*We're Not Broken, Just Bent*

di mamogirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Prima Parte: The Scientist - ***
Capitolo 2: *** - Seconda Parte: We're Not Broken - ***
Capitolo 3: *** - Epilogo: Fix You - ***



Capitolo 1
*** - Prima Parte: The Scientist - ***


 

*Prima Parte*

 

 








 Nobody said it was easy
It's such a shame for us to part
Nobody said it was easy
No one ever said it would be this hard
Oh take me back to the start

Coldplay, The Scientist

 

 

 

 

 

 

 

Freddo.
Fu quella la prima sensazione ad accoglierlo non appena incominciò a riprendere i sensi.
Bagnato.
La seconda arrivò quasi subito, quasi avesse paura di non poter essere presa in considerazione.
Era bagnato e ciò non faceva altro che aumentare i brividi di freddo, al punto da non riuscire a distinguere se effettivamente fosse l’aria della stanza ad essere gelida o se quella sensazione era solamente un’illusione creata dal suo corpo prima, e dalla sua mente poi.
Sbattè le palpebre una, due, tre volte, cercando di sciogliere via quel velo di nebbia che gli offuscava la vista. Ma esso, imperterrito, continuò a coprire i suoi occhi dandogli solamente un microscopico indizio sul luogo dove si trovava, anche se servì a poco.
Buio.
Lì, quel posto, ovunque si trovasse, era avvolto all’oscurità, un blu scuro che solo in un punto, lontano da lui, veniva spezzato via da un fascio di luce gialla e artificiale.
Dove si trovava?
Che cosa gli era successo?
Lentamente, dalla posizione supina, si alzò e si mise a sedere, appoggiando la schiena contro il muro. 
Cemento, freddo.
Il movimento mise in luce qualcosa che aveva cercato di ignorare per quei primi minuti di incoscienza: thum, thum, thum.
Il mal di testa esplose in tutta la sua potenza e intensità, facendo sfuggire un gemito di dolore dalle labbra, secche e graffiate. Sembrava quasi che un martello si fosse materializzato all’interno della sua testa e avesse incominciato a sbattere contro le tempie. Ogni vibrazione era una fitta e, come se fossero tante pedine di un unico domino, esse davano vita e vigore alla nausea, una fastidiosa montagna russa che aveva deciso di fare i suoi giri della morte in quello stretto canale fra lo stomaco e la gola.
Sbornia.
Ecco che cosa gli era successo. Almeno a una domanda poteva dare una risposta.
Un filo di lucidità incominciò a farsi strada in quella nebbia, illuminando a sprazzi ciò che lo circondava.
La sensazione di bagnato proveniva dalla maglietta che aveva indosso e l’odore non era di certo quello dell’acqua: l’aroma pungente di alcohol non fece altro che aumentare la nausea al punto che per un secondo temette di essere sul punto di star male. Oh, aveva un vago ricordo, piuttosto sfocato, di essersi rovesciato addosso una bottiglia di liquore, ecco spiegato il perché di quell’odore.
Inspirò a fondo, lasciando entrare quell’aria fredda dentro di sé. Espirò, buttando fuori parte di quel malessere e, insieme, se ne andò un altro frammento di nebbia, rischiarando un’altra parte di quella serata.
Oh.
Era nei guai.
Si portò le gambe contro il petto, appoggiando poi il mento sopra le ginocchia. Era uscito per bere qualcosa con qualche amico e, da lì, i bicchieri si erano trasformati in bottiglie, il locale era diventato una discoteca fino... fino... Scosse la testa perché proprio in quel punto il buio ritornava prepotentemente e si portava via i suoi ricordi.
Che altro era successo?
Freddo.
Faceva davvero freddo e alcuni brividi avevano iniziato a nascere, scuotendo con intensità la pelle e le ossa. Non poteva ammalarsi, fu questo il suo primo pensiero. No, non poteva proprio ammalarsi altrimenti chi l’avrebbe sentito Brian poi?
Brian.
Quella volta l’aveva combinata grossa, non c’erano dubbi.
Quella volta, probabilmente, il perdono non sarebbe arrivato così facilmente. Chi voleva scherzare? Ultimamente, faceva finta di averlo ricevuto quando, in realtà, sapeva che ogni incidente di quel tipo era una tacca che veniva segnata sull’anima.
Prima o poi avrebbe dovuto pagare quel conto.
In quei momenti, nel labile confine fra l’essere ancora intossicato da alcohol – e qualche volta ancora sotto gli effetti di qualche droga – e i primi stadi della sobrietà, incominciava a ripetersi che quella sarebbe stata l’ultima volta. Giuramenti, promesse e spergiuri venivano composti con la stessa facilità con quale riusciva a mettere insieme parole e note per creare una nuova melodia.
E stava succedendo anche in quel momento.
La sua mente già stava tirando fuori dal cassetto l’elenco delle bugie da utilizzare per poter spiegare e giustificare quello che era successo, anche se ancora non si ricordava dove si trovasse esattamente.
Brian.
Sì, la prima cosa da fare era chiamare Brian. Le dita della mano destra si spostarono verso la tasca dei pantaloni, dove era sicuro di aver infilato il telefonino dopo l’ennesima chiamata. Lo spegneva sempre ed era il senso di colpa a fargli premere il pulsante e silenziare così anche la sua coscienza che, come un grillo parlante, continuava a ripetergli che il suo posto non era fra locali, alcohol e flirt ma a casa.
Con la sua famiglia.
Con suo marito e suo figlio.
A quel ricordo, a quel grido di richiamo da parte della sua coscienza, la mano si stringeva sempre più forte attorno al bicchiere, facendo scivolare giù con un solo sorso il suo liquido ambrato. L’anello, la fede, veniva dimenticato insieme al telefono, a quel silenzio statico che avrebbe accolto ogni tentativo di chiamata da parte di Brian.
Doveva chiamarlo, anche se ancora non sapeva dove si trovava.
Frugò nella tasca ma le sue dita si ritrovarono con il nulla. Confuso, portò anche la mano sinistra nell’altra tasca, pensando di averle scambiate ma nemmeno in quella c’era traccia del suo telefono. Con il panico che incominciava a scalzare la confusione per avere il centro dell’attenzione, si alzò di scatto per cercare anche nelle tasche posteriori; per un secondo, il mondo iniziò a girare, minacciando pericolosamente di fargli incontrare direttamente il pavimento ma, in qualche modo, riuscì a tenere una sorta di equilibrio.
Qualcuno gli aveva preso il telefonino e, a giudicare dal vuoto di tutte e quattro le tasche, anche il portafoglio e le chiavi di casa.
Perfetto! Ubriaco, portato chissà dove e anche derubato.
No, quella volta Brian non gliel’avrebbe fatta passare liscia soprattutto perché ora, chiunque aveva in mano i suoi valori, avrebbe potuto entrare con facilità in casa. E se c’era una cosa che Brian aveva messo in prima posizione era la sicurezza per la loro famiglia. Si sarebbe preso a testate, se già non avesse avuto la sensazione che qualcuno avesse provato a farlo prima di lui.
Ora che si trovava in piedi, i suoi occhi riuscivano ad ambientarsi in quel luogo. Come prima cosa, la sua vista venne attratta dall’unica fonte di luce presente: in quella penombra, comprese in quale luogo si stesse trovando.
No, decisamente Brian non sarebbe stato contento quella volta.
La seconda? No, il numero delle volte in cui era finito in prigione era nettamente più grande. Due erano le uniche volte che vi era finito senza aver fatto nulla di male.
“La star si è svegliata!” Una voce profonda, dal tono cantileno, risuonò fra le sbarre.
Fantastico, si ritrovò a pensare. Non solo era finito arrestato un’altra volta ma era successo anche la sera in cui era di turno il suo agente preferito. E quel sentimento di simpatia, lo sapeva, era ricambiato anche dall’altra parte.
“Posso almeno avere una coperta? – Domandò. – Qui fa un po’ freddo.” Sapeva che la gentilezza non sarebbe servita a niente, vista la considerazione che sapeva di avere in quell’uomo, così l’unica carta che gli rimaneva per giocare era l’arroganza.
“Mi spiace, Carter. – Rispose l’agente, le mani appoggiate sulla cintura dei pantaloni. – Sono tutte da lavare.”
“Che fortuna! Posso almeno fare una telefonata?”
Il suono metallico annunciò che le sbarre erano state aperte e Nick si concentrò solamente a mettere un piede dietro l’altro, in modo da camminare in perfetto equilibrio senza cadere per terra. Nel frattempo, la sua mente cercava di trovare giustificazioni sufficienti da porre a Brian non appena questi gli avrebbe risposto.
Una parte di lui temeva che quella sarebbe stato l’ultimo strappo, una parte di lui quasi voleva che Brian gli sbattesse la porta in faccia in modo da avere una ragione più che valida e sufficiente per lasciarsi finalmente catturare da quel vortice di autodistruzione attorno al quale stava ruotando pericolosamente da tempo. Quella parte voleva che Brian si rendesse conto di ciò che essa aveva sempre pensato e creduto ma che era stata messa a tacere sotto carezze e baci: lui non era pronto per tutto quello, non era pronto per quei macigni di responsabilità che si era ritrovato a portare all’improvviso. Il matrimonio. Baylee. Ma dirlo... oh, dirlo sarebbe stato più facile, dirlo avrebbe messo in moto una catena che Nick sapeva sarebbe partita da Brian con anelli di comprensione e voglia di aiutarlo.
Ma lo meritava?
No, dannatamente no.
E, forse, era per quello che continuava su quella strada.
Ma, dall’altra, aveva bisogno di Brian. Aveva bisogno di lui come i suoi polmoni necessitavano di aria per respirare. Aveva bisogno di lui perché, anche solo immaginare di dover affrontare il mondo senza lui al suo fianco, senza i suoi consigli o quel suo modo di prendersi cura di tutti senza farlo pesare, sembrava figurarsi come la peggior condanna in quel mondo.
Così si ritrovava in quel limbo senza sapere come fare, se non dimenticare i suoi problemi fra alcohol e droga.
Le dita, quando presero in mano la cornetta, non tremavano per il freddo. Eppure, l’indice compose quel numero che aveva aiutato a scegliere quando avevano comprato quella che era diventata la loro casa.
Uno.
Due.
Tre.
Quattro.
L’ansia incominciò a farsi strada fra la sbornia, prendendo sempre più forza a ogni silenzio statico che seguiva lo squillo del telefono.
Cinque.
Sei.
No, no, no! Incominciò a pregare, scongiurare verso tutti i santi e gli dei che conosceva. Ti prego, rispondi.
Settimo.
Finalmente quel silenzio terminò.

 

 


** ** ** ** **

 

 


