We Are Not Broken, Just Bent

di Mon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Laura scese dalla macchina, prese la sua borsa e corse verso l’entrata dell’aeroporto. Si fermò solamente quando arrivò davanti al tabellone degli arrivi. L’aereo di suo marito era già arrivato. Imprecò.
Si diresse velocemente verso la scala mobile e, una volta presa, si massaggiò entrambe le caviglie; correre sui tacchi non era certo una di quelle cose che il medico consiglia come cura. Arrivò al primo piano dell’aeroporto e guardò verso la porta scorrevole dove erano soliti uscire i passeggeri dei voli atterrati. Lo vide. Sorrise e non riuscì a trattenersi.
«Nate!» urlò.
Il ragazzo alzò lo sguardo dal suo cellulare giusto in tempo per afferrare Laura che gli stava per gettare le braccia al collo.
«Amore mio, quanto mi sei mancata!» disse Nate, affondando il viso nei capelli della ragazza. Si baciarono, era da troppo tempo che uno non assaporava le labbra dell’altro. Era passato più di un mese dall’ultima volta che si erano visti. Lui era in giro per l’Europa con la sua band, lei invece era rimasta a casa a lavorare per la rivista musicale per cui lavorava da più di dieci anni.
Laura e Nate stavano insieme da sei anni, erano però sposati solo da due. Nonostante entrambi continuassero a fare il loro lavoro, la loro relazione proseguiva senza grossi intoppi; riuscivano sempre a trovare il tempo da dedicare all’altro e la paura iniziale che le cose non potessero funzionare era stata piano piano superata.
Quando i due si allontanarono per prendere fiato, si girarono alla loro sinistra, sentendosi osservati. Jack sorrise loro e disse: «Io ancora non capisco come sia possibile che una come Laura abbia deciso di sposare uno come te! Guardatevi! Lei è perfetta, tacco alto, vestita alla moda, capelli mai fuori posto. Poi allungo lo sguardo su quello che la tiene per mano e vedo te, con una ammasso informe di capelli, felpe larghe e un discutibile gusto nell’abbinare i colori, e non solo. Non ci state a dire nulla insieme!»
Nate tirò Laura a sé e le diede un bacio sulla guancia; lei lasciò fare, appoggiandosi a lui.
«Su Jack, non fare il geloso. Lo so di essere stato fortunato a trovare una donna come lei!»
Laura sorrise, guardando Nate negli occhi. «Anche io sono stata fortunata...» disse.
«Avrei qualcosa da obbiettare, ma se sei contenta tu!» ribatté Jack.
Laura rise poi lei e Nate salutarono gli amici e si diressero così verso l’uscita dell’aeroporto, tenendosi per mano; una volta arrivati davanti all’auto, la ragazza cominciò a rovistare nella sua borsa in cerca delle chiavi della macchina. «Possibile che tu non trovi mai quelle maledette chiavi? Te lo dico sempre, invece di metterle nella borsa, non basterebbe metterle in tasca?» disse il ragazzo.
Laura sbuffò. «Lo so, me ne dimentico sempre, scusa!»
Quando finalmente la ragazza trovò quello che cercava, subito lo mostrò fiera al marito, che le sorrise. Caricarono i bagagli del ragazzo nel baule e Laura salì in macchina; Nate fermò la portiera dell’auto e disse: «Guido io?»
«Non ci penso nemmeno! Sali, tu la mia macchina non la tocchi. Non voglio pagare anche le tue multe!»
Il ragazzo sorrise. «Quante ne hai prese in questo mese in cui non c’ero?»
«Non lo so, forse un paio...»
«Pensavo peggio!» rispose, di rimando, Nate, sorridendo e chiudendo la portiera dell’auto di Laura e salendo dall’altro lato.
Si avviarono verso casa, una villa alla periferia di San Francisco, dove si erano trasferiti quattro anni prima, quando avevano deciso di andare a vivere insieme. Avevano deciso di vivere vicino alla grande metropoli americana per permettere a Laura di poter continuare a lavorare nella redazione del giornale per cui già lavorava da più di dieci anni. La loro casa si estendeva su due piani; al piano terra c’era un grande salone, la cucina e la stanza degli ospiti, mentre a quello superiore c’erano due stanze, una era quella di Nate e di Laura, l’altra era stata adibita a sala lettura. In più c’era un bagno, con una grande e rotonda vasca idromassaggio.
Nate appoggiò la testa sul sedile e la ragazza lo guardò con la coda dell’occhio. «Sei stanco?»
«Un po’. Il volo dalla Germania è stato abbastanza lungo, il fuso orario mi ucciderà per i prossimi giorni...»
«A casa prova a dormire un po’...»
Nate girò la testa verso Laura e la fissò; la ragazza fermò la macchina al semaforo rosso e ricambiò lo sguardo. «Amore, è un mese che non ci vediamo. Non ho intenzione di dormire...» disse lui, sorridendo. Laura ammiccò, appoggiando nuovamente lo sguardo sulla strada.
Dopo circa mezzora furono a casa; Nate scaricò le sue cose e Laura aprì la porta, dirigendosi immediatamente al tavolo della sala e accendendo il computer. Il ragazzo, appoggiò le sue valigie al centro della stanza e guardò la moglie seduta.
«Cosa fai?» chiese, perplesso.
«Devo controllare se mi è arrivata una mail di risposta. Ho un’intervista con i Mumford & Sons domani l’altro e attendevo orario e luogo dell’intervista...»
Nate alzò un sopracciglio. «Fammi capire, io torno a casa dopo un mese e tu, la prima cosa che fai quando mettiamo piede in casa nostra, è accendere il computer perché devi lavorare?»
«Controllo solo una e-mail! È importante!» ribatté Laura, leggermente spazientita.
«Si, certo. Come se non ti conoscessi! Da una semplice e-mail, diventeranno dieci! Ho capito, vado a farmi un bagno!»




Salve a tutte! Pensavate di esservi liberata di me, vero? Ebbene... no. Sono ancora qui. 
Allora, io spero che questa nuova storia vi piaccia, sapete chi sono i personaggi, sapete che sono legata a loro e quindi ho deciso di scrivere un seguito. Non credo che sarà mai bello come la prima parte, ma io ci voglio comunque provare. 
Grazie a chi ha ancora il coraggio di leggere i miei scleri.
A presto.
Mon.

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Laura spense il computer e guardò l’orologio del suo cellulare; erano le cinque di pomeriggio. Imprecò; anche quella volta Nate aveva avuto ragione, lei aveva acceso il pc semplicemente per controllare una e-mail, che ancora non era arrivata, poi si era ritrovata a fare altro, ad esempio rileggere tutte le domande che aveva preparato per la prossima intervista che avrebbe dovuto fare ai Mumford & Sons. 
Spense il computer e cercò Nate, al piano di sopra; era in bagno. Aprì delicatamente la porta e si affacciò nella stanza. «Posso?» chiese.
«Avresti dovuto venire molto prima...» rispose il marito, sdraiato nella vasca idromassaggio, senza nemmeno guardarla in faccia.
Laura entrò nella stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
«Scusami, mi dispiace, come sempre avevi ragione. Sono una stupida, dovevo controllare solo l’e-mail e invece mi sono messa a fare altro. C’è un modo per farmi perdonare?» chiese, mettendosi di fronte alla vasca idromassaggio e sorridendo.
Nate finalmente si decise a guardarla negli occhi; sorrise sornione e disse: «Si, forse un modo per farti perdonare c’è...» Con un dito le fece segno di andare vicino a lui e Laura si mise a sedere sul bordo della vasca. Nate le sbottonò il primo bottone della camicia, poi sollevò la mano e lasciò un po’ di schiuma sul naso della moglie. Lei sorrise e si tolse i vestiti, Nate gli tese la mano e la aiutò ad entrare nella vasca. Laura appoggiò subito la testa sulla spalla del marito, accoccolandosi tra le sue braccia, che la strinsero forte. Ecco una delle cose che le erano mancate di più: il tocco della mani di Nate sulla sua pelle. Lui le diede un bacio sulla spalla nuda e poi, con piccoli bacetti delicati, salì verso il collo; Laura lasciò fare, fino a che lui non la prese e la mise con la schiena contro il bordo della vasca. Le andò vicino e si fermò a pochi centimetri dalla bocca di Laura.
«Mi sei mancata tantissimo, in tutti i sensi...»
«Anche tu mi sei mancato...»

***

La mattina seguente Laura si svegliò intorno alle 9. Rimase un po’ sotto le coperte, al caldo, guardando Nate dormire al suo fianco. Averlo nuovamente in giro per casa le dava un senso di pienezza, la sua vita con lui al suo fianco era perfetta. Amava suo marito, amava il lavoro che faceva e non poteva essere più felice di così. Non c’era niente che volesse cambiare.
Si alzò dal letto e andò in cucina a prepararsi la colazione; mentre armeggiava sul bancone, dando le spalle alla porta d’ingresso, per preparare il suo caffèlatte con i cereali, non si accorse di Nate che entrava silenzioso in cucina e andava da lei. Si sentì abbracciare, così girò leggermente la testa ed incontrò le labbra del marito a poca distanza dalle sue.
«Buongiorno amore...» disse il ragazzo.
«Buongiorno a te...» fu la risposta di Laura.
«È sempre bello vederti in giro per casa con addosso solo un mio vecchio maglione...» disse Nate, infilando una mano sotto la maglia blu, pesante, che Laura stava indossando quella mattina e che una volta apparteneva a lui.
La ragazza reclinò leggermente il capo. «Smettila, ti prego...» disse, con un filo di voce.
«Perché?» sussurrò Nate all’orecchio di Laura.
La ragazza si drizzò e si girò verso il marito. «Basta così! È un ordine!»
Nate piegò le labbra verso il basso in segno di disapprovazione.
«Non farmi gli occhioni dolci, ti conosco, non ci casco...»
Il ragazzo non disse nulla, ma si limitò ad andare a sedersi al tavolo di cucina, dove attese la sua tazza fumante di caffèlatte. Laura appoggiò sulla tavola la scatola di cereali, poi si sedette insieme al marito.
«Non ti ho ancora chiesto cosa ci fai a casa questa mattina...» disse Nate, dopo un po’.
«Mi sono presa una giornata di ferie per stare con te. Poi non dire che non ti penso mai!» ribatté Laura.
Era una giornata di inizio dicembre, fuori dalla finestra il tempo non prometteva nulla di buono; il cielo era scuro, nuvoloni neri annunciavano l’arrivo di un imminente temporale. Nate e Laura aprirono la porta che dava sul loro grande giardino, scrutando le nuvole che correvano veloci in cielo, ma rientrarono praticamente subito, quando sentirono il vento freddo accarezzare i loro visi. Nate chiuse la porta finestra e disse: «Io direi di rimanere in casa!»
«Concordo! Perché non ne approfittiamo e addobbiamo la casa per Natale?»
«Ottima idea...»
Si misero così al lavoro, impiegando tutta la mattinata, ma il risultato fu soddisfacente. Vicino alla porta finestra un grande abete finto era pieno di palline rosse, festoni argentati e lucine bianche si accendevano e si spegnevano ad intermittenza regolare, qualche pallina e qualche festone era stato sparso in giro per casa e alla terrazza della stanza di Nate e Laura, che dava sulla strada, erano state appese lucine colorate. La ragazza si sedette sul divano, guardando il marito che sistemava le ultime cose, poi anche lui andò a sedersi accanto a lei ed insieme fissarono in silenzio l’albero di Natale.
«Ottimo lavoro tesoro!» disse Laura dopo un po’.
«Decisamente! Siamo pronti per le feste e per il pranzo con tutti i parenti!»
«Dio, ti prego! Non farmici pensare! Casa invasa da genitori, parenti, nipoti urlanti. Ti prego, non ci voglio pensare!»
Nate rise, ma non fece in tempo ad aggiungere altro perché entrambi si girarono verso il tavolo, dove era appoggiato sopra il cellulare di Laura. Stava suonando. La ragazza si alzò ed andò a rispondere; sul display lampeggiava il nome di Thomas, il suo collega. Laura sapeva che quando lui la chiamava in orario di lavoro, c’era sempre qualcosa che non andava. Rispose preoccupata. «Ciao Tom, cosa succede?»
«Ciao Lau. Scusa il disturbo, lo so che sei a casa con Nate, ma abbiamo un problema al lavoro...»
«Sarebbe?»
«Hai presente i volantini che hai fatto stampare alla tipografia per la festa di Natale del giornale?»
Laura guardò fuori dalla finestra e si limitò a rispondere con un semplice “si” preoccupato; sentiva che quello che Thomas le stava per dire non era nulla di buono.
«Ecco, sono arrivati, ma sopra c’è un errore. Hanno sbagliato l’orario di inizio della festa...»
Laura chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. «Tutti?» chiese. Conosceva già la risposta, ma conservava un minimo di speranza, magari erano solo un paio.
«Si, tutti...»
La speranza era crollata in poco più di cinque secondi.
«E perché chiami me? Non puoi andare tu in tipografia a far presente l’errore?»
«Io veramente sono impegnato e visto che te ne sei occupata tu, il capo vorrebbe che fossi tu ad andare a parlare con quelli della tipografia...»
Laura sbatté la mano sul tavolo di legno e la fede che portava alla mano sinistra fece rumore. Vide Nate guardarla e poi distogliere lo sguardo, scuotendo leggermente la testa. La ragazza disse: «Non ci posso andare domani? Io sarei in ferie!»
«Lo so Lau, tu hai tutte le ragioni a voler stare un po’ con Nate, ma il capo insiste perché tu vada a parlare con quelli della tipografia in giornata...»
Laura sbuffò. «Va bene, ci vado! Ma questa me la segno!» rispose la ragazza, chiudendo la chiamata senza nemmeno salutare Thomas. Rimase qualche secondo ferma, con lo sguardo basso, poi lo alzò e guardò Nate, immobile sul divano, occhi fissi davanti a sé.
Laura si avvicinò e si sedette al suo fianco, appoggiandogli una mano sul braccio. «Amore scusami, devo andare al lavoro...»
«Lo avevo capito. Ti eri presa una giornata di ferie, ma non riesci a dire di no se ti richiamano al lavoro. A volte sembra che tu preferisca lavorare invece che stare con me...»
Laura sgranò gli occhi. «Lo sai benissimo anche tu che quello che stai dicendo non è vero!»
Nate non guardò la moglie, si limitò ad annuire e ad aggiungere. «Vai, se no il capo si arrabbia...»




