotto, ci dirigemmo al divano e ci sedemmo davanti alla torta – Buon San Valentino – mi sussurrò dolcemente mentre mi posava della panna sul naso, io sorrisi e feci lo stesso con lui. Intorno a noi c’era buio a fare luce alla stanza vi erano solo tante piccole candeline profumate. Andammo avanti per un po’ così, semplicemente scherzando e ridendo e ricoprendo i nostri volti di panna. – Voglio fare una foto con te – suggerii improvvisamente, lui mi guardò e mi sorrise – mi piacerebbe – rispose – non ne abbiamo nemmeno una -. Mi prese tra le braccia e mi strinse forte, prese il suo cellulare e scattò e poco dopo mi lasciò un lieve bacio sulla spalla. Mi voltai per guardarlo e mi accorsi del suo rossore in viso che fece immediatamente arrossire anche me.
Improvvisamente gli sguardi diventarono diversi, complici e si volevano, si desideravano.
Ci guardammo intensamente e ci baciammo, ad ogni bacio un piccolo sorriso, ad ogni bacio una carezza, ad ogni bacio un sussurro d’amore. Posai la mia testa sul suo petto e mi lasciai cullare dai battiti del suo cuore – mi sei mancato – dissi sottovoce. Lendon mi accarezzò il viso dolcemente e mi sorrise ma divenne subito serio. Le sue mani scivolavano sulle mi braccia e le accarezzavano dolcemente mentre io mi avvicinai al suo viso e lo baciai. Lendon mi strinse il viso tra le mani e mi poggiò al divano, in quel momento i battiti del mio cuore accelerarono di colpo ma sentivo anche il suo correre all’impazzata.
- I tuoi lunghi capelli, le tue piccole labbra e la tua pelle.. voglio che tutto questo sia mio – sussurrò dolcemente guardandomi negli occhi .

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Capitolo 27
*** Capitolo XXVII ***


In un attimo era disteso accanto a me e accarezzandoli baciava i miei capelli. I nostri sguardi erano persi l’uno nell’altro ed i nostri respiri quasi si confondevano. Spostò i capelli dal mio viso e mi baciò la fronte, poi le mie labbra, poi il naso e nuovamente le labbra e lo faceva in una maniera dolcissima.
Riuscivo a sentire il calore del suo corpo, e pur essendo vestiti, io mi sentivo nuda, eravamo nudi di tutte le incertezze e di tutte le paure che avevamo provato, eravamo nudi delle preoccupazioni e soprattutto eravamo nudi per mostrare le nostre emozioni più nascoste.
Era la prima volta che mi ritrovavo in una situazione del genere, non mi era mai successo prima ed ero davvero emozionata, non nervosa, emozionata perché lui riusciva a mettermi perfettamente a mio agio.
Lentamente mi accarezzò il viso e scivolò con le dita su tutto il mio corpo ed un brivido mi percosse tutta. Il suo sguardo era serio ma era tanto profondo e mi sorrideva e sorridendo faceva battere il mio cuore.
Prese le mie mani e le portò alla sua bocca e mi baciò lentamente le dita, potevo sentire le sue caldi labbra a stretto contatto con la mia pelle. Lo accarezzai e mi sembrava di avere il mondo tra le mani. Con le dita tracciavo i tratti del suo volto, i suoi occhi perfetti, il suo bel nasino e le sue labbra. Mi avvicinai lentamente e posai le mie labbra sulle sue ed ecco che con un piccolo gesto me lo ritrovai addosso.
Ci guardammo intensamente negli occhi, il cuore palpitava Bum, bum, bum, bum i battiti si diffondevano nell’aria. Intorno a noi il silenzio assoluto. Si abbassò lentamente verso di me e le sue labbra si impossessarono del mio collo, le mie dita erano dietro la sua schiena e lo stringevo forte a me – ti desidero piccola mia – sussurrò improvvisamente. Il mio volto si colorò di rosso in men che non si dica, Lendon se ne accorse e sorrise – non voglio solo il tuo corpo quindi se non vuoi mi fermo qui – disse e fece per spostarsi quando istintivamente gli afferrai il collo e riportai il suo sguardo fisso nel mio – sii tenero – sussurrai. Lendon sgranò gli occhi sorpreso e sorrise nuovamente, un sorriso dolce che faceva sciogliere il mio cuore ed istintivamente sorrisi anch’io – sii tenero – ripetei e lo abbracciai fortissimo. Lendon mi prese e in braccio e mi scortò dolcemente in camera sua, mi poggiò sul suo letto e spostò le lenzuola che sapevano di pulito. Mi sedetti sul letto mentre lui accendeva le ultime candele, iniziai togliendomi le scarpe, mi sentivo davvero nervosa e dovevo fare qualcosa. Lendon mi raggiunse e si sedette accanto a me. Ci guardammo ancora una volta, quella sera gli sguardi erano più intensi del solito – sei splendida – mi sussurrò mentre con una mano tra i capelli baciò dolcemente il mio collo.
Ci ritrovammo seduti l’uno di fronte all’altro. Lendon avvicinò lentamente la sua mano sulla mia spalla destra e dolcemente tirò giù la spallina del mio vestito, tremavo, stavo per avere la mia prima volta ma ero felice perché ero con lui. Lendon si accorse di quanto tremassi e mi abbracciò stretta – non devi sentirti obbligata – disse, io lo guardai, scossi la testa e portai le mie dita al colletto della sua camicia. Lentamente iniziai a sbottonare, bottone per bottone e mi ritrovai la sua pelle nuda sotto le mani. In quel momento provai una strana sensazione, il cuore fuoriuscì dal petto. Lo accarezzai lentamente e feci cadere la sua camicia a terra, lui fece lo stesso con me. In men che non si dica ci ritrovammo nudi, la mia pelle era contro la sua ed eravamo stretti in intensi abbracci tra quelle lenzuola e ci baciavamo. Le mie mani erano tra i suoi morbidi capelli neri mentre le sue accarezzavano dolcemente tutto il mio corpo. Eravamo felici e ad ogni sguardo scappava un sorriso. Lentamente si posizionò sopra di me, le mie mani erano dietro la sua schiena e l’accarezzavano dolcemente. Lui mi guardava intensamente negli occhi – ti amo – mi sussurrò e si avvicinò lentamente alla mie labbra, le baciò dolcemente e mentre mi accarezzava i capelli scendeva sempre più giù con piccoli baci sempre più dolci e caldi. Ritornò nuovamente a guardarmi negli occhi e fissandomi spostava i miei lunghi capelli dal mio viso. Rifece il gioco fonte-naso-bocca, era dolcissimo ed io stavo provando la sensazione più bella di tutta la mia vita. Lentamente e dolcemente cominciò a muoversi ed io stringevo i suo capelli tra le mani. Era la mia prima volta e lui era tenerissimo, aveva paura di farmi del male ma io in quel momento riuscivo solo a percepire tutto il suo amore. Si alzò lentamente e stette per qualche istante a guardarmi, io ero distesa sotto di lui, completamente nuda eppure non provavo vergogna, mi sentivo perfettamente a mio agio. Portai le mie mani al suo viso e accarezzai dolcemente le sue guance e lui le baciò, poi mi sorrise e si posizionò accanto a me. Prese il mio viso tra le mani e strinse il mio corpo in un tenero abbraccio e continuò a baciare le mie labbra che reclamavano le sue, ormai non potevamo più stare lontani. Il calore che emanava il suo corpo era un qualcosa di meraviglioso, la mia pelle premuta contro la sua, le nostre carezze interminabili e le mani che giocavano tra loro. L’atmosfera intorno a noi, tutto era perfetto, lui era perfetto.. la mia prima volta era perfetta. Lui dolcissimo continuava a baciarmi e ad accarezzarmi, continuava a muoversi lentamente senza procurarmi alcun dolore, continuava a prendersi cura di me. Non smetteva di stringermi, di amarmi, proteggermi.
I miei occhi, la mia pelle, la mia bocca.. tutto il mio corpo è fatto per sentirti.

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Capitolo 28
*** Capitolo XXVIII ***



NB Questo è un capitolo speciale ed è diviso in due parti. Nella prima parte è il professore a parlare e quindi sono riportate le sue emozioni, nella seconda parte, invece, parla Ciel.
Un grazie a chi legge e commenta la mia storia, continuate a seguire.




La tenevo stretta tra le mie braccia mentre mischiavamo pelle e cuore. Il modo in cui i nostri corpi combaciavano era un qualcosa di meraviglioso. La sentivo addosso ed ogni suo respiro e gemito apparteneva a me. La respiravo e in quel momento avrei voluto che il mondo si fermasse, che la smettesse di girare tanto e che semplicemente raccogliesse quell’istante fatto di noi.
Le baciavo la pelle e lei rabbrividiva, tremava.. era così piccola tra le mie braccia ed io avevo paura di farle del male, ma nonostante ciò si mostrò davvero coraggiosa, tanto coraggiosa da donarsi a me completamente. Desideravo quel momento da tanto tempo, le mie intenzioni non erano fare sesso, semplicemente desideravo fare l’amore con lei; volevo fare l’amore con lei perché volevo darle tutto me stesso.
Le luci nella stanza erano soffuse ed i nostri corpi erano illuminati solo dalle candele, con le mie mani e la mia bocca percorrevo ogni centimetro della sua pelle. Entrambi ci lasciammo travolgere in un turbine di emozioni meravigliose, l’amavo ed in quel momento era la cosa più importante. Ci sentivamo pienamente noi.


Avevo trascorso il San Valentino nei migliori dei modi e dopo quella sera mi sentivo una persona diversa, ero felice perché finalmente ero riuscita a donare tutta me stessa a Lendon e la mia prima volta fu proprio come l’avevo sempre immaginata, come tutte le ragazze della mia età sognano.
Un’altra settimana era appena cominciata ed io mi ritrovavo in sala prove con la professoressa Larisse, Lendon, Joon ed i miei compagni di classe.
- No, no, no, no Ciel, così non ci siamo – disse la vipera  alzandosi prontamente dalla sedia e dirigendosi verso di me – devi essere più espressiva, guardalo negli occhi e confessa tutto il tuo amore – disse indicando Joon – d’altronde è anche un bel ragazzo non dovrebbe essere difficile no? – sorrise maliziosa e ritornò al suo posto. Odiavo essere Giulietta, la recitazione mi piaceva ma in quel preciso istante non riuscivo a concentrarmi soprattutto sapendo che Lendon era lì ed era seduto accanto a quella vipera.
Mi voltai per cinque secondi ed il mio sguardo incrociò quello di Lendon che con un cenno della testa mi fece capire di continuare. Feci un sospiro e con sguardo combattivo decisi di andare avanti e mettercela tutta. Joon era bravissimo nel recitare, conosceva già tutte le battute a memoria mentre io ero ancora impacciata soprattutto nelle scene d’amore.
Finalmente le prove erano terminate ed era quasi ora di pranzo – Ciel – Joon correva dal fondo della sala – Ehi Joon – dissi io in modo cordiale – Ti va di pranzare insieme? Magari possiamo ripassare qualche battuta – disse sorridendo, in quel momento non sapevo cosa dire ma alla fine accettai – okei Joon, sarebbe carino- sorrisi e ci dirigemmo verso la mensa. – Joon, io ho il pranzo preparato da casa – dissi quando mi accorsi che stava scegliendo da mangiare anche per me – Ah okei – sorrise e prese da mangiare. Per pranzare decidemmo di dirigerci sul terrazzo così da non essere disturbati nel ripassare le battute, in realtà mi sentivo un po’ in imbarazzo ma Joon era tanto gentile da riuscire a mettermi perfettamente a mio agio.
Era da un po’ che non ridevo in quel modo, Joon mi raccontò tantissime cose di lui e il modo in cui lo diceva mi faceva ridere, era un ragazzo davvero molto buffo e si vedeva che era umile. Da quando le prove erano cominciate avevamo passato un bel po’ di tempo assieme e quindi avevamo imparato a conoscerci meglio. A volte mentre parlavo con lui mi ritornava alla mente Key e le varie cavolate che facevamo assieme, era da un po’ che non si faceva sentire e determinate cose non le sapeva e forse era meglio così, non avevo voglia di litigare.
Quando finimmo di pranzare Joon mi diede la mano e mi tirò su – ti accompagno ai corsi pomeridiani – disse sorridendo, ricambiai il sorriso e ci incamminammo. Arrivai fuori la palestra e mi voltai per salutare Joon – Beh, grazie per il tempo che hai trascorso con me – dissi sorridendo – Figurati – rispose lui, abbozzai un sorriso e feci per incamminarmi – Ciel – richiamò la mia attenzione  – Ti va di uscire con me questo Sabato sera? – disse imbarazzato. In quel momento sentii come se un’onda mi avesse colpita in pieno, cosa avrei dovuto rispondere? Restai per un bel po’ di tempo in silenzio senza parlare e tra noi calò l’imbarazzo.
Improvvisamente iniziai a sudare senza sosta, Joon mi aveva appena chiesto di uscire ed io non sapevo se rifiutare o meno – va bene – uscii semplicemente dalla mia bocca, un giro con lui non mi avrebbe certamente fatto male. Joon mi guardò e mi sorrise – grande – disse e salutandomi con la mano si incamminò.
Mi diressi in palestra col capo chino e a passo spedito mi infilai negli spogliatoi. Mentre mi disfavo  degli indumenti ripensavo a ciò che era accaduto e per certi versi pensavo fosse una cosa buona, almeno la mia relazione col professore sarebbe potuta restare segreta. L’unica mia preoccupazione era Joon, avevo seriamente paura che potesse iniziare a provare qualcosa di serio per me ed era per questo che mi sarei decisa ben presto a dirgli che ero già innamorata di un altro ragazzo e che non potevo assolutamente impegnarmi. Era un ragazzo tanto caro ed io non potevo di certo illuderlo. Un’altra preoccupazione era Larisse ma per un po’ avevo voglia di non pensarci. Ritornai in palestra e cominciai ad allenarmi a più non posso. Sentii il sudore percorrere il mio corpo.
- Ehi Ciel – qualcuno mi stava chiamando, mi voltai e vidi Tiffany alle mie spalle – Tiffany – dissi sorpresa – Sei sparita, mi hai abbandonata – disse lei fingendo un broncio, io mi avvicinai e l’abbracciai – sono un po’ sudata, scusami – dissi ridendo. – Come mai non sei più venuta al potenziamate? – chiese ovviamente lei, io restai per un attimo a pensare – i miei voti sono migliorati così ho deciso di dedicarmi alla pallavolo per scaricare un po’ di adrenalina – risposi – ma cosa ci fai qui? – chiesi nuovamente – sono venuta a cercarti – disse con un sorriso a trentadue denti – a cercarmi? Come mai? – chiesi perplessa. Tiffany mi scrutò attentamente e sorrise – noi del club di potenziamate abbiamo deciso di passare un fine settimana in montagna  e volevamo invitare anche te – disse saltellando qua e la – ovviamente ci sarà anche il professore – aggiunse sempre sorridendo. Per un attimo la palla mi cadde dalle mani e su due piedi non sapevo cosa rispondere, due richieste in un solo giorno, erano troppo per me. – Quando si parte? – chiesi interessata – la prossima settimana – rispose – non te ne pentirai, vedrai – concluse ed unì le mani come per pregarmi – O-ok – risposi io, Tiffany euforica si lanciò addosso abbracciandomi – grazie – rispose, mi salutò ed andò via.
Rimasi per cinque secondi a pensare.. davvero avrei trascorso il fine settimana con Lendon?

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Capitolo 29
*** Capitolo XXIX ***


Tornai immediatamente nello spogliatoio per una doccia veloce, recuperai il borsone con le mie cose e mi incamminai verso strada di casa. Cercai di coprirmi il più possibile ma faceva davvero tanto freddo. Febbraio era sicuramente il mese più freddo dell’anno. In lontananza vidi la professoressa Larisse  gironzolare intorno al mio Lendon mentre cercava di intrufolarsi in macchina, i suoi capricci erano simili a quelli di una bambina dell’asilo. Decisi di non fermarmi a guardare o ad ascoltare, di non dare peso alla cosa  altrimenti il mio umore sarebbe calato, accesi il mio mp3 ed infilai le cuffie nelle orecchie lasciando che le note di Your Luv mi invadessero completamente. Spesso pensavo che senza la musica ed il mio gruppo preferito non sarei potuta assolutamente andare avanti e molte situazioni di certo non le avrei potute affrontare, la musica era praticamente la mia vita e la cura dei miei mali.
Varcai la porta di casa e poggiando le cose a terra mi lasciai cadere sul divano – sono a casa – urlai ai miei genitori – oh tesoro – disse mia madre mentre arrivava dall’altra stanza – ha chiamato la madre di Key poco fa – aggiunse richiamando in modo particolare la mia attenzione – cos’ha detto? – dissi io sgranando gli occhi visibilmente preoccupata – oh, non devi preoccuparti –cercò di tranquillizzarmi lei– è stata solo una chiamata di cortesia, dice che saranno di ritorno per gli esami – aggiunse – quindi Key farà gli esami con noi? – chiesi interessata – pare di si – concluse sorridendo dirigendosi in cucina.
Dopo cena salii in camera mia e mi distesi sul lettino, dalla finestra la luce della luna riempiva quasi tutta la stanza. Il mio cellulare squillò e sul display il nome del mio caro professor Wolf faceva capolino. Immediatamente ripensai a noi due nudi stretti dentro il suo letto e sentii il mio viso diventare rosso fuoco, il cuore iniziò a battere all’impazzata e la pressione saliva; ripensandoci non avevo manco raccontato dell’accaduto alle mie amiche, semplicemente non avevo avuto modo. Presi il cellulare e mi affrettai a rispondere – pronto? – dissi cercando di essere naturale – piccola – bisbigliò lui dall’altro capo del telefono – buonasera Prof – borbottai scherzosa sollecitando la risata di Lendon che dal cellulare era ancora più bella che dal vivo – Signorina Owen – si ricompose – ha studiato? Domani la interrogo – disse serio – coooosa? – sbottai io facendo un salto che mi fece quasi cadere dal letto – è già tanto che io ti abbia avvisata – aggiunse lui – devi studiare Ciel, lo sai che non posso fare favoritismi – concluse – si lo so – dissi imbronciata – però promettimi che sarai buono – aggiunsi – sarò tenero come l’ultima volta – bisbigliò lui facendo fermare il tempo per qualche secondo, lo sentii sorridere – sogni d’oro piccola – e terminò la chiamata.

La notte scorreva lenta ed io non riuscivo a dormire, ripensavo alle ultime parole di Lendon, ripensavo a Joon e alla sua proposta e ripensavo a Tiffany e al fatto che sarei dovuta andare in montagna per un fine settimana. Trascorsi un bel po’ di tempo a rigirarmi tra le lenzuola ma alla fine mi addormentai.
Il giorno seguente, come promesso, il professor Wolf mi interrogò e fortunatamente andai bene. Avevo ripassato a colazione e nel tragitto fatto in pullman e quindi mi sentivo abbastanza preparata. Arrivò l’ora di ricreazione e decisi di raccontare tutto alle mie amiche, ovviamente escludendo i dettagli più intimi.
- Quindi l’avete fatto? – sbottò urlando d’eccitazione Savannah – shhh – mi alzai di scatto portandole prontamente una mano sulla bocca – vuoi che tutta la scuola lo sappia? – sussurrai – quindi tra voi le cose vanno bene? – chiese Sophie – per ora pare di si – mi accomodai nuovamente – ma c’è pur sempre la professoressa Larisse che è sempre in agguato – sospirai – non preoccuparti – si avvicinò abbracciandomi Sully – andrà tutto bene – concluse Ines – non vi ringrazierò mai abbastanza ragazze – sorridemmo e tornammo in classe. Ad aspettarci la bella Larisse che sembrava alquanto scossa e seccata – oggi non si prova ragazzi – disse inacidita – interrogo – a tale affermazione calò il silenzio assoluto in classe, nessuno osava fiatare. Si vedevano persone rovistare cose nelle borse, chi cercava di distogliere lo sguardo e chi faceva finta di niente e poi c’ero io, impaurita e convinta di essere chiamata all’interrogazione. I miei pensieri non furono terminati quando – Signorina Owen – ecco che la vipera pronunciò il mio cognome – si professoressa? – risposi prontamente io mentre nel profondo del mio cuore la stavo maledendo e non solo per l’interrogazione – l’ho chiamata per l’interrogazione, non se lo faccia ripetere ancora una volta e venga alla cattedra – disse sputando veleno. Mi guardai intorno e vidi gli occhi dei miei compagni tutti puntati su di me, si erano accorti di quanto fosse malvagia la professoressa nei miei confronti e con i loro sguardi cercavano di infondermi coraggio. Mi alzai,strinsi il libro nelle mani e mi diressi alla cattedra tremando, non che non avessi studiato, il punto era che in questi ultimi giorni erano successe fin troppe cose ed io non avevo approfondito.
Iniziò l’interrogazione ( e lo era davvero ) la professoressa mi riempì di domande e senza lasciare che io terminassi  di parlare partiva direttamente con la prossima. La guardavo e sembrava agitata, si toccava continuamente i capelli e con le dita tamburellava sulla cattedra, le gambe si muovevano di continuo e non faceva altro che mordersi le labbra. La campanella era suonata e la sua lezione era finalmente finita, feci per alzarmi e lei mi prese per un braccio – l’interrogazione non è ancora finita – ringhiò – ma professoressa è suonata la campanella e noi abbiamo educazione fisica, devo dirigermi in palestra – dissi facendole notare che i miei compagni intanto si stavano già allontanando – ho ancora qualcosa da chiederti – aggiunse lasciandomi cadere nuovamente sulla sedia. Le mie amiche avevano visto tutto e mi guardavano, io con un cenno del capo feci capire loro di lasciarci sole.
- Cos’è questa storia del fine settimana? – chiese inacidita, io sgranai gli occhi e la guardai perplessa – come? – chiesi con aria interrogativa – non fare quella faccia, sai benissimo di cosa parlo – si alzò dalla cattedra e cominciò a vagare senza meta per la classe – è stata una tua idea per poter stare accanto a Lendon signorina? – si avvicinò pericolosamente a me e di colpo batté le mani sulla cattedra procurando un grosso rumore. Rimasi in silenzio per qualche secondo impaurita ‘ questa donna ha seri problemi ‘ pensavo, mi liberai dalle sue braccia che mi avevano nel frattempo circondata, presi la borsa con la tuta da ginnastica e mi diressi verso la porta – è una cosa che hanno organizzato le alunne del potenziamate, io non c’entro nulla, se non ci crede può anche parlarne con la preside – dissi guardandola dritta negli occhi – arrivederci – uscii chiudendo di colpo la porta dietro di me.
Non appena arrivai in palestra le mie amiche mi circondarono e mi chiesero cosa fosse successo ma era meglio non pensarci ed iniziare con educazione fisica. La nostra professoressa di educazione fisica era un essere mitologico, in realtà non eravamo mai riuscite a capire se fosse un uomo o una donna ed i miei amici si divertivano a prenderla in giro. Io ero un po’ la sua pupilla visto che ero l’unica in classe a saper giocare a pallavolo, ma non avevo mai dato peso alla cosa. Stavamo facendo riscaldamento quando ricordai di non aver dato alle mie amiche due notizie importanti e fondamentali, la prima era che Joon mi aveva invitata ad uscire la seconda, invece, era che molto probabilmente avrei trascorso il fine settimana in compagnia di Lendon. Decisi così di iniziare in modo diretto – Joon mi ha chiesto di uscire Sabato sera ed io per non dare nell’occhio ho accettato – dissi tutto d’un fiato – cosa? – urlarono le mie amiche all’unisono richiamando l’attenzione della professoressa che per zittirci suonò quel fischietto che aveva sempre a portata di mano.
- Cosa? – ripeterono nuovamente a bassa voce – ho dovuto farlo ragazze – mi giustificai – noi conosciamo il tuo cuore, non illuderlo e parla chiaro – mi suggerì saggiamente Savannah – è quello che farò – conclusi rassicurandole.

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Capitolo 30
*** Capitolo XXX ***


Erano ormai due ore che ero ferma lì a fissare l’armadio chiedendomi cosa sarebbe stato più comodo indossare “ all’appuntamento” con Joon. Ero molto nervosa anche se ne avevo parlato con Lendon e avevo spiegato lui la situazione e lui si era, ovviamente, mostrato maturo e aveva capito le mie intenzioni.
Poco prima Joon mi aveva inviato un messaggio dicendomi che sarebbe passato da me alle otto in punto .
Ero davvero molto nervosa e non sapevo assolutamente come si sarebbe svolta la serata.. ‘forse non avrei dovuto accettare’ pensavo, ma ormai era troppo tardi.
Come promesso Joon fu molto puntuale, passò da me con la sua auto blu elettrico e mi fece accomodare.
- Allora Giulietta come sta? – mi disse sorridendo, era così carino, quando sorrideva sul suo viso comparivano delle fossette deliziose che mi facevano ricordare Lendon – Bene mio Romeo – risposi sorridendo e ci incamminammo. – Che musica ascolti? – mi chiese improvvisamente – Musica pop, è la mia preferita – sorrisi mentre mi guardavo le mani, solitamente quando parlavo della musica che ascoltavo le persone restavano sempre allibite – davvero? – esordì improvvisamente lui – mi faresti ascoltare qualcosa?- a quella strana richiesta i miei occhi si illuminarono, quando qualcuno si interessava alle cose che mi piacevano per me era davvero un onore. Potevo condividere la mia passione per questo genere di musica solo con Key e Sully e da poco avevo conosciuto Tiffany, ma vedere che anche Joon era interessato ad ascoltare mi rese davvero felice. Presi il mio cellulare dalla borsa e cominciai a rovistare tra i vai album, Stay fu la canzone che scelsi. Diedi il via alla musica che immediatamente invase tutta l’auto. Ogni tanto lanciavo uno sguardo a Joon e vedevo che muoveva a tempo la testa e con le dita picchiettava sul volante, sorrisi. –Come mai stai sorridendo? – chiese incuriosito stando attento a non distogliere lo sguardo dalla strada – sei buffo – risposi io sorridendo ancora, Joon rise – per quale motivo? – domandò ancora, alzai leggermente le spalle – così – risposi.
Arrivammo in un locale davvero tanto carino dall’aspetto molto caldo e confortevole. Joon aveva già prenotato un tavolo, la cosa strana era che non si trattava di un tavolo per due, bensì per quattro.
Spostò la sedie e mi fece accomodare – aspettiamo qualcuno? – chiesi visibilmente incuriosita – vedrai – rispose lui sorridendomi e accomodandosi accanto a me. In un certo senso mi sentivo più tranquilla, almeno avevo la conferma che quello non era un vero e proprio appuntamento e che non saremmo stati soli. Aspettammo circa per quindici minuti e nel frattempo Joon mi chiese un po’ di cose a cui io fui felice di rispondere, si stava mostrando davvero interessato e la cosa mi piaceva. Passarono altri cinque minuti e delle persone che sarebbero dovute arrivare nemmeno l’ombra, Joon guardava l’orologio e sembrava impaziente – vogliamo ordinare? – disse poggiando la sua mano sulla mia. Improvvisamente sentii una strana sensazione nello stomaco, spostai la mano dalla sua e abbassai il capo – non sarebbe maleducato? – risposi visibilmente imbarazzata, Joon mi guardò e sorrise – hai ragione – disse mentre con una mano accarezzò i miei capelli.
– Che carini – una voce femminile inconfondibile fece gelare il sangue nelle mie vene, alzai il capo e sgranai gli occhi, cominciai a sudare freddo; davanti ai miei occhi la professoressa Larisse e Lendon, che intanto mi guardava allo stesso modo. – Finalmente siete qui – disse Joon sorridendo e alzandosi dal suo posto per stringere la mano alla professoressa. Io e Lendon continuavamo a guardarci, entrambi increduli per ciò che stava accadendo. Si accomodarono di fronte a noi e Larisse continuava a stringere il braccio di Lendon – avete già ordinato? – chiese Larisse mentre guardava il menù – non ancora, Ciel ha voluto aspettare voi – disse Joon stringendomi nuovamente la mano. Lendon lanciò un’occhiata sulle nostre mani unite e abbassò lo sguardo dall’altra parte – non trovi siano carinissimi insieme? – disse quella vipera rivolgendosi a Lendon che, non sapendo cosa dire, fece si con la testa.
La situazione che si era creata assolutamente non mi piaceva, continuavo a sudare fredda e sentivo il cuore che pian piano abbandonava il mio petto. Ero nervosa ma dovevo fingere, fingere di stare bene.
- Scusate, dovrei usare il bagno – dissi alzandomi delicatamente – oh, ti accompagno – sbottò Larisse – siamo pur sempre donne - . Mi incamminai avanti e vidi che la professoressa Larisse mi seguiva camminando lentamente su quei suoi tacchi vertiginosi. Indossava un vestitino rosso super corto e super scollato, con dei tacchi che la rendevano ancora più alta ed una sciarpa legata intorno al corpo.
Entrai in bagno e mi sedetti al water a pensare, in realtà non necessitavo di andare, volevo semplicemente stare sola ma non fu possibile. Mille pensieri invasero la mia testa ed io mi sentivo scoppiare. Improvvisamente il mio cellulare vibrò, era un messaggio di Lendon..

Perdonami mi ha costretto ad accompagnarla dicendomi che era per una cena di lavoro, non ne sapevo nulla..

Riposi il cellulare nella borsa spazientita, sbuffai ed uscii dal bagno ritrovandomela davanti mentre era intenta ad aggiustarsi il trucco. – Siete proprio una bella coppia tu e Joon – disse mentre si guardava allo specchio intenta a mettere quel suo rossetto rosso fuoco – è un bene che stiate uscendo assieme, migliorate la vostra affinità in questo modo e alla fine verrà fuori uno spettacolo meraviglioso – si voltò verso di me – non stiamo uscendo insieme – dissi decisa – oh, non essere timida solo perché sono la tua professoressa. Questa sera siamo amiche, infondo io sono solo una donna di ventisette anni, potremmo esserlo comunque – disse fingendo un sorriso – e da amica ti voglio dire che ho intenzione di portare Lendon a letto stasera, sono emozionata, dovevo pur dirlo a qualcuno – rise ed uscì dal bagno. Rimasi ferma e cominciai ad avere paura, avevo paura che alla fine ci sarebbe riuscita e avrebbe portato via il mio Lendon. Quando tornai al tavolo l’atmosfera sembrava abbastanza testa. Larisse continuava a stringersi al mio Lendon che appariva abbastanza seccato, dentro di me, invece, la gelosia stava prendendo il sopravvento. Terminammo di mangiare e la professoressa Larisse propose di andare al karaoke. Io non volevo, ero stanca di vederli assieme – io in realtà vorrei tornare a casa, sono abbastanza stanca – dissi a sguardo basso, Lendon mi guardava e mi sorrise, per tutta la sera aveva parlato si e no due volte solo perché gli avevano fatto delle domande. – Sicura di voler tornare a casa? – disse Joon circondandomi le spalle con le sue braccia – S-si – risposi scostandomi leggermente – ma la serata è appena iniziata – disse Larisse quasi piagnucolando – dovresti tornare a casa anche tu – disse Lendon guardandola quasi male – ma Lendon tesoruccio – afferrò il suo braccio e lo strinse forte – è Sabato sera – piagnucolò ancora. Vidi quella scena ed il sangue nelle mie vene salì al mio cervello – andiamo al karaoke – proposi, non mi andava che quella cagna trascorresse del tempo da sola con Lendon.
Ci dirigemmo al karaoke e Joon e la professoressa cantarono un paio di canzoni, sembravano molto affiatati, non riuscivo a capire che tipo di relazione avessero quei due. Lendon era seduto accanto a me ed improvvisamente strinse la mia mano sotto il tavolo, lo guardai e nei scuoi occhi lessi la parola mi manchi.
Anche lui mi mancava tanto, ma cosa potevamo fare? 

