Fighting Hard

di _Miss_X_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Galeotto fu il barattolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

:-Allora non ti sei stancato? Disse la ragazza
:-No, perché dovrei stancarmi Queen…-disse l’uomo davanti a lei -ho l’impressione che tu potresti essermi utile, ti ho vista davanti alla scuola, spesso, alla fermata dell’autobus, sulla strada di casa, in macchina con i tuoi, a spasso il pomeriggio.
Passi un’esistenza misera, dovresti ser-
:-tempo scaduto… fece lei facendo dondolare una collana a cui er attaccato un orologio in fondo
Lui fece una faccia sconvolta, er astato interrotto, ma la cosa ancora più sconvolgente fu vedere una ragazzina indifesa scoccargli un calcio secco tra le gambe, si accasciò per terra, poi ricevette un colpo di piatto sul pomo d’adamo e stramazzò a terra, ai limiti dell’agonia.
Lei scappò a grandi falcate.
Sulla strada si scontrò con un essere, si divincolò ma quello la fermò.
:-Ti avevo…-riprese fiato- vista in pericolo e- sospiro- ti ho seguita, avevo paura- fiatone- che fossi già morta…
:-Tutto bene Jun… ora scappa.
:-Ma Sa…
:-Niente storie e muovi quelle chiappe sode che ti ritrovi o quel tipo te le affetta, ha un coltello.
:-Ti ha fatto male? Disse mentre la seguiva mettendosi nuovamente a correre
:-Signor Choi non si preoccupi… è solo un taglietto… disse la ragazza stringendosi l’avambraccio col fiatone mentre correva verso casa seguita dal compagno.
Arrivarono davanti alla porta del palazzo dove abitava lei, entrarono e si buttarono per terra non appena chiusero la porta con tre mandate.
Per un attimo si sentì solo il respiro affaticato dei due e nel seminterrato dove si erano andati a nascondere ci fu il silenzio.
I due dopo un po’ si guardarono e si misero a ridere, una risata isterica e liberatoria, poi a lei cominciarono ascendere dei lacrimoni di paura giù dalle guancie mentre la bocca ancora rideva, lui le prese il viso e lo appoggiò sulla sua spalla.
:-E’ tutto finito… tranquilla Sa…
Lei singhiozzò
:-Sara… Queen! Riprenditi!
Lei dopo un altro paio di singhiozzi rotti gli sferrò un pungo allo stomaco e lui soffocò un’imprecazione.
:-Choi Jun Hong… piantala di farmi da madre….
 
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Sara Queen

Sara era al terzo anno, ma aveva riscosso abbastanza rispetto anche tra i veterani della scuola. Non che fosse la classica teppista da manga giapponese, semplicemente aveva carisma, un carisma aiutato da un destro notevole, si poteva dire che avesse un fisico perfetto: alta, magra, lineamenti regolari, occhi grandi, capelli lunghi e lucenti e poi era occidentale, cosa che non capitava spesso a Seoul e che l’aveva fatta subito spiccare in quella scuola di ragazze e ragazzi con gli occhi neri a mandorla e i capelli lisci e neri.
La prima volta che era arrivata in quella scuola, tre anni prima, si era presentata vestita con una felpa tre taglie più grandi a mò di giacca, sotto di essa un’altra felpa il cui cappuccio era calcato sulla sua testa e dei jeans sformati e logori, i capelli erano sciolti e le arrivavano sotto la scapola, non era truccata, come al solito e portava con sé una borsa blu mezza sfasciata con dentro un quaderno smangiato a forza di strapparci fogli alle medie e la copertina piena di disegnini e scarabocchi vari.
Subito era accorsa la vicepreside, una donna sulla cinquantina, tozza e con più o meno tre menti, che le aveva urlato contro di andare via perché quello non era il centro di ritrovo per disintossicarsi.
Sara le aveva rivolto uno sguardo gelido e poi le aveva ficcato in mano il foglio dell’iscrizione, mentre intorno alle due donne si era formato un capannello di curiosi che smaniavano di vedere qualcuno prendere a pungi la vicepreside.
Quest’ultima vide il foglio, lo strappò con sdegno dalle mani affusolate dell’incivile ragazza e lo lesse, dopo aver terminato afferrò la sacca della ragazza e trascinandola insieme alla sua proprietaria verso la scuola cominciò a urlare contro gli studenti di andare nelle rispettive aule.
Il giorno dopo Sara arrivò a scuola con la divisa scolastica che metteva in mostra le gambe magre e la corporatura longilinea, la sacca era sempre quella, come anche la giacca, se così poteva chiamarsi una felpona grigia con delle strisce rosse su collo, polsi e fianchi.
Anche l’espressione era la stessa: l’espressione di una ragazza che non aveva la benché minima voglia di farsi inquadrare in quella scuola d’arte.
 
