Silent Hill: Rose's Line

di Lady Halsingland
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Vincent Smith ***
Capitolo 3: *** Terapia Intensiva ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


Intono a lei è tutto buio pesto.
Fa fatica a scorgere i vari oggetti intorno a lei eppure grazie a quella torcia ci riesce.
Una torcia trovata in una pozza di sangue. Assurdo, no?! Sembra essere la protagonista di un film horror. Rose scappa, attraversa le varie sedie che le bloccano il passaggio e si accovaccia dietro un muretto. 
Il muretto del Rosewater Park. Strano... si chiama proprio come lei. Che coincidenza, vero?!
Si guarda attorno, ancora spaventata. La torcia alla tasca della sua giacca a vento inizia ad accendersi e spegnersi molto lentamente, significa che la batteria si sta scaricando. Rose fruga dentro la sua tasca ma non trova la batteria di ricambio... eppure ricorda di averla presa.
"Maledizione!" Esclama in preda al panico. Ma dei passi la richiamano all'attenzione.
Lamenti, cose che strisciano... Rose non riesce a vedere che questo. Chiude gli occhi, nella più chiara convinzione che sia solo un incubo... ma niente. Quando li riapre si ritrova sempre lì. 
Accanto a lei c'è qualcosa. Con la coda dell'occhio riesce a vedere qualcosa di rosa. Si gira e scorge Robbie, il pupazzo che da piccola amava. Ha la bocca sporca di una sostanza rossa e visto così fa paura.
Deglutisce, avvicinandosi di più. Appena la punta dello stivale calpesta una foglia, Robbie gira di scatto la testa verso di lei.
Rose urla, spaventata. 

-Tesoro? Hey, tesoro?! Svegliati!-
Una mano calda e gentile scuote il corpo snello di Rose, facendola svegliare. Appena la giovane rossa apre gli occhi chiari vede suo padre sorriderle. Si gira un attimo lo sguardo per la stanza. E' a casa sua. Al Deasy Appartament's di Portland.
-Papà... ho avuto un incubo.-
-Pare di si.- Risponde lui, accendendo la luce. Alex Sheperd guarda la figlia con affettuosità. 
Siede accanto a lei, nel suo letto. Rose deglutisce, cercando di dimenticare quel brutto sogno.
-Era così terribile?- Chiede Alex, abbracciando la figlia di ormai quasi diciotto anni.
-E' lo stesso da quando siamo giunti qui a Portland.- Risponde la rossa, osservando il padre. 
Alex rivolge lo sguardo alla sveglia sul comodino della figlia. Le 6:33. Una volta controllato l'orario, rivolge lo sguardo alla sua Rose. Per lui, però, era conosciuta sempre come Emily. Anche quando, un anno fa, lui ed Elle le dissero la verità. Che non era figlia loro, ma era stata adottata. Rose non sembrava dispiaciuta, anzi... certo ha sempre voluto sapere quali fossero i suoi veri genitori. Alex non poteva aiutarla in questo, anche se ricordava come se fosse ieri il giorno che lui ed Elle presero Rose con loro. 
-Guarda il lato positivo... oggi hai l'appuntamento con lo psicologo, no?! Così vedrai di fare chiarezza con questi "fantasmi".- Le disse Alex, alzandosi dal letto. -Tua madre sta facendo una doccia. Che dici se noi anticipiamo la colazione?- Le propose alla figlia che, tutta contenta, accettò ben volentieri.
Rose si cambiò con un paio di jeans, delle scarpe da ginnastica della marca "Killah" e una t-shirt bianca con la scritta a carattere Times: "Carpe Diem". Fatto ciò, raggiunse suo padre in cucina che stava prendendo le padelle e accendendo il forno.
Preparò la borsa con gli ultimi libri e il panino che Alex le preparò. Quello sarebbe stato il suo primo giorno di scuola alle superiori. La Midwich School era quella più vicina. Scuola che aveva frequentato anche suo nonno, Adam. 
Sperò di rincontrare molti suoi ex compagni, così si sarebbe trovata bene.
Elle entrò in cucina con un allegro sorriso, salutò la figlia ed il marito. 
-Dormito bene, tesoro?- Chiese la bionda, mentre apparecchiava con alcune tovagliette per la colazione.
-Mai stata meglio.- Mentì Rose, chiudendo la borsa scolastica e raggiungendo la madre per dargli una mano. 
Elle sembrò credere alle parole della figlia ma gli bastò uno scambio d'occhiate col marito per capire che gli aveva mentito.
-Oggi devo lavorare. Se non vengo a prenderti a scuola va al centro commerciale e aspettami lì, d'accordo?- Le disse la bionda, ottenendo quasi subito dopo un "si" dalla figlia.
Fecero colazione silenziosamente fino a quando non venne l'ora di prendere l'autobus. Rose si alzò, salutando entrambi i genitori e uscì dall'appartamento, raggiungendo la strada.
Silenziosa e fredda. 
Vide l'autobus non troppo lontano da lei e fece un respiro profondo. Le superiori. Ma chi glielo aveva fatto fare? Guardò salire tutte facce nuove... avrebbe dovuto aspettarselo. La cosa non le metteva per niente il buon umore.
Prese a camminare verso l'autobus, salendo a bordo. Ignorò completamente gli sguardi investigatori degli altri e si concentrò prendendo l'mp3 dalla borsa e accendendolo, digitando una canzone a caso.
Non vedeva l'ora di arrivare già alla fine della giornata.