Finalmente la serata era terminata e Joon doveva riaccompagnarmi a casa. Salutammo i professori fuori il karaoke e ci dirigemmo verso l’auto. Avevo deciso di dire a Joon tutta la verità, che il mio cuore apparteneva ad un altro e che, pur stando bene con lui, non poteva esserci che amicizia tra noi, solo una bella amicizia. Ci fermammo fuori lo sportello e prima di salire io mi voltai verso di lui – Joon, devo dirti una cosa importante – dissi tutto d’un fiato, mi voltai verso sinistra e mi accorsi che da lontano Lendon e Larisse ci stavano guardando. – Cosa devi dirmi? – disse Joon guardandomi negli occhi e accarezzando il mio viso
- ecco è questo che non va bene – esitavo, mi stava mettendo a disagio con tutte quelle carezze – io vole.. – non terminai di parlare, Joon si era già fiondato sulle mie labbra circondandomi con le sue braccia e tenendomi stretta. Cercai più volte di scostarmi quando sentii la macchina di Lendon sfrecciare via. Lo spinsi – Joon – dissi sconvolta – cosa fai? – chiesi portando le mani davanti alla bocca, Joon mi guardò allibito – cosa ho fatto? – mi chiese spontaneamente – mi hai baciata.. – dissi io irritata – scusami è che sei bellissima stasera, ti ho vista sotto la luce della luna, avevi uno sguardo così serio e profondo e non ho potuto trattenermi – confessò – Joon – mi fermai a perdere fiato – sono innamorata del professore – dissi non curandomi minimamente di quello che sarebbe potuto succedere.

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Capitolo 31
*** Capitolo XXXI ***


Joon restò immobile a fissarmi per qualche secondo – lo so – rispose a mia sorpresa, aprì lo sportello dietro di me – Sali ti riaccompagno a casa – disse facendomi accomodare delicatamente, si posizionò al volante e come promesso mi riportò dritta a casa.
Lungo il percorso nessuno fiatò, io semplicemente me ne restavo ferma in silenzio e dentro di me mille domande si ripetevano a raffica – mi piace la musica che ascolti – ruppe improvvisamente il ghiaccio – ha una bellezza tutta sua – sorrise, mi voltai a guardarlo ed un filo di malinconia si intravedeva in quel suo sorriso – come facevi a saperlo? – chiesi con tono basso, in un certo senso avevo paura della risposta. Joon non fiatò, si limitava a tenere lo sguardo fisso sulla strada, abbassai il capo e cominciai a torturare le mie dita, quando ero nervosa lo facevo sempre – siamo arrivati – disse fermandosi fuori il mio cancello di casa – grazie mille Joon – dissi sinceramente – sei un ragazzo d’oro ed io.. – non terminai di parlare quando mi ritrovai nuovamente il suo viso appiccicato al mio ed i suoi profondi occhi persi completamente nei miei – se continui ad uscire con me prometto di non dire nulla – disse improvvisamente – dimenticalo Ciel – concluse poggiando le sue labbra sulle mie guance. Mi scostai freddamente e scesi dalla macchina, mi affacciai al finestrino e lo salutai, feci per incamminarmi ma di colpo mi fermai, mi voltai nuovamente verso di lui – se una cosa la porti dentro è difficile dimenticartene – affermai ed entrai in casa.
Mi diressi silenziosamente in camera mia ed entrai nel bagno comunicante con la mia stanza, incredula per la serata appena trascorsa mi guardai allo specchio. Con uno scatto veloce gettai dell’acqua fredda sul mio volto non curandomi assolutamente della temperatura e dei brividi che mi percorsero. Presi la crema idratante e cominciai a massaggiare il mio viso, nel frattempo ripensavo a tutto ciò che era successo.
Larisse stava diventando davvero difficile da gestire e per di più non riusciva a tenere quella sua boccaccia chiusa, il solo pensiero di lei con il mio Lendon mi faceva sentire tremendamente triste perché, pur essendo una vipera, era veramente una bella donna e avevo paura che alla fine sarebbe riuscita a conquistare Lendon. Per quanto riguarda Joon, beh, mi aveva baciata e per mia sfortuna Lendon aveva visto tutto. Portai una mano al cuore e mi accasciai involontariamente davanti al lavandino, ero stremata ed avevo il cuore infranto in mille pezzi, nulla stava andando per il verso giusto e di questo passo avrei fatto soffrire, oltre Lendon, anche altre persone. Infilai il mio pigiama e senza esitare mi diressi nel mio letto e mi arrotolai tra quelle lenzuola che mamma faceva sempre profumare di fresco. In realtà se qualcuno mi avesse chiesto di cosa profuma esattamente il fresco, io avrei risposto delle lenzuola di mamma.
Presi il cellulare tra le mani e lo scrutai attentamente. Tra le foto c’era quella che io e Lendon facemmo il giorno di San Valentino, la nostra prima foto. La guardai e la malinconia mi invase completamente. Gli occhi di Lendon che risplendono così come il suo sorriso, quelle bellissime fossette, il suo nasino ed i suoi occhi, quelle sue bellissime labbra; era la perfezione fatta a persona ed io l’amavo più di ogni altra cosa al mondo. Avevo voglia di amarlo alla luce del sole, avevo voglia di stringere le sue mani in mezzo alla folla e non sotto ad un piccolo tavolo di un karaoke con la paura nello stomaco, quella paura che si presentava ogni volta che me lo ritrovavo accanto. Persa ormai in quella malinconia caddi nel sonno più profondo mentre al petto stringevo quel cellulare con la nostra foto.
Il giorno seguente era Domenica ed io la trascorsi in casa a studiare nonostante fosse, stranamente, una bella giornata di sole. Avevo sentito le mie amiche telefonicamente e avevo spiegato loro dell’accaduto e ne rimasero allibite ed ovviamente non seppero consigliarmi nulla. Nella mia testa la scena del bacio di Joon si ripeteva, il suono dell’auto di Lendon che sfrecciava via e l’ultima affermazione di Joon rimbombavano nelle mie orecchie. Portai la testa tra le mani e feci cadere tutte le cose che mi ritrovavo davanti – basta – urlai con una voce spezzata dalle lacrime.
Tutto quello che stava accadendo era davvero troppo grande, troppo grande per una ragazza così piccola come me.

Fortunatamente quella triste Domenica passò molto in fretta ed ecco che mi ritrovavo di nuovo il Lunedì addosso. Quella sarebbe stata la settimana del weekend e avrei dovuto preparare le cose da portare con me, a pensarci non avevo ancora parlato ai miei di questo piccolo viaggetto, ma di sicuro mi avrebbero detto di si.
Mi guardai allo specchio per l’ultima volta e sistemai il fiocco rosso della mia divisa, un’ultima aggiustatina ai capelli e scesi in cucina per fare colazione. Era da un po’ che mia madre mi vedeva triste ed era per questo che preparò le mie frittelle preferite. Riposi l’mp3 nella borsa e mi diressi alla fermata del bus.
Per tutto il tragitto non spostai minimamente lo sguardo dalla strada, i miei occhi si perdevano nell’azzurro del cielo e le nuvole sembravano prendere la forma del viso di Lendon, scrollai la testa, strizzai gli occhi e scesi dal bus.
Fuori al cancello dell’entrata principale della scuola c’era Tiffany ad aspettarmi, quando la vidi il mio viso si illuminò, corsi da lei e mi gettai tra le sue braccia – Tiffany – esultai contenta mentre la stringevo forte – Ciel, quanto amore di prima mattina – rispose contenta lei stringendomi a sua volta e ridendo – tanto -  replicai facendomi contagiare dalla sua meravigliosa risata – sei pronta per la montagna? – chiese guardandomi negli occhi e strabuzzando lo sguardo – prontissima – dissi sorridendo – stai sorridendo Ciel, ma non ti vedo convinta – sbottò improvvisamente lei – è che ho dormito poco la scorsa notte – mentii – che dici se in settimana andiamo a fare compere? – proposi – ti stavo aspettando qui al freddo proprio per dirti questo – rispose lei facendo un giro su se stessa, era davvero unica, mi faceva ridere sempre tantissimo ed era una persona che si faceva voler sempre bene – okei disagiata – dissi ridendo dandole un bacio sulla guancia, ci guardammo sorridenti e ci dirigemmo entrambi nelle rispettive classi poiché la campanella aveva già più volte annunciato l’inizio delle lezioni.

Entrai in classe ed erano tutti riuniti intorno al banco di Jasmine, mi avvicinai per capire cosa fosse successo e mi ritrovai Jasmine in lacrime – cosa è successo, dov’è la professoressa? – chiesi preoccupata – Sarà andata ad incipriarsi il naso – rispose Victoria seduta al suo banco – cosa vuoi che ne sappiamo noi? – sbottò nuovamente inacidita – chiudi il becco – intervenne Savannah che fu però fulminata da un’occhiataccia di Victoria. – Cosa è successo? – chiesi nuovamente a Savannah – il fratellino più piccolo di Jasmine è scomparso – spiegò lei, sgranai gli occhi e mi avvicinai a Jasmine, le poggiai una mano sulla spalla e le porsi un fazzolettino per farla asciugare le lacrime – vedrai che lo ritroveranno – cercai di calmarla nonostante sapessi che le mie parole erano inutili, Jasmine si alzò dalla sedia e mi abbracciò stringendomi forte a se – lo spero tanto – disse con voce rotta.
La porta si spalancò improvvisamente e Larisse fece il suo ingresso. Altezzosa come sempre stringeva il registro tra le mani. – Cosa succede? – chiese quando vide Jasmine in lacrime tra le mie braccia – nulla professoressa – risposi io accompagnando Jasmine al suo banco – vedo una persona in lacrime e tu mi dici nulla? – sbottò come se fosse infastidita, si avvicinò a Jasmine e la scrutò attentamente – ti ha lasciato il fidanzatino? – domandò come se fosse l’unica ragione per la quale una ragazza piange e sculettando si avviò alla cattedra. Si sedette e accavallò le gambe in modo talmente lento da lasciare intravedere le sue mutandine, quella donna era la vergogna del genere femminile a mio parere.
- Nel pomeriggio facciamo le prove di Romeo e Giulietta per il festival – annunciò a sguardo basso mentre era intenta a sfogliare il libro di testo – ed io ed il professor Lendon mostreremo la scena del bacio come deve essere fatta – aggiunse sorridendo malefica. Il cuore nel mio petto si fermò improvvisamente, la matita che avevo tra le mani scivolò improvvisamente cadendo a terra, Larisse mi guardò e sorrise nuovamente – ho più esperienza di lei signorina Ciel – affermò maliziosa.




 
Angolo autrice.
Salve lettrici e lettori. E’ la prima volta che scrivo alla fine di una storia, ho voluto farlo soprattutto per ringraziare in modo particolare xxlollipamxx ed engychan che seguono e commentano costantemente la mia storia. Ho notato con grande sorpresa che la mia storia è seguita da tantissime persone, mi piacerebbe quindi se voi, oltre a leggere, lasciaste anche un piccolo commento riportando i vostri pareri, anche critiche se ne sentite il bisogno ma che siano ovviamente costruttive. Detto ciò ringrazio nuovamente chi mi segue, questa storia mi sta molto a cuore ed è davvero importante per me e vedere delle persone che apprezzano il mio lavoro mi fa sentire davvero bene e la voglia di scrivere aumenta. Un bacio a tutti e mi raccomando, continuate a seguire e a vivere insieme a Ciel le sue avventure. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 32
*** Capitolo XXXII ***


Gli sguardi interrogativi dei miei compagni si posarono su di me, leggevo nelle loro espressioni una sorta di domanda, come se volessero dire cosa c’entri tu in tutto ciò? Fingendo indifferenza mi abbassai per recuperare la matita che intanto avevo lasciato cadere dalle mani. Sentivo il mio cuore pesante ma una voce dentro me mi consigliava di non dare ascolto alle parole di quella donna, molto probabilmente Lendon non era a conoscenza di tutto ciò. Dal fondo della classe notavo che anche Victoria mi scrutava attentamente, per me lei era una Larisse in miniatura, ma pur essendo così simili, si odiavano l’un l’altra.
- Non credo sia una bella cosa vedere due professori che si baciano – ecco che Victoria entrò in azione – è per una questione di lavoro – apostrofò la professoressa – beh, mi vedo costretta a far rapporto alla preside- rispose Victoria lasciandosi cadere in una sonora risata. In quel momento volevo soltanto sparire da quella classe, vaporizzarmi chissà dove lontano da tutto e tutti. Mi voltai e vidi Jasmine ancora in lacrime, mi chiedevo per quale motivo fosse venuta a scuola, con una scusa mi alzai dal banco e mi avvicinai a lei – professoressa accompagno Jasmine in bagno – dissi tutto d’un fiato e lasciai quella classe, non sopportavo più quella situazione pesante. Jasmine mi scrutò attentamente – scusami Jasmine – dissi mortificata, sentivo come se la stessi usando in un certo senso – non devi scusarti – rispose lei.
L’accompagnai in bagno e le feci sciacquare quel viso che ormai era imbevuto di mascara, non riuscivo a vederla in quel modo, dopodiché ci dirigemmo in segreteria per controllare se avessero ricevuto qualche telefonata. Mi avvicinai lentamente alla reception dove era seduta la segretaria e sulla mia destra intravidi Lendon mentre chiacchierava con un caffè in mano col professor Mc Flurry. Davanti ai miei occhi si aprirono le porte del paradiso, era diverso, aveva fatto qualcosa ai suoi capelli, erano cambiati, li aveva tagliati.
Era come sempre perfetto ed era vestito in modo sportivo ma ciò che richiamava in modo particolare la mia attenzione era quella felpa rossa che gli stava alla perfezione, il rosso era un colore che gli donava assolutamente. Ero persa così tanto nel mio mondo che non notai che la segretaria mi aveva già chiamato per ben tre volte – signorina – mi richiamò una quarta – s-scusi – dissi quando ero finalmente ritornata coi piedi a terra – cosa desidera? – chiese la donna – vorrei sapere se avete ricevuto una chiamata per un’alunna di nome Jasmine – la donna guardò attentamente il librone poggiato sulla sua scrivania e ne sfogliava le pagine – in realtà si – disse prendendo un foglio nelle mani – il messaggio era questo ma il collaboratore non ha potuto portarlo in tempo, spero non sia troppo tardi – mi porse il foglio ed io la ringraziai, mi avvicinai a Jasmine che intanto mi aspettava fuori e lessi quello che c’era scritto sul foglio. Fortunatamente avevano ritrovato il fratellino di Jasmine, a quanto pare si era addormentato nella giostra fungo al parco poco distante casa loro. Gli occhi di Jasmine si illuminarono finalmente di gioia, prese il foglio tra le mani e lo baciò ripetutamente – grazie Ciel – disse abbracciandomi, non c’era motivo di ringraziarmi ma non dissi nulla e mi limitai a sorriderle e a stringerla a mia volta.
Ritornammo in quell’inferno di classe e con il consenso della professoressa diedi la bellissima notizia alle mie compagne. Larisse intanto era intenta a scrivere i compiti per casa alla lavagna, cos’era? Eravamo tornate alle elementari? Raccolse tutte le sue cose e come se nulla fosse lasciò la classe senza salutare non appena udì il suono della campanella.

La lezione di psicologia era stata uno strazio, mi stiracchiai ed uscii dalla classe per dirigermi in bagno. Improvvisamente qualcuno alle mie spalle mi prese per il braccio e mi trascinò in uno sgabuzzino al buio, mi strinse, era lui. – L.. – stavo per dire il suo nome quando le sue soffici labbra si posarono sulle mie – mi sei mancata – disse stringendomi. Il suo meraviglioso profumo invase d’un colpo le mie narici ed io mi lasciai trasportare da quella fragranza – non sei arrabbiato con me? – dissi sottovoce – lo ero, in realtà – confessò lui – ma se lui ti ha baciato tu non puoi farci nulla, cioè non è colpa tua. Sento che tutto questo è solo uno spregevole piano di Larisse – sbottò, sgranai gli occhi e mi soffermai a pensare, poteva anche avere ragione – cos’è questa storia di Romeo e Giulietta e del bacio? – chiesi incuriosita ma impaurita allo stesso tempo dalla risposta che poteva darmi – Romeo e Giulietta? Bacio? – rispose semplicemente inarcando il sopracciglio, cosa che mi fece capire che non era a conoscenza di nulla – lo sapevo – risposi sorridendo, posai le mie labbra sulle sue, strinsi le sue mani nelle mie facendo incrociare ad incastro le nostre dita, dopodiché gli spiegai tutto.
 – Non posso crederci – affermò Lendon alzando leggermente il tono della sua voce – non ci presenteremo – disse – oggi ti rapisco – aggiunse sorridendo – cosa? – domandai facendomi contagiare dalla sua risata, Lendon si avvicinò lentamente al mio viso – adesso dobbiamo andare entrambi, oggi niente Romeo e Giulietta, ti aspetto dopo lezione sul retro della scuola, pranziamo insieme – stampò un piccolo bacio sulla mia fronte e lasciò lo sgabuzzino, poco dopo tirai fuori la testa anch’io, guardai a destra poi a sinistra e quando mi accorsi che il corridoio era vuoto corsi a perdifiato verso la mia classe.
Mi sedetti al mio banco e sorridevo ingenuamente e mi accorsi che accanto a me Ines mi guardava con fare interrogativo. Poggiai la testa su entrambe le mani e coi gomiti mi sorreggevo sul banco, davanti a me vedevo Larisse sbraitare perché né io né Lendon ci eravamo presentati alle prove. – Un momento – dissi ad alta voce richiamando nuovamente l’attenzione di Ines – e se ci scopre? – Ines sbuffò e mi diede un colpo leggero dietro la testa – ahia – dissi semplicemente voltandomi verso di lei – cosa bolle in pentola? – chiese incuriosita – nulla – risposi io sorridendo – e cos’è quel ghigno? – chiese strabuzzando gli occhi – quale ghigno? E’ un sorriso – affermai – se sorridi così devi farti vedere – aggiunse lei ridendo e contagiando anche me, mi guardai intorno e mi avvicinai lentamente a lei – oggi io e Lendon scappiamo – sussurrai decisa – cooosa? – sbottò improvvisamente Ines cercando di capire cosa stavo dicendo – e la tua famiglia? Cioè noi? La scuola? Ti devi diplomare ma sei pazza? – disse tutto d’un fiato, domande a raffica che dopo la mia affermazione aspettavo con ansia, scoppiai in una sonora risata e intanto una lacrima era scivolata sul mio volto, stavo davvero ridendo di gusto ed Ines era lì che mi guardava attonita – non preoccuparti sciocchina, sarà solo per oggi – dissi rassicurandola – ho raccontato a Lendon ciò che ha detto Larisse e come previsto, non era a conoscenza della cosa – spiegai – e mi ha proposto di ‘’scappare’’ con lui questo pomeriggio -. Le nostre chiacchiere furono stoppate dall’arrivo in classe del professor Lendon, non appena lo vidi i miei occhi si illuminarono e, guardandomi intorno, anche quelli di tutte le mie compagne di classe. Si presentò col suo solito sorriso a trentadue denti  e ci salutò tutti cordialmente – ragazzi abbiamo bisogno di fare un altro compito in classe – annunciò – ma proof – la classe si lamentò – lo so, lo so ma le regole sono queste, non posso farci nulla – spiegò – domani abbiamo due ore, vorrei farvi visionare un film su alcune regole matematiche, più che film è un documentario e mi piacerebbe se durante la visione prendeste appunti così in classe li rivedremo assieme, spiegherò le cose che non avete capito e la prossima settimana che sarà ormai Marzo faremo il compito, che dite? – propose entusiasta e l’idea piaceva all’intera classe, la matematica era una materia davvero noiosa eppure lui era capace di farla piacere davvero a tutti.
- Prof questo look nuovo e quella felpa le stanno d’incanto – ci tenne a precisare Victoria con al posto degli occhi due brillanti – grazie signorina Victoria ma non siamo qui di certo per studiare il mio look – rispose sorridendo, poi mi lanciò una piccola occhiata ed io sorrisi.

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Capitolo 33
*** Capitolo XXXIII ***


Presa dall’eccitazione saltai l’ultima ora di lezione e con una scusa mi recai a casa. Entrai ed era completamente vuota quindi decisi di lasciare un bigliettino a mia madre dicendole che non sarei rimasta a scuola, nel caso avesse visto la mia divisa, e che rincasavo verso sera. Mi diressi in camera mia e rovistai nell’armadio cercando qualcosa che mi rendesse presentabile. Ricordai improvvisamente del grande maglione beige che mi aveva regalato la mamma, con un bel jeans stretto sarebbe andato benissimo. Aprii l’anta destra dell’armadio e lo presi guardandolo con occhi angelici. Mi diressi in bagno e mi diedi una bella rinfrescata, il tempo stringeva e dovevo muovermi.
Ero pronta e stavo terminando gli ultimi ritocchi. Avevo indossato il mio bel maglione che faceva da monospalla, il jeans stretto con gli stivaletti bassi ed, oltre alla borsa, avevo aggiunto al mio look un bel cappellino. Mi guardai allo specchio e mi vedevo perfetta, i miei lunghi capelli neri cadevano morbidi sulle spalle.
Aspettai impaziente Lendon sul retro della scuola. Mi guardavo a destra e sinistra con la paura che qualcuno potesse vederci e per scaricare la tensione stavo molestando, come al solito, le mie mai.
 Da lontano intravidi la macchina nera di Lendon ed il mio cuore fece un sussulto, quella era la prima volta che avremmo trascorso il pomeriggio insieme e non a casa sua, quindi ero abbastanza agitata. Lendon si fermò, abbassò il finestrino e restò a guardarmi per qualche secondo – sei bellissima – disse poco dopo. Aveva detto quella parola tantissime volte, ma ogni volta era come se fosse la prima. Mi accomodai in macchina e mi sorrise – dove vuole che la porti signorina? – disse mentre teneva le mani strette sul volante – a pranzo – risposi io sciogliendo il romanticismo – il mio stomaco brontola – aggiunsi, Lendon scoppiò in una sonora risata e mise in moto la macchina.
Ero in macchina con lui eppure tutto quello non mi sembrava vero, Lendon lasciò la mano destra dal volante e la posò sulla mia gamba accarezzandola dolcemente, avvicinai la mia mano alla sua e lui la strinse forte – sono felice di essere qui – sussurrò dolcemente. Il mio cuore tamburellava, mi faceva sempre lo stesso effetto, era l’uomo dei miei sogni ed io, così piccola, ero la ragazza più fortunata del mondo.
Arrivammo in un locale fuori città e Lendon da buon cavaliere mi aprì lo sportello per farmi scendere.
Intorno a noi c’era il verde, tanto verde ed il locale era fatto tutto di legno, sembrava tanto una di quelle baite in montagna. Si avvicinò lentamente a me e mi prese la mano – qui non ci conosce nessuno, tu non sei la mia alunna ed io non sono il tuo professore – disse – Io sono Lendon e tu Ciel e siamo due semplici ragazzi che si amano – mi baciò le dita e sorrise- anche se magari io sono un po’ vecchio - lo guardai e risi divertita – non sarai mai troppo vecchio – confessai – entriamo? – chiese delicatamente ed io annuii con la testa.
All’interno del locale era tutto casareccio e c’erano migliaia di coppiette, un camino acceso rendeva l’aria ancora più intima. Scegliemmo un tavolo vicino ad una grande vetrata che affacciava sul verde e sedendoci l’uno di fronte all’altra sbirciammo il menù. Poco dopo una’anziana signora si avvicinò a noi, aveva i capelli bianchi raccolti ed un grembiulino azzurro con lo stemma del locale, calorosamente sorrideva e con un block-notes prese le nostre ordinazioni. Io ordinai un semplice hamburger con le patatine e Lendon fece lo stesso. Mi guardavo intorno e ancora non potevo crederci, Lendon mi prese le mani e mi sorrise – forse non sarà un ristorante super figo e costoso ma questo posto è davvero importante per me – disse guardandomi negli occhi – non ho bisogno di un ristorante super figo e costoso, a me basta stare qui con te – risposi guardandolo a mia volta, lui mi sorrideva e Dio, quando Lendon sorrideva potevo anche morire perché il suo non era uno di quei sorrisi semplici, no.. il suo sorriso era complesso ed era tremendamente perfetto. Non chiedetemi cosa esattamente intendo per complesso, non riuscivo a trovare altre parole per descriverlo. La donna arrivò con le nostre ordinazioni e due bicchieri grandi di coca cola – ecco a voi – disse quando ebbe poggiato tutto sul nostro tavolo, restò per qualche secondo a guardarci e sorrideva, mi voltai verso di lei e la scrutavo attentamente – non sarà facile ma sarete davvero felici – disse e si allontanò. Io e Lendon ci guardammo con fare interrogativo, ci stringemmo nelle spalle e sorridendo addentammo il nostro hamburger.

Camminavamo stretti abbracciati lungo quei viali verdi e respiravamo l’aria pura intorno a noi. Le nostra mani giocherellavano tra loro ed i nostri sguardi complici si scambiavano Ti amo.
- Qui ci venivo sempre da bambino – confessò improvvisamente Lendon – mi ci portava la mia mamma – aggiunse – per questo è così importante per me -. Lo guardai attentamente e vidi i suoi occhi riempirsi di tristezza e malinconia, chi sei veramente Lendon Wolf?
- Ti va di parlarne? – chiesi io delicatamente e quasi sottovoce, non volevo essere invadente ma se lui avesse avuto qualcosa da dire sarei stata contenta di ascoltare. Mi guardò e con la testa fece si, ci accomodammo su una panchina e lui, tenendomi ancora stretta, fece appoggiare la mia testa sul suo cuore e lentamente accarezzava il mio viso.
- Mia madre non ricorda molto del suo passato – cominciò – vive con mio padre e mio fratello Oliver fuori città e ogni tanto deve essere portata in una clinica psichiatrica perché le vengono alcune crisi – confessò e mentre parlava io sentivo il suo cuore accellerare – ricordi Oliver, vero? – chiese – Si – risposi – qui, come detto prima, ci venivo spesso da bambino ed ho dei ricordi con mia madre meravigliosi, per questo oggi ho deciso di portarti qui, volevo condividere un pezzo della mia vita con te – a questa sua affermazione i miei occhi si riempirono di lacrime – Oh Lendon – sussurrai mentre stringevo il mio viso sul suo petto – piccola mia – mi strinse a sua volta e mi baciò la testa, alzai lo sguardo e restammo per qualche minuto a guardarci, dopodiché le nostre labbra si incontrarono finalmente. Un leggero venticello si alzò facendo tremare le foglie che crearono un fruscio di sottofondo, rabbrividii e Lendon se ne accorse, sorrise e mi strinse ancora più forte – andiamo – disse alzandosi e prendendomi per mano – dove? – chiesi incuriosita – è una sorpresa – si limitò a rispondere strizzando l’occhio.

Era un edificio grandissimo e a guardarlo rimasi a bocca aperta. Intorno a noi tutte persone vestite per bene. – Salve signor Lendon – una donna in giacca e cravatta si avvicinò a noi – salve – salutò cordialmente Lendon – sono venuto per la prenotazione – esordì – da questa parte – disse la donna porgendo la sua mano verso una porta enorme. Lendon mi prese per mano e mi trascinò via con se.
La stanza era tutta buia ed io non riuscivo a vedere nulla, intorno a noi percepivo un grande vuoto. Lendon poggiò la sua mano dietro la mia schiena e pian piano mi fece incamminare verso una grande poltrona, ci sedemmo e si allacciarono le cinture. In sottofondo udii una musica molto rilassante, intanto continuavo a guardami intorno ma non riuscivo a vedere nulla. Si accesero le luci improvvisamente ed un – ohh – di stupore uscì dalla mia bocca, intorno a noi l’universo.
Lendon guardò verso di me e mi sorrise – ti piace? – chiese incuriosito – lo guardai e non riuscivo a dire nulla, continuavo a sorridere come un ebete e a guardare in alto, di lato, ovunque eravamo circondati da costellazioni, pianeti e davanti a noi la luna. – Sono un cliente abituale qui – sbottò improvvisamente – guardare le costellazioni mi rilassa - . Questa giornata stava diventando per me davvero speciale, stavo conoscendo tantissimi lati di Lendon che appunto non conoscevo ancora. Mi sentivo felice, felice perché lui mi strava mostrando tutto questo – grazie – dissi voltandomi verso di lui – grazie per cosa? – chiese incuriosito sorridendo – grazie per rendermi partecipe della tua vita – conclusi.

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Capitolo 34
*** Capitolo XXXIV ***


Il meraviglioso pomeriggio con Lendon era volato, l’attimo della fuga terminato. Eravamo stati assieme coi cellulari spenti per tantissimo tempo, eppure a me non sembrava ancora vero, era tutto un sogno meraviglioso. Lendon era seduto in macchina accanto a me, era ormai tarda sera e mi aveva accompagnato a casa, la luce della luna rifletteva nei suoi bellissimi occhi facendoli risplendere. Io mi limitavo a guardarlo, c’era così tanto silenzio che lo sentivo respirare dolcemente. Ogni volta che il mio sguardo si posava su di lui un qualcosa di meraviglioso si muoveva nel mio stomaco facendomi provare delle sensazioni bellissime. Sensazioni mai provate prima che riuscivo a sentire solo quando c’era lui e che si presentavano ogni volta alle sue lezioni, ma seguire le sue lezioni col cuore in gola era sempre una cosa fantastica. Mentre continuavo a fissarlo tutti questi pensieri invasero la mia mente, lui chiuse gli occhi per un istante e con la sua mano destra accarezzava i miei capelli, ed ecco che con la sua meravigliosa voce mi sussurrava la nostra canzone. Brividi immensi percorsero tutto il mio corpo.
Con la mano tracciai i tratti del suo viso, amavo farlo e lui, soffrendo il solletico, sorrideva facendo comparire quelle meravigliose fossette che mi facevano impazzire mentre le sue guanciotte erano a prova di morsi. Lì tra le mie braccia stavo stringendo un uomo, eppure quei suoi modi di fare lo facevano apparire sempre dannatamente giovane, non che fosse vecchio ma otto anni di differenza erano pur sempre una cifra, ed io tra le sue braccia mi sentivo piccolissima. La cosa, però, mi piaceva perché io l’amavo e sentivo che lui amava me, lo sentivo più di ogni altra cosa al mondo. Finalmente eravamo riusciti a restare soli per stare realmente insieme, eravamo riusciti a camminare stretti tenendoci per mano tra la folla senza provare quella paura che ci invadeva lo stomaco ogni volta, le persone non ci avevano guardato in malo modo e poi avevamo incontrato quella graziosa cameriera che ci sorrideva. Lendon appoggiò il suo viso alla mia spalla – vorrei dormire con te – mi sussurrò dolcemente ed il mio cuore precipitò. Quella fu una confessione bellissima.  Continuavamo a restare stretti, la voglia di salutarci era pari a zero eppure dovevamo. Intanto io ripensavo al pomeriggio, alle parole di Lendon e al fatto che aveva condiviso dei bellissimi ricordi con me ed anche io volevo dare lui qualcosa di più. Ci decidemmo finalmente a staccarci ed io lasciandogli un leggero bacio sulle labbra lo salutai per rincasare,  scesi dalla macchina e feci per incamminarmi ma Lendon mi strinse ancora una volta il braccio – Ciel – disse dolcemente, mi voltai ed i nostri sguardi si incontrarono per l’ultima volta quella sera – buonanotte amore mio – sorrise ed il mio cuore cessò di battere.


