Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Yami: per
facilitarvi la lettura di questo racconto, a voi un prologo che v’introduca
negli eventi.
Che sia
per voi una traccia fondamentale per introdurre i nostri personaggi in un
ambiente che dia l’idea di essere molto più vicino a
noi di quanto non sembri.
Buona
lettura
PROLOGO
Correva l’anno
7632 nelle terre di Selejstia, continente ove diversi regni vivevano sotto lo
sguardo vigile degli astri del cielo.
Terra ricca di
vita, Selejstia era meta per molti, dopo il crollo dei vecchi continenti.
Nuovi regni si
erano andati a costruire, ognuno con un proprio governo e un confine ben
delineato.
La pace,
conquistata per mano di un uomo dalle capacità straordinarie, era durata per
molti secoli.
Fu allora che
tutto iniziò.
Tutto quello
che ora voi leggerete.
Perché in quell’anno il Sole nacque, per la
prima volta, in forma umana; e con lui, solo pochi mesi dopo, la Luna. Due
bambini simili a molti altri, che racchiudevano in sé un potere immenso.
Ma nessuno sapeva.
Nessuno era
ancora pronto per saperlo.
Così i giorni
scorrevano tranquilli, tra le fronde dei mille alberi e lo scrosciare dei
duemila ruscelli.
A quell’epoca
v’erano ben nove sovranità, nelle verdi terre di Selejstia: prima fra tutte,
Amestris, la terra diamante, madre della legge, della cultura e della magia.
Centro e cuore del continente.
Poi Lumar,
regno di Nord, dove tutto era riscaldato dal caldo sole e il metallo trovava il
suo fabbro più fidato.
Metamet, regno
di Nordest, dove ogni albero trovava un suo curatore ed ogni uomo ombra sotto
la quale ripararsi.
Trerassai,
regno d’Est, ove i ghiacci amavano riposare a lungo e le nevi cadevano copiose
sulle montagne.
Boeksi, regno
di Sudest, culla del canto, della musica e della recitazione, dove ogni
anatroccolo poteva rivelarsi per la sua indole di cigno.
Naviwe,
regno di Sud, pregiato alleato dell’agricoltura, santuario della famiglia e
dell’alleanza.
Greenwald,
regno di Sudovest, ove l’uomo poteva conoscere il valore d’una
vita tranquilla in sintonia con la natura e con il suo bestiame.
Asima, regno d’Ovest, unico luogo in grado
di ricercare ed intagliare con solenne maestria ogni pietra, preziosa o meno
che fosse.
Ed infine Ishranda,
regno di Nordovest, dove l’acqua bagnava sabbie dorate e donava sale ai suoi
figli.
Tutte terre
fruttuose, dove la povertà era ben poco presente e la superbia non conosceva
l’uomo.
Quindici anni dopo, la storia di Selejstia aggiunse un nuovo
vagito al libro delle vite, presso la terra di Amestris.
Una bimba, d’una splendida pelle dorata mai vista
prima.
Chiunque, a
vederla, sarebbe rimasto colpito da un tal cucciolo. Ma solo pochi mesi dopo ella sparì da ogni vista, lasciando dietro di sé solo voglia
di dimenticare.
Non vi fu
molto tempo per pensare a lei. Non ne venne lasciato.
In seguito a
questa perdita, la Luna era stata esiliata dalla sua patria, sparendo per
voleri mai svelati.
Da questi
eventi, prese inizio il declino delle Nove Terre e il cielo venne
oscurato dal sangue di milioni di vittime.
La guerra
raggiunse Selejstia e l’avarizia incupì il cuore della Luna, una donna un tempo dolce e amorevole.
Amestris,
terra di confine per ogni regno, divenne presto unica difesa per un impero che
inghiottì paesi dell’Est.
Metamet,
Trerassai e Boeksi vennero riunite sotto il potente impero
degli Hades.
La sua forza
portante era un esercito invincibile, proveniente dal vecchio continente un
tempo chiamato “Europa”. Contava qualche centinaio di fedeli, raccolti sotto il
loro comandante fin dagli anni della prima rivoluzione francese del 1789.
Millenni di esperienza avevano formato quella creatura
immortale in modo impeccabile. Nessuno avrebbe mai potuto sconfiggere il
comandante Crystal e l’esercito degli Hades da lui formato.
Quest’uomo
dalle sembianze pallide e giovani divenne presto ben conosciuto da tutti i Nove
Regni. Le sue origini germaniche s’intuivano dalla cadenza della sua parlata,
ma nulla serviva ciò per trovare in lui un punto debole.
Trerassai
cadde per prima, divenendo il punto d’inizio, poi anche Metamet e Boeksi vennero sottomessi, impotenti di fronte ad un simile forza
strategica.
Un palazzo era
stato eretto per la Luna, regina di questa nuova potenza imperiale.
Un palazzo
che, a quanto si mormorava, sembrava una copia speculare della dimora reale di Amestris.
In seguito a
quella notizia, parveovvio per gli
ultimi regni liberi di sottomettersi all’autorità del Regno Diamante.
Qui l’argento
sembrava proibire ad ogni creatura di avvicinarsi, s’ella
fosse stata simile al comandante dell’esercito Hades.
I Regni
Alleati, sotto la guida del re di Amestris, divennero
così una barriera per la Gilda Imperiale degli Hades, dichiarando guerra con
ogni loro forza.
Ma le
battaglie si facevano sempre più sanguinose e Crystal ed il suo esercito procedevano senza quasi notare la resistenza, conquistando
così anche Naviwe in nome della loro Regina.
Lacrime e
sangue s’univano sempre più di frequentealle terre di Selejstia.
Re Elmer di Amestris non vedeva più soluzione,
Ogni
comandante trovato dai Regni si rivelava inutile a confrontocon quello nemico.
Secoli di esperienza sembravano impossibili da scavalcare.
Ed infine giunse un giovane al cospetto dell’Alleanza.
Un
mago dalla formazione militare, la cui pelle ricordava l’oro fuso e il cui
intelletto superava ogni altro stratega. Sembrava la nemesi perfetta per il pallido comandante
degli Hades.
Il suo nome
era Sivade. Le sue origini erano sconosciute.
Tuttavia, in
quei tempi la disperazione era troppa per esaminare simili sottigliezze, ed il
giovane diciassettenne prese subito il comando di un nuovo esercito da lui
scelto. Sei generali fedeli al suo fianco.
In tre anni,
l’esercito degli Hades non riuscì più a sfondare le linee nemiche.
Nemmeno la
morte del re di Amestris indebolì l’esercito dei Regni
Alleati. La successione del primogenito al trono fu tanto rapida quanto venne annunciata.
Fu a quel
punto che dalla Regina Hades venne un ordine diretto al suo fedele comandante.
Un ordine che lasciò perplessi in molti, nella Gilda Imperiale.
Così,
nell’ultima battaglia che vide i due eserciti nuovamente contro, le linee dei
regni Alleati furono spezzate sotto tradimento di un generale, Tamos di Lumar.
Un simile
evento sconvolse l’esercito, mettendo la guerra in una situazione di stasi.
I comandanti
dei due eserciti sparirono nel nulla, sotto la soddisfazione degli Hades e la
confusione dell’Alleanza.
La guerra venne interrotta.
Gli eserciti
tornarono alle loro patrie.
Ma di Crystal degli Hades e di Sivade dei
Regni Alleati non pervenne più alcuna notizia.
Svaniti nel
nulla.
Per motivi che
solo la Luna Regina conosceva e che mai condivise, in quei giorni di
confusione.
Dark: Altra storia
(nata, per di più, tramite sms…non chiedeteci come!). La trama non è molto
complicata…credo… Io aspetto commenti come al solito sennò perdo la voglia di
scrivere… =P
Yami: Mao a tutti, per
me non è affatto banale, sarà da ridere invece con i rating, spiacenti di dirvi
che sarà un bel casino “definire” questa storia.
A me piace
molto…sinceramente, credo dimostri che a volte può servire scrivere al cell...in
modo creativamente contorto! Anche me vorrebbe commenti,ma tanto scriverei
comunque ù.ù (però fatellliiii….ç_ç)
Dark:
so… enjoy your-self!
[Yami: Non hai detto
se ti piacceeee? >_>Dark: mais oui,ma petite!
<_<]
Buona lettura.
Autrici:
Yami & Dark
Titolo:
Shadows of Death
Rating: mah...arancione...? ma avanti...ora è
giallo vomito...(più tardi diventa anche Bordeaux!). “Leggeri” spunti shonen-ai
all’inizio…poi…ci restano! Per la gioia delle ragazze Sloth *_* Beh, ci sono
anche gli etero… pfffttt…solo che non si capisce dove e chi sono…^w^.
CAPPITTTOOO??
(Non credo XD
YOH!)(Manco me *o* MIAOH!)
Capitolo uno: “Dark Room”
Una stanza buia,
vuota, senza alcuna fonte di luce.
Quello, il
luogo in cui sedeva,a piedi scalzi ,un abbigliamento totalmente adatto
all’espressione che aveva dipinta sul volto: spenta, vacua, del tutto priva di
forza di volontà. Una creatura che aveva rinunciato alla sua esistenza.
Gli occhi
bianchi, testimonianza della sua cecità: meglio non vedere il mondo .
I capelli
bianchi, dai riflessi argentati: meglio essere già vecchi per accogliere la
morte .
I piedi, insanguinati,
che ancora lasciavano fluire sul pavimento sterrato il loro liquido scarlatto.
Vestito di una
maglia, e di un paio di jeans stracciati.
Null’altro
sentiva necessario.
Davanti a lui,
posato con una spalla ad un vecchio pendolo ormai inutilizzabile, un altro
ragazzo .
Alto,
longilineo e dalla carnagione color pesca, lo fissava impassibile, le braccia
incrociate, fasciate da un giubbotto di pelle nera, come gli stivali che gli
arrivavano alle ginocchia.
Gli occhi
nascosti dai suoi capelli corvini erano cupi, profondi e penetranti, nello
spostare lo sguardo da quella creatura seduta davanti a lui, alla clessidra
argento che scandiva il tempo con la sua sabbia color petrolio.
Ma non erano
soli.
Ai capelli
candidi del giovane cieco, si univano quelli neri di una bambina: lo sguardo
severo, pauroso, fisso sul giovane che si teneva a distanza dai due.
Stringeva tra
le braccia esili il corpo gelido che aveva accanto, cercando d’infondergli un
po’ di calore e di appoggio. Voleva fargli capire che lei era lì, e con loro c’era
anche Lui .
Lui, che li
aveva trovati, salvati, e obliati in quel luogo perso nel tempo e nello spazio.
Buio, come erano buie le giornate che avevano
affrontato, rimembrando il passato che li aveva distrutti .
Crystal
accarezzò la clessidra con fare lascivo, pensando a cosa fare da quel momento
in poi.
Abbandonarli
al loro destino proseguendo, così,il compito che gli era stato affidato pochi
giorni prima…oppure continuare a condurli verso la strada della distruzione, al
suo fianco… riscoprendo in lui la morte. L’ignoto.
Rigirò la
clessidra in cui vi era inciso, con lettere dall’aspetto medievale, un antico
proverbio latino: “memento mori”.
“Ricorda, tu morirai”.
In lui, da
sempre, conviveva una battaglia fra ciò che riteneva giusto e ciò che sapeva di
desiderare con tutto sé stesso.
Inclinò la
testa di lato.
“Sbaglierò
ancora una volta” si disse prima di staccarsi, con un movimento fluido, dal
pendolo che lo sorreggeva completamente.
Sivade cercava
di dimenticare il passato, rassicurando la piccola San, sfiorandole leggermente
il braccio che gli cingeva il collo.
Ma dimenticare
era contro la sua natura, abituato com’era a memorizzare informazioni e dati di
ogni genere. Una grandissima capacità aveva sempre un lato negativo. Era la
legge della natura. E lui non poteva sfuggirle in eterno.
Strinse i
pugni, raccogliendo con le mani la terra brulla di quel luogo che li aveva
protetti per ore, forse giorni…
Forse,
settimane.
Nel mentre, la
mano di Sivade toccò leggermente l’unico orecchino che portava , uguale a quello della sorellina: una targhetta d’argento,
dov’era inciso un'unica parola: Amestris.
Le sue
origini, il suo passato. La causa d’ogni suo male.
Il moro si
avvicinò, piegandosi appena verso i due.
La mano
libera, ornata solamente da un grande anello d’argento che riproduceva
fedelmente una croce latina, sì protese verso la bambina… senza dir nulla.
Ma prima
ancora che lei potesse muoversi,le fece un cenno con il capo, invitandola a
scostarsi da Sivade.
San alzò lo
sguardo, per incontrare quello di lui, una nuova preghiera negli occhi. La
preghiera di non abbandonarli, di non permettere che il fratello si facesse del
male. Non voleva perdere anche lui. Era l’unico legame che le era rimasto al
mondo. E si scostò, lasciando un po’ incuriosito Sivade, che ancora non aveva
capito di avere Crystal a un passo di distanza.
Il ragazzo
prese fra le sue braccia Sivade, stando ben attento a non mollare la clessidra,
l’unica loro salvezza. Non faceva fatica, non sentiva stanchezza, non percepiva
null’altro se non sé stesso. Fece rigirare la clessidra prima di farla
scomparire con uno semplice sguardo. Un varco dimensionale si aprì davanti a
loro.
Sospirò.
“Sono uno
stramaledetto sentimentale”.
Scompigliò i
capelli di San prima di invitarla ad entrare per prima.
La ragazzina
lo guardò per un attimo, stupita, per poi camminare incontro a quel vortice di
luci e colori. Finalmente.
Sorrise: una
sensazione simile all’acqua che sfiorava il corpo l’avvolse, e sparì da quel
luogo dimenticato dal mondo.
Sivade
corrucciò lo sguardo, appena sentì di essere sollevato. Non gli piaceva
dipendere da Lui, lo metteva a disagio. Tutti potevano fargli il cavolo che
volevano, ma con Crystal era tutto diverso. Troppo
diverso.
In un sospiro,
si aggrappò alle braccia che lo stavano sorreggendo. Era un messaggio
implicito: “Bene, altro debito con te. Evviva.”
Il moro non si
scompose, seguendo i passi di San.
Aveva solo una
meta in mente: Glaciern.
E lì giunsero.
Come previsto.
Alzò lo
sguardo al cielo, osservando la neve scendere.
In un istante
lo abbassò, osservando le strade ghiacciate.
« Credo sia
meglio per te lasciarti tenere in braccio» disse sul vago,muovendo
un passo avanti.
Il giovane dai
capelli bianchi brontolò leggermente. Aveva la pelle d’oca, con
quell’abbigliamento inadatto al clima. Ma non lo
avrebbe mai ammesso, come non avrebbe mai ammesso quanto gli facesse piacere la
presenza di Crystal lì, con loro, ad aiutarli. Perché, dopotutto, cos’avevano da spartire in comune?
Nulla, se non
un breve istante, quello che li aveva fatti incontrare.
Al momento
giusto. Al momento del bisogno. Con una puntualità terrificante.
« Credo sia un
sì » aggiunse Crystal,inoltrandosi in quel bosco che
era stato lo scenario di molte sue battaglie passate…che lo avevano visto
vincitore.
Come sempre.
Nessuno poteva
sfuggire alla Morte.
Nessuno.
« Presumi
troppo,talvolta…» sbottò Sivade con leggera aria di
sfida. Non sapeva farne a meno. Avrebbe voluto tentare d’essere più gentile nei
confronti del loro salvatore, come faceva la piccola San, ma non ne era capace.
Più o meno.
Perché dimostrarsi gentile avrebbe
significato aprirsi a Crystal e al solo pensarci ricordava milioni di ferite,
che sembravano grondare sangue quanto i suoi piedi.
Si sentiva
perduto, tra quelle braccia.
Debole.
…infinitamente
grato…
Forse più di
sua sorella.
« Certamente…»
commentò ironicamente Crystal, senza smettere di camminare con andatura agile
ed elegante verso le porte di quella piccola città.
Due guardie
all’entrata.
Dietro di loro
un immenso portone d’argento, raffigurante un immagine esoterica di sua
conoscenza. Alchimia…inesorabilmente marchiata dagli Hades.
Fece un breve
inchino, stando ben attento a Sivade:
« Siamo venuti
in pace » disse trattenendo una risata sadica « ho bisogno di parlare con il
sovrintendente » .
« Non è
presente in città » rispose una delle due guardie. Quella apparentemente più
sveglia.
« Sapremo
attendere » rispose il moro con altrettanta durezza.
« Abbiamo
l’ordine di non far entrare nessuno…tanto meno un membro degli Hades ».
Yami: d’uh, buon gioVno caVi e caVe! In primo luogo
desidero ringraziare la massa che ha letto il primo capitolo, ero lì che a ogni minuto aggiornavo la pagina per vedere il numeretto “Letture” che andava shuuuuuu!!!
A parte lo sclero, davvero, questo capitolo è un
po’…diverso, si può dire? Ma di certo, i nostri
personaggi non vi deluderanno…almeno…io faccio l’ottimista >-<
Dark: il mio Crys Crys
non delude mai… ù-ù l’ho fatto un pochetto
malizioso, pardon. Saprà essere anche serio.
Vi auguriamo una buona
lettura.
Al prossimo capitolo!
Capitolo due: “You don’t know me”
Sivade si
reggeva stancamente al collo del giovane, lo sguardo biancastro fisso davanti a
loro. Sentiva brividi percorrergli le ossa, mentre ogni suo arto si faceva
sempre più freddo e insensibile. Quasi stesse congelando,nonostante
tutto.
San, la sua
piccola sorellina, non sapeva nemmeno perché erano in quella situazione. O,
quantomeno, Sivade aveva provveduto ad omettere ai
suoi compagni di viaggio alcuni “particolari”.
Il giovane sospirò,
chiedendosi quando sarebbe stato il momento adatto per dire anche
solo…qualcosa…a qualcuno…
Ne sentiva il
bisogno, perché nel cuore aveva solo menzogne e fantasie distrutte.
Fantasie che
lo avevano illuso per anni.
Che lo avevano ridotto in quello stato: ad
essere l’ombra di sé stesso.
Scosse il
capo, cercando di ritornare alla realtà, concentrandosi su un’unica voce.
Crystal ancora
discuteva con le guardie, divertendosi a confonderle, mettendole nel dubbio,
giocando con le parole, con loro:
lo sguardo carico di malizia che passava
da una all’altra guardia, quasi a volerli spogliare.
Sapeva che
quella vecchiaccia sarebbe venuta là, per lui.
La stava
attendendo alla porta.
Come poteva
farsi sfuggire l’ opportunità di rimanere giovane,
incutendo terrore ai suoi compaesani, per un altro secolo minimo?
Le probabilità
che ciò accadesse erano particolarmente basse:
0,0001%.
Sorrise, ed ella arrivò.
« Fateli entrare, sono miei ospiti. » disse la
giovane donna dai lunghi capelli neri, i quali sapevano essere totalmente
diversi dai suoi:
Perfettamente
composti, immobili, ghiacciati…
Come la morte.
Crystal
sorrise nuovamente, notando come lei non avesse omesso che non era solo, ma in
compagnia.
La prima
guardia osservò la donna quasi con reverenza, chinò il capo all’istante:
era meglio non far innervosire Merrick, la
sempreverde, o avrebbe rischiato la pelle.
Corse ad
aprire il portone.
San
non comprese il
timore di quella gente per la donna: le sembrava uguale a tutte le altre, solo
con un vestito decorato più finemente. Comune, ma sfarzosa. Come un salotto
decorato a festa. Discordante e stridente.
Sbirciò
leggermente Crystal, alla ricerca di una spiegazione.
Ma lui sembrava troppo interessato a
guardare quella bomboniera che avevano ora davanti. Le sembrava fin troppo
strano che il ragazzo fissasse il suo sguardo proprio su di lei.
Scosse il capo
accorgendosi dello sbattere violento del portone.
Si voltò
indietro, come attendendo una tragedia.
…Qualcosa
simile ad un’esplosione…o una fiammata che li bruciasse e li riducesse in
cenere. Un presagio di sventura e annullamento.
Poi incontrò
lo sguardo vuoto del fratello, che le sorrise, apparentemente consapevole di averla al suo fianco.
In
quell’istante comprese che certe idee erano assurde,
in un regno dove di fuoco c’era solo il colore del sangue di Sivade.
Merrick
squadrò prima il fardello che Crystal si portava alle spalle, poi la piccola
ragazzina che stava al suo fianco.
In seguito riposò
lo sguardo sul moro, esaminandolo con ossessione crescente:
« Dov’è? » chiese nervosamente.
Il ragazzo
rise piano:
« Nei miei
pantaloni, ovviamente!».
Merrick digrignò
i denti facendo loro strada; Crystal che stava al suo fianco in tutta la sua
altera compostezza.
La bimba li
seguiva con aria perplessa e preoccupata, instaurando un dialogo silenzioso con
il fratello che le rivolgeva lo sguardo, il mento posato alla spalla del loro
mecenate, un sorriso rassicurante sul volto.
Sivade non si
sentiva neanche più a disagio, anzi, si divertiva a rendersi più pesante di
quanto già non fosse. Tanto per fargli passare la voglia di rifarlo, in un
possibile futuro. Per di più, premeva con tutte le forze sulla clavicola di
Crystal con l’osso della mandibola.
Doveva
snervarsi almeno un pò, e il signorino della clessidra se
l’era decisamente cercata, una volta espressa la sua scarsa convinzione
sulle abilità motorie di Sivade.
Era vero che
aveva i piedi insanguinati, e non ci vedeva, e non mangiava da giorni…ma era un
uomo autosufficiente.
Era un uomo!
Se lo ripeté
in testa più di una volta ma, parte di lui si crogiolava, facendo le fusa .
“Ma chi voglio prendere in giro…?” ammise, rantolando
leggermente.
La verità era
che non riusciva a controllare del tutto i suoi istinti, per quanto provvedesse
ogni giorno a rimuoverli…a modo suo.
Sentì pian
piano la temperatura mutare attorno a lui, comprendendo, di conseguenza, che
ora si trovavano all’interno di un edificio.
Ma doveva essere piuttosto grande, perché
sentiva spifferi di vento provenire dall’alto, riversandosi a terra con fruscii
sibilanti.
Merrick li
fece accomodare nella sua cucina, invitando Crystal a posare il ragazzo che
teneva in spalle, su di una sedia:
« Vuoi che mi occupi
di lui, vero?».
Il moro annuì.
« Allora prima
fammelo vedere. » , sentenziò la donna, lo sguardo
bramoso e le labbra tremanti d’impazienza.
Rapido,il giovane moro posò Sivade sulla sedia indicatagli,
avvicinando l’altra mano alla cerniera dei suoi jeans:
« Ma è bello grosso,sa? » disse guardando San « siamo in presenza di creature fragili e pure!» scherzò.
« Sai di che
sto parlando. » ribatté la donna, senza batter ciglio.
Crystal
sospirò, chiamando la clessidra che andò a posarsi, galleggiando, sopra al
tavolo.
Non disse più
una parola, fintanto che Merrick era intenta a fissare quell’oggetto magico a
sua disposizione.
« Attenta a
come lo tratti. » l’ammonì.
Si accantonò
in un angolo, braccia incrociate.
San si accostò
in silenzio a lui fissando prima la donna, poi la clessidra, la quale sembrava attirare
lo sguardo di dama Merrick più di ogni altra cosa in
quella stanza.
Una stanza
fredda, senza finestre, con un rosone nell’alto del soffitto a volta.
Il camino
c’era, ma non v’era fuoco acceso. Come se fosse stato del tutto inutile cercare
di riscaldare quel luogo, freddo, già di per sé, a causa dell’aura emanata dalla
padrona di casa.
La bimba cercò
di distogliere l’attenzione da tutto ciò che le era estraneo,
concentrandosi sul fratello:
lui sembrava del tutto indifferente alla
situazione, al punto che, noncurante del silenzio creatosi, tamburellava con le
dita sul tavolo, come in attesa.
Di cosa, San
non lo avrebbe mai saputo.
Molte cose le
erano estranee e forse lo sarebbero state in eterno, rifletté.
La strega davanti
a loro si passò un’esile mano verdastra fra i capelli, gli occhi che si
spostarono dalla clessidra, l’oggetto che tanto bramava, a Crystal:
« solo tu puoi
usarla ».
« Tu curalo,
poi vedremo », socchiuse gli occhi iniziando a seccarsi di quella donna che
tutto voleva e nulla intendeva cedere.
A quel punto Sivade
sentì qualcosa di fastidioso sfrigolare, dandogli l’impressione di avere sotto i
piedi un formicaio, brulicante di vita e ansioso di mangiargli ogni singolo
lembo di pelle.
Gli scappò una
smorfia schifata, fintantoché la donna poneva fine al fiume di sangue che era
fuoriuscito dalle sue ferite fino ad allora.
Ma l’unica cosa che in quell’istante
passò per la mente del giovane dagli occhi bianchi fu: “Peccato…”
Niente più
sfoghi, da quel momento in poi…
Forse.
San guardò
quella dama in nero, ma non riuscìa
trattenere l’istinto di afferrare per un lembo la giacca di Crystal. Non le
piaceva quella situazione.
E se la signora Merrick avesse cercato
di uccidere Sivade?
Si strinse più
al ragazzo, cercando di non lamentarsi.
Di trovare la
pace per quei pensieri terrifici.
Il giovane dai
lunghi capelli corvini posò una mano sulla spalla di San, ben sapendo che
quella strega non poteva sembrare per nulla affidabile…
Ma ciò che le veniva offerto era troppo grande perché lei se lo lasciasse
sfuggire.
L’immortalità…il
più grande veleno che gli uomini avevano scoperto secoli addietro.
Ma era tempo…
Le campane suonavano…rintoccando
la sua ora, inesorabilmente giunta.
Lo scambio
equivalente… in quel momento stava a lui:
chiamò a se la clessidra.
Merrick avrebbe
avuto ciò che voleva.
Sospirò ancora
una volta, prima di sibilare velocemente un nome…girando e rigirando quella
clessidra dalla sabbia color pece.
Infine diede
una rapida occhiata a Sivade prima di chiudere gli occhi:
« sbrigati a
guarire…» sussurrò.
E calò ancora una volta il silenzio.
Fine secondo
capitolo.
Si ringrazia:
Ametista: aaah, non possiamo anticipare nulla!
Sennò dove sta la suspense??!!
Si capirà
perché si definisce morte, e molto altro ancora.
Yami: altro capitolo, rilasciato un po’
in ritardo per la stesura di un altro che ci ha…danneggiato moralmente?
Dark: sarà per questo che il capitolo
sottostante è venuto assai…(come suggerisce il titolo)… idiota?
Yami: eh…qualcosa del genere, ma dai…ci
sono contenuti che chiariscono la relazione che intercorre tra alcuni
personaggi della storia…
Dark: “Mistery!
Suspanse! E molto altro ancora!” (La Repubblica, 10
febbraio 2008).
Yami: “Kakkiaten,
Boiaten und molto altren!”
(La voce del Crucco, stessa data)
Dark: “Da leggere accompagnati dai
genitori!” (Il giornale di Vicenza, “” )
Enjoy
the fic.
Byez
Capitolo 3: “The idiots are taking
over”
Non si
trattava di guarire il fisico, purtroppo.
Sivade lo
sapeva fin troppo bene.
Le sue ferite
non erano che la conseguenza ad un errore commesso di proposito.
Un errore che
non gli sarebbe mai stato perdonato, nell’eventualità che fosse tornato a casa
in quello stato pietoso.
Le ferite si
chiusero, d’improvviso, e con esse sparì anche la
corona di spine che portava in testa.
Sollevò il
capo, come per guardare il viso della donna che aveva contribuito a quella
rapida guarigione, ma i suoi occhi erano ancora velati da quella nebbia bianca.
A volte, si
diceva spesso il ragazzo, “occhio non vede, cuore non duole”.
Crystal,
posato al muro, altro non faceva che osservare il tutto con la massima
attenzione, girando e rigirando fra le sue mani affusolate la clessidra
d’argento che si portava sempre appresso.
Una volta
resosi conto della scomparsa delle ferite sulla fragile pelle di Sivade, scostò
rapidamente il suo sguardo dedicandosi interamente alla cosa più importante che
possedeva.
Alla cosa che gli sarebbe sempre stata
fedele, dell’unica cosa di cui sapeva
potersi fidare completamente. Colui che sempre sarebbe stato al suo fianco.
Cercò di
ridurre, al limite del possibile, l’uso dei poteri che egli gli offriva, regalando
tutto sé stesso a quella donna che era riuscita a curare un suo…compagno.
Allungò,
ancora una volta, la vita di Merrick.
Come aveva
implicitamente promesso.
Dopo quei
minuti di tensione, i tre erano usciti da quella casa dai toni cupi.
Oltrepassando
la porta d’entrata per uscire alla luce del sole, San non riuscì a trattenere
un sospiro di sollievo.
Se davvero
Crystal era stanco quanto sembrava, era il caso che per la notte si fermassero
in città; almeno per il tempo necessario a rimuovere quella momentanea
debolezza dallo sguardo del moro.
La bimba si
guardò attorno, alla ricerca di un’insegna: un’osteria, un ostello…
Qualsiasi
luogo in cui potessero fermarsi e riscaldare le
membra.
« San-san…portaci ad ovest delle mura.» disse
di colpo Sivade, rimasto in silenzio fin da quando erano entrati in città.
Sentire quella
voce la fece sussultare: era una voce morbida, dolce, ma aveva uno strano tono
di rimprovero ogniqualvolta la sentiva rivolta a lei.
Quasi le
stesse ordinando le cose, invece che chiederle per favore.
E, dal canto
suo, Sivade non sembrava volerle dare chiarimenti a riguardo.
Se ne stava
lì, con le mani in tasca, di fianco a Crystal.
Un ragazzo dai
capelli neri e uno dai capelli bianchi.
Due mondi
opposti a confronto.
Il moro alzò
gli occhi al cielo.
Nuvoloso come
sempre, quando egli si permetteva di uscire allo scoperto, fuori
dalle mura di una qualsiasi dimora che fosse in grado di accoglierlo.
Sospirò,
indicando ai due di seguirlo, ignorando ciò che era stato chiesto a San di
fare.
« Di qua. »
disse secco, accennando con il capo ad un ostello poco vicino.
Accedervi
sarebbe stato un problema, e sperò con tutto sé stesso che qualcuno lo
invitasse ad entrare, senza far troppe domande.
In caso
contrario…si sarebbe rivolto alla sua unica fonte di salvezza.
Sbuffò, odiando
tutto sé stesso per essere sempre dipendente da altri, attendendo che qualcuno aprisse la porta, quella solita ansia che gli riempiva il
petto.
Prima o poi
avrebbero finito per scoprire quello che cercava in tutti i modi di tener
segreto.
Contrariato,
Sivade tirò una gomitata a Crystal, borbottando qualche parola indistinta che
San non riuscì a capire. Cosa che con suo fratello capitava spesso, visto che
borbottare era una specie di hobby per lui.
La moretta
entrò, aprendo la porta con una spinta di entrambe le mani:
vennero così colpiti dal vociare degli
avventori, dalla luce calda del fuoco nel camino, dal profumo del pane
fragrante e della carne appena messa sul braciere.
Sivade diede
una spintarella a San, obbligandola ad entrare:
« Su su, compagni, v’invito in questo luoghettocaruccio a mie spese! » cantilenò, l’umore apparentemente
opposto a quello di qualche minuto prima.
Crystal
sospirò sollevato.
« E tu che hai? Paura di spendere? » chiese malizioso il
ragazzo dai capelli bianchi, al giovane, entrando con rapidità nel calore della
locanda.
L’altro lo
osservò,un sopracciglio alzato, un sorrisetto beffardo
sul volto:
« beh, i ricchi
come credi facciano soldi? Usurpando quelli altrui…» ghignò, entrando con
eleganza quasi sovrannaturale, evitando di concentrarsi su tutti quei nauseanti
odori che riempivano il salone d’entrata.
« Buah-ah-ah…»
commentò poco convinto Sivade, tirando su col naso come un signorino di alta società.
Crystal si
accarezzò le labbra con malizia mentre si avvicinava al bancone, attirando l’attenzione
del proprietario che li guardò perplesso.
Perplesso
almeno quanto la povera San.
« Ehi, bell’uomo…» sussurrò sedendosi su uno sgabello « ci servono
delle stanze in cui…» s’interruppe e rise piano.
«…tirarci
delle seghe?» concluse Sivade giungendo dietro il moro con un sorriso sardonico
sul volto, notando lo scandalo del malcapitato albergatore trasparire dal suo respiro
strozzato .
Crystal si
girò a guardarlo, portandosi una mano davanti alla bocca, l’espressione
scandalizzata:
«…ma ti sembrano cose da dire…? »
Sivade si fece
serio, annuendo, le braccia conserte al petto:
« io vivo
nella verità! Sono l’uomo più onesto della Terra! »
« Forse volevi
dire… più gay? » propose l’altro con una vena di malizia.
« Parla la
lesbica…» rispose vago il giovane, riferendosi ai modi femminei del compagno.
« La mia altro
non è che sublime eleganza! » esclamò sconvolto,
ravvivandosi i lunghi capelli, illogicamente cotonati nonostante l’umidità del
posto.
« Se non fossi cieco direi che hai qualche problema con
l’eleganza comunemente intesa. » denotò Sivade, rivolgendo lo sguardo vitreo ai
clienti che avevano preso a guardarli, come in attesa.
Crystal si
fece serio, tornando a posare lo sguardo sull’oste:
« dammi la 23.
» terminò allora, fulminandolo nonostante le sue labbra abbozzassero ancora un
lieve sorriso.
L’oste sembrò
svegliarsi da un lungo sonno, e corse via al quadro, dov’erano appese le chiavi
d’ogni stanza, in un perfetto ordine numerico.
Prese due paia
di chiavi: la 23 e la 21. Poi si voltò e, indeciso a chi rivolgersi, porse ciò
che aveva in mano al moro, che gli sembrava il più sano…fisicamente parlando.
Sivade notò la
difficoltà dell’uomo: in un minuto era riuscito a sbattere contro ogni spigolo
disponibile dietro il banco.
Tuttavia,
decise di non infierire contro di lui. Non aveva colpa se lui e Crystal avevano deciso di… chiacchierare.
Cosa che San, dal canto suo, decise
d’impedire il più possibile, da quel momento in poi. Mai aveva sentito più
imbarazzo restando accanto a suo fratello.
Il moro
s’inchinò teatralmente, una mano dietro la schiena, l’altra che stringeva le
chiavi:
« La morte
ringrazia ».
Rise
nuovamente, la voce bassa e spenta, mentre si dirigeva verso le scale.
« Tesoroooo!Aspetta la tua mogliettina! » urlò Sivade, per
poi trascinarsi dietro San, una risata sonora in
risposta agli sguardi sbigottiti dei presenti.
Crystal si
voltò a guardarlo, attendendo che lo raggiungesse.
Poi lo prese fra le braccia rievocando, con quell’unico gesto,
la prima notte di Luna di miele. Figlioletta al seguito, scandalizzata.
Non era da
escludere che Sivade fosse pazzo, pensò la bimba, ma Crystal…il loro salvatore…
No…
Non riusciva a
crederci.
Rubò un mazzo
di chiavi al moro, e corse a rinchiudersi in camera, mirando al bagno.
Ci sarebbe
restata almeno per qualche minuto; finché i conati non avessero smesso di
stringerle lo stomaco.
« Hai scioccato la piccola…» sospirò Sivade, una mano che
massaggiava il collo del compagno, in un gesto vagamente intimo e , al
contempo, minaccioso.
Crystal
socchiuse gli occhi, chinando leggermente il capo:
« potevi fermarmi,
se solo avessi voluto…» disse in un lieve sussurro, sorridendo
leggermente, non riuscendo più a nascondere i suoi denti perfettamente
affilati.
Un sospiro: «
Mettimi giù cicci…» commentò l’altro, ignorando il
commento.
Non dovevano
dimenticare chi erano l’uno per l’altro, si rimproverò.
Non lo
riteneva opportuno, perché non era detto che tutto fosse finito.
Una guerra non
poteva mai dirsi conclusa, se una delle due parti non soccombeva. Era una
regola che ad Amestris gli veniva ripetuta
continuamente, prima di ogni campagna militare.
Crystal non se
lo fece ripetere una seconda volta, allontanandolo da lui come se fosse
infetto.
Si leccò le
labbra, cercando di regolare il respiro.
« Ho bisogno
di riposare. » mentì allora, sdraiandosi sul letto, le braccia incrociate
dietro la testa.« Vattene dalla piccola » sibilò.
La clessidra,
a quel punto, andò a posarsi sul comodino a fianco del letto, vigile.
Sivade si
voltò nella direzione del rumore percepito, fermandosi per un attimo.
E uscì dalla camera 23, chiudendosi la
porta alle spalle.
Sivade sedeva
ad un tavolo circolare, nascosto nell’ombra del salone dell’osteria.
Dietro alle
spalle, una finestra dai vetri appannati, testimonianza dell’escursione termica
con l’esterno; davanti a lui, sul tavolo, un bicchiere di latte caldo e fumante.
Teneva tra le
mani un sacchettino di juta, incerto su quale scelta prendere.
Per la prima
volta, dopo anni, si trovava obbligato a decidere.
Una smorfia
gli comparve sul viso ed estrasse il contenuto dell’involucro: ne venne fuori
una polvere biancastra che riunì nel palmo della mano libera.
A volte la
vita chiedeva di scegliere, anche se le conseguenze della strada che si
decideva di percorrere erano ignote.
Ingerì la
polvere, e con quella il contenuto del bicchiere.
Crystal voltò
leggermente il capo, ad osservare la clessidra che altro non faceva se non
scandire il tempo con la sua sabbia nera.
Accarezzò le
incisioni su di essa con delicatezza, chiedendo
un'unica cosa:
“…Tom…” chiamò
“fatti vedere…”.
Un velo di
malinconia nella voce.
Gli sembrò di
percepire un sospiro, mentre la sabbia fuoriusciva da quell’oggetto
appartenente alla sfera del tempo terrestre.
Un tempo non
più suo.
Tutto avvenne
nel giro di un secondo:
davanti a lui si stagliò l’immagine di un
ragazzo, con la sua stessa età… i suoi stessi occhi, i suoi stessi lineamenti.
Un suo
riflesso allo specchio, se solo si fosse sistemato quei capelli quasi biondi,
sebbene lunghi quanto i suoi… tenuti nei dreadlocks. Una fascia nera che li reggeva, un cappello da baseball
bianco in testa.
Anche per quanto riguardava l’abbigliamento…
era completamente opposto a lui.
I suoi jeans
neri e attillati, urlavano disdegno se messi a confronto con quelli del suo
gemello:
larghi
quattro volte più
di lui, quasi prossimi a cadere, lasciandolo in mutande.
Indossava solo
maglie extra-large, in quanto,
diceva lui, potevano nascondere ciò che avrebbe potuto suscitare imbarazzo in
momenti poco opportuni.
Ma Crystal sorrise, nonostante non
approvasse quei modi rozzi di vestire.
Dopotutto non
lo vedeva da tempo…
Da troppo
tempo non vedeva l’altra metà di sé stesso…
“Rivoltante…”riuscì
a sputare Sivade, una volta ingerita la pozione.
A saperlo, non
si sarebbe mai privato dei suoi poteri, così avrebbe evitato quella schifezza.
Tuttavia, sapeva che era stato necessario per sfuggire al continuo controllo
della sua maestra. Cara, piccola maestra maledetta che mirava solo ad usarlo
come giocattolino nei momenti di noia.
Sbuffò.
Si sentiva già
osservato.
Lei aveva
nuovamente riacquistato la capacità di percepirlo.
“Ma quanto
sono fortunato…oggi me le vanno bene tutte, eh.” si disse, una mano tra i capelli che già stavano cambiando.
Il giovane si
alzò, sistemandosi i vestiti, poi riportò all’oste il bicchiere.
Questi lo guardò, leggermente stupito: “…non aveva i capelli…?”
“…perché? Sono diventato calvo ora, messere?” sorrise il
giovane, la chioma corvina dai riflessi bluastri.
“Non…intendevo
questo…” cercò di scusarsi l’uomo, giocherellando nervosamente con le mani.
Sivade rise
malizioso, uscendo dalla porta con grazia, una chiara imitazione di Crystal.
Ironica, naturalmente.
S’immerse così
nell’argenteo bagliore della luna, i piedi scalzi per niente infastiditi dal
gelo del terreno. Perché, dopotutto, i maghi qualche
trucchetto l’avevano.
Tom lo
guardava, quel solito sorriso malizioso stampato sulle labbra, accennando un
brevissimo inchino; una mano al frontino del berretto:
“Non ci
speravo più ormai” disse sedendosi al fianco di quello che, purtroppo, era suo
fratello…gemello, per di più.
Rise sadico.
“Sono esausto”,
rispose allora Crystal “ho bisogno che qualcuno stia attento a ciò che so di
poter fare…” sospirò “in un attimo di debolezza…”.
“Qualcuno che
sappia chi sei” proseguì l’altro, le braccia abbandonate lungo le gambe.
“E che sono
certo mi accetti per ciò che sono…”, gli sorrise.
Finivano
sempre per completarsi le frasi a vicenda ed era un qualcosa con cui avevano imparato a convivere da tempo… molto tempo…
Tutto il tempo
della loro esistenza.
Tom gli diede
una leggera pacca sulla spalla:
sentiva che tutto ciò che avevano
faticosamente tenuto nascosto per secoli, stava per crollare davanti ai suoi
occhi.
Assieme a
Crystal.
La persona per cui avrebbe donato la propria vita.
Canticchiava
una canzone, il nuovo Sivade apparso alla luna di Glaciern.
Gli occhi di
un blu più cupo della notte,testimoni della sua vista
recuperata, osservava l’ambiente attorno a sé con espressione interessata e
divertita allo stesso tempo. Addirittura, scivolava sul ghiaccio formatosi con
l’abbassamento della temperatura, muovendosi a passi di danze ballate nella sua dimora, molto tempo prima di quella notte.
Nessuno sembrò
notarlo, mentre passava tra i cittadini affaccendati a rientrare in casa.
Probabilmente, erano troppo occupati a correre davanti al loro fuocherello
caldo e invitante per prestare attenzione ad uno straniero.
Cosa che a lui non dispiaceva affatto.
Filò via, con
grazia, dalla strada principale, per muoversi verso ovest delle mura.
Ivi giunto, si
rese conto che anche la nebbia che per lungo tempo gli aveva ottenebrato la
vista se n’era andata. La pozione aveva completato il suo effetto.
Lesse il nome
della via sul muro della prima casa a destra:
Viale Erlitey.
Lì, ogni cosa
sembrava immersa nel silenzio del Dormiente: tutti già dormivano…o avevano
troppa paura per uscire di casa.
Giustamente.
Chiunque, conscio
d’essere nella medesima contrada ove vivacchiava una strega, sapeva che era
cosa sensata sparire dalle strade al calar del sole.
Vide un’ombra
muoversi tra le case e sorrise.
Era già stata
annunciata della visita, la bacucca.
Scrollò le
spalle, mantenendo quell’espressione innocua e scherzosa sul volto, mentre
vedeva approssimarsi due-tre golem di neve.
Robettini
simpatici, i golem, eccetto quando iniziavano a tirar palle di ghiaccio
compensato a raffica. A quel punto, o si avevano le armi giuste, o si doveva
correre ai ripari. Nessun umano avrebbe potuto sopportare uno solo di quei
colpi.
Nessun umano qualunque.
E Sivade non era propriamente…normale.
“Cosa posso fare, ora, per te?” domandò laconico il ragazzo
dai lunghi capelli rasta, gli occhi posati su Crystal in un espressione
innocente tanto quanto quella di un lupo prossimo all’attacco.
Il moro gli sorrise soave, gli occhi nocciola che sembrarono
dilatarsi alla luce di quella fioca lampadina che, sola, illuminava la fredda
stanza d’albergo.
Lupo…
Un’animale che
si addiceva al loro essere:
un mammifero…carnivoro...
solitario…
che sapeva ammaliare, se solo avesse
voluto…
che sapeva mimetizzarsi, grazie alle sue
sublimi doti selvagge…
che sapeva uccidere, per la sua
sopravvivenza…
Allungò una
mano verso Tom, con fare carezzevole:
“…vieni a me…”
sussurrò con quella voce suadente che sembrava avvolgere ogni cosa circostante
“…ne ho bisogno…”.
Tom si
avvicinò a lui, elettrizzato.
Il suono di
quella voce era così invitante, che nessuno sarebbe stato in grado di
resistergli. Perché quello era Crystal, l’eletto dalla
Dark Queen, della Gilda degli Hades.
Sospirò.
Bramosia e
potere lo pervasero, mentre il fratello si chinò su di lui, l’alito freddo che
gli sfiorò il collo:
“…vieni a me…”
ripeté soltanto.
Si trovava
davanti alla porta d’entrata, la testa leggermente bagnata.
Gli avevano
centrato i capelli!
Avrebbe fatto
i conti con la creatrice di quei golem stramaledetti.
Inspirando
profondamente, riacquistò lucidità, e, con essa, la
sua espressione sardonica. Niente e nessuno doveva
cambiare il suo umore.
“Controllare i
nostri sentimenti porta a sopportare ciò che ci fa soffrire?”
La voce
proveniva da dietro l’uscio, e Sivade la riconobbe immediatamente:
“Maestra, non
va bene osservare i propri ospiti dallo spioncino della porta. E’ una cosa
disdicevole.” celiò suadente, coprendo il forellino
sul legno.
Una risata
roca e nervosa accompagnò l’aprirsi della soglia:
“Non sono così
in forze.”
Il giovane
mago entrò tranquillo nella casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Davanti a lui,
su una poltrona che un tempo poteva esser stata
porpora, una donna matura, sui quarant’anni.
“Madama Ixal,
avete pur sempre evocato quei tre vostri servi. Per mio giudizio, vi vedo
bene.” s’inchinò Sivade, una mano sul ventre, lo
sguardo fisso sul volto della sua istruttrice.
“Mi hai
accecato per un bel po’, mio piccolo bocciolo!” protestò Ixal, un ventaglio
lacero e sgualcito davanti alla bocca.
“Quale
scandalo, per una donna che ha rintracciato subito il suo allievo e portato qui
la sua dimora in un lampo, appena lui entrava in città.”
“Mi hai
sentito quando sono arrivata?”
“Forte e
chiaro.”annuì il giovane, un sorriso indolente che troneggiava sul suo volto
abbronzato.
Ixal rise, di
una risata roca e sagace, ma lui non se ne curò, voltandosi per salire di
sopra. Era andato dalla maga per un unico motivo, e di certo non avrebbe
mancato il suo proposito per cedere a dei capricci. Qualsiasi pretesto per
quella donna era valido al fine di sviarlo dalle sue mete.
Era così dal
primo giorno in cui i suoi genitori l’avevano lasciato da lei.
Forse, avrebbe
dovuto trattarla con più rispetto, dal momento che lo aveva cresciuto e che,
lei stessa, aveva dovuto sopportare i capricci dell’allievo. Ma
la cosa al momento aveva un valore nettamente inferiore rispetto all’obiettivo
che aveva portato lì Sivade.
Intendeva
lasciare San a Crystal, e riprendere gli studi che aveva iniziato per rimediare
ad un suo piccolo…problemino.
Aveva
riflettuto a lungo e quella gli era sembrata la cosa più giusta e convenevole
da fare: la bimba non avrebbe subito danni, stando accanto al loro compagno dai
dolci lineamenti.
Ripensandoci,
Sivade abbozzò un sorriso alla contraddizione che recava, con la sua sola
esistenza, Crystal: un giovane tanto femminile fuori, quanto maschile
nell’animo.
Il mago temeva
che quel povero ragazzo recasse la sindrome da cavaliere: il salvatore delle
donzelle, il perfetto combattente, il nobile dal cuore puro!
Trattenne a
stento un eccesso di risa.
Sì…meglio
pensare a Crystal come qualcosa di comico che qualcosa di…caro.
Non andava
bene legarsi alle persone, nel caso di Sivade.
Per questo,
quando si congedò dalla sua maestra, aveva un abbigliamento più curato e una
sacca in spalla.
Si portò sopra
la testa il cappuccio del suo mantello nero, e si
diresse verso l’uscita della cittadella; a passo svelto, senza curarsi delle
guardie che già l’avevano notato avvicinarsi, giunse a pochi metri da loro e
rivolse il suo migliore sorriso alle sentinelle.
Nel mentre,
una mano sgusciò sotto il manto nero che lo avvolgeva, raggiungendo una bustina
di velluto rosso, che posò tra le mani della guardia più vicina.
“Che cos’è?” chiese questa, perplessa.
Sivade sorrise,
rassicurante: “Guarirete nel giro di una settimana, non temete.”
E il sacchetto esplose, colpendo con
un’esplosione di fumi e liquidi tutti i presenti.
Escluso il
mago, che svanì in un battito di piume corvine, al di là
delle mura.
Tom stava
disteso,inerme, sul letto immacolato che il fratello
aveva provveduto a macchiare. Gli occhi persi, a fissare il soffitto giallastro
a causa dei segni del tempo. L’espressione beata.
Nulla, al
mondo, era più conturbante dello soddisfare il
fratello in quei momenti che lui chiamava “di debolezza”.
Sorrise.
E allora che fosse condannato ad essere
debole per tutta l’eternità.
Ciò che
Crystal gli faceva provare ogni volta era un qualcosa d’inspiegabile a parole.
Era come se due metà della stessa mela, finalmente, si unissero, completandosi l’un l’altra.
Un paragone banale,
ma che non sapeva come definire in altri termini.
Spostò lo
sguardo da quel soffitto poco interessante, a Crystal:
seduto sul letto, intento a sistemarsi il
colletto della camicia bianca che portava sotto al giubbotto in pelle, nero.
Lo scoprì nuovamente
in forze, virile come non mai nei movimenti.
Tutt’ altra
persona rispetto a pochi minuti prima.
Anche il
colore della pelle risultava diverso, e le labbra
sembravano avere più vita.
E tutto questo grazie al suo aiuto.
Si scoprì
importante.
“Sivade si è
allontanato dalla città” annunciò Crystal, l’espressione solenne “a quanto pare, ha voluto lasciarmi in eredità un qualcosa
che non mi appartiene”.
Sospirò
scuotendo il capo.
“Che persona priva del senso di responsabilità” commento
seccato, rimettendosi in piedi, lo sguardo ora nuovamente concentrato su Tom.
“Credi di
farcela a camminare?”.
Il gemello
rise:
“Per chi mi
hai preso?” chiese scattando in piedi con un balzo quasi felino “non sono
l’essere fragile e vulnerabile che tu credi” rispose
fissandolo dritto negli occhi.
Crystal
sospirò, portandosi una mano ai capelli:
“Andiamo a
recuperare San”, annunciò allora.
Il capo era
lui; lo era sempre stato.
Lo
si capiva da quelle
piccole cose che faceva:
dai gesti, dalle frasi, da quegli occhi
così sicuri di sé…
Dark: siamo arrivate a scrivere undici
capitoli, ma aggiorniamo un po’ per volta, giusto il necessario per lasciarvi
assorbire le novità =P
Ringraziamo Ametista che continua a
commentare. Giuro,mi sentirei abbattuta se non lo
facessi. So, vieledanke!
Yami:
la ringrazio anche io…anche perché…ha capito che siamo due! XD Mi berrò un cicchetto per festeggiare, alé!
Ah, io questo capitolo lo trovo finemente esilarante…così forbito par il
linguaggio dei nostri figliocci! D’uhuhuh!
Buona lettura e…buon commento *_*
Capitolo 5: “Adieux”
Il
vento intorno a lui, i raggi di sole sulla testa, la terra sotto i piedi.
Poi
l’erba lo accolse, con il suo aroma fresco e inebriante.
Disteso
a terra, guardava il cielo limpido dei territori del sud. Le nuvole viaggiavano
rapide, su nel cielo, mosse dalle correnti marine che partivano da laggiù, dove
l’acqua e la volta celeste s’incontravano.
Nell’oceano.
Sivade
emise un sospiro profondo, sorridendo alla natura.
La
sacca, gettata accanto a lui poco distante, era leggermente aperta da una parte:
lasciava intravedere qualche libro, alcuni sacchetti e delle ampolle.
Tutte
cose ordinarie, nulla che potesse veramente aiutarlo.
Chiuse
gli occhi per un breve istante e si alzò a sedere, una mano tra i capelli.
Doveva
darsi una mossa, se voleva arrivare in città prima che il sole raggiungesse lo
zenit. Si sarebbe così risparmiato un colpo di caldo ed un’eventuale ricaduta.
Prese
lo zaino con gesto rilassato e si mise in piedi, lo sguardo volto indietro.
Dentro
di sé, provava un vago senso di colpa, per non aver detto nulla ai suoi
compagni; San probabilmente sarebbe andata nel panico, ma Crystal avrebbe
reagito nel modo giusto. Almeno sperava.
“Rivolgete
le vostre attenzioni a loro, giovani albori della sfera celeste…”pregò, prima
di rimettersi in cammino.
Tom si
sistemò i larghi pantaloni in jeans, le mani in tasca mentre si dirigeva con
passo mal tagliato verso la porta scricchiolante, che aprì con un colpo secco
della mano. Fece un breve inchino, facendo passare Crystal per primo:
“Ai
suoi ordini, mio capitano” disse allora scherzoso, mentre il fratello stava già
davanti alla porta di un’altra stanza appartenente a quello stesso corridoio;
le mura di un stonato rosso scarlatto, come a voler
ricordare tutto quel sangue sgorgato poco prima.
“San,
apri la porta” ordinò allora Crystal, il fratello posato al muro, gli occhi
chiusi “dobbiamo andare a caccia”.
Trattenne
una risata.
Uno
scatto metallico, un’imprecazione impacciata e la porta si aprì con un cigolio:
San fece capolino con la testa, leggermente stupita.
“…a
caccia…?” chiese, stropicciandosi gli occhi assonnati.
Crystal
le accarezzò con lascivia i lineamenti del viso, poi le occhiaie che aveva
sotto agli occhi:
“Il
fratellino, a quanto pare, ha di meglio da fare”
sorrise, malgrado sentisse montare dentro di sé una rabbia crescente. Tom la
percepì all’istante, ma non mosse un dito.
La
bimba, dal canto suo, si voltò, tornando nella stanza; cercò le cose che aveva
distribuito disordinatamente sul letto e le infilò nella sua tracolla.
“Ora
sono pronta…”disse solamente, senza riuscire a pensare a nulla.
Crystal
tese una mano verso di lei, sorridendole affabile:
“Lo
troveremo, piccola San, non temere”.
Tom si
schiarì la voce:
“Non
vorrei assistere a qualcosa di osceno…” commentò
studiando la bimba dall’alto al basso “molto piacere, sono Tommy!”.
San lo
guardò con sguardo truce, poi si attaccò ad un braccio di Crystal,
nascondendosi a quello sconosciuto. Non le piacevano le sorprese, in particolar
modo quando con lei non c’era suo fratello. La sua ancora…
“Perché se n’è andato…?” gemette, nascondendo il viso nella
giacca del suo protettore.
“Cercherà
altri tipi di prestazione…” commentò Tom ridendosela sfacciatamente davanti ai
due che lo squadrarono senza commentare.
Crystal
rivolse lo sguardo alla piccola:
“Si
sarà stancato del sottoscritto” sorrise teso, Tom che lo guardò sbigottito.
Non
era da lui mostrarsi così…debole.
San
scosse il capo violentemente: “Non è colpa tua!” esclamò, serrando i pugni
“Lui…lui avrà deciso così per il nostro bene!”
E la bimba era profondamente
convinta di quello che stava dicendo. Perché le
sembrava di avere solo Sivade, nella sua vita.
Crystal
scosse il capo, sospirando afflitto:
“Egoista”.
Un
fastidioso fischio alle orecchie, poi la voce della sentinella di turno che
chiedeva le motivazioni che l’avevano condotto a Mintaka.
“Studi…”rispose
vago il giovane dai capelli corvini, chiudendo gli occhi per un breve istante
“Mi chiamo Eram di Greenwald.”
L’uomo
in divisa sembrò studiarlo per un lungo momento, poi si fece da parte,
permettendogli di entrare: “Non vogliamo guai, qui…lo rammenti per il tempo che
si tratterrà in città.”
Un
leggero inclinarsi del capo fu l’unica promessa di Sivade, prima di immergersi
tra la folla che si affrettava lungo il viale del mercato.
Il
brulicare della gente era tale da impedire di procedere speditamente, Sivade lo
capì quasi subito.
Guardandosi
intorno, notò la presenza di alcuni stregoni che
promettevano guarigioni miracolose e fortune indicibili: subito un sorriso gli
si dipinse sul volto.
Trovò
uno spazio appartato, grande abbastanza da accogliere due persone.
Lì vi
stese una coperta, estrasse alcune cose e si sedette, in
attesa di essere notato.
Non
era male, guadagnare qualche soldo con il proprio lavoro.
Tom,
ancora altamente perplesso dall’espressione che aveva
notato nel fratello pochi attimi prima, si sistemò nervosamente il berretto,
cercando i suoi occhi:
“Ci
fai strada?” domandò conoscendo già la risposta che non tardò ad arrivare.
“Ovviamente”
rispose inumidendosi leggermente le labbra.
Accolse
San fra le sue braccia, cosicché avrebbero potuto tenere un’andatura perlomeno
rapida.
Non
sarebbero mai riusciti a sostenere il suo passo, ma non importava.
Il suo
fiuto restava sempre uno dei migliori.
Socchiuse
gli occhi, immergendosi in quella scia di profumi nei quali impegnò il suo
olfatto cercando quella particolare di Sivade.
Non
tardò a trovarla.
“Seguitemi”
disse allora, dirigendosi verso quell’immenso portone di cristallo che
proteggeva la città dagli attacchi esterni.
Sorrise
divertito.
A lui
non aveva resistito.
Poi sussurrò
un’imprecazione, scuotendo il capo debolmente:
“Che tonto che sei, piccolo Sivade”.
Sembrava
volerlo condurre a lui.
Quei
soldati distesi e privi di conoscenza a terra, erano un chiaro segno del suo
passaggio.
Rise.
“Proprio
scemo”.
In due
ore, era finito tutto.
Sivade
si guardò intorno, notando di essere osservato da molti dei mercanti vicini.
Rise
nervoso, passandosi una mano sul collo: “Ma che guarderanno mai?” chiese alla
sua ultima cliente, una ragazza dai capelli rossi e dagli occhi profondi.
Indossava
un vestito di fattura artigianale molto semplice, una camiciola con maniche a
sbuffo, un corsetto rosso sangue e una gonna lunga scampanata dello stesso
colore, un paio di mocassini ai piedi.
L’abbigliamento
di una dame, un’accompagnatrice.
La
giovane prese tra le mani un sacchettino del mago, facendolo saltellare da un
palmo all’altro: “Un cretino…” rispose, la voce pacata
e tranquilla.
Lui la
guardò dal basso verso l’alto, reprimendo un sorriso.
“Da quanto
tempo, mia cava!” esclamò,
togliendole dalle mani l’involucro di stoffa verde petrolio.
La
rossa non sembrò essere toccata da quell’entusiasmo, e si rialzò, per portarsi
al fianco destro di Sivade, cogliendo l’attenzione dei vicini.
Il
giovane si chinò leggermente in avanti, raccogliendo le sue cose nello zaino in pelle bruna: “Cosa ti porta a mostrarti a me, Goito?”
