Cucciolo di tigre

di rolly too
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il giornale dal Giappone ***
Capitolo 2: *** Il cucciolo di tigre ***
Capitolo 3: *** Inseguire una nuvola ***
Capitolo 4: *** L'appartamento a Namimori ***
Capitolo 5: *** Parlare da soli ***
Capitolo 6: *** L'Italia ***
Capitolo 7: *** Sott'acqua ***
Capitolo 8: *** La crepa nel muro ***
Capitolo 9: *** La volontà incrollabile ***
Capitolo 10: *** L'interrogatorio ***
Capitolo 11: *** Legami recisi ***
Capitolo 12: *** Venezia ***



Capitolo 1
*** Il giornale dal Giappone ***


Dino sta per mettersi sotto alle coperte e il telefono squilla.
Allunga una mano sul comodino per recuperarlo, lo urta e il cellulare quasi cade, ma con un movimento a metà tra l'intenzionale e il casuale riesce a recuperarlo.
«Sì?»
«Dino-san? Ti disturbo?»
«Tsuna?»
Fa un breve calcolo mentale: in Giappone sono più o meno le sette della mattina. Questo vuol dire che c'è qualcosa di urgente di cui parlare, se il piccolo boss dei Vongola gli telefona a quell'ora.
«È successo qualcosa?»
«Mi chiedevo, ecco... Se sai qualcosa di Hibari-san.»
«Kyoya?»
Non capisce cosa c'entri adesso Kyoya. Soprattutto, non sa cosa esattamente dovrebbe sapere su di lui.
«Sì, insomma, se sai dov'è.»
Scatta a sedere sul letto e stringe il telefono con più forza.
«Non sapete dov'è?»
La voce di Tsuna si fa incerta, «Non ti è arrivato il giornale che abbiamo mandato?» chiede.
Dino resta in silenzio. Non controlla la posta del suo appartamento da più di due settimane, quindi non lo può sapere. È da parecchio che non viene a dormire qui, di solito resta alla residenza e la posta la passa a prendere Romario. Ma in questi giorni si sentiva inquieto, ed è tornato.
«Vado a controllare.»
Si alza dal letto, muove solo un paio di passi a piedi nudi sul pavimento freddo ed esce dalla stanza. Impreca quando colpisce con il piede lo spigolo della porta, ma cerca di ignorare il dolore. Riesce ad arrivare alla cassetta della posta senza procurarsi danni gravi, e in effetti in mezzo a una discreta quantità di pubblicità inutili trova anche una busta di carta marrone che arriva dal Giappone.
«Cosa c'è di importante in questo giornale?» domanda.
«Vai a pagina 6, c'è un articolo che riguarda anche Hibari-san... Davvero non sai dov'è?»
«No, l'ultima volta che l'ho visto è stato quando sono venuto in Giappone e poi non l'ho più sentito.»
«Ah,» si lamenta Tsuna «è un disastro!»
Con non poche difficoltà e un doloroso taglio da carta Dino riusce ad aprire il giornale e ad arrivare a pagina 6. Un unico articolo occupa buona parte della pagina, arricchito da foto che catturano l'attenzione di Dino ben più dei difficili kanji che avranno bisogno di un buon vocabolario per essere tradotti.
Le foto sono semplici, in bianco e nero.
La prima ritrae un uomo di mezz'età, che forse ha cinquant'anni o poco meno, con pochi capelli ancora scuri e occhi allungati, fin troppo familiari.
Nella seconda si vede una villa che Dino conosce, anche se non ci è mai entrato. In stile tradizionale, ha un giardino tanto perfetto che sembra finto. Quello che Dino guarda ogni volta è il sentiero di ciottoli che porta dalla strada fino all'ingresso. Si curva sinuoso come un serpente chiaro tra il verde dell'erba, e lui tutte le volte che lo guarda si chiede perché non l'hanno fatto dritto. Tutte le volte che vede la schiena di Kyoya allontanarsi e i suoi piedi posarsi su quei ciottoli, si chiede perché segua il sentiero tracciato dai sassi e non cammini dritto. Lui, se dovesse entrare in quella casa, camminerebbe dritto. Ma lui è il tipo che calpesta l'erba, Kyoya no.
La terza foto è la scuola media Namimori ritratta in orario di chiusura, con il suo orologio sempre puntuale e il cortile vuoto. La foto è stata scattata alle cinque, ma se fosse mattina o pomeriggio Dino non saprebbe dirlo.
«Ci metto tanto a leggere il giapponese. Cosa c'è scritto?»
«L'uomo nella foto è il padre di Hibari-san.» spiega Tsuna con voce concitata. «L'articolo dice che è un importante uomo d'affari, aveva un sacco di possedimenti, ma era pieno di debiti e da due settimane nessuno sa più dov'è.»
Il padre di Kyoya. Dino lo osserva con più attenzione. Dalla foto si fa fatica a capire quanto i due si somiglino in realtà, ma non vede molto del proprio allievo in quel volto spigoloso. Ma gli occhi, Dio, gli occhi. Quelli sì, quelli sono identici. Forse non hanno nemmeno lo stesso colore di quelli del figlio – sembrano scuri, dalla foto – ma lo sguardo è lo stesso. Il gelo è lo stesso.
«Qual è il punto?»
«Hibari-san non ha altri parenti e se li ha nessuno sa dove siano. Lo hanno portato in una casa famiglia perché è minorenne, ma...»
«È scappato.»
«Sì. Ormai è passata una settimana, non sappiamo più cosa fare! È scomparso, non viene nemmeno più a scuola!» Sospira. «Lo so che Hibari-san è forte, però sono preoccupato... E Reborn ha insistito perché ti avvisassi.»
«Kyoya sa badare a se stesso, quindi stai tranquillo.»
«Lo so, però...»
«In ogni caso» lo interrompe Dino «cercherò di mettermi in contatto con lui. Hai provato a telefonargli?»
«Sì, ma non ha mai risposto.»
Tipico di Kyoya.
«Vedrò cosa posso fare.»
Ma la verità è che non sa cosa fare. Riaggancia dopo aver salutato con allegria forzata Tsuna, lancia il telefono sul letto – e quello puntualmente cade giù dall'altra parte, ma non importa – e lui si limita a passarsi una mano sul volto. Va in cucina e riesce a inciampare solo due volte durante il tragitto, apre il frigo, tira fuori una birra e la beve in fretta, in piedi davanti al frigorifero aperto, senza nemmeno preoccuparsi di prendere fiato tra un sorso e l'altro.

Il cellulare di Kyoya suona a vuoto e Dino non è per niente sorpreso. Compone il numero per la terza volta e avvia la chiamata, ma lo fa solo per scrupolo, perché magari Kyoya, esasperato dalla sua insistenza, risponderà. Non risponde.
Ha promesso a Tsuna che farà qualcosa, non sa cosa, ma qualcosa deve fare.
Chiama Romario perché non è il caso che si metta alla guida di una macchina quando non fa altro che inciampare e si fa promettere che lo porterà all'aeroporto. L'uomo gli dice qualcosa riguardo alla possibilità che non ci siano aerei per il Giappone in partenza, Dino fa finta di non sentire.
Quando Romario arriva a prenderlo Dino gli sorride.
«La famiglia Vongola ha di nuovo bisogno di me.»
«Anche i Cavallone hanno bisogno di te. E domani dovevi incontrare i boss delle famiglie alleate.»
«Scusa, scusa, ma è una cosa urgente.»
Romario gli rivolge un'occhiata sconsolata «Devo disdire tutto?»
«Sì. I Vongola hanno la priorità.»
«Qual è il problema questa volta? Ancora gli anelli?»
No, magari fosse così semplice. Lì si trattava di battere qualche nemico, qui di recuperare un quindicenne al limite del sociopatico rimasto senza casa che vaga solo per il Giappone e convincerlo a farsi aiutare. Non è semplice, a Kyoya non piace essere aiutato.
«No. È Kyoya.»
«Quel ragazzino dà solo problemi.»
«Non dire così, dai. Ha solo un brutto carattere.»
«Fa sempre di testa sua.»
Dino sbuffa perché sì, Romario ha ragione. Kyoya non ascolta mai nessuno però almeno non pretende che gli altri ascoltino lui. È così che Dino è riuscito a diventare, più o meno, suo maestro. È una relazione priva di dialogo, si limitano a riempirsi di botte sul tetto della scuola o in qualunque altro luogo, però si capiscono.
«Deve crescere.»
«Ha quindici anni, non è un bambino.»
Dino resta in silenzio e non perde nemmeno tempo a chiedersi perché Romario faccia così. Lo sa, l'ha sempre saputo che Kyoya non gli piace. Quando ce l'ha davanti non dice nulla, lo tratta con gentilezza, come è abituato a fare con tutti. Quando può, però, si lamenta del suo comportamento infantile. Dino sa che ha ragione e che Kyoya dovrebbe comportarsi in modo adatto alla sua età, però se lui non lo fa c'è poco da fare e lui non riesce a fargliene una colpa.
«In ogni caso, in questo momento ha bisogno di aiuto.»
«Che cosa gli è successo?»
Dino spiega e mentre lo fa cerca di tirare le somme della situazione e pensare a qualche cosa di utile che lo aiuti a trovare Kyoya, però non gli viene in mente niente.

Il viaggio è il più lungo che Dino abbia mai affrontato, o almeno così gli sembra.
Romario ha trovato due biglietti quasi per caso, così sono stati costretti a partire loro due soli. Dino si mangia le unghie e ogni volta che Romario dice che andrà tutto bene ha l'impressione che qualcuno gli prema forte sullo stomaco. Fa male.
«In inverno in Giappone nevica, vero?»
«Sì, capo. Ma magari ha trovato un posto dove stare.»
Dino annuisce ma non è convinto. Da quello che sa Kyoya non ha parenti, e se suo padre è andato in bancarotta tutti i suoi beni sono sotto sequestro, e questo significa che non c'è una casa dove possa andare. Ed è inverno, fa freddo e chissà dove si è cacciato quel ragazzino.
«Il Giappone non è grande, ma per trovare una persona bisogna avere comunque un'idea di dove andare. Dove lo cerchiamo, boss?»
«Non ne ho idea.» confessa Dino. «Senti, Romario.»
«Sì?»
«Come ci si comporta con un ragazzo che è nella situazione di Kyoya? Quando lo troviamo, cosa devo fare?»
«È un ragazzo particolare. Prima devi capire come sta reagendo.»
Dino sospira e «Farà finta di star bene, come sempre.» dice.
«Prima dovresti preoccuparti di decidere da dove iniziare a cercarlo, comunque.»
È vero. Conoscendo Kyoya, Dino direbbe che non si è allontanato da Namimori. Però è rischioso per lui stare lì, e senza dubbio lo sa. Non vuole essere controllato e non vuole correre il rischio di essere catturato, quindi è probabile che sia andato via. Forse ha addirittura abbandonato la regione.
«Nel file che mi ha procurato Reborn quando mi ha chiesto di allenarlo c'era scritto che la sua famiglia ha una casa nell'Hokkaido.» risponde.
«Sarà senza dubbio sotto sequestro.»
«Sì, lo so, ma Kyoya non andrebbe mai in un posto che non conosce.»
«L'Hokkaido è grande.»
«Cercheremo la casa. È l'unico indizio che abbiamo.»
È certo che Kyoya si trovi lì. Ha imparato a conoscerlo, sa che si sente sicuro solo nel proprio territorio, proprio come un animale feroce. Un grande carnivoro, un animale con grandi denti aguzzi e molta forza. Come un leone. Ma quando Dino pensa a Kyoya non gli viene in mente un leone, ma
un cucciolo di tigre.

Il Giappone gli sembra ostile, in quel momento.
Mentre aspetta l'aereo che lo porterà in Hokkaido si guarda intorno. Ogni uomo che vede gli sembra minaccioso, in ognuno vede quello che potrebbe essere l'assassino di Kyoya.
Si chiede se, ovunque sia, qualcuno gli abbia fatto del male. Si chiede se stia soffrendo e si risponde di sì. Chissà se sarà in grado di aiutarlo, come spera.
Si rende conto di essere patetico a fare quel genere di pensieri, ma non può farci niente. Non importa quanto sicuro di sé possa essere Kyoya, è solo un ragazzino. Ha quindici anni, e ha ancora bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui.
«Boss, andiamo.» lo incita Romario quando sente chiamare il loro aereo. Dino lo segue e quasi non vede e non sente quello che accade. Ha in testa soltanto Kyoya e l'assoluta necessità di trovarlo prima che si faccia del male, prima che sparisca definitivamente dalla circolazione.
Una testa calda come lo è quel ragazzino non ha speranze, se è solo e non c'è nessuno che lo possa tenere tranquillo. Perché Kyoya è forte, ma di gente più forte di lui ce n'è tanta e Dino lo sa. Basta solo che la trovi, e non può volerci tanto.
Specie se è solo, spaventato – Dino è sicuro che lo sia – e fuori dal proprio territorio. Proprio come un animale, Kyoya diventa violento quando non si sente al sicuro.
Da Tokyo a Sapporo il viaggio non è lungo, ma a Dino sembra che il tempo non passi mai.
Arrivano all'aeroporto Okadama e Dino si rende conto che non è più vicino a Kyoya di quanto lo fosse mentre era in Italia. Romario si è attaccato al cellulare da ormai diverso tempo, parla con qualcuno della famiglia e non sembra intenzionato a dargli qualche buon consiglio, così Dino non può fare altro che mangiarsi le unghie e attendere.
«Ivan dice che tenterà di trovare l'indirizzo della casa degli Hibari. Richiamerà lui appena avrà novità.»
Dino annuisce distrattamente.
«Ivan è bravissimo in questo genere di cose.» commenta, più per se stesso che per Romario. «Non ci vorrà molto.»
«Infatti. Boss, andiamo a mangiare qualcosa. Ti farà bene.»
Dino annuisce e pensa che non ha per niente voglia di mangiare, ma non lo dice. Segue Romario fuori dall'aeroporto, aspetta che chiami un taxi e si fa portare in un locale che Dino non conosce. Suppone che Romario ci sia stato quando ancora lavorava per suo padre.
«Coraggio, boss, a stomaco pieno di pensa meglio.» lo incoraggia l'uomo e ordina alla cameriera una quantità spropositata di cibo e Dino sa già che non lo toccherà nemmeno.
Si limita a chiedere una birra e quando arriva la manda giù tutta d'un fiato.
«Sta nevicando.» commenta. Kyoya avrà freddo, è questo che vorrebbe dire.
È certo che non sia in un posto caldo e al solo pensarci sta male.
«È un ragazzo forte. Sa prendersi cura di se stesso.»
«A volte ho l'impressione che sia meno vero di quello che pensiamo. Kyoya... non lo so, Romario. Ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui.»
«Ci sei tu, infatti. Siamo in Giappone proprio per questo motivo.»
«Sì, ma non è abbastanza. Voglio dire, ha bisogno di qualcuno che ci sia sempre, capisci? Io faccio del mio meglio quando sono in Giappone, ma per uno come lui non è abbastanza. Ci vuole qualcuno su cui possa contare in ogni momento.»
«Non chiederebbe comunque nessun aiuto, perché è un ragazzino testardo.»
«Lo so. Ma solo il sapere di avere qualcuno, anche se non gli chiederai mai aiuto, è diverso dal sapere di non avere nessuno e di non poter chiedere aiuto nemmeno volendo.»
«Stai calmo, boss. Questi discorsi non sono da te. Troveremo quel ragazzino e tu lo aiuterai.»
Il telefono squilla, Romario risponde e Dino non può fare altro che attendere, con il cuore in gola, e sperare che sia Ivan e che stia dando un indirizzo, o qualcosa del genere.
Perché Kyoya è in Hokkaido. Ne è certo. È nella casa della sua famiglia, anche se è posta sotto sequestro, perché non c'è nessun altro posto al mondo dove potrebbe andare.
Gli viene in mente che invece c'è, e che potrebbe aver chiesto aiuto a Kusakabe, ma scaccia subito quell'idea perché Kyoya non lo farebbe mai. È troppo orgoglioso per farlo, anche se Kusakabe lo aiuterebbe senza pensarci nemmeno per un istante.
«Ivan dice che ha trovato dei riferimenti nel file che ha dato Reborn, ma non un indirizzo vero e proprio.»
«Possiamo arrivare fin lì, con quelle indicazioni?»
«Penso di sì. Dovremo cercare un po', comunque.»
«Va bene. Partiamo subito.»
Romario annuisce. Pagano per quel cibo che non hanno mangiato e chiamano un taxi. Romario propone di noleggiare un'auto, Dino non fa altro che annuire, passargli la carta di credito e pregare di fare in fretta.

Le strade di Sapporo gli sembrano un po' tutte uguali.
Romario dice che la casa è su un monte, a quattro ore di macchina da Asahikawa, che è a due ore da Sapporo. Il che fa un totale di sei ore di auto se non di più, dato che comunque dovranno cercare.
Sono tante, tantissime, e la neve cade sempre più fitta, ha iniziato a tirare un vento gelido e entro poco sarà buio.
Si stringe nel cappotto e sprofonda nel sedile dell'auto, mentre Romario guida tranquillo. Vorrebbe che fosse Kyoya a stringersi in quel cappotto. Vorrebbe che fosse estate e che facesse caldo, così ci sarebbe una preoccupazione in meno.
Invece è inverno e fa freddo, e se continua a nevicare in questo modo non potranno più usare l'auto.
«Stai tranquillo, lo troveremo.»
«Ho l'impressione che andrà tutto male.»
«Dino!» esclama allora Romario, chiamandolo come lo chiamava quand'era bambino e non era ancora il decimo dei Cavallone. «Coraggio, non fare così. Sei il nostro boss e sei l'unica persona da cui quel ragazzo accetterebbe aiuto. Lo troveremo, lo aiuterai e andrà tutto bene. Supererà questo momento.»
Dino rimane ancora in silenzio e chiude gli occhi. Spera solo di addormentarsi, e di svegliarsi accanto a Kyoya.

Ha l'impressione di aver abbandonato la civiltà ormai da un po'.
Procedono a rilento su una strada sterrata, con la neve che cade e anche le luci della città che ormai vanno scomparendo. Romario scruta con attenzione fuori dal finestrino.
«Ivan dice che dalla strada si vede un torii.» spiega. «Guarda anche tu, boss, se lo vedi vuol dire che siamo sulla strada giusta.»
Dino obbedisce e guarda, ma la neve che vortica fuori dal finestrino gli impedisce di guardare tanto lontano.
«Ah, eccolo lì.» dice Romario dopo un po'.
Dino ha perso il conto del tempo che è passato da quando sono partiti da Sapporo. L'Italia, poi, è solo un nebuloso ricordo. Ha in testa solo Kyoya e l'urgenza di trovarlo.
«Non credo che manchi molto, boss.»
«Davvero?»
«Sì. Ivan dice che dal punto in cui si vede il torii alla casa ci vuole circa un'ora. Con questa neve forse ci metteremo un po' di più, ma ormai ci siamo.»
Dino sospira. Kyoya dev'essere lì per forza. Deve, perché se non è lì lui non sa dove potrebbe cercarlo, e non può sopportare un'idea simile.
Prova a comporre il suo numero di cellulare e tenta di avviare la chiamata, ma in mezzo a quella boscaglia sperduta nel nulla  non c'è campo, perciò rinuncia e si limita a sospirare.
«Va tutto bene, boss. Tra poco lo troviamo.»
Per tutta risposta, Dino sospira ancora.
Percorrono il resto del viaggio in silenzio e si fermano solo quando giungono davanti a quella che, effettivamente, è una casa.
Costruita in stile moderno, con un giardino immenso a circondarla, la strada si ferma esattamente davanti al cancello di metallo, dalle forme dure e fredde. C'è una targhetta quasi illeggibile accanto, e con un po' di sforzo Dino riesce a leggere Hibari.
«È questa.»
Scendono entrambi dall'auto e provano ad aprire il cancello, ma è bloccato e loro non possono certo buttarlo giù o cose del genere. L'auto è a noleggio e rovinarla per abbattere una recinzione di una casa posta sotto sequestro non sembra una buona idea.
«Scavalco.» decide Dino e Romario non fa in tempo a dire nulla che ha già iniziato la sua scalata.
«Fa' attenzione, boss.»
«Sì.»
Dino atterra sulla neve dall'altra parte e gli sembra d'aver messo un mondo tra sé e Romario, anche se in realtà sono distanti solo pochi centimetri.
Si avvicina all'edificio studiandolo con attenzione, pregando di trovarvi Kyoya.
All'improvviso lo assale il terrore che il ragazzino non sia lì e la gola gli si chiude, lo stomaco si rovescia e fa male. Sente il bisogno di bere una birra.
«Kyoya?» prova a chiamare, inutilmente, mentre si avvicina alla porta.
Ma è chiusa, e non si aspettava nulla di diverso. Decide comunque di non arrendersi e fa il giro, osservando le finestre e tutte le aperture che trova, finché, alla fine, la vede.
Una finestra ha il vetro frantumato e da lì è possibile entrare senza fare troppa fatica.
Si mette d'impegno e ci passa attraverso, scivolando e ferendosi su un pezzo di vetro che sporge dall'intelaiatura. Guarda il taglio che ha sul braccio e si dice che non è niente di che, anche se brucia un po'.
L'interno della casa è buio e freddo. Muove qualche passo a tentoni, cercando di sfruttare la poca luce che entra dalle finestre per scorgere qualcosa, ma non vede nulla. La luce della luna non riesce a passare attraverso la boscaglia e non riflette sulla neve.
Cammina con le mani davanti a sé, seguendo il muro, cercando un interruttore della luce. Quando lo trova lo preme, ma non accade nulla.
Hanno già tolto l'elettricità. Fa un passo in avanti e inciampa posando il piede su qualcosa di duro. Si china e trova a terra una torcia. La prende in mano e si rende conto che l'impugnatura è bagnata di qualcosa di viscido, come se chi l'avesse usata avesse avuto le mani sporche. L'accende, si guarda le mani illuminate dalla luce artificiale e vede che il liquido che l'ha sporcato è rosso, ed è sangue.
Solleva in fretta la torcia per illuminare il più possibile la stanza e cercare Kyoya, con il cuore che martella in bocca e il terrore che il sangue sia suo, che sia ferito e che magari sia grave.
Si guarda intorno nella stanza spoglia, già rassegnato all'idea che non sia lì, nel panico più totale, e poi all'improvviso lo vede.

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Capitolo 2
*** Il cucciolo di tigre ***


Distingue la figura di una persona rannicchiata a terra in un angolo.
Si avvicina in fretta, terrorizzato, senza sapere nemmeno lui se vuole sapere che cosa è successo.
Gli si inginocchia accanto, lo guarda e non osa nemmeno respirare. Lo studia con attenzione e alla fine, rilassandosi appena, giunge alla conclusione che non è ferito.
Sembra stia dormendo, o forse è privo di sensi. È rannicchiato in posizione fetale, ha usato la propria giacca per coprirsi ma con quel freddo non basta, e trema come una foglia.
Dino osserva il suo volto e lo vede più pallido che mai, tirato, con le labbra livide per il freddo.
Gli tocca la pelle e la sente secca e fredda. Sa che lo deve portare via da lì il prima possibile, scaldarlo, ma non sa nemmeno lui se sia giusto svegliarlo o no.
Decide di tentare.
«Kyoya.» lo chiama, scuotendolo appena. «Kyoya!»
Il ragazzo non si sveglia e a Dino viene quasi da piangere. Non attende oltre, gli passa un braccio dietro alla schiena e uno sotto alle ginocchia e lo solleva.
Il corpo di Kyoya è molle come quello di una bambola ed è gracile, però è pesante. Nonostante questo, Dino ha l'impressione che se lo stringesse con appena un po' di forza in più lo spezzerebbe.
È mentre si dirige verso la finestra da cui è entrato che sente il pigolio. Si ferma, si inginocchia e fa sdraiare di nuovo Kyoya a terra, tenendogli solo su il busto, e lo osserva per capire meglio.
Ci mette un po' ad accorgersene.
Racchiuso nel palmo della mano che gli fa da nido, Hibird trema quasi quanto Kyoya, arruffando piume rosse di sangue e strofinando la testolina contro le dita fredde del suo padrone per cercare conforto. Prima Dino non l'aveva notato a causa della giacca con cui Kyoya si è coperto, ma è evidente che il ragazzo ha cercato di scaldare l'uccellino con il proprio corpo e con il proprio vestiario, anche se inutilmente. Con questo freddo, lui stesso sta gelando.
Kyoya giace ancora tra le braccia di Dino, ma all'improvviso si muove. Volta la testa, con gli occhi ancora chiusi, geme tra le labbra socchiuse e poi, lentamente, apre gli occhi.
Lo guarda e Dino non può fare a meno di sentirsi meglio, di sospirare di sollievo perché aveva paura di non rivedere più quello sguardo, e invece è proprio lì, fisso su di lui.
«Kyoya.» lo chiama piano. «Come ti senti?»
«Lasciami.»
Dino obbedisce. Fa anche un passo indietro, per sicurezza, e lo guarda mentre si mette seduto, con la mano che ancora regge il piccolo Hibird sofferente.
«Che cosa gli è successo?» domanda accennando con il capo al piccolo animale.
«Non lo so.» la voce di Kyoya è roca, come se non bevesse da un bel po'. «È tornato ed era già così.»
Dino annuisce. Si toglie il cappotto, lo poggia sulle spalle di Kyoya ignorando la sua occhiataccia.
«Qui fuori c'è Romario che aspetta con la macchina.» gli dice. «Andiamo via, Kyoya. Ti porto in un posto caldo. E andiamo a cercare un veterinario per questo povero uccellino.»
Ha paura, è terrorizzato da quello che sta succedendo nella testa di Kyoya. Non ha idea di come si senta, ma di una cosa è certo: quel ragazzino ha qualcosa che non va.
I suoi occhi, di solito freddi, sono spaventosamente vuoti. Il suo sguardo è spento. Le poche parole che ha detto sono uscite con una voce bassa e stanca; non l'ha minacciato nemmeno una volta. Dino vorrebbe tanto abbracciarlo, dirgli che andrà tutto bene e che non si deve preoccupare, perché si prenderà cura di lui e gli darà un posto dove stare. Non lo fa.
Kyoya cammina davanti a lui fino alla finestra, poi si affatica per uscire. I suoi movimenti sono pesanti e Dino sa che è perché è stanco, sfinito.
«Da quanto tempo non mangi?» gli chiede mentre scavalca a sua volta la finestra. Si taglia di nuovo, ma fa finta di nulla. Affonda nella neve fino alle caviglie mentre cammina. Ringrazia che Kyoya si sia svegliato e che riesca a camminare sulle sue gambe; non ce l'avrebbe mai fatta a portarlo fuori di peso con quella neve.
«Non ho fame.» è la risposta di Kyoya.
Dino sospira, decide di non insistere. Quando arrivano davanti al cancello Kyoya si ferma, guarda verso l'alto, studia la serratura e poi si rivolge a Dino.
«Come hai fatto a entrare?»
«Ho scavalcato.»
Romario è in macchina. Dino vede che li guarda, con la mano gli fa segno di scendere e quello obbedisce. Si avvicina al cancello e saluta Kyoya con un cenno del capo.
«Bisogna portarlo in un posto caldo.» dice Dino, in italiano. «Credo che non stia bene. Non riuscivo a svegliarlo, prima.»
«Intanto pensiamo a farlo uscire di qui.» replica l'uomo nella stessa lingua. «A vederlo, non si direbbe che sia in grado di scavalcare.»
Invece Kyoya scavalca. Allunga la mano verso Romario, attraverso le sbarre, e gli porge Hibird. Romario afferra l'animale, che pigola e si agita, e Kyoya si arrampica sulla struttura del cancello e scende giù dall'altra parte. Le sue mani sporche di sangue lasciano segni rossi sul metallo gelido.
Quando anche Dino è dall'altra parte, si affretta a spingere Kyoya verso la macchina.
«Dai, o finirai con il morire congelato.»
«Fai silenzio.» sbotta Kyoya, però obbedisce. Si sistema nel sedile posteriore e rimane lì, immobile, con la testa poggiata al finestrino.
Quando anche Dino e Romario salgono in macchina – e Dino tiene nella mano il piccolo Hibird, che continua a pigolare – lui non cambia posizione, non si degna nemmeno di guardarli.
Dino si volta a osservarlo mentre Romario guida.
È stretto nel cappotto che gli ha messo addosso, lo tiene avvolto attorno a sé come se fosse una coperta; ha smesso di tremare. Il riscaldamento acceso della macchina deve averlo rilassato, perché dopo cinque minuti di viaggio già dorme.
Ci vorranno almeno otto ore per tornare a Sapporo, con tutta quella neve, e ormai è notte, ma non importa.
Va tutto bene, si dice. Ha trovato Kyoya.