Eccomi qui! Innanzi tutto fatemi dire che vi voglio bene! Grazie per le recensioni, grazie per seguire la mia storia. A volte mi sento ripetitiva, lo dico tutte le volte, ma, insomma, lo devo fare, sento che vi devo sempre ringraziare. Mi fare sempre un sacco di complimenti e io tutte le volte divento rossa davanti al pc (voi non lo vedete, ma vi assicuro che è così!).
Grazie, grazie, grazie.
Niente più sproloqui, vado a rintanarmi in un angolino.
Al prossimo capitolo.
Mon.

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Laura arrivò al lavoro infuriata; era arrabbiata con Nate per quello che le aveva detto e lo era anche con il suo capo e i suoi colleghi di lavoro. Era una delle veterane della rivista, insieme a Thomas, e si era conquistata, nel corso degli anni, la fiducia incontrastata del direttore. Lui si fidava di Laura, le affidava alcuni dei compiti più importanti e di questo lei ne andava orgogliosa; però, in questo modo, aveva sempre meno tempo da dedicare a Nate, alla persona che più amava al mondo. Si sentiva in colpa a doverlo spesso lasciare da solo quando lui era a casa e si riposava dalle fatiche del tour con i Fun.; quello era uno dei pochi momenti in cui potevano davvero passare tanto tempo insieme e lei lo spendeva a correre tutte le mattine in ufficio o ad attendere un aereo all’aeroporto di San Francisco che la portasse in qualche altra città. 
Quando Nate era a casa Laura cercava di limitare il più possibile tutti questi spostamenti, ma a volte era davvero difficile. Quel giorno, invece, tutto quello che era successo si sarebbe potuto evitare semplicemente se Thomas le avesse dato una mano. Arrabbiata con lui, arrivò in ufficio a passo spedito, dirigendosi verso la sua scrivania, senza nemmeno salutare l’amico. Appoggiò la borsa sulla sedia con forza e guardò il pacco di volantini che era stato messo vicino al computer. Ne prese uno tra le mani e subito constatò l’errore; chiuse gli occhi e respirò profondamente. Si girò verso Thomas e disse: «Quindi ci devo andare per forza oggi?»
«Laura, ti prego, scusami! Non avrei mai voluto chiamarti a casa, mentre eri in ferie, dopo che Nate è appena tornato da un tour. So quanto ci tenete voi due a passare più tempo possibile insieme visto che non capita spesso, ma il capo mi ha detto di chiamarti subito...»
La ragazza aveva ridotto gli occhi ad una fessura. «Ho capito, ho capito! Prendo il pacco di volantini e vado ad incazzarmi con quelli della tipografia!»
«Non arrabbiarti con me però...»
«Troppo tardi!» rispose Laura, prendendo la borsa, i volantini e dirigendosi verso l’uscita dell’ufficio.
Quando uscì dall’edificio che ospitava la redazione della rivista, fece pochi passi per raggiungere la sua macchina, parcheggiata poco lontano. Alzò gli occhi verso il cielo nel momento in cui sentì una goccia d’acqua poggiarsi sul suo viso. I nuvoloni neri incombevano su San Francisco e sembrava avessero deciso di cominciare a scaricare il loro contenuto proprio mentre Laura, senza ombrello, raggiungeva la sua macchina. Non fece in tempo ad arrivare all’auto che si ritrovò completamente bagnata, cercò le chiavi nella borsa e si infilò al coperto, gettò i volantini sul sedile al suo fianco e sbuffò, appoggiando la testa contro lo schienale del sedile. Chiuse gli occhi e pensò che in quel momento avrebbe potuto essere seduta sul divano, a guardare qualche schifezza in televisione, stretta tra le braccia di suo marito.
Sbatté una mano sul volante e mise in moto la macchina, dirigendosi verso la tipografia, la fonte di tutti i suoi problemi.

***

Laura parcheggiò la macchina nel cortile di casa e guardò l’orologio che portava al polso: segnava quasi le nove di sera. Appoggiò la testa sul volante e respirò profondamente, rimanendo chiusa in auto qualche secondo. Quando decise di scendere, cercò le chiavi di casa e le infilò nella serratura. Aprì la porta. Il corridoio che introduceva in casa di Laura e Nate era buio, tutto il pian terreno era senza luci. Anche il grande albero di Natale fatto quella mattina era spento. Laura si diresse in cucina e, quando accese la luce, trovò i tegami della cena nel lavello. Si guardò un po’ attorno e trovò il suo piatto vicino al forno a microonde. Nate le aveva preparato la cena, lasciandogliela pronta per essere scaldata e mangiata. La ragazza aveva fame quindi mise il piatto nel microonde e, nell’attesa, andò in salotto, sperando di trovare il marito davanti alla televisione. Nate non c’era. Sentì il rumore del forno che le annunciava che la cena era calda e pronta per essere mangiata, così tornò in cucina, prese la forchetta, il suo piatto, un bicchiere d’acqua e si diresse al piano di sopra.
Sapeva dove avrebbe trovato Nate: nella stanza adibita a sala lettura. Lì c’era un grande divano, circondato da tantissimi libri, quasi tutti comprati da Laura, e un grande televisore al plasma. Era il loro luogo preferito della casa; spesso se ne stavano accoccolati sul divano guardando un film, oppure Nate guardava qualche sport in tv mentre Laura, al suo fianco e con la testa appoggiata sulla sua spalla, leggeva un libro.
Salì le scale con la cena tra le mani e, quando arrivò davanti alla porta della sala si fermò qualche secondo; Nate stava guardando la televisione, rannicchiato in un angolo del divano, le ginocchia vicino al petto. Laura rimase a guardarlo per un attimo, cercando di trovare le parole per chiedergli scusa.
Poi entrò. «Ciao amore...»
Nate girò la testa a guardarla e la salutò con un cenno del capo, poggiando subito gli occhi sullo schermo della televisione. Laura capì che il marito era ancora arrabbiato. Appoggiò la cena sul piccolo tavolino che c’era davanti al divano e si sedette al fianco di Nate, appoggiandogli una mano sulla gamba e guardandolo.
«Ti conosco troppo bene per non sapere che sei arrabbiato...»
Nate continuò a non guardarla. A lei era un atteggiamento che non era mai piaciuto, aveva cercato di farci l’abitudine, ma era stato praticamente impossibile. «Nate, ti sto chiedendo scusa, potresti anche rivolgermi uno sguardo!»
Il ragazzo si decise a guardare la moglie. «Scuse accettate...» rispose, girando nuovamente la testa verso la televisione.
«Nate! Adesso basta! O mi ascolti o me ne vado!»
«Ti ascolto anche se non ti guardo!»
Laura avvicinò una mano al viso di Nate e lo fece girare verso di lei. «Ti sto chiedendo scusa. Oggi mi sono comportata male, avrei dovuto rimanere qui con te, purtroppo però è più forte di me, quando hanno bisogno al lavoro io corro. Dovresti conoscermi...»
«Ti conosco, lo so, e ti ho accettato per quello che sei. Solo che mi chiedo una cosa, sono sei anni che stiamo insieme, non avresti voglia di cambiare un po’ la nostra vita?»
«Cosa c’è che non va nella nostra vita? Spesso siamo di corsa, ma i nostri momenti ce li ritagliamo sempre...»
«Si, hai ragione. Non c’è niente da cambiare...» disse Nate, poggiando nuovamente lo sguardo sulla televisione.
Laura rimase a guardare il marito senza capire quale fosse realmente il problema; decise però di non fare altre domande, conosceva Nate e sapeva che non le avrebbe risposto. Prese il piatto della cena tra le mani e si mise a mangiare, guardando insieme al marito la serie tv che stava passando in quel momento sullo schermo.





 

Salve a tutte! 
Awww io non so davvero più cosa dire, tutte le volte mi riempite di complimenti, io vi amo, non posso aggiungere altro. Divento monotona a ringraziarvi sempre, ma che ci posso fare? 
Ok, io spero che il capitolo vi piaccia. L'avevo scritto nei giorni passati, oggi l'ho ricontrollato, però non connetto molto, visto che la notte scorsa ho dormito malissimo (forse non si può nemmeno dire che ho dormito! Ma a voi cosa interessa? Credo nulla!) quindi potrei aver lasciato per strada qualche errore. Se ci sono vi prego perdonate una poveretta che crolla e che probabilmente andrà a letto molto presto, tipo nonnina.
Ok, mi dileguo. 
Alla prossima. 
Mon.

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Laura era seduta in cucina, il computer davanti e una tazza di the vicino. Era tornata a casa dall’ufficio distrutta, aveva corso tutto il giorno e non era riuscita a sistemare l’intervista che aveva fatto ai Mumford & Sons due giorni prima. 
Aveva messo piede in casa e Nate le aveva fatto trovare la cena pronta; erano stati tutta la sera a coccolarsi, poi erano andati a letto. Laura si era svegliata di colpo alle quattro di notte con un pensiero che la tormentava: consegnare l’intervista al capo il prima possibile. Aveva provato a riaddormentarsi, ma era stato impossibile, così era scesa in cucina, aveva acceso il computer, si era preparata una bevanda calda e si era messa a lavorare.
Troppo concentrata non aveva sentito Nate scendere le scale. «Amore, cosa ci fai sveglia a quest’ora, davanti al computer?» chiese il marito, assonnato, strofinandosi gli occhi.
«Non riuscivo a dormire...»
Nate andò a sedersi al suo fianco. «Cosa stai facendo?»
«Se te lo dico ti arrabbi...»
Il ragazzo guardò Laura. «Non dirmi che stai lavorando!»
La moglie non rispose, così Nate sgranò gli occhi. «No Laura, non ci credo! Veramente stai lavorando?»
Lei annuì, tenendo gli occhi bassi. «Ti prego amore, staccati da quel computer, lascia perdere per una volta e vieni a dormire!»
«Se non finisco l’articolo sono sicura che non riuscirò a riaddormentarmi. Devo consegnarlo al capo il prima possibile...»
Nate sbuffò e si alzò dalla sedia. «Te l’ho già detto, a volte sembra più importante il tuo lavoro di qualsiasi altra cosa, compreso più importante di me!»
Laura si alzò in piedi e si avvicinò a Nate. «Lo sai che non è vero. Lo sai che tu sei la cosa più importante che ho, più importante di tutto e di tutti. È un brutto momento al lavoro, tutto qua...»
«Non è vero Laura, non è un brutto momento. È sempre stato così, ma non so se sono più disposto a tollerare che le cose vadano sempre in questa maniera..»
La ragazza sgranò gli occhi. «Cosa vorresti dire?»
«Voglio semplicemente dirti che vorrei passare più tempo con te, non doverti vedere sempre di sfuggita. Mi manchi quando sono in tour ed è normale, ma non mi puoi mancare anche quando sono a casa, la nostra casa...»
Laura rimase in silenzio, sguardo basso.
«Va bene, io torno a dormire, tu fai come vuoi...»
La ragazza alzò la testa e rimase ferma a guardare la porta della cucina, da dove Nate era appena uscito. Rimase in piedi qualche secondo, poi tornò a sedersi davanti al computer ed appoggiò la testa sul tavolo. Cominciò a chiedersi se non stesse veramente esagerando con il lavoro, ma poi si disse che era una cosa che aveva sempre fatto e Nate non si era mai lamentato di questo. Era lui ad esagerare, fino a quel momento le cose erano andate bene e adesso il suo lavoro sembrava diventato un problema. Laura non aveva nessuna intenzione di cambiare, non voleva rinunciare ad una delle cose che più amava fare: scrivere di musica.
Nate avrebbe dovuto farsene una ragione; lei non avrebbe lasciato il suo lavoro.