Lei fu
scossa da un tremito all’udire il proprio nome e sedette, stringendosi le
ginocchia al petto; la gonna le arrivava fino a poco sopra le ginocchia,
mostrando le gambe di porcellana, dello stesso colore diafano delle braccia.
“Sei
di nuovo…solo…?” esitò sull’ultima parola, cercando il suo sguardo.
Sivade
sorrise mestamente: “Meglio così…anche perché…ogni cosa che mi tocca, finisce
per essere danneggiata…”
Crystal
li condusse su una strada principale, lo sguardo perfettamente concentrato su
ciò che stava facendo.
“Tom,
credi di riuscire a trovarlo…?” chiese allora, nascondendosi sempre all’ombra
degli alberi.
Odiava
il sole. Ma al contempo non sapeva desiderar altro.
Luce e
chiarezza.
Lui
altro non era che un ombra di morte, che vagava.
Da
solo.
Oscurando
la luce argentea della luna, bramando il calore del sole.
Tom
annuì in risposta alla sua domanda,mostrandosi
completamente rilassato:
“Nulla
di più facile, tu goditi quei pochi sprazzi d’ombra che ci rimangono”.
Il
moro rise nervoso.
“Provvederò”.
“Ti ho
mai detto che amo le biblioteche?” chiese Sivade alla sua vecchia conoscenza.
Goito
alzò gli occhi su di lui, per poi precederlo sulle gradinate che conducevano
alla biblioteca comunale: “Sì, lo so…”
Il
giovane sorrise,
seguendola con lo sguardo chino agli scalini. Notò che erano logori e
leggermente crepati in alcuni punti. Entrando, comprese
subito che si trattava di un edificio abbastanza vecchio da permettere
all’aroma dei libri di permeare gli interni.
“Meglio
di così non potevo chiedere.”rise sommessamente, andando a sedersi su uno dei
tavoli della sala principale, Goito che svaniva dietro alcuni scaffali.
La
guardò per un istante: sorrise.
Con
Ixal, era tornata anche lei.
Non
tutto il male veniva per nuocere, doveva ammetterlo.
Tom
camminava a passo spedito verso la città, ammaliando le guardie con i suoi discorsi
logoranti e senza senso.
Bastava
solamente far colpo.
E quelli lo lasciarono entrare.
“Non
potrei più semplicemente…annuvolare il cielo…?” chiese a sé stesso, un
sopracciglio alzato in segno di perplessità. In quel modo Crystal avrebbe
potuto muoversi, trovando Sivade con molta più semplicità.
Perché non farlo se era in grado?
Sorrise,
muovendo la mano destra in un gesto fluido e stranamente elegante per una
persona come lui.
Nel
giro di due minuti, iniziò a piovere.
A
dirotto.
Forse
aveva leggermente esagerato.
Ridacchiò.
“Questi
ti bastano?” chiese Goito, sbattendo sul tavolo una pila di libri vecchi e
consunti, noncurante del cartello che richiedeva silenzio assoluto.
Sivade
sorrise, prendendo il primo tomo in cima: “Per il momento sì, grazie.”
Aveva
udito quasi subito quel classico scrosciare, lì, fuori dalla
biblioteca.
A
quanto sembrava, nemmeno Mintaka poteva resistere di
fronte alle intemperie e la pioggia era arrivata. In più, con essa, s’avvicinava un sentore di magia, di mistero e di
vitalità, che poco avevano a che fare con la città.
Goito
alzò il capo alla porta d’ingresso, gli occhi ridotti a due fessure. Il giovane
mago l’osservò con sguardo interessato, attendendo la prossima reazione di lei.
La
rossa, dal canto suo, non aveva nemmeno notato le sbirciatine di Sivade e,
quando si voltò verso di lui, si stupì di vederlo concentrato a guardarla.
“Che
c’è?” chiese nervosa, giocando con una ciocca di
capelli scarlatti.
Lui
rise sommessamente, una mano davanti alla bocca: “La tua espressione lascia
trasparire facilmente i tuoi pensieri, piccoletta.”
“Piccoletta
dillo a quella che sta arrivando.”sbottò
la ragazza, svanendo dalla vista di Sivade. Questi sospirò, affranto, rimanendo
a fissare il vuoto davanti a lui per un po’. Poi riprese a leggere, cercando
informazioni più dettagliate sulle maledizioni. Inseguendo un modo per
liberarsi dal suo peso.
Ormai
era già entrato in città, San ancora fra le sue braccia, così da ripararla
dalla pioggia che suo fratello aveva scioccamente invocato.
Vero
che in quel modo avrebbero velocizzato la ricerca, ma era anche vero che così
si sarebbero scoperti più facilmente.
Un
conto era concentrare un piccolo barlume di magia su una singola persona, come
avevano fatto poche ore prima, con Merrick.
Tutt’altra
cosa era cambiare il corso temporale di un’intera città.
Sospirò,
rimanendo concentrato sulla scia di profumo che Sivade si era lasciato dietro
di sé.
Una
chiara traccia che lo condusse fino ad una vecchia biblioteca di sua
conoscenza. L’aveva visitata molti anni prima, quando
era al culmine della sua bellezza e popolarità. Ora altro non sembrava che una
baracca in disuso.
Vi
entrò con trattenuta violenza, il fratello che gli stava alle calcagna.
Mise a
terra la piccola San, completamente asciutta, per non rischiare di bagnarla con
i suoi indumenti ora completamente fradici.
“Prima
di agire, pensa!” urlò innervosito, la voce che sembrava trafiggere con mille e
più spine “ma perché non riesci a capire le cose più semplici??” domandò poi,
esasperato, iniziando a guardarsi intorno.
Il profumo di Lui sempre più intenso.
Non
gliene importava nulla di aver attirato l’attenzione di tutti…
Poiché tutto aveva un limite.
Il
giovane dai capelli corvini sospirò, scuotendo il capo lentamente.
“Così
rumoroso…così screanzato…”commentò, nascondendosi dietro ad un tomo alto mezzo
metro dall’aria vissuta.
A dir
la verità, si sentiva leggermente in pericolo, dato il tono assunto da Crystal.
Ma non sapeva che altro fare, se
non rimanere lì, immobile, sperando che il ragazzo non decidesse di dare
sfoggio della sua violenza in un luogo pubblico.
La
sua mane prese
una penna, iniziando a trascrivere su un quaderno logoro alcuni appunti:
misure, quantità e quant’altro gli sembrasse utile al
suo scopo.
Sapeva
che non sarebbe rimasto a lungo in quel luogo, non c’era nulla da fare.
Non
aveva voglia di discutere con Crystal…
Altrimenti avrebbero continuato per ore.
Un’ondata
di profumo e lo vide.
Gli
apparve davanti nel giro di un millesimo di secondo, sbattendo una mano sul
tavolo:
“Cotal Signorino avrebbe potuto avvisare della sua partenza
assai improvvisa” sibilò sottovoce, chino su di lui.
Una
risata nervosa fu l’unica risposta che ricevette il giovane, mentre Sivade
cercava di continuare a raccogliere dati. Sapeva che la soluzione era vicina.
La
sentiva, ma non riusciva a raggiungerla. Chiuse gli occhi per un istante,
inspirando profondamente, ignorando il suo interlocutore.
Crystal
gli chiuse il libro, sbattendolo con tanta forza da far tremare il tavolo su
cui posava:
“Mi
dispiace disturbarla, ma quella che mi ha lasciato non era eredità gradita” proseguì
voltando lo sguardo verso San, gli occhi ora di un profondo azzurro ghiaccio.
Tom quasi non indietreggiò colpito dalla sua rabbia.
San
invece si attaccò al braccio di Tom d’istinto, asciugandogli inspiegabilmente i
vestiti. Cosa che Sivade notò, salutandola con una mano, un
sorriso rassicurante sul volto. Almeno lei, doveva restare tranquilla.
Il
mago, invece, sudava freddo.
“Sei
umido, l’hai notato, mio dolce Cristallo…?”cercò di sdrammatizzare, non
riuscendo tuttavia a reprimere una vena d’amarezza nella voce.
“Lei
dice?” chiese assottigliando gli occhi l’altro “forse comprenderà anche per Chi
mi ridussi in codesta condizione”.
Sivade
roteò gli occhi, portando una mano al viso: “Mi perdoni, messere, per avervi
recato danno affidandovi un simile fardello. Ma denoto
che la vostra brama della mia persona vi ha portato qui in meno di un giorno…”
lo guardò di sottecchi “…nevvero?”
Crystal
sorrise sghembo,
prima di voltarsene ed andarsene accompagnato da Tom: “a mai più”.
Sivade
si guardò intorno, denotando che tutti i presenti, chi più chi meno, lo stavano
fissando. Tutto merito di Crystal.
“San…”
la chiamò sottovoce, una mano che l’invitava ad avvicinarsi.
La
bimba dai capelli neri rimase ferma dov’era, intenta a guardare quello che lei
ora dubitava fosse suo fratello.
Lui
notò quell’incertezza e sospirò, le mani che andarono a riunire i libri sparsi
sul tavolo. Non insistette oltre; andò a riporre i vari tomi al loro posto, per
poi prendere le sue cose e spingere fuori la sorella, con gentilezza che fu
accolta da un semplice sospiro.
Di
nuovo, Sivade si trovò circondato dal mormorio della gente, dal rumore prodotto
dagli zoccoli dei cavalli sul selciato, dall’aroma alacre della terra misto a
quello della cucina di strada.
Tutte
cose che non avevano il minimo sentore di magia.
Portò
lo sguardo al cielo, le mani nelle tasche dei pantaloni.
Un
sospiro fu la sua unica espressione di tristezza.
Crystal
e Tom ormai erano nuovamente fuori dalla città, quest’ultimo che guardava stralunato l’altro.
“Non
capisco il tuo comportamento” dichiarò, infatti, mentre la pioggia smetteva di
cadere, solo le nuvole ad oscurare il sole battente.
Crystal
sembrò svanire davanti a lui, per poi comparire ad un centinaio di metri di
distanza, lo sguardo decisamente divertito: “certo che
non lo capisci, dato che nemmeno il sottoscritto è in grado di farlo. Ho
semplicemente seguito l’istinto…” spiegò accarezzando la corteccia umida
dell’albero al suo fianco “e poi l’unico compagno della morte è il silenzio,
dovresti saperlo” rise piano, Tom che si avvicinò a lui, lentamente. Forse a
causa dei jeans troppo ingombranti, o forse per
semplice cautela.
“Non è
esatto. Oltre al silenzio, anche dallo scandire del tempo” lo corresse poi, mettendosi
al suo fianco.
Crystal
gli sorrise flebile:
“Anche questo è vero”.
Voci, luci,
suoni e colori: questo percepiva San attorno a loro.
Eppure Sivade non sembrava minimamente
toccato da quelle cose: stava lì, immobile, a fissare il cielo riprendere il
suo colore turchese.
“…fratellone…?
”esitò, prendendolo per una manica della giacca “…dove andiamo ora…? ”
Lui
alzò un indice, posandolo sulle labbra di lei,
facendole cenno di tacere; poi scese la scalinata, lasciandosi cadere
pesantemente ad ogni gradino.
In
testa, solo il pensiero dello sguardo mortifero di Crystal.
“Accidenti!”
imprecò, sbattendo un pugno sul muretto che aveva di fianco, il respiro pesante
“L’idiota è lui, non io!”.
Tratteneva
a stento la rabbia, il pugno ancora tremante: non sapeva perché, ma il
comportamento di Crystal l’aveva confuso e innervosito insieme; ma se n’era
accorto solo quando il moro se n’era andato con quel tipo…che aveva la stessa
faccia, ricordò.
D’impulso,
si voltò verso San, aprendo e chiudendo le mani: “Chi era quello vicino a te
prima?”
La
bimba chinò il capo di lato, per poi fare spallucce: “Non lo
so, so solo che si chiama Tommy…” spiegò
dispiaciuta.
Tom si
mise a fissarlo, come a volergli leggere l’anima, sebbene Crystal insistesse
sul fatto che lui un’anima non ce l’aveva:
“In
realtà, ora, te ne rammarichi, giusto?” chiese stranamente comprensivo.
“Anche
se fosse, non ha importanza. Da
tempo ho imparato a sopprimere i miei desideri. Non necessito
d’altro” e riprese ad incamminarsi fra gli alberi, i fiori a terra che
sembravano scostarsi per non essere calpestati…ma non se ne percepiva il
movimento. Chiaramente era magia. Espressa involontariamente da Crystal,
l’ombra nella notte.
Il gemello sospirò, scuotendoli capo, sebbene
dentro si sentisse scalpitare di gioia.
Aveva
bisogno di lui, e di lui soltanto.
“Torniamo
a casa…?” domandò allora, cambiando totalmente argomento.
“Quella
era la mia intenzione…” sussurrò, gocce d’acqua scivolar via da lui.
Il
giovane dai capelli corvini andò a prendere la sorella, issandosela sulle
spalle senza proferire alcuna parola. Stava pensando, ma a cosa non era dato
saperlo a San. Non era facile affrontare lo sciabordio
inquieto dei sentimenti di Sivade, quand’era in quello stato.
Nei
momenti durante i quali il ragazzo perdeva la calma, c’era sempre qualcosa di
strano in lui: iniziava a parlare da solo, o con qualcuno che lei non poteva
vedere.
Discuteva
per ore e ore, come stava già cominciando in quel momento.
“…Dove andiamo…?” chiese, ben conscia di aver già posto quella
domanda.
Sivade
sospirò, frenando i suoi borbottii: “Non lo so, San, ma di
sicuro non torneremo a casa…non ora…” spiegò, gli occhi fissi davanti a
lui.
San si
guardò intorno: lui l’aveva portata ad un parco, poco fuori
dal centro della città. Non se n’era nemmeno accorta.
Il
giovane si sedette su una panchina, posando la sorella al suo fianco:
“Aspettiamo…qui…”
Crystal
non poteva avere ciò che la sua parte umana bramava:
in parte perché tutti quei
sentimenti che fremevano in lui lo rendevano inquieto, a causa della loro
stessa natura; sapendo di non poterli controllare a suo piacimento.
Dall’altra,
invece, perché sapeva di non poter governare sé stesso come desiderava: in lui
viveva una belva, che non poteva cancellare, reprimere o trattenere. Faceva parte di lui, di ciò
che era e che lo teneva in vita.
Se quella parte di sé fosse
venuta a mancare, la sua vita avrebbe finito per crollare.
Inesorabilmente.
Riportandolo
alla polvere, dove avrebbe dovuto stare.
Il vento
sussurrava canti lontani attorno a loro, brani scritti da geni della musica
molto tempo addietro, quando il verde delle praterie era l’unica cosa che un
uomo bramava vedere. Tuttavia, il tempo era cambiato: erano nati
re e regine, principi e primi ministri, eunuchi e funzionari. Tutti alla ricerca di un brandello di terra su cui imporre lo
stendardo di famiglia.
Sivade
portò il busto in avanti, le mani giunte tra le gambe. Teneva lo sguardo basso
e pensava alla sua carica di principe di Amestris. Ringraziò il cielo per non essere nato come
primogenito: il fardello lasciatogli dal re, suo padre, era già sufficiente da
portare sulle spalle.
Lì,
nella quiete del pomeriggio, all’ombra di quel sicomoro che troneggiava sopra
San e il giovane, tutto sembrava prendere il posto dovuto.
Ma Sivade sapeva di non poter
rimanere lì ancora per molto…
Il
destino reclamava una decisione, e il mago doveva obbedientemente accontentare
quel capriccio.
Così
il mago si alzò, facendo cenno alla sorella di seguirlo:
“Se andremo da lui, credi che ci caccerà?” le chiese, un
mesto sorriso sul volto.
La
bimba parve confusa, ma le volle poco per carpire il senso di quella domanda.
Voleva
continuare a fuggire dalla realtà, rimanendo accanto a colui
che gli aveva permesso di aprire le ali e fuggire dai suoi doveri.
«Vossignoria mi ha seguito?» domandò Crystal, lo sguardo languido, la carnagione più pallida del
solito.
Due mani si sfregarono nervosamente, per poi adagiarsi ai
fianchi del loro padrone: « Mi avvalgo
della possibilità di non rispondere. » decretò Sivade con tono piatto e assente, gli occhi fissi su quelli del
suo interlocutore.
Crystal sorrise, la schiena posata al petto di Tom che lo
stringeva a sé:
« Dovrò pur
essere messo a corrente se il Signorino ha deciso di pedinarmi finché morte non
ci separi. » disse
gongolante, sostenendo il suo sguardo con assoluta indifferenza.
Sivade chiuse per un attimo gli occhi, sentendo la
pressione che San imponeva sul suo braccio. Quel calore che gli trasmetteva
dava forza a sufficienza.
Sospirò: « So bene che non sarei gradito alla vostra presenza neppure per un secondo
di più, ma ho preferito arrischiarmi lo stesso e pormi al vostro cinereo
cospetto. » commentò
vacuo, stanco dei giochetti attuati dal moro stante davanti a lui.
Crystal sospirò a sua volta, chiudendo gli occhi,
abbandonato completamente contro il corpo del fratello. Fece un breve gesto,
invitando il mago a sedersi al loro fianco:
« Come
desidera », terminò
allora baciando il collo di Tom che s’irrigidì all’istante.
Lo sguardo di Sivade si fece sottile e annoiato, quasi
strafottente: « Smettila
di darmi del lei. » sbottò,
sedendosi a qualche metro da quei due, invitando San sulle sue ginocchia.
Crystal si voltò, guardandolo di sbieco:
« Io non vi
ho permesso di smettere. »disse seccamente, prima di tornare a lambire
la pelle del fratello con le sue labbra:
« E non
intendo mancarle di rispetto, Vossignoria…», sibilò trattenendosi dal mordere quella carne tenera e palpitante.
San guardava la scena in disparte, dietro il fratello, lo
sguardo leggermente preoccupato. Anche se avevano
viaggiato a lungo per arrivare sin lì, anche se Sivade era caduto a terra più
volte, senza che lei riuscisse a comprenderne il motivo, ora quei due giocavano
a provocarsi, rendendo tutto più difficile.
Perché Sivade non diceva quello che aveva
detto a lei? Forse, così facendo lui e Crystal sarebbero tornati amici. Notò
che il fratello la stava guardando, cercando probabilmente di capire che le
passasse per la testa, quando la bimba prese una decisione.
« Crystal,
Sivade voleva venire da te a tutti i costi. Ha fatto decine d’incantesimi
d’inseguimento per avere la strada giusta e per giunta… » una mano sulla bocca, e le fu impedito di parlare.
« Zitta. » ringhiò il mago, guardandola con
severità.
Crystal scoppiò a ridere, una risata liberatoria e
alquanto provocante:
« Mi
dispiace avervi affaticato in cotal maniera! » esclamò mentre Tom affondò una mano
ai suoi capelli per spingerselo più contro.
Il moro lo guardò per un breve istante, prima di tornare
a fissare Sivade, i canini affilati in bella mostra.
La risata divenne un impreciso suono gutturale, proprio
mentre affondava le zanne nella carne tenera del fratello che socchiuse gli
occhi sospirando soddisfatto.
Sivade coprì gli occhi di San con un breve respiro, prima
di prenderla in braccio e allontanarsi di qualche passo: « Non è il caso di far vedere certe cose alla mia
sorellina, messere. Forse è il caso che io sparisca
davvero. » disse con
voce nuovamente tranquilla, come se la repulsione, che dentro provava, non
fosse altro che un fastidioso ronzio nelle orecchie.
Un ronzio che Sivade aveva già udito in precedenza, nel
campo di battaglia, quando una persona a lui cara gli aveva
voltato le spalle, portandosi dalla parte del nemico, decretando il destino
della milizie di Amestris.
Ed in quel momento, ove Crystal rivelava noncurante la
sua identità di vampiro, l’unica cosa che colpì Sivade non
fu il pericolo che il giovane costituiva, piuttosto la consapevolezza che gli
era stata nascosta la verità.
Nuovamente, il sentore del tradimento avvolse le membra
del mago dai capelli corvini, trascinandolo nell’abisso dell’incertezza e della
paura.
Lasciò cadere San a terra, finendole accanto
qualche istante dopo, del tutto privo di conoscenza. Solo gli occhi, aperti,
sembravano asserire che non era del tutto svenuto.
Ma erano del tutto vuoti, velati come quando era cieco.
Sembrava un essere in fin di vita, che non riusciva ad accettare ciò che lo
circondava. La bimba dai capelli neri rimase terrorizzata a vederlo, fissando
Crystal boccheggiante.
Il vampiro, nonostante tutto, continuò devotamente a bere
dal collo del fratello finché non si sentì, per così dire, sazio.
La sua sete era eterna, mai avrebbe
potuto porvi rimedio, se non con la morte di un qualche innocente di passaggio…
Che lo avrebbe dissetato non per più di due giorni
consecutivi.
Solo quando sentì le membra di Tom abbandonarsi contro di
lui, si allontanò, posandolo contro un tronco d’albero lì vicino, con cautela.
Poi, con un esile mano adornata
da un anello d’acciaio, si avvicinò a Sivade, noncurante della reazione che la
piccola San avrebbe potuto avere:
con un sospiro prese il giovane fra le sue braccia di marmo,
osservandolo con sguardo vacuo.
Non aveva idea di dove portarlo per porre rimedio a quella
morte apparente; ma qualcosa doveva pur fare. Con la coda dell’occhio,
controllò nuovamente il fratello tornato ad essere quella clessidra che a lungo
lo aveva accompagnato nelle sue missioni… e, improvvisamente, seppe dove
portarlo.
Il senso di vuoto, l’apparente volontà di reagire, in
quel frangente erano le uniche cose che appagavano Sivade. Nulla più dell’oblio
poteva restituirgli la sicurezza di vivere una vita che, nelle sue parvenze, fosse definibile normale.
Il mago si sentiva stanco, stanco di tutto ciò che lo
circondava e che voleva riempirlo.
Aveva provato a riporre fiducia su Crystal, ma anche il
ragazzo non si era dimostrato…come Sivade avrebbe voluto
che fosse.
« …ti
prego… » si lasciò
sfuggire, mentre sentiva il gelo avvolgerlo nuovamente in un abbraccio.
Un sussurro che la piccola San non riuscì a cogliere, al
contrario di un ombra rossastra dietro il folto degli
alberi. Goito scosse il capo, una mano che le copriva la fronte, ed un attimo
dopo era nuovamente svanita.
Il vampiro fece atto di non sentir nulla, la mente
lontana dal voler curarsi di altri.
« Ti porto
in un luogo dove saprai riprenderti… » disse sottovoce a Sivade, come a non voler spezzare quel silenzio che
regnava in quel recondito angolo di mondo.
Gli stava dando nuovamente del tu, dimentico di tutto
quello che era successo fino a pochi minuti prima,
troppo intenti a provocarsi a causa dell’orgoglio che li soggiogava a suo
piacimento.
Le mani dell’altro si strinsero debolmente al petto di lui, in segno di debole assenso. Incapaci di
spingersi più in là.
Ed era come se San stesse guardando qualcosa di
prezioso,una cosa che nessuno avrebbe
dovuto vedere.
Eppure lei era lì, unica testimone
di…qualcosa…
Qualcosa di così carezzevole che sembrava sul punto di
svanire in una folata di vento.
Non come la prima volta che Crystal aveva preso in
braccio Sivade.
Il moro respirò a fondo, trattenendo quel sentore di
perdizione e colpa che rinchiuse in sé stesso:
un peso in più da addossarsi.
La clessidra volò verso di lui, mentre s’incamminava
verso un tempio di sua conoscenza.
Un tempio dove per un lungo periodo aveva cercato quella
pace che, con così tanta facilità, era riuscito a
perdere.
Sospirò.
Dopotutto la sua anima era dannata:
nulla ci si doveva aspettare da lui.
E la bimba dai capelli neri lo seguiva, a pochi passi di
distanza, guardando con occhi persi quei due, senza riuscire a distogliere lo
sguardo.
Un fuoco nel profondo del suo animo stava avvampando,
piano piano, imbarazzato.
Quei due le stavano trasmettendo…calore.
Sivade stesso sembrava assumere le forme di un esile figura tra quelle braccia che lo stringevano con sicurezza. O forse era solo un’impressione erronea, San non poteva
saperlo. Alla fine, non l’avrebbe mai saputo.
Il viaggio non sarebbe stato molto lungo, ma sapeva che avrebbe faticato a resistere.
Trasportare quel corpo così caldo, lo faceva desiderare
di tornare a vivere.
Sentire quel tepore fra le sue braccia insensibili al
dolore, lo faceva sentire perduto.
Vederlo debole, stretto a lui, lo faceva sentire un
verme, la cui esistenza inutile si prolungava oltre la morte:
un luogo di pace eterna con una propria volontà.
Un volere che aveva voluto castigarlo offrendogli una
seconda possibilità.
Protese una mano, accarezzando il viso di Sivade
prudentemente.
Ma il ragazzo non era lì, in quel momento. Non con la
mente.
Era dove tutto era iniziato, in un palazzo di cristallo
dalle volte a crociera, simile ad una cattedrale gotica dei tempi d’oro di Amestris.
Un luogo che Sivade odiava dal profondo, e al contempo
voleva tener caro a tutti i costi nei suoi ricordi.
La sua casa…
Sentiva il desiderio di ritornarvi, ben conscio che
l’accoglienza non sarebbe stata delle migliori, come
ogniqualvolta assecondava quel capriccio stupido e infantile.
Reclinò il capo, posandolo al petto di Crystal con un
sospiro, trovandovi ristoro.
Si chiese, d’improvviso più lucido, se tutto quello che il moro stesse facendo per lui fosse eticamente corretto.
Non avrebbe dovuto sprecare il suo tempo per un mago fallito. Non avevano
accordi tra loro, indi per cui Crystal poteva lasciar
perdere.
Quello finì per sospirare una seconda volta.
Per “vivere” non gli era necessario respirare, ma era un abitudine che non riusciva a dimenticare.
Spostò lo sguardo da Sivade, al sentiero davanti a loro,
attento ad evitare quei raggi di sole che filtravano dai rami della boscaglia.
Di fatto, la costante allerta, lo faceva sentire
affaticato:
il sole era suo nemico perenne.
Che lo opprimeva.
Assottigliò gli occhi, mentre il numero di alberi iniziava a diminuire.
Avrebbero dovuto fermarsi in quel luogo almeno fino al
tramonto.
«
…Perdonami… » disse
allora, crollando in ginocchio, tenendolo ben saldo a lui.
Dietro, San sussultò violentemente, correndo in loro
soccorso: « Tutto bene? Cosa posso fare? » chiese agitata, guardando prima il
viso di Crystal, poi quello del fratello, cercando di mantenere un minimo di
calma.
Tom riapparve in quello stesso istante, l’aria
evidentemente seccata a causa dell’intera situazione in cui Crystal si trovava:
« Pupattola,
non sai che le creature della notte non possono vedere la luce…? » sibilò mentre il moro si voltò a
guardarlo esasperato.
La bimba portò di scatto le mani al
petto terrorizzata, mentre dietro di lei appariva Goito, i capelli rosso
sangue che sembravano aver vita propria, grazie ai mille raggi di sole che
penetravano le fronde degli alberi.
«Pupattolo, non sai che lei ha solo sette anni? » chiese gelida, le mani conserte.
« Non ti
preoccupare ragazzina, la istruirò per bene. Vuoi unirti alle lezioni? » ghignò, avvicinandosi al fratello
per coprirlo dalla luce che,fiocamente, lo colpiva.
Lei lo fulminò con lo sguardo, chinandosi su San con
espressione del tutto differente. Gentile oltre ogni dire, quasi materna: « Vedrai che quello sgorbio saprà che
fare…in teoria ha un cervello, ok? » la rassicurò, prendendola per le
spalle e baciandole il capo.
San rimase un po’ perplessa, non conoscendo quella
ragazza se non di vista. L’aveva incontrata solo molto tempo
prima, o almeno così ricordava.
Tom si contorse flaccidamente: «Uuh!! Crys, hai sentito?? Ho un cervello! ».
Il moro non rispose, posando il capo a quello di Sivade.
Al che il fratello ritornò serio, spostandolo in
corrispondenza di un luogo all’ombra grazie ai suoi poteri innati.
La rossa lasciò che San corresse al fianco dei due,
mentre lei incrociava le braccia al petto e si posava ad un albero morto.
Guardava il vampiro abbracciare il mago senza dire nulla, cercando dentro di sé
un modo per impedire quel che stava accadendo.
« Chissà
che il maghetto si prodighi a riprendersi in fretta… » commentò con voce pacata,
tutta la sua attenzione rivolta al fratello.
Nervosamente, si portò le mani in tasca, tradendo la
paura che sentiva crescere in lui con forza dirompente.
Avrebbe finito per perderlo.
Lo sapeva.
Goito soffermò lo sguardo su di lui e trattenne un
eccesso di risa, portando una mano alla bocca: « Il tuo sangue trema come una foglia secca in procinto di
staccarsi dal suo albero. » commentò
sarcastica, chiudendo gli occhi leggermente. « Ti conviene solo aspettare…»
Tom non la stette nemmeno a sentire, andando a posare la
schiena allo stesso tronco su cui si reggeva Crystal, nascondendosi alla vista
di tutti.
Alzò lo sguardo al cielo, pregando la notte di giungere
in fretta.
Ringraziamo chi ci legge, anche se non commentate sembrate essere in moltie!
Un grazie particolare a miyavi e ad ametista…siete
la nostra fonte di energie!
Buona lettura e…
…sopportate Goito, è una tipa nevrotica quanto la yami! XD
Capitolo 8: “DangerousMinds”
La notte era giunta e, con essa, la ragazza strana
dai capelli rossi era svanita nel nulla.
San non se n’era nemmeno resa conto, eppure provò un senso di vuoto quando
si accorse che la rossa se n’era andata senza salutare.
Era o non era un’amica di Sivade?
Inutile chiederlo a Tommy, che non si curava nemmeno di preparare qualcosa
da mangiare. In compenso, Goito aveva lasciato un cestino di vimini che la
bimba aveva preso felicemente in custodia.
« Per quando si sveglia. »aveva detto.
Un brontolio allo stomaco la portò ad esitare per un attimo: cedere agli
istinti della fame o aspettare? Ma la scelta fu chiara, non appena tornò a
guardare quelle due figure strette l’uno tra le braccia dell’altro.
Crystal sentì lo sguardo pressante della bambina, ch’era
rimasta ad osservarlo per la maggior parte del tempo senza mai avvicinarsi
troppo.
Fu allora che si alzò, come una fenice dalle proprie ceneri; Tom che si
mise subito al suo fianco senza tradire alcuna emozione.
Avrebbero proseguito lungo il sentiero, finché non vi avrebbero trovato quell’ infinita scalinata che conduceva al tempio di Ren, un
loro conoscente.
Il rasta si sistemò il capello, in modo tale che il frontino nascondesse,
almeno in parte, l’espressione abbattuta del suo viso:
Crystal si caricava delle vite di troppe persone.
San non riuscì a trattenere il desiderio di trovare appiglio nel gemello di
Crystal, prendendolo all’altezza del gomito con una mano. L’altra reggeva a
stento il cestino ricolmo di vivande, sperando che Sivade si risvegliasse
presto, così da alleggerire il suo carico.
Tom abbassò lo sguardo tanto quanto bastava per incontrare quello della
bambina che si trascinava a stento. Si bloccò un istante, inginocchiandosi
davanti a lei, le braccia abbandonate sulle proprie gambe.
Notò subito il cestino: «vuoi che lo tenga io?» rise appena, cordiale «
giuro che non mangio nulla» aggiunse sempre attento ai passi di Crystal, che
proseguiva con il suo solito fare elegante, fendendo la notte.
La bimba scosse violentemente il capo, gonfiando le
guance: «L’ha affidato a me.» disse con aria decisa,
tradendo un leggero sbuffo all’ultima parola.
« Allora, se porto te, non c’è problema » la prese in braccio, senza
aspettare il suo consenso, altrimenti avrebbero finito per perdere le tracce di
quell’ombra davanti a loro.
Lei emise un gridolino soffocato, reggendo con tutte le sue forze il cestino. Ma non protestò, le membra troppo stanche per pensare di rifiutare quell’aiuto.
Nel frattempo, Crystal aveva finito per giungere a pochi passi da quella
scalinata che nei suoi ricordi serbava diversa.
Anni prima non v’erano tutte quelle fiaccole che illuminavano la via
d’accesso al tempio, così come l’immenso portone rossastro che si stagliava
all’entrata dello stesso.
«…Ci siamo…» sussurrò allora, lanciando uno sguardo fugace a delle bandiere
che svolazzavano incessantemente ai confini del tempio.
Ne rimase confuso, percependo ondate di energia
vibrare attorno ad esse.
Scosse il capo, ridestandosi.
Un leggero movimento gli fece sapere che Sivade era consapevole di ciò che
v’era intorno a loro: una mano andò ad incontrare quella gelida del ragazzo,
posandovisi sopra con un leggero fruscio.
Gli occhi di Crystal sembrarono quasi sciogliersi nel vedere quel contatto,
ma non disse o fece nulla, limitandosi a salire le scale con lentezza, certo
che Ren sarebbe corso ad invitarlo ad entrare.
Sorrise, sentendo come Tom giungeva di corsa alle loro spalle.
San, tra le braccia del rasta, cercava in tutti i modi di non ridere. Non sapeva
perché, ma sentiva, nella sua testa, che qualcun altro si stava gustando la
scena in preda a un eccesso di risa. Probabilmente, il
correre maldestro di Tom doveva essere ridicolo, specie se intralciato dalla
taglia dei pantaloni.
Ren giunse alla porta, come previsto da Crystal.
Sembrò analizzare la scena per un breve istante:
gli occhi di un azzurro intenso che viaggiarono dapprima sul
viso del moro, poi sul corpo che teneva fra le braccia senza troppa fatica.
Trattenne a stento un sorriso.
Poi i suoi occhi si spostarono su Tom, nascondendo a stento quella vena di
divertimento che ne scaturiva da quella scena. Si inchinò
profondamente, lasciandosi scappare uno sbuffo prima di invitarli ad entrare
calorosamente.
«…mi approprio della mia vecchia stanza…se non ti
dispiace…» disse il vampiro, senza trattenere un sorriso mentre Tom giungeva al
suo fianco tutto affannato.
Ren si voltò di colpo, per non ridere di fronte al fratello di Crystal.
Nonostante tutto, lo conosceva bene. Sapeva che si sarebbe offeso,
e non voleva intaccare il suo orgoglio.
«…posso…ridere…?» chiese d’improvviso San, tremante «…non ce la faccio a
trattenermi….»
Tom sbottò, mettendola a terra, per poi rimboccarsi le maniche della
T-shirt che gli arrivavano fino ai gomiti:
« Che pupattola ingrata!» esclamò facendo
scoppiare a ridere Ren che corse a nascondersi dietro ad una porta, in preda
alle lacrime, con la scusa di doveravvisare tutti i bonzi dell’arrivo di nuovi visitatori.
La bimba invece si voltò verso Tom, le lacrime agli occhi: «Ma a me stai simpatico…» si giustificò disperata, cercando
di rimediare alle sue stesse parole.
«A-ah» commentò Tom, poco fiducioso, osservando il fratello scomparire
dietro le mura di una stanza.
Si portò una mano a nascondere il viso, sofferente.
«…se apro gli occhi…cosa vedrò?»
Un sussurro leggero che provenne da Sivade, come per spezzare il silenzio
creatosi dopo il distacco dagli altri.
Crystal sorrise mestamente, posandolo sul letto con estrema attenzione, poi
si guardò attorno sospirando: «…un letto…quattro mura…una finestra…» si portò
una mano ai capelli «…un pianoforte…» corrucciò appena lo sguardo, trattenendo
le sue emozioni « …e un mostro. »
«…sempre detto che sei brutto…» fu l’unica frase che disse il mago, aprendo
leggermente gli occhi per guardare il soffitto, le mani conserte al petto.
Il moro si sedette ai piedi del letto, senza commentare.
La testa sorretta da entrambe le mani, lo sguardo
fisso al pavimento di legno.
Era tutto maledettamente sbagliato.
Avrebbe dovuto lasciarlo andare, non erano compagni.
Avrebbe dovuto staccarsene, non poteva obbligarlo a seguirlo ovunque.
Avrebbe dovuto rispettare le regole imposte dalla Gilda…
Ma ora gli sembravano così banali ed inutili…
Non si rese conto, perso in quei pensieri, che Sivade lo stava
guardando con attenzione, cercando di capire le sue preoccupazioni: « Smettila
di compatirti, tra noi due sono io il più debole.»disse nervoso
Sivade, portando le mani a coprirsi gli occhi, alla ricerca di sicurezza.
Sicurezza che scarseggiava, in compagnia di Crystal, ma che s’imponeva di
esternare, almeno per non sembrare patetico a sé stesso.
A quelle parole gli occhi del vampiro si raggelarono all’improvviso, colto
impreparato: « E’ vero, scusa ». Si alzò si scatto dal letto, le mani pallide
abbandonate lungo ai fianchi, strette in due pugni.
Chiaro segno d’irrequietezza.
« Cosa vuoi da mangiare ? » esordì poi, con voce
atona.
« Non voglio mangiare, Crystal. Non mangerò finché non…smetteremo diessere così immaturi. » rispose incerto l’altro,
un sospiro per concludere quella decisione.
« Ebbene, morirai di fame » concluse brevemente il
vampiro « poiché quella che stiamo dimostrando non è immaturità. Deriva
solamente dal fatto che siamo, e sempre saremo, nemici. Non possiamo cambiare
ciò che il destino ha in serbo per noi… »
« Allora morirò per te, carino.» lo interruppe di
colpo l’altro, ridendo amaramente.
« Morte vana » criticò allorail
moro avvicinandosi alla finestra « cosa ne guadagneresti da essa?
Pace eterna, forse? » rise divertito da sé stesso e da quella macabra presa in
giro verso i propri confronti.
« La libertà di esternare sentimenti poco graditi, ecco cosa.» disse l’altro con tono mesto,
cercando di mantenere una minima aria divertita « Potrei amare chi mi pare e
odiare chi mi garba. Una pacchia.»
« Puoi farlo anche ora ».
Un sospiro, poi Sivade volse il corpo verso il muro, chiudendo gli occhi: «
Quello che trovi in cucina mi va bene, il mio stomaco è ben allenato.» tentò di chiudere, senza un
minimo di entusiasmo.
« Come vuoi » concluse a quel punto il vampiro, dileguandosi.
San aveva posato il cestino ad un tavolo in legno
di noce, collocato poco lontano dalla porta d’entrata della mensa del tempio.
Poi aveva iniziato ad esplorare quel luogo, ricolma di curiosità. Tutti quei
simboli religiosi, così diversi da quelli che conosceva, l’avevano affascinata
al punto ch’era rimasta per un buon lasso di tempo di
fronte ad una statuetta dorata.
Non sapeva nemmeno chi fosse quella donna dagli
occhi stretti. Forse era una cieca, che nella vita non aveva avuto bisogno di
giudicare le persone in base al loro aspetto, o alla loro natura.
In quel frangente, la bimba pensava a Crystal.
« Più ci pensi, più ti verrà mal di testa, dato che
il tuo presunto fratello si sta scervellando per accettare del tutto la cosa.»
La bimba si voltò di scatto, ritrovandosi di fronte la ragazza dai capelli
scarlatti: « Perché dici questo? » chiese innocentemente.
L’altra roteò leggermente gli occhi, in una tipica espressione esasperata:
« Cosa mi tocca sentire…Detesto quando nasconde le
cose agli altri, pretendendo di sapere tutto di loro.» sbuffò,
accostandosi alla bambina: « Se poi consideriamo che tu sei sua…»
« Moglie? » chiese Tom speranzoso, posato ad uno stipite della porta; Ren
che gli stava alle spalle con un vassoio carico di tazze di the caldo.
«…certo che sarebbe un bastardo» commentò poi iniziando un monologo « ma
che pedofilo! Lo denuncio!.»
Un sibilo appena indistinto, e una lama di sangue si bloccò a pochi
centimetri dalla gola del biondo. Goito lo fissava con odio puro, le mani
strette a pugno.
Tom si portò una mano alla bocca: « oh cacchio! Sei tu la moglie! » esclamò
prendendo la lama fra il pollice e l’indice.
La osservò con interesse:
« ma che bella figliuola…».
San rimaneva impietrita ad ascoltare quell’alterco dai toni pericolosi,
rimanendodietro a quella strana
ragazza. Le sembrava che i capelli della giovane fossero legati, in un qualche
modo, alla lama che Tom teneva tra le dita e ,
dall’espressione dipinta sul volto di Goito, quest’ultima non sopportava che
lui la stesse toccando.
« Sivade non può avere una moglie. Sarebbe come dire che tu coronerai il sogno di sposarti tuo fratello.» sibilò la rossa con una risata leggera.
Tom la guardò sognante, mentre Ren si metteva in mezzo ai due:
« Giù le armi, rammento a tutti voi che questo è un luogo sacro » disse
mantenendo la sua proverbiale calma « non è un albergo» concluse posando il
vassoio sul tavolo, proprio quando Crystal apparve dalla porta con espressione
spettrale. Lo sguardo languido, travolto dall’ondata di sangue che riempiva la
cucina.
S’irrigidì: « Devo portargli qualcosa da mangiare » disse con tono pacato, nonostante tutto ciò che stava accadendo e che lo
stava turbando profondamente.
Goito lo fissò con sguardo nervoso: « Se tuo fratello mi lascia andare,
posso sparire, vampiro.»
Tom si voltò a guardare con attenzione prima il viso della ragazza e poi la
lama che teneva fra le dita, senza metterci troppa forza.
La sua espressione cambiò da perplessa ad allucinata:
« ooh!!!» esclamò allora
iniziando ad esaminare la lama con sguardo allampanato.
Incominciò ad accarezzarla incuriosito dalla reazione che la rossa avrebbe
potuto manifestare: “eccitante?” chiese allora
seriamente interessato.
La giovane ridusse lo sguardo a due fessure, per niente felice del
comportamento che lui le stava riservando. Il sangue tra le mani di Tom iniziò
a vibrare fortemente, come in preda alla rabbia, pari solo a quella che
traspariva dagli occhi di Goito: « Signor Crystal. Me lo tolga di dosso, per la
sua incolumità…» ringhiò tra i denti, i pugni serrati al punto che le nocche
erano di un colore biancastro.
Il vampiro si voltò a guardare il fratello, le braccia incrociate al petto,
lo sguardo esasperato.
« Oh!» esclamò ancora il rasta, sorpreso « c’è anche la modalità
vibro!!», rise prima di specchiarsi negli occhi furiosi della ragazza: « ma
dai… che maialina!.»
Crystal si portò una mano ai capelli, trascinandolo via con forza.
Ora non voleva avere gente fra i piedi, era preoccupato già di suo:
« mi serve da mangiare! »ribadì nervoso.
San rimase a guardare la ragazza accanto a sé: aveva lo sguardo livido di
rabbia, come se avesse ricevuto un insulto tra i peggiori esistenti.
Sconsolata, posò le mani su quelle di Goito e quella si voltò a guardarla,
nervosa. Respirava a fatica, a causa della pressione che quel giovane le aveva sottoposto, ma non voleva darlo a vedere alla bambina.
« Tutto bene San?» chiese la rossa, un’ombra della rabbia che cercava di
eliminare, il pugnale di sangue che svaniva nel nulla.
La bimba annuì, i capelli che si muovevano come onde.
Nel frattempo Ren, che aveva disposto tutte le tazze sul tavolo, si sedette
a gambe incrociate, socchiudendo appena gli occhi, completamente concentrato.
In quella stanza aleggiavano vibrazioni negative, che lui faticava a
controllare.
«…Stiamo alterando tutta l’energia insita nel tempio. Per favore,
controllate i vostri pensieri ».
Tom sospirò, in sincrono con Crystal:
entrambi si mossero per favorire il lavoro del monaco.
«…il cibo è nel frigo, prendi tutto ciò che vuoi » disse Ren, prendendo una
tazza fra le mani « …Tom, vedi se riesci ad aiutarlo…».
I due annuirono, ancora una volta in contemporanea, svanendo.
«…Sei il loro papà…?» chiese a quel punto San, cogliendo l’attenzione del
bonzo.
Goito trattenne un sorriso e scosse il capo, lasciandosi andare con un
sospiro.
Ren rigirò la tazza che aveva fra le mani, sorridendo alla bambina con
attenta disponibilità: « no, solo che a volte bisogna saperli riprendere »
spiegò educato, invitando la bimba a sedersi a tavola con un cenno del capo.
« bevete, altrimenti si raffredda » concluse poi,lanciando un’occhiata accorta ai due che giravano in
cucina.
« Sì…scusi…» disse rispettosa San, sentendo in quell’uomo un’aura simile a
quella del Maestro di Corte di Amestris: ricca di
spirito e di saggezza.
La rossa si alzò, andando a prendersi una tazza, per poi posarsi al muro,
dietro alla bambina. Guardava di sottecchi il bonzo, leggermente divertita: «
Ti distingui molto tra i monaci di questo tempio?» chiese con aria sardonica,
sorseggiando il suo the.
Ren spostò lo sguardo sulla ragazza, studiando i suoi occhi con accortezza:
«Non direi» rispose semplicemente, accarezzando la tazza con cui tentava di
scaldare le proprie mani «solo le mie origini sono diverse da quelle di molti
altri» concluse, mantenendo salda la sua
concentrazione.
Osservò Crystal dileguarsi, Tom che si adombrava in disparte.
Presto sarebbe giunto il momento del confronto.
« Non sono le origini che fanno di un uomo ciò che è…» disse d’improvviso
Goito, rompendo quel silenzio carico di tensione. Posò una mano su una spalla
di San e le si sedette di fianco: « Come un principe
non è quello che è per nascita e un legame fraterno non è un vincolo
indissolubile…piccolo Tom…»precisò
tranquilla, sorridendo. Era più forte di lei. Certe volte non riusciva a
nascondere la sua vera indole.
« Ciò che dici è vero » confermò Ren, scrutando la reazione di Tom che si irrigidì all’istante, incrociando le braccia al petto,
gli occhi scuri.
« Ma è vero anche che il nostro punto di partenza influirà su ciò che diverremo in seguito. E’ stato Crystal ad insegnarmelo » ribadì iniziando a bere il suo the con calma insondabile.
Lagiovane si bloccò un attimo,
corrucciando lo sguardo: « …Cambiamo argomento ora…»chiese, un tono amaro nella voce che stupì
San.
Il bonzo finì di sorseggiare dalla sua tazza fissando per un breve istante
ciò che rimaneva nel fondo di essa:
« Chiedi ciò perché, in realtà, altro non sei che un’emanazione…?».
Spostò lo sguardo sulla rossa, posando la tazza sul tavolo mentre lei
annuiva.
Yami:
si ringrazia il popolo di lettori che legge.
Grazie
a voi abbiamo sempre più voglia di scrivere!
( ma ci dimentichiamo di pubblicare…ù_ù)
Buona
lettura, e attenzione…
Nel
prossimo capitolo, tutto avrà una drastica svolta!
Basta
sbirciare a piè di pagina ^.-
Cosa nasconde Sivade?
Perché
lui e Crystal continuano a definirsi nemici?
Qual
è la maledizione che grava sul Comandante delle truppe di Amestris,
la città sommersa a capo dei Regni Alleati?
Tutto
e molto di più.
Da
ora, in poi.
Capitolo 9: “Falltopieces”
Era rimasto immobile, disteso sul letto, lo sguardo fisso al soffitto,
contando tutte le ragnatele che vedeva lì, negli angoli più bui della stanza ch’era appartenuta a Crystal.
I monaci di quel luogo non dovevano esserci entrati spesso: ne aveva contate almeno cento.
Rise sommessamente, cercando di distogliere la mente da un unico pensiero
che ormai lo assillava: il pensiero di dover vivere il resto dei suoi giorni
con quella forma, per sempre prigioniero di ciò che era.
L’idea sola che ci sarebbe stato un domani, e poi un dopodomani e mille
altri giorni ancora come quelli era una cosa che…lo
opprimeva.
Gli faceva mancare il fiato e la voglia di vivere, al punto che anche Goito
e San ne risentivano. E
questo perché lui le aveva quasi obbligate a restare con lui, senza rendere
conto alla sua vera famiglia.
Tristemente, pensò a suo fratello, anch’egli ancorato ad un destino che non
sentiva suo. Non era cosa nuova che i due reali di Amestris
fossero…diversi.
Ce l’avevano nel sangue, lo diceva spesso anche una sua
vecchia conoscenza.
Spostò lo sguardo alla porta, attendendo che si aprisse.
Perchédoveva aprirsi,
o lui sarebbe impazzito.
Errori.
Uno dopo l’altro.
Li vedeva scorrere davanti a lui, rapidi, incessanti, ricordandogli quanto fosse sbagliata e contro natura la sua stessa esistenza.
Avrebbe voluto fuggire, rinchiudersi in sé stesso, in un mondo a parte,
irreale, dove non si sarebbe sentito in obbligo di riparare ai propri errori.
In quel momento avrebbe dovuto trovarsi sottoterra, a marcire come tutti
gli esseri umani…invece altro non faceva che stravolgere la vita altrui con la
propria. Inspirò profondamente, fissando la porta davanti a lui con sguardo
grigio. Si avvicinò per aprirla con un unico gesto della mano, attento a non
far cadere tutto ciò che reggeva nell’altra.
Non si curò di guardare se Sivade c’era ancora.
Non era necessario.
Il suo profumo lo stava già catturando.
« Ecco il pranzo » annunciò, la voce perfettamente controllata ma pallida,
come i suoi lineamenti, unici in ogni loro essere vivi « non dovrebbe
dispiacerti…» sospirò, posando il tutto sul letto, davanti al mago.
Questi lo guardò in viso per un lungo istante,
incapace di distogliere lo sguardo. Quella persona che gli stava davanti, pensò
Sivade, era ciò che di più vicino poteva chiamare…amico. O
forse quel termine era alquanto inadatto, visto ciò che gli stava facendo
provare: una rabbia intensa, una tranquillità terrificante, una sicurezza
pericolosa. Come il brivido della battaglia, solo che si trovava ad affrontarlo
in prima persona, ogniqualvolta gli stava accanto.
«…no, non mi dispiaci…» disse vacuo, un sopracciglio alzato. Del tutto
padrone di sé stesso, in apparenza. Una maschera di perfetta finzione regale.
Crystal non commentò, avviandosi verso l’unica finestra presente in quella
stanza. Vi guardò fuori, le braccia incrociate al petto, silenzioso come non
mai.
Aveva smesso di fiatare, tanta era la voglia di
perdersi nei respiri del ragazzo seduto a letto. Socchiuse gli occhi,
rilassandosi contro lo stipite in legno di noce, come
sottofondo solo il respiro di Sivade.
Il mago posò lo sguardo sul vassoio che gli era stato portato, sollevando
la forchetta adagiata a fianco del piatto. Sorrise, soffocando una risata. Un
piatto del genere era la cosa più assurda che gli
fosse mai stata presentata in 18’anni di vita:
« Cucina maschile, indubbiamente fatta sotto sforzo e con scarsa voglia. »
dichiarò divertito, iniziando a mangiare.
Perché, ora che Lui era lì…stava meglio?
Avrebbe voluto…no, avrebbedovuto odiarlo. Ma
era fin troppo difficile. Anche averne paura sembrava
assurdo, dato che il giovane non l’aveva mai toccato.
Assaporò ciò che aveva in bocca, sospirando poco dopo, gli occhi nuovamente
chiusi.
Il vampiro non si pronunciò per l’ennesima volta, portandosi una mano alla
bocca, accarezzandosi distrattamente le labbra.
L’anello d’argento che portava al pollice risaltava alla luce della luna,
in contrasto con i suoi occhi carbone.
Aveva fame.
Lanciò un’occhiata torva a Sivade, osservandolo mangiare per un breve
istante.
Poi si girò di scatto verso il muro colpendolo con forza, odiando sé stesso
per quello che era.
No. Non era fame.
Era bramosia.
Ma tale non sembrò, agli occhi del ragazzo dai capelli
corvini.
Il mago si bloccò, la forchetta a mezz’aria, voltandosi di scattò verso Crystal. Guardò prima il muro crepato, poi la
mano del giovane, lasciando cadere nel piatto quello che aveva in mano, lo
sguardo confuso: «…Tutto bene…?» provò a chiedere, senza riuscire a bloccare un
leggero tremito nella voce.
Il vampiro assottigliò gli occhi, concentrandosi sulla crepa che lui stesso
aveva appena creato. Emise un leggero suono gutturale, intento a trattenere la
furia che vibrava in lui.
«No» disse tremante, una ciocca di capelli corvini che andò a nascondere
parte del suo viso piegato in una smorfia di disgusto verso sé stesso « cosa
dovrebbe andare bene? » sibilò, ringhiando, portandosi una mano ai capelli,
sconvolto.
Lo stupore di Sivade, a quel punto, tramutò con evidenza in tensione. Il
giovane prese il vassoio e lo posò al comodino, senza staccare gli occhi da
Crystal. Nervoso, iniziò a giocherellare con le mani, del tutto impreparato ad
una situazione del genere.
« …Non devo avvicinarmi, vero?» chiese solamente, cercando di mantenere la
calma, inspirando profondamente.
Crystal lo guardò negli occhi, sofferente.
Non rispose, limitandosi a stringere le mani in due pugni, ferendosi con le
proprie unghie. Doveva concentrarsi su dell’altro.
Rise amaramente.
E pensare che quell’anello d’argento che indossava era
fonte costante di dolore, che lo spronava a resistere. A non cedere alla tentazione pressante a cui era costretto.
Chiuse gli occhi, desiderando scomparire.
Ruppe così quel breve contatto visivo che per Sivade era stato come
fronteggiare le sue peggiori paure. Doveva averci pensato prima, si disse il
mago, l’espressione grave sul volto: un vampiro prima o poi
aveva fame…
Ma non capiva comunque perché Crystal non corresse
via, o, semplicemente, non lo cacciasse per sempre.
Si morse il labbro inferiore, senza rendersi conto che ora lasciava
trasparire la stessa sofferenza dipinta sul volto dell’altro. Incapace di non
guardarlo.
Il vampiro ansimò, portandosi vicino al pianoforte, lasciandosi cadere sullo
sgabello:
« Ora mi calmo…» sussurrò, sfiorando i tasti « non aver paura, te ne
prego…».
Sivade rise mestamente, scrollando il capo: « Troppo tardi…» confessò, una
mano che andò a coprirgli il volto.
Crystal accennò le prime note di una canzone vecchia quanto lui.
Rapida, dalle note cupe, incisiva.
« Non intendo far del male a nessuno…» spiegò soltanto.
« E’ come se un leone dicesse ad una gazzella: “Non ti mangerò mai.”»
sussurrò spossato il ragazzo dall’altra parte della stanza, sedendosi sul letto
con la schiena appoggiata al muro. Chiamò a sé il
vassoio, che lo raggiunse lentamente, volando a mezz’aria, posandosi infine fra
le sue mani protese.
Riprese subito a mangiare, lo sguardo basso sul cibo.
« E giuro, non lo farò » dichiarò Crystal, per una volta
sicuro di ciò che stava dicendo.
Lo si capiva dal tono di voce: fermo e solenne.
L’altro ragazzo tacque, mangiando ancora qualcosa. Si accasciò contro il
muro poco dopo, cercando di non sembrare troppo pietoso: « Anche se qualcuno ti
mentisse?» chiese curioso, non lasciando trapelare
nulla di ciò che lo sconvolgeva nel cuore, consapevole che la risposta che
avrebbe ricevuto…l’avrebbe cambiato.
Perché in lui riviveva la menzogna, sottile maledizione che nessuno poteva
togliergli. Niente, a confronto di ciò che portava sulle spalle il vampiro, di quello ne era cosciente.
« Uccido solo se rischio di perdere qualcuno che per me significa…molto…»
disse vago, facendo scorrere rapide le dita sui tasti del pianoforte « non ho
mai privato della vita…nessuno, finora.» ridacchiò « li ho solo…incantati un po’».
« Col tuo sguardo da maliarda concubina? » chiese schifato Sivade, finendo
di mangiare. Per nulla rassicurato da una prospettiva del genere.
Crystal abbozzò un sorriso, una vena di perversione negli occhi.
Si rimise in piedi, chiamando a sé tutto il suo
autocontrollo, poi gli si avvicinò, chinandosi verso di lui. Una mano
posata sul letto, gli occhi fissi nei suoi:
«…chissà…» sussurrò ammiccando.
Sivade non riuscì a trattenere un ghigno, evitando di far uscire quel suo
maledetto lato nascosto: «…dimenticavo di dirvi quanto vi trovo affascinante in
questi frangenti, milord…» celiò leggermente, chiudendo per un attimo la
distanza tra le labbra di lui e quelle del vampiro:
«…siete quasi il mio tipo…» rise sardonico, facendogli l’occhiolino.
L’altro posò anche il ginocchio al letto, sfiorando con le dita il collo
del ragazzo.
Tremò per un istante, prima di recuperare il solito sarcasmo: «…qualcuno
potrebbe denunciarmi per pedofilia…» ridacchiò prima di mettersi semi sdraiato, sorretto soltanto dai gomiti.
« Adoro le cose malsane…» commentò incrociando le braccia al petto, notando
come l’altro avesse occupato pressoché interamente il talamo: «…almeno quanto adoro voi..»dichiarò sornione, lasciando capire con un accenno di
serietà negli occhi che…non stava mentendo del tutto.
Crystal gli fece segno di avvicinarsi a lui, con l’indice: « vuoi provare
l’ebbrezza del peccato…?» sussurrò con voce suadente, studiando attentamente il
corpo del mago.
Questi si coprì in un teatrale gesto pudico: «
Maniaco fino all’osso, cavoli.» dichiarò,
un’espressione tra lo sconvolto e lo sdegnato: « Devo ammettere che…posso
capire finalmente cosa provano le donne…» . Sivade si riconobbe tremendamente
sincero in quel frangente e questo lo portò a ridere, una mano a coprirgli il
volto per nascondere la disperazione: « Tu non sai cos’hai davanti…per gli
dei…e sventoli la tua bellezza causando un serio e dovuto scompiglio nelle mie
sane membra…che stanno diventando piuttosto malsane, ciccino…» concluse.
Crystal si rimise seduto, gli occhi colmi di malizia finora taciuta.
Lo prese per una spalla, facendolo scivolare a letto, lui sopra: « l’hai
detto tu…che ti piacevano le cose…malsane…» gli sussurrò all’orecchio,
facendolo rabbrividire violentemente « hai per caso…cambiato idea…?» chiese,
sfiorandogli il petto con la mano libera.
Il giovane dai capelli corvini trattenne un’espressione poco responsabile:
«Pensavo che non ho un cambio…eh…»ridacchiò, nervoso. Del tutto immobile sotto
il pressante sguardo dell’altro.
«…Se si tratta…soltanto di questo…» commentò, posando le labbra gelide sul
collo del ragazzo. Non si spinse oltre, attendendo la sua reazione.
Voleva fargli capire che era in grado di… controllarsi.
«Pensavo anche a questo strano effetto che ti faccio,
in realtà…» rispose con tono basso e vibrante, così che le corde vocali
facessero tremare leggermente il collo. Era una provocazione, ma allo stesso
tempo anche un riservare completa fiducia nel giovane moro. Un desiderio
represso e una tranquillità sibillina.
Crystal si allontanò di poco, fissandolo negli occhi.
