If I could, then I would: I'll go wherever you will go.

di xsheneedsjonas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologue - love life. ***
Capitolo 2: *** chapter one - on a wednesday, in a cafe, I watched it begin again. ***
Capitolo 3: *** chapter two - this kiss is something I can't risk. ***
Capitolo 4: *** chapter three - may these memories break our fall. ***
Capitolo 5: *** chapter four - I don't even know you. ***
Capitolo 6: *** chapter five - if you're lucky, you're not gonna see me again. ***
Capitolo 7: *** chapter six – you shouldn't have come back. ***
Capitolo 8: *** chapter seven - until you learn to love yourself. ***
Capitolo 9: *** chapter eight - you save me. ***



Capitolo 1
*** prologue - love life. ***



INTRODUZIONE:
ciao a tutti, eccomi qui con l'ennesimo delirio sui fratelli Jonas: ho già un paio di idee per la continuazione, ma ovviamente dovrete essere voi a dirmi che ne pensate e se quindi ne varrebbe la pena o meno!
spero che questo prilogo vi abbia incuriosito!
a presto, xxx
-Ronnie

 

Prologue – LOVE LIFE.
 

-Carly! Tienimi d'occhio il tredici e il ventidue!-.
Le otto e un quarto del mattino e già il capo aveva qualcosa di irritante da urlare.
Non che fosse una novità, ma spesso quella voce così profonda ma che allo stesso tempo riusciva ad essere più irritante di uno squittio dava letteralmente alla testa della ragazza.
Charlotte, o Carly, come preferiva essere chiamata, non ne poteva già più, ed era al lavoro da sì e no dieci minuti.
-sì Josh!- rispose in tono monocorde, obbedendo.
La caffetteria a quell'ora sembrava il posto più tranquillo del mondo, anche con i soliti schiamazzi in sottofondo: l'atmosfera era piuttosto tranquilla e rilassata, ai tavoli sedevano professori, studenti che avevano deciso di non entrare a scuola e un paio di anziani che, in tutta serenità, si godevano la giornata gustandosi un buon thè caldo, mentre scorrevano con lo sguardo la prima pagina di notizie del Times.
Fuori dalla grande vetrata che faceva da parete al locale, New York City era già sveglia da un bel pezzo, o forse non era mai andata a dormire: macchine di ogni genere che sfrecciavano per le strade, mamme che correvano verso gli asili portandosi appresso bambini ancora assonnati e affannati per la lunga corsa, uomini d'affari vestiti di tutto punto, con tanto di valigetta sotto braccio, che smanettavano come dannati, mentre rispondevano all'ennesima seccante telefonata...
Chiunque avesse detto che New York era un circo, ci aveva azzeccato in pieno.
Ma era il posto più bello al mondo, senza ombra di dubbio: il caos che si creava per le strade a qualunque ora del giorno era qualcosa di immancabile e assolutamente magico, creava quell'aria che poche città potevano vantare, il verde di Central Park era talmente luminoso da fare male agli occhi, specialmente nelle giornate di sole, dove circa i due terzi della popolazione newyorkese evadeva dagli uffici e gli appartamenti e si rifugiava in quel piccolo angolo di paradiso, le insegne di Broadway avrebbero fatto innamorare chiunque, anche il personaggio più scettico, della magia di quell'enorme strada e delle meraviglie che racchiudeva.
Carly si concesse il lusso di tirare un respiro profondo: amava da morire quella città.
Amava da morire il traffico a tutte le ore del giorno.
Amava da morire le mille luci al neon della sera, che non si spegnevano mai, fino all'indomani mattina.
Amava da morire le centinaia di metri che doveva fare per poter attraversare la Fifth.
Amava da morire quando, alzando la testa, riusciva a vedere solo qualche triangolo di cielo azzurro, coperto dagli altissimi grattacieli che scintillavano sotto il sole.
Amava da morire il suo piccolo appartamento che condivideva con la sorella, Jane, e l'odore forte di caffè appena fatto che sentiva ogni volta che entrava al lavoro.
Amava da morire la sua vita: amava il fatto che se l'era scelta da sola, e la stava vivendo esattamente come aveva deciso di viverla.
 
-Joseph! Oh, caro! Vieni qui, figliolo! Come stai?-.
Josh che non urlava insulti o ordini?
Strano!
Carly alzò gli occhi da un tavolo che stava pulendo, notando con insolita sorpresa che sul viso del suo isterico capo si era disegnato un lieve sorriso.
Josh uscì dal bancone, andando incontro ad un ragazzo alto, moro, con i capelli un po' arruffati: indossava un paio di jeans abbastanza larghi e un giaccone blu.
-Allora, ragazzo! Che mi racconti?-.
Pareva che quei due si conoscessero da un po'.
Prima di tornare alle sue faccende, Carly incrociò distrattamente lo sguardo con quello del ragazzo appena entrato: sembrava arrogante, pieno di sé.
Lo guardò male, malissimo, appena si rese conto che gli occhi del tizio dicevano anche qualcosa tipo "se ti prendo ti distruggo!", il che era disgustoso.
Odiava essere guardata in quel modo, le dava i brividi.
Chinò nuovamente la testa sui tavoli, mettendosi a finire di pulire, quando venne chiamata da Josh:-Carly! Fai un cappuccino fumante al mio amico Joe, e fa' che sia buono!-.
-subito!- lo canzonò, facendo attenzione che non se ne accorgesse, poi si avvicinò al bancone sbuffando: l'ultima cosa di cui aveva voglia era essere sbranata con gli occhi dal tizio appena entrato.
-scalda bene la schiuma: a me piace calda... Molto calda!-.
Dopo essere inorridita per l'espressione sensuale davvero mal riuscita di Joseph, o come diavolo si chiamava, Carly fece il benedetto caffè, facendo in modo di non rispondere, perchè se l'avesse fatto, probabilmente sarebbe stata la fine.
-grazie bellezza, era perfetto.- disse il ragazzo, appoggiando sonoramente la tazzina sul bancone, poi si alzò e andò ad abbracciare Josh.
-finalmente!- si disse Carly, sentendosi libera di tenere di nuovo la testa alzata.
Dio, quella battuta era stata lo squallore, e più ci pensava, più le scappava da ridere: decisamente il peggior tentativo di abbordaggio della sua vita.
-Carly! Non cincischiare! Ci sono dei tavoli da servire!-.
Routine, semplice routine.


 

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Capitolo 2
*** chapter one - on a wednesday, in a cafe, I watched it begin again. ***


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Chapter one - ON A WEDNESDAY, IN A CAFE, I WATCHED IT BEGIN AGAIN.


-Jane! Sono tornata!- l'aria di casa era qualcosa di così magico, specialmente dopo una lunga giornata di lavoro in caffetteria.
-ciao splendore!- una ragazza bassina e leggermente pienotta, con i capelli neri e gli occhi chiari si avvicinò saltellando a Carly, abbracciandola.
-com'è andata?- chiese quest'ultima.
-bene! Lucy ha detto che forse creeranno un mio capo!-.
-oddio! Sono felicissima per te!- Jane lavorava in una casa di moda piuttosto famosa lì a New York, e il suo più grande sogno era sempre stato quello di diventarne il capo, o comunque un nome importante, e di vedere le sue collezioni nelle vetrine di tutte le boutique più prestigiose della Grande Mela.
-e tu? La caffetteria?-.
-al solito: Josh urla dalla mattina alla sera!- ridacchiò Carly: in fin dei conti quel comportamento così burbero di un uomo che era un pezzo di pane un po' la divertiva, doveva ammetterlo.
Se lo si prendeva nel verso giusto, in fondo Josh non era un tipo poi così sgarbato.
-ah, e un tizio ci ha provato con me nel più orribile dei modi.- aggiunse, sorridendo al ricordo.
-AAAAAAAH! Questa la voglio sentire!- Jane cacciò un urletto: era risaputo che in fatto di gossip, lei doveva essere messa in cima alla lista delle persone con cui confidarsi, anche se molto spesso non si limitava ad ascoltare, ma dispensava consigli, raccontando ciò che sentiva alla parrucchiera/portinaia/passante… insomma, a tutti quanti.
-suppongo sia un amico di vecchia data di Josh, ho visto che si abbracciavano... E comunque, mentre gli stavo facendo il caffè mi ha detto qualcosa tipo "mi piace calda"... Dio, è stato disgustoso!- scoppiò poi in una fragorosa risata quando l'espressione del famoso Joseph le tornò in mente.
A metà tra l’ammiccante e qualcuno che sta avendo un attacco di colite, quei capelli ricciolini e gli occhi verdi che a prima vista sembravano così maliziosi avevano perso tutto il loro alto potenziale.
Che tristezza: tutta quella roba sprecata.
Inutile dire che Jane passò i successivi venti minuti con le lacrime agli occhi dal ridere e la pancia in mano, fin quando, fermandosi, assunse un atteggiamento serio:-sorellina, stasera si esce.- proclamò.
-ma è martedì!-.
-e allora! Eh dai, facciamo un giro al Windsor e poi ce ne torniamo a casa, promesso!- la supplicò, tirando fuori l'arma segreta più infallibile esistente sulla terra: la faccia da cucciolo.
Jane sapeva bene che nemmeno un esercito armato e assetato di sangue avrebbe saputo resistere a tanta dolcezza.
Carly ovviamente ci cascava sempre, ogni singola volta, e ovviamente si odiava per questo, ma gli occhioni della sorella sembravano ingrandirsi a dismisura, assumendo le dimensioni di una palla da biliardo, le guance le si gonfiavano come quelle di un criceto e sbatteva le lunghe ciglia come fosse la modella dell’ultimo numero di “Cover Girl”: decisamente irresistibile.
-andiamo a vestirci, prima che possa pentirmene.- disse sorridendo, poi si avviò verso la camera.
 
-non male...- si disse: il suo specchio rifletteva l'immagine di una ragazza di ventun anni abbastanza alta e magra, con la pelle leggermente scura, i capelli corvini e gli occhi, accentuati da un velo di trucco, color dell'oceano.
Si era infilata un paio di shorts neri e una canotta bianca: giubbottino di jeans borchiato, stivaletti neri alla caviglia ed era pronta.
Sì, decisamente accettabile per una serata al Windsor.
Era uno di quei locali dove a nessuno frega da dove vieni, come sei vestita o quanti soldi hai in tasca: alcool e buona musica era tutto quello che serviva, il che lo rendeva il miglior locale della periferia di N.
-pronta Carly?- sentì sbraitare sua sorella.
-arrivo!- urlò a sua volta, uscendo dalla camera.
 
-oh mio Dio, nascondimi!-.
Il braccio di Sam era sempre utile in quelle occasioni: quel ragazzo aveva due bicipiti dal raggio di almeno mezzo metro.
Samuel Larsson, unico amico che Carly avesse in quell'immensa città: piuttosto alto, decisamente belloccio, pallido come un vampiro; capelli biondi lunghi, legati costantemente in una codina disordinata, e occhi nocciola, che spesso, se osservati attentamente sotto la luce del sole, assumevano qualche riflesso color miele.
-ma perchè?! Chi c'è, Carly?!- chiese il ragazzo, incuriosito.
-lascia stare, un tizio. Solo che non voglio assolutamente che mi veda!-.
-e potrei sapere la ragione?-.
-ci ha provato spudoratamente in caffetteria, stamattina. E non ho nessuna voglia di fare il bis.- spiegò velocemente la ragazza, affondando la testa nell'incavo del gomito dell'amico.
-ti ho già detto che sei strana, Bowl?-.
-Parecchie volte, Larsson.-.
-possiamo ballare? Così ti distrai.- continuò Sam.
-sì, basta che non mi riconosca.-.
-Carly... Scusa se ti faccio questo appunto, ma... In caffetteria solitamente sei senza trucco, con i jeans e le converse... Guardati adesso: sei una bomba, cazzo! Ti pare che Tiziocoglionechenonsaprovarciconleragazze ti possa riconoscere?!-.
-Interessante riflessione... E grazie.- ridacchiò la ragazza, stampandogli poi un leggero bacio sulla guancia.
-andiamo a ballare, dai.- disse poi, trascinando l'amico in pista.
 