***

La sveglia sul comodino di Laura suonò; lei cercò di fare il meno rumore possibile per non svegliare Nate. Lo sentì rigirarsi nel letto, ma lui non le disse nulla, continuò a dormire, o, come Laura sospettava, a fare finta di dormire.
Prese le sue cose e andò in bagno a prepararsi. Era stanca, ma pronta per un’altra giornata di lavoro. Uscì di casa senza dire niente al marito, prese la sua macchina e si diresse verso l’ufficio. Nel tragitto non poteva di certo mancare la sosta alla sua caffetteria preferita, era una cliente abituale visto che tutte le mattine da ormai dieci anni si fermava per prendere il suo caffè latte e il suo muffin. Pagò, salutò i commessi e poi si diresse in ufficio dove, appena Thomas la vide, le andò in contro.
«Laura, sei ancora arrabbiata con me? Perché a me non piace quando mi tieni il muso...»
«Thomas, non sono arrabbiata, però ieri avresti potuto darmi una mano. Tu sai quanto è difficile per me e Nate stare insieme. Una volta che siamo a casa entrambi, mi piacerebbe passare del tempo con lui. Avresti potuto insistere con il capo, dire che io non potevo, inventarti qualcosa. Nate adesso è arrabbiato con me e non ha tutti i torti...»
«Scusate, vi ho fatto litigare...»
«Non ci hai fatto litigare tu, ma la situazione di ieri. Solo potevi darmi una mano, tutto qui...»
«La prossima volta lo farò!»
Laura sorrise amaramente e si allontanò. «Sperando che non ci sia una prossima volta...» sussurrò, andandosi a sedere alla sua scrivania e accendendo il computer.




Olè! Eccomi qui con un nuovo capitolo. Era pronto da ieri, ma ho avuto tempo di stare al pc molto solo adesso e quindi ve lo posto. Ieri sera sono stata al concerto dei Tre Allegri Ragazzi Morti, non credo che li conoscano in molti, in ogni caso se voleste sentirli sono un gruppo che merita, almeno a mio modestissimo parere, il che conta poco davvero, ma tutta questa solfa non c'entra nulla, torno a parlare di cose che interessano a tutti. Oggi ho girato come una trottola, direi che sono distrutta, ma il tempo per voi e per pubblicare il capitolo lo volevo trovare. Detto ciò, saluto tutti, vi ringrazio, e vado a svaccarmi sul divano con Mtv Rocks in sottofondo (che tra l'altro adesso sta passando i Biffy Clyro, gran gruppo, ma anche questo c'entra nulla) e un libro. 
Alla prossima. 
Mon.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Laura si rigirò nel letto e capì immediatamente che c’era qualcosa di strano. Allungò una mano senza aprire gli occhi e constatò che Nate non era a dormire al suo fianco. Si tirò a sedere sul letto, passandosi una mano tra i capelli e sbadigliando, poi prese il cellulare poggiato sul suo comodino e guardò l’ora. Erano quasi le tre di notte. 
Scese le scale e vide che dal salotto usciva una luce fioca; si affacciò. Nate era seduto sul divano, gambe vicino al petto, un foglio e una matita in mano, la scena era illuminata da due semplici candele. Al loro fianco un bicchiere mezzo pieno di qualcosa che poteva somigliare a whiskey. Laura entrò nella sala, cercando di fare il più piano possibile e di non farsi sentire da Nate e quando gli arrivò vicino gli mise le braccia attorno al collo, dandogli un bacio sulla guancia. Lasciò poi scivolare le mani lungo il petto di Nate e gli sussurrò all’orecchio: «Cosa fai sveglio a quest’ora?»
«Mi sono svegliato per andare in bagno e poi non sono più riuscito a dormire. Tu invece?»
«Mi sono svegliata perché non eri al mio fianco...»
Il ragazzo girò il viso verso quello di Laura e le fissò le labbra per poi avvicinarsi e baciarle. Si allontanò dalla moglie solo per appoggiare il foglio e la matita che aveva tra le mani sul tavolino, mentre Laura si accomodava sul divano insieme a lui e prendeva il bicchiere di whiskey tra le mani per berne un sorso. Ingoiò strizzando gli occhi e Nate sorrise. «Non ti è mai piaciuto il whiskey, inutile che provi a fare la coraggiosa!»
«Speravo di aver cambiato gusti, invece anche stavolta continuo a trovarlo disgustoso...»
Il ragazzo prese il bicchiere dalle mani di Laura e lo appoggiò nuovamente sul tavolino poi tornò a guardare la moglie negli occhi. I due si fissarono qualche secondo finché non fu la ragazza a prendere l’iniziativa; appoggiò le mani sul petto di Nate e lo fece sdraiare sul divano, poi si mise a cavalcioni sopra di lui. Il ragazzo sorrise. «Amore, sono le tre di notte. Domani mattina tu devi andare a lavorare...»
Laura si chinò verso di lui. «Andrò al lavoro stanca, ma almeno sarò contenta...» disse, sussurrando all’orecchio del marito, dandogli poi un piccolo morso sul lobo. Nate inarcò leggermente la testa poi prese il viso di Laura tra le mani e lo tirò verso il suo. Baciò la moglie che poi si tolse velocemente la maglia a maniche corte che indossava, era una vecchia maglietta di Nate con sopra stampato Topolino. Lo stesso fece lui e Laura cominciò a dare teneri baci sul petto di Nate, per poi scendere fino all’attaccatura dei suoi pantaloncini. Glieli sfilò, risalendo poi verso il viso del marito. Lui la baciò nuovamente, poi la prese per i fianchi e la fece girare, con la schiena poggiata al divano. Stavolta fu lui a sfilare i pantaloni del pigiama a Laura. Nate la guardò negli occhi, lei mise le mani tra i capelli di lui, che reclinò leggermente la testa chiudendo gli occhi. Fecero l’amore; la prima volta sul divano, poi salirono in camera dove continuarono il lavoro che avevano interrotto al piano di sotto.

***

Laura arrivò in ufficio il mattino seguente con il suo bicchiere di caffè latte tra le mani; ne sorseggiò un po’ prima di poggiarlo sulla scrivania e sedersi. Sbadigliò e si passò le mani sul viso proprio mentre arrivava Thomas.
«Buongiorno Laura!»
Lei lo salutò con un cenno del capo e poi, debolmente, pronunciò la parola buongiorno. Thomas si chinò verso la sua scrivania, aprì il bicchiere e guardò il contenuto, poi guardò l’amica. «Non ti fa effetto nemmeno il caffè latte oggi?»
«Ce ne vorrebbero come minimo tre!»
«Però, complimenti! Cosa hai combinato per essere così?»
Laura guardò Thomas, alzando un sopracciglio. «Ho dormito poco stanotte, mi sono svegliata alle tre e dopo è stato un po’ complicato rimettersi a dormire...»
«Come mai?»
«Era sveglio anche Nate...»
Thomas si portò una mano davanti alla bocca. «Scusami, non avevo capito. Vi siete divertiti, insomma!»
«Sai, è cosa usuale tra marito e moglie, almeno ogni tanto! Però adesso ne pago le conseguenze...»
«Non hai più il fisico di una volta Laura! Stai invecchiando!»
L’amica guardò Thomas con lo sguardo torvo. «Non sei simpatico!» disse.
Il ragazzo ridacchiò e cominciò a lavorare, aprendo subito la posta elettronica; lo stesso fece Laura, per controllare se c’era qualche novità nel mondo della musica, se qualche casa discografica richiedeva interviste per gli artisti che avevano l’uscita imminente dell’album o per qualche evento natalizio.
Laura e Thomas erano concentrati sul loro lavoro, quando il ragazzo si interruppe, si girò verso l’amica e disse: «Vieni con me alla festa di Natale della rivista, vero?»
Laura si girò verso di lui e rispose: «Con chi ci vado secondo te? Mio marito non si degna minimamente di venire ad una festa dove ci sono un sacco di giornalisti che sicuramente vorranno fargli domande...»
«Lo sa che non è vero?»
«Sai quante volte gliel’ho detto in tutti questi anni? Pensa che io dica bugie perché, “in fondo anche tu fai parte di quella categoria e si sa che i giornalisti dicono bugie”! Queste sono le parole che ogni volta mi sento ripetere da Nate!»
Thomas rise. «Certo che andate molto d’accordo!»
«Come possiamo andare d’accordo su questo? Siamo due categorie opposte. Lui è il cantante, io sono la giornalista rompiscatole che vuole sapere sempre tutto!»
«Bella famiglia!» ribatté Thomas.
«Malgrado tutto ancora penso di si...»
«Malgrado tutto? Cosa vuoi dire?»
«Niente Thomas. Solo qualche incomprensione, penso che risolveremo...»





Ariecchime qui!!
Allora, che dirvi? Ah si. Mi sono fatta attendere un po', ma in questi giorni mi sono portata avanti con i capitoli, ho scritto qualcosa. Badate bene all'ultima frase che ho scritto in questo capitolo qui, perché... 
Non aggiungo altro, suspance, sorpresa!! (Sono cattiva, vero?)
Va beh, non mi dilungo troppo. Vado a guardare se in tv passano qualcosa di interessante, anche se ne dubito seriamente. 
Al prossimo capitolo.
Mon.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


Laura tornò a casa esausta, aprì la porta e vide la luce uscire dal salotto. Si affacciò e trovò Nate seduto alla grande tavola, vicino alla finestra, con un foglio davanti e una penna tra le mani. Sorrise al marito e gli andò vicino; Nate la tirò a sé e le diede un bacio veloce. 
«Bentornata!»
«Grazie, sono esausta! Anche oggi abbiamo corso come dei pazzi!»
«Io te lo sto dicendo da un po’ che dovresti prenderti una pausa, una lunga pausa, anche per stare un po’ di più con me...»
Laura si allontanò dal marito. «Nate, non tirare fuori ancora questa storia. È sempre andato tutto bene, perché adesso stai cominciando a fare questi strani discorsi?»
Il ragazzo alzò le spalle. «Niente Laura, niente...» disse, alzandosi dalla sedia sulla quale era seduto e prendendo con lui il foglio di carta sulla quale sicuramente stava scrivendo le parole di una canzone. Laura lo guardò uscire dal salotto, rimanendo immobile. Non riusciva a capire quale fosse realmente il problema, eppure qualcosa doveva esserci. Da quando Nate era tornato dal tour aveva cominciato a fare quegli strani discorsi, senza mai però spiegare precisamente cosa lo tormentasse. Laura aveva capito benissimo che qualcosa non andava, ma aspettava che fosse lui a parlarle e a spiegarle ciò che realmente provava; lei credeva di essere nel giusto, fino a quel momento la loro storia aveva funzionato, anche se Laura continuava a fare  il suo lavoro e Nate il proprio. La ragazza continuava a ripetersi che non avrebbe rinunciato al suo sogno solo per un capriccio di Nate; si erano giurati amore eterno consapevoli di quello che li avrebbe aspettati. Non poteva cambiare tutto adesso.
Seguì il marito in cucina e si fermò poco lontano dalla tavola. Nate si girò verso di lei, sentendola arrivare e la guardò. «Quando c’è la festa di Natale della rivista?»
Laura aggrottò la fronte, non era certo quella la domanda che voleva sentirsi rivolgere. Rispose: «Venerdì prossimo...»
«E con chi ci andrai?»
«Come tutti gli anni, con Thomas. Tu non vuoi mai venire...»
«Potevi chiedermelo. Stavolta avrei detto di si...»
Laura spalancò gli occhi. «Nate, io cosa ne sapevo? Sono sei anni che ti conosco e sei anni che mi rispondi sempre di no quando ti chiedo di venire con me a qualche evento della mia rivista. Come potevo anche solo lontanamente pensare che mi avresti detto di si?»
«Bastava chiedere...»
Laura sbuffò. «Non te l’ho chiesto perché ero sicura che mi avresti risposto ancora no, per l’ennesima volta. Non ho la sfera di cristallo per indovinare che tu stavolta hai voglia di venire con me. Posso sempre dire con Thomas che tu hai cambiato idea...»
«No, no. Tranquilla. Vai pure con lui. Io starò a casa ad aspettare che tu torni!» rispose Nate, passando al fianco di Laura e sfiorandole un braccio. La ragazza si girò, guardando il marito uscire dalla cucina. Girò poi lo sguardo sul suo piatto di insalata, era la sua cena. Lo fissò e poi anche lei uscì dalla stanza. Le era passata la fame.