Romario si ferma davanti a un hotel dopo nove ore e mezza di viaggio. Dino ha tutte le ossa indolenzite, la schiena urla di dolore e non vede l'ora di bere una birra. Anzi, magari due.
Kyoya dorme ancora. Il suo corpo si è rilassato nell'angolo che il sedile della macchina forma con lo sportello e Dino fa parecchia fatica a tirarlo fuori di lì senza svegliarlo.
Lo tiene tra le braccia, Romario gli apre la porta e quando sono all'interno dell'hotel entrambi fanno finta di non vedere lo sguardo curioso dell'impiegato che li accoglie.
Romario parla al posto di Dino, s'inventa un nuovo nome per Kyoya e dice che è suo figlio. Chiedono due stanze, e quando l'impiegato dà loro le chiavi Romario, invece che seguirli ai piani superiori, esce con Hibird tra le mani.
«Ho diverse conoscenze, in questa città.» spiega. «Magari trovo un veterinario già sveglio, se sono fortunato.»
Dino annuisce. Mentre aspetta che l'ascensore raggiunga il piano viene assalito da mille dubbi.
Apre la porta della camera con non poche difficoltà e si chiede se riuscirà davvero ad aiutare Kyoya.
Lo adagia sul letto, gli toglie le scarpe, gli sistema sopra la coperta e si domanda quale deve essere il passo successivo. Lì, in Giappone, la polizia sta cercando Kyoya. D'altra parte è un caso di scomparsa di minore, e se lo trovassero insieme a lui sarebbe accusato di rapimento. Restare sarebbe pericoloso e la prima cosa che gli viene in mente è che sarebbe più facile portarlo in Italia, ma come può anche solo proporre una cosa del genere a un ragazzo come Kyoya?
Lo guarda dormire per un po', poi si avvicina al frigorifero della camera, lo apre, cerca una birra e una volta che l'ha aperta la manda giù senza versarla nel bicchiere.

Quando Kyoya si sveglia, dopo che ha dormito per tutto il giorno, Dino gli fa trovare davanti una buona quantità di cibo. Non sapendo che cosa mangi di solito, ha optato per prendere di tutto e lasciare che sia lui a scegliere.
Kyoya guarda il cibo sul tavolo, poi lui. Non tocca nulla.
«Come ti senti?» gli chiede Dino.
«Sto bene.»
Sa che è una bugia, ma fa finta di non essersene accorto.
«Da quanto tempo eri lì?»
Kyoya scuote la testa.
«Smettila di farmi domande.»
Dino annuisce, sospira e alla fine, visto che gli fa pena lasciarlo lì, mangia uno dei sandwich che ha fatto portare per Kyoya.
«Romario è andato a cercare un veterinario per l'uccellino.»
Kyoya annuisce e non risponde.
«Non avevo bisogno del tuo aiuto.» gli dice.
«Sì, invece. Se ti avessi lasciato lì saresti morto congelato, o di fame.»
«No.» Kyoya protesta, ma la sua voce è stanca. Dino ha ancora voglia di abbracciarlo e dirgli che andrà tutto bene, ma ancora una volta non lo fa, perché reagirebbe male e non è quello che vuole. «Me la sarei cavata.»
«Forse.» si arrende Dino, che non ha voglia di discutere. «In ogni caso, ora sei qui. Perché non provi a mangiare qualcosa?»
Kyoya gli scocca un'occhiataccia, «Non dirmi quello che devo fare.» borbotta, però allunga una mano verso il vassoio che Dino gli porge e afferra un pacchetto di cracker.
Ne mangiucchia appena mezzo, rimette quello che ha avanzato nel pacchetto e lo posa di nuovo sul vassoio.
Si sdraia sul letto, si tira le coperte fin sotto agli occhi e si rannicchia su un fianco.
«Lasciami in pace, adesso.»
«Sì, certo. Buonanotte, allora.»
Spegne la luce e l'unica illuminazione che rimane è quella dei lampioni che ci sono in strada, ma a quel piano arriva debole. Non riesce nemmeno a distinguere bene Kyoya, in quella fitta penombra. Raggiunge una poltrona accanto alla finestra senza causarsi danni gravi – urta solo lo spigolo del tavolino con il piede, ma ormai è un dolore a cui è abituato – e si volta a guardare la neve che continua a vorticare fuori dalla finestra.
Meno male che l'ha trovato. Così adesso Kyoya è al caldo, e può mangiare, dormire su un letto e non a terra, e soprattutto ha un posto dove stare. Ora deve pensare a un modo perché la polizia non lo trovi, ma non è quello il momento.
Resta in silenzio e si concentra solo sul respiro del ragazzo e ci vuole molto tempo prima che lo senta rilassato e regolare, e allora sa che si è addormentato.
Vorrebbe davvero tanto capire che cosa gli passi per la testa, ma non sa come fare per capirlo. Se facesse delle domande, Kyoya non risponderebbe.
Sospira, si alza e va a bere un'altra birra.
È in piedi davanti al frigorifero e sente due colpi alla porta. Si volta verso Kyoya per vedere se quel rumore l'ha svegliato, ma è ancora rannicchiato tra le coperte e non si è mosso di un centimetro.
Va ad aprire, e si trova davanti Romario. Tiene in mano una gabbietta per gli uccelli e dentro c'è il piccolo Hibird, che è stato medicato.
«Ho trovato il veterinario.» spiega quando Dino, con un cenno del capo, lo invita a parlare. Sono nel corridoio dell'hotel, perché non gli sembra il caso di stare a chiacchierare dentro, con Kyoya che dorme e forse ha il sonno leggero. «Non è messo bene. Probabilmente è stato aggredito da un gatto.» Accenna con il capo a Hibird e quello, quasi avesse capito che si parla di lui, manda un pigolio sofferente.
«Guarirà?»
«Non so. Ha detto che lo devo portare lì domani mattina, quando apre l'ambulatorio. Questa è una medicazione d'emergenza.»
«Spero che si riprenda. Credo che Kyoya soffrirebbe parecchio se succedesse qualcosa a questo animale.»
Romario annuisce. Si dirige verso la propria camera e Dino lo segue, chiudendo piano la porta della stanza in cui dorme Kyoya.
«Come sta il ragazzo?» domanda Romario una volta che sono dentro.
«Mah. Non so, davvero. Secondo me è strano.»
«Dici, boss?»
«Sì. Da quando siamo qui non mi ha minacciato nemmeno una volta. Ha uno sguardo... Non mi piace. Mi sembra che sia tanto stanco.»
«È in una situazione difficile.»
«Ci sono novità su suo padre?»
«Nulla.» Romario sospira, poggia la gabbietta di Hibird sul tavolo e guarda Dino. «Quell'uomo ha fatto perdere tutte le sue tracce.»
«È sicuro che se ne sia andato di sua volontà?»
«È l'ipotesi più valida, per ora, anche se con i debiti che aveva non mi stupirebbe affatto se venisse fuori che è un rapimento, o qualcosa del genere.»
«Se fosse così, prima o poi cercherebbero anche Kyoya.»
«Immagino di sì.» considera Romario. «Ma te lo ripeto, boss, al momento sembra che se ne sia andato di propria volontà.»
«E ha lasciato qui suo figlio, pur sapendo che non ha un posto dove andare?»
Romario sospira, gli rivolge uno sguardo triste.
«Ci sono anche persone che non sono capaci di pensare agli altri.»
Dino si morde le labbra. Sì, sospetta che il padre di Kyoya non sia molto interessato a lui, o quel ragazzo non si troverebbe ad avere quel carattere tremendo che ha.
«E sua madre?» chiede.
«Se n'è andata diversi anni fa. Non sono ancora stati in grado di mettersi in contatto con lei. Ma è probabile che non verrebbe a prendere il ragazzo, comunque.»
E Kyoya non se ne andrebbe con lei. Dino lo sa, lo intuisce in un istante ed è anche quasi certo che non gliene importi. Si prenderà cura lui di Kyoya.
«Va bene.» sospira alla fine. Ha voglia di un'altra birra, ma sarebbe la terza e si dice che non è il caso. «Torno di là. Tieni tu l'uccellino? Se si mette a pigolare magari sveglia Kyoya, e lui ha bisogno di riposare.»
«Certo, boss. Domani mattina te lo riporto.»
Dino annuisce, ma la mattina dopo Romario non porta nulla.
Hibird è morto durante la notte.

Kyoya non dice niente quando Dino gli comunica la morte dell'uccellino, ma sgrana gli occhi per un istante e Dino è convinto di averci visto uno smarrimento e un dolore profondi, atroci.
«Kyoya...» mormora, e davvero non sa che cosa dire.
«Lasciami in pace, erbivoro. Era solo un uccello.» Il suo sguardo è tornato freddo.
Mette mano ai tonfa come a voler ribadire il concetto e Dino ha paura, non perché ha paura di essere colpito ma perché non riesce a capire che cosa stia passando per la testa del ragazzo. Sa che lo deve calmare, perché è teso, tanto che il suo corpo trema, ma non ha idea di come fare.
Alla fine decide di assecondarlo.
«Va bene, va bene.» Alza le mani in segno di resa. «Come vuoi.»
Insisterebbe un po' di più, ma l'ipotesi che Kyoya s'innervosisca e distrugga tutto non gli piace, perciò, per il bene dell'hotel, tace.
Rimane a guardarlo in silenzio e Kyoya, alla fine, se ne va.
Dino non fa niente per fermarlo anche se sa che non è una buona idea che vada fuori, in strada, dove lo stanno cercando, perché sa anche che con Kyoya non si può parlare, e le cose le deve capire da solo.
Dopo che Kyoya è uscito entra nella stanza Romario.
«Ho incrociato il ragazzino, venendo qui. Dove sta andando?»
«Mah. Chissà.»
«Non dovrebbe uscire.»
«Lo so, ma non mi ascolterebbe, anche se glielo dicessi. Se ne accorgerà da solo, vedrai.»
Romario gli rivolge uno sguardo perplesso, però non dice altro.
Si limita a porgergli un quotidiano.
«Dai un'occhiata a questo, boss.»
Dino annuisce, sfoglia le pagine senza leggere i titoli e alla fine si ferma, quando vede la foto. L'articolo è di nuovo dedicato al padre di Kyoya, ai suoi fondi sparsi in giro per il mondo e a una presunta frode con cifre da capogiro. Il fatto è che la foto ritrae Kyoya, anche se preso di sfuggita, di profilo, e probabilmente lui non s'è nemmeno accorto che gliel'hanno scattata, ma è fin troppo riconoscibile.
Dino pensa che è davvero bello e scaccia all'istante quel pensiero, perché non è quello a cui dovrebbe pensare.
«Adesso è anche peggio, se esce. Chiunque potrebbe riconoscerlo.»
«Già. E probabilmente è già in strada. Lo fermiamo, boss?»
«No. Te l'ho detto, ha bisogno di accorgersene da solo.»
Romario gli lancia un'occhiata scettica, ma non dice niente e scrolla le spalle.

Kyoya torna dopo un paio di ore.
Dino non ha idea di dove sia stato, non glielo chiede. Vede che è di cattivo umore e preferisce lasciare perdere, perché se Kyoya vorrà parlarne lo farà, non occorre chiedere.
«Mi stanno ancora cercando.» brontola.
«Sì, lo so. Per questo ti ho portato qui. All'hotel abbiamo dato un nome falso.»
«C'è la mia foto sui giornali, Haneuma. Un nome falso non basterà.»
«È una misura provvisoria.»
Kyoya gli rivolge un'occhiata strana, che Dino non riesce a interpretare.
«Non ho bisogno che tu ti prenda cura di me.» gli ringhia.
Dino sbuffa, ma dentro ci muore un po'. Immaginava che sarebbe arrivato il momento in cui Kyoya gli avrebbe detto che non vuole il suo aiuto. Non è piacevole.
«Non lo sto facendo, infatti.» replica. «Ti sto solo ospitando.»
«È la stessa cosa!» sbotta Kyoya e Dino sa che il suo orgoglio è ferito, perché non è vero che se la caverebbe, da solo. Lo sanno tutti e due.
E Kyoya sa benissimo che Dino lo sa.
«Se vuoi andartene puoi farlo, Kyoya.» dice allora.
È quando incrocia lo sguardo di Kyoya che capisce d'aver detto la cosa sbagliata al momento sbagliato.
«No, aspetta!» lo chiama e fa un passo in avanti per prenderlo e impedirgli di andarsene, ma è troppo tardi. Kyoya è già uscito, e quando Dino raggiunge il corridoio per inseguirlo non lo vede già più.
Bussa alla porta di Romario, concitato.
Quando l'uomo gli apre, Dino parla talmente in fretta che si chiede se Romario abbia capito.
«Ho fatto un disastro, Roma'. È andato via.»

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Capitolo 3
*** Inseguire una nuvola ***


Sapporo è fredda.
Durante la notte ha smesso di nevicare, e le strade sono già state pulite.
Alcuni cumuli di neve sono ammucchiati nelle zone in ombra e nei giardini delle case.
Dino è di nuovo alla ricerca di Kyoya. Non sa se è andato lontano, né se intende tornare. L'ha già chiamato quattro volte da quando è partito ma non ha mai risposto.
Così, anche se Romario gli ha proposto di stare ad aspettare in hotel, ha deciso di andare a cercarlo personalmente.
Sono già diverse ore che cammina, e ancora non ha trovato nulla. Anche perché non conosce la città, e non può allontanarsi più di tanto. Il suo punto di riferimento è l'hotel in cui alloggia, ma Kyoya conosce la zona e può essersi cacciato ovunque. E sicuramente avrà fatto in modo di allontanarsi il più possibile.
Inizia a essere disperato, e non sa più cosa fare.
Oh, è consapevole che la colpa è solo sua. Non avrebbe dovuto dire a Kyoya che se ne poteva andare. Ci ha rimuginato tutta la notte ed è giunto alla conclusione che Kyoya si sia sentito cacciato, che ci sia rimasto male. Ecco, è convinto di questo e ha tutta l'intenzione di dimostrare che non è così. Solo che per farlo deve prima trovarlo, e non sembra semplice.
Questa volta Kyoya non sta cercando un rifugio, sta letteralmente scappando da lui.
Entra in un locale perché non sa cosa fare, si guarda intorno e vede che è vuoto.
Dietro al bancone c'è un uomo vecchio, curvo su se stesso, che pulisce bicchieri perfettamente puliti. Non c'è musica, né una televisione. È un locale piccolo, fin troppo tranquillo, e Dino sa che avrà anche troppo da pensare qui dentro. Però ormai è entrato, e andarsene senza ordinare nulla gli sembra maleducato.
«Una birra.»
Il vecchio lo guarda, «Sei maggiorenne?» gli chiede.
«Sì.»
L'altro annuisce, si volta e si mette a trafficare dietro al bancone. Quando torna gli porge una birra fredda e Dino la manda giù tutta d'un fiato.
Mentre beve si accorge del giornale aperto che il vecchio deve aver letto poco prima, e decide di tentare di chiedere qualcosa a lui.
Accenna con il capo al quotidiano.
«Ci sono novità sul ragazzino scomparso?» chiede con tono falsamente leggero.
«Niente. E nemmeno sull'uomo. Dovrebbero arrestarlo, se vuoi il mio parere. Tante persone sono state rovinate per quello che ha fatto. Hanno perso il lavoro in centinaia.»
«Sì, ma il ragazzo? Non si sa proprio niente? Signore, io non so leggere bene il giapponese. Davvero non c'è scritto niente?»
«È strano che ti interessi così tanto. Di ragazzini scomparsi ce n'è tanti.»
«Sì, lo so, ma lo conosco, ecco. Cioè, non è che lo conosco. Ho insegnato nella sua scuola, tutto qui. Per questo mi interessava.»
Il vecchio lo squadra, sembra riflettere e poi alza la mano raggrinzita e la punta di fronte a sé.
«Prova ad andare dalla proprietaria del negozio qui di fronte, l'alimentare. Forse lei ne sa di più. È una pettegola, quella.»
Dino si alza di scatto, lancia mille yen sul tavolo e non aspetta nemmeno il resto, il vecchio lo chiama e lui è già fuori dalla porta.
Inciampa sul marciapiede e per poco finisce sotto a una macchina, ma riesce a salvarsi la pelle e a entrare nell'alimentare che gli ha indicato il barista.
La proprietaria è una donna sottile come un giunco, dal volto aggraziato ma non particolarmente bello.
«Il proprietario del bar qui di fronte dice che sa qualcosa sul ragazzo scomparso, Hibari Kyoya.» esordisce Dino dopo averla salutata. Per prevenire ogni domanda aggiunge: «Sono un suo insegnante. Se sa qualcosa me lo dica, per favore.»
«Quel vecchio rugoso avrà detto che sono una pettegola, come sempre.»
«No, ha detto solo che potevate essere informata.» mente.
La donna non sembra crederci, ma annuisce.
«È stato qui.»
Dino quasi non crede a quelle parole. Kyoya è stato lì? In un negozio a pochi minuti dall'hotel?
«Davvero?»
«Sì. Questa mattina presto. L'ho riconosciuto subito, avevo appena finito di leggere il giornale. Ha comprato una bottiglia d'acqua, un pacchetto di cracker e il giornale di oggi. Ha pagato con una carta di credito.»
È assolutamente certo che Kyoya non possieda una carta di credito. Il dubbio atroce che quel demonio gli abbia giocato un brutto tiro diventa realtà quando apre il portafogli e si rende conto che, effettivamente, manca la sua carta.
«Piccolo bastardo.» sibila in italiano.
La signora lo guarda strano, ma non dice niente.
«Quanto tempo fa è stato qui?» le chiede.
«Ah, l'ora esatta non la so. Ma era presto. Forse le sei e mezza, o le sette.»
«Ha chiamato la polizia?»
«Sì, ma lui se n'è andato subito e quando sono arrivati era già passato un bel pezzo da quando è uscito.»
«Grazie infinite, signora.» Dino si inchina e corre fuori.
Prende il cellulare, gli cade a terra e quando lo raccoglie perde dieci minuti buoni a rimette insieme i pezzi e a farlo funzionare.
Compone il numero di Romario.
«Blocca subito la mia carta di credito!» gli dice prima ancora di salutarlo.
«Te la sei fatta rubare, boss?»
«Ce l'ha Kyoya! Non ho idea di quando me l'abbia presa, ha sempre dormito da quando l'ho trovato.»
«Che piccolo ratto.» commenta Romario, tranquillo. «Va bene, boss, lasciami fare qualche telefonata. Magari riusciamo a capire dove l'ha usata, così puoi rintracciarlo.»

La carta di credito è stata usata alla stazione centrale di Sapporo, e poi, successivamente,  alla stazione Goryokaku.
«Kanita, poi, boss.»
«Sta andando a Namimori.» borbotta Dino, contrariato. «Poi?»
«Shinaomori, e poi Omiya e alla fine Shinjuku.»
«Quindi è già arrivato. Hai già bloccato la carta?»
«Sì, ma ci ho messo un po' perché ho dovuto fare un sacco di telefonate.»
«Ormai deve essere a Namimori. Dobbiamo andare lì.»
«Devo comprare i biglietti dell'aereo?»
«Sì, prenota al solito hotel.»

Namimori è la stessa di sempre.
Dino cammina veloce per le strade e quando si scontra con Tsuna, finendo miseramente a terra, impreca ad alta voce, in italiano.
«Dino-san?»
Il bambino dei Bovino corre intorno a loro e li prende in giro. Dino si sforza di ignorarlo, perché non ha davvero tempo da perdere con lui, ma sa che non può trattare male Tsuna e il bambino solo perché è nervoso.
«Che cosa ci fai qui?»
«Sto seguendo Kyoya.»
«Seguendo?»
«Sì. L'ho trovato, sai?»
Tsuna sospira di sollievo.
«Meno male! Come sta?»
«Bene.» mente. «Era in Hokkaido. Comunque, l'ho fatto arrabbiare ed è scappato di nuovo.»
«Cosa?»
«Sì, ma non ti preoccupare. Ha rubato la mia carta di credito e l'ha usata, così siamo riusciti a rintracciare i suoi movimenti. Dovrebbe essere qui a Namimori, credo.»
«Credi?»
Tsuna sembra amareggiato e Dino ha l'impulso di chiedergli se pensa che sia facile stare dietro a uno come Kyoya, ma decide di lasciare perdere. Non deve sfogare le proprie frustrazioni su quel povero ragazzo, lo sa.
«Non ti preoccupare, d'accordo?»
Dovrebbe, invece. Lui stesso è tanto preoccupato che non dorme da due giorni. È riuscito ad addormentarsi mezz'ora in aereo, ma ha avuto un incubo e si è svegliato quasi subito.
«Ma...»
«Te l'ho già detto, Kyoya è forte e sa badare a se stesso. E sto andando a prenderlo. Ho una mezza idea su dove potrebbe essere.»
In realtà è più di una mezza idea. Questa volta è certo di sapere dove si sia cacciato, perché a Namimori c'è un solo posto dove Kyoya si rifugerebbe.

Kusakabe gli assicura che non ha visto Kyoya nelle ultime due settimane e Dino gli risponde che è un pessimo bugiardo.
«Dai, dimmi dov'è. So che è a scuola.»
«Non vedo Kyo-san da due settimane.»
«Te l'ho già detto, tu sei un pessimo bugiardo e lui è sicuramente qui.»
«Io comunque non l'ho visto. Dino-san, per favore lascia la scuola.»
Dino sospira e scuote la testa. È sinceramente commosso che Kusakabe ci tenga tanto a Kyoya da mentire per lui, ma sul serio, non è credibile.
«Senti» si spazientisce «Kyoya ha bisogno di aiuto e tu lo sai. È troppo orgoglioso per chiederlo da solo, perciò dimmi dov'è e lascia che vada da lui.»
Kusakabe tituba, guarda altrove.
«Mi ha detto di non farti passare.» confessa alla fine.
Dino sorride. Tipico di Kyoya. Ma Kusakabe, alla fine, gli vuole bene davvero e Dino questo lo sa.
«Dai» lo incoraggia «dove lo posso trovare?»
«No, devi proprio andartene.»
Allora decide di giocare la sua ultima carta, e sa che con quella Kusakabe cederà.
«Non mangia niente da tre giorni. Voglio solo portarlo a riempirsi lo stomaco.»
«È sul tetto.»
Dino sorride, lo ringrazia e si precipita su per le scale. Sapeva che l'avrebbe trovato a scuola, ma pensava che sarebbe stato più difficile convincere Kusakabe a parlare.
Quando arriva sul tetto è senza fiato e la porta è chiusa. Gira la manopola e si rende conto con stupore che non è chiuso a chiave.
«Kyoya!» chiama quando esce all'aria aperta.
Si guarda intorno e all'inizio non lo vede. Poi solleva lo sguardo, e lo nota, seduto a terra in un angolo, che guarda il cortile.
Non si gira nemmeno verso di lui e fa finta di non accorgersi quando Dino inciampa, dirigendosi verso di lui.
Dino gli si siede accanto, gli rivolge uno sguardo dolce.
«Mi dispiace tanto per quello che ti ho detto, Kyoya.» dice «Non volevo mandarti via. Avevo solo paura che ti sentissi obbligato a stare lì, ma non intendevo dire che volevo che te ne andassi. Mi hai fatto spaventare, sai?»
Kyoya non risponde e Dino sa che quello che ha detto non basta.
Sa che in questo momento Kyoya ha in testa solo Namimori, la scuola e la necessità di andarsene contro il desiderio pressante di non farlo. Sa che è difficile per lui.
«Pensavo che ti saresti cacciato chissà dove. Ah, non rubare più la mia carta di credito. Se hai bisogno di soldi chiedili, d'accordo? Ti darò tutto quello che ti serve, però non rubare, non è carino.»
«Stupido erbivoro.» È l'unica risposta che ottiene.
A Dino ci vuole un istante per realizzare che Kyoya l'ha fatto apposta. Ha rubato la carta per vedere se sarebbe tornato a prenderlo, perché sapeva che avrebbe seguito i suoi movimenti. Però è ovvio che sarebbe tornato. Non avrebbe mai potuto lasciarlo vagare solo per il Giappone.
«Hai mangiato?»
«Fatti gli affari tuoi.»
«Io no, e ho fame. Ci sono ristoranti italiani, a Namimori? Ho voglia di un piatto di pasta.»
In realtà non ha voglia di niente, ma gli serve una scusa per allontanarsi da Namimori. E magari portare Kyoya con sé.
«No.»
«Allora andiamo a Tokyo. Non è lontano, no? Conosco un ristorante che è davvero ottimo. Dai, ti offro il pranzo.»
«Se non la smetti di tormentarmi ti morderò a morte.»
Dino sospira, si dice che se Kyoya capisce solo quando gli si parla con freddezza allora è quello che farà.
«Se resti qui la polizia ti troverà e ti porteranno di nuovo in quell'istituto da cui sei scappato. Se è questo che vuoi, allora va bene, fai come ti pare.»
Kyoya non risponde e nemmeno si muove. Dino addolcisce il tono, non vuole farlo star male. Sta già soffrendo abbastanza per conto suo.
«Ti sto dicendo che posso portarti in un posto dove puoi uscire di casa senza aver paura che ti rinchiudano da qualche parte, Kyoya. Dove puoi fare quello che ti pare.»
«No, stai dicendo che mi vuoi portare in Italia.» La voce di Kyoya esce stanca e Dino ha l'istinto di abbracciarlo, ma non lo fa. «Io non ci voglio venire.»
«Allora stiamo in Giappone. Ma non puoi stare a Namimori se non vuoi nasconderti.»
«Andare via da Namimori e andare via dal Giappone è la stessa cosa.»
«Eppure te ne sei andato, no? Sei andato in Hokkaido.»
Kyoya tace.
«Ascolta, non dico che dobbiamo partire subito. Ma almeno finché non si calmano le acque sarebbe meglio andare via, non credi?»
Non crede. Dino lo sa senza nemmeno il bisogno che l'altro risponda.
«Potrai tornare, più avanti.» cerca di incoraggiarlo.
«Quando avrò vent'anni, sarò maggiorenne e nessuno potrà dire niente su dove voglio stare.»
Dino sospira. Sa che Kyoya ha ragione e che potrà veramente essere libero di stare a Namimori solo quando sarà legalmente in grado di vivere solo. Per il momento, però, preferisce ignorare la sua affermazione.
«Intanto vieni a mangiare qualcosa. Ci penseremo poi.»
«Tu non devi pensare a nulla.»
Allora Dino perde la pazienza. Sa che Kyoya è un ragazzino testardo, che non gli piace prendere ordini e che odia che la gente gli dica cosa fare. Ma sa anche che è più fragile di quanto dia a  vedere e che ha davvero bisogno di aiuto. E lui non ha così tanta pazienza.
Lo afferra sotto al braccio di scatto, senza dargli tempo di reagire, e lo costringe a mettersi in piedi. In cambio riceve un colpo di tonfa in pieno petto, ma non lo lascia.
«Avanti.» annaspa. «Andiamo.»
«Ti ho detto di lasciarmi in pace.»
«E io ti ho detto che ti voglio portare a mangiare fuori. Cammina, su.» lo incoraggia dolcemente.
Kyoya non sembra apprezzare quella premura, però lo segue. Gli sta dietro di pochi passi e Dino vede che è nervoso e si guarda intorno per controllare che nessuno lo veda, ma fa finta di non accorgersene.
Ha parcheggiato proprio accanto alla scuola e per una volta ha lasciato a casa Romario.
«Non ci salgo in macchina se guidi tu.» chiarisce Kyoya, gelido.
«Su, su, non fare tante storie. Ho la patente, so guidare e non ho mai fatto un incidente in vita mia.» Questa è una bugia perché in realtà gli è capitato più di una volta di distruggere la macchina, spesso contro un muro o un albero, ma non è fondamentale che lo sappia.
Kyoya apre la bocca per ribattere, ma non dice nulla e sale in macchina. Dino all'inizio non capisce, poi solleva lo sguardo e vede una volante della polizia che passa proprio lì accanto.
Guarda il volto di Kyoya attraverso il finestrino e lo vede stanco e tirato, anche se l'altro non lo ammetterà mai. Gli fa incredibilmente tenerezza, ma fa finta di niente.
«Andiamo, allora.»
Kyoya non dice una parola per tutto il viaggio, non lo guarda nemmeno. Tiene lo sguardo fisso fuori dal finestrino e Dino ha l'impressione che non veda davvero il paesaggio che gli passa davanti agli occhi.
Viaggiano per un paio d'ore e quel silenzio lo innervosisce, però continua a tacere perché Kyoya gli sembra già abbastanza di cattivo umore e non vuole peggiorare la situazione.
«Eccoci.» annuncia quando arrivano davanti al ristorante. È presto, non c'è ancora nessuno. Meglio così, ci sono meno probabilità che qualcuno riconosca Kyoya e chiami la polizia. Quando entrano il proprietario, un italiano che conosceva suo padre, gli viene incontro sorridendo.
«Guarda chi si vede!» lo saluta in italiano. «L'ultima volta che ti ho visto eri grande così» e allunga una mano all'altezza della cintola «e ora sei più alto di me.»
«È passato tanto tempo, sì.» ammette.
L'uomo guarda Kyoya con uno sguardo strano, poi si volta verso Dino.
«Non è mica quel ragazzino che è scomparso?» Dino ringrazia che parli in italiano.
«Senti, dammi il tavolo più nascosto che hai e stai buono.»
«Ma dovresti chiamare la polizia e...»
«Quanto vuoi per stare zitto? Ti pago, ma non chiamare nessuno.»
Mette mano al portafogli e gli allunga ventimila yen.
«Te li do se fai finta di non vederci per un'ora.»
L'uomo li guarda, titubante, lancia un'occhiata poco convinta a Kyoya, che ha seguito la transazione in silenzio, senza dar segno d'aver capito quello che i due si sono detti, poi li prende e li intasca.
Mostra loro un tavolo dietro a un paravento e li invita a sedersi.
«Vi porto i menù.»
«Lascia perdere. Portami un piatto di pasta e portala pure a lui.»
«Pasta con cosa?»
«Quello che ti pare.»
Quando l'uomo si allontana, torna a rivolgersi a Kyoya.
«Siediti, dai.»
«Non mi piace quando fai così, erbivoro.»
«Quando faccio cosa?»
«Parli di me in italiano.»
«Non stavo...»
«Stavi parlando di me. Quell'uomo mi guardava. Gli hai dato dei soldi.»
Dino sospira.
«Lo sai anche tu che è una situazione difficile. Voleva chiamare la polizia.»
Kyoya rimane in silenzio. Alla fine si siede, poggia una mano sul tavolo e resta immobile a fissare il tovagliolo finché un cameriere non porta i piatti.
Dino solleva lo sguardo su di lui, ma Kyoya ancora rimane fermo. Dino aspetta a mangiare per vedere che cosa fa e alla fine il ragazzo afferra la forchetta, la studia con circospezione e inizia a mangiare, un po' impacciato nell'utilizzo di quella posata che non gli è familiare.
Dino lo imita e divora tutta la sua porzione in fretta, perché non si è accorto di avere così tanta fame finché non si è trovato davanti la pasta e ora che può finalmente riempirsi lo stomaco si sente meglio.
Quando solleva di nuovo lo sguardo su Kyoya, vede che ha mangiato a malapena la metà della propria porzione e che ha abbandonato la forchetta sul tavolo, e non sembra per niente intenzionato a continuare.
«Non hai fame?» gli chiede.
«No.»
Dino non sa se credergli o no e alla fine decide di no, però non lo sforza perché sa che potrebbe essere peggio.
«Vuoi ordinare qualcos'altro?»
«No.»
«Okay, okay. Allora... andiamo via, va bene?»
Kyoya tace, però si alza. Infila la mano in tasca e gli allunga la carta di credito che gli ha rubato quella mattina. A Dino, vedendola, viene in mente che voleva chiedergli una cosa.
«Quando me l'hai presa?»
«Quando ti sei avvicinato per dirmi del canarino.» sposta lo sguardo quando dice quelle parole e Dino sa che ci sta male, perché forse quell'animale era l'unica compagnia che aveva.
«Da adesso se hai bisogno di soldi chiedili, d'accordo? Te li do volentieri, però non mi piace che mi rubi la roba. Comunque, direi che è ora di mettersi in viaggio. Se vuoi possiamo stare qui a Tokyo, va bene? È una città grande, sarà più difficile notarti.»
Non vuole toccare ancora l'argomento Hibird, sa che non è una buona idea.
«No. Voglio tornare a Namimori.»
Dino sospira.
«E allora torniamo a Namimori.»

