All The People I've Become

di CompletelyOriginalUser
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Evil Twins ***
Capitolo 2: *** Put On Your Poker Face ***
Capitolo 3: *** Perfect Silence ***
Capitolo 4: *** Necessary Roughness ***
Capitolo 5: *** Hilarious Contradictions ***
Capitolo 6: *** I Like My Coffe With Extra Guilt ***
Capitolo 7: *** Gym Class And Other Traumas ***
Capitolo 8: *** Cheater, Cheater, Pumpkin Eater ***
Capitolo 9: *** I Thought You'd Never Ask ***
Capitolo 10: *** Charity Case ***
Capitolo 11: *** Smell Like Teen Spirit ***
Capitolo 12: *** Ehi, Arnold! ***
Capitolo 13: *** Fourth's Night The Charm ***
Capitolo 14: *** Dumb Blondes ***
Capitolo 15: *** The Possibilities Are Endless ***
Capitolo 16: *** Gender Bender ***
Capitolo 17: *** Take The Shirt Of My Back ***
Capitolo 18: *** Without Her Animals ***
Capitolo 19: *** I'm a Dead Man Walking ***
Capitolo 20: *** Monster ***
Capitolo 21: *** Funeral ***
Capitolo 22: *** Smoke Break ***
Capitolo 23: *** Best Years Of Our Lives ***
Capitolo 24: *** Birthday Presents ***
Capitolo 25: *** Similar Creatures ***
Capitolo 26: *** Three Square Meals, Four Long Days ***
Capitolo 27: *** Kamikaze ***
Capitolo 28: *** The Last Sleepover ***
Capitolo 29: *** Dress For Success ***
Capitolo 30: *** Brownies and Cockroaches ***
Capitolo 31: *** The Oddest Moments ***



Capitolo 1
*** Evil Twins ***


Questa raccolta è stata tradotta con il consenso dell'autore.

Potete trovare la storia originale sul questo sito http://www.fanfiction.net/s/9026487/1/All-The-People-I-ve-Become





ALL THE PEOPLE I'VE BECOME
 


Si morse il labbro fino a farlo sanguinare.

Non era giusto, non era assolutamente giusto che lei fosse nata con un bel viso. Quando era piccola, le belle ragazze erano le eroine, le principesse, le giovani che facevano e dicevano sempre la cosa giusta.

Lei non era ciò che sembrava, e nei momenti più bui odiava essere considerata bella dal mondo. Odiava il fatto che la sua bruttezza interiore non fosse visibile.

Forse, se tutti avessero potuto vedere quello che Jake, Cassie, Marco, Ax, e ne era certa, anche Tobias vedevano non si sarebbe sentita una bugiarda e anche una psicopatica.

Ma perché si deve scegliere, Psycho Rachel? Entrambe vanno bene!

Balzò sul letto, sentendo le lenzuola appiccicarsi alla sua pelle sudata.

Crayak. Urlò furiosamente nella sua testa, ma tutto quello che uscì dalle sue labbra fu il sussurro di una ragazzina spaventata da un incubo. Si girò su un fianco premendosi il cuscino sulle orecchie.

Lo sai che non è possibile bloccare il pensiero telepatico. Una risata malvagia echeggiava tra le pareti della sua camera da letto.

- Lo so che sto sognando. Credi che non abbia mai avuto altri incubi prima? Pensi che non sia in grado di gestirli? - Stava parlando con Crayak o con se stessa?

Questo ti suona familiare? Disse mentre la sua voce iniziava a cambiare. Non era più viscida e sicura di sé. Ora stava implorando disperata.

No! Per favore! Oh Dio, non farlo! Mi arrendo, ok? Farò tutto quello che vuoi! Per favore... Non posso vivere così!

- David - La sua voce era fredda ora, priva di emozioni.

Sì, David. Il tuo piccolo gemello! Spietato, pronto a distruggere tutto cioè che intralciava il suo cammino, amava il brivido di uccidere qualcuno sotto metamorfosi, così da poter ignorare il fatto che quello che stava massacrando in realtà non era solo un animale. Ti suona familiare?

La voce si trasformò nuovamente in quella di David. Vi ammazzo, vi ucciderò tutti! Giuro su Dio, se non mi lasciate uscire di qui vi uccido tutti... vi squarterò...vi guarderò morire e amerò quel momento.

L'ultima, disperata rabbia di una persona sconfitta.

La stessa sete di sangue, lo stesso odio che provava lei prima di strappare la gola al nemico. Come quando la guerra e le battaglie davanti a lei perdevano importanza. Quando l'unica cosa che importava era che ci fosse un nemico di fronte, e lei lo avrebbe ucciso perché...

Perché?

- Lui era proprio come me –

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Capitolo 2
*** Put On Your Poker Face ***


- Sai, Ax, non credevo saresti stato così bravo a farlo –

Non credevi che sarei stato in grado di capire questo semplice gioco umano?

Lei sorrise suo malgrado. - Certo che sapevo che un Andalita come te non avrebbe avuto difficoltà a comprendere qualsiasi cosa nata da cervello umano. –

Sto diventando più abile nell'individuare il sarcasmo.

- Buon per te. Ora dimmi. Siamo ancora in ballo. –

Credo di volermi fermare.

- Va bene. Ottimo. Anch'io mi fermo. Ora fammi vedere la tua mano. –

Ax allargò le carte sul ripiano, Rachel scosse la testa, sorridendo ironicamente. - Pensavo stessi bluffando.-

Non è forse la base del gioco? Sembrava quasi sarcasmo... Se non si fosse trattato di Ax.

- Sì, questa è la base di tutti i giochi, va bene. Avrei dovuto continuare. Avrei potuto prendere un’altra carta –

Mostrami la tua mano.

Rachel alzò le carte con un gesto ironico. - Quindici. Tu hai ventuno. Hai vinto di nuovo. –

Sì, così sembra.

Lei sorrise. - Non posso crederci, pensavo di poter bluffare un Andalita. Voi ragazzi avete le migliori facce da poker nell'universo. –

Faccia da poker?

- E' un gioco che faremo un altro giorno. –

E questo poker è un altro gioco che coinvolge carte con simboli come questi? Apparentemente sono molto abile in tali giochi.

- Già, così sembra. –


 

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Capitolo 3
*** Perfect Silence ***


L'adrenalina esplodeva dentro di lei.

Sentiva il sudore colarle giù per la fronte e la familiare tensione nei suoi muscoli. Quel giorno si stava portando al limite. Non stava ascoltano la musica nelle cuffie. Non lo faceva mai. Vedeva la musica come una distrazione, qualcos'altro su cui la sua mente doveva concentrarsi. La sua testa doveva essere silenziosa, silenziosa ancora per un altro po', per lasciare che il corpo facesse tutto il lavoro. Puntò lo sguardo dritto davanti a se e corse, spingendo il suo corpo al limite, fin dove voleva arrivare.

Era ancora in gran forma, ma non correva per bruciare calorie o per tonificare i muscoli. E non correva mai ad un ritmo confortevole. L'unico modo per ottenere quello che voleva, il piacevole silenzio nella sua mente, era quello di spingere se stessa e il suo corpo, concentrandosi esclusivamente su questo.

Un piede davanti all'altro.

Sempre più veloce.

Quasi come volare.

Quasi.

Finalmente raggiunse il bosco. Il bosco che tutti dicevano non essere un posto sicuro per correre. Specialmente per una ragazzina sola di notte. Nessuna ragazza poteva trasformarsi in un orso grizzly e sbranare uno stupratore se fosse stato necessario.


Ma lei poteva.

Lei poteva fare un sacco di cose che erano impossibili, folli, terrificanti e meravigliose.

Un piede davanti all'altro, iniziò a concentrarsi sull'aquila. Focalizzò le sue piume, il suo becco e gli artigli nella sua mente mentre correva su per la collina.

Iniziarono i cambiamenti. Le labbra diventarono un becco, la pelle diventò piume, le mani diventarono artigli.

Non sorrise con la sua bocca, perché non ne aveva più una, ma con il cuore.

Questa ragazza poteva volare.

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Capitolo 4
*** Necessary Roughness ***


Si premette contro di lui.

 Aggressivamente.

Più aggressiva di quanto avesse voluto, ma lui rispondeva bene.

Anche nei momenti di intimità, quando immaginava che la maggior parte delle ragazze desiderassero gentilezza, lei si lasciava andare in modo troppo zelante e aggressivo. Lui rispondeva colpo su colpo, baci aggressivi con baci aggressivi. Sorprendendola in un primo momento, poichè lui era un animo gentile.

Ma aveva bisogno di questo tanto quanto lei.

La verità era che ne avevano bisogno così come avevano bisogno l'uno dell'altro.

Lussuria repressa, amore profondo, il bisogno di sentire e la necessità di dimenticare, assieme erano una combinazione potente.

Le sue dita s'impigliano nei lunghi capelli arruffati di lei ed entrambi sorrisero. Scoppiò quasi a ridere, ma si coprì la bocca. Non era un lusso che potevano concedersi, dovevano essere più silenziosi possibile.

Si scostò mettendosi al suo fianco. Stringendola e avvolgendo entrambi nelle coperte.

Rimasero in silenzio per un po'.

- Lo sai che vorrei poter restare. -

- Lo so. - Sapeva che avrebbe voluto restare per la notte, per settimane, anche per anni, senza dover lasciare il suo corpo e volare via. Desiderava davvero di poter rimanere con lei per sempre, abbandonando la vita da falco?

Non lo sapeva ed era stanca di chiederselo. Stanca di chiederlo. Forse non aveva importanza. Forse non avrebbero mai avuto la possibilità di scoprirlo.

Magari di provarci.

Troppi forse, e tutto ciò che contava in quel momento era quello che era certo.

- Rachel, io ... –

- Sì, lo so. Anch'io –

- Un'ora e quarantanove minuti. Devo andare. –

- Lo so. Buon volo. –

- Dormi bene. –

Per la prima volta dopo settimane, riuscì a farlo realmente.

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Capitolo 5
*** Hilarious Contradictions ***


Non aveva ancora suonato il campanello, e se ne pentì non appena lo fece.

Aspettò sulla soglia per circa due secondi e quando nessuno venne ad aprire si voltò per andarsene .

- Ehi, Rachel! –

Si girò di scatto vedendolo lì in piedi, il sorriso dipinto sul volto.

- Che c'è? Non firmo autografi in questo momento, ma se scrivi una lettera al mio manager sono sicuro che ti farà avere una mia foto firmata. –

Esitò. Di solito aveva già pronta la battuta per Marco. Non quella volta, però.

Sembrò notare la pausa sospetta, senza che lei dicesse qualcosa di odioso. Il sorriso rimase, ma una sincera preoccupazione nacque nei suoi occhi.

- Sta succedendo qualcosa? - Fece un passo in avanti nel portico, chiudendo la porta dietro di sé. Abbassò la voce facendo scomparire il sorriso. - C'è qualche emergenza? –

Lei scosse la testa. - No. –

- Oh... ok. - Si fermò goffamente, cercando di leggere qualcosa nei suoi occhi, per capire come procedere, senza però riuscirci.

- Ho solo bisogno di parlare. - sbottò ad un tratto, così goffamente. Voleva prendersi a calci. Odiava essere vulnerabile di fronte a lui, ma era arrivata fin li di sua spontanea volontà.

- Oh... beh... - Marco sembrava a corto di parole. Per una volta.

- Vieni dentro - disse tenendo la porta aperta per farla passare.

Esitò. C'era un delicato equilibrio tra lei e Marco. Una certa attrazione. Due personalità alfa attratte l'una dall'altra. Poi c'erano state le ostilità. Il disprezzo di lui per la sua propensione a marciare in battaglia a testa alta, con le sue dannose conseguenze. E il disprezzo di lei per le sue eccessive pianificazioni su ogni singola azione.

La verità era che non aveva la minima idea del perché fosse arrivata fino a casa sua. Camminando attraverso quella porta sarebbe potuta succede qualsiasi cosa, dallo scherzare a prendersi a pugni in faccia. E, che Dio l'aiuti, le piaceva il fatto di non sapere come sarebbe finita.

- Vieni o no, Xena? –

- Non chiamarmi così.- disse pavoneggiandosi attraverso la porta, come se fosse casa sua.

- Tuo padre è in casa? - Un'uscita facile.

- Mio padre è mai a casa? - disse provocandola.

Non rispose, restando immobile al suo posto.

- Allora, cosa c'è? - Il suo tono era casuale, ma i suoi occhi erano penetranti, cercando di capire che cosa le passasse per la testa e rendendosi conto di quanto quell'impresa era scoraggiante.

- Niente. Che ti prende? - disse forzando un tono casuale a sua volta, non era proprio il suo forte.

Sospirò, impaziente. - Senti, Rachel, è un po' tardi e... -

- Come fai? - sbottò lei.

- Come faccio a fare cosa? –

- Come fai a ridere di tutto? Prendere tutto come un grande scherzo? Come fai a... - Quasi si strozzò con le parole.

- Come fai a dormire la notte? –


Marco rise, ma non la sua abituale risata. Una risata piena di amarezza, una risata che avrebbe potuto essere un singhiozzo se fosse stata abbastanza vicino da sentirlo.

- Chi ha detto che dormo la notte? –

- Io... - Si avvicinò, aspettando che indietreggiasse. Non lo fece.

- Ho solo bisogno di sapere come fai. Ho bisogno di sapere come fai a superarlo. -

C'era qualcosa nei suoi occhi che sembra compassione. E lei la odiava.

- Rachel... –

- Cosa? –

- Perché me ne stai parlando? Tobias è occupato con un topo insubordinato o qualcosa del genere? –

Si avvicinò ancora di più, sfidandolo a fare un passo indietro, continuando a chiedersi se l'avrebbe fatto. Ancora, non lo fece.

- Io... io sapevo che avresti capito, va bene? Solo... bene, ecco... mio padre, mi ha chiamato oggi. Lui non chiama molto spesso, voglio dire, non così spesso come dovrebbe. Ma ero contenta che mi avesse chiamata, e stavamo parlando del più e del meno. E poi mi chiede... mio padre mi chiede... "Non mi hai raccontato molto di quello che ti sta succedendo. Cosa stai facendo, principessa? Stai salvando il mondo?" Sono scoppiata a ridere, perché è una cosa divertente. Tutti questi anni a voler condividere di più con lui e ora non posso condividere praticamente nulla. E sapevo che tu eri l'unica persona al mondo che avrebbe capito quanto fottutamente divertente fosse tutto questo –

Le mise una mano sulla spalla e lei non si scostò. - Questo è ironico.- le rivolse un sorriso triste. - Allora vuoi piangere per questo, Xena? Vuoi lasciare che questo ti distrugga, o desideri spegnere tutto e ridergli in faccia? -

Lei annuì. - Desidero spegnere tutto e ridergli in faccia. -

 Alzò le mani in un gesto di resa. - Allora io sono il tuo uomo.-

- Bene, grazie. - disse iniziando ad indietreggiare verso la porta. - Bella chiacchierata. Grazie. –

- Perché sei venuta qui stasera, Rachel? - Se non lo avesse conosciuto bene, avrebbe pensato che fosse ferito. - Volevi una spalla su cui piangere, qualcuno che respirasse, il milionesimo ragazzo che di dicesse che sei bellissima? Scommetto che non cambierai mai. –

- Dammi tregua, Marco - sbottò lei, arrabbiata.

- Dammi tu una tregua! - scattò subito verso di lei. - Sei tu quella che è venuta a bussare alla mia porta. Allora perché adesso non resti? –

- Restare? –

- Sì, restare - I suoi occhi si addolcirono. - Mio padre... non so quando tornerà, sempre se torna stasera. Quindi sembra che io sia solo... e tu... puoi rimanere... –

- Va bene. - La sua voce vacillò, ma si lasciò cadere sul divano nel soggiorno, comodamente, come una modella in posa per una fotografia.

Si sedette accanto a lei. - Allora, cosa vuoi fare? –

Lei si strinse nelle spalle.

 Si guardarono l'un l'altro. La notte piena di domande senza risposta.

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Capitolo 6
*** I Like My Coffe With Extra Guilt ***


- Hai l'aria stanca questa mattina. Non hai dormito bene? –

Sua madre entrò in cucina e si versò una tazza di caffè. - Vuoi che te ne versi uno? Il caffè prima della scuola può fare miracoli. –

- No, grazie mamma. Sto bene. –

- Sei sicura? –

Sentì una fitta di senso di colpa. Sua madre stava rendendo tutto più difficile.

- Stai bene, Rachel? –

Questo le spezzò il cuore. La risposta, naturalmente, era no. Se avesse potuto, avrebbe gridato - No! - e sarebbe corsa tra le braccia di sua madre. Avrebbe pianto lì, lasciando che sua madre le accarezzasse indietro i capelli dicendole che sarebbe andato tutto bene. La distanza che si era creata tra lei e Naomi non era a causa di una ribellione adolescenziale come Naomi pensava. Avrebbe detto tutto a sua madre, se avesse potuto.

Ma, naturalmente, non poteva.

- Sto bene mamma. - Entrambe sapevano che non era vero, ma entrambe avevano le loro buone ragioni per far finta che quella bugia lo fosse.