***

Laura era andata a dormire dopo Nate; quando si era infilata nel letto il marito già stava dormendo o, almeno, faceva finta di dormire. La ragazza aveva preso il libro che era sopra il suo comodino, aveva letto qualche pagina e poi aveva spento la luce, addormentandosi praticamente subito. Era esausta.
Non seppe l’ora in cui venne svegliata da Nate; si rigirò nel letto, guardando il marito e chiedendogli di ripetere quello che aveva appena detto. Lui non rispose. Si tirò a sedere sul letto, pronta per accendere la luce e vedere se qualcosa non andava, ma fortunatamente non fece in tempo. Se avesse acceso quella luce, Nate si sarebbe svegliato e lei non avrebbe mai saputo ciò che realmente il marito pensava. Probabilmente stava sognando.
«Perché ho capito che tu non mi ami più come mi amavi una volta. Ami molto di più il tuo lavoro, è più importante di tutto, anche di me...»
Laura rimase immobile, in silenzio, quasi senza respirare. Non poteva davvero credere alle parole che aveva appena sentito. Quello però era nulla rispetto a quello che le sue orecchie udirono qualche istante dopo. «A volte penso che non sia solo questione di lavoro. A volte penso che tu mi tradisca con Thomas...»
Gli occhi di Laura si velarono di lacrime. Nate non si fidava più di lei; ecco qual era realmente il problema che il marito le aveva tenuto nascosto fino a quel momento. La ragazza non poté fare a meno di pensare alla canzone che Nate aveva cantato insieme a Pink qualche anno prima. 

Now you’ve been talking in your sleeps
Things you never say to me


Sembrava quasi una canzone premonitrice.
Rimase ferma, immobile, fissando il buio della stanza, a pensare. Se tutti i dubbi di suo marito derivavano dal fatto che lei non volesse abbandonare il suo lavoro, forse era arrivato il momento di mettere in chiaro le cose; e se Nate non avesse accettato la sua decisione, forse era davvero arrivato il momento di ripensare molto della loro storia. Laura non voleva abbandonare il suo lavoro; fino a quel momento Nate lo aveva accettato. Se adesso non aveva più intenzione di farlo era lui a venire meno alla promessa che si erano fatti, prima quando avevano deciso di cominciare la loro storia e poi quando si erano giurati amore eterno davanti ad un altare.




BOOOOM! 
E adesso? Adesso diventa tutto un grande, grandissimo problema! Come sistemeranno questo pastrocchio i nostri eroi? 
Ok, niente, inutile svelare altro. Il capitolo è giusto che finisca così. Voi dovrete soffrire un po' prima di scoprire cosa succederà. 
Non aggiungo altro, mi dileguo e vado a riposarmi. Tomorrow will be a looooong day (perché scrivo in inglese??)! Babysitteraggio alla cuginetta! Ma a voi cosa interessa?
Vi saluto, smetto di sclerare.
Al prossimo capitolo.
Mon.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Laura si svegliò la mattina seguente con un forte dolore alla testa; era riuscita a dormire solo un paio d’ore dopo che aveva udito le parole di Nate. Si alzò dal letto e scese in cucina. Erano circa le 8.30. Alle 9 avrebbe dovuto essere al lavoro, ma durante la sua notte insonne aveva preso una decisione. Doveva parlare con Nate e non poteva aspettare. 
Una volta scesa in cucina, compose il numero di Thomas sul suo cellulare poi si portò il telefono vicino all’orecchio. Attese qualche secondo poi, dopo tre squilli, la voce dell’amico si fece sentire dall’altra parte.
«Laura, come mai mi chiami a quest’ora? Va tutto bene?»
«Tom, scusami davvero. Volevo solo dirti che oggi non vengo al lavoro, puoi riferirlo al capo?»
«Certo. Ma stai poco bene?»
«Più o meno...»
Ci fu un attimo di silenzio dall’altra parte della cornetta poi la voce di Thomas tornò a farsi sentire. «Cosa succede Laura? Hai una strana voce...»
«È una lunga storia, riguarda me e Nate, non ho voglia di raccontartela al telefono...»
«Dimmi solo se va tutto bene...»
«Non lo so...» rispose la ragazza, abbassando lo sguardo.
I due si salutarono, poi Laura decise di prepararsi la colazione. Non aveva molta fame, ma quello era un modo per tenersi occupata fino a che Nate non si sarebbe svegliato. Preparò la sua solita colazione, che consisteva in una tazza di caffè latte dove dentro ci avrebbe fatto annegare i cereali, e poi si mise seduta al tavolo, mescolando distrattamente il contenuto. Non aveva fame, ma si sforzò di mangiare qualcosa, era a digiuno dal pranzo del giorno precedente. Fissò il contenuto della tazza più e più volte, sempre con la guancia appoggiata sul palmo della mano. Si spostò da quella posizione solo quando sentì la voce di Nate salutarla.
Laura alzò gli occhi per guardare il marito, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu distogliere lo sguardo e deglutire. Non riusciva a guardarlo.
«Cosa ci fai a casa a quest’ora?» chiese Nate, guardando l’orologio appeso al muro.
Laura respirò profondamente e alzò nuovamente lo sguardo. «Non sono andata al lavoro. Nate, io e te dobbiamo parlare...»
Il ragazzo spalancò gli occhi e si avvicinò al tavolo, appoggiando le mani allo schienale della sedia. «Quale sarebbe il motivo?»
«Me lo devi spiegare tu...»
Nate spostò la sedia e si mise a sedere, mettendosi esattamente di fronte alla moglie. «Che cosa ti devo spiegare?»
«Le parole che hai detto stanotte mentre dormivi e che io ho sentito benissimo. Me le ricordo praticamente a memoria. “Perché ho capito che tu non mi ami più come mi amavi una volta. Ami molto di più il tuo lavoro, è più importante di tutto, anche di me...” e poi hai aggiunto “A volte penso che non sia solo questione di lavoro. A volte penso che tu mi tradisca con Thomas...”. Le pensi davvero queste cose?» chiese, con una punta di preoccupazione nella voce, Laura.
Nate abbassò lo sguardo e non rispose. Laura rimase a fissarlo, ma quando si accorse che la risposta non sarebbe arrivata, sbatté una mano sul tavolo. Il ragazzo alzò la testa e guardò la moglie. «Dimmi se le pensi davvero queste cose!»
Laura si sentì mancare nel momento in cui Nate annuì con la testa. Appoggiò la schiena alla sedia, lasciando cadere le braccia inermi lungo il corpo, respirò profondamente, gli occhi le si velarono di lacrime. «Come puoi pensare una cosa del genere?» disse, dopo un po’, con un filo di voce. «Non ti fidi più di me...» continuò.
«Non è vero...» provò a protestare Nate.
A quel punto Laura sbottò. «Dove trovi il coraggio di dire che non è vero?» disse, alzandosi in piedi e sbattendo le mani sul tavolo. La fede che portava al dito sbatté forte sulla superficie, Nate la fissò, Laura sembrò non farci caso. Continuò: «Se pensi che io ti abbia tradito con Thomas è chiaro che non ti fidi di me. Eppure dovrei essere io quella che non si fida, sei sempre in giro, chissà quante belle ragazze ti ronzano intorno, eppure io non ho mai detto niente, perché io mi sono sempre fidata di te. Pensavo che la cosa fosse ricambiata, ma, a quanto pare, mi sbagliavo...»
Anche Nate si alzò in piedi e guardò negli occhi Laura. «Sai qual è il nostro problema Laura? Semplicemente sono io. Sognavo una storia come quella dei miei genitori, che hanno passato tutta una vita insieme, nelle gioie e nelle difficoltà. Loro si amavano e si amano ancora come il primo giorno, e speravo di aver trovato in te la persona con cui condividere il resto della mia vita. Io ti amo come mio padre ama mia madre, ma forse tu non ricambi allo stesso modo...»
Le lacrime cominciarono a bagnare il viso di Laura, che abbassò lo sguardo. «Non è vero, non è vero niente Nate. Io ti amo...»
«E allora perché non me lo stai dimostrando? Ti chiedo di stare a casa e tu scappi al lavoro anche quando sei in ferie, torni a casa tardi, non hai più tempo per stare con me...»
«Non è vero, è sempre stato così!»
«Non ti è passato per la mente che vorrei di più?»
«Di più cosa?»
Nate sorrise amaramente. «Se non lo capisci da sola forse è il caso che io me ne vada a stare per un po’ dai miei...»
Laura spalancò gli occhi e rincorse Nate che usciva dalla porta di cucina. Lo trattenne per un braccio e lui si girò, guardandola. I suoi occhi verdi erano tristi. «Stai parlando sul serio?»
«Si, non è uno scherzo...» rispose il ragazzo, divincolandosi dalla presa di Laura e allontanandosi su per le scale, lasciando la ragazza in lacrime.




E ancora BOOOOM!! 
E adesso sono davvero problemi, problemi grossi. Ditemi la verità, ve lo aspettavate?
Scusate se vi ho fatto aspettare, ho avuto giornate parecchie impegnative, anche i prossimi saranno complicati, almeno fino a sabato. Quindi non vi aspettate il seguito troppo presto. Comunque vi ringrazio, come sempre, per le recensioni che mi lasciate, mi piace troppo leggerle. Grazie, grazie, grazie.
Va bene, smetto di parlare a casaccio, torno a guardare la tv, anche se non c'è niente. Che dite? Forse è meglio leggere un libro eh?
Alla prossima. 
Mon.

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


Laura parcheggiò la macchina nel cortile di casa; scese e cercò le chiavi nella sua borsa. Quando le trovò le inserì nella serratura e aprì la porta. La casa era buia e silenziosa; era una cosa a cui Laura era abituata, era successo spesso in passato, tutte le volte in cui Nate era in tour, lei tornava a casa e non trovava nessuno. Quel silenzio però aveva un significato diverso; non era il solito, il silenzio dell’attesa del ritorno di Nate, era un silenzio triste, un silenzio che le ricordava che tra lei e suo marito non era un momento felice.
Nate era andato via di casa una settimana prima e, da quando lui si era richiuso la porta alle spalle senza nemmeno salutarla, non si erano ancora sentiti. Lei non lo aveva chiamato, convinta che fosse lui a doverlo fare, visto come si era comportato, visto quello che pensava. Nate, però, non aveva preso in mano il cellulare e non aveva composto il numero di Laura.
La ragazza si diresse in salotto e si lasciò cadere sul divano, affondando la faccia nel cuscino. Appoggiò la borsa a terra, vicino a lei, e rimase ferma per qualche minuto. Odiava quel silenzio, così famigliare, ma così diverso da tutti gli altri. Si mise con la pancia all’aria e girò la testa verso il televisore spento. Questo si trovava vicino ad uno scaffale dove Laura aveva messo tutte le foto più importanti della sua vita. C’era una foto di lei insieme a Nate, Andrew e Jack, un’altra ritraeva lei e suo marito con il loro nipotino appena nato, ma quella su cui Laura appoggiò gli occhi e si soffermò era quella del loro matrimonio. Si erano sposati nella chiesa di St. James, a San Francisco, in una soleggiata mattina di maggio di due anni prima. Laura indossava un lungo vestito bianco di seta, stretto in vita e con una rosa rossa a tenere fermo il corpetto, che poi si allargava, formando una coda, né troppo lunga né troppo corta. I capelli della ragazza erano sciolti, con i boccoli che le scendevano morbidi sulle spalle. Nate, invece, indossava un semplice smoking nero, camicia bianca e una cravatta nera. Nel taschino aveva un fazzoletto rosso a richiamare la rosa che Laura aveva sul vestito. La foto che la ragazza stava guardando, li ritraeva dopo la cerimonia, quando i fotografi avevano detto loro di seguirli per le foto di rito. Erano su un promontorio, con il Golden Gate Bridge alle spalle; Nate cingeva la vita di Laura, che teneva strette le mani di lui. Entrambi sorridevano, felici. La ragazza rimase a fissare quella foto con gli occhi che le si velavano di lacrime; si chiese cosa fosse successo per far si che una storia d’amore bella, anche se un po’ complicata, si fosse ridotta come un palazzo a cui erano state minate le fondamenta. Bisognava intervenire al più presto per evitare il definitivo crollo, ma Laura non sapeva da dove cominciare e Nate non stava facendo niente per provare a salvare quel disastro.