Note d'Autrice:
Dopo aver scritto un'originale "Epica", volevo provare a cimentarmi in un Horror. Amo la saga di Silent Hill e volevo rendergli omaggio con questa long-fic che parla degli avvenimenti che accadono dopo "Silent Hill: Homecoming". 
Mi farebbe piacere in un vostro parere, grazie.
Sister.

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Capitolo 2
*** Vincent Smith ***


Rose... anzi, Emily, scese dalla navetta quando questa accostò proprio vicino la scuola.
Con ancora l'mp3 nelle orecchie che seguiva la canzone "Waiting For You", si avviò verso la struttura scolastica. Un grande edificio da fuori bianco da dentro color panna. Le aule erano verdi.
Entrò nella sua classe ed ebbe la sensazione di essere seguita con lo sguardo ma quando si voltò per verificare questi suoi dubbi vide solo il bidello passare la scopa per la Hall. 
Prese posto vicino alla finestra nella aula, lontana anche da molti occhi che la osservavano come a voler fargli una lastra. Questi occhi appartenevano ad un gruppo di ragazze che si vestivano un pò troppo scollate e da ragazzi che si credevano troppo fighi per rivolgergli la parola. Ma ad Emily non le importava, sperava solo di finire quell'anno presto e di tornarsene nello South Valentine, lontano da Portland.
La grassa professoressa di colore, che corrispondeva al nome di Marianne, entrò nella classe presentandosi. Sarebbe stata la nuova professoressa di Italiano, Inglese e Biologia. Passò un ora solo nel presentarsi dicendo da dove viene e cosa aveva fatto nella vita prima di raggiungere la cattedra di insegnante. Disse anche che c'erano dei corsi fuori orario scolastico per chi volesse imparare qualcosa come cantare, recitare, praticare un qualche sport che c'era sulla lista e molte altre cose che ad Emily, di certo, non interessavano.
-Bene... oltre a me, qui con voi, c'è anche una nuova ragazza. Emily Sheperd, vuoi presentarti?-
Odiava questo di ogni scuola che cambiava. Presentarsi. Ma non poteva di certo rifiutarsi e quindi si alzò, scrutando ogni suo compagno che la guardava male, sicuramente non interessato alla sua presentazione. Emily avrebbe voluto risparmiarsi quell'umilazione.
-Ciao a tutti, sono Emily e provengo dallo South Ashfield, non tanto lontano da Portland...- Iniziò lei, interrompendosi perchè non sapeva come continuare, di certo non si era scritta un discorso di presentazione.
-Dove li compri i tuoi abiti? Alla discarica?- Ironizzò una sua compagna acidella, facendo ridere mezza classe.
Se c'era una seconda cosa che Emily odiava era proprio il "capo bullo" di un gruppo. Fulminò questa negli occhi prima di inziare il suo "discorso serio".
-Va bene. Volete un "discorso serio"? Lo avrete. Questa è la quartordicesima scuola che cambio da quando avevo nove anni. Sia io che i miei genitori viaggiamo molto. Non vi chiederò di certo di fare amicizia o il vostro numero di telefono. Non vi darò consigli sul vestire ne vi farò copiare i compiti prima di entrare in classe. Non vi cercherò su facebook o su messanger. E quando voi... mi avete imparato tutto ciò che c'è da sapere su di me, io me ne sarò già andata.-
Una volta finito, Emily si rimise seduta di botto. Di certo non si aspettavano una risposta così, gli aveva spiazzati tutti, era ovvio. Il liceo Biologico era duro da affrontare ma con la fortuna dalla sua parte ci sarebbe riuscita.
La prof. Marianne ringraziò Emily per la brillante interpretazione e le consigliò di iscriversi al corso di recitazione. Detto ciò, iniziò la lezione con la seconda ora: Italiano. 
Emily non seguiva la lezione con interesse e si limitò a starsene zitta a fissare il vuoto anche quando una sua compagna riuscì ad innervosirla nel prenderla in giro sottovoce. Marianne l'aveva richiamata una o due volte, alla terza la mandò nell'aula di musica, dove ci sarebbe stato il professore che gli avrebbe dato la sua punizione.
Spazientita uscì, sbattendo la porta. "Di bene in meglio..."