Il giorno seguente mi diressi a scuola con la consapevolezza di ricevere una sonora ramanzina da Larisse.
Entrai in classe ed era ferma impalata accanto alla lavagna e con sguardo scrutatore stava facendo il terzo grado alle mie povere amiche. Indossava una di quelle grandi pellicce che la facevano sembrare una vecchia zitella inacidita di altri tempi. – Finalmente abbiamo l’onore di averla tra noi – disse sarcastica ma nonostante ciò, i suoi occhi non nascondevano la rabbia che provava – buongiorno – mi limitai a rispondere e mi diressi verso il mio banco – dobbiamo parlare in privato – mi fermò lei. In quel momento ancora una volta gli occhi dei miei compagni erano rivolti a me. La situazione iniziava a starmi stretta, Larisse non si comportava da buona insegnante e se la cosa fosse andata avanti io e Lendon saremmo stati scoperti.
Si affrettò ad uscire dalla classe ed io sospirando decisi di seguirla – falla nera – mi incitò Selvy sorridendo, era sempre la solita esagerata. La professoressa Larisse si diresse in una classe vuota, entrai e chiusi la porta alle mie spalle. – Voglio che tu esca con Joon – esordì improvvisamente marcando bene quella frase – scusi? – chiesi io fingendo di non aver capito – devi uscire con Joon – ripeté. Ci fu un attimo di silenzio, in quel momento non riuscivo a credere alle mie orecchie, lei era la mia insegnante, cosa c’entrava Joon in questa storia? – Mi scusi professoressa, non credo che lei debba decidere per me chi io debba frequentare – mi affrettai a risponderle, Larisse si girò verso di me e fece un ghigno – vi ho scoperti – confessò – pensi io sia stupida? Se non vuoi che spifferi tutto alla preside, se non vuoi che Lendon perda il lavoro e ricevere tu una sospensione, lascia stare Lendon ed esci con Joon – disse con fare minaccioso, si avvicinò a me e prese i miei capelli tra le mani ed iniziò a giocare con le mie ciocche facendosele scivolare sulle dita – come può una ragazzina come te competere con una donna come me? – chiese poi chiuse gli occhi e annusò il mio profumo – non profumi di nessuna fragranza famosa, profumi di bambina – a quella sua affermazione feci un passo indietro – le sembra un comportamento tipico di una professoressa questo? – dissi tutto d’un fiato, Larisse si sedette su un banco ed accavallò le gambe – ed un’alunna che va a letto col proprio professore ti sembra normale? – la sua voce rimbombava nelle mie orecchie, come poteva dire che la relazione tra me e Lendon fosse riassunta in quel modo? Strinsi i pugni tra le mani e stetti ben attenta a controllare le mie emozioni che stavano ormai prendendo il sopravvento – deve smetterla – dissi con tono minaccioso – sta attirando troppo l’attenzione degli altri studenti questa storia e sta perdendo tutta la stima – confessai alzando leggermente il mio tono di voce – non mi importa – sbottò lei – fare l’insegnante non è mai stato il mio lavoro ideale e ad essere sincera non ho bisogno di soldi, sono qui solo per Lendon – confessò con moltissima calma come se quello che aveva appena detto fosse naturale. Scese dal banco e sculettando mi lasciò sola coi miei pensieri. Larisse era capace di mandarti al manicomio e con lei tra i piedi non potevi mai abbassare la guardia, e questo Lendon lo sapeva bene.
Tornai in classe ed era seduta intenta ad interrogare, in men che non si dica era diventata professionale? In silenzio mi sedetti  al mio posto con lo sguardo perso nel vuoto. Le mie amiche mi osservavano in silenzio, avevano capito tutto. Ines si avvicinò a me e poggiò la sua mano sulla mia, alzai lo sguardo e la vidi sorridere. I sorrisi delle mie amiche erano sempre così calorosi che mi mettevano buon umore ma quella volta proprio non ci riuscivo ‘ devi uscire con Joon’ si ripeteva in modo continuo nella mia testa.
A ricreazione decisi di starmene un po’ sola così mi diressi in biblioteca. Camminavo per quei lunghi corridoi dell’ala ovest della scuola ed erano deserti. Passai fuori l’aula musica e mi fermai per un secondo, vi entrai e lentamente mi avvicinai al pianoforte ed immaginai Lendon in quella calda mattina di Settembre suonare per me. – Devi fare di meglio – la voce della professoressa Larisse invase improvvisamente la sala, mi voltai verso la porta e mi accorsi che era appena entrata con qualcuno. In silenzio mi abbassai dietro il pianoforte e restai lì ad osservarli senza farmi notare, mi sporsi per guardare meglio e ciò che vidi mi fece sorprendere; la professoressa Larisse intenta ad urlare contro Joon. – Ti ho detto che devi fare meglio- ripeté una Larisse arrabbiata – sono innamorati Larisse, non possiamo lasciarli stare? – rispose Joon, improvvisamente il mio cuore cominciò a battere all’impazzata, perché Joon chiamava la professoressa col suo nome di battesimo? – Non mi interessa, non sono venuta qui per insegnare e lo sai. Mi avevi detto che in questo modo l’avrei conquistato – esordì nuovamente. Tutto quello a cui stavo assistendo mi stava facendo sentire male, Lendon aveva previsto che quello fosse un piano messo in atto da Larisse, ma Joon, Joon chi era realmente? Pensare che il suo essere così dolce e gentile con me era stata, molto probabilmente, solo finzione e parte di un piano mi faceva provare disgusto. Mi chiedevo per quale motivo quella donna fosse così ossessionata da volere a tutti i costi Lendon. In quella classe mi sentivo quasi soffocare, non ne potevo più avrei voluto uscire allo scoperto ma volevo andarci ancora più a fondo e cercare di capire meglio. La professoressa Larisse lanciò un urlo che mi fece sobbalzare nuovamente – calmati Larisse – cercò di aiutarla Joon vedendo la professoressa sbraitare e prendersela con tutto ciò che aveva intorno – sei un disastro di fratello Joon – furono le parole che mi fecero pietrificare.

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Capitolo 35
*** Capitolo XXXV ***


Insieme, Joon e la professoressa, lasciarono l’aula musica lasciandomi lì seduta dietro al pianoforte con gli occhi persi nel vuoto, la bocca aperta ed il cuore che andava a mille. Tutto questo che stava accadendo era davvero incredibile, dove voleva arrivare Larisse? Pensavo che una persona per fare tutto ciò avrebbe dovuto stare male sul serio. Mi alzai e tentennante mi diressi verso la porta, lo shock subito poco prima era stato davvero pesante. Camminavo tra i corridoi e quel vuoto che si percepiva lo assorbii dentro di me – Signorina Owen – qualcuno mi stava chiamando ma io non prestavo attenzione – signorina Owen? – sentii nuovamente, alzai gli occhi e vidi che a chiamarmi era il professor Mc Flurry – professore – esordii ancora perplessa – è successo qualcosa? Hai una brutta cera – mi fece notare – non si preoccupi ho solo avuto un capogiro – cercai di rassicurarlo – allora vai in infermeria e distenditi un pochino, ci vediamo dopo a lezione – disse andando via. Seguii il consiglio del professore e per creare un alibi con Larisse mi diressi verso l’infermeria, mi distesi sul primo lettino che vidi e con lo sguardo rivolto al soffitto mi immersi nei miei pensieri. Joon era il fratello della professoressa, ma com’era possibile che Lendon non sapesse nulla di questo fatto? Il mio cellulare cominciò a vibrare, erano le mie amiche che molto probabilmente si stavano chiedendo che fine avessi fatto, non risposi, chiusi gli occhi e cercai di restare il più possibile  nella mia tranquillità.
Stavo ritornando in classe quando nei corridoi una disagiata mi abbracciò fortissimo – Tiffany – dissi sorridendo – oggi alle 17:00 va bene? – chiese eccitata – cosa? – domandai io non riuscendo, stupidamente, a capire a cosa si riferisse – come cosa Ciel? Le compere per il week-end le hai dimenticate? – brontolò – oh scusami Tiffany – mi colpii leggermente la testa – stavo pensando ad altro – confessai – si vede – affermò – è successo qualcosa? – domandò preoccupata – magari ne parliamo – le dissi e salutandola con un bacio sulla guancia mi avviai – ci vediamo alle 17:00 fuori il cancello della scuola – urlò dal fondo del corridoi, io le sorrisi e la salutai con la mano.
In classe il professor Mc Flurry stava, come al solito, raccontando le sue disavventure ed i miei compagni di classe erano tutti intenti ad ascoltare col viso tra le mani ed i gomiti poggiati sui banchi. Il professore nel raccontare stava ridendo a più non posso ed ogni tanto asciugava una piccola lacrima che dal tanto ridere non riusciva a trattenere. Entrai e salutando mi diressi al posto mio – come stai? – chiese il professore preoccupato – molto meglio prof, grazie mille – abbozzai un sorriso e mi apprestai a prendere il libro di economia e commercio. Ines e Savannah mi guardavano e sottovoce parlicchiavano tra loro – dobbiamo parlare – sussurrarono all’unisono, io le guardai ed annuii, ne avevo bisogno.

Erano le 17:00 e come promesso ero ferma fuori il cancello di scuola ad aspettare Tiffany. Da lontano intravidi il mio caro Lendon intento a parlare con una signora, un genitore di qualcuno molto probabilmente. Lo guardavo ed il mio cuore sorrideva, la sua bellezza era un qualcosa di disumano.
Tiffany arrivò silenziosamente e con un urlo mi fece sobbalzare – diamine Tiffany – dissi mentre ridevo – cosa hai visto le porte del paradiso? Avevi uno sguardo perso ma allo stesso tempo profondo – esordì in modo naturale, si avvicinò di più a me e rivolse il suo sguardo nella direzione del mio – il professore del potenziamate? – chiese allibita e sgranando gli occhi, quasi balbettando la spinsi verso l’uscita – n- no ma che dici andiamo – sorrisi in modo sarcastico.
Eravamo appena arrivate in centro e stavamo girando tra i numerosi negozi. Era da tempo che non uscivo a fare shopping con le amiche, da Natale in realtà, e ripensandoci sembrava passato un eternità. – Ci fermiamo a prendere un gelato? – proposi alla mia amica – non fa freddo per mangiare un gelato? – chiese mentre si circondava il corpo con le mani – il gelato d’inverno è molto più buono – le feci notare – ti porto io in una gelateria che fa gelati buonissimi – aggiunsi e ci incamminammo. Nel bancone vi erano svariati gusti ed il mio stomaco stava già brontolando, scegliemmo i gusti che preferivamo e la commessa come regalo aggiunse al gelato della nutella caldissima, ero in paradiso. Prendemmo posto e cominciammo a gustarci il nostro buonissimo gelato. – Sei fidanzata? – chiese improvvisamente Tiffany, cominciai a tossire – cosa? – chiesi ancora tossendo, Tiffany rise e mi rifece la domanda – sei fidanzata? – la guardai sgranando gli occhi ed in quel momento non sapevo cosa rispondere, avrei dovuto dire si ma – no – pronunciarono le mie labbra – oh, io si – mi confessò lei – ma il mio ragazzo vive nella mia vecchia città, da quando mi sono trasferita ci siamo visti si e no due o tre volte, mi manca tantissimo – il suo viso divenne improvvisamente triste, si vedeva quanto le mancava. In quel momento semplicemente restai a fissarla, ero dispiaciuta perché lei mi aveva detto la verità mentre io non potevo – come si chiama? – chiesi gentilmente – Tom – sorrise ed i suoi occhi si riempirono d’amore, prese il cellulare e mi mostrò una loro foto, erano bellissimi.
Terminato quel fantastico gelato girammo vari negozi, stavamo cercando una tuta per sciare. Misurammo tantissime cose ma a me stava tutto larghissimo. Tra risate e battute stupide stavo trascorrendo un pomeriggio fantastico e quasi avevo dimenticato quanto fosse vipera e subdola la professoressa Larisse.
Mi diressi verso la cassa per pagare il mio acquisto, finalmente avevo trovato qualcosa che mi stesse bene e non mi facesse sembrare un piccolo fagottino, ma il cellulare scivolò dalla mia borsa. Tiffany lo raccolse e per un secondo restò pietrificata. In un primo momento non capii per quale motivo avesse reagito in quel modo poi ricordai del mio sfondo cellulare, la mia foto con Lendon. Ci dirigemmo verso la piazza più vicina e ci accomodammo su una panchina. Tiffany ancora incredula non parlava. – Ecco Tiffany – cercai di cominciare – prima o poi te l’avrei detto – confessai. Leggevo nei suoi occhi lo stupore – siete bellissimi Ciel – confessò a mia sorpresa io sgranai gli occhi e la guardai  - cosa? – chiesi incredula, pensavo che le fosse dispiaciuto il fatto che io non le avessi detto niente invece non era così – so che non dovrebbe essere così – confessò – ma siete bellissimi e dovevo dirlo – aggiunse, io la guardai e mi avvicinai lentamente per abbracciarla – ti racconterò tutto – dissi e così feci. Le raccontai di come era nata la nostra storia, del primo sguardo e di come Lendon mi fosse entrato dentro sin da subito. Le dissi che la prima volta che lo vidi in quel giorno di Settembre il suo viso mi ricordava tanto qualcuno, eppure ora a distanza di tempo, non riuscivo a capire chi esattamente, forse il suo era semplicemente il volto dell’amore. Le dissi dell’mp3 e della nostra canzone che lei, ovviamente volle ascoltare. Presi il mio cellulare e vi ci infilai le cuffie e ne porsi una a lei, play e la magia ebbe inizio. Ascoltavo la voce di Lendon ed il suono del suo piano ed il mio cuore cessò di battere, improvvisamente i miei occhi si riempirono di lacrime. – Come fai a nascondere tutto questo amore? – chiese Tiffany accorgendosi delle mie lacrime.

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Capitolo 36
*** Capitolo XXXVI ***


Mi ritrovavo seduta sul letto con mia madre tra una montagna di indumenti, avrei dovuto passare un solo week-end ma stavo portando con me tantissime cose. Mia madre si era offerta gentilmente di aiutarmi a fare la valigia ed io avevo accettato, quanto potevo amarla?
Sarei stata fuori solo due notti e sapevo che la mia famiglia mi sarebbe mancata. Mia sorella era seduta sulla poltroncina di fronte a noi e mentre mangiava delle patatine ci osservava – non hai bisogno di portare tutte queste cose, non starai molto fuori – disse ed aveva ragione, lo sapevo ma avevo bisogno di portare più cose possibili. Per questo week-end mi ero proposta solo di divertirmi senza pensare a tutte le cose che mi stavano complicando la vita e per quanto riguardava Larisse e Joon, beh a loro avrei dato sicuramente ciò che si meritavano. Mia madre scese in cucina per preparare la cena e mia sorella la seguì mentre io mettevo a posto le cose che, purtroppo, non ero riuscita a far entrare in valigia. Pensavo che quest’anno sarebbe dovuto essere un anno pieno di studio per me, invece, la professoressa Larisse mi stava solo dando problemi e la cosa mi spaventata, perché oltre a rovinare la carriera a Lendon avrebbe potuto anche rovinare il mio esame, ed io aspiravo al 100.
Il mio cellulare vibrò e sulle mie labbra spuntò un sorriso, era Lendon – salve prof – risposi e Lendon cominciò a ridere, insomma era il mio professore eppure ogni volta che lo chiamavo in quel modo rideva prendendomi in giro, sbuffai – ha mangiato del riso prof? – chiesi sarcastica stando attenta a non cadere anch’io in una sonora risata – lo sai che mi piace il riso – rispose lui, conversazione insolita – sei pronta per trascorrere un week-end insieme a me? –chiese dolcemente – prontissima – risposi io sorridendo. Non avevo ancora detto nulla di Larisse ma almeno potevo chiedere se aveva fratelli – Lendon – cominciai – ma la professoressa Larisse ha fratelli? – mi sedetti alla poltrona incrociando le gambe e aspettandomi una qualsiasi risposta – mm si, un fratello più grande – disse lui pensandoci su – ma perché me lo chiedi? – continuò – nulla, solo curiosità – mentii. Lendon aveva appena detto che la professoressa Larisse aveva un fratello più grande, allora Joon da dove era spuntato fuori? E perché Lendon non ne sapeva nulla?
Smisi di pensarci per un attimo e mi dedicai alla telefonata con Lendon, adoravo la sua voce al telefono e di certo non volevo perdermela, tantomeno volevo perdermi le sue risate. Lo sentivo respirare dall’altra parte ed era una sensazione bellissima – vorrei che tu fossi qui con me, la casa è vuota – bisbigliò ed il mio cuore iniziò a battere – vorrei poterti stringere tra le mie braccia ed assaporare le tue labbra – continuava, io chiusi gli occhi e lo immaginai accanto a me. Dalla poltrona mi diressi verso il letto e mi distesi, restando ad occhi chiusi presi il cuscino e lo strinsi forte a me fingendo fosse lui – io ti sto immaginando – gli confessai, Lendon sorrise e – anch’io – rispose dolcemente. Un minuto di silenzio puro invase la mia stanza e rivolta con gli occhi al soffitto ci limitavamo ad ascoltare i nostri respiri – mi sognerai questa notte? – chiesi timida –come sempre – rispose lui – il nostro è un continui incontro, non lo senti il mio tocco nei tuoi sogni? – chiese e credetemi, sembrò che le sue mani mi avessero accarezzata. Chiusi gli occhi e mi lasciai accarezzare – sento le tue carezze – confessai – perché io sono lì con te – continuò – buonanotte amore mio – e pose fine alla telefonata.
Restai ferma imbambolata per qualche secondo a fissare il soffitto – Ciel – ma la voce di mia madre richiamò la mia attenzione, era ora di cenare. Scesi in cucina e notai che mio padre e mio fratello non erano a casa – mamma dove sono papà e Mark? – chiesi incuriosita – ad una cena di lavoro, tuo padre ha portato tuo fratello con se, sai che vuole che sia il suo successore – disse mia madre stringendosi nelle spalle.

Mio padre mi aiutò a caricare le valigie in macchina e mi accompagnò a scuola assieme a mia madre. Era strano per me non prendere il bus. Accesi comunque il mio amato mp3 e, guardando fuori dal finestrino, mi persi come al solito nel mio mondo. Mia madre mi diceva spesso e volentieri che ero una persona che sognava troppo ma a me non importava, i sogni e l’immaginazione sono un qualcosa che ti rendono felice senza farti mai male. Arrivai fuori il cancello principale della scuola ed il pullman che ci avrebbe scortato in montagna era già lì. Tutte le ragazze ed i ragazzi che avevano partecipato al potenziamate stavano caricando i loro bagagli. Anche la preside era già presente sull’attenti e Tiffany mi stava venendo incontro per abbracciarmi, mi guardavo intorno ma non riuscivo ancora a vedere Lendon. – Se stai cercando il prof è dentro con il vicepreside – sussurrò Tiffany mentre mi abbracciava – buongiorno anche a te – risposi sorridendo, mi voltai verso i miei genitori e presentai loro Tiffany – salve – salutò in modo cordiale – ciao – risposero i miei all’unisono sorridendo – Ciel mi ha parlato molto di te – confessò mia madre facendo sorridere Tiffany che si ripiombò di nuovo tra le mie braccia. – Mamma, papà grazie per il passaggio, penso che adesso potete pure andare – suggerii ai miei prima che arrivasse Lendon – va bene tesoro, stai attenta – raccomandarono e salutando con la mano andarono via. Tiffany mi prese per mano e mi scortò verso il pullman indicandomi il punto in cui avrei dovuto mettere le valigie. La preside era intenta a parlare con l’autista e stava civettando come era solita a fare. Indossava una tutta di ciniglia con tacchi, lustrini di qua e lustrini di la, il suo look era sempre molto vistoso. Lendon arrivò col vicepreside ed in mano aveva la lista dei partecipanti al week-end, mi lanciò un’occhiata veloce con tanto di sorriso e poi rivolse la sua attenzione alla preside. – Adesso che so tutto si vede il modo in cui vi guardate – una Tiffany con gli occhi a cuoricino era sbucata dal nulla, sorrisi e le diedi un piccolo colpetto alla testa – ahi – esordì lei accarezzando lentamente con le mani il punto colpito – la prossima volta impari – le feci la linguaccia e salii sul pullman per prendere posto.
Eravamo ormai tutti seduti ai nostri posti e non dovevamo fare altro che partire. Il professor Lendon era seduto accanto alla preside ai primi posti mentre io ero due o tre posti più dietro. Ero ovviamente seduta accanto al finestrino e ogni tanto lanciavo un leggera occhiata per osservarlo ma tutto ciò che riuscivo a vedere erano i suoi bellissimi e folti capelli neri ‘se solo fossi più alta’ pensavo. Il rumore assordante del microfono fece quasi rompere i timpani di tutti i passeggeri – scusate – disse Lendon mortificato per aver creato quel forte rumore, era in piedi accanto all’autista con la lista in mano, si schiarì la voce e iniziò a fare l’appello. Quando arrivò al mio nome il cuore cominciò a battere, perché ogni volta mi faceva quell’effetto? Eravamo ormai fidanzati ma ogni volta che dalle sue labbra fuoriusciva il mio nome, giuro che potevo anche morire. Alzai leggermente la mano per rispondere all’appello e Lendon mi sorrise. Anche lui come la preside aveva indosso una tuta, era nera ma la felpa aveva le maniche bianche e, cosa particolare, stava indossando gli orecchini. Lendon non li aveva quasi mai a scuola, quindi quella volta che li indossava non potevo fare a meno di notarli, amavo quel suo look sbarazzino.
Eravamo arrivati a destinazione. C’era la neve ed io mi sentii improvvisamente piena di vita, avevo voglia di fare pupazzi di neve, sciare e altre cose divertenti, sembravo una bambina. Quest’anno la neve da noi era durata pochissimo, se ci pensavo riuscivo a vedere Key intento a darmi il suo regalo di Natale; mi mancava dannatamente. Tiffany scese dopo di me dal pullman e a pieni polmoni respirò l’aria che inebriava quel posto. Davanti ad i nostri occhi una villa bellissima. Entrammo e ad accoglierci arrivò un signore in giacca e cravatta col fare da maggiordomo. Ci scortò in una stanza dove ad ognuno di noi vennero assegnate le stanze per il pernottamento ed io per fortuna ero riuscita a capitare con Tiffany. A noi ci era stato assegnato il terzo piano e mi sentivo davvero fortunata poiché era lo stesso piano della stanza di Lendon. La nostra stanza era davvero meravigliosa con una vista spettacolare, mi affacciai e riuscii a vedere una struttura in legno coperta, erano le terme. Chiusi la tenda e presi una piccola rincorsa per lanciarmi su quel meraviglioso lettone a baldacchino, quei letti che riesci a vedere solo nei film e che solo le principesse posseggono. Mi rotolai tra le lenzuola e ben presto anche Tiffany mi raggiunse – ti vuoi divertire da sola? – chiese e si lanciò su di me. Cominciammo a ridere come due pazze disagiate ed io in quel momento compresi che divertirmi era tutto ciò che volevo.
Sistemammo le nostre cose e poi ci dirigemmo al piano terra per dare un’occhiata al programma della giornata. Ci munimmo di scii e ci dirigemmo, insieme ad i professori e la preside, si perché era venuto anche il prof Mc Flurry, casualmente era l’unico libero e ci dirigemmo in pista. Appena vidi le altre persone sciare una paura improvvisa invase il mio stomaco, mandai giù della saliva e feci un sospiro. Tiffany mise gli occhialetti e si era già preparata a scivolare giù, io invece riuscivo solo a stare ferma. Lendon si avvicinò a me – signorina Owen non sa sciare? – chiese fingendosi un professore modello – no è che – risposi balbettando perché la risposta ovvia era si – se vuole posso aiutarla – propose e prendendomi per mano mi fece scivolare su quella pista. Sentivo il vento tra i capelli ma nonostante tutto il calore di Lendon accanto al mio era percepibile anche a km di distanza – per me ogni scusa è buona per starti accanto – sussurrò sorridendo e sorrisi anch’io. Accanto a noi Tiffany era appena scivolata, mi lanciò un’occhiata complice e sorridendo passò oltre – lei sa tutto, vero? – chiese Lendon incuriosito – beh l’ha scoperto – confessai – non importa – disse lui – non ho più paura – aggiunse stringendo forte le mie mani.

Dopo cena ognuno di noi si diresse nella propria stanza, Tiffany era intenta a fare la doccia mentre io ero distesa sul letto col cellulare tra le mani. Portai le cuffie all’orecchio e intorno a me riuscivo solo a sentire la voce dei miei idoli, It’s war sembrava stessero cantando lì solo per me. Chiusi gli occhi e mi lasciai cullare da quella bellissima canzone, una delle mie preferite a dirla tutta. Quando la canzone terminò Tiffany era uscita dal bagno e si era distesa sul letto accanto a me. Incominciammo a parlare del più e del meno ma il nostro discorso finì ben presto su Lendon. Decisi di raccontarle altre cose ma soprattutto le parlai di Larisse e le spiegai di come ci stesse rendendo la vita sempre più difficile. Parlai di Joon e del fatto che si stava dimostrando tutt’altra persona e che la cosa mi faceva davvero provare disgusto e mentre parlavo cadde in un sonno profondissimo. La guardai per un istante e sorrisi, accucciata accanto a me sembrava una bambina. Mi distesi sul fianco destro e pensavo a Lendon e al fatto che fosse così tanto vicino a me, a dividerci vi erano solo un paio di stanze, pensavo a lui ed il mio cellulare vibrò – pronto? – risposi a bassissima voce stando attenda a non svegliare Tiffany – scendi giù piccola, ti sto aspettando alle terme – disse Lendon con altrettanta voce bassa, mi volta a guardare Tiffany – e se ci scoprono? – chiesi quasi impaurita – tu non preoccuparti – bisbigliò – non ho il costume – confessai cominciando a diventare sempre più rossa, Lendon sorrise – non ne hai bisogno – aggiunse ancora una volta sussurrando.

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Capitolo 37
*** Capitolo XXXVII ***


Presi una giacca e l’avvolsi intorno al mio corpo, mi guardai attentamente allo specchio, ero in pigiama e volevo assicurarmi che almeno il mio viso fosse apposto. Lanciai un’ultima occhiata su Tiffany che intanto dormiva beatamente in quel grande lettone e silenziosamente lasciai la stanza chiudendo la porta alle mie spalle. Lentamente ed in punta di piedi camminavo per quei larghi corridoi tappezzati di quadri e sculture stando ben attenta a non fare rumore. Scesi giù per le scale ancora a piccoli passi e sentii provenire dalla stanza della preside leggeri gemiti, sorrisi, a quanto pare il nostro grosso professore si stava dando da fare ‘povera moglie’ pensavo. Scesi nella grande sala dove ci eravamo fermati il pomeriggio e mi guardavo intorno, ripensandoci non avevo la ben che minima idea di dove si trovassero le terme, poi ripensai alla grande casa di legno che si vedeva dal balcone della mia stanza e cercai di orientarmi in quella zona. Camminavo ancora lentamente quando delle braccia circondarono i miei fianchi, non ebbi paura, capii immediatamente che era lui. Mi voltai a guardarlo ed il suo dolce sorriso faceva luce in quella stanza buia ed io riuscivo a vederlo, avevo tracciato le linee del suo viso talmente tante volte che ormai l’avevo imparato a memoria, riuscivo addirittura ad intravedere le fossette. Lentamente si avvicinò a me e poggiò le sue morbidi labbra sulle mie, sapevano di lui. Mi prese per mano – vieni – bisbigliò e ci dirigemmo verso le terme. Entrammo ed intorno a noi vi era il silenzio più assoluto. Tante candele erano accese e rendevano l’atmosfera impeccabile, dalla piscina, invece, il fumo evaporava nell’aria facendo subito comprendere quanto fosse calda e rilassante quell’acqua. – Ci sono degli asciugamani dietro di te – disse Lendon sorridendomi – puoi avvolgerli intorno al tuo corpo -. Immediatamente divenni rossa in viso, era già abbastanza per me farmi vedere in pigiama, cosa avrei provato se mi avesse vista nuda? Non che fosse qualcosa che non avesse già visto, ma la situazione era diversa ed io mi vergognavo. Lendon si accorse del mio imbarazzo e continuava a sorridere ingenuamente – sei bellissima con questo pigiama azzurro, ti dona molto – disse mentre si avvicinava, spostò i capelli dal mio viso e mi stampò un bacio sulla fronte, dopodiché tolse la giacca dalle mie spalle, io lo guardai negli occhi e ricambiai il suo sorriso, non potevo non farlo; era il sorriso più bello e dolce che avessi mai visto. Mi diressi dietro a dei separé e cominciai a spogliarmi e come da consiglio avvolsi quell’asciugamano bianco intorno al mio corpo. Tornai dov’ero prima e mi accorsi che anche Lendon si era spogliato. Avvolto intorno al bacino aveva il mio stesso asciugamano bianco, lo guardai e restai ferma per qualche secondo; avevo dimenticato quanto fosse perfettamente scolpito il suo corpo. Tese una mano verso di me – vieni piccola – disse sorridendomi, mi avvicinai e strinsi la mia mano nella sua e dolcemente ci calammo nell’acqua. Il calore di quell’acqua mi fece immediatamente rabbrividire, al solo pensiero di avere Lendon vicino poi mi faceva rabbrividire ancora di più. Lendon mi strinse forte a se, a dividere i nostri corpi vi erano solo quegli asciugamani che sentivo ben presto sarebbero andati via. Mi voltai verso destra e mi accorsi di come fuori nevicava forte, eppure intorno a noi vi era la calma e la tranquillità assoluta – chiudi gli occhi – Lendon interruppe i miei pensieri – cosa? – domandai io non avendo ben capito – chiudi gli occhi - ripropose con tono più dolce, io chiusi gli occhi e me ne restavo ferma tra le sue braccia a sorridere. Sentii Lendon improvvisamente allontanarsi – adesso puoi aprire – aprii gli occhi e li rivolsi immediatamente al cielo, sopra la mia testa un fiume di petali rossi stavano cadendo come pioggia, mi voltai e vidi Lendon dietro di me che con le mani faceva cadere quei bellissimi petali – sono meravigliosi – dissi prendendoli tra le mani – ti piacciono? – chiese lui entusiasta della sua sorpresa, io annuii e mi avvicinai nuovamente a lui – ti amo Lendon – gli sussurrai, forse era la prima volta che glielo dicevo così esplicitamente ma ne sentivo tremendamente il bisogno – ti amo anch’io piccola mia – disse mentre continuava a stringermi.
Le sue mani mi accarezzavano e le dita scivolavano su ogni centimetro della mia pelle bagnata, quell’acqua stava diventando una vera e propria consolazione, non avevo mai sentito tutto quel calore in vita mia. Lendon mi guardò negli occhi profondamente ed io da quello sguardo capii, mi avvicinai e sorridendogli poggiai le mie labbra sulle sue. Cominciai con piccoli baci a stampo prima che lui si impossessasse completamente della mia bocca. Mentre mi baciava le sue dita giocherellavano coi miei capelli ma mano a mano le mani scendevano giù e delicatamente fecero scivolare quell’asciugamano che era stato lì ormai per troppo tempo e che fungeva da barriera .Sentii le mani di Lendon creare un contatto più intimo col mio corpo. La mia asciugamano scivolò via e ben presto anche la sua, ponendo fine a quella piccola distanza che si era creata tra noi. - Non avere paura- sussurrò dolcemente ma io paura non avevo, perché avrei dovuto provare paura tra le sue braccia? Semplicemente mi sentivo al sicuro, a casa e non desideravo altro che stare lì, in quella situazione, ancora una volta e con lui. Dolcemente e silenziosamente ci stavamo amando. I nostri corpi immersi nell’acqua muovendosi creavano un leggero rumore di sottofondo .
In men che non si dica mi ritrovai tra le sue lenzuola a mischiare pelle e cuore ancora una volta ed il tutto era più che meraviglioso. Lendon mi rispettava, non era una persona che mi mancava di rispetto o che come gli altri uomini si permetteva di fare richieste sconce, lui era dolce e questa dolcezza la trasmetteva a me attraverso i suoi baci, le sue carezze; persino i suoi gemiti ed il suo ansimare erano dolci.
Lo sentivo in ogni parte di me, le nostre dita intrecciate ed i nostri corpi che combaciavano alla perfezione erano un qualcosa di spettacolare, sembravamo essere i pezzi di un puzzle. Io ero il pezzo che mancava a lui e lui era il pezzo che mancava a me ed era per questo che quando stavamo assieme ci completavamo. Sentivamo in nostri affanni scoppiarci dentro il cuore.
Era la seconda volta che mi ritrovavo in quella situazione eppure Lendon nei suoi movimenti era sempre dolcissimo. Avevo il suo corpo premuto contro il mio, lui disteso sopra di me eppure  io mi sentivo in paradiso – dormi con me questa notte – sussurrò dolcemente al mio orecchio poi lo mordicchiò, io sobbalzai leggermente e rabbrividii, Lendon sorrise – dormi con me – replicò – e se ci scoprono? – chiesi ancora una volta impaurita – domattina andrai via presto, non preoccuparti nessuno noterà niente, fidati di me – mi rassicurò accarezzandomi la fronte ed io mi fidavo, mi fidavo ciecamente di Lendon. Prese le lenzuola e le arrotolò intorno ai nostri corpi – hai freddo? – chiese accarezzandomi – con te accanto non posso avere freddo – confessai, il suo corpo emanava un calore pazzesco. Eravamo distesi tra quelle lenzuola e ci accarezzavamo, avevo il viso poggiato sul suo petto e mentre lo sentivo respirare sentivo anche il suo cuore battere forte – è questo l’effetto che ti faccio? – sorrisi e continuai ad ascoltare, Lendon mi strinse ancora più forte – non è solo questo l’effetto che mi fai – mi spostò i capelli, io alzai leggermente la testa per guardarlo negli occhi – non saprei trovare le parole giuste per spiegare in realtà l’effetto che mi fai. Questo mio sentimento per te è nato così improvvisamente che inizialmente pensavo di essere impazzito. Più volte ho pensato all’età e alle posizioni che entrambi avevamo ma stavo cominciando a notare che l’istinto con te prendeva il sopravento e credimi Ciel, io non sono una persona che agisce d’istinto. Sei una ragazza meravigliosa, anzi mi correggo, sei una donna meravigliosa ed io con te mi sento l’uomo più fortunato di questo mondo – le labbra di Lendon pronunciarono quelle semplici parole ed io cominciai a volare, immediatamente fui trasportata in un’altra dimensione ed i miei occhi si riempirono di lacrime, lo stringevo, lo stringevo forte a me ed in cuor mio speravo che quell’uomo potesse appartenermi per tutta la vita – sono felice di aver dato a te le cose più belle ed importanti che avessi da offrire – bisbigliai tutto d’un fiato – ed io sono felice di essere stato il primo, custodirò queste cose gelosamente, te lo prometto piccola mia -.
Le parole che ci eravamo scambiati in questa meravigliosa notte di sicuro non le avrei dimenticate mai.
Mi addormentai tra le sue braccia come una bambina e lui teneramente mi stringeva, pensavo che non esisteva cosa più bella ed intima che dormire tra le braccia della persona che ami.