Senza far rumore, Brian chiuse la porta lasciando uno spiraglio appena aperto. Le dita stringevano fra di loro il baby monitor che, per ora, rimandava solamente le note del carillon che aveva lasciato accesa prima di uscire dalla camera. Baylee dormiva ma non sarebbe durato a lungo, considerato che quella era già la seconda volta che lui si era ritrovato a correre in camera e cercare di farlo riaddormentare.
No, non sarebbe durato a lungo.
Era come se anche lui percepisse la tensione nella casa e volesse prendere parte a quella strana veglia che suo padre sembrava costruire sera dopo sera, notte dopo notte. In quella casa, ormai, il tempo sembrava essere rimasto prigioniero da una qualche forma di incantesimo e loro due, Brian e Baylee, erano gli unici a subirne il prezzo.
Con passi lenti e stanchi, Brian scese le scale e si diresse in cucina. Non accese nemmeno la luce, vedere con chiarezza quanto quella casa fosse vuota si sarebbe rivelato solamente un’ennesima pugnalata. Appoggiò il baby monitor sul bancone della cucina e incominciò a preparare la caffettiera: con gesti automatici, la smontò, riempiendo la parte inferiore con l’acqua; poi passò a riempire il filtro con il caffè macinato e, una volta chiuso il tutto con la parte superiore, accese il fornello e mise la caffetteria sul fuoco. Dal lavandino, recuperò la tazza che aveva sciacquato non più di qualche ore prima e l’appoggiò vicino ai fornelli; le dita si posarono sul profilo del marmo, stringendosi attorno al bordo in una stretta così intensa da mandare segnali di sconforto e dolore ai nervi tesi delle braccia.
Ecco in che cosa si erano trasformate le sue notti.
Prima, in un passato che ora sembrava lontano anni luce, le notti venivano trascorse l’uno nelle braccia dell’altro, sussurrandosi parole di eccitamento per quella creatura che stavano per portare alla luce e creando immagini per la loro vita futura.
Ora, tutto era cambiato.
Prima e dopo Baylee, così Brian poteva dividere quell’ultimo anno. E i mesi dopo la sua nascita stavano diventando i più difficile che avesse mai vissuto. Oh, almeno Nick aveva avuto la decenza di aspettare che Bay avesse almeno compiuto sei mesi prima di inaugurare le sue serate libere.
All’inizio, doveva essere solo una a settimana.
Brian non aveva dovuto dargli il permesso, non avevano quel tipo di rapporto in cui avevano bisogno di chiedere all’altro qualcosa. Ma forse, con il senno di poi, avrebbe dovuto almeno dire qualcosa quando da una si era passati a due, tre, fino ad arrivare a tutta la settimana.
A lui spettavano quelle notti, fatte di ansia e paura fino a quando suo marito non tornava a casa, e rabbia covata dentro fino a quando si trasformava in un cancro, silenzioso, che lasciava poco spazio a tutto il resto.
A volte, in momenti come quelli, si domandava perché continuava a rimanere.
Perché continuava a sottoporre lui e suo figlio, loro figlio, a quell’atmosfera che tutto era tranne che salutare.
Ma al solo pensiero di andarsene, al solo pensiero di abbandonare Nick, il cuore si ribellava con forza sbattendo i suoi pugni contro lo sterno, quasi volesse ricordargli che se ancora batteva lo doveva solo ad una persona.
Prigioniero, ecco che cosa era. Prigioniero in quel limbo, indeciso se mettere come prima priorità suo figlio o il suo matrimonio. Qualcuno doveva vincere, era quella una regola che non cambiava mai per quanto differente il gioco potesse essere. Ma lui non riusciva a muoversi né in una direzione né in un’altra, impietrito da ciò che entrambe le decisioni avrebbero portato come conseguenze.
Perché doveva essere lui?
La caffettiera incominciò a fischiare, segno che l’acqua stava bollendo e, risalendo, si impregnava del caffè sprigionando l’aroma in tutta la stanza. Fu quello a risvegliare Brian da quella specie di congelamento in cui era caduto, anche se ormai si muoveva come solamente un automa faceva: gesti meccanici che non implicavano pensare o ragionare.
Togli la caffettiera, versa il caffè.
Aspetta.
La tazza scottava fra le sue mani ma quasi non se ne rendeva conto mentre si sedeva sulla sedia.
Aspetta.
Ecco quello che faceva ogni notte. Aspettava.
Aspettava che Baylee si addormentasse e aspettava il momento in cui avrebbe udito i primi vagiti che indicavano che si era svegliato. Due o tre ore, ecco quanto durava quella finestra di tempo.
Poi, tornava ad aspettare. Con l’ansia che iniziava a crescere, Brian aspettava. E più le ora passavano, più l’ansia si colorava di panico e terrore, puro e doloroso in quella forma che prendeva posto nel suo stomaco, tirando e tirando fino a quando sentiva il primo strappo.
Aspettava mentre il caffè si raffreddava fra le sue mani.
Aspettava mentre quel mostro con artigli ben affilati ricamava immagini tratte dai suoi peggiori incubi, creando scenari che fino ad allora aveva visto e osservato solamente in televisione. Perché Nick poteva essere ovunque, poteva essere con chiunque e chiunque avrebbe potuto approfittare di lui quando ormai alcohol e droga avevano offuscato la sua mente. Perché Nick poteva essere ovunque, ferito, bisognoso di cure e lui era bloccato lì, invece, in casa.
Nell’oscurità e all’oscuro di tutto.
Ecco perché rimaneva.
Con l’ansia e la paura. Con il panico e il terrore.
E con la rabbia.
Quest’ultima era sempre la più silenziosa. Se ne rimaneva in disparte, in un angolo solitario, e aspettava sempre il momento più prezioso per risalire in gola, acido che bruciava prima di ritornare nell’oscurità. Era quella la peggiore delle ferite che la rabbia poteva e sapeva calare: si ingrandiva, faceva sentire la sua voce fino a scuoterlo come una fragile e vulnerabile foglia in balia di un tornado per poi scomparire in un battito, lasciandolo completamente svuotato.
Come poteva arrabbiarsi quando Nick tornava a casa sano e salvo?
Perché alla fine era quello il motivo per cui rimaneva. Era quella la ragione per cui si rimangiava ogni rimbrotto, protesta o obiezione. Nick tornava e implorava il suo perdono, dispiaciuto come solo poteva esserlo quando si rendeva conto che cosa aveva fatto e quanto gli aveva fatto del male.
Promesse venivano fatte, giuramenti solenni che quella sarebbe stata l’ultima volta.
E, come in un ciclo che sembrava essere infinito, quelle parole venivano spezzate e cancellate via senza mai un’ombra di rimorso.
Perché rimaneva?
Perché Brian sapeva che, da qualche parte, c’era ancora il fantasma del ragazzo di cui si era innamorato, quel ragazzo che era stato capace di decifrare il suo umore dai suoi occhi e che gli aveva donato il suo cuore in un solo bacio.
Non poteva smettere di lottare per riaverlo indietro. Lo doveva a Nick. Lo doveva a Baylee.
Eppure, in un angolo buio della sua mente, una vocina incominciava ad alzarsi, domandandogli quando sarebbe finalmente arrivato il momento in cui qualcuno, Nick, avrebbe iniziato a lottare per lui. Per Baylee.
Perché sarebbe arrivato il momento in cui Brian non avrebbe più avuto nessuna forza per continuare. E qualcosa, sì, qualcosa in quella vita, in quella non esistenza, doveva cambiare.
Drin. Drin.
Il telefono, da qualche parte dietro di lui, incominciò a risuonare minacciosamente spezzando il silenzio.
Un’arma a doppio taglio, ecco che cos’era quel suono. Da un lato portava speranza perché poteva essere Nick a chiamare, a rassicurarlo che si era semplicemente dimenticato il cellulare e che ora stava tornando, solo che il traffico era allucinante e ci avrebbe impiegato qualche minuto in più del solito. Era quella la conversazione a cui Brian si aggrappava mentre si alzava ed andava a rispondere, pregando che quella potesse essere finalmente la volta in cui quelle parole si sarebbero palesate realmente.
Ma, nemmeno a metà strada, l’ansia e il panico scacciavano via quella speranza, deridendola mentre la facevano a pezzi e la lasciavano senza nessun supporto. Finalmente libere di essere le primedonne, esse portavano con loro quegli scenari che Brian aveva cercato, invano, di non prendere in considerazione: telefonate da parte di qualche sconosciuto che gli informava che Nick era in ospedale; poliziotti che invece volevano già porgli le condoglianze prima di informarlo dove si trovasse il suo corpo.
No, si ripetè Brian fermandosi per un secondo.
No, ripetè con ancora più forza, come se dicendolo ad alta voce nel silenzio potesse servire a qualcosa.
No, non era successo niente di così grave.
E fu con quello spirito che Brian prese in mano la cornetta, mettendo fine quindi a quel continuo trillo che avrebbe potuto svegliare l’unico dormiente nella casa.
“Pronto?”
“Bri? Bri? Sono io, Nick.”
Sollievo. L’ondata di conforto avvolse Brian come una calda coperta, sciogliendo via quei pezzi di ghiaccio in cui le sue vene si erano trasformate. Ma poi, quando quella sensazione scivolò via, la rabbia prese posto come l’onda di un’alta marea. La risposta era stata biascicata in quell’odore che Brian era arrivato ad odiare con tutto se stesso, quell’aroma che si era preso suo marito e non voleva lasciarlo tornare a casa.
Così Brian non rispose. Non voleva, non poteva parlare senza poter mettere freno alle grida che si stavano già ribellando delle catene che aveva stretto loro attorno.
“Bri, lo so. Sei arrabbiato. Ma... non volevo! Non so ancora che cosa sia successo!”
“Dove ti trovi?” Anche a se stesso, la sua voce sembrava non appartenergli. Fredda, impersonale, era come se qualcuno si fosse impossessato del suo corpo.
“Mi hanno arrestato.”
Un sospiro, fu tutto quello che uscì da Brian. Perché, in quel momento, ogni risolutezza di continuare a lottare era scomparsa via. A che cosa serviva se poi era sempre lui a rimettere a posto tutto? A che cosa serviva se tanto poi Nick non imparava e non rispettava la parola data?
Se tanto non sarebbe servito a nulla, perché lui doveva svegliare suo figlio, infilarlo in macchina e sperare che non si svegliasse mentre andava a recuperare suo padre?
“Ti prometto che è l’ultima volta, Bri. So che te lo dico sempre ma questa volta mi devi credere. Per favore... – La voce di Nick si spezzò in un singhiozzo e Brian poteva immaginarlo alla perfezione, con un braccio appoggiato sopra il telefono, la fronte appoggiata contro di esso e le dita dell’altra mano strette attorno alla cornetta. - ... Mi spiace, mi spiace... perdonami...”
L’anima, scacciata fuori da quel corpo, strepitava contro quel vetro freddo e di ghiaccio in cui era stata rinchiusa; si struggeva per quella voce che implorava il suo perdono e si univa a quelle suppliche, questa volta verso la distaccata mente che non ne voleva sapere di porre fine a quell’agonia. Già, era il freddo raziocinio ad aver preso in mano le redini di quella situazione, in una sorta di primitivo istinto di sopravvivenza e autodifesa: come un guerriero, infatti, il suo unico scopo era quello di porre fine a quella battaglia che si stava tirando per le lunghe, conscio che non ci sarebbe mai stata una vittoria.
Solo altro sangue e ferite che avrebbero richiesto tempo e tempo per poter solo incominciare a guarire.
“Nick. Io... io non ce la faccio più.”
Furono quelle le uniche parole che Brian riuscì a mormorare, in un incubo che si stava materializzando per entrambi.
“Che significa?” Domandò Nick con la paura che stringeva sempre di più il suo cuore in una stretta mortale.
“Questo. Non... non può più andare avanti.”
“Lo so, lo so. E’ l’ultima volta, te lo prometto.”
Brian scosse la testa, non rendendosi conto che Nick non avrebbe potuto vederlo. “Perché dovrei crederti?”
Quelle tre parole sembrarono scuotere Nick fuori da quella nebbia di alcohol in cui era rimasto fino a quel momento. “Hai ragione. Hai ragione a non credermi ma... ho bisogno di te, Brian. Non puoi lasciarmi ora.”
“No... non ti sto lasciando, Nick.”
“Ti amo, lo sai. Farò del mio meglio, questa è l’ultima volta che tocco una bottiglia.”
“Sono stanco, Nick.” Ma Brian non riuscì ad aggiungere nient’altro. Non disse che era stanco di quelle notti insonni, né di dover prendersi cura di tutti e tutto senza mai lamentarsi. Ma l’ultima, quell’essere stanco di quelle scuse, era implicita e arrivò dritta al cuore di Nick.
“B, che cosa vuoi che ti dica? Che sono un idiota? Che ho rovinato tutto? E’ questo che vuoi che ti dica? Più di prometterti che non succederà più, non so che altro dirti.”
“Niente, Nick. – Rispose Brian, sempre con quella voce atona che nemmeno riconosceva. – Non c’è più niente da dire.”
Il primo istinto, in Nick, era sempre quello di reagire con la rabbia. Era la sua maschera, il suo scudo e la sua protezione. E la indossò anche, soprattutto, in quel momento. Non sentì la richiesta implicita di Brian, non percepì quel sussurrato ti amo nascosto in quell’ammissione di arresa. Il suo cuore, quell’incalzante battere che si era impossessato del suo corpo, udiva solo quelle parole che preannunciavano una dipartita, un fine definitivo dei giochi e non poteva né voleva accettare di perdere tutto senza lottare.
“Ne possiamo almeno discutere? O hai già deciso di abbandonare la nave? - La voce si alzò di tono, perdendo in parte quello biascicamento causato dalla sbronza. – Sei uno stronzo. Ecco che cosa sei.  Il giuramento che abbiamo fatto vale così poco, per te? Un ostacolo e sei pronto già a lasciarmi?”