Attraversò il corridoio, rimettendosi l'emp3 nelle orecchie, selezionando una canzone specifica, "Distance".  Chiuse gli occhi, fidandosi del suo istinto femminile per visionare l'aula di musica.
Al punto del ritornello, però, la canzone si inceppò ripetendo le stesse parole fino a quando, l'mp3, non si spense da solo. Emily riaprì gli occhi, vedendo il corridoio cambiato. 
Al posto del pavimento c'erano delle grate, i muri erano rovinati, ingialliti e coperti da sangue e ruggine. Le luci si accendevano e spegnevano a ritmo e nell'ombra vide qualcosa muoversi. Spaventata, mise una smorfia di disgusto nel vedere quella creatura venire verso di lei e sputarle in faccia qualcosa. Urlò dal terrore e chiuse gli occhi.
-Scusatemi, signorina... non volevo farlo apposta.-
Emily riaprì gli occhi e vide che tutto era tornato normale. Davanti a lei c'era un uomo vestito di tutto punto con giacca color ocra e cravatta marrone, sotto camicia bianca.
Il tizio che aveva l'aria di un professore, stava sorridendo da ebete e stava trovando mille modi per chiederle scusa. Solo allora, Emily si accorse che costui le aveva rovesciato del caffè addosso, macchiandola.
-Non fa niente, davvero... non è colpa sua.- Balbettò la giovane, osservando l'uomo che sospirò sollevato.
-E' bello sentirlo dire. Ma... state bene, signorina?- Chiese l'uomo.
Emily si riscosse, annuendo convinta.
-Si, almeno credo.- Rispose, guardando l'uomo che le sorrideva. -Stavo cercando l'aula di musica.- Disse la giovane, ripensando a cosa faceva in quel corridoio.
L'uomo si stupì non poco, ma cercò di non darlo a vedere.
-Provengo ora da quell'aula. Sono Tarho Yamaoka, compositore e professore di musica qui al liceo.- Si presentò l'uomo come Tarho. La giovane riconobbe che aveva un bel nome.
-Io sono Emily Sheperd, mi sono trasferita da poco qui a Portland.- Spiegò lei, osservando il musicista.
-Questo si vede. Siete parecchio spaesata. Immagino che la professoressa Mizuky vi stia mandando lì per una punizione.- Ipotizzò l'uomo, mettendosi una mano sotto il mento.
"Però... che intuito!" Pensò la giovane, annuendo di poco.
-Già. La profxy diceva che ci sarebbe stato un professore... e per caso lei?- Chiese educata, etichettando Marianne come "Profxy", che poteva essere un nomignolo per accorciare il nome o... per prenderla in giro.
-No. Io non ne ho l'onore. Il mio assistente si occupa delle punizioni degli studenti. Faresti bene a non farlo attendere. A presto, Emily.- La salutò lui, dirigendosi alla scala principale per salire al terzo piano. 
Emily lo salutò con un gesto di mano, sospirando. O la và... o la spacca. In questo caso "la và.". Avanzò, facendo gli ultimi tratti di corridoio che la dividevano da una porta nera, da dove si sentiva il rumore di un pianoforte. Una musica... una dolce melodia, forse anche un pò spaventosa. La giovane aprì la porta, entrando. L'uomo le dava le spalle e non si era accorto della sua presenza. 
Portava i capelli corti, marroni, e come abbigliamento indossava un gilet marrone chiarissimo, quasi avorio che si abbinava bene con i pantaloni dello stesso colore e la cinta di cuoio. Sotto il gilet, aveva una camicia bianca, mentre le scarpe erano dei semplici mocassini color Terra di Siena Bruciata.
Emily rimase come paralizzata da quella dolce musica che quell'uomo sapeva fare. Il ritornello era un pò pauroso ma alla fine era libero e bello... come il volo di un uccello.
All'improvviso, l'uomo cessò e chiuse gli occhi da sotto le lenti degli occhiali che portava. Sorrise a stento, da solo e senza motivo.
-Battezzi tu questa classe, quest'anno?- Chiese l'uomo con una punta d'ironia nella voce. Cosa che fece irritare non poco Emily, ma si trattenne. Era già in punizione e rispondere male all'assistente del professore di musica avrebbe solo peggiorato la situazione.
-Pare di si. Ma non per mio volere.- Tenne a precisare la giovane, prendendo posto in uno dei tanti banchi vuoti, visto che erano tutti alle altre lezioni.