Era mattina e quando aprii gli occhi ritrovai Lendon accanto a me col viso tra le mani e appoggiato sul gomito destro – buongiorno – disse sorridendomi. In quel momento divenni rosso fuoco, di mattina si sa non abbiamo un bell’aspetto e chissà da quanto tempo lui era lì ad osservarmi – b –buongiorno – borbottai – sei dolcissima quando dormi – sorrise lui – da quanto tempo sei così? – chiesi sgranando leggermente gli occhi – ti ho osservata e accarezzata tutta la notte e potrei andare avanti per altre dieci ore, non mi stancherei mai – confessò con tono talmente dolce da farmi sciogliere completamente – sei così piccola Ciel, mi vien voglia di stringerti per tutta la vita – si avvicinò e mi strinse forte, chiusi gli occhi ed affondai il mio viso nel suo petto, sapeva di buono anche di primo mattino. Avrei voluto tanto svegliarmi prima di lui per ascoltare il suo respiro crescere man mano, ma quel risveglio mi era piaciuto comunque tantissimo.
Spostò le lenzuola e scese giù dal letto, poi mi porse il mio pigiama, avevamo dormito tutta la notte con i nostri corpi premuti l’uno contro l’altro e, nonostante facesse freddissimo fuori, io tra le sue braccia percepivo un calore indescrivibile. Indossai il mio pigiama e silenziosamente mi diressi verso la porta per tornare in camera mia, avevo lasciato sola la mia povera Tiffany ma di sicuro mi avrebbe capita. Salutai Lendon con un veloce bacio sulle labbra e pian piano mi diressi verso la mia stanza.
Quella era stata di sicuro la notte più bella della mia vita.

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Capitolo 38
*** Capitolo XXXVIII ***


Aprii silenziosamente la porta stando ben attenta a non svegliare Tiffany ma quando vi entrai e rivolsi lo sguardo sul letto mi accorsi che non era lì, feci per andare in bagno quando me la ritrovai davanti a braccia conserte – ti sembra questo il momento di tornare? – chiese con tono alquanto minaccioso io la guardai e unendo le mani in preghiera piagnucolavo le scuse più plausibili – scusami Tiffany – ripetevo – scusami un corno – rispose lei, era realmente incavolata. Mi morsi il labbro inferiore e spazientita portai le mani nei capelli facendoli arruffare ancora di più – sono le sei del mattino – mi fece notare – lo so e mi dispiace – continuai io – appunto, sono solo le sei. Saresti dovuta rimanere di più col professore – esordì – si lo so, mi dispiace avrei dovuto avvisarti.. – continuavo a dire non essendo stata attenta alla sua affermazione, Tiffany mi guardava con le braccia legate al petto– aspetta cosa? – domandai io con gli occhi sgranati, lei si avvicinò e mi abbracciò fortissimo – su dimmi cosa avete fatto – chiese tutta entusiasta – oh, beh – dissi spostando leggermente una ciocca di capelli dietro l’orecchio e divenendo di un forte colore rossastro – ho capito, ho capito – disse sorridendo – a me ha fatto compagnia Tom – confessò sedendosi sul letto, ogni volta che pronunciava quel nome leggevo nei suoi occhi tanto amore ma allo stesso tempo tristezza, mi sedetti accanto a lei e cominciai ad accarezzarle i capelli – racconta – le dissi, lei si voltò a guardarmi e fece un sorriso a trentadue denti - ci incontreremo questo fine mese – disse ed i suoi occhi si illuminarono – è una cosa bellissima – le confessai e mi diressi in bagno per rendermi più presentabile a colazione.
Mi immersi sotto la doccia e lasciai che l’acqua calda scivolasse lenta su tutto il mio corpo, chiusi gli occhi e ripensai alla pelle di Lendon contro la mia, rabbrividii. Toccavo ogni punto della mia pelle e riuscivo a percepire le sue dolci labbra, le sue dita, sposando i capelli sembrava di sentire il suo fiato caldo sul mio collo. Uscii dalla doccia e mi avvolsi nell’accappatoio, mi guardai allo specchio coperto dal vapore e lo ripulii lentamente con le mani. Continuavo a guardami, poi sorrisi. Il mio cuore batteva velocemente, non potevo ancora credere di aver dormito tra le sue braccia immersa nel suo dolce profumo, ero felicissima.
Scendemmo giù per la colazione e gli altri ragazzi erano già tutti riuniti intorno al grande tavolo a mancare all’appello, però, vi erano ancora la preside ed il professor Wolf. Mi avvicinai lentamente al professor Mc Flurry per dargli il buongiorno – buongiorno prof – dissi sorridendo – oh buongiorno cara Ciel – rispose con un sincero sorriso, nonostante tutto quell’uomo era davvero affezionato ai suoi alunni e ce l’aveva dimostrato più volte, mi accomodai al posto accanto al suo, visto che era quasi l’unico vuoto, e cominciai a spalmare della marmellata sul mio toast, avevo una fame da lupi. Lo addentai ma una doccia fredda mi colpì improvvisamente; davanti ai miei occhi la professoressa Larisse avvinghiata al braccio del mio Lendon. Guardai con occhi sgranati la scena ed un pezzo di fetta biscottata cadde dalla mia bocca, cominciai a tremare. Tiffany si accorse del mio disagio e mi strinse forte la mano sotto al tavolo – cosa ci fa lei qui? – chiese il professore anch’esso sorpreso, io scossi la testa senza emettere alcun suono. La preside si avvicinò al tavolo spazientita – come l’è saltato in mente signorina Ruvier? –sbottò non poco incavolata, Larisse continuava a stringere il braccio del mio Lendon che nel frattempo aveva le mani sugli occhi e scuoteva la testa incredulo – mi dispiace signora preside – cercò di parlare con un tono di voce indecifrabile – mi lasci stare qui, dopotutto ho fatto tutte quelle ore d’auto e per giunta da sola – aggiunse continuando ad avere lo stesso comportamento. Quella scena fece chiudere il mio stomaco, non ne potevo più, anche qui me la sarei dovuta ritrovare? La storia tra me e Lendon era già difficile per sé, poi ci si metteva anche questa donna a rovinare le cose ed il mio cuore non reggeva. Mi alzai di scattò facendo strusciare rumorosamente la sedia atterra e a passo spedito mi diressi nuovamente nella mia stanza – Ciel – cercò di richiamarmi indietro Tiffany ma io non mi voltai, i miei occhi erano ormai pieni di lacrime. Mi chiusi in camera e mi gettai di colpo sul letto, affondai il viso nel cuscino e cominciai a piangere. In quel momento non riuscivo a capire che natura avessero quelle lacrime, non era lacrime di tristezza, semplicemente non ne potevo più. Ripensavo alla sera prima e mi dissi che era bello che le cose stessero andando per il verso giusto, era strano che qualcuno non mi stesse complicando la vita, come sempre d’altronde. Presi il mio mp3 e portai le cuffie all’orecchio a tutto volume, non mi importava se qualcuno in quel momento avesse bussato alla porta, non ci sarei stata comunque per nessuno. Rovistai tra gli album cercando la canzone che potesse ridonarmi il buon umore, pur sapendo che c’era poco da fare; mi era anche venuta voglia di giocare a pallavolo. Se avessi giocato a pallavolo di sicuro avrei schiacciato tanto violentemente da riuscire a creare un buco nella rete. Come la sera prima ascoltai di nuovo It’s war, da oggi è guerra, pensavo. Le parole di quella canzone riuscivano a trasmettere tutto ciò che provavo in quel preciso istante: Porrò fine a tutto questo, stai a guardare. Hai preso in giro la persona sbagliata [ … ] scuoto via la polvere e mi rialzo per quanto io abbia sofferto, tu che ti prendi gioco dell’amore stai a guardare. Intanto che le note si ripetevano io smisi di piangere e dissi a me stessa che avrei dovuto fare qualcosa, ma era proprio in momenti come quello che ricordavo di essere solo un’alunna.

Era ormai pomeriggio ed io non potevo di certo stare chiusa in camera, avevo anche saltato il pranzo e sia Tiffany che tutti gli altri erano molto preoccupati per me, dissi di essere indisposta ma chi mi conosceva sapeva il reale motivo del mio stare male. Dovevamo di nuovo sciare così ci dirigemmo in pista, l’ultima volta era stato Lendon ad aiutarmi, questa volta dovevo cavarmela da sola, Tiffany mi guardò con un meraviglioso sorriso nella quale era racchiuso tutto l’appoggio e l’incoraggiamento possibile ed io le ero molto grata per questo. Tirai giù gli occhialini e ingoiando rumorosamente decisi di provare a scivolare giù quando la mia attenzione fu richiamata dalla voce squittante della professoressa Larisse – Lendon ho paura, posso stringermi a te? – diceva piagnucolando stando ancora avvinghiata a Lendon, ma per quanto tempo era rimasta così? – Smettila Larisse siamo due professori – le fece notare Lendon – cosa importa Lendon tesoruccio, dai stringimi forte – si avvicinò di più a lui ma poi rivolse il suo sguardo a me abbozzando un sorriso cattivissimo, tirai su un forte sospiro e senza pensarci due volte scivolai giù per la pista.
Avevo una grande paura nello stomaco, non avevo mai sciato da sola, quella era decisamente la mia prima volta ma per il momento sembrava stesse andando tutto bene, per il momento. Difatti la sfiga venne molto presto in mio soccorso, ero per conto mio quando ad un certo punto mi ritrovai una bambina seduta a terra proprio davanti a me, sgranai gli occhi dalla paura pensando di poterle fare del male e con uno strano movimento cercai di deviarla ma per mia sfortuna urtai contro un albero perdendo per qualche minuto i sensi.
Più tardi aprii gli occhi e mi risvegliai in camera mia, mi voltai alla mia destra e seduta sulla sedia con le mie mani strette nelle sue vidi Tiffany che, appena mi vide aprire gli occhi, il suo volto riprese colorito – Ciel – esordì felice buttandosi a capofitto sopra di me – Tiffany – sussurrai io, non avevo ancora troppa forza per parlare – ma cosa ci faccio qui, eravamo in pista poco fa – dissi alzandomi leggermente dal cuscino – per salvare una bimba accovacciata davanti ai tuoi piedi hai deviato e sei andata a sbattere contro un albero e sei svenuta – mi raccontò, portai una mano alla testa e mi accorsi che mi faceva male, ero confusa ma riuscivo a ricordare bene ciò che era accaduto dopo la spiegazione di Tiffany – chi mi ha portata qui? – chiesi curiosa, Tiffany con un sorriso meraviglioso si avvicinò di più a me – è stato il professor Lendon – confessò – avresti dovuto vederlo Ciel, era in cima alla pista quando tu sei caduta e Larisse era ancora avvinghiata a lui, quando ha visto che la mamma della bambina ha urlato verso di te priva di sensi si è precipitato giù in men che non si dica – aggiunse – davvero? – chiesi io – si, si è buttato addosso a te immediatamente ed ha preso il tuo viso tra le mani, era talmente preoccupato che gli altri ragazzi del corso hanno iniziato a porsi delle domande – si strinse nelle spalle mentre io me ne restavo ferma a bocca aperta ed occhi sgranati – ti ha presa tra le braccia ed immediatamente ti ha portata su in camera seguito dalla preside anch’essa preoccupatissima – continuò – e Larisse? – domandai non sapendo esattamente cosa aspettarmi, Tiffany scrollò le spalle – non so niente ma alcuni ragazzi hanno sentito delle urla provenire dalla stanza del professor Lendon – concluse. In quel momento non sapevo esattamente a cosa pensare, speravo soltanto che Lendon non si stesse cacciando in guai seri, poggiai nuovamente la testa al cuscino quando qualcuno bussò alla nostra porta. Io e Tiffany ci guardammo, poi lei andò ad aprire e, a mia sorpresa, vidi Lendon a sguardo basso con le mani in tasca, Tiffany capì la situazione e – vado a prendere del ghiaccio – buttò giù la prima cosa che le fosse passata per la testa chiudendo silenziosamente la porta alle sue spalle, o almeno pensavamo fosse chiusa. Lendon restò per qualche secondo in silenzio ancora con le mani nelle tasche e a sguardo basso, poi mi guardò – come ti senti? – chiese appoggiandosi alla sedia lasciata accanto al mio letto da Tiffany – sto bene, non c’era da allarmarsi tanto, sono solo svenuta – risposi io a voce molto bassa, Lendon si sedette accanto a me e portò la sua mano sulla mia fronte – sapessi che spavento – confessò e nei suoi occhi leggevo una forte preoccupazione, alzai leggermente il braccio e portai la mia mano sulla sua guancia per accarezzarlo, Lendon mi lasciò fare poi chiuse gli occhi e delicatamente baciò il palmo della mia mano – perché Larisse è qui? – chiesi triste – perché deve renderci la vita impossibile – confessò sospirando – ma tu non avere paura di lei – mi rassicurò – io voglio solo te – aggiunse chinandosi leggermente verso di me – potrebbe portarti via Lendon – riuscii a dire con voce spezzata, i miei occhi si stavano riempiendo di lacrime – se avesse potuto portarmi via l’avrebbe già fatto da tempo, sono stato single per molto tempo e sono un uomo, avrebbe potuto comprarmi in qualsiasi momento eppure io sono qui con te – confessò ed i suoi occhi erano sinceri e soprattutto aveva ragione. Schiusi leggermente le labbra e Lendon mi baciò ma qualcuno di colpo chiuse la porta alle nostre spalle.

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Capitolo 39
*** Capitolo XXXIX ***


Come promesso il professore ad inizio Marzo ci assegnò un bel compito in classe di matematica. Mi guardavo intorno e tutti erano col capo abbassato sul proprio compito intenti a scrivere, fingendo di capirci realmente qualcosa. Nell’aula regnava il silenzio più assoluto ed era udibile solo il ticchettio dell’orologio, erano le undici, altri dieci minuti e la campanella sarebbe suonata. Mordicchiavo il tappo della mia penna blu e me ne restavo passiva ad osservare il foglio, avevo risposto a tutte le domande ma non riuscivo a comprendere l’ultima. Rivolsi il mio sguardo alla cattedra e vidi Lendon assorto nei suoi pensieri, da quando eravamo tornati dal week-end era piuttosto silenzioso ed entrambi non eravamo riusciti a comprendere chi ci fosse in realtà dietro la porta della mia stanza. Mi voltai ad osservare la mia compagna di banco, Ines, ed aveva le mani tra i capelli mentre dietro di me, Sully, aveva la testa poggiata sul banco poiché aveva già terminato da un bel pezzo la sua verifica. Posai nuovamente la testa sul mio foglio e sbarrai la prima casella che m si piazzò davanti agli occhi, era inutile restare a fissare il foglio, non ci avrei comunque capito nulla, mi alzai e consegnai il mio compito a Lendon che mi sorrise come un professore sorride alla propria alunna, era davvero bravo a mascherare i sentimenti. Dopo di me consegnarono anche Jasmine, Selvy, Ines , Sophie e Savannah, l’ultima fu Victoria che con fare presuntuoso poggiò di colpo il foglio sulla cattedra con entrambe le mani. Lendon alzò leggermente il capo e l’osservò ben benino – prof – cominciò lei – ma ce l’ha una ragazza? – chiese come se stesse domandando quanto facesse due per venti. Lendon si alzò dalla sedia e prese il suo cappotto e la borsa e fece per andarsene, si voltò verso Victoria – ce l’ho una fidanzata – disse facendomi sobbalzare dalla sedia – ed è una donna meravigliosa, non mi piacciono le ragazzine – concluse con fare arrogante e salutando chiuse la porta alle sue spalle rendendo ancora più orgogliosa di lui. Victoria sbuffò portando le mani al petto – non avrei dovuto rompere con Jeremy – esordì. A questa affermazione gli occhi di Savannah si riempirono di speranza e presa dall’eccitazione abbandonò la classe senza dirci minimamente dove fosse diretta.
Era ora di ricreazione e alle mie amiche stavo raccontando le ultime cose accadute durante il week-end e mi stavano odiando tantissimo, nel senso buono ovviamente, invidiavano il fatto che avessi potuto dormire con lui nel suo stesso letto. Ad un tratto sentii il mio cellulare vibrare, lo presi dalla tasca e mi accorsi che era una chiamata di Key, sgranai gli occhi sorpresa e con un cenno di mano feci capire alle mie amiche che mi sarei allontanata per rispondere e a dirla tutta mi allontanai un bel pochino, infatti mi diressi verso il tetto della scuola, luogo dove ero solita andare quando sentivo il bisogno di stare sola con me stessa. – Pronto? – risposi con un certo nodo in gola – Ciel? – sentii la voce di Key ed i miei occhi si riempirono di lacrime, il mio migliore amico, quella era la voce del mio migliore amico – Key – dissi con voce spezzata, perché per tutto questo tempo non si era fatto sentire? Aveva idea di quanto mi fosse mancato? – Ciao Ciel – lo sentii sorridere – preparati perché sono in città, ti vengo a pendere fuori scuola -. A quelle parole non credevo alle mie orecchie, mi asciugai violentemente le lacrime e – cosa? – riuscii solo a pronunciare – sono tornato per qualche giorno perché dovevo vedere una persona – confessò – ma ho voglia di vedere anche te – aggiunse, il mio cuore cominciò a palpitare, finalmente l’avrei rivisto, avrei rivisto il mio migliore amico, mio fratello. Feci un respiro profondo – non sai quanto tu mi abbia reso felice – gli confessai, Key sorrideva, lo sentivo sereno dall’altra parte e non potevo che essere felice perché mi ero accorta che le cose stavano ritornando come prima, speravo solo lui non fosse ancora.. ecco.. innamorato di me, ma d’altronde non dovevo preoccuparmi, mi aveva appena confessato che era venuto per vedere qualcuno.
Tornai immediatamente in classe e raccontai della bellissima notizia alle mie amiche, vidi Sully sorridere dolcemente mentre tutte le altre mi saltarono al collo. Quella ricevuta era stata d sicuro la chiamata più bella della mia vita.

La campanella era ormai suonata da un pezzo ed io ero all’entrata della scuola fremante e stavo aspettando Key, avevo mandato un messaggio a Lendon per dirgli che avrei trascorso il pomeriggio in compagnia e lui mi era sembrato felice, speravo solo non fosse geloso. Salutai le mie amiche che purtroppo dovevano tornare a casa, quando in lontananza vidi Key sulla sua bellissima moto. Si fermò davanti a me ed i suoi meravigliosi occhi azzurri si fecero spazio dentro ai miei marroni – Key – urlai buttandomi al collo – Ciel – ricambiò il mio abbraccio, mi porse il casco e mi aiutò a salire sulla sua moto.
Ci fermammo nel locale dove eravamo soliti andare ed entrambi ordinammo una cioccolata calda, quando la cameriera si allontanò con le nostre ordinazioni cominciai a riempirlo di domande – come si sta nella nuova città? E che scuola frequenti? Hai conosciuto qualche ragazza? Mica hai una nuova migliore amica? – dissi tutto d’un fiato, Key scoppiò a ridere – oh, oh, oh – disse agitando le mani verso di me – calmiamoci signorina, una domanda alla volta – disse strizzando l’occhio, io mi strinsi nelle spalle facendomi più piccolina, arrossii e sorrisi con lo sguardo basso. Erano passati tre mesi, tre mesi che ero stata lontana da lui e mi mancava, mi mancava da morire e vederlo lì davanti a me era una cosa meravigliosa. Avrei voluto raccontargli tutto, parlargli di Lendon ma soprattutto dirgli che avevo finalmente fatto l’amore e che l’avevo fatto nel modo più dolce che poteva esistere, ma non potevo, non sapevo ancora se i sentimenti che lui provava nei miei confronti fossero cambiati. La cameriera arrivò con le nostre cioccolate accompagnate da deliziosi biscotti, le poggiò davanti a noi ancora fumanti ed io chiusi gli occhi per respirane la fragranza. – Allora, da dove inizio? – domandò Key dopo aver dato un leggero sorso alla sua cioccolata – dall’inizio – esordii ovviamente io, Key sorrise e si portò entrambi le mani sotto al mento – come ti tratta? – chiese improvvisamente, smisi per un secondo di bere la mia cioccolata, poggiai la tazza sul tavolo e con uno sguardo interrogativo mi soffermai a guardarlo – come scusa? – chiesi sorpresa, Key sorrise per l’ennesima volta e si apprestò a girare la sua cioccolata soffiandoci dentro – beh, diciamo che in questi tre mesi un uccellino abbastanza timido ed impacciato mi ha tenuto aggiornato su tutto, non mi sono fatto sentire ma ho comunque vegliato su di te – confessò in modo naturale eppure io non riuscivo a capire a cosa si riferisse, Key si accorse del mio disorientamento e mi guardò sorridendo – parlo del professore Ciel – confessò sospirando, in quel momento sgranai gli occhi e portai una mano sulla bocca – sa-sapevi tutto? – chiesi con voce tremante – prima che partissi avevo già intuito qualcosa, difatti ti dicevo di stare attenta – cominciò – poi i miei sentimenti presero come ben sai il sopravvento e ti trattai in quel modo – aggiunse scostando lo sguardo da me e lanciandolo fuori dalla finestra – adesso sono passati tre mesi e stare distante da te mi ha fatto bene, sono riuscito a guardare oltre e soffermarmi su una nuova ragazza – sorrise e divenne improvvisamente rosso. In quel momento sentii una strana felicità partire direttamente dallo stomaco e raggiungere ben presto il mio cuore, poi la bocca e difatti un sorriso a trentadue denti non tardò a spuntare sulla mia bocca – sono un po’ confusa ma sono felicissima – confessai – perché sei confusa? – chiese lui – sono confusa perché non ho capito chi è questo uccellino che ti ha parlato di me e Lendon, sono confusa perché c’è un’altra ragazza, cosa c’entro io in tutto questo? – chiesi avvicinandomi leggermente a lui, Key rise di gusto – c’entri perché questo uccellino lo conosci molto bene, è tua amica – in quel momento rimasi semplicemente immobile con la bocca spalancata – cosa? – chiesi inarcando leggermente il sopraciglio, chi poteva essere? Improvvisamente Key smise di guardarmi, rivolse lo sguardo verso qualcuno alle mie spalli e sorrise, in quel momento avevo paura di voltarmi. Questa mia presunta amica si avvicinava a passo lento ed improvvisamente un odore di un profumo fruttato invase le mie narici, spalancai gli occhi e drizzai la testa, solo una persona di mia conoscenza aveva quel profumo – Sully – esordii senza voltarmi e alzandomi dalla sedia, provocai talmente tanto di quel rumore che l’intera clientela si voltò verso di me. Mi voltai e alle mie spalle vi era realmente Sully, il mio naso non mi aveva tradito – ciao Ciel – disse visibilmente imbarazzata dopodiché si avvicinò a Key che intanto le aveva fatto spazio accanto a lui. Incredula della scena che mi ero appena ritrovata davanti restai a bocca aperta ma lentamente mi accomodai nuovamente sulla mia sedia – mi-mi spiegate cosa sta succedendo? – borbottai, in realtà ancora non riuscivo a credere ai miei occhi, era possibile che Sully non avesse detto nulla di tutto ciò? Si insomma, era una persona riservata ma cose come queste era impossibile nasconderle. Key e Sully si guardarono e sorridendosi arrossirono all’unisono, in quel momento mi sentivo un po’ a disagio, ero una piccola candelina insomma. Mi grattai nervosamente il capo e Key se ne accorse, dopodiché cominciai a torturare le mie mani. – Quando sono partito – cominciò Key tornando al discorso iniziale – non potevo realizzare l’idea di stare lontano da te, e siccome avevo fiutato qualcosa col professore, decisi di chiedere ad una delle nostre compagne di classe, nonché tue migliori amiche, di passarmi delle informazioni. Inizialmente optai per Savannah ma sarebbe ceduta troppo presto e quindi lasciai stare, poi pensai ad Ines, ma Jonny avrebbe potuto fraintendere e non volevo, fu così che la mia attenzione si posò sulla riservatezza di Sully. Decisi così di scriverle un messaggio tramite posta elettronica e lei si dimostrò subito disponibile – confessò mente Sully continuava a stare in silenzio e ad annuire – ci scambiavamo messaggi di posta quasi tutte le sere, poi io decisi di chiederle il numero per facilitare la cosa – si rivolse verso Sully – dopo un po’ realizzai che avevo voglia di sentirla sempre e non più per parlare di te, bensì per chiederle come stava e come avesse trascorso la giornata – Key le prese la mano e Sully divenne rosso fuoco, erano così carini assieme ma tutto quello che stava accadendo mi lasciava una certa confusione dentro – circa due settimane fa ci siamo detti che ci piacevamo ed ora eccoci qui, sono venuto qui apposta per incontrarla e volevamo che tu fossi la prima a saperlo – concluse. Io continuavo a restare immobile ma sorridevo ed annuivo – ti prego Ciel, scusa se non ti ho detto nulla, ma Key mi aveva chiesto di non farlo e sembrava tanto disperato – sbottò Sully – se devi avercela con qualcuno prenditela con me – mi implorò Key – sono stato io a chiederle del lavoro sporco -. A quelle parole inarcai un sopracciglio – calma ragazzi – esordii ridendo di gusto – non voglio né urlare contro qualcuno e né arrabbiarmi, capisco le vostre posizioni, anzi vi dico che sono felicissima, siete due persone meravigliose e vi meritate l’un l’altra – confessai, mi alzai leggermente dal mio posto e li abbracciai, strinsi forte entrambi – siete entrambi miei migliori amici e vi voglio bene – continuai – spero che tra voi fili tutto liscio – sorrisi cercando di dare loro la mia benedizione, mi alzai dal mio posto e li salutai – adesso vi lascio soli, avete bisogno di parlare – dissi – aspetta Ciel, ti accompagno in moto – mi suggerì Key – non preoccuparti Key, faccio due passi a piedi e intanto chiamo Lendon – salutai ancora una volta e mi incamminai, Key correndo mi raggiunse – Sully mi ha detto quanto è gentile e premuroso il professore nei tuoi confronti, ma se ti fa piangere sai a chi rivolgerti – confessò, lo guardai e poggiai una mano sulla sua guancia, Dio ero talmente felice di ritrovarmi quegli occhioni azzurri davanti – grazie Key ma lui mi rende la persona più speciale di questo mondo, mi ama tantissimo ed io amo lui – rassicurai e lasciandogli un bacio sulla guancia mi incamminai.
Per strada continuavo a sorridere come un ebete, ero talmente felice di aver rivisto Key ma ero altrettanto felice che stesse uscendo con Sully. Sully era davvero una persona meravigliosa ma era troppo, troppo timida quindi una persona come Key accanto le avrebbe fatto più che bene. Presi il cellulare e composi il numero di Lendon – pronto? – la sua meravigliosa voce – Professore – sorrisi – piccola – pronunciò ma la sua voce sembrava così stanca – correggo i vostri compiti – confessò – come è andato il pomeriggio con Key? – chiese visibilmente interessato, sorrisi e decisi di raccontargli tutto dall’inizio.

Stavo parlando così tanto bene con Lendon che non mi era manco accorta di essere arrivata a casa – sono arrivata, mi tocca salutarti – dissi sorridendo – okei, magari ti richiamo dopo, ciao piccola mia – mi salutò ed io staccai la chiamata. Posai il cellulare in borsa e poi alzai le mani al cielo per stiracchiarmi, non riuscivo a levare quel sorrisone che avevo stampato sulle labbra, scossi la testa e mi incamminai verso il mio cancello ma il mio sguardo fu ben presto attirato da qualcosa, o per meglio dire da qualcuno; Joon poggiato alla sua auto davanti casa mia.