- Bene, allora ok. - Sua madre si sforzò di sorridere. - Sai che sono qui se hai bisogno di parlare di qualsiasi cosa, vero? -

- Si mamma, lo so. -

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Capitolo 7
*** Gym Class And Other Traumas ***


Rachel era annoiata a morte.

Avrebbe voluto che uno degli altri fosse lì con lei durante l'ora di palestra. Cassie e Jake avrebbero evitato che facesse qualcosa di sconsiderato a causa della noia. Marco, probabilmente, l'avrebbe incoraggiata. Forse avrebbe potuto sgattaiolare fuori per andare da Tobias quando nessuno la stava guardando, rintanandosi nel loro piccolo mondo.

Tobias non era nemmeno lontanamente vicino alla quarta ora di palestra, naturalmente. Lui non apparteneva più a quel mondo.

Nemmeno lei gli apparteneva più. E lo sapeva. Prima, si sarebbe girata e avrebbe inveito verso i ragazzi dietro di lei. Poteva sentirli borbottare su come fosse il suo sedere e come sarebbe stato metterci le mani sopra. Ora le loro voci erano solo un brusio fastidioso, un canale TV che non stava veramente guardando e che faceva da sottofondo. Non era difficile ammettere che non le importava quello che i suoi compagni di classe pensassero o dicessero di lei. Sapeva di essersi guadagnata una certa reputazione, di essere lunatica, scostante e generalmente sgradevole. E lei non aveva fatto...


- Puttana –
 

Ok, forse ancora un po' le importava.

- Scusa? –

- Mi hai sentito. Stai lontano dal mio ragazzo. -

Rachel scoppiò a ridere. - non so chi tu sia, e non so chi sia il tuo ragazzo –

Si voltò per andarsene, ma la ragazza l'afferrò per un braccio. Rachel sentì la rabbia pervaderla, e cercò di lottare per controllarla. - Non mi toccare –

La ragazza lasciò il braccio di Rachel, ma le si avvicinò, così da essere faccia a faccia. Rachel vide alcune delle persone intorno a loro farsi attente, iniziando ad ascoltare.

- Sono Leslie. E stai alla larga da Chris. –

Frugò nella sua memoria. Chi diavolo era... oh.

Aveva trascorso un po' di tempo a parlare con Chris nella sala studio. Erano entrambi annoiati, entrambi troppo stanchi per concentrarsi realmente sui compiti, ed entrambi volevano una distrazione. Per due volte avevano condiviso lo stesso tavolo in biblioteca a scambiarsi storie.

Chris era un ragazzo veramente bello. Abbastanza per far si che Rachel si chiedesse che cosa avresse pensato Tobias...

Ma avevano parlato appena un paio di volte. Chris era esausto per il lavoro nel ristorante della sua famiglia durante la notte. Stavano cercando di sbarcare il lunario. Le raccontò di quanto fosse stanco. Stanco di sentire il peso di una maggiore responsabilità rispetto agli altri adolescenti. Stanco di ascoltare persone che si lamentano dei loro genitori perché non comprano loro un nuovo telefono cellulare o un iPod quando solo l'idea di avere soldi extra suonava strana per lui.


Rachel lo capiva. La sua famiglia non aveva mai lottato finanziariamente, ma nonostante questo, capiva quello che Chris stava passando. Anche dopo il divorzio, entrambi i suoi genitori avevano sempre avuto abbastanza soldi per dare a lei e le sue sorelle tutto ciò di cui avevano bisogno e anche la maggior parte di quello che desideravano. E non c'era modo che potesse mantenere un lavoro, sebbene avesse detto a Chris che anche lei lavorava la notte. I Chee erano già occupati a sufficienza per lei.

Non si sentiva una bugiarda, dopotutto, parlando con Chris. I dettagli erano bugie, ma le bugie nelle sue conversazioni erano necessarie. Lei lavorava ogni notte, ogni giorno, ogni fine settimana, ogni secondo. Un lavoro che aveva distrutto la sua capacità di avere una conversazione normale con un bravo ragazzo in sala studio, senza riuscire a non chiedersi se ci fosse un Yeerk nella sua testa, che tirava i fili della sua mente come un burattinaio.

E ora si stava maledicendo per aver tentato di fare una piccola conversazione con un'altra persona, perché la sua ragazza era chiaramente pazza.

- Stai lontano da lui, capito? - iniziò come un ordine per poi finire come una supplica.

Rachel guardò Leslie... la guardò veramente. Leslie era carina. I suoi vestiti, i capelli e il trucco erano perfettamente sistemati... troppo perfettamente sistemati. Rachel immaginò Leslie struccarsi e ricominciare tutto da capo se per caso le sue dita fossero scivolate mentre applicava l'eyeliner. Come poteva qualcuno sembrare così controllato fuori e così abbastanza insicura dentro da essere furiosa con il suo ragazzo perché si era seduto in aula studio assieme ad un altra ragazza?

Come poteva un guerriero, un assassino, un bambino soldato aggrapparsi ai fili dei suo vestito preferito, come se fossero gli ultimi fili di collegamento con la sua sanità mentale?

- Starò lontana da lui, ok? Lascia perdere. - Rachel si conosceva abbastanza bene da sapere di doversi allontanarsi da quella situazione. Iniziò a camminare e...

- Lascia perdere?
Tu lascia perdere! - le gridò dietro Leslie. - Non sai cosa dice la gente di te? Sei strana, sei sempre chiusa nel tuo piccolo mondo, ti pavoneggi in giro perché pensi di essere la ragazza più sexy del mondo, e che sei troppo bella per parlare con chiunque altro! E ora ti stai prendendo gioco di me? Non serve. Stai lontano dal mio ragazzo, sei solo un mostro! –

Rachel fece un respiro profondo. Ebbe un breve momento di lucidità, dove si immaginava uscire tranquillamente dalla palestra.

Poi con un pugno colpì Leslie in volto. Forte.

Non si sentì dispiaciuta quando vide il sangue. Non si sentì dispiaciuta quando l'insegnante di ginnastica più tardi entrò in classe e la mandò nell'ufficio di Chapman. Non si sentì dispiaciuta quando spiegò tutto a sua madre. Non si sentì dispiaciuta nemmeno quando Chris fece in modo di evitarla in sala studio.

Si sentì dispiaciuta solo quando uscì dall'ufficio di Chapman e trovò Jake, Cassie e Marco che la fissavano. Avevano espressioni identiche sui loro volti, e sapeva che stavano tutti pensando la stessa cosa.

Jake fu l'unico a dirlo.

- Dannazione, Rachel. –

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Capitolo 8
*** Cheater, Cheater, Pumpkin Eater ***


La raggiunse mentre stava correndo.

- Che succede? –

Lei non diminuì l'andatura, costringendolo a tenere il passo. Vide che stava annaspando un po', ma sarebbe crollato al suolo prima di ammetterlo.

Tipico di Jake.

- Niente. Sto solo correndo. –

Lui si mise a ridere. - E così... così Rachel. Deve salvare il mondo e riuscire anche a ritagliarsi un po' di tempo per lo sport.-

Smise di correre. L'aveva trascinata fuori dal percorso comunque. - Non è esattamente sport. Qualcosa del tipo... la mia terapia. –

Lui annuì. - Capisco –

- Comunque, come facevi a sapere che sarei passata di qui? Mi stai per caso pedinando, Capo Senza Paura?

- Non proprio, Barbie Atleta. Ho pensato di fare jogging, e volevo prendere una strada che nessun altro frequenta. Ed eccoti qui. –

- Barbie Atleta? - Disse alzando un sopracciglio.

Rise di nuovo, beffardamente. Era sempre una mossa pericolosa. - Sì, la tua piccola tenuta sportiva corredata rosa. Barbie Atleta. –

Lei gli diede un pugno sul braccio. - Ad ogni modo. Da quando fai jogging? –

- Volevo fare una gara con te, fino al bosco - La sfidò Jake.

Ora era il turno di Rachel di ridere di lui. - Scusa? Tu mi vuoi sfidare? Questa è la prima volta che vai a correre, da... sempre? –

- Ehi, ero un buon giocatore di basket. –

Lei roteò gli occhi. - Eri un giocatore decente di basket. Io ero una grande ginnasta. –

- Adesso è solo ciò che eravamo. Non è vero? - L'allegria era scomparsa di colpo, ed ora stava guardando il vecchio soldato Jake. Il Jake che conosceva meglio, il Jake con la quale aveva avuto più a che fare. Non erano mai stati così terribilmente vicini quando erano solo cugini e non guerrieri. Ma ricordava sprazzi delle persone che erano state.

Correvano in giro, nel suo cortile, insieme a Tom. Solo bambini in cerca di guai, tra i confini del loro piccolo mondo conosciuto. La maggior parte dei problemi nella loro vecchia vita erano chi avrebbe vinto una partita di football, le cicatrici di una bella caduta, un naso sanguinante.

Rachel sorrise al cugino, sentendosi improvvisamente una bambina di dieci anni. - Ok, va bene. Facciamo una gara. –

Sorrise di rimando, con il volto felice di un bambino che ormai non esisteva più. - Al mio tre. Uno... due... –

Rachel prese a correre, ridendo mentre scattava.

- Rachel! - disse Jake iniziando a correre dietro lei. - Sei un imbrogliona! –

- Prendimi se ci riesci! –

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Capitolo 9
*** I Thought You'd Never Ask ***


- Oh, a proposito, andremo al ballo venerdì sera. –

Tobias quasi si strozzò con il suo hamburger con formaggio extra e maionese.

- Andiamo dove? Quando? –

- Il ballo di venerdì sera - ripeté, con un sorriso pericoloso. - Mi ci stai portando.-

- Io? –

- Tu - disse finendo l'ultimo boccone del suo panino.

Sospirò. - Rachel... –

- Cosa? - lo interruppe lei. - Non hai un vestito? Ne prenderemo uno in prestito da Jake, o possiamo andare a comprarne uno. Sei preoccupato per il tempo? Ci saranno un sacco di stanze vuote dove potrai invertire e rientrare nella metamorfosi, ho pensato a tutto. –

Si appoggiò contro l'albero, sentendo l'erba tra sotto i piedi. In attesa. Impaziente.

- Che c'è, non vuoi andarci con me? –

Lui posò una mano sulla sua. - Lo sai che voglio andarci con te. –

- Allora chiedimelo - lo sfidò.

Tobias era completamente confuso. - Me lo hai appena chiesto tu. –

- Sì, ma mi sono sempre chiesta come sarebbe stato essere invitati ad uscire al grande ballo... –

- Aspetta un attimo - la interruppe - Non ci credo nemmeno per un secondo che nessuno ti abbia mai invitato al ballo –

- Lasciami finire... mi sono sempre chiesta come sarebbe stato essere invitati ad uscire al grande ballo dal ragazzo con la quale volevo andare –

Lui non disse nulla per qualche minuto, e lei era preoccupata che forse si era solamente messa in imbarazzo.

Tobias si alzò. - Va bene, dai, facciamolo - le fece cenno di alzarsi.

Le prese entrambe le mani e la fissò negli occhi.

Drammatico, ironico, amorevole.

- Rachel Berenson, vuoi venire in palestra con me, a mangiare cibo terribile, ad ascoltare musica terribile e guardare il mio modo terribile di ballare, per due ore alla volta? –

- Forse, se non ho nulla di meglio da fare. -

La baciò.

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Capitolo 10
*** Charity Case ***


- Va bene, vediamo qui... donare... donare... donare... –

Rachel stava passando in rassegna appendiabito per appendiabito tutto l'armadio di Cassie. Pensavano di smistare i vestiti che Cassie non indossava più, o che non le andavano più bene e di donarli in beneficenza. Invece, Rachel stava eliminando tutti i vestiti che non le piacevano.
Il che equivaleva più o meno a tutti.

Cassie sorrise bonariamente. - Rachel, non posso donare tutti i miei vestiti. Devo avere qualcosa da indossare. –

- Sono sicura che Jake non sarebbe d'accordo su questo. - disse sorridendo.

- Inoltre - disse Cassie ignorandola volutamente - solo perché non è il tuo stile non significa che sia orribile –

Rachel sollevò un maglione con una stampa di un cucciolo sorridente - Davvero? –

- L'ho indossato un paio di volte solo in giro per casa. - insistette, ormai sulla difensiva. - E' vecchio, non mi importa se si sporca e devo avere dei vestiti a disposizione nel caso ci sia un casino enorme nella stalla... -

L'espressione di disgusto di Rachel non cambiò.


- Va bene. Donare. -

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Capitolo 11
*** Smell Like Teen Spirit ***


C'erano ancora delle tracce di sangue sotto le sue unghie.

A volte era solo così tanto, che nemmeno uscire dalla metamorfosi riusciva a levarlo tutto... come se alcune battaglie fossero talmente terrificanti, che l'universo, in buona coscienza, non poteva permettersi di lavarlo semplicemente via.

- Jake, cerchiamo di non rischiare così tanto la prossima volta. - Non c'era nemmeno la minima traccia di umorismo nella voce di Marco.

- Lo so - acconsentì Jake, in tono affranto. - Ma non avevamo scelta. Sapevamo che gli Yeerk l'avrebbero fatto stasera e non potevamo lasciare che completassero il... -

- Non avevamo scelta? - Lo interruppe Cassie - Hai visto quante vite ha macellato Rachel solo negli ultimi dieci minuti? O sono l'unica che l'ha visto? - Cassie stava dando le spalle al gruppo, ma poi si girò di scatto verso di loro.

- Noi, Cassie. Quello che intendevi dire era quante vite noi abbiamo macellato. Non solo io. - Rachel concentrò il suo sguardo su Cassie come un cacciatore punta la sua preda.

Era esausta. Ricordava come graffiando, mordendo e ringhiando, si era aperta la strada attraverso un solido muro di Hork-Bajir e Taxxons, il sangue che schizzava sulla sua pelliccia di grizzly, un rosso nauseante fino a sembrare una mano di vernice. Ricordava l'odore più che la sensazione. C'era dolore fisico, naturalmente. C'era sempre. Ma l'adrenalina rendeva il dolore sopportabile e uscire dalla metamorfosi lo rendeva lontano.

Ma quell'odore. Come era possibile che non l'avesse mai sentito prima? Ferro arrugginito, sangue animale mescolato con odore di bruciato, carne in putrefazione di Hork-Bajir e Taxxons.

L'odore della morte.

Era ancora esaltata per essere riusciti a mettere in salvo la vita, a malapena, ancora una volta. Questo era l'odore della vittoria. Ripugnante.

Rachel si alzò sulle gambe un po' traballanti. I muscoli le dolevano, la testa pestate, e quell'odore...

Non sarebbe stata l'uomo cattivo. Non quella stasera.


- Quello che mi ricordo, Cassie, è di averti saltavo la vita. - La sua voce era fredda e vuota come l'aria notturna che continuava ad assalirli attraverso i leggeri abiti da metamorfosi.

Rachel. Tobias volò giù dal suo trespolo sull'albero ed è atterrò sul vecchio ceppo morto sulla quale era seduta. Per favore. Il suo pensiero telepatico così simile alla sua voce umana era insolitamente severo.

- Per favore, che cosa? - Era su di giri, nemmeno Tobias sarebbe riuscito a tranquillizzarla.

Credo che Tobias vorrebbe che ti calmassi. Litigare non è produttivo. Ax puntò tutti e quattro i suoi occhi su di lei e rimase immobile, senza battere ciglio.

- Sì, che ne dite di darci un taglio entrambe? - Marco sembrava disgustato.

- Marco - lo avvisò Jake. usando il suo tono sembro-calmo-ma-sono-sul-punto-di-esplodere.

Marco lo ignorò e partì alla carica. - Il tuo moralismo - indicò Cassie - E le tue chiacchiere da psicopatica - indicò Rachel - stanno per farmi vomitare... cosa che probabilmente sto per fare in ogni caso. –

Marco ha ragione. Ax sembrava esausto come tutti gli altri, ma riuscì comunque a parlare con la calma misurata di un guerriero Andalita. Abbiamo bisogno di riorganizzarsi e rivedere la strategia... Non perdiamo tempo su argomenti irrilevanti riguardanti cose che sono già accadute.

Rachel non li stava ascoltando. Caricò verso la sua migliora amica, e per la prima volta vide un nemico dove una volta c'era stata la sua confidente. - Sono veramente stanca del modo in cui cerchi di farmi sentire in colpa per averti salvato la vita. Sai una cosa? La prossima volta lascerò che i Taxxons ti divorino mentre urli, o preferisci che una lama di Hork-Bajir ti tagli la testa a metà? Perché è proprio quello che stava per accadere prima che io... –

Rachel! Lo shock nella voce di Tobias la fece vergognare profondamente. Mio Dio. Fermati.

Poteva sentire cosa stavano pensando di lei, così come sentiva ancora il forte odore della...

Ancora una volta lei aveva sanguinato per loro e ancora una volta l'avevano disegnata come l'uomo cattivo.

Cassie la spinse, e anche quella piccola esplosione di violenza le mostrò un lato della sua vecchia amica che non aveva mai sospettato. - Basta che ti ascolti. Non odi quello che sei diventata? - La voce di Cassie era contorta, addolorata, brutale.

