We only work when we need the money. So, what if I need you?

di Acid_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stay for tonight, if you want to. ***
Capitolo 2: *** Bedroom eyes. ***
Capitolo 3: *** So I’m trying to pretend. ***



Capitolo 1
*** Stay for tonight, if you want to. ***


I personaggi non mi appartengono.
Se così fosse non impiegherei il mio tempo a scrivere fanfic,
ma credo farei cose altrettanto divertenti. EHEH. Ok, avete capito il concetto.
Gli avvenimenti raccontati non sono realmente accaduti, o questo è quello che vogliono farci credere. :’D
Questa storia è frutto di una mentalità perversa unita a quasi quattro anni di Franz Ferdinand, Beatles e Green Day.

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We only work when we need the money. So, what if I need you?


 

- Io dico di no.
- E io dico di sì, invece!
- Ma non è vero!
- Sì, che è vero!!
Era un po’ di tempo che andava avanti così. Nessuno dei due ricordava per quale motivo avessero iniziato a discutere, ma entrambi difendevano le proprie ragioni come meglio potessero fare due ventenni: litigando come dei bimbi dell’asilo.
Alex li guardava, con il gomito sul tavolo e la mano a sorreggere la testa, e gli occhi che andavano a destra e a sinistra come in una partita di ping pong. Annuiva ogni tanto, ma non sapeva neanche cosa stessero dicendo, vedeva solo il movimento delle loro labbra.
Aveva un mal di testa cane e l’alcool che aveva ingurgitato fino ad allora non l’aveva aiutato a migliorare la situazione.
Stare a guardarli era interessante come una partita di scacchi tra due galline.
- E invece io dic.. - Io vado a farmi una sigaretta- lo interruppe Alex, alzandosi dalla poltroncina ad angolo in pelle scura, bloccando l’esposizione di una sicuramente interessante argomentazione di Bob su quanto gli aperitivi fossero migliori lì, che in qualsiasi altro pub di Glasgow.
- EH?! – risposero in coro i litiganti. – Tu non fumi! – continuò Paul, sostenuto un deciso movimento di accondiscendenza con la testa di Bob.
- Imparerò! – urlò Alex sorridendo, mentre era già diversi metri lontano da loro.
La musica gli rimbombava fin dentro le ossa e le luci strobo del locale facevano il conto alla rovescia per lo scoppio della sua testa.
Camminava attraverso tutto il pub a passo deciso, dritto verso l’uscita.
 
 
La musica si sentiva anche da lì fuori, con una potenza che avrebbe sfondato anche i muri e Alex si domandava come facesse a stare ancora in piedi, quel posto, dopo tutti quegli anni. Si sedette.
Con tutta quella musica, con tutta quella gente che andava, con tutta quella gente che andava e lasciava la sua storia, e poi la pioggia, e il sole, e la luna. Tutte le notti e tutti i giorni.
Lui sarebbe crollato dopo qualche anno. Adesso aveva 25 anni, e ancora non era successo.
Ma sarebbe bastata anche una piccola folata di vento che la sua piccola, inutile vita gli sarebbe crollata addosso. Aveva bisogno di un muro di cristallo tra sé e il mondo.
Non c’erano molte auto parcheggiate lì, Glasgow si svuotava sempre d’estate. Diventava una città fantasma: abitata solo da anziani e giovani che non hanno abbastanza soldi per scappare.
Ma è molto meglio d’estate, per questo i ragazzi lavorano solo quando hanno bisogno di soldi. E vanno via.
Oh, è passata un’auto. Vecchia, sporca. Si ferma. Scende un ragazzo con una chitarra.
Però non è detto che sia una chitarra, quel che si vede è che è una custodia per una chitarra. E la società si basa su quello che c’è all’esterno, quello che si vede. Proviamo a pensare come vuole la società.
Dentro quella custodia potrebbe esserci di tutto: un mitra, ad esempio. Droga, un violoncello. Di tutto.
Ok, forse un violoncello non ci stava in una custodia di una chitarra. O sì? Non ricordava mai quanto fosse grande un violoncello.
‘Se c’è dentro un mitra, voglio vedere come spara. Così in paradiso potrò dire di averne visto uno sparare prima di morire. SE andrò in paradiso.’ Ridacchiò, mentre con un palmo a terra e l’altro attaccato al muro cercava di tirarsi su.
 