***

Nate era seduto sulla soglia di casa dei suoi genitori e guardava il vialetto davanti a sé; era tanto che non lo faceva, ma da una settimana a quella parte aveva ripreso a fumare. Non gli succedeva da quando lui e Laura avevano deciso di fare sul serio. Non ne aveva più sentito il bisogno, almeno fino a quel momento. Adesso sua moglie era lontana, in tutti i sensi. Lui era nella casa dove era cresciuto, in Arizona, Laura era a San Francisco, in California; purtroppo, però, non era solo una lontananza fisica, a quella era abituato, era una distanza diversa. Sentiva Laura lontana, non erano più quelli di una volta; non erano più i due ragazzi che avevano deciso di superare tutte le difficoltà di una vita come la loro, sempre di corsa, e avevano fatto di tutto per far funzionare la loro storia. Qualcosa si era rotto e Nate sapeva tutto questo da dove derivava. Era solo un suo problema, o forse lo era anche di Laura, ma lei sembrava non capirlo.
Il ragazzo fece un tiro dalla sigaretta e buttò fuori il fumo esattamente nel momento in cui una macchina si fermava davanti a casa. Nate guardò attentamente e vide la sorella scendere dall’auto. Lei si incamminò nel vialetto, armeggiando nella borsa, e, quando alzò gli occhi, sul suo viso si dipinse un’espressione sorpresa.
«Nate, cosa ci fai qui?»
«Ciao Libby, come stai?» disse, alzandosi e dando un bacio alla sorella.
«Io bene, tu? Sei a casa, stai fumando, cosa mi sono persa?»
Nate non rispose, sedendosi nuovamente sui gradini davanti a casa. La sorella fece altrettanto, accomodandosi al suo fianco. Lo guardò, fissandolo, mentre lui continuava a rimirare un punto indefinito davanti a sé, con la sigaretta stretta tra le labbra.
«Nate, mi rispondi?» insistette Libby.
«Ho qualche problema con Laura...»
«Che tipo di problema?»
«Non mi va di parlarne...»
Libby sospirò. «Come al solito tieni tutto per te. Forse se ne parlassi, qualcuno potrebbe darti un consiglio, non pensi?»
Nate scosse la testa. «È una questione che dobbiamo risolvere io e Laura...»
«Mi sembra che tu non lo stia facendo, visto che sei qui...»
«Ho bisogno di starle un po’ lontano...»
«Nate, ti prego, non buttare all’aria la storia con Laura. Non commettere gli stessi errori che hai commesso in passato. Lei è quella giusta, ne sono sempre stata sicura, fin dal primo momento in cui l’ho vista!»
«Anche io ne ero convinto, adesso non l’ho so più...»
«Perché?»
Nate si alzò, gettò la sigaretta per terra e la spense, schiacciandola. «Avevi bisogno di mamma e papà? Vieni, sono in casa...» disse, girando la manopola della porta di casa e aprendola. 




Salve a tutti! 
Nuovo capitolo, triste vero? Purtroppo non si poteva evitare. 
Sulla storia non ho altro da aggiungere, anzi, scappo perché ho lo streaming di Sherlock che mi aspetta. Lo so, lo so, per chi lo guarda sono arrivata tardi, ma io faccio sempre così, mai che riesca a guardare una cosa appena esce. Me ne innamoro sempre dopo. E così è stato per Sherlock. Va beh, basta perdere tempo. La seconda stagione mi aspetta. 
Alla prossima, e come sempre, grazie per seguire i miei scleri.
Mon. 

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


Domenica mattina, erano quasi le 10.30 e Laura ancora non si era alzata. Si era svegliata un’ora prima, ma non aveva voglia di mettere i piedi giù dal letto, farlo avrebbe significato cominciare la giornata, l’ennesima in quella casa vuota, senza Nate. 
Si era rigirata per un po’ nel letto, senza voglia di fare nulla, poi aveva allungato il braccio verso il comodino e aveva preso il nuovo numero della sua rivista. Voleva leggere quello che i suoi colleghi avevano scritto quel mese, così cominciò a sfogliare il giornale. Arrivò alla pagina del suo articolo e guardò le foto del concerto dei Mumford & Sons; quel gruppo le piaceva tantissimo, amava l’armonia che si creava tra i loro strumenti, rendendo ogni canzone diversa e speciale. Rilesse l’articolo e, una volta arrivata in fondo, fissò il suo nome: Laura Ruess. Infatti, dopo essersi sposata con Nate, lei aveva deciso di cambiare il suo cognome e prendere quello di suo marito e così era arrivata anche a cambiarlo sul giornale, quando firmava gli articoli. Era stato un gesto quasi naturale; ormai abituata a firmare tutti i documenti usando sempre il cognome di Nate, aveva scritto un articolo e la firma in fondo le era uscita naturale. L’aveva fissata qualche secondo, aveva sorriso e aveva deciso di lasciarla così, consegnando l’articolo al capo senza correggere niente.
Rimase a fissare il suo nome ancora un po’ poi decise di girare pagina nel momento in cui i suoi occhi si velarono di lacrime. Non aveva ancora sentito Nate, nessuno dei due aveva fatto il primo passo per provare a risolvere quella situazione. Laura era troppo orgogliosa, sentiva di essere dalla parte della ragione e non aveva intenzione di chiamare suo marito, Nate, dal canto suo, sembrava pensare la stessa cosa perché non aveva ancora alzato il telefono per provare a chiamarla.
Girò la testa e fissò il suo cellulare sul comodino, pensando che senza parlarsi non avrebbero risolto niente. Nonostante questo pensiero, decise di non telefonare e ricominciò a leggere la rivista. Decise di non guardare l’ora, non aveva fame e nemmeno voglia di uscire da quel luogo caldo e confortevole. Alzò gli occhi dalle pagine del giornale solo nel momento in cui sentì dei movimenti al piano di sotto; rimase in ascolto, poi si mise a sedere sul letto quando sentì i passi salire su per la scala. Si stava per alzare quando sentì una voce che riconosceva benissimo. «Laura sei qui?» Era Nate.
La ragazza rimase per qualche secondo incredula, poi quando vide il marito varcare la soglia della stanza, si slanciò verso di lui, gettandogli le braccia al collo.
«Nate! Cosa ci fai qui?»
Lui la allontanò da sé. «Avevo bisogno di prendere alcune cose...»
Laura ci rimase male. Si allontanò dal ragazzo e lo guardò aprire l’armadio e frugarci dentro, un gesto che gli aveva visto fare tante volte. Nate non disse nulla e la ragazza continuò a fissarlo, poi decise di provare a rompere il silenzio che si era venuto a creare tra i due.
«Hai voglia di parlare?» chiese, titubante, sedendosi sul letto.
«No...»
Nate con quella risposta non l’aveva aiutata. Provò a insistere. «Nate, se non mi provi a spiegare dov’è il problema, come faccio a capirlo da sola?»
Il ragazzo si girò verso di lei e la guardò. Si avvicinò leggermente e disse: «Non te lo spiego perché dovresti capirlo da sola...»
«Tesoro, io non ci arrivo. Se tu non mi parli io non posso indovinarlo. Non ho la sfera di cristallo!»
Nate la fissò con i suoi occhi verdi e un’espressione fredda che non gli aveva mai visto in viso.
«Non c’è bisogno di avere la sfera di cristallo per capire cosa voglio. Se non lo capisci vuol dire che non siamo sulla stessa lunghezza d’onda...»
Laura sbottò, alzandosi in piedi e andando verso il marito. Si mise davanti a lui e, urlando, disse: «Io non so cosa tu stia cercando di dirmi, ma se la storia è solo quella del lavoro e di Thomas stai facendo un errore, un grosso errore!»
«Non è solo quello, te l’ho già detto!»
«Senti, fai come ti pare! Se tu non mi vuoi dire cosa c’è che non va, la colpa non è mia!»
«È soprattutto tua, invece!»
A Laura si velarono gli occhi di lacrime. «Io non so di cosa tu mi stia accusando precisamente, dimmelo ti prego!»
Il ragazzo non rispose più; Laura rimase ferma, guardandolo, mentre prendeva le sue cose e le infilava nello zaino che si era portato con sé. Lo vide uscire dalla porta della stanza e così decise di rincorrerlo. Provò un’ultima volta, vicino alla porta d’ingresso, prima che Nate uscisse.
«Nate, ti prego...»
«Laura, pensaci. Non è difficile. Io torno dai miei. Ho come l’impressione che le feste di Natale quest’anno le faremo divisi...»





Salve!!
Bene, eccovi il nuovo capitolo. Grazie per tutte le recensioni che mi lasciate sempre, vi ho già detto che vi adoro?
Non ho molto altro da aggiungere, oggi non sono dell'umore giusto per fare uno dei miei soliti monologhi (inutili, tra l'altro!). Ho l'umore sotto i tacchi e non capisco perché. Spero che sia solo perché deve cambiare il tempo e io sono una TERRIBILMENTE meteoropatica! 
Al prossimo capitolo.
Mon. 

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


Era la vigilia di Natale; per la prima volta dopo sei anni Laura e Nate passavano le feste divisi. Lei era a casa dei suo genitori, Nate era nella sua casa in Arizona, con sua madre e suo padre, stavano aspettando la sorella che sarebbe arrivata di lì a poco, insieme con il loro nipotino. 
Il ragazzo scese in salotto dal piano di sopra dove era situata la sua stanza e dove ormai dormiva da più di due settimane. Arrivò nella sala e trovò il padre seduto sul divano, guardava la televisione; alzò gli occhi e sorrise al figlio.
«Cosa stai guardando papà?»
«Una replica della partita di basket di ieri. Portland contro Los Angeles Lakers...»
«La squadra di Laura...» disse Nate, abbassando lo sguardo.
Il padre lo fissò. «Come stai?»
«Non è certamente il mio momento migliore...» rispose, passando davanti al padre e dirigendosi in cucina.
La madre era alle prese con i fornelli. Stava preparando la teglia per infornare il tacchino e la stava riempiendo di patate e rosmarino. Nate entrò in cucina e Bess lo guardò, sorridendogli. Lui ricambiò, appoggiandosi al muro e infilando le mani in tasca dei jeans. La madre lo guardò con la coda dell’occhio, mentre continuava a farcire il fondo della teglia.
«Nate, ti conosco troppo bene. Il luogo della casa è sempre quello e anche la posizione in cui ti sei messo. Hai voglia di fare quattro chiacchiere, vero?»
Il ragazzo annuì. La madre si pulì le mani nel grembiule e poi accarezzò il viso del figlio. Nate chiuse gli occhi e respirò il buonissimo odore di rosmarino che le mani della madre emanavano. «Raccontami tutto. Sei qui per dirmi finalmente cosa sta succedendo tra te e Laura?»
Nate annuì nuovamente. «Sarebbe anche ora visto che sei qui da ormai due settimane. Ho il diritto di sapere!» scherzò Bess, mentre si dirigeva verso il frigorifero e prendeva il cartone del latte. Il ragazzo guardò la madre mentre lo apriva e mentre ne versava qualche cucchiaino nella teglia. «Così le patate si mantengono un po’ più morbide...» disse. Alzò poi lo sguardo verso il figlio. «Ma non stavamo parlando della cena della vigilia. Mi vuoi raccontare cosa succede?»
«Io e Laura abbiamo litigato...»
«Questo lo avevo immaginato anche da sola!»
Nate ridacchiò. Sua madre era una donna di spirito, sempre attiva, sempre in movimento, con la battuta sempre pronta, e che sapeva dare sempre dei consigli perfetti.
«Abbiamo litigato perché io non ce la faccio più. Entrambi abbiamo sempre saputo dall’inizio che la nostra storia sarebbe stata un po’ strana, ma ci avevamo fatto l’abitudine. Io però adesso non voglio più che sia così...»
Bess alzò di scatto la testa e guardò il figlio. «Cioè?»
«Vorrei che stesse di più con me, vorrei che fosse a casa quando ci sono anche io e non che debba sempre correre, prendere aerei, girare per l’America anche se io sono a casa...»
La madre alzò un sopracciglio. «Vorresti che lasciasse il lavoro? Nate non puoi chiederle una cosa del genere! Come ti sentiresti se lei ti chiedesse invece di smettere di fare musica? Non è la stessa cosa?»
«Mamma, non voglio chiederle di lasciare il lavoro. Solo di essere meno impegnata. Ho bisogno di qualcosa di più dalla nostra storia...»
La madre si portò una mano davanti alla bocca e quando la tolse Nate la vide sorridere. «Oddio Nate! Vuoi un figlio!»
Il ragazzo ricambiò il sorriso e annuì. «Tu l’hai capito, Laura no...»
«Non glielo hai chiesto?»
«Ho provato ad accennarglielo e lei non ha capito. È da lì che sono nati tutti i miei dubbi sulla nostra relazione. Io sono stato abbastanza esplicito, dicendole che vorrei di più, ma lei non ha capito cos’è quel di più che vorrei...»
«Fermo. Tu non glielo hai chiesto esplicitamente?»
Nate scosse la testa. La madre alzò la mano, fermandosi a mezz’aria. «Ti prenderei a schiaffi! Tu te ne sei andato di casa perché lei non ha capito che tu vuoi un bambino?»
Nate annuì. «Ma accidenti a te! Non lo potevi chiedere esplicitamente?»
«Pensavo che, se anche lei volesse un bambino da me, avrebbe capito...»
«Se non fossi già grande ti tirerei uno schiaffo, ma di quelli forti!» disse la madre, girandosi a prendere il tacchino per poi metterlo nella grande teglia e infilarlo nel forno. Mentre Bess compiva quei gesti, arrabbiata con Nate, dalla porta di cucina sbucò un bimbo, otto anni, capelli castano biondo, occhi marroni, un po’ più alto dei bambini della sua età.
«Ciao nonna! Ciao zio!» disse, andando incontro a Bess e dandole un bacio sulla guancia, poi fece lo stesso con Nate. Il bimbo si guardò poi attorno e, improvvisamente, disse: «Zio, ma la zia Laura non c’è?»
«Adesso glielo spieghi tu!» sibilò Bess, rivolta verso Nate.
Il ragazzo ignorò la madre e si chinò verso il nipote. «La zia Laura non c’è quest’anno. È con i suoi genitori...»
«E perché non sei con lei?»
«Già, perché?» disse Bess.
«Mamma, smettila!» fece, di rimando, Nate, per poi tornare a rivolgersi al nipote. «Io e la zia abbiamo avuto qualche problema ultimamente...»
«Vi lasciate?» chiese, preoccupato, il bimbo.
«No tesoro, no...» rispose Nate, alzandosi e guardando un punto nel vuoto. “Spero di no...” pensò.