Jake si mise in mezzo, afferrando Cassie e cercando di allontanare Rachel. - Lasciami, Jake. - C'era una sfumatura pericolosa nella voce di Cassie. Se lo scrollò di dosso come fosse scottase.

- Rachel, Cassie. Smettetela. Non stasera. - La voce di Jake era ancora mortalmente calma e inquietante.

Per favore, fai finire tutto questo. Anche Ax non riusciva più a contenere l'emozione nella sua voce.

- Ti odio - disse Cassie guardandola dritta negli occhi e Rachel rimase scioccata da quanto le fece male sentirlo. La sua dolce, fragile amica, che non poteva vedere un animale ferito sul ciglio della strada senza fermarsi ad aiutarlo. La sua amica che diceva sempre mi dispiace quando accidentalmente urtava qualcuno, anche se non era stata colpa sua. Non pensava che il cuore di Cassie era capace di odiare, e sapendo che era stata lei a far uscire la parte oscura dello spirito di Cassie...

Cassie! ruggì Tobias, furioso.

Marco calciò duramente un tronco morto, i bachi e la sporcizia volarono fuori dal legno marcio. - Oh Dio. E' questo? E' questo quello che siamo diventati? –

Jake finalmente scattò. - Chiudete tutti il becco! Zitti! Non questa sera! - ruggì.

Non ho intenzione di rimanere qui. Ax fece per andarsene, probabilmente diretto al suo nascondiglio.

Ax! Tobias provò a chiamarlo, ma Ax non si fermò a guardare indietro.

Le lacrime iniziarono a rigare il viso di Cassie, e Rachel faticò a non abbassare lo sguardo. Aspettava che Jake andasse a confortare Cassie, ma non lo fece. Invece guardò gli altri e parlò. Esausto. Sconfitto.

- Andate tutti a casa e... –

Sapeva quello che aveva quasi detto. Aveva quasi detto - Andate a casa e dormite un po' - ma aveva soffocato le ultime parole, perché erano totalmente ridicole.

- Andate tutti a casa. –

Dopo alcuni secondi, sentendo solo il vento, i singhiozzi e le urla soffocate di Cassie, tutti se ne andarono, rintanandosi ognuno nel proprio inferno privato.

Più tardi, si sarebbero chieste scusa. Avrebbe abbraccio Cassie, avrebbero pianto assieme dicendosi non credevano realmente a tutto ciò che avevano detto.

Per poter tornare a vivere con se stessi.

Rachel non riuscì a sopportare l'odore della carne per mesi.

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Capitolo 12
*** Ehi, Arnold! ***


- Indovina un po'? –

- Che cosa, Jordan? - Stava vagamente prestando attenzione a sua sorella minore, in attesa del suo balbettio a proposito di qualcuno, a proposito di qualcosa, che aveva detto in classe.

- Ho un fidanzato! –

Sentì un inaspettato impeto ultra-protettivo.

Non essere ridicola, Rachel. Ha solo due anni meno di te. Non è un grosso problema.

- Un ragazzo, eh? Seriamente? Qual è il suo nome? –

- Arnold. –

Arnold. Arnold il controller? Arnold, che in realtà era un Chee vecchio-di-un-centinaio-di-anni? Arnold il segreto serial killer della scuola media?

- Qual'è il suo cognome? –

Doveva essere sicura che non si trattasse di uno di loro.

- Non lo so. –

- Non sai il cognome del tuo ragazzo? - 
 
Aspetta un secondo... qual'era il cognome di Tobias prima di...?


- Siamo usciti solo per tre giorni. –

- Tre giorni? –

Forse in realtà non avrebbe dovuto preoccuparsi.

- Uh, Rachel, so come funzionano queste cose. –

Come funzionano queste cose? Oh Dio...

- E come funzionano esattamente queste cose? –

Speriamo che non lo facciano.

- Scommetto che ne so più di te. L'unico ragazzo con cui ti abbia mai visto in giro è Marco, e lui è troppo

carino per te. –

- Come scusa? –


Jordan fece una linguaccia. - Marco è carino e tu sei una perdente.-

Rachel fece una linguaccia in risposta a Jordan. - Devo assicurarmi di sistemare voi ragazzi. Forse, se fosse possibile accoppiare tutti voi nanerottoli con gli altri, lascereste finalmente il resto di noi, persone di dimensioni normali, in pace –

- Dimensioni normali? Tu sei un gigante, Rachel... come, un mostro super-alto –

- Non lo sono. –

- Invece lo sei. Per questo non hai un ragazzo. Nessuno vuole salire su una scala per baciarti. –

Se fosse solo l'altezza l'ostacolo più grande nel mio rapporto.

- Sei proprio una peste. Comunque, non credo che questo ragazzo, Arnold, sia reale. –

Ma io sto per scoprirlo.

- Ho una foto! - Jordan raggiunse trionfante il suo zaino, estraendone poi una foto. La porse a Rachel e attese qualche commento impressionato. Quando ciò non accadde, cercò di spronarla - Carino, vero? –

Se si considera che i capelli tagliati male e l'acne siano carini...

- Uh, sì, penso di sì. Congratulazioni, Jordan. –

- Stasera andremo ad un appuntamento.-

No, non lo farai.

- Lo dirò a mamma.-

- Mamma lo sa già. –

Dannazione.

- Dove esattamente, Arnold, ha intenzione di portarti? –


- Volevamo andare al cinema.-

Un film? Seduti insieme, nel buio, mano nella mano... a che diavolo stava pensando mamma?

- Be', devo andare. Cerca di non essere troppo gelosa. –

- Jordan, aspetta! –

- Cosa? –

Se prova a fare qualcosa, dagli un calcio nelle palle.

- Se prova a fare qualcosa, dagli un calcio nelle palle. –

- Lo sai che lo farò. -

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Capitolo 13
*** Fourth's Night The Charm ***


Tre giorni senza dormire è doloroso.

Non quel tipo di dolore immediato, come toccare una stufa calda. E' lento, il dolore paralizzante di una vecchia ferita. Non è un flash istantaneo di dolore, ma un dolore costante che si estende dalla parte posteriore della mente e si espande ovunque.

Da Tre giorni guardava il mondo con occhi annebbiati che le ricordavano la vista del grizzly, solo un po' peggio. Non riusciva a concentrarsi per lunghi periodi, non riusciva a focalizzarsi su un'immagine come avrebbe dovuto. Era come se qualcuno le avesse messo delle lenti a contatto appannate negli occhi. Sapeva che la sua famiglia stava iniziando a notare il costante sbattere le palpebre, l'occasionale strabismo.

Tre giorni e il suo temperamento già esplosivo, era pronto ad esplodere al minimo fastidio. Aveva mentito a sua madre per la milionesima volta dicendole che stava scendendo con qualcosa. Non c'era modo che potesse farlo in una classe come quella. Sentiva le persone parlare con noncuranza, ridendo assieme. La infastidivano. Erano felici, ben riposati e ben ordinati. Il mondo doveva essere tranquillo, aveva bisogno di riconoscere la sua stanchezza e di stare calmo, in modo che potesse dormire.

Tre giorni e si sentiva separata dal suo corpo. Era adirata con se stessa. Lo capiva, si perdonava. Aveva bisogno di riposo, e se lo stava negando. Sarebbe stata troppo arrabbiata. Non poteva biasimare i suoi muscoli per aver bisogno di un potente stimolo prima di decidere di volersi muovere anche di un solo millimetro.

In quella che sarebbe stata la quarta notte insonne, si era rannicchiata sul letto, guardando fisso la pubblicità. Sentiva un impeto d’odio irrazionale. A chi importa di qual è il modo più efficace per tagliare un cetriolo? Era veramente questa la vita delle persone?

Una notte insonne non era insolita, ma quella era la prima volta che stava veramente lottando contro l’insonnia. Ed il termine lottare era generoso. L'insonnia la stava picchiando, scavalcando il suo corpo e facendo una danza della vittoria.

La sua calda e morbida coperta era confortante e invitante. L’avvolgeva, sentendola meravigliosamente contro la sua pelle. La stava invitando a dormire, a cedere alla sensazione di morbido cotone e lasciare il suo corpo rilassarsi completamente.

Ma non stava succedendo.

Stanca della strega delle verdure e la sua stupida affettatrice, si trasformò in aquila, diretta verso il prato per vederlo.

Sapeva che odiava essere preso alla sprovvista, ma era troppo stanca per la delicatezza. Uscì dalla metamorfosi e si diresse verso il suo albero. 

Sentiva di aver bisogno di lui e si chiedeva se era normale aver bisogno di un ragazzo anziché desiderarlo solamente. Si chiedeva se questo era solo un altro tratto di follia della loro vita.

Gli chiese di scendere dall’albero ed entrare nella sua forma umana. O qualcosa di simile. Era abbastanza sicura di ciò che aveva detto in base alla sua reazione, ma il suo cervello era confuso e non stava facendo funzionare bene la sua bocca.

Che ti succede, Rachel?

- Che cosa intendi dire con, cosa mi succede? Entra nella tua metamorfosi umana. -

Ti stai rendendo ridicola. Non posso parlare con te quando sei in questo stato.

- E io non posso parlare con te quando sei in quello stato! - Sentì la propria voce martellarle nella testa, La sentiva acuta e fragile. Rotta.

Bene. Scattò Tobias.

Scese giù dal ramo atterrando nel prato sottostante. Lentamente, l'immagine che aveva di Tobias iniziò ad emergere dal falco dalla coda rossa.

- Volevo solo vederti - disse debolmente, quasi come una scusa.

- Mi stavi vedendo - disse toccando con delicatezza la sua mano, ma la sua voce rimase ferma. – Ci siamo già passati. Pensavo fossimo passati oltre -

- Lo so, non è che... è solo... - cercò il suo volto, cercando di trovare le parole. Sapeva che non aveva senso. Sentiva la sua pelle letteralmente bruciare dalla stanchezza, poteva sentire il suo cervello volersi riposare, invece di cercare le parole, come un computer mentre entrava in modalità stanby.

- Non stai bene, vero? - Sembrava spaventato. Aveva paura per lei?

- Mi sto perdendo, Tobias. - Si appoggiò contro di lui, senza sapere se si era avvicinata o semplicemente il suo corpo era crollato. Tobias l'avvolse tra le braccia. Era caldo, confortante. Quasi come la coperta.

- Va tutto bene. –

- Mi sto perdendo. - Stava piangendo? Quando si era messa a piangere?

- Tutti ci stiamo perdendo. - Si tirò indietro, guardandola negli occhi, il suo sguardo ora era più sfocato che mai. Le toccò il viso, il suo pollice accarezzò una delle occhiaie che le si erano formate sotto i gli occhi. - Sembri esausta. –

- Non dormo da tre giorni. –

- Oh, Rachel… - Sembrava avere le lacrime agli occhi, o forse no. Tutto era così dannatamente confuso e difficile da dire.

- Mi sto perdendo, e non so se posso farcela ancora. -

Lui la strinse di nuovo, si sentì umiliata nello scoprire che non stava più piangendo. Stava singhiozzando. Singhiozzando come una bambina. Era una parola ripugnante, con un suono ripugnante, e si sentiva ripugnante e umiliata.

Supponeva di essere lei l'unica a dover dire a tutti gli altri di caricare di andare avanti e lei ammetteva di averlo fatto, per poi rinunciare, sconfitta.

Aveva bisogno che lui la prendesse e la mettesse di nuovo insieme in modo che potesse combattere un altro giorno.

- Sono pazza. -

- Non sei pazza. Devi solo dormire un po' -

- Ho lasciato la finestra aperta... -

Non esitò nemmeno - Andiamo. -

Sapeva che sarebbe rimasto fino a quando non si fosse addormentata. Che finalmente sarebbe riuscita a farlo, rannicchiata contro di lui, il televisore ancora acceso.

- Rachel? -

- Sì? -

- Perché stiamo guardando questa…? -

- E' la VeggieMagic300... -

Si spense.

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Capitolo 14
*** Dumb Blondes ***


- Perché una bionda mette fuori la testa da una macchina in corsa? –

- Marco, giuro su Dio... –

- Per fare il pieno! - finì Jake per lui.

- Odio tutti e due. E non era nemmeno divertente. –

- E perché una bionda è fiera di se? – si unì anche Cassie.

- Cassie, tu dovresti essere dalla mia parte! –

- Perché ha finito un puzzle in sei mesi. Quando la scatola diceva da 2 a 4 anni! Capito?

- Tutti ci arrivano. - Rachel lo guardò - Nessuno pensa che le battute sulle bionde siano divertenti. –

- Tutti qui, eccetto tu, pensano che battute sulle bionde siano divertenti - Marco la corresse allegramente.

- Mi dispiace, Rachel. - Cassie si strinse nelle spalle. - Quante volte abbiamo avuto l'occasione di raccontare barzellette? –

Rachel sospirò. - Non mi interessa. Le battute sulle bionde non sono...

Perché una bionda fissa intensamente una confezione di succo d'arancia? Tobias la interruppe.

- Non cominciare anche tu! – disse Rachel minacciosa verso la trave su cui era appollaiato.

- Perché, Tobias? – Lo spronò Marco. Probabilmente era fisicamente impossibile per lui divertirsi di più di quanto stesse facendo in quel momento.

Perché c’è scritto concentrato. Finì Tobias tenendo il gioco.

- Questo è quanto. Non salverò mai più le vostre vite. –

Sono completamente confuso. Interruppe Ax.

Stiamo solo prendendo in giro Rachel, Ax. Spiegò Tobias.

Ah. Capisco. Non sembra saggio.

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Capitolo 15
*** The Possibilities Are Endless ***


- Tu credi in Dio? -

- Non lo so. Passami le patatine -

Cassie le passò il sacchetto. Rachel lo aprì e cominciò a mangiare. Erano sdraiate sul letto di Cassie, un buffet di cibo spazzatura era sparso sul pavimento di fronte a loro.

- E’ solo che ti fa pensare... – disse Cassie in tono distratto.

- Che cosa ti fa pensare? - chiese Rachel soprappensiero, facendo zapping tra i canali.

- Tutte le cose bizzarre che abbiamo visto. Se mi avessero chiesto qualche anno fa se gli alieni fossero reali, o se era possibile che creassero una cospirazione gigantesca per conquistare segretamente la Terra, ti avrei detto che erano pazzi... o che erano Marco. Ad ogni modo, non sarebbero stati normali. -

Rachel rise. - Lo so, ok? -

Cassie sospirò. - Ultimamente, sembra che ogni giorno si apra una nuova porta su qualche aspetto, ancora più strano dell'universo. E poi penso, beh, va bene dai, e poi... e poi succede qualcosa di ancora più strano. Non sono mai stata religiosa, ma semplicemente mi fa pensare che se tutte queste cose sono possibili, cose che dovrebbero essere impossibili, ci deve essere una sorta di dio o dei là fuori, dietro a tutto questo. -

Rachel si fermò e ci pensò su per qualche minuto. - Non lo so. Ma sono propensa per un no. -

- Perché? -

Rachel scosse la testa. - Questa guerra... tutto ciò che racchiude... non riesco proprio a vedere Dio in nulla di tutto ciò. -

Cassie abbassò lo sguardo tristemente. – Credo mi piaccia solo pensare che ci sia uno scopo più grande dietro a tutto questo... rende più facile affrontarlo. -

Rachel si strinse nelle spalle. - Potresti avere ragione. Non sono esattamente il tipo da tutto-deve-avere-un-significato. - Gettò il sacchetto vuoto per poi tornare da Cassie. – E’ così e basta. -

Cassie sorrise all'amica. - Posso sempre contare su di voi per fermarmi quando inizio a giocare al filosofo dilettante. -

Rachel sorrise di rimando. - E' bello pensare a queste cose a volte. Non so se lo avrei mai fatto se non fosse stato per te. - Tornò a girare tra i canali. - Allora che si fa? Stasera siamo in modalità televisione-per-donne o in modalità film horror? -

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Capitolo 16
*** Gender Bender ***


- Preferisci il giallo o il rosa? -

Per quanto Rachel fosse abituata alle stranezze, quella situazione era estremamente strana e imbarazzante.

Tobias era seduto sul letto mentre lei stava controllando gli appendini del suo armadio. Non era strano in sé per sé, ma lo scopo di quella piccola sfilata era qualcosa uscito da film dell'orrore incredibilmente bizzarro.

- Non lo so. – disse Tobias stringendosi nelle spalle, a disagio. Sapendo che era tutta quella situazione a metterlo a disagio e non solo il fatto di trovarsi nel suo corpo umano. - E prima che tu me lo chieda, non ho intenzione di provare nulla per te. –

- Certo che no.- disse, cercando di avere un tono casuale. - Non farà il suo effetto fino a quando non sarai nella metamorfosi di Taylor. -

Rachel non era fisicamente in grado di pronunciare la parola Taylor senza odio strisciante nella sua voce, e sapeva che lui l’aveva notato. Tobias sarebbe stato costretto a trasformarsi in Taylor. E solo questo la faceva sentire nervosa, arrabbiata e depressa in generale. Il solo pensiero di Tobias che acquisiva Taylor la disgustava. Oltre a questo, c'era il fatto che, apparentemente, la strega che avrebbe dovuto uccidere quando ne aveva avuto la possibilità, li stava trascinando in una serie di promesse vuote su come catturare Visser III.