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Capitolo 4
*** L'appartamento a Namimori ***


Dal momento che non ha un posto dove andare e che non ha nessuna intenzione di permettergli di dormire a scuola, Dino riesce a convincere Kyoya a trasferirsi nel suo appartamento.
Ci vuole un sacco di fatica e tanta pazienza, ma alla fine ce la fa e quando gli mette in mano le chiavi quasi non ci crede che il ragazzo abbia accettato.
«Puoi andare e venire come ti pare.» gli assicura. «E fai come se fossi a casa tua. Però per favore non spostare le chiavi della macchina, che poi le perdo.»
Kyoya lo guarda e il suo volto è inespressivo.
Dino gli indica una pila di vestiti puliti che gli ha lasciato sul letto.
«Ecco. So che non hai niente con te, quindi ti ho lasciato quelli. Sono puliti... Probabilmente ti staranno un po' grandi, ma insomma, magari quando hai voglia andiamo a comprare qualcosa della tua taglia.»
Kyoya gli rivolge uno sguardo che non sa decifrare, però ancora tace.
«Smettila di starmi addosso, erbivoro.» dice poi.
Dino sospira. Sapeva di non potersi aspettare niente di diverso da uno come Kyoya.
«D'accordo, d'accordo. Ma se hai bisogno di qualcosa chiedi, intesi?»
Kyoya sbuffa e quella è la sua unica risposta.
La convivenza con Kyoya non è facile.
Il ragazzo mangia poco e a qualsiasi ora del giorno e della notte, dorme quando capita ed entra e esce di casa come se niente fosse, anche a orari indecenti della notte.
Due giorni fa è rientrato alle quattro di notte e quando ha visto che Dino è rimasto sveglio ad aspettarlo si è infuriato e l'ha colpito con i tonfa, prima di andare in cucina a mangiare per poi uscire un'altra volta. Dino non sapeva dove stesse andando e non gliel'ha chiesto.
È rimasto sveglio ad aspettarlo finché è tornato.

Qualcuno bussa alla porta.
Kyoya è uscito due ore fa, non ha idea di dove sia andato e non può nemmeno mettersi in contatto con lui, perché ha lasciato il cellulare a casa.
Va ad aprire e sa che non è Kyoya, ma non ha idea di chi altri potrebbe essere. E quasi sobbalza nel vedere il ragazzo che si trova davanti.
«Kusakabe?»
Sgrana gli occhi e in un istante la sua mente vaglia le ipotesi più fantasiose. Forse è lì perché è successo qualcosa a Kyoya, ed è venuto a comunicarglielo. Dev'essere qualcosa di grave, di tremendo. Ha quasi paura di saperlo.
«Possiamo parlare, Dino-san?»
Gli ci vuole qualche istante per registrare la domanda di Kusakabe.
«Certo. Vieni dentro.»
Si fa da parte e il ragazzo si accomoda, s'inchina per ringraziarlo, toglie le scarpe e, in mancanza di una scarpiera, le lascia accanto alla porta, bene in ordine. È la stessa identica cosa che ha fatto Kyoya quando ha messo per la prima volta piede nell'appartamento.
«Kyo-san è alla Nami.» esordisce Kusakabe. Dev'essere un modo per dirgli che è lì solo perché il ragazzo non c'è. E Kyoya sta bene.
«Vuoi qualcosa da bere?» replica Dino facendolo accomodare in salotto.
«No, grazie. Sono venuto solo per parlare.»
«D'accordo. Qual è il problema?»
«Che cosa sta succedendo a Kyo-san?»
Il tono di Kusakabe è preoccupato e il suo sguardo serio, e Dino resta spiazzato dalla domanda.
«Scusa?»
«Che cosa gli sta succedendo? Sto leggendo i giornali, so che suo padre se n'è andato e che lui è rimasto solo. E che è fuggito dalla casa famiglia.» Fa una pausa «Sono stato io ad aiutarlo.» aggiunge.
«L'hai aiutato a scappare?»
«Sì. A nascondersi, in verità. È rimasto a casa mia due giorni prima che decidesse di andarsene in Hokkaido.»
«Quindi tu sapevi che era lì?»
«Sì.»
«Quando te l'ho chiesto mi avevi assicurato che non sapevi nulla!»
«L'avevo promesso a Kyo-san. Si era raccomandato che soprattutto tu non lo venissi a sapere.»
Dino resta a bocca aperta. Kyoya già sapeva che sarebbe andato a prenderlo. Perché gli ha reso tutto così difficile? E perché Kusakabe non ha ignorato le follie di quel ragazzino e non l'ha chiamato subito? Sarebbe stato meglio per Kyoya. Non avrebbe dovuto sopportare tutto quel freddo, e il viaggio lunghissimo da Namimori alla casa di Asahikawa.
«Aveva bisogno di aiuto!» lo rimprovera.
«Ma lui me l'ha chiesto.» ribatte Kusakabe, impassibile. «Non potevo ignorarlo. Non posso spiegarti il tono che aveva quando abbiamo parlato, Dino-san. Non ho saputo dirgli di no.»
«Sei stato un incosciente!»
«Kyo-san è un incosciente. Io ho solo fatto quello che mi ha chiesto.»
«In questo modo non l'hai aiutato!»
«Lo so. Ma lui non voleva aiuto. Voleva andare via.»
Dino resta a bocca aperta e non sa cosa dire. Continua a pensare che Kusakabe sia stato pazzo, ma forse un po' lo capisce. La verità è che Kusakabe comprende Kyoya meglio di chiunque altro ed è per questo che riesce a stargli vicino, almeno un po'. È per questo che Kyoya si è lasciato aiutare da lui.
Inspira a fondo.
«In realtà non c'è molto di più da dire oltre a quello che sai. Io ne so quanto te. Kyoya non mi ha detto niente, in questi giorni. Non ho idea di come affrontare l'argomento e non so nemmeno se potrebbe aiutarlo o se invece faccio peggio a tentare di parlargli.»
«A Kyo-san non piace parlare.»
«Questo lo so anch'io.»
Kusakabe sospira.
«Credo che ti sia grato di quello che stai facendo per lui.»
«Io penso che mi odi, invece.»
«Anche. Ma Kyo-san non è un irriconoscente. Sa che stai facendo tanto per lui.»
Dino scuote la testa.
«È un ragazzo un po' strano.»
«Bisogna saperlo capire.» ammette Kusakabe.
Dino annuisce. Kusakabe ci riesce, lui probabilmente no.
«Quando era a casa mia» prosegue Kusakabe «ho capito che non intende restare a Namimori. Quando è andato in Hokkaido gli avevo chiesto se sarebbe tornato.»
«E cosa ti ha risposto?»
«Di farmi gli affari miei, altrimenti mi avrebbe morso a morte.»
Dino resta basito. Da tale risposta è riuscito a giungere alla conclusione che Kyoya se ne vuole andare? Non ha bisogno di chiedere spiegazioni, perché Kusakabe prosegue:
«Se avesse avuto intenzione di tornare mi avrebbe detto che mi buttava fuori dal Comitato Disciplinare per avergli fatto una domanda tanto personale.»
«Quindi pensi che stia progettando di andarsene?»
«No, ci ha già provato e non ci è riuscito, perché tu l'hai trovato.»
«E quindi?» Non riesce a seguire il discorso.
«Penso che sospettasse che ti avrebbero chiamato.»
E allora Dino comincia a capire. Forse Kyoya si aspettava che sarebbe andato a cercarlo, che l'avrebbe trovato.
«Pensi...?»
«Penso che si aspetti che lo porti in Italia.» conclude Kusakabe. Lo guarda, serio, poi annuisce.
Dino resta a bocca aperta e non sa cosa dire.

Accompagna Kusakabe alla porta, lo ringrazia per essere passato e quando chiude è ancora talmente scombussolato che non sa cosa fare. Si guarda intorno alla ricerca di ispirazione, poi si dice che ragiona meglio con lo stomaco pieno.
Va in cucina, e invece che mangiare apre il frigo e manda giù una birra, ancora. Non versa nel bicchiere nemmeno quella e riesce solo a pensare che se va avanti così diventerà un alcolizzato per colpa di Kyoya.
Però forse Kusakabe ha ragione. Magari Kyoya vuole veramente andare in Italia, abbastanza lontano da non essere riconosciuto. Eppure gli sembra strano credere che un ragazzo come lui voglia mettere tanti chilometri tra sé e Namimori. Gli deve parlare, ma come si fa ad affrontare un argomento del genere con Kyoya?
Va in salotto, si siede sul divano  e guarda davanti a sé. Aspetta che Kyoya torni, si dice che forse riusciranno ad avere una conversazione decente.
Ma si rende conto già dal rumore della chiave che gira nella toppa che non sarà così. Sente dallo scatto che fa che Kyoya è di pessimo umore e quando il ragazzo passa davanti alla porta del salotto Dino riesce quasi a vedere il suo malcontento.
«Qualcosa non va, Kyoya?» gli domanda gentilmente.
«Fatti gli affari tuoi, erbivoro.»
«Aspetta, Kyoya, vieni qui. Ti devo parlare.»
«Non mi interessa.»
«Invece sì, dai.» Dino considera positivo il fatto che Kyoya sia ancora fermo davanti alla porta del salotto e non si sia allontanato. Ritiene di avere buone possibilità di farsi ascoltare.
«Non me ne frega niente di quello che hai da dire.»
«È una cosa che ti riguarda.»
«Non mi interessa.»
Muove un passo verso l'ingresso per uscire di nuovo, ma Dino è del tutto intenzionato a parlargli e non ha tutto il giorno da perdere per lui.
Si alza e con uno scatto lo afferra per un braccio, evita di un pelo il tonfa che punta al suo viso e lo costringe a sedersi sul divano.
«Allora» inizia, fingendo di non vedere l'occhiata assassina che Kyoya gli rivolge e di non sentire le ingiurie che gli sibila «penso che tu abbia capito che sei in una situazione delicata, giusto?»
«Lasciami in pace, Haneuma.»
Dino lo ignora.
«Se vuoi stare in Giappone, va bene, ma vedi di chiuderti in casa e di non uscire, perché prima o poi riusciranno a prenderti e ti porteranno da qualche parte e una volta che sarai lì io non ti potrò venire a prendere.»
Kyoya a quelle parole smette di insultarlo, ma sembra rifiutarsi di guardarlo.
«Kyoya» riprende, con tono di voce più tranquillo «non hai mai preso in considerazione l'idea di andare via dal Giappone?»
«Te l'ho già detto. Non ci vengo in Italia.»
«E invece dovresti prendere in considerazione questa possibilità.»
«Ti ho detto che non ci vengo.»
«E cosa intendi fare? Chiuderti in casa finché non si dimenticheranno di te? Non accadrà. Lo sai.»
Non con tutta la risonanza che sta avendo il caso di suo padre. È su tutti i giornali; ne parlano nei programmi televisivi.
«Namimori è casa mia
Dino sente nella voce di Kyoya, dura e fredda, che quella è la sua ultima difesa. Razionalmente quel ragazzo sa benissimo che lì non ha speranze di continuare la propria vita. Non può più nemmeno andare a scuola, e sa che è quello che gli manca più di tutto.
«Vedila come una vacanza.» prova a insistere.
Il silenzio di Kyoya è furioso, e Dino non sa bene come fare per calmarlo.
«Che cosa puoi fare se resti qui? Se esci di casa devi stare attento che nessuno ti noti, non puoi andare a scuola, non puoi andare in giro liberamente.»
Kyoya gli rivolge uno sguardo furibondo e Dino capisce, ancor prima che si alzi e tenti di colpirlo con il tonfa, che la discussione è finita lì.
Il ragazzo si alza dal divano, guadagna la porta con passi stizziti e va a chiudersi nella stanza che ha preparato per lui. Dino lo sente che si chiude dentro a chiave, sospira e affonda il capo tra le mani.
In mancanza di idee migliori prende il cellulare e chiama Romario.
«Qualcosa non va, boss?» chiede l'uomo quando risponde, senza nemmeno salutare.
«Mi sta facendo incazzare.» sbotta Dino. «Come faccio a farlo ragionare?»
Dall'altra parte segue un lungo silenzio e Dino sa che Romario ha meno idee di lui. Tra l'altro, a Romario Kyoya non piace nemmeno.
«Roma', di' qualcosa.» lo implora. Ha bisogno di parlare con qualcuno che sia meno scostante di Kyoya, o andrà a buttare giù la porta della sua camera, lo prenderà per i capelli e lo trascinerà su un aereo diretto in Italia.
«Non lo so.» ribatte l'uomo. «Sei tu l'unico che riesce a parlarci.»
«In questo momento mi sembra proprio di no, invece.»
Romario sospira.
«Boss, se non si parlasse di lui, direi che è solo un ragazzino, che è spaventato e che devi essere paziente.»
Dino sospira. Lui sa per certo che è solo un ragazzino, che è spaventato e che deve essere paziente, solo che proprio non ci riesce. Kyoya gli rende le cose troppo difficili.
«Che in pratica cosa vorrebbe dire?»
«Be', prova ad aspettare che si calmi un po' prima di parlargli di nuovo. Fino a ora sei sempre riuscito a convincerlo a fare quello che ti pareva. Cederà.»
In realtà Dino ha piuttosto paura del momento in cui, inevitabilmente, Kyoya accetterà di venire in Italia con lui. Sa che quello per lui sarà il colpo di grazia e forse resisterà per un po', e continuerà a comportarsi come sempre, ma alla fine crollerà del tutto, e non sa se lui sarà in grado di aiutarlo.
Quell'idea lo terrorizza, e tutto ciò che riesce a fare è riattaccare il telefono, sospirare e andare a preparare il pranzo, anche se non ha fame ed è praticamente certo che nemmeno Kyoya mangerà nulla.

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Capitolo 5
*** Parlare da soli ***


Dino ha tirato fuori l'argomento Italia altre tre volte, da quando Kusakabe è stato lì.
La prima volta se l'è cavata con qualche offesa, la seconda con un colpo di tonfa in mezzo allo stomaco e la terza con qualcosa che non era una crisi di nervi, ma ci andava vicino.
Anche ora, che è seduto davanti a Kyoya – una cioccolata calda davanti a ognuno, per rasserenare gli animi – sa che la reazione non sarà piacevole.
Però vuole davvero parlargli, perché non possono continuare in quel modo.
Ieri la polizia ha bussato alla sua porta per chiedergli se l'ha visto, perché qualcuno ha telefonato dicendo che il ragazzino scomparso, come ormai viene chiamato dai chiacchieroni nelle strade, era lì. Dino ha negato, ha fatto entrare gli agenti per un controllo, e ha mentalmente ringraziato che Kyoya si fosse rinchiuso nello scantinato della Nami da quella mattina presto.
«Ti troveranno, prima o poi.» esordisce.
Kyoya tace. Ma non si aspettava niente di diverso. È andata così anche la volta prima e quella ancora precedente; sembra che abbia scelto la via del silenzio per rifiutare la proposta di Dino.
Fissa la sua cioccolata e tace. Dino sa già che non la berrà, ma non importa. Gliel'ha preparata lo stesso.
«Lo so che l'idea non ti piace, e che è difficile. Lo faccio solo perché non voglio che tu sia costretto a nasconderti in questo modo.»
«Smettila di stressarmi con questa storia.»
«Kyoya, lascia che sia chiaro: ti porterò in Italia, che tu lo voglia o no. La polizia ti cerca, e ti troverà prima o poi. E se ti trova qui, io verrò accusato di rapimento. Non ho nessuna intenzione di finire in cella per la tua cocciutaggine.»
«Non ti permetterò di portarmi lì.» sbotta Kyoya.
«Sì, invece.»
«E allora se intendi ignorare la mia opinione, perché me la chiedi?»
«Perché non voglio che mi odi.»
«Troppo tardi.»
Dino non si aspettava una risposta diversa, ma ci rimane un po' male. Non ha mentito dicendo che lo porterà comunque in Italia, e quando l'ha fatto sapeva che Kyoya avrebbe reagito in quel modo.
Rimangono entrambi in silenzio e Dino si limita a guardarlo.
«Per favore, Kyoya.» quasi lo supplica alla fine. «Odiami, se vuoi. È giusto. Però vieni con me in Italia senza costringermi a usare la forza per portartici.»
L'altro lo osserva, gli rivolge un'occhiata assassina. Si alza senza dire una parola e se ne va.
Dino sospira, considera un buon segno che almeno l'altro non l'abbia colpito e non gli abbia distrutto la casa, si alza e invece che bere la cioccolata manda giù una birra fredda.
Ascolta il rumore della porta d'ingresso che si apre e si richiude e sa che Kyoya non tornerà almeno fino al giorno dopo.

Dino è a letto quando sente la porta di casa che si apre di nuovo. È sveglio, non riesce a dormire sapendo che Kyoya è fuori da solo.
Fa per alzarsi e andargli incontro, ma cambia idea quando ormai ha già scostato le coperte. Si stende un'altra volta, si copre e chiude gli occhi, ascoltando attentamente i passi leggeri di Kyoya sul tatami. Rimane stupito quando si rende conto che vengono nella direzione della sua stanza, e quando avverte il rumore della maniglia che si abbassa finge di dormire. Resta immobile e sa che Kyoya è lì sulla porta; trattiene l'impulso di alzarsi e chiedergli che cosa c'è che non va.
Non sa bene per quanto tempo Kyoya rimanga lì, ma alla fine lo sente chiudere la porta e allontanarsi. I suoi passi si dirigono nell'altra stanza, lo sente che apre gli armadi e prepara il futon, e dopo poco più niente.
Aspetta quasi un'ora prima di alzarsi. Fa del suo meglio per muoversi a passo felpato, anche se riconosce che non è il suo forte, eppure è quasi convinto che Kyoya non l'abbia sentito imprecare quando ha sbattuto il piede contro lo spigolo del letto.
Apre piano la porta della stanza in cui dorme Kyoya e sbircia all'interno. Se ne sta immobile, tutto raggomitolato sotto alle coperte. Dal respiro lento e regolare gli sembra che dorma e allora, lento, facendo attenzione a non fare rumore e riuscendoci, per una volta, gli va vicino e lo guarda bene.
È incredibile quanto una persona particolare come Kyoya sembri assolutamente normale mentre dorme. Eppure non riesce a rilassarsi nemmeno adesso, e Dino lo vede. Ma d'altra parte, è ovvio. Come potrebbe controllare la propria espressione tesa, nel bel mezzo del sonno?
Decide che ha visto abbastanza quando il ragazzo inizia ad agitarsi. Ha paura che si svegli e lo trovi lì, perciò decide di uscire. Ci riesce quasi silenziosamente, ma non riesce a non inciampare mentre chiude la porta e si ritrova a terra, e non solo si è fatto male ma ha anche fatto un sacco di casino.
«Cazzo!» impreca, tirandosi goffamente a sedere.
Sa che è troppo tardi per sistemare la faccenda. Sente passi veloci sul tatami e poi la porta che ha appena richiuso si apre. Kyoya è in piedi davanti a lui e lo fissa, e nei suoi occhi c'è un odio che non sa spiegarsi.
«Che cosa fai?»
«Niente. Sono inciampato. Torna a letto, Kyoya.»
«Perché sei fuori dalla mia stanza?»
«Sono andato in bagno e stavo tornando a letto.»
«Sei fuori dalla mia stanza!» sbotta Kyoya e Dino sa che ha tutte le buone ragioni per non credergli. Ma non ha nessuna intenzione di cedere, anche perché in questi giorni quel ragazzo lo sta facendo impazzire e lui non ne può più di questa convivenza.
«Questa è casa mia.» ribatte. «Ho il diritto di stare dove mi pare.»
Kyoya resta in silenzio. Dino lo vede farsi pallido di rabbia, lo vede tirare le labbra e chiudere i pugni. Sa che una risposta del genere può solo farlo arrabbiare, ma non gli interessa. Quella è davvero casa sua, e ha davvero il diritto di stare dove gli pare. Che poi sia vero che lo stava guardando dormire, quello è un altro discorso.
Prima di dargli il tempo di fare qualsiasi cosa, Dino si sporge in avanti, afferra Kyoya per la mano e lo tira verso di sé, poi lo guarda negli occhi, serio.
«Kyoya, per favore. Ho bisogno di parlarti.»
«Non voglio sentire quello che hai da dire.»
Dino sospira, «Capisci che lo sto facendo per te?» gli chiede.
Kyoya lo fissa e il suo sguardo è vuoto.
«Sì.» risponde.
Dino lo guarda a bocca aperta. Quella è – davvero – l'ultima risposta che si aspettava da Kyoya. Sa che è stato difficile dirlo, per lui. Gli sorride, anche se vorrebbe solo prenderlo a schiaffi perché gli sta rendendo tutto dannatamente difficile.
«E allora permettimi di aiutarti. Se vieni in Italia con me... Sarà difficile all'inizio, ma poi ti abituerai.»
«Namimori è casa mia.»
«Lo so.» Dino si alza, gli posa le mani sulle spalle e considera un buon segno il fatto che non l'abbia respinto. «Ma adesso, qui, non puoi più fare la vita di prima.»
«Non voglio andare via.»
«Però non vuoi nemmeno che ti portino via di nuovo, vero?»
«No.»
«Non puoi restare qui e continuare a nasconderti. Se vuoi stare a Namimori, devi ascoltare gli assistenti sociali e fare quello che ti dicono loro.»
«Non voglio.»
«Questa volta devi scegliere, Kyoya. Non puoi stare qui e fare anche quello che ti pare.»
«Non ci vengo, in Italia.» Ribadisce l'altro, e dopo aver detto tali parole non lo degna più di uno sguardo. Gli volta le spalle, torna a chiudersi in camera. Fa girare la chiave nella toppa, così Dino non può nemmeno raggiungerlo e cercare di farlo ragionare. Non gli va di parlargli attraverso una porta chiusa, lo trova maleducato e non gli piace. Quello dev'essere solo il modo che ha Kyoya per fargli capire che non se la sente di parlare.
«Non è finita qui!» ha premura di fargli comunque sapere, quasi urlando rivolto al legno della porta. Però non quella notte. Decide di tornare in camera e di rimettersi a letto, tanto non può fare altro.
Solo che, una volta che è sotto alle coperte,  non riesce a dormire.