Salve a tutte!
Prima di tutto scusate il ritardo, ci ho messo un po' a pubblicare perché l'ispirazione non era di casa in questi giorni. Ci ho provato, non so cosa sia venuto fuori, è uno dei capitoli su cui ho avuto più dubbi finora. L'ho letto e riletto, ma continuava a non convincermi fino in fondo, voi che ne dite?
Va beh, a questo punto vado a rintanarmi nel mio angolino e vado a guardarmi qualche nuova puntata di Doctor Who (si, sto recuperando anche quella serie tv, dopo Sherlock. Purtroppo non l'avevo mai vista prima e mi sto maledicendo per questo. È fantastica!!).
Alla prossima.
Mon.

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Capitolo 11
*** Capitolo X ***


Nate parcheggiò la sua macchina nel cortile di casa e alzò gli occhi verso le finestre; la luce era accesa sia in salotto che in cucina. Respirò profondamente e scese. Anche quella volta aveva ascoltato il consiglio di sua madre, era tornato a casa per chiedere a Laura di costruire una famiglia insieme. Ci aveva pensato bene, era l’ultima possibilità che le dava; se la risposta fosse stata negativa niente avrebbe più potuto fargli cambiare idea. 
Chiuse la macchina, prese le chiavi di casa e le infilò nella serratura della porta; le girò ed entrò. Subito vide sbucare dalla cucina il viso della moglie. Teneva uno strofinaccio tra le mani, asciugandosele. Spalancò gli occhi e corse incontro a Nate, gettandogli le braccia al collo.
«Cosa ci fai qui?» chiese, con la voce strozzata. Era contenta di rivederlo. Passare la vigilia e il giorno di Natale a casa dei suoi genitori, senza Nate era stato per lei un calvario. Avrebbe voluto averlo al suo fianco, le mancava terribilmente. Le mancava in tutto: la sua presenza in casa, dover raccogliere i vestiti che lui spesso lasciava in giro, le mancavano le discussioni, sempre uguali, proprio per quel motivo, le mancava svegliarsi con lui al suo fianco, il letto vuoto e freddo quando apriva gli occhi alla mattina era una delle sensazioni che più odiava.
«Sono venuto a parlarti Laura...» disse il ragazzo.
«Andiamo in salotto?» chiese lei, andando in cucina e appoggiando lo strofinaccio velocemente sulla tavola. Seguì il marito nell’altra stanza ed entrambi si sedettero sul divano. Si guardarono qualche secondo, senza parlare. Era successo tante volte, ma in quel momento il cuore di Laura accelerò. Era troppo tempo che non succedeva e che non si perdeva nel verde degli occhi di Nate.
«Laura, forse ho sbagliato a non spiegarti quale era il motivo della mia arrabbiatura...»
La ragazza non rispose, rimase semplicemente fissa a guardare Nate.
«Volevo che tu capissi da sola quello che io cercavo di dirti, ma è arrivato il momento che io sia chiaro. Quando ti dicevo che volevo qualcosa di più dalla nostra relazione mi riferivo solo ad una cosa...» Il ragazzo si fermò, abbassando lo sguardo sulle sue mani.
«Dimmi cosa, ti prego. Fammi capire, perché io non ce la faccio più...»
«Possibile che tu non lo abbia capito da sola?»
Laura scosse la testa. «Mi dispiace, no...»
«Allora forse non dovrei nemmeno chiedertelo. Significa che tu non vuoi la stessa cosa...»
«Ancora con questa storia? Se non mi spieghi cosa c’è che non va come posso indovinarlo?»
«Potresti, se lo volessi...»
«Nate! Dimmi cosa!» sbottò, spazientita, Laura.
Il ragazzo la fissò dritta negli occhi, prese fiato e poi, finalmente, parlò. «Laura, io voglio un bambino...»
Laura trattenne il respiro e spalancò gli occhi. Deglutì e si alzò dal divano, passandosi una mano tra i capelli. Rimase a fissare un punto sul muro, poi, dopo qualche secondo, si girò verso Nate. Il ragazzo la guardava con occhi pieni di speranza. A Laura si contorse lo stomaco, ma sapeva già qual era la sua risposta. Prese fiato e disse: «Nate, non posso, non in questo momento...»
Il ragazzo abbassò la testa, congiunse le mani e le strinse forte. Rimase in quella posizione per alcuni secondi, che, a Laura, parvero un’eternità. Quando, finalmente alzò la testa, la ragazza vide i suoi occhi velati di lacrime. Quasi sussurrando, disse: «Come non puoi?»
Laura provò ad avvicinarsi, ma non trovò il coraggio di sedersi al suo fianco; aveva intuito il suo stato d’animo. «Nate, non vedi che sono sempre impegnata con il lavoro? Come faccio a lasciare tutto adesso?»
Il ragazzo si tirò in piedi, si avvicinò a Laura e la guardò dritta negli occhi, uno sguardo freddo. La ragazza si allontanò di qualche centimetro. «Lavoro, lavoro! Sempre lavoro! Non te ne frega niente di me, non ti interessa creare una famiglia con me! Laura, mi dispiace, questa era l’ultima occasione...»
La ragazza spalancò gli occhi. «Cosa vuol dire?»
«Me lo chiedi anche? Come faccio a stare con una persona che non vuole avere un figlio? Se mi amassi, come dici, non ti interesserebbe il lavoro. Avresti risposto di si immediatamente. Anzi, l’avresti capito molto prima quello che volevo, senza bisogno che io te lo dicessi esplicitamente...»
Laura aveva gli occhi pieni di lacrime. «Nate, non ho detto che non voglio un bambino, ho semplicemente detto non adesso. Cosa credi, che io non ci abbia pensato?»
«Puoi anche averci pensato, ma non sei disposta a prenderti una pausa dal lavoro. Questo mi fa pensare che a te non interessi nulla!» disse il ragazzo, allontanandosi, verso la porta. Laura lo rincorse e lo prese per un braccio.
«Cosa volevi dire con ultima occasione?»
«Che ti ho dato l’ultima possibilità per risolvere questa situazione, tu non hai voluto. Mi dispiace, ma io ho bisogno di qualcosa di più e non sono più sicuro che tu sia la persona giusta per potermelo regalare...»
Laura si portò una mano davanti alla bocca, le lacrime le rigavano le guance. 
«Nate, non scherzare, ti prego!» disse, tra i singhiozzi.
«Non sono mai stato così serio...» disse Nate, uscendo dalla porta e chiudendosela alle spalle.
Laura rimase immobile, nell’ingresso di casa. Dopo alcuni minuti si lasciò cadere e, in ginocchio, pianse tutte le lacrime che aveva.





Salve!
Al mio 3 possono partire gli insulti verso Laura. 1... 2... e 3!!! Avanti, scatenatevi! Aspetto i vostri commenti, non deludetemi!! Pensate che io stessa, che ho creato il personaggio, ho tirato nomi a questa scema mentre scrivevo. 
È finito il primo tempo del Milan quindi ho approfittato del quarto d'ora di intervallo per pubblicare il capitolo che avevo pronto. Adesso torno sul divano. 
Alla prossima.
Mon.

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Capitolo 12
*** Capitolo XI ***


Laura entrò nel suo ufficio, trascinandosi a fatica. Si recò alla sua scrivania e si sedette, lasciandosi scivolare contro lo schienale. L’ultima volta che era stata in ufficio era una persona quasi felice, adesso non riusciva nemmeno a sorridere. Era passata una settimana da quando Nate le aveva rivelato il problema, da quando le aveva detto che tra loro non ci sarebbe stato futuro se lei non avesse accettato la possibilità di avere un figlio. 
Era passato il Capodanno e lei era rimasta chiusa in casa, da sola, a guardare la televisione, senza voglia alcuna di festeggiare, con una bottiglia di vino appoggiata sul tavolino davanti al divano e il bicchiere tra le mani, sempre pieno. Il nuovo anno non era cominciato certamente nel migliore dei modi. 
Accese il computer e, la prima cosa che fece, fu controllare la posta elettronica. Aveva l’arretrato di una settimana, quella settimana in cui aveva deciso di non andare al lavoro, non voleva sentire domande, non aveva voglia di rispondere a niente, non aveva voglia di parlare con nessuno. Sapeva che, una volta che Thomas avrebbe varcato la soglia dell’ufficio e l’avesse finalmente rivista seduta al suo posto di lavoro, avrebbe cominciato a tempestarla di domande. Non aveva intenzione di rispondere, sarebbe andata avanti a monosillabi.
Alzò la testa quando sentì la voce dell’amico, squillante. 
«Laura, finalmente sei tornata! Dove sei stata in questa settimana? In ferie e non me lo avevi detto?»
L’impulso che pervase Laura fu quello di mandare immediatamente Thomas a quel paese, ma si rese subito conto che non sarebbe stato un buon modo di cominciare l’anno lavorativo. 
«Sono stata a casa...» rispose semplicemente.
«A fare cosa?»
«A piangere...»
Thomas ridacchiò. «Dai, dimmi la verità!»
Laura si girò verso l’amico e lo guardò negli occhi. «È la verità!» rispose, dura.
Il ragazzo si irrigidì, rimanendo qualche secondo in silenzio, poi appoggiò la sua roba, si sedette sulla sedia e con questa si avvicinò a Laura. «Come mai? Cosa è successo?»
«Non mi va di parlarne. Ti basti sapere che sono stata minacciata di divorzio...»
Thomas spalancò gli occhi. «Divorzio? Tu e Nate?»
Laura sbuffò. «E chi se no? Io e il mio divano? Per quanto sia anche lui ne avrebbe tutte le ragioni. L’ho lasciato solo dopo una settimana in cui avevamo stretto un’intensa relazione!» ringhiò. 
Lui si lasciò scappare un sorriso, poi si rese conto di essere stato inopportuno; tirò Laura a sé e la abbracciò. La ragazza si lasciò andare all’abbraccio dell’amico, cercando di trattenere le lacrime, senza riuscirci. Tutti i propositi di non rivelare nulla erano stati buttati nel cesso; aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno. Rimasero in quella posizione alcuni minuti, poi fu Laura ad allontanarsi; si asciugò gli occhi e si rimise davanti al computer, doveva lavorare. 
Controllò la sua posta elettronica e nelle e-mail della settimana prima ne trovò una che arrivava direttamente dalla direzione dei Grammy Awards. La aprì e lesse attentamente: era l’elenco di tutti i nominati nelle varie categorie che si sarebbero contesi i premi il 10 febbraio. Laura controllò, il nome dei Fun. era citato in tre categorie. Sorrise orgogliosa, poi, immediatamente, le sue labbra si incresparono e il suo viso si incupì. Le tornò in mente Nate e il discorso che avevano fatto la settimana prima. Ci aveva pensato, non aveva fatto altro per una settimana. La testa le scoppiava e non era arrivata a nessun tipo di conclusione, continuava ad essere in conflitto con sé stessa: voleva salvare il suo matrimonio, voleva anche lei un bambino da Nate, ma non in quel momento. Non poteva lasciare il suo lavoro, il suo capo contava tanto, a volte troppo, su di lei e Laura si sentiva galvanizzata da questo. Amava troppo quello che faceva e anche solo pensare di dover lasciare tutto, anche se solo per un breve periodo, la faceva sentire male. Amava, però, troppo anche Nate e non riusciva ad immaginare una vita senza di lui. Era impossibile scegliere tra le due cose più importanti della sua vita, le cose che riempivano le sue giornate. Non poteva vivere senza, ma avrebbe dovuto imparare a farlo. Doveva prendere una decisione e lo doveva fare velocemente. 
A questo pensiero le si torse lo stomaco: non voleva decidere, ma doveva. 