Come Animorph, capiva che dovevano almeno controllare quello che Taylor gli stava offrendo. Come persona, era convinta che, non solo Taylor era una stronza totale, ma che questa missione sarebbe finita male. E come fidanzata di Tobias, sentiva di aver bisogno di una prescrizione di Xanax.

Prese sia la camicia gialla che quella rosa e le sollevò.

Tobias fece un sospiro rassegnato. - Perché devo vestirmi come Barbie ancora una volta? Tutta questa storia non è già abbastanza assurda? -

- Devi sembrare credibile come ragazza adolescente. -

- Scommetto che non avresti mai pensato di dirlo al tuo ragazzo - disse Tobias con un piccolo sorriso.

Rachel annuì. - Già, è solo un altro passo verso la mia cella imbottita. -

Non voleva intraprendere quel discorso con lui, ma non riuscì a trattenersi dal chiederglielo. Dal momento che aveva già riconosciuto la stranezza di quella faccenda, decise di sondare il terreno.

- Allora - chiese con cautela - Taylor e io abbiamo la stessa taglia, giusto? -

- Uh... sì, credo di sì - rispose Tobias diffidente.

- Anche i pantaloni della stessa taglia? Stesse scarpe? -

- Rachel, che cosa stai cercando di dire? -

Uscì dal ripostiglio e si sedette sul letto, accanto a lui. - Ti ricordo lei? -

- Hai una protesi al braccio e strumenti di tortura Yeerk? -

- Dico sul serio. - Sperava di non spingerlo troppo oltre, troppo in profondità nei suoi ricordi.

- Anch'io - C'era qualcosa di duro nei suoi occhi, qualcosa di tormentato. Ma parlò dolcemente quando disse - Tu non sei lei. -

Annuì. Era quello che voleva sentire, eppure... qualcosa la faceva star male. La faceva star male il fatto che Tobias dovesse affrontare di nuovo Taylor, che quella persona malvagia era ancora una presenza nella loro vita, nella loro relazione, nel modo in cui percepiva se stessa.

- Quindi non pensi a lei quando sei con me? - Sapeva di iniziare a suonare come una fidanzata gelosa, ma i sentimenti che stavano dietro al fascino malato di Taylor erano in realtà molto peggiori, molto più profondi.

Tobias fece una smorfia per la sua schiettezza, né per la prima, né per l'ultima volta. - Io... credo di pensarci qualche volta, quando siamo insieme... ma non penso che siate la stessa persona. Taylor è andata così vicino dall'uccidermi e così vicino dal farmi uscire di testa. Tu mi hai salvato dall'andare oltre il bordo dopo quello che mi aveva fatto... più di una volta. Taylor è malvagia. - Mise una mano sulla sua. - Tu sei buona. -

Sentirglielo dire le fece quasi credere che fosse vero. - Non sono più la ragazza che ero prima che tutto questo iniziasse. – disse con tristezza.

- E io non sono la stessa persona alla quale spingevano la testa nel water. La guerra cambia la gente. -

Non poteva dirgli che non era quello a spaventarla. La sua paura era sapere che forse non era cambiata neanche un po', che era quella che era sempre stata, anche se non ci fosse stata la guerra.

Le scostò i capelli dagli occhi e la baciò sulla fronte. - Tu sei buona, Rachel. -

Lei sorrise e gli strinse la mano. - Ok, ora che abbiamo chiarito torniamo alla vera questione del momento. - Fece un gesto verso le camicie nell'armadio. - Gialla o rosa? O preferisci quella blu, o forse rossa? Ho tonnellate di camicie, ho scelto queste due perché... -

- Rachel – Tobias interruppe il suo sproloquio nervoso. Le fece un sorriso giocoso, di quelli rari e meravigliosi. - Lo sai che non mi interessa. -

- Oh, andiamo Tobias – continuò ironicamente. - Eccomi qui, a cercare di mettere insieme un vestito carino, così il mio ragazzo, che sta per diventare una ragazza adolescente, può collaborare con un alieno psicopatico, che sta facendo il doppio o il triplo gioco, per abbatterne uno ancora più malvagio e ancora più psicopatico. Questa situazione è probabilmente la prima nel suo genere, e spero anche l'ultima. Prendiamoci solo un minuto per crogiolarci nel vero dramma di tutto questo. -

- Beh, in questo caso, scelgo quella gialla. Penso che metterà veramente in evidenza i miei occhi. -

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Capitolo 17
*** Take The Shirt Of My Back ***


- Hai un aspetto assolutamente ridicolo. –

- Oh, andiamo, non lo pensi realmente. A meno che con "assolutamente ridicolo” intendi dire “non riesco a tenere giù le mani” –

Marco indossava una T-shirt che sembrava uno schizzo scartato dell'ultima linea di The Gab. Aveva delle scritte colorate, dall'aspetto asiatico su uno sfondo nero. Le lettere erano sistemate in modo sgradevole e bizzarro che lo rendeva difficile da decifrare anche se si conosceva il significato.

Era sicura al cento per cento che Marco non aveva la minima idea del loro significato, ed era sicura al mille per cento che avrebbe detto, alla prossima ragazza che avesse incontrato, che significava qualcosa del tipo pace-a-tutta-l-umanità oppure la-bellezza-è-intorno-a-noi.

Aveva scelto di abbinare questa vera chicca con dei pantaloni color cachi che non erano atroci in sé, ma servivano solo a rendere la camicia più evidente.

- Questo vestito urla cretino.

- Non sono d'accordo. –

- E tu già gridi cretino, quindi non credo tu abbia bisogno di aiuto. –

Lui le strizzò l'occhio. - La gelosia è così triste. Per questo sono qui. Per aiutarti a passare oltre ai tuoi problemi. Credo che ammettere che sono fantastico sia il primo passo verso la guarigione. -

Stavano giocando al loro solito gioco, io-sono-superiore.

Lei colse la palla al balzo. - E perché sei qui, Marco? –

- Volevo solo un tuo consiglio di moda.-

Non gli credette nemmeno per un istante. Indossare quella maglia di fronte a lei era come sventolare una bandiera rossa davanti a un toro. Farne mostra fino a casa e bussare alla porta di camera sua era stata come una sfida.

- Allora, chi è la sfortunata ragazza ? –

Le sorrise in modo lascivo. - Melanie Hatherton.-

Ebbe bisogno di un secondo per assorbire in colpo. - Melanie Hatherton? - ripeté, un'espressione di incredulità dipinta sul viso.

- Già. Melanie Hatherton - si vantò Marco.

Rachel gettò indietro la testa e scoppiò in una risata.

- Cosa? - chiese Marco.

- Marco, non c'è nulla da vantarsi. E' un idiota. –

- Una sexy-idiota –

Stava per fare una smorfia disgustata, ma si ritrovò a sorridere. - Davvero non hai nessun pudore, vero? –

- Nemmeno un pochino. -

Lei rise. - Be', almeno cambiati la camicia. I cachi sono accettabili, ma la camicia deve sparire. -

- Ho speso dei soldi per questa maglia – disse fingendosi offeso.

- Bene, fatteli ridare - ribatté lei. - Sembra che sia troppo difficile per te essere alla moda o qualcosa del genere. –

Passò la mano lungo le lettere in rilievo e ci fu un breve momento di elettricità tra di loro. Niente di trascendentale, solo una risposta ad una domanda che nessuno dei due aveva intenzione di fare.

- Ad ogni modo... cosa significa? –

Marco non perse l'occasione - Significa le-ragazze-di-nome-Rachel-sono-sempre-fuori-di-testa. –

Nemmeno lei lasciò perdere - Sei sicuro che non significa dovresti-essere-un-po'-piu-alto-per-indossare-questa-maglia? -

Scosse la testa. - Qualunque cosa. Parere sentito. Parere ignorato. –

Alzò un sopracciglio verso di lui. - Credevo fossi venuto per un mio consigli di moda. -

Esitò solo per un secondo, recuperando in fretta, probabilmente non se ne sarebbe nemmeno accorta. - In realtà non volevo nessun consiglio di moda. Volevo solo una botta al mio ego, e non sei riuscita a fare molto in questo caso, quindi sto andando dalla dolce, dolce Melanie. -

Marco era quasi fuori dalla porta quando se ne ricordò. Si vergognò un poco per non averci pensato prima.

- Aspetta Marco, siamo sicuri che non sia... –

- Non lo è. - disse improvvisamente serio. - Abbiamo già controllato. –

- Abbiamo? - si sentiva un po' irritata per essere stata esclusa. - chi sarebbe noi? –

- Ax e Tobias mi hanno aiutato. –

- Tobias non mi ha detto nulla... –

- Perché non era nulla di importante - la interruppe. - Non si è nemmeno avvicinata alle entrate a noi note. E' pulita. - Fece una pausa. - Preoccupata per me? –

Rachel non si lasciò il tempo di prendere in considerazione l'idea che la risposta potrebbe essere stata affermativa prima di sparare - Per favore. Sono più preoccupata per qualsiasi ragazza che accetti di uscire con te. -

- Ad ogni modo... Ci vediamo più tardi, Rachel - disse deridendola allegramente.

- Potresti aver bisogno di leggerle il menù - disse mentre usciva dalla sua stanza.

- Ci vediamo dopo, strega - rispose senza cambiare tono.

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Capitolo 18
*** Without Her Animals ***


Tecnicamente poteva dire di non essere una persona violenta.

La maggior parte dei suoi atti di violenza non era stato commesso con le sue mani, ma da enormi zampe, artigli affilati come rasoi e zanne luccicanti. Le armi del regno animale.

La metamorfosi è un tale dono.

Non garantiva loro solo l'anonimato, o la capacità di combattere i nemici che avrebbero distrutto i loro corpi umani, con la stessa facilità degli esseri umani di calpestare formiche.

La metamorfosi era anche una cortina fumogena, una maschera dietro cui nascondersi. Gli occhi degli animali erano un velo che oscurava la vista dalla violenza travolgente.

Guardando se stessa nello specchio del bagno, sapeva quanto sarebbe potuto essere peggio. Di quanto aveva bisogno gli animali.

Come sarebbero stati la sua faccia, il suo corpo, la sua mente, se non avesse avuto gli animali a proteggerla?

Guardò il suo fragile corpo umano nello specchio pensando a tutte le battaglie. Vedeva la pelle diventare niente più che tessuto cicatrizzato. Vedeva le sue orecchie strappate, braccia e gambe mancanti. I suoi occhi cavati. Vedeva i secchi del suo sangue versati sul pavimento, sangue a sufficienza per inondare la stanza da bagno, di inondare la casa, più di quello che un corpo umano poteva contenere.

Non sarebbe sopravvissuta così, naturalmente. E se per qualche magia avesse potuto, non lo avrebbe voluto.

Ma tutto questo e molto altro era già successo al suo corpo, ed eccola lì, tutto nuovamente insieme. Il sangue tornava nelle sue vene, gli occhi rientravano nelle loro orbite, braccia e gambe ricucite, come una bambola di pezza.


Non c'erano neppure le cicatrici.

Senza gli animali, avrebbe strizzato il sangue dai capelli anziché l'acqua. Poteva vederlo ora, nello specchio, il rosso mescolarsi con i suoi capelli biondi, vorticare nel lavandino.

Senza gli animali sarebbe rimasta imprigionata in un ciclo infinito di ripulire il sangue, tutti i suoi vestiti macchiati di rosso. Avrebbe dovuto farlo colare fuori dalle scarpe, strofinarlo via dalle mani, levarsi il sapore dalla bocca.

Strizzò l'acqua dai capelli e il pensiero di tutti i controller che aveva ucciso, Hork-Bajirs, Taxxons e altre creature che neppure esistevano nelle sue fantasie o nei suoi incubi prima della guerra.


C'erano stati anche esseri umani.

E lei doveva ringraziare il grizzly, l'elefante, il lupo e tutti i suoi animali. Non era del tutto sicura che ce l'avrebbe fatta senza di loro. Anche guardandosi negli occhi, guardando la sua anima corrotta dietro di essi, non sapeva se la ragazza umana nello specchio era capace di queste uccisioni.

Non sapeva se veramente avrebbe potuto usare le sue stesse mani per uccidere un'altra persona. Non sapeva se sarebbe riuscita, con i suoi occhi e la sua mente umana, guardarli morire.

Gli animali lo avevano sempre fatto per lei.

Ma sarebbe arrivato il giorno in cui...

No.

Lei non era una persona violenta.

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Capitolo 19
*** I'm a Dead Man Walking ***


Lo trovò al limite del campo degli Hork-Bajir, lo sguardo fisso sul piccolo corso d'acqua.

- Che c'è? - chiese, senza alzare gli occhi dall'acqua.

Si sedette accanto a lui senza dire nulla per alcuni minuti. Poi iniziò, faticando a trovare le parole giuste. - Senti, so che i tuoi genitori... So quanto è difficile per te. So che stai incolpando te stesso. Ma non è ancora finita. Possiamo ancora salvarli. Devi lasciarli andare, cercare di dimenticare, se è necessario, perché abbiamo bisogno di te. Abbiamo bisogno di te e non abbiamo tempo per... -

- Non credo di poterlo salvare - Il suono della sua voce era stridente. Jake in quei giorni era di poche parole e lontano.


Sapeva di chi stava parlando. - Tom? - chiese a bassa voce.

Alzò gli occhi per guardarla. - Sì... Tom. Ho provato la strategia di Marco. Ho passato in rassegna ogni scenario, ogni finale, ogni piano possibile. - La sua voce si affievolì fino a spegnersi nel vento. - Voglio dire... è solo... solo che non riusciremo a salvarlo. -


Jake strinse il pugno sull'erba ai suoi piedi. Strappò il fascio alle radici e lo lasciò cadere senza accorgersene nemmeno. Rachel per un momento pensò che la volesse prendere a pugni, solo perché non c'era nessun altro lì, e sapeva per esperienza che una volta raggiunto un certo livello di rabbia, non era più possibile trattenerla.

Invece lui continuò a parlare. - Ho fantasticato su come salvarlo per tre anni... fantasie stupide, dove io ero il grande eroe, dove correvamo l'uno verso l'altro per abbracciarci, dove piangeva e mi ringraziava per averlo salvato dall'inferno... tre anni di fantasie... e ora dobbiamo ucciderlo. -

- Jake… -

Ma lui non aveva intenzione di fermarsi. - Hai mai voluto qualcosa così intensamente, fantasticando così tanto che alla fine la fantasia diventa quasi realtà, e poi ad un tratto ti rendi conto che non può succedere... non in questa vita, comunque? -

Tante cose le passarono per la mente. Molte fantasie che aveva già lasciato andare, ma che le tornarono in mente in un baleno, come tirare fuori un vecchio maglione comodo dalla parte posteriore dell'armadio.

La sua famiglia, seduti intorno al tavolo da pranzo. Sua madre, suo padre, Jordan, Sarah e lei. I loro volti sorridenti, felici di raccontare la loro giornata. I suoi genitori che si tengono per mano guardandosi con occhi innamorati.

Sua madre ancora orgogliosa di lei. Avere il tempo sufficiente per mantenere le sue A e ottenere riconoscimenti ginnici. Essere in grado di vivere realmente la sua adolescenza, invece di inciamparci dentro per caso, nell'attesa di tornare in battaglia.

Vivere con Tobias. Trovare il modo in cui lui potesse vivere da essere umano ma potendosi trasformare ancora in un falco. Senza bisogno di impostare orologi o cronometri. Trascorrere la giornata insieme e restare tutta la notte. Potendo ancora farsi spuntare le ali e cavalcare le termiche insieme.

Lei non ci aveva ancora rinunciato. Stavano sbiadendo, ma non se n'erano andate.

- Certo che l'ho fatto. - Cercò di mantenere la voce calma e misurata per contrastare le forti emozioni di Jake. - Tom... il vero Tom... lui è fiero di te, ora che sa chi sei veramente. Deve esserlo. Lo so. - Gli toccò la spalla in modo rapido e con delicatezza, come se stesse testando la temperatura dell'acqua spumeggiante. - Non è arrabbiato con te. -

Jake non sembrò sentirla. Qualunque cosa avesse sperato di ottenere da lui non c'era riuscita. Rimasero seduti in silenzio per alcuni minuti. Minuti che sembrarono ore. Quando parlò di nuovo, aveva ripreso il controllo.

- Quando dovrò... -

- Quando io dovrò. - lo interruppe lei. La sua voce non vacillò. Non era una proposta, non era una domanda, non era una protesta. Solo un dato di fatto.

Jake sembrò vergognarsi, come se tutti i suoi vestiti fossero improvvisamente scomparsi, e lei lo stava guardando nudo. Rachel lo osservò con attenzione. Pensava veramente che non lo sapesse? Stava davvero iniziando a sottovalutarla? Adesso?

- So che devo essere io. - disse, senza un briciolo di autocommiserazione.

Jake scosse la testa. - E' mio fratello. Dovrei essere quello che... -

Alzò una mano per fermarlo. Non aveva intenzione di lasciarlo finire - Siamo molto oltre al “dovrebbe essere”. Siamo passati dal “dovrebbe essere” a “deve” da quando abbiamo iniziato tutto questo. - E nel caso lui pensasse che fosse ancora interessata alle stronzate aggiunse. - E tu lo sai. -

- Sì, lo so. - ammise, annuendo.