La mattina dopo Dino ha sonno ed è di cattivo umore e Kyoya, dal canto suo, sembra infuriato. Rifiuta la colazione  e fa finta di non sentire Dino che lo chiama, esce di casa senza dire una parola e se ne va.
Dino si lascia cadere sul divano e non perde nemmeno tempo a preoccuparsi. A cosa serve? Kyoya non ascolta, e sembra che non gli importi quello che sta succedendo. O forse in realtà non è così, ma è bravo a nasconderlo.
Prende il cellulare e compone il numero di Romario.
«Sì, Boss?»
«Prenota il viaggio di ritorno.» gli dice.
«L'hai convinto?»
«No. Ma non m'interessa. Non posso star qui ad aspettare i suoi comodi, e io rischio grosso a tenerlo qui mentre lui continua ad andarsene in giro come se niente fosse.»
Romario rimane a lungo in silenzio.
«Dunque cosa intendi fare?» gli domanda.
«Gli darò un ultimatum. Prenota il volo anche per lui, cederà. Gli dirò che... che io parto e torno in Italia. Se vuole venire con me è libero di farlo, altrimenti può restare qui e arrangiarsi.»
Romario sospira, come rassegnato.
«Prenoto per la settimana prossima?»
«Sì, è una buona idea. Così ha tempo per pensarci.»
In realtà Dino è del tutto determinato a portarselo dietro. È quasi convinto che Kyoya alla fine cederà, perché non può fare altro, ma se non lo farà allora sarà costretto a usare la forza per portarlo in Italia. Non può correre il rischio che Kyoya venga allontanato dai Vongola, non può proprio. Se lo porta in Italia, potrà comunque riportarlo in Giappone ogni volta che ce ne sarà bisogno. E in ogni caso non gli piace l'idea che un ragazzo come lui venga rinchiuso in un istituto e sia costretto a rimanerci per anni.
Mentre resta ad aspettare che Kyoya si decida a tornare entra nella camera in cui l'ha fatto dormire, ma sa già che non ci troverà niente di interessante. C'è la sua divisa scolastica, ancora da lavare, con i polsini della camicia sporchi del sangue di Hibird. La prende e la butta in lavatrice, ringraziando che Kyoya abbia almeno la decenza di non andare in giro con la divisa della Nami.

Kyoya rientra dopo diverse ore.
Ancora una volta Dino lo vede stanco, arrabbiato, ma questa volta decide di non perdere tempo. Non gli dà tempo nemmeno di arrivare al soggiorno e gli si piazza davanti.
«Io torno in Italia.» dice, senza tanti preamboli.
«Ciao.» È la risposta di Kyoya, e fa già per andarsene che Dino lo afferra per un braccio, con forza, e lo costringe a guardarlo.
«Se vuoi puoi venire con me. Il viaggio è prenotato anche per te, c'è il biglietto e in Italia c'è posto anche per te. Parto la settimana prossima.»
«Ti ho già detto che non ci vengo.»
«E io ti ho già detto che sei un idiota, se vuoi restare qui.»
Che ragazzino problematico che è. Reborn non poteva affibbiargliene uno più semplice?
In realtà Dino sa bene che in questo momento più che mai deve essere paziente con lui, ma non gli riesce proprio. Sta solo tentando di aiutarlo, in modo poco legale, se ne rende conto, ma che importa? Ciò che conta è che Kyoya stia bene e qui in Giappone non ha nessuna possibilità di riuscirci.
«Fatti gli affari tuoi.»
Dino, a quel punto, sbuffa e lo lascia andare, passandosi una mano tra i capelli.
«Fai come vuoi, Kyoya.» si arrende alla fine. «Quello che sto cercando di fare è permetterti di essere libero di fare ciò che vuoi. È vero che il Giappone è casa tua, ma è vero anche che adesso, qui, tutto quello che puoi fare è andare in giro e sperare che nessuno ti veda e che la polizia non ti prenda, perché ti porterebbero dagli assistenti sociali all'istante. Tuo padre ha sbagliato a lasciarti qui così» Lo sguardo di Kyoya s'incupisce appena, a quelle parole «e portarti in Italia senza il suo consenso è illegale. Ma ho i mezzi per fare in modo che nessuno ti venga a cercare fin lì, e tutto quello che posso offrirti è questo. Accettare o no dipende da te, ma non riesco proprio a capire perché ti ostini a rifiutare l'aiuto di chi vuole solo darti una mano.»
«Perché non ne ho bisogno.» sibila Kyoya.
Di nuovo, tutto quello che Dino riesce a fare è sbuffare.
«D'accordo, come ti pare. Hai tempo fino a mercoledì prossimo per cambiare idea.»
Kyoya non gli risponde. Si divincola dalla sua presa, si dirige verso la propria stanza e si chiude dentro sbattendo la porta.
Non esce per tutto il giorno e la sera Dino si limita a lasciargli un vassoio con la cena a terra, fuori dalla porta, senza dirgli nulla. Non ha senso insistere. Kyoya cederà, ha solo bisogno di tempo per capire che quella è la soluzione migliore che gli si possa offrire.

Dino è fermo a far finta di dormire da un tempo lunghissimo che non riesce a calcolare. Kyoya è entrato nella sua stanza da parecchio, e lui non si è nemmeno mosso. Non ha nemmeno aperto gli occhi. Ma poi il ragazzo si è seduto sul letto, proprio sul bordo, e Dino ha sentito il materasso che si inclinava appena sotto il suo peso. Ha continuato a far finta di dormire, aspettando che Kyoya facesse qualcosa. Solo che Kyoya non fa niente. Rimane fermo e basta.
Dino continua a starsene lì con gli occhi chiusi.
«Lo so che sei sveglio.» mormora alla fine Kyoya.
Ha la voce roca e stanca, spenta. Ancora una volta Dino sente l'impulso di abbracciarlo e ancora una volta si trattiene. Ma è solo un ragazzino, gli farebbe tanto bene un po' d'affetto! Comunque, quando sente quelle parole apre gli occhi, anche se resta fermo. E allora lo vede, Kyoya, e quello che vede non gli piace.
Si è dimenticato di chiudere le imposte e il volto di Kyoya è illuminato dalla luce dei lampioni che ci sono in strada. Dino non può giurarlo, ma direbbe che ha gli occhi gonfi come se non dormisse da tanto. O come se avesse appena finito di piangere, anche se la cosa gli sembra talmente assurda, associata a Kyoya, che si convince che sia insonnia.
«C'è qualcosa che non va?» gli domanda con voce gentile, facendogli spazio accanto a sé sul letto. Kyoya non si muove dalla sua posizione e non lo guarda.
«Non ci voglio venire, in Italia.»
Dino si trattiene dallo sbuffare solo perché crede che non sia un buon momento.
«Lo so.»
«Namimori è casa mia.»
«Sì, lo so. Certo.» tenta di tenere un tono di voce più comprensivo possibile, ma la verità è che vorrebbe saltargli al collo e strangolarlo, quel dannato ragazzino testardo. Sta per dirgli per la centesima volta che non vuole il suo aiuto? Va bene, ma perché venirglielo a dire alle tre di notte, e in quel modo poi?
Kyoya sposta lo sguardo fuori dalla finestra e rimane in silenzio a lungo, come se stesse riflettendo.
«Il Comitato Disciplinare è la cosa più importante. La disciplina è importante, e il regolamento scolastico. Ma io adesso non posso tornare a scuola. Non posso andare in giro per le strade. E non c'è nessuno che posso mordere a morte per questo.»
«No, credo di no.»
Kyoya rimane in silenzio. Gli sembra confuso, e sperduto, e a questo punto, visto come stanno andando le cose, Dino si siede sul letto e si mette accanto a Kyoya, guardandolo. Con quella luce pallida sembra ancora più bianco e sottile di quello che è, e i suoi occhi sono ancora più cupi, più tristi.
«Se vieni in Italia non dovrai nasconderti.» tenta ancora Dino.
«Lo so.»
In realtà, si sistemerebbe tutto se solo suo padre si facesse vivo. Chissà che fine ha fatto quell'uomo.
Forse Kyoya lo sa, però. Magari può provare a chiederglielo.
«Kyoya, senti... Se tuo padre tornasse, potresti restare. Tu lo sai dov'è?»
«No.»
«Sei sicuro? Non ne hai proprio idea?»
«Non parliamo molto, io e lui.»
Dino non ha nessuna difficoltà a immaginarlo. Dubita che Kyoya abbia un rapporto decente con i suoi genitori, o non sarebbe così. In ogni caso, ci ha provato. Magari le autorità lo troveranno. Solo che forse lo arresteranno e quindi il problema sarebbe lo stesso.
«E tua madre?» Romario ha detto che non sono riusciti a rintracciarla, ma forse ha mantenuto i rapporti con il figlio.
Kyoya lo guarda, poi torna a voltarsi verso la finestra.
«Non so che fine abbia fatto. Forse è morta. Non me lo ricordo.»
Dino resta esterrefatto a quelle parole. Che Kyoya non avesse idea della fine che ha fatto sua madre francamente non se lo aspettava.
«Non ha importanza.» scrolla le spalle il ragazzo. «È meglio se non c'è. Odio avere gente tra i piedi.»
«Lo so, lo so.»
Kyoya lo guarda ancora, indecifrabile, poi si alza.
«Se vengo in Italia, mi devi lasciare in pace.» dice. «Voglio una stanza solo per me. E voglio poter andare dove mi pare.»
Dino lo fissa a bocca aperta. Kyoya ha appena accettato di tornare in Italia con lui? È certo di stare ancora sognando. Poi, però, si riprende.
«Certo. Nel mio appartamento ci sono quattro camere da letto. A parte la mia, ne hai tre tra cui scegliere. E potrai andartene in giro come preferisci.»
Anzi, sarà meglio se va in giro, invece che stare in casa a rompere l'anima a lui.
«Ci verrai, quindi?» gli domanda, solo per sincerarsi d'aver capito bene.
«Se non cambio idea.» ribatte Kyoya, poi esce dalla stanza.
Dino lo segue con gli occhi, si sdraia di nuovo e sospira.
«Se non cambi idea.» ripete in un soffio.


Grazie mille per le bellissime recensioni che mi avete lasciato.
Scusate se non ho risposto a ognuno di voi.

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Capitolo 6
*** L'Italia ***


Da quando sono partiti dal Giappone al momento in cui atterrano in Italia Kyoya non dice una parola; non guarda né lui né Romario; non si muove; quasi non respira.
«Va tutto bene?» gli domanda Dino, cercando di essere gentile.
Non ottiene risposta. Ha provato a fare conversazione, a cavargli almeno qualche parola, ma non ci è riuscito. Comincia a preoccuparsi per quel mutismo, si chiede cosa stia passando per la testa del ragazzo.
«Lascialo stare, Boss.» lo consiglia Romario, in italiano. «Forse ha bisogno di tempo.»
«È strano.»
«È normale. È già tanto che abbia accettato di venire qui.»
Dino sospira e sa che Romario ha ragione. Si chiede come gli sia venuto in mente di portarsi un ragazzino simile in Italia, ma sa che è meglio se non si risponde e accantona l'argomento.
«Lo portiamo alla villa, Boss?»
Dino si volta e guarda Romario. Normalmente risponderebbe di sì, perché di solito vive lì e se Kyoya intende restare deve adattarsi, poi si dice che forse non è il caso di portarlo in un luogo tanto grande e tanto affollato già da subito, prima ancora che abbia avuto il tempo di abituarsi al cambiamento. Fa finta di non sapere che Kyoya non si abituerà mai.
«No. Impazzirebbe lì, ed è già sulla buona strada per conto suo. Lo porto nel mio appartamento per un po'.»
Almeno lì non ci saranno tutti i suoi subordinati. Gli deve dare il tempo di abituarsi, di capire che in Italia può vivere tranquillo.
Romario li accompagna con la macchina, ma li lascia entrare soli.
L'appartamento è piccolo, disordinato, e Kyoya lancia un'occhiataccia a tutta quella confusione, però è tranquillo e Dino pensa che gli potrebbe far bene.
«Vieni, ti mostro le stanze.» gli dice e Kyoya, seppur riluttante, lo segue. Lo considera un fatto positivo, tutto sommato. «Puoi scegliere quella che ti piace di più.» gli spiega, alludendo alle camere da letto.
«Questa qui.» dice Kyoya non appena Dino apre la porta della prima. Dino prova a insistere, ma Kyoya non vuole nemmeno vedere le altre. Si è scelto la più piccola, la più buia. Visto che sembra tanto convinto, però, Dino decide di lasciarlo fare. Lo sa che discutere con Kyoya è una perdita di tempo, anche se lo trova abbastanza arrendevole, ultimamente. Non credeva assolutamente possibile che avrebbe accettato di venire in Italia, invece eccolo lì.
È arrabbiato, confuso e spaesato, Dino lo vede anche se Kyoya cerca di nasconderlo, però è lì.
Kyoya si comporta come un animale selvaggio che sia stato costretto a cambiare il suo habitat naturale; non gli piace quella soluzione e Dino sa anche questo, ma non gli importa. Kyoya è il Guardiano della Nuvola di decima generazione dei Vongola, non può proprio permettere che venga mandato chissà dove solo perché suo padre ha avuto la brillante idea di sparire semplicemente nel nulla. Ed è stato anche piuttosto bravo, perché Romario ancora non è riuscito a trovarlo, anche se si sta dando da fare insieme agli altri ragazzi.
Dino non ha intenzione di tenere lì Kyoya per sempre, impazzirebbero tutti e due. È solo una misura provvisoria, finché riescono a far tornare un po' di buon senso al signor Hibari. Sempre che riescano a trovarlo.

Dopo due giorni dal ritorno in Italia, Dino ha ben chiara una cosa: non vede l'ora che Kyoya se ne torni in Giappone. Sta facendo di tutto per rendergli la vita difficile, o almeno è così che pare a lui. Kyoya odia quel posto e fa di tutto per farglielo notare, compreso distruggere per sbaglio lo specchio del bagno. Altri sette anni di guai. Non è che l'idea entusiasmi Dino più di tanto.
In ogni caso, Kyoya è testardo ma lui lo è di più, e quando per il terzo pasto consecutivo gli mette davanti un piatto di pasta fa finta di non vedere l'occhiata di puro odio che Kyoya gli rivolge.
«Non la voglio.» sbotta. «Voglio mangiare carne.»
«Invece mangi questo.» lo rimbecca Dino. «Se lo mangi, stasera ti preparo la carne.»
Gli sembra un compromesso ragionevole. Kyoya, a quanto pare, non la pensa così. Non tocca nemmeno il cibo e non si alza da tavola solo perché Dino, con un movimento a metà tra l'intenzionale e il casuale, riesce a bloccargli la gamba contro al tavolo.
«Non fare il bambino.» lo rimprovera. «Finché vivi qui, mangi quello che mangio io. Non voglio tante tragedie. Hai quindici anni, comportati come si deve.»
Anche se lui lo sa benissimo che Kyoya è ancora un bambino dentro.
«Stupido erbivoro.» sibila l'altro, mettendo mano ai tonfa. «Verrai morso a morte.»
«Forse.» gli sorride Dino, e lo sa che lo fa solo arrabbiare quando si comporta così, ma  tutto sommato l'idea lo diverte. «Dopo pranzo, però. Mangia, su. Non ti lascio alzare finché non mangi almeno metà di quello che hai nel piatto.»
In realtà che Kyoya mangi o no gli interessa relativamente, quello che gli importa è dargli regole, fargli capire che a casa sua non può fare quello che gli pare.
Kyoya non cede, però. Non manda giù nemmeno un boccone e alla fine Dino si stanca di tenerlo lì in ostaggio. Un po' a malincuore lo lascia andare, ripromettendosi di essere più severo, da lì in avanti. Fa finta di non sapere che non ci riuscirà, perché tanto Kyoya, in Giappone o in Italia, resta un selvaggio che fa quello che gli pare, e lui riesce a rigirarselo solo fino a un certo punto, e con tanta pazienza.
E lui, di pazienza, in realtà ne ha davvero poca.

Dino ha passato una giornata tremenda, e la prima cosa che pensa quando rientra in casa è che non ha voglia di rogne. Ne ha già abbastanza con le famiglie alleate, con le minacce dei suoi nemici e con la ricerca del padre di Kyoya, che se non è scomparso dalla faccia della terra ci va comunque vicino, visto che nessuno sembra essere in grado di trovarlo.
Va in cucina, apre il frigo e beve una birra. Guarda il lavabo; è praticamente certo di non averle lasciate lui, quelle pentole, però ci sono. Ne afferra una e la esamina: è pulita.
Visto che lì ci vive solo lui e che Kyoya è il suo unico ospite, e ai fantasmi non ci crede, giunge alla conclusione che s'è preparato la cena da solo, forse per evitare di trovarsi di nuovo un piatto di pasta davanti. Peccato, però, voleva vedere quanto sarebbe riuscito a resistere prima di decidersi a mangiarla. Almeno, però, ha avuto la decenza di lavare i piatti che ha sporcato, anche se poi li ha lasciati lì. E non ha lasciato lì solo le pentole, osserva mentre guarda il tavolo.
C'è un piatto colmo di cibo, un bicchiere e le posate.
Non sa se Kyoya stia cercando di farsi perdonare per qualcosa o di ucciderlo, visto che per quanto ne sa potrebbe anche essere tutto farcito di veleno, ma decide comunque di mangiare, e una volta che si è riempito lo stomaco – e nota che Kyoya è davvero bravo a cucinare, cosa che non si sarebbe mai aspettato da un tipo come lui – va a cercarlo, ma non prima di aver recuperato un'altra lattina di birra dal frigorifero.
Lo trova in salotto, steso malamente sul divano, addormentato. Non ha nessuna intenzione di sollevarlo e portarlo in camera da letto, ma si chiede come faccia a dormire in quella posizione. A quanto pare, comunque, ci riesce, perciò preferisce non disturbarlo, visto che finché dorme non fa danni e questo è buono. Ancora non gli ha perdonato la questione dello specchio, dato che prevede un mare di guai da lì ai prossimi mesi e che Kyoya si metta pure a spaccare specchi non gli pare proprio il caso.
Si volta e fa per andare nel proprio studio a cercare di far chiarezza nella propria mente, ma all'improvviso si sente osservato. Torna a guardare Kyoya, ma quello ha gli occhi chiusi e sembra dormire. Dino sa che è sveglio, però.
«Era buona la cena.» commenta.
Non ottiene risposta. Sbuffa e si avvia verso la porta.
«Sei un ragazzino problematico.» borbotta, però non riesce a non sorridere. Gli fa piacere che Kyoya gli abbia preparato la cena, anche se ancora non è sicuro che non gli abbia giocato qualche brutto tiro. Ma se il piatto fosse stato avvelenato probabilmente avrebbe già i sintomi, decide, perciò forse non lo era.
È già in corridoio quando sente la voce di Kyoya.
«È solo perché quello che cucini tu non mi piace.»

Se ne sta seduto sulla sua poltrona preferita, rigirandosi un pezzo di carta tra le mani, con lo sguardo perso nel vuoto.
A un certo punto ha sentito i passi di Kyoya che si dirigevano verso la camera da letto, ma lui ancora non s'è mosso.
Romario ha detto che sarà questione di giorni, forse una settimana, prima che qualcuno si decida ad attaccare. Sbuffa e si tormenta le unghie con i denti.
Una guerra, in quel momento, è l'ultima cosa di cui ha voglia. E tutto per cosa, poi? Per riaprire traffici di droga che la sua Famiglia ha chiuso? Ma è assurdo. Assurdo. Lui lo sa; a quella minuscola Famiglia rivale non conviene dar vita a un casino del genere per un po' di polvere bianca che passa per quelle zone. Rischiano di farsi sterminare per cosa? Qualche migliaio di euro? Non ha senso. Lo sa, conosce il loro Boss e non riesce a togliersi dalla testa che stia puntando a qualcos'altro, qualcosa di più grosso.
Gli viene il dubbio che sia riuscito a farsi qualche alleato importante, qualcuno che potrebbe davvero dargli problemi. Gli viene in mente solo la Famiglia Dalle Carbonare che francamente lo terrorizza. L'ultima guerra contro di loro è stata una carneficina. Sono loro che hanno in mano il più grande traffico di armi della zona, e lui e la sua Famiglia rischiano davvero di diventare un bersaglio per il tiro a segno.
E c'è anche Kyoya, adesso. La Nuvola dei Vongola... Saranno così stupidi da prendere di mira anche lui? Potrebbe essere un deterrente o un invitante bersaglio. Se decidono che è troppo pericoloso mettersi anche contro ai Vongola, forse può evitare la guerra. Se decidono che invece vogliono combattere anche contro di loro, per quanto stupido possa essere, lui dovrà anche proteggere Kyoya. Testa calda com'è quel ragazzino, non può certo lasciarlo solo. Dovrà stargli addosso per impedire che si metta nei guai, e l'idea francamente non lo entusiasma più di tanto. Ha già abbastanza cose a cui pensare.
Per esempio, cercare di arrivare a una soluzione diplomatica. Sarebbe splendido, ma il Boss degli Olivieri si è rifiutato anche di incontrarlo e pure di parlargli al telefono.
Si passa una mano sugli occhi e si chiede se una terza birra sarebbe eccessiva. Decide di sì e allora, solo per fare qualcosa, prova ad andare a dormire. Di sonno non ne ha, ed è quasi certo che non riuscirà ad addormentarsi proprio per nulla, ma rimane lo stesso a rigirarsi tra le coperte fin quando arriva mattina.

Quando si decide ad alzarsi dal letto trova Kyoya in cucina che ribalta credenze e cassetti, forse alla ricerca di qualcosa che possa piacergli.
Dino lo lascia fare. Ha sonno, non sa bene che cosa fare e ha appena ricevuto la telefonata di Romario, che gli ha dato solo brutte notizie.
«Senti un po'.» dice a Kyoya «Qua la situazione è un po' incasinata. Voglio che resti in casa. Non devi uscire da solo, è pericoloso.»
«Taci.» sbotta l'altro. Ha trovato una confezione di biscotti, e la sta studiando con circospezione. Dino ha l'impressione che non gli aggradi del tutto, però la apre, perciò forse alla fine se la farà bastare. Sa che la colazione è giapponese è tutta un'altra cosa, ma dovrà abituarsi anche a quello.
«Non taccio.» lo rimbecca Dino. «Non devi uscire di casa. C'è gente che vuole farti la pelle, e che vuole farla pure a me, e se eviti di metterti nei guai mi fai un favore.»
«Sembra divertente.»
«Non è divertente! È pericoloso! Mettitelo in quella testa vuota che ti ritrovi; non devi uscire di casa da solo. Non ho voglia di venire a salvarti la pelle.»
«Non penso che ce ne sarà bisogno, stupido erbivoro.» La voce di Kyoya è fredda e tagliente. Dino lo sa, lo sa benissimo che è forte e che sa difendersi, ma preferisce comunque non rischiare.
«Senti, tu sei forte e lo so, ma questa è gente che ha più esperienza di te in questo genere di cose e tu saresti veramente stupido se andassi a metterti contro a gente che può ridurti a un colabrodo in meno di un minuto!»
Kyoya gli rivolge uno sguardo feroce.
«Non darmi ordini.» sibila, scandendo le parole. «Io faccio quello che mi pare.»
«Ti sto dicendo che è pericoloso! Cosa ti costa startene tranquillo per un po'? Lo fai per farmi disperare? Sono già pieno di guai fin sopra alla testa, non ho tempo di preoccuparmi di te e dei tuoi capricci!»
Lo sguardo di Kyoya si fa cupo a quelle parole e Dino sa d'aver detto qualcosa di troppo. Però è vero, dannazione, è vero. Lui è il Boss di una delle Famiglie più importanti, l'alleata più importante dei Vongola, ed è coinvolto in una disputa che si trasformerà in una guerra se non fanno qualcosa per impedirlo. Non ha di certo tempo né voglia di assecondare Kyoya, non in quel momento.
«Se dovrò legarti per impedirti di uscire, lo farò.»
«Devi solo provarci.» lo sfida Kyoya, e Dino non ci vede più.
Non ha tempo né voglia di discutere con quel ragazzino capriccioso, e non fa nemmeno in tempo a pensare che già ha la frusta in mano. Se Kyoya vuole che le cose gli vengano messe in testa con la violenza, bene, lo farà. È disposto anche a fargli male pur di convincerlo – o costringerlo – a non uscire di casa. Deve proteggerlo, e lo farà a qualsiasi costo. È più forte di Kyoya, e questo lo sanno tutti e due.
Kyoya, che si era seduto, salta in piedi quando lo vede così pronto a combattere. Per una volta, Dino lo coglie di sorpresa. La scatola dei biscotti cade a terra, Kyoya la pesta con il piede nudo senza nemmeno accorgersene.
Dino è veloce, veloce, e non inciampa come farebbe di solito perché sa che adesso la questione è importantissima, che ne va della sicurezza di Kyoya e lui non può proprio permettere che si metta nei guai solo perché è testardo.
La frusta colpisce il braccio di Kyoya e vi si avvolge intorno; lui prova a resistere, si dimena, tenta di liberarsi e non ci riesce. Nei suoi occhi, quando guarda Dino, c'è solo odio e gelo.
Afferra la frusta con la mano libera, la tira per liberarsi, ma non ci riesce. Solo allora Dino si rende conto che non ha i tonfa, ed è quella semplice mancanza che gli fa capire quanto grave sia quello che ha fatto.
Kyoya si è presentato davanti a lui in pigiama, quella mattina, a piedi nudi, disarmato. Vuol dire che si sente tranquillo in questa casa, che non teme un attacco. E Dino, invece, l'ha aggredito.
Tira la frusta per avvicinarlo a sé, ma piano, senza l'intenzione di fargli del male. Decide che adesso non può peggiorare le cose, che deve fargli capire che è solo preoccupato.
Gli posa la mano sulla spalla. Kyoya si irrigidisce come se l'avesse scottato, però non riesce a sfuggire alla sua stretta. Dino lo costringe a sedersi di nuovo, gli libera la mano e lascia che la frusta cada a terra.
«Ascoltami.» gli dice con enfasi. «In questo momento ci sono delle Famiglie nemiche che vogliono distruggere i Cavallone, e a quanto pare mirano anche ai Vongola. Adesso devo pensare a proteggere la mia Famiglia, e se ti vedessero in giro o se scoprissero dove sei diventeresti un bersaglio, e io non voglio. Cerca di capire, Kyoya. Sto solo cercando di tenerti al sicuro.»
Ancora una volta, Kyoya si limita a guardarlo male.
«Non ne ho bisogno.»
«Be', dammi retta per una volta! Stai in casa. Non costringermi a chiuderti dentro, perché questa volta ti giuro che lo farò.»
Kyoya gli ringhia qualcosa di simile a una minaccia, ma Dino questa volta è stanco di assecondare i suoi capricci.
Si alza, va a cambiarsi e esce di casa sbattendo la porta. La chiude a chiave, ma sa che se Kyoya vorrà uscire lo farà lo stesso. Spera solo che non sia così stupido.