Le parole, cariche di rabbia e fendenti come lame, non riuscirono però a sortire effetti o reazioni in Brian perché sbatterono contro quella protezione di ghiaccio e scivolarono via, aspettando nell’oscurità il momento giusto per attaccare. Brian si era aspettato quella reazione, era l’abitudine che si era andata a consolidare notte dopo notte: gli insulti, le offese non sortivano più nessuna pugnalata all’anima. Non sul momento, almeno. Le conseguenze, Brian, le avrebbe provate solo quando tutto si sarebbe sciolto, quando la calma sembrava essere tornata regina in quella famiglia, scatenando rabbia e dolore dentro quel guerriero ormai affaticato dall’estenuante battaglia.
“Come posso lasciarti se tu l’hai già fatto prima di me?” Mormorò Brian solamente, in una voce così piccola ma così colma di sofferenza lasciata annerire e diventare più amara e acida con il passare del tempo.
Nick non udì. O, almeno, non volle udire. Il mormorio di Brian arrivò alle sue orecchie ma poi queste si persero prima di raggiungere la mente per poter essere comprese. Non scomparvero, però; silenziose, si misero in un angolo, aspettando il momento giusto per fare ancora una volta la loro entrata e, magari, essere finalmente ascoltate.
Nick non udì perché ogni sua energia era stata canalizzata nella rabbia, una furia che lo aveva reso cieco di fronte a qualsiasi altra obiezione. La reazione più istintiva a quella minaccia di essere abbandonato da colui che possedeva l’altra metà del suo cuore.
“Bri... io... ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di te! Non lo capisci? Non posso farcela senza di te.”
Una risata amara si levò dalla gola di Brian, uscendo e sbattendo contro le pareti, risultando in un eco forte e rimbombante. “Anch’io ho bisogno di te, Nick. Baylee ha bisogno di te. Noi non contiamo più?”
“Sai che non è vero. Sai che siete il mio mondo.”
“E allora dimostrarlo, Nick. Io... io non posso più permettere che Baylee viva e cresca in questo modo.”
“Bri, ti scongiuro...”
“Mi spiace, Nick. Ma... non so più come aiutarti. Non so come aiutarti. E forse è questo il punto. Forse non sono io la persona adatta, forse sei tu l’unico che può aiutare se stesso.”
“Non posso. Non senza di te.”
Ma Brian non ebbe modo di rispondere, anche se non c’era più niente da dire. Il suo orgoglio, quel poco che gli era rimasto, gli impediva di cadere in ginocchio e implorare Nick di ritornare il ragazzo di cui si era innamorato. E, anche volendo, anche trovando qualche altra frase, Brian non poté continuare a parlare considerato ciò che arrivò dall’altro lato della cornetta: un concitato scambio di insulti e urla prima che la linea fosse definitivamente disconnessa.
Per qualche secondo Brian rimase avvolto nel silenzio, senza fare nemmeno un gesto o un passo. C’era qualcosa, dentro la sua anima, che urlava per poter essere presa in considerazione ma, stoicamente, Brian la ignorò. Perché sapeva che cosa sarebbe successo se avesse permesso a quella voce di essere presa in considerazione: sarebbe crollato e, ancora, non era il momento giusto per farlo. Forse non sarebbe mai arrivato quel momento; forse, come sempre, Brian avrebbe continuato a far girare il mondo sperando che la tempesta si potesse placare da sola.
La mente continuò a tenere ben salde le redini del controllo, impedendo al cuore e all’anima di aver voce sulle decisioni da prendere. Perché questi ultimi due avevano come soluzione solo una: prendere le chiavi della macchina e andare a recuperare Nick, sperando che quella volta le sue promesse fossero veritiere.
Ecco perché, invece, la logica lo stava spingendo a comportarsi in altro modo: spinse le sue dita a riprendere in mano il telefono e digitare un numero mentre indirizzava il corpo a salire le scale e tornare in camera. Con gesti meccanici, come se il corpo si fosse trasformato in pezzi di un robot, Brian incominciò ad aprire l’armadio e a recuperare pochi vestiti, lo stretto necessario proprio mentre la persona che aveva chiamato rispondeva al telefono.
“Pronto?” Bofonchiò Kevin, la voce ancora mezz’addormentata.
“Kev? Scusa per l’ora.”
Il tono di Brian svegliò completamente Kevin. “Che cosa è successo?”
“Nick. – Rispose Brian, appoggiando magliette e jeans sul letto. – Lo hanno arrestato di nuovo.”
“Ancora?”
Brian annuì, ricordandosi poi che Kevin non poteva vederlo. “Sì. Devo chiederti un favore.”
“Non c’è problema, Bri. Teniamo noi Baylee mentre vai a recuperarlo.” Disse Kevin, pensando che fosse quello il favore che il cugino voleva chiedergli. Come le altre mille volte che era successo, notte o giorno che fosse. Appoggiò, quindi, la mano sulla spalla di Kristin, che ancora aveva continuato a dormire nonostante lo squillo del telefono; la scosse lievemente, un sorriso dall’aria dolce nel vederla ancora così addormentata.
“No, non è per questo che ti chiamo.” I vestiti erano ormai stati messi in fila così Brian andò a recuperare dall’anta all’angolo il borsone.
“Che significa?” Domandò Kevin, la fronte aggrottata e la voce con una nota di confusione.
Le dita di Brian si strinsero attorno alla fibbia del borsone, stringendo e stringendo fin quando un lampo di bruciore e dolore arrivò al sistema nervoso. “Non... non ho bisogno che mi tieni Baylee. Non sto andando a riprenderlo.”
“Perché?”
Le palpebre si chiusero a protezione, impedendo a quelle lacrime coraggiose di poter scivolare via. “Non ha senso. Non... domani non cambierà niente. Uscirà, combinerà qualcos’altro e io dovrò comunque recuperarlo. – Un singhiozzo tentò la fuga ma i denti furono più veloci, premendo con forza contro il labbro e capaci così di rigettarlo indietro. – Non posso più. Non posso più continuare così. Non ne ho più la forza. E se io crollo, chi baderà a Bay? E’ solo un bambino e già sta subendo la tensione che c’è in casa. Devo proteggerlo.”
Quelle ultime due parole misero in allarme il maggiore, facendo crescere una paura che non aveva mai preso in considerazione perché conosceva Nick e sapeva che non sarebbe mai stato in grado di macchiarsi di quella colpa. Ma ora... ora, quelle parole ributtavano tutto in una mischia di colore nero. “Brian. Nick ti ha mai fatto del male?”
“No! – Fu la risposta istintiva di Brian, forte contro solo il disgusto per quell’implicazione. – Come ti può venir in mente una cosa del genere? Nick... Nick non ha mai e non alzerà mai un dito. Né su di me né su Baylee.”
“Scusa, scusa, okay? Mi hai fatto preoccupare con quel “devo proteggere”.”
“Anche senza violenza, non è l’atmosfera adatta per crescere un bambino. E... non posso occuparmi di entrambi. Fisicamente, mentalmente... è troppo. Qualcuno si deve occupare di Nick. Ma qualcuno deve anche pensare a Baylee. E se... e se devo decidere fra i due...” Brian non riuscì però a continuare, il solo pensiero di dover scegliere fra le due persone più importanti della sua vita era una spada di Damocle che penzolava minacciosa sopra la sua testa.
“Che hai intenzione di fare? Lasciarlo?”
“No! – Urlò Brian, sconvolto per quell’accusa. – No, no. Non voglio la separazione.” Ripetè con più determinazione.
“E allora non capisco.”
“Ho solo bisogno di tempo. Nick ha bisogno di tempo per capire che, se continua così, non... Non posso continuare a rimanere qui e vedere che si distrugge.” E lasciare che distrugga me e la nostra famiglia, aggiunge solo mentalmente.
“Dove andrai?”
“Non lo so. Con un bambino piccolo, le possibilità non sono molte. In un hotel. Magari poi dai miei. Non lo so. Non... non ci ho riflettuto ancora molto.”
Baylee ancora dormiva, ignaro della tempesta che si stava scatenando fuori dal suo piccolo mondo fatto di dolci e di sogni; Brian entrò in punta di piedi nella stanza, muovendosi con la conoscenza di chi sapeva a memoria dove ogni mobile si trovava e con la leggerezza di chi sapeva come girare attorno ad un bambino addormentato. Per lui, aveva preso davvero il minimo indispensabile ma per Baylee non lesinò su tutine e tutto il necessario.
“Bri, non dire cavolate. Vieni qui da noi, possiamo darti una mano con Bay. Almeno per la notte. Almeno fin quando non avrai recuperato qualche energia.”
Sembrava quasi che Kevin avesse letto nella sua mente e carpito quella richiesta che Brian aveva cercato per mesi di far arrivare alle orecchie di Nick e che, alla fine, si erano sempre rivelate essere parole perse nel vento.
“Non voglio...”
“Osa finire quella frase e ti prendo a calci, Brian Thomas.”
Era il primo sorriso che riusciva ad apparire sul volto di Brian quella sera. “Lo so che lo fai solo perché così puoi giocare all’eroe.”
“Anche.”
“Grazie. – Rispose Brian mentre finiva di chiudere il borsone. – Ma il favore che volevo chiederti non era questo. Puoi andare a riprendere Nick? Nonostante tutto, non riesco a lasciarlo là in quella cella.”
“E’ quello che si meriterebbe.”
“Kevin!”
“Che cosa? E’ la verità.”
“Lo so ma è pur sempre mio marito.”
Il borsone era chiuso. Lui era già vestito. Baylee dormiva così lo avrebbe solamente avvolto in una coperta invece che vestirlo. Tutto era pronto, doveva solo andare. Ma lasciare quella casa, lasciare la loro casa, sembrava un gesto fin troppo definitivo. C’erano ancora parole che poteva usare, gesti che avrebbero potuto ricordare a Nick che cosa stava scegliendo al loro posto.
E aveva ragione, oh, se Nick aveva ragione!
Lo stava abbandonando, come se quell’anello all’anulare non contasse più niente.
“Bri, mi stai ascoltando?”
No, non lo stava ascoltando. Nemmeno aveva sentito che Kevin aveva continuato a parlare né che significato potevano aver avuto le sue parole. Perché, mentre si guardava attorno per assicurarsi che non avesse dimenticato niente, lo sguardo e gli occhi si erano posati sul coniglietto di peluche che Nick aveva regalato a Baylee qualche mese dopo la sua nascita, la prima volta che aveva dovuto andare via qualche giorno per un mini tour. Brian si ricordava il momento in cui era rientrato e di come gli si erano illuminati gli occhi non appena aveva visto suo figlio; si ricordava, Brian, di come per le successive ore gli era stato quasi impossibile poter separare padre e figlio come se quei minuti potessero cancellare quei giorni di assenza. E ricordava, Brian, di come Baylee non si era staccato da quel peluche per giorni e giorni, portandolo ovunque loro andassero e mostrandolo a tutti, indicando poi Nick nel suo infantile modo di dire che era stato un regalo del suo papà.
Dove era finito quel Nick?
Dove si era nascosto il ragazzo premuroso e attento che lo aveva coccolato durante la gravidanza, che si era preso cura di lui e della loro vita quando lui non aveva potuto farlo perché costretto a letto?
Quelle due persone non potevano essere lo stesso Nick, erano lontane anni luce eppure condividevano la stessa fisionomia, lo stesso modo di essere e di fare. E, forse, il suo Nick era così ben nascosto da quella dura corazza che il suo compito, come marito, era quello di scavare e scavare fino a quando non l’avesse trovato e riportato alla luce.
Ma come poteva quando Nick non gli dava nemmeno la possibilità di dargli una mano?
“Credi... credi che stia facendo la cosa giusta?” Si ritrovò quindi Brian a domandare, la punta delle dita che accarezzavano le orecchie del coniglietto.
“Bri, che cosa ti dice il tuo istinto?”
“E’ un casino, in questo momento. – Rispose Brian con un’amara risata. – Se dovessi seguire il mio cuore, sarei già alla stazione di polizia e lo starei perdonando di nuovo. Ma, invece, la mente sta decidendo per tutto il resto. Ed ecco perché mi ritrovo con un borsone preparato e...”
“Nessuno ti giudicherà, Brian. Prenditi qualche ora di respiro e poi decidi che cosa fare.”
Per una volta, però, Brian avrebbe voluto che qualcuno decidesse per lui, qualcuno che gli dicesse che cosa doveva e dove doveva andare.
Forse, Kevin e la sua mente avevano ragione. Aveva bisogno di staccare, aveva bisogno di respiro da quell’aria per non finire con l’odiare l’uomo in cui Nick si era trasformato, aveva bisogno di riprendere fra le dita la speranza che Nick, quel Nick di cui si era innamorato, potesse tornare finalmente da loro.
Da lui.
Forse era quello il miglior modo per aiutarlo. Mettergli davanti agli occhi la reale conseguenza delle sue azioni, fargli assaggiare quell’amaro boccone di una vita senza di loro, senza lui e Baylee, prima che questo diventasse la sua nuova realtà.
Salutò Kevin, promettendogli che sarebbe arrivato fra poco. Con l’abilità che solo un genitore riusciva ad apprendere in poco tempo, Brian avvolse Baylee in una coperta e lo prese in braccio, facendogli appoggiare la testa contro la sua spalla; con l’altra mano prese il borsone e lo issò sull’altra spalla, in modo da avere le dita libere per recuperare le chiavi della macchina e di casa.
Chiudersi la porta dietro di sé sembrava sancire qualcosa di definitivo. Ma Brian si giustificò dicendo che non stava scappando né stava fuggendo per iniziare qualcosa di nuovo: niente di tutto quello, si prendeva solo un attimo di riposo in quel limbo di protezione che Kevin gli stava offrendo.
Si guardò indietro solo una volta, dopo essersi assicurato di aver stretto le cinture del passeggino di Baylee.
Si guardò indietro, mormorando in una preghiera la speranza di poterci tornare presto e riprendere quella vita che ora sembrava solamente un film sbiadito in bianco e nero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*********************************