Dopo qualche minuto di interminabile silenzio chiese - Allora, qual è il piano? -

- Cosa? - Jake era assente ancora una volta, lo sguardo fisso sull'acqua. C'era, ma non era realmente lì.

- Qual è il piano? - ripeté, scandendo bene ogni parola. Non aveva intenzione di lasciarlo stare, nemmeno un po'. Era disposta a fare la parte dell'assassina, ma lui doveva continuare a fare la sua parte da leader. Era giusto così, sentiva di dover essere lei a farlo.

- Senti - continuò - abbiamo bisogno di un piano, ok? E devi trovarne uno. E siccome sono un giocatore importante qui, fammi sapere qual è il piano non appena avrai finito di guardare il tuo riflesso. -

Fece per alzarsi ed andarsene, ma lui le afferrò il braccio trattenendola. - Potrei non essere in grado di salvare anche te. -

Si lasciò cadere nell'erba. La fantasia di sopravvivere alla guerra. Era potente. Non sarebbe stato facile lasciarla andare.

La verità era che la morte la spaventava. Non l'atto di essere uccisa di per se. Aveva già ballato sul bordo così tante volte. No, era la parte dell'essere morta che la spaventava. La fatalità, l'incertezza. Per lei era sempre stato più facile fare i conti con i demoni che erano alla luce del sole di quelli che si nascondevano nell'ombra.

Come sarebbe stato? Era troppo grande, troppo incerto per riuscire a pensarci. Punizione? Ricompensa? Cielo? Inferno? Galleggiare su una nuvola, guardando gli altri vivere tutte le vite che avrebbe potuto vivere lei? Marcire nella terra, sentendo il suo corpo dissolversi fino a diventare un mucchio di vecchie ossa?

Non le piaceva farsi queste domande e non era pronta a conoscere le risposte.

Si sentiva un po' come aveva detto una volta David, percepì improvvisamente una strana connessione con lui. E' un mondo meraviglioso. Mi mancherà.

Quello che disse invece fu - Beh, fortunatamente per voi, non sono il tipo di ragazza che ha bisogno di essere salvata. -

Il silenzio era doloroso. Fu lei a romperlo dopo qualche minuto o un'ora. - Tobias cercherà di fermarmi. Devi prendere in considerazione questo. Quando avrai trovato un piano per permettermi di arrivare a Tom.

- Lo so. Ti ama -

Rachel si alzò per andarsene. Aveva già fatto alcuni passi per tornare verso li campo quando Jake parlò - Ti voglio bene. -

Rimase stordita. Non erano il tipo di famiglia da “ti voglio bene”. Erano più il tipo di famiglia in cui la maggior parte delle cose erano implicite e non dette ad alta voce.

Smise di camminare, ma non si voltò verso di lui.

- Ma non voglio che lui ti fermi -

- Lo so. - Esitò. - Anch'io ti voglio bene. -

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Capitolo 20
*** Monster ***


- Non riesco a dormire. -

Sarah era in piedi sulla porta di camera sua. Rachel non si era nemmeno resa conto di averla lasciata aperta.

- Vieni dentro. -

Sarah entrò cautamente, ben consapevole che varcare la soglia della camera da letto di tua sorella maggiore solitamente era un reato punibile. Chiuse la porta alle sue spalle.

- Che c'è? - lo sguardo di Sarah la fece preoccupare.

- Ho avuto un incubo. - Rachel sapeva che era normale per le bambine avere degli incubi. Ma voleva che tutti gli incubi di quella casa appartenessero a lei. Era l'unica ad averli guadagnati e appartenevano al loro legittimo proprietario.

- Vuoi restare qui per un po'? Fino a quando non ti senti meglio? -

Sarah annuì.

- Be', allora va bene, vieni. - Rachel indicò lo spazio vuoto accanto a lei.

Sarah si sistemò accanto alla sorella maggiore.

- Cosa c'era in quest'incubo? - chiese Rachel gentilmente.

- Un mostro – rispose semplicemente Sarah.

- Ah, sì? Che tipo di mostro? -

- Uno terribile. Era enorme e continuava a inseguirmi cercando di mangiarmi. -

Rachel mise un braccio attorno Sarah. - Nessun mostro ti mangerà. Farò in modo che non accada. -

- Tu non credi ai mostri, vero? - chiese Sarah, come se fosse indecisa sull'argomento.

Rachel le stava per dire che, no, non esistevano cose come i mostri. Ma sua sorella sembrava così vulnerabile, così fiduciosa. Non poteva mentirle.

Guardò
Sarah negli occhi, sentendo un onda di affetto e di istinto protettivo. - Non ha importanza. Non importa se sono nei tuoi sogni o proprio di fronte a te. Perché tu sei più forte di loro, e riuscirai sempre batterli. -

Sarah sorrise - Sono più forte di loro. – ripeté fiduciosa.

- Sì. - Rachel annuì Sempre. -

- Grazie, Rachel. -

- Figurati. -

Rimasero lì insieme per un po', testa bionda contro testa bionda, gli occhi azzurri persi nel vuoto.

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Capitolo 21
*** Funeral ***


Un unico, duro colpo e tutto sarebbe finito.

Un solo colpo al cranio di ratto e David non sarebbe più stato un problema. Non avrebbero più dovuto preoccuparsi del danno che avrebbe potuto causare con quello che sapeva. Non avrebbero dovuto preoccuparsi di lui in nessun altro modo, contro ogni previsione, in agguato nelle loro vite. Non avrebbero dovuto preoccuparsi.

Ma lei l'avrebbe fatto. Avrebbe sempre dovuto preoccuparsi. Gli incubi non sarebbe mai andato via, e sapeva che non sarebbe finita con un solo colpo.

Si alzò e si asciugò le lacrime con la manica. Basta piangere. Ora si stava arrabbiando. Ottimo. Aveva bisogno della rabbia per cacciare via la tristezza. Dov'erano gli altri? Qui per darle sostegno? Qui per aiutarla? No, certo che no. Avevano bisogno che David sparisse. No. Non più. Avevano bisogno che lui fosse morto, e quello doveva farlo da sola.

La stava ancora fissando, con lucidi occhi di ratto che non potevano mostrare emozione.

Che cosa stai facendo? Giocando con me? Tipico di te.

- Non parlare come se mi conoscessi! - esplose. Più forte di quanto avesse voluto, senza un briciolo di sicurezza. Sembrava una piccola bambina mentre urlava contro il bullo della scuola.

Fallo e basta, va bene Rachel? Sono pronto. Fallo. La sua voce era calma, serena. Quasi come una preghiera. Non l'aveva mai sentito così prima e lei non lo voleva. Non adesso. Voleva sentire il tono rabbioso e le minacciare che aveva sempre usato loro.

Voleva che fosse una lotta. Non un'esecuzione. Non aveva bisogno di tranquillità, quella che le stava dando David al momento. Aveva bisogno del David che le ricordasse tutte le cose peggiori di sé. Il David che rispecchiava tutta la cattiveria che c'era in lei, fino a quando non avrebbe odiato entrambi così tanto da voler solo afferrare un sasso e...

No. Si lasciò cadere nel fango accanto a lui, affondando le dita nel fango e le foglie. Non poteva farlo. A meno che ...

- Come hai fatto, David? - La sua voce vacillò solo un istante, stava stringendo le mani nella terra umida ora, fino a far diventare le sue nocche bianche.

Cosa vuoi dire?

- Non fare lo stupido. Come hai fatto a uccidere Saddler? –

Silenzio. Non si aspettava una risposta in ogni caso. Stava andando a...

L'ho soffocato.

L'aveva sempre saputo, tutti l'avevano immaginato, ma le parole la shockarono comunque.

Mi sono intrufolato nella sua stanza d'ospedale in metamorfosi da uccello. Ho invertito la metamorfosi, ho preso un cuscino e l'ho soffocato. Era un ragazzo debole, ma ha combattuto ancora. Non è stato facile come credevo. Malandato com'era, aveva ancora voglia di vivere. Non ci crederai, ma non mi è piaciuto guardarlo lottare fino alla fine. Non è stato come l'avevo immaginato. Non mi sentivo pulito, non era stato veloce, non era stato facile. Ma era necessario. Si trattava di me o di lui, e io...

Lei scosse il capo, cercando di scuotere via l'immagine di Saddler lottare, piangere e morire da solo e spaventato in quel letto d'ospedale. - Stai mentendo. Era già morto quando sei arrivato. Tu vuoi solo che ti uccida e stai cercando di... –

Provocarti? Credevo fosse per questo che me l'hai chiesto.

Continuò a fissare gli occhi inespressivi del ratto. Era inutile. Gli occhi di ratto non erano altro che inanimati, non potevano rivelare l'umanità dietro di essi. Lo sapeva ma non riusciva comunque a distogliere lo sguardo.

Falla finita, Rachel. Stai per uccidere qualcuno che si sente già morto.

Si mise in ginocchio, riscuotendosi. Una volta sistemata, raccolse una roccia frastagliata. Fece un respiro profondo e l'alzò sopra il minuscolo corpo da topo di David. Attese che provasse a lottare o a cercare una via di fuga. Aspettando che all'ultimo momento decidesse di volersi aggrappare a quella parvenza di vita che stava per lasciare.

Non mosse un muscolo.

Si voltò per qualche istante. Poi, con un movimento rapido volse tutto il suo corpo verso di lui, chiuse gli occhi e calò la roccia giù, duramente, dove sapeva fosse la sua testa.

Ci fu uno scricchiolio e uno squittio mite. Sentì un grido umano. Non sapeva se avesse urlato forte mentre sbatteva la roccia verso il basso, o se le urla nella sua testa erano così forti che erano in qualche modo erano uscite perforandole il cranio.

Aprì gli occhi, facendo uscire nuove lacrime. Cercò di toglierle via mescolandole al fango sulle sue mani.

David aveva ragione. Non si sentiva pulita, non era stato veloce e non è stato facile. Il corpo di ratto ebbe alcune contrazioni involontarie prima di restare immobile, per sempre. Guardò la roccia che teneva in mano e soffocò un conato di vomito. C'era sangue e pelliccia e... qualcosa che non riusciva a riconoscere. Gettò la roccia in acqua. Cercò di cancellare le tracce di sangue dalla sua mano, fregandola sul terreno, non preoccupandosi della sporcizia, semplicemente desiderando di toglierlo.


Non era quello che si aspettava di sentire. Stava cominciando ad abituarsi all'immagine di Rachel la Guerriera, Rachele la Killer. Stava cominciando a immaginare se stessa in quel modo. Ma non sentiva nessuna gioia, ne vittoria dopo aver ucciso David. Non c'era adrenalina. Solo uno sconfinato senso di vuoto. Uccidere non era facile, non era divertente e non era una scusa per giocare alla principessa guerriera. Era stato schifoso, brutale e doloroso e così spaventosamente reale.

Seppellì il corpo. Non voleva lasciarlo agli avvoltoi. Pur sapendo quello che era stato, tutto ciò che aveva fatto e cercato di fare, non poteva lasciare il suo corpo esposto in quel modo. Un topo schiacciato su una spiaggia lurida.

Così lo seppellì con delicatezza, scavando una buca per poi coprire il corpo con delle foglie e quindi sigillare la piccola tomba con un altro strato di fango.

Il cielo iniziò a rasserenarsi, il sole spuntò da dietro le nuvole, la brezza rallentò a un ritmo confortevole, e l'aria fresca portò con sé un senso di rinnovamento.

E così la spiaggia tornò alla vita, con un funerale per il ragazzo, David, che aveva ucciso, e per le persone che entrambi erano state.

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Capitolo 22
*** Smoke Break ***


Era passato un po' di tempo dall'ultima volta, ma Naomi doveva ammettere che non era niente male.

Era orgogliosa di se per aver diminuito quello che una volta era un pacchetto al giorno ad una occasionale sigaretta fumata di nascosto.

Una volta sgattaiolava fuori sulla terrazza quando sapeva che le ragazze erano sveglie. Ora non c'era più niente da nascondere. Niente più terrazza sulla quale uscire. C'era solo pochi momenti in solitudine lontano dal campo. Sapeva quanto strettamente la stavano sorvegliando. Vedeva gli sguardi, captava i sussurri. Un avvocato in tutto e per tutto. Le sottigliezze non le sfuggivano facilmente.

A quanto pare, cercare di fuggire rendeva le persone diffidenti. Chi l'avrebbe mai detto?

Naomi tirò fuori le sigarette e l'accendino dalla tasca della giacca, ne accese una e prese una lunga boccata. Proprio come sempre, sembrava incredibile. Il fumo caldo le riempì i polmoni, si lasciò sfuggire un sospiro profondo, ne aveva bisogno, da quando aveva scoperto che il mondo si stava sgretolando e sua figlia era una delle poche persone in grado di evitare la sua completa distruzione.

- Mamma -

A Naomi venne un colpo.

- Rilassati mamma, sono solo venuta a controllare -

- Rachel! Io... ehm... - Naomi annaspò per qualche secondo, cercando nello stesso tempo di giustificarsi per la sigaretta e realizzando quando stupido fosse farlo in tempi come quelli. Mostrò la sigaretta e rimise l'accendino nella tasca della giacca, senza però lasciarlo.

- Ti ho vista uscire. -

Rachel si unì alla madre sul confine della collina, standole accanto impacciata e guardando le stelle sopra di loro.

Naomi si strinse nelle spalle, rinunciandoci. Non c'era spazio e non c'era tempo per fare qualcosa. C'era posto solo per i tipo di onestà che la spaventava, specialmente quando si trattava delle sue figlie – Credo che le vecchie abitudini sono dure a morire. -

- Già, lo credo anch'io. – disse Rachel a bassa voce. Naomi vide la figlia aprire la bocca, cercando di dire qualcosa, per poi lasciar perdere.

- Ti hanno detto di venire qua a controllarmi? Ad assicurarsi che non lo facessi un altra volta? - Naomi era delusa, ma non sorpresa, di sentire se stessa suonare come un avvocato discutere con un testimone.

- Ho pensato di farti compagnia. -

Naomi sorrise di come Rachel avesse abilmente evitato di rispondere alla domanda. Guardando il viso di sua figlia maggiore al chiaro di luna, vide delle rughe dove non ci sarebbe dovuto essere nulla, se non la sua giovane pelle. Sapeva che era un effetto della luce, ma le faceva male lo stesso. La parte logica di Naomi, la parte sulla quale contava per mantenere la sua sanità mentale in quel momento, sapeva quanto questa guerra fosse costata a Rachel. La parte di lei che era una madre che voleva tenere al sicuro la figlia era gravemente ferito e non poteva essere guarito dalla logica di tutto questo.


Voleva dire a Rachel quando assolutamente e completamente orgogliosa di lei fosse. Ma sentiva troppo in quel momento, sentiva che se avesse lasciato andare tutte le emozioni non sarebbe stata in grado di fermarle. Le avrebbero fatto superare il limite. Tornando a fuggire.

- Vuoi una sigaretta? - condividere con la figlia una delle sue personali vie di fuga era il massimo che Naomi potesse fare in quel momento.


Rachel iniziò a ridere, ma si fermò quando vide Naomi frugare nel taschino della giacca, estrarre una sigaretta dal pacchetto e portargliela. Naomi attese che rifiutasse l'offerta, ma Rachel la prese. Lo sfiorarsi delicato delle loro mani portò Naomi indietro nel tempo, quando teneva la piccola mano di Rachel mentre attraversavano la strada per andare al parco giochi.

Un milione di anni fa.

- Puoi darmi l'accendino? - chiese Rachel.

Naomi estrasse l'accendino e accese la sigaretta che Rachel teneva tra le labbra. Diede una prima boccata e immediatamente iniziò a tossire.

Ora era il turno di Naomi di ridere – Veramente? Dopo tutto quello che hai passato, non hai mai fumato una sigaretta? -

Rachel fece un sorriso triste – I miei vizi sono peggiori di questo. -

Naomi sentì un altra fitta di rimpianto per l'infanzia perduta della figlia.

- Lo stai facendo nel modo sbagliato. Tieni un po' di fumo in bocca prima e poi respira interamente con i polmoni. Abituati a far si che il fumo colpisca la parte posteriore della tua gola – spiegò Naomi.

Rachel provò a seguire l'esempio, tossendo ancora, ma meno forte di prima.

- Lo sai – disse Naomi – Non soffocare a causa mia. Puoi buttarla via se vuoi. -

- No, va tutto bene. Non voglio sprecarla. Non penso tu ne abbia ancora molte a disposizione e, beh, chissà quando sarai in grado di averne ancora?

- Già, chi lo sa? - Naomi guardò negli occhi di Rachel trovandovi ancora dell'esitazione. Altre cose non dette che minacciavano di aumentare ulteriormente la distanza, già enorme tra di loro.

- Mamma. – la voce di Rachel era decisa – Ho bisogno di sapere che non cercherai di fuggire di nuovo. -

- Rachel. – iniziò Naomi. - Non ti preoccupare. Puoi tornare indietro e dire loro... -

- Non loro. – la interruppe Rachel – Io. Io ho bisogno di sapere che non scapperai di nuovo. Non posso... Non posso fare ciò che devo e preoccuparmi anche della tua fuga. -

Rachel si morse il labbro inferiore. Un gesto nervoso che ricordava a Naomi se stessa.