-ricordatemi di non mettere MAI più piede in una discoteca durante la settimana!-.
Diciamo solo che il risveglio di Carly, il giorno dopo, non fu dei migliori: sentiva ancora puzza di alcool, pur non avendo bevuto assolutamente niente, e avrebbe potuto giurare che, entrando in stana di sua sorella, l'avrebbe trovata ancora accoccolata comodamente nel letto, probabilmente nuda e abbracciata a Fred, il suo "amico”, come lo definiva lei, o preferibilmente chiamato “scopamico”.
Dopo una lunga doccia i cui effetti sembravano decisamente inutili, fece una veloce colazione ed uscì di casa, lasciando un biglietto sul bancone della cucina:"Dormito bene?! Suppongo di sì... A più tardi, ti voglio bene, xx"
Ringraziò tutti i santi del paradiso che quel giorno le toccava il secondo turno, ovvero quello che partiva dalle undici, orario decisamente fattibile, specialmente se la sera prima si era andate a far baldoria in discoteca.
Mentre stava praticamente per crollare con la faccia su un tavolo, sentì Josh ricominciare a sbraitare.
-Niiiiiiicholas! Ma che piacere! Ieri tuo fratello e oggi mi arrivi tu! Domani sarà la volta di Kevin?!- lo sentì ridere, cosa piuttosto insolita.
Un momento... un orrendo dubbio le attanaglio la gola, facendole sgranare gli occhi.
Fratello?!
Oh no, no, no, no, no, no!
Non di nuovo!
E se l'abbordaggio fosse un gene di famiglia?!
Oh, non poteva pensarci.
-Carly! Servi il mio amico.-.
-…e sei fottuta!- si disse, avvicinandosi con aria mesta e rassegnata al fratello di Tiziocoglionechenonsaprovarciconleragazze.
I due si somigliavano decisamente: anche lui aveva i capelli ricci, anche se un po' più di quelli di Joseph, gli occhi erano castani e la forma delle labbra sembrava quella di un piccolo cuore.
Carly si sorprese ad osservarlo attentamente, mentre entrava dietro al bancone: definirlo semplicemente "bellissimo" sarebbe stato poco, ed era serissima.
-wow! Ma allora mio fratello aveva ragione! Sei una bomba, ragazza!-.
Bene, tutta la carica sessuale che Fratelloditiziocoglionechenonsaprovarciconleragazze aveva addosso fino a cinque millesimi di secondo prima, era stata brutalmente estirpata dalla sua ultima frase.
“È così che crollano i miti.”
-ma tu e tuo fratello non potete trovarvi un hobby?- rispose di getto, poi bloccandosi: era comunque un cliente, e per di più, era anche amico del suo capo.
Mettersi ad insultarlo non era certamente una grande idea.
Nicholas rise, appoggiandosi al bancone, facendo in modo di sporgersi fino a guardare al di là:-oh sì, che aveva ragione...- commentò di nuovo.
Perché si era messa la gonna, quel giorno?!
Non andavano bene i soliti jeans?!
E adesso aveva gli occhi di Mr. Abbordaggio Numero Due addosso, che la stavano praticamente spogliando: anzi, senza il "praticamente".
-okay senti, io sono qui per lavorare. Un caffè?- chiese, cercando di essere il più educata possibile, anche se gli avrebbe volentieri distrutto quel bel faccino a suon di pugni.
-macchiato, grazie.- rispose cortesemente.
-ecco a te.- disse Carly, porgendogli la tazzina.
Si voltò, iniziando a mettere a posto la dispensa.
-mio fratello dice che ti ha vista al Windsor, ieri sera…-.
-OH MERDA!- pensò la ragazza, spalancando gli occhi: eppure si era nascosta bene.
Si voltò, assumendo un’aria tranquilla:-dici? Oh, sicuramente non ero io… Ho altro di meglio da fare che frequentare gli stessi locali di tuo fratello.-.
-a quanto pare sì, e dice che sembrava ti stessi divertendo parecchio…-.
-spetta a tuo fratello giudicare?-.
-no, assolutamente! Era un dato di fatto.-.
Carly sbuffò: perché gli occhi di Nicholas era  così accusatori, eppure sembravano incredibilmente dolci?
-non so perchè vi interessi saperlo, ma sì, ero io.- rispose, troncando la discussione, facendo poi finta di dover pulire il bancone con uno straccio appena umido.
-venerdì ci torni?- chiese.
Alzò la testa: gli occhi castani del riccio la stavano scrutando, sorridendo dolcemente.
-può darsi.-.
-bene, perché stavo pensando che, se ti va, potremmo provare a non insultarci…-.
Perché la tecnica di abbordaggio era cambiata?
Perché quello strano ragazzo era dotato di gentilezza?
Qualità inaspettata, da quello che Carly aveva potuto intendere.
Era tentata di dire di sì… MOLTO tentata.
-preferirei farmi squartare.- rispose, ridacchiando maligna.
No, perché doveva essere carina con chi era stato tanto maleducato con lei?!
Nemmeno Tiziocarinissimodotatodigentilezzamacomunquedeficiente faceva presa.
Lo vide ridere di gusto, aveva un gran bel sorriso:-perfetto, allora ci vediamo là alle undici.-.
-ci sto, riccio.-.
-a stasera.- disse velocemente, poi, dopo un rapido cenno a Josh, si alzò ed uscì dal locale.
Che cosa diavolo aveva fatto?!
Perchè aveva detto di sì?!

Non si erano appena insultati e uccisi con lo sguardo?
E poi?
Un sorrisetto e lei ci cascava?!
-stupida! Stupida! Stupida!- si disse ed ebbe lo strano e assolutamente giustificato impulso di sbattere ripetutamente la testa contro la dispensa delle tazzine, così da perdere la memoria ed avere una scusante per non presentarsi al Windsor.
“mi sono rotta il cranio! Mi sono infilata migliaia di schegge di ceramica nella fronte!”: che scusa geniale.
Ripensandoci bene però, non avrebbe mai funzionato: non solo non avrebbe avuto il coraggio di punirsi a tal punto, ma avrebbe anche dovuto ripagare tutto a Josh, il che non era affatto allettante visto quant’era fiero delle sue preziosissime tazzine da caffè.
Idea del massacro scartata, quindi.
Rimaneva un’unica opzione: andare a quel benedetto locale e trascorrere la serata insieme al tizio dai ricci sexy, che poteva sembrare quasi umano se solo si fosse tappato la bocca con uno straccio.
Rispetto alla ceramica conficcata nella faccia, un giro al Windsor anche con il peggiore dei cretini sarebbe stato più allettante.
-è la volta buona che Jane mi ammazza, me lo sento.- si disse, poi tornò a lavorare.
 

 

eccomi qui!
inizio con il ringraziarvi per le cinque recensioni al prologo: mi ha fatto davvero tantissimo piacere! sdfghjkl
bhè, ecco il primo capitolo, di cui sono abbastanza soddisfatta, devo ammettere.
ditemi voi, però, mi raccomando!
a presto, xxo
-Ronnie

 

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Capitolo 3
*** chapter two - this kiss is something I can't risk. ***


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Chapter two –  THIS KISS IS SOMETHING I CAN’T RISK


-ti odio per questa cosa. Proprio stasera che volevo stare a casa e rilassarmi, tu mi fai uscire!-.
Jane si guardava allo specchio, mentre Carly, con una stretta allo stomaco micidiale, cercava di mantenere la calma, torturando le borchie  della sua pochette.
-anche io in questo momento.- rispose la più piccola delle due, tenendo gli occhi fissi sulle mattonelle del pavimento.
Lo stava avvero facendo?
Stava davvero andando al Windsor per incontrarsi con Coglione Uno e Due?
Ma lei voleva andarci, con tutta se stessa...
C’era qualcosa nel suo istinto che le imponeva di mettersi un bel vestito, un paio di tacchi e partire verso il locale: aveva un buon presentimento per quella sera, nonostante il suo autocontrollo avesse deciso di remarle contro.
Si dice che niente è come sembra, e probabilmente era vero, o almeno così sperava.
Se lo fosse stato?!
La scintilla che brillava in quegli occhi castani sconosciuti era qualcosa di nuovo, mai visto prima in nessuno...
Qualcosa che Carly moriva dalla voglia di scoprire, a tutti i costi.
 
-Carly, respira… Sei pallida come uno straccio e hai pure il fondotinta. Vuoi calmarti?- Jane prese la mano della sorella e la strinse forte.
-non ci riesco.-.
-ma come “non ci riesco”?! Sei stupenda, di cos’hai paura?-.
-di niente… Credo.-.
Jane non aveva torto: era risaputo che Carly quando si infilava in un vestitino da discoteca era qualcosa di irresistibile.
Quella sera ne aveva messo uno celeste, del colore dei suoi occhi, che le cadeva perfetto sui fianchi: il cinturino in vita era nero, proprio come le decolté dal tacco altissimo che si era messa ai piedi.
Sì, decisamente diversa dalla Charlotte della caffetteria, che indossava perennemente jeans o minigonna stracciati con un paio di converse ai piedi e una maglietta dei Guns ‘n Roses ormai consumata.
Prese un respiro profondo e salutò Matt, il buttafuori.
-ciao bellezza, anche stasera qui?- le chiese.
-in questo momento preferirei essere a casa, ma non importa!- esclamò, coprendo il nervosismo con una risatina.
-oh bhè, cerca di divertirti lo stesso!- gli augurò il ragazzo, sganciando poi il laccio rosso dalla balaustra e lasciando passare le due ragazze.
Il locale era stracolmo, pieno di gente di ogni genere, età e provenienza: tutto era ovattato, nonostante la musica al volume assordante, o forse era solo il nervosismo di Carly che iniziava a fare brutti scherzi.
-figo, magari con tutto questo casino non mi trovano!- pensò, poi si rese conto che se Jane avesse sentito l’avrebbe sicuramente presa a schiaffi nel bel mezzo della pista.
-okay, fiondiamoci al bar e aspettiamo lì.- suggerì la maggiore, trascinandosi dietro la povera Carly, che non sentiva nemmeno più le gambe.
-tieni, bevi!- le ordinò, dopo aver ordinato qualcosa.
-ma sei scema?! Io non bevo.-.
-oh sì invece!- rispose autoritaria la sorella, cacciandole in mano un bicchiere contenente del liquido biancastro.
Carly ne prese un sorso, anche se poco convinta: ma che roba era, alcool puro?!
-è fortissimo, Jane!- protestò.
-è l’unico modo per farti sciogliere, stupidina!- ridacchiò lei, abbracciandola dolcemente.
-se muoio mi seppellisci, vero?-.
Jane buttò la testa all’indietro, scoppiando in una sonora risata:-tranquilla sorellina, ci penserò io!-.
 
-girati.-.
Carly stava guardando in giro, sollevata dal fatto che era passata mezz’ora, e nessuno dei due si era fatto vedere.
-eh? Che vuoi?- chiese, scossa da sua sorella, che le strattonava il braccio.
-OH SANTA POLENTA.-.
Coglione Uno e Due erano apparsi magicamente, come dal nulla, e si stavano tranquillamente facendo spazio tra la gente, diretti verso Carly, che quasi si strozzò con il cocktail.
-Dio se sono due gnocchi!- esclamò Jane, squadrandoli entrambi in meno di un secondo.
-SHHHHHH! Lo so anch’io, ma stai zitta!- la sgridò Carly, che lottava contro la sua circolazione sanguigna per non diventare di un colore violaceo sulle guance.
La sorella però non è che avesse tutti i torti: indossavano entrambi jeans e camicia leggermente sbottonata e con le maniche tirate fino agli avambracci, Joe nera e Nicholas bianca, e quest'ultimo portava anche una giacca color kaki al braccio.
In sostanza, erano sexy da morire, tutti e due.
-ciaaaaaaao bellezza!- la salutò Joseph, con un gran sorrisone stampato in viso: sembrava quasi simpatico.
Missione “colorito da persona normale” miseramente FALLITA: appena Nicholas pronuncio le semplici parole “ciao Carly”, la ragazza si sentì avvampare.
Ma perchè?!
Odiava quando le succedeva.
-Nicholas... Joseph.-.
L'aria era tesissima: Carly non aveva il coraggio di guardare i due in faccia, che stavano tranquillamente in piedi davanti a lei, con due sorrisi beoti stampati su quei bei faccini, e Jane stava per scoppiare nella più fragorosa e inopportuna delle risate.
-ah, comunque lei è mia sorella, Jane.- Carly si risvegliò dal coma profondo ed imbarazzante in cui era entrata, indicando poi la ragazza, che, ricomponendosi ed esibendo il più smagliante dei sorrisi, allungò cortesemente la mano:-piacere!-.
Tra i quattro discese un orrendo silenzio interrotto solo dalla musica proveniente dalla console posta poco distante da loro, e Carly avrebbe potuto giurare di stare per prendere e scappare.
-allora, balliamo?- chiese Nicholas, interrompendo quell’orrore.
-certo! Carly adora ballare!- rispose Jane, saltando su entusiasta.
Carly, dopo ventun anni di vita, era ancora lì a chiedersi come mai quella benedetta ragazza non stesse mai zitta.
Fulminò la sorella con lo sguardo:-veramente sono un po’ stanca… Oggi ho lavorato tanto…- cercò di rifiutare, ma la mano di Nicholas era già tesa verso di lei e sul suo viso era comparso un sorriso dolce e pazzescamente invitante.
-oh, sono sicura che ti passerà.- rispose Jane, scuotendo poi lo sgabello su cui era seduta, facendo in modo che Carly fosse costretta a poggiare i piedi per terra.
-io ti odio, sappilo. A casa te la faccio pagare.- disse quest’ultima in labiale, prima di sorridere dolcemente a Nicholas e prendergli la mano.
-quindi ti piace ballare?- grazie a Dio il riccio aveva rotto il ghiaccio: tentativo quasi riuscito, bisognava ammetterlo.
-così sembra…-.
La pista era stracolma di gente, e le luci psichedeliche rendevano impossibile a Carly decifrare cosa diceva l’espressione di Nicholas: per quel poco che vedeva, sembrava tranquillo, rilassato, non certo l’immane stronzo che l’aveva squadrata da capo a piedi in caffetteria due giorni prima.
-dai Carly, è solo una canzone.- si disse, prendendo un bel respiro e iniziando a muovere impercettibilmente i piedi, tanto per non sembrare un pezzo di legno in mezzo a centinaia di persone che si davano alla pazza gioia.
Il braccio di Nick le avvolse la vita, voltandola fino a premerla contro il suo bacino: Carly sentiva il respiro bollente sul collo, il che non aiutava per niente a mantenere il controllo.
Girata di schiena, non poteva vederlo in viso: si chiedeva cosa stesse pensando, che tipo di sorrisetto gli stesse spuntando sulle labbra, ma la stretta delle sue braccia intorno alla sua vita sembravano darle un chiaro segno che tutto stava andando benissimo.
Ad un tratto le labbra di Nicholas si appoggiarono sul suo collo, mentre i loro fianchi, completamente attaccati l’uno all’altro, ondeggiavano a tempo di musica.
Carly si scansò impercettibilmente, tanto da poter girare un minimo la testa e notare che quelle stesse labbra che l’avevano appena toccata si stavano incurvando in un sorrisetto malizioso.
Qualcosa dentro di lei non trovava il coraggio di aprire bocca, di chiedere o dire niente: era tutto così dannatamente sensuale che si era persino dimenticata di come l’avesse conosciuto, e di quanto sgarbato fosse stato all’inizio.
Sembrava avesse avuto a che fare con due persone totalmente diverse: lo stesso ragazzo che le aveva fatto centinaia di minuziose e accurate radiografie e commenti non così gentili, adesso la stava tenendo stretta in quella specie di morsa, per niente fastidiosa, e le sue labbra le avevano appena accarezzato il collo, facendo sì che sulla sua schiena spuntasse una pelle d’oca altra tre dita.
Carly sorrise: l’aria si era decisamente alleggerita e con la coda dell’occhio notava, con estrema impazienza, che il viso di Nicholas era sempre più vicino.
Si sorprese a desiderare che la distanza si facesse sempre minore.
Chiuse gli occhi, assaporando solo la sensazione che il fiato di Nicholas sull’orecchio le provocava: le mani del ragazzo si spostarono saldamente sui fianchi, girando leggermente il corpo della mora, che se ne stava lì, inerme, completamente sotto il controllo del riccio.
Una morsa le attanagliò lo stomaco, quando finalmente sentì quelle labbra tanto desiderabili spostarsi dal suo orecchio alla sua guancia, e poi ancora, fino, finalmente, a toccare le sue.
Erano incredibilmente morbide e dolci: la lingua di lui la accarezzò lievemente, come a chiedere il permesso.
Carly schiuse la bocca, così che le due lingue, incontrandosi, si mettessero a cercarsi e respingersi, prima con estrema delicatezza, poi più prepotentemente: sapeva di alcool, ma non troppo, e il profumo di Nick, probabilmente mescolato a quello delle persone attorno ai due, era leggermente aspro ma incredibilmente sexy.
Più la baciava, e più Nicholas sentiva l’irrefrenabile impulso di continuare: ne voleva ancora, e ogni volta che provava a staccare leggermente le labbra da quelle della ragazza, tutto il suo copro si ribellava, imponendogli di eliminare di nuovo quella distanza tanto insopportabile.
-fermati!- si diceva Carly: nella testa rimbombavano troppi rumori, troppi suoni che la stavano confondendo di più.
La musica era troppo alta, il fiato bollente di Nick attaccato alla sua bocca si percepiva chiaramente, ed ogni suo sospiro era una stretta allo stomaco che la torturava.
-tu non baci la gente così, quando capita!- si sgridò.
Era arrabbiata, furiosa con se stessa nel notare quanto il suo cervello fosse convinto di quell’idea, mentre il suo corpo era ben deciso a fare tutto il contrario: quel ragazzo aveva una specie di calamita dentro di sé.
Carly bramava il contatto con il suo corpo come mai prima d’ora, e si vergognava quasi di tutto ciò che le passava per la testa: possibile che tutto quell’odio di due giorni prima aveva reso tutto così semplice, tutto così perfetto?
Voleva di più, non poteva resistergli, e per la prima volta in ventun anni maledisse chiunque per essere in un posto tanto affollato.
Pensieri non certo consoni ad una ragazza per bene quale era, ma ormai, dopo quel bacio continuo, aveva detto addio a tutto ciò che c’era di composto e razionale.
Era come se nel suo cervello fosse andato in tilt qualcosa, come se la lingua di Nicholas, accarezzando insistentemente la sua, avesse mandato in cortocircuito tutto quanto, impedendole di ricomporsi.
E no, non era per niente male, pensandoci bene.