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Capitolo 40
*** Capitolo XL ***


POV Ciel
Velocizzai improvvisamente il passo e a testa bassa mi diressi verso il mio cancello – Ciel – mi richiamò Joon afferrandomi per un braccio, mi voltai verso di lui e allentai violentemente la presa, aveva stampato quel suo sorriso in faccia e tutto ciò mi dava disgusto, c’era da aspettarselo che fosse così bravo a fare Romeo, d’altronde lui recitava dalla mattina alla sera. Spazientita sbuffai e mi tirai indietro portando le mani unite sotto al seno, Joon mi guardava con fare interrogativo, come se non capisse cosa stesse succedendo esattamente, fu in quel momento che ricordai che lui non sapeva che io avessi scoperto tutto. Cercai di darmi una calmata e di sembrare per lo meno normale, anche se il tutto era alquanto difficile – cosa ti porta qui? – chiesi con tono quasi cordiale – è Marzo, il festival è vicino ed è tanto che non proviamo – mi fece notare ed era vero, avevamo accantonato le prove di Romeo e Giulietta per dedicarci allo studio ma adesso che ero a conoscenza della verità non mi andava più, non volevo baciare quelle labbra che per troppe volte erano state testimoni delle sue bugie. Mi poggiai delicatamente al cancello e portai una ciocca di capelli dietro all’orecchio, continuavo a restare a sguardo basso e mi mordevo il labbro inferiore, cosa avrei dovuto fare? Non sapevo se dirgli che sapevo tutto o meno. Joon si avvicinò pericolosamente al mio viso facendomi sobbalzare – hai preso in considerazione la mia richiesta? – disse quasi sussurrando, portai le mani verso il suo petto e lo spinsi leggermente indietro – penso di averti già dato risposta – sbottai inacidita, ultimamente stavo perdendo il mio self-control, Joon abbozzò un sorriso poi mi prese per mano e mi trascinò in macchina allacciandomi la cintura, inutile dire che i miei tentativi di fuga furono invani.
Il mio cellulare continuava a vibrare, era mia madre che stava chiamando per chiedermi dove fossi finita. Joon al voltante sembrava tranquillo e sorrideva, lo stavo odiando. I miei occhi si riempirono improvvisamente di lacrime e stavo cominciando ad avere paura. Joon fermò di colpo la macchina, mi guardai intorno e riconobbi il quartiere, era quello di Lendon. Mi voltai sulla destra e intravidi Larisse sulla soglia di casa di Lendon, incominciai a tremare, di sicuro si erano messi d’accordo per farmi cambiare idea, ‘che persone spregevoli ‘ pensavo. Lendon aprì la porta, indossava una canottiera bianca e dei pantaloni di tuta neri, i suoi capelli erano scompigliati ed era meraviglioso. Lo guardavo ed i miei occhi si riempirono di lacrime – visto? La professoressa Larisse è venuta a casa del professore, questo vuol dire che sono molto intimi – sussurrò Joon accanto a me, io non rispondevo, non ne avevo la forza, sapevo che tutto quello era solo uno sporco e meschino piano. Vidi Lendon portarsi le mani agli occhi e massaggiarseli dolcemente quando improvvisamente Larisse si fiondò tra le sue braccia, sgranai gli occhi dalla sorpresa; Lendon non la stava respingendo. Restai per qualche secondo a fissarli quando vidi che Lendon la fece entrare chiudendo la porta dietro di sé. Una doccia fredda mi colpì improvvisamente, dai miei occhi le lacrime cominciarono a sgorgare come dei fiumi in corsa, Joon mi tolse la cintura e si avvicinò lentamente alle mie labbra – lascialo andare, tu hai me – sussurrò prima di lasciarmi un leggero bacio a fior di labbra. Continuavo a piangere senza interruzione quando Joon decise di andare più a fondo col bacio, lo spinsi nuovamente indietro e lasciai quella macchina che ormai era diventata troppo stretta e non mi permetteva più di respirare. Corsi a perdifiato lungo tutto il quartiere e Joon mi raggiunse ben presto – Ciel – urlò alle mie spalle, mi fermai di colpo e con gli occhi arrossati e gonfi dal pianto mollai una sberla sulla guancia destra di Joon. Quest’ultimo portò la mano sul punto colpito e con gli occhi sgranati restò a fissarmi – e questo perché? – chiese quasi urlandomi contro – questo perché sei stato una persona falsa e ti sei avvicinato a me con l’inganno – urlai a mia volta, mi avvicinai e lo spintonai – questo perché pensavo tu fossi sincero ed io potessi fidarmi di te, pensavo di aver trovato un amico – aggiunsi – e questo perché sei il fratello di Larisse – conclusi mollandogli un altro schiaffo, feci per andarmene ma Joon mi raggiunse lanciandomi contro un albero – non volevo ingannarti Ciel – disse urlando e guardandomi negli occhi, io cercavo invece tutti i modi per scappare dalla sua presa, mi stava stringendo le braccia e mi stava facendo realmente male – credimi – aggiunse – Larisse non è realmente mia sorella – cominciò – è la mia sorellastra, mio padre e sua madre si sono incontrati qualche anno fa e si sono sposati – confessò – mio padre è morto l’estate scorsa e l’unica famiglia rimasta è lei perché nostra madre, ovvero sua madre, non è più capace di intendere e di volere ed io vivo con lei nel suo appartamento – concluse lasciando la presa ed indietreggiando, strinse i pugni e ne lanciò uno nell’albero accanto a me – è innamorata persa di Lendon, lo è sempre stata ma non so cosa si nasconda dietro questo suo tormento – disse guardandomi negli occhi, si avvicinò a me, che intanto restavo ferma incredula, e prese i miei capelli tra le dita – lasciamo gli adulti nei loro affari e dammi una chance – disse supplichevole. Tutto questo era davvero scioccante ed il fatto che stesse capitando proprio a me lo era ancora di più, perché semplicemente non potevo amare l’uomo dei miei sogni? Mi scostai dall’albero e mi incamminai lasciando Joon alle mie spalle, mi fermai e senza voltarmi dissi – non mi importa se tu sia stato costretto o meno a fare questa scelta, hai comunque voluto farlo – mi voltai – anche io come Larisse sono innamorata di Lendon e non è giusto quello che sta facendo, sta cercando di portarmelo via – i miei occhi si riempirono nuovamente di lacrime – sai cosa vuol dire ritrovarsela avanti ogni santissimo giorno e non poter fare nulla? – confessai – lei è la mia professoressa e potrebbe rovinare la mia carriera scolastica e questo è il mio ultimo anno – un nodo in gola quasi mi impediva di parlare, soffocata dalle lacrime mandai rumorosamente giù della saliva – mi minaccia in modo continuo ed ha persino coinvolto una terza persona in questa storia e so per certo che non si fermerà qui, perché con lei tutto è possibile – cominciai a singhiozzare. Lo sguardo di Joon si fece sempre più triste e comprensivo ma in quel momento non riuscivo a capire se stesse recitando o meno, si avvicinò lentamente a me e poggiò la mia testa sul suo petto facendo mici affondare dentro – perdonami – sussurrò ed io sentii il suo cuore correre veloce – scusami, ma non posso più fidarmi di te – confessai lasciando il tutto alle mie spalle.

POV Lendon
Terminai la chiamata con Ciel e ritornai con il viso nelle verifiche. Mi stiracchiai e bevvi un altro sorso della mia cioccolata fumante che era lì ad aspettarmi poggiata sul lato destro della mia scrivania. Tra le mani stringevo proprio il compito di Ciel, sorrisi, speravo fosse andato bene. Ultimamente era migliorata tantissimo nella mia materia, non era brillante come Sully ma se la cavava niente male rispetto tutte le altre. Cominciai a correggere ed i primi sei esercizi erano tutti corretti, aveva la sufficienza almeno. Sorrisi involontariamente e diedi uno sguardo agli altri quattro. Mi accorsi che ne aveva sbagliato solo uno mentre l’ultimo l’aveva lasciato incompleto e, sommando i punti, le misi un bell’otto, di sicuro ne sarebbe stata davvero felice. Presi il cellulare tra le mani ed avevo intenzione di richiamarla, si ci eravamo lasciati un attimo prima ma non vedevo l’ora di darle la bella notizia. Guardai l’orologio e mi accorsi che erano le sette quindi sarebbe stato meglio mettere prima qualcosa nello stomaco. Mi alzai e mi diressi in cucina, sul microonde vi era un bigliettino lasciatomi da Patricia riscaldare vi era scritto. Aprii lentamente il microonde ed il profumino che vi regnava all’interno invase le mie narici ‘ ah il paradiso ‘ pensavo, il cibo era sempre stato l’amore della mia vita. Accesi il microonde e lasciai che il contenuto si riscaldasse, mi stiracchiai e mi diressi in salotto per sistemare i compiti che avrei consegnato il giorno dopo. Li avevo tra le mani e sorridevo, erano andati abbastanza bene a tutti e la cosa mi faceva davvero piacere, questo voleva dire che le mie lezioni erano interessanti e soprattutto riuscivo a lasciare loro qualche nozione importante.
Mentre ero assorto tra i miei pensieri sentii il campanello suonare violentemente, guardai nuovamente l’orologio e mi chiedevo chi potesse essere a quell’ora, di solito non mi cercava mai nessuno. Mi diedi una sistemata ai capelli prima di uscire ma mi accorsi di averli arruffati ancora di più – al diavolo – sussurrai, sarei sicuramente andato dal barbiere per eliminarli. Aprii la porta e mi ritrovai Larisse in lacrime, portai immediatamente le mani sugli occhi – Lendon – mugugnò con la voce rotta dal pianto – ho sognato Eles – disse semplicemente e si fiondò tra le mie braccia. In quel momento restai per un secondo impalato, non sapevo cosa fare, lei piangeva ed aveva nominato Eles, mi stavo sicuramente cacciando in qualche guaio come era mio solito fare, ero un coglione. Il microonde alla mie spalle continuava a suonare richiamando più volte la mia attenzione, avrei dovuto spegnerlo o si sarebbe bruciato tutto, lanciai uno sguardo su Larisse che a quanto pare non voleva saperne di lasciarmi andare ed io di certo non potevo cacciarla via in quel modo, con le lacrime agli occhi per giunta. La invitai ad entrare e la feci accomodare sul divano, spensi il microonde e mi diressi in salotto con un bicchiere d’acqua, glielo porsi e mi sedetti sulla poltrona di fronte a lei, portai le mani sotto al mento e con i gomiti sulle ginocchia mi sporsi leggermente in avanti – beh, vuoi spiegarti meglio? – la invitai a parlare. Larisse asciugò le lacrime e tirò su con il naso, poggiò il bicchiere d’acqua sul tavolino davanti a lei e si avvicinò lentamente a me. Si sedette sul bracciolo della poltrona ed infilò una mano sotto la mia maglia, mi alzai di scatto – ma che fai Larisse? – urlai agitato, farla entrare era stato uno sbaglio – mi manchi Lendon, non ne posso più – sbottò alzando leggermente la voce – Larisse – cominciai – parli come se io e te avessimo avuto una relazione, siamo solo stati buoni amici, punto – le feci notare – se lei non ti avesse portato via da me al tempo tu saresti stato mio – urlò alzandosi dalla poltrona portandosi le mani nei capelli – lei non mi ha portato via da te, ci eravamo innamorati, tutto qui – dissi a voce bassa – così come adesso sei innamorato di Ciel? – rise sarcastica – ti innamori un po’ troppe volte caro mio – aggiunse, in quel momento strinsi i pugni nelle mani, non poteva permettersi di nominare Ciel dopo tutto quello che le stava facendo passare – Ciel è diversa – confessai, Larisse alzò lo sguardo e lo posò si di me – che incantesimo ti ha fatto? – cominciò a piangere, in quel momento la mia mente fu trasportata nel passato, quella scena l’avevo già vissuta ai tempi del college, quando ero ancora solo un ragazzino e lo stavo rivivendo anche oggi, da uomo – la scena si ripete Larisse – le feci notare. Larisse si avvicinò con impeto alla mia scrivania, prese la tazza che vi era appoggiata e la lanciò bruscamente a terra facendola rompere, dopodiché lanciò un urlo che rimbombò nell’intero appartamento – è colpa tua – mi strillò contro – è colpa tua se mia sorella Eles si innamorò di te – continuava a strillare soffocata dalle lacrime – lei sapeva quanto io fossi innamorata di te, eppure non ci pensò due volte a portarti via – disse – quel giorno in quell’auto ci sarei dovuta essere io e non lei – si avvicinò a me abbracciandomi nuovamente – quella puttana stava andando ad incontrare il suo ex – confessò. In quel momento il mio cuore cessò di battere per qualche istante, dovevo credere alle parole che mi aveva appena detto Larisse? O avrei dovuto sorvolare? Continuavo a stare immobile quando lei mi lasciò un leggero bacio sulle labbra – per questo ce l’ho così tanto con Ciel, anche lei ti ha portata via da me ed io non lascerò che ti abbia – disse scostandosi con fare minaccioso. Non appena sentii il nome di Ciel tornai coi piedi a terra – non permetterti di torcerle un solo capello Larisse – dissi spintonandola leggermente – Ciel non c’entra nulla in questa storia, sono stato io ad innamorarmi e a perdere la testa per lei – confessai – questo non ha niente a che fare né con Eles né con te – continuai – amavo Eles ma non nel modo in cui amo Ciel. L’amore che provo per lei è molto più forte – alzai leggermente il mio tono di voce. Larisse non rispose, raccolse le sue cose e si diresse verso la porta, io la seguii. Camminava con fare altezzoso, come sempre, la rabbia e la tristezza provata poco prima era sparita del tutto, si fermò improvvisamente sulla soglia di porta e si voltò verso di me, nei suoi occhi percepivo il fuoco – non cantate vittoria tu e la ragazzina, ho un qualcosa che porrà fine a tutto questo – confessò – manca poco, un solo click e la tua vita sarà rovinata per sempre – disse chiudendo la porta alle sue spalle.

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Capitolo 41
*** Capitolo XLI ***


Nonostante fossi tornata a casa stremata e priva di forze, quella notte non riuscii a dormire. Ero riuscita a sonnecchiare per qualche oretta sui libri di economia e commercio svegliandomi poi nel cuore della notte con il collo indolenzito ed il cellulare tra le mani tra cui vi erano riportate venti chiamate perse di Lendon che non riuscii a sentire a causa del silenzioso, ma che ignorai comunque anche una volta lette. Avevo bisogno di starmene da sola, il tempo di metabolizzare ciò che era accaduto e dare una spiegazione a ciò che avevo visto, ovvero Larisse tra le braccia di Lendon. Decisi così di non sentirlo, di non rivolgergli la parola almeno per un po’, sebbene sapessi che da li a poco avrebbe varcato la soglia della porta dell’aula e, ancora una volta, ci saremmo ritrovati a fingere, fingere che nulla fosse successo e a comportarci come sarebbe dovuto essere, perché in fondo lui era il mio professore ed io la sua alunna.
Sospirai pesantemente e lasciai cadere la testa sul banco, intorno a me vi era il caos eppure io riuscivo ad isolarmi nel mio mondo in una maniera indescrivibile. Mi sentivo come in una bolla, a fare rumore non erano le voci dei miei compagni di classe, bensì i miei pensieri. Mi voltai verso le mie amiche che intanto si erano riunite a parlare, quando un prof mancava ognuno faceva sempre quello che voleva. – Finalmente abbiamo l’onore di averti tra di noi – dissero all’unisono con tono alquanto sarcastico, io sorrisi e mi strinsi nelle spalle. Sully aveva raccontato a tutti della sua relazione con Key lasciando lo stupore sul volto delle presenti, mentre Savannah ci confessò di aver scambiato due chiacchiere con Jeremy, suo vicino di casa, figo della scuola, ex fidanzato di Victoria e cosa fondamentale: persona di cui era perdutamente innamorata da sempre.
Lendon fece il suo ingresso in classe e come al solito ci salutò con un meraviglioso sorriso. L’attenzione delle mie compagne di classe si posò immediatamente su di lui poiché si era presentato a scuola con un outfit impeccabile. Era bello, bello da fare male ed io avrei voluto tanto urlarglielo contro. Indossava un abito nero elegantissimo, con una camicia bianca con le maniche risvolte. La cravatta era annodata perfettamente ed il tutto gli donava un look altamente professionale. Aveva indossato di nuovo gli orecchini ma ciò che attirò la mia attenzione questa volta non furono loro. Furono quegli occhiali che gli donavano un’aria ancor più intelligente ed affascinante e notai che sul braccio sinistro aveva un bellissimo bracciale in pelle, mentre dai pantaloni una cintura in metallo sporgeva. Si sedette alla cattedra e l’intera classe era in silenzio. Ines mi diede una leggera gomitata e quando mi voltai verso di lei mi sorrise – sei fortunata – sussurrò. In quel momento mi fermai a scrutarlo attentamente, lui era intento a rovistare nella sua borsa per tirar fuori i libri di testo ed i miei occhi seguivano i suoi movimenti. Il mio cuore batteva forte ma la paura agguantò il mio petto; se l’avessi perso non me lo sarei mai perdonato. Il professore lanciò un’occhiata su tutta la classe e, notando gli sguardi ammaliati delle ragazze, sorrise timidamente, un sorriso meraviglioso che mi rese gelosa. Tirò fuori le verifiche – ragazzi miei sono lieto di annunciarvi che le verifiche sono andate abbastanza bene per tutti – disse alla classe e la notizia fece alzare un leggero boato, manco fossimo allo stadio. Chiamò Sully alla cattedra e le disse di distribuire le verifiche  mentre lui si accomodò al suo posto.
Ero seduta al primo banco e facevo di tutto per evitare il suo sguardo, eppure mi sentivo i suoi occhi addosso. Presi la verifica tra le mani ed il voto mi fece sgranare gli occhi, avevo preso otto. Lanciai uno sguardo su Lendon e lo vidi sorridere teneramente e Dio, giuro che quel sorriso mi fece morire. Cominciai a sentirmi maledettamente in colpa per non aver risposto alle sue chiamate. Alle mie spalle Sophie era in preda allo sconforto, mi voltai a guardarla e mi accorsi che aveva preso cinque. Il professore la chiamò quindi alla lavagna. Sophie si alzò e con passo lento si diresse verso il professore, sembrava stesse andando al patibolo. Nonostante suo padre fosse ragioniere Sophie non ci aveva mai capito una ceppa di matematica, eppure il primo quadrimestre era riuscita ad andare anche meglio di me, mentre adesso le cose erano cambiate, io stavo andando alla grande. Il professore interrogò Sophie che andò abbastanza bene, il mio Lendon sapeva mettere a proprio agio qualsiasi persona. Purtroppo la campanella suonò e questo voleva dire che era terminata la lezione di Lendon, adesso mi aspettava Larisse ed io non sapevo in che modo avrei dovuto affrontarla. Mi accorsi, però, che Lendon continuava a stare seduto al suo posto e non accennava assolutamente ad andarsene. – Professore – intervenne Victoria, interrompendo ogni mio pensiero – la campanella è suonata – fece notare – lo so – disse Lendon sorridendo il che fece arrossire Victoria – non deve andare via? – chiese curiosa. Lendon si alzò dalla sedia e si diresse davanti alla cattedra ed era a pochi centimetri da me, vi si sedette sopra – oggi mi hanno informato che la professoressa Larisse si è assentata, quindi la sostituisco io – annunciò. In quel momento non riuscivo a capire in che modo dovessi reagire, se dovessi essere felice o meno. – Faremo comunque ciò che avreste fatto con lei, quindi armatevi di volontà e proviamo Romeo e Giulietta – esordì – vi ricordo che manca solo un mese all’esibizione – prese le sue cose e ci scortò in palestra. In quel momento una strana ansia si impossessò del mio corpo facendolo irrigidire. In palestra avremmo dovuto provare la scena del bacio ed io non volevo, non davanti a Lendon, non dopo tutto quello che era successo. Joon arrivò e si posiziono a posto suo, Lendon ci diede il via e cominciammo. Il momento era arrivato, sentivo il respiro di Joon sempre più vicino e cominciai a tremare. Quella reazione, però, non era voluta dalla sua vicinanza, ma dal fatto che Lendon ci stesse guardando. Era seduto lì, accanto alle mie amiche e proprio davanti a noi. Prima di baciare Joon lanciai uno sguardo alle mie amiche come per richiedere forza e coraggio e loro comprendendo mi lanciarono a loro volta uno sguardo comprensivo. Joon prese il mio viso tra le mani ed ecco che.. le sue labbra vennero a contatto con le mie.
Il bacio sarebbe dovuto durare poco ma Joon ci stava andando giù pesante. Cercai di scostarmi più volte ma non ne ebbi la forza – basta così – urlò Lendon spazientito attirando su di esso l’attenzione dei presenti, Joon si scostò velocemente – mi scusi – sussurrò – metta a freno gli ormoni – si rivolse a Joon con fare minaccioso – per oggi terminiamo qui – concluse lasciando la palestra.

Era ora di ricreazione ed io stavo cercando un modo per poter parlare con Lendon. Mi diressi in bagno e decisi di scrivergli un messaggio. Lendon mi rispose subito dicendomi di incontrarci nell’aula musica. Uscii dal bagno e mi guardai attentamente in torno, sperando che nessuno mi seguisse o vedesse. Entrai nell’aula musica e lo ritrovai seduto al pianoforte. Mi avvicinai ed i nostri sguardi si incontrarono e nel suo sguardo vi era un filo di tristezza. – Venti volte – disse improvvisamente – ti ho cercata venti volte, perché non mi hai risposto? – chiese avvicinandosi lentamente – mi dispiace - sussurrai io – è che.. è successo tutto così improvvisamente, Joon era venuto fuori casa mia e con forza mi aveva portata nel tuo quartiere e tu, Larisse, abbracciati - sentivo un torrente di lacrime premere contro le ciglia – aspetta tu, cosa? – chiese Lendon con aria interrogativa. In quel momento la rabbia mi invase e cominciò a bruciare dentro me, ma non provavo rabbia per lui, provavo rabbia per me stessa, per la mia incapacità di esprimermi e per la mia debolezza, quella debolezza che si impossessava di me ogni volta. Lendon si avvicinò a me e lentamente asciugò una lacrima che non ero riuscita a trattenere, mi abbracciò, mi strinse forte ed io mi accorsi di quanto mi era mancato – prima ho creduto di impazzire – confessò – perché devi essere proprio tu Giulietta? - dovette schiarirsi la voce per continuare a parlare – ma so per certo che tutto questo finirà presto -. Mi scostai e lasciai che i miei occhi penetrassero i suoi ed il suo sguardo era fiducioso e pieno di speranza ed era per questo che mi fidavo di lui, non mi aveva detto niente eppure sapevo per certo che Larisse si era introdotta in casa sua con l’inganno. – Per quanto riguarda Larisse – cominciò – ho un paio di cose da raccontarti -. Ci sedemmo entrambi sullo sgabello del pianoforte non curandoci delle ore che volassero via, a me non importava, avevo bisogno di spiegazioni e soprattutto volevo stare con lui. Lendon mi prese le mani tra le sue e cominciò ad accarezzarle dolcemente, ogni tanto spostava i capelli dal mio viso e nel mentre spiegava tutto ciò che era accaduto il giorno prima.
Scoprii a mia sorpresa che Eles era sorella di Larisse e che nel giorno del suo incidente era diretta dal suo ex fidanzato. Dentro di me si faceva spazio una nuova sensazione, un’emozione strana mista alla paura che Lendon lesse immediatamente nei miei occhi, mi accorsi di essere un libro aperto per lui. Mi abbracciò nuovamente e mi lasciò un bacio sulla fronte – dovremmo andare adesso – sussurrò. Si alzò dallo sgabello e si diresse verso la porta ma io lo fermai prendendolo per mano – Joon è il fratellastro di Larisse – dissi tutto d’un fiato – erano in complotto sin dall’inizio per farci separare, è per questo motivo che io sono Giulietta e lui è Romeo – confessai, ormai non potevo più reprimerlo dentro. Lendon mi guardò e rimase in silenzio, leggevo lo stupore nei suoi occhi ma anche tanto disgusto ed io mi riconobbi, anche io reagii in quel modo quando nascosta dietro al piano, fui testimone delle cattiverie di Larisse.

ANGOLO AUTRICE
Buonsalve fanciulle mie, indovinate? Mi sono svegliata molto presto solo per poter aggiornare la storia, ed ecco qui per voi un nuovo capitolo. Devo dire, però, che rileggendolo non mi convince abbastanza il modo in cui mi sono espressa, ma spero che  comunque voi apprezziate il mio lavoro.
Di radio scrivo sotto ad un capitolo, ad essere sincera non lo faccio quasi mai, ma se stavolta l’ho fatto un motivo ci sarà. Quando cominciai a scrivere la storia feci una promessa a me stessa; se fossi arrivata a 100 recensioni avrei festeggiato, ed io le 100 recensioni le ho superate. Ringrazio di cuore chi legge la mia storia e la recensisce ogni volta. Leggere quello che pensate, vedere che partecipate e che a volte percepite esattamente ciò che sentono i protagonisti è una cosa meravigliosa, quindi inviterei anche le altre persone a commentare, leggere quello che avete da dire mi da tanta, ma tantissima carica. Oltre a ringraziare chi recensisce, ringrazio anche chi ha messo la mia storia tra i preferiti. Anyway, non voglio dilungarmi ancora tanto perché ho una sorpresa per voi. Finalmente il nostro Lendon si è deciso di uscire allo scoperto e, prima di andare a scuola, si è lasciato scattare una foto. Ma è ancora molto timido e non vuole farsi vedere in faccia – forse più in la – continua a ripetere. Accontentiamoci ( per ora ) e gustiamoci il suo fisico e le sue meravigliose labbra. Al prossimo capitolo e grazie mille ancora:)
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Capitolo 42
*** Capitolo XLII ***


Tornammo entrambi alle nostre rispettive cose salutandoci con un dolce sorriso, quel sorriso che Lendon regalava solo a me, un sorriso dolce che emanava calore e a me piaceva, piaceva da morire.
Entrai in classe e notai che vi era la preside accanto alla cattedra, guardai le mie amiche ed erano tutte col capo chino come se avessero appena ricevuto una bella ramanzina – buongiorno – dissi stringendomi nelle spalle e a passo spedito mi diressi verso il mio banco – cercavo lei signorina Owen – disse la preside inacidita, mi voltai verso di lei e mi accorsi di quanto fosse arrabbiata ma non riuscivo a spiegarmi esattamente cosa fosse successo – l’aspetto nel mio ufficio – continuò e alzando i tacchi andò via. Mi sedetti finalmente al mio posto accasciandomi alla sedia – Ciel – quasi urlò Savannah – non vi avrà mica scoperto, vero? – in quel momento sentivo il cuore pulsare via dal petto, deglutii rumorosamente e di colpo mi alzai – per scoprirlo devo affrontarla – dissi e mi diressi verso la presidenza. Per i corridoi facevo a stento a camminare, la paura stava irrigidendo tutto il mio corpo, era una sensazione bruttissima. Arrivai fuori la porta di presidenza e prima di bussare esitai qualche secondo, feci un altro sospiro e toc toc avevo appena segnato la mia condanna. – Avanti – una voce all’interno mi invitò ad entrare, aprii la porta e vidi Lendon alzato di fronte alla preside e la preside comodamente seduta dietro la scrivania. Alla vista di Lendon i miei occhi si sgranarono automaticamente. Cominciai a sudare; se avessi potuto in quel momento mi sarei accasciata al pavimento e stremata mi sarei gettata in un fiume di lacrime, ma  non potevo. – Prego venga avanti signorina Owen – disse la preside porgendo una mano verso di me ed indicando la sedia che vi era di fronte alla scrivania. Deglutii nuovamente e facendo si con la testa mi accomodai lentamente. – Le ripeto che la colpa è solo mia signora preside – disse Lendon tutto d’un fiato, stava veramente accadendo? Eravamo veramente arrivati al capolinea? – Ma come è potuto succedere professor Wolf? Sa questo cosa vuol dire? – sbottò la preside a macchinetta. Restavo ferma immobile ad osservare la scena e nel frattempo torturavo le mie mani sudate e sudavo anch’io. Le mie gambe erano ormai andate per conto loro, non riuscivo più a controllare e non facevano altro che tremare. Il mio cuore colpiva il mio petto dolorosamente ed i miei occhi erano gonfi dalle lacrime. Notai che la conversazione tra la preside ed il professore andava avanti, ma giuro che non riuscivo a sentire più nulla. Larisse non era venuta a scuola, questo forse stava a significare che aveva raccontato tutto alla preside e che non aveva avuto il coraggio di presentarsi poi.
Mi guadavo intorno e tutto cominciò a ruotare, i movimenti si facevano sempre più lenti. Sentii i miei occhi diventare pesanti e quando cadendo dalla sedia sospirai, mi ritrovai tra le braccia di Lendon col suo profumo che invadeva le mie narici.

Aprii lentamente gli occhi e quell’odore inconfondibile di antidolorifici e antibiotici mi fecero capire immediatamente dove mi trovavo. Guardai verso destra e vidi Lendon intento a guardare fuori dalla finestra, immediatamente quella visione fece riaffiorare in me un triste ricordo. – Lendon? – dissi a voce spezzata mentre tentavo di alzare lentamente la testa dal cuscino, Lendon si avvicinò e poggiando una mano sulla mia fronte mi sorrise – ci hanno scoperti, vero? – chiesi con le lacrime agli occhi e con la paura di ricevere come risposta un si che arrivò ben presto – si – disse lui, ma ancora non mi spiegavo come facesse ad essere così calmo. Istintivamente cominciai a piangere – perché piangi? – chiese Lendon sedendosi sullo sgabello accanto al lettino – non volevo finisse così – risposi cercando di nascondere il più possibile i miei occhi – ho spiegato già tutto alla preside ed ha capito – disse lui in una maniera così naturale da fare invidia – e accetta la nostra relazione? – chiesi sbalordita, Lendon mi guardò e stranamente sgranò gli occhi – aspetta, cosa? – chiese ridendo in modo sarcastico, io lo guardai e mi sentii strana, sentivo come se stessi provenendo da un pianeta che non fosse la terra e che la lingua che parlavamo fosse così diversa da non riuscire a capirci e creare fraintendimenti – non ci aveva chiamati perché aveva scoperto tutto? – chiesi ingenuamente, Lendon sorrise – ma che dici sciocchina – mi accarezzò la fronte – la preside ha scoperto, beh che quel giorno siamo stati in biblioteca – confessò – ha trovato un registro in cui erano riportati i nostri nomi ed è andata su tutte le furie pensando che noi avessimo detto quello che avevamo visto a qualcuno – in quel momento il mio cuore si riempì improvvisamente di gioia e mi sentivo già meglio, ero sollevata perché in un attimo avevo temuto il peggio, ed era successo tutto così in fretta che non ebbi modo di metabolizzare la cosa – ho avuto paura Lendon, pensavo che avesse scoperto tutto e che Larisse avesse parlato, si sarebbe spiegato il motivo della sua assenza – confessai e mi fiondai immediatamente sul suo petto, avevo voglia di piangere e non mi sarebbe importato se in quel momento qualcuno fosse entrato da quella porta, ero pronta a dare tutte le spiegazioni possibili. Lendon mi abbracciò e sorrise, mi strinse fortissimo a sé e, ancora una volta, percepii il suo bellissimo odore, l’odore più buono che avessi mai sentito. – Se fosse accaduto questo non avrei permesso alla preside di venirti a cercare, mi sarei preso tutte le responsabilità – prese il mio viso tra le mani ed asciugò le mie lacrime – smettila di piangere piccola mia, rovini il tuo viso ed i tuoi bellissimi occhi – mi disse sorridendo e quel sorriso contagiò anche me – oggi è il compleanno di Eles – confessò – Larisse va tutti gli anni al cimitero, per questo si è assentata a scuola – disse e vidi i suoi occhi riempirsi di malinconia mista a tristezza, sapere che in realtà Eles lo tradiva doveva essere stato un duro colpo per lui – e tu non ci vai? – chiesi sottovoce, Lendon mi guardò – non credo, sono sempre andato ma quest’anno proprio non mi va – mi avvicinai lentamente e lo presi per mano – andiamoci insieme – proposi sorridendo.