Io e l'angst, specie il Briangst, ci siamo sposati tanto tempo fa. XD
Teoricamente, questa storia dovrebbe avere solamente tre capitoli. Ma non metto nulla di definitivo. Si consiglia, però, di leggere "For Once In My Life" visto che questa storia è strettamente legata a quella. ^__^

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Capitolo 2
*** - Seconda Parte: We're Not Broken - ***


Seconda Parte

 




 

 

Just give me a reason 
Just a little bit's enough 
Just a second we're not broken just bent 
And we can learn to love again

Just Give Me A Reason, Pink

 

 

 

 

 

 

 

“Qualcuno è venuto a recuperarti.”
Quelle furono le uniche cinque parole che riuscirono a infiltrarsi nel buco nero in cui Nick sembrava essere stato risucchiato da quando aveva sentito, per l’ultima volta, la voce di Brian. E, come un prigioniero impossibilitato a scappare dal suo tormentatore, nemmeno lui riusciva a nascondersi e fuggire via da quelle parole e frasi che continuavano a girare attorno alla sua mente.

“Sono stanco, Nick.”
“Come posso lasciarti se tu l’hai già fatto prima di me?”

Erano bastate quelle parole a risvegliarlo, erano bastate quelle frasi ad aprire un varco in cui non voleva cadere perché, in quel fondo, ad aspettarlo c’era solamente sofferenza. E non solo la sua. Era più facile, quindi, continuare a sperare che Brian ritornasse sui suoi passi e che venisse a prenderlo. Quella volta, oh, quella volta avrebbe cercato di rimettere insieme tutto. Non poteva lasciare che Brian pensasse che lo avesse abbandonato perché non era mai stata quella la sua decisione. Lasciare Brian? Nemmeno con litri di alcohol che scorrevano nelle sue vene era mai riuscito a concepire un’idea del genere. E quella domanda diede benzina alla rabbia, dando nuova linfa a quel circolo vizioso che non sembrava non diventare mai debole né più facile da sconfiggere. Perché ora la rabbia non era rivolta contro se stesso, ora la rabbia aveva trovato il suo colpevole in Brian, l’uomo che credeva che lui potesse lasciarlo dopo avergli promesso che sarebbe sempre stato al suo fianco, nella buona e cattiva sorte.
Una vocina, acida e piena di risentimento, cercava di farsi strada nella sua mente. Con voce sibillina, sussurrava a Nick che non era lui ad essere sul punto di abbandonare quella nave alla deriva; no, non era lui colui che stava ammainando le vele e lasciava che lui si dovesse salvare da solo. Era Brian colui che stava rompendo ogni promessa fatta, usando scuse banali e giustificazioni che non avevano senso di esistere. Ma, almeno per ora, era solamente un piccolo sospiro di vento perché la speranza continuava a prendersi la scena più importante e tutta l’attenzione. E questa continuava a dirgli e a ricordargli che Brian non l’avrebbe mai abbandonato; per quanto potesse essere stanco e arrabbiato, Brian sarebbe sempre corso al suo fianco per essere il suo cavaliere. Per quanto la loro relazione potesse ancora non ben vista all’interno della sua fede, i voti che si erano scambiati contavano per Brian più di qualsiasi altro contratto e mai vi avrebbe mancato parola, nemmeno se queste avessero causato la peggiora delle sofferenze.
E fu così, quindi, che quando la guardia si avvicinò e gli disse che erano venuti a recuperarlo, Nick sentì un peso sollevarsi e sciogliersi dal suo petto.
Era venuto, Brian era venuto per riportarlo a casa.
Come poteva aver dubitato di lui? Nick scosse la testa mentre scacciava via quella vocina acida come se fosse una fastidiosa mosca. Le promesse che aveva appena fatto continuarono a rimanere degli appigli a cui aggrapparsi: sapeva che questa volta non poteva permettersi nessun sbaglio, quella volta Brian sarebbe stato meno incline a credere alle sue scuse e a nuove promesse che sarebbero state solamente delle parole vuote.
“E allora dimostrarlo.”
E Nick lo avrebbe fatto. Ora che aveva la sicurezza che la telefonata di prima era stata solo un errore, un’incomprensione dovuta alla stanchezza, lui poteva focalizzare ogni energia e pensiero su come riuscire a dimostrare a Brian che, quella volta, sarebbe stata l’ultima. Perché lo era, soprattutto visto e considerato come quella sera avesse raggiunto livelli di imbarazzo e vergogna che mai nessun altro aveva toccato. E quei due sentimenti bruciavano dentro di lui, molto di più della rabbia che ormai era scemata via. Risoluto come ogni sera, Nick si stava promettendo e ripromettendo che non sarebbe mai più ricaduto così in basso, non quando aveva una famiglia stupenda che avrebbe trovato divertenti le sue battute senza l’aiuto di dieci bicchieri di birra o liquore.
Era così immerso, Nick, nei suoi pensieri e nel trovare il modo perfetto per chiedere scusa a Brian che si accorse di chi era venuto a prenderlo solamente quando vi andò a sbatterci contro.
“Kevin?”
L’espressione dura dell’uomo non accennò a scomparire dal volto, quasi come nemmeno lui volesse trovarsi in quella situazione. “Non dirmi che ti aspettavi Brian.” Furono le uniche parole che uscirono dalle sue labbra, cancellando così ogni speranza che ancora albergava in Nick.
Un buco nero. Ecco come si sentiva in quel momento Nick. Ogni speranza era stata attratta da quel vortice che si era formato sotto i suoi piedi nel momento in cui aveva compreso che Brian non sarebbe venuto. E che, quindi, quelle parole dette al telefono non erano solo quelle, un’insieme di frasi, ma una volontà che si stava trasformando in realtà. Non sarebbe venuto, proprio come aveva detto. Era davvero intenzionato a fargliela pagare, in qualche modo.
“Vuole lasciarmi, è così?”
Kevin non rispose ma incominciò a camminare verso la macchina. Nick rimase qualche secondo a osservare la scena, chiedendosi se non fosse più sopportabile una cella fredda rispetto a ciò che lo avrebbe aspettato in quella macchina. Era un incubo. Doveva esserlo, non c’era un’altra spiegazione possibile. E il fatto che fosse Kevin ad essere lì era l’indizio più pesante perché il maggiore aveva sempre fatto parte dei suoi incubi, specialmente quando essi erano conseguenza di qualche suo comportamento sbagliato. Una volta, scherzando con Brian, lo aveva definito il suo personale grillo parlante che usava i momenti di incoscienza per fargli le ramanzine in modo da essere sicuro che le avrebbe comprese.
Ma non stava dormendo. Era quello il punto fondamentale. Era sveglio e ben consapevole del casino che aveva combinato. L’unica differenza è che, quella volta, avrebbe dovuto risolverlo da solo: non poteva chiedere consiglio a Brian, non poteva come sempre affidargli quei pezzi rotti e sperare che li rimettesse insieme senza altre conseguenze. Perché, quella volta, ad esser stato rotto non era solo il loro rapporto ma Brian stesso.
Il viaggio in macchina fu esattamente come Nick se lo era immaginato. La tensione era così palpabile da poter assumere tranquillamente la fisionomia di una persona, seduta fra di loro e intenta a osservarli come fossero due compagni di vita. Nick non chiese dove stessero andando e nemmeno sprecò qualche oncia di aria adducendo scuse al suo comportamento. Fu solo quando si fermarono davanti a casa, completamente buia e silenziosa, che il peso di tutto quello che era successo quella sera divenne troppo pesante da sopportare in silenzio.
“Lui non c’è, vero?”
Un sospiro. “Ti sorprende?”
“No. – Rispose Nick, abbassando il volto e stringendo il pugno per non far uscire nemmeno una lacrima. – Me lo merito, no?”
Un altro sospiro. “Io ti direi di sì. Brian? No.”
“Me lo merito. – Affermò Nick, gli occhi fissi sulle gambe e su quella macchia sui jeans che gli ricordava quanto stupido era stato. – Non ho mai meritato questa famiglia.”
“Smettila.” A far scattare Nick non fu solo il tono, quella voce perentoria e con quell’inclinazione che non ammetteva risposte. Perché più di tutto, Nick si era aspettato di esser portato alle lacrime con discorsi su quanto Kevin avesse sempre saputo che sarebbero finiti in quella situazione, con lui ad aver rovinato Brian e averlo distrutto senza battito di ciglia.
“Di che cosa diavolo stai parlando?”
“Smettila di piangerti addosso. E vero, hai combinato un disastro ma rimanere qui in un angolo non servirà a riprenderti la tua famiglia. A meno che tu non voglia riaverla e stessi solo cercando il modo perfetto per toglierti quel peso facendo passare Brian come il cattivo.”
La rabbia si scatenò come un improvviso mare in tempesta. Nick ne percepì le ondate travolgere ogni suo senso mentre la voglia di urlare risaliva velocemente su per la gola, infiammando le corde vocali.
“Nick, Brian ti ama. Tu lo conosci più di qualsiasi altro, sai perché sta facendo questo.”
“Come posso lasciarti se tu l’hai già fatto prima di me?”
Le parole, quelle parole, ritornarono alla mente con l’esatta misura di sofferenza che aveva provato anche prima. Sì, in fondo all’anima, Nick sapeva il motivo per cui Brian aveva agito in quel modo: esattamente come la sera del matrimonio di Kevin, si era rintanato in silenzio senza mai far uscire le lacrime, quasi come avesse sempre la paura di lasciarsi andare e strepitare i pugni per richiedere un po’ di attenzione.
Kevin aveva ragione, piangere non sarebbe servito a riportare indietro Brian. Eppure, in quel momento, le lacrime non sarebbero apparse per dimostrare la sua sofferenza e quell’ingiustizia che, ormai, trovava sempre più deboli giustificazioni per esistere. Le lacrime, invece, sarebbero state solamente le uniche a poter dire che tutto quello che Nick voleva fare in quel momento era andare ovunque Brian si trovasse, prenderlo fra le braccia e lasciarlo finalmente sfogare.
Senza aggiungere altro, Nick aprì la portiera e scese dalla macchina, fermandosi poi per qualche secondo davanti alla porta d’ingresso. Era tutto così differente, ora. Quella casa non era mai stata così silenziosa e vuota. Anche quando era tornato nel cuore della notte, Nick aveva sempre trovato una luce accesa o qualcuno ad aspettarlo; per non parlare, poi, di quelle sere in cui tornava così intossicato da costringere Brian a dividersi fra il prendersi cura di lui e loro figlio, perché lui non si ricordava mai le ammonizioni di rimanere in silenzio e cercare di fare il meno rumore possibile per non svegliare il piccolo che dormiva.
La rabbia e arrabbiatura erano ormai scemate via, figlie solo di un istinto che voleva sempre cercare negli altri i responsabili per ciò che di brutto stava accadendo nella sua vita. Ma, in quel caso, Nick poteva trovare il colpevole in un’unica sola persona: se stesso. Fino all’ultimo, fino a quando la macchina di Kevin non si era fermata davanti all’ingresso buio, lui aveva sperato che la minaccia di Brian fosse solamente dettata dalla stanchezza e da quel lungo tira e molla che aveva logorato nervi e sentimenti; aveva sperato che, giunto a casa, avrebbe trovato quella luce accesa sul portico e quella figura nell’ombra seduta sul dondolo ad aspettarlo. Forse, aveva sperato anche in un confronto: urla, litigi, recriminazioni. Non era quello ciò a cui era stato abituato crescendo? Non aveva mai conosciuto altri esempi di amore, solo quello tossico e anormale dei suoi genitori e, forse, non avrebbe mai dovuto illudersi che lui potesse essere differente da loro. Per Brian, Nick aveva voluto tentare e correre il rischio, forse perché doveva esserci qualcosa di diverso in lui se qualcuno come Brian si era follemente innamorato di lui e credeva totalmente nelle sue capacità: così, scioccamente e ciecamente, si era convinto di poter tenersi lontano dai passi segnati da geni e eredità familiare. E quando, quel giorno non così lontano nella memoria, gli aveva fatto la proposta di unire le loro vite e continuare su un’unica strada, Nick si era ritrovato a scoprire che non esisteva nessun’altra risposta se non un sì, naturale e onesto come quel sentimento che scoppiava dentro il suo cuore.

 I fuochi d’artificio si rincorrevano nel cielo, scie luminose che assomigliavano a stelle che scoppiavano per poi far cadere la loro polvere su chiunque le stesse osservando. Il molo era una semplice striscia di assi di legno, a cui pali vi erano attraccate qualche barca che ora si lasciavano cullare dalle calme e docili onde del lago. Su quella banchina, solo Nick e Brian erano gli unici ad essersi seduti sull’orlo, accoccolati all’interno di una vecchia coperta. Ogni anno ritornavano lì, sulle sponde di quelle acque che erano state le prime testimoni di quella loro storia.
Una cascata dorata incominciò a scendere dal cielo quando Nick si voltò per qualche secondo, ritrovandosi nel rispecchiarsi negli occhi di Brian che lo osservavano con una strana ma speciale luce.
“Sposami.”