ciao a tutti!
amo questo capitolo, davvero, sono davvero contenta di com'è venuto, sdfghjk
e amo tantissimo lo strano tipo di rapporto che si sta instaurando tra nicholas e carly: voi che ne pensate?
avete qualche impressione particolare? fatemelo sapere, mi raccomando!
a presto, xxx
-Ronnie

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Capitolo 4
*** chapter three - may these memories break our fall. ***


78

Chapter three - MAY THESE MEMORIES BREAK OUR FALL.
 

-tutto bene?- .
La voce di Jane scosse Carly, che guardava fuori dal finestrino con aria impassibile: New York alle tre del mattino sembrava più viva che di giorno.
Non c’era un grattacielo che non fosse illuminato e per le strade, anche data l’ora, gruppetti di ragazzi di ogni età passeggiavano tranquillamente, ridendo e scherzando in tutta serenità.
Le luci al neon dei locali erano accecanti, così forti da non riuscire a distinguerne le scritte, e decine di taxi erano riusciti ad intasare la Fifth.
I finestrini rendevano tutti i suoni esterni ovattati: si riconoscevano chiaramente i numerosi clacson suonati da autisti decisamente scocciati da quel casino, schiamazzi dei ragazzi che urlavano, cantavano ubriachi, e le loro risate erano capaci di mettere allegria al più burbero dei prepotenti.
-eh?- chiese Carly, risvegliandosi.
-mi sembra che la serata sia andata bene…- Jane sorrise maliziosa: aveva beccato quei due in pieno, a lingue incollate, e non era certo incline a lascia correre come se niente fosse.
Voleva i dettagli, tutti, e in fretta.
-infatti!- rispose lei, mentre nella testa gli frullavano mille immagini, mille sensazioni diverse, tutte provocate dall'assurda perfezione di quel bacio.
Insomma, come potevano due sconosciuti avere una tale elettricità?
Come poteva essere stato quel momento, il primo, così meraviglioso da essere indimenticabile?
Aveva già baciato degli sconosciuti in discoteca, cosa anche piuttosto normale, ma nessuno di loro era riuscito a creare un'atmosfera così rilassata...
Quasi normale.
-hai intenzione di rivederlo?-.
-non lo so...-.
-dovresti.-.
-perchè?- chiese Carly, incuriosita dall'affermazione della sorella.
-perchè potrebbe renderti felice.-.
La minore delle due sospirò: qualcosa negli occhi di quel ragazzo riccio sembrava prometterle che sarebbe stato così.
  
-non devi avere paura di me, Charlotte, è facile!-.
Quell'uomo dai capelli scuri, la barbetta incolta sul mento e gli occhi neri incavati la scrutava con aria che sembrava quasi dolce, mentre picchiettava nervosamente con una mano sul materasso.
-l'hai fatto altre volte, in fondo, no? Che ti prende adesso?-.
Nonostante il tono della voce volesse apparire tranquillo e pacato, quel suono faceva raggelare il sangue nelle vene di Carly.
-Charlotte Electra Bowl, non ho tutto il pomeriggio: smettila di fare la bambina e vieni qui vicino a me!-.
L'espressione dell'uomo, che Carly aveva la disgrazia di dover chiamare "padre", si fece più dura, di chi non ammetteva alcun tipo di lamentela o replica.
La ragazza, allora tredicenne, con ancora qualche lentiggine sulle guance e il fisico non ancora completamente formato, sentiva le lacrime bruciarle negli occhi: no, non doveva piangere.
Come diceva suo padre, "lei era una bambina grande e doveva fare quello che fanno i grandi".
Quando da più piccola, sognava di diventare "grande", mai l'aveva sfiorata l'idea che si sarebbe ridotta in quel modo: quel modo così rude, sporco, vile, ma "grande", in ogni caso.
Si sentiva grande? Nemmeno un po'.
Oh, quanto le sarebbe piaciuto tornare a giocare con le bambole, e non con quell'uomo!
Non sapeva nemmeno cosa fossero gli uomini, a dirla tutta, e già suo padre pretendeva che capisse esattamente tutto.

"muoviti di là!", le diceva, oppure "da questa parte!", "più svelta, ragazzina!" e Carly non poté che scoppiare in un pianto fragoroso, distrutta dalla vergogna che aveva di se stessa.
Non voleva essere così, non voleva doversi far toccare dal suo stesso padre, sangue del suo sangue, per evitare qualche schiaffo in pieno viso o per guadagnarsi la cena.
Non voleva dover sentire il suo respiro accelerato che aumentava ad ogni spinta: quei gemiti rochi e bassi la disgustavano.
Non era come se l'era immaginato: tutti quei film che aveva visto, dove i protagonisti si toccavano dolcemente, sfiorandosi piano l'un l'altra, erano un'enorme balla agli occhi di Carly.
-cazzo, Carly! Più forte!- l'ultimo urlo di suo padre, il più profondo, echeggiò nella stanza, facendolo poi crollare sul corpo nudo della ragazzina, che lottava contro quel gran peso per non essere schiacciata.
Non che il suo orgoglio stesse facendo diversamente: erano sì e no otto mesi che quella storia andava avanti, e più passava il tempo, e meno era capace di guardarsi allo specchio senza che le venisse voglia di vomitare.
Quel corpo ancora infantile, con il seno ancora piccolo e i fianchi stretti, era già stato toccato più di una volta, tanto forte che si vedevano chiaramente i segni lasciati da quella bestia: morsi, graffi, tagli...
Scappare non poteva: Dio solo sapeva cosa sarebbe successo se suo padre l'avesse ripescata in giro.
E poi sentiva di avere un dovere verso sua madre e sua sorella, pur essendo la minore: sapeva che, se avesse continuato ad accontentarlo, nessuna delle due avrebbe corso alcun pericolo.
 
-tua figlia è una disgrazia! E' possibile che non riesca a fare niente di quello che le chiedo! Non mi sembra così complicato far venire un uomo: chiedo forse troppo?! Cazzo. Ma che razza di ragazzina mi hai dato!- quell'orribile uomo urlava contro sua madre, Patricia, dopo aver sferrato più di un colpo al viso di Carly, che cadde per terra, sbattendo la testa contro il marmo freddo del pavimento della cucina.
-vattene via! Tu e quella merda che hai partorito! Non vi voglio più vedere! E portati dietro anche quella piattola della sorella maggiore: né una e né l'altra mi servono a qualcosa!-.
Suo padre sbraitava: colpiva lei, poi la madre, poi apriva il mobiletto degli alcolici e prendeva un sorso di rum, per poi avventarsi di nuovo su Carly, che già sentiva una goccia di sangue rigarle la guancia.
-sei un mostro!- sua madre urlava lo stesso, noncurante della violenza dei colpi che le venivano tirati al viso, all'altezza dello stomaco, alle gambe.
-loro non ti ameranno MAI! Non ti chiameranno MAI "papà"! Perchè non sei degno di questo nome! Passeranno la vita ad odiarti! Perchè sei uno sporco animale!- e continuava, finché un ultima potente sberla le buttò la testa all'indietro, andando a finire dritta contro lo stipite tagliente della porta.
Calò il silenzio: Carly e Jane si guardarono agghiacciate: tremavano, consapevoli di quello che avrebbero visto quando avessero girato la testa verso la madre.
-finalmente sta zitta.- commentò l'uomo, guardando soddisfatto la scia di sangue che si era formata sotto il capo della donna, distesa a terra, con gli occhi semi aperti e il viso coperto di segni violacei.
-consolati, mia piccola Charlotte: non sarebbe mai stata una buona madre, né per te, né per Jane.-.
 
-cazzo!-.
Carly si svegliò di soprassalto, con la fronte grondante di sudore e le guance bagnate di lacrime: sul cuscino intravedeva, nell'oscurità, qualche segno di mascara sbiadito, mescolato a macchie umide.
-mio Dio, non di nuovo.- disse a voce alta, come per scacciare quell'incubo che la sua mente le aveva riportato davanti agli occhi.
Si passò più volte le mani tra i capelli, scendendo velocemente dal letto e fiondandosi in bagno: sotto il getto dell'acqua gelata sembrava essere di nuovo al sicuro.
Chiuse il rubinetto, asciugandosi il viso e le mani, poi tirò su la testa: l'immagine allo specchio rifletteva una ragazza spettinata, con il viso cosparso dei segni delle pieghe del cuscino e ancora qualche strisciata di trucco.
Una ragazza che si era vista l'intero suo passato sfrecciarle davanti: le violenze, la prima volta che suo padre l'aveva toccata, tutte quelle urla, il corpo di sua madre per terra...
Troppo per lei, troppo per una ragazza di vent'anni che cercava disperatamente di dimenticare tutto, di resettare i primi quattordici anni della sua vita e ricominciare da capo.
Più guardava lo specchio, e più si vedeva tornare indietro: l'immagine di lei a tredici anni le si parò davanti agli occhi, scuotendola di brividi da capo a piedi.
I capelli neri, decisamente lunghi, erano spettinati e legati in una coda fatta male, gli occhi sembravano infossati a causa delle tre dita di occhiaie violacee che aveva sul viso.
Il labbro superiore era gonfio, mentre quello inferiore riportava numerosi taglietti, che Carly ricordava essere dolorosissimi, soprattutto quando si pretendeva che con quelle stesse labbra facesse l'impensabile.
Era vestita, cosa insolita in presenza di suo padre: indossava la maglietta dei Lakers, un regalo di suo zio, e un paio di pantaloncini della tuta che le stavano enormi.
Erano gli indumenti più facili da togliere, a detta di suo padre; i piedi erano nudi, e le sembrava ancora di sentire il freddo gelido del marmo della vecchia casa.
Carly scosse la testa, chiudendo e aprendo più volte gli occhi finché quell'immagine sparì dallo specchio.
-calmati Carly.- si disse, quando si riconobbe di nuovo, poi tornò in camera: si rigirò più volte tra le lenzuola, senza trovare però rifugio da quelle immagini.
Le sembrava ancora di sentire nelle orecchie le urla della madre e gli schiocchi che facevano le botte di quell'animale sul suo viso: era come se sentisse l'odore del sangue, come se ce ne fosse stata una pozzetta proprio lì, accanto al suo letto.
Vide il viso terrorizzato di Jane, impotente davanti a quelle scene raccapriccianti, e la sua vecchia casa: ogni particolare suscitava un ricordo sempre peggiore.
La prima volta in cui suo padre l'aveva avuta, in salotto, o quando aveva deciso che per divertirsi doveva mettersi a graffiarle la pancia con il rasoio, in camera da letto, o quando quell'ultimo colpo fatale le aveva strappato via una delle due ragione che aveva per vivere.
Si sentiva la causa di tutto: la ragione della morte di sua madre, quella donna tanto importante  che nemmeno riusciva a spiegarselo, degli abusi di suo padre, della vita orrenda che era stata costretta a vivere… di tutto.
Lei allontanava l'amore, allontanava le persone e le distruggeva.
I suoi pensieri si spostarono come un tornado, focalizzandosi improvvisamente su Nicholas e nella mente di Carly apparve l’immagine del suo viso, così vivida che quasi lo poteva toccare: non avrebbe mai più dovuto vederlo.
Quella strana alchimia iniziata per caso e per ragioni sconosciute doveva finire, per essendo durata nemmeno un giorno.
Era l'unico modo per salvarlo.
Per salvarlo da lei, che sembrava essere veleno.



rieccomi! ciao splendori!
sono deciamente soddisfatta di questo capitolo, soprattutto perchè si iniziano a svelare alcuni lati del carattere e del passato di carly che erano nascosti, ma decisivi per capire il suo personaggio.
io la adoro, la trovo meravigliosa: è molto più forte di quello che si creda, molto più fragile.
cosa credete succederà adesso? fatemelo sapere!
ah, e ringrazio tantissimo tutti quelli che hanno inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite, o ovviamente chi continua a seguire e recensire! significa tantissimo per me, GRAZIE, sdfghjkl.
a presto, xxx
-Ronnie

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Capitolo 5
*** chapter four - I don't even know you. ***


78

Chapter four - I DON'T EVEN KNOW YOU.