Ero seduta sul muretto dietro la scuola e con lo sguardo perso nel vuoto pensavo a ciò che era accaduto in quella movimentata giornata. Avevo proposto a Lendon di andare al cimitero da Eles insieme ma in realtà non sapevo se me la sentivo sul serio. Vidi Lendon arrivare con la sua auto e subito mi guardai intorno per poi infilarmi dentro, adoravo i finestrini scuri, una volta dentro mi sentivo al sicuro.
Sul volto di Lendon vi era un’espressione indecifrabile ed incomprensibile, non riuscivo a capire a cosa stesse pensando e ad essere sincera cominciavo davvero a pentirmi della mia stupida scelta. Per tutto il tragitto non parlò ed io rispettai quel suo silenzio. Ci avvicinammo lentamente alla lapide e mi accorsi dei fiori freschi da cui era circondata, Larisse era davvero stata lì. Stranamente Lendon non aveva in mano nessun fascio di fiori, piuttosto sembrava alquanto amareggiato. Mi voltai per guardare la foto di Eles e mi accorsi di quanto fosse bella e di quanto forse diversa da Larisse, non si somigliavano per niente.
Uno strano sospiro di Lendon richiamò la mia attenzione, mi voltai e lo vidi piangere.
Fui colpita immediatamente da tante lame infuocate, non sapevo come reagire a quel pianto e non sapevo come comportarmi nei confronti di Lendon, sapevo solo che in quel momento avrei voluto lasciarlo solo perché quella situazione mi faceva sentire fuori posto, mi sentivo una persona in più, una persona che non c’entrasse nulla in quel contesto. Feci due passi indietro ma Lendon mi afferrò la mano continuando a piangere e restando in completo silenzio, ma quel gesto bastò a farmi capire che mi volesse accanto a lui.
Il mio cuore andò in frantumi, lui piangeva ed io non potevo fare nulla per consolarlo. Le sue lacrime non erano lacrime di tristezza, erano lacrime di rabbia, lacrime che aveva soffocato, molto probabilmente, dentro sé per molto tempo e che solo ora era riuscito ad esternare. Smise di piangere ed io gli porsi un fazzoletto per asciugare il suo viso completamente bagnato.
 Ci sedemmo su un muretto di pietre, uno di fianco all’altro, in quel silenzio incerto che si posava lento sulle nostre bocche ancora e ancora. Fu lui a trovare per primo il coraggio di romperlo. – Perdonami – sussurrò, lo guardai e poggiai la mia testa sulla sua spalla – cosa dovrei perdonarti? – chiesi sussurrando a mia volta – ho pianto per lei davanti ai tuoi occhi – confessò – prima di conoscere una bambina come me hai amato quella donna – risposi ma in cuor mio mi sentivo davvero tanto triste, Lendon mi guardò e portò la sua mano leggermente sudata sulla mia guancia, mi accarezzò – prima di conoscere una bambina come te non sapevo cosa fosse amare veramente – sussurrò lasciando il sapore amaro delle sue labbra inumidite dalle lacrime sulle mie.

ANGOLO AUTRICE
Ok, sono in ritardo e lo so benissimo ma ultimamente non mi piace affatto come sto scrivendo.
Ci ho messo tanto ad aggiornare per questo, per farmi perdonare, vi lascio un dolce e timido sorriso di Lendon, deciso ancora  ahimè a non mostrare il suo volto. Sappiate che questo è il sorriso che Ciel ama tanto, amatelo anche voi. Un bacio e al prossimo capitolo.
PS: Mi raccomando ai commenti, ho tanta voglia di sapere cosa ne pensate visto che siamo quasi giunti alla fine.


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Capitolo 43
*** Capitolo XLIII ***


Era tanto che la pioggia non toccava il suolo della mia città, eppure quella mattina era stato il cattivo tempo a lanciarmi giù dal letto, per essere precisa un fulmine che aveva praticamente colorato la mia stanza di un colore non ben definito. Ed io avevo paura dei fulmini. Era ormai primavera, avevo aspettato tanto tempo che gli alberi di ciliegio germogliassero, eppure mi ero ritrovata quel tempaccio che mi lasciava tanta malinconia. Lendon si era preso una settimana per tornare nella sua città e trascorrere un po’ di tempo con i suoi in occasione del compleanno della madre, ci sentivamo di tanto in tanto per telefono la sera ma vederlo seduto alla cattedra era tutt’altra cosa. Erano, però, due giorni che stranamente non ricevevo notizie da lui, nessuna chiamata, nessun messaggio. Larisse era tornata all’attacco sferrando minacce sempre più nuove a cui io non davo assolutamente peso. Le prove di Romeo e Giulietta procedevano bene e tra qualche settimana ci sarebbe stato il festival scolastico, quello tanto atteso, quello che la preside desiderava fosse sempre perfetto.
Il festival scolastico si teneva ogni anno nella mia scuola verso Aprile. Consisteva in una sorta di Open Day dove gli studenti delle scuole medie, insieme ai genitori, vi partecipavano per visitare la scuola. Ogni classe organizzava un’attività diversa e quest’anno alla mia classe, grazie a Larisse, alla dolce e cara prof di letteratura, era toccata la rappresentazione teatrale.
Nella mia classe arieggiava la tensione e l’ansia più assoluta. I professori non facevano altro che parlare dell’esame di stato e del festival; entrambi sarebbero dovuti essere brillanti.
Ero con la testa poggiata sul banco e guardavo la pioggia picchiettare la finestra, in quel momento Selvy stata litigando, come al solito, con la nostra professoressa di cultura medico. Selvy era sempre stata una ragazza scontrosa e passava davvero pochissimo tempo con noi nonostante fosse una delle nostre migliori amiche. Lei preferiva starsene per conto suo a dormire oppure a leggere un libro giallo. La ricreazione la trascorreva spesso persa nella sua musica. Lei ascoltava solo Eminem e riusciva sempre a trovare un pretesto per litigare con coloro che insinuassero che quella del suo idolo non fosse buona musica. Nonostante ciò io le volevo molto bene perché in fondo aveva davvero un gran cuore.
Spesso ci riunivamo tutte e trascorrevamo le nottate assieme e lei era una delle poche che riusciva a stare sveglia insieme a me. Sbuffai e mi portai una mano sugli occhi, per quanto tempo ancora sarebbe dovuto andare avanti quello strazio? Tornai nuovamente a guardare fuori dalla finestra e mi soffermai qualche secondo su quelle nuvole imbrunite che sembravano prendere la forma del viso di Lendon. Mille pensieri invasero la mia mente; per quale motivo non si era fatto sentire?
Immediatamente il mio cellulare vibrò, lo presi velocemente dalla tasca e notai che era un suo messaggio. Sorrisi automaticamente e mi affrettai ad aprirlo per leggero..

Ciao piccola mia, scusami tanto se in questi due giorni sono sparito ma è successa una cosa gravissima. Ieri mia madre è sparita dalla clinica e sono due giorni che la cerchiamo senza sosta, giorno e notte. Lei è ancora capace di intendere e di volere, come ben sai, ma dimentica spesso quello che stava facendo e non riesce a ricordare. Scusami ancora, spero di ritrovarla presto, sono molto preoccupato. Ti amo.

In quel momento non riuscivo assolutamente a credere ai miei occhi. Leggevo e rileggevo quel messaggio e il tutto mi sembrava una cosa assurda.
Quando uscii sa scuola mi precipitai senza esitazioni a casa, mi cambiai la divisa e mi diressi verso la fermata del primo bus. Stranamente nella mia testa, dopo aver letto mille volte quel messaggio, apparve il meraviglioso locale in cui Lendon mi aprì il suo cuore. Forse la donna poteva essersi rifugiata lì in qualche modo e non erano ancora riuscita a trovarla. Presi l’ombrello e scappai via lasciando un messaggio a mia madre sul frigo.
Fortunatamente cessò di piovere molto presto e nel cielo spuntò nuovamente il sole, in quella brutta giornata mi era mancato tantissimo. Entrai nel bus e mi sedetti come al solito agli ultimi posti e con le gambe tremanti aspettai la mia prossima fermata.

Ero finalmente arrivata a destinazione ed immediatamente un sorriso spuntò sulle mie labbra. Sapevo bene che in quel momento c’era poco da ridere, ma non potevo fare a meno di reagire in quel modo. Entrai nel locale e tutto mi sembrava normale. Non era molto pieno per questo vi si respirava un’aria tranquilla. Mi stavo avvicinando al bancone quando una donna seduta alla mia sinistra richiamò la mia attenzione.
Era bella, bella davvero. Aveva dei lunghissimi capelli rossi lisci che le cadevano delicatamente sulle spalle. Le sue labbra erano rosee ed aveva gli occhi identici ad una persona; quelli non potevano altro che essere gli occhi di Lendon. Mi avvicinai a piccoli passi e mi sedetti delicatamente di fronte a lei. Guardava fuori dalla finestra ed aveva le mani giunte posate sul tavolo, il suo sguardo era talmente profondo e sembrava essere assorta nei suoi pensieri. In quel momento non riuscivo a capire cosa avrei dovuto fare esattamente, in fondo quella donna non mi conosceva e non sapevo nemmeno in che modo avrebbe potuto reagire nel vedermi lì, seduta di fronte a lei senza fiatare. Si girò verso di me e mi scrutò attentamente poi mi sorrise ed anche quel sorriso era molto familiare, non poteva che essere lei. A vederla in quel modo sembrava una persona assolutamente normale affetta da nessuna patologia in particolare. Era una semplice donna dallo sguardo malinconico perso nel vuoto. – Mi sarebbe piaciuto avere una figlia femmina – disse interrompendo i miei pensieri e guardandomi negli occhi, si avvicinò lentamente e mi accarezzò i capelli – sono canditi e profumati, sembrano seta – disse sorridendomi. Improvvisamente divenni rossa in viso, anche il suo modo di parlare era gentile così come il suo tocco ed il suo sorriso. Immediatamente pensai a Lendon, con una madre del genere lui non poteva che essere così. Mi limitavo a guardarla e a sorridere, non sapevo cosa dire esattamente ma poi mi decisi – come mai è qui? – chiesi avvicinandomi a lei, la donna mi guardò e abbassò lo sguardo immediatamente – non so perché sono qui – confessò – ma quella panchina – disse guardando fuori dalla finestra ed indicando la panchina dove io e Lendon ci sedemmo qualche mese prima – quella panchina mi ricorda qualcosa – poggiò la testa al vetro e dai suoi occhi cominciarono a cadere delle lacrime. Presi il cellulare e mi avvicinai alla cameriera dicendole di osservare la donna per qualche minuto, lei annuì sorridendomi ed io mi diressi fuori per chiamare Lendon ed avvisarlo.
Composi il suo numero e portai il cellulare all’orecchio, speravo tanto rispondesse. In un primo momento rispose la segreteria telefonica ma io non mi davo per vinta, così ricomposi – pronto? – rispose finalmente – Lendon – dissi dolcemente –oh ciao Ciel – rispose, sembrava essere davvero stanco – dormivi? – chiesi d’istinto – in realtà mi ero poggiato per un secondo al letto, sono appena tornato dai carabinieri per sporgere denuncia – confessò – Lendon, sono al locale della tua infanzia, tua madre è qui – dissi sorridendo, Lendon in un primo momento non rispose, se ne stava in silenzio forse molto probabilmente non se l’aspettava – dici sul serio Ciel? – chiese con voce spezzata ma sollevata nello stesso momento – si Lendon, quando mi hai inviato quel messaggio non ho potuto fare a meno di preoccuparmi ma qualcosa dentro me diceva che lei era qui, quindi ho preso il primo bus e l’ho trovata – dissi tutto d’un fiato. I miei occhi si erano stranamente riempiti di lacrime, ero grata al Signore perché ero riuscita a trovarla – oh Dio ti benedica piccola mia – disse Lendon sorridendo, ma era un sorriso pieno zeppo di lacrime ed io lo sentivo – aspettami sto arrivando – aggiunse e pose fine alla chiamata. Rientrai immediatamente nel locale e la donna stava sorseggiando un caffè, mi avvicinai alla cameriera e mi disse che glielo avevano offerto. Affermarono che era ferma seduta in quel punto da tutta la giornata ormai e che non aveva, nemmeno per un secondo, scostato gli occhi da quella panchina.
Passò un’ora e la donna non accennava una singola parola, sorrideva semplicemente.
Finalmente Lendon fece il suo ingresso nel locale e con lui suo fratello Oliver – mamma – esclamò Lendon palesemente preoccupato, la donna si girò di colpo e immediatamente piombò in un fiume di lacrime. Oliver le si avvicinò e la strinse nelle sue braccia mentre Lendon si avvicinò a me – grazie mille piccola – disse dandomi un leggero bacio sulla fronte – Lendon – lo guardai negli occhi – esci fuori e porta tua madre alla panchina, credo voglia passare del tempo lì con te – sorrisi e Lendon annuì – non vieni? – chiese voltandosi verso di me, sorrisi e mettendo le mani nelle tasche dei jeans feci no con la testa, in fondo non volevo rovinare quel momento che si sarebbe venuto a creare, un momento che sarebbe dovuto essere tutto loro. – Vai, io ti aspetto qui – dissi – nel frattempo ordino qualcosa, ho sete – aggiunsi e mi sedetti al tavolo, Lendon annuì e mi sorrise nuovamente – grazie – disse ancora sussurrando.
Ordinai immediatamente un frappé al cioccolato e mi sedetti allo stesso tavolo dell’ultima volta. Guardavo fuori e tutto ciò che riuscivo a vedere era una meravigliosa famiglia, peccato mancasse il padre altrimenti sarebbero stati al completo. Il frappé arrivò ben presto ed io me lo gustavo a piccoli sorsi. Poggiai il capo sulla mano sinistra e con l’altra mano creavo dei piccoli cerchietti nella mia gustosa bevanda. Pensavo all’argomento d’esame, quella famiglia stava facendo nascere in me una sorta di ispirazione. Pensai che l’argomento principale poteva essere l’amore, in tutte le sue forme ed ogni singola natura, in fondo era un argomento che in quel periodo mi aveva toccato davvero tanto. Pensavo a tutto l’amore che Lendon mi donava e a volte pensavo che magari non ero in grado di ricambiarlo, ma ogni volta che Lendon mi sorrideva e mi accarezzava tutti questi pensieri fuggivano via. Terminai di bere il mio frappé e mi diressi fuori, mi sedetti poco d’istante da loro e li osservavo, i loro visi erano distesi adesso, erano sereni e sulle loro bocche vi era un meraviglioso sorriso, un sorriso che fece sorridere anche me. Lendon mi chiamò e si avvicinò lentamente a me – vieni piccola – disse porgendomi la mano, io l’afferrai e timidamente mi avvicinai alla madre che intanto era seduta sulla panchina – mamma – cominciò Lendon – lei è la mia ragazza – concluse. In quel momento il cuore sobbalzò dal mio petto, guardai Lendon con gli occhi sgranati e non riuscivo a credere alle sue parole. La madre mi guardò poi mi prese per mano e mi tirò delicatamente verso di lei – sei la ragazza dai capelli di seta – disse sorridendo ed io mi sedetti accanto a lei – ho sempre desiderato una figlia come te, sarò felice di accoglierti nella mia famiglia – disse e sorrise nuovamente, alzai lo sguardo e vidi Oliver sorridere a sua volta. Oliver era davvero identico alla madre, Lendon invece aveva solo il suo taglio d’occhi ed il sorriso e questo mi faceva capire che molto probabilmente somigliasse al padre.

Si era ormai fatto tardi e cominciava a fare buio, Oliver mi ringraziò abbracciandomi svariate volte e poi salutando si diresse a casa insieme alla madre. La madre di Lendon mi aveva salutato cordialmente – spero di rivederti presto – mi aveva detto e quella frase aveva riempito il mio cuore di gioia e di speranze per il futuro, ‘ chissà cosa diranno un giorno mamma e papà ‘ pensavo.
Lendon mi fece accomodare nella sua auto e mi disse che mi avrebbe riaccompagnata a casa, non gli importava se qualcuno ci avesse visti,era disposto a tutto adesso ancor più di prima perché ero riuscita a ritrovare la madre. In realtà nemmeno io sapevo spiegarmi in quel momento cosa fosse scattato in me, semplicemente agii d’istinto.
Eravamo ormai fuori casa mia e Lendon spense la macchina – prima che tu vada volevo parlarti – mi disse. Si girò verso di me e accarezzò delicatamente il mio viso – la scuola sta quasi per giungere al termine piccola mia – disse con un tono talmente tanto dolce da farmi sciogliere completamente – dopo oggi ho capito che sei realmente la donna con cui voglio passare il resto della mia vita – aggiunse – promettimi che resterai al mio fianco – si avvicinò lentamente alle mie labbra e mi baciò. Con le mani si avvicinava sempre di più a me e mi circondò i fianchi tirandomi a sé, mi sentivo al settimo cielo, ero in paradiso, due semplici occhi, due semplici mani ed un sorriso mi facevano trasformare e mi trasportavano in un’altra dimensione.
Non avrei mai potuto lasciare Lendon, era l’amore della mia vita e volevo fosse mio per sempre – non ho intenzione di lasciarti mai Lendon – confessai a voce bassa – mi faccia sua per sempre, professore – sorrisi e mi fiondai sulle sue labbra.

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Capitolo 44
*** Capitolo XLIV ***


Ero circondata ancora una volta dallo stress che i professori ci stavano trasmettendo e le grida di Larisse in fondo al corridoio non aiutavano di certo. Eravamo in palestra e stavamo provando le ultime scene, a giorni ci sarebbe stato il festival e tutto sarebbe dovuto andare per il meglio. Gli addobbi erano quasi finiti ed anche le scenografie, quelli che mancavano erano i costumi, praticamente la cosa più importante. Stavamo tutti lavorando con impegno e la mia classe sembrava davvero unita, nessuno si sottraeva al proprio compito e nessuno si lamentava, eccetto una persona. Era da un po’ che Larisse borbottava qualcosa contro Lendon ma davvero non riuscivo a capire, sembrava parlasse una lingua aliena. Da lontano riuscivo solo a vedere un Lendon spazientito ed una Larisse che batteva a ripetizione i piedi a terra proprio come farebbe un bimbo piccolo che desidera un giocattolo nuovo. – Ma cosa ti costa? – urlò improvvisamente attirando a sé tutta l’attenzione dei presenti compresa la mia e quella di Joon, che intanto eravamo sul palco intenti a riprovare le ultime scene. – Smettila Larisse – vedevo Lendon bisbigliare tra i denti. Per un attimo mi fermai a guardarli, volevo davvero capirci qualcosa. Joon si avvicinò a me e mi prese la mano facendomi sobbalzare – non badare a loro – mi sussurrò e mi trascinò via quando un forte rumore richiamò la mia attenzione. La preside aveva fatto il suo ingresso in palestra, aveva aperto la porta con così tanta forza da far tremare quasi le pareti dell’intero stabile. Entrò con la sua solita aria altezzosa e la sigaretta tra le mani. Sulle labbra un acceso rossetto fucsia ed i suoi soliti capelli finti raccolti in quei cerchietti tutti sbirluccicosi che solo a guardarli sentivi dolori agli occhi. Larisse non curandosi della presenza della preside continuava ad implorare Lendon – cosa succede qui? – chiese la preside avvicinandosi, Larisse si catapultò immediatamente sotto il braccio di Lendon creando un leggero disagio sul suo viso – signora preside è qui – disse quasi squittendo con quel suo sorriso finto – qui gatta ci cova – pensai ad alta voce. Joon mi guardò sorpreso ma poi ritornò a guardare Larisse. Mi voltai verso di lui e nei suoi occhi limpidi vi ci leggevo qualcosa, un qualcosa che si avvicinava tantissimo alla mancanza di affetto. Se tutto quello che mi aveva raccontato era vero Larisse era la sua unica famiglia, eppure Joon era così triste e solo, ovviamente mascherava il tutto col suo meraviglioso sorriso eppure io notavo quanto stesse male. In quel momento sentii qualcosa muoversi nel mio stomaco, cominciai a provare della tristezza mista a della rabbia. Larisse avrebbe potuto dare molto a Joon, era comunque suo fratello minore anche se non erano legati dal sangue, eppure lei era sempre e solo concentrata su Lendon. Joon disse che Larisse amava Lendon, ma se fosse stato amore davvero doveva essere per forza qualcosa di morboso perché lei ne era ossessionata, lo era stato anche in passato probabilmente e lo era tutt’ora. Mi avvicinai a Joon e gli misi una mano sulla spalla, lui si voltò a guardarmi ed io gli sorrisi – perché sorridi? – chiese ricambiando il mio sorriso con il suo meraviglioso, era davvero un ragazzo bellissimo, forse più bello del mio migliore amico Key – Joon, voglio davvero esserti amica – confessai, Joon prese la mia mano e la strinse forte nella sua – lo voglio anch’io – disse sorridendo – allora diamoci dentro con questa rappresentazione, okei? – esordii felice, lui mi guardò e sorrise ancora lanciandomi uno sguardo complice. Intanto la preside stava parlando con i professori – ma è grandioso – urlò improvvisamente Larisse lanciandosi al collo di Lendon, per quella donna ogni scusa era buona per avvinghiarsi a lui, Lendon la scostò e si ricompose, sul suo viso leggevo un’espressione infastidita. La preside si avvicinò a noi alunni e, come al solito, ci disse di fare del nostro meglio poi sculettando andò via. Lendon prese il block-notes dalla sua borsa e si avvicinò al palco per prendere appunti, Larisse si avvicinò lentamente e gli diede una pacca sulla spalla – hai rotto Larisse – disse Lendon quasi urlando. L’intera classe era rimasta a bocca aperta, nessuno compresa io avevamo mai visto il professore così incavolato. Aveva la fronte corrugata ed un’espressione di fuoco – lo sapevi benissimo che non lo facevo più in pubblico, la prossima volta che ti vengono in mente queste brillanti idee avvisami, okei? – lanciò il block-notes sul tavolo e spazientito si allontanò – ma Lendon – disse correndogli in contro, Lendon si voltò di scatto – e non lanciarti più addosso, sai che sono fidanzato – esordì e lasciò la classe. Larisse rimase immobile per qualche secondo, sui volti dei miei compagni potevo leggere la meraviglia, Victoria invece era rimasta di sasso e con le decorazioni tra le mani imprecava chiedendosi chi era la fortunata. Le mie amiche si voltarono a guardarmi io, invece, avevo il cuore che stava facendo passi di danza nel mio petto. Joon mi guardò e mi sorrise ma il suo sorriso era triste. Larisse si avvicinò al palco – continuiamo – disse incrociando le braccia sotto il seno senza guardarmi, si sedette davanti a noi e per tutta la durata delle prove non fiatò.

Le prove erano ormai finite ed io ero stanchissima, presi il cellulare tra le mani ma di Lendon nessun messaggio, sospirai ripensando a ciò che era accaduto e davvero volevo sapere cosa fosse successo. Stavo ritornando in classe quando sotto lo stipite della porta intravidi Tiffany che scrutava attentamente la mia aula – Tiffany – feci per richiamare la sua attenzione – Ciel – gridò lei ed immediatamente corse da me per lanciarsi tra le mie braccia. Tiffany era molto più alta di me per questo mi fece barcollare leggermente, la guardai e vidi il suo viso bagnato dalle lacrime – cosa è successo? – chiesi preoccupata – Oh Ciel – continuò lei singhiozzando – sono felicissima – in quel momento la preoccupazione scivolò via immediatamente, capii che quelle non erano lacrime tristi bensì lacrime di gioia. Allontanai Tiffany dal mio petto e le spostai leggermente quei suoi bellissimi capelli dal viso, le asciugai una lacrima – cos’è successo? – chiesi nuovamente  sorridendo – ecco –  sorrideva ma le lacrime continuavano a pulsarle via dagli occhi – Tom ha organizzato una gita di una settimana e mi ci ha invitata – disse fiondandosi nuovamente tra le mie braccia.
La notizia in qualche modo fece rallegrare il mio cuore, finalmente anche lei avrebbe avuto del tempo per stare insieme al suo amore e se lo meritava, vivevano lontani e si vedevano davvero troppo poco – è una cosa bellissima – le confessai – sono contenta per te – in quel momento ci stringemmo in un meraviglioso abbraccio, per un’intera settimana mi sarebbe mancata, era l’unica che si lanciava continuamente tra le mie braccia e a volte dell’affetto improvviso faceva bene. – Dimmi che mi aiuterai a fare le valigie – disse quasi implorando – mi piacerebbe Tiffany, ma sono davvero incasinata lo sai – dissi la verità, assolutamente non sapevo come fare – ci vediamo verso il tardo pomeriggio, dimmi che ci sarai Ciel – implorò ancora una volta ed io non potevo non accettare – va bene – sorrisi e lei fece un salto di gioia – questo è il mio indirizzo – disse porgendomi un pezzettino di carta – ti aspetto Ciel – mi diede un bacio e scappò via.
Tornai in classe e le mie amiche erano già tutte posizionate ai loro posti – finalmente sei arrivata – disse Ines – dov’eri? – chiese curiosa – vi avevo parlato di Tiffany e del fatto che vivesse lontano dal suo ragazzo, vero? – chiesi alle mie amiche che mi guardarono ed annuirono – beh lui ha organizzato una settimana di vacanza e l’ha invitata, era eccitatissima e mi ha chiesto se potevo aiutarla con la valigia – confessai e sorrisi leggermente – ah ecco – dissero le mie amiche all’unisono, le guardai e sui loro volti leggevo una strana espressione, sorrisi – non sarete mica gelose? – dissi e non potei fare a meno di trasformare il mio sorriso in una fragorosa risata – ma cosa dici? – urlarono all’unisono, feci loro una linguaccia e mi ricomposi. – Ciel sappiamo cosa voleva la professoressa Larisse dal professore – disse d’un tratto Sophie, mi voltai e sgranai gli occhi – come fate a saperlo? – chiesi incredula, Sully si avvicinò a me – stavo disegnando le ultime scenografie quando la professoressa ha cominciato – confessò – in realtà lei vuole che il professore suoni il pianoforte all’apertura della nostra rappresentazione – disse. Io e le mie amiche ci guardammo per qualche minuto – cosa? – dissi sbalordita – non avevamo mai visto il professore così prima d’ora Ciel e credo manco tu che sei la sua ragazza – disse Sophie, in quel momento molto probabilmente non si era resa conto di aver ‘’urlato’’ un po’ troppo – chi è la ragazza di chi? – si avvicinò Victoria silenziosamente, quella vipera aveva ascoltato la nostra conversazione. Mi voltai verso di lei ed in quel momento avrei voluto solo scappare, Sophie si portò le mani sulla bocca mentre Selvy e Jasmine le picchiettavano sulla schiena – ragazza? – chiesi cercando di spostare quel fastidioso discorso e portarlo altrove – non fare la finta tonta mia cara Ciel – disse lei – ho sempre saputo che il professore avesse un occhio di riguardo nei tuoi confronti – si sedette sul mio banco con fare prepotente – dimmi – si avvicinò pericolosamente a me – quale parte del tuo corpo hai mostrato per far si che ti desse tutte quelle attenzioni? – mi alzai di colpo facendola indietreggiare, questo era davvero troppo non avevo bisogna anche di una Larisse in miniatura, c’era già quella originale a rompere le scatole – hai sbagliato palazzo – dissi e mi precipitai fuori dalla classe.

Le lezioni erano terminate, salutai le mie amiche e presi dalla borsa il pezzo di carta che mi aveva dato Tiffany, lo lessi e capii immediatamente dove abitava e fortunatamente ci sarei arrivata anche a piedi quindi non avrei dovuto prendere il bus. Presi il cellulare tra le mani e vi era un messaggio di Lendon in cui mi chiedeva scusa per il comportamento assunto in palestra e voleva parlarmi, gli risposi velocemente che non doveva preoccuparsi e che ci saremmo sentiti in serata. Riposi il cellulare nella borsa e mi incamminai lentamente. Mi guardavo intorno ed intravidi gli alberi di ciliegio, erano bellissimi ed avevano un fascino meraviglioso, ogni volta mi ci perdevo a guardarli. Sorridevo ma quando svoltai l’angolo il sorriso scomparve immediatamente dalle mie labbra; cinque ragazze armate di mazze e quant’altro mi stavano aspettando.

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Capitolo 45
*** Capitolo XLV ***


Spaventata indietreggiai lentamente urtando contro qualcuno, in quel preciso istante provai una paura irrefrenabile ma dovetti voltarmi. Alle mie spalle vi era Larisse e nel mio cuore si aprì un piccolo spiraglio di luce, pensavo avrebbe potuto aiutarmi ma mi sbagliavo. Immediatamente si lanciò su di me afferrandomi per un braccio e lanciandomi contro una parete facendomi  battere violentemente la schiena procurandomi un dolore indescrivibile. Prese il mio viso tra le mani, teneva il mio mento stretto tra le dita e mi obbligava a guardarla in quegli occhi che bruciavano di rabbia. I miei immediatamente si riempirono di lacrime mentre il mio cuore quasi schizzava via dal petto. Le ragazze si avvicinarono a me, sui loro volti vi erano disegnati dei ghigni e con le mazze si colpivano lentamente le mani producendo dei piccoli rumori. In me che non si dica ero circondata. Indossavano la mia stessa divisa ma i loro volti mi erano del tutto nuovi. Si avvicinò a me la ragazza più alta, Larisse si spostò e quest’ultima con un calcio colpì violentemente il mio stomaco facendomi cadere in avanti, il colpo era stato talmente forte che sentivo le forze abbandonare lentamente il mio corpo. Le lacrime cominciarono a scivolare via senza sosta ma nonostante ciò non riuscivo a parlare a causa del forte dolore. Coi capelli mi tirarono su appoggiandomi nuovamente al muro, Larisse si avvicinò – questo è solo un piccolo assaggio di quello che sta per accaderti – mi intimò – p-professoressa perché mi fa questo? – riuscii a balbettare sottovoce. Sapevo quanto fosse crudele Larisse, sapevo che avrebbe fatto di tutto pur di vedermi lontana da Lendon, ma davvero non immaginavo che sarebbe arrivata a compiere un’azione del genere, mi stavano picchiando e da lì a poco mi avrebbero resa davvero un vegetale se avessero continuato in quel modo. Non riuscivo a muovermi, ero sola e non riuscivo a muovermi e non avrei manco potuto urlare o mi avrebbero uccisa. Le lacrime intanto continuavano a rigare il mio povero viso ed io continuavo a tremare, ero a terra stremata da un solo colpo, quel colpo allo stomaco che aveva fatto più male di qualsiasi pugnalata per quanto era stato violento. – Professoressa Larisse? Smettila di sembrare così gentile, sei solo una ragazzina viziata che ha portato via l’amore della mia vita – disse lanciandomi un sonoro schiaffo – e smettila di piangere, non commuovi nessuno qui – continuò – ti avverto se per il festival non avrai lasciato Lendon giuro che te la farò pagare cara – le sue parole erano peggio di spine che trafiggono il cuore, un’altra ragazza si avvicinò colpendo con la mazza le mie gambe, lanciai un urlo forte che non potei evitare. Mi accasciai a terra e cominciai a piangere, Larisse si avvicinò a me – ti meriti di soffrire proprio come ho sofferto io – alzò la mazza quando una voce la fece smettere immediatamente – Larisse – quella voce mi era familiare, ero ancora distesa a terra ed ero quasi priva di sensi, sul mio corpo vi erano lividi di ogni genere, rossori e le mie gambe stavano sanguinando, alzai lo sguardo ed intravidi Joon, il suo viso era incredulo e preoccupato allo stesso tempo – cosa fai Larisse? – riuscii a percepire benissimo il suo tono duro contro Larisse che intanto era tornata sulle difese – non intrometterti Joon – disse seccata lanciando la mazza per aria – smettila immediatamente, cosa hai combinato a Ciel – Joon corse verso di me e mi si accovacciò accanto – Ciel – la sua voce era quasi spezzata dal pianto – non ti perdonerò mai Larisse – disse avvicinandosi pericolosamente a lei, le ragazze andarono via scocciate e lasciarono noi tre soli, lì in quell’angolo sperduto sotto la luce del tramonto.