Finalmente l'uomo si voltò ed Emily lo vide. Ora poteva descrivere il suo volto... era giovane, con la barba rasa e alcune ciocche di capelli marroni. Ad occhio e croce... doveva avere più o meno vent'anni.
-Nessuno credo venga qui per propio volere. Trovo che, comunque...- Si interruppe per pulirsi gli occhiali, infatti con un gesto se li sfilò, pulendoseli con il panno celestino che aveva nel taschino. - sia più soddisfacente una giornata chiusa qui in punizione che altre mille all'inferno.- Concluse con aria saggia.
Ad Emily parve di star già all'inferno.
-Siete un testimone di geova o cosa..? Parlate come uno di loro.- Ironizzò la giovane, facendo ridere l'uomo.
-Non proprio. Sono un pastore. Fondai una chiesa in un posto non molto lontano da qui.- Rispose, rimettendosi gli occhiali sul naso.
Ma bene... le toccava passare due ore con un fondatore di chiese.
-Dove?- Chiese Emily, tanto per parlare.
-In un posto chiamato... Silent Hill.- Rispose l'uomo, osservando la reazione della giovane.
Emily sobbalzò nel sentire quel nome. Si ricordò del sogno dell'altra sera e le sembrò di respirare ancora quell'aria pesante di sangue, di ruggine... proprio come prima in corridoio.
-Ci siete mai stata, signorina?- Chiese l'uomo, riportando l'attenzione sullo spartito.
-No!- Esclamò d'improvviso, ottenendo un occhiata preoccupata dallo stesso musicista-pastore.
Si alzò dal banco e andò alla finestra, aprendola nel tentativo di portar vi brutti ricordi.
-Scusatemi...-
Si scusò lei, osservando il pastore.
-Non fa niente. Non vi chiederò motivi sulla vostra reazione. A volte non si è consci del risultato di alcune parole.- Disse l'uomo con un sorriso.
Emily lo ricambiò con disinvoltura. -Grazie.- Disse lei, annuendo di poco.
L'uomo le si avvicinò e le tese la mano. -Sono Vincent Smith, assistente del professor Yamaoka e pastore della chiesa a Silent Hill, "Le Vie del Paradiso".- Le disse il pastore, presentandosi.
Emily osservò che era un nome abbastanza classico per una chiesa e le parve di averlo già sentito. Gli strinse la mano, presentandosi a sua volta. -Emily Sheperd.-
Lui la guardò con un sopracciglio alzato ma lasciò scorrere ciò che stava pensando.
-Emily, dunque, se siete stufa di stare qui vi comprendo. Le punizioni non sono facili da abbozzare... specialmente quelle che nostro Signore sceglie per noi.- Disse Vincent con aria saggia.
Sembrava proprio un angelo.
-Ovvero... se siete stanca tornate a casa, firmerò per voi l'uscita.- Concluse con un sorriso.
Emily ricambiò, non trovando quasi vere le parole del pastore. 
-La ringrazio, pastore Smith.- Disse Emily, raggiungendo la porta.
-Chiamami semplicemente Vincent, Emily.- Le disse da dietro. 
Lei aprì la porta, pronta per uscire. Diede un' ultima occhiata a lui e annuì, ringranziandolo ancora. 
Appena fu fuori tirò un sospiro di sollievo, ora doveva uscire da quell'istituto. Trovò facilmente la seconda uscita per non destare sospetti e si avviò verso la clinica psichiatrica del professor Kauffman. Elle diceva che era uno dei migliori... tanto valeva fidarsi, no?! 
Fortuna che la clinica era a poche ore di distanza dal liceo Midwich. Entrò e attese in sala d'attesa. Non era ancora ora dell'appuntamento ma avrebbe fatto prima. Quel giorno il professor Michael Kauffman non aveva molti pazienti, tanto.
Le arrivò una chiamata dalla madre in segreteria sul suo cellulare, mezz'ora dopo.
"Scusami, Emily. Sono andata con Alex dal vicesceriffo Wheleer, a Sheperd's Gleen. Tu va dallo psicologo e poi torna a casa, torneremo per cena. A dopo, mio tesoro."
Sua madre non era una di tante parole ma acconsentì il fatto che lei non ci sarebbe stata. Meglio, almeno non avrebbe aspettato ancora inutilmente. 
Pochi minuti dopo, Miri Montgomery chiamò Emily per dirle che poteva raggiungere il dottor Kauffamm e si apprestò a seguire la sua segretaria nel suo ufficio.