I suoi nuovamente neri e lussuriosi:
«…credo…sia il caso…che mi fermi…» annunciò
scompigliandogli i capelli in un chiaro gesto affettuoso, per poi rimettersi
seduto con assoluta calma, ben attento a non lasciarsi andare a scatti
repentini, per paura di spaventarlo.
L’altro cercò di mettersi a posto la testa, un ciuffo davanti agli occhi: «
Hai scompigliato la criniera al primo generale del re, marrano!» esclamò
pomposo, il naso rivolto all’insù, sbuffando leggermente « E io che mi
aspettavo una notte di piacere e lussuriosa agonia!»
Crystal ridacchiò, guardandolo complice: «puoi sempre bloccarmi e
ricominciare, paletto di legno».
L’altro rimase stizzito: « Stai dicendo che ti potrei fermarti solo
impalandoti...o che vorresti che ti penetrassi
la carne…» sottolineò le ultime parole con vago
tono suadente «…in entrambi i casi, credo che tu saresti poco soddisfatto di
una simile limitazione…» terminò, portandosi una ciocca dietro all’orecchio.
« Sto dicendo che sono stufo di fare sempre l’attivo» sorrise «attendo solo
l’arrivo di un abile cavalcatore!» esclamò ritrovando in sé stesso parte di suo
fratello. Rise sommessamente. In fin dei conti dovevano aver pur qualcosa in
comune.
«A-ha…si, come no…» confermò brevemente Sivade,
chinando lo sguardo al lenzuolo.
L’umore totalmente diverso rispetto a pochi istanti prima.
Non ce la faceva più a fingere, non fin quel punto. Aveva un limite,
qualcuno gliel’aveva già detto, ma con Crystal quel confine si riduceva sempre
a qualche manciata di minuti. Minuti
durante i quali dava tutto sé stesso per essere sicuro di sé e dei suoi modi di
fare, per poi cadere nella consueta atarassia provocata dalla menzogna.
Menzogna e maledizione. E quest’ultima sarebbe
svanita solo grazie a qualcuno che l’avrebbe accettata e compresa.
Chiuse per un attimo gli occhi, sospirando: «…vorrei fossi tu…» si trovò a
dire, quasi supplicante.
Il vampiro si limitò a fissarlo, perplesso da quel repentino cambiamento: «
io…?» domandò respirando a fondo.
L’altro annuì, ridendo amaramente: « Non sai quanto…» disse, ben conscio
che Crystal non poteva capire…quanto gli stava nascondendo fin dal primo momento
in cui si erano anche solo intravisti. Lì, nel campo di battaglia. L’uno contro
l’altro. I due Comandanti Supremi a confronto tra sangue e morte.
Sivade, l’uomo a capo delle Truppe di Amestris era…
qualcun altro.
Nascosto al mondo da una maledizione inflittagli dai suoi stessi genitori.
Crystal sospirò, tornando a guardarlo con serietà.
Si mise a gambe incrociate sul letto, tenendosi alle caviglie con le mani;
i pantaloni in pelle nera che gli fasciavano le gambe:
« Spiegati ».
« Non è il caso.»l’interruppe
Sivade.
« Aiutami a capire » chiese a quel punto, sospirando.
Il mago portò una mano al viso, iniziando a ridere con nervosismo:
« Non sono quello che sembro. E’ un indizio
abbastanza valido?».
Il vampiro lo guardò di sbieco: « e cosa c’entro io?» domandò corrucciato.
Sivade sospirò appena, tappandosi il naso, per un secondo, con due dita:
«…Non sono quello che sembro per scelta. Serve una
chiave.» spiegò, cercando di essere più criptico
possibile.
Non gli era concesso rivelare del tutto la verità.
Non poteva, o la stessa maledizione che gravava sul suo corpo l’avrebbe straziato.
« Dunque vorresti che io ti trovassi quella
chiave…?» domandò solo il vampiro, confuso.
L’altro emise un gridolino soffocato: « Saresti tu…!» cercò di spiegare,
sentendosi trafiggere leggermente al fianco da una lama invisibile.
Crystal lo studiò, portandosi una mano a massaggiare debolmente il collo.
Non sapeva perché, ma era chiaro che non intendesse parlarne con lui.
Sospirò abbattuto: « ok…ho capito…» disse
brevemente.
Il mago rise, una risata nervosa: « Non hai capito. Lo dici solo perché
vuoi chiudere il discorso.»
« Ho capito che non ne vuoi parlare» lo seccò, gelido, sentendosi ferito.
«Non posso parlarne…apertamente. Se lo faccio ciò che mi nasconde mi
trafigge.» cercò di spiegare,
guardandolo con aria di supplica.
Doveva capire…Crystal non poteva credere che lui portasse in tavola un
discorso, per poi lasciarlo a metà:
« Ho bisogno di te, in un certo senso. Molto. Tu potresti ridarmi ciò che
ho perso.» confessò, leggermente imbarazzato
dall’ambiguità insita in quelle parole. Ma era
necessaria, se non voleva soffrire troppo.
Crystal respirò a fondo, dondolandosi leggermente sulle gambe: « non l’hai
ancora capito che ci sono sempre…?» domandò esasperato, scuotendo il capo
debolmente « eppure pensavo che, ormai, ci fossi arrivato…».
Posò le mani al lenzuolo, accarezzandolo soprapensiero.
Lui non sarebbe mai corso a cercare una persona che era fuggita da lui.
L’avrebbe lasciata andare per la sua strada, senza più intralciare il suo
cammino.
Solo con lui, con Sivade, tutto sembrava svolgersi al contrario.
Sbuffò.
Un gesto che riportò il giovane mago di nuovo in
superficie, fuori dei torbidi pensieri che attanagliavano il suo cuore. Aveva le mani
ben piantate al letto, che stringevano in alternanza il tessuto: « Non mi basta.» disse quasi secco, restando
immobile, trattenendo il bruciore che andava via via
crescendo nei suoi occhi. « Sono costretto ad appigliarmi completamente a te, a
causa di questo. Forse è per via del tuo fascino da vampiro, che ne so. »
sospirò a fondo per un istante «…tuttavia…» si bloccò, lo sguardo volto al
pavimento.
Tuttavia avrebbe voluto essere liberato
esclusivamente da Crystal.
Non avrebbe sopportato che altri fossero in grado di salvarlo.
E nulla poteva, se pensando così finiva per
risultare un emerito idiota.
Specie perché, come ben sapevano tutti e due, loro
erano…nemici, agli occhi dei regni dei quali erano servitori.
Il moro allungò una mano pallida verso quella del giovane mago.
La sfiorò con un gesto tanto leggero quanto allusivo:
«…la morte sa essere affascinante » dichiarò seriamente, arrivando ad
accarezzargli un braccio « non lasciarti conquistare da essa
».
Tornò a toccare la mano del ragazzo, stringendola lievemente: tanta era la
paura di spezzare quelle fragili membra.
E Sivade guardò quelle due mani strette insieme, per poi lasciarsi
andare, lacrime calde che gli rigavano il volto: « Se così è…voglio continuare
a sentire che morirò. Altrimenti, mai sarò in grado di capire se sono vivo.» sussurrò appena, il fiato mozzo.
L’altro respirò profondamente, cercando di trattenere l’autocontrollo che
si era auto-imposto. Ma faticò, se ne rese conto lui
stesso.
Crystal altro non provava che frustrazione.
Finì per asciugargli attentamente le lacrime che gli rigavano il viso,
trattenendo i suoi istinti.
Sivade sollevò lo sguardo su di lui, un’espressione disperata dipinta sul
volto:
« Uccidimi…!» lo supplicò.
Fine nono
capitolo.
Yami:
Come
di consueto, ringraziamo Ametista per le sue recensioni, e la mia carissima amica lolita Miyavi4ever che si è aggiunta alla combriccola !
Tra
parentesi, siamo al capitolo 20 e non abbiamo più postato…colpa mia…=_=
Domani
o dopodomani ne posto un altro, quindi voi continuate a leggere!
Anche
perché…il capitolo venti è vietato ai minori…*ride sadica*
Da
parte mia, sono felice della buona riuscita della storia, anche se il mio
povero Sivade ( figlio mio lui, Cryscrys è figlio
della Dark XD) ha ancora problemi a farsi capire con la sua magia strana ai
capelli XD.
La
spiego una volta per tutte, anche se poi una persona
nei capitoli successivi spiegherà meglio….
Il
discorso dei capelli di Sivade non è molto difficile. Quando
prova forti sentimenti di dolore, il suo corpo reagisce alla sua sofferenza, e
i capelli diventano bianchi, come quelli di un vecchio, ad indicare che Sivade
in un certo senso si sente morire. Una volta che il suo umore
torna allegro, o quantomeno stabile, i capelli tornano neri come di consueto…Diciamo
che Siva è un personaggio difficile anche per me che
la gestisco…
Anche perché
c’è qualcuno che mi sbrana se non posto! Ç_ç
(tipo
la Dark e la Ametista)XD
Ormai
ciò che lega i due protagonisti non è più semplice voglia di
divertirsi.
Hanno
deciso di accantonare cosa sono per il mondo, imparando a capirsi l’un l’atro.
Stanno
crescendo.
Ma cosa
sa l’emanazione del sangue, che nessun’altro sa?
Spetterà
al monaco condividere con lei questo segreto.
Un
segreto dal futuro agrodolce.
Un
futuro ostacolato da una Regina impaziente.
Buona lettura
dalle autrici!
°^.^° =^.^=
Capitolo 10:
“Hard Times”
Osservandolo negli occhi, Crystal si sentì completamente confuso e
spaventato:
aveva gli occhi più neri del petrolio, dilaniati dal dolore
che quella richiesta gli aveva inflitto.
Per la prima volta, aveva percepito l’intera sofferenza che il mago
nascondeva.
Un tormento che avrebbe voluto assopire, offrendogli l’opportunità di
volare via, lontano, senza costrizioni che lo incatenassero a luoghi non suoi.
Rafforzò la presa sulla mano che ancora stringeva tra le dita, abbassando
lentamente lo sguardo, non sapendo bene come affrontare il discorso.
«…Non posso…» si limitò a dire, alzando gli occhi al soffitto, attanagliato
da un dolore che lo colpì al cuore, soffocandolo.
« Ti sarebbe estremamente facile, maledizione!»
esclamò Sivade, cercando lo sguardo del vampiro, incapace di guardare altro se
non il viso di lui.
Il moro scosse il capo, in un gesto alquanto avvilito, un’ondata di
sfiducia in sé stesso che lo avvolse con violenza. In fin dei conti nemmeno Tom
era a conoscenza dei sentimenti che lo portavano con
forza a desiderare la vita, e tanto meno Sivade. Allontanò la mano da quella
del ragazzo di fronte a lui, portandosela al petto, stringendo la camicia con
forza, macchiandola di rosso:
sangue che ancora sporcava le sue mani.
« Non intendo privarti… di una cosa tanto importante…» dichiarò
socchiudendo gli occhi, esausto. E non intendeva
assolutamente perderlo, pensò portando la mano ai capelli…
Il giovane davanti a lui gemette leggermente, lasciandosi cadere
pesantemente contro la spalla che il vampiro gli rivolgeva. Mai era stato più
sincero nel mostrare la disperazione che quella condanna gli aveva provocato.
Chiuse gli occhi, deglutendo a fatica, un nodo che andava a crearsi in gola.
«…quindi…non ho via d’uscita…» rise forzatamente,
ben lungi dal sembrare allegro. Ma non lo era, inutile
fingere. Non poteva togliersi la sua maschera se non lì, in quella situazione
tra il sogno e la realtà, ancora per qualche breve istante di malinconica
ammissione.
Il giovane dalla pelle avorio lo guardò, abbandonato contro di lui, debole
come poche volte l’aveva visto. Si sentì morire per la seconda volta nella sua
vita.
Spostò gli occhi a fissare il muro, l’espressione vuota e inerme:
«…non ti rendi conto… di ciò che mi stai chiedendo…» sussurrò a malapena,
svuotato da tutte le sensazioni che si rincorrevano dentro di lui, come un
treno in corsa.
Sivade sollevò appena lo sguardo, quel tanto necessario per capire dove
stesse guardando il vampiro.
Nell’espressione che vide, il mago sentì di aver fatto qualcosa
d’incredibilmente sbagliato.
Aveva coinvolto e ferito Crystal, senza badare ai suoi sentimenti.
Si diede dell’idiota, riabbassando rapidamente la testa sul ragazzo: «
Perché…?» chiese implorante, prendendogli una mano tra
le sue, calde a contatto con quelle membra prive di vita reale: « Perché mi fai
sentire importante…più di qualsiasi altra persona…?» .
Il moro non accennò ad alcun movimento, né del corpo né dello sguardo,
perso nel proprio dolore che gli rammentava ricordi lontani:
« E perché tu non sei… minimamente…consapevole…del
fatto che tutto ciò che fai…o dici…sconvolge ciò che sono
e sono stato finora…?» ribatté senza più sforzarsi di sembrare una creatura
vivente, un corpo che altro non era se non un involucro privo d’anima.
L’altro sorrise appena, il volto piegato in un’espressione
del tutto priva di sicurezza. Quelle parole, pronunciate con voce appena
udibile, avevano sconvolto il suo animo, portando con violenza in superficie
sentimenti che nascondeva a sé stesso da tempo
immemore. Scosse il capo, strofinando i capelli contro la giacca del vampiro,
in un chiaro segno di disperazione:
«…non mi scuserò per questo…» ammise.
Non l’avrebbe mai fatto, dopo aver sentito quelle parole, perché in lui
sembrava essere nato qualcosa che non comprendeva ancor bene.
Crystal abbassò gli occhi su di lui, respirando a fondo: «…sarà un bene…»
terminò, scansandosi dal suo tocco con accorta gentilezza, rimettendosi in
piedi come un automa. « Ora devo andare » annunciò solamente,
leccandosi la mano ferita con sguardo languido « attendono rapporto…»
abbozzò un sorriso asciutto avvicinandosi alla porta, bloccandosi poco prima
della soglia.
Si voltò a guardarlo per un breve istante.
Trovò a guardarlo un ragazzo del tutto diverso nell’atteggiamento, con un
sorriso leggero stampato sul viso ancora bagnato dalle lacrime:
« Se non torni giuro che ti vengo a prendere e
t’impalo personalmente, capito?» .
« Non aspetto altro » rispose il vampiro, accompagnato da una risata aspra
mentre si chiudeva la porta alle spalle.
L’espressione, ancora una volta, sofferente.
In quei momenti, dall’altra parte del tempio, Goito si trovava ad
affrontare la verità.
Ren, un monaco come tanti, all’apparenza, aveva capito cosa lei era in
realtà:
un essere senza nascita, senza origini, rinchiuso in un
corpo dalle fattezze umane.
Alzò lievemente lo sguardo al soffitto, per poi chiudere gli occhi,
assaporando parte del dolore che sentiva provenire dal suo padrone.
«…sono l’emanazione del Sangue…sì…» ammise infine, il tono della voce
amaro.
Ren chinò leggermente il capo, congiungendo le mani in un atteggiamento che
esprimeva tutta la sua palese attenzione.
Era ben chiaro il legame che univa…quelle tre creature, due delle quali
sedevano al suo stesso tavolo.
Un legame di simbiosi e interdipendenza che difficilmente altri avrebbero
potuto cogliere.
Posò i gomiti al tavolo, le maniche della tunica bianca che si arrotolarono
su sé stesse, appoggiando le proprie labbra su quelle mani intrecciate.
Una cosa non comprendeva.
La totale diversità fisica che distingueva le due compagne dal loro padrone,
Sivade:
« Ammetto che siete…molto particolari…» esordì lanciando un’occhiata alla
bambina vestita di un semplice abito turchese. Gli ricordò suo fratello che,
con ogni probabilità, era rinchiuso nella sua cameretta a leggere libri
trattanti alcuni fra i più importanti punti energetici di cui gli aveva
accennato.
« Vorresti andare a cercare il mio fratellino? » chiese sorridente, rivolto
alla bambina « si chiama Soo, credo si sia rinchiuso in camera a leggere»
spiegò con voce satura d’energia positiva.
San si rizzò sulla sedia, gli occhi piacevolmente stupiti: « C’è un bambino
come me qui…?»chiese, un sorriso genuino sulle labbra, del tutto ignara dell’argomento.
Lei credeva solo di essere la sorellina adorata di suo fratello Sivade. Nient’altro.
Goito,sospirando appena, le batté una mano sulla
spalla: « Vai e scoprilo, no? » l’incitò, guardando il bonzo con gratitudine.
La bimba rise allegra, correndo via dalla stanza, senza pensare che non
avrebbe minimamente dovuto sapere dov’era la stanza di Soo. Eppure, Goito era certa che l’avrebbe raggiunta senza commettere
alcun errore.
Ren cercò con lo sguardo Tom, ma non lo trovò.
Probabilmente se n’era andato assieme a Crystal, ancora una volta.
Sorrise, concentrandosi nuovamente sulla ragazza davanti a lui:
« Il the è di tuo gradimento? » chiese cortese, volendo spezzare parte
della tensione che aleggiava nella stanza.
La ragazza annuì leggermente: « Ti sono grata per averla…lasciata fuori.
Sivade non avrebbe sopportato l’idea che perdesse la sua innocenza. Anche se l’ha
portata con sé in guerra, cosa che non è molto coerente… Non si rende conto che
una bimba non dovrebbe essere esposta a pericoli di morte.». Fece spallucce per un attimo « Ma il mio padrone è così,
non pensa alla differenza tra i sessi, è un concetto troppo complicato per lui.»
Il bonzo corrucciò leggermente lo sguardo, rimettendo le tazze vuote nel
vassoio al centro del tavolo: « eppure dovrebbe essere una cosa insita nella
natura umana» commentò abbandonando le braccia sul tavolo, cercando di
comprendere l’animo contorto di quel ragazzo che aveva visto di striscio.
Goito rise leggermente: « Non per…» si bloccò,
esitante per un attimo.
Si sentiva d’improvviso indecisa.
Si guardò intorno, con calma calcolata.
Guardò il volto del monaco con attenzione, misurandone l’espressione, per
poi sorridere: «…non per lei…»
affermò, un sorriso sicuro sul volto.
Ren rifletté per un breve istante su ciò che la Signorina le aveva
appena…rivelato.
«…Lei…?» domandò allora, per
nulla convinto di aver compreso di chi si stesse parlando. «…Intende…il signorino…?».
La rossa celò a stento un sorrisetto: « Più o meno, sì. Sto parlando di
Sivade, la principessadi Amestris.» precisò con calma,
portando le mani conserte al petto, in attesa della reazione di quel giovane.
Il bonzo si chinò leggermente in avanti, l’espressione impegnata
nell’intento di assimilare tutte quelle notizie: « Una principessa…» rifletté,
osservando le proprie mani «…per quali ragioni ora ha assunto quell’aspetto…?»
volle sapere, seriamente interessato, tornando a guardare la ragazza negli
occhi.
Goito lo guardò, spostando lentamente una gamba sopra l’altra,
incrociandole. Ben in pochi sapevano della vera identità del Comandante
dell’esercito di Amestris. Una simile verità avrebbe
creato scompiglio in ogni angolo del regno, senza escludere la possibile reazione
dei paesi alleati. Purtroppo, e questo lei ben lo sapeva, la politica estera
era spesso basata sulle apparenze, su come uno stato decideva di mostrarsi agli
altri.
Si escludeva spesso a priori che un re mentisse, ma
di quei tempi la sincerità era ben rara in quegli ambienti.
Se v’era mai stata prima, naturalmente.
Con un sospiro, la giovane emanazione iniziò il suo racconto…
« I suoi genitori…il re e la regina di Amestris…Elmer
e Tunsdra… preferivano un maschietto. Secondo la mentalità del tempo, almeno da
quanto mi è stato detto, era una cosa più che normale. La guerra infuriava
ovunque, non difficilmente gli uomini cadevano in
battaglia, lasciando le casate senza eredi o senza capofamiglia. Si trattava di
una situazione piuttosto delicata, specie per il nostro regno. Re Elmer non ha
mai amato le donne. Dopo la nascita di Sivade, anche l’unica donna che accettava,sua moglie perse completamente valore ai suoi occhi. La
regina Tunsdra gli aveva dato una bambina… Spesso si narra
delle cattiverie dette dal re alla sua neonata figlia, ancora sorda alla lingua
degli adulti, per sua fortuna.
“Sarebbe stato
meglio un figlio maschio storpio.”
Disse così re Elmer. Un cinico arrivista era. Il primogenito non rispetta i canoni richiesti dall’etichetta reale, in più ora aveva
una figlia, una bambinetta sdolcinata. Un peso
inutile. Mano a mano che la vedeva crescere, scopriva quanto lei fosse strana: una bimba dalla pelle bronzea, lucida,con quei
poteri che spesso l’avvolgevano e sembravano inghiottire ogni cosa. Poi era
venuta una profezia.
Una sibilla alle prime armi un giorno venne
presentata alla famiglia reale. Annunciò la predizione non appena vide la neonata
nella culla reale.
Quella predizione, nefasta alle orecchie del re, fu la goccia che fece
traboccare il vaso.
Re Elmer non poteva accettare un futuro regno di pace sotto il governo di
sua figlia.
Quella bambinetta con poteri da commediante non
poteva diventare una regina.
Ma la cosa che più lo spinse ad agire non fu il timore di vedere sul trono
qualcuno esterno alla casata di Amestris.
Lui agì per paura.
Il potere che reca dentro di sé Sivade è forte a
tal punto da poter spazzar via intere città. Su questo tutti i maghi di corte
furono e sono d’accordo.
Questo perché, un giorno la principessa, ancora in fasce, udì che Amestris
era sotto assedio.
Pur s’era impossibile che avesse capito la situazione, la bimba subito
prese a piangere disperata, e accadde qualcosa di mai visto prima:
Amestris venne protetta da un mare d’acqua,
sprofondando negli abissi, protetta da un’enorme cupola magica.
Indistruttibile e impenetrabile.
Dopo tale evento, le cose precipitarono.
Anche se Amestris risalì, al centro esatto di quell’enorme
lago salato, illesa dalla guerra, il re aveva timore del potere racchiuso in sua figlia.
Anche l’erede al trono aveva dei poteri, ma erano molto più
controllati di quelli della secondogenita.
A Sivade venne imposto un anatema, su cui il padre
riversò tutta la sua rabbia, la sua frustrazione, la sua profonda delusione.
Quell’uomo rifiutò sua figlia come erede e come componente
della famiglia reale.. Piuttosto, che sua figlia divenisse uomo.
Convinto com’era che solo così avrebbe impedito al destino di compiersi…
Da quel momento, la principessa Sivade cessò di esistere.
Così decise quell’uomo. Per sé stesso e per il resto del mondo.»
La ragazza dai capelli rossi sospirò, scuotendo leggermente il capo: « Non
era stato facile per nessuno comprendere il cinismo di re Elmer, guardare gli
occhi dolci di Sivade rinchiusi in un corpo di fanciullo.
Quando Ixal, la maestra del mio padrone, era comparsa a corte promettendo di
dominare i poteri delprincipino, nessuno si era opposto. Avevano condotto quella megera
in camera di Sivade,obbligandolo ad allontanarsi dal
castello reale per sempre.
Dopo l’apprendistato di mago, il ragazzo era stato nominato generale dal
padre.
Era diventato un ragazzo forte e sveglio, capace
in battaglia come pochi.
Alla morte del precedente comandante supremo, la regina madre era riuscita
a convincere il re a dare a Sivade quella carica.
Ma la donna non aveva capito che il giovane ragazzo, così
gentile e garbato con lei era…sua figlia.
Nessuno più sapeva chi fosse Sivade in realtà.
Per questo re Elmer accettò, incapace riconoscere in quel mago talentuoso
la figlia rinnegata.
Elmer e Tunsdra non avevano che un figlio, il loro unico figlio che avrebbe
ereditato il trono alla morte del padre.
Avevano completamente rimosso l’esistenza della loro figlia…»
Goito sospirò, portando una mano al tavolo, serrandola a pugno mentre la
fissava, come per distruggere qualcosa che aveva nascosto nel palmo.
Ren la osservò a lungo, senza commentare, pensando alla difficile
situazione in cui tutti loro si trovavano.
Dalla principessa Sivade, a quelle due emanazioni.
Da Crystal, che era certo non fosse a conoscenza di tutto ciò, a tutti
sobborghi del paese di Amestris. Corte compresa.
« Tutto ciò richiede una grande forza d’animo…»
disse soltanto, rimettendosi in piedi, sparecchiando la tavola « vorrei tanto
potervi essere d’aiuto, in maniera concreta… ma tutto ciò che posso fare è
solo…vegliare su di voi. Consigliandovi dove possibile ». Mise le tazze nel
lavello.
La rossa sorrise, distogliendo la mente dalle torbide
acque del passato.
Raccontare l’aveva ricolmata di dolore, e al contempo l’aveva
sollevata.
«…la maledizione ha
un’unica uscita…» disse, in un
sospiro. «…Forse ben presto si spezzerà perchè…Sivade ha incontrato…la sua
soluzione.»
Si alzò a sua volta, andando a prendere una pezza per pulire il tavolo: « E
spero che questa sia pronta ad
agire…».
Ren la guardò negli occhi, ancora perso in quel racconto dai toni tristi e confusi.
Comprese con facilità a cosa quell’emanazione si stesse riferendo.
O meglio, a chi.
« Lo è » disse sorridente, facendo scorrere l’acqua nel
lavello « credimi ».
I gemelli alzarono lo sguardo su una delle massime alture della catena delle Erlenghir, un luogo solitario e selvoso, ospite di
creature notturne.
Imperioso come sempre si stagliava il castello della Regina, avvolto da
un’aura tanto maestosa quanto sconvolgente.
In lontananza un cielo che rimembrava un eterno crepuscolo:
un infinito attimo di resurrezione appartenente solo
all’impero degli Hades.
La fortezza presentava l’aspetto di un’opera militare, per alcuni
particolari strutturali, come lo spessore delle mura, le torri angolari e le
piccole finestre.
Mancava però di fossati e ponte levatoio, mentre Crystal era ben conscio
che di sotterranei ne aveva a bizzeffe.
Le mura rilucevano di una luce nera, dimora degna di un alchimista, mentre
l’intera facciata era un’insieme di pietre,
incastonate una sopra l’altra, rendendo tutto l’edificio molto rustico e
semplice.
Al contrario, la presenza di tutti quei strani
simboli che sapeva di essere alchemici, restituivano a quel castello una
sinistra apparenza mistica.
Ma Crystal aveva imparato a conviverci.
Istintivamente, portò una mano dietro alla nuca, sfiorando quel tatuaggio
impostogli secoli prima.
Un Ouroboros: un serpente nell’atto di mordersi la coda.
Fece un passo in avanti facendo aprire il portone davanti a lui,
raffigurante la medesima cosa.
Sospirò, notando che nulla era cambiato.
La sontuosità delle sale, gli addetti, la presenza di dozzine di vittime
che sarebbero state sacrificate per la cena.
Fece un altro passo entrando, così, nell’atrio; il fratello al seguito.
Il portone si richiuse alle loro spalle, facendo voltare tutti i presenti,
la sagoma di una persona che si materializzò davanti a loro accennando un
leggero inchino:
«Vi stavamo attendendo…messere…».
«Lieto di sentirvelo dire» rispose prontamente il vampiro, inchinandosi a
sua volta, lo sbattere violento di una porta poco lontana che preannunciava l’impazienza della Regina.
«E’ ora di andare» concluse quell’oscuro pozzo di
tenebra, conducendoli alla Sala del Trono, un soffio di vento alle loro spalle.
Fine decimo
capitolo.
Yami:
Grazie ad Ametista, che vuole ammazzarci da quanto brama di leggere! XD
Lo
prendiamo come un complimento…
Altrimenti
la cosa ci renderebbe alquanto nervose!
A
seguire…
Tutti
a mangiare messicano!
Crystal,
Tom, Sivade, San e Goito usciranno per tagliare la
tensione creatasi dopo il ritorno al tempio dei due gemelli.
Tra
battute e offese, ci sarà chi si sfiderà e chi si limiterà a dar spettacolo.
Ma…chi è quel
giovane che si ostina a chiamare Crystal “Master”?
Felice
che ti piaccia Crycry, anche se dovrebbe essere la
dark a dirlo, dato che non è una mia idea.
Un giorno vi metteremo le
divisioni se ce lo chiedete XD
E ora, ecco a voi…dal
messicano!
Sivais a bit noioso I capisc…
Comunque
lo yaoi c’è sempre…ghghghgh
Capitolo 11: “Mexican”
Voleva essere
una serata diversa dalle altre, almeno per quella volta.
Crystal
sembrava in procinto di sparire da un momento all’altro, estraniatosi da tutto
e da tutti.
San era sempre
più perplessa su chi era chi, facendo continue domande al fratello e ai monaci
del tempio.
Tom ciondolava
qua e là per il tempio, curandosi di tediare la rossa quando la vedeva e
seguire Crystal appena usciva dalla camera.
E Goito, nei rari momenti in cui tornava
per una pausa dal lavoro, non faceva altro che rigirarsi un coltello a serramanico
tra le mani, in special modo quando Tom provava ad avvicinarsi.
Il giovane
mago non riusciva a sopportare un clima del genere.
Aveva bisogno
di distrarsi e distrarre chi gli stava intorno, optando
così per una serata allegra nella città di Tenra, nel
regno di Greenwald.
Si trattava di
un borgo tranquillo, le cui strade erano rigorosamente in pietra e marmo rosso,
curate regolarmente dagli abitanti del paese.
Sivade amava
quell’ambiente tranquillo: lo faceva sentire bene accetto, come una madre che
accoglie il figlio.
Non come ad
Amestris, dove ogni cosa era sfuggente, prossima a svanire nel nulla come le
promesse dei suoi abitanti.
Camminando con
passo tranquillo, il giovane mago condusse il gruppo che aveva al suo seguito
fino alla loro destinazione: un ristorante messicano chiamato “Los Cavillos”, nella piazza centrale della città.
L’insegna in legno grezzo era lievemente illuminata da una lanterna
sottostante, mostrando agli avventori lo stemma dai colori sgargianti: una
pianta grassa, probabilmente un cactus, che portava un sombrero enorme sulla
testa.
Sivade si
fermò sulla veranda, in attesa: San arrivò quasi
immediatamente, fasciata in un abitino bianco che le arrivava fino alle
ginocchia, al contrario del completo blu notte che lui indossava.
Le
sorrise, facendo finta di alzare un inesistente cappello dalla testa, in cenno
di saluto.
Lei ridacchiò,
facendo un lieve inchino, per poi abbracciarlo calorosamente.
Il ragazzo
chiuse leggermente gli occhi, baciandole i capelli, corvini come i suoi.
Un gesto che
riuscì a dargli più fiducia.
Crystal, mani
in tasca, li raggiunse per primo, mettendosi al fianco della porta così da
lasciar passare anche tutti gli altri.
Con lo sguardo
seguì prima il fratello, poi Sivade.
Senza aprir
bocca.
Sapeva che
sarebbe stato messo in disparte anche nel corso di quella serata, ma non poteva
e non doveva far altro.
La Regina era
stata molto concisa, avrebbe dovuto agire il prima possibile, o ella sarebbe stata costretta a imporgli una scadenza.
Con sguardo
abbattuto aspettò che qualcuno si degnasse a farlo entrare, se mai si fossero
ricordati di lui.
Sospirò, le
braccia abbandonate lungo i fianchi.
Poi un sibilo
indistinto e una ragazza che conosceva apparve accanto a lui, agghindata con
una maglia nera aderente e un paio di short della stessa tinta. Lo guardò di
sbieco, gli occhi turchesi che mandavano scintille di nervosismo: « Sei il benvenuto.»disse secca
Goito.
Crystal la
guardò entrare nel ristorante con passo deciso, tradendo l’evidente disturbo
che le arrecava il dover trovarsi lì. Si chiese se anche lei non amasse simili eventi,
ma poi la vide voltarsi con aria più seccata di prima.
«Non si era
dimenticato.»lo avvertì senza fare nomi andando da San.
Il vampiro
alzò un sopracciglio, senza commentare, prima di entrare con nonchalanche.
Il locale
ricordava vagamente l’atmosfera Jamaicana, le pareti tappezzate di poster
sgargianti, il pavimento in semplice legno impregnato di uno strano odore che
non ricordava di aver mai sentito.
Tom gli si
affiancò, lo sguardo solenne:
«Qui qualcuno
si è fatto!!» esclamò
tutto esaltato, prima di indicargli una tavolata semi-appartata in un angolo
del ristorante.
L’espressione del
vampiro cambiò da perplessa a disgustata.
Non sopportava
il disordine, il caos e l’odore che impregnava quello stanzone dove ammassi di
persone cantavano sopra ai tavoli, ballavano e rimettevano ciò che avevano
appena mangiato.
Si portò una
mano al viso: «orripilante…» riuscì a dire soltanto.
Sebbene non
gli piacessero nemmeno luoghi eccessivamente sfarzosi, ammise a sé stesso di
preferirli di gran lunga a quell’orrido angolo di
mondo.
Sivade sentì il
commento ed iniziò a ridere di cuore, cercando di evitare gli sguardi furiosi
di Goito. Era stata obbligata da lui stesso ad invitare Crystal e a passare la
serata lì, con loro. Il ragazzo, al contrario della rossa, trovava divertente
delegare qualcun altro per invitare Crystal.
O, piuttosto, più…facile per entrambi.
Si sedette al
tavolo indicato da Tom, occupando uno dei posti più nascosti. Fece cenno a
Crystal, una mano che tamburellava sulla sedia che il moro avrebbe dovuto
occupare, un sorriso incoraggiante sulle labbra.
« Qui vicino a
me!» esclamò allegramente,
mentre San si sedeva a capotavola, titubante, Goito che prese posto a sua
volta, accanto alla bambina.
Tom prese una
sedia, atteggiandosi in un’acrobazia break così da ritrovarsi seduto, gambe
incrociate, lo sguardo fisso sulla rossa accompagnato
da ghigno delle labbra: «ma
chi si rivede! La pupattola numero due!» constatò per nulla sorpreso.
Dopotutto
l’aveva fatto apposta.
Innervosirla
era diventato un dei suoi passatempi.
Lanciò
un’occhiata a Crystal che si sedeva accanto a Sivade con gesto sciolto, le mani
che andarono ad accarezzare la tavola, pronto ad esaminarla.
«Che luogo rozzo» commentò ancora, posando un gomito
alla tavola, gli occhi scuri, cerchiati da pesanti ombre grigie, fissi al muro.
Il fratello sospirò affranto, avvertendo come il gemello si sentisse a
disagio in luoghi come quello.
Non lo
biasimava affatto. Lui era una creatura raffinata, a suo contrario.
San si guardò
intorno, notando come Goito stesse già deliberatamente
ignorando la persona che aveva di fronte, al punto da concentrare tutta la sua
attenzione su un cameriere che stava attendendo per portar loro i menù.
Sivade le
sembrava meno teso, forse meno di tutti, probabilmente per via del fatto che
lui, in un luogo del genere, non avrebbe mai dovuto entrarci. Ne andava
della sua reputazione.
Anche
se a corte non era certo il preferito di tutti.
Avvicinò una
mano verso Crystal, titubante: «Non
ti piace proprio…?» chiese
la bimba, il tono di voce leggermente dispiaciuto.
«Me la cavo…» disse abbozzando un debole sorriso, la
testa sorretta dal braccio posato sul tavolo. Socchiuse gli occhi respirando a
fondo.
In verità non
se la cavava affatto, ma altro non poteva fare che attendere.
Come aveva
sempre fatto e come avrebbe sempre dovuto fare.
Avrebbe voluto
attendere pazientemente che la vita altrui scivolasse via, lontano.
Ma non poteva.
Non questa
volta…
Trattenne un
ringhio furioso, stringendo entrambe le mani in un pugno:
le unghie che andarono a conficcarsi
nella carne con così tanta forza da farlo sanguinare.
Osservò, con
accortezza, quel fluido rossastro cadere pesantemente a terra.
San tacque,
evitando di guardare quelle mani.
Annuì
solamente, dando segno di aver compreso, notando di essere osservata: Sivade
fingeva di guardare nella direzione di Goito, sbirciando in realtà Crystal con
la coda dell’occhio.
Nemici di
guerra o no, di fatto, suo fratello ci teneva a tenere su il morale del vampiro,
in un modo o nell’altro.
Ma Sivade non
aveva idea di come si divertissero i vampiri e, a
pensarci bene, non sapeva neanche quanti anni avesse veramente.
Crystal sembrava
uscito da un libro vecchio di qualche secolo, o da un racconto in prosa di
qualche poeta ubriaco. La seconda opzione era riferita
al fatto che nessuno,a parte per via dell’aspetto, avrebbe pensato che Tom
fosse suo gemello. Era come mettere insieme un pezzo di carne cruda con uno cotto a puntino…
«…I paragoni
mi fanno fame…» borbottò
il mago chiudendo gli occhi, lo stomaco che dava chiari segni di richiedere
carburante.
«Non a me…» ribatté Crystal, lo sguardo perso in
luoghi che nemmeno lui conosceva.
Sembrò
ridestarsi quando capì che Tom faceva uso sconsiderato dei suoi poteri. Rise
amaramente.
Stava
chiaramente cercando di attirare la sua attenzione.
«Non avevi
vietato certe… “cose”…?» sussurrò
una voce maschile al suo orecchio, una mano posata sulla sua spalla, le labbra
che vagavano in zone troppo prossime al suo collo.
Crystal
respirò a fondo, ignorando lo stupore di Sivade, lo sguardo rivolto al ragazzo
alle sue spalle, per nulla preso in contropiede:
«Zero…ma che
piacere…» sussurrò a sua
volta, abbozzando un sorriso.
Quello rise: «tutto mio…Master…».
«…de che?» chiese perplesso Sivade, chinando il
capo per un attimo. Goito si chinò per sussurrargli all’orecchio la risposta: «…dei vampiri…» commentò atona.
Il mago sgranò
per un attimo gli occhi e guardò il nuovo arrivato per un secondo.
Poi tornò a
Crystal: «…Masterino adorato!»
esclamò teatrale, braccando il vicino cingendogli il busto con entrambe le
braccia.
Tom osservò la
scena senza commentare, gli occhi ridotti a due fessure.
Come poteva Crystal
sopportare tutto ciò? Come poteva non obbedire agli ordini impostigli dalla
Regina? Come avrebbe fatto a sfuggirle questa volta?
Sospirò, prima
di fare spallucce disorientato, mentre notava come
Zero gli massaggiasse il collo:
Crystal era in
balia di due mostruosità.
Ma, quest’ ultimo, sembrava quasi a suo
agio:
«a-ah…» socchiuse gli occhi
il vampiro, lasciando che Zero facesse ciò che più gli aggradava.
In fin dei
conti non doveva rendere niente a nessuno.
Poi guardò
Sivade con aria quasi altezzosa.
Ridacchiò: «mi hai fatto l’altarino?» chiese malizioso.
Il mago rise
leggermente, compiendo un leggero movimento con una mano:
« Sia mai
detto che io non adori il mio Master senza il
venerabile altarino!»
esclamò.
Fece apparire
sulla tavola un piccolo capitello in legno, con una
foto di Crystal al centro; alcune bacchette d’incenso attorno disperdevano
lentamente il loro profumo. Con l’altra mano, il mago prese a scacciare Zero
dal collo del ragazzo che stringeva a sé, schiaffeggiandolo sul viso con colpi
decisi.
Zero osservò
Sivade, divertito, dedicandosi a baciare l’altra parte del viso di Crystal,
quella che lui non poteva raggiungere.
«Togliti di
dosso, Zero» disse allora
il Master, cingendo le spalle dell’altro ragazzo che gli stava addosso «e tu togli quell’affare dal tavolo» aggiunse, il tono di voce pacato.
Zero quasi non
ringhiò, allontanandosi da lui, le mani nelle tasche dei
jeans dalle tonalità scure: «Ci
rivediamo a casa, Master » disse sadico accarezzandogli, per
l’ultima volta, il collo. Punto che sapeva essere critico per
Crystal.
«Hope ti
aspetta» ghignò infine,
andandosene a passo svelto.
Dopo aver
assecondato la richiesta di Crystal, Sivade attese che quel vampiro se ne andasse, fissandolo con sguardo truce: « Mi stava provocando…?» chiese al moro, leggermente teso,
notando come sia San, sia Goito ora li stessero guardando come in attesa di una
reazione strana.
«Ci
è riuscito…?» chiese semplicemente il vampiro,
osservandolo con perplessità. Una mano che gli accarezzava una spalla con
disinvoltura.
L’altro chiuse
gli occhi, così da sentire meglio la pressione che il giovane esercitava sulla
sua spalla: «…forse…» disse sincero, tradendo una vena di
nervosismo col tono della voce.
Crystal lo
osservò per un breve istante prima di passare ad
accarezzargli anche un braccio: «non
serve…» disse abbozzando
un lieve sorriso,ben attento a non mostrare le zanne. Poi il suo sguardo tornò
ad essere quello freddo di sempre, l’odore del sangue di Sivade che lo
avvolgeva completamente.
Emise un
gemito sommesso, allontanandolo da lui precipitosamente.
«Stammi a distanza»
ringhiò gelido.
Il sangue gli
aveva ricordato ciò che era giusto fare.
Il mago tolse
lentamente le braccia da Crystal, tornando a guardare diritto davanti a sé. Il
suo sguardo si perse per un attimo, rivelando un accenno di tristezza, ma
subito dopo tornò a sorridere, prendendo una mano di Goito tra le sue,
sfregandola leggermente. La ragazza si voltò verso di lui, incuriosita, mentre
un cameriere raggiunse il loro tavolo:
« Avete deciso
cosa provare? Vi consiglio il menù a tempo, solitamente è di gradimento per ogni
cliente.»disse il nuovo arrivato con voce cantilenante.
Crystal si
alzò dal tavolo, con grazia, lo sguardo rivolto completamente a Tom:
«sarà di tuo
gradimento…» accennò
provocando una leggera risata di quello.
Poi fece un
breve inchino e si dileguò fuori dal ristorante,
bisognoso di respirare aria limpida.
«…Lo sarà…» commentò allora Tom, osservandolo
andarsene.
«Non per me.»sussurrò con
amarezza Sivade, abbassando lo sguardo.
Goito gli
batté leggermente una mano sulla spalla, poi alzò lo sguardo al cameriere,
notando come questi avesse concentrato lo sguardo sul
vampiro appena andatosene. Si schiarì la voce, ricevendo l’attenzione
richiesta: « Direi che
quattro menù andranno più che bene, sbaglio? » chiese al rasta che aveva davanti, pregando dentro di sé
che questi non avesse voglia di far battute.
Lui si voltò a
guardarla a sua volta:
«se
messer Sivade non ha nulla in contrario…»
la ghiacciò, seccato.
No.
Nemmeno lui si sarebbe divertito.
Sapendo
che Crystal era fuori, lontano da lui, con chissà quali pensieri in testa.
Rabbrividì,
portandosi una mano al viso.
San colse quel
gesto e si alzò dal suo posto, andando a sedersi accanto a Tom, sorridendo al
cameriere: « Quattro menù!» esclamò allegra, un sorriso timido.
Questi le sorrise a sua volta, inchinandosi leggermente, infine si dileguò tra
la ressa del locale. Non ci volle molto, che tornò con altri tre inservienti,
deponendo sul tavolo alcune ciotole e piatti vari, colmi d’ogni tipo di cibo, e
una griglia al centro. Dopo tutto questo, Sivade lo
vide posare una strana clessidra sul tavolo: aveva due spie luminose, al
momento spente, e ciò attirò l’attenzione del mago.
«A cosa ci
serve?» chiese, sedendosi
composto, lasciando la mano di Goito che aveva stretto per tutto il tempo.
Il cameriere
rise per un breve istante: «
A cronometrare il tempo durante il quale vi è permesso mangiare a tariffa
fissa, dopodiché ogni cosa che mangerete dovrete pagarla.»si fermò un
attimo, controllando di avere l’attenzione di tutti, specie quella della ragazza:
« Finché la luce rimarrà
verde, mangerete senza pagare alcun plus, ma appena diverrà rossa,
controlleremo cosa mangerete, in modo da mettervi tutto in conto. Avete
compreso?»
Goito annuì
leggermente, senza trasparire alcuna emozione, al
contrario di San e Sivade, che sgranavano gli occhi dallo stupore. Anche se quello del ragazzo era piuttosto forzato.
« Mi avevano
detto che mi sarei ricordato questa cena una volta uscito
da qui…» commentò il mago
ridacchiando. Posò un gomito al tavolo, reggendosi la testa con il palmo della
mano: « Siamo pronti !» esclamò allegramente.
L’inserviente
rise appena, poi svanì da un nuovo cliente, propinandogli la stessa espressione
cordiale e lo stesso menù cantilenato, mentre la luce della clessidra si
accendeva sul verde.
« Buon
appetito.»disse pacata Goito, infilando un po’ di cibo nella
forchetta.
«A-ah…» disse Tom, ridacchiando, cercando di
non pensare al gemello.
Cosa alquanto improbabile, ma… avrebbe
potuto provarci.
Si concentrò
ad osservare tutti i presenti attorno al tavolo, mangiando con serena
tranquillità. Non appena notò che la rossa stava per servirsi dell’altro cibo
sul piatto, rise appena, facendo scattare la clessidra nell’opzione
rossa.
«…uhuhuh…»
La ragazza
alzò di scatto lo sguardo su di lui, cogliendo l’attenzione degli altri due,
che presero a guardare la scena con le forchette a mezz’aria.
«…Sei stato
tu…?» chiese con un
sibilo, riducendo gli occhi a due fessure, il coltello nella mano sinistra.
« Ma per chi
mi prendi…?» chiese lui di
rimando con voce tremula, l’espressione che non riusciva a nascondere del tutto
il vano tentativo di non riderle in faccia «non ho mica i super poteri!!» scoppiò a ridere, facendo diventare la
clessidra verde solo per l’istante necessario a prendere del cibo per sé.
Istante nel
quale Sivade ne approfittò per accalappiarsi un piatto
intero di carne, dividendolo con San, lo sguardo fisso sulla vicina.
Goito fissava
con odio il rasta, i capelli che quasi sembravano vibrare: «…Non so cosa pensare, superman…» parlò a denti stretti, serrando la
presa sul manico del coltello.
Tom la guardò
dal basso verso l’alto, mentre si portava una forchettata di carne piccante
alla bocca.
La leccò: «..mmh… che buona…» commentò con voce suadente. Ne mangiò
un boccone: «che gustosa!».
« Sai che
concordo?» disse Sivade,
rimpinzandosi per bene.
Goito si voltò
a guardare quest’ultimo con astio: «
Ti ci metti pure tu…?» chiese,
la forchetta che andò ad affondare nel piatto di Tom, ritraendosi di scatto.
« C’è sempre
questo sistema…» fece
notare al rasta con un sorriso gelido.
Tom scoppiò a
ridere una seconda volta, bloccando il tempo a suo favore.
Guardò
l’immobilità della scena:
«…sono peggio
di Matrix! »
commentò divertito, chinandosi a mangiare dalla forchetta della rossa.
Raggiunto il
suo scopo, il tempo riprese a rifluire normalmente, come se nulla fosse
successo.
Guardò
esilarato la rossa, ingoiando il boccone: «…dicevi…? Uhuhuh…»
Sivade rimase
impietrito a guardare l’espressione dipintasi sul viso della ragazza.
Le faceva
quasi pena, ma non riuscì a soffocare del tutto una risata, al pari di San, ch’era felice di non essere la valvola di sfogo di quei due.
Goito guardò
la forchetta, chiuse gli occhi e sospirò lievemente: « Che marmocchio…»
«Parla la
neonata» disse, mentre il
suo sguardo andò a raggelarsi, al pari di quello del fratello.
Lei sorrise
malevola, notando quel cambio d’umore con rinnovato piacere: «…ho toccato un tasto dolente,
tesorino…?» rise
leggermente, sfidandolo.
Tom non la
badò, facendo tornare la clessidra al suo stato normale.
Da quel
momento mangiarono in un silenzio di ghiaccio, poi lui si
alzò andando a pagare per tutti prima di uscire.
Sivade lo
seguì per tutto il tempo con alcune occhiate, continuando a mangiare.
«
Dici che abbia esagerato…? »
Il mago sobbalzò
a quelle parole, voltandosi verso Goito: «
Perché te ne preoccupi?»
chiese, interessato e stupito allo stesso tempo.
« Perché sa
cosa prova…» disse pacata San, finendo il suo piatto, la clessidra che si
portò, questa volta da sola, sul rosso.
Gli altri due
rimasero stupiti dall’intuito della bambina, ma quella non ci badò, correndo
fuori, il vestito bianco che contrastava con i colori luminosi del locale.
«…era per
quello…?» chiese Sivade
perplesso.
Goito fece
spallucce: « Qualcosa del
genere….»rispose vaga, posando il tovagliolo accanto al piatto
praticamente pulito.
Lui la studiò
per un momento, poi sorrise e si alzò in piedi, uscendo con lei sottobraccio: « Quanto sei sensibile, amica mia….»le disse.
«Almeno tanto
quanto te.» sottolineò la ragazza, facendosi avvolgere
con lui dal manto della notte.
Fine undicesimo capitolo.
Nel prossimo capitolo:
Crystal si perde nei
ricordi, riempiendo la lacuna che si era creata tra
questi due ultimi capitoli.
Cos’ha ricordato la
Regina a Crystal?
Quale il motivo che ha
portato lui e Sivade a viaggiare insieme, pur essendo comandanti di eserciti nemici?
Sivade conosce la Regina?
E
se sì…perché?
Questo
e molto altro nel capitolo 12!
Grazie
ancora a miyavi e ad ametista!
Siete le nostre preferite
XD
E riguardo la nostra tenica…
Non è altro che basata su
7 anni di scrittura insieme!
Ringrazio
qui la nuova commentatrice e tutti coloro che stanno leggendo
con tanta solerzia questa storia.
Oggi
se scrivo in arcaico mi scuso, ma è colpa del prologo
che ho provveduto ad inserire per “delineare la trama” come richiesto ^^ Spero
sia di vostro gradimento!
Sono
felice che ad Ametista piaccia Zero, è uno dei più yaoistipresenti nella storia…
Emh…e definirlo tale
è ben poca cosa, ve l’assicuro…X3
Nel
precedente capitolo, Zero, vampiro sottoposto a Crystal, vi ha messo una
piccola pulce nell’orecchio.
Su
Hope torneremo molto presto, per la precisione al capitolo 19,
prima del 20 fantomatico!
Ora,
Crystal si trova fuori dal locale, in attesa dell’arrivo
degli altri.
Ha
di che riflettere, cose che ancora non gli sono chiare.
Specie
da quand’è andato dalla sua Regina….
Capitolo 12: “ Remember ”
Per molto tempo
ho vagato in questo angolo di terra.
Avvolto nella mia solitudine,
passo
come un’ombra su questo mondo,
senza il bisogno di altri accanto.
Per questo non perderò mai nessuno,
perché nessuno mi ha mai amato.
Attendeva fuori del locale, seduto sul marciapiede, le
mani che gli reggevano la testa che sentiva tremendamente pesante.
Una falce di luna si stagliava in cielo, illuminando la
sua pelle eterea.
La mente di Crystal vagava, i pensieri concentrati
prevalentemente sull’incontro avvenuto il giorno prima
con la sua Regina, il profumo del sangue di Sivade che gli giunse chiaramente a
portata…com’era successo poche ore fa.
«Attendevo con impazienza il tuo ritorno, Mia Ombra…»
sussurrò la voce sottile della Regina, il viso sorridente nonostante la sua
maschera d’imperscrutabilità.
Un ennesimo inchino, l’espressione del volto seria e
umile, Tom alle sue spalle, inginocchiato davanti al trono in cui ella sedeva, le braccia posate ai braccioli in velluto nero:
«Abbiamo di cui parlare…» continuò lei, accarezzando quel
tessuto pregiato, le labbra piegate in un sorriso malizioso.
«Ebbene… è così…» ribadì
Crystal, gli occhi rivolti al pavimento cupo tanto quanto le mura.
«Hai catturato l’attenzione di ciò che ti chiesi tempo addietro…?».
«Non ne ho idea…» rispose sinceramente il vampiro,
portandosi una mano ai capelli, gli occhi che seguivano delle linee scarlatte
tracciate, sistematicamente, a terra.
«…Eppure sei la Mia Creatura più affascinante…» commentò ella, arricciandosi una lunga ciocca di capelli corvini
attorno all’indice.
« Forse il Signorino preferirebbe la presenza di una
donna… non di un uomo…» azzardò Tom evitando, scrupolosamente, lo sguardo ilare
della Regina che scoppiò a ridere, senza freni:
«…forse…» sussurrò lei.
I pensieri di Crystal vennero di colpo interrotti, quando
la porta del ristorante venne lentamente aperta,
lasciando che la piccola San scappasse da quel luogo. Dietro di lei, Sivade
teneva aperta la porta con un braccio, la mano destra posata a quel legno
grezzo: « Grazie per aver pagato, Tomino!» disse allegramente il giovane mago.
Goito gli passò accanto, uscendo a sua volta con passo
tranquillo, fissando per un istante Crystal. Ma il suo
sguardo vagò immediatamente altrove e, in un attimo, la ragazza svanì nel
nulla. Senza il minimo accenno di saluto.
Tom spintonò appena Crystal,
come a volerlo scuotere, riportandolo alla realtà. Il vampiro sospirò,
rimettendosi in piedi lentamente, come a rallentatore, voltandosi a guardare
tutti i presenti con occhi persi.
Si stava avvicinando a loro solo perché la Regina
gliel’aveva ordinato?
Rise amaramente.
Con un leggero frullar d’ali, comparve un corvo su una
delle alte feritoie del salone. La tensione della stanza sembrò aumentare,
facendo cadere un silenzio tombale. Se avesse avuto la
possibilità di farlo, probabilmente quel
corvo avrebbe riso volentieri. Con i suoi piccoli occhi neri come la pece,
sembrò studiare lo spazio in tutta la sua grandezza, soffermando lievemente lo
sguardo sulla donna seduta sullo scranno.
Portava un vestito completamente nero, dal corpetto
plissettato, legato sotto le spalle da una fascia arricciata che chiudeva poco sopra al seno di lei con un fiocco di raso. La
gonna, legata al bustino, cadeva libera fino alle ginocchia, per poi richiamare
il motivo a pieghe sovrastante. Le gambe, accavallate con grazia, lasciavano
trasparire la sottogonna di seta fino al primo scalino sotto il trono a volute.
L’animale voltò leggermente la testa verso l’esterno,
emettendo un gracchiare eloquente, almeno per colei che sapeva: era un chiaro messaggio di scherno, vago e imperscrutabile
per gli altri presenti nella sala.
Un istante dopo, Sivade aprì le ali, andando a posarsi
sulla spalla destra di Crystal, stando attento a non graffiargli la giacca, lo
sguardo ammiccante rivolto alla dama in nero.
«qual essere geloso approdò sull’esile spalla della Mia Ombra…» esordì la Regina,
accarezzandosi lievemente il decolté, un sorriso dipinto sulle labbra rosee.
Crystal alzò un sopracciglio osservando, con la coda
dell’occhio, il corvo posato sulla sua spalla.
«Credo tu stia svolgendo a tuo dovere il compito da me
affidato» concluse allora, passando a guardare con sguardo altezzoso le proprie
unghie laccate di nero.
«Concordo…» borbottò Tom, lanciando occhiatacce
all’animale appena apparso.
Il corvo chinò
leggermente la testolina piumata verso il rasta, schioccando leggermente il
becco. Per quanto Tom fosse convinto che vi era una remota possibilità che
Crystal lo abbandonasse per un maghetto come tanti…non sapeva che, molto
spesso, Sivade nascondeva molte cose.
«Purtroppo dovremmo rimandare il nostro appuntamento
galante ad un altro giorno, Mia dolce Creatura» sussurrò la regina, soave.
«Mi dispiace per tale contrattempo…» rispose allora il
vampiro, portando una mano dietro la schiena, l’altra davanti al petto,
esibendosi in un profondo inchino.
Lei sorrise, allungando una mano verso di lui in
un’implicita richiesta di un baciamano. Il corvo incrociò leggermente le ali,
per poi precedere il moro con una rapida beccata al dorso della donna, gli
occhi fissi a quelli di lei.
Il viso della dama divenne una smorfia di dolore, prima
di ricomporsi con innata nonchalanche, attendendo il bacio di Crystal che sussultò,
obbedendo subito a ciò che gli era stato richiesto.
Così era terminato l’incontro con la Regina degli Hades,
lo sguardo lascivo di lei ancora impresso nella sua mente.
Crystal scosse violentemente il capo, cercando di
cancellare quel ricordo dalla sua testa, gli occhi che tornarono a guardare
Sivade, corrucciati:
« cosa sei venuto a fare nel
nostro impero…?» domandò, una stretta allo stomaco.
Il giovane mago
sorrise lievemente, posandosi al lampione posto di fronte al ristorante: « Non ero
sicuro che tu tornassi, così…» si voltò a guardarlo «…sono venuto a prenderti.»
«Non sarei tornato così presto, se non fosse stato per la
tua teatrale apparsa» rispose lui, gli occhi sottili «sei stato fortunato che
la Regina fosse così di buon umore…».
«Già, che peccato…»
intervenne Tom, le braccia incrociate.
« Eh, la gelosia fa fare cose strane…causa ritenzione
idrica e acidità di stomaco…» il mago chiamò San con un cenno, aspettando che
gli si affiancasse « …ma soprattutto…confonde, irrita, sconquassa il nostro
cuore come un vascello in preda d’una tempesta…».
Crystal alzò una mano per bloccarlo, scuotendo il capo: «
Semplicemente, divide» spostò lo sguardo su Tom, severo.
Sivade sorrise, portandosi San sulla schiena: « Mi
dispiace. » disse, portando lo sguardo al cielo stellato, perso nelle sue
riflessioni.
Il vampiro sospirò, portandosi le mani nelle tasche dei jeans, lanciando un ultima occhiata a ciò che si
lasciava alle spalle: «spero vi siate divertiti», sorrise prima di avviarsi
nuovamente al tempio, deciso ad incontrare una sua vecchia conoscenza.
«Torniamo…».
Sivade gli lanciò una leggera occhiata, per niente
allettato da una simile prospettiva: « Noi resteremo in un ostello, non credo
sia il caso di recar ulteriore disturbo al tuo amico. Goito
sembra non voler tornarci, per di più…» corrucciò la fronte, non riuscendo a
riordinare i suoi pensieri «…diceva che il bonzo era da evitare…».
«Come vuoi, io sono esausto» alzò una mano, in segno di
saluto, allontanandosi con passo malfermo, seguito da Tom…pronto a sostenerlo.
«…e ho fame…» sussurrò a sé
stesso, portandosi una mano ad asciugare il sudore freddo che gli imperlava la
fronte.
Sivade lo guardò allontanarsi, San che si era già
addormentata, la testolina posata ad una sua spalla.
Una volta che Crystal sparì dalla sua vista, il mago scosse il capo, dirigendosi verso un edificio poco distante,
la locanda del paese. Aveva una facciata usurata dal tempo, con il calcestruzzo
che lasciava intravedere alcuni mattoni d’argilla rossa. La porta d’entrata era
a doppie ante, in ebano bucherellato dai tarli; le due maniglie erano in ottone
ossidato, ultima tacita testimonianza dell’età longeva della casupola.