Ero tra le braccia di Joon ed il suo profumo era davvero buono, era accogliente e familiare, aprii lentamente gli occhi e mi ritrovai in un parco distesa su una panchina mentre lui era intento ad usare il cellulare – Joon, che fai? – dissi alzandomi – Ciel – urlò stringendomi forte tra le sue braccia – perdonami volevo portarti immediatamente in ospedale ma non so come comportarmi visto che è stata mia sorella a ridurti così – disse tutto d’un fiato e nei suoi occhi riuscivo a vedere quanto fosse mortificato per l’accaduto – figurati Joon, sto bene – dissi ma in realtà provavo un dolore alle gambe fortissimo, mi spostai leggermente la divisa ed intravidi i grossi lividi che si erano venuti a creare – vorrei avvisare Lendon – disse Joon guardando quei grossi lividi – non farlo Joon – dissi portando le mie mani sulle sue per fermarlo, Joon guardò le nostre mani unite e lo vidi arrossire, molte volte avevamo avuto un contatto di quel genere, ci eravamo addirittura baciati per Romeo e Giulietta, eppure era la prima volta che lo vedevo reagire così – non voglio che Lendon sappia nulla – ritirai immediatamente le mani ed abbassai lo sguardo – perché? – chiese lui quasi sottovoce, alzai lo sguardo per  fissarlo negli occhi – Lendon con tua sorella è sempre molto tranquillo, ma stamattina hai visto come ha reagito solo perché Larisse aveva organizzato qualcosa alle sue spalle, non oso immaginare cosa succederebbe se tu gli dicessi questo adesso – confessai e vidi Joon stringere i pugni tra le mani – Larisse ha sbagliato e deve pagarla, non può continuare così anche se è mia sorella, non può farlo – portò le mani tra i capelli e stringeva gli occhi, sembrava davvero tanto disperato – se vuoi puoi accompagnarmi da Tiffany – proposi, Joon mi guardò ed annuì – ce la fai a camminare? – chiese dolcemente, sorrisi e mi poggiai sulla sua spalla mentre lui mi aiutava a tenermi su, era stato davvero gentile ad essere corso in mio aiuto, se non fosse arrivato in quel momento non immagino cosa sarebbe successo, magari sarei finita davvero in ospedale e le ferite riportate sarebbero state certamente molto più gravi.
Eravamo diretti verso casa di Tiffany e nessuno dei due accennava una sola parola, io ero troppo immersa nei miei pensieri e molto probabilmente anche lui visto che il suo sguardo era perso nel vuoto. Pensavo che Tiffany forse mi avrebbe aiutata e magari avrebbe mascherato quelle mie ferite. Cioè che era accaduto doveva rimanere un segreto, nessuno sarebbe dovuto venire a conoscenza di niente, i miei genitori soprattutto, si sarebbero preoccupati troppo. Arrivati fuori casa di Tiffany Joon suonò il campanello, dall’interno si udivano i passi di qualcuno che si avvicinava correndo alla porta, sorrisi, era il disagio in persona. Tiffany aprì la porta sorridendo ma quando mi vide in quello stato il suo sorriso si spense immediatamente – Ciel – disse sgranando gli occhi – cosa ti è successo? – lasciai immediatamente la spalla di Joon e con un sorriso lo ringraziai, mi diressi verso Tiffany e mi buttai tra le sue braccia, aspettai che Joon andasse via per lanciarmi in un fiume di lacrime. Tiffany mi scortò in casa e mi fece sdraiare sul divano, mi preparò una camomilla e con la cassetta del pronto soccorso curò delicatamente le mie ferite. Dopo quelle amorevoli cure mi sentivo decisamente meglio ma le lacrime continuavano a cadere interrottamente, le avevo soffocate dentro di me per troppo tempo e la paura che avevo provato era stata davvero tanta.
– Perdonami Tiffany -  dissi asciugando le lacrime, Tiffany scosse la testa e si avvicinò a me abbracciandomi – questa notte i miei non tornano, che ne dici di restare qui? Mi fai compagnia – propose dolcemente ed io accettai – ora però voglio sapere tutto – si ricompose ed il suo tono divenne serio immediatamente, lanciai uno sguardo nella mia camomilla ancora fumante e le raccontai tutto.

Mi ritrovavo nella vasca da bagno di Tiffany eppure mi sentivo a casa, l’atmosfera intorno a me era davvero accogliente. Avevo parlato al telefono con mia madre per dirle che non rincasavo e, fortunatamente, ero stata abbastanza brava a mascherare il mio umore. Dopo il bagno rilassante mi sarei sentita con Lendon che intanto mi aveva già lasciato un messaggio, eppure io mi sentivo davvero nervosa, Lendon mi conosceva troppo bene e sicuramente si sarebbe accorto di tutto. Intanto Tiffany aveva messo a posto anche la mia divisa lavandola e stirandola e mi aveva prestato un suo pigiama con gli orsacchiotti che mi stava un po’ largo. Lei era davvero alta mentre io, per la mia età, sembravo davvero tanto piccola.
Mi infilai sotto le coperte insieme a lei e chiacchierando del più e del meno ci divertivamo a mangiare marshmellows e a fare a gara chi riusciva ad infilarne di più in bocca ma ecco che la chiamata di Lendon mi riportò coi piedi a terra. Guardai il cellulare sul comodino accanto a me, Tiffany capì e con un cenno della testa mi diede l’ok lasciandomi sola – pronto? – risposi cercando di sembrare il più normale possibile – piccola mia – bisbigliò lui. Ecco che la sua voce fece nascere in me una strana reazione, gli occhi mi bruciavano ed immediatamente si riempirono di lacrime – Lendon – dissi con voce spezzata, non avrei voluto, ma cavolo, il mio inconscio stava facendo tutto da sé – cosa è successo? – il suo tono di voce era cambiato, un attimo prima era stato gentilissimo e adesso sembrava preoccupato, tirai su col naso ed asciugai la mia lacrima – nulla sono preoccupata per l’esame che si avvicina – cercai di buttare giù la prima bugia che mi passava per la testa e speravo davvero fosse credibile – sei sicura? – ecco che capii che non lo era – si Lendon – risposi cercando di abbozzare il più possibile un sorriso, lo sentii sospirare, i suoi sospiri al telefono erano meravigliosi, mi facevano innamorare di lui ancora di più – quando la smetterai di chiamarmi così? – chiese sorridendo – così come? – domandai non riuscendo a capire e per un secondo mi sentii meglio, sentirlo mi faceva stare meglio – Lendon – rispose lui, una risposa che mi fece ridere – ma è il tuo nome – dissi continuando a ridere contagiando ben presto anche lui, l’uomo dalla risata più bella che avessi mai sentito – io ti chiamo piccola – disse – non credo che piccola sia il tuo nome – esordì sorridendo, in quel momento il mio viso si colorò di rosso fuoco, in realtà avrei tanto voluto chiamarlo amore, amore mio e quant’altro ma mi vergognavo da morire, lo chiamavo sempre Lendon e per scherzare, invece, ero solita chiamarlo professore, ma amore, non credo di averlo mai chiamato così. Sorrisi sospirando leggermente – amore mio – dissi sottovoce ed il mio cuore schizzò via dal petto in un lampo, l’unica fortuna che ebbi era quella di stare al telefono, almeno non avrebbe visto la mia espressione – ho bisogno di stringerti – sussurrò, primo brivido – ho bisogno di accarezzarti e baciarti – secondo brivido – voglio fare l’amore con te – ultimo brivido che pose definitivamente fine alla mia vita. La sua voce era così calda e penetrante ed il telefono amplificava il tutto, quando poi sussurrava era un qualcosa di indescrivibile – voglio essere tua per sempre amore – ebbi il coraggio di dirgli ed erosicura di aver fatto anch’io schizzare il suo cuore via perché per un attimo lo sentii solo sorridere – buonanotte piccola mia e scusami ancora per oggi, avevo promesso di parlarti di quanto accaduto ma il nostro discorso si è spostato su altro – disse sussurrando – non preoccuparti – rassicurai – e quando parleremo mi dirai cosa è successo perché io la storia dell’esame non la bevo, non da un’alunna eccellente come te – disse ed io constatai quanto bene mi conoscesse, aveva capito tutto eppure non mi aveva fatto altre domande per non infastidirmi – grazie mille – mi uscì dal cuore – buonanotte – sussurrai lasciando un bacio sul cellulare.
Posai il cellulare sul comodino e tossendo feci capire a Tiffany di rientrare, sicuramente era stata tutto il tempo sulla porta ad origliare. La vidi piombare in camera e sorrisi, si lanciò sul lettone facendomi sobbalzare e col cuscino mi colpì la testa – vuoi la guerra? – intimai, presi il mio cuscino e mi lanciai addosso a lei, andammo avanti in questo modo per tutta la serata e quando il sonno prese il sopravvento ci addormentammo dolcemente tenendoci per mano.

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Capitolo 46
*** Capitolo XLVI ***


-          Sicura di stare bene? – la voce di mia madre alle mie spalle fece sobbalzare una povera me immersa nei suoi pensieri, finii di allacciare le scarpe e sorridendo mi voltai verso di lei – mamma sto benissimo – ma il suo sguardo preoccupato lasciava intendere tantissime cose – Ciel, dopo quello che è successo ho paura di lasciarti uscire da sola – disse unendo le braccia sotto al seno, sospirai – mamma quante volte devo dirti che sono caduta? Nessuno mi ha pestata, credimi – cercai in tutti i modi di far credere quella bugia a mia madre ottenendo,però, sempre scarsi risultati– non la bevo – disse e mi si avvicinò dando una sistemata ai miei capelli – non sono più una bambina – canzonai ma sol sorriso sulle labbra, d’altronde quella era mia madre, lei era fatta così, sarei stata eternamente la sua bambina nonostante stessi per compiere diciannove anni. Presi la borsa col cellulare, portafogli e quant’altro e a passo svelto mi recai fuori casa – allora vado – dissi voltandomi un’ultima volta. Avrei dovuto prendere il bus e dirigermi in centro per comprare gli ultimi festoni per il festival e ritirare i costumi che Larisse aveva fittato per noi. Erano trascorsi tre giorni, ben tre giorni dall’aggressione e lei aveva finto come se nulla fosse successo. Lo stesso avevo fatto anch’io, avevo raccontato a tutti di essere caduta, compreso Lendon ed i miei genitori ma entrambi non avevano creduto alle mie parole affermando che qualcosa bolliva in pentola e che ben presto l’avrebbero scoperto.
Arrivata in centro andai immediatamente in contro a Sophie, Jasmine, Ines, Savannah, Sully e Selvy eravamo presenti davvero tutte e la cosa mi rendeva davvero felice. Tiffany era ormai partita e sarebbe tornata, purtroppo, alla fine del festival, solo io, lei e Joon conoscevamo la realtà ed entrambi mi avevano promesso di mantenere il segreto.
Prima di iniziare le compere girammo per il centro, siccome era la stagione dei ciliegi in fiore vi erano davvero tantissime bancarelle e per i parchi si intravedevano tantissime coppie innamorate. Savannah, come al solito, fantasticava su lei e Jeremy ed ultimamente lo faceva davvero spesso poiché aveva rotto con Victoria. Segretamente anche io immaginavo me e Lendon accucciolati sotto ad un albero a coccolarci, mi sarebbe davvero piaciuto stare lì alla luce del sole con lui, ma per ora era solo davvero un sogno. Ines si avvicinò notando il mio sguardo malinconico – tutto okei? – disse con tono davvero dolce e comprensivo, sorrisi guardandola ed annuii con la testa – riprendiamo il giro? – propose al gruppo e ci dirigemmo verso il negozio indicatoci da Larisse.
Il negozio era davvero meraviglioso, vendeva e fittava vestiti d’epoca di vario tipo e vi si respirava davvero un’aria tranquilla. Mi guardai intorno e la mia attenzione fu attirata da un bracciale nero da cui pendevano diversi ciondoli portafortuna, mi avvicinai e lo guardai attentamente, era maschile. Chiusi gli occhi ed immediatamente lo vidi al polso di Lendon, di sicuro gli sarebbe stato benissimo – vuole acquistare questo? – una donnina alle mie spalle si stava avvicinando lentamente – come scusi? – dissi sobbalzando leggermente, lei sorrise – glielo regalo – affermò. Sgranai gli occhi non appena udii le parole di quella donna – ma no signora, stavo solo dando un’occhiata non deve – dissi riponendo il bracciale al suo posto, la donna si avvicinò allo scaffale e prese il bracciale tra le mani – dallo a quella persona speciale – sorrise e si allontanò lasciandomi completamente sorpresa e senza parole.

Il vestito di Giulietta che Larisse aveva scelto per me non era granché ma d’altronde c’era da aspettarselo – non vedo l’ora che finisca la scuola solo per dirle quanto fosse stronza – urlò Savannah infuriata col mio vestito tra le mani – giusto Ciel, io non so come fai a restare così calma davanti a quella donna – aggiunse Sophie – è una vipera – concluse Jasmine.  In realtà io mi comportavo in quel modo per il semplice fatto che non volevo minimamente e lontanamente somigliare a lei, se mi fossi agitata o avrei reagito allo stesso modo sarei diventata una mini Larisse e questo non mi piaceva, avrei sicuramente deluso Lendon.
Prendemmo il primo bus e ci dirigemmo a scuola per le prove, il giorno dopo si sarebbe tenuto il festival e avremmo dovuto provare tantissimo. Sbuffai all’idea di dover stare tutto il pomeriggio con la professoressa Larisse, non provavo rancore nei suoi confronti, avevo smesso. Adesso mi faceva solo pena.

- Sono stanchissima ragazze – disse Sophie poggiandosi al cancello d’entrata della scuola – ma se abbiamo viaggiato in bus – commentò Selvy – lo so ma non fa bene alla pelle tutto questo movimento – disse chiudendo gli occhi e colpendo leggermente le guance con le mani – guarda che è il contrario – sorrisi dandole un colpo sul sedere, tutte ci immergemmo in sonore risate  che vennero interrotte dall’arrivo di qualcuno. Alle nostre spalle udimmo dei passi, ci voltammo ed il mio bel professore si stava avvicinando in tutto il suo splendore, il mio cuore cominciò a battere forte – salve ragazze – sorrise salutandoci – salve professore – risposero in coro, un coro a cui mi aggiunsi anch’io, Lendon sorrise mostrando le sue fossette, arrossii – posso rubarvi Ciel ragazze? – propose e prima di ascoltare la risposta mi prese per mano, sui volti delle mie amiche dei sorrisi imbarazzati – faccia pure – rispose Savannah, Lendon sorrise nuovamente – andate pure in palestra, la professoressa Larisse vi aspetta lì – strizzò l’occhio e mi trascinò via con lui.
- Dove mi porti? – dissi sorridendo mentre lui continuava a stringere forte la mia mano, quanto mi era mancato quel tocco, ultimamente eravamo stati assieme davvero poco e mi mancava, nonostante la presa fosse davvero forte il suo tocco era sempre gentile e delicato, proprio come lui. – Devo parlarti – rispose rivolgendosi a me, si guardò intorno e piano mi spinse nell’aula musica chiudendo la porta alle sue spalle. – Ieri è venuta a trovarmi Larisse – confessò – come al solito piangeva e diceva che le dispiaceva di aver proposto alla preside la mia presentazione al piano prima della rappresentazione – si strinse nelle spalle e con le mani in tasca si diresse al piano sedendosi lentamente sullo sgabello, tolse le mani dalle tasche e le tese verso di me – vieni qui – disse facendomi segno di andare verso di lui, lentamente mi avvicinai e con le sue braccia mi avvolse tutta facendomi sedere sulle sue ginocchia, lasciò un piccolo bacio sulla mia fronte – sai perché quel giorno in palestra reagii in quel modo? – chiese io lo guardai e muovendo leggermente la testa dissi di no, Lendon sospirò – non suono il piano in pubblico dalla morte di Eles – confessò – quel giorno io mi stavo esibendo ad un concerto di beneficenza. Il parroco mi chiedeva spesso di suonare qualcosa per raccogliere fondi ed io accettavo sempre, non mi tiravo mai indietro ed Eles appoggiava questa cosa. Come ben sai è morta in un incidente d’auto, ho sempre pensato che la colpa fu mia perché si stava dirigendo da me per assistere alla mia esibizione. Non sapevo si fosse vista col suo ex – prese le mie mani e le strinse forte alle sue, spostò i capelli dalla mia spalla e vi ci poggiò il viso, stava tremando. Lendon era il mio professore, era un uomo adulto eppure quando parlava di Eles diventava un bambino, aveva sofferto davvero tantissimo per la sua morte e molto probabilmente si era sempre dato tantissime colpe e scoprire la verità solo dopo doveva essere stato davvero difficile. Mi avvicinai lentamente alla sua bocca e vi ci lasciai dolcemente il mio sapore, volevo fargli capire con quel gesto che io ci sarei stata.
- Promisi a me stesso che non avrei più suonato in pubblico, che non avrei più toccato un piano – confessò ed immediatamente tornò alla mia mente quella sua stanza bianca piena di finestre dove al centro vi era il suo pianoforte – eppure – continuò guardandomi negli occhi – quando trovai il tuo mp3 e vidi quella canzone la prima cosa che il mio cuore volle fare era trovare lo spartito per impararla. Tu mi hai cambiato Ciel, mi hai cambiato e salvato – disse fiondandosi immediatamente sulle mie labbra. Mi strinse forte a sé e mi baciò, lentamente, dolcemente. Le nostre bocche unite erano sempre un qualcosa di meraviglioso, si staccò da me e mi guardò nuovamente negli occhi – è per questo che ho deciso di suonare per te domani, ho intenzione di presentare Loving you a thousand times – sorrise ed i suoi occhi si illuminarono. Guardò l’orologio sul suo polso – è tardi vogliamo andare? – propose sorridendo, un sorriso che ricambiai. Ci alzammo e ci dirigemmo verso la porta – ah Lendon – lo fermai, Lendon si voltò – dimmi – mi avvicinai lentamente e presi il suo braccio destro – questo portafortuna è per te – dissi mettendogli il bracciale che quella gentile donna mi aveva regalato.

ANGOLO AUTRICE
Mi chiedevo che aspetto potesse avere questo bellissimo bracciale che quella donnina gentile aveva regalato a Ciel - dallo a quella persona speciale - aveva detto e Ciel l'aveva ascoltata, aveva dato il suo bracciale a Lendon. Ed ecco qui una bella foto di una mano meravigliosa. Quante volte Ciel ci ha parlato del suo amore verso le mani di Lendon che sfiorano il piano? Beh, oggi possiamo ammirarle anche noi ragazze mie. Lendon che suona Loving you a thousand times indossando il bracciale di Ciel.
Grazie a chi legge e recensisce, siete speciali.

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Capitolo 47
*** Capitolo XLVII ***


Il giorno tanto atteso era arrivato. Erano le 10:00 del mattino ed eravamo tutti riuniti nel salone delle conferenze dove la preside avrebbe tenuto il suo discorso di apertura del festival. Tutti noi studenti eravamo seduti nelle prime file con le nostre divise, dietro di noi gli studenti delle medie coi propri genitori. Nel pomeriggio sarebbe venuta anche la mia famiglia per assistere alla rappresentazione di Romeo e Giulietta, cosa che mi faceva sentire ancora più nervosa. La rappresentazione sarebbe cominciata alle 15:00 con la performance al piano di Lendon, ed io non potevo minimamente immaginare che in quel preciso istante la mia vita, la nostra vita sarebbe completamente cambiata.
Nel cortile della scuola vi erano allestiti vari stand che le altre classi avevano preparato, mentre in ogni aula vi era un laboratorio diverso tra cui quello del potenziamate capitanato da Lendon.
Sul palco della sala conferenze vi era la preside al microfono e alle se spalle tutti i professori vestiti in modo davvero elegante, tutto ciò era stato preparato per dimostrare alle persone esterne la rigidità e la professionalità della nostra scuola ma soprattutto la serietà, cosa che Larisse non conosceva affatto poiché si era conciata in un modo davvero orribile.
La riunione terminò ben presto e gli stand furono aperti, la mia classe aveva fortunatamente solo la rappresentazione quindi avremmo potuto trascorrere del tempo in giro per la scuola ad ammirare il lavoro degli altri. Dentro di me percepivo qualcosa di strano, come se qualcosa di brutto stesse per accadere e non mi sbagliavo. – Ehi bella addormentata – la voce di Key alle mie spalle richiamò la mia attenzione – Key – dissi quasi urlando prima di fiondarmi tra le sue braccia, alle sue spalle però non avevo notato la povera Sully che era diventata praticamente rossa dalla vergogna, lasciai immediatamente il collo di Key e mortificata mi scusai sorridendo – ma cosa ci fai qui? – chiesi sorpresa, era meraviglioso averlo di nuovo accanto, volevo stringerlo ancora ma avrei dovuto contenermi per Sully – sono venuto per assistere alla rappresentazione – disse sorridendo prendendo tra le sue mani quelle di Sully – cosa? – sbottai io sgranando gli occhi – sei serio? – chiesi ridendo, Key rise immediatamente dopo di me e Sully ci seguì a ruota – no, sono tornato definitivamente, il contratto di mio padre è scaduto – disse e quella per me fu la notizia più bella di tutte, Key si avvicinò a mi prese in braccio facendomi ruotare mentre io urlando alzavo le mani al cielo – è una cosa meravigliosa Key – dissi e lo abbracciai, guardai Sully e sottovoce dissi – scusa – ma lei sorridendo annuì, comprendeva il nostro rapporto, sapeva che Key per me era solo un fratello, era sempre stato così anche quando mi confessò i suoi sentimenti. – Non vedo l’ora di vederti nei panni di Giulietta – disse poggiandomi a terra – il vestito è bruttissimo – corrugai la fronte arricciando il naso – dalla tua espressione presumo sia davvero così – esordì ridendo a crepapelle, risi anch’io perdendomi nei suoi meravigliosi occhi azzurri, occhi che mi erano tanto mancati.
Lasciai i due piccioncini soli e mi recai alla ricerca delle mie amiche sperdute. Da lontano vidi Ines ma era mano nella mano con Jonny e di certo non l’avrei disturbata, stavano girando per i vari stand manco fossero ad una festa di inizio Luglio, di quelle che si vedono in località marittime. Ogni volta che li guardavo la voglia di amare sempre di più mi assaliva, perché quei due erano davvero meravigliosi, l’amore fatto a persona ed io gliel’avevo sempre fatto notare. Ogni volta che litigavano entrambi stavano malissimo, eppure erano sempre tanto orgogliosi da non fare il primo passo, ma uno dei due prima o poi cedeva. Sorrisi e mi incamminai verso la palestra. Mentre mi incamminavo vidi la cabina telefonica, quella cabina telefonica, la stessa che quella sera era stata testimone delle confessioni mie e di Lendon, sembrava essere stato solo ieri eppure quante cose erano successe, quante lacrime erano cadute, lacrime che quel giorno a mia insaputa avrei versato ancora di più, tanto da restarne completamente senza.
In palestra vi era il silenzio, tutte le sedie erano già posizionate ed il palco preparato. Da lontano intravidi qualcuno, mi avvicinai lentamente e vidi che era Joon. – Joon – dissi richiamando la sua attenzione, Joon si voltò ed aveva gli occhi gonfi di lacrime, sgranai gli occhi sorpresa – che succede? – chiesi avvicinandomi a lui, Joon si alzò di scatto dalla sedia e si avvicinò a me – perdonami – sussurrò. In quel momento non riuscivo a capire a cosa si riferisse, avrei dovuto perdonarlo, per cosa? – Cosa dovrei perdonarti? – chiesi guardandolo negli occhi, Joon abbassò lo sguardo e non rispose.
- Bene, bene, bene – una voce femminile alle mie spalle – sei qui – Larisse con una pendrive nelle mani che portava in bella mostra, lanciai uno sguardo a Joon che intanto era ancora immerso nelle lacrime – cosa succede qui? – chiesi ritornando a guardare Larisse – nulla – rispose lei sorridendo, un sorriso che faceva accantonare la pelle – ho solo qualcosa da dirti – si avvicinò lentamente a me ancheggiando – spero per te che la rappresentazione vada a buon fine, sai in questa piccola chiavetta c’è racchiuso tutto il materiale che porrà fine alla tua povera vita – passò la pendrive sotto il mio naso ridendo – per quanto riguarda il resto ci vediamo agli esami di stato, oppure all’inferno – strizzò l’occhio e sculettando lasciò la palestra. Rimasi ferma immobile al mio posto, avevo perso qualsiasi facoltà, di pensiero, di parola, semplicemente non sapevo cosa fare. Guardai Joon mentre tremavo da quell’ennesima minaccia di Larisse – tu cosa c’entri in tutto questo Joon? – dissi mentre le lacrime premevano contro le mie ciglia – avrei dovuto avvisarti – rispose con voce rotta – perdonami – ripeté mentre si avvicinò per abbracciarmi, mi scostai – Joon – urlai e le lacrime che stavo tenendo dentro caddero improvvisamente – aiutami solo a fare bene questa rappresentazione – dissi, asciugai violentemente il viso e mi incamminai lasciandolo completamente solo.

Era ormai arrivato il momento della rappresentazione, ero dietro le quinte e le mie amiche mi stavano aiutando con gli abiti ed il trucco. Il cuore mi batteva all’impazzata, fuori ci sarebbe stata anche la mia famiglia e se qualcosa fosse andato storto a causa di Larisse la mia vita sarebbe finita per sempre. Ero davvero in ansia e stavo male, pensavo che tutto questo non me lo meritavo affatto eppure era capitato proprio a me, sospirai – cosa ti preoccupa? – disse Ines legando gli ultimi laccetti del vestito – spero vada tutto bene – dissi mentendo, in realtà speravo che Larisse non facesse un passo falso, Ines mi prese le spalle e mi girò verso di lei per guardarmi bene negli occhi – non so cosa sia successo ultimamente Ciel, ma so per certo che in tutto questo c’entri la professoressa Larisse. Accetto il fatto che tu non ci abbia voluto dire niente, io l’ho capito ma ti prego, smettila di mentire anche a te stessa e agisci. Non puoi andare avanti così – disse ed io mi fiondai immediatamente tra le sue braccia – grazie – le sussurrai, in qualche modo aveva aperto un barlume di speranza nel mio cuore e quelle parole erano state di conforto. In quel momento la porta alle nostre spalle si aprì e Lendon ci raggiunse, era meraviglioso vestito in quel modo così elegante, tutta la giornata non ero stato in grado di vederlo. Dio quanto mi era mancato. Ines capì immediatamente la situazione e col sorriso ci lasciò soli.
- Sei pronta? – disse Lendon sorridendomi e no, io non ero pronta ma non potevo dirgli di certo quello che mi aveva fatto Larisse – si – risposi mentendo – e tu? – chiesi ricordando le sue parole nella sala di musica, Lendon si avvicinò a me e mi strinse forte – suonerò solo per te – sussurrò facendo battere forte il mio cuore – beh allora vai fuori e stendili tutti – dissi sorridendo – fighting piccola mia – augurò – fighting – ricambiai io.