- Mi dispiace. – si lasciò sfuggire Naomi prima di riuscire a fermarsi.

Rachel sembrò sorpresa – Ti dispiace per cosa? -

Naomi deglutì a fatica, mordendosi le labbra e aggrottando la fronte. Cercando di trattenere le lacrime – So che non sono sempre stata li per voi, ragazze, non come avrei dovuto. So di aver avuto riunioni e conferenze fino a notte fonda. Mi dispiace per le cose che ho perso. -

Rachel prese un altra boccata di fumo, questa volta senza tossire, ma ancora a disagio. Poi disse – Senti, sei rimasta in piedi di fronte alla mia metamorfosi da orso, quando pensavi che avrei fatto del male a Jordan e Sarah. Hai attaccato un orso con un portaspezie per cercare di proteggere le tue figlie. Penso che sia lo stesso se ti sei persa qualche partita. -

Naomi si senti nuovamente sopraffatta dalle emozioni. C'erano così tante cose che voleva dire a sua figlia, così tanto da giustificare, da spiegare, da sistemare. Ma sapeva che il loro tempo era quasi scaduto, sapeva che la guerra sarebbe presto esplosa in una violenza senza fine, non lasciando spazio alle emozioni umane.

Desiderava una cosa impossibile: dire a Rachel tutto quello che aveva sempre voluto nel tempo di una sigaretta.

- Non scapperò di nuovo, tesoro. Te lo prometto. – Naomi prese un altra lunga boccata.

- Grazie – Rachel per la prima volta fece un sorriso sincero, il primo sorriso caldo che vide sul viso della figlia da quando erano al campo.

- Così, ti ho appena passato una brutta abitudine? - Chiese Naomi.

- Nah, – disse Rachel continuando a sorridere – Non penso che il fumo faccia per me. Inoltre, non esistono cattive abitudini quando puoi cancellare tutto con una metamorfosi. -

Naomi incarnò un sopracciglio – Cosa intendi dire... tatuaggi?

Rachel rise – Ne ho avuti un milione mamma, e non lo saprai mai. -

- Davvero? -

Rachel si strinse nelle spalle – Ho detto che non lo saprai mai. -

Entrambe scoppiarono a ridere.

- Grazie per aver condiviso una delle tue ultime sigarette con me. -

- Con chi altri avrei dovuto condividerle? -

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Capitolo 23
*** Best Years Of Our Lives ***


- Si, è stato assolutamente fantastico! Ma non è stato tutto merito mio. Davvero. Il basket è uno sport di squadra. Non sarei mai riuscito a farlo senza i miei compagni. -


- Già, solitamente ci sono dei compagni di squadra... in una squadra. - mormorò Rachel sprezzante. Doveva ricordarsi di non digrignare i denti mentre ascoltava suo secondo cugino, Alex, ripetere per la milionesima volta di aver fatto il punto vincente nella finale. Aveva avuto la sfortuna di sedersi accanto a lui in un altra noiosa riunione di famiglia, lo scopo era di festeggiare un altro giorno di vacanza, cosa che stava perdendo di significato per lei.

Ascoltarlo vantarsi la infastidiva.


Ascoltarlo vantarsi cercando di fare il modesto, le faceva desiderare di essere nella sua metamorfosi da volo in ricognizione in un mucchio di vomito.

Guardò Jake dall'altra parte del tavolo. Prima della guerra, non sarebbe mai stata in grado di dire che tutto ciò che desiderava era strozzare Alex. Ora riusciva a cogliere il modo in cui gli occhi di Jake si adombravano per un istante ogni qual volta ad Alex sfuggiva non-troppo-sottilmente che Jake era stato un concorrente per la squadra di basket.

Buffo come sentiva di non conoscere più Jake. Il modo in cui aveva imparato abilmente a manipolare le persone senza che loro se ne accorgessero. Avrebbe potuto ottenere un Oscar per la performance durante la riunione di famiglia. Eppure lo conosceva meglio di chiunque altro in quella stanza.


Sapeva anche che il sorriso sul volto di Jake in quel momento era spaventosamente finto. Come se fosse stato dipinto. Per quanto avessero bisogno di mantenere la loro copertura, la infastidiva il fatto che nessun altro sembrasse notare quanto duramente stesse lottando sotto il peso dei sogni che aveva perduto,
e che ora gli venivano sbattuti in faccia da qualcuno a cui piaceva usarli come una spinta per il proprio ego.

Ad ogni modo... il mondo dipendeva letteralmente da ogni loro più piccola azione, anche se in fondo, Rachel, era delusa dal fatto che nessuno lo potesse vedere.


- Ben detto, figliolo. - Il padre di Alex, Ryan diede una pacca orgogliosa sulla schiena del figlio. - E' uno sport di squadra. Ogni membro ha il suo valore. Non c'è un io nella squadra. Non tutti possono essere il campione in carica. Non tutti possono fare il punto vincente.

Rachel roteò gli occhi in direzione di Jordan, che era seduta accanto a Jake. Si erano fatti un sacco di risate sul modo odioso in cui Alex e suo padre parlavano della loro "stella dello sport" e sapeva che quella riunione non sarebbe stata nulla di diverso.

- Jake
stava per uscire dalla squadra - lo interruppe Tom. Rachel prese un respiro profondo e un sorso di soda. L'intromissione della Yeerk di Tom nella conversazione avrebbe richiesto a Jake uno spettacolo al top delle sue performance.

- Ma ha solo perso la motivazione. Credo, giusto fratellino? Che cosa stai combinando in questi giorni, comunque? Nessun interesse per la Comunità, nessun interesse nello sport, nemmeno a scuola. Che succede fratello? -

Jake si strinse nelle spalle, il sorriso finto ancora dipinto sul volto. - Credo solamente di non aver molto da fare in questi giorni. -

- Davvero Jake? - Chiese sua madre - Eri dentro la squadra di basket. Non starai pensando di uscire dalla squadra la prossima volta? -


Rachel era infastidita dal tono di Jane, come se volesse arrampicarsi sugli specchi. Pensando a qualcosa che forse suo figlio era entusiasta di fare fino a qualche giorno prima, oltre evitare chiunque ed agendo misteriosamente. Le ricordava sua madre quando aveva cercato di farle riprendere il corso di ginnastica artistica. Lei era qui, Jake era qui, loro erano qui. Cercare di salvare il mondo e...

- Eddai Jake, diglielo! - la interruppe improvvisamente Rachel.

- Dire cosa? - chiese Tom curiosamente.

- Già Rachel, dire che cosa? - Jake tenne l'espressione del viso e il tono neutro. Ma il suo sguardo era nel panico.

- Del Club sulla leadership, sciocco! -
Il club sulla leadership? sciocco? Dio, avrebbe dovuto pensare ad una bugia migliore prima di cercare di difendere Jake. Jake sembrava pensarla allo stesso modo.

- Club sulla leadership? - la voce di Jane era fiduciosa.

- E' un club tipo la Comunità? Perché ho provato a far entrare il moscerino qui. - Tom fece un gesto verso Jake con la forchetta – A farlo entrare nella Comunità finalmente. Ed ora tu entri in uno stupido club sulla leadership? -

Rachel guardò negli occhi lo Yeerk, cercando di pensare con la propria testa. Uscirsene al volo con una bugia convincente non era il suo forte. Desiderava che Marco e Cassie fossero li per tirarla fuori dai guai. Ma non erano lì con lei, e così proseguì sulla sua linea.

- E' una specie di Comunità, - iniziò Rachel annuendo nella direzione di Tom - ma è una cosa nuova e ancora abbastanza piccola, quindi la maggior parte delle persone non ne ha mai sentito parlare. E' un club per futuri leader e Jake è stato eletto presidente. -

- Veramente? - chiese Jean incoraggiante.

- Già, credo di si. - Jake si rilassò impercettibilmente, ma era ancora sull'attenti.

- Bel lavoro moscerino. - disse Tom poco convinto - Credo sia una cosa abbastanza forte. -

- Lo è eccome! - disse Rachel guardando compiaciuta Alex. Lui non sembrò accorgersene.

Jake le fece un rapido, piccolo sorriso dall'altro lato del tavolo.



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Più tardi trovò Jake fuori, seduto su un vecchio tavolo da pic-nic. Si sedette accanto al lui.


- Non avresti dovuto dire nulla la dietro - disse in tono metà rimprovero e metà supplica. - Non possiamo prenderci questi rischi, non davanti a Tom. - scosse la testa - Per niente. -

- Non c'è di che per aver preso le tue difese - sbottò Rachel.

Jake fece una risata triste - Grazie, ma non c'è bisogno che tu mi difenda. Più tardi dovrò spiegare ai miei genitori perché non ho parlato loro del club sulla leadership e perché ho abbandonato un’altra cosa. Ho solo bisogno che tu... - fece una pausa, prendendo un respiro profondo. - Ho solo bisogno che tutti voi manteniate la vostra copertura. -

Rachel roteò gli occhi - Io proprio non capisco come tu possa lasciare che un coglione ti faccia sentire un perdente mentre stai salvando il mondo. -

Jake sospirò, mentre entrava in modalità capo-senza-paura. - Non importa il fatto che Alex sia un coglione. Non importa se lui sta vivendo la vita che io ho sempre sognato. Perché non sto più fantasticando su come sarebbe essere una star del basket, ora abbiamo cose più importanti della quale preoccuparci. Probabilmente Alex diventerà un perdente e noi entreremo nei libri di storia. -

Rachel gli scoccò un occhiata scettica - Non dici sul serio, vero? -

- No, - ammise debolmente - Non è vero. Odio il fatto che il più coglione nella storia dei coglioni viva la mia fantasia infantile, quando non ho mai avuto un'infanzia perché sono troppo occupato a
guidarci tutti, probabilmente, verso la nostra morte. Tutto questo mentre sembro un perdente senza nulla da fare. Non sto pensando di entrare nei libri di storia. Perché sono troppo fuori pensando solamente ad oggi, senza pensare al futuro. E oggi Alex è forte, e io sono un perdente. E questo mi fa sentire una merda. -

Si diede una scrollata di spalle del tipo che-cosa-vuoi-farci.

Rimasero li per alcuni minuti. Rachel pensava a quanto si era sentita dispiaciuta il giorno in cui aveva lasciato il corso di ginnastica artistica. Il volto di sua madre quando i suoi voti erano iniziati a scendere. Lo sguardo di Jordan quando non aveva avuto tempo di aiutarla a scegliere il vestito per il primo giorno di danza. E il suo imbarazzo nel sentirsi ferita dal non poter avere un adolescenza. Quando sapeva che la sua attenzione doveva essere concentrata solamente su come combattere gli Yeerk.

- Jake? -

- Si, Rachel? -

- La nostra vita fa schifo. Non è vero? -

Jake annuì solennemente - Fa schifo davvero. Ed è dura. Ma ho apprezzato quello che hai cercato di fare prima. -

- Non c'è problema. - il suo sguardo s'illuminò - Hey, credo di aver appena visto Alex girare sulla nuova macchina che suo padre gli ha regalato per il suo sedicesimo compleanno. Vuoi entrare in metamorfosi di volo e riempirla di...? -
- Rachel... - protestò debolmente - non possiamo... voglio dire, è... che sarebbe... ok, facciamolo. -

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Capitolo 24
*** Birthday Presents ***


Birthday Present

Svegliarsi un giorno e realizzare di non conoscere più i tuoi stessi figli è una cosa terrificante.

Le mattine terrificanti non sono estranee a Dan. Senza mai avventurarsi abbastanza oltre la linea confusa dell'occasionale bevitore d'alcool, ci sono ancora delle mattine in cui lotta per ricordare perché il suo appartamento improvvisamente sembra una disordinata camera di dormitorio. Non si è ancora lasciato coinvolgere in un altro rapporto serio, le vecchie ferite inferte da Naomi sono ancora troppo profonde per essere sanate. Ci sono anche delle mattine in cui si alza con qualcuno accanto, e fruga nella memoria per ricordarne nome.

Ma questa mattina Dan è terrorizzato perché è il tredicesimo compleanno di Jordan. Il suo primo pensiero è di prenderle una Barbie. Quando ricorda che lei non ci gioca più da anni. Probabilmente sarebbe un regalo più appropriato per Sarah.


Cerca di ricordare quello con cui Jordan sta giocando in questi giorni. I tredicenni giocano ancora? Pensa a lei ancora come alla bambina che era durante il loro divorzio.

Si alza dal letto, dirigendosi verso il bagno e guardandosi allo specchio, scuote la testa
costernato su

come si sia lasciato andare dopo il divorzio. L'uomo nello specchio è invecchiato. Non si può certo negare, anche se la sua vanità lo vorrebbe disperatamente. Molti più capelli grigi, le rughe sul suo viso... no, quelle parti di lui non avevano avuto la decenza di rimanere bloccate nel tempo.

Ma l'uomo che era stato il marito di Naomi e il padre delle sue ragazze lo sta ancora osservando. Vuole che questa versione di sé se ne vada, lasciandosi tutto alle spalle, così da poter andare avanti e guarire. Ma entrambi gli uomini continuano ad esistere nella sua testa, prendendosi in giro.

Il vecchio Dan prende in giro quello nuovo, sempre padre, ma non un vero genitore. Di come a volte fa finta di dimenticare le visite e le telefonate, anche se non se ne dimentica mai una, solo perché i suoi immaginari e reali fallimenti lo convincono che forse non sarà mai un buon genitore.

Di come ama ancora Naomi. Non è innamorato di lei, non lo è stato nemmeno negli anni prima del divorzio. Ma c'è sempre una connessione, un legame formato dalle loro ragazze e la vita che avevano provato a costruire assieme. Un legame che è stato danneggiato in modo permanente, ma non può essere completamente spezzato, non importa quanto duramente ci si provi.

Il nuovo Dan prende in giro il vecchio Dan, che non è in grado di finire le cose con stile. Avrebbe potuto avere una relazione, magari con una donna più giovane. Uscire da una miriade di decisioni sbagliate. Così almeno avrebbe potuto raccontare una storia al bar. Meglio essere un cattivo ragazzo che un altro uomo incapace di far funzionare il proprio matrimonio. Meglio sarebbe stato aver fatto una colossale cazzata, almeno sarebbe stato in grado di capire il momento esatto della fine della propria relazione.

La verità è che, le cose con Naomi erano semplicemente sfumate. Non c'erano affari, nessun problema di soldi, nessun litigio furioso. Solo una lenta dissolvenza dell'amore, prima di finire come sonnambuli che camminavano attraverso il loro matrimonio. Il divorzio era stato come svegliarsi, ma onestamente, le cose sarebbero state molto più semplici se avessero continuato entrambi a dormire.

Ancora mezzo addormentato, lavandosi i denti e preparandosi a fare una doccia, lo coglie di sorpresa il fatto di conoscere meglio alcuni suoi colleghi che le proprie figlie, di come riesca a trovare un elenco dei migliori posti in città dove prendere un haumburger o una birra, molto più facilmente che una lista di cose che Jordan potrebbe desiderare per il suo compleanno.

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Capitolo 25
*** Similar Creatures ***


Birthday Present

Non è stata una caccia difficile.

L'ultima volta che ha tentato di catturare un topo trasformandosi in gatto, aveva finito accidentalmente per ucciderlo. E sapeva che non sarebbe stata la stessa cosa se il topo era già morto.

Questa volta, tutto quello che serve è un pezzetto di bacon e il topo è tutto suo. Quasi le dispiace per il piccolo animale, così simile a lui, mentre sgambetta verso la gabbia. Voleva solo la cena, ed ora è la cena per qualcun altro. Lo lascia mangiare il suo bacon in tranquillità, senza comprendere che quella gabbia sarà il suo destino. In effetti lui è una specie di topo intelligente.

Bene. Questa è la natura. Non può pensare se è giusto o sbagliato. Alcuni devono morire in modo che altri possano vivere.

Sulla strada verso il prato, gabbia in mano, supera un uccello morto. Il corpo è già diventato un pasto per un'altra creatura. Scuote la testa, osservando il casino di piume e budella, e pensa a Tobias. Anche il topo la fa pensare a lui, sempre irrequieto nella sua gabbia, cercando di liberarsi.

Queste sono le cose che le fanno venire in mente il proprio fidanzato, animali investiti e in gabbia.

Per quanto lei non sia una tipa romantica, del tipo fiori e caramelle, per quanto questo tipo di cliché le faccia alzare gli occhi al cielo, ci sono momenti in cui, nella loro strana storia d'amore, ne sente la mancanza. Momenti in cui si sente intrappolata, persa nello spazio senza via d'uscita tra la vita che vorrebbe con lui e la vita che avrà sempre.

Ogni volta che altri falchi cercano di invadere il suo territorio, lei gli porterà del cibo extra. Portare del cibo per il ragazzo è un regalo per entrambi. Sa che lui è grato e un po' imbarazzato dal gesto, ma deve ammettere che le piace il fatto che lui debba trasformarsi in umano per condividere il pasto con lei.

Portare il topo è un regalo solo per lui. Potrà rinunciare a una battuta di caccia pericolosa, ma sarà in grado di restare nel suo corpo di falco.