Note d'Autrice:
Eccomi con il secondo capitolo. Qui conosciamo due personaggi molto interessanti... anche se uno lo conosciamo già per chi  ha giocato a "Silent Hill 3". Anche se non viene mai rivelato il cognome di Vincent... dalla wikia si edige che il suo cognome è Smith e si legge anche nel cd "Book's Of Memories". Spero di ricevere un vostro commento. 
Sister.

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Capitolo 3
*** Terapia Intensiva ***


-Sono felice di rivederti. Se sei tornata vuol dire che ci tieni alla nostra terapia. Passiamo a cose più importanti, adesso... sarebbe stato meglio attraversare direttamente la tematica dell' "incidente" ma anche così va bene. Ora, Emily, apri la mente e dimmi ciò che vedi o ricordi.-
Così iniziò il professor Kauffman la sua terapia. La nostra terapia a dire il vero. Era ormai un mese esatto che andavo puntualmente nella sua clinica, vicino al faro, per scoprire del perchè questi strani incubi.
La mascherina di vetro mi coprì gli occhi e divenne tutto buio. Stavo... aprendo la mente.

Non c'era notte più fredda all'indirizzo di St. Saul Street, a Silent Hill. Di colpo divenne tutto confuso, guaito di cani che bramano carne umana, fresca e manichini che ciondolano nella nebbia e che ti stringono a loro per la via del soffocamento.
Un cancello non troppo grande, singolo. All'interno un piccolo cortile con alcune macchie di sangue che conducevano all'interno di una enorme villa stile Kensington Palace di Londra. Nell'anticamera, appena entrati nel portone, in alto, c'era un lampadario d'oro con alcuni cristalli vicino le lampadine, ricoperto sopra con alcune ragnatele, significato che non era molto utilizzabile o pulito. All'improvviso... un rumore nella camera successiva. Curiosa, il mio subconscio mi riporta direttamente alla mente di un episodio.
Un piccolo giardino con al centro una lapide. Su quella lapide c'era scolpito qualcosa:
"Con te è morta gioia.
Tutto ciò che rimane è la disperazione e un futuro di domani senza significato.
Ma io non mi arrenderò mai.
Uno, per rivedere il tuo bellissimo sorriso.
Uno, per chiedere la benedizione degli Dei.
Aspetto quel giorno.
Quando le ____ copriranno tutto.
Tutta la tristezza sarà coperta.
Ma fin quando i miei sogni non diventeranno realtà dovrò inghiottire il mio ______.
"