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Jun Choi

Jun andava al secondo anno quando arrivò Sara, la vide entrare nel cortile vestita alla bella e buona il primo giorno, ma non ci fece caso e continuò a prestare attenzione alla musica che le cuffiette gli sparavano nelle orecchie senza pietà per i suoi timpani ormai decisamente compromessi per la quasi onnipresente presenza dell’mp3 nelle tasche del ragazzo.
Era un ragazzo alto, notevolmente alto per la media della Corea e dell’Asia in generale, ma non gli importava, portava con dignità il suo metro e ottanta di sedicenne in giro per la scuola insieme alla capigliatura decisamente poco orientale riccia e bionda, rigorosamente ossigenata e arricciata.
Andava in giro vestito correttamente, giacca allacciata, camicia nei pantaloni, nodo alla cravatta, unica pecca gli orecchini, ma dopotutto nessuno li aveva quasi mai notati a causa della chioma.
Non era propriamente un divo e non aveva neanche tutto questo successo con le ragazze, era se stesso ovunque andasse, tanto che un compagnia lo aveva selezionato e presto avrebbe debuttato su YouTube. A scuola tutti conoscevano il suo nome, ma pochi potevano dire di conoscerlo, era un ragazzo abbastanza diverso dagli altri, e non perché era un musicista, la vedeva diversamente su molti aspetti e anche se lo avevano bollato con ogni parola offensiva che potesse essere rivolta ad un ragazzino, lui se ne fregava e andava tranquillamente in giro con le cuffiette addosso.
Quello che colpiva tutti, appena lo vedevano era l’altezza, oltre ovviamente ai boccoli d’oro.
Il fisico era asciutto, longilineo, assolutamente non muscoloso, aveva addosso quella che poteva ancora essere definita come sostanza “ciccietta-muscolo” che hanno i bambini appena nati.
Aveva gli occhi castani, a mandorla, vispi e attivi, una pucciosità innata, ma allo stesso tempo una specie di superiorità, dava l’idea del bambino indifeso e dell’uomo vissuto nello stesso tempo, cosa notevolmente contraddittoria e inusuale in un sedicenne.
Dopotutto era però un bravo ragazzo, gentile, disponibile, anche dolce a volte, non troppo timido, sincero e conosciuto per i suoi scherzi, nulla di serio, ma sempre ricordati come “Scherzo epico” o “Battuta incredibile”.
 
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Insomma.. sia Choi che Queen si distinguevano dalla massa, in un modo o nell’altro.
L’uno non conosceva l’altra, non  si erano quasi mai incrociati, non si erano mai parlati, ma soprattutto, non avevano mai neanche detto l’uno all’altro il proprio nome.
Cosa poteva allora avvicinarli a tal punto dal ritrovarci all’inizio della storia?

 

Buon giorno.. o notte… io pubblico questa storia a mezzanotte e dieci, quindi boh, fate voi…
Sono Miss. X e non sono troppo nuova su EFP (ho altri due account con la polvere sopra)
Spero che questa storia, o meglio… il prologo di questa storia sia di vostro gradimento, ci lavoro da un tre quattro giorni e messa così mi sembra abbastanza buona, ovviamente non mi soddisferà mai, ma gradire VERAMENTE TANTO che voi recensiste almeno questo prologhino ino ino…
Infondo sono solo 1117 parole, recensire anche solo con un “BUONO”, un “DECENTE” o un “SCHIFO” non vi farà morire…
Quindi… per favore ditemi che ne pensate.
 

_Miss_X_

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Capitolo 2
*** Galeotto fu il barattolo ***