 
Una sola parola. Nessun discorso filosofico, nessuna retorica o riassunto di quello che avevano fatto e superato insieme. Semplice e diretta, perché così era Brian: per le cose importanti, per quelle questioni che dovevano essere comprese senza nessun fraintendimento di sorta, lui non usava mai giri di parole o metafore. Andava dritto al punto e lo aveva fatto anche quella serata, sorprendendolo con una proposta che sembrava essere nata naturalmente.
Avrebbe dovuto spaventarsi. Nick aveva sempre pensato che si sarebbe spaventato di fronte ad una domanda del genere. Invece, con la stessa naturalità con cui Brian gli aveva fatto la domanda, la sua risposta era uscita in una sillaba che aveva fatto impallidire la bellezza dei fuochi d’artificio che ancora scoppiettavano nel cielo. Il sorriso di Brian, quel particolare modo di curvare gli angoli della bocca che era riservato solo a lui, era lo scenario più bello che avesse mai visto.
Il matrimonio, quei primi dodici mesi, si era rivelato essere totalmente differente da come se lo era sempre immaginato. Non difficile e nemmeno quel grosso cambiamento che tutti gli avevano sempre paventato come maggior ostacolo: niente sembrava esser cambiato fra loro due, forse perché avevano già vissuto insieme per gran parte degli anni precedenti e già conoscevano le loro peggior abitudini. Erano quelli i mesi di cui lui sentiva maggiormente la mancanza, quei mesi in cui il peggior ostacolo da affrontare era stato dividersi i compiti per le faccende domestiche.
Perché non potevano tornare a quei giorni? Perché lui non poteva tornare ad essere quel ragazzo così innamorato della loro vita insieme?
Lo sguardo venne attratto dalle due fotografie che facevano la loro figura sul mobile dell’ingresso: la prima era stata scattata il giorno del matrimonio e raffigurava il momento in cui lui e Brian si erano scambiate le fedi, l’emblema della felicità e della gioia dipinta in quegli sguardi rivolti solamente l’uno all’altro; la seconda, invece, era la prima fotografia di famiglia che avevano, no, che Brian aveva deciso di far fare insieme a Baylee.
Suo figlio.
Loro figlio.
Ecco quando era cambiato tutto.
Nick poteva tracciare una linea di confine fra il suo comportamento prima e dopo la nascita di Baylee, anche se non erano stati i nove mesi della gravidanza i catalizzatori di tutti i suoi problemi.
Come spinto da un pensiero ancora inesplicabile, Nick prese in mano quella foto e, con la punta dell’indice, tracciò il profilo di Brian fino a poi giungere a quell’ancora fagotto stretto fra le sue braccia. Ricordava la paura, ricordava il terrore per quelle settimane in cui ancora non sapevano che cosa stesse succedendo e tutto quello che lui poteva fare era osservare Brian star male senza poterlo far star meglio. Ricordava la corsa in ospedale, ricordava lo shock di quelle parole e di quella diagnosi e, mentre Brian aveva faticato prima di accettare la situazione, a lui era bastato appoggiare la mano sul suo ventre per farlo. E quella sera, mentre Brian dormiva nella speranza di scacciare via lo shock, Nick era rimasto sveglio a vegliare il suo sonno, immaginando quella vita che ancora doveva nascere e quanto ancora servissero parole per poter descrivere quanto speciale fosse la persona che aveva preso in custodia il suo cuore.
Più di tutto, però, Nick ricordava come quel periodo avesse segnato un cambiamento nel loro rapporto: lui non era più il bambino di cui Brian doveva preoccuparsi e prendersi cura. In quei mesi, quel ruolo era stato consegnato a lui e Nick si era, finalmente, sentito alla pari con Brian. Non c’era nessuna fiducia più grande se non quella di affidarsi e dipendere totalmente da qualcun altro, dando per scontato che loro sapessero prendersi cura di te mentre tu ti occupavi di qualcosa di più importante. Brian doveva occuparsi di quella piccola creatura che ancora doveva venire al mondo mentre lui poteva dedicare ogni attenzione e devozione a Brian.
Ma poi, con l’arrivo di Baylee, tutto era cambiato. Oh, amava Baylee. Amava suo figlio, non avrebbe permesso a nessuno di affermare il contrario. Come poteva non amarlo? Aveva aiutato Brian a crearlo e, soprattutto, il bambino sembrava aver preso il meglio di entrambi i geni, anche se fisicamente era l’esatta copia di Brian. Lo amava ma non poteva scacciare via quella sensazione di esser stato messo da parte per colpa sua: non appena Brian si era rimesso in piedi, i mesi appena trascorsi sembravano essere scomparsi mentre le redini delle loro vite ritornavano salde nelle sue mani. Brian si occupava della casa, Brian si occupava di Baylee e ancora Brian si occupava di Nick, in quei pochi momenti di giornata rimasti liberi. Ma non era esattamente quello che aveva fatto sentire Nick escluso da quel sistema: ciò che lo aveva letteralmente buttato da una parte era che Brian, ora, non lasciava più spazi per farsi prendere cura da qualcuno. Era ritornato a essere il supereroe di cui Nick si era innamorato ma, quella volta, essere l’aiutante lo faceva sentire come un solo ospite dell’avventura e non il secondo attore del film.
Si sentiva stupido ad ammetterlo. Come poteva andare da Brian e dirgli che si sentiva geloso di suo figlio? Non poteva, ecco la risposta. E non riusciva nemmeno a guardare Brian negli occhi sapendo di portarsi dentro quella sciocca e inutile paura.
Così, aveva cercato di dimenticare. Ogni volta che quel mostro apriva le mani e tirava fuori gli artigli, lui prendeva una birra, e un’altra, e un’altra ancora fino a quando era sicuro di non sentire più nessun graffio. In poco tempo, si era ritrovato vittima di un circolo vizioso: beveva perché si vergognava di essere, sentirsi, geloso di un bambino appena nato; beveva perché si rendeva conto che stava reagendo nel peggior dei modi invece di parlare e discutere con Brian. E, in ultimo, si era ritrovato a bere pur di dimenticare l’espressione ferita di Brian ogni volta che si trovavano nella medesima stanza, ogni volta che incrociava il suo sguardo prima di uscire per un’altra serata brava e faceva finta di non aver captato quella silenziosa richiesta e preghiera nei suoi occhi di rimanere con loro.
Come un fantasma e completamente dimenticatosi della presenza di Kevin, Nick incominciò a girare in quella casa che aveva smesso di essere la “sua” tanto tempo prima: come uno spirito, entrava ed usciva ma non rimaneva mai per partecipare alla vita e alle abitudini che un tempo aveva aiutato a creare. Il cuore si strinse in una dolorosa fitta al pensiero di quanto si era perso nella vita di suo figlio: le sue risate, i suoi tentativi di incominciare a mettersi in piedi, quei vagiti che potevano essere il preludio della sua prima parola.
Quanti importanti momenti si era perso solo a causa della sua stupidità?
Ed eccolo lì, in quella stanza dove aveva trascorso notti e notti ad ascoltare rapito quel piccolo ma forte battito di cuore. Era ancora piena di giocattoli e vestiti ma il suo sguardo, finalmente libero dalla nebbia di alcohol, riusciva a captare ciò che non faceva più parte di quella scena: il peluche che usava sempre per addormentarsi, un coniglietto ormai mangiucchiato sulle orecchie che lui aveva comprato non appena saputo del suo arrivo; la sua copertina, che altri non era l’insieme di quelle che un tempo lui e Brian avevano usato da piccoli. Gli oggetti più utili e quelli che avevano più significato erano scomparsi, prova tangibile di quell’incubo che Nick aveva voluto che fosse solo quello, un brutto sogno, e non una realtà.
Quando era stata l’ultima volta che lo aveva fatto addormentare? Quando era stata l’ultima volta che aveva vegliato il suo sonno, ancora così stupito di sapere che quella creatura così meravigliosa era davvero suo figlio?
Con un sospiro, un mezzo respiro che bloccava il singhiozzo che avrebbe voluto uscire, Nick si spostò nel piccolo bagno adiacente alla stanza di Baylee. Si appoggiò allo stipite, osservando come anche in quella stanza ogni segno tangibile della presenza del bambino era stata portata via. Scomparsi erano gli shampoo speciali che Brian gli aveva fatto cercare per ogni supermercato nel raggio di cinque chilometri; scomparse erano i giocattoli che Brian usava per tenere occupato il bambino mentre lo lavava. E come poteva dimenticare tutti quei suoni e faccette che Brian faceva solamente per far ridere e sorridere Baylee?
Chiuse la porta dietro di sé, come se quel gesto potesse portarsi via tutti i ricordi e i rimorsi. No, non lo poteva fare: perché quelli lo inseguirono mentre usciva dalla cameretta di Baylee e, insieme a lui, fecero quei pochi passi che lo dividevano dalla camera matrimoniale. E fu lì che Nick ricevette il peggiore e più doloroso dei pugni, lì in quel luogo che aveva raccolto ogni loro più intima carezza e abbraccio, ogni più segreta confessione e paura. Lì dove lui e Brian avevano iniziato a creare le immagini che avrebbero decorato il loro futuro.
E lui aveva buttato via tutto per paura. Ora si sentiva davvero un idiota. Ora che era sul punto concreto di perdere tutto ciò per cui aveva lottato, Nick si rendeva conto quanto futile e inutile fosse stato il suo modo di reagire.
Brian lo avrebbe perdonato?
Era questa ora la domanda che lo tormentava, un cumulo di tensione che aveva preso dimora nel suo stomaco. Non voleva perdere tutto, non voleva perdere la sua famiglia, la sua unica famiglia. Ma non poteva più usare le parole, gli scongiuri e le promesse: le aveva abusate, le aveva esaurite togliendo loro ogni significato e importanza. Brian, forse, lo avrebbe ascoltato. Lo aveva sempre fatto, nonostante tutto. Ma non vi avrebbe più creduto. Come poteva, del resto? Come poteva Brian credergli quando per mesi non aveva fatto altro che mentirgli e rigettargli in faccia ogni promessa che si erano scambiati?
Nick si lasciò cadere sul tappeto, racchiudendosi in se stesso per cercare di trattenere le lacrime. Erano lì, quelle bastarde, pronte a scendere ed a urlare una disperazione che aveva il sapore amaro di tutti quei liquori che aveva ingurgitato per dimenticare il suo comportamento.
Rivoleva la sua famiglia. Non voleva trasformarsi in una coppia sbiadita dei suoi genitori, perennemente arrabbiati con se stessi e contro l’altro da non rendersi conto quanto ciò faceva soffrire i loro figli. Voleva che Baylee potesse crescere con entrambi i genitori, sereno e sicuro di poter imparare da loro come amare e prendersi cura di se stessi e di prendersi l’onere di prendersi cura di qualcun atro. Voleva, più di tutto, condividere ogni minima e più piccola tappa della sua crescita insieme a Brian.
“Nick?”
Nick non rispose al richiamo di Kevin. Non ce n’era bisogno, non quando la sua ombra ritagliava nel cono di luce proveniente dal corridoio. E, infatti, qualche secondo dopo una seconda ombra si unì  alla sua, fermandosi a qualche centimetro da dove lui si trovava.
“Non posso. – Nick mormorò a fior di labbra, buttando indietro la testa contro il lato del letto. – Non posso perderli.”
Ci fu un momento di silenzio, che Kevin utilizzò per sedersi accanto al ragazzo. A volte, era così facile dimenticare quanto ancora Nick fosse troppo giovane per tutte quelle responsabilità. E il suo punto di riferimento, colui che aveva sempre preso d’esempio, non era e non poteva essere lì a guidarlo in quella strada. “Sai che c’è un unico modo.”
Fosse stato ancora avvolto dai nubi dell’alcohol, forse Nick non avrebbe compreso immediatamente il consiglio sottointeso in quelle parole. Ma era sobrio, più sobrio di quanto lo fosse mai stato in quei mesi e Nick sapeva che quella era l’unica condizione che Brian avrebbe posto per un suo, eventuale, ritorno.
Così, voltò lo sguardo verso Kevin, guardandolo negli occhi con l’espressione più onesta e disperata che avesse mai provato nella sua vita. “Ho bisogno di aiuto.”

 

 

 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞

 

 

 