Il ragazzo con la chitarra non era di Glasgow, si vedeva da come si muoveva, da come non facesse altro che fissarsi le scarpe. Era visibilmente imbarazzato. E ad Alex piaceva punzecchiare la gente in difficoltà, anche se questi forse erano dei killer con i mitra. Lo faceva per far scaricare la tensione, anche se sembrava uno strano modo.
- CiaosonoAlex,tunonseidiquivero?- la frase era diventata tutt’unica parola, buttata fuori con una sicurezza di sé estremamente aumentata da diverso alcool nelle vene.
Il ragazzo alzò lo sguardo e incontrò quello di Alex. Allungò la mano. –Ehm, no. Nick, piacere. –
Questa frase pronunciata a velocità normale, dopo la cannonata sputata fuori dall’altro, sembrava rallentata con la moviola.
La mano di Alex non si muoveva, così come tutto il resto del suo corpo.
Tutto quel sangue caldo gli si era congelato nelle vene, che si sentiva scoppiare nel cervello.
Sentiva una stretta allo stomaco, e stava iniziando a tremare. Di sicuro è stata la birra, si convinceva.
Il suo sguardo era fisso su quello di Nick, cercavano di leggersi l’anima.
Il tempo, il mondo, l’universo in quel momento potevano anche fermarsi, e per loro non ci sarebbe stata differenza.
Cade. La chitarra, cade a terra. E allora Alex si abbassa per prenderla, ma Nick è più veloce.
Mormora comunque un ‘’grazie’’, e torna a studiarsi le scarpe.
- C’è un mitra o una Stratocaster qui dentro?- In Alex si era scatenata una risata irrefrenabile.
- Eh? –
Risate. Era una vita che aspettava quelle risate.
Si toccava i capelli, Alex. Le lunghe dita passano attraverso i sottili fili biondi quasi rasati sulla nuca e salgono sul ciuffo che gli copre gli occhi azzurri, quasi grigi. A molti farebbero paura.



- E poi le ho detto i-i-io non sono stato esccppulso, sono iiio chè decido di espellermi da qui! - Alex era totalmente ubriaco. Sapeva di non reggere l’alcool, eppure (come quando deve farsi figo davanti alle ragazze) aveva bevuto come una spugna e non si manteneva neanche in piedi.
Nick era solo un po’ alticcio, e molto stanco.
- Hey, tu. Poi alla fine hai imparato a fumare, o no? – Bob e Paul parlavano in totale sincronia, e non se ne accorgevano. Chissà come era andata a finire poi la loro conversazione e, soprattutto, chissà se era finita.
Nick rivolse un sguardo interrogativo ai due arrivati, che lo liquidarono con un vago gesto delle mani.
- Cieeerto che ho imparato, cosha crrreddi, ah? – Era uno spettacolo. Portava quel bicchiere di whisky davanti e dietro al suo naso, mentre la maggior parte del liquido cadeva sul bancone.
Fissava tutti con lo sguardo stupito di un bambino, e con gli occhi lucidi.
- Ehhhyyy, ma voi non vi sciette prressentatti, scuuu! Non fate i maledducatti! – E giù con le risate.
- Io sono Paul, piacere –  Lo sguardo perso di Paul andava su e giù il viso del nuovo amico, evidentemente a disagio. – Piacere, Nick - .
- Io Robert, per gli amici Bob! - - Nick!- .
- E io ssshono Alexxx! - - No, tu sei un cretino. Quante volte ti ho raccomandato di non bere? – Bob si abbassò a guardare negli occhi l’amico seduto e gli tirò un pugnetto sulla fronte.
- Non ho bevuto tanto! Soooolo un bicchierinno! - - Alla volta! –
- Uffa! Ma era piiiiccolo piccoloo! E non prendermi in girooo! AHAHAHAHAH!! – Era oggettivamente esilarante.
- Qualcuno di voi lo porti a casa, è davvero ubriaco – iniziò Bob voltandosi verso Paul e Nick – Porco cazzo, dov'è quel cretino? –
- L’ho visto uscire con quella ragazza che prima era seduta lì – rispose Nick, mettendo le mani dietro la testa.
- Quel porco arrapato! Quel pedofilo! Quanti anni poteva avere quella ragazzina, 14 – 15?! – Bob scappò via smadonnando.

- Ora tu mi porti a casa? – Alex assunse la faccia più triste che un ubriaco potesse avere.
- Certo, su alzati. – Nick non sapeva se portare in auto prima la sua chitarra o l’ubriaco, che nel frattempo aveva iniziato a cantare. Aveva lo stesso problema del contadino che deve attraversare il fiume con una barca, con sopra una capra, un lupo e un cavolo.
- Ich heiße Super Fantastisch! - - Sìì, sta buono! –
- Ich trinke Schampus mit Lachsfisch! - - Chi ti ha insegnato il Tedesco? –  Era riuscito a salvare ‘capra e cavoli’, aveva portato fuori sia la chitarra che Alex. Chi era la capra..?
- EH?! - - Lascia perdere.. -
 - Ich heiße Su-per-phan-tas-tisch! - -Certo, e anche bevo-come-una-spugna-e-non-so-reggermi-in-piedi –
- EH?! – - Dove abiti? Te lo ricordi? –
-  A Glasgowwwww! – urlò, lanciando un pugno in aria e quasi facendo perdere l’equilibrio a Nick, che lo teneva alzato.
- OGGESU -
- Non è ora di pregare, nonnono! –
 - Sali in macchina, forza.-
 

 
- Ecco, io aaabbbbito qua –  Alex indicava una serie di villette a schiera poco illuminate.
- Ok, devo accompagnarti alla porta? - - Sccierto! Ci facciamo un bicchierino! –
- Basta bicchierini per oggi! - - UFFAA! –
Nick era sceso dall’auto e aveva aperto il sedile del passeggero, Alex quasi cadde a terra.
- So camminare da solo! – - Certo. - Aveva una pazienza che avrebbero potuto dargli il Nobel per la pace.
Era solo che gli piaceva la sensazione di avere Alex che dipendesse da lui, anche se solo per camminare.
- Entra. – Il suo tono era deciso, sembrava che la sua sbornia fosse già completamente passata.
- No, davvero io..- - Per favore, entra.-
Teneva la porta aperta, mentre entrava la candida luce della luna e un leggero soffio di vento.
Il vento. Avrebbe buttato giù il suo muro di cristallo.