-Accidenti!- Ringhiai tra i denti di un forte dolore alla testa. D'istinto riaprì gli occhi e notai che la mascherina di vetro non c'era più. Le ipnosi non funzionano come speravo.
-Hai chiuso la mente troppo presto. Alcune parole incise sull'epitaffio della lapide sono state illeggibili dal monitor del computer. Ma almeno sappiamo il perchè la sua mente si spinge così vicino a lei.- Spiega il professore, risiedendo alla sua poltrona. Dopo un'ora di chiacchiere decido di mettere in funzione il mio subconscio ma lui non ne vuol sapere di ricordare.
-Cosa dovrei fare?- Chiesi, rimettendo i piedi a terra, ingurgitando una pasticca datomi dalla segretaria del dottor Kauffman.
-Allenare il suo cervello a questi tipi di esercizi sino a Venerdì, dove riprenderemo da dove ci siamo interrotti.- Spiega tranquillo Kauffman, digitando qualcosa al suo computer portatile. -Firmi l'uscita alla segreteria, Miri provvederà a darle un tabbellone sulla quale ci sono scritti alcuni orari. In quegli orari dovrà eseguire gli esercizi. Ciò ci permetterà di analizzare al massimo la cosa, Venerdì.- Detto ciò, mi indicò la porta.
Feci per raggiungerla e solo quando ebbi già la mano sulla maniglia, mi chiamò.
-Emily?-
Mi voltai.
-Si?-
Ora, il dottore, si era tolto gli occhiali e gli aveva appoggiati sulla scrivania, mostrando il suo volto stanco di tarda età.
-Non provare ad andare avanti con gli esercizi. Il tuo subconscio potrebbe farti vedere cose che vuole che tu veda. A volte queste si manifestano in quelle che in medicina si chiamano "allucinazioni". Sì paziente e cauta. Se vedi qualsiasi cosa che ti sembra surreale vieni a parlare con me, d'accordo?-
Non seppi neanche io perchè non gli parlai dell'allucinazione avvenuta quel mattino a scuola. Annuì, uscendo dallo studio, salutandolo.
Miri mi fece firmare l'uscita e mi diede quel tabbellone. C'erano molti orari. Notai che fuori era notte, ormai. Così presto? L'orologio del telefono faceva solamente le 17 e 30. 
I taxy erano fuori uso, le corriere non passavano... l'unico mezzo che poteva permettermi di tornare agli appartamenti di Daesy, era il treno.
Scesi nella metropolitana, rimanendo ferma sulle scale mobili mentre queste scendevano lentamente. Mi diedero il tempo di pensare alla seduta con il dottor Kauffman. Perchè la mia mente si era chiusa? Forse perchè non era allenata.. forse.
Alla scesa della metropolitana diedi uno sguardo agli orari dei treni. Fortunatamente il treno per Portland sarebbe arrivato alle 17 e 50, avrei dovuto sbrigarmi.
Consultai la mappa e scesi le scale verde scuro, aspettando l'arrivo del treno sul binario 2/1 per Portland. Mi sedetti sulla panchina, sentendo subito dopo un cancello che si chiudeva. Mi voltai e sentii solo dei singhiozzi.
-C'è qualcuno?- Chiesi, alzandomi.
Mi avvicinai al cancello chiuso e all'ennesimo singhiozzo feci per aprirlo. Ma notai la maniglia rotta e che la serratura era bloccata.
-Papà?- Chiese una voce di bambina, terrorizzata. 
Forse si era persa ed era spaventata... bhè, alla sua età... mi sarei spaventata anch'io.
-No, piccola. Ti sei persa?-
I singhiozzi aumentavano e non ottenni nessuna risposta. Poco dopo sentii dei passi allontanarsi e una figura sparire nel buio del corridoio dell'altro binario.
-Hey, aspetta!- Urlai io, cercando di aprire quel cancello.
Stavo per raggiungerla attraverso le rotaie ma il campanello dell'arrivo del treno mi mise in allarme, risalendo subito sulla piattaforma.
Appena mi voltai vidi le porte del treno aperte. Mi dispiace per quella bambina... così sola, in un posto come quello. Sospirai, salendo sul treno. Tanto ormai si era anche allontanata... come se fosse spaventata da me.
Mi sedetti sul sedile del treno, mentre questo ripartiva a tutta velocità. 
Mentre cercavo di riprendere sonno, la luce di quello scompartimento si accendeva e spegneva ad intervalli. Mi dava fastidio... all'ennesimo manifestamento, sbuffai, scegliendo un altro scompartimento. Tanto il treno era deserto.