«Vuoi davvero parlare con quell'uomo da solo?» Romario non sembra per nulla convinto della sua decisione, ma Dino sa che l'unico modo per ottenere qualcosa è entrare in quella stanza senza nessuna scorta.
I suoi uomini sono con lui, anche se stanno fuori dalla porta si sente tranquillo.
È già tanto che il Boss della famiglia Olivieri abbia accettato di parlargli, metterlo di cattivo umore non gli sembra una mossa saggia.
«Sta' qui e sta' tranquillo.» dice a bassa voce.
Senza Romario, è lui che non è tranquillo, ma non importa. È lui il Boss, è lui quello che ha delle responsabilità.
Entra nello studio e si trova davanti il vecchiaccio rinsecchito che sta cercando di fare la pelle a lui e a tutta la sua Famiglia, e che, secondo voci più o meno attendibili, vuole mettere le mani anche su Kyoya, per avere qualcosa da usare contro i Vongola. Per quanto lo riguarda, Kyoya può prenderselo anche subito: gli basterebbero due giorni per capire che è meglio rimandarlo indietro, un ragazzino intrattabile come quello.
«Buongiorno.» lo saluta Dino, fingendo deferenza. Vorrebbe solo sputargli in faccia e fargli saltare il cervello. Ha una pistola infilata alla cintura, per sicurezza, ma non sa se è in grado di usarla contro un uomo.
Comunque, si siede quando l'uomo lo invita a farlo.
«Che cosa volete?» domanda Dino, senza troppi giri di parole.
L'uomo gli sorride e Dino capisce in un istante che ha fatto una pessima cosa a entrare lì dentro senza gli altri. Sente passi di molti uomini, nel corridoio, e sa che i suoi sono circondati. Si volta istintivamente verso la porta.
«Guarda qui.» lo invita invece l'uomo.
Dino guarda e vede la canna lucida della pistola puntata contro di lui.
Vede il grilletto che viene premuto, ma è già tardi.
Non sente nemmeno il rumore.

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Capitolo 7
*** Sott'acqua ***


Dino sente. 
Percepisce suoni ovattati, un ronzio. Non vede niente, il corpo è pesante. Si limita ad ascoltare.
«Haneuma.» E' una voce da bambino spaventato, incerto, anche se finge freddezza. Kyoya, il suo Kyoya è lì e lo chiama. 
Vorrebbe tanto rispondergli, abbracciarlo e dirgli di stare tranquillo; andrà tutto bene. Si riprenderà, un proiettile non è niente. Non è nemmeno la prima volta che finisce in quelle condizioni.
Sente anche i profumi, Dino. Anzi, no, sente solo il profumo della pelle di Kyoya; sa di sale e sapone. Di paura, anche. Deve averlo davvero spaventato, povero ragazzo. Non vuole farlo preoccupare, ma non può farci niente.
Sa che Kyoya sta fingendo di essere forte, di fregarsene, come sempre, ma forse proprio perché è in quelle condizioni pietose percepisce meglio il suo sgomento e la sua paura.
Chissà come hanno convinto quel ragazzino problematico a venire al suo capezzale. Chissà chi ha pensato di avvertirlo. 
Ma non è sicuro che Kyoya stia lì. È sicuramente in un ospedale, e la Famiglia Olivieri vuole Kyoya, lo sa, in questo modo potranno ricattare i Vongola.
Vuole aprire gli occhi, o almeno parlare, dire di portarlo via di lì, di portarlo al sicuro e di legarlo, se necessario, perché sa che tanto Kyoya non ascolterà mai nessuno, ma non riesce a parlare.
Riesce a percepire la presenza di Kyoya solo per qualche istante ancora, poi torna nel buio e nel silenzio in cui è stato fino a quel momento.
 
È notte.
Non sa come faccia a saperlo, ma è sicuro che sia notte. 
La notte ha un odore diverso dal giorno, per questo lo sa. Però percepisce ancora la presenza di qualcuno accanto a sé. Forse Romario è rimasto a fargli compagnia. No, è impossibile. L'orario delle visite è passato da un pezzo. 
Se c'è qualcuno lì, si è infilato in reparto senza che qualcuno lo notasse. Potrebbe essere uno degli Olivieri, venuto a finirlo. Che storia patetica, che sarebbe stata. 
Ucciso in ospedale dopo essere stato salvato da un colpo di pistola alla... già, dove l'hanno colpito? Non se lo ricorda. Non gli fa male da nessuna parte. 
Ricorda che la pistola era puntata al suo viso, ma immagina che sarebbe morto, se l'avessero preso in testa. Invece è ancora vivo. È abbastanza sicuro di questo.
Resta il fatto che c'è qualcuno accanto a lui, che non dovrebbe essere lì e quindi resta da stabilire se è amico o nemico. Spera che non sia un nemico, perché si sente già abbastanza male per conto suo senza che qualcuno sia pronto a ucciderlo, ma in effetti la presenza che percepisce non è ostile.
Se solo dicesse o facesse qualcosa, in modo da permettergli di identificarlo...
Ma niente. La presenza se ne sta zitta e ferma e lui sa solo che è lì e che non può proprio farci nulla, perché non riesce a muoversi, né ad aprire gli occhi, né a parlare.
Ma la presenza, così come è arrivata, dovrà andarsene, perciò Dino si ripromette di stare bene attento e di ascoltare i suoi passi quando se ne va, perché non li ha sentiti quando è arrivata.
In ogni caso, non è una presenza ostile, o probabilmente sarebbe già morto e invece è abbastanza convinto di essere vivo.
Continua ad ascoltare, ma, chiunque sia la persona nella sua stanza, non si muove e non emette un suono. È abbastanza snervante, se deve essere sincero.
Vorrebbe aprire gli occhi, vedere chi è, urlare Parla, dannazione! Ma non può farlo, quindi non ha molte alternative. Se ne deve stare lì, nel suo limbo, ad aspettare un movimento o un suono qualsiasi.
E il movimento, alla fine, arriva. Dino non ha la minima idea di quanto tempo sia passato, ma la persona si muove. 
Dino sente i suoi passi leggeri, sa che si sta dirigendo verso la porta e sa che quei passi li ha già sentiti tutti i giorni, tutte le notti. Li ha sentiti nei corridoi della scuola media a Namimori e sul tatami del suo appartamento in Giappone. Li ha sentiti sul parquet della sua casa in Italia e li ha sentiti ora, sul linoleum del pavimento dell'ospedale.
La presenza che fino a pochi secondi prima era nella sua stanza era Kyoya.
 
Dino ha l'impressione di essere sott'acqua.
Il corpo è leggero, ma i suoni gli arrivano ovattati. La voce di Kyoya, il giorno prima, gli è sembrata chiara, ma forse è stato solo perché ha detto un'unica parola, e lui l'ha riconosciuta subito.
Adesso che Romario gli parla, la sua voce gli arriva distorta.
«Boss, vedi di svegliarti in fretta.» sta dicendo Romario. «Innanzitutto ci stai facendo preoccupare, e poi ci sono un sacco di cose di cui ti devi occupare, per esempio farci sapere cosa diamine dobbiamo farne dei Olivieri.»
Dino vorrebbe sbuffare. È ovvio, no? 
Tenerli d'occhio, renderli inoffensivi. Cercare dei depositi di armi e distruggerli, se ce ne sono. Rompere la loro rete interna; corrompere, catturare, interrogare, spiare.
Se questo non basta a difendersi, attaccarli e distruggerli.
E soprattutto, fare in modo che Kyoya non si metta nei pasticci e che non peggiori quelli in cui già sono tutti loro. I Vongola non gliela perdonerebbero mai se il loro Guardiano della Nuvola di decima generazione avesse guai mentre è sotto la sua tutela.
È così che gli ha detto Timoteo quando ha saputo che Kyoya stava da lui. Deve tenerlo al sicuro, soprattutto considerato il carattere di quel demonio.
Dino, dopotutto, è convinto che non sia colpa di Kyoya se ha quel brutto carattere. I suoi genitori non si sono certo mostrati interessati a lui ed è certo che Kyoya ne soffra, ma soprattutto è convinto che siano le Fiamme della Nuvola a creare squilibri celebrali in chi le possiede. 
«E il ragazzino» prosegue Romario «non si fa vedere da quando ti abbiamo portato qui. Non so bene cosa stia combinando e dove sia, al momento.»
Dino vorrebbe imprecare, ma naturalmente non può fare nemmeno quello. Almeno sa che sta bene, visto che la notte prima era lì. Vorrebbe anche dire a Romario di andarlo a cercare, e una volta che l'ha trovato di chiuderlo da qualche parte a chiave e di fare in modo che non esca.
Tuttavia, sa che con Kyoya non ci si può comportare così, perciò, anche se tanto non riuscirebbe comunque a parlare, decide che non può dare un ordine del genere. Kyoya le deve capire da solo le cose, e quando si sveglierà sarà lui stesso a rimproverarlo.
In questo momento, comunque, non può farlo e lo sa benissimo.
Vorrebbe dire a Romario che tanto per cominciare è lui l'adulto, non Kyoya, e quindi dovrebbe trovarlo e farsi rispettare, ma visto che sa bene che a Romario Kyoya piace davvero poco scarta l'idea, anche se tanto non avrebbe potuto esporgli quel suo pensiero.
Alla fine, l'unica conclusione a cui giunge è che Kyoya se la caverà.
E si ripromette che quando si sveglierà gli farà pagare quel comportamento da bambino immaturo.
 
La notte, la presenza torna.
Questa volta Dino la sente arrivare e sta tranquillo, perché sa che è Kyoya.
Non ha idea di come faccia a entrare in reparto di notte né come sia possibile che nessuno se ne accorga, ma fa nulla.
Se ha capito qualcosa di Kyoya, è che a lui le regole interessano solo se deve farle rispettare a qualcun altro. Lui preferisce infrangerle e in un certo senso lo capisce, anche se ritiene che di notte dovrebbe dormire, non intrufolarsi negli ospedali.
Per cosa, poi?
Per guardare lui che dorme, che non riesce nemmeno a muoversi? 
Dev'essere un'occupazione piuttosto noiosa. Però Kyoya evidentemente non la pensa allo stesso modo, se per la seconda notte consecutiva viene a trovarlo.
Vorrebbe aprire gli occhi e dirgli di stare tranquillo, che si riprenderà, e poi sgridarlo; non può. Se riuscisse a muoversi anche di poco...
Ma il corpo non gli risponde. È inutile.
Decide che non vale la pena stare tanto a pensarci. Se Kyoya vuole passare la notte in reparto, che lo faccia. Lui ha sonno e vuole dormire, anche se non cambia molto visto che tanto gli occhi non li apre.
Tanto, Kyoya si limita a guardarlo, da quanto ha capito.
«Hanuema.» 
O forse no. Dino pensa ancora che Kyoya abbia una voce preoccupata, mentre gli parla.
«Mi seguono.» dice Kyoya, e Dino è sicuro che il suo cuore sia impazzito, a quelle parole. Immaginava che gli Olivieri non avessero intenzione di aspettare, ma non pensava che si fossero già messi in moto.
«So dov'è la loro base.»
Dino vorrebbe sbuffare. Doveva anche aspettarsi che Kyoya, invece che pensare a stare al sicuro, avrebbe preferito andare a cercare i nemici per capirne qualcosa di più su di loro.
Almeno ha avuto la decenza di non attaccarli a testa basta come farebbe di solito.
«Sono tanti.» commenta Kyoya, come se la cosa non gli interessasse affatto. «Ma tu sei così stupido che invece che indagare su di loro hai pensato di andare a farti sparare.»
Dino coglie una profonda accusa in quelle parole e sa che Kyoya ha ragione, ma che ci può fare? Ormai le cose sono andate così. E poi, doveva almeno provare a trattare. È andata male, ma poteva andare peggio. Poteva essere ucciso.
«Stupido erbivoro.» sibila ancora Kyoya.
Dopo, resta in silenzio. Dino non può muoversi né parlare, perciò finché l'altro non fa qualcosa può solo limitarsi a starsene lì immobile.
Alla fine, sente i passi di Kyoya che si allontanano e sa che se n'è andato, spera in un posto sicuro e non a farsi ammazzare dai nemici.
In ogni caso, lui ha sonno, e quando non lo sente più si rimette a dormire.
 
Dino si sveglia, ma non sa quanto tempo è passato da quando ha chiuso gli occhi.
La luce gli dà fastidio, e il bianco delle pareti gli mette la nausea. Il letto dell'ospedale è scomodo, e lui è da solo in stanza e scoprire tutto questo nel momento in cui apre gli occhi lo mette di cattivo umore.
Un dottore arriva da lui non sa dopo quanto tempo. Inizia a fargli domande, e Dino risponde solo con frasi smozzicate, la voce più debole che mai.
«Avevamo paura che avesse perso troppo sangue.» commenta il medico. «Non credevamo che avremmo fatto in tempo a salvarla, sa? Invece presto starà meglio. Il chirurgo poi ha fatto un ottimo lavoro. La cicatrice si vedrà appena.»
Dino non sa nemmeno dove è stato colpito, ma è troppo stanco per parlare e non lo chiede.
Il medico gli indica il collo.
«Un bel buco.» dice, come parlando tra sé e sé. «Davvero un brutto spettacolo. Ma vedrà che nel giro di qualche giorno tornerà come nuovo. Ha dormito solo un paio di giorni.»
Dino annuisce e prega che quel tipo se ne vada in fretta. Ha mal di testa, vuole dormire.
«Quando è l'orario delle visite?» sussurra a fatica.
Il medico lancia un'occhiata all'orologio.
«Tra sei ore. Quando ho finito con le medicazioni, se vuole può riposare.»
Dino annuisce. Lo lascia fare senza nemmeno accorgersi del tutto di quello che il dottore gli sta facendo, e non appena l'uomo esce dalla stanza si rimette a dormire.
Quando si sveglia, c'è Romario accanto a lui.
«Ehi...» lo saluta debolmente Dino.
«Ciao, Boss. Ho saputo che sei fuori pericolo. Ci devi sempre fare preoccupare.»
Dino solleva un po' la mano per fargli cenno di stare tranquillo e mette su un'espressione colpevole.
«I ragazzi?» domanda.
Da quando Gianfranco Olivieri gli ha sparato, non ricorda nulla di quello che è successo.
«Stanno tutti abbastanza bene.» risponde Romario. «Qualcuno si è preso un paio di proiettili, ma niente di grave.»
Dino annuisce.
«Stiamo cercando di fare il punto della situazione.» spiega Romario. «Al momento, l'alleanza dei Olivieri con i Dalle Carbonare sembra confermata. Inoltre, pare che ci siano in mezzo i Lentini. Non sono neutrali come vogliono farci credere, abbiamo scoperto un grosso passaggio di armi che li riguardava.»
Dino annuisce.
Al momento, ha contro la sua più grande rivale, una stupida Famiglia accecata dai soldi che la droga può procurare e una delle maggiori rivenditrici di armi della Regione.
«I Vongola?» chiede.
«Timoteo dice che per il momento non può intervenire. I Dalle Carbonare sono suoi alleati e non può preferire loro a te. Se faranno del male a Hibari, sarà diverso.»
«Ha detto che lo stanno seguendo.» mormora Dino.
«Chi sta seguendo?»
«Kyoya. Kyoya ha detto che lo stanno seguendo.»
Romario resta in silenzio a lungo, pensieroso.
«Nessuno di noi vede Kyoya da quando l'hai portato nel tuo appartamento.»
«È venuto qui.» spiega Dino a bassa voce. «Questa notte e anche quella prima. Ha detto che sa dov'è la base di quelli che lo seguono.»
«Stupido ragazzino. Gli è andato dietro?»
Dino scuote la testa per fargli intendere che non ne ha la minima idea. Come Kyoya abbia fatto a trovarli è un mistero. Preferisce quasi non pensarci. Sa che ha fatto qualcosa di stupido e decide di non avere la forza per arrabbiarsi.
Romario sospira.
«Abbiamo già un sacco di cose a cui pensare senza preoccuparci anche di quel moccioso.»
Dino annuisce pacatamente.
«Ma a quanto pare dobbiamo cercare di rintracciarlo e tenerlo d'occhio, vero?»
Dino annuisce.
«Perché i Dalle Carbonare dovrebbero attaccare Kyoya?» domanda a bassa voce. «Sono alleati dei Vongola...»
Romario scrolla le spalle e Dino non riesce a smettere di porsi quella domanda.
Perché?
 
La notte, Dino si sforza per restare sveglio. Tiene gli occhi chiusi per far star buoni gli infermieri, che continuano a dire che deve riposare, ma non ha intenzione di dormire.
Fa del suo meglio, ed è già convinto che non ce la farà mai quando sente quei passi familiari che aspettava.
Continua a fingere di essere addormentato, e solo quando sente la presenza di Kyoya accanto al letto muove la mano. Gli afferra il polso per impedirgli di andarsene e sa che è solo perché Kyoya gliel'ha lasciato fare che ci è riuscito. Perché gliel'abbia lasciato fare, però, non riesce a spiegarselo.
Apre gli occhi e lo guarda, e quello che vede è uno sguardo freddo. Quando vede le ferite sul volto dell'altro, è sicuro che il suo cuore impazzisca.
«Che ti è successo?»
Kyoya rimane a lungo in silenzio. Dino lo studia con attenzione. Ha un taglio che gli parte dalla tempia e gli arriva alla base del collo,  e un livido spaventoso che si estende da sotto l'occhio alla mandibola.
«Chi ti ha ridotto così?»
«Uno di quelli che mi seguiva.» 
Il tono di Kyoya è freddo come se non fosse accaduto nulla, come se non ci fosse niente.
«Sei... sei ferito anche altrove?»
Kyoya scrolla le spalle.
«Non lo so.» risponde.
«Quando hai combattuto?»
«Stamattina.»
«Sei andato da un medico?»
«Non ne ho bisogno.»
«Kyoya...» mormora Dino. Ha detto solo poche parole e già gli manca il fiato. Dove la trova la forza di sgridarlo, adesso? «Kyoya, devi farti visitare.»
«Non ne ho bisogno.»
Dino sa già che quella conversazione non porterà da nessuna parte e preferisce lasciar perdere. Lo rimprovererà a dovere quando si sentirà meglio.
«E quello che ti seguiva? Che fine ha fatto?»
«L'ho morso a morte.»
Dino annuisce. Quindi l'ha battuto. Ma era forte, se è riuscito a ridurlo in quel modo. Però, se Kyoya ha avuto la forza di andare fin lì, di intrufolarsi in reparto e di restare lì con lui, vuol dire che forse non sta così male. Questo pensiero un po' lo tranquillizza, e un po' lo fa incazzare. Dovrebbe star lontano dai guai, e invece va a ficcarvici come se la cosa lo divertisse.
«Ti ha attaccato lui?»
«Mi seguiva e mi dava fastidio.»
Dino sbuffa.
«Non dovresti metterti contro di loro. Sono gente pericolosa.»
Kyoya rimane in silenzio.
Dino lo guarda per un po', ma non riesce a interpretare la sua espressione. Sempre che quella si possa definire espressione. Al momento non gli viene un altro modo per definirla, perciò si accontenta. Vorrebbe capire cosa passa per la testa di Kyoya, ma quel ragazzo è indecifrabile, in quel momento.
«Perché vieni qui, di notte? Non hai sonno?»
Non ha niente di meglio da fare? Perché va a guardarlo dormire?
«Fatti gli affari tuoi, stupido erbivoro.» sibila Kyoya.
Dino ha l'impressione di star sbattendo la testa contro un muro. Ha anche la convinzione, però, che prima o poi quel muro crollerà. Kyoya è testardo, orgoglioso, complicato e anche parecchio incosciente, ma è solo un ragazzino come gli altri, dopotutto. Ha bisogno anche lui di qualcuno che gli stia dietro. E anche se Dino odia ammetterlo, si è preso una cotta pazzesca per lui, e spera che Kyoya se ne accorga e gli permetta di stargli vicino.
Se ci pensa gli viene da piangere. È terribilmente imbarazzante che alla sua età si sia preso una sbandata simile per un piccolo demonio del genere. Però è successo, e lui non sa cosa farci.
«Dove dormi, adesso?» chiede ancora. «E non dirmi di farmi gli affari miei. Mi fai preoccupare.»
Kyoya resta in silenzio per un tempo lunghissimo.
«Dove capita.» 
Dino geme di frustrazione.
«Ci sono persone che vogliono farti la pelle e tu dormi dove capita? Ascolta, prendi le chiavi dell'appartamento e abbi la decenza di andare a dormire lì. È più sicuro.»
«È il primo posto in cui mi verrebbero a cercare.»
L'obiezione di Kyoya è legittima, tutto sommato, ma Dino non demorde.
«Allora vai alla villa. Nessuno farà caso a te, c'è tanta gente lì. Sarai al sicuro. Devi stare lontano dai guai.»
Kyoya non risponde. Volta il capo verso la porta, e in quella posizione il taglio, rosso e in rilievo, risalta ancora di più. Dino non gli ha ancora mollato il polso, ma la sua presa è debole. Sa che Kyoya potrebbe allontanare la mano dalla sua con un gesto minuscolo, e si chiede perché non lo faccia. Normalmente lo farebbe, e invece...
«Sono abbastanza forte da cavarmela.» È la sua risposta.
«Almeno fai attenzione.» lo prega Dino.
Kyoya, in risposta, si limita ad annuire.




Grazie a tutti per le bellissime recensioni che mi avete lasciato, scusate se non ho risposto singolarmente a ognuno di voi.
Baci,
rolly too

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Capitolo 8
*** La crepa nel muro ***


La prima cosa che Dino fa quando viene dimesso è riportare Kyoya all'appartamento.
Quando apre la porta sente odore di chiuso, vede polvere ovunque e sa che Kyoya non è mai tornato, lì.
«Potevi venire almeno a disinfettarti quella ferita.» commenta, accennando al lungo taglio che sta a malapena iniziando a cicatrizzarsi.
«Smettila di dirmi quello che devo fare.»
Dino annuisce, gli mette una mano sulla schiena e lo spinge verso il bagno.
«Vai a fare una doccia, su.» lo incoraggia.
Quasi si commuove quando vede che Kyoya obbedisce.
Mentre il ragazzo è sotto alla doccia lui, con non poca difficoltà, ripulisce l'appartamento. Si procura diversi lividi, nel farlo, ma non gli interessa.
Aspetta che Kyoya esca dal bagno e gli fa segno di seguirlo in salotto. Trova strano e quasi inquietante che l'altro obbedisca senza protestare.
Si siede sul divano, e Dino si accomoda accanto a lui, attento a non toccarlo nemmeno per sbaglio perché sa che lo metterebbe di cattivo umore, e non vuole.
«Mi racconti per bene quello che è successo?» domanda. «Ho bisogno di saperlo. C'è gente che vuole uccidere te, me, la mia Famiglia, e più cose so di loro più ho possibilità di batterli.»
«Erbivoro.» replica Kyoya. «Mi seguivano, e io li ho attaccati.»
«Ti seguivano? Non era da solo?»
«Erano in due.»
«Okay. E che hai fatto?»
«Li ho presi e li ho morsi a morte.» Kyoya lo dice come se non avesse capito il senso della domanda, come se Dino avesse chiesto una cosa immensamente stupida.
«E che fine hanno fatto questi due?»
«Non lo so. Uno è rimasto a terra, l'altro è andato via. Io me ne sono andato, mi annoiavo a star lì se non potevo combattere.»
Dino gli rivolge un sorrisetto esasperato.
«Certo, ovvio.»
Dino rimane pensieroso e non parla più, e anche Kyoya, come c'era da aspettarsi, tace. Ma Dino avrebbe scommesso che alla prima occasione se ne sarebbe andato, invece resta lì.
Mentre finge di essere concentrato sui propri pensieri lo guarda un po' di sottecchi, e gli piace. Gli piace più di quanto dovrebbe, se ne vergogna e allo stesso tempo è euforico perché Kyoya è lì, accanto a lui, e lui può osservarlo finché gli pare.
«Perché continui a guardarmi?» domanda all'improvviso Kyoya.
«Non ti sto guardando. Sto fissando il vuoto.»
«Non è vero. Ma non dico solo adesso. Perché mi guardi?»
Dino sa che se dicesse la verità verrebbe brutalmente picchiato, lo metterebbe di cattivo umore e probabilmente lo farebbe anche scappare.
«Perché sei qui. È normale guardare le persone che ci stanno vicine, no? Se ci fosse qualcun altro, guarderei lui.»
Kyoya gli rivolge un'occhiata strana che Dino fa fatica a comprendere, poi si volta e guarda fuori dalla finestra.
«Non farlo. Mi dà fastidio.»
Dino sbuffa.
«A te dà fastidio tutto!» protesta, e giusto per stuzzicarlo un po', per capire quanto di buon umore è, continua a fissarlo.
«Piantala!» sbotta Kyoya.
«No.» risponde Dino con un sorriso. «Gli occhi sono fatti per guardare, e io non sto facendo niente di male. Non ti sto nemmeno sfiorando. Ti dà fastidio solo perché stai pensando che ti guardo, altrimenti non te ne accorgeresti nemmeno. Perché pensi al fatto che ti guardo?»
Kyoya rimane a lungo in silenzio. Non si volta verso di lui, e quando parla la sua voce è fredda come sempre.
«Perché nessuno mi guarda mai.» risponde.
A Dino si stringe lo stomaco a quelle parole, ma è anche felice. Gli sembra che Kyoya abbia ammesso di sentirsi solo, o forse è solo la sua testa che giunge a conclusioni affrettate perché lui sa, è convinto che Kyoya si senta solo come non mai.
«Questo non lo sai.» prova a replicare. «Forse non ci hai mai fatto caso.»
«Me ne accorgerei, se qualcuno mi guardasse.»
Se qualcuno gli stesse accanto, completa Dino. Ma Kyoya è solo, per questo si comporta così.
E lui pensa che sia un ragazzino insopportabile, problematico, testardo. Ma ha una cotta spaventosa per lui. Non sa se possa dire di esserne innamorato, ma ossessionato sì, senza dubbio. E non sa nemmeno perché, considerato il caratteraccio di Kyoya.
Ma d'altra parte, cosa ci si può aspettare da un ragazzo così? Suo padre se n'è andato e l'ha lasciato solo, senza preoccuparsi di lui. Kyoya non sa nemmeno che fine abbia fatto la madre. Anche Dino sarebbe scontroso, al posto suo.
«Sai, Kyoya, forse ci sono persone che ti guarderebbero ti più, se tu glielo permettessi.» prova a dire Dino.
Kyoya gli rivolge un'occhiata seccata, ma tace.
«Io lo farei.» conclude Dino, e Kyoya, a quel punto, scosta lo sguardo.
Dino sa di aver fatto centro anche se non ha ottenuto alcuna reazione; va bene così.