- Ti prego. –  La sbornia sembrava non esserci mai stata.
Nick si logorava i polsini della camicia. Sembrava non avere scelta .  – Ok. –
Il viso di Alex si illuminò quando l’altro entrò in casa sua. Chiuse la porta, ma non accese la luce.
Riuscivano comunque a vedersi, gli occhi si erano già abituati al buio.
Alex poggiò la sua mano sul collo di Nick, che diventò bollente. Le sue lunghe dita passavano tra i capelli dell’altro, che restava immobile.
Le dita dell’altra mano erano incastrate in un passante della cintura di Nick.    
- Resta per stanotte – Alex aveva sussurrato con voce roca all’orecchio dell’altro. - Se vuoi. – La sua voce era diventata più profonda.
Nick degludì e annuì.
 






NDA
Okey, gente! Innanzitutto, salve! Io sono Acid_ e questa è la prima ff che scrivo, quindi siate clementi con i giudizi!
Sì, è una Nilex. Sapete, quelle robe lì. Inizialmente doveva essere una OneShot, poi ho abbandonato l’idea, visto che Alex fa tutto da solo la storia mi è scappata dalle mani.
Nella foto ci sono i Franz Ferdinand (ma no?) perchè boh, mi sentivo di dover mettere una loro foto visto che in Italia si conoscono poco. Da destra verso sinistra sono: Paul, Bob, Nick e Alex.
Ci sono diversi riferimenti a canzoni dei Franz Ferdinand: già nel titolo c’è Jacqueline.
Poi credo di averci messo ‘Darts of Pleasure’, ‘Ulysses’ e ‘The Dark of the Matinee’.
Il titolo di questo capitolo invece è in riferimento a ‘James Dean & Audrey Hepburn’ degli SWS.
Ho detto tutto, credo. Se avete correzioni, o qualsiasi cosa ditemelo!  

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Capitolo 2
*** Bedroom eyes. ***


 We only work when we need the money. So, what if I need you? 




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Nick lo aveva avvicinato a sè per il sottile bacino, e – cazzo, non poteva ancora crederci – ma mentre lo stringeva forte gli baciava il collo.
Alex aveva il fiato corto e sentiva il bisogno di urlare ma non riusciva nemmeno ad articolare un pensiero.
Nick cercava di afferrare l’essenza del profumo della pelle dell’altro perché, in qualsiasi modo fosse andata a finire quella faccenda, voleva ricordarsi di quel profumo per sempre.
- Non sei più ubriaco? – Chiese nel buio della stanza.
- Ummhh – Alex non aveva voglia di pensare, non in quel momento, e affondò la testa nell’incavo del collo del chitarrista, mentre con le mani gli carezzava la schiena.
- Oh, andiamo.. – Nick gli baciò la fronte.
- Fingevo, l’avevo detto di non essere ubriaco. – Gli soffiò nell’orecchio.
L’altro ci mise un po’ a recepire il contenuto di quella frase, distratto dal suono che ne era uscito fuori. Puro sesso.
- Vieni con me. – Gli mordicchiava il lobo mentre lo diceva.
- Eh? –
- Adesso sembri tu quello ubriaco. – Sorrideva, Alex.
- E’ colpa tua! –
 

 
Camminavano uno dietro l'altro, per il corridoio che portava alla camera da letto.
Questa era una grande stanza con un letto matrimoniale e un grosso armadio, e tanti libri sparsi dappertutto. Nick poteva giurare di averne visti alcuni cucina e giardinaggio, uno o due addirittura col titolo in greco.
La camera era illuminata da una piccola lampada nell'angolo opposto alla porta, poggiata su una pila di vecchi dizionari.
Il letto era disfatto e le coperte erano intrise del sudore di Alex, quello che lui aveva cercato di fissare nella mente solo qualche minuto prima.
Stava diventando pazzo, era meno di un minuto che aveva tolto le mani dal corpo dell'altro e già ne avvertiva l'assoluto bisogno.
I due erano in piedi, di fronte e si guardavano.
Le mani grandi di Nick contrastavano con quelle lunghe e affusolate di Alex, con le vene sporgenti che si potevano seguire fino scopra il suo piccolo polso.
Nick era soffermato a guardare le gambe magrissime dell'altro, all’interno di jeans attillati quando questo interruppe il sottile filo dei suoi pensieri.
- Non mi farai del male? - Lo sguardo sincero degli occhi color del cristallo si perdeva negli occhi azzurri dell’altro. - Non mi farai del male, vero? –
Nick non riusciva più a trattenersi, per quanto la sua decenza e il suo buonsenso urlassero dal profondo del suo cervello.
Lo baciò. Baciava come mai avesse fatto prima.
Quando le loro labbra si staccarono, sulla bocca di Alex si dipinse un sorriso.
- Ho davvero bisogno di te, non potrei mai fare del male ad una creatura così frangile. - Nick si era appena accorto in cosa Alex fosse diverso dagli altri. Aveva un muro di cristallo tra se e gli altri e lui sentiva di poterci passare attraverso.
Alex si stese sul letto e Nick si mise a cavalcioni su di lui.
Iniziò a sfilargli la maglietta. Mentre le sue dita toccavano i fianchi nudi dell'altro questo emise un mugolio gutturale, seguito da un scatto che gli fece muovere tutta la spina dorsale.
 