Il giovane mago si fece forza e bussò con le nocche, lo
sguardo basso al tappeto che annunciava un benvenuto poco convincente. Scosse
il capo, la porta che si apriva lentamente con un cigolio.
« Ha chiamato.» annunciò Goito
facendo capolino da dietro la porta, una mano posata ad un’anta.
Lui la guardò per un attimo, poi sospirò: « Dov’è
l’entrata? » chiese con voce spenta, cercando di non tradire la sua
contrarietà.
Lei gli fece cenno di seguirlo e s’incamminarono insieme
lungo le scale che portavano ai piani superiori. La luce soffusa del luogo
sembrava renderlo etereo, mentre i vecchi seduti davanti al fuoco fissavano le
fiamme nel camino come fossero l’unica via di salvezza dalla miseria della
vita.
Sivade non poté fare a meno di scuotere di nuovo il capo,
cercando di distogliere l’attenzione dal degrado che la guerra aveva portato in
tutti i paesi. Non sopportava nemmeno l’ipotesi che la regina degli Hades avesse goduto di un simile disastro. Se solo avesse avuto un
po’ più di potere, un po’ più di coraggio, lui avrebbe cercato di convincere il
re di Amestris ad attuare delle misure diplomatiche;
ad organizzare dei centri d’aiuto per chi aveva perso tutto a causa
dell’egoismo dei potenti. Avrebbe voluto essere
accettato a corte come principe,
quantomeno. Ma era ben conscio che il fratello, pur volendo, non poteva andare contro l’emendamento rilasciato dal loro
padre, il precedente re.
Poi, d’un tratto, una mano gli sfiorò il
viso, gentile e calda: «Sivade…credimi…sarai
libero…» gli sussurrò Goito, lo sguardo mesto.
Lui sollevò il viso, guardandola dritto negli occhi: «
Non darmi false illusioni…Avrò anche capito come liberarmi da tutto questo, ma
lui è stato mandato da me appositamente. Non mi voglio
legare al cagnolino di quella donna. » decretò con tono inflessibile.
« Non mentire, con me non attacca.» sibilò
severa la rossa.
Il ragazzo distolse lo sguardo, un’espressione sofferente
nel viso: «…Non dire niente ad Ixal. Non deve toccarlo. Non posso permetterlo.»
disse frammentario, la voce rotta dall’emozione. Dalla
sofferenza mista alla rabbia.
Per quanto cercasse di
limitarsi, sapeva di aver già sbagliato.
La verità era dura da accettare.
Aprì la porta che Goito gli indicò, entrando nel portale
che li condusse a casa della sua maestra. Vennero
avvolti da una mano nera come il petrolio e risucchiati dentro, senza
possibilità di opporsi.
Sivade sentì San sussultare sulle sue spalle e
svegliarsi, inconsapevole di cosa stesse succedendo.
Lui le accarezzò il capo, mentre davanti a loro appariva un cancello di ferro
battuto.
L’edificio retrostante a questo era di stile moderno, con
vaghi ricordi d’elementi stilistici di epoche
precedenti: era a tre piani, con pareti dipinte di un bianco incupitosi negli
anni, che le rendeva grigie negli angoli e sotto le balconate delle finestre a
doppio battente. Il corrimano che portava all’uscio, così come le grondaie
poste sul tetto, erano di un bel colore ramato, rievocato anche nella maniglia
della porta d’entrata.
Guardando le volute del cancello, così simili a rovi
intenti ad avvolgersi l’uno attorno all’altro, Sivade non riuscì a fare a meno
di deglutire. Il giardino, al contrario d’ogni altra cosa in quel luogo, era
un’esplosione di colori: geometricamente organizzato, aveva cespugli di rose
intagliate in forme fantasiose, ispirate dalla tradizione mitologica di
Greenwald. Sparse un po’ ovunque, c’erano statue di
gusto classico, fontanelle scroscianti, aiuole dai colori sgargianti. Il tutto
traspariva una maniacalità mal nascosta, se si considerava che quella casa era
posta nel bel mezzo di una foresta.
Con un sospiro, Goito andò a spingere il cancello
d’entrata, che si aprì con un consueto cigolio inquietante. Insieme,
attraversarono il viale acciottolato che portava all’entrata e bussarono due
volte. Pochi secondi dopo, la porta si aprì, lasciando intravedere a Sivade una
coda nera che si defilava dietro la prima porta aperta. Il salone era grande e
circolare, dipinto di un bianco molto più luminoso che
quello esterno, illuminato da un candelabro posto al centro del soffitto che
aveva mille luci blu accese. Fiamme d’acqua, evocabili solo dai maghi più
esperti, ma che il ragazzo riusciva, modestamente, a controllare a suo
piacimento. C’erano ben sette porte che conducevano in altrettante stanze del
piano terra, mentre per arrivare agli altri piani bastava servirsi dell’enorme
scalinata in alabastro posta in posizione rispettivamente opposta alla porta da
dov’erano entrati.
« Sivade! Sei venuto, dunque!»
Il ragazzo sollevò il capo, posando a terra San con un
gesto gentile, indicandole il divano in pelle nera: « Si, maestra, sono venuto come da te richiesto; a quest’ora
tarda, solamente per accontentare il tuo volere.»le fece notare, chiudendo la porta dietro a Goito
con gesto calcolato.
La donna gli sorrise, facendo
smuovere appena i suoi capelli castani, ricchi diciocche argentate: « Avevi forse qualcosa di meglio da fare?»
Voltando il capo verso il vetro di una finestra, Sivade
si limitò a non rispondere, perso interamente nei suoi pensieri.
La donna, irritata, sembrò accorgersene, e gli si
avvicinò con passo risoluto, gli occhi fissi nell’espressione smarrita che lui
lasciava trasparire con fin troppa facilità: « Si può sapere che gente frequenti ultimamente? Mi sembri…» piegò leggermente il viso in una smorfia «… rimbambito. »
Il giovane voltò lo sguardo verso di lei, concentrandosi
su quel viso che ben conosceva: « Scusami, pensavo
a come liberarmi di te in fretta. » disse,
guardandola di traverso.
Ixal rabbrividì da capo a piedi, voltandosi per andare a
sedersi su una delle poltrone di pelle, le braccia posate ai braccioli: « Il Re non sarebbe felice di un tuo mancato rapporto. Sei
sparito dal campo di battaglia tre ore dopo la fine dello scontro, quand’eri
sotto lo sguardo vigile di uomini addestrati a
difendere te e la nostra terra. Re Damian di Greenwald non ha preso bene la tua
scomparsa. Il tuo esercito di mercenari ha finito per la prima volta una
battaglia in parità…Ciò non è
tollerabile, tu dovresti saperlo meglio di me. E dopo aver fatto tutto questo,
tu appari, dopo una settimana d’assenza, nella città di Glaciern, ridandomi
solo a quel punto la possibilità di avvicinarti. Capisco le corti reali…ma
negare a me di parlarti…Ho dovuto sopportare io le accuse a te rivolte! »
Lui fermò quello sproloquio alzando una mano verso la
donna: « Sono certo che
non hai parlato tu con loro. L’ho visto prima. » la seccò, gli occhi che saettavano verso una determinata porta dell’atrio.
« Certe tue bugie non sono migliori
dei miei atti per te così spregiudicati…».
La padrona di casa non riuscì a trattenere un ringhio: « Non ribellarti alla tua maestra, piccolo mago. » l’ammonì.
«Perché no? Cosa mi faresti
altrimenti?»
Quella sorrise, un sorriso che lasciava trasparire una
malvagità innata: «Potrei uccidere i
monaci di quel tempio, quello dove tu stavi con quei due…Sono di una
giurisdizione che non ha nulla a che fare con i Regni Alleati.»
considerò, ammirando
compiaciuta il nervosismo crescere nell’espressione di Sivade. Goito stessa non riuscì a trattenere un gemito soffocato,
gli occhi fissi sul suo padrone. Ixal era perfettamente in grado di compiere un
atto genere. La cosa peggiore era come
questa avrebbe provocato tal evento. E tutti i
presenti, eccezion fatta per San, sapevano in che modo: si sarebbe servita di
Sivade, trasformandolo in una sua marionetta.
Il mago incontrò lo sguardo della rossa e fu chiaro ad
entrambi cosa stava succedendo: negli occhi di Sivade iniziava a crescere un
buio abissale, capace di assorbire e annullare ogni cosa sulla quale posava lo
sguardo.
Era la manifestazione dei poteri latenti del giovane,
l’origine del caos da lui racchiuso nel profondo dell’animo.
« Perdonami, maestra.»riuscì a dire Sivade, piegandosi in un lieve inchino.
La donna sembrò compiaciuta: « Vedo che hai ricordato le buone maniere…Per punizione,
vediamo…Dovrai condurre da me
chi ti protegge.» Inspirò l’aria, estasiata «Ha un
profumo…peccaminoso...».
Sivade si limitò ad annuire: « Lascia che io vada a prenderlo per te, mia signora…» disse accondiscendente, i pugni stretti ai lati delle
gambe.
Goito voltò lo sguardo fuori della finestra, trattenendo
un brivido.
Fuori il tempo stava mutando.
Le nuvole giungevano da nord, nere e
cariche di fulmini che il ragazzo avrebbe voluto scagliare contro la sua
insegnante.
Poi, un volo d’ali nere e Sivade sparì
dalla loro vista.
credo
proprio che questo capitolo…farà venire voglia di leggere quello dopo con ansia
crescente!
Eeeeh…Siva sarà pure una donna, ma ricordate che ha vissuto quasi
19 anni da UOMO.
Insomma, alla fine è un uomo a
tutti gli effetti,
anche se
come migliori amici ha un gatto e una ragazza che incarna il sangue.
Ah, la cosa più bella di questo chappi è la rivelazione
su un particolare che riguarda Crystal…
Non so se avete notato (anche
perché noi siamo criptiche appositamente), ma il
nostro vampiretto ha una passione sfegatata per un
tipo di sangue…
Quale?
Leggere per scoprire….
Ma
già avete le vostre idee…no?
Capitolo 13: “Dark Light”
Posato ad un albero,
la testa gettata all’indietro e gocce di sudore freddo che gli imperlavano la
fronte corrucciata a causa della stanchezza.
Lì, stava
Crystal; quell’esile e potente creatura che si stagliava in quella notte
d’autunno. Il fratello Tom, inginocchiato davanti a lui preoccupato e teso, lo
osservava con occhi vacui, le mani incrociate sopra le gambe.
Avevano fatto
pochi chilometri e Crystal era crollato a terra, quasi esanime, una sferzata di
vento gelido che aveva soffiato sul collo del biondo, avvertendolo.
Una cosa del
tutto inaspettata.
«Hai bisogno
di riposo…quante volte devo ripeterlo?»
chiese Tom, lasciando trasparire tutta la sua ansia finora trattenuta.
«Purtroppo non
sono come te. Tu che puoi dormire a tuo piacimento non potrai mai capire la
sofferenza di esseri imperfetti come noi.»sibilò il
vampiro, riaprendo gli occhi diventati due fiamme di zaffiro tagliente. Scoprì
di vedere solo nebbia attorno a lui.
Tom chinò
leggermente lo sguardo, guardandolo con la coda dell’occhio; in quei momenti si
sentiva sopraffatto dal potere che la personalità di Crystal esercitava su di
lui. Bastavano quegli occhi, e tutta la sua sicurezza vacillava.
Abbassò il
frontino del berretto, coprendosi gli occhi nervosamente:
«Starò io di
guardia, recupera le energie».
«Come vuole,
signorino» rispose
Crystal, la radura circostante che si riempì di echi
sibilanti. Il vampiro odiava essere in balia di altri, anche del suo gemello.
Tanto meno
bramava dormire, comportava troppa sofferenza:
Sia fisica che mentale.
Eppure, solo
così, riusciva a recuperare parte delle energie che gli sarebbero
servite a proseguire quell’estenuante missione affidatagli.
Salvo che non
si cibasse di qualche innocente.
Ma non era il caso. O
meglio, non voleva.
Unicamente per
preservarne meglio il profumo.
Quel profumo…
Sospirò,
un’ondata d’aria fredda che lo avvolse, trafiggendolo come solo mille lame
sapevano fare. Poi, per un breve istante, percepì del liquido caldo colargli
dalla fronte gelata. Emise una risata vuota e cupa.
Sangue che
macchiava i suoi lineamenti perfettamente scolpiti nel marmo, mentre la morte
correva ad accoglierlo. Impedendogli di percepire un’ombra che si era posata
sopra di lui, sul ramo più basso della quercia.
Il corvo era
giunto senza emettere alcun suono, le ali raccolte ai fianchi. Alla luce
dell’alba, il corpo fittizio di Sivade sembrava vibrare incessantemente,
lasciando trapelare la rabbia repressa. Guardando Crystal come se niente fosse,
ripensava al discorso che avevano fatto lui e Ixal. Forse la maga aveva
ragione: stava ingannando sé stesso, cercando una spiegazione razionale a tutto
ciò che il vampiro gli stava portando lentamente ad affrontare.
Scosse il
capo, ed una piuma gli si staccò dal corpo: Sivade ne guardò il percorso in
ogni dettaglio, cercando di trovare un senso a quello
che gli stava succedendo. La vide cadere sul palmo aperto del giovane
addormentato e gli venne istintivo spostare altrove lo sguardo.
La sincerità
non era mai stata il suo punto di forza, eppure con Crystal era difficile
mentire a lungo. Quella consapevolezza lo irritava più di qualsiasi altra cosa,
impedendogli di ragionare lucidamente. Era scappato da quella donna, per
impedirsi di perdere il controllo, ma il ribollio dei sentimenti non sembrava
ridursi nemmeno lì.
Con gli
artigli, raschiò leggermente la corteccia sotto le zampe e nascose la testa
sotto l’ala destra, come per addormentarsi. Doveva cercare di dominarsi.
Trattenendo un
tremito, guardò per un attimo l’altra figura presente in quel luogo, pregandola
con la mente che non peggiorasse tutto, gli occhi del
biondo fissi nei suoi:
«Ti ho visto,
arpia» disse a quel punto
Tom, lo sguardo furente «purtroppo
per me, ti posso sentire, maghetto ».
Incrociò le braccia
al petto, un ghigno sadico sulle labbra.
Non lo temeva
per i suoi poteri, tanto meno se incontrollabili com’erano.
Lo detestava
per un semplice fatto. La sua presenza aveva fatto sì che Crystal si
concentrasse unicamente su di lui, come ordinatogli.
Ma aveva capito che il legame fra quei
due andava a potenziarsi di giorno in giorno, facendo affiorare in lui un senso
di solitudine mai provato.
Con lui c’era
sempre stato suo fratello ed ora qualcosa stava cambiando.
«Sei la brutta
copia di Mago Merlino!» esclamò, non resistendo all’impulso di sfogare tutta la
sua frustrazione crescente.
Il corvo
gonfiò le piume, la testa che uscì di scatto, gli occhi neri come pietre
d’onice: « Cretino. » gracchiò, la voce soffocata dal potere
che premeva di uscire. Chiuse gli occhi, deglutendo leggermente, il becco
serrato. Sapeva di dover controllarsi, o avrebbe combinato uno dei suoi soliti
disastri.
Magari avesse
avuto i poteri di Merlino.
Forse sarebbe stato una persona migliore.
Forse, sarebbe
stata.
«Uuh!»
esclamò allora Tom, la voce femminea, portando le mani in alto simulando
terrore allo stato puro «Non
mangiarmi, ti prego!!»
urlò poi, il tono di voce improvvisamente velenoso, gli occhi duri e colmi di
rabbia.
Di fatto suo
fratello si stava riducendo ad un essere effimero e debole solo a causa di
quello sgorbio sopra alle loro teste, che ora lo stava
guardando con impazienza.
«Che diavolo sei venuto a spiare, essere gracchiante?»
chiese, tornando a posare i suoi occhi su Crystal non riuscendo a non
sospirare.
Non aveva
voluto cibarsi del suo sangue.
Non gli aveva
dato alcuna motivazione, si era solamente limitato a concludere
quella snervante discussione con un “non capiresti mai”.
Spezzando quel
suo rimescolio di pensieri, il corvo tornò al suo aspetto umano, seduto con le
gambe a penzoloni: « La
vostra regina vi ha spiegato perché ce l’ha tanto con
me…?»chiese con falsa apatia, gli occhi privi di
lucentezza.
Il cielo sopra
di loro sembrava richiamarne il colore: le nuvole avevano coperto ogni
centimetro di oscurità, avvolgendo in un cupo manto
ogni centimetro di cielo. Lontano, brillavano in successione sempre più rapida
alcuni lampi, come a preannuncia della tempesta.
Impazienti di abbattersi al suolo.
Tom si sistemò
i pantaloni, le mani affondate nelle enormi tasche dei jeans
blue chiaro, gli occhi persi in un vuoto lontano: «Molto probabilmente solo Crystal né è a
conoscenza…» disse
perplesso, ricordando chiaramente la scena a cui aveva dovuto assistere
pazientemente «credo
gliel’abbia sussurrato all’orecchio, quella volta» sbottò, evidentemente scocciato.
Scendendo
dall’albero con un movimento fluido, Sivade si avvicinò al vampiro, chinandosi
per scrutarne il viso: « Mi dispiace che vi abbia coinvolto.»
disse solamente, gli occhi ridotti a due fessure.
Tom alzò gli
occhi, osservando la minacciosa vegetazione attorno a loro:
i rami, migliaia di mani che sembravano
prolungarsi verso di loro, come a volerli rapire; lo scricchiolio delle foglie
secche a terra, che ricordavano l’agguato di una qualche spia nelle vicinanze;
l’umidità, l’unica in grado di penetragli nelle ossa come una lama rendendo
tutto molto più reale del necessario.
« Di certo la
Regina non può perdere tempo. Usare il suo braccio destro le faciliterà il
compito di molto» spiegò, sedendosi accanto al gemello, le gambe incrociate.
Ciò non parve toccare minimamente il mago, che rimaneva concentrato a fissare i
lineamenti perfetti di Crystal.
La tempesta
ormai si radunava come un uragano sopra di loro: al centro v’era solo lo
spiazzo dove stavano, più buio di ogni altro punto nel
cielo. L’elettricità crescente sembrava passare sul terreno come ombra di serpenti invisibili, pronta a sfogare la sua furia
repressa. Per quanto Sivade cercasse di non pensare a ciò che gli era stato detto, nulla riusciva a reprimere i suoi veri
sentimenti. Ed ora questi cercavano di fuggire da lui,
riversandosi sulla natura.
Guardando
Crystal, il giovane mago cercava in tutti i modi di cancellare i suoi pensieri.
Si sentiva assoluto come il nulla e leggero quanto il nulla. La rabbia l’aveva
svuotato d’ogni volontà, rendendolo completamente in balia della natura.
Tom passò un
braccio attorno alle spalle del fratello, osservando come l’energia si
raccogliesse attorno a lui. Un’aura nera che lo avvolgeva completamente,
rendendo il suo viso rigido e severo.
«Il risveglio
è la parte peggiore» disse Tom, facendo sdraiare Crystal, il viso posato sulle
sue gambe «è doloroso anche per me».
Sospirò
affranto, accarezzando i capelli del gemello, gli occhi attenti ad osservare
ogni minimo movimento del mago che non sembrava essere presente.
Con la testa,
perlomeno.
Tuttavia, non appena Crystal iniziò a gemere
spasmodicamente, lo sguardo di Sivade divenne guardingo. Con un passo si
allontanò dai due gemelli: « Forse devo andarmene?» chiese con tono distaccato,
le mani dietro la schiena.
Tom socchiuse
gli occhi, ordinando a sé stesso di mantenere la calma.
Ciò che stava
per fare non era certo una novità, ma comportava sempre troppo dolore. Digrignò
i denti mentre si portava una mano dietro la schiena per prendere il
necessario:
«Credo sia
proprio il caso, a meno che tu, al suo risveglio, non voglia essere
dissanguato» rispose gelido, toccando un paletto d’argento regalatogli dal fratello
stesso.
Lo strinse con
forza prima di osservare le incisioni che, tempo addietro, avevano realizzato
assieme:
“Pulviset umbra sumus” c’era scritto, la calligrafia elegante di Crystal
che spiccava più di tutto il resto.
Il ragazzo dai
capelli corvini lesse quella frase con attenzione, ridendo amaramente. Compì
altri tre passi, andando dall’altra parte della radura in cui si trovavano. Si
posò ad un altro rovere, le mani posate alla dura corteccia: « Se me ne vado vi
colpirà…» disse solo, chiudendo gli occhi definitivamente «ma posso rallentare
il mio battito, potrebbe aiutarvi?»
«Non cambia
niente, è troppo sensibile» rispose Tom, all’istante.
Disse questo
non perché volesse cacciarlo, anche se era ciò che, in definitiva, voleva, ma
perché sapeva benissimo il grado di pericolosità che Crystal poteva
raggiungere.
Impazziva,
letteralmente.
E il giovane mago non l’aveva mai visto
in quello stato, per sua immensa fortuna.
Questi,
incrociò appena le gambe: « Mi so difendere…più o meno. » ammise, un sorrisetto
nervoso sul volto corrucciato.
Tom scoppiò a
ridere. Doveva essere una risata isterica, ma non fu altro che uno sghignazzo trattenuto; una smorfia appena accennata.
«Peggio per
te» disse mentre un urlo straziato dilaniava il corpo del vampiro che si contorse
dolorosamente, fino a far schioccare le ossa dell’intera colonna vertebrale.
Quel suono
fece rabbrividire Sivade da capo a piedi, le mani che andarono a portarsi
davanti al petto: decisamente, non sarebbe riuscito a
difendersi. Anche se non per paura. Solo, non
sopportava di veder soffrire la gente.
Un istante
dopo si sedette a terra a gambe incrociate, unendo le dita di
entrambe le mani. Davanti a lui comparve una pergamena e con essa una penna, che iniziò a scrivere alcune parole. Si trattenne
dal ridere, rendendosi conto di non essere assolutamente consapevole di ciò che
stava facendo.
« Al signorino
che mi prosciugherà, non lascio niente…A Tom lascio le mie mutande…a Valar
lascio il mio corpo…a Goito il mio armadio…a San mio fratello e tanti auguri…a
mio fratello lascio le mie palle…sinceramente ne ha bisogno…neanche con quattro
saprebbe affrontare una donna…a Helmino il mio
lettino…uhuhuh…» soffocò a stento le risa, consapevole della sua pateticità.
Chiuse gli occhi, per poi riaprirli su Crystal: «…potrei lasciargli la mia
scorta segreta di mentine…» rifletté, mortalmente serio.
Tom alzò un
sopracciglio, osservandolo con la coda dell’occhio, le labbra piegate in un
ghigno divertito: «bravo…scrivi il testamento… spero tanto che le tue mutande
siano pulite…» concluse poi, ritornando a fissare il corpo lacero di Crystal,
gli occhi che esprimevano tutta la sua preoccupazione.
«…Perdonami…»
sussurrò.
E lo trafisse al petto, svegliandolo di
soprassalto.
Un fulmine che
si abbatteva al suolo, accanto a Sivade.
Fine tredicesimo capitolo.
Nel
prossimo capitolo:
Crystal ha fame…tanta fame…
Ma non di un
sangue qualsiasi, no…
Perderà dunque il controllo?
Oppure…caccerà
Sivade dalla sua vita…?
No…
Troppo difficile…
Troppa la voglia di stringerlo tra le
braccia…
Così il passato ritorna…
E Crystal ricorda, ancora, che
qualcuno lo sta aspettando…
Sono sempre la Yamuccia!
Alloraaa!!
Sono felice che qualcuno trovi antipatica la mia adorata
Goito…
E’ nata per essere
patologicamente antipatica XD
Ma
credo che l’antipatia per lei stia già scemando a favore della new entry!
La marpiona Maestra Ixal!
Ad essere sincera, a volte mi
chiedo come faccio a sopportare di aver creato
un
personaggio del genere, dato che fa schifo pure a me,
e la
Dark è sempre lì pronta e schifata a sopportare quella racchia schifosa.
Grazie Dark, tequieromucho!
Grazie mille alle nostre
adorate lettrici,
e mi
dimentico sempre delle nostre care ragazze che ci hanno messo tra i preferiti!
Cara Ametista, tu sei la mia
lettrice preferita ç_ç
ci
segui dagli albori, potrei addirittura creare un tempio nella storia in tuo
onore XD
Manny,
sei un tesoro,
ma
ebbene sì…Siva è una donna…però ha solo amici maschi
*_*
E ti
assicuro che Siva sa come farsi perdonare, shishi…
Conosce tanta bella gente…
tanto
bella che la Dark s’è infatuata della maggior parte di loro XD
Aheeeem! A
parte questo preambolo de cavolo…
Voi che amate lo yaoi, non temete!
*_______________*
sono in
arrivo Tamos e Zero, e reggere ciò che faranno sarà…
*ç* >//< XQ________ *_*
Baci e abbracci in arrivo in puro stile yaoi…ç_ç
Anche se con tammy e zero…
La cosa sfocerà decisamente
sul sadomasico (=sadico-sadomaso)
Now inizia il
risveglio di Crystal e Ametista finalmente potrà capire qual è l’adorato sangue
che piace tanto al nostro amico vampiro…anche se un po’ lo sappiamo tutti, o
no?
Qui
troverete anche passato unito al presente.
Il
passato che molti, leggendo il primo capitolo, avrebbero voluto cogliere…
…inizia
la parte da squagliamento yaoi…!
Buona
Lettura ^_^
Capitolo 14: “Mesmerize”
Successe tutto nel giro di un millesimo di secondo.
Crystal sovrastava Sivade, le zanne leggermente premute sulla carne,
prossime alla carotide, le mani che stringevano con forza le braccia del ragazzo:
sbattuto contro il tronco dell’albero, le gambe a mezz’aria.
Eppure il giovane mago riusciva a mantenere un falso sorriso,
in mano la pergamena con l’inchiostro ancora fresco. Ben conscio del pericolo
al quale era sottomesso, la lucidità della paura era l’unica cosa che gli
permetteva di mantenere il controllo.
La tempesta intorno a loro sembrava sul punto di difendere il suo artefice,
ma lui la fissava, domandola come meglio poteva.
« Ben svegliato tesoro. Hai già sete?» chiese con tono assente, chiudendo
per un attimo gli occhi.
Il vampiro non sembrava essere cosciente. Di fatto, non stava capendo nulla
di ciò che lo circondava e gli veniva chiesto, come
assuefatto dal profumo di quel sangue che a lungo aveva desiderato bere.
Le pupille si dilatarono. Le tenebre che finirono per divorare l’azzurro
dei suoi occhi, mentre Tom assisteva alla scena, impotente. Il paletto ancora
in pugno.
Vide la lingua di Crystal saettare sul collo del mago.
Strinse i pugni.
Sivade, contrariamente, non riuscì a trattenere un sobbalzo, le zanne del
moro davanti a lui che andarono a premere maggiormente
sulla sua pelle. Spalancò gli occhi, evitando che un fulmine cadesse proprio di
fianco a Tom, deviandolo con un sibilo soffocato. Si sentiva in completa balia
di Crystal, eppure la tempesta non accennava a sparire, chiudendosi attorno a
loro sempre più rapidamente.
«…Le mie ultime volontà sono riportate su questa carta. Non macchiarle, per
favore. Non ho lasciato una copia al notaio.» rise isterico,
la voce ridotta a un sussurro strozzato.
«…Ho fame…» sibilò l’altro sul suo collo, la radura che sembrò tremare per
un lungo istante. Leccò ancora la pelle di Sivade, le mani che tremavano per lo
sforzo.
Si stava frenando dal dilaniare quella carne tenera e delicata.
«Non istigarlo, idiota!» ringhiò Tom a denti stretti avvicinandosi ai due
con pochi passi: «Crystal, bevi da me come hai sempre fatto» disse imperioso,
gli occhi fissi sulla sua schiena.
A quell’imposizione, il moro scoppiò a ridere fragorosamente, chinando
appena il capo, le labbra che accarezzavano languidamente il collo di Sivade
facendolo rabbrividire totalmente:
«Non desidero te»miagolò ormai
impazzito, la voce sottile.
La sua vittima per poco non soffocò, cercando di non ridere dalla
disperazione. Guardò Crystal con le lacrime agli occhi, non riuscendo a credere
alle sue orecchie: « …miagola! » osservò esasperato.
Le mani di Tom si contrassero con violenza inaspettata mentre si sentiva
frantumare in mille pezzi, i sentimenti che vorticavano incontrollabili.
Retrocedette, le gambe rese deboli dalla sua volontà ora sminuzzata, mentre
il cielo sembrava schiarirsi appena. Contrariamente a lui che non possedeva più
la forza necessaria a combattere per il suo gemello.
Il vampiro toccò con forza il petto di Sivade, la mano che poi andò a
fermarsi molto più in basso mentre le zanne andarono a strappare la maglia che
quello indossava.
La bocca si spostò lentamente, le labbra languide che andarono a posarsi in
corrispondenza del cuore che sentiva pompare con insistenza.
Ne accarezzò la pelle, stregato da quella che per lui, ora,
altro non era se non magia: «…che ne dici…affondo qui…?» sussurrò, sorridendo
perso.
Sivade lo guardò con espressione per metà impaurita, per metà nauseata.
Se solo Crystal avesse minimamente intuito…cosa stava
baciando in realtà…
Posando la testa alla nuca del vampiro, sospirò leggermente: «...e così,
alla fine, sarai tu ad uccidermi…» gli fece notare in un bisbiglio.
Crystal respirò a fondo, irregolarmente, gli occhi che altro non
richiamavano se non la morte. Altro non erano.
Perdizione, sofferenza e terrore.
«Ho fame…» ripeté, la voce lacerante mentre lo posava a terra
dolorosamente.
« Tom può darti ciò che ti serve, no?» gli ricordò, spostando lo sguardo
sul biondo
che, stretto nelle spalle, osservava il terreno attorno a
lui con aria avvilita.
«Tsk…» commentò solo il vampiro, disgustato, il corpo scosso da violente
fitte che lo facevano tremare da capo a piedi. La lucidità che combatteva per
tornare, soppressa dalla fame e dai desideri che Crystal aveva
sempre represso.
Non gli era permesso avere nulla.
Non avrebbe mai potuto avere ciò che, con tanto ardore, desiderava.
Interamente schiavo di ciò che era.
Fissò gli occhi di Sivade, distrutto.
Il profumo del suo sangue lo stava ancora chiamando.
Ma il mago lo distrasse, sventolandogli davanti al naso il
testamento, l’aria assente: «…cosa devo farne, masterino…?»
chiese, mantenendo il cielo nuvoloso solo per il giovane che gli stava davanti.
Crystal si allontanò da lui, la testa che vorticava, combattendo fra due
desideri contrastanti. Il macchiarsi del suo sangue e il saperlo in vita.
Chiuse convulsamente le mani, l’anello d’argento che gli penetrava la
carne:
«Non credo ci vedremo ancora» disse semplicemente,
la voce penetrante, la lucidità che tornava.
Disgusto per sé stesso.
Sivade serrò gli occhi in due fessure. Cercò di non richiamare
eccessivamente i suoi poteri, il foglio di carta che finiva in mille pezzi, tra
le sue mani. Fissò il vampiro con un carico tale di sdegno che a stento riuscì
a trattenere l’istinto di tirargli un pugno. Perché
quella frase? Perché quella decisione improvvisa?
« Voglio picchiarti.» disse, serrando la bocca.
Crystal si voltò a guardarlo, l’espressione che preannunciava
la sua prossima scomparsa. Il biondo che non sapeva se essere felice o
disperato. La decisione del fratello la condivideva in pieno, sebbene gli
avesse chiaramente fatto capire che non “desiderava” lui.
«Poiché non avrò più il privilegio di viaggiare
assieme a te, ti concedo l’onore di scalfire il mio viso» rispose a quel punto
il vampiro, ormai completamente in sesto.
Il mago gli si avvicinò lentamente, portando le mani in tasca. Gli occhi
neri posati sulla figura che l’aspettava tranquilla,
quasi a braccia aperte. L’unico aggettivo che Sivade sarebbe riuscito ad
attribuirgli era “sfacciato”.
« Conto poco, ai vostri occhi.» sibilò di
conseguenza, l’espressione distaccata, portandosi una ciocca di capelli dietro
all’orecchio.
Con un cenno delle dita, la maglia che Crystal gli aveva stracciato ritornò
al suo aspetto originale. Si sistemò il colletto, poi seccò il ragazzo davanti
a lui con uno sguardo eloquente. Portò lo sguardo al cielo: « Sbrigatevi ad
andarvene. Non lascerò nuvole per te.»
«Non necessito il tuo aiuto, maghetto» disse
Crystal acidamente, proprio perché intendeva innervosirlo per allontanarlo da
lui, da ciò che era e da ciò a cui stava, inesorabilmente, andando incontro.
Tom che gli si affiancava in silenzio.
Sivade rivolse lo sguardo al rasta, facendo un cenno del capo appena
percettibile: « Ciao Tom, ti saluterò San. Lei ti trovava simpatico.» poi
guardò Crystal per un attimo, mostrando tutto il suo dolore. Si voltò di
scatto, dirigendosi verso il fitto della boscaglia: « Succhiasangue del cavolo!»
gridò, le nuvole che diventavano nuovamente nere, oscurando ogni luce.
«Niente bacetto d’addio?» domandò l’altro, ilare.
Poi un sospiro che non riuscì a trattenere.
Era dolorosa tutta quella situazione che si stava venendo a creare.
Ne rimetteva. Sempre. In continuazione.
«Grazie» disse Tom, soltanto, osservando come il gemello fissasse,
abbattuto, il ragazzo che se ne stava andando.
Un gemito soffocato scappò da quelle labbra violacee.
Udendolo, Sivade si voltò appena, restando pietrificato alla vista di Crystal.
In quella radura, con rivoli di sangue rappreso sulle tempie, sembrava la
vittima di un destino troppo ingiusto per un’unica creatura.
Non l’aveva mai visto con quell’espressione sul volto.
« Devo andare davvero…o mi stai mettendo alla
prova?» chiese scostando lo sguardo, celando quanto in colpa lo facessero
sentire quegli occhi smarriti.
Crystal non rispose, lasciando che il silenzio calasse tra loro.
Non era in grado di lasciarlo andare.
Eppure sapeva che era la cosa più giusta da fare.
Non riusciva a nascondere ciò che in quel momento provava.
Abbandonò le braccia lungo i fianchi.
D’altronde cosa poteva aspettarsi da sé stesso?
Era un essere fin troppo egoista.
« Qualcuno me lo tolga da davanti…» sospirò Sivade, portandosi una mano a coprire
gli occhi in un gesto esasperato.
Per quanto cercasse di ghermire i pensieri di
Crystal, non riusciva a comprenderlo. Diceva una cosa, e ne pensava chiaramente
un’altra.
Eppure se ne stava lì, in piedi, sul punto di cadere di nuovo
da un momento all’altro, guardandolo andar via mentre con lo sguardo sembrava
gridare aiuto. Era una cosa demoralizzante, da qualsiasi punto di vista la si volesse guardare. Avrebbe voluto sbattergli in faccia
la verità.
Dirgli le mille cose che quell’aspetto da mago qualunque nascondeva. Dirgli
i pensieri che in lui erano nati da quando si erano incontrati, dirgli quanto
avrebbe voluto essergli d’appoggio.
Tanto per vedere se il ragazzo sarebbe riuscito ad accettare tutto; ma non
era possibile. Solo il pensiero di rivelare che era una donna lo portò a ridere involontariamente. Una risata che tradiva
uno sconforto senza pari:
« Crystal, Crystal…sei peggio di San, se fai quella faccia…» gli fece
notare, minimizzando ogni cosa.
Tom si mise in disparte. D’altronde, quella conversazione non era affar suo.
Tornò al suo aspetto di clessidra, rifugiandosi in una tasca della giacca
di Crystal. Questi tornò a mostrare la sua perfetta maschera d’impassibilità,
gli occhi che, al contrario, esprimevano tutt’altro sentimento.
«Non me ne voglia…» sussurrò, alzando il capo al cielo, ormai esaurito
della propria energia astrale.
Si abbandonò a terra, le gambe incrociate, la testa china al terreno.
L’altro lo raggiunse lentamente, guardandolo con rinnovata serietà:
« I tuoi sbalzi d’umore sono peggio dei miei…» si sedette davanti a lui, la
mano destra posata al ginocchio piegato: « …mi sa che ti dovrò tenere d’occhio
per un altro po’, marmocchietto secolare…» disse pacato,
cercando lo sguardo del giovane.
Crystal congiunse le mani, fissando le dita di Sivade che picchiettavano
sulla gamba, come annoiate.
Stornò lo sguardo al proprio anello, osservando come la pelle attorno ad esso fosse bruciata. Non osò levarlo: «Attento a come parli,
tesoro» ribatté, la fronte corrucciata. Doveva avergli fatto proprio pena per
spingerlo a restare nonostante avesse provveduto ad innervosirlo di persona:
«…tsk…».
« Che fai, sbuffi anche?» chiese perplesso il mago, avvicinando il viso a
quello di lui, continuando a richiamare l’attenzione del moro su di sé: «Insomma…resto…?»
chiese, questa volta con più gentilezza.
«Ti sembra saggio restare?» domandò di rimando il vampiro, lo sguardo che
si concentrò in quello di Sivade, serio come poche volte sapeva essere « Voglio
una risposta sincera ».
« Tu non riesci a farmi del male sul serio, indi per cui…che
motivo ho di temerti?» rispose tranquillo l’altro, sorridendo lievemente.
Gli piaceva quell’espressione leggermente corrucciata che vedeva dipinta
sul viso di Crystal. Gli ricordava quella di un gatto sospettoso.
« Carino…» finì per commentare, dandogli un buffetto sulla guancia.
Il moro si reggeva la testa con una mano, il busto piegato leggermente in
avanti, lo sguardo perplesso: «…non è una novità. L’ho sempre saputo che sono
più divino che umano. »
Sivade lo guardò, un lampo di malizia negli occhi: « Sei solo carino.
Niente più.»
« Divino» ribatté l’altro deciso.
« Puccioso.» rincarò il mago.
« Sublime».
« Come no. E io sono…».
« Follemente innamorato del sottoscritto» lo interruppe il vampiro,
sogghignando «d’altronde…non posso certo biasimarti…» si fissò le unghie,
accarezzandole appena con il pollice.
Sivade rimase impietrito: « Te le mando in cancrena, quelle tue unghie, amore mio…» lo minacciò, afferrandogli
la mano.
«…Suvvia…non essere in imbarazzo per così poco…lo si
sapeva da tempo…» disse l’altro, un sorrisetto ambiguo stampato in faccia.
Il giovane davanti a lui portò una mano alle vertebre cervicali, facendosi
un breve massaggio: « …non ero io a guardare con sguardo perso…» commentò,
chiudendo gli occhi.
A quelle parole, Crystal s’incupì immediatamente, allontanando quasi con
gentilezza la mano di Sivade dalla propria:
«Mi dispiace» riuscì solo a dire.
L’altro lo guardò di sbieco, per poi piegare le labbra in un sorriso: « Lo
stai facendo di nuovo, tesorino…» gli accarezzò la fronte, un gesto
apparentemente disinteressato «…provi a cambiare le carte in tavola, e subito
dopo ricadi nei tuoi pensieri…».
A quel gesto, Crystal fu così nuovamente avvolto dal profumo del ragazzo.
Bastavano piccoli gesti come quello per mandarlo in crisi.
Socchiuse gli occhi, la mano ai capelli: « Non me ne rendo nemmeno conto…»
sussurrò debolmente, bloccando il respiro. L’attirò a sé con un braccio, in
cerca d’aiuto, lasciando spiazzato il mago che strabuzzò gli occhi, guardandolo
nel più completo stupore. Sivade rimase tra le braccia di lui in silenzio,
capendo che, probabilmente,il vampiro
non era più in grado di esprimere ciò che celava nel cuore.
Tutto si era concluso in un bagno di sangue.
Ogni perimetro, nemico, amico o neutro, era stato imbrattato del purpureo
fluido degli uomini caduti. Migliaia. Solo per capriccio dei potenti.
La guerra null’altro era: una partita a scacchi tra re e regine, che
vezzosamente usavano i loro sudditi alla stregua di pedine. Pedine senza
sentimenti. Senza famiglia. Senza vita.
Ed ora così erano.
Tutto per colpa di una debolezza, di una distrazione, di un tradimento.
Il capo dell’armata di Amestris, giovane
riconosciuto in tutte le terre alleate per le sue abilità di stratega, si era
lasciato sconfiggere dall’interno.
Sivade era stato tradito dal suo braccio destro in battaglia, Tamos di Eynar.
Tradito da un amico.
Il suo primo ufficiale aveva permesso al nemico di penetrare le difese
magiche poste alla batteria datagli in comando. Creando un effetto a catena che
aveva annullato ogni difesa su tutto l’esercito di Amestris.
Portando tutti alla mercé dell’armata degli Hades. Inesorabilmente.
Trascinato nella sua tenda, dopo aver annunciato la resa dal suo destriero,
Sivade versava in condizioni peggiori di quanto sembrava.
Si portò una mano ai capelli, il respiro mozzo. Non riusciva ad accettare
ciò ch’era successo. Non riusciva a crederci fino in
fondo.
Accettare una simile realtà, una simile catastrofe, era qualcosa che non
gli riusciva a fare. Non quando, a causa di un suo errore, erano scomparse
tutte quelle persone. Il Sole solo sapeva quale vita li avrebbe attesi dopo la
morte.
D’un tratto, un ufficiale aprì la tenda, lasciando entrare
in quello spazio ristretto il fetore della carne morta e del sangue. San,
seduta con le gambe strette al petto sopra il letto, faticò a trattenere un
singulto.
« Mastro Sivade,
generale. Sono qui per darvi rapporto.»disse il nuovo venuto, il fiato corto.
Il giovane moro gli sorrise, nello sguardo una
patina bianca che andava via via ispessendosi: « Annuncia ciò che sai, signor Jerkis…»
Il tenente Jerkis gli s’inchinò, rispettoso e grato: « Ottanta morti…e ventisei feriti, generale. » disse, la voce priva d’ogni emozione.
Il suo interlocutore sospirò, una mano alla fronte.
Ottanta su duecento.
Forse doveva esserne felice?
« Curateli. Che i
più gravi siano condotti da dama Goito, in modo che lei possa ridar loro il
sangue che hanno versato. Gli altri debbono esser
adagiati su giacigli, cosicché non appena giungerà il Primo Mastro, saranno
subito ricondotti alle cure delle loro famiglie. » decretò, senza alzare lo sguardo.
L’uomo parve indugiare per un istante. Vedeva chiaramente che il giovane
seduto su quello scanno d’ebano era...indebolito.
I capelli stessi stavano schiarendosi, assumendo un colore più bianco della
neve. Un bianco dai riflessi argentati, prezioso ed inquietante allo sguardo.
Un tempo erano stati neri, neri come una notte
senza luna.
« Signore, se
permettete una domanda…» esitò «I vostri capelli…»
Sivade sorrise appena, togliendo la mano dal viso: « Andate. Di corsa. »
Jerkis deglutì, rendendosi conto di aver osato troppo. Fece un breve
inchino, per poi lasciare soli il generale e la sua sorellina, lanciando una
timorosa occhiata alla schiera nemica.
Crystal, al capo dell’esercito degli Hades, era volto alla propria armata i
cui componenti erano stati selezionati sotto esame da
lui stesso:
una schiera di soldati che non presentava più di cento
persone, alcune delle quali ferite, ma non gravemente.
Li fissava con durezza, lo sguardo più freddo del ghiaccio, furente.
Era ben conscio che quella vittoria non era stata meritata, come a lui
piaceva; bensì era stato un trionfo dovuto alle genialità di un qualche suo
sottoposto.
Si portò una mano ai fianchi, camminando davanti alla schiera di soldati
che stavano rigidamente sull’attenti.
Lui stesso aveva più volte dichiarato che in guerra “tutto è lecito”, ma di
certo non si sarebbe mai aspettato un’azione del genere.
Qualcosa gli era sfuggito di mano, e questo lo faceva imbestialire.
Hope, una ragazza dai lunghi capelli biondi, se n’accorse più di altri.
Non che non fosse chiaro ciò che passasse per la
testa del loro Superiore ma lei, inoltre, sapeva leggere le emozioni di chi le
stava attorno.
Solo…non era in grado di controllare quei sentimenti che la travolgevano
come un fiume in piena. Respirò a fondo, mentre un’ondata di potere freddo e
lacerante s’insinuava fin dentro le ossa di tutti i presenti facendoli tremare.
Quello era Crystal.
La Morte; che voltò le spalle a tutti quei soldati vestiti rigorosamente di
nero e grigio-argento, quasi fosse un simbolo da rimembrare.
Loro erano vivi e vegeti, mentre il luogo in cui ora si stava recando era
colmo di morte e sofferenza.
Zero, uno dei suoi sottoposti, scoppiò in una fragorosa risata, saltellando
al suo fianco. Lui era uno dei suoi subordinati più potenti, assieme a Hope e Haleck.
Uno dei pochi di cui tendeva a fidarsi. Tendeva…
«Corri a recuperare quell’impiastro di un Comandante!» esclamò gioioso, un
sorrisetto beffardo stampato in viso.
Crystal lo fissò di rimando, uno sguardo eloquente.
«…Ups…perdoni la scortesia…mio Master…» si
corresse allora quello, esibendosi in un profondo inchino,
prima di saltellare via allegramente correndo ad abbracciare il “suo”
Tamos.
Il vampiro lo squadrò gelidamente, capendo solo in quel momento come si
erano svolti, in realtà, i fatti, per poi scostare il suo sguardo su Hope che
altro non attendeva se non ordini:
«Te ne prego…conduci tutti alle loro dimore…qui abbiamo vinto noi…» spiegò
gentile, quando lei le sorrideva tranquilla, le mani intrecciate dietro la
schiena in un gesto che esprimeva tutta la sua timidezza «poi torna dove sai…
assieme a Zero e Haleck.».
«…attenderò il tuo ritorno…» rispose allora lei, prima di correre ad
eseguire gli ordini appena conferitegli.
A quel punto, Crystal si avviò verso il campo nemico, senza bisogno di
chiedere a Tom di seguirlo:
stava già al suo fianco, sottoforma di clessidra, galleggiando
davanti ai suoi occhi incendiati da pure fiamme di zaffiro.
Dall’altra parte del campo, un gatto nero osservava il giovane venire
avanti. Trasudando passività assoluta, non si curava minimamente dei suoi
sottoposti, caduti nel panico dopo aver compreso dove si dirigeva la figura pallida
del comandante degli Hades. Con un cenno del capo, il felino ordinò loro di
dileguarsi: questi non attesero un secondo in più, liberando il passaggio. Il
terrore della morte aveva superato l’orgoglio dell’esercito.
Crystal posò i suoi occhi polari su quel felino, in un’espressione quasi
strafottente. I piedi che calzavano stivali neri alti sino al ginocchio, che sembravano fluire su correnti invisibili di potere: « dankeschön» disse, un duro
sorriso stampato sulle labbra, mentre la clessidra argento galleggiava attorno
a lui, disegnando perfetti cerchi immaginari.
Il felino rise amaramente, la voce simile ad un leggero ronfare: « Non desidera ricevere favella di altri
morti, vedi dunque di non farmi pentire.»disse con voce aspra, carica di odio.
Il vampiro che si stagliava imponente davanti a lui, si limitò ad abbozzare
un sorriso crudele, malevolo che, in definitiva, non gli apparteneva affatto,
ma si sforzava comunque di mostrare: «Ci proverò» disse soltanto,
prima di leccarsi con parsimonia la mano ancora macchiata del sangue di qualche
uomo che lui stesso aveva pensato di trafiggere. Dopodiché aprì la porta con
una sferzata di potere, rischiando di strapparla in brandelli.
All’interno vide una bimba sobbalzare sull’unico letto presente, mentre il
comandante delle truppe di Amestris posava una mano
sulla spalla di lei: « Va tutto bene,
piccola, non ti preoccupare…» lo sentì
sussurrare.
San guardò con paura gli occhi velati del giovane: «Ma…».L’altro alzò un indice e le parole le morirono in bocca,
notando un mesto sorriso sul volto di Sivade.
A quel punto Crystal decise di entrare, sfiorando la terra sotto ai suoi piedi con eleganza surreale, guardandosi attorno con
un accenno di disappunto; la clessidra ora fra le sue mani pallide, affusolate
e flessuose: «Siete ferito?» chiese con voce
carezzevole, morbida e sensuale. L’esatto contrario di
quella usata con il felino pochi istanti prima.
Sivade voltò lentamente il capo verso il nuovo arrivato, mostrando una
tranquillità irreale. I capelli ormai trasformatisi in una nuvola bianca.
«Sono ferito a
morte nell’animo, tanto che il mio stesso corpo riflette i miei cupi pensieri.»si fermò un attimo nel parlare, voltandosi verso colui che
subito aveva riconosciuto come il suo antitetico: « Perché siete qui, Crystal degli Hades?» chiese con aria annoiata, celando la sua tensione.
Crystal abbozzò un breve inchino, una mano dietro la schiena, l’altra
posata al suo stomaco, incapace di nascondere i modi rimembranti gli antichi
albori settecenteschi. Si rimise eretto, un sorrisetto sardonico stampato in
volto:
«Sono qui presente
per salvare, se possibile, le vostre membra così fragili. La vostr’anima provvederà, col passare del tempo, a sanare le
vostre profonde ferite. A questo, la mia persona, purtroppo non può porvi
rimedio. Il nostro è stato uno scontro guidato da tradimenti ed inganni che
sono sfuggiti al nostro controllo. Quindi lasciate che porti almeno voi,
lontano da queste terre macchiate da sangue sporco ed impuro. E se ora mi
considerate ingiusto…ebbene, ordinate di lasciarvi al vostro dolore. Ma che questo giudizio, quest’ordine, io lo senta proferire dalle
vostre labbra».
Sivade accarezzò gentile la guancia che San le porgeva: « Le vostre parole sono profonde, ma misterioso è il
vostro scopo. Nondimeno vi ringrazio, comandante, per la vostra disponibilità.»
Per un attimo si perse nei suoi pensieri, poi ne risorse con un lieve
accenno di sorriso: « Ora, perdonatemi
per il mio modo poco raffinato di chiedervelo…ma non amo le formalità. Specie
se non mi è concesso di mirare il vostro cordial
viso. Indi vi prego…non vi sono superiore in nulla. Il nostro grado si
equivale. Togliete le formalità…ciò vi è possibile..?» chiese con atarassia.
Il suo interlocutore si limitò a sorridere, nuovamente, ma in modo pacato,cordiale quasi accondiscente: «Non credo affatto che, un mio eguale, possa calzare tal
vestigia…» spiegò,
indicandolo con innata classe «ma credo di poter
sforzare la mia persona a reprimere certi modi…» si bloccò un istante «antichi…» decretò infine ridendo, affiancandosi a Sivade con
umiltà.
Quest’ultimo trattenne a stento un sorriso: « Sono solo a capo di un esercito, non ho titoli onorifici se non quello di assassino a pagamento…» fece notare, alzando l’indice della mano destra. « Prometti che il tuo desiderio è atto solamente a
portarmi via da qui e null’altro?»
«Vi restituirò a
costoro non appena quest’inutile guerra avrà fine, o perlomeno…come sisuol dire…fin quando “le acque
non si saranno calmate”» gli porse una
mano, lo sguardo fisso negli occhi vacui del ragazzo semi sdraiato a letto «abbiate fiducia» terminò.
Lo vide sollevare gli occhi vitrei alla ricerca del cielo, nascosto dalla
tenda.
« Sono cieco, mio
malgrado. Ma in questo momento ciò che sento
m’infastidisce ancor più. Le formalità.»volse lo
sguardo verso l’ombra di Crystal « Toglile, te ne
prego…».
«Cercherò di porvi
rimedio…» rispose soltanto
il comandante degli Hades, un accenno di stanchezza nella voce «ora…posso…» fece una smorfia
quasi sofferente «…toccarti?».
Odiava esprimersi in maniera tanto scortese, ma a quanto
pare non poteva palesare ciò che lui, Crystal, veramente era.
L’altro sorrise, volgendosi in direzione di San,
porgendole una mano: « Vieni…?» domandò, tremendamente gentile. La bimba guardò Crystal
per un lungo istante, con i suoi grandi occhi nocciola, ed annuì quasi
impercettibilmente: « Sì» disse decisa, cogliendo, alle sue parole, la mano
incerta di Sivade che accettava l’ausilio di Crystal.
Sivade sospirò, sentendosi di colpo molto, molto stanco: « Così sia….Dunque, aiutami, mio nemico. A te consegno la
mia fiducia. Forse tu l’accoglierai con maggior cura…».
Quello che altro non era se non un ombra di ciò
che è chiamato “uomo” sospirò pesantemente, prendendo fra le sue braccia quello
che altro non si considerava alla stregua di un “mercenario-assassino”.
Non provò alcuna fatica nel sollevarlo, come fosse stata
una piuma: «reggiti…» disse soltanto prima di voltarsi a guardare la piccola
al suo fianco «posso accogliervi
fra le mie braccia…?» le chiese allora
gentilmente.
La piccola lo guardò con improvviso sospetto, del tutto assente sul viso di
Sivade, che subito si era aggrappato al collo di Crystal.
«Perché? » chiese San con
cipiglio, alzandosi in piedi.
Il vampiro socchiuse gli occhi per un breve attimo,
percependo il calore di colui che teneva in braccio salirgli dalle mani sino al
petto che sembrò scoppiare di gioia. Un profumo che allettò i suoi sensi. Una
calda energia che lo avvolse completamente:
«Vi porterò lontano
a queste terre ebbre d’ingiustizie…» spiegò, la voce
bassa e solenne, gli occhi celesti nuovamente fissi in quelli della bimba.
Fine
quattordicesimo capitolo
Qui si
chiude la parentesi sul passato, come potrete ben capire…
Altro
spunto sulla vera identità di quella famosa “Hope”
citata da
Zero al ristorante, qualche capitolo fa…
Ma perché pensarci
troppo?
Ci
sono due persone abbracciate nel bosco…
Sole…
Chissà
che faranno…?
Grazie
a tutte le adepte e agli adepti della setta Shadows!
Perdonate
il ritardo, dovuto esclusivamente a me,
e dedico questo
capitolo proprio alla Dark, e a tutti coloro che si sentono confusi o confuse …
che finalmente vede
disinibirsi i sensi di molti dei personaggi.
Sivade e
Crystal compresi, anche se sono ancora un po’ rigiducciXD
Grazie a
Miyavi4ever per la sua dedizione,
e continuate a leggerci
in tanti/e!
Capitolo 15: “Balconi e Meloni”
Il buio era ormai sopraggiunto, dietro le bianche coltri del cielo.
Mentre la luna salutava il sole svanire all’orizzonte, Sivade
si massaggiò il collo, cercando di risvegliare le membra.
Abbassò lo sguardo sul giovane che l’aveva abbracciato, notando che non
sembrava essersi ancora ripreso.
«…Crystal…è tardi…» gli sussurrò gentile, posando
una mano sul suo capo.
Il vampiro sembrò muovere leggermente la testa verso quel ragazzo che
aveva, improvvisamente, stretto a sé:
non aveva riflettuto, si era semplicemente lasciato andare
ai sentimenti, abbandonando gli istinti che l’avevano travolto poco prima.
«…tu dici…?» sussurrò, nascondendo il tremore che aveva nella voce, dovuto
alla vergogna che provava verso sé stesso. «Il tempo è galantuomo, saprà
aspettare…» aggiunse a stento.
Sivade ridacchiò, dandogli dei leggeri colpetti sulla testa:
« Stai dando di testa, vampiretto!» esclamò,
sentendosi leggermente sollevato.
Non sarebbe riuscito ad affrontare un eventuale crollo del ragazzo. Un po’
per un sentore d’inadeguatezza, un po’ per timore. Arrossì lievemente, senza
riuscire a fermare il calore che gli salì rapido alle guance. Abbracciato a
Crystal…
«…mannaggia…» brontolò.
Il moro dalla carnagione perlacea percepì un flebile flusso caldo
percorrere il corpo di Sivade e sospirò, nascondendo il viso nell’incavo del
collo del giovane.
Non accennò nulla a riguardo.
Poteva allontanarlo se voleva…
Poteva fare di lui ciò che desiderava…
Tutto questo a Crystal non importava ora.
Ciò non aiutò l’altro: il rossore si propagò su tutto il viso, senza
risparmiare nemmeno le orecchie. Nonostante Sivade
cercasse di nasconderlo più a sé stesso che al ragazzo, restare solo con
Crystal lo ricolmava di smarrimento.
Il vampiro accarezzò la di lui schiena con dita
agili e flessuose, inspirando il profumo che Sivade emanava, gli occhi serrati.
Finì per posare entrambe le pallide mani sugli esili fianchi dell’altro
ragazzo, respirando pesantemente, quasi affranto dal doversi allontanare.
Lo scostò leggermente, riaprendo debolmente gli occhi.
Trovò quasi subito lo sguardo dell’altro, che lo guardava con un moto di
sconforto via via crescente. Per alcuni momenti, il
desiderio di rimanere stretto al vampiro aveva dominato ogni altra ragione.
Come se la sua indole nascosta, subdola e smaniosa di manifestarsi, l’avesse
convinto a cedere per un lungo momento alla debolezza manifestata da Crystal.
Tuttavia il vampiro arretrò completamente, allontanando le gelide mani dal corpo di lui, stringendole con forza e rabbia maggiore.
Non sarebbe riuscito a perdonarsi per ciò che aveva fatto poco prima, ed
ora sentiva come “faticoso” sostenere lo sguardo del mago.
Socchiuse gli occhivoltando appena
il capo, la foresta che ululava attorno a loro.
Come perdonare la sete che aveva dimostrato di non riuscire a controllare a
discapito d’altri?
Sivade, seduto a guardare il cielo, non ascoltava nulla. Né il vento, né la
foresta che intimava di allontanarsi. Contemplava la luce scemare dietro la
linea delle montagne, come fumo dissolto dal vento.
Distrarre la mente era la sua unica via d’uscita.
La confusione, l’imbarazzo, l’incertezza: tutto poteva essere annullato,
concentrando altrove i pensieri che lo stavano ricolmando.
Sorrise mestamente.
Si era di nuovo creato il silenzio tra loro.
«…vogliamo andare…?» sussurrò soltanto il vampiro, rimettendosi in piedi.
Forse Sivade nemmeno l’aveva sentito, ma ciò non aveva importanza poiché si
decise ad allungare una mano verso di lui in una cortese proposta d’aiuto.
Badò bene a non incrociare gli occhi del ragazzo, il respiro lento ed
incalzante.
Ciononostante la mano del mago lo raggiunse quasi subito, dopo un attimo
d’esitazione. Strinse le pallide dita di Crystal, alzandosi con gesto stanco.
Il vampiro finì per attirarlo nuovamente a sé, il tremito delle mani sempre
maggiore, la forza delle sue braccia che non dava
spazio necessario a Sivade per allontanarsi da lui. Affondò il viso sulla
spalla del ragazzo, lasciandosi sfuggire un gemito di
evidente frustrazione, il respiro mozzo.
Il mago sospirò, accogliendolo tra le braccia. Non sapeva che altro fare,
vedendolo in quello stato. Indeciso per un istante, deglutì pesantemente prima
di baciargli una tempia, sentendosi andare letteralmente a fuoco.
Vergogna, vergogna e ancora VERGOGNA.
Non riusciva a pensare altro, mentre sentiva il freddo della pelle di
Crystal.
