lame brillanti

di _i_am_a_dreamer_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** l'uomo in maschera ***
Capitolo 2: *** la vecchia ***
Capitolo 3: *** Mike ***
Capitolo 4: *** i ladri ***



Capitolo 1
*** l'uomo in maschera ***


Luce fortissima .Le lame brillarono nell'ombra appiccicosa, due lampi improvvisi e rapidi che con un balenante "wiiiish" sfogarono la loro rabbia contro la figura che si stagliava a malapena di fronte. Quello emise un gorgoglio soffocato, simile al rumore prodotto dal getto d'acqua quando è risucchiato nello scarico. Dalla bocca e dal torace fuoriuscì il medesimo suono e Mike non riuscì a trattenere un sorrisetto compiaciuto. Attese qualche minuto che il rumore si calmò: ansimando per la carenza di ossigeno la grottesca figura allungò una mano verso di lui, istintivamente si ritrasse. Alzò la lama che reggeva nella mano sinistra, già chiazzata da piccole gocce di un rosso profondissimo. Come un cobra l'acciaio scattò e un paio di dita tozze caddero in terra, producendo un soffice tonfo. Lo sentì a rallentatore. Gli occhi della maschera cerulea si allargarono per lo stupore e il terrore. La fine, aveva in quel tragico momento compreso come in un terribile deja vù da scena di film horror di infimo ordine, era irrimediabilmente prossima a divenire una realtà. Il tranquillo giovanotto che gli stava di fronte appariva non solo calmo, addirittura serafico, e gli stava sorridendo amabilmente. Aveva il volto liscio e rosato, distorto in un ghigno infantile:  si stava divertendo ad ucciderlo: era quella la terribile ridicola, in un certo senso blasfema, verità. Riuscì a lanciargli un'ultima sbiadita confusa occhiata prima di sprofondare ancor più nel buio. Se avesse potuto gli avrebbe domandato il perché, la profonda, intrinseca, definitiva motivazione di quel gesto, dato che nemmeno sapeva chi fosse. Subito dopo si quietarono e, dopo una sommaria pulizia per eliminare il sangue in eccesso, furono con cura riposte nei rispettivi foderi, ma il teschio umano, dalla pallida pelle tirata, quasi innaturalmente, sugli zigomi pronunciati e dagli occhi infossati, che apparivano simili a due pozze oscure senza fondo, ghignò nuovamente: mostrò una chiostra di denti bianchicci e seghettati. Per un breve momento a Mike tutto apparve luminoso e limpido, sebbene l'oscurità fosse profonda e torbida. Con un corto pugnale incise alcuni simboli stilizzati sul volto del fantoccio sanguinolento che era accasciato scompostamente ai suoi piedi. Quindi procedette a staccare, con un preciso fendente un orecchio e, dopo averlo avvolto in un candido pezzo di cotone, lo ripose con cura in uno scatolino. Il viso si aprì in un largo sorriso ebbro di gioia infantile. Con un calcio spostò la massa informe, che era stato un uomo fino a che l'aveva incontrato forse poco più di un'ora prima, e se abbandonò quella maleodorante alcova oscura. Incurante di ciò che aveva compiuto, si mosse silenzioso e solitario, come sempre. Senza guardare nessuno dei passanti in strada e senza domandare scusa a coloro che urtava se ne tornò a casa, sorrideva. Si sentiva deliziato di sé, non del suo gesto ovviamente, non gli provocava un particolare piacere - tranne quando affondava l'acciaio argenteo nella carne sentendo nervi e muscoli cedere, in quel momento una certa eccitazione lo percorreva, lasciando poi solo vuoto e il bisogno fisico di provarla di nuovo - compiere quelle azioni ma doveva, era necessario per liberare il mondo da tutti quegli essere immondi che lo percorrevano. Era una missione la sua, come quelle degli apostoli di cui suor Safna, gli raccontava quando era bambino. Suor Safna gli aveva sempre detto che avrebbe fatto qualcosa di grande come loro, una volta cresciuto. Safna era la tipica cingalese bassa, scura di carnagione, con qualche neo e capelli lunghi, grassi e scuri (schiariti dalla vecchiaia) raggruppati in una folta treccia nascosta dalla bianca veste da suora. E ora lui agiva per renderla orgogliosa e quando le avrebbe fatto avere tutti i suoi regali, lo sarebbe stata di sicuro. Arrivò a casa all'imbrunire e salì al suo appartamento, il benessere cominciava a scemare e cercó di concentrarsi su ciò che doveva fare l'indomani sera al lavoro, valutò l'opzione di cercare compagnia, ma Lei non stava più con lui. L’avrebbe rivista solo un mese dopo. Lei lo conosceva bene, fin da quando Suor Safna gli raccontava le storie della chiesa. E una volta le aveva detto che Lei era bella come la Vergine Maria.