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Capitolo 48
*** Capitolo XLVIII ***


Il momento era arrivato, Lendon era salito sul palco ricevendo un caloroso applauso dal pubblico, dietro le quinte il mio cuore batteva all’impazzata – suonerò per te – aveva detto. Mi avvicinai lentamente all’ultima quinta e con una mano sul petto l’osservavo, la luce dei riflettori su di lui lo facevano risplendere rendendolo ancora più meraviglioso. Salutò il pubblico con un inchino e si sedette sullo sgabello dando il via alla meravigliosa melodia che compose per me, per noi. Lanciai un’occhiata sul pubblico ed intravidi la preside in prima fila entusiasta che si vantava con gli altri professori, compresi quelli di musica che, poveretti, si sarebbero esibiti con piacere se non fosse stato per Larisse. Scrutai tutta la folla e proprio Larisse non riuscivo a vedere, vidi anche mio fratello Mark con mia sorella ed i miei genitori, ma di Larisse nemmeno l’ombra. Chiusi gli occhi e scacciando via tutti i pensieri mi lasciai trasportare dalla melodia che Lendon stava creando in quel preciso istante e prima che terminasse una lacrima scese giù dai miei occhi.
Un meraviglioso applauso si diffuse ben presto in tutta la palestra, sotto i riflettori il sorriso di Lendon.
Corse immediatamente via dietro le quinte e a sipario chiuso strinse le mie mani nelle sue stando ben attento a non farsi vedere, i nostri sguardo complici si incontrarono e con un cenno della testa sorridemmo all’unisono. Le scenografie vennero immediatamente portate sul palco, il pubblico era  trepidante  ed io tremavo a non finire – andrà tutto bene – i sorrisi delle mie amiche, si avvicinarono ed insieme urlammo una sola parola merda sperando tutto andasse per il meglio. Salii sul palco e mi posizionai per la prima scena, fortunatamente non avevamo seguito tutto il copione, sarebbe stato tanto quindi la scena principale era quella del balcone. Le luci si spensero ed il sipario si aprì, gli occhi del pubblico puntati su di me, feci per aprir bocca e dire la prima battuta quando un rumore assordante alle mie spalle mi fece involontariamente portare le mani all’orecchio, mi voltai ed uno schermo gigante stava calando giù dal tetto, guardai giù e vidi gli occhi di Joon sgranarsi dalla sorpresa quando ad un certo punto gridò – no Larisse - .
Gli occhi increduli dei presenti, compresi quelli della preside attendevano mentre nel mio cuore mi stavo già preparando al peggio. Ricordai improvvisamente della pendrive che Larisse mi aveva mostrato poco prima e cominciai a sudare. Lo schermo si accese improvvisamente, l’immagine di me e Lendon comparve come per magia ottenendo un fortissimo boato da parte del pubblico. Era un video, un maledettissimo video, quel video che girò al week-end. Immediatamente la mia testa tornò indietro di qualche mese, ecco il rumore della porta, ecco in realtà chi si nascondeva. Restai immobile ma mi sentivo morire proprio come se mille lame mi avessero trafitta tutta – ci sei andata fino in fondo Larisse – esclamai lasciandomi cadere a terra, mi sedetti incredula. Voltai il capo verso il pubblico e vidi mia madre in lacrime tra le braccia di mio padre, li avevo delusi. Lendon corse immediatamente verso di me – non avere paura – mi sussurrò quando la preside piombò immediatamente sul palco rubando i microfoni dalla scena, Larisse oltre a rovinare la vita a  me e Lendon stava rovinando anche la reputazione della scuola, una reputazione che andava avanti da anni e che la preside aveva acquistato con tanta fatica e tutte le sue forze. Il pubblico cominciò ad andare via, i genitori dei neo iscritti spingevano i propri figli verso l’uscita mentre la preside continuava a dire inutilmente a tutti di continuare a stare seduti e che lo spettacolo sarebbe andato avanti lo stesso. Gli occhi di Lendon erano persi nel vuoto ma continuava a starmi accanto stringendo le sue mani intorno alle mie spalle, lo guardavo con le lacrime agli occhi e la paura nello stomaco, paura di non potergli stare più accanto. Joon restava fermo a sguardo basso con i pugni stretti nelle mani mentre Larisse spuntò da dalle quinte avvicinandosi alla preside. Il collaboratore più vicino chiuse immediatamente il sipario ponendo fine a quello scempio – signora preside – si avvicinò ancheggiando Larisse – un professore ed un’alunna colti i flagrante mentre si baciavano, che aspetto avrà preso la scuola adesso? – sorrise meschinamente, la preside la guardò, poi si voltò verso Lendon – immediatamente nel mio ufficio – intimò.
Cominciai a versare lacrime a non finire, avevo paura di lasciare andare Lendon – non preoccuparti – disse con voce spezzata, anche lui aveva le lacrime agli occhi, anche lui sentiva che da li a poco tutto sarebbe finito, anche lui molto probabilmente temeva di non vedermi mai più. Lendon si allontanò e raggiunse la preside e Larisse che intanto se la rideva ancora sotto i baffi, Lendon la guardò con un’espressione delusa mista alla rabbia, aveva sempre saputo quanto fosse cattiva ma non aveva immaginato potesse arrivare a tanto – anche tu Ciel – urlò improvvisamente la preside verso di me, le mie amiche mi raggiunsero ben presto preoccupatissime per l’accaduto e mi aiutarono ad alzarmi – signora preside lasci stare Ciel per favore, lei non c’entra nulla – Lendon si posò immediatamente davanti a me coprendomi, si voltò ed abbozzò un mezzo sorriso e lanciò il suo sguardo profondo nei miei occhi rossi e gonfi di lacrime – mi assumo io tutte le responsabilità – aggiunse, la preside mi lanciò un’ultima occhiata e spazientita disse – spero voi sappiate cosa avete appena combinato, non sarà facile per nessuno dei due – e lasciò il palco.
Mi fiondai immediatamente tra le braccia delle mie amiche e caddi un mare di lacrime, singhiozzavo e non riuscivo ad unire una o due parole assieme. Di corsa si avvicinarono Key e Sully seguiti da Joon che intanto era rimasto fermo a guardare la scena, Key preso dalla rabbia si fiondò immediatamente su Joon prendendolo per il colletto del suo costume – non ti conosco – cominciò – ma so per certo che sei un bastardo – disse prima di sferrargli un pugno fortissimo, Joon incassò il pugno senza dire una sola parola, sapeva perfettamente di aver sbagliato. Finalmente delle parole uscirono dalla mia bocca – smettila Key – urlai rotta dal pianto – lascialo stare – continuai ancora piangendo. Immediatamente Ines mi porse una bottiglina d’acqua per lasciarmi bere, in men che non si dica era successo il finimondo – dovresti andare da tua madre, stava piangendo – disse Ines a bassa voce – ti accompagniamo noi – continuò Savannah.
Lentamente lasciai quella palestra con la vergogna stampata sul viso e tutto questo era successo a causa di Larisse che, come al solito, non aveva saputo tenere la bocca chiusa e le mani a posto. Key mi seguì insieme a Sully lasciando Joon completamente solo, mi voltai e lo vidi seduto a terra in lacrime con le mani tra i capelli, mi fece tanto pena – ti prego Sophie puoi fare compagnia a Joon? – chiesi quasi implorando, Sophie mi guardò ad occhi sgranati ma guardando alle sue spalle capì per quale motivo l’avevo detto, mi guardò e con un cenno della testa disse si.
Mia madre era seduta fuori sul muro di pietra accanto alla palestra e ancora piangeva, mio padre e mia sorella le stavano accanto mentre mio fratello guardava tra la folla. Mi avvicinai lentamente a loro preparandomi al peggio e quando fui abbastanza vicina mia madre mi lanciò uno schiaffo – mi dispiace – sussurrai – ti dispiace? – cominciò mia madre – è per questo che sei migliorata così tanto in matematica? Era perché avevi una relazione col professore? Ed io che pensavo di avere una figlia che si impegnava davvero in tutto – continuava a piangere ed il mio cuore andò in frantumi – non ti perdonerò mai – esordì immediatamente mio padre – sei la vergogna della casa Ciel – disse mentre continuava a stringere mia madre. Chiusi gli occhi e vidi la fine della mia vita nel momento in cui Larisse vi era entrata a farne parte, quella volta quando la vidi in caffetteria, avevo capito tutto sin dall’inizio. Mio fratello Mark si avvicinò lentamente – passerà in fretta ma l’hai fatta grossa – confessò prima di abbracciarmi ed io in quell’abbraccio sentii tutto l’amore del mondo.

Quando tornai a casa nessuno dei miei genitori volle rivolgermi la parola ed io mi chiusi in camera andando a letto senza cena. Ripensavo a tutto ciò che era accaduto e ancora piangevo, non sapevo esattamente cosa mi aspettasse il giorno dopo ma sapevo che niente sarebbe andato bene.
Improvvisamente mia sorella bussò in camera mia – Ciel – disse richiamando la mia attenzione – cosa? – risposi tirando su col naso – ha chiamato la preside della tua scuola – disse aprendo lentamente la porta – domani ti vuole con mamma e papà nel suo ufficio – confessò procurandomi brividi lungo tutto il mio corpo, quella era davvero la fine.

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Capitolo 49
*** Capitolo XLIX ***


Lui mi guardava da lontano ed i suoi occhi erano sommersi dalle lacrime.
A tale visione rimasi pietrificata, ora conoscevo il ragazzo in questione ero certa di amarlo, avevo sempre saputo di amarlo perché era il mio Lendon. Lui mi si avvicinò e si portò una mano al cuore e con voce tremante disse – addio piccola mia - .”
Aprii violentemente gli occhi ansimando ed uno spiraglio di luce entrò dalla mia finestra, ad attirare la mia attenzione fu, però, la pioggia che violenta picchiettava sui vetri. Ancora ansimante e completamente sudata scostai velocemente le coperte e mi diressi verso lo specchio, i miei occhi erano rossi e gonfi poiché avevo pianto praticamente tutta la notte ed ero riuscita ad addormentarmi quasi verso mattina. Mi ero addormentata tra le lacrime ed avevo rifatto lo stesso sogno, quel sogno che si presentò prima che conoscessi Lendon. Sorpresa portai le mani nei capelli, era lo stesso ma qualcosa era cambiato; ora lo conoscevo, sapevo perfettamente chi fosse il ragazzo ed era riuscito a parlare. Mi diressi in bagno ed aprii immediatamente il rubinetto dell’acqua fredda per lavare il mio viso, l’acqua a contatto con la mia pelle mi fece rabbrividire. Mi guardai nuovamente e mi accorsi di avere un aspetto orribile, lanciai un’occhiata sull’ora e mi accorsi di essere in ritardo.. nessuno era venuto a chiamarmi. Corsi verso il mio armadio ed indossai immediatamente la divisa, non volli truccarmi perché non mi importava del mio aspetto. Mi sistemai i capelli ed il fiocco e con la borsa in spalla mi diressi in cucina dove vi regnava il silenzio più assoluto. Mia madre era intenta a lavare gli ultimi piatti usati durante la colazione, l’avevano fatta senza di me. Mia sorella e mio fratello sembravano spariti mentre mio padre era già in macchina ad aspettare – muoviti a salire in macchina – disse mia madre con tono freddo senza alzare lo sguardo da ciò che stava facendo, deglutii e mi avviai verso l’auto. Mio padre era al volante e quando entrai non mi rivolse ovviamente parola, poco dopo arrivò anche mia madre e ci dirigemmo a scuola dove nello studio della preside Lendon e gli altri ci stavano aspettando.

Arrivammo finalmente fuori scuola, quella scuola che era stata protagonista della mia disavventura ma era anche stata protagonista di tutti i momenti dolci trascorsi insieme a Lendon. Un sorriso malinconico comparve sul mio viso e sentii nuovamente gli occhi bruciare, alzai lo sguardo verso il cielo, era smesso di piovere ma la pioggia era ricominciata a scendere a catinelle. Entrammo nell’atrio della scuola ed intravidi Joon con l’mp3 alle orecchie e le mani in tasca, se ne stava alzato lì poggiato al muro con lo sguardo perso nel vuoto, alzò la testa e mi vide, i suoi occhi reclamavano il perdono. Feci un cenno della testa per salutarlo ma lui abbassò lo sguardo mortificato, mi strinsi nelle spalle e seguii in silenzio i miei genitori.
Eravamo fuori la porta della preside quando mio padre con tono deciso vi bussò – avanti – rispose lei. Entrammo e vi era ovviamente anche Lendon. La preside era seduta dietro la sua scrivania mentre Lendon era in piedi pronto ad accogliere i miei genitori – salve signori Owen – disse la preside alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso i miei genitori, si strinsero le mani e si accomodarono mentre io rimasi alzata, proprio come Lendon. Di sottecchi ci guardavamo e nel suo sguardo leggevo diverse parole, parole come – mi dispiace – o – andrà tutto bene - . La preside fece un sospiro – bene vi ho convocati qui perché ho delle cose da dirvi – cominciò, mia madre abbassò lo sguardo e sembrava quasi come se volesse piangere, mio padre la strinse – signora preside se vuole espellere Ciel dalla scuola noi lo accettiamo, sappiamo che quello che ha fatto è stata una cosa sbagliatissima – disse mio padre tutto d’un fiato, la preside sorrise – signor Owen espellere Ciel non era mia intenzione – esordì, sgranai gli occhi sorpresa, mi ero preparata al peggio ma a quanto pare mi ero sbagliata – sarà il professor Lendon a lasciare la scuola – rivelò ed il mondo mi cadde addosso. Lanciai uno sguardo verso Lendon che se ne stava lì a sguardo basso senza dire una sola parola – no Lendon – urlavo in cuore mio, mi venne da piangere e non riuscii a trattenermi – mi dispiace – dissi sottovoce quasi singhiozzando. Lo sguardo di tutti si posò immediatamente su di me – è tutta colpa ma – dissi, Lendon mi si avvicinò – Ciel – disse dolcemente – signora preside è normale che Ciel reagisca così adesso, ma vedete, come discusso ieri la colpa è solo mia. Non ho seguito bene il mio ruolo da professore ed ho lasciato che i sentimenti prendessero il sopravvento. Vorrei scusarmi umilmente anche con i genitori di Ciel, andrò via e lascerò in pace vostra figlia, promesso – confessò e si allontanò da me tornando al suo posto, vidi mia madre portare una mano sugli occhi – Professor Lendon – disse mia madre – a me lusinga il fatto che lei abbia provato del sentimento per nostra figlia – i suoi occhi erano pieni di lacrime – è una ragazza adulta, è maggiorenne e sa benissimo cosa è giusto e sbagliato e avrebbe dovuto capire tutto da sola. Non sono contraria al vostro amore, mi son sempre chiesta perché mia figlia alla sua età non fosse mai uscita con qualcuno ed oggi ho la risposta qui davanti a me. Ma il contesto in cui eravate, in cui siete è sbagliato e la storia deve terminare qui – disse con tono autoritario ma dispiaciuto allo stesso tempo – è per questo che lascio la scuola, la amo più di ogni altra cosa al mondo – si rivolse verso di me – se restassi qui non riuscirei a reprimere i miei sentimenti – i suoi occhi erano fissi nei miei – ti amo Lendon, ti amo – mi urlavo dentro. La preside si alzò dalla scrivania e si diresse verso di me, mi diede un fazzoletto – porto avanti questa scuola da anni ormai ma una cosa del genere non era mai capitata prima d’ora – confessò – una piccola sanzione dovrai comunque avere Ciel perché a causa di questa storia ho perso molti iscritti – in quel momento sentimmo bussare alla porta – avanti – urlò la preside. A sguardo basso entrò lentamente Joon – signora preside – disse a bassa voce – è successo qualcosa? – chiese la preside dirigendosi nuovamente dietro la sua scrivania – avrei delle confessioni da fare – disse Joon, guardò lentamente prima Lendon e poi me mentre io me ne restavo a fissarlo ad occhi sgranati, di quali confessioni parlava? La preside sbuffò – sono impegnata adesso potresti tornare più tardi? – chiese retoricamente – in realtà riguardano loro – i miei genitori mi guardarono entrambi male – ancora altre confessioni? – urlò mio padre contro di me, abbassai lo sguardo e tremando cominciai a torturare le mie mani, Joon si rivolse a mio padre – ha frainteso, pur riguardando loro Ciel è la vittima in questo caso – confessò, a passo veloce si diresse verso la preside – signora preside a lasciare la scuola non deve essere solo il professor Lendon – la preside strabuzzò gli occhi intontita, non riusciva a capire cosa volesse dire Joon – cosa vuoi dire? – chiese infatti, Joon mi guardò – anche Larisse deve lasciare la scuola. E’ stata lei a complottare questo e a volte addirittura col mio aiuto – confessò – inoltre – i suoi occhi cominciarono a diventare rossi – l’altro giorno ha tratto Ciel in trappola e l’ha fatta pestare da alcune ragazze, ha procurato loro alcune divise della scuola e le ha spacciate per vostre alunne – abbassò lo sguardo e cominciò a piangere, mi guardai intorno e vidi Lendon con gli occhi sgranati ed i pugni chiusi, stava tremando. Il mio cuore cominciò a correre all’impazzata, quella confessione di Joon era stata davvero forte, avevo nascosto la verità per così tanto tempo, non volevo che Lendon si arrabbiasse. La preside ed i miei genitori mi guardarono – è vero questo? – chiese la preside, abbassai lo sguardo ed annuii leggermente, mia madre sospirò – io lo sapevo, quelli sul tuo corpo non erano segni da caduta – la preside portò le mani agli occhi –che situazione – disse – potete tutti lasciare l’ufficio, voglio restare sola coi genitori di Ciel, anche lei professor Wolf, la chiamo dopo – disse la preside indicandoci la porta.

Quando fummo fuori vidi Lendon stringere i pugni tra le mani – Joon dov’è Larisse? – disse immediatamente, sgranai gli occhi sorpresa, nei suoi, invece, riuscivo a vedere la rabbia – è in classe di Ciel – rispose prontamente Joon, Lendon mi prese per mano e mi portò con lui, eravamo fuori la mia classe – vai in sala musica e aspettami lì – mi disse e bussò alla porta dell’aula, in quel momento non sapevo cosa fare – ascolta Ciel – disse Joon e mi scortò in sala musica. Poco dopo arrivarono Lendon e Larisse, Larisse era dietro di lui ed aveva il capo chino, Lendon entrò con prepotenza, non l’avevo mai visto così, si fermò di fronte a me e si girò verso Larisse – scusati, ora – ordinò ma Larisse se ne stava senza dire niente – ho detto ora Larisse – replicò Lendon, Larisse mi guardò – mai – disse semplicemente, Lendon si allontanò portandosi le mani dietro la nuca – tu andrai via da questa scuola – si rivolse a Larisse – ovvio che ci andrò, senza te qui è inutile restare – confessò lei – cosa? – Lendon sgranò gli occhi dalla sorpresa – hai sentito bene, sono venuta qui solo per te e Joon è stato complice per tutto questo tempo – si girò verso Joon e gli si avvicinò – quindi adesso è inutile che fai il santarellino – disse ed alzò una mano come per volergli dare uno schiaffo ma fui abbastanza veloce da afferrare il braccio a Larisse e fermarla – vai via – dissi con le lacrime agli occhi – hai già rovinato la mia vita abbastanza – cominciai nuovamente a tremare, Lendon mi si avvicinò e mi strinse forte – smettila di tremare – sussurrò al mio orecchio, Larisse divenne furiosa – chiedi scusa Larisse – disse di nuovo Lendon – o non ti perdonerò mai – concluse. Larisse sgranò gli occhi che si riempirono di lacrime – cosa ci vedi in lei? – cominciò a piangere – ti sono stata dietro per tutto questo tempo, perché non mi hai mai guardata in quel modo? Perché non mi guardavi nel modo in cui guardi lei? Manco Eles guardavi così. Perché lei ti ha rapito così tanto? – si accasciò sulle ginocchia con le mani nei capelli e singhiozzava, Joon le si avvicinò – adesso basta Larisse – le sussurrò, Larisse lo strattonò – traditore, traditore – ripeteva piangendo. In quel momento mi sentii strana, nonostante tutto quella donna mi faceva pena – mi dispiace okei? – urlò, Lendon le si avvicinò e le porse un fazzoletto – racconta tutto alla preside, pentiti e lascia la scuola – disse e lasciò l’aula musica.

 Tornai in classe e feci lezione normalmente o almeno speravo. Gli occhi dell’intera classe compreso il professore erano puntati su di me, ma qualcosa non mi quadrava, per quale motivo non ero stata punita a dovere?
Sentimmo bussare alla porta – avanti – disse il professore e vi entrano i miei genitori, salutarono il professore – puoi salutarlo – mi dissero. Presa dalla fretta mi alzai immediatamente dal banco e senza dire nulla corsi lungo il corridoio. Lendon era in cortile con le sue cose e mi stava aspettando – Lendon – urlai il suo nome con tutto il fiato che avessi dentro, Lendon si voltò e giuro, lo vidi piangere. Mi fermai di colpo e ripensai al sogno fatto in mattina, il sogno di Settembre e tutto si collegava, ero pietrificata. Corsi verso di lui e mi fiondai tra le sue braccia facendo cadere le cose che avevo tra le mani – non lasciarmi, non lasciarmi – urlavo mentre affondavo il mio viso nella sua maglietta, Lendon prese il mio viso tra le mani – mi mancherai – disse con voce rotta dal pianto, alle mie spalle arrivarono i miei genitori mentre tutti gli studenti erano affacciati compresi i professori, ma a me non importava – non andare Lendon – continuavo a singhiozzare, Lendon mi si avvicinò lentamente e mi baciò, i miei genitori alle mi spalle si voltarono per non guardare. Fu un bacio che diceva tutto e che di sicuro avrei portato con me per sempre. Le sue braccia mi stringevano forte e le sue mani mi accarezzavano lentamente, avvicinai di più il mio petto al suo ed i nostri cuori battevano all’unisono. In un attimo la mia testa ripercorse tutti i momenti trascorsi assieme.
La prima volta che lo vidi, il passaggio in auto dopo averlo aiutato, il nostro primo bacio alle ripetizioni, la cabina telefonica, la canzone, la nostra prima volta, le terme, gli sguardi complici.. tutto stava vagando nella mia mente creando la trama di un film perfetto, un film dove noi eravamo assieme e dove non esistevano persone come Larisse. Ci staccammo per riprendere fiato e lui mi asciugò una lacrima, lentamente si staccò da me e si incamminò per la sua strada continuando a tenere lo sguardo su di me – addio piccola mia – sussurrò.

Quella fu l’ultima volta che lo vidi.




Lendon ha pensato bene di cambiare colore di capelli, ma il suo sorriso rimane tale. Il sorriso che mancherà tantissimo a Ciel.
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Capitolo 50
*** Capitolo L - FINE - ***


Sette anni dopo..

POV Lendon
Correvo a perdifiato lungo quel corridoio bianco e silenzioso dove si udivano solo i miei passi.
A quella chiamata avevo lasciato il lavoro immediatamente per recarmi sul posto. Mi fermai davanti ad una porta con una luce verde, mi chinai ansimante sulle ginocchia per poter respirare.
- Eccolo è arrivato – una voce femminile aveva detto alle mie spalle, mi voltai e vidi i miei suoceri correre verso di me – muoviti o perderai questo momento meraviglioso – mi dissero. Deglutii ancora ansimante ma sentivo la mia gola secca ed il cuore che andava a mille, una donna in camice bianco e sorridente mi si avvicinò – lei è il signor Wolf? – mi chiese gentilmente – si – riuscii a dire, ero talmente emozionato ed in ansia che non riuscivo a spiccicare parola – da questa parte – indicò la donna ed io la seguii silenziosamente.  Mi fece indossare un camice bianco ed una mascherina e mi indicò la direzione in cui dovevo andare, vi entrai e vi erano tantissimi dottori, guardai verso il lettino e vidi finalmente Ciel.
- Lei è il marito? – disse l’uomo accanto a lei – si – risposi, Ciel mi vide ed allungò la mano verso di me – Lendon – mi disse. Era sudata, aveva gli occhi rossi e si sentiva male, si vedeva – vogliamo cominciare? – immediatamente tutti i dottori la circondarono, io me ne restavo di fianco a stringerle la mano mentre lei sofferente sospirava – più forte signora Wolf – disse immediatamente l’infermiera, Ciel stringeva forte la mia mano e piangeva, le sua urla erano percepibili anche a km di distanza. In quel preciso istante non sapevo cosa fare esattamente, poi ricordai le varie lezioni a cui partecipammo – respira Ciel – dissi immediatamente – sei brava piccola mia – sussurrai toccandole la fronte dolcemente, stava dando alla luce il frutto del nostro amore.
Quando ci lasciammo sette anni prima nel cortile della scuola pensai di non rivederla mai più. Cominciai a bere da lì a poco e mi rifiutavo di cercare un nuovo lavoro. I miei genitori cominciarono a preoccuparsi per me, non volevo nessuno tra i piedi e mi abbandonai completamente a me stesso. Chiusi la stanza del pianoforte a chiave, iniziai a pensare seriamente che suonare in pubblico fosse una cosa che portava male, perché ogni volta che l’avevo fatto mi era successo qualcosa di brutto, avevo perso prima Eles e poi Ciel ed era capitato entrambe le volte durante una mia esibizione.
Non volevo vedere le donne manco lontanamente, cominciavano a farmi schifo.
Poco dopo trovai un lavoro, ottenni una cattedra nell’università in cui avevo studiato grazie a mio fratello che studiava ancora lì e si era appena laureato. Cominciai ad insegnare matematica lì e qualche anno dopo me la ritrovai tirocinante. Quando la vidi era seduta alla caffetteria della facoltà bella come il sole e donna, era diventata una donna. Era insieme a Tiffany, la ragazza che partecipava al potenziamate ed era sorridente. Quando la vidi ebbi un tuffo al cuore, erano passati quattro anni dall’ultima volta che ci eravamo visti e molto probabilmente anzi, sicuramente lei si era rifatta una vita ed era anche fidanzata.
Mi diressi a passo svelto verso il bancone per ordinare un caffè quando qualcuno mi chiamò – professor Lendon? – mi voltai e vidi Tiffany sorridermi, anche lei era cresciuta tanto – ciao Tiffany – ricambiai il sorriso – cosa ci fa qui? – chiese immediatamente – ci lavoro – risposi sorridendo – e tu? – chiesi guardandomi intorno – sono con .. – si bloccò immediatamente, sapevo benissimo con chi era. Improvvisamente si avvicinò Ciel – Tiffany ci vuole ancora tanto? – disse mentre era intenta a sfogliare un libro, alzò lo sguardo e mi vide, rimase ad occhi sgranati a fissarmi quando il libro gli cadde dalle mani. Il mio cuore cominciò a battere velocissimo – ciao Ciel – riuscii a sussurrare, vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime – L- Lendon – riuscì semplicemente a dire. In quel momento tutte le persone presenti in quella caffetteria sparirono, restammo solo io e lei – magari avete tante cose da dirvi – cominciò Tiffany – vi lascio soli – aveva forse detto perché si allontanò immediatamente. I miei occhi erano persi in quelli di Ciel, lei cominciò a piangere. Mi guardai intorno e la presi per mano – vieni con me – le sussurrai, lei annuì e mi segui immediatamente. Trovai una stanza vuota, a mia sorpresa era una stanza di musica, sospirai – come mai sei qui? – le chiesi ma immediatamente lei si fiondò su di me ad abbracciarmi, sentii dei brividi corrermi lungo la schiena, erano passati quattro anni, quattro fottuti anni dall’ultima volta che l’avevo vista. La strinsi forte a me e non riuscii a trattenere le lacrime, cominciammo a piangere insieme, mi sarebbe piaciuto vederla diventare così donna.. era bellissima – non ti ho mai dimenticata – le confessai – ti amo Ciel, ti ho sempre amata – le dissi e lei si avvicinò lentamente alle mie labbra, mi guardò negli occhi come per chiedere il permesso ma mi ci avvicinai io e la baciai, un bacio che avevo desiderato per quattro anni. Da quel giorno cominciammo a frequentarci di nuovo e poco dopo le chiesi di sposarmi, ed ora eccoci qui.
- Dia l’ultima spinta signora è quasi fatta – aveva urlato l’infermiera ed aveva ragione, sentii il pianto del mio bambino e mi sentii svenire, poggiai la testa su quella di Ciel e le sorrisi, lei era ancora in preda alle lacrime – brava piccola mia, bravissima – le dissi ancora prima di lasciarle un bacio sulla fronte.



Due anni dopo ancora..

POV Ciel
Il rumore dei suoi piedini che picchiettavano sul pavimento era per le mie orecchie un dolce rumore, ormai il nostro piccolo aveva imparato a camminare e se ne andava in giro per la casa a combinare pasticci.
- Alex – la voce di Lendon dall’altra stanza – ti mangio – urlò immediatamente mentre il piccolo rideva a crepapelle e scappava alla vista del ‘’mostro’’.
Alex, il nostro piccolo, il frutto del nostro amore era un bambino adorabile, somigliava tantissimo a Lendon, ogni piccolo particolare era suo tranne che per la carnagione, quella era mia. Correvano entrambi avanti e indietro per la casa e alcune volte davvero non riuscivo a capire chi fosse il bambino tra i due, ma nonostante tutto sorridevo ed ero felice.
Quando ci incontrammo dopo quattro anni dalla separazione in quella caffetteria il mio cuore cessò di battere. A quel tempo facevo da tirocinante in quell’università abbastanza lontana da casa mia, ma non mi sarei mai sognata di rivederlo. Ci eravamo ritrovati dopo quattro anni come alunna/professore/colleghi e il tutto non mi faceva altro che pensare che quello fosse assolutamente destino.
Entrambi eravamo stati innamorati ugualmente l’uno dell’altra e non avevamo avuto nessuna relazione. Lui mi raccontò di quanto fosse stato male ed io feci lo stesso. Ci baciammo nell’aula musica dell’università e quella sera stessa andai a dormire a casa sua, nel suo appartamento che era stato disabitato a lungo. Notai che la porta dove aveva il suo pianoforte era chiusa a chiave, non capii ma lui mi raccontò il suo punto di vista e cosa pensasse a riguardo – suona per me Loving you a thousand times – avevo detto e lui mi aveva accontentato. Mi sedetti accanto a lui con la testa poggiata sulla sua spalla lasciandomi trasportare dalla sua musica ed il suo profumo, un profumo che nessun’altro uomo avrebbe potuto indossare. Dopo cena ci stringemmo caldamente nelle coperte, nonostante fossimo adulti ricordo che non successe assolutamente nulla, eravamo troppo presi dallo stare insieme, dall’essere felici per esserci ritrovati che non pensammo a nulla. Dormimmo in completa intimità tutta la notte ed il mattino dopo girammo per le strade della città mano nella mano e sorridenti. Non avevamo più paura degli sguardi delle persone, ci eravamo ritrovati e quella per noi era la cosa più importante.
Dopo qualche mese partimmo per un viaggio di lavoro, andammo a Parigi e fu lì che lui mi chiese di sposarlo. Mi comprò cento rose e mi offrì una cena al ristorante e sotto la torre Eiffel fece la sua fatidica domanda – vuoi sposarmi? - . Ero scoppiata completamente in lacrime – si – gli dissi prima di lanciarmi su di lui, sarebbe diventato mio marito, l’amore della mia vita, il mio professore, l’unico uomo che era riuscito a farmi provare sensazioni meravigliose e ben presto padre dei miei figli.
Quando tornammo nella nostra città decisi di portarlo a casa, inizialmente i miei genitori erano contrari, ci fu Mark però per fortuna a convincerli e ci sposammo poco dopo in una chiesetta su una collina, proprio nel periodo della fioritura dei ciliegi. Le mie amiche ed i miei amici furono tutti felici di partecipare al matrimonio. Key e Sully vennero assieme, Ines e Jonny erano già sposati ma alla fine si sapeva, stavano insieme da tanto. A mia sorpresa Sophie cominciò ad uscire con Joon e la cosa mi fece tanto piacere, erano davvero belli assieme, Savannah riuscì ad accalappiare Jeremy e se lo portò all’altare col disappunto di Victoria ovviamente. Anche Jasmine e Selvy trovarono finalmente la loro anima gemella, mentre Tiffany era riuscita a stare accanto al suo amore trasferendosi immediatamente da lui, ragione per il quale ci ritrovavamo tirocinanti nella stessa università. L’unica persona di cui non sentii più parlare fu Larisse, non seppi assolutamente che fine avesse fatto e manco Joon lo sapeva. L’ultima volta che la vidi fu al mio esame di stato che riuscii a passare, fortunatamente, brillantemente.
E adesso mi ritrovavo qui, nella casa dei nostri sogni nel posto dei nostri sogni, qui ancora insieme e felici.

- Tesoro, tesoro – corse immediatamente Lendon verso di me – cosa c’è? – dissi spazientita, era un bambino – Alex sta suonando il piano, vieni – urlò correndo lungo il corridoio con le braccia spalancate – ma cosa dici? Ha solo due anni Lendon – dissi sorridendo, mi alzai dalla panchina posta fuori casa e mi diressi dentro. Entrai nello studio di Lendon e vidi il mio piccolo Alex seduto al piano, i miei occhi si illuminarono di gioia, se ne stava lì e con le sue piccole dita picchiettava il piano, Lendon prese la macchina fotografica ed immortalò quel momento. Il piccolo cominciò a sorridere – papà buffo – continuava a ripetere ed aveva ragione, ma d’altronde questo era tutto quello che io, Ciel Owen, avevo sempre sognato.
                      
                                                                                                                                                                                  Fine


Angolo autrice
Siamo giunti ahimè alla fine della storia. Sto ancora piangendo perché per me è stata una storia importantissima e l’unica cosa che desidero adesso è che non morisse. Mi piacerebbe in futuro ricevere altre recensioni, mi piacerebbe che qualcuno si soffermasse ancora per un po’ a leggerla, sarebbe per me la gioia più grande.
Lendon e Ciel sono riusciti finalmente a stare insieme, si sono sposati ed hanno avuto un meraviglioso bambino, il piccolo Alex. Ciò ci fa capire quanto sia forte il destino e quanto sia forte l’amore vero perché, diciamolo, il loro era il più vero e puro di tutti.
Ringrazio chi ha seguito la storia costantemente, chi l’ha messa tra i preferiti e addirittura chi ha aggiunto me negli autori preferiti. Quando cominciai a scrivere questa storia non me lo sarei mai immaginato poiché era la prima che pubblicavo qui. Continuerò a scrivere altre storie, stavo pensando di pubblicarne una che si intitola L’oceano tra noi, e spero voi mi seguiate anche lì. Un grazie grandissimo a chi ha recensito, a chi mi ha dato consigli, grazie davvero siete stati un grande punto di forza e vi ho adorato.
Avrei tantissime cose da dirvi ancora ma mi fermo qui altrimenti finisco davvero col piangere. Grazie ancora, vi lascio con qualche regalino di Lendon, ve lo meritate .Un bacio grande a tutte voi. Mi auguro, alla prossima storia



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Qui vi lascio il link per sentirlo cantare e suonare il piano
https://www.youtube.com/watch?v=8KRJLAVt8sk


Anche lui è triste per la fine della storia:(

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