Questi posò le labbra di ghiaccio sul collo del ragazzo dalla pelle dorata,
muovendo leggermente la bocca sino a comporre una frase a senso compiuto, più o
meno…:
«…caldo…?» sorrise debole.
Sivade grugnì appena, trattenendo una risata amara:
« Colpa tua.» rispose, stringendolo con maggior
vigore, la sensazione delle labbra di lui che lo facevano rabbrividire senza
motivo valido.
«…mmh…».
Crystal staccò le labbra dal collo del giovane per poi posarle sulla sua
guancia rosea, vicino all’angolo della bocca di Sivade, le mani che gli
sfioravano la schiena con lentezza. Richiuse gli occhi assaporando quel breve
attimo. Non rendendosi conto dello stupore completo dipinto sul volto dell’altro.
Sivade si sentiva percorrere da uno strano flusso d’energia, misto ad
un’agitazione interiore che lo portò a fare una cosa di cui si sarebbe pentito
un attimo dopo.
Si mosse. Dalla parte sbagliata.
E i loro due respiri s’incontrarono.
Crystal sospirò, muovendo con più decisione le labbra su quelle del ragazzo
che teneva ancora stretto fra le sue braccia, sebbene una parte di sé stesso
considerasse ciò che stava facendo una cosa maledettamente errata, sbagliata ed
ingiusta.
Ma accantonò quel pensiero con un altro sospiro, sfiorando
ora con leggera maestria le tiepide labbra di Sivade.
Quest’ultimo era del tutto shockato, la testa vuota al punto da non opporsi
neanche a ciò che stava succedendo. Era solo…una situazione per lui del tutto
nuova. Si sentiva male e al contempo bene. Non riusciva a capirsi. Né capiva il giovane che ora lo stava baciando. Tutto gli
sembrava assurdo.
Quando Crystal allontanò le labbra da quelle dell’altro
ragazzo, si decise a riaprire gli occhi con disinvoltura, abbandonando le braccia
lungo ai fianchi aspettando la reazione di Sivade, pronto al peggio.
Respirò profondamente, gli occhi che fissavano il fogliame a terra non
sapendo che dire…
Che fare…
«…ti devo portare dalla mia maestra, se non ti dispiace.»
mormorò il mago all’improvviso, interrompendo
quell’imbarazzante silenzio.
Una mano ora in tasca, l’altra che afferrò nervosamente il vampiro per
trascinarselo dietro, senza riuscire ad aprir bocca.
Era tutto troppo strano, troppo assurdo.
Crystal non poteva saperlo. Oppure sì?
No. Non lo poteva sapere, ne era sicuro.
L’altro lo assecondò senza aprir bocca, gli occhi celesti che altro non
facevano se non fissare vacui la schiena di Sivade, confuso lui stesso dal
comportamento che aveva tenuto nei suoi confronti.
Abbozzò un leggero sorriso: «…come mai desidera tenere una conversazione
con il sottoscritto…?» chiese cercando di non rimuginare su cose che ormai
aveva fatto, le cui conseguenze si stavano riversando su di lui come un fiume
in piena.
Il mago scrollò le spalle, chiudendo gli occhi per un attimo, prendendo un
sentiero sterrato tra gli alberi. Sollevò il capo al manto stellato che ormai
li circondava e mormorò qualche parola indistinta, mentre alcuni bagliori
illuminavano loro la via.
« Madama Ixal trova interessante l’idea di poterti conoscere, credo.» rispose tranquillo, almeno in
apparenza.
«…va bene…portami da lei…».
Sivade sospirò pesantemente, poco incline alla cosa.
Si fermò, i bagliori che andarono a circondarli con rapidità mentre si
voltava ad affrontare Crystal. Cercando immediatamente gli occhi zaffiro di lui
che, prontamente, lo scansarono, guardando da
tutt’altra parte.
«Muoviti» lo incitò seccato l’altro.
« Volevo solo dirti di stare attento…» disse il mago, lasciandolo andare
per incamminarsi da solo tra quelle pallide luci, le mani in tasca.
Aveva deciso…di far finta di niente. Così tutto sarebbe stato più facile.
O almeno… così sperava.
Il vampiro dagli occhi color turchese tirò un lungo sospiro… ma non di
sollievo.
Entrambe le mani nascoste nelle tasche dei jeans
di pelle che indossava, s’avviò, seguendo con passo scapestrato.
In fin dei conti…non poteva fare altro.
Fu con quel pensiero che si lasciò immergere dalle luci richiamate dal
giovane Sivade.
Luci che ricordavano vagamente i raggi del sole, ma erano così tenui che il
loro fioco bagliore illuminava a malapena la strada che stavano percorrendo.
Talvolta, si poteva scorgere un guizzo variopinto al centro di queste, mano
a mano che il loro evocatore faceva strada.
Ogni filo d’erba, così come ogni ramo, sembrava vagamente attirato da quei
piccoli soli, da quelle due figure che camminavano in mezzo a loro. Dietro i
cespugli, gli abitanti della foresta spiavano intimoriti ed incantati
quell’insolito passaggio. Tutti, nella notte, sapevano che c’era qualcuno di estraneo in mezzo a loro.
Sivade sentiva la loro agitazione nel frusciare delle foglie, nella brezza
notturna che portava silenziosi messaggi, negli scricchiolii frammentati che si
potevano udire di lontano. Sorrise, incantato dall’interesse della natura.
Per un attimo, si pentì di non aver prestato attenzione a ciò che lo
circondava. Alzò il cielo, ed incontrò l’argenteo bagliore della luna.
Di colpo, s’incupì, rallentando il passo. Un viottolo acciottolato che
prese spazio davanti a loro.
Crystal altro non fece se non proseguire lungo quel breve sentiero
precedendo Sivade di poco. Non era tempo di titubare o lasciarsi andare ai
ricordi o ai timori:
se ve n’erano, quello era il momento giusto per lasciarli
andare o affrontarli.
Calciò un sasso a terra osservando con completo disinteresse la traiettoria
da lui presa. Con tristezza, si ritrovò ad ammettere la monotonia della vita:
indugiare e rimanere con l’amaro in bocca, attaccare e ritrovarsi
nel dubbio o lasciar scorrere per poi ritrovarsi a riflettere su ciò che
sarebbe potuto succedere.
Tutto ciò era davvero frustrante.
Calciò un altro sasso.
A quel punto, sentì qualcosa colpirgli il piede da dietro: Sivade,
inconsciamente o meno, l’aveva imitato con un gesto quasi automatico.
Alzò un sopracciglio scuotendo leggermente il capo prima
di riprendere a camminare verso un trascurabile cancello in ottone.
L’osservò con irrisoria attenzione: sembrava abbandonato a sé stesso, l’edera
che cresceva coprendolo in buona parte. Di là di questo poteva vedere una casa
modica, apparentemente abbandonata da anni, con le imposte che dondolavano
lentamente al soffio del vento, i vetri rotti e incupiti dalla polvere e dalle
intemperie.
In poche parole, tutto quel luogo appariva, fuorché la casa di una signora.
Eppure Sivade fissava il cancello con un’espressione tanto
annebbiata quanto scocciata, le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni.
«Vogliamo entrare?» si ritrovò a chiedere Crystal per forza di cose.
Di certo non poteva fare irruzione in casa… o meglio, in quella baracca in
cui presumeva esserci questa famosa “maestra” che tanto desiderava incontrarlo.
Si passò una mano ai capelli, pensieroso:
chiunque fosse quella donna, poteva almeno sprecarsi di invitarlo
in un ostello.
Nel mentre, Sivade si era arrotolato ai gomiti le maniche della maglia che
indossava, sputando su entrambe le palme aperte delle mani.
Chiudendo gli occhi, il mago posò le mani alla base del cancello con gesto
aggraziato, tradendo una sorta di nervosismo alla mano destra, vicino al piede
di Crystal. Dopo aver preso un lungo respiro, lasciò fluire il suo potere tutto
attorno al perimetro della proprietà, ridandole il suo vero aspetto, molto più
accogliente e sontuoso di quello apparente.
«Sei invitato ad entrare, signorino Crystal. » bofonchiò rialzandosi stancamente. L’acqua delle fontane
si faceva sentire, allegra e briosa come una sorgente di montagna, mentre il
cancello s’apriva senza alcun rumore, verso l’interno.
Il vampiro si esibì in un profondo inchino, tutto rivolto a Sivade, prima
di entrare con la sua consueta classe nel giardino che gli si stagliava davanti.
«Il luogo mi è già
più consono» commentò tradendo
un non so che di sadico, le labbra stranamente incurvate in un sorriso carico
d’eloquenza mentre percepiva chiaramente il nervosismo del gemello nascosto
sotto la sua giacca.
Qualcosa lo infastidiva.
Si passò un dito sulle labbra sorridendo maggiormente.
Si sentiva veramente… bastardo.
Dietro di lui, Sivade gli faceva il verso: faceva finta di avere una gonna
che non avrebbe mai portato, le labbra unite come per mandare un sonoro bacio
bavoso. Tra i due, odiava essere quello consapevole di cosa stavano andando
incontro. Si sentiva confuso, perché non gli era ben chiaro lo scopo di Ixal.
L’unica soluzione che gli restava era sdrammatizzare la cosa. Null’altro.
In quel momento, Crystal bussò alla porta, facendo finta di non aver
sentito i versi di Sivade. Dopotutto moccioso era e lo sarebbe sempre stato se
messo in confronto a lui. Ghignò, in attesa che
qualcuno venisse ad aprire.
Non era educazione far attendere gli ospiti.
Fu subito in seguito a quel pensiero che la porta si aprì lentamente,
lasciando far capolino al viso pallido di San. La piccola, vedendo il fratello,
gli si gettò tra le braccia, lasciando che fosse Goito ad aprire del tutto la porta.
Le due sembravano appena uscite da due film di generi completamente
opposti: un film dai toni sdolcinati la più giovane, e dai toni piccanti la più
longeva. Quest’ultima, in particolare, era vestita per così dire, tanto leggero
era il completo che indossava.
Sivade la guardò, senza riuscire a non sorridere:
« Oilalà…che misé…»
« Taci,
sbaciucchino.»lo seccò lei con rapidità, guardando Crystal con una vena di
sarcasmo:« Che peccato, non
c’è il piccoletto?» notò, prima di
svanire dietro
all’uscio, lasciando libera l’entrata.
Il vampiro non riuscì a trattenere una breve risata, il capo voltato verso
lo stipite della porta appena sorpassato: «…sbaciucchino…» ripeté con una
strana vocetta, di almeno due ottave più alte della norma.
«Il secondo candidato a quel nome sei tu…pedofilo…» fu l’ultimo commento della rossa prima di dileguarsi con
grazia.
Crystal ghignò ancora una volta, rendendosi conto di
assomigliare in modo terrificante al gemello: «oh,
si, sbaciucchiami tutto, baby!!»
esclamò fingendosi esilarato, scuotendo il sedere qua e là.
San, sconcertata, corse via urlando il nome della rossa, Sivade che
sculacciò quella robetta ballonzolante con gesto seccato.
« Senti,
contieniti, bel culetto. Hai capito anche tu il senso.»disse nervoso, guardando
altrove.
Crystal si ritrovò a fissarlo con due occhioni pieni di lacrime, le labbra
leggermente tremanti: «…nun m’ sculacci più…??» domandò con voce sadicamente infantile, per poi tornare serio
all’improvviso, come se avesse cambiato maschera nel giro di pochi millesimi di
secondo; Tom che compariva al suo fianco con un abbozzo di sorriso sulle labbra
rosee.
Sivade ignorò entrambi, andando a sedere sull’unica poltrona in velluto
presente nella stanza, anch’essa rigorosamente in nero come tutte le altre.
Fu in quel momento che apparve Ixal dalla porta dietro di lui, un abito in
seta nera che le lasciava scoperto l’abbondante seno. Un sorriso palesemente
falso sul volto incipriato, andò a sedersi su una delle poltrone in pelle, lasciando libere quelle accanto a lei, isolando
Sivade.
Quest’ultimo guardava già fuori dalla finestra,del
tutto disinteressato.
« Sedete, gentili,
incantevoli, aggraziati ospiti, prego.»accennò la donna, indicando le
due poltrone al suo fianco.
Il rasta, che si guardava attorno con evidente perplessità, soffermò gli
occhi sulla donna davanti a lui, un sopracciglio leggermente alzato: «Urca…che davanzale…».
Detto questo, con estrema nonchalanche, spostò lo sguardo sul davanzale
della finestra fingendo di esaminarlo con cura: «che materiale è…? Ha un non so che di…morbido…» si mordicchiò il labbro inferiore.
Crystal, invece, alzagli occhi al soffitto domandandosi “perché proprio a
me…?”.
Con un grosso sospiro si avvicinò alla donna, inginocchiandosi con innato
stile davanti a lei:
«la ringrazio per
l’invito, mia Signora…» sussurrò
prendendole una mano e baciandola mentre la fissava negli occhi con ricercatezza.
Ixal, ridendo gaia, congedò con un gesto vago Crystal permettendogli di
rialzarsi, guardando Sivade che aveva una mano davanti agli occhi.
« Sivade, il tuo
uomo è così…» mugolò appena « …piacente…» guardò Crystal
con un sospiro. «…povera me, lui ti
prenderà, e io dovrò ammettere d’invidiarti tanto che potrei
ucciderti!»
Il giovane si passò la stessa mano, che aveva prima sugli occhi, sul collo,
guardando Crystal con aria disinteressata. Un comportamento del tutto
menefreghista:
« Fanne ciò che
vuoi, mia maestra, se questo è in tuo potere. D’altronde, egli non è e mai sarà
mio, ma del giovane che ama il tuo davanzale, milady…» disse annoiato, accennando a Tom con la testa.
« Io non appartengo
a nessuno, se non a me stesso» rispose
prontamente il vampiro in una risposta dalle parole tanto decise quanto dette
con palese gentilezza. Rivolse un sorriso ad Ixal, esibendosi in un teatrale inchino prima di prendere posto sulla poltrona
al fianco della signora, accavallando le gambe fasciate dai jeans di pelle che
ancora calzava.
Tom sorrise divertito emulando il
fratello: «si…davanzale…meloni…angurie…
come vuoi chiamarle eheh…» spostò lo sguardo su un cesto di frutta «gustose, neh?».
Con aria schifata, Sivade tornò a fissare il cielo fuori della finestra,
per poi lanciare una cupa occhiata a Crystal. Non esagerare, quella era la
regola.
Ixal non sembrò notarlo, sistemandosi il vestito all’altezza del seno,
fissando intensamente Crystal:
«…Cosa ne pensate voi dei miei cesti di frutta…?» chiese vaga, un verso simile ad un conato da parte del
mago seduto debitamente a distanza.
Il vampiro trattenne il fiato un millesimo di secondo in più, continuando a
mantenere la sua aria composta e compiacente.
Spostò lo sguardo sulla cesta di frutta evitando, mosciamente, eventuali doppisensi: «…hanno uno
stile…ricercato…» rispose soltanto,
continuando a sorriderle accondiscendente.
«Altroché…devono
essere succosi…» aggiunse Tom
fissando un punto imprecisato dietro alla donna.
A quelle parole, saturo di simili discorsi, Sivade si alzò in piedi.
I cesti di frutta sparirono con un rumore sordo.
Ixal si trovò coperta sul davanti da uno scialle il raso, che accettò
garbatamente sorridendo al suo allievo.
Tra i due ci fu un breve scambio di sguardi, indecifrabile agli altri
presenti.
Fin troppo eloquente tra i due.
Dopo qualche secondo, Ixal sorrise mesta: « Non resti?» gli chiese.
L’altro la guardò con un sorriso tirato sulle labbra:
«Necessito di prendere dell’aria fresca, se ciò non turba le
vostre stanche membra. Sono certo che non direte nulla che vada a mio
discapito, durante la mia momentanea assenza…»
La donna rise rocamente, una mano davanti alla bocca: « Sivade, sembra quasi tu non voglia
vederlo con me!»
Lo sguardo di questi s’incupì tremendamente. Di quali sentimenti, era
difficile a dirlo: « Io non ho simili
pretese, milady. Buon proseguimento.»
Detto ciò, il ragazzo passò di fianco a Crystal, per poi svanire su per le
scale in marmo bianco. Il rumore dei passi che andò
via via affievolendosi.
Avverto
anche qui che, dopo una lunga meditazione a riguardo,
abbiamo
deciso che la categoria Sovrannaturale non era esattamente la migliore
almeno per
la grande quantità di contenuto vamp che possiede…
Quindi
resta sempre sotto I Sovrannaturali,
ma nella categoria
più specifica dei Vampiri.
Grazie
della vostra attenzione!
Mi
piace annoiarvi XD
Come
al solito, ringrazio i lettori e mi scuso a nome di
entrambe noi autrici per l’interruzione.
Ora,
postando questo 16° capitolo, vi posso informare che al 25°…
Forse…
Tutta
questa storia avrà una fine.
Leggete
questo capitolo,
il prossimo verrà postato
a fine settimana!
Bacioni
Yami
Capitolo 16: “ KillingLies”
Sivade non sapeva perché se n’era andato.
In realtà, si sentiva incapace di ragionare, sentendo quei discorsi privi
di senso.
Alla sola idea che Ixal cercasse di prendersi Crystal,
qualcosa si muoveva dentro di lui: un desiderio sempre più bruciante di svanire
nel nulla e dimenticare tutto.
Percorse il corridoio buio in tutta la sua lunghezza.
Alle pareti, quadri d’ambienti irreali, di città con
strane costruzioni in metallo, statue che occupavano un’intera isola davanti ad
una metropoli. Sembravano foto d’altri tempi, forse già passati, forse
prossimi a venire.
Si diresse verso l’ultima porta del corridoio, aprendola dopo un sospiro
d’esitazione. Subito, gli saltò in braccio San, che aveva atteso con ansia il
ritorno di quello che ancora credeva suo fratello.
Abbracciandola con dolcezza, Sivade alzò lo sguardo su gli altri presenti
nella stanza: Goito, con nuovi abiti più consoni, e un gatto nero dagli
splendidi occhi verdi, che lo guardavano con attenzione.
« Ciao, Heloim…» salutò Sivade con un sorriso tirato.
« Si.» fu l’unica risposta, seccata, del felino.
« Improvvisamente mi sembra che tu sia molto…restio a vedermi..» osservò il moro, chiudendosi la
porta alle spalle.
«Si.» ribattè l’altro
con aria annoiata, muovendo di qua e di là la coda.
Il mago si ritrovò a sorridere mestamente, per poi sedersi sull’unico letto
presente nella stanza, coperto di soffici coperte color
ametista. Un istante dopo, vi era disteso, lo sguardo fisso al soffitto.
« Non capisco più chi sono…»
Il ragazzo dagli esili lineamenti scolpiti nell’alabastro si ritrovò ad
osservare in accorto silenzio la dipartita di Sivade.
L’aveva lasciato là, da solo, in balia di quella che il mago considerava la
sua insegnante. In fin dei conti non gli era stato
spiegato nulla:
il perché la sua presenza era stata richiesta, il perché di
certi atteggiamenti ostili nei confronti di quella donna ed il perché stava per
intromettersi in una situazione che, almeno lui, credeva non appartenergli.
Gli occhi dalle iridi ancora turchesi, tornarono a posarsi su quella donna
seduta composta davanti a sé:
«Non ho ancora avuto l’onore di chiederle personalmente il nome, sebbene mi
fosse già stato riferito da altri. Credo possiate ben
immaginare chi. Per forza di cose certe informazioni possono sfuggire di bocca,
dopotutto» spiegò, stranamente eloquente, Tom che andava ad occupare il posto precedentemente preso da Sivade.
«Ixal De Ramutz. Maga a servizio del…» la donna
trattenne un risolino «…no…Maestra del signorino
Sivade. Null’altro.»Fu una risposta
alquanto incerta, ma poco le importò, in quel momento.
«Capisco…e posso chiederle…da quanto tempo…?» proseguì, un sorriso innocuo
stampato sulle labbra pallide e sfiziose, Tom che gli lanciò un’occhiata
perplessa mentre cercava di occupare più spazio possibile sulla poltrona in pelle.
Ixal cercò di non esibire un’espressione troppo divertita: « Da quando i
suoi genitori l’hanno ripudiato.» disse
tranquilla, un sorriso cordiale sul volto. Le mani andarono ad unirsi sul suo
grembo, come per nascondere il divertimento che la stava ricolmando.
Perché aveva chiamato Crystal?
Oh, molto semplice.
Per irritare a morte Sivade.
Per farle vedere cosa significava essere donna.
Rise, la maga, al pensiero di Sivade chiusa nel suo corpo maschile,
incapace di accettare un rapporto con qualsiasi altra persona.
Solo perché ancora persa in una casta, fanciullesca verginità.
« Sivade non ha mai avuto buoni rapporti con nessuno, se non con le
battaglie…Io ho fatto quello che potevo, naturalmente.
Ma non abbiamo un buon rapporto…colpa anche di un giovine
di Amestris. » concluse annoiata.
Tom, gambe completamente stravaccate, si ritrovò ad osservare la donna con
un moto di perplessità ancora maggiore: Crystal si prese l’incarico di chiarire
quel miscuglio di informazioni appena ricevute.
«…per quale motivazione ha deciso d’offrirmi tali
informazioni…?».
Lo sguardo languido ancora concentrato su quella donna:
gli occhi che accarezzavano con assoluta calma i lineamenti
di lei, le mani posate elegantemente sui braccioli della propria poltrona.
Ixal lo guardò dritto negli occhi, sprizzando allegria da tutti i pori:
« Perché tu non sai niente di lui, proprio
niente!» rise ancora, incapace di trattenersi.
«Ne sono ben conscio» rispose prontamente, sorridendo di rimando senza
sentire il bisogno di aggiungere altro.
L’altra, alzandosi in piedi, si diresse verso la finestra che Tom aveva
tanto osservato, sorridendo: «…per esempio…» cercò lo sguardo di Crystal « i
suoi genitori erano i precedenti sovrani di Amestris.»
.
A quella notizia alquanto inattesa, l’espressione di Tom si contorse in un
paio di smorfie che non riuscì a nascondere. Portò una
mano al berretto, voltando il viso dalla parte opposta del gemello, abbassando
il frontino in un gesto elusivo.
Da parte sua Crystal non mostrò alcuna emozione,
gli occhi ancora posati su Ixal come a volerla fronteggiare a viso aperto.
Era un vampiro, creatura della notte che tutto sapeva controllare:
conosceva ogni cosa, sapeva comprendere ogni gesto ed ogni
allusione.
Una mano si contrasse nervosamente, uno spasmo che non seppe trattenere.
«…Sivade principe di Amestris, dunque…» sussurrò
soltanto, socchiudendo per un breve istante gli occhi, interrompendo il
contatto visivo creatosi.
Ixal lo guardò, piacevolmente soddisfatta dell’espressione dipinta sul viso
d’entrambi: « Non lo sapevate, messer Crystal?» chiese con una cortesia
sarcastica, gaudio che traspariva anche dagli occhi.
Il vampiro si sistemò con movimenti accorti, gli occhi che si riaprirono
mostrando un lampo di sadismo, le labbra che s’incurvarono nuovamente in un
sorrisetto di disumana crudeltà:
«No Madama, non ero a conoscenza di tale…» alzò per un breve istante gli occhi
al soffitto trattenendo una risatina «…omissione…».
La donna parve compiaciuta di quella reazione, attraversando la stanza per
arrivare alla rampa di scale, tamburellando sul corrimano di legno laccato.
« Cosa vuoi?»
Sivade era apparso praticamente dal nulla. La
fissava con un disprezzo tale da stonare totalmente con l’espressione spersa di
San, che si guardava intorno senza capire com’erano giunti là.
« Volevo solo dirti che ho finito di conferire con questi due signori…»
disse divertita la donna, notando Goito ed Heloim giungere come nebbia dietro
il ragazzo. Il gatto si limitò ad osservare i due di sotto, poco interessato.
«…signori…» ripeté poco convinto il felino, abbassando un orecchio nero.
« Avrai fatto di certo del tuo meglio per distanziarli. Ti sono grato di
aver divulgato i miei affari senza prima consultarmi,
maestra.» disse stringendo i pugni.
Crystal si mise in piedi con gesto fluido, aggraziato e tranquillo, lo
sguardo completamente indifferente alla presenza dei “nuovi arrivati”.
Tom trattenne un ghigno alzandosi dalla poltrona a sua volta, le mani
nuovamente in tasca mentre camminava spavaldo verso l’uscita:
«…Il principe e la concubina reale…?» commentò sadico riferendosi
chiaramente a Goito con estrema nonchalanche, una tecnica chiaramente imparata
dalla disinteressata maestria del fratello. Un modo come un altro per
sdrammatizzare.
Sivade lo guardò, cercando di trattenere un gemito:
« Non starò mai con nessunofinchè
sarò…» aprì le braccia per far cenno al suo corpo «…così.». Chiuse gli occhi,
sospirando. Avrebbe voluto sfogarsi, colpire Ixal.
Odio cresceva nelle sua mente.
Guardò Crystal, gli occhi vacui: « Odiami.»
Il vampiro si esibì in una leggera scrollata di spalle seguita da una breve
risata di Tom che fece il verso a Sivade: «Odiamiiih!»
esclamò, con vocetta tremula, gli occhioni sbarrati, dondolandosi sulle gambe.
Goito alzò un sopracciglio:« Volentieri,
piccoletto.» disse, prendendo per un braccio Sivade,
cercando di assorbirne la frustrazione.
Lui la scansò, scendendo le scale. Giunse al livello di Ixal,
fissando imperterrito Crystal, per poi chiudere gli occhi e lanciare
un’occhiata tagliente alla donna che aveva raggiunto: « Hai informato i qui
presenti di qualcos’altro?» chiese, allusivo.
La maga sorrise soddisfatta: « Solo che sei
un principe ripudiato.»
Sivade chiuse gli occhi a quelle parole, cercando di trattenere il riflusso
che Goito tentava di tenere a bada grazie al legame che aveva col suo creatore.
« Capisco…».
« Andiamo » disse a quel punto Crystal interrompendo ogni genere di
discussione, senza aggiungere “con chi” e “dove”.
Che lo seguissero tutti, a lui non importava.
Che lo lasciassero andare solo, non cambiava
nulla.
Voltò lo sguardo sulla donna che lo aveva, per così dire, “illuminato”
sulla situazione: «la ringrazio per la cortese ospitalità» fece un profondo
inchino, miseramente imitato da Tom che accennò ad un saluto portando una mano
al frontino, ignorando completamente il commento della rossa.
Ixal s’inchinò leggermente a Crystal: « Felice di avervi conosciuto. Credo
che avrete molto altro da scoprire, comunque…»
« Finiscila.»
La donna si voltò verso Sivade, che non era più riuscito a mantenere la
calma faticosamente conquistata.
« Dico solo…»
« Dici solo cose che fanno soffrire, zia Ixal…» spuntò fuori San, correndo
al fianco di Crystal, afferrandolo per un braccio: « Sei cattiva. Loro sono
amici e tu vuoi dividerli.» disse facendo il broncio.
Vedendola, Goito rimase a dir poco interdetta, tanto quanto il felino in
cima alle scale. Sivade, d’altro canto, rimaneva immobile, incapace di
decidere.
“Andiamo” comprendeva anche lui?
Si sentì stringere lo stomaco ed alzò lo sguardo su San, che gli sorrise con calore.
« Siva, devi fare pace, devi venire con noi!»
disse la bimba sorridendo con innocenza immacolata.
Il vampiro abbassò lo sguardo sulla ragazzina al suo fianco, gli occhi che
non esprimevano altro se non il nulla. Le scompigliò i capelli con un gesto
vago, il gemello che spalancò la porta di colpo: «…ma che aria viziata qui…uhuh».
«Se ti lavassi forse…» fu il commentò di Goito.
Sivade guardò questa passargli a fianco e uscire dalla porta con aria
annoiata, guardando il cielo sopra la casa in cui stavano. Si voltò a guardare
Sivade, tranquilla, poi chiuse gli occhi: « Andiamo
comprende anche la miglior concubina dei Regni Alleati?» chiese con vago
sarcasmo al rasta, provocatoria.
Tom storse leggermente le labbra, la fronte corrucciata in un espressione falsamente pensosa: «…beh…forse concubina è
un aggettivo troppo fine… “Cortigiana” va già meglio…» abbassò lo sguardo su di
lei sorridendo malizioso «e di poca classe pure…» ghignò « troppo pallida,
magra, sgraziata e volgare » si avvicinò a lei, un sorriso disumano in volto.
La ragazza si terse un indice con la lingua, per poi passarlo sulle labbra
di Tom: « Pagami…e gemerò per ogni parola che proferisce dalle tue
labbra…amore…» mugolò appena, dando un piccolo assaggio.
Il biondo ghignò, indicando al fratello la rossa: «osserva la mia arte.
Solo osservandomi gode» disse gasato mentre Crystal si esibì in un’espressione
alquanto…schifata: «…la malizia altro è se non volgare espressione
d’inadeguatezza ».
Goito sorrise cortese a Crystal: « Mi
trovo a concordare con te.» guardò vagamente Tom negli
occhi: « Illuso.» disse solo, stringendogli con una
mano i “gioiellini”, per poi allontanarsi verso il viale.
«Donnaccia!» le urlò dietro il biondo con vocetta strozzata, Crystal che si
limitò a sospirare scuotendo il capo esasperato, seguendo la rossa con passo
adeguato alla velocità della piccola al suo fianco.
Goito li attendeva al cancello, poco incline a badare Tom, guardando Sivade
in attesa. Il giovane sospirò, facendo un cenno al
felino, per poi uscire a sua volta. Lanciò un’occhiata a Tom quando gli passò a
fianco:
« Lo so, bisognerebbe metterle un cartello con
scritto: “Attenzione, morde.”» sorrise forzatamente, affiancandosi a Crystal
facendo finta di niente, San tra loro due. Come all’inizio.
Il moro, leggermente infastidito dall’andatura troppo lenta di San, si
chinò per accoglierla fra le sue braccia, in modo tale che egli potesse
aumentare di un minimo la velocità. Dopotutto si trovava affianco di umani e non poteva correre più di tanto. Portò una mano
sotto alle ginocchia di San, sussurrando un semplice
“Reggiti…”, vicino al suo orecchio.
Tom abbassò lo sguardo a terra, improvvisamente silenzioso, come a voler
lasciare privacy.
« Bambino, hai bisogno anche tu di essere preso in braccio per muoverti?»
chiese di lontano Goito, voltando la testa. Non che volesse
sembrare gentile. Semplicemente, condivideva almeno in parte i pensieri
del rasta.
Alla fine, erano loro gli unici ad essere di troppo. Ma
lasciare San da sola con quei due…in quella situazione…non era proprio il caso.
Tom calciò debolmente il sasso, scuotendo le spalle, silenzioso:
«non abbisogno di simili attenzioni, grazie per il pensiero» rispose
soltanto, vacuo.
Sivade aprì il cancello con un gesto
della mano, cercando di trovare modo per evitare il più possibile di parlare.
Goito dal canto suo sbuffò innervosita, andando a prendere con entrambe le
mani Tom, nervosa. Lo sollevò di peso sopra la testa, portandolo fuori:
« Odio i rasta.» sbuffò, per niente femminile.
Tom ghignò tirando un urletto falsamente
spaventato:
«palpatrice di culi!»
esclamò dimenandosi sopra di lei, muovendo il bacino con maggior vigore.
Crystal osservò la ragazza e il gemello, senza aprir bocca.
Non sarebbe stato lui il primo a parlare.
Sivade, d’altra parte, era ostinato quanto lui.
Solo San sembrava incline a parlare, infatti si
voltò verso i due poco avanti, osservandoli per un lungo momento: « Vi amate?»
chiese innocentemente.
Goito si voltò a guardarla, stringendo violentemente la presa su Tom: « DA
MATTI GUARDA.» ringhiò
furibonda, spaventando persino Sivade.
Tom sentì un nodo alla gola, il viso dolorante:
«ho capito che ti piace il mio culo
sodo ma insomma!!» urlò con voce stridula «mettimi giù o m’arrabbio».
« Ok.» sbottò
lei,lasciandolo cadere per terra senza curarsi di lui, incamminandosi
rapidamente verso il sentiero che si apriva tra gli alberi.
«Ma vaffanculo!» ringhiò lui, tornando clessidra argentea, spostandosi
sulla testa di lei colpendo ripetutamente, nervoso,
sempre più forte.
L’altra lo lasciò fare, intristendosi:«…scusa…»
sussurrò appena, accelerando il passo.
La clessidra smise improvvisamente di sfogare i suoi istinti, limitandosi a
galleggiare al suo fianco. Segno che avrebbe lasciato
correre.
Sivade osservò la scena.
A guardare Goito, la tristezza lo pervase del tutto.
Se lei era abbattuta, la situazione era a dir poco…tragica.
Il ragazzo si rese conto che non c’era verso.
Ad aspettare, non sarebbe cambiato nulla.
Dopo l’ennesimo sospiro, si decise: « Mi era stato detto che la Regina ti
aveva riferito alcune cose…» disse con un filo di voce.
«E dunque? Con questo?» rispose seccamente
Crystal, accarezzando lieve i lunghi capelli neri di San.
« Non ti aveva detto delle mie origini?»
«NO».
« Allora l’ha fatto apposta. Lo sapeva anche lei…» cercò di sviare,
titubante.
«Non scaricare la colpa su altre persone».
« Mi hanno tolto la carica di principe, non potrò
mai avere parte nella vita di corte se non come comandante dell’esercito…».
« Felice per te» rispose soltanto Crystal, la voce sempre più bassa e
severa, le mani che continuavano imperterrite ad accarezzare San.
« Ma non cambio solo perché sono figlio di re!»
esclamò esasperato l’altro, portandosi entrambe le mani ai capelli: « Sono
sempre io!».
«Immagino» aggiunse Crystal, socchiudendo leggermente gli occhi,
bloccandosi in mezzo al sentiero appena imboccato.
Sivade cercò di trattenere i tremiti che lo percorrevano. Non era né
tristezza né rabbia. Era solo pura confusione che lo stava debilitando
nell’animo.
«Ciò detto, cambierà soltanto il mio atteggiamento nei vostri confronti,
mio Principe» continuò calmo il vampiro.
Un gemito proruppe da Sivade a quelle parole, che lo guardò
completamente sconvolto: « TI HO DETTO CHE NON SONO UN PRINCIPE!» ribattè stridulo.
Il vampiro si mise in ginocchio, a terra, spingendo San ad andare avanti, a
raggiungere la ragazza ed il suo gemello poco più avanti di loro, silenzioso.
Quella sembrò capire l’implicito messaggio, correndo rapida a giocare con
la clessidra che sembrava non gradire simili attenzioni, lasciando soli i due.
Sivade roteò gli occhi evitando di guardare Crystal inchinato davanti a
lui.
« Ti prego…» lo supplicò, coprendosi gli occhi.
Il moro alzò gli occhi su di lui limitandosi a commentare quel gesto, in tutta
tranquillità: «…tipica reazione femminile…» sussurrò, ora lo sguardo nuovamente
a terra, come le mani ed il ginocchio sinistro.
L’altro lo guardò terrorizzato, facendo un passo indietro: « Non è vero! ».
«Non sono certamente gli uomini che nascondono il viso con le proprie
mani…» poi sembrò bloccarsi, ridestandosi all’istante «ah…vero…ma lei è un
Principe…perdonatemi… la vostra altro non è se non misurata eleganza».
L’altro colse la palla al balzo: « Sì, è quello. Proprio quello.» disse affrettato.
«Scusate la scortesia» ripeté Crystal con un grosso
sospiro « non era mia intenzione offendervi con i miei commenti
spropositati».
Sivade lo guardò, per poi inginocchiarsi a sua volta davanti a Crystal.
«…per favore…» lo supplicò solamente, un’espressione triste sul volto.
Il moro si passò una mano ai capelli, la fronte ora posata al proprio
ginocchio:
si sentiva completamente…sconfitto.
«Per favore…cosa…» ribatté debolmente.
«Non smettere di darmi del tu…» spiegò il mago, posando una mano sulla
spalla destra del vampiro.
«Io sono estremamente stanco d’essere all’oscuro
di tutto» spiegò, senza muovere un muscolo, solo il suo petto che s’alzava ed
abbassava al ritmo del proprio respiro « quella che cerco è un’esistenza
tranquilla, da anni lavoro per ottenerla. Non credo di poter più sopportare
simili colpi bassi» concluse alzando,ora il viso.
Sivade sentì qualcosa trafiggergli lo stomaco a quella frase, cercando di
non lasciar trasparire nulla: «…uno in più…?» propose appena.
Crystal si limitò a fissarlo negli occhi, eloquente.
L’altro non distolse lo sguardo, cercando di non tradirsi: «…è solo…un
indizio…».
Il vampiro respirò profondamente, tornando a rizzarsi in piedi:
«la ringrazio per l’avvertimento mio Signore».
Sivade si riportò le mani ai capelli, incapace di reagire altrimenti: « Non
ho niente più di te!» cercò di ribattere, scosso da tremiti che sfogavano i
suoi sentimenti costantemente repressi. Sapere di essere uno
“scarto reale”, uno scherzo della società, una donna senza la sua natura…
Lo stava debilitando sempre più.
«…Perché t’interessa tanto la mia…“compagnia”?» domandò il vampiro, non
sapendo in che altri termini definire quelle…suppliche a lui rivolte?.
Sivade lo guardò, rendendosi conto che non poteva comportarsi in quella
maniera. Scostò per un attimo lo sguardo, alzandosi in piedi. La mente cercava
una risposta razionale, scansando i sentimenti che premevano per urlare la
loro.
Ma non sembrava esserci alcuna alternativa.
Il mago tornò a guardare il vampiro: « Non posso…?» chiese
sperduto.
L’altro chiuse gli occhi, respirando profondamente.
Poteva…?
«…Non è la…condizione migliore per…te» rispose passandosi una mano dietro
al collo, nervoso e teso.
« Non hai risposto alla mia domanda.» lo seccò il
mago, i medesimi sentimenti che stavano ricolmando via via
anche lui.
Crystal scosse leggermente le spalle, continuando a
massaggiarsi il collo con leggero nervosismo. Riprese a
camminare, tornando a fissare terra:
«la scelta è tua».
« Voglio la tua compagnia.» gli disse Sivade, certo
almeno in quell’affermazione.
Crystal abbozzò un leggero sorriso: «che genere di compagnia…?» chiese,
rimembrandosi istantaneamente della frase detta da lui stesso, poco prima.
Si trovava evidentemente a disagio.
L’altro alzò gli occhi al cielo, cercando risposta a quella domanda dal
sapore ambiguo. Sorrise, dando una gomitata al moro per sdrammatizzare:
« Morbosa e assidua tesoro…» ridacchiò.
Crystal si ritrovò a sorridere divertito, apparendo davanti al mago per poi
prenderlo per la vita con un braccio che lo sosteneva, l’altro ai capelli di lui: «ne sei certo…?» sussurrò al suo orecchio,
sensuale.
«…A-hem…» l’altro si trovò ad arrossire
leggermente: «…sì…?» rispose esitante.
Il vampiro accarezzò il collo dell’altro con le proprie labbra: «perché è
questo che io…definisco …“morboso”…» proseguì vago, la voce estremamente
bassa.
Sivade rise nervosamente: « Il bello è che sembra piacerti…» osservò,
stringendo i pugni per mantenersi calmo.
«…Non dovrebbe…?» sorrise ambiguo, una mano che scese ad accarezzargli le
braccia con studiata lentezza. Un’altra cosa era certa: perché avrebbe dovuto dispiacergli?
Rise sottile.
A quell’espressione canzonatoria, Sivade si ritrovò a rabbrividire
violentemente: «…Stop…?» propose posando la testa alla spalla di Crystal.
«…Peccato…» sussurrò di rimando il vampiro, prodigandosi a baciare più a
fondo il collo del ragazzo che stringeva a sé. Intenzionato a lasciare,
perlomeno, un piccolo segno rosso. Rise ancora, cristallino.
L’altro aveva chiuso gli occhi. Non che potesse fare altro,
data la presa che il vampiro esercitava sul suo corpo: « Mi spieghi…che
stai facendo…?» chiese in un gemito, cercando di calmarsi.
«…Marco il territorio…?» sussurrò sul suo collo, decisamente
compiaciuto, massaggiandogli la nuca con calma «…dato che devo
fermarmi…principe…».
«…Ah…» sibilò l’altro in difficoltà, incapace di comprendere.
Fine sedicesimo
capitolo.
GLI
HA FATTO UN SUCCHIOTTOOOO!! (ride)
L’ho
riletto prima di postarlo, tanto per quel che cambia,
leggerlo per la
40esima o 41esima volta
non mi cambia molto.
XD
Alla
prossima, con il ritorno al tempio e una delle solite scenate Tom-Goito!
Questo
capitolo è, in particolare, incentrato su Crystal.
Da
un primo impatto, non si direbbe, ma tutto,nel corso
della storia, ha sempre gravitato attorno a lui, Sivade compreso XD
Qui
si avvia quello che potremmo definire lo “sblocco
totale” della storia.
Non
aggiungo altro, augurandovi con tutto i cuore…
BUONA
LETTURA.
Capitolo 17: “Birdcage”
Il tempio li aveva accolti, come sempre.
Quella non era casa sua, piuttosto un rifugio dove trovare calma e riparo:
forse un luogo di pace, in cui Crystal aveva avuto la fortuna
di essere stato ammesso, o forse, più semplicemente, il luogo dove riposava
colui che aveva considerato…l’ultima persona più importante della sua
esistenza.
Osservò il portone chiudersi alle loro spalle, rosso e
brillante come sempre:
enorme, imponente, rassicurante in un certo qual senso.
Spostò lo sguardo alle bandiere, anch’esse rosse, che svolazzavano
fissate al loro palo. Si ritrovò a sospirare senza saperne il motivo, lo
sguardo che si spostò ora su un vecchio bonzo, completamente pelato e fasciato
nella propria tunica rossa, che li salutò con cortese inchino augurando una
buona permanenza.
Ne notò altri molto giovani coltivare il maestoso giardino sempre ben
curato, altri che si prodigavano a pulire terra.
«Siete giunti in ore di pulizia» spiegò tranquillo Ren, salutandoli a sua
volta con un inchino appena accennato, il fratellino Soo nascosto dietro di
lui:
un bambino che aveva circa la stessa età di San, con la
particolarità di assomigliare in tutto e per tutto al fratello, soltanto una
ventina d’anni prima.
«Perdona il disturbo insistente…» si scusò prontamente Crystal, parlando
per tutti «…ma non sapevo in che altro luogo sicuro
condurli…».
«Siete sempre i benvenuti» lo interruppe il giovane bonzo, sorridendo
gentile a tutti: da Sivade a Goito, da San a Tom.
Lo sguardo si fermò, in particolare, su quest’ultimo abbozzando un sorriso
divertito rimembrando l’ultimo loro incontro.
Goito seguì quello sguardo, apparentemente interessata: « Pure i bonzi…?»
chiese al rasta, trattenendo un sorrisetto sadico.
«Modestia a parte…» iniziò quello sorridendo «sono una calamita umana!»
s’inchinò goffamente, dimostrandosi, se non buffo, maldestro.
«Modestia a parte…» lo riprese Ren tranquillamente «…sei uno scherzo di
madre natura…».
Il biondo, a quelle parole, mise il broncio.
Ren lo prendeva sul serio, dopotutto.
« Modestie a parte…» s’intromise Goito «…l’ho
sempre saputo…».
Tom si portò entrambe le mani ai fianchi, la maglia extra-large
che si piegò in mille grinze. Una donnaccia irritante, quella Goito-cortigiana:
«cos’è che avresti sempre saputo…?».
Fu allora che Crystal scosse il capo, le mani ancora in tasca, esasperato:
«basta flirtare, voi due…».
Tom allora si bloccò di scatto, la bocca aperta, suscitando le risa
innocenti di Soo.
« Allora è vero che si amano!» esclamò felice San, battendo le mani.
L’entusiasmo le si dipinse chiaramente sul volto,
mentre saltellava dalla gioia.
Sivade rise a quella situazione, precedendo tutti quanti nell’entrare.
Goito fu impassibile: « Che sei uno sfigato.» lo informò tranquilla, sorridendo nervosamente a San.
«Sono imbarazzatii!!» esclamò Soo strattonando la
tunica rossa del fratello, il viso arrossato per l’emozione di tale scoperta
«Zio Tom si sposa!».
Tom scattò a guardarlo terrorizzato: « Va de retro Satana! ».
Goito lo prese a braccetto, suadente:« Ma dai
amore, non possiamo tenerlo nascosto a lungo…» disse con espressione vaga.
Quello si ritrovò a rabbrividire con violenza. Alzò gli occhi verso Ren
implorando pietà: «…esorcizzala!» lo strattonò per la tunica
disperato «non puoi condannarmi ad un matrimonio!» urlò scrollandolo con
forza sempre maggiore.
Crystal che osservava la scena con una mano ai capelli, prima di rivolgere
gli occhi al cielo: «…tu…se esisti…curalo…» sussurrò.
Esilarata, Goito prese a baciare il collo di Tom accarezzandogliun braccio: « Mio sposinooo…!»
gli sussurrò all’orecchio rocamente, trattenendo le risate.
«All’inferno forse!» rispose con voce soffocata, rabbrividendo leggermente,
una mano al cappello per abbassarselo sul viso; Soo che batteva le mani a sua
volta iniziando a dare disposizioni al fratello per il matrimonio imminente:
«Rose rosse! E bianche! Così sono in tinta con le
mura! Il tappeto già l’abbiamo, non serve!».
Crystal si voltò ad osservare Sivade, esasperato.
Questi guardò divertito Goito, che ricambiò lo sguardo staccandosi da Tom,
scompigliando i capelli al piccolo bonzo.
« Non ci sarà matrimonio, io non posso legarmi a nessuno, mi dispiace…» tornò a guardare il rasta, divertita: « Ah…e mi
devi 2 pezzi di rame per i due marchi che hai…lì!» precisò, due segni rossi che
andavano comparendo sul collo del biondo.
«Te li tiro dietro. Due cocci in testa» rispose semplicemente Tom,
riacquistando la sua voce normale, mentre Soo fissava Goito con due occhioni
enormi, suscitando la perplessità del fratello Ren.
A quel punto Crystal si dissolse nel nulla, senzaaprir bocca.
Sivade fece un musetto contrariato a quella scomparsa, San che afferrava
Tom per un braccio: «…Non ti rende felice…? Non ti…capisce…?» chiese con i lacrimoni agli occhi: « Non ti piacciono i suoi balconi?».
Tom abbassò lo sguardo sulla bimba, aggrappata letteralmente al suo braccio
abbronzato: «mai vista casa sua…» rispose evasivo ed ambiguo, un sorrisetto che
andò a stamparsi immediatamente sulle sue labbra.
Soo, nel frattempo, sotto lo sguardo attento di Ren, andò
a prendere una mano alla rossa, il viso che esprimeva solo preoccupazione:
«…dimmi…a me puoi dire la verità…» sussurrò imitando il fratello «per caso…non
è bravo…a far scricchiolare il letto…?».
Ren rimase completamente senza parole per tale linguaggio utilizzato dal
piccolo.
Sivade non ne potè più, defilandosi da quella
situazione, mentre Goito cercava di venire a capo di quel discorso.
Si chinò davanti a Soo, l’espressione cupa: « …è meglio una scimmia…»
rispose con un’espressione mortalmente seria sul volto.
Il piccolo guardò sconvolto “lo zio”, portando una mano a coprire la bocca:
« Ma a me sembrava abbastanza rumoroso…» disse perplesso, il rasta che si voltò
dalla parte opposta sospirando.
Goito sorrise con gentilezza pacata a quel commento, soffocando una risata:
«Quando russa…sì….»
Tom a quel commento, quasi a rallenty, si voltò a fissare Goito, con occhi
perplessi, terrorizzati e scocciati al contempo, (oltre che compiaciuti):
«Mi spiaaaaaaaaa!» esclamò, ormai preda della
Goito-fobia.
A quanto sembrava, rifletté la ragazza, tutti si erano
dimenticati che in realtà lei non era…umana. Non lo sarebbe mai stata,
indi per cui era piuttosto stupido pensare che potesse
unirsi ad un ragazzo. Guardò Soo priva d’ogni espressione sul
volto, poi si rialzò, avvicinandosi nuovamente a Tom:
« Non ti preoccupare…ti ucciderò semmai, non ti sposerò. » spiegò con
calma, sorridendo malevola.
Ren scosse il capo, lo sguardo posato alla schiena della rossa, imitato da
Soo che già conosceva il commento di Ren. Di certo non l’avrebbe risparmiata:
« di tali parole, un giorno te ne pentirai…» disse solenne, mentre il viso
di Tom sembrava riprendere il suo colore naturale.
«…Attenderò con impazienza la fine del mio tempo…» ridacchiò il rasta,
avviandosi verso una delle stanze che sapeva essere adibite per gli ospiti: « e
stanne certa, non te lo impedirò. Mantengo le promesse…».
Goito lo guardò con assoluta calma, prima di retrocedere di qualche passo
dal tempio, le mani dietro la schiena. Si sentiva leggermente confusa...
Perché lui avrebbe accettato…di essere ucciso?
« Vabbè.» disse scrollando le spalle, per poi
andarsene senza congedarsi.
Tom la salutò con un gesto disinteressato della mano, prossimo ad aprire la
porta della sua stanza temporanea mentre Ren si metteva allo stesso livello di
Soo, afferrandolo per le spalle: «…i letti che scricchiolano…??» chiese, in
cerca di spiegazioni.
Un giovane dai capelli color dell’ebano fissava una liscia e ben curata
pietra posta al centro di un piccolo giardino, recintato da una ringhiera
d’acciaio dalle volute gotiche. Era una lapide bianca, i cui caratteri incisi
con calligrafia fine e precisa spiccavano in maniera molto chiara agli occhi di
chiunque.
E Crystal, inginocchiato davanti ad essa, altro
non faceva che fissarla in un silenzio colmo di tristezza e rimpianti. I
ricordi liberi di vagare.
Accarezzò la pietra con gesto lento e carico di significato, conscio della
presenza di un certo qual principe nascosto a spiarlo da qualche parte.
Sivade non doveva essere più distante di qualche metro.
In effetti, sedeva con la schiena al muretto che attorniava il giardino,
perso a guardare davanti a sé. Teneva una mano sul collo, coprendosi qualcosa
in particolare. Aveva seguito Crystal solo perché non sapeva dove altro andare.
Non c’era desiderio di spiarlo, per questo si era
tenuto a debita distanza.
Sinceramente, il mago non riusciva ancora a capire se il moro in certe cose
scherzasse o meno. Lo sguardo corrucciato, il giovane
riprese due momenti in particolare di quella lunga giornata. Sospirò, posando
la testa ad un ginocchio.
Dimenticare sembrava l’unica via d’uscita, per non lambiccarsi in eterno.
Da parte sua, Crystal non dava segno di averlo notato, troppo perso a
fissare quella tomba, immerso dai sensi di colpa che non era ancora in grado di
sopprimere. Era stata una perdita troppo rapida e dolorosa, una perdita che
pensava essere superficiale, poco importante, se paragonata a quelle da lui
assistite in passato. Ma sbagliava.
Ormai non poteva più fare a meno di tornare a far visita a quel luogo.
Si portò una mano al petto stringendo un anello di platino, legato ad una
catenella d’oro. In un gesto quasi automatico.
Il vento si alzò attorno a lui, accarezzandogli il volto, per poi sfiorare
la pelle ambrata di Sivade. Quest’ultimo tornò a guardare il cielo, alla
ricerca di un brandello di sicurezza. Ma quel cielo
oscurato da nuvole nere non lo confortò affatto. Sembrò piuttosto schernirlo.
Nervoso, il ragazzo si alzò in piedi, spolverandosi i pantaloni.
Era inutile pensare a cosa provava chi o per quale motivo.
Dopo un attimo d’esitazione, scavalcò il muretto, affiancandosi al vampiro
nel più completo silenzio, le mani in tasca:
« Chi…?» chiese solamente, gli occhi fissi a quell’epitaffio disadorno.
Crystal rigirò l’anello fra le dita, chiudendo gli occhi ch’erano
momentaneamente un ombra del suo colore naturale: «…non sei in grado di leggere
il nome…?» domandò soltanto riaprendoli su di lui.
Sivade ricambiò tranquillo quello sguardo, senza mostrare un benché minimo
sentimento: « Sto chiedendo chi era per te, non qual’era il suo nome.» riposò
lo sguardo alla lapide: «…è una cosa ben diversa…».
«Un caro amico…» gli rispose soltanto a voce bassa e sottile, la mano che
tornava a nascondere sotto la propria maglietta la collana d’oro giallo.
Un grosso sospiro che non gli riuscì di
trattenere.
Sivade si chinò a terra, un braccio posato al ginocchio rialzato, l’altra
mano posata a terra per sostenersi: « …molto piacere signor Hiro.» salutò con un sorriso.
«Non gli è mai piaciuto essere chiamato Signore…» aggiunse con vago
disinteresse il vampiro che si rimise in piedi frustrato.
Quello che lui ed Hiro avevano passato insieme era
stato un bel periodo, ricco di emozioni e gioie, un passato che però sapeva di
doversi lasciare alle spalle come molte altre cose. D’altronde,
non era cosa facile per un essere come lui, la cui memoria era dieci volte
maggiore della funzione mnemonica umana. Assottigliò gli occhi.
Sivade portò le mani unite in un segno di scusa rivolto
più a Crystal che alla pietra davanti a loro. Cercò di carpire qualcosa dal
compagno, ma non gli era ben chiaro se la sua presenza gli fosse gradita o
meno.
Ultimamente, si trovava spesso a riflettere su quello che pensava l’altro.
«…ok, giovine va
meglio?» propose quasi sospirando.
« Hiro è più che sufficiente » spiegò con pacatezza, nascondendo le mani
nelle tasche dei jeans.
Non gli piaceva parlare di sé stesso e delle relazioni avute in passato,
tanto meno con Sivade di cui, evidentemente, non conosceva proprio nulla se non
il suo profumo. Una fragranza che avrebbe riconosciuto fra
mille.
Quindi, perché smascherarsi davanti ad un ragazzo che non
era intenzionato ad “aprirsi”?.Alzò un
sopracciglio, posando ancora una volta lo sguardo sulla lapide, come alla
ricerca di un consiglio che sapeva non avrebbe mai ricevuto.
Respirò a fondo.
« Sembri un mantice quando respiri.» fece notare
l’altro con aria assente, giocando con le mani. Tra le dita iniziarono a delinearsi prima semplici fili d’argento, poi un vasetto di
ceramica blu cobalto, con alcuni steli d’incenso all’interno. Una volta
creatisi del tutto, Sivade li posò alla base della tomba, mentre un fuoco
invisibile accese i bastoncini e lui si metteva in ginocchio, chiudendo gli
occhi in gesto d’offerta.
Crystal si ritrovò a fissare quei semplici gesti del giovane con occhi
vuoti:
semplici accortezze che, per un qualche remoto motivo, lo fecero
irritare.
Perché mai doveva interessarsi del suo passato?
Perché doveva intromettersi?
Perché mostrarsi caritatevole e straripante di pietà?
Un atteggiamento che, per di più, lo innervosiva a solo sentirne il nome.
Il suo volto, a quel punto, divenne una maschera di spietata freddezza.
Ciò era incomprensibile.
« Non dovresti farti vedere con quella faccia, fai leggermente paura.» fece notare Sivade,
interrompendo quel riflusso di pensieri.
Il mago l’aveva osservato in silenzio, senza sapere bene come…intervenire.
Alla fine, aveva optato per quell'affermazione,
pur consapevole che rischiava d’irritarlo ancora di più.
Era quella la relazione che aveva creato con Crystal: un via vai di giochi di parole e frasi provocatorie. Doveva
ammettere, tuttavia, che l’aveva fatto solo per
evitare di rivelargli…quanto poco sincero era.
L’altro finse di non sentirlo, voltandosi ed abbandonandolo davanti a
quella tomba con passo rapido e deciso, le mani in tasca e sguardo basso.
«Dove vai?».
Anche questa volta Crystal non rispose, scavalcando la
ringhiera lucidata regolarmente dai bonzi che permanevano in quel tempio.
Aveva bisogno di schiarirsi le idee, e per questo abbisognava di calma e
solitudine:
cosa che Sivade non sembrava volergli dare.
Era confuso, nervoso, seccato, irritato e sentiva la necessità di chiarire
alcune cose partendo, innanzitutto, da quella che considerava casa sua.
Una persona lo stava ancora attendendo.
Sparì con un soffio di vento.
«…secondo te ritorna?» chiese il mago alla tomba,
sistemandovi sopra alla lastra di marmo anche due gigli bianchi, finendo la sua
offerta.
Sorrise, un po’ per abitudine, un po’ perché non sapeva che altro fare.
«…magari no…» si rispose, mettendosi a gambe incrociate, un violino che
apparve d’incanto sulla sua spalla, pronto per essere suonato.
Quello strumento l’aveva sin da quando era bambino, e spesso si divertiva
nelle fredde sere d’inverno ad allettare i suoi commilitoni con motivi allegri
e spensierati. Ma quei momenti sembravano essere
cessati da molto, molto tempo.
Posando i crini di cavallo alle morbide corde del violino, Sivade non parve
rendersi conto dell’abisso tra la musica del passato e quella che ora stava
suonando:
Lenta, struggente, appena accennata.
L’archetto che si muoveva con grazia, seguendo i giusti accordi.
Sparì il sorriso dai suoi occhi, mentre la memoria tornava alla persona che
se n’era appena andata.
D’altra parte, una terza persona che meglio conosceva Crystal, aveva
osservato la scena da lontano, con occhio critico e sagace.
Allo svanire di quell’ombra pallida, amante della notte, s’era avvicinato
lentamente al giovane seduto a terra, osservando a sua volta la lapide, posta
all’esatto centro di quel tempio adibito per accogliere quella che ormai
sembrava essere divenuta una salma. Un tempio che Crystal
aveva chiesto di edificare appositamente. Posò i suoi occhi turchesi sul
ragazzo che stava suonando unamelodia
malinconica, senza aprir bocca.
Gli occhi chiusi, Sivade non sembrava aver notato l’avvicinarsi di Ren,
troppo intento a suonare.
Ogni volta che chiamava a sé quello strumento,
sapeva di non esibire più la sua maschera da soldato. Era solo Sivade. Una persona che sapeva viaggiare sulle note di quel violino con una
maestria regale. Senza bugie. Senza inganni.
« Questo lato di sé lascia trapelare una certa…tendenza… al vero essere che
lei cerca costantemente di nascondere » iniziò vago il bonzo, andando a
sistemare l’incenso ai lati della lapide, prima di aggiungervi un piccolo
lumino acceso grazie a dei fiammiferi. Lo sguardo di Sivade
ora posato su di lui.
« Mi è stato riferito dalla vostra, così chiamata, “emanazione” » sospirò «
termine alquanto inclemente, a mio parere ».
Fece un breve inchino alla lapide.
Sivade l’osservò con distacco, cercando di non smettere di suonare, pur
preso alla sprovvista: « E’ Goito che si ostina a farsi definire così. In
realtà è umana quanto me.» rispose
evasivo, richiudendo gli occhi.
« Se continua a volersi far chiamare con certi termini spiacevoli,
evidentemente è perché, in un modo o nell’altro, la fate sentire tale » spiegò
Ren pacato,ora nuovamente dritto in piedi, ai lati
della tomba del giovane Hiro, lo sguardo intelligente posato su Sivade.