Dino ha saputo dal momento in cui l'ha portato in Italia che Kyoya sta male, che prima o poi sarebbe crollato. Non si aspettava che succedesse così presto, non si aspettava che accadesse in quel modo.
Dino si accorge che quella mattina Kyoya ha qualcosa di strano dal modo in cui lo guarda, dal pallore del suo viso e dalle occhiaie profonde. Si direbbe che non ha chiuso occhio tutta la notte. Eppure, Dino è convinto di non averlo infastidito troppo, il giorno prima.
Forse è solo stanchezza. Forse ha solo fatto il punto della situazione, e ha capito che la situazione è brutta, che è stato abbandonato da chi avrebbe dovuto volergli bene, che è tanto, tanto distante da casa e che probabilmente a Namimori non ci potrà tornare per i prossimi anni.
«Kyoya» tenta di dire Dino a colazione. «va tutto bene?»
Non ottiene una risposta. Non ottiene nemmeno uno sguardo.
Per tutta la mattina Kyoya non gli parla, non lo guarda nemmeno. Si aggira per casa, irrequieto. Stranamente non esce. Verso le undici si chiude nella propria stanza, e Dino non prova nemmeno a convincerlo a farlo uscire.
È dopo pranzo – anche se Kyoya non ha toccato cibo – che Dino decide che non può farlo comportare così.
«Kyoya, se hai qualcosa che non va possiamo parlarne.» gli dice.
Ottiene in cambio un'occhiata vuota.
«A volte parlare può aiutarti a stare meglio.» continua Dino. Stupido ragazzino orgoglioso. Se parlasse, sarebbe più facile capire, aiutarlo. Perché lui vuole disperatamente aiutarlo, ma è difficile se l'altro non sembra per nulla intenzionato a farsi aiutare.
«Kyoya, io ti voglio davvero aiutare. Oggi sembri nervoso, perché non vuoi parlare un po'? Ti aiuterebbe a calmarti.»
È quando incontra lo sguardo di Kyoya che capisce che ha fatto un passo di troppo, che ha detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire, anche se non capisce cosa.
Un respiro più profondo di un altro, un breve tremito e Dino capisce che Kyoya sta per crollare proprio lì, davanti ai suoi occhi.
Lo osserva fremere, pallido, con le mani strette intorno all'impugnatura dei tonfa, le nocche bianche, le braccia che tremano. Il suo movimento è rapido; uno scatto violento, il movimento di un coccodrillo che attacca la preda, di un leone che riesce a prendere la gazzella. Quasi un balzo, un ringhio che nasce dal petto e si libera nell'aria. Ma è un rumore strangolato, come se avesse dovuto combattere contro un nodo nella gola, come se avesse fatto fatica a uscire.
Kyoya si avventa su di lui con la furia cieca di un animale ferito, con la cattiveria di una bestia morente che tenta di difendere quel poco che resta di sé. Dino si scosta, evita il tonfa che punta al suo viso, estrae la frusta e poi capisce che non è quello che deve fare. La lascia cadere a terra e rimane immobile, fermo, ad aspettare che Kyoya attacchi di nuovo. E l'altro colpisce ancora, con rabbia, ma non lui. Il suo colpo si abbatte contro la finestra, il vetro si infrange, le schegge cadono a terra e alcune feriscono il volto bianco di Kyoya, ma lui sembra non accorgersene nemmeno. Dino solleva istintivamente una mano per proteggersi, Kyoya la colpisce.
Sente il dolore forte, lancinante dell'osso che si rompe. Tenta di ignorarlo, non ci riesce, ma non importa. Kyoya si lancia di nuovo verso di lui, lo colpisce ancora, e poi colpisce i mobili, le finestre, le pareti. Dino cerca il suo sguardo e Kyoya lo rifugge, come si aspettava, e poi colpisce ancora, a mani nude, i tonfa lasciati cadere al suolo. Dino non risponde al pugno che riceve nello stomaco e non dice nulla nemmeno quando Kyoya picchia forte la mano contro la finestra già rotta, ferendosi e sanguinando.
Poi, veloce com'è iniziato, finisce. Kyoya non lo guarda, non dice nulla. Smette solo di muoversi. Rimane ritto in mezzo alla stanza devastata, immobile, e a Dino sembra incredibilmente stanco. Muove qualche passo in avanti per avvicinarglisi, lento, dandogli la possibilità di tirarsi indietro, se volesse farlo. Ma Kyoya non lo fa. Rimane immobile anche quando Dino gli è tanto vicino da poter sentire il suo respiro sulla propria pelle, anche quando, cautamente, solleva una mano fino a sfiorargli un taglio che si è procurato sul braccio.
«Dovresti lasciarmi disinfettare queste ferite.» dice piano Dino, con voce pacata, cercando di non scatenare di nuovo l'ira di Kyoya. Ma il ragazzo sembra troppo stanco per reagire ancora in modo violento.
Kyoya rimane in silenzio.
«Quello che hai fatto» riprende Dino «va bene. Non ti devi preoccupare, anche se hai distrutto tutto. Se adesso stai meglio, va bene.»
Ancora silenzio.
Dino si dice che, sul serio, tutto questo è snervante. È consapevole che Kyoya non sta reagendo solo perché non sa che cosa fare, che cosa dire, ma gli piacerebbe vedere una reazione qualsiasi. Solo per assicurarsi che il ragazzo che ha davanti non è soltanto un involucro vuoto, che c'è ancora qualcosa del vecchio Kyoya in lui. Vuole sentirsi dire che lo morderà a morte, che è uno stupido erbivoro.
Non può permettergli di trincerarsi dietro a quel silenzio. Deve continuare a parlare, forse prima o poi Kyoya farà qualcosa. Qualsiasi cosa, va bene qualsiasi cosa.
«Se vuoi, puoi distruggere tutto. Se ti fa stare meglio... Allora fallo.»
Nessuna risposta.
La mano fa male da morire. Vuole andare da Romario e chiedergli di fare qualcosa, almeno per il dolore, ma non può lasciare Kyoya da solo dopo tutto quel casino. È colpa sua, che ha insistito, se le cose sono finite così. O forse no. Forse Kyoya ha solo troppo dentro, da troppo tempo.
È colpa sua se adesso Kyoya sembra incapace di muoversi e di parlare, se il suo sangue cade sul pavimento.
«Perché non usciamo di qui?» propone, ben deciso a smuoverlo da quella situazione di apatia in cui Kyoya sembra essere caduto. «Potremmo fare una passeggiata da qualche parte, per prendere un po' d'aria fresca.»
E allontanarsi dai cocci, dai mobili rovinati. Kyoya non lo ascolta. Va a raccogliere i tonfa che ha lasciato cadere poco prima, poi torna immobile. Li tiene mollemente tra le mani, senza energia.
«Kyoya?» prova a chiamarlo Dino.
Nessuna risposta.
Kyoya chiude gli occhi per un istante e Dino sa che può andargli vicino e che non verrà colpito per questo. Muove due passi verso di lui e quando gli è accanto non ci pensa e lo abbraccia, lo stringe a sé e non gli dà tempo di sorprendersi e reagire, gli carezza i capelli e «Va tutto bene» soffia piano.
Kyoya non risponde, non si muove. Dino lo sente respirare lento e abbracciandolo sente anche il battito del suo cuore che va veloce e per un istante gli sembra di sentirlo tremare, ma non fa in tempo a rendersene conto che già si convince che sia stata solo un'illusione.
All'improvviso avverte la pressione di un tonfa contro il costato e sa che quello è il modo che Kyoya ha per dirgli che l'ha colto di sorpresa e che non avrebbe dovuto farlo, perché ora lui non sa cosa fare e si sente perso, ma a Dino non importa.
Sa che quello è l'occasione che deve cogliere per aiutare Kyoya e non intende sprecarla.
«Devi tirare fuori tutta la rabbia che hai dentro» dice «non ti serve. Sfogati, distruggi tutto, ma liberati di questa rabbia.»
Kyoya sussulta a quelle parole e Dino sa che non si aspettava d'essere letto così facilmente. Vorrebbe anche dirgli che sa che non c'è solo rabbia ma anche tanto dolore, e che dovrebbe buttare fuori anche quello perché Kyoya lo trasforma in una furia cieca e in una violenza sbagliata, ma tace perché in questo momento Kyoya è fragile, e dire una cosa del genere vorrebbe dire spezzarlo. Non è quello che vuole.
Dino non sa per quanto tempo riesce a tenerlo abbracciato, con il cuore che gli scoppia per tutto quello che sta succedendo, ma alla fine Kyoya si allontana.
Dino non prova nemmeno ad avvicinarlo di nuovo, ma gli sorride.
«Va tutto bene.» gli dice soltanto.

Il giorno dopo Dino chiama Romario per farsi aiutare a sistemare la sala, dopo che si è fatto ingessare la mano ferita.
«È passato un tornado?» domanda l'uomo mentre raccoglie cocci di vetro da terra.
Dino gli rivolge un sorrisetto.
«Qualcosa di simile.» confessa.
Kyoya quella mattina è uscito. Non ha fatto colazione, non ha detto una parola. Ha semplicemente aperto la porta ed è andato via.
«È stato il ragazzino?»
«Non potrebbe essere stato nessun altro.» osserva Dino. «È andato un po' in crisi, ieri.»
Romario rivolge uno sguardo sconsolato alla devastazione attorno a sé.
«Mi sembra riduttivo dire così.»
Dino sospira, si passa una mano tra i capelli.
«Mi sa che era un modo per farmi capire che ho sbagliato tutto.»
Romario lo guarda.
«Non so se sto facendo la cosa giusta.» mormora Dino alla fine.
«Che cosa intendi, capo?»
«Kyoya... E' solo un ragazzino. Non importa quanto sembri maturo o quanto effettivamente lo sia, ha solo sedici anni.»
«Questo non significa...»
«L'ho portato via dalla sua casa.» lo interrompe Dino. «L'ho portato via dal suo Paese e dalla sua gente e siamo venuti qui, in un posto che non conosce e non capisce, ed è probabile che non potrà tornare a casa sua e lui mi odia per questo, e credo che abbia ragione.»
«Stai esagerando.» lo rimbrotta Romario. «Se non fosse stato per te, sarebbe morto di freddo in quella casa nell'Hokkaido.»
«Se la sarebbe cavata in qualche modo, lo sappiamo tutti e due.»
«Quindi ti penti d'averlo aiutato?»
«Non so se posso dire d'averlo aiutato. Mi sembra d'aver solo peggiorato la situazione.»
Lo pensa ogni volta che guarda Kyoya, ogni volta che incrocia i suoi occhi chiari e li vede freddi e distanti, molto più di quanto siano mai stati.
«Hai provato a parlarne con lui, capo?»
«Parlarne con lui...» mormora Dino, più a se stesso che a Romario. Sì, ci ha pensato, ma per dirgli cosa? Per chiedergli cosa? «Lo sai che Kyoya non è il tipo che si mette a chiacchierare su quello che prova o su quello che vuole. Quando è in difficoltà, reagisce così.» Indica con la mano i mobili rovinati e la finestra distrutta.
Romario sospira, ma non risponde.
Dino fa un breve calcolo dei danni e giunge alla conclusione che preferisce non sapere quanto gli costerà far mettere a posto tutto. Non è quello l'importante.

Quando Kyoya rientra, va a cercare Dino.
L'uomo è in cucina, a tracannare la seconda birra nel giro di dieci minuti. Quando si accorge di lui, gli rivolse un sorriso.
«Ti sei calmato?» gli domanda.
Kyoya rimane in silenzio. Si limita a guardarlo, e Dino, che non sa bene cosa dire, ricambia quello sguardo. Lo guarda a lungo, studiandolo per capire se deve temere un'altra crisi o no, ma non riesce a capirlo con esattezza.
Il livido sul viso di Kyoya sta diventando giallo, ormai, e il taglio sta iniziando a cicatrizzarsi per bene. Però i suoi occhi sono ogni giorno più cupi e arrabbiati.
Dino non sa cosa fare.
Alla fine, prende la sua decisione e poco importa se quel gesto potrà costargli la vita.
Muove un passo verso Kyoya, poi si ferma per studiare la reazione dell'altro. Non c'è nessuna reazione, perciò prova ad avvicinarsi ancora.
Di nuovo, Kyoya non fa nulla. Lo guarda, e Dino fa il terzo passo e adesso è a pochi centimetri da Kyoya.
Solleva la mano lentamente, per dare a Kyoya il tempo di spostarsi e respingerlo; Kyoya non lo fa. Lo studia come se stesse aspettando di capire cos'ha in mente, e forse lo sa benissimo e non gli importa, Dino non è capace di determinarlo.
Allora, ancora più piano, fa scorrere la mano tra i capelli lisci e sottili di Kyoya, in una carezza delicatissima, quasi senza toccarlo.
Kyoya resta immobile.
La mano di Dino scorre dai suoi capelli alla sua spalla, poi la sposta sulla schiena magra dell'altro. Visto che non c'è una reazione violenta, Dino capisce che può continuare.
Con l'altro braccio cinge la vita di Kyoya, fa un passo in avanti ed ecco, Kyoya è tra le sue braccia. Anche se il ragazzo non sta ricambiando, quello è un abbraccio.
E Dino l'ha desiderato così tanto, così tanto. Non riesce quasi a crederci, anche perché Kyoya è rilassato, tutto sommato. Non si muove, ha le braccia rilassate lungo il corpo, ma non ha cercato di allontanarlo e quando Dino gli fa poggiare il capo contro il proprio petto lui lo fa senza opporre alcuna resistenza.
È il secondo abbraccio, quello, da quando Kyoya è arrivato lì. Per Dino è come un tesoro da proteggere; sogna di stringere a sé Kyoya da quando ha capito che quel ragazzo gli è entrato in testa più di quanto avrebbe voluto, e lo riempie di gioia sentire il suo corpo stretto in quel modo al suo.
Allo stesso tempo, però, sa che se Kyoya si comporta così è solo perché sta male, è confuso, non riesce a reagire.
E conoscendo Kyoya e il suo carattere tremendo, la sua forza e la sua volontà, la cosa non può che preoccuparlo da morire.
Ma lui può aiutarlo. Adesso che Kyoya è poggiato a lui, che gli sfiora appena il fianco con la punta delle dita, come a voler ricambiare impacciatamente quell'abbraccio, Dino sa che può farcela. Kyoya ha costruito un muro intorno a sé, ma Dino è riuscito a creparlo e adesso sta abbracciando Kyoya e Kyoya sta provando a ricambiare. Lo aiuterà, e in un modo o nell'altro Kyoya starà bene.
Ora che ne è sicuro, è più tranquillo.

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Capitolo 9
*** La volontà incrollabile ***


Dino apre gli occhi perché ha sete.
Ha provato a ignorarla, ma non ha funzionato. È talmente stanco che fa fatica anche ad arrivare alla luce sul comodino. Non vuole nemmeno aprire gli occhi, ma si conosce e sa che è decisamente meglio se evita di camminare tenendoli chiusi.
Accende la luce, si alza e solo allora si accorge che c'è qualcosa che non va sul suo letto. Qualcosa che non ci dovrebbe davvero essere. L'ultima cosa che dovrebbe essere lì, almeno.
Si china sul materasso per guardare meglio Kyoya, chiedendosi che diavolo ci fa lì, quando è arrivato. Lui non l'ha sentito. Eppure, Kyoya ha aperto la porta, si è sdraiato dall'altra parte del letto,  accanto a lui, si è coperto e adesso dorme. E lui non se n'è accorto.
Si convince che l'altro sta male, o non si spiega la sua presenza lì, ma decide che è meglio non disturbarlo.
Spegne la luce e si dice che farà più attenzione che può, ecco, così non cadrà e non farà rumore.
Muove un passo lento e cauto sul pavimento, ed è soddisfatto perché non ha emesso un suono, poi all'improvviso si rende conto che Kyoya non è l'unica cosa che non va.
Non saprebbe dire che cosa glielo faccia pensare, ma lui sa che in casa sua, in quel momento, c'è una presenza che non dovrebbe esserci. Forse è solo una sua mania, forse invece è istinto, fatto sta che si sente in pericolo.
Un sudore freddo gli scivola lungo la schiena. La sete gli è passata, ma ha la gola più secca che mai.
Tende le orecchie. Sente un sibilo, un fruscio; passi.
Si avvicina cautamente al letto, mette una mano sulla bocca socchiusa di Kyoya e quello in un istante apre gli occhi. È smarrito per una frazione di secondo, poi i suoi occhi si fanno consapevoli; ha capito. Anche lui li sente, Dino lo sa.
Si alza in fretta dal letto, si allunga verso il pavimento e in un secondo ha in mano i tonfa. Dino sorride. È sempre pronto a combattere, Kyoya. Per fortuna.
Adesso non sa bene come agire. Chissà quanti sono. Non riesce a capirlo, e uscire dalla stanza vuole dire allo stesso tempo consegnarsi ai nemici e impedire loro di bloccarli in camera da letto.
Si volta a guardare Kyoya, quello annuisce. Dino fa un passo verso la porta.
Maledetti Olivieri che li vengono a disturbare alle due e mezza di notte, lui preferirebbe dormire.
I passi si sono fermati, adesso.
Kyoya gli indica la porta con un cenno del capo, Dino annuisce. Sì, anche secondo lui sono proprio lì fuori. A dividerli c'è solo il legno della porta.
Lui prende la frusta, Kyoya è pronto a scattare, con i tonfa in pugno.
Sono gli Olivieri ad aprire la porta per primi, in silenzio. Forse li credono ancora addormentati.
Dino non dà loro il tempo di reagire.
Con la frusta colpisce il più vicino e Kyoya nel frattempo si getta contro un altro.
Dino sente il rumore del metallo contro il metallo, e vede Fiamme, Fiamme ovunque. Fiamme della Nuvola di Kyoya; le sue del Cielo. E poi, a sorpresa, Fiamme di altri colori.
Non dovrebbero sapere usare le Fiamme. Sono pochi quelli che sanno come funzionano, e non si aspettava certo che gli Olivieri fossero tra questi.
Ma gli Olivieri sono famosi per i loro ricercatori, gli viene in mente mentre attacca di nuovo, con più forza. Diverso tempo prima usciva con una di loro, era una bella ragazza. Quando aveva capito di che Famiglia faceva parte, le cose tra loro sono andate male, ma Dino si ricorda bene di lei. È sicuramente una di quelle che c'è dietro a queste Fiamme.
Non ha tempo per rifletterci.
Tutto si fa frenetico in un attimo. Dino attacca, si difende, graffia e morde pur di difendersi e di far fuori quei maledetti che, dannazione, sono entrati in casa sua nel pieno della notte, e grazie al cielo era sveglio, o li avrebbero uccisi.
Perde di vista Kyoya diversi istanti, ma non ha tempo di preoccuparsene.
Deve continuare a combattere se non vuole morire. Ha la vaga percezione di Kyoya che finisce a terra e si rialza; vede uno schizzo di sangue, ma non sa di chi. Continua solo a colpire, colpire, colpire.
Devono combattere e non sa nemmeno quanta gente c'è, non sa se c'è qualcuno a terra e non sa nemmeno se è ferito o se Kyoya lo è. La sua frusta si muove implacabile, sente il rumore del metallo che colpisce, lo sfrigolio delle Fiamme del Fulmine, le esplosioni di quelle della Tempesta.
C'è sangue a terra. Sangue vischioso, quando ci mette sopra il piede perde l'equilibrio; riesce a non cadere, colpisce e viene colpito. Sente un dolore sordo alla bocca dello stomaco, in un istante vede di nuovo Kyoya a terra e c'è sangue e non capisce se è suo o no, gli pare di sì.
Ma Kyoya si rialza, ancora e ancora. Finisce a terra e un secondo dopo è di nuovo in piedi, Dino lo vede mentre uno dei nemici crolla pateticamente a terra, con il collo spezzato dalla frusta che vi si è stretta intorno.
Colpisce ancora, ancora e ancora.
Gli fanno male le braccia e le gambe, gli manca il fiato. Combattere per uccidere è stancante più che mai, e se a questo si aggiunge il batticuore ogni volta che vede Kyoya a terra è anche peggio.
Adesso Dino sa che il sangue è davvero suo, perché vede la ferita sulla gamba di Kyoya e vede il pallore mortale del suo viso. Kyoya, però, si rialza ogni volta.
Dino lo sa che continuerà ad alzarsi finché morirà o finché moriranno i nemici, e la cosa non lo aiuta a stare tranquillo.
I nemici sono in tre, lui e Kyoya in due; sono forti, però.
Sono così forti che alla fine i nemici sono tutti a terra, e lui e Kyoya, invece, sono ancora in piedi. Si avvicina al ragazzo barcollando, perché non si è accorto di aver messo male il piede e di essersi slogato la caviglia. Non gli importa, però.
La gamba di Kyoya è ferita all'altezza della coscia, e sanguina in modo inquietante. Lui è più bianco che mai, respira con affanno e i suoi occhi sono opachi, come se stesse per sentirsi male.
Dino lo raggiunge, lo afferra per le spalle e quasi lo sorregge quando si rende conto che l'altro è quasi privo di sensi.
«Siediti sul letto, Kyoya.» gli dice, aiutandolo a scavalcare i cadaveri a terra.
Kyoya si dimena fiaccamente e lo scosta.
«Ce la faccio da solo.» sbotta.
Dino ne dubita, ma lo lascia fare. Quando vede che è riuscito a raggiungere il letto gli si avvicina e gli mette una mano sulla ferita per fermare il sangue che continua a uscire.
Con la mano libera prende il cellulare, chiama Romario.
«Vieni subito e porta un dottore!» esclama, prima di riagganciare senza nemmeno una spiegazione.
Afferra i due cuscini, li sistema contro la testiera del letto e fa in modo che Kyoya vi si appoggi, quasi seduto.
«Non ho bisogno di aiuto.» soffia l'altro, ma è talmente debole che fa fatica ad articolare le parole.
«Sta' zitto per una volta.» sbotta Dino.
Gli toglie i pantaloni e diamine, non si immaginava così la prima volta che avrebbe tolto i pantaloni a Kyoya, ma ricaccia quel pensiero troppo sbagliato; strappa la federa del cuscino e ne fa una lunga striscia che usa per fasciare come meglio riesce la ferita di Kyoya.
Il ragazzo ha gli occhi chiusi, il capo abbandonato contro i cuscini. Respira debolmente, con la bocca socchiusa.
Dino sente il cuore che gli martella in bocca. È talmente debole che non riesce nemmeno a far finta di stare bene?
Implora che il medico faccia in fretta, perché la benda è già zuppa di sangue, e la fronte di Kyoya è imperlata di sudore freddo; la pelle gelida, più bianca che mai.
Gli prende la mano e prova a chiamarlo.
«Kyoya?»
Non ottiene risposta, e la mano dell'altro nella sua è fredda e immobile come quella di una bambola.
Quando finalmente Romario arriva ha due medici con sé.
Si avvicinano subito a Kyoya, ignorano i cadaveri che ci sono a terra e iniziano subito a occuparsi della sua ferita.
«Tu stai bene, Boss?» domanda Romario.
Dino annuisce, dà un calcio a uno dei cadaveri per voltarlo.
«Non li ho nemmeno sentiti entrare.»
«L'importante è che vi siete accorti che c'erano. Sei ferito?»
«No. Ho preso una botta, credo. Mi fa male la caviglia, ma non importa. Voglio sapere chi sono questi tre tizi.»
Romario annuisce.
«Presto arriveranno gli altri ragazzi. Vedremo cosa riusciamo a fare.»
Dino rimane in silenzio.
«Via dalla porta.» sbotta uno dei medici, quello più anziano. Hanno messo Kyoya su una barella, lo stanno portando via.
Dino fa per seguirli, ma la caviglia cede e lui si trova a terra, a pochi centimetri da uno dei cadaveri. Si sente assalire da una rabbia terrificante.
Questi tre sono entrati in casa sua con l'intento di uccidere lui e Kyoya, che non c'entra nemmeno nulla, proprio ora che le cose tra loro due sono a una svolta. E adesso che l'altro è ferito tornerà a essere insopportabile come sempre.
Romario lo tira su.
«Dovresti riposare, Boss.» gli dice.
«No, voglio andare da Kyoya per vedere come sta.»
Romario annuisce e lo sorregge.
«Tanto avrai comunque bisogno di un medico per quella caviglia.» commenta.
Gli fa raggiungere la macchina, lo aiuta a salire e guida in silenzio fino alla villa.
Dino sospira. Se hanno portato Kyoya lì, vuol dire che non è così grave, o sarebbero andati in ospedale. O forse l'hanno portato lì solo perché è più vicino e in realtà è gravissimo.
Non lo sa, non riesce a definire la gravità di quella ferita.
Quando arrivano, Romario lo trascina fino in infermeria.
La porta è chiusa a chiave, non possono entrare e allora Dino si lascia cadere su uno dei divani in sala d'aspetto. Odia quella parte della villa. Ogni volta che è su uno di quei divani è perché uno dei suoi sta per morire, o qualcosa del genere.
E ora dentro c'è Kyoya.
Quel ragazzino lo ossessiona davvero, davvero più di quanto dovrebbe, ma che può farci lui? Proprio niente, o si sarebbe scelto qualcuno di più gestibile.
Il medico esce non sa quanto tempo dopo, ma lui nel frattempo si era appisolato.
«Come sta?» domanda Dino.
«Si riprenderà.» dice il dottore, secco. «Ha perso molto sangue, è debole. Gli stiamo facendo delle trasfusioni, ora dorme.»
«Posso entrare?»
«Certo.»
Dino annuisce. Lo sapeva; lui è il Boss, può fare quello che gli pare.
La luce nell'infermeria è spenta, l'illuminazione viene tutta dalla finestra.
Il letto di Kyoya è proprio lì sotto.
Dino non sa se è una combinazione della luce, del pallore naturale della sua pelle o di un effetto distorto che gli danno i suoi occhi, ma Kyoya è tanto bianco che gli sembra trasparente.
Nemmeno il sangue della trasfusione riesce a dargli un po' di colore.
Dino si siede accanto al letto e lo guarda.
Kyoya era distrutto, alla fine del combattimento. Eppure, non ha ceduto nemmeno un istante finché i nemici sono stati in piedi.
Il respiro di Kyoya è lento, pesante. Dino lo guarda e si chiede perché quelli ce l'abbiano anche con lui. Non è nemmeno davvero un Vongola, non ancora, visto che la Nona generazione è ancora viva e vegeta.
Al momento, non sa bene cosa fare. Stare accanto a Kyoya è inutile; dorme e probabilmente se si svegliasse la sua presenza lì lo infastidirebbe.
Allo stesso tempo, però, non sa che altra possibilità abbia. Non ha nemici da interrogare, non ha nemmeno un piano preciso.
Però, decide mentre osserva le occhiaie scure che cerchiano gli occhi di Kyoya, il sangue che dalla sacca lentamente entra nel suo corpo, è il momento di farsela venire, un'idea.
Esce in silenzio dall'infermeria, anche se inciampa sulla sedia e cade a terra riesce a non fare troppo rumore, e quando si volta per controllare Kyoya vede che quello dorme come se nulla fosse.
Una volta fuori dall'infermeria va a cercare Beppe e Michael.
Sono loro quelli che sanno come fare, quelli che lavoravano già per il Nono e hanno esperienza.
«Andiamo a decidere che cosa fare.» li invita, cupo in volto.
Non è la prima volta che combatte una guerra, ma non ci sta a perdere Kyoya per una cosa del genere.
Non gli piace nemmeno che i nemici siano entrati in casa sua di notte, che abbiano cercato di ucciderli proprio lì. A chi miravano? A lui? A Kyoya? A entrambi?
Non sa rispondere. Non sa niente.
Quello di cui è certo è che lui si è preso una pallottola nel collo, Kyoya è stato ferito a una gamba e a lui non va giù di essere messo in difficoltà da una famiglia come gli Olivieri, piccola e avida.
Certo, sono aiutato dai Dalle Carbonare, ma questo è un dettaglio.
Dopo che sono entrati in casa sua, non è più disposto a stare tranquillo e difendersi.
«Li voglio massacrare.» dice.
«Non essere precipitoso, Boss.» ammonisce Michael.
«Sono entrati in casa mia di notte, hanno cercato di uccidere me e Kyoya, il loro sangue non andrà mai via dal mio tappeto e mi dici di non essere precipitoso? Li uccideremo tutti, ecco cosa faremo.»
Non possono permettersi di essere misericordiosi.
«Cerchiamo di fare il punto della situazione.» interviene Romario.
Dino annuisce.
«Sappiamo con certezza che abbiamo contro gli Olivieri, visto che sono stati così gentili da spararmi.»
«E i Dalle Carbonare li appoggiano, non ne fanno mistero.»
«Bene.» sbotta Dino.
«Gli Olivieri vogliono riaprire i traffici di droga che abbiamo chiuso e che passavano per il nostro territorio, fin qui ci sta. I Dalle Carbonare trafficano in armi e sono alleati degli Olivieri e nostri nemici, quindi lo fanno per soldi.»
«Esatto.» conferma Romario. «O almeno, così sembrerebbe.»
«Così sembrerebbe.» ripete Dino.
In effetti, non sanno se ci sono altre motivazioni sotto. Potrebbe essere qualsiasi cosa, il Boss dei Dalle Carbonare per quanto lo riguarda non è del tutto a posto con la testa, potrebbe avere qualsiasi motivazione per desiderare la loro morte.
«Ma perché Kyoya?» domanda Dino. «Vogliono mettersi contro i Vongola?»
«Non possiamo escluderlo.»
«I Dalle Carbonare sono alleati dei Vongola. Tutto questo non ha il minimo senso.»
È questo il punto. Che senso ha?
Dino non riesce a capire e questo lo blocca.
«I Dalle Carbonare hanno sempre puntato all'egemonia.» commenta Romario. «Iniziare dagli alleati più forti per poi passare ai Vongola è una strategia come un'altra.»
«Una strategia stupida. Rischiano di trovarsi contro Vongola e Cavallone insieme.»
«Ne dubito. I Vongola non sono così stupidi da attaccare degli alleati, non per Hibari.» replica Romario. «Se si trattasse del piccolo Tsuna sarebbe già diverso. Ma Hibari...»
Dino non dice nulla. Lo sa come funziona; Kyoya non è ancora un Guardiano, non ufficialmente. In più è problematico, cocciuto, restio a far parte dei Vongola. È sacrificabile, in pratica, se sacrificarlo significa salvare la Famiglia. Dino lo capisce, lo farebbe anche lui se fosse nella posizione di Timoteo, ma ugualmente quell'idea gli dà fastidio.
«Lasciamo perdere i Vongola.» decide. «Se i Dalle Carbonare puntano anche a loro, in un modo o nell'altro si arrangeranno. Noi adesso pensiamo a fare in modo di liberarci di loro.»
«Potremmo iniziare con attacchi singoli.» propone Michael. «Prenderli in gruppo è rischioso.»
Dino annuisce.
Quella è una parte che non gli piace, ma sa che è efficace.
«Poi, una volta eliminata un po' di gente, vediamo se riusciamo ad arrivare a una soluzione diplomatica.» propone Romario.
«Niente diplomazia.» sbotta Dino. «Quelli sono pazzi. Se li lasciamo in vita, poi verrà fuori una guerra di vendetta. No, ci libereremo di loro. Hanno già avuto l'occasione di trattare.»
Non è un Boss sanguinoso, ma non è nemmeno un pivello. Sa quando è il momento di essere buoni e quando non lo è. Questo non lo è, l'ha deciso già da parecchio. Gli Olivieri non meritano una seconda possibilità.
Romario annuisce.
«Vado a dare ordini ai ragazzi.»
«Sì. Che si diano da fare. Più ne eliminano, meglio è.»
Non aspetta una risposta di Romario e nemmeno una probabile obiezione di Michael.
Torna in infermeria, ma Kyoya dorme ancora.
A questo punto, non rimane nient'altro da fare che aspettare, cercare di difendersi e sperare che i suoi ragazzi facciano il loro dovere in fretta.  Si rende conto che non è un granché, ma lo sa che in queste situazioni deve avere pazienza.
Nel frattempo, può limitarsi a guardare Kyoya che dorme, più pallido che mai, e sperare che alla fine non sia davvero necessario sacrificarlo. È abbastanza convinto che riuscirà a proteggerlo, ma preferisce essere scaramantico e non darsi certezze.
Sospira e si passa una mano sugli occhi.
Sarebbe tutto molto più semplice se non dovesse proteggere Kyoya. Non si porrebbe tante domande, per cominciare, quindi non gli verrebbe il mal di testa che invece adesso ha.
Non avrebbe uomini sparsi per il Giappone e l'Asia a cercare il padre, perché dannazione, quell'uomo non può essere scomparso nel nulla. Quegli uomini gli servirebbero in Italia, ora, ma non se la sente di abbandonare le ricerche. Kyoya ha il diritto che qualcuno trovi suo padre.
Soprattutto, non sarebbe così in ansia se Kyoya non ci fosse. Ha paura di quello che gli passa per la testa, ha già visto che è in crisi e ha paura di quello che potrebbe fare.
Kyoya sembra dormire più profondamente che mai.
Dino solleva la mano, gli carezza pianissimo la fronte, sfiorandolo appena. È caldo, forse ha la febbre.
Si sposta dalla fronte alla guancia, sempre delicatamente, attento a non svegliarlo, a non fargli sentire quello che sta facendo. Sa che se Kyoya si svegliasse dovrebbe smettere, probabilmente rovinerebbe anche quel poco di rapporto che hanno.
Non si ferma, però. Il sonno di Kyoya è profondo come quello di un bambino, e in più la debolezza dell'emorragia non fa che renderlo ancora più pesante.
Fino a quel momento è stato seduto sulla sedia che il medico gli ha lasciato accanto al letto, ma adesso si alza.
Si sente mosso da una forza che non sa spiegarsi, e non fa niente per dirsi che è sbagliato, che non deve fare una cosa del genere.
Ma Kyoya dorme. Il dottore dice che non si sveglierà, per il momento, perché è troppo debole, quindi che male c'è?
È solo per una volta. Solo perché sa che non avrà mai Kyoya, e forse non gli capiterà più un'occasione del genere. Non vuole fargli del male, solo... Solo per una volta.
Posa le labbra sulla fronte di Kyoya, quasi senza nemmeno toccarlo davvero.
Kyoya continua a dormire.
Dino, allora, si azzarda a carezzargli il volto, si china di più su di lui, fermandosi appena un secondo, dicendo che no, non può farlo; invece lo fa.
Lo bacia perché è l'unica cosa che può fare, perché se non avrà mai Kyoya vuole almeno che sia suo per una volta, una sola, e un bacio gli basta, davvero. Posare le labbra su quelle secche e screpolate di Kyoya gli basta. È felice per quel misero contatto, durato appena un secondo, forse anche di meno.
Si allontana piano dall'altro, toglie la mano dal suo volto, e capisce che per un istante di felicità ha rovinato tutto.
Kyoya adesso ha gli occhi aperti, e lo guarda.