Alex con le sue dita bianche iniziò a sbottonare la camicia nera a pois di Nick. O meglio, ci provò.
Gli tremano le mani, non ci riusciva proprio.
Rideva, si vedeva quella luce negli occhi di chi è felice per davvero. Anche Nick era preso dalle risate, e finì a sbottonarsela da solo la camicia.
Alex aveva invertito i posti, adesso lui era sopra. Poteva vedere il suo torace alzarsi e abbassarsi ritmicamente. Lo leccò, dal mento fino alla cintura.
Nick gemette, e - oh, quanto era sexy la sua voce - prese ad accarezzare i fianchi dell'altro.
Gli tolse la cintura.
 


Un timido raggio di sole entrava flebile dalla finestra.
La piccola lampada era ancora accesa sui dizionari. Alex allungò un braccio e la spense.
Era una di quelle lucine ‘eterne’, di quelle che non si spengono mai, ma ora non ne aveva più bisogno.
La luce del sole scorreva dritta a terra e saliva sul letto, entrando e uscendo dalle pieghe delle coperte.
Andava sul petto bianchissimo di Alex e continuava su quello più scuro di Nick, per salire e scomparire sul suo braccio.
Alex era disteso di schiena ma si era voltato per guardare il regolare saliscendi della pancia dell'altro. Era così bello che faceva venir voglia di piangere. Si sentiva scoppiare il cuore per la felicità.
Un ciuffo dei suoi capelli cioccolato gli copriva un occhio. Alex lo spostò, facendo attenzione a non svegliarlo.
Ringraziava una qualsiasi divinità lassù per avergli impedito di bere a sera precedente. Non avrebbe avuto ricordi così vividi di quello che era successo.
Le labbra sottili di Nick erano socchiuse, sembrava che gli implorassero di farlo. Si spinse leggermente in avanti, senza far rumore, e posò le sue labbra su quelle dell’altro, solo per mezzo secondo. Solo per essere sicuro che quello che aveva davanti agli occhi fosse reale e non un angelo mandato dal cielo.
Certe cose, pensò, però aveva dovuto impararle negli angoli più sporchi dell’inferno.
Si svegliava, ora, l’angelo sceso all’inferno e venuto sulla Terra.
- Buongiorno – Alex gli si mise su a cavalcioni, sfoggiando un sorrisetto malizioso.
- Sei già sveglio? Non è giusto! Volevo poter guardarti dentro all’anima! – Gli prese il viso tra le mani e lo abbassò per baciarlo. Questo perse l’equilibrio e cadde sull’altro.
Nick rimase meravigliato dal peso quasi nullo che aveva addosso. Era estremamente magro, e questo per lui era estremamente piacevole.
- Che c’è di strano nella mia anima? Perché non potresti guardarci dentro mentre sono sveglio? –
- Hai degli occhi stupendi – Ma aveva paura di guardarli. Erano come cristallo, come bolle di sapone. A molti farebbero paura.
A molti farebbero paura perché pochi saprebbero come non farli cadere a pezzi e tagliarsi con le scaglie.
A molti fanno paura perché nessuno sa evitare che le bolle di sapone scoppino.
C’era un muro di cristallo tra quell’uomo e il mondo, ma adesso lui sentiva di averlo attraversato. Vi era dentro, con Alex e avrebbe fatto qualsiasi cosa affinché questo muro non si rompesse. E se un giorno il vento fosse stato più forte lui sarebbe rimasto lì. Anche se fosse crollato in mille cristalli, non sarebbe andato via. Non lo avrebbe abbandonato per nessun motivo al mondo, anche al costo di ferirsi a sangue, pur di non lasciare che Alex soffrisse. Adesso sentiva di poterli guardare.
E non gli avrebbe fatto del male, mai.
- Perché dovrei chiuderli, se sono “bellissimi”? – La domanda sorgeva spontanea.
- Giusto, tienili aperti. – Sorrideva.
- Shei schizofrenico? – Erano ancora così abbracciati. La faccia di Alex affondata tra il collo e il cuscino di Nick. Non è che avesse molto spazio, lì sotto, per muovere la bocca.
- E togli quella testa da lì! - - Dove devo metterla? –
- Tagliala! - - Non shei shpiritosho. –
- Hai una pronuncia bellissima - - Grashie. –
Nick scorreva le sue dita tra quei sottilissimi capelli biondi. Nel frattempo Alex aveva deciso che forse era troppo giovane per morire soffocato e quindi aveva girato la testa sul collo dell’altro.
- Perché hai dei libri in greco? –
- Io sono greco. - - Andiamo, non prendermi in giro, Alex! –
- Il mio cognome è Kapranos. Ti sembra un cognome scozzese? –
- Giusta argomentazione – Silenzio. Poteva essere passato il secondo o un millennio, e loro erano ancora lì.
- Non so se riuscirò a dormire senza di te, domani. Resterai qui con me per sempre? – Alex ora lo guardava negli occhi.
- Fino a quando non diventerò polvere, e allora solo il vento potrà portarmi via. – Gli baciò la fronte.
 