Questi fece una smorfia, lasciando perdere quel commento.
« In effetti, è colpa mia che la lascio dalla mia
maestra. E’ lei che è solita chiamarci “la materia prima e le sue emanazioni”.» posò il violino al grembo,
accarezzandone le corde con fare distratto: « Solo San non sente. E non dovrà venirne a conoscenza se non quando sarà pronta.» avvertì.
« Da quanto mi dite, questa acclamata insegnante dev’essere una persona alquanto sgradevole. Per i modi,
capitemi. » concluse gentile, nascondendo le mani
all’interno delle maniche della tunica rossa.
« Precisamente.» ribatté l’altro,guardando le
rifiniture dell’archetto che aveva appena posato alla cassa armonica.
Gli occhi di Ren vagarono sul violino a cui Sivade stava dedicando tutte le
sue attenzioni: « Per quanto riguarda Crystal, credo potrebbe ritornare questa
notte stessa. Domattina all’alba, al massimo » disse tranquillo, rivolgendogli
un caldo sorriso, molto eloquente.
Sivade spostò lo sguardo sul bonzo, molto lentamente: « Ah, grazie. » disse
leggermente stupito, fermando le mani. Non si era aspettato di ricevere una
vera e propria risposta.
Il cielo sopra di loro sbiancò, lasciando che il sole ritornasse ad
accarezzare la natura con i suoi raggi. Timido e splendido al contempo.
Ren si limitò ad annuire con il capo, soddisfatto: « così va meglio » alzò
gli occhi al cielo come a volersi riempire della sua energia, gli occhi
socchiusi.
Poi, improvvisamente, si lasciò sfuggire una breve
risata, immaginando una scena in particolare:di cui Crystal era il protagonista
indiscusso.
« Magari ora avrà gli abiti in fiamme…» ridacchiò.
Il mago lo guardò con aria pressoché assente, sospirando: « Non è colpa
mia…» decretò pragmatico « Non sono la sua balia.»
«No di certo » sorrise l’altro « ma come minimo, Crystal conta sul vostro
appoggio. O solo voi potete ricevere senza dare nulla
in cambio? » chiese, ritornando ad essere analista e reale.
« I giochi di parole mi danno ai nervi.» sibilò il
giovane davanti a lui « Cosa volete?».
« Farvi notare quanto voi siate egoista » rispose
facendo spallucce.
Sivade sospirò esasperato, lasciando sparire violino e archetto nel nulla.
Una mano gli attraversò i capelli, lo sguardo che andò a fermarsi sul bonzo.
«... è stato inviato da Quella per essere gentile con me. Come posso sapere
cos’è vero e cos’è falso?» chiese con aria grave,
riferendosi alla regina degli Hades .
Ren alzò un sopracciglio, scuotendo il capo debolmente.
A quanto pareva, dovevano essere chiarite alcune cose.
Un compito che probabilmente non spettava a lui ma che sentiva di voler
fare.
Di dover fare.
« Innanzitutto, la Regina dell’impero Hades l’ha mandato per catturarti e
condurti a lei. Sei la nigredo, quella materia di cui
lei sembra necessitare; e a quanto si mormora pretende
di volerti il prima possibile » alzò gli occhi su Sivade, fissandolo serio,
come a voler prendere una breve pausa « E Crystal ubbidisce agli ordini,
sempre, alla lettera, senza mai causare problemi » rise appena.
« Ma a quanto pare con te, Sivade, sta prendendo
tempo, ed è una cosa che tutti hanno notato. Tutti, tranne la
Regina che dispone completa fiducia in lui…» sospirò profondamente « io, giunti
a questo punto, non credo di poter capire il “Perché” Crystal stia perdendo
tutto questo tempo prezioso. Ne va della sua reputazione dopotutto. E al
mondo l’apparenza è tutto» concluse pragmatico.
In silenzioso ascolto, Sivade aveva evitato da metà
discorso lo sguardo di Ren, fissando con aria vuota la lapide. Era un
modo come un altro di fuggire.
Per evitare di perdere la propria certezza.
Ma…ve n’era ancora?
«…quant’è…stupido…» gemette, portando le
ginocchia al petto, nascondendovi il viso contratto da quelle emozioni strane,
che nemmeno lui aveva ben chiare.
« Stupido dici? » alzò un sopracciglio divertito «
senza offesa… l’unica stupida presente sei tu».
Sivade arrossì violentemente, fissandolo con odio: « Non sai un cavolo di
me. Stai zitto, uomo in gonnella.» ribatté
con voce tremante, incapace di accettare di essere definito con aggettivi
femminili. Non era più una ragazza. Mai stato.
« La verità brucia? » chiese l’altro, continuando a sorridere con serena
indifferenza, le braccia abbandonate lungo i fianchi.
Con un gesto brusco, il mago sbatté un pugno a terra, per poi mutare la sua
espressione in puro dolore. Rimase a guardare il terreno per un breve istante,
ricacciando indietro le lacrime.
« Se è come dici, perché lui lo farebbe? Perché si danneggerebbe la reputazione per me, se non sa un
bel niente? » chiese con un filo di voce, guardandolo.
« La cosa è talmente semplice che non riesci a notarla? E’ ovvio che non
offrirebbe tali…»lanciò un’occhiata al
collo del ragazzo, sul quale spiccava un segno rossastro « attenzioni…a
chiunque…».
Sivade si coprì per l’ennesima volta quel marchio impostogli, arrossendo:« È un maniaco. Tutto qua.» giustificò,
cercando di riprendere il controllo dei suoi pensieri. Rimettendoli in fila
nella sua mente.
« Se fosse così “maniaco” come tu ti ostini a
definirlo, mi domando anche perché Tom abbia così tanti problemi con lui »
disse con aria falsamente pensosa, gli occhi rivolti al cielo.
« Che problemi ? » chiese l’altro cercando di
apparire vago.
«E’ noto ormai a tutti che il povero Tom è afflitto dalla febbre
dell’incesto. Cosa preoccupante, a mio parere ».
Perplesso, Sivade rimase a guardare Ren senza capir bene cosa gli veniva detto: « E che c’entra con me ? » chiese.
Ren sospirò annoiato. Si ritrovava a discutere con un ragazzo privo di
comprendonio a quanto pareva: « hai detto che quel segno ti è stato imposto
solamente perché Crystal è un maniaco. Ma poiché ha
rifiutato Tom più volte, fatico a vedere dove stia tutta questa… perversione ».
«…Se è omosessuale dovrò dargli il ben servito, allora.»
disse in un borbottio il giovane di fronte a lui,
cercando di apparire divertito.
In realtà, si sentiva un po’…appesantito.
Non sapeva nemmeno perché…era una sensazione d’attesa, di nascita di una
consapevolezza forzata da quegli eventi.
Lo faceva sentire strano…
Lo faceva sperare in qualcosa d’immorale e d’impossibile.
Scosse violentemente il capo, alzandosi in piedi: « Non è come credi tu.
Figuriamoci. Ha scherzato con me quasi ogni giorno su discorsi stupidi d’amore
e altro. Ci siamo finti anche a nozze, ma non si faceva
sul serio.».
« “Quando si bacia lo si fa per amore. ”» citò
tranquillo iniziando ad avviarsi verso il cancelletto
d’entrata « questa frase me l’ha detta Crystal. Vedi un po’ tu come prenderla.
Lui non va mai contro i suoi principi ».
Grazie a Miyavi e a chi ha messo come loro preferito questo
racconto.
Speriamo di darvi
quanto sperate!
Ah, mondo speranza…XD
Un capitolo corto,
tutto per Crystal.
Un altro, piccolo
passo per tutti e due.
Con introduzione
di due personaggi prima mai visti…
Ma che troveremo
ancora, più in là…
Maybe X3
Buona lettura!
Capitolo 18: “Bury me”
Se ci si lascia trasportare dalle emozioni,
siamo spinti a reagire incautamente.
In una continua catena di vita
in grado di portare alla rovina.
Pioveva.
Odore di acqua e polvere regnava incontrastato su quella città svuotata da
ogni forma di vita esistente sul pianeta: solo case diroccate e mura distrutte.
Nient’altro.
In lontananza il ticchettio delle lancette del vecchio campanile che
rintoccava l’inesorabile ora caduta su quella terra abbandonata da tutti; e
Crystal che camminava silenzioso fra quelle strade colme di antichi ricordi non
ancora perduti.
Un passo dopo l’altro segnava l’inesorabile meta che egli poteva già
scorgere con quei suoi occhi amareggiati, turbati da una decisione che,
probabilmente, si sarebbe rivelata solamente la più sbagliata della sua vita.
Mani in tasca, si fermò davanti a quell’unica casa ancora intatta, lo
sguardo fisso su questa, inquieto. Ne osservò i contorni mentre la sua mente
vagava altrove:
le finestre semi-aperte che lasciavano intravedere l’interno,
completamente arredato in legno di noce; l’immenso balcone del secondo piano
dove notò Zero, uno dei suoi sottoposti, che lo salutava sventolando la mano
allegramente in un ottima interpretazione di una vecchia megera; ed infine il
suo sguardo si abbassò, tornando al giardino all’inglese, nel quale scorse una
giovane ragazza andargli incontro sorridente, le mani intrecciate dietro alla
schiena.
I lunghi capelli biondi per nulla intimiditi dalla pioggia che scrosciava
ininterrottamente, gli occhi di un luminoso azzurro rivolti
solamente a lui, come quel sorriso stampato sulle timide labbra di lei.
Hope l’aveva atteso, come promesso.
Il giovane vampiro si portò una mano fra i capelli bagnati, osservando la
ragazza con una morsa al cuore.
Stava sbagliando…
Stava sbagliando tutto…
«…Bentornato Crystal…» sussurrò lei, le mani che andavano a posarsi sul suo
petto, felici di poterlo toccare dopo tanto tempo.
Il vampiro chiuse gli occhi angosciato mentre
andava a posare le mani gelide ai fianchi di lei, stringendola a sé con vigore,
come se nulla lo tormentasse.
Non poteva lasciarsi andare alle sue emozioni, conscio del fatto che lei
poteva percepirle, trascinandola con sé nell’abisso dei suoi tormenti privati.
«…Ciao Hope…» abbozzò un debole sorriso, appartando per un breve momento le
sue amare intenzioni « entriamo…sei già fradicia…».
Quella sorrise allungando una mano verso quella di lui, intrecciando le
loro mani in un’unica cosa.
Crystal non rifiutò quel contatto, stando ben attento a comportarsi come al
suo solito, sentendosi un vero codardo.
Sentiva di non avere il coraggio di lasciare quella fragile creatura, la
cui unica sfortuna era stata quella di incontrarlo, in quel maledetto corridoio
del castello della Regina.
La condusse fino alla cucina, senza aprir bocca, in un silenzio che si
rivelò difficile spezzare. Le sistemò la sedia in maniera tale che ella potesse comodamente sedersi, senza spiegazzare quel
stupendo abito bianco che portava con eleganza innata. Uno stile del tutto
simile a quello di Crystal con cui aveva vissuto per due anni interi, assieme a
Zero ed Haleck.
Hope posò entrambe le mani al grembo mentre lui andava a sistemarsi in una
sedia di fronte a lei, lo sguardo leggermente vacuo, perso a pensare al motivo per cui si trovava in quella casa, seduto ad un tavolo con
la sua…fidanzata.
Una mano andò ad accarezzare nervosa l’anello di platino che portava al
collo, per poi rigirarlo velocemente fra le pallide dita:
«…come prosegue la tua missione…?» chiese la ragazza quasi sottovoce.
Pareva avesse percepito l’ansia che aleggiava attorno a Crystal
mostrandosi, tuttavia, sempre discreta.
Anche per questo il giovane vampiro l’aveva amata ma…
«…va tutto per il meglio» rispose tranquillamente il moro, posando un
gomito al tavolo, l’anello ancora fra le sue dita.
« Io piuttosto gli chiederei… “amore mio, com’è che stai impiegando tutto
questo tempo per quella stupida missione?” » intervenne Zero, posato allo
stipite della porta, un sorrisetto divertito stampato sulle labbra spesso
compiaciute.
Hope sorrise tesa, le dita che iniziavano a rigirarsi irrequiete quando lo
sguardo si allontanò da Crystal per posarsi allora al parquet.
«…Inopportuno come sempre» commentò seccamente il vampiro, notando una
scintilla maliziosa attraversare i profondi occhi marroni dell’altro, che
avanzava verso di loro con una camminata falsamente annoiata.
Poi tornò a posare la sua attenzione sulla bionda seduta davanti a lui, le
cui gambe accavallate sembravano tremare leggermente.
Era preoccupata e tesa.
Maledizione.
«…Beh…probabilmente ritarda così tanto a causa della nuova compagnia con
cui viaggia…» proseguì Zero, posando entrambe le mani allo schienale della
sedia su cui era seduta Hope, accarezzandole con finta nonchalanche i soffici
capelli biondi.
La giovane strinse leggermente il vestito, tentando di non farne una
tragedia. Dopotutto…non potevano fargli altro che bene nuove amicizie…
«…non più tu e Tom…?» chiese timorosa, continuando a sorridere docilmente a
Crystal che fissava di sbieco Zero.
«…no…non più…» rispose lui, socchiudendo gli occhi, contenendo la rabbia
che cresceva man mano in lui.
Zero, conscio del fatto che il master davanti a lui non poteva scoprirsi
troppo, continuò, infierendo maggiormente sulla piccola Hope di cui percepiva
l’ansia crescente:
«…davvero una bella compagnia, sai Hope…? E non mancano di certo le belle
ragazze…» ghignò sadico, avvicinando la bocca all’orecchio della bionda «…ma
credo tu debba preoccuparti di più dei ragazzi…credo tu sappia che il nostro
benamato Crystal…».
« Ora basta » ringhiò il vampiro, scattando furiosamente in
piedi, entrambe le mani strette a pugno, di cui una andò a sbattere
contro il muro che crepò senza troppa fatica.
«Che uomo violento il tuo… “master”, tesorino…» osservò un giovane di bell’aspetto, giungendo gagliardo sulla soglia della porta.
Tamos indossava solo un paio di pantaloni neri di flanella, il petto
scoperto a mostrare i muscoli di un guerriero. Lui era il generale che aveva
tradito l’esercito di Amestris. Si posò con nonchalanche al divano vicino all’ingresso,
intrecciando le mani su un ginocchio. Un sorriso bonario sul volto.
«…Ma violento è bello…» gongolò Zero, accarezzando lascivo il collo di Hope
prima di allontanarsi il minimo necessario dalla ragazza, che si mostrava
sempre più perplessa e confusa. Cercò lo sguardo di Crystal, ma non lo trovò.
« Non posso sopportare di essere interrotto proprio quando devo parlare a
Hope, in privato » disse questi.
«…Ah, il principino ha colpito anche te…» osservò
divertito Tamos, ben consapevole della regalità del suo precedente comandante.
Zero, i cui capelli arrivavano poco sopra le spalle, sorrise allegro
affiancandosi a Tamos, le braccia incrociate davanti al petto fasciato da una
fine camicia bianca che nulla lasciava immaginare:
«…CrysCrys…tanto lo
verranno a sapere tutti…».
Il vampiro respirò profondamente, irritato da tutte quelle intrusioni che
altro non facevano se non complicargli il compito già arduo di suo:
« Il vostro principe è irrimediabilmente…seccante » disse avvicinandosi alla ragazza il cui sguardo era,
ormai, fisso a terra.
Il generale, la cui età era prossima ai 29 anni, si limitò a sorridere: « I
suoi capelli sono ancora angosciati per la mia perdita…?»
chiese divertito «Sono tuttora candidi dal dolore? ».
«No.» rispose immediato Crystal, chiudendo gli
occhi, una mano che andava a posarsi ad una gamba sottile di Hope «…sono
corvini…come i suoi occhi d’altronde…» sussurrò.
Il viso dell’unica ragazza presente nella stanza si fece rigido, una
completa maschera d’impotente indifferenza, incapace di mostrare altre
emozioni.
Tamos fece una faccia stizzita, consapevole di cosa significassero le
parole del master del suo amante: « Ha già smesso di rimpiangermi, insomma…»
accarezzò lascivamente un braccio a Zero: «…Sai distrarre con garbo, comandante
Crystal…» concluse, mettendosi in piedi.
Zero gli lanciò un’occhiata maliziosa, una mano ai capelli: «…non sarai
geloso…mio peluche…» si sporse verso di lui, posando
le labbra umide sul petto del generale; Crystal che si copriva gli occhi con
una mano, in un gesto che esprimeva il suo totale disgusto; Hope il cui sguardo
era solo vacuità.
«No, di certo…ma la piccola biondina…?» ghignò Tamos, trascinandolo via da
quel luogo poco allegro per i suoi gusti.
Hope si strinse nelle spalle, le mani che lasciavano trasparire un lieve
tremore mentre il master andava a chiudere la porta, desideroso di non essere
più interrotto. Tornò dalla ragazza, gli occhi socchiusi:
«…dobbiamo lasciarci…» disse solo, conciso.
Fine diciottesimo
capitolo.
Devolvi
l’ 8‰ al commento dei racconti che vai leggendo
A mano a mano che
si procede, la distanza viene a mancare…
In tutti i sensi.
Grazie a tutti
coloro che ci sostengono!
Capitolo 19: “Kiss me”
Per lungo tempo, Sivade era rimasto a guardare la luna fare capolino
all’orizzonte, fino a raggiungere lo zenit del cielo.
Nessuno l’aveva più disturbato, anche se chi era passato nelle vicinanze
aveva potuto notare quanto la confusione opprimesse il suo volto.
Come poteva essere che Crystal si fosse innamorato di lui, nonostante tutto
quello che li divideva?
Assurdo, impossibile.
L’aveva baciato per sbaglio.
Era così.
Dopo l’ennesimo pensiero di autoconvicimento, Sivade si alzò, salutando
Hiro con un cenno sconsolato della mano destra. Si avviò, lo sguardo basso al
terreno.
Lui si era voltato e Crystal aveva reagito con un’azione simile.
Solo… quello.
Ricordò il sapore di quel bacio: menta e sangue.
«…aiuto…» gemette, portandosi una mano a coprirsi gli occhi sofferenti.
« vero che abbisogni di una manina sexy? » chiese con vocetta da donna Tom,
dietro di lui, lo sguardo rivolto completamente alla lapide poco distante.
Crystal era tornato, e gli aveva “gentilmente” chiesto di andar a
recuperare il ragazzo che insisteva a rimaner seduto davanti ad una tomba già
colma di attenzioni. « Qui fa freddo, entriamo ».
Sivade lo guardò, notando una cosa a cui precedentemente
non aveva fatto caso.
« …le vostre mani sono diverse, in effetti…» si limitò a dire, precedendolo
verso il tempio. Più atono che mai.
Tom osservò la propria mano con fare distratto, tentando un’autocritica che
non gli riuscì: «dopotutto io sono più vecchio di
dieci minuti» rise iniziando a giocherellare con un anello d’acciaio che
portava al pollice «e tanto per la cronaca, il mio adorato fratellino è
tornato. Solo non sembrava dell’umore giusto per venirti ad
adescare. Quindi mi ha chiesto di venirti a
recuperare, hai capitto? ».
« Non tutto.» disse sincero Sivade, chiudendo gli
occhi stancamente.
« Sempre sospettato fossi idiota » commentò quasi fra sé e sé l’altro, il
viso corrucciato in un espressione preoccupata ed esasperata
« forse dovrei cederti qualche neurone…».
Seccato, il mago gli lanciò un’occhiata poco convinta, per poi scuotere il
capo, ridendo. Una vena di sarcasmo che tornava a radicarsi in lui:
« La scimmia vuole insegnarmi qualcosa, devo sentirmi proprio lusingato!».
Gli occhi di Tom quasi non presero a luccicare per l’eccitazione: « Ooh! La posizione della scimmia! Sii!» esultò iniziando a
saltellare lontano da lui, sparendo poco dopo con una risata roca.
«…Sarò “stupida”, ma lui lo è di più.» commentò
l’altro, scuotendo il capo divertito. Ed improvvisamente sentì due manigelide afferrarlo per il collo, silenziose
come la notte. Rapide, lisce, inconfondibili.
Rabbrividì: « Oibò, buona sera…» disse ridendo
nervosamente, riconoscendo Crystal dietro di sé.
« Non proprio buona…» lo corresse quello, allontanando la presa delle mani
dal ragazzo, riducendo le pupille a due fessure sottili per scorgere nella
notte così come nel giorno.
«…cattiva sera, mastro Crystal…» sospirò Sivade a quel punto, voltandosi a
guardarlo con aria divertita: « Passato una negativa giornata? ».
« L’ho fatta passare, a quanto pare…» disse
appositamente allusivo, facendo spallucce abbattuto.
Sivade gli afferrò le guance con entrambe le mani, ridacchiando: « Anche se
fosse, ora sei perdonato…» ricercò il suo sguardo, amichevole. Vederlo giù…non
gli piaceva. Anche se in effetti la giornata non era
stata delle migliori.
« Non mi riferivo a te soltanto » si portò una mano ai capelli, gli occhi
chiusi, scuotendo il capo afflitto. Respirò pesantemente allontanando le mani di lui dal proprio viso mortalmente pallido. L’altro
obbedì silenziosamente, studiando quello sguardo perso.
« Non che sia nella posizione di esprimere giudizi…ma…» il mago chinò
appena il capo di lato «…anche tu te la sei proprio
resa allegra, a vederti ora.»
Il moro davanti a lui ripensò alla piccola Hope: ai suoi occhi vacui,
all’espressione del viso, alle reazioni che non aveva palesato.
Portò una mano alla collana che teneva saldo, sul suo collo, l’anello della
sua unica moglie morta da tempo immemore; lo sguardo
ora posato sul ragazzo davanti a lui.
Dopotutto, se l’aveva fatto…un motivo di fondo
doveva esserci…
Teoricamente.
«…può essere…» accennò breve, spostando lo sguardo al manto stellato sopra
di loro; la Luna che riluceva più che mai. « Comunque mi hanno riferito che non
ti sei mai allontanato… da quella lapide…» proseguì, cambiando chiaramente
discorso.
Sivade a quell’osservazione rise nuovamente: « Ho avuto di che pensare…» si
limitò a dire, per niente chiaro.
« Ovviamente. D’altronde sei un Principe
» rispose il vampiro, prontamente.
Ancora faticava ad accettarlo.
Ammettere che, in poche parole, Sivade continuava a tenerlo all’oscuro di
tutto.
Ed era...frustrante.
Perso in quei pensieri, nemmeno si accorse dello sguardo che gli riservò a
quella risposta il giovane mago ventenne.
Lo studiò con uno sguardo talmente analitico da contrastare con qualsiasi
suo pensiero. Di proposito, si capiva.
«…pensavo a stamattina.» disse infine con aria
vaga, guardando nella posizione opposta a quella di Crystal, un sorrisetto sul
volto che tradiva nervosismo ed esitazione.
« Stamattina…?» si limitò a chiedere l’altro, con aria bonaria, continuando
a rigirare rapidamente l’anello col quale ancora giocherellava.
Sorrise incoraggiante.
Sivade lo guardò di striscio: « Sai,dopo che ti
sei incantato con me tra le tue tenaglie» accennò alle braccia di lui « e ti
sei…svegliato fuori.» spiegò sulla difensiva.
L’espressione rilassata sul volto.
«Svegliato fuori…?» ripeté alzando un sopracciglio, l’espressione che
tradiva falsa ingenuità «…che linguaggio poco consono…» concluse
amareggiato, scuotendo il capo più volte.
« Ora mi hai stufato.» sbottò il mago portandogli
le mani ai fianchi, facendogli perdere l’equilibrio e cadere a terra. Reclinò
il capo appena, un sorrisetto di sfida pura sul volto. Un po’ come un “vediamo
che fai” scritto a lettere cubitali su ogni cosa che li circondava: « Rifallo,
no?».
L’altro si ritrovò del tutto spiazzato: gli occhi ora chiusi ed il respiro
bloccato.
Quest’ultima, un’eventuale precauzione per ciò che sapeva avrebbe causato
la fine di tutto. La sua brama di sangue.
«…Rifare cosa…?» domandò, immobile e duro come una vera statua d’alabastro.
Sivade scosse il capo, ridendo dalla disperazione.
Non era ben conscio neppure lui di quello che stava chiedendo.
Si chinò sulle labbra del vampiro, pallide e leggermente screpolate,
saettando per un attimo con la lingua, volendo sapere.
Sapere se ciò che aveva detto Ren era vero, sapere se quelle labbra
gustassero sempre da sangue misto a menta, sapere che stesse provando in quel
momento l’altro. Sapere, sapere, sapere. Con un bisogno insaziabile e
straziante.
Crystal non si mosse, lasciando semplicemente che l’altro facesse ciò che
sentiva o voleva fare. Non aveva importanza.
Si lasciò sfuggire un sospiro, carico di tensione
ed ansia a lungo nascoste.
Quella non era giornata.
Per nessuno dei due.
L’uno perso a comprendere cosa provasse l’altro, questi che si trovava ad
affrontare prove a cui avrebbe volentieri rinunciato sottoporsi.
«Questo…» disse infine Sivade, riunendo le loro labbra, chiudendo gli occhi
per concentrarsi sul sapore di quel tocco. Ancora: sangue e menta.
Il vampiro sentì chiaramente una morsa stringergli lo stomaco, i muscoli
delle braccia tesi sino all’inverosimile: obbligandosi a rimanere del tutto
indifferente a ciò che, in verità, lo stava sconvolgendo dal profondo.
La sua espressione mutò da spenta a completamente sconvolta, un lampo di
terrore che gli balenò nello sguardo.
Totalmente nel panico, non sapeva più cosa dover fare.
Aveva del tutto dimenticato ciò che, finora, aveva considerato “giusto” e
ciò che sapeva essere “sbagliato”.
Travolto.
Poi Sivade si scostò, dicendo alcune semplici parole.
Inappropriate.
Ironiche.
Troppo.
« Molto buono, grazie.»
Lo sguardo di Crystal tramutò all’istante.
Si raggelò, mettendosi a sedere, spingendo con violenza il ragazzo che
altro non faceva se non giocare con lui.
Rise esasperato, scattando in piedi, passandosi una mano fra i capelli
corvini:
« Eppure, per te, ho lasciato tutto» ammise dolorosamente.
Fece ritorno alla sua camera, una risata amara che gli vibrava in gola, il
passo svelto e nervoso che più nulla aveva di elegante.
Distrutto.
Sivade lo guardò andarsene, una mano sulle parti dolorosamente colpite
dalla repentinità del vampiro. Vuoto. Senza sentimenti nel cuore.
L’aveva lasciato completamente senza parole.
Alzandosi in piedi, Goito e San si avvicinavano, l’una quasi annoiata,
l’altra emozionata da ogni cosa su cui posava lo sguardo.
« L’hai fatto arrabbiare di nuovo..?» chiese la
rossa, accennando alla porta dietro la quale era svanito Crystal.
Il mago dapprima sembrò non sentirla, per poi scattare in piedi e
sorpassarle, correndo dalla parte opposta al luogo in cui prima stava. Giunto
di fronte a dei cespugli d’agrifoglio, si lasciò cadere a terra in ginocchio,
piangendo tutte le sue lacrime, scosso da conati di vomito.
Goito arrivò dietro di lui guardandolo con velato rammarico.
« Te ne sei reso conto?» gli chiese, incalzante e gentile al tempo stesso.
L’altro annuì vigorosamente, singhiozzando.
Le emozioni provate toccando ancora quelle labbra…
Ciò che Crystal aveva detto prima di andarsene…
Quello che sentiva in quel momento venire a galla con una dirompenza
sovrumana…
«…lo amo…»
Pronunciò quelle parole con una sofferenza tremenda nella voce, cercando di
non lasciar trasbordare quella valanga in caduta libera.
«…già…» disse in risposta l’unica persona che
poteva dire di conoscere ogni cosa di quel ragazzo maledetto.
« Ma…fa male…»
« Non sempre rendersi conto di un sentimento porta gioia nel cuore…» spiegò
lei avvicinandosi un po’ di più a Sivade, che s’era voltato a guardarla, gli occhi
che rilucevano con le stelle in qualcosa di veramente…
Innaturale.
«…mi ha riempito la testa. Ho in testa solo quella frase
capito?» il ragazzo si portò disperatamente le mani alla testa « “per te
ho lasciato tutto”!» ripeté, soffocando un gemito.
«…dovresti calmarti…» rifletté Goito, notando una strana aura colmare lo
spazio intorno a Sivade. Nera, flessuosa, avvolgente.
Il potere della nigredo contro ciò
che l’aveva sempre confinata sotto mentite spoglie. Contro la maledizione.
Senza volerlo, Goito sorrise, facendo un passo
indietro:
« E se invece lui non ti amasse?» lo provocò.
Un’onda virulenta di potere proruppe dalle mani di Sivade, che la fulminò
con una sola occhiata: « Smettila.»
La ragazza fece spallucce: « Da cosa è nato questo amore?
Dall’attrazione irrefrenabile che il tuo sangue esercita su di lui, forse?»
« NO!»
« Da cosa?»
Sivade la guardò, sentendosi adirato e spaesato.
Non lo sapeva. Non sapeva né perché, né quando.
Forse…quando Crystal aveva accettato quella parte debole che s’era trovato
a dimostrare, dopo l’ennesimo sentore di essere stato usato e tradito.
Si riscoprì a piangere più forte di prima, come
una ragazzina.
Come una femminuccia, avrebbero detto gli amici dell’esercito.
Ma alla fine…
Cos’era lui…se non una lei?
Alzò lo sguardo su Goito, una mano che stringeva la maglia all’altezza del
cuore.
«…è nato…e basta…» le disse, guardandola con moto di supplica.
La vide scuotere mestail capo,
ridendo di lui. Appositamente.
Questo lo irritò ulteriormente, una vampata di potere che sentiva spingere
dall’esterno, come per bloccarlo. Ma lui gli si oppose, per la prima volta in
tutti quegl’anni decise di
battersi contro quell’anatema. Sconfiggere quell’oppressione, per gridare
quello che aveva appena scoperto d’aver conquistato.
Fu così che in lui iniziarono a mutare molte cose, sotto lo sguardo sereno
di Goito, apparentemente soddisfatta di esser riuscita ad irritarlo.
Lineamenti di donna assottigliarono il viso di Sivade, i muscoli scolpiti
sostituiti da un seno morbido e rotondo sotto la maglia che portava. I fianchi
si arrotondarono, mentre la pelle riluceva, testimone del mutamento che tutto
il corpo del ragazzo stava subendo.
L’abbiamo reso
struggente e coinvolgente allo stesso tempo.
Un momento intenso ora tutto per voi.
Promettendovi che,
per Natale, tutto sarà finito.
Attenzione a non
arrossire!
Grazie ancora per
le recensioni, ci spingono a postare! ^.-
Capitolo 20: “Don’t say a word”
Nel momento in cui vide venir meno la maledizione che
gravava sulla principessa di Amestris, Goito capì che
la soluzione aveva accettato di
essere tale.
Forse incosciamente, forse senza sapere tutto, ma ciò era accaduto.
Perché uno era il modo per togliere quel manto d’inganno che
per tutta la vita aveva ricoperto la sua padrona: amare, ed essere ricambiata.
Nient’altro.
Era come riconciliarsi con qualcosa mancato da troppo tempo, qualcosa
andato perduto, di cui Sivade non aveva più memoria.
Sivade sentì un fremito percorrerle il corpo, non appena aprì gli occhi al
nuovo cielo che le si stagliava di fronte.
Lo scoprì magnifico.
Tanto da far male.
«…come lui…» rise tra le lacrime, coprendosi il viso con un braccio,
ricolma di una gioia traboccante.
Finalmente era libera da ogni restrizione.
Libera di non fingere, e straziata dalla realtà.
Crystal altro non faceva se pensare, sdraiato sul suo letto dalle lenzuola
perennemente scarlatte, lo sguardo rivolto vacuamente al soffitto di un bianco
sporco. Le braccia incrociate dietro la testa, meditava su ciò che era giusto e
ciò che era sbagliato.
Ancora una volta.
La Regina era stata chiara a riguardo:
non doveva legarsi a nessun altro che fosse estraneo alla
Gilda degli Hades.
In caso contrario sarebbe stato punito:
rinchiuso in una bara dalle mille croci d’argento; sofferenza pura
per qualsiasi vampiro. Scosse il capo abbattuto.
Ormai era tardi, ma nessuno n’era consapevole.
Era arrivato a lasciare Hope, per lui.
Decidendo per la prima volta di pensare a sé stesso piuttosto che agli
altri…
Ma, come volevasi dimostrare, aveva evidentemente sbagliato.
Sin dall’inizio.
Dall’inizio di quella missione affidatagli.
Volse lo sguardo alla finestra, attirato da delle ombre che si muovevano
flessuose dietro le tende. Una sagoma di donna di là dal vetro.
Si posò sui gomiti, lo sguardo attento e tutti i sensi in allerta.
Sivade lo guardò per un attimo, mentre apriva la finestra con un gesto
appena accennato. Il potere residuo che ancora la circondava le obbedì
diligente, assecondando quel volere. Le parve strano riuscire a controllarsi
con una tale facilità, abituata com’era a perdere il controllo.
Alzò titubante lo sguardo su Crystal, sentendosi improvvisamente nuda…
Non credeva di dover subito affrontare lo sguardo di lui.
Anzi, sperava di avere un attimo per riflettere, prima.
Reggendosi con le mani ad uno stipite, rimase immobile. Aveva il ginocchio
destro posato al davanzale e il piede sinistro ben saldato su quella stessa
superficie di marmo. Incapace di respirare. La testa improvvisamente vuota:
«…Ciao…» si ritrovò a dire, ridendo nervosamente com’era solita fare anche prima.
Poteva essere più banale?
O più stupida?
Doveva ricredersi: forse Ren aveva davvero ragione.
Crystal non rispose, osservando la giovane donna con perplessità, le labbra
piegate in una strana smorfia. Ne rimase confuso fin dall’inizio, e non appena
fu stordito da quel profumo che sapeva
di conoscere, fu anche peggio.
Lentamente si mise seduto a letto, le braccia abbandonate alle ginocchia, senza
mai staccare gli occhi da lei, attento ad ogni suo movimento.
Come a voler ritrovare qualche…gesto…che
riconducesse a lui.
Strinse i lembi delle lenzuola con falsa apatia, socchiudendo leggermente
gli occhi:
«…entra…» la invitò, flebile.
Lei fece un lieve inchino, memore dell’etichetta che le era propria, per
poi ritornare sciolta nei movimenti com’era sempre…stato?
Si lasciò scivolare a terra, in allerta, quasi come un animale minacciato
da qualcosa più grande di lui. Si rialzò e si rassettò gli indumenti ora larghi,
la maglia che le cadeva da una spalla:
«…Grazie…» disse solo rimettendo a posto la Tshirt.
Si sentiva i nervi a fior di pelle, una gioia traboccante e un’agitazione
senza pari.
Addirittura, si accorse di tremare.
Un mix di emozioni a dir poco assurdo.
Perché?
Cercò lo sguardo di Crystal, come molte volte aveva
già fatto.
«…mi sa che non la prendi bene…» osservò amaramente, distogliendo subito lo
sguardo.
Pochi istanti erano bastati per farle capire i pensieri
di lui.
Oramai, poteva dire di conoscerlo abbastanza per
capirlo.
Il vampiro portò una mano a coprirsi il viso, la smorfia in precedenza
stampata sulle sue labbra pallide che divenne una chiara espressione di
sofferenza, incapace di essere trattenuta: «…questa… era “l’ultima cosa”… che
mi…nascondevi…» sussurrò,
accasciandosi sul letto, quasi fosse stato privato di tutta la sua energia
vitale. Gli occhi chiusi per nascondere la loro vacuità, un braccio posato al
petto, completamente svuotato dalle proprie emozioni.
Il tradimento era una cosa con cui aveva imparato a convivere…ma ogni
volta…era peggio di morire…
Voltò il capo di lato, rivolgendolo alle mura della stanza.
Lontano da Sivade, che rimase ferma a guardarlo, esitante.
Come rispondere ad una cosa ch’era ovvia ad
entrambi?
Una stretta allo stomaco le assicurò che non v’era risposta valida.
Sospirò, abbassando il capo al pavimento.
« Non lo facevo per mia volontà…» spiegò con voce strozzata. Tentennante,
prese ad avvicinarsi a lui senza riuscire a guardarlo.
Il giovane rise amaramente, scuotendo il capo per l’ennesima volta nel
corso di quella maledetta giornata. Si passò nervosamente la mano ai capelli
corvini, cercando di scostarli dal suo viso etereo:
« Va bene…come preferisci…» concluse frettolosamente, non credendo alle
parole che gli erano appena state riferite.
Forse non si era mostrato sotto mentite spoglie appositamente,
ma per quanto riguardava le menzogne che Sivade insisteva nello
propinargli…Quelle gli erano state dette per volontà del ragazzo.
Quindi, non intendeva proseguire quell’inutile discussione.
Durante la sua permanenza in un luogo che ormai non gli apparteneva più,
credeva di aver sperimentato tutti i mali esistenti.
Evidentemente non era ancora in grado di affrontarli.
Di sfuggita, vide la ragazza lasciarsi cadere in ginocchio accanto al
letto, or senza riuscire a smettere di guardarlo. Negli occhi, pareva
addensarsi una nebbia di dolore senza parole. Così difficile ammettere i propri
errori…
« Crystal…» lo chiamò con un gemito, cercando di trattenere lo sgomento.
Quello sgomento che la ricolmava, che premeva di solcarle il viso in calde
lacrime, consapevole che la colpa non poteva che essere sua, che la rendeva
incerta su tutto.
Il vampiro ricambiò quello sguardo con improvvisa freddezza, sentendosi
sempre più vittima di un inganno che non riusciva ad accettare. La testa ora
posata al muro, tentava di non perdersi nel profumo del sangue
di lei. Una presenza costante nei suoi pensieri tormentati.
Quasi non ringhiò, il viso deformato dalla rabbia crescente che provava
verso sé stesso e verso quell’ex compagno di viaggio, la quale altro non era se non una completa estranea.
« Dannazione!» urlò, lanciando con violenza il cuscino contro la parete
davanti a lui, un dolore insopportabile che lo ricolmava « ti sembro una cosa così meschina? Credevi non fossi in
grado di accettarti per quella che sei?» chiese allora, un leggero tremito nella voce.
« Ti amo.» gli rispose lei di colpo, lo sguardo
serio come forse non era mai stato.
Alzò le braccia, raggiungendo con le sue esili mani
i polsi del ragazzo, mettendoci tutta la forza che aveva in corpo per
trattenerlo.
Così poca rispetto a prima. Così diversa.
Crystal si sentì mancare per la seconda volta.
La guardò dapprima terrorizzato, poi disperato.
Gemette con violenza, sussultando, gli occhi socchiusi: « Bugiarda » gli
riuscì soltanto di dire, scostandosi dalla flebile presa di lei.
Tornò ad abbandonarsi al materasso sotto di lui, sull’orlo di una crisi.
Lei abbandonò le mani al letto, i palmi rivolti al leggero tessuto che
faceva da coperta. Chiuse gli occhi, sentendosi improvvisamente esausta; il
capo che andò a ricadere sul materasso con un leggero tonfo.
Voleva controllare quel dolore, non voleva mostrare quanto si sentiva
debole in quel momento. Quanto quella semplice parola
l’avesse ferita nell’animo.
«Ti amo Crystal…» ripeté, la voce stentorea.
Il vampiro si perse a fissare il soffitto, una mano a massaggiarsi la
tempia destra con debolezza:
« Io ti amavo già da tempo » dichiarò
improvvisamente, spaventato da quei sbalzi d’umore a cui si sentiva sottoposto,
un braccio a nascondere il proprio viso distrutto « ma io sono io » terminò
quasi a volersi giustificare con quel banale commento «sono un morto…».
Lei rimase per un attimo in silenzio: per prudenza, giacché era insicura della
sua stessa reazione. Si rese conto di essere in preda a violenti tremiti. Uno
sciabordio di sentimenti che la stavano sballottando qua e là, secondo le
parole che Crystal si lasciava sfuggire a poco a poco.
Si sforzò di non piangere, sollevando il viso a guardarlo:
« E io penso di testa mia…non m’importa se questo mi causerà sofferenza….»sussurrò
appena, in modo che lui solo potesse sentire quanto male stesse in quel
momento.
Crystal sospirò, tentando di lasciarsi andare.
A fatica.
Le strinse una mano, attento a non metterci troppa forza.
Dopodiché tentò di calmare le proprie emozioni che sentì traboccare con
violenza: gli occhi nuovamente chiusi, l’espressione seria.
«Non sai a cosa stai andando incontro…» disse soltanto, accarezzandole il palmo
della mano con il pollice, facendo brillare per un breve istante l’anello
d’argento, che gli ricordò per l’ennesima volta la sua natura.
Ciò che era, nient’altro che polvere.
Lei sollevò lo sguardo, prima su quel suo semplice gesto, poi sul volto di lui. Rapita da ogni sua singola azione. Come guardando
lo svolgersi di un rito.
S’accorse, tra il disperato e il divertito, di vedere i movimenti del
ragazzo a rallentatore.
Dovette scuotere il capo per riprendersi: «…Lo scoprirò stando…accanto a
te…se tu me lo permetterai…» spiegò, un lieve tremore nella voce, gli occhi
chiusi.
Era paura.
Paura che lui decidesse che non ne valeva la pena, nonostante tutto.
Nonostante l’evidente richiamo che li aveva condotti l’uno
all’altra.
Di nuovo, alzò lo sguardo dal materasso, guardando Crystal alla ricerca di
sicurezza. Ben conscia che quello che stava chiedendo era…qualcosa di proibito
per lui. Ma ora non c’era più niente da nascondere,
niente d’importante.
Crystal non provò ad agire diversamente da un lieve sospiro, che lo portò a
pensare a lui: a ciò che sentiva, a ciò che la sua parte razionale lo avrebbe
portato a fare, a ciò che le sue emozioni lo avrebbero spinto a fare.
Cos’era il giusto, ora? Ed il sbagliato?
Ancora le stesse domande che rimbombavano in testa, pensò
con frustrazione alzando lo sguardo sulla giovane, titubante.
Poi, mosso da un qualcosa di irrefrenabile,
allungò entrambe le braccia per afferrarla con delicatezza, gli occhi ambrati
irresistibilmente apprensivi.
La aiutò a mettersi seduta sul letto, contemplando ancora il silenzio.
Una mano di lei alle labbra che baciò con ferma
cautela.
Avrebbe potuto mentirgli all’infinito.
Avrebbe potuto colmarlo di false speranze, false attenzioni, falsi
sentimenti.
Bastava soltanto che non smettesse di ripetere quelle due semplici parole…
Questo era ciò che voleva essere “il giusto”.
«…salvami…» sussurrò in tono di supplica, il viso solcato da mesti
lineamenti.
Lei si ritrovò a guardarlo, in lacrime, incapace
di fermarsi un momento di più. Debole, com’era sempre stata.
Non riusciva a trattenere tutto ciò che sentì crescere in un istante dentro
di lei, annuendo, cercando di nascondere il viso dietro le mani dalle dita affusolate.
Il vampiro, il cui sguardo era ormai costantemente fisso su di lei, si
ritrovò ad accarezzare lievemente i dorsi delle mani della ragazza; il volto
ancora piegato in un’espressione mesta. Le dita andarono ad intrecciarsi a
quelle di Sivade, arrivando a cogliere le calde lacrime di cui sapeva essere la
causa.
Si sentì cogliere da una morsa allo stomaco, il sangue che lo richiamava
con acuta insistenza, fregandosene del fragile equilibrio che egli cercava in
tutti i modi di trovare. Un armonia che avrebbe dovuto
racchiudere il razionale e l’irrazionale.
«…Non versare lacrime per me…» sussurrò debolmente, ignorando l’ansia che,
man mano, si stava venendo a creare in lui.
Un inquietudine eterna, dovuta al suo
“non essere”.
A quel punto lei lo avvolse in un abbraccio, senza riuscire a frenarsi: immerse
una mano in quei neri capelli. L’altra gli risalì rapidamente la schiena,
mentre il viso andava a sprofondare nel collo di lui,
come per nascondersi. Ancora. Sentendosi troppo debole, troppo “in bilico”.
Come spiegare un simile sentimento?
Crystal trattenne il fiato, deciso a prendere in mano la situazione:
non poteva continuare a tentennare, insistere con lo trovare
scuse per nascondere a tutti un sentimento nato per sbaglio. Era conscio di
aver preso la sua decisione non appena aveva provveduto a
lasciare Hope, spinto da qualcosa più forte di lui.
Posò la fronte alla testa della ragazza, gli occhi più neri della notte.
Di fatto, nonostante tutte quelle belle parole, faticava a controllare le
proprie emozioni, un istinto selvaggio che si risvegliava in lui con forza
incalzante.
Doveva porsi delle regole, regolamentare la propria…diversità.
Poiché dentro di lui si rintanava un mostro, che non attendeva
altro se non un fugace momento di debolezza. Per assalire.
Era la fame.
Non solo del suo sangue.
Che lo stava rodendo.
Le passò una mano dietro la nuca, le labbra affondate nei suoi capelli, lo
sguardo lontano, perso in quei pensieri turbinanti.
La fece scivolare stesa a letto, sotto di lui, bloccandola per una spalla.
Cogliendola alla sprovvista e confondendola ancora di più.
Rendendola alla pari di una preda, ingenua e impaurita sotto la forza di lui.
Sivade cercò il suo sguardo, forse alla ricerca di aiuto:
rimase impietrita, senza fiato nel vedere quei due pozzi d’eternità.
Poi sentì qualcosa di strano nascere in lei, un coraggio impostole dalla
paura e dal desiderio.
Baciarlo.
Voleva assolutamente baciarlo.
Così alzò il capo verso di lui, unendo con rapidità le loro labbra, gli
occhi chiusi a carpire di nuovo l’aroma del vampiro.
Assaporando in quelle labbra gelide il sapore del peccato, con quell’aroma
di cui era diventata quasi dipendente.
Menta e sangue.
Crystal l’attirò a sé con forza, le mani al viso di lei,
ricambiando con impeto a quel bacio che sapeva essere solo l’inizio della sua
nuova condanna.
Fece scivolare una mano lungo il fianco destro di lei, alzando di poco la
maglia che lei indossava; un gemito soffocato nel vano tentativo di resistere a
tutto ciò che stava accadendo troppo in fretta.
Affondò con violenza l’altra mano nelle lenzuola sparpagliate sul letto,
imprimendovi tutto il bisogno ossessivo che aveva di Sivade, mandando al
diavolo la razionalità.
Era un bisogno tanto lacerante, svelato in ogni suo gesto.
Neppure la ragazza sentiva più la voce della ragione o del dubbio.
Totalmente coinvolta.
Troppo intensa era sembrata l’attesa di essere stretta tra le sue braccia,
in quell’insieme d’atteggiamenti… folli e incontrollabili.
Chiusi gli occhi, una mano a ricercare quella di lui tra le coltri, l’altra
ancora rapita ad accarezzargli i capelli, morbidi e scarmigliati allo stesso
tempo. Così strani, così belli…
Li avrebbe mangiati.
In quel momento lo pensò davvero.
Ma si ritrovò a contraddirsi, una volta concentrata
l’attenzione sul labbro inferiore di lui: quello…era molto, molto meglio…
Il moro gemette con violenza, la mano che andò a nascondersi sotto la maglia di lei, catturando in quel modo il calore della sua
pelle. Vi ritrovò un lampo di vita.
Le labbra si spostarono sul collo della ragazza, dal quale poteva percepire
la pulsazione sanguigna.
Per la prima volta si rese conto che i propri battiti andavano a regolare
l’andatura, adeguandosi a quella di Sivade.
Con uno sforzo immane, s’impose l’autocontrollo, mentre le baciava
languidamente una zona poco sotto l’orecchio: il profumo del sangue della
ragazza sempre più intenso, il mostro dentro di lui che impazziva, chiedendo di
essere lasciato libero.
Lei sobbalzò, trattenendo a stento uno spasmo, una mano che andava ad
afferrarlo per il colletto della camicia, traendolo con smania crescente al suo
corpo, bisognosa di quel calore che stava crescendo sempre più dentro e fuori
di lei. La mano, che ancora stringeva spasmodicamente quella di lui, gli graffiò
leggermente il dorso, incapace di trovare altro sfogo.
Respirando a fatica, cercò di catturare gli impulsi che la stavano
soggiogando come un fiume in piena. Ma il battito del suo cuore cominciò ad
impazzire sotto le attenzioni di lui, un gemito ad
ogni tocco delle labbra del giovane sopra di lei.
Crystal venne completamente travolto da quelle
sensazioni, cercando di recuperare un istante di lucidità: la osservò per un
lunghissimo attimo, imprimendosi nella memoria quei momenti di sollievo e
insistente frustrazione; vittima di quei desideri che a lungo era riuscito a nascondere
e trattenere.
Poi si allontanò da lei di poco, in ginocchio sopra al letto, levandosi la
propria camicia in un gesto tanto furioso quanto calcolato.
Si chinò una seconda volta su di lei, fissandola con intensità, soffiandole
sul collo come a volerne tracciare una linea di confine.
Non avrebbe dovuto andare oltre.
«…domattina…ti alzerai dicendomi…che è stato tutto un errore?» chiese,
sfiorandole il viso con una carezza leggera delle dita.
Lei subito non comprese cos’egli intendesse, per poi protestare con un
gemito soffocato, trattenendo un’imprecazione:
« Quante volte devo ripetertelo?» aprì gli occhi, neri a tal punto da
competere con quelli di lui: « Hai il mio cuore. Lo capisci?» chiarì, una volta per tutte.
Almeno così sperava, altrimenti quella che ora pareva solo bramosia si
sarebbe trasformata in puro nervosismo.
Lui la guardò, sentendo urlare una voce che altro non gli ripeteva che era
ingiusto; che era sbagliato, che agiva solo per proprio egoismo.
Un abisso troppo grande li divideva:
lui era morte, tornata a vivere solo per divertimento
altrui; lei era pura vita, giovane e immacolata.
Si sentì annegare, bloccandosi all’istante, così com’era.
Rise nervosamente, scuotendo divertito il capo.
Per fortuna che aveva deciso di prendere in mano la situazione…
Si portò una mano ai capelli, esasperato.
Non sapeva più come agire, a dispetto dei sentimenti di Sivade.
Lei lo guardò in silenzio, senza capire che cosa passava per la sua mente.
Tuttavia, si rese conto di come le cose da lei omesse per tutto quel tempo,
avessero premunito Crystal dall’agire in maniera azzardata.
Sorrise mestamente, voltando lo sguardo verso la finestra per evitare di
guardarlo.
« Domattina… ci sarai ancora…?.»chiese in un
sussurro flebile, lo sguardo, tuttavia, saldo come non mai.
Lui socchiuse gli occhi, lasciando che il silenzio calasse tra loro.
Rispose pochi minuti dopo, quando capì di essere nuovamente in grado di ragionare
lucidamente, allontanando il pensiero del corpo di lei
sotto al suo; dell’odore del sangue che, imperterrito, continuava a pulsare:
« Qui, accanto a te » disse solo, stupito da tutta quella sicurezza che
trasudava.
Sivade chiuse gli occhi, il viso piegato in un’espressione di dolore
intenso.
Non gli riuscì di guardarlo, una stretta allo
stomaco forte a tal punto da farla lacrimare tacitamente. Respirò a fondo,
cercando di acquietare quella sensazione così intensa, così bella da farla
soffrire inevitabilmente.
«…lo stesso vale per me…» disse, aprendo gli occhi, voltandosi appena per
guardarlo, l’espressione assente. Il desiderio istintivo praticamente
spento.
Il moro la fissò a sua volta, gli occhi ancora neri che altro non desideravano se non un’altra risposta, l’espressione
disgustata: « Sono un cadavere ambulante. Come puoi…desiderarmi? ».
Lei gli accarezzò il viso, lentamente, seguendo con lo sguardo le sue
stesse dita percorrergli ogni lineamento. In un gesto che voleva essere
dimostrazione dell’attrazione irrefrenabile che provava per lui, per quella
pelle fredda e bianca come la luna, così diversa da quella dorata di lei.
Sorrise, alzando lentamente gli occhi verso quelli di Crystal, una lucentezza
che andò a perdersi in quegli occhi così magnetici, così tristi. Non sapeva
quando li aveva visti la prima volta. Settimane, forse mesi addietro. Aveva
perso il senso del tempo ormai.
«Non lo sai..?» gli posò un indice sulle labbra,
facendogli cenno di non provare nemmeno a parlare. « L’amore rende ciechi…» gli
disse, con una dolcezza che lasciava trasparire un profondo rimorso.
Crystal abbassò il capo, osservando le lenzuola scarlatte per un breve
istante.
Non era stata una risposta adeguata.
Respirò a fondo, il colore degli occhi che andava via via schiarendosi,
annuendo prima di scostarsi da lei. Non c’era altro da aggiungere.
«Crystal…se vuoi ti spiegherò il perché…per un’ora intera…» la ragazza gli
rivolse completamente lo sguardo, la sua solita testardaggine che prendeva il
sopravvento. « Se è ciò che desideri, anche per tutta
la notte. Se vuoi di più, anche per sempre.»
Non riusciva a sopportare l’idea che scappasse da
lei.
Allungò una mano a raggiungere la cintola di lui,
chiudendo gli occhi.
« Sono cieca del tuo aspetto, persa solo per il tuo animo…»rivelò, inspirando a fondo: « Non vedo altro
che quello che porti nel cuore. Non vedo un mostro.» tornò
a guardarlo. Languida e triste: « Non ho paura di quello che sei…»
Il giovane tornò a posare gli occhi su di lei, un accenno d’ombra ancora
perso nelle sue iridi, l’espressione corrucciata e rigida:
« Ma davvero? » chiese con vago sadismo il
vampiro, un sorriso per nulla amichevole sulle labbra, una mano a stringere la propria
collana, che sembrava bruciare a contatto con la pelle.
Sivade sorrise criptica, scoprendosi completamente il collo, come per
offrirsi a lui, lo sguardo fermo come non mai: « Uccidimi, e io sarò felice di
essere esistita solo per darti un attimo di vita.»
Tanto era il sentimento che sentiva di provare, nonostante vedesse in lui
l’alone perenne del dubbio. Nascosto, ma sempre lì, pronto a spingerlo ad
evitare ogni cosa potesse essere definita “insolita” o
“inadatta” per un vampiro.
Crystal si ritrovò a specchiarsi nelle iridi di lei,
notando le proprie ritornate nuovamente cupe, desideroso com’era della carne e
del sangue di Sivade.
Un puro bisogno fisico.
«...Voglio farti mia…» soffiò con voce bassa e vibrante, le mani tornate a
stringerla in un gesto che esprimeva tutta la sua brama di possesso «…non eri
tenuta ad invitarmi… » spiegò in un bisbiglio, le labbra vicine all’orecchio di lei; dita che le percorrevano la schiena ora
nuda. La maglia di lei già a terra.
Sivade non era riuscita a trattenere un sussulto, tant’era stata la
rapidità con cui lui aveva agito, senza darle il tempo di dire o fare nulla.
Impazziti, i battiti del cuore riempirono col loro ritmo incalzante ogni
silenzio creatosi.
Lo chiamò in un sussurro…
Abbandonata a lui.
Lui ammiccò, uno sguardo colmo d’anelito che perscrutava ogni curva di lei,
forse divertito, forse rapito; le mani aperte sulla schiena flessuosa che
risalivano lentamente, per poi spostarsi con una leggerezza celante il suo
implacabile desiderio, arrivando davanti, appena sotto i seni.
Le sorrise disperato, incapace di darsi altro
contegno, prima di chinarsi a baciarle il petto con impeto, trattenendo la
forza che sentiva crescere in lui.
La ragazza affondò le mani nei capelli del vampiro, senza riuscire a
trattenere degli spasimi. Preda lei stessa dell’anelito diffusosi ormai tra
loro.
Gli baciò il capo. Chiudendo gli occhi, poté assaporare quel profumo
consueto: un’essenza che permeava la pelle del giovane, agrodolce, come lo era
il sentimento che lei provava.
Il moro la fece sdraiare sul letto con velocità portandola, ancora una
volta, sotto di lui. Finì per strisciare più in basso, senza mai staccare gli
occhi da quelli di lei, prima di leccarle il ventre, suadente e ferale; le mani
che ancora indugiavano sui suoi capezzoli. Lei gemendo rabbrividì, completamente
preda di lui. Chinò la testa di lato, serrando gli occhi per trattenersi da commettere
un errore fatale. Pur distratta da simili attenzioni, nella sua mente era sempre
vivida la consapevolezza che in quei momenti era in gioco la sua vita.
La sorte, maliziosa e furbesca, stuzzicava la morte ad un gioco immorale.
Aveva preso loro come pedine di una sfida proibita.
Crystal, ormai completamente disinibito, le
accarezzò avidamente la zona prossima alla cintola dei jeans neri che lei ancora
indossava, scoprendoli ora troppo larghi.
Glieli sfilò con un unico e semplice gesto, prima di afferrarla per i
fianchi e ribaltare completamente le posizioni, smanioso di osservarla in ogni
suo movimento: lei sopra di lui.
Sorrise malizioso, negli occhi una luce nociva che brillava con insistenza:
«…muoviti per me, Sivade…» disse con voce carezzevole, avvolgendola in un manto
di promesse taciute.
Piacevoli, calde, lascive.
Lei lo guardò, confusa, le guance che andavano ad arrossire pesantemente.
Se prima lui era sembrato incerto, in quel momento tutto
sembrava avere assunto un velato simbolismo malsano, di cui il giovane era la
costante.
Gli posò le mani al petto, riprendendo padronanza di sé stessa. Si chinò su
di lui, avanzando con le mani verso il suo collo, premendo di poco le unghie
nella carne del ragazzo, lo sguardo ottenebrato dall’incertezza.
« …che maniaco…» gli sussurrò a fior di labbra, mentre
i capelli le ricadevano sulla spalla sinistra in fili di tenebra.
Crystal le leccò quelle labbra con lussuria, portandole una mano dietro la
nuca: «…se non ricordo male…le cose…malsane…ti
sono sempre piaciute…» sussurrò accarezzandole una coscia, le sue dita agili
nel sapere cogliere i punti critici.
La lingua gelida di lui che si divertiva nel percorrere le soffici,
accoglienti labbra di Sivade; gli occhi socchiusi.
Lei rise, portandogli l’indice davanti alle labbra, bloccandolo per il
tempo necessario a ribattere: «…ora quel piacere è un po’…aumentato…» gli
confidò, aprendogli lentamente la cerniera dei jeans
in un movimento furtivo.
Il vampiro sorrise divertito, approfittando
dell’indice di lei ancora davanti alla sua bocca. Troppo attivo per attendere
oltre, lo catturò fra le sue labbra mentre l’osservava in ogni movenza: dal
lieve imbarazzo che scorgeva nei suoi occhi che scansavano il suo sguardo, al leggero
movimento di quelle dita che lo facevano tremare.
«…era ciò che volevo…» sussurrò del tutto sincero, facendo scivolare il suo
pollice ad accarezzare il bordo dei boxer che Sivade ancora portava.
Rise lievemente: « che lingerie…» commentò incapace di trattenersi.
« Vaffanculo, Crystal.» lo secco lei.
« Ma è così sexy!» esclamò l’altro intrufolando
una mano, senza tanti impedimenti « inoltre sono comodi » ghignò.