Più la guerra va avanti, più si chiede se vorrà mai tornare nel suo corpo umano, se non lo faccia solamente per lei. Lo vede trasformarsi da un ragazzo intrappolato nel corpo di un falco, a un falco con l'anima di un essere umano.

Glielo chiede quando arriva al prato. Conosce già la risposta, ma forse, per la stessa ragione per cui non riesce a immaginare la sua vita senza il dolore di amarlo, vuole sentirla.

Non lo so.

E' una bugia gentile, e lei è grata e un po' imbarazzata dal gesto, capendo come si sente Tobias mentre squarta il topo.

Lo guarda godersi il pasto, guarda la sanguinosa confusione proprio di fronte a se, la sua lettera d'amore composta da un cadavere. E' felice di riuscire a dargli ciò di cui ha bisogno, anche se così facendo distrugge l'ultimo brandello di fantasia in cui il loro rapporto è normale, così facilmente, come un predatore che divora la sua preda.

Comprende che il falco non potrà mai appartenere a lei, ma vuole comunque che vadino di pari passo, vuole che si accompagnino. Ma tutto il suo essere non può essere diviso in modo preciso, esattamente a metà. C'è stato un tempo, prima di amarlo, che l'essere umano avrebbe potuto sopravvivere senza il falco.

Ma lei sa che quel tempo è passato da un pezzo.

Più tardi, entra nuovamente nella sua metamorfosi umana, e lei sa che lo sta facendo solo per renderla felice. Poterlo stringere, toccarlo, si sente in colpa perché sa che questo è un regalo solo per lei. Volare insieme è un regalo per entrambi, ma quando Tobias prende la sua forma umana è solo per lei. Si sente colpevole, ma anche felice di riaverlo, anche se la persona accanto a lei è solo il fantasma di un ragazzo che ha vissuto, per poi trasformarsi in qualcosa di completamente diverso.

A volte si ritrova a ridere in silenzio di se stessa, scuotendo la testa, su quanto sia egoista aspettarsi che lui possa condividere ogni parte di se stesso con lei. Lo ama davvero, ma ci sono parti di se stessa che riesce a malapena a riconoscere, figurarsi condividerle con un'altra persona. Sa che lui vuole la ragazza e non la guerriera, proprio come lei vuole l'uomo e non il falco.

Ma lei sa che il tempo in cui la ragazza avrebbe potuto sopravvivere senza la guerriera, ormai è passato da un pezzo.

In realtà vuole solo che entrambi possano…

Ma non può pensare al giusto o sbagliato. Questo è l'unico modo di amare che abbia mai conosciuto, creature simili danneggiate in modi che si fondono assieme, come la saldatura di osso rotto.

Forse alcuni desideri devono solo morire cosicché quelli più reali possano vivere.

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Capitolo 26
*** Three Square Meals, Four Long Days ***


Birthday Present

A volte è davvero una specie di pregio essere un disastro in qualcosa.

A questo pensava mentre studiava il disordine di fronte a lei, ripercorrendo mentalmente i passi che aveva cercato di seguire e chiedendosi quando aveva preso la strada sbagliata.

Sua madre era fuori città per una conferenza. Dopo un paio di lunghi e noiosi discorsi a proposito della responsabilità e della famiglia, le aveva affidato il compito di prendersi cura di Sarah e Jordan per quattro giorni. Sua madre le aveva lasciato un po' di soldi da usare. Il problema era che non aveva lasciato abbastanza denaro per poter ordinare pizza e cibo take-away per ogni singolo giorno, per ogni singolo pasto.

Ciò aveva portato all'inevitabile tragedia della cucina di Rachel.

Era stata molto attenta a non tentare nulla di ambizioso. Era stata lontana dal forno, limitandosi al piano cottura e al microonde. Aveva preso ogni precauzione che i cuochi novelli dovrebbero prendere, per garantire che non andassero troppo oltre le loro abilità, e rendere terribile un pasto. Aveva seguito rigorosamente le istruzioni sulla scatola, alla lettera, anche le più semplici, imbarazzanti, idee pasto a prova di idiota.

Era il turno della prima colazione: salsicce, pancakes e uova.

Quindi, qual'era il problema, si chiese mentre assaggiava la salsiccia bruciata, i pancakes bruciati e le uova troppo crude? Mentre lottava per ingoiare i primi bocconi, la risposta venne da se.

Aveva appena capito quando difficile fosse cucinare. Era così difficile che stava iniziando a giustificarlo come un risultato. Non era solo una buona cuoca, o solo una cattiva cuoca. Quello era per gli smidollati. Lei aveva il coraggio, la capacità di fare di peggio.

Sorrise tra se e se. Si, lo era. Era come rovesciare la sua mente in modo che non dovesse sentirsi imbarazzata e inadatta a fare i basilari compiti domestici. Se hai talento in qualcosa, non devi lavorarci molto. E lei, dopotutto, non aveva dovuto lavorare sodo per fare un cibo dal gusto terribile. Così, in realtà, lei era uno chef di grande talento.

Jordan e Sarah avevano entrambe un'espressione di cauto ottimismo quando scesero per la colazione. La speranza che forse questa volta sarebbe andata meglio. Quando videro il cibo che Rachel aveva messo in tavola si scambiarono un occhiata esasperata.

- Rachel? - chiese Sarah, gli occhi spalancati e imploranti – Possiamo ordinare una pizza? -

- Te l'ho già detto, non abbiamo abbastanza soldi per la pizza. Ora, mangia le tue uova. Si stanno raffreddando. -

Jordan guardò Rachel meravigliata – Che importa se diventano fredde? -

Rachel sorrise. Anche se non aveva cucinato quella schifezza intenzionalmente, farla mangiare alle sue sorelle era una vendetta passivo-aggressiva molto soddisfacente, per la loro insolenza ed i continui piagnucolii mentre loro madre era via. Fingendo con innocenza di non capire quanto la colazione fosse pessima, facendole sentire troppo in colpa per non mangiarla?

Impagabile.

- Forza voi due. – disse sempre sorridendo. - Mangiate. Credo di star davvero migliorando nel cucinare queste cose. -

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Capitolo 27
*** Kamikaze ***


27

Se solo pestare i piedi, gridare a pieni polmoni, fare un vero e proprio capriccio fosse stata la strada giusta. Sarebbe stato un comunicato di benvenuto alla tensione, al panico travolgente che stava sentendo. Ogni muscolo del suo corpo era pronto per lottare, ma sapeva che non era la strada giusta per portarlo dalla sua parte.

Qual'era il modo, però? Rachel era andata lì per perorare la sua causa, per convincerlo, e lui si era schierato con... Dio, sentirlo dire quelle due parole le faceva venire voglia di dargli un pugno in tutti e quattro i suoi occhi.

Il Principe Jake...

- Si, Ax, sappiamo tutti che sei al cento per cento con il Principe Jake. -

Sputò fuori le ultime due parole, come del cibo andato a male.

Le percentuali non centrano nulla. Il Principe Jake ha ragione ad assicurarsi che gli Yeerk testino il raggio anti-metamorfosi su Tobias.

- Come puoi dire questo? - la voce di Rachel era bassa e pericolosamente tranquilla, senza preoccuparsi di nascondere la rabbia. Cercare di far andare Ax contro il suo Principe Jake la faceva sentire esattamente come... beh... come Jake.

- Lo tortureranno. Conosci gli Yeerk meglio di chiunque altro. Lo sai che lo faranno. Lui potrebbe non... -

Lottò abbastanza a lungo per cercare di farglielo capire. Sapeva che era d'accordo con lei, la pensavano allo stesso modo. Tutto quello che doveva fare era farglielo capire e Tobias non avrebbe dovuto farlo.

- E' una missione suicida. Io e te possiamo andare da Jake stanotte e convincerlo che è una follia. Domani lasceremo perdere, O... O forse potrei farmi catturare o farlo testare su di me. Non lo so, perché no... giusto? - terminò con il sorriso più triste del mondo, un sorriso completamente incapace di nascondere la pura disperazione che la divorava.

Perché sarebbe egoista.

Quelle parole furono come uno schiaffo in pieno viso.

- Egoista? Mi sono offerta volontaria e forse morirò al posto suo e tu mi chiami egoista? Guarda, Ax… -

Puntò il dito verso di lui, ma lo lasciò cadere quando lui la interruppe con una pensiero telepatico ancora più severo e duro del solito.

Tu vuoi andare al suo posto perché non voi che gli accada qualcosa. Perché è come uno della famiglia per te. Perché...

La sua voce vacillò solo un po' prima di riprendere.

Perché gli vuoi bene. Ma noi siamo guerrieri, Rachel. E Tobias è un buon guerriero. Sa che il raggio anti-metamorfosi deve essere usato su di lui perché è l'unico modo per proteggere il nostro esercito. Ha messo le sue paure da parte per fare la cosa giusta per il gruppo. Dobbiamo fare lo stesso.

Rachel sentì tutto il discorso di Ax, ma senza ascoltarlo veramente. Stava ancora combattendo contro l'inevitabile. Pur sapendo che era una battaglia persa, qualcosa dentro di lei che ancora non comprendeva, insisteva nell’oscillare verso il basso.

L'approccio duro non aveva funzionato, così provò quello più delicato.

- Ax, Tobias è il tuo... - cercò di trovare le parole giuste per poi rinunciarci – Bene. Non so esattamente che cosa siete, ma Elfangor era suo padre. -

Ne sono consapevole. Disse Ax seccamente.

- Che cosa faremo senza di lui? Che cosa farai senza di lui, vivrai da solo in questi boschi? -

E cosa diavolo avrebbe fatto lei, senza Tobias, che dolcemente la riportava dietro la linea della sua sanità mentale? Quella linea che continuava a muoversi ovunque in quei giorni, saltando in giro, spostandosi, quando abbassava la guarda senza che se ne accorgesse. Non poteva farcela da sola, e istintivamente sapeva che perderlo l'avrebbe fatta oltrepassare il limite.

Gli occhi principali di Ax rimasero concentrati su di lei, ma quelli peduncolanti vagarono per un momento.

Spero di non doverlo scoprire.

- Allora è così, è? - Sollevò le mani in segno di disappunto. Odiava l'interno universo e ogni cosa di esso in quel momento. - Questo è tutto quello che facciamo? Gli vogliamo bene, e tutto quello che facciamo è sperare? -

No. Non è tutto qui.

- E allora? - sbottò. Era furiosa con Ax, ancora prima che finisse la conversazione.

Cerchiamo di non essere d'intralcio.

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Capitolo 28
*** The Last Sleepover ***


27

Era una loro abitudine fare dei pigiama-party.

L'ultimo l'avevano fatto quando avevano undici anni. Avevano parlato delle tipiche cose da ragazze di quella età, ragazzi, vestiti e capelli. Rachel cerava di fare delle trecce a Cassie, legandoli grossolanamente.

- E' così difficile. Non mi stupisco che non ti sistemi mai i capelli. – la prese in giro.

Cassie passava un pettine tra i sottili, lunghi e biondi capelli di Rachel sorridendo.

- E' così facile. – rispose – Non capisco il perché tu perda milioni di ore in bagno la mattina -

Risero di loro stesse, non cercavano di far finta di non essere gli esatti opposti, ma non c'era nessuna discussione o ripensamento sul loro legame di migliori amiche.

Non fecero altri pigiama-party dopo quella notte. Non li bandirono ufficialmente, non parlarono mai del perché non le interessavano più. I pigiama-party erano caduti nelle crepe assieme ad altre cose che inconsciamente consideravano troppo infantili per ragazze nella fase adolescenziale.

Che cosa terribile e ironica era il pensiero di voler essere più maturi, ora, in una notte come quella. Avevano pensato di fare un pigiama-party, come ai vecchi tempi. Rachel pensava fosse una strana richiesta, specialmente ora che non solo si erano lasciate tutte le cose infantili alle spalle, ma le avevano abbandonate per sempre nel passato. Ma aveva immaginato che era proprio questo il motivo per cui Cassie voleva rivivere i vecchi tempi.

Rachel aveva preparato tutto per quella notte, in cui la loro unica missione era quella di legare e comportarsi come delle idiote complete. Aveva preso Ben and Jerry, People, ed era pronta per iniziare una lista mentale di tutti gli idioti a scuola sui quali avrebbero potuto spettegolare, inclusa la nuova ragazza che aveva messo gli occhi su Jake.

Il cuore di Rachel ebbe un sussulto quando le prime parole che uscirono dalla bocca di Cassie furono – Dobbiamo fare una cosa. -

Rachel emise un lungo sospiro – Cassie, spero veramente di non dover parlare di Joe Bob Qualcosa in questo momento. - provò a mascherare il fatto di essere ferita con la determinazione, per vincere quel dibattito. Non facevano parte da molto di quella guerra, ma sapeva già che sarebbe stata in disaccordo con Cassie.

Ancora una volta.

- Dobbiamo assolutamente parlare di Fenestre. Sta uccidendo delle persone. – Cassie camminava avanti e indietro nella camera di Rachel. Questo tipo di nervosismo, l'energia maniacale che proveniva dalla sua amica, portò immediatamente Rachel al limite.

- Sta uccidendo Yeerk. Yeerk, Cassie. Ricordi chi stiamo combattendo? - Sapeva di essere accondiscendente, ma non aveva voglia di litigare in quel momento.

- Stiamo combattendo il male. – lo sguardo di Cassie era implorante, e Rachel sapeva cosa sarebbe successo.

- Lui è il male, Rachel. Deve essere fermato. -

Rachel rise amaramente – Stai cercando di farmi partecipare ad una missione, alle spalle degli altri, a proposito di qualcosa su cui eravamo tutti d'accordo di lasciar perdere per il momento? Questo è il miglior pigiama-party di sempre.

- Rachel... -

Le scuse di Cassie vennero fermate. - Ad ogni modo. Ho capito. Avevi bisogno di una copertura per tutta la notte. Ma la risposta è no, ok? Non lo faremo. -

- Io lo farò. - Cassie non stava più camminando. Ad un tratto era ferma in piedi, e l'espressione sul suo viso portò Rachel a chiedersi se la vecchia Cassie se ne era andata, lasciando posto ad una nuova, una Cassie che provava ad usare la loro amicizia per manipolarla.

- Devo farlo. - continuò Cassie - E ho bisogno del tuo aiuto. -

Rachel scosse la testa – No. Questa volta stai sbagliando. -

Cassie alzò gli occhi al cielo – Andiamo Rachel. Non crederai veramente che il nemico del mio nemico sia mio amico, vero? -

- Non lo so. - rispose Rachel sulla difensiva – Forse si. -

Rimasero immobili per qualche secondo, fissandosi l'un l'altra, nessuna delle due aveva intenzione di muoversi di un millimetro. Per la prima volta dall'inizio della guerra, Rachel comprese veramente che lei e Cassie sarebbero sempre state nella stessa squadra, ma quando sarebbero giunte al dunque, forse non sarebbero state dalla stessa parte troppo spesso.

- Tu non c'eri, Rachel – proseguì Cassie senza fermarsi – Non c'eri quando abbiamo parlato con lui. Non hai guardato dentro quegli occhi, sentito quella voce... -

- Perché ero fuori gioco! - Rachel sperò che Cassie non si accorgesse che la sua voce si stava alzando.

- Calmati. Non abbiamo bisogno che tua madre venga qui. E tutto quello che intendevo dire era che tu non capisci fino in fondo con chi abbiamo a che fare. -

- E suppongo che dovrei fidarmi di quello che tu pensi di questa situazione? -

- Cosa intendi dire? -

Rachel si sedette sulla scrivania. Scosse la testa per un attimo, passandosi una mano tra i capelli – Sai una cosa... non vuol dire niente, ok? Dimenticalo. - si strinse nelle spalle – Perché sei ancora qui? Sai che non sono d'accordo. Perché non vai... -

E poi capì. Vide l'imbarazzo sul volto di Cassie e seppe di aver indovinato.

- Ci hai già provato con Jake, vero? E non vuole aiutarti. Sapevi che Jake era l'unico modo di convincere qualcuno a mettersi dalla tua parte. E quando non l'ha fatto sei venuta qui. -

Perché sai che non farò la spia con gli altri. Perché sai che verrò comunque con te, anche se penso che stai sbagliando, per aiutarti a non farti uccidere. Perché sono la tua migliore amica.

Cassie abbassò lo sguardo – Forse Jake non è la persona che credevo fosse. -

- Non è la persona che credevi fosse? Perché non vuole assecondarti in questa cosa? Ragazzi, sei veramente una fidanzata difficile da accontentare. -

Quest'ultima parte fu detta in tono scherzoso, cercando di alleggerire l'atmosfera.

Ma non lo fece.

- Fidanzata? Per favore. – Cassie fece qualche passo indietro – Non ci siamo mai baciati. - Scosse la testa, come se volesse cacciare via uno strano pensiero. - Ma questo non ha importanza ora. Non è quello di cui stavamo parlando. -

- Non posso lasciare che tu ti faccia ammazzare. – Rachel non lo disse affettuosamente.

- Non ho intenzione di costringerti ad aiutarmi. So prendermi cura di me stessa. - Cassie si girò per andarsene.