NDA
Ecccomi di nuovo qui, gente! Non demordo. No. Per Niente. Forse dovrei. Forse.
Cooomunque, sono contenta che a qualcuno sia piaciuto il primo capitolo, è un piccolo passo per l’uomo un grande passo per blablabla. Perché divago sempre?!
Aaaallora, volevo scrivere una cosa tutta carina e flufflosa, ma la prima parte un po’ ‘arancione’ ci stava tutta. Dovevo sfogare i miei istinti repressi. Ok, me ne vado.
*si para dai pomodori* Volevo solo dire che il titolo del capitolo è da una canzone delle Dum Dum Girls, e ci sono riferimenti a ‘Katherine Kiss Me’ dei Franz Ferdinand.
Alex è greco per davvero. E ho rimesso una foto dei Franz Ferdinand perchè era bella e perchè qui Alex è biondo.
Me ne vado, lo giuro. 

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Capitolo 3
*** So I’m trying to pretend. ***


We only work when we need the money. So, what if I need you?





Il suono dell’acqua nella doccia dell’altra stanza distraeva Alex dai suoi pensieri.
Poteva vedere il suono di migliaia di goccioline che scorrevano sulla pelle di Nick e scivolavano giù per finire giù tutte insieme.
Le piccole, cadenzate goccioline delle piogge scozzesi. I temporali violenti d’autunno , quando l’acqua ti entra sotto i vestiti e continua a scorrerti sulla schiena . E’ così delicata, mutevole. E’ così bella, è così bello quando ci galleggi sopra. Senza farsi del male, senza bisogno di vie d’uscita. Abbandonarti totalmente alle sue decisioni.
Le imponenti distese d’acqua salata. Come il mar Morto. Il mare senza inizio né fine, ma che esiste. Che non puoi stringere tra le mani, ma che esiste. Che non puoi toccare, ma puoi solo farti toccare.
Come i pensieri, come le emozioni, l’acqua si muove con un semplice tocco. E forse all’apparenza ritorna come prima, ma in realtà i legami si spezzano, e si ricompongono in maniera diversa dall’inizio.
Aveva risistemato il letto, si era vestito. Indossava un pantalone nero e una camicia arancione. Voleva metterci anche una cravatta, ma sarebbe stato eccessivo. Forse. Qualsiasi cosa indossasse sembrava sempre troppo elegante.
Era seduto con le gambe incrociate al centro del letto, le mani a tenere le caviglie.
Ai piedi portava dei calzini a strisce arancioni e nere. Li adorava.
Adesso che la finestra era aperta entrava un leggero vento estivo. Aveva spostato le grosse tende blu perché entrassero anche quei pochi raggi di sole, prima che questo girasse nell’altra stanza.
Poteva guardarsi per metà nello specchio appoggiato a terra. La schiena dritta e il collo sottile erano la prima cosa che balzava all’occhio. Poi i capelli biondi, mezzi rasati dietro e a lato. Lunghi dall’altro lato.
Il rumore dell’acqua della doccia si era fatto sempre più lento fino a fermarsi del tutto, adesso era iniziato quello dell’asciugacapelli.
Si era steso a guardare il soffitto, con le braccia allargate sulle coperte panna.
- Al, la mia camicia puzza di sudore! – Diceva una voce dall’altra stanza. Alex, comunque, avrebbe avuto da ridire riguardo al verbo usato.
- Prendi una delle mie! – Aveva urlato.
Si era di nuovo drizzato sulla schiena, con uno scatto improvviso. Ora gli girava la testa e vedeva al negativo, strizzò gli occhi un po’ di volte.
Nick entrò in camera e lo guardò divertito. L’altro chinò la testa da un lato in modo interrogativo, facendo spostare  i capelli.
- Sembri un segnale stradale catarifrangente con quella roba addosso. –
- Ma è bellissima! – Ribatté sdegnato Alex.
Nick portava ancora tra le mani la sua camicia, che gettò a terra mentre scuoteva la testa divertito.
- Io cosa dovrei mettermi? –
- Se non ti piace quello che indosso io, per me puoi andare benissimo a torso nudo. - - Ma scherzavo! –
- Non ti credo. – Aggrottò le sopracciglia, incrociò le braccia e si girò dando le spalle all’altro, ma perse l’equilibrio e cadde, scoppiando in una risata. – Comunque ero serissimo. – Rideva ancora, di schiena sul letto. 
- Immagino. – Nick aprì l’anta dell’armadio e iniziò a guardare.
- Ma perché ci sono solo camicie, qui dentro?! –
- Sono un tipo elegante! –
- E questa? – Teneva in mano una camicia rossa con delle macchie bianche che potevano avere la forma di cavalli o tori in corsa.
- AHAHAHAHAHAH, quella è un regalo di mia madre! Non l’ho mai messa, ma non voglio buttarla via.. metti quella! –
- Non pensarci nemmeno, non uscirei mai di casa con una roba del genere addosso. –
- E chi dice che devi uscire? - - E’ un rapimento? –
- Esatto. – Con uno scatto degno di un felino si era alzato in piedi e aveva preso Nick per la pancia, buttandolo sul letto e facendogli solletico.
 