 

-buongiorno bellezza!-.
Carly riconobbe quella voce in meno di un decimo di secondo, voltandosi verso la porta: Nicholas, tutto raggiante con giubbotto di pelle al braccio, jeans chiari e maglioncino nero, era entrato in caffetteria con aria tranquilla e un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
Sì, era bello. Da morire.
No, a Carly in quel momento non importava.
-MERDA.- pensò, facendo finta di niente e abbassando gli occhi sul lavandino.
-gioooooorno!- fece di nuovo quel suono inconfondibile e la ragazza, voltandosi, si trovò il viso del riccio a più o meno tre centimetri.
Probabilmente la sera prima non avrebbe disdegnato, ma in quel momento avrebbe solo voluto che quegli occhi da angioletto (e angioletto non era per niente!) si volatilizzassero seduta stante.
-ciao.- lo salutò, sforzando un sorrisino e tornando alle sue faccende.
-come stai splendore?- chiese Nicholas, senza togliersi quell'adorabile sorriso dalla faccia.
-alla perfezione, grazie. Tu?-.
-bene bene...-.
-perfetto.- commentò lei, poi fece per uscire dal bancone, ma due braccia forti la bloccarono dalla vita, tirandola indietro.
-che succede?- il viso di Nicholas si era fatto più teso e i suoi occhi castani la stavano scrutando in attesa di una risposta esauriente.
-niente, perchè?-.
Era risaputo che se c'era una cosa che Carly non sapeva fare, quello era fingere che tutto fosse a posto: raramente le riusciva bene, anzi, a dirla tutta quasi mai.
E pur conoscendola da complessivamente dieci ore, se non di meno, Nicholas se ne accorse subito, aumentando la presa sui fianchi della ragazza.
-certo, ci stiamo credendo tutti. Allora, sputa il rospo.-.
-ti dico che sto bene!-.
-non è che sei fidanzata, vero?! Perchè in questo caso sappi che non centro niente!-.
-ma figurati, mica è per quello!-.
-e allora qual è il problema?! Sei credo la prima ragazza che si fa venire i sensi di colpa! Insomma, era un bacio in discoteca: chi non l'ha mai fatto?!-.
Uno a zero per Ricciolofigo.
-oh, credimi: molte più volte di quanto tu immagini.-.
Uno pari: incredibile rimonta di Sfigatelladalpassatooscuro.
-touché.- rispose Nicholas, con sguardo ammirato.
-non dovresti farmi così innocente: non hai idea di chi sono...-.
-e allora dimmelo...-.
Calò il silenzio tra i due: Carly alzò lo sguardo, fulminandolo.
-non sono così interessante, Nicholas.-.
-io invece dico di sì.-.
-ah sì?- chiese Carly, con aria di sfida, ma la verità era che moriva dalla curiosità: negli occhi di Nicholas sembrava trasparire tanta sincerità, una sincerità insolita, che nessuno le aveva mai mostrato prima.
-parola di scout!- rispose lui, alzando la mano tenendo indice e medio attaccati proprio come gli avevano insegnato da bambino.
La ragazza ridacchiò, pensando a quanto quel suo sorrisetto goffo fosse dannatamente adorabile, poi tornò a guardarlo dritto negli occhi, aspettando che in quello sguardo cambiasse qualcosa.
Ma no, lui rimaneva immobile, dritto e impassibile come una statua.
-perchè dovrei essere sincera con te? In fondo non è stato che un bacio in discoteca, l'hai detto anche tu-.
Questo era decisamente un due a uno per Sfigatelladalpassatooscuro.
-perchè se una ragazza come te non è mai arrivata più in là di una caffetteria di New York, avrà sicuramente una storia da raccontare. E dev’essere anche parecchio interessante…-.
-e se mettessimo il caso che non volessi raccontarla a te? So a malapena come ti chiami.-.
-Nick Jonas, dei Jonas Brothers, piacere.-.
-CAZZO, È IL CANTANTE! QUANTO SEI CRETINA.- pensò Carly, che in quel momento avrebbe volentieri preso pala, piccone e chi più ne ha più ne metta e scavato una fossa lunga chilometri e chilometri sotto i suoi piedi, per poi passarci il resto dei suoi giorni.
-oh merda.- disse, sentendosi avvampare.
-tranquilla.- rispose lui, tornando ad avere quell’aria dolce con cui era entrato.
-scusa, non ti avevo minimamente riconosciuto…-.
Il colore delle grance di Carly continuava a passare senza sosta dal rosso pomodoro al violaceo prugna, mentre si passava nervosamente le mani tra i capelli: se c’era una cosa che non sopportava era quel qua timidezza che sembrava bloccarla continuamente, davanti a chiunque.
Che fosse la panettiera, sua sorella o un bel ragazzo, ogni volta che si sentiva colpita in qualche maniera il calore del suo viso aumentava, colorandosi un po’ troppo visibilmente, mettendola a disagio come non mai.
-non ti preoccupare: è più o meno questo il motivo per cui frequento la periferia di New York: qui in pochi si ricordano della mia faccia, quindi sono, diciamo, “libero” di fare cosa mi pare.- spiegò Nicholas, tirando poi fuori uno sguardo malizioso, che lasciava intendere fin troppo.
Carly taceva, nemmeno aveva il coraggio di tirare su la testa.
-guarda che l'avevo capito che non sapevi chi fossi... E non me la sono presa per niente, davvero.- continuò, accarezzandole dolcemente il viso e sollevandole il mento per poterla guardare negli occhi.
-okay, grazie…- sospirò Carly, sentendosi alleggerire lo stomaco.
Questo però non cambiava niente: Nick Jonas o no, star internazionale o meno, non si meritava di essere completamente evitato dall’amore.
-adesso mi racconti questa benedetta storia?- sorrise lui, scostandole una ciocca di capelli dalla guancia destra.
-non adesso: sto lavorando.-.
-bene, quando finisci il turno allora mi trovi qui fuori.- rispose il riccio, poi uscì dal locale senza lasciarle aggiungere niente.
Bel disastro.
Cosa gli avrebbe detto?
E come?
"Ciao, scusa, mio padre si approfittava di me a tredici anni e ha ucciso mia madre davanti ai miei occhi!" non sembrava certo una grande idea: il tatto mancava, e di parecchio.
-respira Carly...- si disse, sentendo la testa pulsare: doveva stare calma o avrebbe combinato l'ennesimo disastro.
-che cosa diavolo stai facendo, Carly?! Muoviti, i clienti aspettano!- il vocione di Josh interruppe (si potrebbe dire, fortunatamente) i suoi pensieri.
-scusami, faccio subito.- rispose la ragazza, tornando al bancone.
 
Grazie al cielo quella mattina il turno fu tanto sfiancante da non far avvicinare il cervello di Carly nemmeno per un momento al "discorso Nicholas": i clienti furono numerosi, uno più esigente dell'altro, ma almeno i pensieri della ragazza furono completamente concentrati sul suo lavoro, cosa che non era poi coì malaccio, visti i tempi che correvano in quella zona della città.
Verso mezzogiorno, la fine del suo turno, la mora vide spuntare una figura maschile dalla grande vetrina che faceva da parete al locale: Nicholas si sistemò contro il muro accendendosi una sigaretta e si mise a guardarsi intorno con un'aria tranquilla, rilassata, quasi affascinata.
Sembrava un bambino per il modo in cui teneva la testa sollevata con stupore verso il cielo ed aveva un’espressione così dolce, pura, come fosse senza pensieri in quel momento.
-non sono niente di speciale...- commentò Carly, uscendo dalla caffetteria e appoggiandosi vicino a lui.
-io li trovo affascinanti...- rispose Nicholas, continuando a fissare il profilo dei grattacieli che scintillavano sotto il sole di mezzogiorno.
-da dove arrivi tu non li avete, scusa?- Carly sorrise al pensiero: era talmente abituata a vedere ogni giorno quelle enormi costruzioni, che ormai le sembrava strana l'idea di poter vivere da qualche altra parte.
-vengo da Los Angeles, baby! Certo che abbiamo i grattacieli!- scherzò il riccio, tirando fuori un'aria spocchiosa che continuava però ad essere estremamente dolce.
-però quelli di New York sono diversi... Sembrano magici...- continuò, prendendo un tiro di sigaretta: Carly osservò il fumo grigiastro uscire lentamente dalle sue labbra, che si incurvarono in un ovale strettissimo e poi in un sorrisetto.
Gli davano un'aria incredibilmente sexy, questo non si poteva negare.
-ne vuoi una?- chiese Nicholas, tirando fuori dalla tasca del giubbotto di pelle un pacchetto di Lucky Strike.
Carly annuì, e il ragazzo le porse l'accendino: anche lei prese una boccata di fumo, buttandolo poi fuori velocemente, con nervosismo.
-se vuoi possiamo andare a mangiare un boccone qui in giro, così possiamo parlarne con calma...- suggerì Nick, dopo un paio di minuti di silenzio, durante i quali i due si studiavano a vicenda, bene attenti a non farsi notare: si squadravano con la coda dell'occhio, impassibili, e nelle loro menti tornava a galla il ricordo della discoteca e di quanta adrenalina avesse corso nelle vene di entrambi.
-sei ancora convinto che ti dirò la verità?- ironizzò la ragazza, tirando fuori un sorrisetto furbo.
-potrei sempre inventarmi una storia da Oscar!- continuò poi, stuzzicandolo.
-io sono irresistibile.- rispose Nicholas, che sembrava aver copiato perfettamente l'espressione di Carly.
Lei rise, prendendo un altro tiro: non era lei quella interessante, ma lui.
 
Camminarono in silenzio per qualche minuto, finché non si fermarono davanti ad un piccolo ristorante italiano:-qui va bene.- disse Nicholas ed entrarono.
Si sedettero, e dopo aver mangiato si misero a guardarsi insistentemente negli occhi, in attesa che uno dei due facesse la prima mossa.
Avevano parlato di qualunque cosa, tranne del vero motivo per cui erano lì.
Nicholas era stato gentilissimo, cortese e Carly iniziava a trovarlo quasi simpatico: poteva sembrare un po’ spocchioso all’inizio, ma più parlavano e più la ragazza si rendeva conto di quanto in verità avesse i piedi ben piantati per terra e la testa sulle spalle.
-allora, uomo irresistibile... Come hai intenzione di farmi parlare?- scherzò, alleggerendo l'aria che si stava facendo ogni secondo più tesa.
-ho i miei piani, Carly, non temere...- fece l'occhiolino lui, incrociando le mani sul tavolo.
-chi ti assicura che sarò sincera?-.
-niente.-.
-e perchè mi vuoi ascoltare lo stesso?-.
-perchè sono curioso.-.
-e come mai?- chiese la ragazza, continuando a fissare imperterrita gli occhi castani del riccio.
-te l'ho già detto: una ragazza come te non può essere finita a servire cappuccini nella periferia di New York senza avere una storia alle spalle. Tu ce l'hai, ne sono sicuro. E poi te lo leggo negli occhi: hai paura. Vorrei solo capire di che cosa.-.
Touché.
-io non ho paura di niente.-.
-e perchè hai sbattuto più volte le palpebre quando l'ho insinuato? Sai, è un segno di chi mente.-.
Ma come diavolo faceva?
Come riusciva a studiare ogni sua singola mossa?
-sei una qualche specie di alieno, Jonas?- ridacchiò Carly, sperando così di distogliere l'attenzione di Nicholas dalle sue guance sicuramente in fiamme.
-chi ti assicura che sarò sincero?-.
Merda, l'aveva fatto ancora: ormai il tabellone dei punti era "tanti" a "pochi".
-non essere troppo simpatico, potrei arrivare ad innamorarmi di te!- lo provocò la ragazza.
-così ad occhio, non penso ci voglia così poco, Carly.-.
Era serio, incredibilmente serio.
E questo la confondeva inevitabilmente: troppe domande, troppe supposizioni che si trasformavano in affermazioni in meno di un secondo, troppi sorrisetti beffardi che miravano solo a farla crollare.
Per quale motivo poi, non capiva ancora.
Non voleva parlare: perchè raccontare ad un "quasi sconosciuto" la sua vita, quando nemmeno lei la capiva e accettava?
Si svegliava tutte le mattine con il proposito di cambiare le cose, e questo non succedeva mai: perchè dirlo, buttando la sua dignità ancora più giù di quanto non fosse già?
Perchè renderlo partecipe dei suoi fallimenti, uno dopo l'altro?
Non aveva senso, e quel poco di orgoglio che Carly aveva ancora nel cuore sembrava stesse urlando a squarciagola.




ciao a tuttiiii!
allora, che ne pensate della storia fino ad adesso?
ho visto e risposto alle recensioni, quindi credo che per ora non vi dispiaccia, o almeno spero!
grazie davvero a tutti quelli che esprimono parere o mi danno consigli: siete meravigliosi, dfghjk
a presto, xxx
-Ronnie

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Capitolo 6
*** chapter five - if you're lucky, you're not gonna see me again. ***


78

Chapter five - IF YOU'RE LUCKY, YOU'RE NOT GONNA SEE ME AGAIN.