Cap. 1
Hey I just Met You… And this is crazy but I’ll kill you so give me Cherry Tomatoes Baby
La prima volta che Sara e Junhong ebbero modo di parlarsi fu quando Sara incontrò Jun fuori da scuola.
Era uscita a fare la spesa, viveva con il cane e la zia in un appartamento modesto, per non dire proprio misero, aveva finito latte e pane e siccome non voleva morire di fame si era diretta subito fuori.
Aveva portato con sé Max, il cane che le aveva lasciato il padre prima di partire per l’Inghilterra.
Entrò nel negozio, le porte scorrevoli si aprirono lasciandola passare, legò il cane fuori, come spesso succedeva nei supermercati non sarebbe potuto entrare.
Si diresse verso il reparto freddi.
Prese due litri di latte a lunga conservazione, finì la spesa e si ritrovò davanti all’angolo delle merendine.
Guardò i prezzi, selezionò quello che poteva permettersi, esaminò i gusti rimasti.
Sbuffò. Non credeva che esistessero delle merendine alla frutta. Chi diavolo avrebbe mai comprato delle merendine alla frutta?!
Scazzata fece un ultimo giro tra i corridoi per vedere se aveva bisogno di qualcosa che si era dimenticata, ma aveva tutto. Passo letteralmente oltre il banco della verdura ignorando le vitamine che reclamavano un posto anche nel suo organismo, ma si fermò di fronte ai Cherry Tomato.
:-E questi che diavolo sono? Si chiese prendendo l’ultima scatoletta rimasta nello scaffale.
Lesse gli ingredienti con aria incuriosita e deciso che erano decisamente commestibili li infilò nel cestino.
:-FERMA! Disse la voce di un ragazzo da dietro. Si girò disturbata con un falsissimo sorriso
:-Si? Cosa c’è?
:-Lascia quel barattolo. A dirglielo era un ragazzo più o meno della sua età, alto, biondo e riccio che la guardava a metà tra l’autoritario e l’implorante.
:-Per quale ragione dovrei?
:-Sono miei…
Lo guardò implorando che non avesse realmente detto quella frase da bambino viziato e capriccioso. Chiuse gli occhi, sospirò, scrollò un attimo la testa, lo guardò e se ne andò ignorandolo.
:-Perché non me li dai allora?
:-Non c’è scritto il tuo nome sopra…- disse mentre se ne andava senza neanche girarsi- sempre che non ti chiami Cherry Tomato…
:-Leggi meglio! Il mio nome c’è scritto. Lei si fermò, prese la scatoletta, controllò l’etichetta e poi emise una specie di risata soffocata.
:-Non è vero!
:-Leggi sotto…
Alzò la scatoletta per vedere quello che c’era scritto sotto. Un nome. Scritto con un pennarello indelebile blu. Calligrafia ai limiti del leggibile. “JunHong Choi”
:-E tu saresti Choi JunHong?
:-Esatto…
Finalmente si girò, guardò di nuovo il ragazzo, fece rotolare un po’ la scatoletta che aveva in mano e dopo averla soppesata per bene gli fece un bel dito medio e se ne andò biascicando tra le labbra piegate in un compiaciuto sorriso di disprezzo un “Addiooo~”
:-Domani non avrai tregua!- Le urlò lui da dietro.
Lei lo ignorò.
:-Sara Queen, primo anno, sezione D, secondo piano quarta aula dopo le macchinette.
Si fermò. Come diavolo faceva a sapere tutte quelle cose? :-Sono nella tua stessa scuola… sezione F, secondo anno… il nome lo sai…
:-Mi stai ricattando?
:-No… o solo detto che da ora in poi non riuscirai più a staccarti me di dosso…
:-Tutto questo per…?
:-Cherry Tomato…
Lo guardò scazzata
:-Gli Cherry Tomato sono miei.
E dopo un lungo di silenzio lei gli lanciò la scatoletta più per colpirlo che per concedergliela e con un “fottiti” quasi urlato se ne andò.
Raccattò il cane fuori dal supermercato e se ne tornò a casa, da sua zia.
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:-Ziaaaa! Sono in casa! Urlò
:-Sono in salotto! Vieni! Sta cominciando un programma carino…
Andò in salotto e si sedette vicino alla zia, mezzo sdraiandosi e si mise a vedere il programma. Non fece caso ai contenuti, semplicemente ripensò a quel ragazzo. Al modo infantile in cui le aveva parlato e al fatto che avrebbe tanto voluto mangiare quei Cherry Tomato che sembrava la chiamassero.
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Il girono dopo andò a scuola senza pensare a quella che poteva essere interpretata come una minaccia da parte di Jun.
Percorse il cortile della scuola sfoggiando la sua divisa con spocchiosa noia e dopo essere entrata in classe sua andò a infilarsi nell’ultimo banco vicino alla finestra.
Posò la borsa sfatta sul piano, accese l’mp3, si mise le cuffiette e si mise a dormire.
Entrò il professore che la svegliò togliendole le cuffiette dopo che l’aveva sgridata per mezz’ora.
Lei si alzò, fece un inchino e mettendo la scusa della zia malata e della mancanza di sonno per la preoccupazione si fece perdonare non senza fare un po’ di occhi dolci, palesemente finti, ma che al professore, come succede spesso, fece addolcire il cuore e la lasciò stare, senza interpellarla nelle sue conversazioni né disturbarla se si assopiva.