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Capitolo 2
*** la vecchia ***


Mike fece scattare la serratura ed entrò, non accese la luce e si mosse a suo agio nel buio, posò le spade sul tavolo, andò in bagno e si fece una doccia. L'igiene personale prima di tutto, gli aveva insegnato suor Safna, che odorava sempre di fresco e pulito. Anche lei era sempre profumata quando si lasciava toccare da lui. Ridacchiò mentre si insaponava. Dopo la doccia si mise il pigiama e si coricò, ancora sorrideva gioioso per quanto compiuto ore prima, mentre sprofondava nel sonno. Dormì per buona parte del giorno ed era quasi il crepuscolo quando emerse dal torpore. Si sentiva in uno stato prossimo alla catatonia, come spesso gli accadeva dopo aver portato a termine un tassello in più di missione. Fu colto da un'accesso di risa mentre si aggirava per casa passando dalla stanza da bagno alla cucina e poi al salotto e di nuovo in cucina. Fu dopo il caffè che ritrovò un pochino di calma, godendo non solo dell'aroma della bevanda ma anche della fioca luce rossastra che filtrava dalle tapparelle abbassate, ma durò solo pochi minuti. Un bussare forte e cattivo, di quelli martellanti nelle tempie e che rimbombano nel cervello, lo obbligò ad abbandonare la sua tazza di caffè e ad andare ad aprire la porta. In pigiama e vestaglia. Tolse la catenella e socchiuse l'uscio, dall'altra parte qualcuno con rabbia spinse la lastra di legno rovinato e lo sbatté da parte, quasi contro il muro, prendendo possesso poi dell'ingresso del suo appartamento. La padrona di casa: una vecchia vedova sorda completa ma che sosteneva di udire tutto, e il suo "tutto" proveniva sempre dal suo appartamento. Ululando inveì contro di lui, sul suo disordine e su altre piccolezze, di ben poco conto per chiunque altro. Pagava l'affitto regolarmente cosa fregava alla vecchia se non puliva? Quella continuava l'ispezione a sorpresa blabeggiando a voce alta. Il male al capo esplose e il dolore inondò il suo cervello di luce bianca e pulsante mentre quella non ne voleva sapere di tacere, ma senza spiegargli il motivo di quell'autentica irruzione. Arrivò in cucina, che fungeva anche da sala da pranzo e lui dietro, che si massaggiava dalla tempia alla mascella, sperando di riuscire a lenire il male, per qualche minuto. "Perché il rumore che producete quando entrate e quando uscite con quei vostri scarponi - blaterava la padrona di casa senza più badare a lui - e vi sento benissimo, so che siete voi...". Non finì la frase che ebbe la carotide fu squarciata, da parte a parte, con un solo movimento proveniente dalle sue spalle. Il suo monologo si trasformò in un rantolo gorgogliante. Rise mentre il brivido di piacere lo attraversava, come la scossa elettrica di un fulmine. Rise, la luce nella sua testa cominciò a placarsi e solo quando ebbe recuperato il controllo di sé vide cosa aveva fatto: aveva sporcato di sangue tutto il tappeto e quanto ci sarebbe voluto per pulirlo da solo dato che non poteva mandarlo in lavanderia. Dalla camera risuonò la sveglia del telefono, sempre puntata per non far tardi al lavoro. Guardò di nuovo lo scempio, il cadavere malamente riverso sul pavimento, la chiazza rossa che impregnava il tappeto allargandosi anche sul pavimento di linoleum: spallucciò. Avrebbe sistemato al ritorno, nessuno avrebbe notato la sparizione della vecchia per qualche ora ancora. Le tirò un calcio, gli aveva fatto fare tardi e ora si sarebbe sorbito una ramanzina dal capo. Si vestì in fretta e di corsa uscì dirigendosi verso l'ufficio dove per otto ore passava il suo tempo svolgendo le mansioni più pesanti. Mentre correva due delle sue 10 lame ballonzolavano nella borsa da hockey che gli pendeva sulla spalla ed un sorriso radioso e infantile gli illuminava il volto.