Aprì la porta bianca del secondo scompartimento... lì le luci erano proprio spente. 
Aprì allora... la terza porta bianca, lì le luci erano accese... ma quei singhiozzi continuavano a tormentarmi, rimbombando per tutto il treno.
Ora, provenivano dal quarto scomparimento. Mi avvicinai con cautela, mentre quei singhiozzi continuavano a farsi sentire sempre più forti.
Contai fino a tre ed infine spalancai la porta, trovandomi davanti del giornale retto da due mani. Il proprietario di quelle mani abbassò il giornale, sorridendomi.
-Emily, che sorpresa!- Mi disse la voce gentile e garbata di Tharo, professore e compositore di musica al liceo dove studiavo. Mi sorpresi io stessa di trovarlo lì... credevo di trovarci... come aveva detto il dottor Kauffman, sarebbero cominciate le allucinazioni, dovevo solo evitarle, Venerdì l'avrei avvertito.
-Professore... come mai qui?- Chiesi gentile, accomodandomi vicino a lui.
Tharo piegò in due il giornale, posandolo sul sedile accanto e si voltò a guardarmi.
-Ho appena accompagnato Padre Vincent alla sua chiesa, ora conto di tornare a casa, nello South Vale.-
Non era poi così lontano da Portland, col treno ci si impiegava di meno.
South Vale... mi parve di esserci già stata, il nome non mi era nuovo. Sempre su quella via c'era un parco... il Rosewater Park. Mi bloccai di colpo. Ed io come facevo a saperlo?
-E tu come mai qui?- Mi chiese Tharo, mettendosi una mano sotto il mento.
-Visita dal dottore, sto tornando anch'io a casa. I miei mi aspettano.- Risposi, guardandolo.
-Capisco. Quindi un caffè è fuori discussione?-
Annuì solamente.
-Sarà per un'altra volta, grazie lo stesso, professore.-
-Chiamami Tharo.- Mi disse dolcemente lui. 
Era così carino e gentile... diciamo che era molto meno enigmatico e misterioso di Padre Vincent. 
Durante il viaggio gli raccontai di me e della mia infanzia, bugie la maggior parte visto che non avevo molti ricordi di quand'ero piccola... ma evitai di dirgli di essere stata adottata da Alex ed Elle quando stavano scappando da Sheperd's Gleen. In compenso, seppi qualcosa di lui. Si era laureato all'università di Yale, Stati Uniti, e aveva lavorato subito nel campo della musica. Mi disse di avere avuto una zia che l'aveva inserito nel liceo di Portland, era grazie a lei se aveva quella posizione adesso. Non mi volle dire il nome di sua zia, sicuramente non la conoscevo.
Ci fu il suono di un campanello dopo mezz'ora, il treno era arrivato a Portland.
-Sono arrivata.- Annunciai, alzandomi. Avevamo parlato per un bel pezzo e ci eravamo un pò conosciuti...
Lui rimase seduto, salutandomi con il cenno di una mano.
-Io invece ho ancora mezz'ora di treno. Ci vediamo domani a lezione, Emily.-
-A domani, profes... Tharo.- Mi corressi subito dopo, uscendo dal treno.
Pochi passi a piedi mi separavano da i Daesy Villa Appartament's. Fu un sollievo trovare il suo cartello verde con il carattere d'orato.
Mi sarei finalmente riposata.
Entrai nella palazzina e salì al secondo piano, andando alla porta dove fuori c'era la targhetta: "Sheperd", in  oro. Misi le chiavi di casa nella toppa e girai, entrando.
Richiusi la porta, avanzando nel breve corridoio dell'appartamento. Mi stiracchiai, notando una chioma bionda che mi dava le spalle, seduta alla poltrona del salone.
-Oh, mamma!- Dissi felice, camminando nella sua direzione. -E' stata una giornata dura. Sai... il dottor Kauffman mi ha detto che siamo a buon punto.-
Notai che non ricevevo risposta.
-Mamma?-
La chiamai. Niente.
Curiosa mi avvicinai a lei, sgranando gli occhi da ciò che vidi.




Note d'Autrice:
Eccomi con l'aggiornamento del capitolo 3! 
Un vostro parere mi fa sempre piacere, ovviamente. Positivo, neutro o negativo che sia.
L'opinione è opinione.. ;)
Tanks,
Lady Halsingland.

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