Durante la ricreazione scese nel cortile, più per evitare che quelli di qualche corso le rompessero le palle chiedendole di prendere parte alle loro iniziative.
Si sedette su un muretto e si mise a guardare il cielo.
Chiuse gli occhi assaporando la brezza, a quel punto qualcosa oscurò il sole che le stava scaldando la pelle. Aprì gli occhi infastidita. Jun.
:-Che vuoi? Disse
:-Disturbarti.
:-Ma non dovresti essere più grande?
:-Lo sono… e allora?
:-fai la persona matura e non rompere.
:-Non dovresti essere più piccola?
:-Lo sono… rispose lei con aria rotta
:-Allora chiamami Oppa.
:-CHE? Fece lei scioccata, non aveva mai chiamato nessuno con quel mieloso soprannome, né aveva mai preso in considerazione l’opzione di farlo e pensare che a chiederglielo era uno che aveva conosciuto il giorno prima e con cui aveva litigato per del cibo come un cane affamato le faceva venire il voltastomaco.
:-Chiamami Oppa…O-P-P-A!
:-Neanche morta…
:-Perché?
:-E’ imbarazzante, mieloso e irritante.
:-Non fai l’Aegyo?
:-Non fa per me.
:-In effetti…
:-Stai dicendo che non sono carina?- fece lei mettendosi sulle sue- potrei offendermi…
:-No… No.. cioè… Aish!
:-Che?
:-… Aish… scusa… non dovevo dirlo…
:-No fai fai! Finalmente qualcuno che dice parolacce… sospirò.
:-Perché?
:-Non ho sentito nessuno dire una parolaccia neanche velata da quando sono arrivata qua…
:-ma sei qua da due giorni…
:-Si.. ma sono abituata alle scuole straniere.. là c’è meno rigore…e le parolacce… almeno nelle scuole dove sono andata io… erano una cosa ordinaria per non dire che ti guardavano male se non ne dicevi…
:-WOW… disse il ragazzo, poi si sedette accanto a lei e le passò una scatola.
:-Cos’è? Disse lei aprendo il fazzolettino che la circondava. :-Il tuo pranzo… ho visto che non l’avevi…. E ho rinunciato a un pochino del mio…
Sara arrossì ma si girò prima di darlo a vedere, prese uno dei Cherry Tomato nella scatola e lo addentò, lui ne prese un altro e si misero insieme a mangiare.
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Quel pomeriggio Jun aveva le prove, lo avevano preso dopo un provino e ora doveva lavorare sodo. Presto avrebbe debuttato insieme a Yongguk, il ragazzo che faceva le prove insieme a lui da un paio d’anni, era più grande di un po’, ma erano diventati grandi amici.
:-Com’è andata a scuola? Chiese il più grande
:-Bene nulla di nuovo… fece il ragazzino
:-Ti vedo più sorridente del solito…
:-Nulla… mi sono fatto un’amica….
Bang sputò dell’acqua dalla bocca :- Ti dai da fare…
Jun lo guardò… poi capì e arrossendo disse :- NO NO NO! NON E’ COME PENSI! Nel senso… cioè… siamo diventati amici!
:-Si… AMICI…
:-No davvero! Nient’altro…
:-Si… e come mai i tuoi Cherry Tomato sono spariti?
:-Non aveva il pranzo e… Ma che sto a spiegare a te…
Yongguk sorrise e scuotendo il capo si infilò la canottiera per le prove e andò di là.
Jun si guardò un po’ allo specchio, dopo essersi soffermato sul quel suo mento che non gli piaceva per niente si ritrovò, non si sa come, a pensare al pranzo che aveva fatto quel giorno, forse il più buono che aveva avuto fino a quel momento, quegli Cherry Tomato gli erano sembrati decisamente più dolci del solito.
:-Piccoletto vieni?? Non ho voglia di allenarmi da solo… la voce di Bang giunse a svegliarlo dallo stato di estasi in cui si era ritrovato.
:-Arrivo arrivo… disse, ma non riuscì a togliersi quel sorriso felice e soddisfatto dalla faccia.
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Due anni dopo~
Sara si svegliò, era nel suo letto e aveva dormito pure abbastanza bene. Succedeva spesso da quando si era trasferita.
Si mise in piedi, mosse un passo ma inciampò nel tappeto, si appoggiò allo scaffale per non cadere, urtò con la mano una scatola che per poco non cadde.
Una selva di improperi sfociò dalle labbra appena sveglie della ragazza.
Teneva molto a quella scatola, a molti poteva sembrare una semplice lattina di pomodori al sapore di ciliegia, ma per lei era molto di più, quel nome scritto in piccolo e abbozzato con un pennarello blu indelebile sul fondo della scatola ormai consumato riusciva a risollevarla ogni volta che aveva cattivi pensieri.
Sorrise di nuovo sollevando la scatola e leggendo quel nome. “JunHong Choi”
Ridacchiò. Quello scemo adesso dormiva in salotto insieme a Max e la Zia ancora non sapeva nulla, tutta colpa di quel maniaco del giorno prima.
Andò a svegliare il cane e l’amico e cominciò a preparare la colazione.

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