***

Laura era sdraiata sul divano di casa, il cd dei The Lumineers le faceva compagnia, un bicchiere di vino rosso era appoggiato sul tavolino. Era arrivata l’ora di prendere una decisione definitiva. Era forse la cosa più difficile che avesse dovuto fare in tutta la sua vita; nemmeno la scelta dell’università e la decisione se cominciare o meno una storia con Nate erano state così difficili.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalle note di Ho Hey, respirò profondamente; era arrivato il momento di cominciare. Doveva partire dal suo lavoro e da ciò che significava per lei. Quando era stata assunta, aveva visto realizzare un sogno, lei che aveva sempre vissuto per la musica non poteva chiedere di meglio che essere presa in un giornale che si occupava solo di quello. Aveva cominciato con la gavetta, poi piano piano era diventata una delle persone di cui il capo si fidava maggiormente. Lei era sempre disponibile, sempre pronta a rispondere ad una chiamata, proprio perché amava follemente quello che faceva. Il lavoro le aveva riempito le giornate e l’aveva fatta sentire realizzata.
Grazie al suo lavoro, un pomeriggio di sei anni prima, aveva incontrato Nate, la persona che sarebbe diventata il centro dei suoi pensieri, la persona attorno a cui ruotava tutto il suo mondo. Si chiese come sarebbe stata la sua vita senza correre tutto il giorno, senza dover prendere l’aereo ogni volta che doveva intervistare un cantante o un gruppo, si chiese come sarebbe stata la sua vita senza poter andare ai concerti, senza ascoltare musica dal vivo. Poi si chiese come sarebbe stata la sua vita senza Nate al suo fianco; si chiese come sarebbe stato tornare a casa dopo una lunga giornata di lavoro o dopo un lungo viaggio e trovare la casa vuota, un vuoto non temporaneo, ma che si sarebbe prolungato a lungo, senza l’attesa di sentire le chiavi girare nella serratura e vedere il viso di Nate affacciarsi, sorridere, abbracciarla e baciarla. 
Girò il viso verso lo scaffale e guardò la foto di lei e Nate il giorno del loro matrimonio. Respirò profondamente. 
Aveva preso la sua decisione.






Salve a tutte!
Allora, eccovi il nuovo capitolo. Curiose di sapere cosa ha deciso Laura? Eheheh vi ho lasciato con un po' di suspance, sono cattiva e crudele. Niente, volevo solo aggiungere una cosa, cioè che non mancano molti capitoli alla fine della storia. Non li ho ancora scritti, ma penso che saranno due, al massimo tre, inutile tirarla troppo per le lunghe. Mi dispiacerà lasciare questi due personaggi, in fondo ho cominciato con Some Nights ad aprile, siamo a settembre, mi hanno fatto compagnia per cinque mesi. Dirgli addio mi dispiacerà davvero tanto, ma è arrivato il momento di accantonarli. Vado a piangere in un angolino.
Al prossimo capitolo.
Mon.
 

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Capitolo 13
*** Capitolo XII ***


Laura era seduta alla sua scrivania; era quasi l’ora di staccare e lei stava finendo di battere a computer le ultime righe di un articolo che avrebbe dovuto consegnare al capo, quando il telefono sul suo tavolo squillò. La ragazza, concentrata, continuò a fissare lo schermo del suo pc, prendendo in mano la cornetta; rispose: il suo capo la stava cercando. Aggrottò la fronte, si sistemò la maglietta e si diresse verso l’ufficio. 
Arrivò davanti alla porta di vetro e bussò; dall’interno riconobbe la voce del capo che le diceva di entrare. Laura si affacciò alla porta e, sorridendo, disse: «Posso?»
«Certo Laura, ti stavo cercando. Vieni pure.»
La ragazza entrò nell’ufficio, richiudendosi la porta alle spalle; si avvicinò alla scrivania e rimase in piedi, di fronte al capo che stava scrivendo qualcosa a computer. Rimase in attesa, fino a che lui non girò la testa verso di lei, sorridendole.
«Laura cara, ho bisogno del tuo aiuto...» disse, congiungendo le mani e appoggiandovi il mento sopra. 
«Dimmi tutto...» rispose la ragazza. Nonostante fosse il suo capo, lui le aveva chiesto esplicitamente di darle del tu; per lei era stata dura i primi tempi, poi ci aveva fatto l’abitudine.
«Ti è arrivata, vero, la comunicazione di tutte le categorie e i candidati alla vittoria dei Grammy Awards?»
«Si, l’ho letta ieri, quando sono tornata al lavoro dopo le ferie...»
«Perfetto! Intanto complimenti a tuo marito, ad Andrew e a Jack, tre nomination!»
Laura annuì, sforzandosi di sorridere. «Grazie...» disse, poi, semplicemente.
«Senti, ho bisogno che sia tu ad andare a fare le interviste nel dietro le quinte il giorno della premiazione...»
Laura spalancò gli occhi. «Io? Perché? Non puoi mandarci qualcun altro?»
«Tu saresti quella più indicata. Sei la moglie di un cantante, hai più conoscenze, puoi fare un sacco di interviste e arrivare dove altri non potrebbero...»
«Sono lusingata di quello che mi stai chiedendo, ma non posso. Se facessi quel lavoro, non potrei stare con Nate e almeno quel giorno, volevo esserci...»
«Ma non è vero, ci saresti comunque...» protestò il capo.
«Non nel modo in cui vorrei. Non posso, davvero...»
Il capo aggrottò la fronte. «Mi dispiace che tu dica di no.»
«Anche a me dispiace un sacco, ma io sto cercando di salvare il mio matrimonio e se dico con Nate che anche quella sera dovrò lavorare, è la volta buona che mi presenta le carte del divorzio!»
Il capo rimase in silenzio, guardando, incredulo, Laura. «Divorzio?» chiese.
«Si. Non stiamo attraversando un bel momento. Lui mi accusa di non essere mai in casa, di lavorare troppo. Mi ha chiesto di avere un bambino e gli ho risposto di no perché sono troppo impegnata. Vorrei che tu ti rendessi conto che, se non ci sono io, alcune cose non riesci a gestirle. Io, però, adesso non posso più permettermelo. Devo cominciare ad occuparmi della mia vita, quella che con il lavoro non c’entra. Ho deciso di farlo questo bambino, quindi tra qualche mese dovrete fare a meno di me, almeno per un po’...»
Il capo era rimasto in silenzio, aveva ascoltato Laura attentamente. «Non pensavo che le cose stessero così Laura. Hai ragione, è anche colpa mia, conto troppo su di te. Però è giusto che tu ti occupi anche della tua vita. Se vuoi fare questo bambino, fallo, il posto qui per te ci sarà sempre.»
Laura sorrise. «Dici sul serio?»
«Non possiamo fare a meno di te!»
«Grazie. Con questo non vuol dire che smetto di lavorare. Continuo, ma non andrò, almeno per un po’, in giro per concerti. Gli articoli li posso sempre scrivere anche seduta dietro ad una scrivania, con il pancione. Solo quelli però. Per un po’ non voglio più prendere un aereo che mi porti lontano da Nate. Adesso scusami, ma devo andare a dire tutte queste cose a mio marito, prima che decida di fare le valigie definitivamente e lasciare sul tavolo di casa solo i documenti del divorzio.»

***

Laura era uscita dal lavoro intorno alle 5, si era messa in macchina immediatamente ed era partita con una sola destinazione: l’Arizona. 
Nate era dai suoi genitori da ormai tre settimane; non si vedevano e non si parlavano da quando lui aveva richiuso la porta di casa, lasciando Laura in lacrime nel corridoio. Doveva risolvere quella situazione e doveva farlo al più presto, prima che fosse troppo tardi. Ammesso che non lo fosse già. 
Guidò per quasi tre ore, senza mai fermarsi e quando arrivò davanti alla casa dei genitori di Nate fermò la macchina, respirò profondamente e scese. Non era nemmeno passata da casa, era ancora vestita come al lavoro, il che significava giacca leggera ed elegante, gonna e decoltè con tacco alto. I capelli erano un po’ arruffati, ma non le importò; era normale dopo un viaggio di quasi tre ore. 
Era buio, ma il vialetto della casa dei genitori di Nate era illuminato da quattro piccoli lampioni, in più, sulla veranda era appeso un lampadario che illuminava la porta. Laura salì le due scale di legno che portavano davanti all’ingresso, respirò profondamente e suonò il campanello. Attese un po’, attimi che a lei sembrarono un’eternità, poi finalmente la porta si aprì. Laura si trovò davanti una Bess incredula.
«Buonasera signora...» disse Laura, timidamente. Non sapeva come avrebbe reagito la madre di Nate nel vederla, quindi cercò di andare cauta. Bess uscì, socchiudendo la porta e poi l’abbracciò. 
«Laura, meno male che sei qui!» disse. La ragazza non si aspettava quella reazione, rimase qualche secondo interdetta, poi ricambiò l’abbraccio che Bess le stava regalando. Era una donna meravigliosa, lo aveva sempre pensato.
Quando le due si allontanarono, la suocera guardò Laura negli occhi e disse: «Cosa sta succedendo tra te e Nate?»
La ragazza abbassò lo sguardo e cominciò a tormentarsi un dito. «È solo colpa mia. Spero non sia troppo tardi per rimediare. Posso parlare con Nate?»
«Te lo vado a chiamare...»