 
 
- Dimmi qualcosa di te,  non so niente! – Alex addentava un biscotto mentre si sedeva sul divano accanto all’altro, con la chitarra imbraccio. La finestra dietro al divano era grandissima, ed era coperta da sottili tende bianche.
- Ummmh, allora. Mi chiamo Nicholas McCarthy..- - McCartney?!-
- MCCARTHY!! – Urlò come si fa col le vecchiette mezze sorde.
- Mia madre aveva una cotta per Paul McCartney, sai? Il mio secondo nome è Paul. – Diceva Alex, mentre si buttava a terra le briciole.
- Nessuno gliel’ha chiesto, Sir! Posso continuare, ora? –
- Prego.. –  Alex fece un gesto di riverenza con la mano.
- Sono nato a Blackpool, ma ho vissuto in Baviera fino a poche settimane fa.. Ho studiato musica classica, so suonare la chitarra, il basso elettrico, il violoncello e il liuto arabo. In pratica, sono uno che non serve a niente. –
- Con questo hai perfettamente ragione, sai? E perché sei venuto qui? –
- Mi hanno detto che è un posto divertente, ci circola buona musica e poi.. mi ero fatto un brutto nome, prendevo le auto in prestito senza chiedere autorizzazione ai proprietari, capisci? – Gli si era dipinto un sorriso sghembo sulla faccia. – Mi chiamavano McCar-thief! -
- Nick, sei un bastardo. – Alex tratteneva le lacrime per le troppe risate.
Il suono del campanello aveva fatto voltare entrambi verso la porta. Dopo qualche secondo Alex si era alzato e era andato ad aprirla. Nick aveva visto i suoi occhi illuminarsi.
- BOOOOBBYYY! – Gli era letteralmente saltato addosso.
- Alex, sei sempre così eccessivo, Dio. – Aveva visto Nick seduto lì e gli aveva lanciato una strana occhiata.
- Ciao! – Aveva poi buttato fuori, ma continuava a fissarlo. Anche Alex  se n’era accorto.
- E’ successo qualcosa tra voi due, forse ieri sera? Non so, non ricordo.. – Alex era a disagio per Nick.
- Sono abbastanza convinto che quella camicia che indossa lui.. com’è che si chiama? – Aveva rivolto uno sguardo ad Alex. – Nick- - Sì. Sono abbastanza sicuro che la camicia che indossa Nick sia uguale a quella che ti ho regalato io qualche anno fa. –
Nick aveva stabilito un contatto visivo con Alex, e da quanto aveva capito, quella situazione era un po’ troppo.
- E’ strano, questa me l’ha regalata mia madre quando è tornata da un viaggio con le amiche! – Aveva ribattuto.
- E’ andata in viaggio in Argentina? – Il tono di Bob era sconvolto e divertito.
- Eh, queste vecchiette, si fanno sempre più arzille! – Aveva riso mentre si alzava. – Ok, ragazzi, io vado! Ho ancora un po’ da fare con il trasloco.. –
- Vengo con te! – Alex si avviava verso la porta. – Veniamo con te, vero Bob? – Gli aveva preso la mano e lo tirava.
- Ma io ero solo venuto a vedere se stavi bene, anche io ho da fare! Ho dimenticato il forno acceso e..-
- Bob, non se la beve nessuno. – Alex aveva ragione.  - No, eh? –  - No. -
Ridevano tutti e tre.
 
 
 
- A Nick! – Tutti nel bar si erano aggregati al festeggiamento, un po’ in ritardo, dell’arrivo di Nick.
Si beveva  e si rideva, ma Alex era stato sempre un po’ in disparte. Nick se n’era accorto, e aveva cercato di parlargli, invano.
Ad un certo punto era corso fuori. Nick lo seguiva di corsa, mentre cercava di capire cosa stesse succedendo.
Gli aveva afferrato il braccio, e con l’altra mano lo fermava per il bacino. Provava a cercargli gli occhi, ma erano coperti dai capelli, caduti per il brusco movimento verso il basso.
- Si può sapere cosa diavolo ti prende?! –
- Portami a casa. – Aveva ringhiato a denti stretti mentre, poco elegantemente, si staccava dalla sua presa.
Tirava un vento freddo, anche se era giugno che facilmente entrava nelle ossa. Stava per piovere, cosa che in quel momento ad Alex non importava minimamente.
Erano saliti in auto. Erano lì dentro da alcuni minuti e nessuno dei due aveva detto una sola parola. Nel frattempo una leggera pioggerella bagnava i vetri.
Nick mentre guidava sfruttava la luce dei lampioni e girava la testa a guardare l’altro che fissava dritto davanti a sé.  Non riusciva davvero a capire cosa gli stesse accadendo.
Appena arrivati, Alex era sceso di corsa sbattendo la portiera. Nick non sapeva che fare.
Dopo pochi secondi passati a massaggiarsi le tempie ad occhi chiusi era sceso anche lui.
Forse si sarebbe limitato a suonare il campanello e sarebbe andato via subito dopo perché “purtroppo non apriva nessuno ”. Ma tutti i suoi piani andarono a farsi benedire, una volta davanti alla porta, quando vide che la chiave era lì. La girò.