La stanza era immersa nel buio, salvo per un’offuscata luce che proveniva da una delle lampade che, invece di trovarsi sul rispettivo comodino, era stata appoggiata a terra e coperta da una maglietta. Sulle assi del parquet si stagliava l’ombra di Brian, intento a cullare il bambino fra le sue braccia: Baylee aveva continuato a dormire per tutto il tragitto in macchina ma, non appena aveva udito e percepito la voce e presenza di un’estranea, Kristin, si era risvegliato di colpo e non c’era stato verso di farlo riaddormentare. Aveva provato di tutto, a partire dalle canzoni della Disney, passando per le più comuni ninnananne fino al repertorio del gruppo. Solitamente, anche nelle più pesanti delle serate, bastavano tre canzoni per farlo crollare.
Non quella sera.
“Shh... Bay, tranquillo, dai.” Erano semplicemente sussurri, parole che dovevano accarezzare il bambino insieme a piccoli baci mentre Brian lo spostava da un braccio all’altro. Ma il bambino continuava a piangere, osservando suo padre con quegli occhioni come se volesse spingerlo a scoppiare in lacrime.
Oh, come se lui non desiderasse di poter crollare. Il groppo alla gola non si era ancora sciolto e, anzi, a ogni minuto che passava sembrava crescere di potenza e intensità, rende dogli quasi impossibile far uscire una voce dal tono sincero e cristallino. Forse era per questo che Baylee non riusciva ad addormentarsi: per quanto piccolo e ancora incapace di poter comprendere che cosa stava succedendo attorno a lui, era pur sempre in grado di captare i suoi cambiamenti d’umore. Il pianto, in quel momento, era il suo modo per dir al mondo che non si sarebbe dato pace fin quando anche lui non si sarebbe calmato.
Per entrambi, quindi, sarebbe servito un miracolo.
Riprese a camminare avanti ed indietro, sussurrando e canticchiando. Forse, lo stava facendo più per calmare lui stesso che suo figlio. Perché ogni momento che si fermava, ogni attimo in cui smetteva di preoccuparsi per quel bambino fra le sue braccia, la sua mente non riusciva a non ritornare alla telefonata. Non riusciva a non dimenticare la rabbia con cui Nick si era scagliato contro di lui. E, soprattutto, non riusciva a non sentirsi come l’uomo e il marito peggiore di quel mondo.
Aveva fallito. In ogni senso, in ogni modo, Brian sentiva il peso del fallimento gravare sulle sue spalle e non poteva evitare quel senso di colpa attorcigliato attorno ad esso.
“Mi spiace, Bay. – Si ritrovò a sussurrare con la voce in procinto di incrinarsi e spezzarsi finalmente. – Ho fatto scappare via tuo padre. Ho rovinato la nostra famiglia.”
Era colpa sua. Doveva esserlo, non c’erano altre spiegazioni possibili per il comportamento di Nick. Ma non riusciva ancora a comprendere dove avesse sbagliato: gli aveva dato troppo spazio? All’inizio, aveva pensato che quella fosse la soluzione migliore: per i mesi della gravidanza, Nick non aveva fatto altro se non stare al suo fianco e occuparsi di tutto. Così, quando Baylee era nato, lui si era ripreso il controllo, credendo che fosse quella la decisione migliore. Ridare a Nick i suoi spazi mentre insieme crescevano e si prendevano cura di loro figlio.
Invece, a quanto pareva, la sua scelta aveva riservato l’effetto opposto. Era quello che non comprendeva. Era quello che ancora Brian cercava e faticava a trovare una spiegazione logica. Come poteva Nick essersi sentito finalmente sollevato, se per tutti i mesi precedenti era sembrato quasi felice di essere finalmente colui su cui si basava e dipendeva l’equilibrio della loro relazione?
Forse era quello il punto in cui lui aveva rovinato tutto. Forse Nick non voleva tornare a come le cose erano sempre state.
Lo aveva deluso. In realtà, si erano delusi entrambi. Si erano dati per scontati, avevano creduto che bastasse un semplice anello per cementare il loro rapporto oltre qualsiasi ostacolo. Non avevano pensato e riflettuto su come il loro rapporto potesse cambiare seguendo i loro di cambiamenti, come una fune d’elastico che si allungava e stringeva a seconda dei casi.
Ora, quel filo, era teso fino al massimo delle sue possibilità  Sarebbe bastato poco per spezzarlo ma, allo stesso tempo, sarebbe bastato altrettanto un minimo gesto per allentare e incominciare a ritornare alla normalità. Solo che, per la prima volta, Brian si ritrovava senza una benché minima idea di che cosa fare. Quella notte aveva agito d’impulso, spinto e soffocato dalla tensione e dalla sofferenza di quelle ultime settimane. Voleva, necessitava una risposta e una reazione da parte di Nick: voleva sapere se ancora lo amava e teneva alla sua famiglia o se tutte quelle notti erano solo una pantomina per costringerlo a chiudere tutto. In parte, aveva ottenuto quello che cercava ma ora temeva che il suo piano gli si fosse ritorto contro.
“Che cosa posso fare?” Domandò, più a se stesso che altro essendo l’unica persona nella stanza. Nonostante ciò, Baylee smise per qualche secondo di piangere e si ritrovò a fissare il padre curioso.
Fu quel momento a portare un respiro di sollievo in Brian. “Lo so che non mi puoi ancora parlare. Ma un aiuto qui sarebbe gradito, piccolo.”
Sapeva però che cosa gli avrebbe risposto perché era il desiderio che ogni bambino aveva: che i suoi genitori potessero sempre stare insieme. E, forse, con quell’azione scellerata della notte, aveva perso qualsiasi garanzia di poterla rimettere insieme, di poter garantire a suo figlio quel sogno e desiderio che non avrebbe dovuto essere tale.
 

“Perché non sei arrabbiato?”
“Sono arrabbiato.”
“No, non lo sei. Conosco il Brian arrabbiato, conosco quella persona di cui si ha paura solamente guardandolo negli occhi. Non lo sei, ora. Non con Nick. Perché?”
 

Quello scambio avuto con Kevin ritornò con forza nella mente di Brian. Anche se non lo aveva voluto ammettere di fronte al cugino, c’era un fondo di verità nella sua domanda. Non era arrabbiato. Non completamente, per lo meno. Eppure, avrebbe dovuto esserlo. Ma con Nick, tante cose non avevano mai seguito una linea regolare e normale. Era stato il fulcro della loro vita insieme, erano state quelle sorprese a rendere sempre più magico il loro rapporto. E forse perché si sentiva in colpa, forse perché sapeva che in parte la responsabilità di tutto gravava anche sulle sue spalle. Come poteva odiare Nick quando odiava già se stesso?
Un leggero tocco alla porta allontanò Brian da quei pensieri, riportandolo alla realtà e al momento presente. Era Kristin ad apparire dietro quella superficie, anche se per un attimo Brian aveva sperato di poter vedere Nick che, come in un film drammatico e romantico, era corso disperato per cercare di riportare a casa la sua famiglia.
“Brian? Kevin vorrebbe parlare con te.”
Brian prese il telefono dalle mani della donna, incastrandolo poi con perfezione chirurgica fra la spalla ed il collo. Avrebbe anche potuto passare Baylee a Kristin ma non appena aveva accennato allo spostamento, il bambino aveva dato cenni di risvegliarsi e Brian aveva dovuto desistere.
“Siamo a casa.” Furono le prime parole che giunsero al suo orecchio ancor prima di chiedere e parlare. Sospirò di sollievo. Per quanto potesse aver odiare e non condividere il nuovo stile di vita di Nick, non gli era mai piaciuto saperlo arrestato o, peggio, in prigione. Fintanto che non faceva nulla di male, fintanto che tutto quello che faceva era un po’ più di chiasso e rendersi un idiota di fronte alla polizia, non meritava di finire dietro alle sbarre. Era pur sempre suo marito.
“Come sta?” Fu la sua unica domanda, pronunciata a tempo di ansia e panico. La sua mente già stava incominciando ad elencare tutti i consigli da dare a Kevin, come se il maggiore non si fosse mai occupato di una persona ubriaca. Ma era Nick, era Brian che si era sempre occupato di lui anche quando tutto ciò che voleva fare era abbandonarlo al suo destino e mettere in sicurezza lui, il suo cuore e loro figlio.
“Deve presentarsi fra qualche giorno davanti al giudice, è probabile che gli ritirino la patente.”
“Kevin, come sta?”
Dall’altro lato del telefono arrivò un silenzio. Non era incoraggiante, non lo era proprio per niente. L’ansia incominciò a risalire, battendo furiosamente insieme al cuore mentre anche Baylee si agitava fra le sue braccia, ignaro del motivo di quell’improvviso aumento di tensione. “Kevin?”
“Vuole... ha ammesso di aver bisogno di aiuto.”
Il sollievo fu una ventata di aria che, per un secondo, gli fece mancare il respiro. Quanto aveva aspettato per quel momento? Erano state le parole che aveva osato accarezzare solamente in sogno, in quegli attimi in cui si lasciava cullare dalla speranza di poter ritornare a essere la coppia che erano sempre stati.
“Sul... sul serio?” Si ritrovò a domandare in un balbettio.
“Sì. Non l’ho costretto, né minacciato. Vuole farlo.”
La speranza ritornò a bruciare come mai aveva fatto prima d’ora quella notte. Quel barlume, quella fioca candela appena accesa, era più che sufficiente per scacciare via ogni presagio o preoccupazione. Non c’era bisogno di altre minacce, non c’era bisogno di puntare ancora i piedi e pretendere di essere preso in considerazione. Più di tutto, quell’ammissione di bisogno significava che Nick si era reso conto, forse per la prima volta da quando tutto era iniziato, di quanto si fossero allontanati.
Ma non importava più nulla.
Non importavano più le parole che si erano lanciati contro, non importava se fino a qualche minuto prima Brian era stato pronto a tornare a casa e chiedere scusa a Nick. Importava solo che fossero giunti a quel punto e il resto lo avrebbero sistemato non appena finito quell’incubo. Sembrava quasi che quelle parole avessero dato nuova energia alla sua mente e al suo corpo, lanciando la sua mente attorno a tutto quello che di pratico c’era da fare.
“Kevin, vai in ufficio. Nel secondo cassetto della scrivania ci sono dei depliant. Sono centri che ho contattato qualche settimana fa... anzi, no, aspetta che arrivo.”
“Brian, rimani lì.”
“Cosa? Non se ne parla!”
Dall’altra parte arrivarono dei suoni confusi fino all’inconfondibile rumore della cornetta che veniva passata di mano in mano. “Bri? Rimani lì, per favore.” A pronunciare quelle parole non era stata la voce di Kevin ma quella più famigliare e amata di Nick. Era ancora roca, ancora soffriva di quei momenti in cui aveva abusato di lei per discutere con lui. Ma l’odio, la rabbia e la cattiveria erano scomparse. Non vi erano più tracce, solo un ferma decisione affievolita dalla dolcezza. Fu quella punta a dare nuova linfa alle lacrime, riportandole in attività e incominciando a farle allineare all’angolo degli occhi.
“Nicky...” Il nome uscì in quel singhiozzo che Brian aveva cercato di trattenere fino a quel momento. Una piccola mano si strinse attorno al colletto della sua maglietta, il viso contorto in un’espressione confusa e dubbiosa.
“Ehi. Ehi. Va tutto bene, B. Andrà tutto bene.”
“Mi dispiace.”
“Non dire stronzate, B. L’unica persona che qua si deve scusare sono io. E lo sono, B, devi credermi. Sono stato uno stronzo ma... non voglio perderti. Non voglio perdere la nostra famiglia. Ecco perché ho bisogno di aiuto.”
Brian aprì le labbra per poter rispondere ma tutto ciò che uscì furono i singhiozzi. Lì, per la prima volta, Brian lasciò libere le lacrime, lasciandosi scivolare per terra. Non lo aveva mai fatto, non aveva mai permesso a se stesso di crollare in quel modo, non con tutte le responsabilità che ancora gravavano sulle sue spalle. Ma ora poteva. E le lacrime non si sarebbero lasciate sfuggire via quell’occasione, erano ormai stanche di doversi nascondere; erano ormai esauste di essere chiamate in causa per poi essere riportate indietro, spinte nel loro angolo come se fossero qualcosa di cui vergognarsi. In un certo senso, era andata proprio così, perché Brian aveva sempre provato imbarazzo nel rendersi conto di quanto Nick lo aveva reso vulnerabile e indifeso e, se per molto quello era stata la prova di quanto era forte e potente il loro amore, in quel periodo si era ritrovato a essere dall’altra parte, a odiare quel sentimento e rapporto che lo aveva ridotto ad una semplice foglia in balia del vento. Nick era quel vento e, buffo ora a pensarlo, lo era sempre stato, sin da quella sera in cui lo aveva baciato per la prima volta.
Baylee, stranamente, non si era messo a piangere. Esattamente come il suo altro padre dall’altra parte del telefono, era rimasto e rimaneva ad osservare quelle gocce d’acqua che scendevano da quel viso che aveva sempre cercato per essere rassicurato e cullato.
“Va tutto bene, Bri.” Era la litania che Nick si ritrovò a sussurrare senza mai perdere un secondo, un attimo, un momento per respirare. Ne aveva avuti anche fin troppi, per troppo tempo aveva lasciato che suo marito tenesse in piedi ciò che rimaneva della loro famiglia, senza mai pretendere che qualcuno lo rassicurasse. Era il suo compito. Fin dal primo giorno, fin da quella sera in cui entrambi avevano aperto i loro cuori l’uno all’altro, si era promesso e giurato di prendersi cura di Brian: sempre occupato a prendersi cura degli altri, sempre con la mente rivolta a risolvere mille problemi e lasciando perdere i suoi.
Odiava solo, Nick, doverlo fare per telefono. Tutto, Nick avrebbe dato qualsiasi cosa pur di raggiungere Brian e nasconderlo fra le sue braccia. Ma non poteva. Se fosse andato a lui, oh già lo sapeva, Brian si sarebbe preso l’onere di rimetterlo in sesto e non era quella la soluzione. Non poteva più essere la soluzione di ogni loro problema.
“Ti amo, Brian. Più di qualsiasi altra cosa al mondo, ti amo. E proprio per questo ferirti è stato così semplice e facile. Dopo la prima volta, era un circolo vizioso: sapevo che ti avrei deluso e proprio per quello andavo fuori e bevevo, perché non volevo ammettere a me stesso quello che stavo facendo. Volevo dimenticare e ogni giorno mi sentivo sempre peggio.”
“E’ stata colpa mia?” La domanda arrivò in un sussurro, macchiato di lacrime, macchiato di senso di colpa che non avrebbe dovuto esserci.
“No, Dio, no. – Si affrettò Nick a rassicurarlo, alzando gli occhi al cielo mentre una lacrima scivolava via. – Non è stata colpa tua. Solo... solo mia. Avrei dovuto parlarti. Avrei dovuto fare tante cose invece sono scappato.”
“Non voglio lasciarti. Non l’ho detto seriamente, era solo... era solo per...” Le parole fecero un testacoda all’interno della gola di Brian, perdendo la voce per spiegarsi e spiegare.
“Lo so. Bri, lo so.” Intervenne Nick, tirando fuori una sicurezza che solo qualche minuto prima non sarebbe esistita. Ora sapeva che Brian non lo avrebbe mai seriamente lasciato, ora sapeva che erano entrambi così legati all’altro che non sarebbe mai arrivato il giorno in cui quel filo si sarebbe spezzato. Avrebbero continuato a cercarsi, avrebbero continuato a farsi del male e curare quelle ferite ma non sarebbero mai riusciti a slegarsi o vivere due vite completamente separati: fare ciò, anche solo pensare di vivere in quel modo, era come cercare di immaginare un mondo in cui non c’era aria, ossigeno o vita.
Le lacrime continuavano a scendere, questa volta più lentamente e ormai esauste anche loro. Brian strinse e abbracciò Baylee ancora più contro di sé, volendo quasi creare una sorta di bolla di amore anche se mediata dal telefono. “Abbiamo bisogno di te, Nicky. Ho bisogno di te. Anche se non lo dico mai.”
L’ammissione di Brian fu l’ultima spinta che fece crollare ogni difesa e obiezione rimasta dentro di Nick. Dentro di sé, il ragazzo sapeva che quel desiderio c’era sempre stato e che solo lui, cieco, era riuscito o aveva voluto non vedere. Allo stesso tempo, ora, era una sferzata di forza e speranza, qualcosa che cementava ancora di più la sua decisione. “Ho bisogno anch’io di voi. Mi spiace, Brian. Dio, sono stato proprio uno stronzo.”
“Abbastanza.” Rispose Brian in una risata che ancora sapeva di lacrime.
“So che non sarà facile ma, te lo prometto, cambierò. Per te. Per Baylee.”
“Non voglio che tu cambi, Nick. Voglio solo che ritorni ad essere l’uomo di cui mi sono innamorato. Rivoglio il mio Nick.”
“Anche... anche se non so cambiare un pannolino? O sbaglio a comprare l’omogeneizzato per Bay?”
“Sì, Nick. – Rispose Brian con un sorriso. – Puoi non sapere le cose pratiche ma sai come calmarlo quando ha un incubo, ci sei stato quando aveva la febbre. E mi sopporti nelle mie manie di ordine. E’ quel Nick che mi manca, il Nick che mi ha tenuto la mano alla prima visita medica.”
“Ma ti ho deluso. Non voglio essere questa persona, Brian. Voglio essere l’uomo che merita di essere al tuo fianco.”
“E lo sei. Sotto questi strati, c’è ancora quel Nick. Ti sei solo perso. E... e non so come aiutarti a ritrovare la strada.”
“E’ qualcosa che devo fare da solo. Ma te lo prometto. Ritorno da te. Ritorno dalla mia famiglia. - Per la prima volta, Brian si lasciò non solo accarezzare da quelle parole ma vi si aggrappò per scacciare via anche l’ultima delle sue paure. Era rimasta lì, sempre nell’ombra, ma non era mai apparsa indebolita o sconfitta; anzi, continuava a crescere, ad allungare i suoi artigli senza mai lasciargli un attimo di respiro. Era la voce, sibillina, che continuava a sussurrare come Nick non sarebbe mai più tornato e che, anche se rimessosi in piedi, avrebbe scelto di continuare a camminare sulla sua strada libero da quei due pesi che erano diventati Brian e Baylee. Con una sola frase, con tre sole parole, Nick era riuscito invece a scacciare via quella paura, rendendo ancora più forte e luminosa la fiamma della speranza. – Però anche tu mi devi fare una promessa, Brian.”
“Quale?”
“So che sei esausto. Quindi, promettimi che andrai dai tuoi. Promettimi che ti farai aiutare almeno fino a quando non potrò tornare e prendermi cura di te.”
“Okay. – Mormorò Brian a sottovoce. Era già la sua idea, un pensiero che aveva incominciato a formarsi non appena aveva deciso di fuggire via da quell’incubo. Poteva sembrare forte, poteva apparire come una persona a cui non serviva appoggiarsi a qualcuno ma la realtà era totalmente differente. – Okay. Baylee adorerà essere viziato.”
Per qualche minuto, Brian e Nick rimasero in silenzio, assorti solamente ad ascoltare il respiro dell’altro. Lo avevano fatto tante di quelle volte, tante di quelle notti quando la stanchezza era troppo forte da combattere con il sonno e la loro unica arma era quella, rimanere abbracciati e farsi cullare da quella melodia unica che era il respiro. Passò più di un minuto, anzi, quelli si allungarono fino a quando non fu possibile più distinguerli l’uno dall’altro e Brian nemmeno si rese conto del momento in cui, sempre tenendo Baylee e il telefono, si era spostato e sdraiato sul letto. Ma si ricordò dell’ultima parola che Nick gli pronunciò.
“Buona notte.”
Era ormai mattina, era ormai il momento in cui il sole si stropicciava ed incominciava ad uscire fuori dalla sua camera. Eppure, per Brian era come se finalmente anche per lui fosse venuto il momento di potersi addormentare come se la notte fosse appena scesa. Con quell’ultima “buona notte”, un augurio che erano settimane che agognava di sentire, Brian si addormentò, avvolto dalla speranza che il peggio era finalmente stato lasciato alle loro spalle.