 

-cosa devo fare per farti parlare?- chiese Nicholas, notando lo sguardo perso della mora, che girava in tondo, alla disperata ricerca di una risposta.
-non parlerò, Nicholas, nemmeno se dovessimo rimanere chiusi qui dentro tutto il giorno.-.
-perchè no?-.
-semplicemente non sono affari tuoi...-.
-perchè sei venuta fin qui allora? Potevi benissimo scaricarmi davanti alla caffetteria e dirmi di non farmi più vedere, eppure eccoti qui... Ci dovrà essere un motivo, e sono sicuro che non è perchè ti offro la pizza, giusto?-.
Tirò fuori di nuovo quel sorriso dolce, sincero e premuroso: perchè voleva farla crollare a tutti i costi?
Perchè ci teneva tanto a vederla distruggersi parola dopo parola?
Ah già, ma lui nemmeno se lo immaginava.
Lui non credeva lontanamente che fosse possibile ciò che frullava nella testa di Carly: aveva vissuto nel suo mondo di popstar, glitter e macchine costose, non poteva certo sapere cosa erano in grado di fare gli uomini disperati.
-credimi, non vuoi sentire la mia storia, nessuno lo vuole...-.
-io sì: magari sono diverso dagli altri, e che tu ci creda o no, la paura che ti ho visto negli occhi quando sono entrato in caffetteria l'altro giorno è la stessa che vedo adesso. Il mondo ti spaventa, per chissà quale ragione: questo non puoi nascondermelo.-.
Carly sentiva le lacrime lottare per uscire: no, non doveva piangere.
"Le bambine grandi non piangono!" le aveva sempre detto suo padre, e purtroppo non era riuscita ad imparare nemmeno quello, anche dopo tutte le botte che si era presa.
Tirò un respiro profondo, sentendo che forse per il momento il magone si era attenuato, permettendole di parlare ad un tono di voce normale, senza dover spezzare le parole del colpa del groppo in gola.
-se avrai voglia di andartene, libero di farlo.- disse.
Inspirò di nuovo, chiedendosi quale strano tipo di incantesimo le aveva fatto quel tizio per renderla così vulnerabile, poi incominciò:-quando hai tredici anni le cose ti sembrano così facili, pure, semplici... Un "ti voglio bene" ha un solo significato, un abbraccio ha un solo scopo... Non era così, o almeno, per la mia famiglia non lo è mai stato. Ho vissuto con un padre che per dimostrarmi affetto mi toccava in continuazione, e non c'erano pianti o urla che tenessero: più urlavo e più mi faceva male, più piangevo e più lui aumentava la presa. A mia madre toccava la stessa sorte: tutte le sere, dopo che mio padre aveva finito con me, andava da lei, ubriaco fradicio, ed iniziava a picchiarla. Mi ricordo di certi colpi tanto forti da farla cadere per terra... L’ultima volta non si è più rialzata: ha battuto la testa contro lo stipite della porta in acciaio: ero piccola, ma mi ricordo ogni dettaglio paurosamente bene.-.
Si fermò un attimo, per buttare giù nuovamente il magone e cercare di decifrare l'espressione di Nicholas: era immobile e la fissava impassibile, quasi non la stesse nemmeno ascoltando.
-non avevo mai avuto paura di mio padre come in quel momento: quando ho visto il sangue per terra e gli occhi di mia madre chiudersi, mi ricordo di aver pensato "Dio, adesso è il mio turno."... Mia sorella era seduta sul tavolo della cucina, e guardava la scena senza avere il coraggio di aprire bocca. Scoppiai a piangere, cercando di svegliare in qualche modo la mamma, mi buttai sul suo corpo, scalciando e urlando con tutta l’aria che avevo nei polmoni, mentre nella mia testa si faceva spazio l'orrenda idea che forse non si sarebbe davvero più svegliata. Cosa potevo fare a tredici anni? Ribellarmi? Scappare, sapendo che quel mostro mi avrebbe trovata persino in capo al mondo? Non potevo, e anche Jane lo sapeva benissimo: resistemmo ancora un anno, poi un giorno lei riuscì a chiamare i servizi sociali mentre mio padre dormiva dopo una sbronza. Arrivarono in meno di un'ora: c'era anche la polizia, presero mio padre ed iniziarono a fargli mille domande su di noi, ma lui rispondeva sbiascicando le parole, ancora ubriaco perso. E' l'ultima immagine che ho di lui, dopo quel momento hanno preso per mano me e Jane e ci hanno fatto salire su una macchina nera con i vetri scuri. Alla guida c’era una signora sulla sessantina d’anni, che mi ricordo avere una faccia simpatica: dallo specchietto retrovisore ci guardò, sorrise dolcemente e disse qualcosa come “non vi preoccupate, ci penso io a voi”… Ancora adesso non so dire esattamente dove ci abbiano portate: dopo quel momento non ho molti ricordi di quel giorno... So solo che sono sette anni che il mio cervello si è convinto di essere una specie di veleno, che allontana OGNI COSA: l'amore, la famiglia, la felicità... Ho iniziato ad essere veramente felice due anni fa, quando io e Jane abbiamo deciso di trasferirci a New York e ricominciare tutto da capo: non sarei riuscita a continuare a vivere in quel modo, chiusa in una stanza di nove metri quadri a rimuginare su tutto ciò che avevo passato. Ecco perchè non ne parlo: solitamente la gente fa una faccia terrorizzata, oppure mi compatisce: non voglio essere compatita, né capita. Voglio solo poter camminare per le strade di New York senza sentirmi "quella diversa", capisci? Voglio poter dire, tra settant’anni, di aver vissuto la vita che IO ho scelto per me stessa, senza essere stata condizionata da niente e nessuno… Voglio poter essere come chiunque altro, pur sapendo che non ci riuscirò mai.-.
Silenzio.
Solo silenzio.
Nessuno dei due osava aprire bocca: cos'altro si poteva dire?
Nicholas si sentiva spiazzato: aveva immaginato che quella ragazza ne avesse passate tante, ma mai aveva pensato a quel genere di situazione.
Nel cuore gli stava montando una rabbia inspiegabile: come si era permesso di toccarla, quell'animale?
Come aveva potuto uccidere l'unica persona che aveva davvero voluto bene alle sue figlie?!
Come aveva potuto continuare a vivere con quella colpa?
Non se lo spiegava, non trovava una spiegazione per la quale qualcuno avrebbe dovuto essere stato tanto cattivo con Carly: sembrava buona, dolce, sensibile, magari un po' acida, a volte, ma assolutamente incapace di ferire qualcuno.
Con quale coraggio le aveva fatto così male?
Chiuse gli occhi per un momento, immaginandosi la scena che gli aveva appena raccontato e di essere lì ad assistere: se l’avesse avuto davanti l'avrebbe volentieri ucciso con le sue mani, pur di non lasciare che lei venisse toccata.
Un senso di gelosia morbosa, di attaccamento inspiegabile si  insinuarono nel suo cuore, facendogli ribollire il sangue nelle vene.
Strinse la tovaglia tra le mani:-cazzo Jonas, calmati!- si disse, cercando di far tornare il suo respiro regolare.
-hai reagito meglio di quanto pensassi.- commentò Carly, sorridendo timidamente.
-di solito si mettono a piangere, oppure se ne escono con quelle patetiche frasi tipo "oddio tesoro, dev'essere stata dura!" oppure "vedrai che passerà". Cosa passerà? Il fatto che mi abbiano stuprata a tredici anni e non una volta sola? E che sia stato niente meno che il mio stesso padre? O che abbiano ucciso mia madre davanti ai miei occhi senza la minima pietà? No, queste cose purtroppo non possono passare, e non lo faranno mai, per quanto io voglia poter cancellare tutto quanto. Ma non posso, e con il tempo ho imparato ad accettarlo.- continuò, sentendo ormai di non essere più in grado di trattenere le lacrime, si sentì rigare una guancia: erano fredde, e quando arrivarono alle labbra sapevano di sale.
Sapevano di passato, e di dolore.
-ti ringrazio per avermelo detto.- disse Nicholas, passandole un dito sul viso, bloccando un'ultima lacrima.
Carly chiuse gli occhi: il tocco delle sue dita era bollente, sembrava poter placare momentaneamente il dolore.
-probabilmente non mi crederai, e in questo momento non posso darti torto, ma sono convinto che tu valga molto più di ciò che pensi: non è il nostro passato a determinare chi diventiamo, lo decidiamo noi. Se non lascerai che la convinzione di essere un veleno per le persone si impossessi di te, diventerai migliore di quanto immagini. E te lo dico perchè questa persona è davanti a me in questo momento.-.
La ragazza non poté che sorridere: un completo sconosciuto era convinto che lei valesse qualcosa.
Com’era potuto succedere?
Solitamente la gente e stava alla larga appena capiva qualcosa, ma no, lui aveva deciso di rimanere lì ed insistere.
Perché l’aveva fatto?
Carly non era niente di speciale in fondo, niente di interessante, niente che fosse degno di un minimo cenno: lui invece credeva di sì, e glielo diceva senza il minimo problema, guardandola negli occhi, con tutta l'onestà di cui era capace nello sguardo, che era più di quanta ne avesse mai vista.
Niente compassione, niente commenti inutili e strazianti su quanto la vita fosse difficile: era stato semplicemente onesto nel ringraziarla e nel cercare di farle capire quanto questo suo odio per se stessa fosse sbagliato.
-grazie.- sussurrò, con la voce spezzata dalle lacrime che cercava disperatamente di trattenere.
-vieni, andiamo a prendere una boccata d'aria.- disse Nicholas, poi la prese per mano e la portò velocemente sul retro della pizzeria.
-ora sfogati, ti vedo che non ce la fai più.-.
Carly rimase immobile davanti a lui, consapevole di quanto fragile e disperata potesse apparire in quel momento: Nicholas la guardò dolcemente, allargando le braccia.
Ci si buttò dentro, senza pensarci due volte: aveva bisogno che qualcuno la abbracciasse davvero, che la tenesse forte da non farla respirare per un istante.
Non aveva idea di cosa si provasse, nessuno l’aveva mai abbracciata davvero, nessuno le aveva mai mostrato un minimo di affetto, a parte sua sorella.
Aveva bisogno che qualcuno le facesse capire che era tutto passato e che poteva vivere una vita normale, senza doversi per forza sentire un mostro.
Aveva bisogno che qualcuno, benché sconosciuto, le facesse capire che non era sola al mondo.
Pianse, pianse tutte le lacrime che il suo corpo era capace di produrre e sopportare, finché, tra gli ultimi singhiozzi chiuse gli occhi, sentendosi mancare.
-no! Niente scherzi, bellezza! Non ho intenzione di portarti all'ospedale proprio adesso!- Nicholas scherzò, cercando di farla sorridere quel minimo, e tirandola di nuovo in piedi.
Carly si asciugò le lacrime con la manica del golf che indossava, passandosi per le mani tra i capelli:-okay, sto bene.- disse, cercando poi di tornare ad un colorito e una pressione sanguina normale.
-ho già pagato il conto: vieni, ti riaccompagno a casa.-.
Camminarono fino alla macchina di Nicholas, non molto distante dalla caffetteria di Josh, poi salirono a bordo: Carly fissava fuori dal finestrino in silenzio, sentendosi incredibilmente libera.
Si era liberata di un grande peso e la sola consapevolezza che lui non era scappato dopo aver sentito il racconto la stava convincendo di poter sembrare come tutti gli altri.
-grazie mille... Per tutto.- disse, quando arrivarono davanti al grande grattacielo in cui viveva la ragazza.
-eh figurati, è stato un piacere... Sono io che ringrazio te per essere stata così sincera, non è cosa da tutti...- rispose Nicholas, sorridendo dolcemente.
Carly ricambiò, o almeno fece lo sforzo di provarci, poi si sporse verso di lui e gli stampò un leggero bacio sulla guancia.
-quando posso rivederti?- chiese lui, diventando improvvisamente serio, anche se Carly avrebbe potuto giurare di aver visto del rossore comparire sulle sue guance.
-se sei abbastanza fortunato, non mi rivedrai più.- rispose, e senza aggiungere altro scese dalla macchina, lasciandolo lì, incapace di parlare, incapace di pensare...
Incapace di fermarla.