 

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Capitolo 10
*** L'interrogatorio ***


Dino sobbalza e si allontana dal letto con uno scatto nervoso.
Lo sapeva, che non doveva farlo. Ha ceduto perché è solo uno stupido, e adesso...
Adesso?
Kyoya lo guarda, ma il suo viso non ha nessuna espressione particolare. Semplicemente, lo fissa. Non sembra arrabbiato. Non sembra nemmeno nient'altro, però.
«Kyoya...» sussurra Dino, poi si interrompe. Non sa cosa dirgli.
Non vuole scusarsi, perché anche se ha sbagliato l'ha baciato con consapevolezza, voleva farlo, e dunque scusarsi sarebbe ipocrita, ma non sa nemmeno che altro fare.
Kyoya resta in silenzio e Dino si sente sempre più in difficoltà. L'ha baciato, ecco. L'ha baciato e ha fatto un disastro, e ora?
«Non lo farò più.» riesce solo a promettere.
Kyoya resta ancora in silenzio.
Si tira su fino a sedersi sul letto, continua a fissarlo. Sembra che stia riflettendo, o forse sta solo decidendo se ha abbastanza forze per ucciderlo, Dino non ne è sicuro.
È quasi certo che non riuscirebbe nemmeno ad alzarsi dal letto, però. Gli è sembrato già tanto affaticato mentre si sedeva.
«Perché?» chiede Kyoya.
Dino sospira, si passa una mano sugli occhi.
Perché mi piaci, mi ossessioni e mi sa che mi sono innamorato di te.
Pessima risposta, non potrebbe mai.
«Perché sono uno stupido, immagino. So che non avrei dovuto.»
Kyoya è solo un ragazzino, non prova niente per lui, anzi forse lo odia pure e Dino l'ha baciato. È stato scorretto da parte sua, lo sa bene.
Kyoya lo studia a lungo, cupo in volto, però non parla.
Dino non sa se essere più preoccupato da quel mutismo o da quello che farà quando starà bene.
China lo sguardo, poi, anche se non è convinto di quello che fa, prova a spiegare:
«Volevo... una volta sola, capisci? Non lo farò più, so che non vuoi.»
Kyoya non gli risponde.
Quando parla è passato tantissimo tempo.
«Era ovvio che avessi un doppio fine.» commenta.
Dino si sente stringere il cuore e capisce che lo sbaglio che ha fatto è immenso, imperdonabile.
Kyoya non crede all'amore disinteressato, e come potrebbe, visto che è sempre stato solo e nessuno gliel'ha mai dimostrato, visto che nemmeno i suoi genitori si interessano di lui?
Gli si avvicina, gli prende il volto tra le mani e lo guarda negli occhi, impedendogli di rifuggire il suo sguardo.
«No, Kyoya, no, non è così.»
Kyoya solleva una mano per scostare le mani di Dino, ma l'altro glielo impedisce.
«È vero che tu mi piaci.» ammette. «Ma non voglio niente da te. Niente, hai capito? Quello che ho fatto è stato un errore, non avrei dovuto, non senza il tuo permesso. Non voglio nulla da te, non devi fare nulla.» ribadisce.
Anzi, è meglio se Kyoya lo rifiuta. È solo un ragazzino, dopotutto. Non può chiedergli una cosa del genere, deve lasciargli fare le sue esperienze e stargli ben lontano. Sarebbe una prevaricazione, altrimenti, lo sa benissimo.
«Kyoya, credimi. Non ho un doppio fine. Sono solo stato stupido.»
Kyoya lo studia e Dino vede che non è per nulla convinto di quelle parole, gli scosta le mani dal volto e guarda fuori dalla finestra, crucciato.
«Non ti toccherò mai più.» gli promette Dino. «Se tu non lo vorrai, non lo farò.»
Kyoya rimane in silenzio a lungo.
«Vai a chiedere al dottore quando posso tornare a casa.»
Dino annuisce. Fa per parlare, per scusarsi di nuovo, poi cambia idea e va a cercare il medico.
A casa, ha detto Kyoya. Vuol dire che considera quell'appartamento casa sua? Dino lo spera tanto. Vuole che sia sereno, lì, anche se lui ha appena fatto un disastro, come al solito. Ma forse si può rimediare. Forse Kyoya ha capito.

Kyoya viene dimesso il giorno dopo, con la raccomandazione di fare attenzione ai punti sulla gamba e di non esagerare.
Romario ha ripulito per bene l'appartamento, i cadaveri sono scomparsi e così anche il sangue. Alla fine, hanno dovuto buttare il tappeto.
Non sa bene come affrontare Kyoya, che cosa dirgli. Alla fine, decide di non dirgli nulla e di lasciarlo fare, come sempre.
Quando lo vede chiudersi in camera lo lascia fare, lo va a chiamare solo quando è pronto il pranzo.
Kyoya siede davanti a lui e svuota lentamente il proprio piatto, in completo silenzio.
Dino vorrebbe trovare qualcosa da dire; si sente a disagio a stare così, vittima degli occhi chiari di Kyoya che lo studiano e lo fanno sentire stupido e inadeguato.
È solo un ragazzino e gli fa quell'effetto... Non dovrebbe lasciarsi influenzare così da un semplice sguardo, ma è più forte di lui.
Ringrazia tutti gli dei che conosce, quando suona il telefono, così può allontanarsi senza farla sembrare una fuga.
«Boss.»
«Romario! Che succede?»
«Novità. Abbiamo preso un Olivieri.»
Dino quasi sobbalza.
«Dove l'avete portato? Al solito posto?»
«Sì. Io e Michael siamo già qui.»
Dino riaggancia, corre in cucina da Kyoya.
«Devo andare.» gli dice. «Fai quello che vuoi, ma cerca di fare attenzione, d'accordo? Non metterti nei guai, se ci riesci. E se esci portati il cellulare.»
Non aspetta una risposta che già sa non arriverà e si precipita in garage a prendere la macchina.
Guida e si impegna per rispettare i limiti di velocità perché non vuole essere fermato dalla polizia mentre va a interrogare un uomo, e quando arriva si rende conto che trattenersi in quel modo è stato dannatamente stancante.
«Eccoti.» lo accoglie Romario.
È sulla porta di un edificio che appartiene a Dino. Una volta lo dava in affitto, ma è vuoto da tanto tempo.
«Ha detto qualcosa?»
«Niente per ora. O almeno, niente di utile.»
Dino annuisce.
«Quanti anni ha?»
«Una quarantina, a vederlo. Credo che abbia una moglie e un figlio, aveva una foto nel portafogli.»
«Se parla, magari lo lasciamo tornare a casa.» decide.
Ma non parlerà, ne è quasi sicuro. Di solito a parlare sono i nuovi arrivati, quelli che ancora non sanno cosa li aspetta, quelli che si credono forti e poi si trovano terrorizzati come agnellini.
Quando entra Romario lo guida al secondo piano.
L'uomo è legato a una sedia, ha il volto tumefatto per le percosse e il capo gli ricade sul petto.
«Ci siete andati giù pesanti.» commenta Dino, avvicinandosi.
Gli mette il manico della frusta sotto al mento e glielo solleva, così che l'altro debba guardarlo.
«Hai un nome?» gli domanda.
L'uomo lo fissa e resta in silenzio.
Michael gli passa i documenti, Dino legge il nome.
«Allora, Moreno, giusto? Dimmi, sei un Olivieri o un Dalle Carbonare?»
Nessuna risposta.
Dino mette su un sorriso conciliante, ma falso.
«Non importa, tanto vi odio tutti e due.»
L'uomo ancora tace.
«Che cosa volete dai Cavallone?» domanda Romario.
«E i Vongola? Che rapporto avete con i Vongola?» incalza Michael.
L'uomo ha una lampada puntata dritta negli occhi, è legato in una posizione scomoda, è sudato e deve provare molto dolore, visto il modo in cui l'hanno ridotto.
A Dino, un po', fa pena. Si chiede come si sentirebbe se ci fosse lui al suo posto; sa che nemmeno lui parlerebbe, perché crederebbe di essere nel giusto. È così anche per quest'uomo e lui lo sa, ma nonostante questo lui è il Boss, non può ignorarlo. Non può essere clemente, non dopo che sono entrati in casa sua e hanno cercato di ucciderlo.
«Ti do un indizio.» dice. «Tre uomini sono entrati in casa mia e hanno cercato di uccidere me e uno dei Vongola. Ti dice niente questo?»
L'uomo tace ancora.
Dino srotola la frusta, lo colpisce alle gambe. L'uomo geme di dolore ma continua a tacere.
«Voglio sapere che cosa volete da noi.» sbotta.
Ancora silenzio.
«Tagliamogli un dito.» propone Romario.
«Strappiamogli le unghie.» dice invece Michael. «Quando le abbiamo finite, gli tagliamo le dita.»
Romario ci pensa qualche istante, poi annuisce.
«È una buona idea. Boss?»
«Sì. Ma aspetta, magari gli viene voglia di parlare.»
L'uomo li guarda e Dino vede che ha paura, che sa che potrebbero mutilarlo davvero, ma deve sapere anche che soffrirebbe di più a tradire la Famiglia.
«Se parli, potrei anche decidere di lasciarti tornare a casa da tua moglie e tuo figlio.» gli dice Dino, gelido. «Oppure puoi morire qui.»
«Non so niente.»
La voce dell'uomo è solo un sussurro roco.
«Ah, ecco, vedi che inizi a parlare? Bravo, bravo.» lo loda Dino.
«Non dice niente di utile, però.» obietta Michael.
Dino annuisce. Sì, questo è vero. Ma dal mutismo totale a un Non so niente c'è comunque un miglioramento.
«Sono sicuro che qualcosa sai.» gli dice, mellifluo. «Mi accontento anche di qualcosa di piccolo, sai? Qualsiasi cosa che mi aiuti a capire.»
«Non tradirò la mia Famiglia.»
Dino ride.
«Ah, ecco!» esclama. «Vedi, allora sai qualcosa, solo che non me lo vuoi dire! Male, molto male. Ti sto dicendo che potrei salvarti la vita, dovresti approfittarne. Nessuno verrà a cercarti, tanto.»
«Questo tu non lo sai.»
Dino sghignazza. In realtà, tutta quella situazione gli dà il vomito. Odia torturare i nemici, anche solo minacciarli di farlo. Però deve mantenere la facciata, o perderà credibilità e questo porterebbe una crisi spaventosa per i Cavallone. Gli alleati inizierebbero a dubitare della sua serietà.
«No, non lo so. Ma lo immagino. Chi sprecherebbe tempo ed energie per tirare fuori dai guai uno che non sa niente? Sei solo un gregario, no? Una pedina sacrificabile. Nessuno di importante.»
L'uomo non risponde.
Dino lo colpisce con la frusta, più in alto questa volta. Non vuole ucciderlo, non davvero, ma vuole fargli capire che fanno sul serio. Vuole informazioni ed è disposto a tutto per ottenerle.
Vuole sapere quali sono i loro obiettivi, cosa vogliono dai Cavallone e perché se la prendano anche con Kyoya. Ce l'hanno anche con i Vongola?
«Non so niente.» ripete l'uomo.
«Sì, questo l'hai già detto.» sbotta Dino. «Ma non è molto utile, non credi?»
Ci pensa a lungo, e decide che non riuscirà a piegare un uomo così in un paio d'ore.
«Adesso è più o meno mezzogiorno.» lo informa. «Penso che sarai nostro ospite per un po', che ne dici? È un bel posticino, questo. Se non hai niente da dirmi, ne riparliamo domani.»
C'è una radio nella stanza. La accende, e parte un rumore fastidioso, metallico. È troppo lontana dall'uomo perché possa arrivarci, e tanto è ben legato.
«Ti lascio un sottofondo musicale. Ci vediamo domani.»
Fa cenno a Romario e Michael di seguirlo fuori dalla stanza. Lasciano il faro puntato contro gli occhi di quell'uomo, e il frastuono della radio li raggiunge anche fuori.
«Mettete qualcuno a controllare questo posto. Nessuno deve entrare. Cederà prima o poi.»
Con quella luce in faccia e quel rumore di sottofondo non può non cedere; impazzirà altrimenti. L'ha già visto, e per quanto la cosa non gli piaccia sa che è necessario, perciò decide di non pensarci.
«Io torno a casa.» annuncia. «Domani mattina torniamo. Verso... le nove, diciamo. Lo aspetta una bella giornata.»
«Vuoi che ci mettiamo in contatto con i Vongola?» chiede Romario.
Dino rimane a lungo in silenzio.
«Per dirgli che i loro alleati stanno cercando di far fuori uno dei futuri Guardiani?»
«Penso che sia loro diritto saperlo.»
Anche Dino lo penserebbe, in circostanze normali. Ma i Vongola non si sono interessati a Kyoya, finora. Quindi perché dovrebbe informarli? Gli hanno detto occupati di lui, ed è quello che intende fare. Ma a questo punto, preferisce arrangiarsi e tenere per sé quello che sta succedendo. Se i Vongola hanno tanta voglia di sapere come sta Kyoya, possono chiamare e chiedere. Sanno come mettersi in contatto con lui o con i suoi uomini.

Quando Dino torna a casa è pomeriggio inoltrato.
Alla fine, è dovuto passare alla villa per risolvere alcune questioni con i suoi uomini e con gli alleati, che iniziano a capire che c'è qualcosa che non va, e si è fatto tardi.
Quando arriva, trova tutte le luci spente. Immagina che Kyoya si uscito, e la cosa non gli fa piacere, visto che hanno appena cercato di ucciderli e che è ferito a una gamba.
Anche se resta fortissimo, è ovvio che i nemici non sono da meno e con la gamba ferita i suoi movimenti sono rallentati, che a Kyoya piaccia ammetterlo o meno.
Va in cucina a bersi una birra fresca, perché ne ha davvero bisogno, e di nuovo trova le pentole pulite nel lavello.
Apre il frigorifero, e tra le conserve e le bottiglie di birra c'è un piatto coperto dalla pellicola trasparente con cibo giapponese dall'aspetto invitante.
Non ha molta fame, ma mangia lo stesso. È davvero buono, e un po' lo commuove che Kyoya abbia preparato anche per lui. Alla fine, forse non lo odia così tanto, anche se l'ha baciato. Ma magari è avvelenato. Be', se anche lo fosse il sapore è buono, quindi non ha molta importanza.
Si avvia verso il salotto e fa per accendere la luce, ma si ferma quando vede l'abate-jour sopra al tavolino accesa. Non se ne era accorto, quando è entrato.
Kyoya dorme, o almeno così sembra, steso scompostamente sul divano. Il braccio gli è ricaduto oltre il bordo e il dorso della mano tocca terra, proprio accanto a un libro con le pagine spiegazzate.
Deve essersi addormentato leggendo, e a Dino fa quasi tenerezza, così indifeso e rilassato.
Non ha avuto cura di coprirsi, ma adesso inizia a fare freddo per starsene lì in quel modo, perciò afferra la coperta e gliela mette delicatamente addosso, prima di raccogliere il libro, richiuderlo e posarlo sul tavolino.
Spegne anche la lucetta, per non infastidirlo, ed esce dal salotto per lasciarlo dormire tranquillo, visto che il dottore ha detto che deve riposare, se vuole tornare presto in forze.

La mattina dopo Dino torna al condominio in cui tiene il suo prigioniero.
Quando arriva lo trova ripiegato sulla sedia, che borbotta qualcosa di indistinto, e quando lo costringe a sollevare il volto fradicio di sudore l'uomo ringhia e alza su di lui uno sguardo penoso.
È stanco, provato, probabilmente il rumore della radio lo sta facendo impazzire. Dino capisce, impazzirebbe anche lui.
Abbassa la radio perché ora devono parlare, ma non la spegne. Non vuole dargli sollievo.
Si abbassa sulle ginocchia per guardarlo alla sua stessa altezza, e gli rivolge un sorriso comprensivo.
«È fastidioso, vero?»
L'uomo lo guarda, ma il suo sguardo è appannato. Dino ha il dubbio che non capisca.
Romario gli porge una bottiglia d'acqua, e gliela versa in testa.
L'uomo si riscuote.
Dino gli sventola davanti la foto di sua moglie e suo figlio.
«Vuoi tornare da loro?» domanda. «Eh? Vuoi tornare da loro o vuoi passare un altro giorno qui dentro, a farti picchiare, con la radio alta e la luce puntata addosso?»
L'uomo emette un verso gorgogliante. Ha la bocca piena di sangue e gli mancano dei denti.
«Acqua.» dice.
Dino non è un mostro; non gliela nega. L'uomo beve avidamente, sputa sangue e acqua a terra, annaspa.
Dino non sa quanto l'abbiano picchiato durante la notte, ma gli sembra più malleabile del giorno prima.
«Ascolta.» gli dice. «Dimmi quello che vuoi sapere, e ti lascio andare. Voglio solo informazioni, non mi interessa ucciderti.»
«Mi uccideranno loro.» gracchia l'uomo. «Uccideranno mio figlio.»
«Se parli, proteggeremo te e tuo figlio e tua moglie.» garantisce Dino. «Non voglio far del male a loro, sono innocenti. E ti garantisco che ti rimanderò a casa da loro. Avrai le cure del mio medico. Ti farò trasferire in un altro Paese e se proverai a comunicare con gli Olivieri ti ucciderò, ma se non lo farai vivrai la tua vita tranquilla senza problemi. Allora? Che cosa volete da noi? Che cosa cercavano gli uomini che sono entrati in casa mia l'altra notte?»
«Il ragazzo.» sussurra l'uomo.
Dino rimane in silenzio diversi istanti. Sgrana gli occhi, guarda Romario e afferra l'uomo per la spalla.
«Vogliono Kyoya?»
L'uomo scrolla debolmente il capo.
«Non lo so come si chiama.» risponde. «Ci hanno detto» ansima, sputa altro sangue «di ucciderlo a vista. Vogliono dare la colpa ai Cavallone così...»
«I Vongola ci distruggeranno.» conclude Dino al posto suo.
L'uomo annuisce.
Adesso è più chiaro. Se gli Olivieri riuscissero a uccidere Kyoya, e se riuscissero davvero a fare in modo che i responsabili risultassero i Cavallone, per reale colpevolezza o per negligenza, i Vongola probabilmente reagirebbero in un modo o nell'altro.
Un alleato che uccide un Vongola è imperdonabile, anche se si tratta di un Vongola sacrificabile.
Vongola e Cavallone verrebbero distrutte da una guerra l'una contro l'altra; a quel punto per Olivieri e Dalle Carbonare sarebbe facile eliminare i residui di entrambe e subentrarvi.
Le due più grandi Famiglie che si fanno la guerra... Atroce.
«Romario, porta quest'uomo dai nostri medici e fai in modo che lui e la sua famiglia siano protetti. Michael, parla con i ragazzi. Chiamate Timoteo, voglio parlare faccia a faccia con lui.»
«Tu che fai, Boss?» chiede Romario.
«Corro a casa a parlare con Kyoya.» risponde Dino, e non ha ancora finito la frase che si è già precipitato fuori dalla porta.

 

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Capitolo 11
*** Legami recisi ***


Quando arriva a casa, Dino trova Kyoya davanti al suo pc.
Sta guardando un video tratto dal notiziario giapponese, con un volto immobile e pallido come pietra.
«Stai bene?» gli domanda, andandogli vicino.
Si posiziona alle sue spalle e guarda a sua volta il portatile. Kyoya non si muove, probabilmente nemmeno si accorge della sua presenza.
Tiene gli occhi fissi sullo schermo, ma ormai il video è finito e Dino non ha capito di cosa parla.
Non fa in tempo a chiederlo a Kyoya, perché il ragazzo si alza di scatto e si avvia verso la propria camera.
Dino resta fermo, senza sapere se è meglio seguirlo o guardare il video, dato che Kyoya gli è sembrato più strano che mai. Normalmente gli avrebbe detto di non stargli così addosso, di stargli alla larga, invece Dino ha anche poggiato la mano sullo schienale della sua sedia e lui nemmeno si è mosso.
Alla fine, decide per il video.
Si siede dove prima c'era Kyoya e lo fa ripartire. Tocca il portatile; è bollente. Quante volte ha guardato il video?
Inizialmente fatica a capire. Il telecronista parte con un discorso che riguarda delle aziende fallite, centinaia di persone che hanno perso il lavoro, truffe e debiti. Dino non comprende.
Poi fanno il nome di Hibari, e Dino collega. Non parlano di Kyoya, ma del padre, quell'uomo che si è attirato l'odio dei concittadini perché per colpa sua tante famiglie si sono trovate senza un reddito.
Dovrebbero arrestarlo, aveva detto il barista quella volta.
Invece non l'hanno arrestato, perché i suoi creditori l'hanno trovato prima della polizia.
L'hanno assassinato.
Dino chiude il video, non ha bisogno di sapere altro.
Prende il cellulare, compone il numero di uno dei suoi sottoposti in Giappone.
«Che cazzo state facendo?» lo aggredisce.
«Hai visto il notiziario?» domanda l'altro, cupo.
«Certo che l'ho visto! Com'è possibile che l'abbiano trovato prima di voi?»
«Probabilmente era con loro anche prima. Abbiamo visto il cadavere. L'abbiamo trovato noi, in verità... Era con loro da parecchio, Boss, o non si spiega come l'abbiano ridotto così.»
Dino si passa una mano sul volto.
Da un certo punto di vista, la morte del signor Hibari gli ha risolto un problema.
«Tornate subito in Italia. Siamo in guerra con gli Olivieri, ho bisogno di voi.» dice soltanto, poi riaggancia.
Solo che adesso ha un problema molto più grosso da affrontare.
Va ad aprire il frigorifero e si beve un'altra birra, giusto per schiarire le idee.
In realtà non si schiarisce proprio un bel niente; era troppo fredda, l'ha bevuta in fretta e adesso ha mal di pancia. Sbuffa e impreca, ma non può far caso alla propria pancia adesso.
Va verso la camera di Kyoya, si ferma davanti alla porta e bussa.
«Posso entrare?» domanda.
Non ottiene nessuna risposta.
«Kyoya?»
Ancora silenzio.
Alla fine, Dino decide che tanto Kyoya non gli darà mai il permesso di entrare, perciò apre la porta senza aspettare e si ferma a guardarlo.
È seduto sul letto, con la schiena poggiata al muro. Sta leggendo il libro del giorno precedente, e Dino non ha bisogno di chiedergli se sta bene per capire che non è così.
Gli si siede accanto e rimane in silenzio, visto che non sa bene cosa passi per la testa di Kyoya.
Il ragazzo continua a leggere. Non solleva gli occhi dal testo nemmeno per un istante; si ferma solo quando arriva alla fine del capitolo.
A quel punto chiude il libro con l'indice infilato tra le pagine per tenere il segno, e solleva lo sguardo, lo punta sulla parete di fronte a sé e solo allora parla.
«Non serve che stai qui.» dice. «Sto bene.»
Dino resta in silenzio qualche istante.
«Era tuo padre.» commenta piano. «E quel video...»
«Era mio padre» lo interrompe Kyoya «e se non lo fosse stato non sarebbe cambiato niente. Non lo vedevo mai e quando lo vedevo litigavamo. Non fa nulla se è morto.»
La sua voce è secca e fredda come quella di un nastro. Dino capisce che in realtà sta soffrendo, ma sta anche cercando di convincersi che non gli importa nulla.
«Kyoya... dov'è tua madre?» domanda.
Kyoya sbuffa.
«A casa sua.» risponde. «Con suo marito e i suoi figli.»
Dino resta a lungo in silenzio. Già dalla prima volta che gliel'ha chiesto, immaginava che Kyoya in realtà sapesse benissimo che fine avesse fatto la donna, ma non si aspettava una risposta simile.
«Da quanto tempo non la vedi?»
Kyoya solleva lo sguardo, come a calcolare quel tempo.
«Otto anni, credo.»
«Kyoya...» Dino vorrebbe dire qualcosa. Che gli dispiace, che adesso c'è lui, che non deve pensare di essere solo perché non lo è, ma Kyoya lo interrompe prima.
«Non mi va di parlarne.»
Dino non insiste. Kyoya non l'ha aggredito né minacciato. Ha usato un tono tranquillo, quasi rassegnato, e lui sa che non è il caso di insistere. Se Kyoya preferisce affrontare così il suo lutto, a lui va bene.
Ci tiene solo a fargli sapere che non è solo, che può contare su di lui, se ne ha bisogno, anche se è abbastanza convinto che Kyoya ritenga di non aver bisogno di nulla.
«Le persone muoiono tutti i giorni.» dice Kyoya, distraendolo da quei pensieri. «Non ha importanza se era mio padre. Non credo che mi mancherà.»
Dino sospira.
«No, va bene. Se dici così...»
Ma così Kyoya ha perso la sua ultima speranza di tornare in Giappone prima di diventare maggiorenne. Il ragazzo lo sa, quindi Dino non glielo ricorda, e pensa che sia più quello il motivo del suo tono spento. Non è sicuro che avesse un gran rapporto con il padre, anzi, forse non avevano proprio nessun rapporto. Non crede che questa volta Kyoya stia mentendo. Se i suoi genitori avessero fatto più caso a lui, d'altra parte, non sarebbe stato così incredibilmente scostante e violento.
«C'è qualcosa che posso fare per te?» domanda alla fine.
Se Kyoya ha bisogno di qualcosa, glielo chiederà. Non è il tipo che si fa problemi.
Kyoya scuote la testa.
«Sto bene.» dice. «Adesso lasciami in pace. Voglio finire di leggere.»
Dino annuisce e poi, spinto da non sa bene quale idea, gli dà un bacio leggerissimo sulla tempia, prima di alzarsi dal letto e andarsene.
Si aspetterebbe come minimo un tonfa nella schiena, visto che si è preso – di nuovo – una libertà simile, ma quello che segue è solo un sogghigno.
«Erbivoro.»