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Capitolo 3
*** Mike ***


Clacson, freni e sirene, i rumori della città assordavano Mike mentre trotterellava su un marciapiede del centro con la borsa in spalla. Dai movimenti sembrava quasi una ragazzina nonostante la sua imponenza: Mike era un omone di una trentina d’anni, alto quasi un paio di metri, con pelle color oliva e muscoli ovunque, un po’ imbruttito da una malformazione alla mano sinistra, aveva il viso scuro, coperto da occhiali da sole che brillava nel sole londinese. Si dirigeva verso il suo ufficio dove lavorava da una decina di anni, da quando si trasferì a Londra, quando divenne abbastanza grande da lasciare Suor Safna, la sua madre adottiva. La sua vera madre sarebbe stata una prostituta di Napoli con origini arabe, visibili anche nella carnagione del figlio, suo padre, uno sconosciuto. A pochi mesi fu abbandonato dalla madre e, da ciò che riuscì a rubargli da bocca una volta la suora, sarebbe andato a vivere con un certo “bello” che lo frustava quotidianamente e lo costringeva a chiedere l’elemosina per le vie della città. Parlava italiano, ma la suora gli iniziò a parlare inglese e così imparò anche questo, quando fu adottato stava nella prima adolescenza e fu portato in convento pieno di ferite e tutto ricoperto da sporcizia. Il perché molte brave persone come Suor Safna vengono attirate dalla chiesa, che in passato ha portato guerre e povertà non lo so, ma che la suora era una persona adorabile lo posso dire con certezza. Mike non la vedeva da quasi un’anno, perché l’ormai vecchia signora si trasferì poco dopo che il figlio adottivo avesse preso posto nell’agenzia di assicurazioni che, Mike aveva già raggiunto. La porta di vetro si aprì con un leggero ‘’squuuuik’’ che stampò un sorriso sulla faccia del ragazzo che ancora non dimenticava l’accaduto della sera prima, non sapeva il perché l’avesse fatto, era come un istinto da dentro, qualcosa che gli pungeva nello stomaco. Per un tratto pensò alle sue due, non ricordava dove le avesse trovate, ne da quando le aveva ma era di sicuro molto tempo prima. Controllò il suo scintillante orologio da polso: le appuntite lancette di ferro indicavano lo stesso numero, il dieci. Aveva ancora una decina di minuti prima dell’inizio del suo turno; si aggiustò lo zaino sulle spalle e i pantaloni grigiastri e con un leggero, quasi assonnato movimento chiamò l’ascensore che si apri in un batter d’occhio. Mike vi entrò ed appoggiando il suo corpo ad una parete guardava la città da attraverso la luccicante parete di vetro ch emanava molto calore. Macchine e persone si muovevano senza fermarsi come il sangue nel cuore, un continuo battito di gente che manteneva in vita Londra, la sua città preferita. Si era immerso nei suoi pensieri quando l’ascensore suonò e un numero 9 in rosso coprì la parte superiore della porta che con un leggero squittio si aprì. Non erano ancora le 10 del mattino e allungando il corpo verso una sedia in plastica scura vicino una parete diagonale che mostrava il centro della capitale britannica, il giovane si posò lo zaino da hockey sulle ginocchia che spostando la cerniera metallica verso la sua destra, cercò di aprire, non ci riuscì. Al terzo tentativo la scura borsa cilindrica si aprì, c’erano quadernini, matite, penne e roba per l’ufficio in un angolo si intravedeva una busta marroncina arrotolata su se stessa unta ai lati, che mostrava un po’ del pranzo di Mike, un panino con beacon e insalata, pronto per la pausa pranzo. Però non vide le lame che aveva usato per assassinare uno sconosciuto e l’innocente padrona di casa che per qualche motivo si trovava nel suo appartamento poco prima. Controllò anche le due tasche esterne. Un pacchetto ancora chiuso di Vigasol. Il suo scuro I-Phone in un portacellulari verde. E infine un portamonete con qualche sterlina. Ma le due lame erano sparite…