Alex era a gambe accavallate e a braccia incrociate sul divano. Muoveva ritmicamente un piede su e giù, mentre tamburellava con le dita sul braccio.
- Puoi dirmi che succede? – A Nick tremava la voce mentre chiudeva la porta dietro di sé, attento a non fare rumore. Alex si era alzato, non riusciva a guardarlo negli occhi per l’oscurità. La luce che entrava timida dalla finestra era coperta dalla pioggia. Si sentiva un ritmico ticchettio.
- Non vuoi che ci vedano insieme, eh? – La sua voce era rabbiosa, ma il tono tradiva un po’ di insicurezza. Si avvicinava all’altro. Era a pochi passi da lui quando urlò: - DIMMELO! – Mentre allargava le braccia e le alzava in aria.
- Non .. io non.. – Un tuono aveva interrotto Nick. Alex guardava verso la finestra con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta.
- ‘Non’ cosa?! – Aveva urlato, subito dopo aver sorriso alla luce di un lampo.
Gli si era avvicinato quasi a stargli addosso e gli sbottonava i pantaloni. Nick poteva sentire il suo respiro sul collo. Alex lo aveva avvicinato al muro strusciandoglisi contro come un gattino che vuole le coccole.
La sua mente era annebbiata da una rabbia che non sapeva da dove potesse provenire. E non era neanche sicuro che fosse rabbia. Gli serviva solo una scusa per giustificarsi con se stesso per quello che stava facendo.
Ora le sue lunghe dita sfioravano la pelle attraverso i boxer, tastavano quella che poteva essere la diretta conseguenza delle sue carezze sul corpo dell’altro.
Nick non ci capiva più niente e in quel momento non gli importava. Ma sapeva che quell’uomo lo stava facendo impazzire.
Si era inginocchiato e gli aveva abbassato i boxer. Si era lasciato scappare un mugolio d’ammirazione, mentre lo faceva.
Nick poteva sentire la bocca calda che iniziava a muoversi mentre non vedeva nient’altro che una sagoma.
Avrebbe voluto fermarlo, solo per un momento, e guardarlo negli occhi, per capire cosa provasse. Ma non riusciva a pensare a niente che non fosse quella sensazione che si era fatta sempre più forte.
Alex aveva bisogno di sentire la sua voce, voleva sentirlo pregare di non smettere, voleva sentirla passargli nel cervello. Si era fermato e aveva alzato la testa. La pioggia era diventata sempre più forte.
- Come me la sto cavando? – Aveva cercato di usare il tono più malizioso che potesse avere. Ma non si era accorto di quando fosse stato fastidioso, per l’altro, che lui si fosse fermato. O sì?
- A-Alex ti prego continua.. – La voce di Nick era bassissima mentre si passava una mano tra i capelli.
Alex si era alzato, con un ringhio di non poco disappunto da parte dell’altro e gli aveva leccato il collo con la punta della lingua.
- Oh, non preoccuparti. - A quello più delicato delle sue labbra aveva sostituito il tocco delle mani.
 - Crist..- Alex aveva interrotto la roca esclamazione con un bacio.
Nick scorreva freneticamente le sue dita nei capelli dell’altro, Alex gli mordicchiava il collo, era abbastanza vicino alla sua bocca per sentire il suo gemito, mentre veniva, proprio nel momento in cui un tuono assordante faceva vibrare i vetri delle finestre.
 

Lanciò un’occhiata vuota a Nick e corse in bagno. Accese la piccola luce e aprì il rubinetto. Sputò nel getto d’acqua.
Si guardò allo specchio. Si faceva così terribilmente schifo.
Si passò una mano bagnata tra i capelli mentre con l’altra si teneva al lavandino. Un vortice di pensieri si pensieri girava e sbatteva nella sua testa, mettendo tutto sottosopra.  – Cazzo! –
Aveva provato ad urlare, ma si era sentito solo un sussurro.
 