Lei roteò gli occhi, leggermente esasperata, togliendogli i pantaloni con
un solo gesto. In cuor suo, avrebbe voluto trasformare i boxer
di lui in un tanga di seta lucida, tanto per fargli passare la voglia di
fare certi commenti.
Il vampiro prese ad accarezzarle l’intimità, del
tutto a suo agio, percependo istantaneamente l’eccitazione di lei: «…mi
desideri fino a questo punto…?» chiese suadente, lo sguardo che giocava
malizioso sul corpo di lei.
La ragazza ritornò a guardarlo, un rossore sempre più pronunciato sulle
guance: «…Numi, quanto sei stronzo…» brontolò,
mordendosi il labbro inferiore.
Lui rise, le mani che fremevano nel tentativo di trattenere ciò che la sua
mente immaginava di fare. La spinse contro di lui aumentando, in quel modo, la
pressione della sua mano su di lei.
«…quanto sei…vogliosa…»
ribatté lui, languidamente.
Lei soffocò un gemito, cercando di mantenere il controllo, cacciando dalla
sua mente ogni pensiero che, doveva ammetterlo a sé stessa, non era molto…
immacolato.
« Accidenti! » ringhiò, la voce roca, continuando a combattere quella
battaglia contro sé stessa e contro lui, imponendosi
di non cedere tutto e subito.
Crystal mosse il bacino contro la ragazza, lo sguardo che intendeva
catturare quello di Sivade facendola sentire perduta, smarrita in lui:
«…mi vuoi o no…?» sussurrò al suo orecchio, passandole la mano libera fra i
capelli, sentendo il seno di lei contro il suo petto
di ghiaccio.
Sivade sentì subito un brivido partire dall’orecchio e raggiungere il luogo
in cui lui continuava ad indugiare. Si accorse che ogni cosa, in lei, tendeva
inesorabilmente verso quel giovane sotto il suo corpo. La bocca era impastata,
un tremito nella voce che tradiva i suoi pensieri: «…Difficile evitarlo…ormai…»
le riuscì a dire.
«…Posso sempre lasciarti qui… a metà…» sussurrò lui, con un’ingenuità del
tutto contrastante con la bramosia che traspariva chiaramente dai suoi occhi
languidi, che accarezzavano assieme alle proprie mani i fianchi dorati di lei.
« Ma…se preferisci soddisfarti…» proseguì suadente per poi tornare ad accarezzarle le labbra
con la propria lingua, cercando di respirare il minimo indispensabile: per non
lasciarsi travolgere da ciò che era.
La mano che si mosse più in profondità.
Lei sussultò, abbandonando il capo sulla spalla di lui
in un gemito.
Quei tocchi, quelle rapide azioni fugaci, erano
attenzioni che mai prima d’ora aveva ricevuto. Esserne preda per la prima volta
sembrava aumentarne l’effetto. Invano il tentativo di soffocare il piacere.
Questo voleva essere espresso con troppa forza: «…ti ucciderei…» rispose dopo
un lungo momento.
La voce stridula, il fiato mozzo.
«…fallo…» disse lui passandole l’altra mano lungo la schiena « donami te stessa…e poi ammazzami…» disse sottovoce, gli occhi che
altro non erano se non due abissi in cui perdersi. Per sempre.
Sivade rise a stento, inarcando leggermente la schiena ad ogni tocco del
vampiro: «…dopo, eh?...» commentò
divertita «…ma guarda…un altro voglioso nella stanza…».
Lui la interruppe all’istante: «Taci» le ordinò baciandola con violenza,
non riuscendo più a trattenersi, non riuscendo più a scherzare.
Inspirò con forza, l’espressione sofferente.
Lei gli si abbandonò contro, completamente, accogliendo quel bacio con
rinnovata sregolatezza, del tutto immemore di cosa si erano detti fino a un momento prima.
Gli tolse i boxer, con un gesto rapido e preciso.
Non del tutto inutile era stata la sua vita da ragazzo.
Lui respirò affannosamente, inondato da lei e dal suo sangue, la cui
circolazione era impossibile bloccare.
Ringhiò, premendo con forza l’anello d’argento al dito, incidendo la carne.
La sofferenza serviva a tenerlo lucido. Per tutto il tempo.
Ce l’avrebbe fatta.
A sua volta strappò i boxer che lei ancora portava, prima di prenderla per
i fianchi e sbatterla sul letto a bocconi, strappandole un piagnucolio
sommesso.
Affondò il viso sulla nuca di lei, la lingua che
poi scese a percorrere la spina dorsale nella sua interezza.
La sentì gemere leggermente, il corpo sotto di lui che andava via via scaldandosi: di piacere, di desiderio, d’imbarazzo. Era
come se Sivade fosse diventata lei stessa l’impaziente bramosia che
attraversava entrambi. In più, dentro la ragazza, la magia sembrava voler
traboccare: la faceva tremare, sussultare, trasalire. Approfittando dei suoi
momenti di debolezza, del suo abbandono.
«…Crystal…» le riuscì a dire, pur a stento, in una supplica disperata.
Lui si avvicinò al suo orecchio, le mani posate ai lati della testa di lei.
Ne catturò il lobo fra le sue labbra: «…implorami…» sibilò, ansioso.
Non dovette ripeterlo una volta di più.
«...Ti prego…» gemette lei, soffocando la voce contro il cuscino.
Crystal rise appena, una vena di disperazione che ancora lo affliggeva.
Lentamente la fece voltare, gentile, andando a posare le labbra in
corrispondenza del cuore di lei. Chiuse gli occhi,
prima di prenderla e amarla tutta la notte.
Grazie come sempre
alle nostre assidue lettrici, a chi non si è più fatto sentire, a chi ci segue
da sempre.
A chi ci
perseguita, alla leggenda di Crystal il vampiro (cioè
ai miei sogni assurdi =-=), a Erick Kripke che ci regala gioie e dolori ad ogni
serie di SPN. Grazie a Dark, da parte mia, per quando s’incazza
senza motivo e fa la difficile.
Continuate a
seguirci!
E ora, un capitolo
praticamente dedicato a Tomi…
Cosa succederà a
questo ragazzo, ora che il fratello ha scelto Sivade?
Come disse Ren, il bonzo, Tom è vittima facile della febbre dell’incesto…
Come uscirne…?
Come dimenticare…?
Capitolo 21: “Make me Forget”
Una carezza di sole, un sussurro di vento.
Sulla sua pelle dorata, come un saluto fraterno.
Etereo e gentile.
Ma c’era altro.
Qualcosa di struggente e intenso.
Viaggiava leggero nell’aria. Note d’una melodia
senza tempo.
Sivade aprì a fatica gli occhi, stringendo appena il lenzuolo sotto le sue
dita.
Le bastò qualche istante per riabituarsi alla luce.
Un minuto per riprendere consapevolezza di ciò ch’era
successo.
Era tornata sé stessa.
Dopo ben diciotto anni.
I sentimenti che la percorsero in quel momento furono molteplici, l’uno più
intenso dell’altro. Rabbia contro il padre che l’aveva
maledetta e dimenticata. Disdegno per una madre che
non l’aveva mai difesa. Sofferenza per quegl’anni vissuti sotto il manto d’una bugia insondabile.
Gioia…
Per aver ottenuto pace a quel dolore.
Per aver ripreso la sua forma.
Per aver trovato l’amore.
La sua salvezza.
La sua soluzione.
Pianse, mentre Crystal viaggiava con le dita sui tasti del pianoforte.
Pianse tutte le lacrime che aveva trattenuto per anni e
anni, silenziosa.
La tastiera lucida, perfettamente tenuta, che suonava note profonde e
penetranti:note che riempivano le
semplici pareti costituenti quella stanza in cui lui sedeva davanti ad un piano
a coda, nero e ben conservato.
Accennò un flebile sorriso, gli occhi chiusi mentre si lasciava condurre
dalle note malinconiche di quella melodia imparata anni, probabilmente secoli,
prima.
Una canzone insegnatali dalla sua defunta moglie, colei con cui si era
scambiato una promessa eterna che mai avrebbe dimenticato.
Non avrebbe mai conosciuto il nome di quel nostalgico motivo…
socchiuse gli occhi.
Si lasciò trasportare nelle sue ultime note, senza trattenere le emozioni
struggenti che lo stavano pian piano avvolgendo.
Una nuova storia, una nuova vita.
Che non si sarebbe lasciato sfuggire.
«…Ben svegliata mia Principessa…».
Si voltò a guardarla con un sorriso delicato in viso.
Sollevando lo sguardo, la ragazza non seppe sorridere immediatamente.
Il viso ancora rigato di lacrime, si rifugiò nel cuscino, sentendosi fin
troppo debole.
Dov’era finita la sua forza?
«…che schifo…» sbottò nervosamente, le mani
serrate per sfogare tutta la sua frustrazione sul materasso, prendendolo a
pugni.
Il vampiro, pallido come sempre, prese a fissarla con cipiglio confuso: «
dopo una simile nottata, sentirsi dire certe cose potrebbe
risultare…frustrante…» spiegò, chiudendo il copritasti del pianoforte, ora in
piedi davanti al letto; vestito solo di boxer e jeans neri attillati, sorretti
dall’immancabile cintura borchiata.
Fermatasi, Sivade tornò a guardarlo, sentendosi improvvisamente inerme:
« Non mi riferivo a quello…stupido…» disse flebile, rilassando le mani.
Crystal quasi non si gongolò, un sorrisetto divertito
sulle labbra: « lo spero bene…» si portò le mani in tasca: né avanzò né
retrocedette.
Ora come ora sentiva pericoloso l’avvicinarla.
«…Sceeemooo…!» disse esasperata la ragazza,
ridacchiando appena.
« La miglior nottata della mia vita » rise avvicinandosi alla finestra,
attento a non esporsi ai raggi solari « il che è tutto dire…considerata la mia
veneranda età…e le mie nobili esperienze…» scostò le tende, facendo calare
ancora una volta il buio nella camera.
Lei rimase a guardarlo, leggermente interdetta. Non poteva certo dire lo
stesso.
« Non avendo termini di paragone, non mi sembra giusto mentire su qualcosa
che non ho mai fatto prima di questa notte.» rivelò tranquilla.
« Più avanti » disse lui soltanto, ridendo.
La voce roca, la carnagione più pallida del normale, le labbra quasi
violacee e un accenno d’occhiaie sotto agli occhi.
Si posò al muro, incrociando braccia e gambe.
Poi ritornò serio, gli occhi concentrati sul viso di lei,
attento ad ogni minimo particolare: « Ora, però, m’interessa solo sapere come
stai ».
La ragazza sospirò, portandosi una mano ai capelli scompigliati dal sonno:
«…Non mi ritrovo in questo corpo…» cercò di spiegare «…sono praticamente vissuta sempre…da uomo...» sottolineò le ultime due
parole, una tenue vena di disprezzo ch’era rivolta nuovamente al padre.
Crystal si ritrovò a sorridere comprensivo, le braccia ancora incrociate al
petto: « se così non fosse stato…chissà ora che donna pettegola saresti » rise
appena, tentando d’immaginare il “vecchio” Sivade andarsene in giro a fare il comare.
Si portò una mano ai capelli, il sorriso allargato a dismisura.
L’eloquenza che la faccia schifata di Sivade mostrò fu quasi esagerata: «
La donna pettegola potrebbe offendersi, signore.»
« E chi mai sarebbe…?» domandò in un sussurro, guardandosi attorno circospetto, gli occhi color petrolio.
In quel momento si chiese quanto avrebbero potuto pagarlo per recitare a
teatro: era un ottimo attore, in special modo se si trattava di raccontare
menzogne oppure indossare maschere.
Quello che realmente riempiva la sua mente era la fame implacabile dovuta a
quel profumo che aleggiava in tutta la stanza. Chiuse gli occhi, inspirando a
fondo.
Sivade lo guardò con acuta attenzione, per poi sorridere sconsolata:
« Hai fame…» constatò, coprendosi più che poteva
col lenzuolo.
L’altro tornò ad aprire gli occhi su di lei, deglutendo
pesantemente: « Touché
» disse soltanto, scuotendo debolmente il capo, rassegnato: «…coprirti non
servirà. Tutta la stanza è invasa dal tuo profumo…». Sorrise.
Lei chinò il capo a guardarlo, lo sguardo da bambina fisso a ricambiare
quello del vampiro. « Dovrai chiamare un’agenzia di disinfestazione, allora. Anche se non capisco che ha di speciale il mio “profumo”…» sospirò,
sentendosi all’improvviso pesante. Non aveva ancora capito il perché, ma
era chiaro che a Crystal piaceva particolarmente il liquido che scorreva nelle
sue vene.
Gli piaceva al punto da farlo impazzire.
Il giovane, posato ancora al muro, sorrise flebile cercando di trovare una
spiegazione per ciò che egli sentiva, ogni qual volta si lasciava trasportare
da quello che era il profumo di Sivade.
Rabbrividì leggermente: « Non so spiegarlo…mi dispiace…». Sospirò, una mano
ad accarezzarsi distrattamente le labbra.
Lei lo guardò compiere quel gesto, contemplando il silenzio. In cuor suo,
un’altra domanda si era fatta strada. Forse per capriccio,
forse per quel legame appena nato che sapeva chiamarsi amore. Chiuse gli
occhi, facendo una vocetta stupida per dissolvere l’imbarazzo: «Sai dirmi
almeno se…shono carina..?» .
Crystal abbandonò le braccia ai fianchi, spostando lo sguardo alle tende di
un colore blu tenue che cadevano dritte sino al pavimento.
Si lasciò sfuggire un grosso sospiro, udendo in
lontananza rumore di passi agili tanto quanto pesanti. Sorrise appena, tentando
di battere nel tempo colui che, in fin dei conti,
altro non era che la reincarnazione del tempo.
Battaglia persa.
Sin dall’inizio.
Irruppe, infatti, Tom: allegro e spensierato come non mai, un sorrisetto
ebete in faccia.
« Crysantelmo! » esclamò, saltando in avanti a
gambe divaricate, bocca e mani spalancate indicando la ragazza sdraiata a
letto.
Si fece perplesso per un decimo di secondo: « hai cambiato stylist, eh? Molto femminile, Crysantelma!
».
Dal canto suo, il vampiro fissava pressoché imbambolato il fratello che
analizzava la ragazza da capo a piedi, mettendosi a carponi
sul letto: « ma quand’è che hai fissato appuntamento col chirurgo? Perché qui c’hai due bei meloni » prese a palpare, annuendo soddisfatto
« la terza è la taglia perfetta. Si, si » lanciò
lontano il lenzuolo osservando ammirato anche tutto il resto.
Sivade non riuscì a fermarlo in tempo, tanto era
lo shock causatole da quella sottospecie di valanga umana. Non
che non le venisse da ridere, anzi. Si stava trattenendo più che poteva.
Anche se Tom le palpate avrebbe potuto risparmiarsele…
« Crysantelma è felice che ti piaccia
l’armamentario, fratellone…» sghignazzò imbarazzata, mettendosi in posa mentre
lanciava un’occhiata ilare a Crystal.
Il vampiro si fece avanti, decisamente nervoso, ma
puntualmente bloccato dalle oscenità che fuoriuscivano dalla tanto fine bocca
del fratello: « sei tanto bronze però! Ti preferivo latticino…» spiegò,
infilando l’indice all’ombelico, interessato.
E, puntualmente, il suo sguardo cadde sulle zone a lui più
gradite: « ma nooo! Il triangolino peloso, nooo! Rasatela!» si fece serio «ogni giorno però, perché spuncia!»sorrise
sempre più ebete «aah…la mia Crysantelma!» si guardò
attorno notando nient’altro che boxer e abiti maschili, sotto lo sguardo
esasperato della ragazza.
Crystal fece un altro passo avanti, quasi a rallentatore, la mano prossima
ad afferrare il biondo per il collo:
« ah!! Te lo regalo io il perizoma!! » si mise in piedi sul letto,
lasciandosi cadere i pantaloni, del tutto a suo agio, prendendo a sfilare
avanti ed indietro sul materasso « bello il MIO perizoma, vero??» indicò le
parole scritte davanti, ammicante « “Here’sstars!”».
Sivade a quel punto soffocò le risate nel cuscino, incapace di darsi una
calmata. Con le lacrime agli occhi, guardò Tom fare da modello sentendosi
sempre più preda dell’euforia: « Fratellone, tu si che
sai cosa desiderano veramente le donne!»
Quello sorrise gaudio, strizzandosi i
gioielli di famiglia: « Tomino lo sa! Ja!» esclamò
proprio quando Crystal lo afferrava per i rasta, scagliandolo a terra con violenza;
lo sguardo spaurito di Tom che si specchiava in quelle acque immote che altro
non erano se non le proprie iridi.
« Ah, merda…» borbottò stordito, una mano al
cappello, intento a riprendersi dal colpo appena ricevuto dal fratello. Si mise
seduto, scuotendo leggermente il capo, Crystal furibondo davanti a lui.
Si mise seduto a gambe incrociate, l’espressione perplessa e confusa come
non mai. Allungò una mano per tastare i gioiellini di Crystal, nel tentativo di
capacitarsi della realtà dei fatti che, a quanto
pareva, gli era sfuggita di mano: « You are the real
one!» esclamò dapprima esaltato poi, via via più
terrorizzato. Cosciente di aver appena compiuto qualcosa di
grave, una situazione irrisolvibile al momento.
« E tra poco tu sarai irreal » rispose infatti, nero, il vampiro.
Sivade soffocò un’altra risata, mettendosi addosso la
sua maglia caduta poco distante dal letto: « Quanto sei cattivo Crysantelmo, lui voleva solo darti tutto il suo appoggio…»
ridacchiò« …nell’eventualità!». Si alzò, accostandosi al moro con passo
tranquillo e per niente imbarazzato. Un po’ d’orgoglio maschile residuo l’aveva ancora, si prese in giro.
« Taci tu » soffiò il moro, iracondo, prendendo per la maglietta il
fratello sino a farlo alzare in piedi, le gambe a mezz’aria. Quell’altro
che non si muoveva di un millimetro, accondiscendente: « una morte senza
pantaloni! » esclamò, due occhioni lucidi a guardare la ragazza « il perizoma
te lo lascio, sai?» sorrise, il viso falsamente terrorizzato « se lo indossi,
garantisce sesso sicuro! Inoltre promette un orgasmo più duraturo» ghignò malefico « sai com’è… bloccare il tempo nei momenti più
opportuni…» si leccò le labbra. Il fratello che spostava le mani dalla maglia
al collo, senza pietà.
«…Sono sicuro...no! Sicura…che tuo fratello non ti vuole morto…vero…?»
propose la ragazza, portando entrambe le mani su quelle di Crystal, estremamente delicata.
Cercò lo sguardo del vampiro, quello sguardo famelico, nero come una notte
senza luna a rischiarare il cielo.
«…Vero…?» chiese ancora, in un flebile sussurro.
« Ti ho detto di tacere! » ringhiò, fulminandola con lo sguardo, sbattendo
il fratello al muro e uscendo dalla stanza calciando la porta che finì a terra,
in frantumi, quasi fosse stata sbriciolata da una carica di gnu.
Il biondo respirò a fondo, limitandosi a massaggiarsi la nuca, mentre
dentro di lui si sentiva terribilmente angosciato e nervoso.
Sivade sospirò a sua volta facendo spallucce: « Comunque
lasciarci le mutande a vicenda non è molto romantico…» commentò, chinandosi
davanti a Tom, le braccia posate alle ginocchia. Si sentiva in colpa, in quel
momento.
Il biondo scosse lentamente il capo, tornando in piedi a fatica, la schiena
a pezzi e la testa dolorante: «…si brucerà…» commentò soltanto, il pensiero già
rivolto al gemello nonostante il trattamento appena ricevuto.
« E’ fortunato che non me la prendo perchè mi ha detto di stare zitta…»
disse cupamente la ragazza, lasciando che il clima fuori s’annuvolasse quanto i
suoi pensieri. « Pensa un po’ alla tua salute, ok? ».
« Io sono una roccia! » esclamò Tom palesandosi allegro, andando a
raccogliere i jeans che s’affrettò ad indossare, senza
bisogno di tante cerimonie. Lo sguardo alla finestra.
« Anche le rocce possono frantumarsi…» disse solo
Sivade alzandosi per scostare le tende: fuori, la pioggia cominciava a cadere,
fine, quasi impalpabile.
Guardò verso il basso, non vedendo nessuno per le vie del monastero:
«…la terrò per qualche ora…và pure a cercarlo,
no?» propose al ragazzo, voltandosi verso di lui.
« Non è il caso » rise Tom, andandosene fuori dalla
porta, diretto nuovamente alla sua stanza, lasciando che la pioggia lo
bagnasse:
« Arrivederci, principessa Sivade » sorrise amaro, mani
in tasca.
La ragazza si fece mesta, sorreggendosi alla tenda che ancora aveva tra le
mani:
« Ciao Tom…» rispose solo, sentendosi ancor più responsabile.
Se ne stava sotto la pioggia, tranquilla, posata ad uno dei muri di quel
luogo sacro. Vomitosamente sacro, per lei. Goito non
aveva mai amato restare in luoghi dove tutti puntavano a “purificarsi”.
Quasi non si accorse della prima persona che gli passò davanti.
Quando fu la volta della seconda, aprì gli occhi, fissandoli al
terreno con espressione vuota: «…Piccoletto, vuoi un the…?» chiese a Tom,
tranquilla.
« Ora come ora potrei rimetterlo » rispose questi, tremendamente sincero,
al contrario dell’espressione divertita che, puntualmente, era tornato ad
indossare.
« Le cortigiane non dovrebbero stare sotto la pioggia » aggiunse poi
ridendo prima di calciare un sasso invisibile a tutti, tranne che a lui.
Goito sospirò, sollevando lo sguardo su di lui: « Sono la prima cortigiana,
quindi posso fare quello che voglio…tipo stare attenta che nessuno soffra
eccessivamente.» disse
pacata, senza far capire di chi stesse parlando. « Se
non ti va il the, te lo mando dopo. O te lo porto…» guardò il cielo con aria
annoiata «…tanto ho tutto il tempo che voglio…»
« Noioso ‘sto lavoro da prima pupattola » commentò divertito il rasta
alzando il viso al cielo, lasciando che l’acqua lo frustasse il minimo necessario
per punirlo di ciò che aveva provveduto a causare. Un
vero disastro, in tutti i sensi.
« Basti pensare che devo solo farmi usare da chi mi può pagare, fare la
carina e poi intascare i soldi.» spiegò
breve la rossa, vestita d’un paio di short blu ormai fradici. Nulla provava
davanti alla realtà della vita. Era abituata a tutto.
« Non posso pagarti, mi dispiace rifiutare l’invito » rise Tom, scuotendo il capo prima di tornare a guardarla; gocce di pioggia che
gli percorrevano il viso ricordando lacrime mai versate. Guardò la porta di
camera sua, eloquente.
Goito si voltò per vedere dove stesse guardando, sorridendo appena vedendo
l’obbiettivo del ragazzo: « Resto io a bagnarmi, tu và
pure. Tanto sei un pessimo cliente…» disse chiudendo gli occhi.
Tom la osservò per un breve istante, per poi fare spallucce,
remissivo:
la prese per il polso, trascinandola verso la camera senza
indugio « sei una pessima pupattola se non consoli un depresso! » esclamò,
aprendo la porta della stanza, del tutto tranquillo. Senza secondi fini.
Lei lo guardò a lungo, direttamente negli occhi. Non che
si facesse scrupoli su di lui. Rispetto a certi clienti che le erano
capitati, il giovane davanti a lei era una perla tra i porci. Sospirò,
divertita dai suoi pensieri: « Pagamento in natura, ok…».
« Ti pagherò una tazza di te » disse l’altro, trascinando la rossa nella
stanza, per poi richiudere la porta in completo silenzio « certo che se vuoi
prestazioni dal sottoscritto, basta parlare! Ho il perizoma magico» rise,
andando a buttarsi sul letto, sconsolato.
Goito si scosse leggermente, una mano che portò ai capelli. Con passo tranquillo, si avvicinò, sedendosi a metà del materasso:
« E io non sono umana…» disse, passandogli con un dito il ventre appena
scoperto. « Si giocherà ad armi pari, insomma.» la
voce ora d’un timbro più basso e sensuale.
«Ma tutto il mio essere protende al magico…» disse
di tutta risposta il biondo, un sorrisetto sadico dipinto sulle labbra carnose.
Lei non rispose, accarezzandogli ora una guancia per abituarsi all’idea, a
quel corpo e alle emozioni che avrebbe dovuto palesare per rendere tutto più
“naturale”. Era la sua prassi personale. Saggiare, prima di tutto. Sembrare realmente innamorata, coinvolta, rapita dal compagno che
chiedeva il suo aiuto. Se d’aiuto si doveva
proprio parlare.
Si chinò, baciandogli le labbra con sensualità innata, la pelle che andava
a riscaldarsi alla stessa temperatura di lui.
« Devo consolare un depresso o sentir parlare un dio del sesso?» sorrise
sarcastica.
« Entrambi…?» propose quello, aprendo appena gli occhi ad osservarla,
completamente a suo agio in simili situazioni. Una mano che andò a sistemarsi appena
il berretto, il frontino ora di lato.
« Allora le tazze di the sono due…» disse lei pacata,
la mano ancora sul ventre che s’intrufolò nei pantaloni, sinuosa. « Permesso?».
« Hai dimenticato di bussare! Vogliooo “TooCTooC!!”» sorrise pacifico,
una mano che scivolava ai fianchi di lei, agile e
silenziosa.
Una mano tanto più grande se messa a confronto con
quella di lei… o con quella del fratello. Sospirò, abbattuto.
A guardarlo, Goito non fece alcun commento. Non era incline a consolare le
persone, non più di tanto. Sapeva che per molti il sesso era di per sé una
consolazione. Lo era anche per lei.
Portò le labbra all’orecchio sinistro di Tom, i capelli che andarono a
stuzzicare il collo di lui: «…Toc...Toc…» sussurrò, soffiando ogni parola.«…Posso farti
dimenticare…?» chiese supplicante.
Il biondo salì ad accarezzarle il viso, specchiandosi negli occhi di lei: «…mi affido a lei…Prima Pupattola…» disse, in
tutta risposta, lascivo e vulnerabile al contempo.
« Saprò darti ogni cosa tu voglia…che il mio corpo
possegga…» proferì lei in tutta risposta, baciandogli quella stessa mano.
Tom la guardò silenzioso, senza più aprir bocca se non per baciare e
lasciarsi baciare. Le passò una mano fra i capelli, lo sguardo cupo fisso nel
suo mentre la baciava dapprima con calma e delicatezza, poi con foga e
disperazione mentre l’attirava a sé, facendo aderire perfettamente i loro
corpi.
E lei, perfetta nel suo compito, lo lasciò fare. Lo accolse, continuando a guardarlo come lui sembrava
implicitamente chiedere. Gli sfiorò i fianchi, sollevando la maglia fin troppo
grande anche per lui. Bagnato, ogni tocco tra loro.
Il ragazzo la mise seduta a carponi su di lui, le mani che andarono a
toglierle la maglietta prima di soffermarsi a sfiorare i seni
di lei, lo sguardo grigio.
Chiuse gli occhi, lasciando che le proprie mani descrivessero il corpo
della rossa in ogni particolare. Lei che lo guardava nella più completa
impassibilità.
Studiandolo.
Non nel fisico, che le sue mani avevano già compreso
essere piacente. Ma nell’animo. Scoprì chi
amava, quanto lo amava, da quando lo amava.
Si ritrovò a sorridere di lui, trovandolo incredibilmente infantile.
Gli tolse la maglia, per poi baciarlo nuovamente sulle labbra, ora a lei
essere caparbia e impositiva. Tom che ricambiava con la stessa decisione, tanto
era il bisogno di dimenticare gli avvenimenti di poco prima: una mano che le
accarezzava le cosce, l’altra ancora immersa fra i capelli di
lei. Le catturò il labbro inferiore con il quale si perse a giocare. La
sentì gemere appena.
Non avrebbe mai saputo se per recitazione o per reale piacere.
Non era cosa importante.
Lei era lì per essere usata, entrambi lo sapevano.
Goito per prima, conosceva le regole del gioco.
Una mano scese all’inguine di lui, accarezzando le
parti più intime. Carica di passione, di brama. Insaziabile in apparenza, come
diceva anche il bacino di lei, mosso lentamente, a
ritmo, contro il corpo del giovane biondo.
Tom si ritrovò a mugolare, e questo non gli piacque affatto.
Ebbe come un blocco, che lo portò a ribaltare le posizioni di punto in
bianco.
Odiava essere passivo, preferiva “l’attività
fisica”.
Si lasciò scappare un ghigno divertito quando si piegò a baciare il ventre di lei, la lingua che saettava a suo piacimento dove
meglio credeva.
Il respiro pesante, la ragazza accondiscendeva ad ogni movimento di lui. Nulla che la potesse stupire in alcun modo. Attenta a non
togliergli il cappello, gli accarezzò i capelli, muovendo ancora il bacino, in
modo che seguisse ogni movimento di lui.
Gli aveva fatto pena, dovette ammettere a sé
stessa. Crystal aveva un amore ora. Il piccoletto sopra di lei aveva solo
Crystal. Perso il fratello, Tom era praticamente
demotivato a vivere.
Il biondo sospirò andando a levarle anche gli short; quasi annoiato giunti
a quel punto. Senza attendere oltre, le tolse anche gli slip,
per nulla attento a ciò che stava facendo. Puro automatismo.
Lei si prodigò a togliergli i pantaloni e i boxer. Non con le mani. Nemmeno
con le gambe. I capelli, silenziosi, avevano fatto il tutto. La ragazza si alzò
a sedere, per poi chinare le labbra tra le gambe di Tom, con una sorta di
movimenti meccanici molto simili a quelli di lui.
Lui affondò entrambe le mani ai capelli di lei,
massaggiandole distrattamente la nuca, gli occhi ora chiusi. In
attesa.
Sospirò ancora una volta e lei iniziò la sua danza leggera con la lingua;
accarezzandogli ogni lembo di pelle per poi avvicinarlo e catturarlo tra le
labbra, le mani alle natiche di lui.
Tom mugolò, nuovamente. Ma ora la motivazione era
già più accettabile della precedente. Affondò con maggior vigore le mani nei
suoi capelli scarlatti prima di gettare la testa all’indietro, desideroso
d’aria, boccheggiante.
L’impulso all’abbandono era ormai raggiunto, ma Goito s’interruppe
all’improvviso, tornando alle labbra del giovane, umide e
semi aperte. Le mani risalirono rapide e gelide la schiena
di lui, mirate a farlo rabbrividire.
Tom si raddrizzò, le palme delle mani sulla schiena sinuosa di lei,
incapace di trattenere quel senso di vuoto che lo stava catturando assieme alla
perdizione che la ragazza gli offriva. Tentando di restare lucido, avvicinò la
bocca all’orecchio di lei che prese ad accarezzare con
le proprie labbra, gli occhi persi al soffitto. Un sospiro
tremante che non riuscì a trattenere, mentre lei catturava tra le labbra un
lembo di pelle, in un punto preciso del collo. Spillando il piacere da
lui come fosse stato una fonte d’acqua zampillante.
Il giovane biondo si portò una mano al viso, quasi esasperato, incapace di
fermare il flusso di sensazioni che lo invasero con dura violenza:
«…vuoi sbrigarti…? Non ho tutta questa pazienza…» sibilò, al limite di sopportazione, gli occhi semichiusi.
Normalmente, seguendo i suoi ritmi, fra loro avrebbe dovuto
essere tutto finito. Ansimò.
La rossa rise cristallina, le labbra ancora posate sul collo del ragazzo: «
Oh, povero!» lo compatì, per nulla seria. Anzi,
soddisfatta.
«…Muoviti…» ripeté, alzando il viso di lei verso
il suo per baciarla con trasporto, chino verso di lei; un eccitazione evidente
fra le sue gambe.
« Prendimi, dio del sesso…» disse ansimante la rossa, baciandolo a sua
volta, mordendogli i lati della bocca. I denti che non
puntavano a ferire. Solo a provocare. Per due tazze di the, poteva anche
divertirsi lei stessa.
Lui la spinse all’indietro, facendole perdere l’equilibrio, a carponi su di lei; le mani che l’accarezzavano
pesantemente partendo dai seni fino a giungere ai fianchi.
La bocca impegnata a stuzzicarle i capezzoli mentre lui stesso prendeva a
muoversi sopra la ragazza, impartendo un ritmo del tutto nuovo.
Cercò il suo sguardo, carico di bramosia.
Lo trovò immediatamente, scoprendolo tranquillo quanto uno specchio
d’acqua. Azzurro e lontano. Abbandonato in pensieri a cui lui non avrebbe mai
potuto accedere. A sentimenti che
non seguivano il presente. Lì scoprì una Goito diversa.
La vide chiudere gli occhi, sospirando prima di donarsi a lui
definitivamente.
Per la prima e forse ultima volta.
Fine ventunesimo
capitolo.
Allora…sempre la Yami XD
Grazie a Marianna, mia conoscenza a cui ho fatto
venire la febbre da SPN e da Tomi =P
Chissà, sai, sono sicura che questo capitolo ti abbia dato speranza per i
tuoi sogni ^.-
Grazie a Miyavi4ever, sei a mia musa ispiratrice al postaggio!
Se non pensassi che ci sei tu pronta a commentare, la
mia tristezza sarebbe al 90%!
Grazie a Nashan, nuova acquisizione della
settimana, di cui presto leggerò tutte le storie! Non hai idea di quanto siamo
coscienti dell’indecenza dei primi capitoli, infatti è
in cantiere un progetto di trasmutazione alchemica del libro XD
Dopo mille e una sorprese, e lasciamenti, e sbaciucchiamenti, e chi più
ne ha più ne metta, un capitolo di stallo dove accadon
Dopo mille e una sorprese, e lasciamenti, e
sbaciucchiamenti,
e chi più ne ha più
ne metta, un capitolo di stallo
dove accadono piccole
cose all'apparenza inutili e omissibili.
Ma si sa...
Per finire un
puzzle, servono tutti i tasselli...
Capitolo 22: “Standby”
Ancora pioggia su di lui.
Un’atmosfera che sembrava volerlo perseguitare ogni istante della sua vita.
Vestiti fradici e saturi d’acqua, come i suoi capelli lisciati, rilucenti
di un nero surreale, dritti sino alle spalle, Crystal se ne stava
seduto a terra:
posato ad un tronco d’albero la cui corteccia indossava i segni
di una furiosa lotta avvenuta sino a pochi istanti prima tra lui e
quell’albero.
Un’ondata di rabbia che aveva chiesto di trovar sfogo, liberandosi in una
tempesta di pugni carichi di quella disperazione a lungo trattenuta.
Si passò una mano ai capelli, lo sguardo ora rivolto all’orizzonte dove non
poteva che scorgere nubi.
Era impazzito, nonostante i dubbi che ancora lo assalivano.
Dubbi legati al timore dell’essere tenuto all’oscuro di cose che sapeva
avrebbe dovuto conoscere. In quanto compagno.
In quanto… amante…?
Rise piano, incapace di definire un essere come lui sotto determinati
termini.
«…Povero albero…»
Davanti a lui, Sivade stava in piedi, completamente zuppa. Aveva addosso
ancora i suoi vecchi vestiti, non avendone altri. I piedi scalzi come spesso li
teneva.
« Saprà guarire le proprie ferite. Sua madre lavorerà per lui» spiegò
fissandola nervoso, rabbia che sormontava nuovamente
in lui; le braccia incrociate davanti al petto ancora
nudo.
La ragazza distolse lo sguardo, posandosi con la schiena ad un albero
ancora illeso dalla furia di Crystal. Si concentrò su un giacinto nato
all’ombra di un cespuglio, la mente altrove. Cercando di dimenticare quel peso
che la opprimeva.
« Vieni qui… per favore…» la supplicò lui, il
respiro quasi affannoso.
Nemmeno la pioggia riusciva a dissolvere quel profumo che tanto amava, un
profumo che circondava Sivade nella sua interezza.
Il profumo del suo sangue scarlatto.
Un fluido che garantiva la sua sopravvivenza oltre la sua morte apparente.
La guardò avvicinarsi di qualche passo, fermandosi a breve distanza da lui.
Non uno sguardo, non un accenno, non una parola. Aveva cercato il ragazzo in
lungo e in largo, volando rasente alle cime degli alberi fino a scorgerlo in
quel luogo uguale a molti altri nei dintorni. Eppure
ora stava lì e non sapeva che fare.
Lui allungò una mano verso di lei, gelida, bagnata e tesa:
«…per favore…» ripeté sempre più flebile, ben conscio che per il bene di
entrambi avrebbe dovuto tenerla a distanza, specialmente in quei momenti in cui
la fame lo attanagliava « poi ti lascio andare…» promise sospirando.
Sivade sollevò lo sguardo su di lui, mesta: «…Mi lasci andare…?» chiese tremante, per nulla sicura di quello che lui
intendeva. Le loro mani s’intrecciarono per volere della ragazza, un’altra
mossa a chiudere lo spazio tra loro.
Lui la strinse per un breve istante, sentendosi perduto, pesante, ignobile.
L’attirò verso di sé, facendola inginocchiare al suo livello, attento a non
usare troppa forza sul fragile corpo di lei. Sentiva che avrebbe potuto
spezzarla da un momento all’altro:
«…libera di fare ciò che ritieni giusto… non ti legherò a me…» la cinse per
la vita, smarrito in lei. Due ombre scure che si facevano spazio nei suoi
occhi.
Lei rimase in silenzio per un attimo, poi lasciò cadere la fronte sul petto
nudo di lui, le mani che andarono a prenderlo per le spalle. Strinse la presa
con tutta la forza che aveva in corpo, chiudendo gli occhi per decidere cosa
dire.
Si sentiva indecisa, a vederlo così...pronto a lasciarla.
Ma, dopotutto, Crystal sentiva che non poteva costringere a
lui una principessa il cui futuro non poteva che prospettarsi radioso.
Oltretutto sapeva d’essere una creatura malata, bisognosa di certe attenzioni,
di certi riti di routine.
La lasciò crogiolarsi a lui, il respiro puntualmente bloccato, per non
saggiare il profumo che urlava di essere catturato dalle sue labbra violacee.
«…ho perso il senno per gelosia » commentò fra sé e sé, scuotendo il capo
con mestizia, un ciuffo di capelli neri che andò a coprirgli un occhio nella
sua interezza.
Sivade sollevò lo sguardo su di lui, cercando di carpire qualcosa: «…Di
già…?» chiese perplessa, un sorrisetto tirato sulle labbra.
Non capiva bene perché, ma trovava ridicola quella situazione. Ridicola al
punto da far star male.
«…di già…» ripeté lui, rivivendo la scena con oppressione crescente, gli
occhi serrati, il fiato mozzo nel pronunciare quelle semplici e dolorose parole.
Dolorose poiché specchio della pura, sbagliata verità.
« Mi fa piacere…» le sentì dire, flebile. Le labbra che si arricciarono per
trattenere l’emozione che la portò ad arrossire violentemente.
Un rossore che altro non fece se non aumentare la circolazione sanguigna
che il vampiro percepì all’istante, sentendosela addosso.
Deglutì pesantemente, gli occhi ancora chiusi, concentrando il tatto a
percepire i lineamenti del viso di lei; pronto a
trattenere i suoi istinti più primitivi.
Sempre più pressanti.
La ragazza gli permise ogni libertà d’agire, massaggiandogli gli avambracci
con leggeri cerchi immaginari disegnati con i pollici. Scosse improvvisamente
il capo, ridendo e gemendo al contempo. Gli bloccò le mani, incapace di
ragionare dovutamente. Si sentiva completamente confusa.
A quella reazione pressoché disordinata, Crystal le prese il viso fra le
mani, fissandola dritto negli occhi: «…a cosa stai pensando…?» chiese seriamente stuzzicato da tutte quelle movenze
compiute da lei.
Dentro di sé un turbine di sensazioni inscindibili.
Lei era completamente in imbarazzo, tanto che l’impaccio si poteva vedere
nei suoi occhi: «…che mi piaci…» borbottò, non riuscendo a guardarlo negli
occhi.
« Ma davvero…? » chiese con tono leggermente
sadico, la fame che montava in lui, tornando a respirare regolarmente. Come attratto inesorabilmente da un qualcosa a cui non sapeva
rinunciare. A costo di patire la fame.
Lei sbuffò sonoramente, tornando a guardarlo con
decisione: « Eh, già, sono proprio malata d’amore…» ribatté, facendogli
di lingua.
«…che malattia grave…» soffiò lui, passandole un dito sul collo, estremamente lascivo e condizionato dai suoi stessi pensieri
ora poco attenti ai pericoli.
« Mortale…» sospirò lei, andando a baciargli il pollice. Lo sguardo fisso
inesorabilmente in quello di lui: « Ma spero che il dottore mi sappia curare…O
sarò perduta…».
Crystal abbozzò un sorriso compiaciuto, passandole il pollice lungo quelle
labbra calde e accoglienti. Sempre più bramoso del suo sangue, sempre più disinibito e malizioso. Sempre più combattuto in una lotta
interiore fra la voglia del suo sangue e la ragione che gridava la sua pietà,
conscia che se ne sarebbe presto pentito.
Sivade prese ad osservarlo con attenzione, cercando di
trovare in lui i pensieri che sembravavoler celare a tutti i costi. Baciandogli con labbra umide il pollice, lo guardò dal
basso verso l’alto, accattivante.
« Cosa desideri di più in questo momento…?» chiuse
gli occhi; le ciglia che incontrarono le gote per un breve attimo, prima di
tornare a schiudere lo sguardo su di lui. « Essere Crystal…o essere un
vampiro…?»
Il giovane moro la fissò criptico, lasciandosi sfuggire un
sospiro angosciato: il vero riflesso di ciò che celava dentro « Crystal oggi ha
già ricevuto ciò che più bramava…» spiegò quasi tristemente, un lampo rossiccio
brillare nei suoi occhi color dell’onice.
« Crystal è tanto buono con il vampiro…che sangue vuole dargli oggi?»
chiese la ragazza accarezzandogli le guance. Le mani calde e gentili. Lo
sguardo tranquillo, un sorriso sereno sul viso.
Il tempo attorno a loro aveva smesso di piangere le sue fini lacrime,
rimanendo come in stasi, trattenendo il fiato ad osservare ciò che succedeva
tra quei due granelli di sabbia. Lì, sotto il cielo.
«…Se potesse, non vorrebbe versare alcuna goccia
di Sangue…» spiegò, posando una mano su quella di lei, il viso ora posato alla
spalla della ragazza quasi del tutto abbandonato.
La vide sorridere, e subito amò quel gesto.
Sivade era del tutto tranquilla, del tutto al suo
agio con lui accanto. Non c’era paura sul suo volto, solo un calore che la
pervadeva in ogni singola parte.
Fissava il soffitto, senza muovere un muscolo, osservando il riverbero di
una qualche pozza d’acqua proiettare un gioco di luci al centro della stanza.
Chiuse appena gli occhi, sollevandosi a sedere sul letto. Guardò il ragazzo
dormire profondamente accanto a lei, e non le riuscì di
reprimere un sospiro.
Si vestìin silenzio, prendendo in
mano le scarpe per non fare rumore sul pavimento di legno. Poi uscì dalla
porta, senza guardare indietro.
Il fatto che proprio in quel momento apparve Ren, quasi dal nulla, sapeva
di non essere affatto una coincidenza.
Lui, così tranquillo, pacato e sorridente al cui
occhio non sembrava sfuggire nulla.
Forse merito di un suo qualche potere, o qualcos’altro a
cui non sapeva dare un nome che chiarisse il suo essere “onnipresente”.
«Passato una bella serata?» chiese quello, con un ombra
d’ilarità nella voce quieta.
Goito lo guardò male, chinando appena il capo in cenno di saluto: « Ne ho
passate di migliori, grazie. Cosa la porta qui? »
chiese di rimando, per niente stupita.
«Passeggiata di routine» rispose con un sorrisetto che svelava ogni suo
pensiero che, a conti fatti, non intendeva nascondere per nessun motivo.
«Tom? Come sta?» chiese poi, deviando appena il discorso.
Goito indossò con disinvoltura le scarpe, limitandosi a
un: « Dorme…».
Rialzò lo sguardo, sistemandosi la maglia: « Posso avere una tazza di te?»
«Certamente, seguitemi» disse con estrema cortesia, com’era solito fare,
nonostante tutto.
Prese a camminare con piccoli passi rapidi, conducendola
sino a salone dove soltanto pochi giorni prima avevano discusso circa la
principessa ed il suo essere “emanazione”.
La rossa lo seguiva con sguardo fisso a terra, la camminata che andava
adeguandosi a quella del bonzo. Per quanto fastidiosa potesse
risultare la curiosità di quell’uomo, Goito non riusciva a non provare rispetto
per lui, per la sua scelta di vita, per le sue maniere. Entrando nella sala, emise
un lungo sospiro, chiudendo per un attimo gli occhi.
«Come lo preferisce il the?» chiese allora il bonzo, muovendosi per
preparare tutto il necessario. Dalle tazze accompagnate dai piattini, lo
zucchero con i cucchiaini e l’acqua che mise a bollire sul fuoco.
Goito si sedette silenziosamente, per poi guardarlo preparare il tutto: «
Direi forte…» commentò solamente, portando le mani al grembo.
«Il gusto?» chiese ancora, andando a vedere le bustine di cui disponeva.
Lei guardò il tavolo, per poi andare a sfiorarsi le labbra con l’indice:
«…Pesca?» propose vacua.
«Ottimo» disse Ren soltanto, pescando dal piccolo cesto rosso due bustine
del the, quello da lei scelto.
Dopodiché andò a sedersi al suo fianco osservandola con fare divertito ed
indagatore al contempo.
Lei incrociò il suo sguardo, prendendo tra le dita una delle bustine.
L’aprì, mettendola con l’acqua calda nel recipiente datole da Ren.
« Chiedete.» lo invitò, spostando la tazza davanti
alle sue mani.
«Cercavo di comprendere se qualcosa fosse cambiato» rispose come se nulla
fosse, accarezzando il bordo della propria tazza, con fare quasi pensoso.
«Perché così è».
Goito si lasciò sfuggire un sorrisetto sarcastico:
« Crystal e la mia padrona si sono ben chiariti, sì…» rispose, prendendo la propria
tazza tra le dita.
«Mi riferivo a ben altro» ribatté rigirando la tazza sul piattino per tre
volte, prima di compiere un mezzo giro al contrario.
Si versò dell’acqua calda.
La rossa fissò con un sospiro il liquido nella tazza: « Che dovrebbe cambiare,
a parte il fatto che mi deve due tazze di te?» chiese
sprezzante, una smorfia sul volto.
«Se per questo, data la mia ospitalità, lei mi
deve ben più di due tazze di the» sussurrò criptico, aprendosi la bustina e
mettendola a riposo nell’acqua.
Goito per poco non sbiancò, guardandolo con aria smarrita: « Io non vado
con voi bonzi!» si giustificò scioccata.
«Ma che pensieri le passano per la testa?» chiese
quello, con cipiglio perplesso posando la sua tazzina sul tavolo.
Lei arrossì leggermente, nervosa: « Io so solo pagare in natura, mi
dispiace.» cercò di spiegare
con nervosismo.
Ren rise appena, cercando di non peggiorare il nervosismo della ragazza:
«In natura» ripeté portandosi una mano a coprire il ghigno che non gli
riuscì di trattenere.
Goito sprofondò la testa tra le braccia piegate sul tavolo, cercando di
darsi una calmata: « Potrebbe sorvolare il discorso…?»
«Ma è lei, signorina, che si è addentrata in queste funeste vie di dialogo...
non può addossarmi colpa alcuna» sorrise
con fare quasi complice prima di abbassare lo sguardo sul the ora pronto nella
sua tazza preferita.
La rossa cercò di non tirargli un pugno in faccia, guardandolo con un
sorriso fin troppo eloquente stampato in volto: « Ma quando mai...» commentò a voce bassa, iniziando
a bere per non reagire in malo modo.
In risposta, Ren si limitò a sorridere a sua volta.
Prese a bere il suo the in silenzio, socchiudendo gli
occhi quasi fosse stato in contemplazione. Fu solo dopo qualche minuto di
silenzio che vide Goito posare la sua tazza ed alzarsi in piedi, senza
rivolgergli alcuna parola.
Prese una borsa da terra che lui prima non aveva scorto, lo guardò e fece
un lieve inchino: « Sono stata bene con voi. La prego di porgere i miei omaggi
alle persone che qui ancora sosteranno. Io devo tornare al mio padiglione, o
perderò il mio lavoro, creando non pochi problemi sia alla mia signora che al
mio datore di lavoro....Arrivederci.» disse con aria annoiata, incamminandosi verso l'uscita
dell'edificio. Non ottenne risposta e questo non la stupì. Aprì la porta che
dava sul viale alberato, scorgendo il sole fare capolino dalle nuvole. Chinò il
capo a terra, diretta alla scalinata che l'avrebbe
condotta fuori da quel luogo carico di religiosità. Non sapeva il perchè, ma
sentiva una sorta di malinconia all'idea di allontanarsi da lì. Inconsciamente,
si era affezionata a quel posto.
Fu a quel punto che, sollevando lo sguardo, lo vide:
alto, capelli ramati di media lunghezza; vestiva con
pantaloni neri che s'intravedevano dallo spolverino bianco che giungeva fin
quasi alle caviglie; calzava stivali neristriati di bianco. Un espressione tra le più
pacifiche stampate sul suo viso perlaceo. Strane farfalle rosse che seguivano
la sua scia.
A guardarlo, la rossa si sentì percorrere da un brivido per niente
piacevole. Quel giovane non le dava alcuna buona impressione.
In particolare, le sue farfalle puzzavano di sangue non loro. E nemmeno del loro presunto padrone.
Poco incline ai convenevoli, lo superò senza nemmeno rivolgergli un cenno
di saluto.
Haleck non si fece impressionare, mentre con i suoi occhi
dorati scrutava la zona con fare non troppo deciso; un cenno delle dita bastò a
far si che qualche suo insetto scattasse in
avanscoperta a studiare il tempio.
Attese solo qualche istante e gli venne suggerita
la soluzione.
Ren era poco lontano.
Sorrise enigmatico prima d'incamminarsi a testa china, mani in tasca.
Avevano trovato sua madre.
Forse non era esattamente una buona notizia...
Fine 22° capitolo
Grazie ancora a Marianna,il suo fanatismo per Tom
non lo batte nessuno!
Grazie a Miyavi, sempre pronta a stupirmi con le
sue tecniche di elogio XD
Grazie a Nashan, i cui commenti
sono davvero azzeccati…( a causa del Natale ho sempre la panza
piena XD). Mi fa piacere che ti piaccia Goito…Anche perché
ho iniziato a scrivere uno speciale su di lei…anzi, c’è già! Ma siccome è post 25esimo
capitolo, dovrai aspettare qualche giorno ^^
Grazie anche a tutti voi lettori, lettrici, gente di passaggio o che so io.
In più,torna Tamos, il generale traditore dell'esercito di Amestris( quello di Sivade) ( è quello omosex che sta con Zero )! (nds)
Capitolo 23
« The Juda's
Kiss»
La madre di
Ren e Soo.
O
meglio, la donna che aveva partorito e spedito in convento Ren subito dopo la
nascita del fratello minore.
Cosa piuttosto contorta, o fotoromanzescaa seconda del giudizio che le si poteva dare.
Ascoltando il
dibattito tra Crystal e Haleck, il portavoce del
gruppo di ricerca, Sivade non era riuscita a farsi un'idea della donna da cui ora
stavano andando.
Ne
avevano parlato in
modo superficiale, come se nemmeno loro la conoscessero bene; nemmeno Ren
ch'era il figlio maggiore. Sembrava tutto avvolto nella consueta tela del
mistero.
La ragazza,
vestita con degli abiti smessi di Crystal, si guardava intorno attirando non
poco l'attenzione per il colore della sua pelle. In effetti, attorno a loro non
vedeva nessun dorato. Sembravano tutti figli della pallida
luna. Tutti bianchi e cinerei.
Tanto quanto
il cielo sopra le loro teste.
Tom, come al solito, stava in coda al gruppo, osservando il gemello
poco più avanti studiare ogni passante con aria superficiale, pronto a
riconoscere ogni minimo dettaglio che potesse ricondurlo alla donna a cui
stavano dando la “caccia”.
Sorrise
appena, scostando lo sguardo non appena s'accorse delle attenzioni che dava a
Sivade, pronto a concentrarsi sui più piccoli del gruppo:
Soo, allegro e
curioso come al suo solito, che si guardava attorno meravigliato, non avendo
mai visto il mondo che l'attendeva fuori dal tempio. San
stava al suo fianco, traboccante della medesima gioia di vedere
un nuovo villaggio, una nuova insegna, un nuovo passante. Ormai,quei due erano diventati inseparabili, e negli ultimi
giorni erano sempre rimasti insieme a giocare e a divertirsi.
Sembravano due
pulcini appena usciti dal nido, così teneri e così fragili.
Ren, invece,
era sempre e comunque rilassato e sorridente, come se
l'argomento non lo toccasse minimamente.
Procedeva
a dar consigli, più
inutili che altro, non sapendo bene come muoversi poiché fuori dal suo
territorio.
Questo l'aveva
compreso anche Tom, che si era ritrovato a sospirare affondando le sue mani
affusolate nelle enormi tasche dei suoi jeans blu chiaro:
«Perchè non provare nel vecchio ufficio anagrafe...?»
propose debolmente, scuotendo il capo con fare smorto, i dread-locks
che si muovevano ad ogni suo minimo gesto.
Sivade si
voltò di scatto a guardarlo: « Vero!» sorrise a Ren « Lì qualcosa ci sarà, tipo
censimenti o passaggi di proprietà. Magari anche qualche schedario o una fedina
penale.»
Haleck fece spallucce sospirando quasi
affranto:
«ma non ditemi che abbiamo di già terminato di cercare»
sbuffò senza trattenere una risata mentreaumentava di poco l'andatura, lo spolverino bianco e argento che
lasciava una scia del suo passaggio.
Crystal si
passò una mano ai capelli, fissandolo poco rassicurante: «spererei di si» rispose allora, facendosi schioccare un osso del collo
con nervosismo.
«Andiamo
all'ufficio...» aggiunse poi affiancandosi al ragazzo,
evitando di guardarlo in volto.
Non erano mai
andati granchè d'accordo.
Questo Tom se
lo ricordava.
Ma non aveva
mai capito il motivo per cui Crystal insistesse nel
tenerlo in quella che, in fin dei conti, era casa sua.
Alzò un
sopracciglio.
“Affari suoi”
si ritrovò a pensare con amarezza, cercando di allontanare quel fastidioso
ronzio di sottofondo che altro non erano che i suoi
pensieri.
Che sembravano volerlo far impazzire.
La testa ne era piena.
E non sapeva più come controllarli:
«dopotutto...sono
un genio» rispose sottovoce, come a volersi prendere in giro. Tanto nessuno
l'avrebbe sentito.
«Lo zio Tom
borbotta, Sivade!» esclamò a quel punto San, indicandolo palesemente nel
constatare di aver attirato l'attenzione della ragazza davanti a lei.
Sivade si
voltò a guardare prima la bimba, poi Tom, poi di nuovo la bimba:
«indicare è
segno di maleducazione, sorellina...» disse facendole abbassare la mano con un mezzo sorriso.
La bimba
arrossì timidamente, portando le mani in grembo: « Sì...scusa, Tommy. Sono
stata importuna.» disse sgrammaticata, intendendo
“inopportuna”.
Il biondo fece
spallucce, mentre una mano andava ad abbassarsi il frontino del berretto nero
che indossava, in modo tale da nascondere l'espressione dei suoi occhi che
altro non facevano se non “tradirlo”.
Gliel'aveva
ripetuto spesso anche Crystal.
Sempre con
quel suo sorriso.
Respirò a
fondo:
«non
importa...»
San sorrise a
quella risposta, andando a prendere la mano libera di lui tra le sue mani: «
Grazie Tommy.» gli disse, per
poi procedergli accanto, aggrappata a quella mano gigantesca paragonata a
quella infantile di lei, la cui età apparente non avrebbe mai superato i sei
anni, tanto era minuta.
A malincuore,
Sivade sapeva di non poter rompere la sua illusione di essere una bimba come
tutte le altre. Mentre riprendevaa camminare di fianco a Ren, riflettè sull'importanza che San rivestiva per lei; metà
umana, metà emanazione, la bimba aveva in sé il dono del fuoco, tanto instabile
quanto distruttivo. L'unica energia in grado di alimentare il potere della nigredo sopito dentro
Sivade. Un altro piccolo segreto che aveva badato a non divulgare, più per non
avere intorno persone in perenne ansia che per puro
gusto di farlo. Sorridendo, Sivade guardò Crystal, intento a cercare la via che
conducesse alle memorie di quel villaggio dagli edifici ingialliti, come in una
vecchia cinta del Medioevo sopravvissuta al logorio del tempo.
Il suo sguardo
di ghiaccio sembrava soffermarsi su tutto e al contempo su nulla. Nessuno avrebbe potuto distrarlo, tanto era concentrato.
Scattò a
voltare la testa di lato, Haleck che lo imitava poco
dopo:
«L'ufficio è
quello» disse con voce bassa e profonda, poco appropriata a quel corpo dalle esili apparenze. Fece un breve cenno del capo per
indicare la piastrina d'oro appesa sulla porta d'entrata che distava una
trentina di metri come minimo.
Sivade sorrise
nuovamente, dando una lieve pacca sulla spalla a Ren: « Bubi
ha trovato l'osso...Ora sta a noi scoprire il resto.» disse
senza un minimo di esitazione nella voce, mentre entravano tutti con calma.
« Non sono il
tuo cane, bambola...» disse Crystal con voce
totalmente diversa da quella di prima, ora suadente e maliziosa.
Ren guardò
l'edificio: « speriamo di trovarvi qualcosa...» sussurrò, lanciando solo in quel momento un'occhiata
preoccupata al fratello che gli stava giusto dietro.
San guardò
quello scambio di sguardi tra i fratelli del tempio, senza ben capirne il
perchè. Volse lo sguardo dietro di sè, come sentendo
qualcosa di famigliare e fastidioso al contempo. Scosse il capo, dicendosi ch'era solamente una sua impressione, mentre un'inserviente
chiudeva il portone d'entrata dietro di loro.
Poi Sivade
parlò con fare pragmatico, voltandosi a guardare Soo:«
Che ne dici se tu e zio Crys andate ad un tavolo e
noi vi raggiungiamo con un bel po' di carte puzzolenti di muffa?» chiese
piegandosi al suo livello.
Soo scosse il
capo con fare infastidito, le braccia conserte davanti al petto, le labbra
piegate in una smorfia di disapprovazione «perchè non posso venire anch'io?»
chiese mettendo il broncio.
Ren
dietro di lui che chinava il capo nell'osservarlo pressochè
sorpreso. Mai suo
fratello aveva mostrato interesse nel svolgere un
qualsivoglia compito.
Si passò una
mano ai capelli corvini: «credo, invece, che tu debba assecondare la proposta
della signorina».
E con ciò si avviò nei meandri
dell'enorme ufficio.
San andò verso
un tavolo libero, il più vicino, sedendosi su una sedia dall'aspetto antico e
traballante al contempo: « anche io resto qui...» disse con aria tranquilla, dondolando le gambe che
sfioravano appena terra.