Dino odia fare la spesa, è una delle certezze della sua vita.
Avrebbe chi la fa per lui, ma non comprano mai la birra che vuole lui, così nel pomeriggio si mette d'impegno, cerca dentro di sé la voglia di andare al supermercato e si mette in testa di andare a comprarsi la birra.
Sa che non è un'idea molto intelligente, uscire mentre ci sono Olivieri e Dalle Carbonare in giro a cercare di ammazzarli, ma lui non può proprio vivere senza birra, e poi ha finito anche qualsiasi cosa ci fosse di commestibile.
Mentre si aggira, abbattuto, tra gli scaffali scorge l'ultima persona che si aspettava di vedere lì, una delle ultime con cui ha voglia di parlare e senza dubbio una che potrebbe essergli utile, se la catturasse, la chiudesse da qualche parte e la interrogasse come si deve.
«Veronica.» la saluta, arrivandole alle spalle, con tono glaciale.
Lei si volta, quasi sobbalza.
«Dino...» balbetta.
«Perché non ci prendiamo un caffè?» propone lui, ma non è per nulla cordiale.
Lei lascia il carrello in mezzo alla corsia e lo segue fuori dal supermercato. È evidente che teme di farlo arrabbiare; sa che non sarà una conversazione piacevole.
Dino le paga il caffé, quando arrivano al bar.
«Che volete da noi?» domanda senza preamboli.
«Il fatto che siamo andati a letto insieme non significa che sono disposta a tradire la mia Famiglia solo perché me lo chiedi.»
«Per me non era solo andare a letto.» sbotta Dino. Lui, all'epoca, era stato davvero innamorato di lei. Non è passato poi così tanto tempo, ma gli sembra un secolo. Si sono lasciati appena un paio di mesi prima che Reborn lo chiamasse in Giappone per allenare Kyoya.
«Ho saputo che hai altri interessi, adesso.» allude lei.
«Non siamo qui per parlare di queste cose.» replica Dino. «So che volete Kyoya. Perché?»
Il volto di Veronica è serafico. Si è ripresa dallo shock d'averlo incontrato al supermercato, adesso è di nuovo la mafiosa che Dino conosce. Sa che non cederà.
«Ha solo quindici anni.» sbotta. «Non ne vuole sapere niente dei Vongola, lasciatelo in pace!»
«Non sono io che do gli ordini.» replica Veronica. «E anche se lo fossi, non mi interesserebbe.»
Dino si trattiene dal colpirla. Non ha troppi problemi a combattere una donna, ma colpirla come atto di violenza fine a se stesso, solo per sfogare la rabbia, non fa per lui.
«Devo aspettarmi un altro attacco, quindi?»
«Ti ho già detto che non sono io che do gli ordini. Non so cosa ti aspetti che ti dica.»
Dino riflette su quelle parole. Guarda, assente, la propria birra.
Il barista l'ha guardato male, quando gliel'ha chiesta. Sono solo le tre del pomeriggio, dopotutto. Ma Dino è maggiorenne, e ha diritto di bere birra quando gli pare.
«Niente.» risponde. «Non mi aspetto niente da te.»
Se l'ha portata al bar è stato per un impeto di rabbia, e forse di speranza. Non vuole combattere, non vuole perdere i suoi uomini e forse anche Kyoya per colpa delle mire espansionistiche di una Famiglia come gli Olivieri.
«Anche con l'appoggio dei Dalle Carbonare, non avete speranze.» le dice. «Se qualcuno di voi riuscirà a fare del male a Kyoya, vi prenderò e vi ucciderò tutti, dal primo all'ultimo. Probabilmente lo farò comunque. Noi siamo più di cinquemila, siamo organizzati e abbiamo alleati in ogni parte d'Italia. Voi siete forse duemila in due Famiglie, di alleati ne avete pochi e non avete le risorse che abbiamo noi.»
Veronica gli rivolge un sorriso freddo.
«Sono certa che il mio Boss sappia quello che sta facendo.»
«Il tuo Boss sarà il primo della lista, quando inizierò a fare quello che devo.»
Era stato lui a piantargli un proiettile nel collo, dopotutto. Le indica la cicatrice ancora rosa acceso.
«Ho un debito, capisci?»
«Un debito che devi saldare con lui, non con me.» risponde Veronica e Dino sa che ha ragione. Lei è solo una ricercatrice, non c'entra. Probabilmente non ha mai preso parte a un combattimento in vita sua. Perché dovrebbe ucciderla, anche se le cose dovessero degenerare?
Ma sa che dovrà farlo.
Anche se l'ha amata e, nonostante tutto, le vuole ancora bene. Sa che quando se la troverà davanti non riuscirà a ucciderla.
«Vado a finire di fare la spesa.» le dice, alzandosi. «Cerca di non comparirmi davanti, quando verrò a sterminare gli Olivieri.»

Quando torna a casa, inizialmente non vede Kyoya.
Poi, però, si accorge che la porta della sua stanza è aperta. Che cosa ci faccia Kyoya in camera sua non lo sa, ma lo raggiunge.
Lo trova steso a pancia in giù sul suo letto, con le braccia incrociate sotto al mento, intento a sfogliare un libro.
Dino si ferma sulla porta e lo guarda a lungo, ma Kyoya non si muove, non dà segno di essersi accorto della sua presenza. Solo quando arriva alla fine del capitolo si volta lentamente verso Dino e lo guarda male.
«Smettila di fissarmi. Te l'ho già detto che mi dà fastidio, erbivoro.»
«Sì, ricordo vagamente una cosa del genere.» sorride Dino. Si avvicina al letto e si siede sul bordo, poi dà un'occhiata al libro che il ragazzo stava sfogliando.
Si accorge solo in quel momento che è in italiano, quindi probabilmente Kyoya sta solo guardando le figure. È la storia di Venezia, corredata da bellissime foto.
«Ti piace?» gli domandò.
«Non può esistere una città sull'acqua.»
«Sì, invece. Esiste eccome.»
Kyoya rimane in silenzio, come a riflettere su quella notizia.
«Ci vuoi andare?» chiede Dino.
Non sa come gli sia venuta in mente quell'idea, ma una vacanza, anche di un giorno solo, farebbe bene a tutti e due. Kyoya non risponde, perciò Dino prosegue:
«Venezia non è molto distante da qui. In treno ci vuole qualche ora, ed è molto bella da visitare. Possiamo stare lì un paio di giorni, se vuoi, così puoi vederla bene. Ti piacerebbe?»
Sa che a Kyoya piace l'arte. Quando era ancora a Namimori, Dino ricorda benissimo che nella reception in cui si riuniva il Comitato Disciplinare, che era un po' una seconda casa per Kyoya, c'era sempre qualche libro con foto di opere d'arte nascosto da qualche parte.
«Non voglio prendere il treno.»
«A Venezia ci si può andare solo così.» risponde Dino, paziente. «Non ci si può andare in macchina, non si può arrivare in centro città, c'è solo acqua, vedi? Non ci sono strade, solo canali.»
Vede che Kyoya è combattuto tra l'idea di salire su un treno affollato e quella di visitare la città.
Dino decide di lasciarlo riflettere.
«Be', pensaci.» gli dice con un sorriso. «Quando hai deciso, vienimelo a dire.»
A quanto pare, quando vuole Kyoya sa prendere le decisioni molto velocemente, perché parla prima che Dino raggiunga la porta.
«Ci voglio andare.»
Dino si volta e gli rivolge un sorriso entusiasta come quello di un bambino. Annuisce.
«Allora ci andiamo.» risponde.
Va a prendere il pc, lo poggia sul letto e si stende a pancia in giù accanto a Kyoya.
Il ragazzo all'inizio lo guarda male, ma poi Dino si mette alla ricerca di un hotel, e allora l'altro si volta verso lo schermo, intuendo che Dino vuole anche il suo parere.
«Che ne pensi?»
Kyoya fissa la foto di una stanza.
«Non lo so.» dice con franchezza.
Dino gli sorride. Immagina che Kyoya non sia abituato a viaggiare, probabilmente non se n'è mai andato da Namimori, forse non è mai stato in un hotel.
«Sei mai andato in vacanza?» gli chiede, cambiando sito.
Kyoya rimane a lungo in silenzio.
«Perché ti interesso così tanto?»
«Perché ti voglio molto bene.» risponde Dino, tranquillo. Kyoya è strano, in questi giorni. Non è aggressivo, non lo minaccia, e pensa di potergli parlare onestamente.
Forse si sente rilassato, lì, anche se sono in pericolo tutti e due, perché Dino non gli è ostile e lo tratta bene.
Dino trova un hotel che gli piace, affacciato sul Canal Grande. Prenota una stanza e accede al proprio conto per pagare, in silenzio.
«Una volta in estate andavamo nella casa in Hokkaido.» dice Kyoya.
Dino si volta e lo guarda. Ha lo sguardo fisso oltre lo schermo, parla come se non si stesse rivolgendo a nessuno in particolare. Francamente, non si aspettava che rispondesse davvero.
«Sul retro della casa c'era un laghetto. Mi piaceva sedermi lì con le gambe nell'acqua.»
Fa una lunga pausa.
«Da quando mia madre se n'è andata, mio padre è come impazzito e non ci siamo più andati.»
Dino lo guarda.
«Impazzito?»
«Se ne andava per giorni.» risponde Kyoya. «Si comportava in modo strano.»
Non prosegue e Dino si rende conto che nemmeno l'altro capisce bene cosa intenda per strano, perciò non fa altre domande.
«Be', tra un paio di giorni andiamo in vacanza.» gli dice. «Ho prenotato per metà settimana. Andare a Venezia di domenica non  è mai una buona idea, c'è troppa gente. Andiamo giovedì e venerdì, d'accordo?»
Kyoya annuisce e torna a sfogliare il suo libro, concentrato come se quella conversazione non fosse mai esistita.
Dino gli scosta una ciocca di capelli da davanti agli occhi, perché sa che Kyoya non glielo impedirà. Il ragazzo, infatti, non reagisce.
«Tra poco è pronta la cena.» lo informa.
Kyoya non dà segno di aver sentito, ma quando Dino mette i piatti in tavola l'altro lo raggiunge senza che ci sia bisogno di andarlo a chiamare.
Mentre mangiano in silenzio, seduti uno di fronte all'altro, Dino non riesce a non chiedersi se non sia solo tutto un sogno.
Kyoya vive a casa sua, è tranquillo, gli permette di toccarlo, non lo aggredisce, dorme nel suo letto.
Non riesce a capire a cosa siano dovuti questi cambiamenti e forse si dovrebbe preoccupare, invece riesce solo a esserne felice.
Forse sta ottenendo qualcosa da lui. Forse non è vero che non ha nessuna speranza.

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Capitolo 12
*** Venezia ***


Fermi in stazione davanti al tabellone dei treni, Dino teme che Kyoya possa impazzire e fare una strage.
Il treno ha collezionato novanta minuti di ritardo e deve ancora arrivare, e Kyoya ha già avuto una mezza crisi isterica quando ha scoperto che il biglietto non sarebbe stato rimborsato.
«Fare una strage non farà arrivare prima il treno.» lo informa Dino, mentre inizia a dirigersi verso il binario. «Anzi, lo farebbe tardare ancora di più.»
Kyoya sembra ponderare la cosa, perché anche quando gli passa davanti un controllore con tanto di divisa non fa nulla. O forse è consapevole che potrebbe anche andare a dirgli qualsiasi cosa, sembrerebbe solo uno psicopatico che parla una lingua sconosciuta.
Quando il treno arriva Kyoya borbotta e sbuffa, perché lo trova sporco e sono costretti a viaggiare seduti in direzione opposta rispetto al senso di marcia del treno, ma dopo un po' si mette tranquillo e passa tutto il viaggio a guardare fuori dal finestrino.
Quando arrivano a Venezia ed escono dalla stazione, e si trovano davanti ai canali e alle barche, Kyoya si ferma.
Dino lo vede che si guarda in giro, un po' smarrito, come se non fosse bene in grado di gestire la vista di una città simile.
«È bella, vero?» gli domanda con un sorriso.
Kyoya non risponde e non dà nemmeno segno di averlo sentito. Semplicemente, guarda.
A Dino sembra un bambino davanti a una giostra incredibile, anche se Kyoya in realtà non si muove e non dice nulla. Ma sembra che non sappia dove guardare, che tutto lo attiri.
Dino inizia a scendere le scale della stazione, e Kyoya lo segue in silenzio.
In realtà, non è che Dino conosca la strada e sa bene che a Venezia è facile perdersi, ma vuole che Kyoya veda la città, così per prima cosa inizia a seguire le indicazioni per piazza San Marco.
«Perché mi hai portato qui?» domanda Kyoya, mentre insieme s'infilano nei vicoli della città.
Dino si ferma, si gira verso di lui e lo guarda.
«In che senso?»
Kyoya sembra pensarci.
«Io ti ho detto che volevo venire qui e tu mi ci hai portato.»
«Sì.»
«Perché?»
Dino sorride, e avrebbe voglia di sbuffare ma si trattiene.
Sa che Kyoya non capisce le sue premure, che per lui tutto quello non ha il minimo senso. Aspetta che il ragazzo lo raggiunga, in modo che gli sia accanto e non dietro, e quando Kyoya è accanto a lui gli sorride.
«Perché potevo accontentarti e volevo farlo. Consideralo un regalo.»
Vuole renderlo sereno.
In un certo senso, lo vede come un esperimento, e sta funzionando.
Da quando è in Italia, Kyoya è molto più tranquillo, e Dino è quasi convinto che sia perché lui lo tratta bene e non lo ignora. Alla fine, Kyoya ha solo bisogno di qualcuno che si preoccupi per lui, ne è convinto.
Kyoya non gli risponde e continua a camminare.
Nemmeno Dino parla più, preferisce che sia l'altro a farlo. Lo vede pensieroso, e non vuole disturbarlo.
Sopra a un ponte, Kyoya si ferma a guardare il canale sotto di loro e le case che si affacciano direttamente sull'acqua. Sembra ignorare del tutto Dino, e l'altro lo lascia fare.
Mentre è fermo lì, con gli occhi fissi sull'acqua, Kyoya parla.
«Non potrò più tornare in Giappone.» dice. «Per anni.»
Dino gli si avvicina, poggia le mani sul parapetto del ponte e fissa l'acqua a sua volta.
«Potresti, se tua madre ti prendesse con sé.»
«Non lo farà.»
No, anche Dino è convinto che non lo farà.
«Possiamo comunque provare a metterci in contatto con lei, se tu lo desideri.»
«Non era quello ch volevo dire.»
Dino resta in attesa che prosegua, ma Kyoya non sembra intenzionato a dare altre spiegazioni, e a Dino tocca scervellarsi per cercare di seguire i pensieri del ragazzo.
Quello è sicuramente un punto che devono migliorare; Kyoya è criptico, fin troppo a volte. Deve insegnargli a spiegarsi, a non aver paura di mettere insieme più di due frasi, ma ha come la sensazione che sia chiedere troppo, per il momento.
Per quanto ci pensi, non riesce a capire cosa intenda Kyoya, così decide che è meglio fare un discorso generale.
«Lo so che cinque anni sono tanti.» gli dice. «Ma almeno hai un posto dove restare. Se fossi riuscito a scappare, dove saresti andato? Avresti dovuto nasconderti e chissà che vita avresti fatto. Qui hai una casa, e puoi restare finché vuoi. Magari in questi anni deciderai che l'Italia ti piace e ci vorrai restare.»
Kyoya non risponde. Scosta lo sguardo dall'acqua e riprende a camminare. Scende le scale del ponte e guarda a destra e a sinistra e davanti a sé, come a decidere dove andare, poi prosegue dritto.
Dino lo rincorre, inciampa sull'ultimo scalino e maledicendosi finisce a terra, ma si rimette in piedi e riacciuffa Kyoya per il polso.
«Di qua.» gli dice con un sorriso, indicandogli la destra. «Ti sto portando in un posto che sono sicuro ti piacerà.»
Kyoya gli rivolge un'occhiata scettica, però cambia direzione e lo segue.
Dino ancora non riesce a capire bene che cosa ne pensi del discorso di qualche istante prima, ma alla fine decide che Kyoya sembra tranquillo, quindi forse per una volta ha detto la cosa giusta al momento giusto.
Quando arrivano in piazza, e si trovano davanti alla cattedrale di San Marco, Dino si pente solo di non avere una macchina fotografica per poter immortalare il volto di Kyoya.
Guarda come se non avesse mai visto niente di simile, e anche se il suo volto è serio e impassibile come sempre i suoi occhi sono pieni di curiosità e guizzano da una parte all'altra della struttura, come se non sapesse da che parte guardare.
Dino gli indica il campanile.
«Da lassù si vede tutta Venezia. Vuoi salire?»
Kyoya si limita ad annuire.
Segue Dino e si mette in coda senza protestare, anche se Dino vede che cerca in tutti i modi di stare più lontano possibile dalle altre persone, e quando salgono nell'ascensore Kyoya si schiaccia nell'angolo, dietro a Dino, lontano da tutti.
Nonostante questo, nel momento in cui arrivano lassù, Kyoya sembra dimenticare la folla che è salita con loro, e si avvicina alle grate delle finestre. Vi si aggrappa con le dita e guarda fuori, ignorando completamente tutto il resto.
Restano lì più di due ore, perché Kyoya si sposta da una finestra all'altra e si rifiuta di scendere, come un bambino capriccioso su una giostra che gli piace, così alla fine Dino decide di assecondarlo.
Scendono dopo più di due ore, e Kyoya si dirige verso la cattedrale senza nemmeno guardare se Dino lo sta seguendo oppure no.
Ma Dino lo segue, e presto gli si affianca e mentre Kyoya esplora la chiesa da cima a fondo, si limita a guardarlo. Vorrebbe stare lì per sempre. Mentre Kyoya studia gli ori e i dipinti e sembra davvero sereno, per una volta, quasi gli sembra di aver dimenticato gli Olivieri, la guerra, i Vongola.
Quasi quasi dimenticherebbe anche i Cavallone, se questo volesse dire avere Kyoya così tranquillo accanto a sé, senza problemi, solo con il pensiero di stare insieme e stare bene.
Perché lui in compagnia di Kyoya sta bene più che mai, e sa che anche se Kyoya non è in grado di ammetterlo nemmeno con se stesso è così anche per l'altro, che ha ormai accettato almeno la sua presenza, e non lo allontana bruscamente, non sempre, almeno, e quest'idea lo rende felice più che mai.

Quando arrivano in hotel Dino ha male ovunque, i piedi implorano pietà ed è più stanco e sfinito che mai.
Hanno camminato tutto il giorno, e Kyoya l'ha fatto impazzire su e giù per i ponti per vedere tutto quello che gli piaceva. Dino, comunque, non si pente d'averlo portato a Venezia, anche se sa che ha le vesciche sotto ai piedi e che il sole di quella città non ha fatto bene alla sua pelle.
Ma se ha fatto male a lui, ne ha fatto ancora di più a Kyoya, che, pallidissimo com'è, ora ha il volto rosso di sole, e in quel rosso il grigio dei suoi occhi risalta più che mai, e Dino non riesce a smettere di guardarlo, incantato da quel colore come un idiota.
Dopo la cena, Dino implora Kyoya di lasciargli fare la doccia per primo. L'altro si limita ad annuire, così Dino va a gettarsi sotto all'acqua fredda, in cerca di un po' di sollievo.
Quando esce, quasi rigenerato, trova Kyoya steso in diagonale sul letto matrimoniale della stanza, con lo sguardo puntato sul soffitto.
Dino gli si siede accanto e gli sorride.
«Dovresti mettere un po' di crema sul viso.» gli fa notare.
Kyoya non risponde e non dà segno d'averlo sentito.
Dino gli scosta i capelli dalla fronte senza nemmeno toccargli la pelle.
«Non ti brucia?» domanda.
Gli occhi di Kyoya sembrano due diamanti, in quel rosso. Perché non riesce a smettere di fissarlo?
Kyoya solleva la mano, la posa sulla guancia di Dino e poi fa per spingerlo via, ma quel tocco non fa che aumentare il desiderio di Dino.
È solo un ragazzino, idiota, si rimprovera. Ma è lì, steso accanto a lui...
«Che fai, mi cacci?» ridacchia Dino, senza accennare a muoversi.
«Mi stai fissando di nuovo. Stupido erbivoro.»
«Te l'ho detto e te lo ripeto che io ti guardo finché mi pare e piace.»
«Ma a me dà fastidio.»
«E allora tu non ci pensare.»
Kyoya sbuffa e fa una faccia contrariata, poi rimane in silenzio.
Parla dopo un tempo lunghissimo, tanto che Dino inizia a pensare che si sia addormentato.
«Io non ti capisco.»
«Che cosa non capisci, Kyoya?»
In realtà, a Dino sembra di essere abbastanza cristallino. Anzi, di esserlo troppo. A quanto pare si sbagliava, visto che Kyoya dichiara una cosa del genere.
Ma Kyoya non sembra intenzionato a dare altre spiegazioni, come sempre, e Dino non sa bene cosa pensare.
Ci riflette diverso tempo, poi decide di parlare, visto che Kyoya non è intenzionato a proseguire.
«Io sono molto semplice da capire, Kyoya. Quando voglio bene a una persona, voglio che sia felice e faccio quello che posso per fare in modo che lo sia davvero.»
Kyoya si limita a fissarlo. Lo guarda negli occhi, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un secondo.
Dino deglutisce, perché vederlo così è una tentazione forte per lui, anche troppo.
«Posso baciarti?»
Non sa nemmeno perché l'ha chiesto anzi, non se n'è reso conto finché non ha sentito la propria voce. Adesso è la fine; Kyoya l'ha risparmiato anche troppe volte, ormai.
«D'accordo.»
Rimane a lungo immobile, in silenzio.
Kyoya gli ha appena dato il permesso di baciarlo o se l'è sognato? O forse è proprio tutto quello un sogno, forse non è a Venezia ma nella propria camera, e quando si sveglierà avrà un problema da risolvere nei pantaloni.
Oh, sì, dev'essere proprio così. È un altro di quei suoi sogni imbarazzanti in cui lui non riesce a controllare il proprio desiderio, e si immagina avvinto al corpo di Kyoya, e quando si sveglia deve correre sotto alla doccia ghiacciata per placare l'eccitazione. È sicuramente così.
Solo che Kyoya continua a guardarlo, come se non capisse tutta quell'attesa.
Quindi forse non è un sogno, forse è solo tutto molto strano. E se è stato proprio l'altro a dargli il permesso, allora...
Dino posa le labbra su quelle di Kyoya.
Ha subito la tentazione di approfondire quel bacio, ma non lo fa. Si allontana lentamente da lui e lo guarda negli occhi.
«Baciarmi ti ha reso felice?» domanda Kyoya.
Dino annuisce, guardandolo.
«Moltissimo.» risponde, sincero.
Kyoya fa una lunga pausa, senza distogliere lo sguardo da quello di Dino.
«Come si fa a capire quando si è felici?»
Dino gli rivolge uno sguardo dolce e gli sfiora appena la fronte con la punta delle dita, in una carezza che nemmeno lo tocca davvero, ma lo stomaco gli si è stretto a quella domanda. Come si fa a dover chiedere una cosa simile?
«È difficile da spiegare.» mormora, pensieroso.
Vede lo sguardo di Kyoya incupirsi, perciò prosegue:
«Ci provo, d'accordo?»
Kyoya annuisce.
«Sei felice quando... mmh... quando va tutto bene. Quando non c'è niente che ti preoccupa, quando stai così bene che non potresti stare meglio.» prova a dire. Gli sembra che non renda l'idea, ma non sa come altro esprimersi.
«Quando sono felice, mi sento come se non ci fosse niente di brutto.»
Kyoya resta pensieroso a lungo.
«Non capisco.» dice alla fine.
Dino lo sa, che non capisce. Sa che non può capire la felicità se non è mai stato felice, ma per risposta gli sorride e gli dà un bacio sulla fronte.
«Un giorno capirai anche tu.» gli dice.
«Sì.» risponde l'altro, prima di infilarsi sotto alle coperte e dargli le spalle. «Vedi di non disturbarmi mentre dormo, o ti morderò a morte.»
Dino sbuffa, prima di stendersi accanto a lui, a debita distanza.
«Certo.»


Grazie a tutti per i bellissimi commenti, scusate se non ho risposto singolarmente a ognuno di voi.
Dal prossimo, vi annuncio che le cose si movimenteranno.
Baci,
rolly too

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