è possibile innamorarsi di un capitolo? no, perchè io lo sono, oddio.
da qui la situazione diventa tosta, eh? finalmente carly si è aperta a nicholas!
adoro questi due insieme, non ne avete assolutamente idea, fghjkjhgfd
voi che ne pensate? avete dei consigli?
fatemelo sapere in una recensione!
a presto, xxx
-Ronnie

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Capitolo 7
*** chapter six – you shouldn't have come back. ***


78

Chapter six – YOU SHOULDN’T HAVE COME BACK.

 
-ehilà! Com'è andata la giornata?-.
Ad attendere Carly a casa c'era già sua sorella: le due si salutarono abbracciandosi, ma Jane riconobbe che quella stretta era una po' troppo sofferta per i suoi gusti.
Non era mica normale: solitamente Carly tornava a casa con un sorrisone immenso, raccontandole a macchinetta ogni singolo dettaglio della sua giornata, mentre quel pomeriggio taceva, o comunque non era così spigliata.
-è successo qualcosa?- chiese, prendendo il viso di Carly e scrutandolo attentamente.
-sono stata con Nicholas, sai, quello della festa... E bho, ho scoperto che è il cantante dei Jonas Brothers e visto che non avevo niente di meglio da fare ho deciso di sfogarmi con lui, raccontandogli per filo e per segno quanto la mia vita faccia cagare, ecco.- rispose lei, ironizzando, ma il dolore nei suoi occhi era ancora parecchio visibile.
-okay, per prima cosa: DAVVERO?! Anche se pensandoci, aveva un po' l'aria da persona famosa, ma vabbè, non è questo il punto... Che gli hai detto, Carly?-.
-tutto. Di papà, della morte di mamma, degli assistenti sociali... Non ce l'ho fatta: ho avuto il bisogno repentino di buttarmi alle spalle quattordici anni di vita per un secondo, ma mi stanno crollando addosso...-.
-cazzo.- imprecò la sorella: sapeva benissimo quando Carly avesse sofferto e quanto stesse combattendo con le unghie e con i denti per superare ancora lo shock.
-c'è qualcosa che posso fare per te?- chiese, accarezzandole dolcemente i capelli.
-no, sono a posto... Ah, non ho fame: ho mangiato una pizza con Nicholas, oggi... Cena tu, scusami se ti lascio sola, ma io vado in camera mia. Buona notte Jane...-.
La mora si allontanò verso la sua stanza, facendosi poi crollare a peso morto sul letto: possibili che le lacrime non fossero ancora finite?
Possibile che, dopo quasi otto anni, avesse ancora di che piangere ogni sera?
Si odiava per questo: non voleva piangere, non voleva che qualcosa di ormai passato la segnasse così tanto.
Voleva poter guardare un uomo sulla quarantina senza aver paura di essere aggredita, voleva poter vedere una madre per strada senza aver l'irrefrenabile impulso di correrle incontro ed abbracciarla per potersi ricordare come ci si sentiva, voleva poter sentirsi libera pur avendo il cuore incatenato ad un unico ricordo.
Si sentiva in gabbia, incapace di reagire, quasi impossibilitata a respirare: soffocava, era come se le pareti la stessero schiacciando, proprio come il suo passato.
E poi era arrivato quello strano sconosciuto, che sembrava dover essere uno spiraglio di luce: nessuno si era mai interessato davvero a cosa avesse da dire.
Oltre alle solite frasi fatte che risultavano puntualmente patetiche e fuori luogo, la gente solitamente si limitava a rimanere in silenzio con uno sguardo di commiserazione, cosa che faceva uscire di testa Carly.
Non era una povera sfigata, cazzo.
Non era una vittima dell'umanità, scampata a chissà quale disgrazia.
O meglio, forse lo era, ma si era ripromessa di ricominciare, di tornare a vivere come tutti gli altri, senza rimpianti o rimorsi di alcun genere.
Lui l'aveva guardata negli occhi, l'aveva abbracciata esattamente quando ne aveva avuto bisogno: chi mai l'aveva fatto, oltre a sua sorella?
Nessuno, mai.
Nel cervello di Caty si stava insinuando l'irrazionale idea che, forse, avrebbe avuto bisogno di vederlo ancora, di parlarci, di sfogarsi con lui, ma no, non poteva trascinarlo nel suo stesso incubo, sarebbe stato troppo egoista.
Lui aveva una vita felice: da quello che si diceva in giro, la sua famiglia era solida e amorevole, aveva tre fratelli adorabili, una carriera promettente a ventitré anni...
Perchè rovinarlo?
Perchè trascinarlo nell'abisso insieme a lei?

Non poteva farlo, sentiva che in cuor suo, nonostante tutto, non avrebbe nemmeno avuto il coraggio.
"Se sei abbastanza fortunato, non mi rivedrai più": avrebbe fatto tutto il possibile perchè questo si avverasse.
 
-ciao Josh.-.
La mattina dopo Carly si sentiva stranamente meglio: la notte le faceva sempre bene, soprattutto dopo i soliti pianti di un'ora e mezza che la sfinivano, facendola addormentare con la faccia spiaccicata sul cuscino, ancora truccata e vestita.
Però si era sfogata del tutto, almeno per il momento, e si era convinta che, dopo fiumi e fiumi di lacrime, forse avrebbe potuto vivere alla giornata, cercando di pensare il meno possibile.
A Nicholas, alla sua vita, al suo passato, a tutto.
-ciao splendore. Oggi sarà una giornata impegnativa!- ricambiò il suo capo, sostituendo poi il suo sorriso con un'espressione seria, di comando.
-certo, vado subito a controllare i tavoli.- rispose la ragazza, indossando il grembiule nero ed iniziando a fare il giro della piccola saletta dove gente di ogni genere stava facendo colazione.
-Nicholas! Qual buon vento, anche oggi?-.
-EH NO, CAZZO!- esclamò Carly, cercando di tenere un tono di voce più basso possibile.
Imprecò nella sua mente ancora un paio (di centinaia) di volte, poi si voltò verso il bancone, dove Nicholas Sonoovunquetipostalker Jonas si era tranquillamente appoggiato: i due si incrociarono con lo sguardo e Carly notò che in quello del ragazzo c'era un velo di preoccupazione.
Ringraziò il cielo per non aver notato nessun cenno a pietà o roba simile: forse almeno lui aveva capito.
-come stai?- chiese Nicholas, sorridendo premurosamente.
-meglio, grazie. Ma ti avevo detto di non tornare.- rispose, diventando improvvisamente di ghiaccio: ormai la corazza ce l'aveva dura, e non avrebbe permesso ad un paio di occhi castani più dolci del miele di farle abbassare la guardia di nuovo.
-e se mettessimo il caso che non mi interessasse? E poi Josh lo conosco da una vita.-.
-bhè, allora vai a parlare con lui: io sto lavorando.-.
-ehi, si può sapere che ti prende?!- esclamò Nicholas, prendendola per un braccio.
-ti ho detto che se fossi stato abbastanza fortunato, non mi avresti più rivisto: lo sto facendo per te, credimi. Dovresti collaborare un po’ di più, se accetti il ,io consiglio.-.
-e lasciami il braccio, mi fai male.- continuò Carly, fulminandolo con gli occhi: non permetteva a nessuno di farsi toccare, le metteva i brividi, facendole raggelare il sangue nelle vene: anche la più dolce delle carezze la metteva a disagio.
-volevo assicurarmi che stessi bene.-.
-e sto benissimo, grazie, ma smettila di preoccuparti. Mi ha fatto bene parlare con te ieri, ma come ti ho già ripetuto, la cosa finisce qui. Mi dispiace.-.
-come ti pare.- concluse Nicholas, sbattendo il pugno sul bancone, poi recuperò il giubbotto di pelle e uscì dal locale senza nemmeno aver salutato Josh.
-adesso vi conoscete?- chiese a Carly, notando poco dopo l'assenza dell'amico.
-non so quanto ci possiamo definire conoscenti, ma comunque sì...- rispose la ragazza, facendo sbollire la rabbia e il senso di colpa che aveva in testa.
Non sarebbe dovuto tornare.
Perchè aveva deciso di rendere le cose più difficili, facendola passare per la stronza senza cuore che se ne approfittava della gentilezza altrui?
-è un bravo ragazzo.- continuò Josh, sorridendo al pensiero di quel "bambino" di ormai ventitré anni che aveva visto crescere.
-oh, lo so.- rispose lei.
 
-oh bisogno di parlare con te.-.
Joseph, il fratello di Nicholas, aveva fatto irruzione nella caffetteria verso l'ora di pranzo.
-e ora tu che diavolo vuoi?!- chiese Carly, scocciata.
-senti, io sto cercando di fare il mio lavoro, e mi riesce un po' difficile, soprattutto quando tu e tuo fratello decidete di minare al mio autocontrollo!- continuò, cercando di rimanere il più calma possibile, anche se sapeva che ormai le sue gote avevano iniziato a prendere colore.
-è proprio di questo che voglio parlare: perchè quell'idiota di mio fratello è tornato a casa sbraitando parole a caso, il cui significato principale era "ho bisogno di rivedere quella stronza"?!-.
-e io cosa vuoi che ne sappia! Chiedilo a lui, no?-.
-si dà il caso che si sia rinchiuso nella sua camera di albergo, dopo essersi accuratamente intascato la chiave, e, dal geniaccio malvagio che è, ha anche pensato bene di accendere lo stereo a tutto volume, così adesso io non solo non posso parlargli, ma mi è anche venuto mal di testa perchè è tre ore che Elvis Costello e la sua stramaledetta chitarra mi martellano nelle orecchie! Quindi ora, cortesemente, mi dici che diavolo è successo: so che è stato qui, stamattina.-.
-sì, è passato verso le otto: voleva vedere me, mi ha chiesto come stavo e poi io l'ho liquidato.-.
-e potrei sapere il perchè?-.
-sono al lavoro, nel caso non l'avessi notato, non posso fraternizzare con i clienti o mi buttano fuori. E poi è una cosa tra me e lui: gli ho detto di non farsi più vedere, se poi non mi vuole ascoltare problemi suoi, io non centro più niente.-.
-cosa vi siete detti?-.
-ma possono essere affari miei? Siamo andati a mangiarci una pizza, ieri, e siamo finiti a parlare delle nostre vite, tutto qui!- rispose Carly, esasperata.
-okay senti, io posso capire quanto lavorare in un localaccio nella periferia di New York possa essere altamente stressante, ma non credo giusto che tu ti debba sfogare contro mio fratello, che è talmente scemo e adorabile che se schiaccia un insetto per sbaglio poi gli chiede scusa!-.
La ragazza sorrise lievemente al pensiero di quell'immagine, poi tornò seria:-e tu chi saresti per giudicare cosa faccio o meno? Sono tutti affari miei, e non capisco perchè tu e quell'altro ficcanaso pretendiate di sapere come io sia fatta in un minuto e mezzo! Non sapete niente, non avete visto niente! Cazzo, vi conosco da sì e no dodici ore complessive, e pretendete anche che io sia me stessa con voi?! Magari ad Hollywood funziona così, ma qui "nei localacci nella periferia di New York" la fiducia la si guadagna con il tempo.-.
Joseph si zittì e Carly per un momento, vedendo il suo sguardo, temette che avrebbe preso tutto quello che c'era sul bancone e scaraventato a terra: il verde dei suoi occhi si era tramutato in fiamme.
-perchè invece tu sai proprio tutto di mio fratello, vero? Va bene, senti, io mi sono stufato: se l'idiota ha intenzione di rimanerci di merda per colpa di una come te, bhè, io non ci posso fare proprio niente, se non dirgli che non ne vale assolutamente la pena. Ti saluto, baby.-.
Girò i tacchi ed uscì dal locale: stessa scena, quattro ore prima.
Carly sbuffò: ora era lei quella pazza nevrastenica, che bello.




eccomi di nuovo qui!
personalmente amo questo capitolo, soprattutto la prima parte, dove i veri "sentimenti" di Carly vengono fuori.
ringrazio chi ha recensito e messo tra le seguite/ricordate/preferite, siete meravigliose, sdfghjk!
detto questo.. a presto xx
-Ronnie

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Capitolo 8
*** chapter seven - until you learn to love yourself. ***



78

Chapter seven - UNTIL YOU LEARN TO LOVE YOURSELF.

 

-ma Cristo, Jane, possibile che non ne faccio una giusta?-.
Era più o meno un'ora che quella manfrina andava avanti senza sosta, e la maggiore delle due sorella credeva che di lì a circa cinque secondi le sarebbe esplosa la testa.
La storia era semplicissima, bastava dire "ho trattato male Nicholas e ho anche discusso pesantemente con Joseph", peccato che Carly aveva l'odiosa tendenza di ripetere più o meno all'infinito concetti semplicissimi e in quel momento era ancora ferma su quello iniziale, ovvero "sono io quella stronza, poverino".
Il che, per carità, non era nemmeno poi così sbagliato, ma come dirglielo?
Il problema stava nel farle chiudere momentaneamente la bocca, il tempo necessario per poterci infilare giusto due paroline facili facili:"HO CAPITO.".
Finalmente ci riuscì, impresa non da poco:-Ma scusa, stavolta te la sei cercata, Carly!-.
La mora si fermò dal suo attento esame delle piastrelle del pavimento del corridoio, che aveva già percorso una decina di volte, poi guardò la sorella, che se ne stava seduta sul divano in attesa della sua reazione:-LO SO, CAZZO!- esclamò, portandosi le mani ai capelli con aria esasperata.
-è colpa mia, cazzo! Ho reagito un po’ male...-.
-credi?- ironizzò Jane.
Carly la fulminò:-chiedi scusa, no?- suggerì poi.
-non se ne parla.-.
-e allora lascia le cose così! Carly, le soluzioni sono due: o chiedi scusa e ti liberi anche dal senso di colpa, oppure continui su questa via, poi però non venirti a lamentare! Hai reagito male, anzi malissimo, di fronte a qualcuno che per una volta si era preoccupato per te, e adesso devi accettarne le conseguenze.-.
La minore delle due sbuffo: Jane aveva sempre ragione, non c'era santo che tenesse.
-per questa volta ancora te la do vinta, ma prima o poi arriverà il giorno in cui sarò io ad avere la meglio!- scherzò Carly, poi andò a chiudersi in camera.
Scusarsi era assolutamente fuori discussione, ora il problema stava nell'affrontare le successive visite, cosa che era sicura sarebbe successo: Nicholas non sembrava affatto uno che lascia perdere subito, e nemmeno Joseph, a pensarci bene.
Affrontarli di nuovo non sembrava un'ottima idea, anche perchè il senso di colpa non giocava a suo favore: alla prima frecciatina sarebbe crollata, e su questo non c'era il benché minimo dubbio.
Si sentiva stringere lo stomaco al pensiero, sapendo che Nicholas aveva già visto quanto lei fosse fragile in realtà, e non aveva voglia di rincarare la dose.
-Carly, lascia perdere, tanto lo sappiamo tutti come va a finire: continuerai così e ti innamorerai di lui, al che ci rimarrai malissimo, come se fino ad adesso fosse stata una passeggiata, e la storia ricomincerà tutta da capo.- si disse, guardando l'immagine che rifletteva lo specchio: era una ragazza distrutta da tutto ciò che aveva intorno, segnata da un passato che non riusciva a dimenticare e con gli occhi che brillavano al pensiero di un futuro radioso, che però era convinta di non meritarsi.
 