 

 

 

 

 










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Ce l'ho fatta! E' stato un parto questo capitolo, ancora non ne sono soddisfatta (e quando mai lo sono? lol) ma ce l'ho fatta! E manca solo l'epilogo! ^__^

 

















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Capitolo 3
*** - Epilogo: Fix You - ***


Epilogo













Lights will guide you home
-        Fix you, Coldplay
 







 
C’era qualcosa di magico nella semplicità di quella giornata: qualche soffusa nuvoletta bianca si intrometteva in un cielo limpido, un caldo azzurro chiaro che prendeva il suo calore da quel sole che splendeva beato e sonnecchiante proprio al suo centro. I riflessi di quella luce giocavano a rincorrersi per le strade, saltando contro i vetri e poi correndo fra i fili d’erba resi ancora più verdi e splendenti sotto quell’invisibile oro. C’era una semplice arietta a scodinzolare fra le foglie degli alberi e i petali dei fiori, un’aria che si portava dietro i profumi che rubava dalla case in cui entrava e usciva repentina come un ladro.
C’era qualcosa di magico in quel luogo, sì, ed era per quel motivo che Brian amava sempre ritornarci, soprattutto in momenti come quelli, dove la batteria dell’energia era al limite della riserva e non c’era niente che potesse trattenerlo a galla. Quella volta, per quanto forte e stoico fosse riuscito a mostrarsi davanti al mondo, si era reso conto di aver quasi toccato il fondo insieme a Nick: solo suo figlio lo aveva tenuto aggrappato ad un ultimo brandello di sanità, solo per lui era riuscito a ritrovare una parvenza di controllo e mettere un freno a quello pazzia che era diventata la loro vita. Se fosse stato da solo, se lui e Nick fossero stati semplicemente sposati... Brian dubitava che sarebbe riuscito a comportarsi come aveva fatto un mese prima. Sua madre lo aveva sempre messo in guardia, gli aveva sempre detto che amava anche fin troppo, tanto da lasciarsi quasi scomparire pur di rendere felice l’altro. Eppure, quella volta, niente di buono era uscito dal suo sacrificarsi: Nick continuava ad uscire, lui continuava a incolparsi e cercare di risolvere un puzzle a cui mancava sempre un pezzo e, alla fine, nessuno di loro era felice. Nemmeno Baylee che, nonostante così piccolo, si era reso conto di tutta quella tensione che circondava la sua famiglia. Nemmeno ora era completamente felice, esattamente come lui: lo stacco, il periodo di calma, era servito, su quello non c’erano dubbi. Ma sentiva ancora troppo la mancanza di Nick, la sentiva in tutti i quei momenti in cui Baylee faceva qualcosa di nuovo e lui non aveva nessuno al suo fianco con cui condividerla. Più di tutto, a Brian mancava il vecchio Nick, quel ragazzo con cui aveva trascorso ore e ore solamente a progettare il futuro di loro figlio, quel ragazzo che era rimasto alzato tutta notte pur di dipingere la stanzetta senza che lui mettesse mano e, invece, si riposasse.
Con un sospiro, Brian incominciò a camminare sul prato, arrivando fino alla vecchia quercia che ancora ospitava la casetta che lui e suo fratello avevano costruito quando erano piccoli. Era stato il loro rifugio, era stato il loro nascondiglio ed era stato il luogo in cui, separatamente, avevano alzato lo sguardo verso il cielo e immaginato che cosa potesse riservare loro il futuro. Ripensando ai suoi di sogni, Brian non poteva non constatare quanto fosse stato fortunato e graziato di essere riuscito non solo a realizzarli ma ad avere anche ben più di quanto avesse potuto immaginare. Ogni bambino sognava di diventare famoso, calciatore o cantante o attore che fosse; ogni bambino sognava di poter essere conosciuto in tutto il mondo e, in questo modo, di poter regalare un sorriso e cambiare, anche solo di un pochino, la vita di un totale estraneo. A lui era stata data quella possibilità anche quando quel sogno era rimasto solamente un piccolo desiderio di un bambino ormai cresciuto e pronto a cercare di costruirsi una vita nel mondo degli adulti. La chiamata di Kevin gli aveva letteralmente stravolto la vita e ogni giorno si ritrovava a ringraziare quel semplice gesto, non solo perché gli aveva permesso di vivere una vita che solo a pochi eletti veniva concesso. Ringraziava quel giorno e suo cugino perché, a sua insaputa e involontariamente, gli aveva regalato l’occasione più importante della sua vita e gli aveva permesso di conoscere colui con cui avrebbe condiviso il resto della sua vita.
Più di tutto, però, Brian era riuscito a crearsi ciò che aveva sempre desiderato: una famiglia. Era successo in modo strano, era successo quando ormai si era arreso alla realtà che lui e Nick non avrebbero potuto avere figli completamente e totalmente loro. Non era mai stato un vero problema o un dramma di proporzioni apocalittiche, considerando che avevano una miriade di possibilità da ponderare e soldi sufficienti per realizzarle. Ma Baylee era stato il loro miracolo, il suo più grande miracolo. Ed era stato per lui, sarebbe sempre stato per lui che Brian era sicuro che non avrebbe mai smesso di lottare per la sua famiglia: Nick lo aveva aiutato a creare quella meravigliosa creatura e solo per quello non poteva essere quel mostro e quell’orribile creatura che aveva finito per credere di essere. Oh, sapeva che in parte quelle credenze venivano da quella che poteva considerarsi famiglia solo perché così veniva chiamata per definizione ma molte di quelle mura era stato Nick stesso a crearle dal momento in cui si era perso in quel vortice di auto distruzione.
Eppure, Brian continuava a credere che non potesse essere totalmente colpa di Nick. C’era una parte di lui che non era riuscito a scacciare via l’ipotesi che lui avesse fatto qualcosa, un comportamento o anche una semplice parola, e che avesse dato inizio così a quella lontananza che si era venuta a creare fra loro due. Sapeva di non essere una persona semplice da amare: era testardo, era ostinato, doveva sempre fare tutto a modo suo e permetteva a pochi, pochissimi, di aiutarlo nei momenti di maggior bisogno. Forse era stato quello ciò che aveva allontanato Nick: lo aveva fatto sentire inutile, lo aveva fatto sentire come se non avesse più bisogno del suo aiuto e come se non avesse un senso all’interno della loro famiglia. E ciò che lo faceva impazzire più di tutto era rendersi conto che non sapeva come rimettere in sesto la situazione. Non aveva una bacchetta magica, non esisteva un incantesimo che avrebbe cancellato tutto e permesso loro di continuare come se niente fosse. Non poteva fare niente, quella volta, non poteva ricostruire ciò che Nick aveva rotto notte dopo notte, insulto dopo insulto, silenzio dopo silenzio. Perché ad esserne uscito a pezzi non era stato solamente Nick e il loro matrimonio.
Lo era anche lui.
E forse era quella la cosa più spaventosa e terrificante. Brian era sempre stato in grado di rimettersi in piedi dopo ogni colpo, senza mai dover chiedere un supporto a qualcuno. In quel mese aveva quasi dovuto mettersi in pausa mentre aspettava che Nick si rimettesse in pista per poi aiutarlo a ricostruire ciò che era stato spezzato. Era il non sapere che lo stava lentamente logorando. Era il non sapere con totale sicurezza che Nick sarebbe tornato da lui che lo teneva sempre all’erta, una sorta di ansia che non valicava mai i livelli di confine ma se ne rimaneva nell’ombra, sperando un giorno di poter uscire al sole. Se almeno avesse avuto una conferma, se almeno avesse avuto una risposta chiara e precisa, avrebbe potuto incominciare ad organizzare la sua vita attorno all’unico punto che non sarebbe mai cambiato. Baylee.
Un mese. Trenta giorni in cui gli unici scambi con Nick erano stati su tutto e sul nulla. Si erano girati attorno, avevano scambiato le informazioni basilari su ciò che li teneva legati ma non avevano mai affrontato la questione di che cosa sarebbe successo una volta che Nick fosse uscito da quel centro. Nick non ne aveva mai parlato, Nick non aveva mai accennato a dove sarebbe andato o che cosa avrebbe fatto e lui non lo aveva chiesto.
Aveva paura di farlo.
Ecco quale era stata la principale conseguenza di tutti quei mesi. Brian non sapeva più leggere Nick, non sapeva più dire con esattezza come si sarebbe comportato o quale sarebbe stata la sua decisione. Era come se, all’improvviso, davanti a lui fosse comparso una persona che assomigliava in tutto e per tutto a Nick ma non era l’anima e il cuore di cui si era innamorato e di cui conosceva ogni particolarità e ogni traccia. Per quanto ridicolo potesse sembrare, a Brian sembrava di essere tornato a quei primi giorni dopo quel bacio e confessione durante il matrimonio di Kevin, quando tutto, anche un semplice messaggio, sembrava dovesse contenere qualche altro significato implicito. Quell’incertezza e insicurezza che provava era la stessa anche se moltiplicata per mille e mille più volte. Tornerà? Era quella la domanda che più di tutte lo aveva tenuto sveglio. Tornerà da me ora che ha risolto tutti i suoi problemi? Continuerà a volermi, continuerà a volere questa famiglia o si è reso conto che eravamo noi a essere un peso?
Ma una parte di Brian, quella parte che ancora continuava a battere e respirare il nome del suo compagno, sapeva che sarebbe tornato. Lo sapeva con così assoluta certezza da non ribattere nemmeno a quelle povere e deboli obiezioni, quasi come esse fossero solamente dei rimbrotti di un bambino deluso e viziato. Ed era a quella certezza che Brian doveva aggrapparsi. Era da quella certezza che Brian traeva la forza per svegliarsi alla mattina e sorridere e provare ad essere felice. Perché quella certezza gli diceva che Nick sarebbe tornato e che insieme avrebbero risolto ogni problema. Perché quella sicurezza gli ricordava che era ancora possibile continuare a sognare di ricreare quella famiglia che tanto aveva desiderato sin da piccolo.
Un filo di aria si liberò dai rami con cui aveva giocato fino a quel momento, buttandosi a capofitto sul prato e decidendo che era più divertente prendere in ostaggio un petalo di un fiore e farlo volare insieme ad essa. Con sguardo divertito, Brian osservò quel punto rosso incominciare a danzare davanti ai suoi occhi, vicino ai suoi capelli, prima di correre verso la casa dietro alle sue spalle. E fu in quel momento che Brian si accorse di qualcuno che, dalla veranda, lo stava osservando.
Nick.