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Capitolo 4
*** i ladri ***


Per la pausa pranzo Mike non tornò all’appartamento, si fermò su una panchina malandata sulla riva del fiume, le nuvole mille formi iniziarono a riempire il chiaro cielo, piccioni e gabbiani giravano tranquilli nel vento salato e il traffico della capitale riempiva ogni vicolo con viavai di auto, taxi e bus. Alle 4:00 il ragazzo uscì dall’ufficio, una soffice pioggerellina bagnava le pozzanghere e gli operai che correvano sotto i muri delle abitazioni del centro. La pioggia si infittì per quando tornò a casa, arrivato al portone, si tolse la giacca nera e controllò la vuota cassetta della posta. Salì le scale e a sua sorpresa trovò la porta del suo appartamento spalancata, si controllò la tasca dei pantaloni e vi trovò la chiave. La fissò sorpreso con gli occhi spalancati e alzando lentamente la scura testa pelata, guardò l’interno della casa… vi entrò a passi lenti e si guardò spaventato attorno, il corpo della vecchia era lì, sul tappeto in una macchia di sangue, il suo corpo bianco come il latte quasi brillava nella stanza scurita dalle tapparelle abbassate. Girandosi notò che tutto era al suo posto e sentì lo squillo del suo cordless; raggiungendo la camera da letto non alzò le persiane e notando che era tutto a posto, fece quasi per fare un sospiro di sollievo. Il telefono smise di suonare. Accese la luce. Sentì un grido, si buttò verso il comodino ma fu preso da un ragazzo incappucciato con una maschera al viso, l’aveva già vista, la maschera. Era circondato da omoni vestiti nello stesso modo, due erano proprio a fianco a lui, un’altra decina gli formava un semicerchio attorno. L’infortunato Mike chiuse gli occhi, tirò un calcio nelle parti basse del ragazzo che lo manteneva e strappando il telefono della sua custodia facendo un curioso ‘’biip’’, riuscì a comporre il 999 (versione inglese del 113) e ad avvisare dei ladri. Il semicerchio si restrinse lentamente attorno al ragazzo che inizio a tremare richiudendo gli occhi. Passò qualche lungo minuto e uno dei tipi giusto di fronde a Mike alzando lo sguardo da terra fece uscire un paio di parole singhiozzanti. -Ci servono le tue lame – disse con un forzato accento mediorientale – Dacci le otto lame e ti lasceremo an… - non ebbe il tempo di finire la minaccia che la porta della stanza cadde, un rumore forte la devastò, uno stivale nero, grosso e pesante calpestò la porta coricata e, come in marcia, tre poliziotti alti e magri entrarono nella stanza da letto. L’ultimo dei tre si spinse a passi veloci verso la grossa portafinestra che dava sul balconcino e con un velocissimo gesto, riuscì ad aprire le finestre alzando le scure tapparelle. Un raggio di luce giallastra devastò la stanza e il vento salato entrò lentamente riempendone l’aria. Il poliziotto si avvicinò ai due compagni e li aiutò ad interrogare i ladri che, togliendo le misteriose maschere, avevano rivelato di essere innocenti ragazzini di poco più di 20 anni. Nessuno rispose alle domande dei poliziotti, che furono costretti a trasportare i ragazzi nel salone tirandoli per il colletto. Mike li incolpò dell’uccisione della vecchia che aveva fatto fuori la sera prima. I ladri non dissero niente, non sembravano molto preoccupati, probabilmente capivano poco di ciò che stava succedendo, anzi, rimanendo sugli attenti appoggiati ad un muro dipinto vivacemente con forti tonalità di verde e giallo, sembravano ridacchiare vivacemente come bambini. Nel frattempo i poliziotti stavano interrogando il proprietario di casa, quasi schifati dal corpo sdraiato al centro della stanza che aveva già attirato un’infinità di insetti microscopici, Mike li informò dell’accaduto la mattina e del muscoloso ladro – senza però ammettere di averlo ucciso-, non aveva parlato delle lame che erano il motivo della presenza degli sconosciuti. Presto i tre poliziotti uscirono dall’appartamento e il più grosso informò dell’accaduto e della vecchia tramite una chiamata che durò qualche minuto. I due colleghi, nel frattempo stavano trascinando i ladri uno alla volta giù dalle pulite scale marmoree del palazzo portandoli in un furgoncino scuro. Presto arrivarono dei tipi in camice bianco che dopo aver domandato sull’accaduto a Mike, presero il corpo della proprietaria del palazzo e la portarono giù in un lettino bianco. Andandosene, sia i tipi in bianco che i poliziotti salutarono affettuosamente il povero Mike, che si appisolò presto sul divano.

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