-esco, ci vediamo più tardi.-.
Non era mai un buon segno quando Carly pronunciava quella frase: principalmente, era un modo gentile per dire "dovete lasciarmi tutti stare, mi state tutti quanti sul cazzo".
La ragazza infatti quando era nervosa usciva di casa per una lunga passeggiata per il parco del quartiere, in cerca di riposte, o per lo meno di un po' di tranquillità, per poter pensare con più calma, anche se spesso di risposte ai suoi problemi non ne trovava nemmeno una piccola piccola.
Scese le scale del grattacielo in cui viveva, attraversando poi distrattamente la strada: noncurante dei numerosi clacson che i conducenti scocciati le suonarono dietro, recuperò il pacchetto di Lucky Strike dalle tasche e se ne accese una.
Prese una boccata profonda, assaporando quel bruciore alla gola: era la sensazione più rilassante del mondo.
Solo lei e la sua sigaretta: quella sì che era vita.
O almeno, sembrava riuscire a vedere le cose con un po' più di chiarezza, cercando di mettere a posto quell'enorme casino che aveva in testa e nel cuore.
Si guardò intorno, mentre una nuvoletta di fumo grigio usciva dalla sua bocca e si diradava nell’aria fredda di New York: un gruppo di bambini giocava sullo scivolo e le rispettive madri se ne stavano sedute su una panchina a chiacchierare spensierate.
Di tanto in tanto una di loro alzava lo sguardo e gridava qualcosa verso i figli, riportandoli immediatamente all'ordine.
Carly sorrise teneramente a quella scena, poi voltò lo sguardo verso la figura di un vecchietto che camminava a testa bassa con un enorme alano al guinzaglio: sembrava triste, mentre osservava attentamente ogni pietruzza del terreno, quasi le stesse contando, e anche il cane sembrava capirlo, mentre annusava il sentiero e lanciava di tanto in tanto qualche guaito.
Prese un altro tiro, continuando per la sua strada.
Verso le sei del pomeriggio aveva ormai percorso l'intero perimetro del parco una decina di volte e fumato almeno quattro sigarette: i minuti non sembravano scorrere mai, quando era lì.
Carly si sentiva in una bolla di sapone, libera come l'aria, in una dimensione senza spaziò né tempo.
Si rese conto di aver camminato per parecchio, così decise di sedersi sulla prima panchina libera, proprio quella dove qualche ora prima si era fermato quel gruppo di mamme elegantemente vestite insieme ai propri bambini.
-l'ultima, giuro.- si disse, tirando fuori l'ultima sigaretta rimasta nel pacchetto: la accese, chiudendo un momento gli occhi.
Non era arrivata a nessuna conclusione: sentiva ancora il rimorso tormentarle lo stomaco e l'orgoglio che si rifiutava di farle ammettere l'errore fino in fondo.
Perchè le importava così tanto?
In fondo era già stata acida con qualcuno prima di quel momento, e un paio di commenti e frecciatine sarcastiche non avrebbero sicuramente significato niente.
O forse no.
No, perchè se fosse stato così, ora il suo stomaco non starebbe gridando pietà: era tutto il giorno che le faceva male, e Carly rischiava seriamente di impazzire.
-sapevo che ti avrei trovata qui.-.
La ragazza sobbalzò: si voltò di scatto, spaventata com'era.
-cazzo Nicholas, stavo per morire!- esclamò, riconoscendo la figura del riccio in piedi, con le mani nelle tasche dei pantaloni color kaki e il cappuccio della felpa tirato in testa.
-scusa.- rispose lui, ridacchiando.
-posso rubarti un tiro?- chiese poi, notando la sigaretta tra le dita della mora.
-se proprio devi...- rispose questa, porgendogliela: osservò attentamente quelle labbra mentre aspiravano e buttavano fuori il fumo.
L'aveva già visto fumare, ma si stupì di quanto sembrasse bello e ammaliante in quel momento.
-grazie.- disse Nicholas, ridandole il maltolto.
Carly accennò un sorriso di risposta, prendendo l'ultima boccata e spegnendo la sigaretta per terra.
-posso sedermi?-.
-tutte ste domande: certo che puoi, coglione.- avrebbe voluto dire, ma si guardò bene dal farlo: già la situazione era pessima, meglio evitare di aggravare il tutto.
-vieni.- rispose invece, facendogli posto sulla panchina.
-quante ne hai fumate in tutto?-.
Carly ridacchiò nervosamente:-tipo cinque, credo.-.
-lo sai che fa male.-.
-sì mamma!- lo canzonò lei, tornando poi a sorridere.
Nicholas divenne serio:-credo di doverti delle scuse.-.
-ma che cazzo?!- si disse: LUI che chiedeva scusa a LEI?
Cos'era? Un universo parallelo in cui tutti facevano il contrario di tutto?
-mi stai davvero chiedendo scusa?- chiese Carly, più confusa di quanto era arrivata al parco.
-bhè… Sì. -.
-potrei sapere perchè?-.
-ho sbagliato a venire in caffetteria: avrei dovuto capire che era meglio se te ne stavi un po' per conto tuo. Non avevo immaginato quanto fosse stato difficile per te...-.
Stava scherzando, sicuramente.
Carly stava per sotterrarsi:-Nicholas... Se qui c'è qualcuno che deve chiedere scusa per qualcosa sono proprio io.-.
-tu hai fatto solo quello che sentivi: non ti biasimo.-.
-invece dovresti: mi hai ascoltata, mi hai consolata, e tutto quello che riesco a dirti il giorno dopo è "vattene via"?! Dopo che sei venuto per vedere come stavo?! Sono io ad aver sbagliato, sono stata un’enorme egoista: scusami tu.-.
Il senso di colpa era peggiorato: possibile che quel ragazzo avesse deciso di impegnarsi a non ferirla in alcun modo?
Non era più semplice dire "sì, stronza, adesso pretendo delle scuse sincere", invece che andare lì, tutto carino e adorabile come al solito, ed essere il primo a cercare di chiarire?
Nicholas stava in silenzio, guardando per terra.
-senti, io so che posso sembrare un po' acida, e anche troppo forse, ma... Non posso farci niente, sono impulsiva da morire e mi sento malissimo per averti risposto così male. Non te lo meritavi, non dopo tutto quello che hai fatto per me ieri.-.
-l'ho fatto perchè era giusto: avevi uno sguardo che faceva paura anche a me. E' come se avessi vissuto per un momento quello che tu hai passato in ventun anni: Dio, mi vengono ancora i brividi a pensarci.- si scosse, tirando su la testa e tornando a guardare Carly negli occhi.
Lei sorrise, consapevole dell'effetto che il suo racconto aveva sulle persone:-capisco che ti abbia turbato... Ecco perchè ti chiedo scusa: dopo una storia del genere avresti dovuto come minimo scappare a gambe levate e non mettere mai più piede a New York, e invece sei rimasto, mi hai abbracciata e lasciata sfogare... Non l'aveva mai fatto nessuno. Nessuno mi aveva mai ascoltato davvero.-.
-mi ha fatto piacere, insomma... Morivo dalla voglia di capire perchè mi attraevi come una calamita.-.
La mora si sorprese, guardandolo storto:-cioè?-.
-che ho capito per quale motivo non riesco a starti lontano per più di tre ore: la prima volta che sono entrato in caffetteria avevi il fuoco negli occhi. Era un fuoco enorme, che spaventava chiunque, tranne me: sembravi così arrabbiata con il mondo, con me, con Josh e volevo assolutamente sapere perchè.-.
Nicholas si fermò un attimo, riprendendo fiato, e notò come Carly era rimasta pietrificata.
-quando mi hai raccontato tutta la tua storia ho visto invece tanta paura: la paura che quell'animale potesse ricomparirti alle spalle da un momento all'altro, o che il tempo decidesse ti riavvolgersi, riportandoti a quell'incubo. E' lì che ho capito cos'era quella calamita: ho visto i tuoi occhi passare dalla rabbia alla paura... Adesso voglio esserci per vedere cosa gli succederà ancora, e voglio che cambino per causa mia.-.
Carly era immobile, non poteva credere alle parole che erano appena uscite dalla bocca di Nicholas: voleva esserci?
E perchè?
Lei non valeva la pena di provare, o di rimanere, non valeva la pena di nulla.
Si sentiva le lacrime, pur non sapendone il vero motivo, e lottava disperatamente con se stessa nel tentativo di bloccarle: basta debolezze, ai suoi occhi non doveva più sembrare debole.
-tu non hai idea del guaio in cui ti stai cacciando, sul serio.- disse, sentendo la voce spezzarsi a metà frase.
-no Carly, dai.- si disse, prendendo un respiro profondo.
-non mi interessa, Carly: ormai ci sono dentro fino al collo.-.
La ragazza sorrise, mentre lasciava che la prima di molte lacrime le rigasse la guancia: Nicholas la raccolse con la punta dell'indice:-puoi ancora uscirne.- disse lei.
-non voglio uscirne, non posso più: quello che voglio fare adesso è proteggerti.-.
Non resistette più, e un pianto disperato scoppiò nel cuore della mora: buttò la testa contro il petto del ragazzo, mentre il suo respiro si affannava sempre di più, interrotto costantemente dai singhiozzi.
Nicholas le accarezzò i capelli, stringendola forte a sé:-ci sono io adesso, non vedi?-.
-non dovresti: io non dovrei aver bisogno di nessuno!- protestò la ragazza, asciugandosi il viso con la manica del giubbotto che indossava.
-ehi, guardami, dai.- disse il ragazzo, poggiandole un dito sotto il mento:-tutti abbiamo bisogno di qualcuno, sempre. Non puoi fare tutto da sola Carly, nessuno ci riesce.-.
-ma io ho sempre fatto tutto da sola.-.
-lo so, e credimi che ne ho viste davvero poche di ragazze con un cuore forte come il tuo: ma bisogna anche avere un momento di tregua, sai? Non sei una macchina, non sei indistruttibile: anche tu devi rallentare, qualche volta. Anche tu hai il diritto di avere una spalla su cui piangere.-.
Carly si sentì crollare definitivamente: l'avrebbe protetta.
Non avrebbe più dovuto stringere i denti fino a farsi male.
Non sarebbe più dovuta essere sola in tutto.

Era vero?
O era uno di quegli stupidi scherzi che le faceva la sua testa, di tanto in tanto?
Stava dormendo, nella sua camera, con ancora il pensiero della discussione con Nicholas in testa?
Lui era davvero davanti a lei, e la stava stringendo come mai nessuno prima?
Aveva ancora gli occhi chiusi, quando le labbra di Nicholas si appoggiarono sulle sue: erano bollenti e morbide, dolci.
Le portò le mani al viso, prendendolo e spingendolo verso il suo in quel bacio disperato: si volevano, si desideravano, avevano BISOGNO l'uno dell'altra.
-lasciati proteggere, lasciati amare, Carly.- sussurrò Nicholas, prima di tornare a premere sulla bocca di lei.
No, non l'avrebbe solo aiutata e amata...
L'avrebbe salvata.
 

Much as you blame yourself, you can’t be blamed for the way you feel
Had no example of a love, that was even remotely real
How can you understand something that you never had
Oh baby if you let me, I can help you out with all of that
Girl let me love you and I will love you until you learn to love yourself
Girl let me love you and all your trouble, don’t be afraid, girl let me help
Girl let me love you a heart of numbness, gets brought to life: I’ll take you there
I can see the pain behind your eyes
It’s been there for quite a while
I just wanna be the one to remind what it is to smile
I would like to show you what true love can really do
Girl let me love you and I will love you until you learn to love yourself
Girl let me love you and all your trouble, don’t be afraid, girl let me help
Girl let me love you a heart of numbness, gets brought to life: I’ll take you there
Let Me Love You - NeYo

 




Non so cosa dire su questo capitolo, è un colpo al cuore.
Lo amo da morire, davvero: amo il modo in cui Nicholas mette tutto se stesso in questa sua "missione", e amo vedere come Carly passì dall'essere di ferro a mostrarsi vulnerabile come in realtà.
Carly sono io, la differenza è che però non è ancora arrivato Nicholas a salvarmi.
Calry siamo un po' tutte noi, che crediamo nell'amore e continuiamo a sperarci, nonostante le migliaia di cuori infranti.
Siamo coraggiose, ecco cosa siamo.
E sono fiera di noi, di tutte noi.
Questo capitolo quindi l'ho scritto un po' per me stessa, e un po' per voi, perchè riusciate a trovare in Nicholas ciò che cercate, anche solo per i pochi minuti che impiegherete a leggerlo tutto.
E vi ringrazio per il tempo che gli avrete dedicato, ci tengo davvero moltissimo.
Detto questo passo e chiudo. xxx
-Ronnie

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Capitolo 9
*** chapter eight - you save me. ***


78

Chapter eight - YOU SAVE ME.