Un sorriso. Entrambi si sorrisero come se niente fosse successo, come se non fossero trascorsi più di trenta giorni dall’ultima volta che si erano visti o come se non ci fosse un enorme punto di domanda in quella distanza. E come sempre, come dalla prima volta con cui Brian aveva guardato Nick con occhi diversi, il suo cuore si fermò un secondo prima di battere ancora più velocemente. Era cambiato, fu la prima cosa che Brian notò. I capelli erano più lunghi e un ciuffo gli cadeva davanti agli occhi, nascosti dietro ad un paio di occhiali neri; i vestiti, una maglietta azzurra e un paio di jeans, sembravano essergli diventati più grandi, segno che non solo lui aveva perso qualche chilo durante la loro separazione.
Erano entrambi impacciati. Si guardavano, si osservavano, si sorridevano ma nessuno dei due sembrava sapere quale dovesse essere la prossima mossa. A chi toccava il primo passo? Dovevano salutarsi? Dovevano avvicinarsi? Brian voleva farlo, a malapena riusciva a contenere l’istinto di correre fin alla casa e buttarsi nell’abbraccio che di sicuro lo avrebbe accolto. Dall’altra, invece, voleva che fosse Nick ad avvicinarsi, voleva che fosse lui a correre fra le sue braccia, quasi a dimostrare che aveva sentito la sua mancanza nello stesso egual modo in cui lui aveva sentito la sua.
Fu Nick a metter fine a quella situazione insolita, incominciando a camminare verso di lui e fermandosi solo quando mancavano pochi passi a essere l’uno di fronte all’altro. Si tolse gli occhiali, infilandoli poi nella tasca dei pantaloni.
“Hey.”
“Hey.”
“Kevin mi ha accompagnato. Volevo farti una sorpresa.” Fu tutto ciò che disse Nick ma c’era altro implicato in quelle semplici parole: non volevo farti correre come sempre. Devo essere io a rimettere a posto il casino che ho combinato.
Faceva sentireBrian a disagio, almeno in parte, aspettare la prossima azione di Nick. Era così che Nick si era sentito ogni qualvolta lui arrivava e, con uno slancio di mantello, rimetteva tutto a posto? Ma come poteva Nick rimettere insieme se non aveva tutte le carte a disposizione?
“Non sapevo se saresti tornato. – Mormorò quindi, abbassando lo sguardo e stingendo le mani in pugni. – Non sapevo se questo, se io e Baylee, fossimo ciò di cui tu hai bisogno per essere felice.”
Sulle prime, Nick non disse niente. Brian vide nei suoi occhi l’effetto delle sue parole, simile ad un pugno dritto allo stomaco. Avrebbe voluto riprendersi quell’affermazione, avrebbe voluto cancellare quella confessione ma, prima che potesse dire qualcosa, Nick colmò la distanza fra loro due e lo abbracciò, stringendo le braccia e aggrappandosi quasi alle scapole.
“Mai. – Gli sussurrò Nick con tono fermo e deciso nell’orecchio. – Non dubitare mai che possa tornare o meno. Tu e Baylee siete l’unica ragione per cui posso essere felice, hai capito?”
Con un singhiozzo intrappolato in gola, Brian poté solamente annuire, quel dubbio finalmente sgonfiato e volato via insieme al suo sospiro. Non si staccarono. Nick, soprattutto, non voleva lasciare andare Brian, impaurito quasi che potesse svanire e scomparire come se fosse stato solamente un’illusione creata dalla sua mente. Era stata la sua assenza, era stata la sua mancanza a pesare come un macigno in quei trenta giorni. C’erano stati giorni in cui aveva pensato di uscire di forza, ripercorrere tutti quei chilometri e farsi riprendere da Brian in ginocchio, solo per poter assaggiare ancora una volta il suo abbraccio. Aveva voluto, soprattutto, consegnargli ognuno dei suoi problemi e lasciare che fosse lui a rimettere in ordine i pezzi per poi dirgli come fare ad andare avanti e a cambiare. Sì, era stato quello forse il passo più importante e difficile che aveva compiuto: guardarsi allo specchio e vedere perfettamente nudi ogni suo minimo difetto e sbaglio che aveva commesso in passato. Guardare e sapere che solamente lui stesso poteva rimetterli a posto prima di poter tornare dalla sua famiglia.
Se ancora loro lo avessero voluto.
“Anch’io, lo sai? Anch’io avevo paura che non mi voleste più. Meriti molto di più, Brian. Per tutto quello che ti ho fatto passare, per tutto il dolore che ti ho provocato, meriteresti molto di più di me.”
A quelle frasi, sussurrate con un filo di lacrime nella voce, Brian scostò il viso in modo da poter osservare direttamente Nick. Una mano si appoggiò sulla sua guancia, un sorriso misto di dolcezza e consapevolezza rispose all’inizio, con l’unico scopo di rassicurare. “Mi ami. Mi hai dato Baylee. Bastano solo queste due ragioni per farmi rimanere qui e aspettarti. Sempre.”
“Scusami. So che dirtelo ora non è abbastanza, so che ho sempre usato quella parola e ormai ha perso di significato ma...”
“Non importa, Nick.”
“No, invece importa. Parte del mio percorso è fare ammende con il passato e... tu ne fai parte. Tu sei la persona, oltre a me stesso, a cui ho fatto più del male.”
“So che sei dispiaciuto. Ho solo bisogno di capire perché.”
Prima di rispondere, Nick fece scivolare una mano dalla schiena fino a raggiungere la controparte di Brian; con le dita intrecciate una nell’altra, fece spostare entrambi fino a quando non giunsero all’albero, sedendosi poi con la schiena appoggiata contro il suo tronco.
“Fino ad un mese fa, non avrei mai potuto rispondere a questa domanda. – Incominciò Nick a dire, appoggiando la testa sulla coscia di Brian. – E non ho ancora tutte le risposte. Volevo... no, non ho mai rimpianto di averti sposato e di avere Baylee. E credevo di poter riuscire là dove i miei avevano fallito: la vedevo come una sfida, una battaglia contro ciò che pensavo fosse anche il mio destino. Volevo esserci per te, volevo esserci per Baylee e volevo dimostrare al mondo intero che anche Nick Carter poteva essere un padre e un marito modello.”
“E io non ho avuto fiducia in te.” Obiettò Brian, incominciando ad accarezzare i capelli di Nick.
Nick chiuse gli occhi, mordicchiandosi il labbro inferiore. “Avevi anche ragione. Perché nel momento in cui avrei dovuto farmi valere e dimostrarti che potevi appoggiarti a me, sono invece scappato come un codardo. Deluso e ferito, più che altro da me stesso e da ciò che stavo provando.”
“In che senso?”
“E’ stupido da dirlo ma... ero geloso di Baylee. Geloso che si fosse preso tutte le tue attenzioni, geloso che avesse così sconvolto la nostra vita da lasciarmi fuori ad osservare invece che farne parte. E, in qualche modo, ero arrabbiato perché sembrava che tu non avessi più bisogno di me. Così me ne uscivo, forse per dimostrarti che se tu non avevi bisogno di me allora nemmeno io ne avevo. E da lì è iniziato tutto: più uscivo, più mi sentivo in colpa così cercavo di dimenticare tutto bevendo ma, una volta terminato il periodo di oblio...”
“Era anche peggio, vero?”
“Già. – Rispose Nick annuendo con il capo. Ecco che cosa era mancato loro. Parlare. Si erano nascosti nel loro dolore e nella loro rabbia, avevano lanciato frecciatine e sguardi accusatori ma poi ognuno era sempre ritornato nel suo angolo e le ferite avevano preso il sopravvento. – Odiavo me stesso per ciò che ti stavo facendo e, per non ammetterlo, preferivo odiare te e scaricare tutta la mia rabbia su di te.”
“Mi dispiace, Nick.”
Nick alzò di scatto la testa, voltandosi e mettendosi seduto in modo da poter osservare Brian. “No, Bri, non è stata colpa tua.”
“In parte sì, invece. Lo hai detto tu stesso, ti ho escluso dalla famiglia. Non l’ho fatto volontariamente e se solo avessi avuto un minimo sospetto avrei cercato di porre rimedio prima che la situazione peggiorasse. Ma sai bene quanto non sia ancora capace di fare affidamento su qualcun altro o ad ammettere di avere bisogno. E dopo i mesi della gravidanza non volevo più essere un peso per te.”
“Non lo eri. Ho amato quei mesi, Bri. Ho amato potermi prendere cura di te.”
“Non sapevo come chiederti aiuto. Non ho mai saputo farlo. – Brian prese la mano di Nick, quella sul cui anulare ancora splendeva la fede che si erano scambiati qualche anno prima. – Abbiamo sbagliato entrambi, non importa chi ha più colpe e responsabilità. Abbiamo sbagliato ma, per fortuna, ce ne stiamo rendendo conto in modo da poter ripartire da zero. E possiamo farlo, possiamo ricominciare. Un nuovo capitolo.”
“Entrambi abbiamo molto su cui lavorare. – Aggiunse Nick, intrecciando le sue dita con quelle di Brian. – Ma ora so che niente riuscirà a spezzarci. Potremo piegarci sotto la forza del temporale ma ciò che abbiamo è più forte e resistente,”
Brian annuì, lasciandosi poi cadere contro Nick ed appoggiare la testa sulla sua spalla; un braccio gli circondò la vita mentre l’altro appoggiò l’intreccio di dita fra i loro corpi, in quel punto in cui sembrava non esserci una netta divisione fra il corpo di uno e dell’altro. In quei giorni, in quelle settimane, Brian aveva compreso che l’amore era come la fede: non era qualcosa di tangibile, non era qualcosa che potevi toccare e definire semplicemente tramiti i sensi. Era qualcosa in cui dovevi crederci, soprattutto in quei momenti in cui sembrava essere destinato a cadere e dissolversi in cenere e anche senza la certezza che potesse ritornare a splendere come una volta. Bisognava avere il coraggio di continuare a crederci e combattere, dubitando e cercando risposte alle proprie domande. Bisognava stringere i denti e sopportare, lamentarsi e piangere sapendo che presto qualcuno avrebbe cancellato quelle lacrime e posato un sorriso. E ne valeva la pena. Valeva la pena soffrire, valeva la pena ritrovarsi a terra solo per potersi aiutare a vicenda e riprendere il cammino insieme.
Nick aveva ragione. Potevano piegarsi, potevano abbassare la testa e rimanere in quella posizione fino a quando il temporale non fosse passato ma nemmeno il peggiore dei tuoni e delle tempeste sarebbe riuscito a spezzarli. Perché poi, con i primi timidi raggi del sole, avrebbero incominciato a rialzare la testa, a controllare i danni e trovare un modo per ripararli.
Brian aveva la sua fede. Brian credeva nell’amore, non forse quello romantico dei film ma quello pratico, quello che metteva le sue fondamenta su mattoni di sforzi e lacrime. Più di tutto, credeva nell’amore che provava per Nick e in quell’amore che Nick provava per lui e Baylee ne era la prova più tangibile. Insieme si sarebbero rialzati perché erano forti, erano due persone a cui la vita aveva sferzato la tempra con differenti ostacoli e ciò rendeva il loro rapporto qualcosa di praticamente indistruttibile.
 
 
 
 
 
 








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Non ci credo! E' finita!!!! Una storia in meno da completare! LOL
Spero che sia piaciuta. Di sicuro tornerò a scrivere di questi Brian e Nick. Un giorno, chissà, mi piacerebbe scrivere la parte mpreg della storia.
Alla prossima,
Cinzia!

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