Tornava, ancora a luce spenta.  - Scusa. –
Nick non sapeva cosa rispondere, e non rispose. Emise comunque un mugolio, che poteva significare tanto in quel momento, giusto per non lasciare che il tentativo di Alex di riparare (qualcosa che non capiva ancora ancora fino in fondo) gli continuasse a rimbombare nella testa.  Per convincere entrambi che almeno una risposta l’aveva data.
Alex aveva aperto il frigorifero e la luce di questo l’aveva aggredito improvvisamente, facendolo barcollare. Si era accorto che la pioggia era smessa.
Prese una bottiglia di birra e la stappò. Mentre si dirigeva verso Nick si fermò per prendere la sua chitarra.
 Gli porse la birra senza guardarlo negli occhi. Non che avesse fatto molta differenza guardarlo o meno negli occhi, la luce che entrava dall’esterno era troppo debole per permettere di vedere.
Alex aveva la chitarra imbraccio, tra le gambe incrociate, e aveva iniziato a buttare giù note a caso.
A Nick venne comunque la pelle d’oca, immaginando quelle dita che scorrevano sopra il suo corpo.
Nel frattempo i suoni si erano messi in ordine, a formare una melodia e, lentamente, si era aggiunta anche la voce, i sussurri, di Alex.
“So I'm trying to pretend you're out in the garden
That you're about to walk in to wash your hands in the kitchen.”
Si era fermato e aveva preso un lungo respiro, senza far rumore.
“But she said your face changed and your breath got slower and slower,
Until there was breath no more.”1
Si era abbassato, per incastrare perfettamente la sua chitarra con il suo corpo.
Non sapeva perché l’aveva fatto, perché l’aveva messo a conoscenza di quella storia. Lui per primo, lui e basta. Ma l’aveva fatto.
- Mi dispiace. – Nick mentre parlava aveva lo stesso tono di Alex, la sua voce era velluto.
Alex annuiva, mentre tentava invano di fermare le lacrime.
- Era la mia ragazza. – Continuava a buttare fuori la verità. L’aveva tenuta per troppo tempo solo per sé ed era ristagnata nel profondo della sua anima, andando a male, inacidendo.
- Le volevo bene. Le voglio bene. – Non credeva di poter riuscire a dire altro, ma Nick aveva capito.
Alex sentiva che qualcosa era cambiato. Forse, mentre metteva a nudo i suoi sentimenti, o nel momento che questi passavano nella gola e diventavano parole, qualcosa era cambiato. Si era reso davvero conto quello che aveva provato per lei.
- Alex, tu stai morendo. – Nick non sapeva che effetto avrebbero fatto quelle parole. Che significato avrebbero assunto, una volta uscite dalla bocca e venendo filtrate dall’aria intorno a loro.
Le lacrime di Alex scendevano più veloci. Aveva provato a stringere le palpebre, si era imposto di non pensarci, ma era ricominciato. Da mesi tutte le notti gli scorrevano quelle scene davanti agli occhi.
I capelli lunghi di Eleanor che si muovevano nel vento e suo nasino che si avvicinava e gli occhi color ambra e- - Ti salverò, o morirò con te. -  Le lacrime avevano portato i singhiozzi, che cercava invano di trattenere, stringendosi  alla sua chitarra con una mano ancora sul capotasto.
Nick aveva lasciato la sua birra sul tavolino e si era seduto a terra di fronte ad Alex.
 - Alex, io ti amo. – Per un secondo si fermarono i singhiozzi, le lacrime e il suo respiro. 
- Io no, non ora. – Aveva articolato dopo un po’.
- Lo so. – Le parole calme di Nick penetravano nelle orecchie dell’altro con forza. – Ma posso aspettare. –
Diceva mente andava via. Chiuse la porta cercando di far meno rumore possibile, e lanciò un ultima occhiata ad Alex.
“And as you walk away my headstone crumbles down.”



1“Quindi cerco di fingere che sei fuori in giardino e
che stai per rientrare a lavarti le mani in cucina.
Ma lei aveva detto che il tuo viso era cambiato e il tuo respiro si era fatto sempre più lento,
fino a fermarsi del tutto.”

 





NDA
Ho impiegato un bel pò di tempo per scrivere questi capitoli (questo e quello che metterò dopo, che fino ad ora sembra essere il mio preferito **) perché in questi giorni sono successe tante di quelle cose! (? xD)
Il concerto del Macca, al quale non sono andata, ma di cui ho cercato video e foto giorno e notte;  sono usciti un sacco di video dei Franz su Tumblr e Youtube (anche due singoli a tre minuti di distanza *w*).
Torno alla fanfic. Il titolo è una frase di Missing You dei Franz Ferdinand (che ho messo anche nella parte in cui Alex si rigira l’anima come un calzino davanti a Nick), è anche la mia canzone preferita. E’ stata l’unica per la quale ho pianto come una cretina.
Dicevo, alla fine ho messo ‘Walk Away’ perché così mi andava. E perché Nick aveva detto che Alex stava morendo, quindi ho collegato ‘headstone’ (lapide) e morte. Sì, lo so che sono brava.
Ho fatto un pò la stronza, e così la povera (e così caruccia) Eleanor Friedberger è morta. Che peccato. E' per questo che scrivo, posso essere Dio. *inizia a canticchiare Playing God dei Paramore*
Ah, nella parte in cui Alex pensa all'acqua, mente Nick si fa la doccia, ho ascoltato 'The Dead Sea' dei Lumineers. Si capiva, eh?
La mamma di Alex gli ha messo Paul come secondo nome perchè ascoltava per davvero i Beatles (santa donna) e Nick ha vissuto davvero in Baviera, fino a che la sua ragazza non lo ha trascinato a Glasgow e ad una festa ha conosciuto Alex (dopo essersi presi a botte per una bottiglia di whisky).
Ringrazio (e non lo farò mai abbastanza!) aire93 e  _anonimo_ per continuare a supportarmi (ma, soprattutto, sopportarmi) e a recensire. Vi adoro!

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