 
E se lui fosse stato DAVVERO la salvezza?
Se lui fosse stato una qualche specie di creatura meravigliosa, arrivata per portarla alla fine del tunnel di buio che era sempre stata la sua vita?
Adesso Carly vedeva la fine, la distingueva chiaramente, e riusciva finalmente a correrle incontro, per trovare ciò che aveva sempre desiderato: una vita vera.
Come aveva potuto uno come lui, così perfetto, così premuroso, voler prendersi cura di una ragazza come lei?
Non era niente di speciale: sì, era carina, a quanto dicevano i clienti della caffetteria, ma era sufficiente?
Non era granché intelligente, non essendo riuscita a finire nemmeno il terzo anno di liceo, era acida e aspra come un limone e non credeva assolutamente in niente.
Come poteva Nicholas guardarla con tanta dolcezza negli occhi?
Come poteva baciarla come fosse nato solo per quello?
Come poteva stringerle la mano per strada, rendendola invincibile?
Carly non riusciva a spiegarsi niente di tutto questo: si era sempre creduta diversa da com'era in realtà.
Lei era forte, sicura di sé, egoista e cinica fino al midollo.
Lei non credeva in Dio, non credeva nell'amore, né nel destino: viveva alla giornata, senza preoccuparsi di niente e nessuno, avendo già abbastanza guai per conto suo.
O forse credeva di essere così.
Poi era arrivato lui, e aveva ribaltato ogni cosa: Carly aveva scoperto di poter ancora provare dei sentimenti come la felicità, la gioia, e soprattutto l'amore.
Si era dimenticata com'era avere le farfalle nello stomaco, o le ginocchia tremole quando veniva baciata con tanta dolcezza, o com'era bello sentirsi arrossire di fronte ad un complimento.
Aveva dimenticato cosa fosse l'amore, cosa fosse tenere a qualcuno quanto la propria vita.
Sentiva di avere bisogno di quel ragazzo ogni ora del giorno e della notte: quando lui non c'era, lei lo teneva con sé nella sua mente, impedendo così agli incubi di insediarsi dentro di lei e catapultarla in quel tornado di orrore da cui Nicholas l'aveva tirata fuori.
Lui voleva LEI, lei e basta.
Carly non voleva crederci, nemmeno si fermava a pensarci troppo: e se fosse stato un sogno?
E se fosse stato uno scherzo della sua testa, di quelli che svaniscono sul più bello?
Non poteva permetterlo, perché in un mese aveva di nuovo imparato a vivere, a sorridere, e ad amare.
Credeva di amarlo, sì: lui la stava salvando un pezzo per volta, e stava riuscendo a riunire quell’intricato enigma che erano il suo cuore, la sua testa, i suoi sentimenti.
Mai l’aveva ferita, mai ci aveva anche solo pensato un secondo: lei era diventata la ragione di tutto.
In ogni cosa, Nicholas vedeva Carly: nel caffè caldo e fumante la mattina, tra l’erba verde di qualsiasi parco della città, in ogni mozzicone di sigaretta spenta trovato per terra o in un qualsiasi scintillante grattacielo di New York.
Lei era in ogni cosa: la sua essenza così bella e dolce lo perseguitava ovunque, confondendolo, stordendolo completamente, prendendo ogni singola parte di lui, senza lasciarlo andare.
E gli piaceva, gli piaceva da morire.
Si sentiva suo, in ogni gesto, ogni parola, ogni pensiero: quella ragazza dagli occhi colore dell’oceano aveva di nuovo dato un senso a tutto, stava consumando ogni suo giorno.
Sentiva di poterla quasi vedere, anche in sua assenza, in ogni nota delle sue canzoni, come se fossero state scritte apposta per loro due, senza saperlo.
Pensare di poterla perdere lo uccideva: quel pensiero orribile si tramutava nel peggiore dei suoi incubi, impossessandosi della sua mente, del suo cuore.
Tutti i giorni pregava che questo non succedesse: come sarebbe potuto andare avanti senza il suo supporto?
Come si sarebbe svegliato la mattina, sapendo di non dover salire in macchina per andare da lei?
Come si sarebbe addormentato la notte, senza rivolgere il pensiero a lei, immaginandola nel suo letto, ad occhi chiusi, bella come un angelo, avvolta dalle braccia di Morfeo?
Nicholas sentiva nel petto la consapevolezza che quella corazza da duro si stava intenerendo: come aveva potuto lasciarlo succedere?
Fino a tre mesi prima non avrebbe mai immaginato che sarebbe successo, e mai l'avrebbe permesso.
Ma adesso si sentiva impotente davanti a quel crollo: assisteva attonito, senza essere capace di reagire, nel vedere l'effetto che quella ragazza aveva sul suo cuore.
 
-come mai sorridi?- chiese curiosa Carly.
La ragazza teneva la testa appoggiata al finestrino dell’auto di Nick, che sfrecciava veloce per le strade di New York.
-io?! Niente!- dissimulò il ragazzo.
Carly lo maledisse per aver messo gli occhiali da sole con le lenti a specchio: così era davvero impossibile decifrare la sua espressione, cosa che le riusciva sempre parecchio bene.
-sì invece! Stai macchinando qualcosa.-.
-ma se sono un agnellino!- ridacchiò il riccio.
-tanto lo so che mi stai portando da qualche parte di assurdo…-.
-tu dovresti imparare a fidarti delle persone, signorina Bowl.-.
-lo sai che non ci riesco…-.
-lo so perfettamente, ma ti chiedo di fidarti di me.-.
Nicholas si tolse gli occhiali, consapevole che l’impossibilità di guardarlo negli occhi stesse terribilmente confondendo la ragazza:- va meglio adesso? Vuoi fidarti?-.
Carly sorrise:-non stavo dubitando…-.
-brava piccola.- le stampò un bacio a fior di labbra, tornando a guadare la strada.
-la volta che ti capisco sarà un miracolo, Jonas.- sbuffò Carly, divertita dal comportamento di Nicholas.
Oh se si fidava: ciecamente.
Anche l’avesse voluta portare in capo al mondo, probabilmente lei l’avrebbe seguito senza esitare: era la luce, le braccia tra cui sapeva di potersi sempre rifugiare.
Carly si sentii toccare un braccio:-sveglia, bella addormentata, che siamo arrivati…-.
La ragazza si stiracchiò quanto l’abitacolo di una Mustang permettesse, poi si voltò verso Nicholas:-siamo arrivati?-.
-venti minuti fa, veramente!- le sorrise lui, stampandole poi un bacio sulla fronte.
-e svegliarmi?!-.
-eri così tranquilla… Ho pensato che ti servisse un po’ di riposo…-.
Carly non si era mai resa pienamente conto di aver bisogno di qualcuno finché lui non era arrivato nella sua vita.
Sorrise, guardandosi in giro:-JFK?-.
-già! Dai prendi la borsa e andiamo!-.
Sembrava un bambino di dieci anni a Natale: insomma, era un aeroporto.
-tutta questa euforia non m piace per niente!- rise Carly, trascinata dal passo goffo e saltellante con cui Nicholas era andato ad aprire il bagagliaio dell’auto.
-tieniti questo macigno: sono mica un facchino io!-.
-i gentiluomini di una volta non esistono proprio più, eh!- lo provocò la mora, tirandogli una pacca sul petto.
-dammi qua, rammollito!- continuò, prendendosi la borsa che Nicholas le aveva preparato qualche ora prima.
Il fatto che l’avesse fatta tutto da solo, non dando il minimo indizio su cosa ci fosse dentro la preoccupava parecchio: non si poteva mai prevedere cos’avrebbe escogitato quell’adorabile testa di cazzo.
-dammi la mano: non voglio che i fotografi ti rapiscano!-.
La ragazza obbedì, tenendosi stretta a lui: entrati in aeroporto, una marea di flash l’accecarono.
Strinse ancora la presa sulla mano di Nick, che cercava di tenerla attaccata a sé il più possibile: Carly sentiva solo urlare, nemmeno poteva aprire gli occhi.
Si sentiva chiamare per nome e un paio di guardie del corpo la stavano spintonando: sbuffò, socchiudendo gli occhi tanto da riuscire a vedere solo una striscia di pavimento.
Nicholas le passò un braccio intorno alle spalle, accostando il viso di Carly alla sua spalla:-ci siamo quasi, scusa.- disse, facendosi poi strada insieme ai bodyguard.
-sono degli animali, mi dispiace.- disse il riccio, mortificato, quando finalmente riuscirono a passare il check in, ritrovando la tranquillità.
-immagino sia parte del pacchetto...- sorrise lei.
-ti hanno fatta male?-.
-tranquillo sto bene: le due guardi mi hanno un po' scaraventata ovunque, ma non mi sono fatta niente.-.
-bene, perchè in caso contrario sarebbe stato un problema molto grave...-.
-perchè?- chiese Carly, incuriosita.
-non posso picchiare due bodyguard! Hai visto quanto sono spessi?-.
La risata spontanea di Nicholas trascinò quella di Carly, che si ritrovò persino ad avere le lacrime agli occhi:-Dio, quanto sei cretino!- esclamò, stampandogli poi un bacio sulle labbra.
-dai, andiamo che stanno chiamando il nostro volo...-.
-l'hai fatto apposta!- urlò Carly, mentre camminavano per l'aeroporto.
-che cosa?-.
-stavi ridendo rumorosamente apposta per non farmi sentire la destinazione!-.
Cazzo, era proprio un genio malvagio quel Jonas.
-può darsi di sì, ma può anche darsi di no, piccola!-.
-ti odio.- rise Carly, scompigliandogli i ricci.
-io odio te, dopo questa.-.
La ragazza lo guardò con aria curiosa:-i miei ricci non si toccano!- esclamò Nicholas, fingendosi offeso.
-e invece io li tocco quanto voglio!- protestò Carly, lanciandosi di nuovo sui suoi capelli, scompigliandoglieli peggio di prima.
-ma quanti anni hai, tu?!- scherzò Nicholas, portando il suo viso vicino a quello della ragazza, così che i nasi dei due si sfiorassero.
-cinque e mezzo.- rispose lei, seria.
-certo... Per arto!- rise lui, pizzicandole dolcemente la guancia e baciandola dolcemente sulle labbra.
-comunque giochi sporco.- fece rimarcare Carly, mentre salivano la scaletta dell'aereo.
-ma come, non senti anche tu il brivido del mistero?!- ironizzò Jonas.
-stupido.-.
 
-menomale ti sei addormentata, se no avrei dovuto bendarti per non farti indovinare dove siamo!- rise Nicholas, mentre accarezzava dolcemente Carly, appena sveglia.
Lei si stropicciò gli occhi, non curante del trucco che aveva sul viso:-io prima o poi ti ammazzo.- disse, voltandosi verso di lui e sfoderando uno di quei sorrisi che facevano mancare la terra sotto i piedi al riccio.
Lei era così bella, così sensuale, così dolce da non sembrare nemmeno vera: come aveva potuto arrivare fino a lui?
Chi gliel'aveva portata?
Non ne aveva idea, più passavano del tempo insieme, e più il ragazzo si convinceva che quell'angelo dagli occhi blu fosse letteralmente un dono del cielo.
Lei sorrideva, lui sorrideva con lei.
Lei piangeva, lui non riusciva a non condividere quel dolore.
Lei scherzava, scatenando la più sincera delle risate.
Lei era tutto, ogni cosa e per Nicholas niente aveva più importanza.
-okay! E' era di scendere, forza!-esclamò, alzandosi velocemente dal sedile e trascinandosi dietro Carly, ancora assonnata e mezza rintontita: qui c'era di mezzo il fuso orario, se lo sentiva.
-pronta?- chiese il riccio, euforico come Carly non l'aveva mai visto.
-fa' che sia qualcosa di grandioso, stronzo.- disse lei ridendo, poi chiuse gli occhi.
Sentì la mano di Nicholas appoggiarsi ai suoi occhi, per essere sicuro che fossero ben serrati.
-uno... due...-.
-mi stai facendo venire un'ansia che non hai idea!- si lamentò Carly, che era appena stata percorsa da capo a piedi da un brivido ghiacciato.
Odiava quando le succedeva: era il segnale che quello che stava per succedere sarebbe stato diecimila volte meglio di come se lo aspettava.
E se si parlava di Nicholas Jerry Jonas, allora era un bel casino.
-benvenuta a Los Angeles, piccola.-.




Chiedo perdono: non aggiorno da un secolo.
Ma sono stata impegnatissima con la scuola: scusatemi davvero.
Comunque questo è il capitolo nuovo, di cui sono abbastanza soddisfatta.
Finalmente Carly ha avuto il coraggio dei suoi sentimenti, cosa che credo dovremmo fare tutti, sempre.
Bisogna essere coraggiosi, e saper rischiare tutto.
Ci ho messo diciassette anni per impararlo, ma adesso ne capisco il valore.
Chiudo con il sermone e vi auguro una buona lettura!
Mi raccomando: se avete critiche, consigli o commenti da fare, non esitate a scrivermi e recensire!
Grazie a tutti xx
-Ronnie

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