Rachel voleva fermarla. Non voleva aiutare Cassie, ma non voleva perderla. Essere migliori amiche non era più divertente, non si trattava più di pigiama-party o feste. Essere la migliore amica di Cassie al momento sembrava più un peso, ma questo penso era una parte di ciò che era, e non voleva farne a meno. Rachel guardò davanti, riscuotendosi dai pensieri, per chiedere a Cassie qual'era il piano, quale sarebbe stata la loro prossima mossa.

Ma Cassie se ne era già andata.

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Capitolo 29
*** Dress For Success ***


27

L'abito verde non veniva indossato molto spesso, e sicuramente ogni volta che lo aveva usato era stata un occasione speciale. Il verde chiaro metteva in risalto i suoi occhi e faceva sembrare i suoi capelli biondi più luminosi. Ma il pezzo forte era il modo in cui si adattava al suo corpo. Non aveva mai abbandonato il suo senso estetico, anche nei tempi più stressanti, Rachel doveva ammirare l'abile sartoria. Il vestito verde cadeva in modo perfetto. Abbastanza stretto da far risaltare le forme, ma non troppo tirato.

- Puoi chiudere la zip? - Naomi guardò Rachel da sopra la spalla.

- Consideralo fatto. - Rachel chiuse la zip del vestito, sentendosi stranamente come la sua stilista personale.

- Così... - iniziò a disagio, rompendo il silenzio imbarazzante. - Eccitata per l'appuntamento? -

Naomi fece un piccolo sorriso e si strinse nelle spalle – Non so se sono esattamente eccitata... voglio dire, Jackson è molto carino, e abbiamo lavorato assieme per un po'... ma sai come possono andare queste cose. -

Ora era il turno di Rachel di ridere – Uhm... no, in realtà, non ho idea di come queste cose possono andare. - diede un occhiata sarcastica a Naomi attraverso lo specchio – Ciao, sono io, Rachel. -

E non lo sapeva. Amicizie a parte, Rachel non aveva idea di come fosse incontrare qualcuno al lavoro o a scuola e iniziare un rapporto, costruendolo lentamente da... da come si supponeva le cose si dovessero costruire, di nuovo? Ciao, piacere di conoscerti, mi piaci, ti amo... il sesso andava inserito da qualche parte, probabilmente tra il mi piaci e il ti amo... ma era tutto molto confuso per lei, su come le persone con una vita normale gestivano gli appuntamenti.

Guardare sua madre prepararsi per un appuntamento era... strano. E si sentiva male per il fatto di sentirsi strana. Voleva vedere sua madre felice, lo voleva veramente. E non credeva che sarebbe stato un bene per sua madre farlo di nascosto. Non c'era niente di male in un appuntamento per una donna single, dopotutto. Era solo... c'era una parte di Rachel che ancora immaginava i suoi genitori insieme, nonostante la logica e i sentimenti che non provavano più l'uno per l'altro. Non aveva mai veramente fantasticato sul fatto che potesse accadere, non era veramente sicura di volere che tornassero assieme... c'era solo un po' di tristezza, nel vedere sua madre andare ad un appuntamento, mettendo l'ultimo chiodo nella bara.

C'era anche una punta di gelosia, e si sentiva veramente in colpa per questo. Sua madre credeva di dover essere lei a doverla aiutare per un appuntamento, ma Rachel in cuor suo sapeva che i balli scolastici, e cose del genere non avrebbero fatto parte del suo futuro. Il mondo non l'avrebbe salvata, dopo tutto. Sapeva che sua madre non usciva molto, non aveva molti amici o una vita sociale. Ma era comunque più avanti di Rachel in questo campo.

Naomi si voltò verso la figlia, finendo di esaminarsi allo specchio – Sembro a posto, vero? -

Rachel sorrise – Vero, sei bellissima. -

- Conto su di te per essere la mia esperta di moda. -

Rachel alzò gli occhi al cielo. - Te l'ho già detto, stai bene. Dove hai preso questo vestito? -

Naomi sospirò – Oh, è stato molto tempo fa. Non ricordo esattamente dove. L'ho comprato perché tuo padre e io potessimo andare a qualche festa di fidanzamento di alcuni suoi amici e che io conoscevo appena. Ero a scuola di legge e ho speso tutti i soldi per l'affitto per cercare di impressionarlo. -

Rachel notò che Naomi rimase assente per qualche minuto, forse qualcosa era scattato nell'angolo della sua mente dove vivevano le vecchie relazioni, ricordandosi giorni migliori.

- Ad ogni modo, – continuò – è vecchio. -

Rachel annuì in segno di approvazione – Sono stupita che ti vada ancora bene, sai, con tre figlie e... - si fermò non appena notò lo sguardo di Naomi. Non era divertente ricevere uno sguardo come quello.

- Bene... - si schiarì la voce prendendo tempo – Buona serata. -

Naomi sorrise, come se si fosse appena resa conto che c'era veramente la possibilità di passare una bella serata, e si sentì meglio. - Speriamo. - poi tornò in modalità mamma perfetta – Prenditi cura delle tue sorelle, la cena è... -

- Lo so, – la interruppe Rachel – la cena è nel freezer. Tutto quello che devo fare è scaldarla. E penso di poter fare in modo che Jordan e Sarah non si uccidano a vicenda per qualche ora... o per tutta la durata dell'appuntamento, intendo dire. -

Ci fu una pausa imbarazzante, ma il disagio poteva estendersi attraverso l'oceano. Rachel e Naomi che cercavano di avere una conversazione su di un appuntamento non era come un cieco che guidava un altro cieco. Era come un cieco che inciampava sull'altro rovesciando qualsiasi cosa nella stanza.

- Beh, va bene allora – disse Naomi abbracciando sua figlia, una dimostrazione d'affetto che Rachel riteneva fosse completamente inutile.

- Va bene – disse confusa, sciogliendosi dall'abbraccio – Divertiti. - diede a Naomi una piccola spinta.

- Ci proverò. -

Naomi fece un sorriso tirato e uscì dalla camera di Rachel, indugiando sulla porta per alcuni secondi. Dopo che se ne fu andata, Rachel tirò fuori le cuffie e si lasciò cadere sul letto. Voleva che la musica attutisse il mix di speranza per la madre e la sua auto-commiserazione per la sua stessa esistenza incasinata. Al contrario, la musica si mescolò all'emozioni e si sentì bloccata lì, immobile, i sentimenti confusi che martellavano nel profondo.

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Capitolo 30
*** Brownies and Cockroaches ***


30

- Ho rotto con Arnold oggi! -

Jordan entrò a passo di carica nella cucina, dove Rachel stava cercando di godersi il resto dei suoi Cinnamon Toast Crunch in pace.

Ovviamente, non sarebbe più stato possibile.

- Non ricordo di averti chiesto qualcosa sul tuo piccolo fidanzato – disse Rachel sbrigativa, non era in vena di parlare – Ma va bene che tu me lo abbia detto. -

- Le relazioni sono così difficili! - piagnucolò Jordan.

Rachel posò bruscamente il cucchiaio. Per quanto non volesse entrare in quella conversazione, non riuscì a trattenersi dal commentare.

- Relazioni? Jordan, tu non hai una relazione, e non ne hai mai avuta una. -

- Non puoi saperlo! Non puoi sapere quello che combino quando tu non ci sei. Smettila di comportarti come se sapessi sempre tutto. Non sei molto più vecchia di me, Rachel. Come puoi sapere se ho una relazione, o non ce l'ho. -

- Va bene, ovviamente vuoi parlarne, e io voglio finire alla svelta, quindi prosegui. - disse Rachel a malincuore.

Jordan la raggiunse al tavolo, senza che l'espressione di sofferenza abbandonasse il suo viso.

- Qual'è il problema? - chiese Rachel – Pensavo avessi dei ragazzi... oh aspetta, scusami, – si corresse in tono melodrammatico – pensavo avessi delle relazioni ogni settimana. -

- Si, ma Arnold e io siamo stati assieme per quasi un mese. - sospirò sconsolata Jordan.

- Un mese, è? Hai già scelto l'abito per il tuo matrimonio? - Rachel considerò seriamente l'ipotesi di tornare a prestare più attenzione ai suoi cereali che a sua sorella.

- Andiamo, Rachel – Jordan sembrava sinceramente sconvolta ora, non solo piagnucolosa – Mi piace veramente. -

- Oh, – Rachel rimase sorpresa. Immaginò di dover smettere di prendere in giro Jordan, realizzando che la sua piccola sorella era in preda a una cotta, il che significava guai in vista – Guarda, Jordan... -

Jordan la interruppe, chiaramente molto più interessata a parlare che ascoltare quella conversazione – Mi piace veramente, ma l'ho visto seduto con Ashley Wincher a pranzo oggi. Credevo che ci saremmo incontrati a pranzo, lo facciamo sempre. E ci sediamo sempre assieme. Ed è veramente dolce quando usa il suo buono per prendermi una porzione extra del dessert. Ma l'ho visto seduto con lei e... Credo che abbiamo rotto ora. Ma penso di amarlo. -

- Oh, Jordan. - Rachel sentì un misto di affetto ed irritazione, altrimenti noto come antico legame fraterno. - Non so cos'è successo in mensa. Semplicemente non ha senso, non posso capirla. Ma so che non puoi essere innamorata di questo ragazzo perché di compra dei brownies. -

- Mi sento come se lo fossi. E gliel'ho detto. -

Rachel cercò di mettersi nei suoi panni. Non era li tipo di persona da “ti amo”, nemmeno con Tobias.

La prima e una delle poche volte che lo aveva detto ad alta voce, erano scarafaggi. Si stavano preparando a strisciare attraverso un bagno disgustoso, cercando di trovare una nuova entrata alla vasca Yeerk. L'istinto da scarafaggio di Rachel le stava dicendo che l'odore di sporcizia mescolato a un non-abbastanza-forte detersivo per la pulizia industriale non era disgustoso. Lo scarafaggio si sentiva a casa.

Ed era così. Era normale, naturale. Solo un altro giorno, un altra missione. Non era neanche lontanamente vicino all'essere una missione pericolosa, e nemmeno la più disgustosa che avessero fatto. Lo vedeva solo come un altro giorno di lavoro in ufficio.

Fai attenzione li dentro. Le disse Tobias con un pensiero telepatico privato.

Anche tu. Ti amo. Disse automaticamente, senza pensarci su.

Ti amo anch'io.

E così, aveva ricambiato. Non c'era stato nessun bacio, nessun momento romantico o musica di sottofondo. Non aveva nemmeno avuto il tempo di mettere la parola io prima del ti amo.

Alcune ragazze hanno la loro pietra miliare a scuola.

Alcune ragazze l'hanno in metamorfosi da insetto, con le piccole zampe da insetto che lottano per allontanarsi da una macchia di urina prima di partire alla carica verso una entrata dalla vasca Yeerk, senza il tempo di dire altro.

La cosa divertente era, guardando la faccia di Jordan oltre il tavolo della cucina, che Rachel iniziava a chiedersi se le ragazze nei corridoio lo facessero meglio della ragazza nella macchia di urina.

- Gli hai detto che lo ami? - Rachel vece una smorfia, immaginando l'imbarazzo della sorella.

Jordan annuì, due lacrime le scesero lungo le guance.

- E poi lo hai visto con quest'altra ragazza? -

Jordan annuì ancora.

- Lui ha detto che ti ama? -

Jordan scosse la testa, lo sguardo fisso sul tavolo - No. Non ha detto niente. E il giorno dopo l'ho visto con Ashley. -

Rachel prese un respiro profondo. Se voleva aiutare sua sorella, aveva bisogno di mettersi a proprio agio. Smise di guardarlo come ad una questione di coppia e iniziò a tracciarlo con attenzione, come se stesse facendo la mappatura della vasca Yeerk.

- Ve bene, so che è non è piacevole, ma cerchiamo di riflettere. Ci sono un sacco di ragioni per la quale possa essersi seduto con Ashley. Forse stavano lavorando ad un progetto assieme. Forse i loro genitori si conoscono. Non lo sappiamo. E dovresti chiederglielo prima di scaricarlo. E forse non ha detto nulla perché era solo imbarazzato.

Jordan alzò lentamente lo sguardo – Quindi, pensi che mi ami? -


- Beh – disse Rachel con attenzione – Usa i suoi buoni per prenderti il dessert. Deve pure significare qualcosa, giusto? Forse un ragazzo che ogni giorno fa qualcosa di carino per te, non può sedersi e pranzare casualmente con un altra ragazza senza nessuna ragione. -

Jordan si asciugò le lacrime – Quindi... stai dicendo che devo uscire con un ragazzo, anche se penso che mi stia prendendo in giro, se lui è carino con me e mi compra qualcosa? -

Rachel si strofinò la fronte per la frustrazione – No, non è quello che stavo dicendo. -

Jordan sembrava confusa – E' proprio quello che hai detto. -

- No, Jordan... - Rachel guardò sua sorella minore, soddisfatta di poter essere onesta con lei, una volta su un milione. - Quello che sto cercando di dire è che la vita può fare schifo. Può essere molto dura. Quindi puoi essere grata quando va bene, invece di lagnarti... intendo dire protestare... su come non sia perfetta. Perché potrebbe andare molto peggio. Stessa cosa vale per i ragazzi. -

Jordan sembrava quasi capire quello che Rachel stava dicendo, esitare sul bordo, cercare di coglierne il concetto. Dopo alcuni minuti di ginnastica menale ed emozionale che non centrava nulla su quello che Rachel aveva messo sul piatto della bilancia, alzò le mani e sbatté i piedi sotto il tavolo, esasperata.

- Quindi dovrei rompere con Arnold o cosa? - Jordan mise tutta la confusione e la sincerità di una cotta nella scuola media in quella domanda, era ancora ostinata a voler una risposta concreta.

Rachel rise gentilmente – E' una tua scelta Jordan. Non posso prendere la decisione per te. -

Si alzò per andarsene, senza smettere di sorridere perché ora, proprio in quel momento, non si sentiva sola.

- Aspetta... dove stai andando? - Jordan sembrava ancora immersa nella confusione, ma Rachel sapeva che la sorella avrebbe dovuto risolvere quella questione da sola.

- Non puoi sapere quello che combino quando non ci sei. - la prese in giro – Forse ho un appuntamento. -

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Capitolo 31
*** The Oddest Moments ***


30

Rachel le tornava in mente nei momenti più strani.

Melissa non si era mai sentita tormentata da lei, le faceva visita di tanto in tanto. Erano sempre piccoli momenti, piccoli flash nella memoria. Era come ricevere una visita a sorpresa da uno straniero che avevi incontrato, e che era stato un amico prima. Esattamente come quando erano ragazze adolescenti, prima di allontanarsi, i flash su Rachel esistevano nella memoria di Melissa come la propria mente li aveva dipinti nel corso del tempo, comprendo l'immagine della ragazza reale che aveva vissuto, combattuto e che poi era morta.

Melissa sapeva che quando le persone muoiono, la verità su chi erano realmente moriva con loro. Tutto quello che avevano lasciato alle loro spalle erano interpretazioni delle altre persone su chi fossero, memorie così inaffidabili da poter essere bugie.

Lo sapeva a causa dei suoi genitori. Loro sarebbero sempre stati ricordati come due persone vittime innocenti della guerra, due persone finalmente libere. Ma lei ricordava come, anche dopo aver ripreso il controllo delle loro menti e dei loro corpi, i loro sguardi spenti c'erano ancora a volte, come se avessero perso la loro anima durante i loro anni di prigionia. Ricordava come si erano rifiutati di parlare dei dettagli di quel periodo, ma era tutto ciò di cui lei voleva parlare, l'ultimo disperato tentativo di ristabilire un contatto con loro. Ma non ne volevano parlare, facendo in modo che i loro discorsi riguardassero il nulla, sparando insignificanti cortesie al vento.

Lo sapeva a causa di suo marito. Lui sarebbe sempre stato ricordato come una vittima innocente di un incidente d'auto, un padre d famiglia, una vita presa troppo presto. Ma lei ricordava le discussioni sempre uguali, i letti separati, la bruna del reparto fatturazione. Tutto nascosto sotto il tappeto, assieme al resto dello sporco che aveva appena spazzato via con la scopa, non sarebbe stato mai veramente pulito.

E soprattutto, Melissa lo sapeva a causa di se stessa. Salendo le scale della sua camera da letto, il suo corpo abbastanza vecchio da rendere i ripetitivi movimenti faticosi per le sue ginocchia, sapeva che cosa avrebbe sempre ricordato. Una moglie devota, poi una vedova in lutto, sempre un genitore amorevole. Ma lei ricordava come, ogni anno da quando Andrew era nato, fino alla partenza per il college. Si era ripromessa di finire la laurea. Ricordava di come sarebbe dovuta (rimettersi in pista) tornare ad avere degli appuntamenti, trovando il suo grande amore ad un età matura e vivendo il resto della sua vita con lui.

L'immagine nella mente di Melissa su come sarebbe dovuta essere la sua vita, e quella che era in realità, non la disturbava più. E se lo faceva, erano solo piccoli flash di delusione, niente di abbastanza grave da interrompere la sua routine quotidiana.

Salendo le scale, un ginocchio dolorante dopo all'altro, era un momento davvero strano per pensare a Rachel.

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