Salve! 
Eccomi qui. Sono tornata con il nuovo capitolo. Il penultimo. Il prossimo sarà l'ultimo, poi ci sarà l'epilogo e poi sarà arrivato il momento di salutare questi personaggi che mi (anzi ci) hanno fatto compagnia per qualche mesetto. Io non so davvero come ringraziarvi, l'affetto che mi avete dimostrato è sempre stato tanto, i complimenti che mi avete lasciato ogni volta mi hanno scaldato il cuore di gioia. Leggere le vostre recensioni è sempre stato un piacere. 
Grazie, grazie, grazie davvero. Comunque non è ancora il momento dei saluti, ancora un capitolo e l'epilogo. C'è tempo. 
Scappo, altrimenti mi salgono i lacrimoni. 
Al prossimo capitolo.
Bacioni a tutte.
Mon. 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIII ***


Bess rientrò in casa e si diresse in salotto; Nate e suo padre erano seduti sul divano a guardare la televisione, in attesa di vedere una partita di basket.
«Chi era?» chiese il padre, senza staccare gli occhi dallo schermo della tv, rivolgendosi a Bess.
«È Laura...»
Bess vide i visi di Nate e suo padre girarsi contemporaneamente verso di lei. «Cosa vuole?» chiese poi il ragazzo. La sua voce faceva trapelare felicità, ma cercò di nascondere questo con l’espressione del viso.
«Non so cosa vuole. Vai a parlarle...»
«Non mi va!» rispose Nate, tornando a poggiare gli occhi sullo schermo del televisore. 
Bess sbottò improvvisamente. «Nate, ti rendi conto che lei è partita da San Francisco, si è fatta tre ore di macchina, di sera, per venire a parlare con te e tu cosa fai? Vuoi rimandarla a casa senza nemmeno esserti degnato di parlarle? Che razza di persona sei?»
Nate tornò a fissare sua madre, colpito. «Va bene, vado!» disse, alzandosi dal divano e dirigendosi verso l’uscita di casa. 
Poggiò la mano sulla maniglia e prima di aprire la porta respirò profondamente, chiudendo gli occhi. Quando fu pronto, girò il pomello e uscì. Laura aveva la testa bassa, si sfregava le mani e batteva i piedi. Era gennaio e nonostante l’Arizona fosse uno stato abbastanza caldo, non era certamente periodo per rimanere fuori casa a lungo e senza una giacca pesante addosso. La fissò qualche secondo prima di rivolgerle la parola; stavano insieme da sei anni e lui non aveva mai smesso, nemmeno per un secondo, di pensare a quanto fosse stato fortunato ad incontrare una ragazza come Laura. Nonostante fosse passato tutto quel tempo la trovava ancora bella come la prima volta che l’aveva vista, per quanto provasse ad essere arrabbiato con lei, per quanto si sforzasse di avercela con lei per quello che aveva detto, non ci riusciva. Ne era innamorato perdutamente e non c’era niente che riuscisse a fargli cambiare idea. 
Adesso, vederla nel giardino di casa, infreddolita, gli provocò l’impulso di andare da lei, stringerla forte e baciarla. Decise di trattenersi, anche se fu molto difficile una volta che Laura alzò lo sguardo e i loro occhi si incontrarono.
Nate scese le scale e si avvicinò alla moglie. «Cosa ci fai qua?»
«Ciao. Sono consapevole che tu sia arrabbiato con me, ne hai tutte le ragioni. Spero solo che tu abbia voglia di ascoltarmi...»
«Sono uscito, sono qui. Dimmi quello che mi devi dire...»
Laura respirò profondamente e abbassò lo sguardo. «Ho sbagliato tutto...» sussurrò. 
Nate non rispose, Laura alzò la testa e lo guardò con gli occhi pieni di lacrime. «Spero solo che non sia troppo tardi per rimediare a tutto questo...»
Il ragazzo passò una mano sulla guancia di Laura, asciugandole una lacrima che scorreva lenta.; lei chiuse gli occhi, inarcando leggermente la testa. «Non dipende da me...» disse Nate.
«Ho preso una decisione...» rese noto Laura.
Nate fece un passo indietro; fissò la moglie e non disse nulla, aspettando che fosse lei a continuare il discorso.
«Tu sai quanto il lavoro sia importante per me, ma la cosa a cui tengo di più nella vita sei tu. Non posso immaginare di passare il resto della vita senza te al mio fianco. Perdonami per tutto quello che ho fatto, consapevolmente o inconsapevolmente. Sono stata una pessima moglie, ti prego però, dammi la possibilità di rimediare.»
«Laura, io non riesco a smettere di amarti, ma tu devi essere sicura...»
«Io sono sicura. Ci ho pensato e ripensato e non posso lasciarti andare via da me. Non riesco a immaginare una vita senza di te...»
«E il tuo lavoro?»
«Ne ho parlato con il mio capo, il mio posto ci sarà sempre, qualsiasi decisione io decida di prendere...»
Sul viso di Nate si stampò un lieve sorriso. Fissò Laura negli occhi, poi, titubante, chiese: «Quindi lo vuoi anche tu questo bambino?»
Laura annuì, sorridente. 
Nate la guardò e, con una punta di preoccupazione nella voce, chiese: «Ne sei sicura? Non lo stai dicendo solo per farmi felice?»
«No amore. Anche io lo voglio un bambino, ma non pensavo fosse il momento giusto, con tutto il lavoro che avevo. Il capo mi ha rassicurato, quindi non c’è più niente che ci impedisca di ampliare la famiglia...» Sorrise e vide Nate fare la stessa cosa; stavolta il sorriso del marito era felice, solare, come lo aveva sempre conosciuto.
Il ragazzo le si avvicinò e la strinse a sé. «Ho temuto davvero di perderti...» le sussurrò all’orecchio.
«Sono stata una stupida, non succederà più. Spero solo che tu mi possa perdonare...»
«Ho già dimenticato tutto. Non torniamo più sopra all’argomento, andiamo a casa e ricominciamo da capo.»





Salve! Eccomi qui con l'ultimo capitolo. *corre a prendere i fazzoletti perché non riesce a trattenere le lacrime*
No dai, non piangiamo adesso. C'è ancora l'epilogo, consoliamoci con questo. Proprio perché non voglio ancora dire addio a questa storia, i saluti li farò alla prossima. Non credevo di affezzionarmi così tanto a questi personaggi, ma anche voi avete contribuito a rendere il tutto troppo difficile da salutare. Grazie per tutti i complimenti con cui mi avete riempito, all'inizio non pensavo davvero potesse finire così. Ero indecisa sul seguito, ma voi avete cancellato tutti i dubbi che mi erano venuti. Grazie, grazie davvero. 
I ringraziamenti finali alla prossima. Vi voglio bene, davvero.
Mon.

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


Laura era di fronte a Nate, sorrideva mente, con un gesto delicato, ma preciso, gli metteva a posto il colletto della camicia e gli stringeva il nodo alla cravatta.
«Adesso sei perfetto, guardati allo specchio...» disse, prendendo il marito per un braccio e facendolo girare. Gli passò una mano sulla spalla, come per togliere qualcosa che si era appoggiato sulla giacca e gli sorrise attraverso lo specchio. Nate indossava un completo nero, una camicia bianca e una cravatta bordeaux; si girò verso Laura e la guardò. «Anche tu stasera non sei niente male, ma sei  proprio sicura che con quei tacchi non succeda niente?»
Laura roteò gli occhi. «È la terza volta che me lo chiedi da quando li ho indossati, esattamente un quarto d’ora fa. Sono abituata a camminarci sopra!»
«Se lo dici tu. Ricordati però...» Nate non riuscì a finire la frase, perché Laura gli appoggiò un dito sulle labbra, per zittirlo. Si avvicinò a lui e, prima di toglierlo, disse: «So quello che faccio. Il medico ha detto che non succede niente, quindi stai tranquillo!» Tolse il dito da davanti alla bocca di Nate e gli diede un bacio, prese la sua giacca appoggiata sul letto, si girò verso il marito e disse: «Vogliamo andare? I Grammy ci aspettano!»
Si diresse verso la porta della stanza d’albergo, ma Nate la trattenne per un braccio. «Non sei mai stata così bella, sai?»
Laura sorrise. «Grazie, secondo me tra qualche mese non dirai più così, quindi li accetto volentieri i complimenti, fino a che me li fai!»
Nate rise e insieme alla moglie si diresse verso la porta. Laura si infilò la sua giacca sopra il vestito rosso, che le arrivava poco sotto alle ginocchia, accompagnato da un paio di scarpe con il tacco alto dello stesso colore, e una borsetta nera, abbinata alla giacca. Un leggero trucco le contornava gli occhi, le labbra erano colorate di rosso, i capelli, come al solito, erano lunghi e lisci.
La macchina li aspettava fuori dall’albergo per portarli allo Staples Center di Los Angeles. Quando furono davanti e Laura scese dalla macchina guardò la struttura con gli occhi adoranti, poi si girò verso Nate e sorrise, sorniona. «Ti tocca entrare...»
Il ragazzo roteò gli occhi. «Non è la prima volta che lo faccio e non è mai un problema per occasioni come queste. Il problema si pone quando qui giocano i tuoi Los Angeles Lakers. Che brutta squadra...»
Laura alzò le spalle. «La tua è tutta invidia...» disse, facendo l’occhiolino al marito e prendendolo per mano. Si diressero all’interno e si andarono ad accomodare ai loro posti. Andrew e Jack erano già arrivati, accompagnati anche loro dalle rispettive dolci metà. Si sedettero e attesero l’inizio della serata. 
Il momento della loro premiazione arrivò per la categoria Song of The Year; Nate, Andrew e Jack salirono sul palco e si prodigarono nei soliti ringraziamenti di rito. «Vorrei solo aggiungere una piccola cosa...» disse Nate, sorridendo. «Vorrei fare un ringraziamento speciale alla persona che da ormai più di sei anni riempie le mie giornate e che tra qualche mese mi regalerà la gioia più grande, quella di diventare papà. Ti amo Laura.» Dall’alto del palco cercò con lo sguardo la moglie e le lanciò uno dei sorrisi più belli che la ragazza gli aveva mai visto.
Sorrise anche lei di rimando, fiera, e con gli occhi che le si inumidirono leggermente; si girò poi verso la moglie di Andrew, Jill, e la fidanzata di Jack, Lena, che la guardavano, incredule. 
«Sei incinta?» chiese la seconda, dopo un attimo di smarrimento.
Laura annuì, sorridente. Le due amiche si slanciarono verso di lei e l’abbracciarono, felici. 


Quello stesso gesto, venne compiuto anche otto mesi dopo, quando Laura e Nate misero piede in casa, dopo essere usciti dall’ospedale con un fagottino appena nato stretto tra le braccia. Ad aspettarli c’erano sempre loro, gli amici più stretti: Andrew, Jill, Jack e Lena. 
Laura precedette Nate, che trasportava la culla; quando la ragazza aprì la porta le due amiche le corsero incontro. Lei si lasciò abbracciare, poi, perplessa, chiese: «A voi chi le ha date le chiavi?»
«Io le ho sempre avute, Nate me le diede qualche anno fa. Solo che non ho mai avuto bisogno di usarle... non fino ad ora almeno!» rispose Jack.
Laura guardò il marito che alzò le spalle e richiuse la porta, andando ad appoggiare sul tavolo di cucina la culla. Tutti i presenti si sporsero a guardare il fagottino al suo interno: gli occhi verdi erano spalancati.
«Somiglia un sacco a Nate!» disse Jill.
«Lo so!» rispose Laura, lanciando un’occhiataccia al marito, che sorrise, compiaciuto.
«Sono molto orgoglioso di annunciare che anche la voce l’ha presa da me!» disse il ragazzo.
«Allora, visto che sei tanto orgoglioso, la notte, quando si sveglia e piange ti alzi tu!» disse Laura, di rimando.
Tutti i presenti si misero a ridere; Nate si avvicinò alla culla, si chinò e prese in braccio il fagottino rosa, dandole un bacio.
«Benvenuta a casa, Ria...»







Eccoci qui, siamo arrivati alla fine. Mi fa male dover salutare questi due personaggi, mi fa malissimo, penso che non possiate nemmeno immaginare. Mi hanno accompagnato per un lungo periodo di tempo, mi hanno fatto compagnia, a volte mi hanno anche fatto penare, soprattutto quando non trovavo l'ispirazione e poi so che hanno fatto penare anche voi. Mi avete divertito con le vostre recensioni, perché quello che leggevo era anche quello che provavo io mentre scrivevo e creavo questi personaggi. 
Credo sia arrivato il momento dei ringraziamenti. Siete tante, quindi spero di non dimenticare nessuna. Grazie a Ellina Lollina, Evangelina143, Jacksoniana29, Lauren_v, like, Emmemira29, fun98, GiadipotterPhilosophie Mars
Un ringraziamento particolare va a nateswag, Allergictotheuniverse e Fun_for_life per le recensioni che mi hanno lasciato e che mi hanno fatto sempre tanto piacere. Uno speciale invece va a cateperson perché è grazie a lei e alla sua ultima recensione se la storia tra Nate e Laura non è ancora del tutto finita. Nel senso, mi spiego, ho intenzione di fare una piccola one-shot, giusto per chiudere il cerchio, l'ho già scritta, non ci metterò molto a postarla, poi giuro vi lascerò in pace. 
Ultimo ringraziamento speciale, specialissimo, va al mio tesoro, jjk, che mi ha sempre commentato ogni capitolo, con pazienza, ma lei lo sa che senza il suo commento io non avrei postato quello successivo. Grazie mille, millissime, davvero.
Va bene, adesso vado, scappo e vado a piangere perché questi due e voi tutte mi mancherete davvero tantissimo.
Vi voglio bene, grazie per aver reso questa serie così bella da scrivere e da portare avanti passo dopo passo. 
Un abbraccio.
Mon.

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