Sivade li
guardò con un moto di tenerezza, dirigendosi verso il ramo principale della
biblioteca, sulle labbra un incantesimo di ricerca di poco impatto: chiedeva solo
che i fascicoli a loro utili si facessero notare. Uscendo leggermente
dal loro posto, ad esempio.
Crystal, ora
seduto all'angolo dell'immenso tavolo di cui si era impossessato, altro non
fece se non attendere in compagnia del gemello biondo, l'arrivo di una pila di
libri che avrebbero dovuto poi consultare con la massima pignoleria di cui
erano capaci.
La cosa
sembrava quasi annoiarlo.
Lo
si capiva
dall'espressione spenta del viso rivolto totalmente al pavimento, intento a
fissare ogni imperfezione in quelle mattonelle di poco valore.
Solo ad uno
schiocco della lingua di Tom tornò ad alzare il capo pronto a fissare risme di
fogli perlopiù ingialliti dal tempo.
Si era spinta
fino al lato più remoto della biblioteca.
Aveva raccolto
i vari fascicoli su un carrello apposito, servendosi
di tanto in tanto delle scale per raggiungere gli scaffali più alti.
Eppure, da
quando era entrata in quell'edificio qualcosa le
diceva di stare all'erta. Si guardava intorno quando si ritrovava da sola lungo
i corridoi, nel perenne sentore di essere seguita.
Con un
sospiro, Sivade prese l'ultima cartella espostasi con l'incantesimo, tornando
dagli altri con aria persa.
Crystal la
osservò con un'occhiata rapida prima di terminare lo studio di un registro che
doveva avere più di cinquecento pagine.
Non aveva trovato nulla che potesse riguardare Ren o suo fratello Soo.
Spostò i suoi occhi turchese su Haleck,
posato allo stipite della porta d'entrata con l'intenzione di fare da guardia
nel caso avesse voluto entrare qualche scocciatore inutile. Non che la cosa non
gli riuscisse bene, se solo avesse voluto, ma era
evidente la sua distrazione.
Posò un
braccio al tavolo passando a studiare il gemello Tom affianco
al bonzo che quel giorno indossava una semplice tunica rossa, irrimediabilmente
imitato dal fratellino.
Sospirò.
« Pensi di
aver trovato qualcosa di utile, questa volta...?»
chiese all'improvviso, scocciato, rivolto alla ragazza dietro di lui.
Quella gli
rifilò dei fascicoli di venti pagine ciascuno, senza dir nulla. La vide stornare
lo sguardo verso la porta per un attimo, poi partire di corsa con San alle
calcagna che gridava: « MICETTO! ».
Il gatto in
questione, nero come la pece e dagli splendidi occhi verdi, guardò terrorizzato
la piccolina puntarlo con le braccia aperte e gli occhi luccicanti. In non meno
di due secondi era in braccio a Sivade, le unghie ancorate alla maglietta e lo
sguardo alla bimba: « Non sono un “micetto”,
maledetta marmocchia! » miagolò velenoso.
San, guardò i
due con le lacrime agli occhi, per poi tornare coscienziosamente al suo posto.
Alla fine, Heloim aveva un buon motivo se non voleva essere sottoposto alle
cure della bimba. Cure che comportavano trucchi e abiti
leggermente eccessivi per un semplice gatto.
Sivade lo
strinse a sè: « Che ci fai qui? » chiese, tradendo un
sorriso sollevato sulle labbra.
Heloim la
guardò per un attimo, poi prese a fissare Crystal: «...Bei capelli...» commentò annoiato « Beh, sapevo
ch'era successa quella cosa...Ed ero curioso di vederti. Il cappellone
con il gemello maniaco non c'entrano.»
Il vampiro in
questione rimase a fissare la scena in un silenzio contemplativo prima di
tornare a sfogliare alcuni dei volumetti che gli
erano stati portati “gentilmente” dalla signorina Sivade. Ne passò alcuni al
gemello e al bonzo, sospirando frustato:
«Questi sono
gli ultimi, signori miei» disse sorridendo sadico, passandosi una mano ai
capelli corvini quasi in procinto di arrendersi.
Si morse un
labbro riprendendo a studiare i fascicoli con estrema pignoleria.
Sivade gli si
sedette di fianco, accarezzando il gatto in silenzio. Guardava i movimenti di
Crystal senza fiatare, finche lui non aprì uno che già prima l'era balzato agli
occhi: « Qui ci sono delle foto...Forse uno di loro due potrebbe
riconoscerla...se c'è...» spiegò
accostandosi un po' di più, segnando alcuni fogli in particolare.
Il vampiro
chinò appena il capo osservando quelle foto con fare perplesso: «Ren, per
favore... guarda queste...» disse calmo passandogli
allora quel fascicolo iniziando al contempo a sfogliarne un'altro. Il bonzo che
afferrò quella breve raccolta di foto annuì con la sua
solita tranquillità, aprendolo sopra al tavolo con fare deciso.
Il fratello,
al suo fianco, aveva incrociato le braccia al petto, pronto a porre sotto esame
una qualsiasi foto che potesse ricordargli anche solo un minimo particolare che
potesse essere d'aiuto.
San li guardò
fare, un po' invidiosa nel vedere tutti concentrati a quel modo. Cercò lo
sguardo di Sivade, ma lei era già sparita, lasciando Heloim sulla seda dove prima si era seduta.
La ragazza era
tornata alla ricerca di una nuova, qualsiasi traccia. Ma
non della mamma di Ren.
Guardò
un'ultima volta indietro, poi scosse il capo, a testa bassa.
Crystal
sospirò lasciando andare la ragazza che notò allontanarsi, sensi e vista sempre
allerta nel caso qualcuno avesse voluto iniziare a
dare fastidi.
Fino a quando
Soo non sembrò sobbalzare.
Scattò subito
a guardarlo con la massima concentrazione di cui era capace:
«l'ho già vista questa bambina!» esclamò indicato la foto di
una trentenne, pallida, bionda e ben tenuta.
Ren che
osservava quella foto con uno strano cipiglio che non sembrava adattarsi a quel
viso fin troppo abituato ad espressioni di pacifica tranquillità.
«è lei...» disse solo, in un flebile sussurro.
Lui le arrivò dietro senza fare il minimo rumore, prendendola
per i polsi e sbattendola contro lo scaffale più vicino:
«
Comandante...La vostra bellezza è aumentata considerevolmente dall'ultima volta
che vi ho vista...» le
sussurrò all'orecchio, impedendole di ribellarsi.
Al suono di
quella voce, Sivade emise un gemito soffocato, il fiato che le
si mozzava in gola. Rabbia e dolore che si contendevano il primato nella
sua testa.
« Tamos...» lo riconobbe, cercando di voltare il capo senza agire
impulsivamente.
Lui le faceva
sempre uno strano effetto. Fin dal primo momento che l'aveva incontrato, Sivade
aveva sentito un miscuglio di attrazione e repulsione
per quel giovane, alto, slanciato, dagli splendidi occhi acquamarina, in
perenne contrasto con i suoi capelli castani. Il suo generale della terza
batteria. Il traditore dell'esercito, colui che aveva
permesso alle linee nemiche di far breccia e uccidere centinaia di uomini.
« Ma tu
guarda...Il comandante è proprio una donna come si mormora...»
rise sarcastico: « Che ne dice di fare ciò che da
tempo, presumo, le hanno sempre negato...?Noi due...una camera d'albergo...Sarà
divertente...» disse con un timbro di voce molto
basso, eloquente, provocante.
« Stai zitto.
» ringhiò lei, cercando di ribellarsi, tuttavia sentendo la mente confusa, come
avvolta da una sorta di torpore provocato dalle parole dell'ex generale. Sapeva
di che si trattava. Non era una semplice sensazione dettata dalla sua presenza.
Niente a che fare con i veri sentimenti.
Il potere di
Tamos era perfetto per il suo detentore: poteva indurre a fare ogni cosa la sua
vittima, provocando in lei un piacere smanioso per ogni gesto che avrebbe
compiuto sotto il volere del giovane.
Inclinò appena
il capo, guardandolo con odio: « Puoi solo bloccarmi...Con me non attacca...» gli ricordò, trattenendo a
stento i sentimenti contrastanti nella sua mente.
Quello rise
divertito, serrando la presa sui polsi di lei:
«...Sarà solo un po' più difficile...» chiuse lo
spazio tra i loro corpi, obbligandola ad aderire completamente, così da poter
esercitare il massimo delle sue capacità.
« Buonasera »
intervenne allora Crystal, braccia conserte al petto, posato ad uno scaffale
poco distante dai due.
Lo sguardo
fisso sul ragazzo, concentrato ad osservarlo con cipiglio a dir poco disgustato,
gli occhi di un turchese se possibile ancora più chiaro: « mi chiedevo quando
vi avrei rivisto, sir ».
Sivade emise
un grugnito per niente soddisfatto, la mandibola serrata mentre Tamos bloccava
i polsi di lei con una mano sola, rivolgendo al nuovo arrivato
un cenno con la mano libera: « Hei...il signorino
fricchettone...»
« A quanto
pare molti mi considerano in cotal maniera...» disse gelido spostando il suo
sguardo su Sivade, apatico « devo lasciarvi soli...?» chiese allora,
socchiudendo gli occhi.
Tamos anticipò
il tentativo di ribattere della ragazza, tappandole la bocca e aderendo con una
guancia a quella dorata di lei: « Sì...sai...devo
iniziare il mio Comandante alle vie del piacere...» si
giustificò, un ghigno compiaciuto sul volto.
Crystal alzò
un sopracciglio avvicinandosi ai due con alcuni rapidi passi misurati, finché
non poté afferrarlo per il collo con una sola mano: «prego...?» chiese nervoso,
sollevandolo di poco da terra, non prima di averlo allontanato da Sivade con
uno scatto.
Sivade si
portò una mano al polso che aveva subito la stretta più forte, posandosi con la
schiena alla libreria senza riuscire a dire nulla. Aveva il fiato corto, come
se fosse stata appena liberata da una stretta mortale.
Tamos nonle togleva gli
occhi di dosso, mantenendo il suo attacco alle barriere che lei poneva nella
sua mente: « Siva...Siva...lascia
cadere quel muretto di magia...lasciami entrare nel
tuo intimo...dai...Dì a questo cagnolino che mi vuoi...» ridacchiò,
la voce leggermente soffocata per via della presa del vampiro. Tuttavia non sembrava soffrirne, troppo concentrato su lei.
Crystal si
sentì come percorso da un brivido di rabbia, rabbia pura.
Una forza che
si riflettè anche nel suo sguardo che brillò di una
luce rossastra mentre aumentava la stretta al collo di lui,
chiudendo la mandibola con energia a malapena soffocata: «taci» ringhiò, mentre
i canini si facevano spazio fra le sue labbra violacee.
Tamos gemette
di dolore, senza più riuscire a fingere. Guardò la ragazza davanti a le e rise nervosamente: « Aiuto...» la
supplicò, un lampo di terrore negli occhi. Sincero, non calcolato, per una
volta. Lei lo capì immediatamente.
Sivade si
avvicinò di un passo, posando le mani su quelle di Crystal, tremante: «
Lascialo perdere...ti prego...» disse
con voce stentorea, senza guardare nessuno dei due, ancora preda d'istinti che
non avrebbe desiderato.
Crystal la
guardò, uno sguardo feroce: « lasciarlo...?» ringhiò aumentando di più la
stretta, affilando lo sguardo su di lui.
Chinò appena
il capo nell'osservarlo quasi divertito.
Lei ricambiò
quell'occhiata senza più sapere che fare. Tamos era già accantonato. Ora non
serviva più opporsi : « Lui può solo indurre al
piacere...» disse accarezzando un braccio del vampiro
a pochi centimetri da loro.
Il giovane in
questione li guardò divertito: « No!» disse in un sibilo soffocato, ormai al limite «...lui...?» chiese isterico.
Crystal rise
sadico, fissandolo dritto negli occhi quel buono a nulla
che ancora teneva per il collo « bene...» disse allora
roco « vorrà dire che io lo indurrò alla morte » sussurrò all'orecchio di
Sivade prima di lasciarlo cadere a terra come un fazzoletto usato.
Lo fissò
facendo scricchiolare una mano con un semplice movimento di dita, prima di
allontanarsi senza riuscire a contenere quell'afflusso di potere demoniaco che
lo aveva invaso all'improvviso, senza controllo.
Gli occhi che
riflettevano ancora una pericolosa luce rossa, rimembrante il colore del sangue
di cui lui si nutriva.
I canini
affilati ancora bene in vista.
Tamos rimase lì,
accasciato a terra, fissando Sivade senza dire una parola.
Lei lo
guardava a sua volta, ben conscia della domanda che frullava in testa al suo ex
generale: “perché mi hai protetto?”.
Gli
sorrise
tristemente: « ...Resti pur sempre un mio sottoposto...» disse
andando a prendere una mano di Crystal con leggero timore.
Quello la
strinse appena senza allontanare lo sguardo dal gemello che lo guardava come se
niente fosse, abituato tanto a vederlo nelle sue vesti normali, tanto in tutta
la sua sinistra bellezza vampiresca:
«abbiamo
l'indirizzo» sussurrò soltanto.
Sivade annuì
appena, aggrappandosi al braccio di Crystal anche con l'altra mano. Lo scontro
con i poteri di Tamos l'aveva stordita, ma faticava a volerlo ammettere, specie
con quello ancora nei paraggi.
«Andiamo»
sibilò allora il moro, spostando il suo sguardo dapprima su Ren e Soo che lo
fissavano con pacato timore, poi su San ed infine su Haleck che sorrideva con fare soddisfatto.
Non guardò
Sivade.
Avrebbe potuto
reagire male.
Tamos passò
loro accanto facendo un cenno al gatto che ora San teneva tra le braccia. Poi
se ne andò rapidamente, per niente incline a finire di
nuovo sotto le grinfie di Crystal. Voltandosi per pura curiosità, trovò
divertente vedere quei due tenersi per mano e guardare l'uno dalla parte
opposta dell'altra.
Finchè il vampiro non mollò la presa di lei con un gesto quasi disgustato, mettendosi
davanti a tutti, pronto a condurre il gruppo.
Fine
ventitreesimo capitolo
Grazie dei
vostri puntuali commenti, speriamo sempre di darvi quello che volete!
Cara Nashan, come già riferito da Dark, ebbene sì, i due
fratelli sono ispirati da quei due… Io non riesco a farmi ispirare allo stesso
modo, infatti la cosiddetta “umanizzazione” è al 99%
affidata alla Dark (a parte Valar,ma non sapete chi è quindi…XD).
San…?
San è con Soo,
fanno comarò, sono la coppia più giovane di Shadows! ^^
Torna proprio
in questo capitolo…quindi non ha più fatto puff… XD
Torna
Heloim, il gatto nero che abbiamo incontrato a casa di
Ixal.
E
Crystal ce l’ha con Sivade…
Perché?
Perché
lei non vuole ammazzare la gente,
o perché
non si è ribellata a Tamos
come
Crystal avrebbe voluto?
Vacillante,
doloroso, sbagliato.
Così
e per sempre, quel sentimento che li lega.
Buona
lettura!
Capitolo
24
«Thatwas Just your
life»
Era un corteo piuttosto vario, il loro. A capo, un giovane dallo sguardo severo, seguito a ruota da
un possibile suo coetaneo vestito con uno spolverino bianco. Dietro questi, due bonzi, l'uno sui trent'anni,
l'altro sui sette; a seguire, una ragazzina dai capelli lunghi e neri che
rincorreva un gatto nero poco felice della cosa. In chiusura,
una ragazza dalla pelle bronzea e un ragazzo con i capelli rasta. Entrambi con gli occhi fissi all'acciottolato, come inconsci delle
loro azioni.
Tutto per colpa di un'unica persona.
Crystal camminava con espressione che tradiva nervosismo,
l'andatura calzante e gli occhi fissi alle indicazioni stradali che li
condussero alla via nella quale doveva abitare la madre dei due bonzi che gli
stavano alle costole.
Una volta portata a termine quella specie di missione personale,
sarebbe tornato assieme a Tom in quell'edificio che erano
tanto abituati a chiamare “casa”.
Pronto ad affrontarne ogni conseguenza:
a partire da Hope, la
piccola bionda che aveva lasciato per un'altra persona che distava soltanto
pochi metri, alla Regina Hades che seguitava a pressarlo con le sue infinite
richieste, per finire a Zero, il cui obiettivo finale mai era riuscito a
comprendere.
Si sistemò una ciocca di capelli, voltando in un piccolo
vialetto.
Davanti a loro si stagliò una casa piuttosto modesta e ordinata,
con un piccolo giardino ben curato, la cassetta delle lettere di un bel rosso
scuro, il cancellettoin
legno smaltato verde. Sembrava una casa come le tante di quella via. Eppure lì avrebbero trovato la donna che aveva abbandonato i
suoi figli. Dopo sette anni di distanza, Ren avrebbe potuto rivederla, e Soo
avrebbe conosciuto il volto di sua madre.
Sivade fissò con sguardo vuoto la porta in noce che divideva
quel piccolo drappello dalla loro meta. Sospirò, voltando il capo di lato. Non
ci voleva entrare.
Crystal, al suo contrario, non tentennò nemmeno una frazione di
secondo, affacciandosi alla porta con fare deciso mentre una mano di Sooandava aggrappandosi ai suoi pantaloni: forse
timoroso, probabilmente spaventato, indeciso.
Ma a quel punto fu Ren a
bussare, non volendo prolungare oltre tutta quella sofferenza che badava bene a
celare. E per portare a termine tutto quel dolore che sapeva
anche il fratello portava. Senza nemmeno lasciare tempo a Crystal di
pronunciarsi.
Haleck allo stipite della
porta in attesa che qualcosa succedesse.
E non dovette aspettare
troppo.
Una donna dall'aspetto ben postato, i capelli lisci e lunghi
sino alle spalle, indossava un vestito nero che arrivava sino sopra le
ginocchia, ai piedi delle scarpe con del tacco.
« Buongiorno... posso esservi
utile...?» chiese, fissando dapprima il moro davanti a se, poi i due bonzi ed
infine Tom e Sivade, ancora in fondo al gruppo capeggiato da Crystal.
Notò il rasta sospirare mentre il gemello annuiva, composto ed
aggraziato come sempre, le mani che andavano a sistemarsi i polsini della
maglia che indossava: « dovremmo farle delle domande... soltanto alcune domande
al fine di conoscere alcune importanti verità...».
Ren si fece avanti annuendo, completamente d'accordo con quella
dichiarazione iniziale.
Sivade si lasciò sfuggire un grugnito
per nulla d'accordo, ancora avvolta da quella pessima sensazione. Si decise a
guardare la donna che aveva aperto la porta, trovandola troppo magra per la sua
età. E nonle
piaceva quello sguardo, tanto sicuro di sé quanto crudele. Lasciava trasparire
un potere nascosto e Sivade non era una novellina nell'arte magica. Quella
signora tanto composta non era una qualsiasi.
Elea, così disse di chiamarsi, fece loro segno di entrare,
affiancandosi alla porta con fare gentile; Soo che la fissava con un misto di emozioni inesprimibili in un volto di bambino come il
suo. Infatti si ritrovò ad entrare per ultimo,
sorpassato addirittura da Tom e Sivade, sempre a coda del gruppo.
Una volta entrato,
Crystal si guardò attorno, studiando l'arredamento in modo pressoché pignolo,
attento a cogliere ogni indizio che potesse dargli un'idea della persona che si
trovava di fronte. Spesso il mobilio di una casa poteva fornire molti
suggerimenti caratterizzanti la persona.
Si volse a guardare la bionda per l'ennesima volta, incontrando
di striscio lo sguardo di Sivade, che evitò prontamente.
« Accomodatevi pure in salotto » disse Elea, indicando loro una
stanza sulla destra.
Sivade attese che tutti andassero dove
richiesto, stando in disparte nell'attesa di conferire un attimo con quella
donna. Per tutto il tempo, tenne lo sguardo basso, osservata
da Heloim che zampettò insicuro quanto lei nel salotto. Cercò di
sorridergli, ma le si dipinse una smorfia sul viso.
Pensava ancora ad altro. Pensava a perché qualcuno ora
sembrava non sopportare l’idea di toccarla, quando
prima era parso felice di farlo. Si massaggiò una spalla, guardando tutti
entrare come se nulla fosse.
Notò Crystal fare lo stesso; il suo sguardo pareva però duro e
deciso, come i suoi lineamenti di solito molto più
delicati.
« Entra » le ordinò soltanto, fissando al di
sopra della spalla di lei il vuoto più assoluto « non vorrai negarmi
l'onore del gentiluomo » terminò, prima di fissarla in volto con durezza.
Sivade scostò lo sguardo, osservando ora Elea: « Posso esserle
d'aiuto con un eventuale rinfresco, signora? » chiese atona, quasi alla
disperata ricerca di sfuggire a quell'aria viziata che v'era tra lei e il
vampiro che le stava di fianco.
« Sei scortese a non badarmi » disse allora lui spingendolacon forza in salotto, scusandosi con Elea per
la maleducazione della ragazza.
La bionda rise appena, scuotendo il capo con aria tranquilla:
« non importa, vado a preparare della cioccolata e poi sono
subito da voi » si ritirò con un rapido inchino in cucina, mentre Ren e Soo
prendevano posto nella poltrona più vicina, Tom seduto a terra, gambe
incrociate mentre Crystal insisteva a stagliarsi all'entrata dell'ampio salone
dov'erano stati invitati ad accomodarsi.
San alzò per un attimo lo sguardo su quella che un tempo aveva
creduto suo fratello. Sivade sembrava sul punto di fuggire dalla finestra,
appoggiata vicina a quest'ultima con sguardo terrorizzato.
Non capendo il perché di quell'espressione, osservò Heloim
andare dalla ragazza e sedersi al suo fianco, ritto e fiero, come un fratello
maggiore che andava a fare da spalla alla sorella minore.
Sivade chinò lo sguardo sul felino, sospirò e guardò fuori dalla finestra.
Stava ancora cercando di capire perché Crystal ce l'avesse tanto con lei.
Chiuse gli occhi, tentando di riflettere su cose molto più importanti o, perlomeno, così avrebbero
dovuto essere: come aveva fatto Tamos a trovarla?
Si potevano dire molte cose su quel generale, ma non eradecisamente
competente nelle ricerche. Non cavava un buco da niente, figurarsi a trovarla
“casualmente” in un archivio mentre operava su delle ricerche.
Corrucciò lo sguardo, tornando al paesaggio del viale: qualcuno
la stava seguendo o, peggio ancora, riusciva a prevedere le sue mosse.
Irritata, strinse i pugni, rischiando di attivare i suoi poteri
sullo splendido sole di quel giorno. Amestris la stava cercando.
Ormai era fin troppo evidente. E con lei anche qualcun'altro.
Il vampiro spostò il suo sguardo sul gemello, che lo fissava a
sua volta, con palese imperturbabilità.
Tom aveva oramai notato il muoversi nervoso delle dita
affusolate del fratello, gli occhi di ghiaccio, la rigidità del corpo.
Con un sospiro di sollievo si alzò,
mentre Crystal spariva dietro il muro che divideva il salone dal corridoio. Lo
raggiunse, udendo soltanto il ticchettio di qualche pentola, l'aprirsi ed il
chiudersi di un qualche mobilio.
Ma non gliene interessava
nulla, in quel momento.
Chinò il capo, levandosi il berretto con fare frustato,
posandosi al muro.
In attesa.
Che Crystal si muovesse.
Sivade notò quel cambiamento, rilassandosi nel vedere che il
vampiro era svanito dalla stanza. Un sollievo misto a paura, ma era meglio
quello della rabbia di aver appena compreso di essere
spiata da più persone.
Poi, di colpo, sentì un botto contro il muro che divideva il
corridoio dal salotto. Sobbalzò, fissando la parete senza ben capire che
accidenti stesse succedendo.
Crystal si stava sfogando sul gemello, bloccato contro al muro,
bevendo senza remore dal collo di lui, insaziabile.
Una mano che lo teneva bloccato per una spalla, l'altra posata alla parete,
quasi a volerla disintegrare.
Chiuse gli occhi, provando a cancellare tutto quel rosso che gli
si stagliava davanti, tutta quella rabbia che faticava addirittura a contenere.
Si bloccò soltanto quando udì i passi della donna proveniente
dalla cucina, avvicinarsi a loro.
Si staccò, passandosi il dorso della mano sulle labbra
togliendovi le macchie di sangue del gemello che stava ancora in piedi dinanzi
a lui, del tutto a suo agio in quella parte.
Non appena Elea entrò nella stanza, San guardò con curiosità le
tazze fumanti sul vassoio spargere un dolce profumo in tutta la stanza. Sivade
la guardò con una sorta di divertimento, tant'era
chiaro l'entusiasmo nello sguardo della bambina.
Non si mosse di lì nemmeno quando la donna iniziò a distribuire
a ciascuno una tazza, arrivando infine a lei. Elea le sorrise
incoraggiante nel dare una tazza anche a lei. Era calda e dal profumo
stranamente agrodolce. Si guardò intorno, notando che tutti già bevevano. Si
rilassò, iniziando a bere anche lei dalla propria tazza,
nonostante non fosse convinta che si trattasse di semplice
cioccolata.
Elea allora prese a bere a sua volta ,in
tutta tranquillità, mentre Ren iniziava a porle una sfilza di domande inerenti
alla sua condizione attuale e poi a quella passata.
Poco dopo sia Tom che Crystal si fecero spazio nel salone, il primo
che già sedeva a terra dove stava poco prima mentre il secondo corrucciava la
fronte posando il suo sguardo su Sivade con fare perplesso.
Un’essenza non sua proveniva da lei, in quel
momento.
E certamente una
semplice cioccolata non era in grado di alterare a quel modo la pressione
sanguigna di una semplice persona.
Si passò una mano ai capelli, osservando Elea sparire nuovamente
in cucina, con la scusa di essersi dimenticata dei tovaglioli.
Poi sentì un lieve e rapido fruscio, seguito da un sonoro rumore
di ceramica infranta.
Voltò il capo verso Sivade, fissandola rigidamente.
La ragazza si teneva la testa con una mano, fissando la tazza in
pezzi con aria confusa. Respirava a stento, come per un attacco d'asma, ed un
istante dopo era a terra, la mano ora davanti alla bocca. Tossiva
convulsamente, il sangue che fuoriusciva quasi a fiotti dalla sua bocca,
vedendo a stento Crystal avvicinarsi nella nebbia davanti ai suoi occhi.
Il moro la prese subito in braccio, allarmato, chiedendo agli
altri di scostarsi all'istante mentre si apprestava a sdraiarla sul divano sul
quale, pochi istanti prima, stavano i bonzi che ora non sapevano più come
reagire.
Ren spostò lo sguardo da Sivade alla porta dalla quale era
sparita quella che doveva essere sua madre. Percepì chiaramente un blocco
risalirgli il petto ma si sforzò a ritrovare la
consueta lucidità e tranquillità a cui tanto spesso faceva ricorso.
Si avviò alla cucina, alle camere, al bagno, al corridoio, alla
ricerca di Elea.
Alla ricerca di spiegazioni.
Ma lei già non c'era.
Non più.
Svanita come molti anni prima.
Sentì un gemito provenire dalla stanza vicina.
Sivade era una specie di fonte inesauribile di liquido rosso.
Più lei cercava di calmare le convulsioni, più
il sangue aumentava il suo flusso. San fissava la scena inorridita, il
gatto al suo fianco che cercava di evitare di fissare quello spettacolo raccapricciante.
Tornò a riaffacciarsi al Salone, notando Crystal studiare la
ragazza da capo a piedi.
Una mano le reggeva il capo, mentre l'altra sosteneva se stesso, posata alla sponda del divano.
Tom inevitabilmente al suo fianco.
Il vampiro osservò la situazione degenerare di minuto in minuto,
la mente dapprima annebbiata da uno stato di confusione, ora lucida a
sufficienza per prendere l'unica decisione contemplabile.
Non attese oltre ad affondare le zanne sul collo
di lei, pronto a risucchiare ogni traccia di veleno dal sangue.
Infine chiuse gli occhi, rendendosi conto che per lei non aveva
nemmeno chiesto il consenso del fratello per addentrarsi in una simile azione.
Ingoiò tutto il sangue infettato,
sentendosi lui stesso preda di capogiri.
Ma non commentò,
limitandosi a sorridere debolmente nell'allontanarsi da lei.
Respirò a fondo.
« Dovrebbe essere tutto apposto » spiegò Tom al posto suo.
Il corpo di Sivade smise di fatto di
rigettare tutto quel sangue, lei del tutto incosciente, il petto che si muoveva
lentamente come unico testimone del fatto che fosse in vita.
Heloim si avvicinò, la coda alta per non bagnarsi troppo:
« Ha bisogno di sangue, Goito. Sbrigati. » disse quasi
ringhiando, i baffi tremanti.
Il sangue sparso per tutta la stanza si riunì in un'unica pozza,
da cui si formò la figura della ragazza ch'era stata
invocata. Goito si guardò le mani, cercando di constatare
che fosse successo: « Assenzio. Una dose preparata a puntino per causare una
morte pressoché rapida. » alzò lo sguardo su Crystal « Fortuna che sei già
morto, caro mio.»
Si volse verso Tom, corrucciando lo sguardo ora quasi iraconda:
« Ma bene. Geniale.» disse, lasciando perdere Sivade.
Andò a fissare Tom direttamente negli occhi, mentre i capelli andavano ad
infilarsi nelle vene della ragazza svenuta sul divano, immettendo il liquido
che le era stato appena rimosso.
Guardò il rasta davanti a lei ciondolare, come ubriaco. Con un breve ragionamento, capì che tra Tom e
Crystal sussisteva un legame di sangue molto sensibile.
Una sorta di risonanza che li univa nel dolore, fisico e
mentale.
Il vampiro non sembrava nemmeno risentirne,o
forse così tentava di mostrarsi agli altri.
Certamente il fisico del moro era mille volte
più resistente di quello di un comune essere umano, sebbene marchiato da
quello stesso.
Infatti Tom
appariva improvvisamente allo stremo delle proprie forze fisiche, gli occhi
marroni ora vacui, il volto pallido e la postura quasi flaccida.
Ciondolante, si scansò dalla rossa avvicinandosi al fratello che
stava ancora chino sul corpo di Sivade, incapace di far altro al momento:
sebbene
fosse una creatura immortale, anch’egli abbisognava del tempo necessario per
abituarsi a quell’intrusione nel suo sangue, che altro non era se non un
potente veleno che si stava lentamente espandendo per tutta la lunghezza del
suo corpo.
Goito roteò gli occhi, facendo cenno a Ren e ai bimbi di
avvicinare due sedie.
Tornò a dare la sua attenzione a Sivade, controllando che il
pallore sul suo viso fosse diminuito a sufficienza. Accarezzò appena il viso
della padrona, poi tornò a guardare i due fratelli:«
Dovete sedervi, per favore. » cercò di spiegare, sentendosi nauseata da tutto
quel sangue infetto.
Tom schiuse appena le labbra,cercando
di parlare.
Ma sentiva la bocca
completamente secca, come inaridita, e la voce sembrava fermarsi all’altezza
della gola, quasi come a volerlo strozzare.
Portò una mano al collo, provando a respirare, ma non ci riuscì,
così come non sembrava più riuscirgli il ragionare lucidamente.
Guardò vacuo Goito, poi Crystal e scosse il capo,
trascinandosi fuori dalla stanza.
Cos’è?
Voleva provare a farlo morire felice?
Gli uscì una risata smorzata guardandosi attorno alla ricerca di Elea, mentre udiva da poco lontano la voce di Crystal che
si pronunciava con un semplice:
« Riportiamola a casa ».
Goito lo mandò al diavolo, iraconda: « Siete degli idioti!»
urlò, andando a prendere Tom di peso, non sopportando oltre le sue opposizioni.
Se ne fregò delle deboli proteste del rasta, tornando in sala.
Heloim, con una calma irreale, graffiò il tappeto che copriva tutta la stanza,
aprendo un pozzo nero al centro della stanza. Goito fece cenno a San di
precederli, e la bambina saltò dentro con tranquillità avendo già usato il
teletrasporto di Heloim.
Il felino fece cenno anche a Ren, Soo e Haleck
di andare, aspettando che anche Crystal si muovesse, se n’era in grado.
Quello prese Sivade in braccio, con un grande sforzo fisico.
Lo si capiva, sebbene
tentasse di nasconderlo.
Fece un breve cenno al gatto, come di ringraziamento non
riuscendo a far altro imitando gli altri tre non appena vide lo spolverino
bianco di Haleck sparire nel nulla.
Tom si guardò attorno con fare perso non capendo per niente
quello che stava succedendo, tossendo convulsamente.
Heloim guardò Goito trascinare Tom dentro al
portale, e rimase da solo nella stanza nella quale erano stati accolti.
Annusò l'aria per un attimo, poi balzò nel portale, chiudendolo non appena le
sue gambe toccarono terra dall'altra parte. Con le sue iridi feline, vide
Crystal adagiare Sivade su un letto, mentre Goito portava Tom in un altro,
obbligandolo a stendersi per salvarlo.
Il gatto non si unì a nessuno dei gruppetti formatisi. Si sedette
direttamente al centro dell'infermeria del tempio dei
due bonzi che li accompagnavano, controllando che tutto fosse a posto.
San e Soo erano stati congedati da Ren, in modo da dare spazio
ai malati.
Quindi questi si erano
allontanati, sotto lo sguardo del bonzo più grande che fissava il fratello con
un moto di tristezza incolmabile.
Ebbene, la loro presunta madre aveva tentato di uccidere quella
che lui sapeva essere la principessa di Amestris;
fortunatamente senza riuscirci.
Incrociò le braccia al petto, infilando le mani nell'enorme
tunica rossa ancora composta, spostando il suo sguardo su Tom che sembrava
quello ridotto peggio.
Sospirò, cercando di adattarsi a quel suo nuovo stato d'animo,
non osando far domande.
Limitandosi solamente ad osservare la scena come un comune
spettatore.
Crystal chino su Sivade, che la fissava in un modo che lasciava
comprendere al contempo tutto e nulla.
La ragazza respirava a malapena e il petto le
si abbassava e rialzava faticosamente ogni volta che provava a trattenere
l'aria.
Dall'altra parte della stanza, Goito sparì, fili di sangue che
andarono dentro Tom attraverso la ferita ancora fresca dei denti di Crystal.
Il vampiro ora si volse a guardare il fratello, la cui
carnagione solitamente rosea in quel momento era sin troppo simile alla
propria.
Serrò la mandibola duramente, portandosi una mano al petto
mentre si rimetteva in piedi contemplando una qualsiasi soluzione possibile al risolvimento di quel problema creatosi.
Di fatto rischiava la vita tanto quanto Tom e tanto quanto
Sivade, in quel momento.
Sembrava essersene capacitato solo in quell'istante.
E allora sorrise
tristemente.
« Mi dispiace affermarlo Ren, ma tua madre ce
l'ha proprio messa in culo » scoppiò a ridere
esasperato.
Heloim, ancora fermo al centro della stanza, abbassò un orecchio
poco convinto:
« Dovrebbe rimanere fermo, lei. » lo ammonì, mentre sentiva un
sibilo e Goito usciva da Tom, in mano una sfera in cui v'era evidentemente rinchiuso del liquido nero. Avvicinandosi alla rossa, il
felino sentì chiaramente l'odore pestilenziale dell'assenzio allo stato puro,
ma si trattenne da altri commenti.
Goito guardò quella sfera e si chinò, facendola vedere ad Heloim: « Devi fare un antidoto per il vampiro. Il
fratello è a posto. » spiegò.
Il gatto annuì, miagolando anziché parlare. Da qui prese origine
la sua magia, che tramutò il veleno nella medicina richiesta dalla ragazza
davanti a lui.
L'antidoto stava ora in un'ampolla lunga e alta, e Goito
provvedette subito a porgerla a Crystal, guardandolo perentoria.
« Cos'è 'sta roba pestilenziale? »
chiese allora tutto scomposto fregandosene, ridotto com'era, delle
tanto ben amate apparenze.
Si passò una mano ai capelli non sapendo più chi guardare fra
Tom e Sivade.
La testa che scoppiava.
« Il cessoso rimedio che ti salverà il
didietro.» rispose falsamente
cordiale la rossa, ficcandoglielo in bocca senza tanti complimenti, stanca di
quella situazione.
Il moro rimase dapprima impietrito, poi confuso ed infine poco
convinto che stesse dicendo il vero. Ma bevve comunque
tutta quella brodaglia, pensando che peggio di così non potesse stare.
poi tossì quando non ne potè più di bere quella schifezza, allontanando la rossa e
la sua maledetta pozione con uno spintone.
Il respiro quasi affannato; Ren corrucciato nell'osservare
quella scena.
Goito non la considerò un offesa. Tornò
da Tom, controllandogli il polso. Era stabile. Si voltò ed andò da Sivade,
notando che era sveglia. Le sorrise, ma lei non era ancora in forze per fare
altrettanto.
« Vedrai che dormendo passerà tutto...Magari saluta scleratino, così si calma un po', lui e il suo culo.» disse
la rossa. Sivade la guardò confusa, provando ad aprirela bocca per parlare: « Chi...?» le riuscì di chiedere con un sibilo sforzato.
La rossa fece un cenno verso Crystal, per poi uscire dalla
stanza. Posarsi al muro, crollare a terra esausta e sospirare.
Il vampiro si portò una mano ai capelli, la lingua che inumidiva
le labbra più e più volte cercando di cancellare quel sapore che non esitava a
definire “velenoso”, che gli impastava tutta la bocca.
Si passò il dorso della mano sulle labbra, voltandosi a guardare
Sivade.
Esitò a mostrarsi completamente “felice” di rivederla sveglia,
limitandosi ad un lungo e sonoro sospiro di sollievo.
In sottofondo, Ren che si allontanava a passo rapido,
rinchiudendosi nella parte più centrale del tempio dove risiedeva la Divinità.
Una stanza nella quale solo i monaci potevano entrare.
Il gatto non intuì dove stesse andando, ma si prodigò ad uscire
a sua volta, notando che Goito stava dormendo scomposta vicino alla porta. Le si acciambellò di fianco,sparendo con lei in un piccolo vortice di teletrasporto grande a
sufficienza per loro due.
Nell'infermeria, Sivade cercò di cambiare posizione, trovandosi
scomoda, ma si fermò non appena venne colpita da un
mal di testa lancinante. Gemette, chiudendo gli occhi prima di cercare di
rimettere a fuoco la figura di Crystal: «...culo...?» chiese alla ricerca di spiegazioni,
ridendo flebile.
« Per la precisione. » dichiarò percependo le forze far velocemente
ritorno « Ero leggermente nel panico » si giustificò, scostando lo sguardo da
lei per la vergogna.
Sivade alzò una mano verso di lui, sentendola estremamente
pesante:
« Ora va...tutto bene...» disse a
stento, sorridendogli.
Quello le si avvicinò ben poco convinto
mentre sentiva il gemello muoversi nel sonno in cui doveva essere caduto.
Chiuse gli occhi, prendendo quella mano fra le proprie nel
silenzio più completo.
La ragazza provò a stringere la presa, ma le riuscì difficile.
Protestò con un gemito, sentendosi troppo debole. Spostò lo
sguardo al soffitto, poi si rese conto solo in quel momento di una cosa
strana. Alzò le dita della mano libera sul collo, trovandovi due fori ancora
leggermente sanguinanti. Corrucciò lo sguardo, non ricordando nulla dell'accaduto:
« Mi hai...salvato...?» gli chiese, tornando a guardarlo con una
sorta di sollievo.
Il ragazzo preso in causa chinò appena il capo socchiudendo gli
occhi, frustrato.
Lasciandosi fuggire un grosso sospiro:
« se la metti in questi termini...»
rispose soltanto lasciando cadere la frase.
« Per favore...baciami e non pensarci più...»
ribattè
l'altra con una sorta di divertimento macabro, ben conscia che non gli sarebbe
bastato quello.
Crystal la guardò di sbieco, mettendosi in ginocchio di fianco
al letto.
Sul viso un'espressione fra il divertito ed il seriamente
preoccupato:
« pensi di riuscire a resistermi? » chiese ilare.
Sivade chinò lo sguardo, ridendo imbarazzata: « Penso che a
fermarmi sarà il mal di testa...Mai riuscita a resisterti...»
rise appena, chiudendo gli occhi.
Lui si limitò adaccarezzarle il viso, optando
nuovamente per il silenzio, posando entrambi i gomiti al lettino in cui stava.
Poi vi posò anche la fronte:
« pensa a riprenderti... non a resistermi...»
sospirò allora, lasciando cadere le braccia su di lei,
con leggerezza distratta.
La mandibola nuovamente serrata.
Sivade si perse ad accarezzargli le braccia, guardandolo di
nuovo. Sentiva di stare meglio ogni minuto di più, sebbene la sua mente fosse
ancora confusa. Forse era lo shock, riflettè. Forse
era stata la momentanea consapevolezza che se Crystal non avesse agito con
tanta tempestività, non lo avrebbe più rivisto.
Per quello desiderava sentire le sue labbra sulle proprie.
Voleva solo essere sicura che lui fosse ancora lì.
« Ti prego...solo un bacio...» si trovò
a chiedere supplicante, avendo ora compresol'origine di tutta quella confusione.
Crystal respirò a fondo, alzando appena il capo a fissarla.
Negli occhi si poteva leggere una chiara tristezza invaderlo.
« allora sta ferma...» disse, anch'egli
provato da tutto quel via vai di linfa vitale, allungandosi flebilmente verso
di lei.
Afflitto.
Sivade obbedì, guardandolo agire nel più completo silenzio.
Si chiese se non lo stesse sforzando, se non gli
stesse chiedendo troppo.
Era preoccupata solo per lui, non per la sua salute traballante.
Lei era sacrificabile, bastava che lui sopravvivesse. Assurdo voleva che,
probabilmente, lui pesasse la cosa all'inverso. Gli accarezzò ancora le
braccia, bisognosa di restare sveglia.
Crystal allora si soffermò ad accarezzarle le labbra con le
proprie, una mano che le reggeva il viso ch'era
comunque più caldo del proprio.
Gli occhi ora semichiusi mentre tornava ad allontanarsi
lasciando cadere per l'ennesima volta la testa al lettino.
Fine
ventiquattresimo capitolo
Sisi!
Tamos è un uomo XD
Ma è anche un maniaco…ecco…puoi
definirlo un bisex,
ma di quelli maligni e
bastardi fino al midollo.
In sostanza, a lui basta fare sesso!
E San ora ci sarà fino alla fine, cioè
fino a domani ^^
Grazie al nostro duo di recensione preferito, siete sempre
impeccabili!
EMiyavi,
non ti preoccupare!
Chi sarebbe uno scrittore senza i suoi lettori più affiatati??
^^v
Purtroppo,
Sivade è un piccolo/grande impedimento per i suoi nemici…
Basta
pensare a come ha ridotto Crycry XD
La
descrizione di Nashan è, in definitiva, una delle più
azzeccate che le lettrici abbiano fatto.
Meriteresti
un premio!
Ed ecco a
voi l’ultimo capitolo.
Con
questo, si chiude quello che all’inizio sembrava un racconto yaoi,
divenuto invece
un romantico stralcio di realtà sovrannaturale.
Grazie
per averci seguito,
ci vediamo
il prossimo anno!
Yami
& Dark
Capitolo
25
«
The Final Destination»
La bimba sedeva composta in un angolo del salottino, occupando
una sedia piuttosto bassa, vicino ad una finestra. Con sguardo perso, guardava
il paesaggio fuori: la pioggia, gli alberi sconquassati dal vento, il cielo
nero come la notte.
San non sapeva come potesse essere così violenta la natura.
Sapeva che Sivade, suo fratello o sua sorella, ormai più non
capiva, insomma, sapeva che non poteva essere lei a richiamare quel tempo, pur
questo essendo nelle sue capacità.
Mettendosi a posto una ciocca ribelle di
lunghi capelli neri, stornò lo sguardo a quelle figure sedute a tavola, notando
che v'era tra loro una tensione pressoché evidente.
Prima di tutti, Crystal stava a
capotavola, gli occhi azzurri fissi in quelli del gemello che ricambiava lo
sguardo a sua volta.
Ren non c'era: stava ancora rinchiuso in quell'angolo di mondo
in cui pareva essersi rifugiato. In compenso, al suo posto v'era Haleck.
Un ragazzo che osservava tutto e tutti con un
strano sorrisino incomprensibile stampato su quelle labbra rosee. Pareva che si
divertisse ad insinuare l'ombra del dubbio sulla mente poco influenzabile di
Crystal. Ma, non si sapeva come, ci riusciva sempre.
Anche se spesso accadeva che il
moro spesso chiedesse il parere del fratello:
Forse più per una questione di formalità,
che per un reale interesse dei pareri altrui.
Socchiuse gli occhi posando le braccia al tavolo:
« Ho preso la mia decisione » dichiarò allora, quasi
all'improvviso, spostando a sua volta lo sguardo alla finestra.
Sentendo quel tono, San si sentì in un qualche
modo interpellata e alzò gli occhi castani su di lui, in attesa che
proseguisse con il suo discorso:
« Riporterò Sivade a casa. Non può insistere a pernottare in un tempio
come questo, dove le scorte di cibo e farmaci sono appena sufficienti per chi
vi abita.
Lei è una Principessa. Come tale va trattata, e sicuramente al
suo palazzo sapranno come curarla al meglio » terminò,
alzandosi in piedi con uno scatto invisibile ad occhio umano.
Haleck, sempre stretto al suo
spolverino bianco, si limitò ad annuire con un grosso sorriso, rimettendosi in
piedi a sua volta.
Al contrario, Tom non sembrava altrettanto convinto:
« e dunque ti fidi a lasciarla a mani a te sconosciute dopo ciò che è successo con quella donnaccia? » domandò con
cipiglio evidentemente perplesso « l'episodio potrebbe ripetersi. » spiegò,
chinando appena il capo, dubbioso riguardante le facoltà momentanee del
fratello.
A quelle parole, Crystal chinò appena il capo, imitando il
gemello.
Sul viso un espressione quasi scettica.
Stanca e provata:
« Da quando in qua ti interessi della
sua salute? » scosse lentamente il capo, avvicinandosi a San. Negli occhi v'era
solo abbattimento:
« Dovrai farmi strada » le fece notare quindi, accarezzandole i
capelli per un brevissimo istante, tornando composto l’attimo seguente.
Tom respirò pesantemente, abbassando il capo. Arreso.
La bambina annuì prontamente, capendo di avere una grossa
responsabilità sulle spalle: « Però c'è il mare intorno all'isola...» cercò di spiegare, terrorizzata
alla sola idea di quell’abisso d'acqua « Nessuno sa usare un sistema magico? La
nave impiega dieci giorni ad arrivare fino a lì.»
Crystal sorrise debolmente: « a quello ci penserà Tomi » disse del
tutto tranquillo, mentre percepiva distintamente da tutti gli altri soliti
rumori del tempio, lo frusciare di quel spolverino che
ben conosceva:
« dato che qui non servo più, posso andarmene. » dichiarò Haleck a quel punto, con la solita aria ambigua, allontanandosi
a passo rapido da quel tavolo a cui era stato seduto fino a quella tarda ora di
notte « Hope è a casa da sola con Zero. Capirai la gravità della situazione »
scoppiò a ridere, sparendo nel nulla pochi istanti dopo, avvolto dalla nebbia.
San guardò sparire quello strano tizio comparso poche ore prima,
dimenticando per un attimo il discorso enunciato da Crystal. Poi si scosse,
alzandosi in piedi da dov'era: « Vado a dirlo a Sivade? » chiese impaziente.
Tom fissò il gemello scuotere il capo con lentezza esasperante,
le mani affondate nelle tasche dei pantaloni: « lasciamola riposare » lo sentì
dire soltanto, mentre si passava una mano ai folti capelli corvini « non ho
voglia di sentire storie...».
Detto questo, sparì a sua volta, ritornando con indosso il suo
giubbotto di pelle, in mano quello grigio di Tomi e quello rosso di San:
« Vestitevi... io vado a prenderla...».
San annuì, correndo fuori dalla stanza,
diretta a recuperare le sue cose e quelle di Sivade. Nessuno, in quei due-tre giorni, era venuto a far visita a Sivade, che
nonostante fosse stata curata a dovere, sembrava incapace di recuperare le
forze. Non era una questione fisica, sembrava piuttosto che, oltre l'assenzio,
fosse stata risucchiata di ogni energia in lei
racchiusa, magica o altro che fosse.
Aveva sporadici momenti di lucidità, in cui parlava per massimo
mezz'ora, per poi riaddormentarsi e svegliarsi solo dopo ore e ore di sonno.
Non mangiava, beveva solamente acqua. Lo stomaco le si bloccava ogni qualvolta l’obbligavano o supplicavano
di mangiare.
In realtà, nessuno capiva che accidenti avesse.
In quell'esatto momento, San vide Crystal far ritorno con in braccio Sivade ancora pesantemente addormentata.
Camminava leggero, quasi non sfiorava il pavimento tant'era
leggiadro.
Sembrava che la terra ai suoi piedi si spostasse per fargli
spazio, ma in realtà così non era.
Strinse la ragazza al petto, mentre Tom prendeva San fra le sue
braccia, tranquillo in apparenza.
Con il pensiero che così avrebbero
portato a termine il prima possibile ogni sorta di sofferenza contemplabile.
Sospirò, facendo cenno a San di iniziare a farle da navigatore.
La bimba gli descrisse il luogo in cui si apriva l'unico varco
al teletrasporto dal continente all'isola: si trattava della Piazza Circolare, al
centro della capitale, nel cuore di Amestris.
Vi giunsero pochi minuti dopo, il clima anche lì piovoso. San lo
trovò strano: Amestris, solitamente, era chiamata la Città del Sole, oltre agli
altri nomi che tutti le affibbiavano nel corso degli anni.
Intorno a loro, v'erano persone di ogni
genere: vecchi che accompagnavano bambini a scuola, donne che andavano a fare
la spesa, uomini che correvano a prendere l'autobus che li avrebbe portati al
lavoro.
Dopo un attimo, San vide avvicinarsi due guardie vestite di una
divisa a doppiopetto bianca, con bottoni d'oro, i pantaloni neri che sparivano
dentro agli stivali di pelle:
« Nome e motivazione. Perchè siete
qui? » chiesero con un sorriso, per nulla minacciosi.
San sorrise a vederli, applaudendo felice: « Dyom
e Frewin! Siete tornati! » disse contenta,
riconoscendo i due generali dell'armata di Sivade.
Il ragazzo di destra che rispondeva al nome di Dyom sorrise, spostando il ciuffo ribelle che gli copriva metà volto. Era molto bello, con occhi a mandorla del color
del mare in un giorno d'estate, la pelle di una tenera colorazione pesca.
Frewin, a sinistra, era invece
molto più pallido e composto, i capelli lunghi e color platino raccolti in una
treccia che gli arrivava fino al ginocchio. I suoi occhi erano fissi a guardare
Sivade, poi Crystal, poi di nuovo Sivade.
« Dyom, credo
proprio che San non abbia tempo per far aspettare i suoi compagni. Venite, vi scortiamo a palazzo. Presumo sia la vostra
destinazione, nevvero? » chiese tranquillo il biondo, rivolgendo un'occhiata
disinteressata a San.
Lei annuì, senza contestare una sola parola del giovane dagli
occhi scuri. Frewin, quando parlava, diceva tutto
quello che era necessario, quindi non v'era bisogno di specificare altro.
Crystal non si presentò, tanto meno il fratello.
Entrambi badarono bene a tenere la
bocca chiusa, anche se il biondo quasi non fremeva ad urlare “Ehi! Gli Hades vi invaderanno!
AHAHAH!”immaginandosi saltare su
di un tetto, le mani ai fianchi e lo sguardo serio.
Ma, dando una breve occhiata a
Crystal, capì che non era veramente il caso di scenate simili. Anche se l'avrebbe tanto voluto...
Il suo viso si trasformò in un'espressione bambinesca, mettendo
il muso, quasi imbronciato, giurando a sé stesso che un giorno o l'altro
l'avrebbe fatto.
Promesso.
Da triste che era, tornò nuovamente ad essere sorridente e
spensierato, con gli occhi già proiettati al futuro.
Antitetica, la mente di Crystal era rivolta completamente a
pensieri molto più seri e coscienziosi. In quel
momento la cosa più importante da fare era riportare Sivade a quella che altro non era che casa sua.
Poi...
Respirò a fondo, alzando lo sguardo al cielo, i capelli corvini
lisci e completamente bagnati.
Poi, se ne sarebbe andato.
La presa sulla ragazza si fece più rigida e tesa, composta e
chiaramente nervosa.
Una parte di sé ben sapeva che stava sbagliando, ma non
intravedeva altre vie d'uscita.
Si convinse di farlo unicamente per il suo bene.
Per il bene di Sivade.
Notò che San li aveva preceduti, dietro di loro i due generali
presentatesi loro.
La bimba fu la prima, di fatto, a giungere davanti al castello di Amestris: un castello fiabesco, dalle alte torri bianche
e la scalinata centrale in marmo, alla cui fine torreggiava l'enorme portone in
ebano sorvegliato dalle guardie.
Le finestre erano archi arabeggianti,
i vetri trasparenti in chiaro segno di costante pulizia.
Non appena la comitiva salì il primo scalino, il portone iniziò
ad aprirsi, come a dare l'invito.
Crystal osservò il tutto con aria disinteressata, limitandosi
solamente a seguire le due guardie di cui era, in sostanza, costretto a
fidarsi.
Guardò San per l’ennesima volta, ora alle costole dei due, e
sospirò ancora una volta, tentando di convincersi di star realizzando la cosa
più giusta.
Ma ne era sempre meno sicuro.
Spostò il suo sguardo su Tom che altro non faceva che seguirlo,
gli occhi fissi al soffitto. Si ritrovò a sorridere, forse per inerzia.
Non sarebbe stato solo.
Poi guardò San.
E nemmeno Lei.
Solo a quel punto, notò che nel salone d'entrata stava una
figura completamente vestita di bianco: era un uomo dagli occhi celesti, i
capelli lunghi fin poco sopra le spalle. Alto, muscoloso, con una pelle quasi
dorata dal sole. Incrociò lo sguardo con quello dell'uomo, ma ciò sembrò
rivelarsi uno sbaglio: il fratello di Sivade, perchè era evidente che fosse
tale, si passò disperatamente una mano ai capelli, lo sguardo di colpo
terrorizzato.
« DONNE! » urlò, scappando a gambe levate su per la scalinata
principale, sparendo in un istante alla loro vista.
Crystal alzò un sopracciglio alquanto stupito, le labbra ora
piegate in una smorfia fra il divertito ed il
scioccato.
Abbassò lo sguardo su San, poi su Sivade e, involontariamente,
anche su sé stesso: «... uomo...» disse,
quasi a bocca aperta.
Sentì una delle guardie scoppiare a ridere, quella che portava
il nome di Dyom: « Perdonate sua maestà, ha problemi
col gentil sesso...!» disse a voce abbastanza alta da farsi sentire anche da
sopra le scale.
In risposta giunse un urlo
soffocato, testimone che re Markus, il tanto celebrato re Markus a capo dei
Regni Alleati, era ancora lì presente:
« GENTILE UN CORNO! » sentirono urlare con voce disperata.
Nell'udire quell'esclamazione dalle tonalità tanto disperate,
Crystal posò lo sguardo su Sivade con fare ora decisamente
più perplesso di pochi istanti prima:
« Davvero hai intenzione di lasciarla a questo qua? » chiese Tom
a posto suo, affiancandosi al gemello con le mani affondate nei propri tasconi.
Non sembrava per nulla un tipo affidabile, in special modo se si
parlava di “donne” e, a quanto pareva, Sivade lo era in tutti i sensi.
Tom alzò lo sguardo al soffitto, sospirando con evidente
delusione:
« …Le uniche gioie della vita… » commentò ad alta voce,
sognante.
Crystal, a quel punto si limitò ad una
semplice smorfia, mostrandosi ancora più deciso e severo: « Ditemi un luogo ove
portarla. Avrei urgente fretta. » si giustificò fissando dritto davanti
a sé, scansando tutti gli sguardi puntati su di lui « per favore.».
In realtà voleva solo andarsene al più presto.
Prima che ella si svegliasse.
Frewin fece chiamare delle
ancelle, portando la treccia dietro la schiena. Al contrario, Dyom si guardò da prendere decisioni affrettate: « C’è un
unico problema, signori.» disse
perentorio, concentrato a studiare la figura tra le braccia di quella persona
che sentiva di conoscere: « Chi è questa dama? ».
« La sorella di vostra maestà. Sbrigatevi. » disse allora con
tono perentorio, non riuscendo ad accantonare quella parte di personalità tanto
abituata al comando.
Fissò le guardie, mentre un’idea andava formandosi nella sua
testa: sarebbe stato disposto addirittura ad ipnotizzarle se non si fossero
velocizzate.
Non si accorse che ora il giovane re era sceso dalle scale,
guardando Sivade quasi sgomento. Le toccò un braccio, cercando di frenare le
lacrime che aveva agli occhi: « Seguimi…» sussurrò
piano a Crystal, iniziando a salire le scale con calma regale, dimenticando le
sue paure. Le due guardie erano semplicemente rimaste immobili.
Dyom, una smorfia sul viso poco
convinta, guardò Frewin: «…Sua maestà ha UNA
SORELLA?» chiese confuso. L’altro scosse il capo e fece spallucce, voltandosi e
tornando da dov’era venuto, seguito dall’altro che continuava a parlare senza
sosta.
Stava posato al muro a fissare la sagoma stesa su quell’enorme
letto a due piazze.
Le lenzuola scarlatte che tanto stonavano con il colore della
sua pelle dorata, che l’avvolgevano sin sotto il seno.
Socchiuse gli occhi concentrandosi esclusivamente sul rumore prodotto
da Tom, che camminava a passo svelto per tutta la lunghezza del corridoio,
agitato.
Probabilmente preoccupato per le conseguenze di quell’amara
decisione.
Notò Markus guardare sua sorella con una malinconia struggente.
Si poteva quasi scorgere i pensieri che gli attraversavano la mente.
Anche se Crystal, come al solito, non
sapeva molto di quella storia.
Per una fortuita coincidenza, sia lui che il re si ritrovarono a sospirare amaramente.
Ciò fece sorridere appena Markus, che alzò lo sguardo su di lui:
« Grazie. Non per averla riportata qui, dato che sarà un bel
guaio spiegare questa cosa…Ma, davvero, grazie.» disse il biondo con voce ora molto profonda, da tenore.
« Di nulla. Ora devo andare. » rispose soltanto il moro.
D’altronde non era certamente il caso che la regina Hades venisse a sapere che era stato in contatto, seppur breve,
con il tanto odiato Re di Amestris.
Abbassò le palpebre, mordendosi debolmente il labbro inferiore:
« E’ ora che vada. » terminò poi, lanciando un’ultima occhiata
alla ragazza sdraiata su quel letto a baldacchino « per favore… evitate che
venga a cercarmi… lo dico per il suo bene. ».
Così Crystal si volse all’enorme porta proprio nell’istante in
cui Tom fece irruzione nella stanza facendogli cenno di muoversi, riaprendo
quegli occhi ora di uno strano color acquamarina. Non suo.
Non propriamente suo.
« Arrivederci.»
Lui stesso non era pronto per un addio.
Perché sapeva di essere soltanto
un’infima creatura egoista.
Interessata soltanto alla propria Salvaguardia
Personale.
Fine
Primo Libro
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