“Hai fatto
un ottimo lavoro, Daniel.”
Dichiarò
soddisfatto il barone.
Il cadavere
era lì, coperto di sangue, ormai irriconoscibile.
Daniel era
rimasto paralizzato, ancora con il pugnale del rituale in mano.
A vedersi sembrava
un semplice ragazzo inglese, educato e tranquillo, ma con quell’arma in mano
incuteva un certo terrore.
Alexander si
avvicinò all’amico e lo strinse a sé, in un caldo abbraccio.
Lui non si
mosse, rimanendo immobile tra le sue braccia.
Non era ancora
pronto a tutte queste emozioni.
Daniel, che
sembrava ancora sconvolto, sospirò.
“Come dice
lei, barone…”
“Non
preoccuparti, era solo un assassino. Una persona orribile.
Si meritava
tutto questo. Tu lo sai bene.”
“Però… non è
giusto.”
Le lacrime
scesero dagli occhi di Daniel.
Sicuramente
a causa del senso di colpa e della paura.
Alexander lo
aveva intuito, perciò provò a farlo sentire più a suo agio.
Batté
leggermente le unghie su una candela spenta.
“Daniel,
potresti prendermi qualche acciarino? Ne ho bisogno.”
Non era
vero. Il vecchio uomo aveva un’ottima vista, anche al buio.
Il ragazzo,
un po’ rincuorato, fece un largo sorriso.
“Subito,
barone.”
Daniel si
diresse saltellando al mobile in cui tenevano gli acciarini e con foga ne prese
una decina.
Avendo paura
delle tenebre sentiva un gran bisogno di vedere un po’ di luce.
Tra le tante
paure che possedeva, questa era quella che aveva più effetto su di lui.
Nel
frattempo Alexander era andato a depositare un po’ di Vitae nel grande
serbatoio, come era suo solito.
“Eccomi!”
Daniel era
molto contento del fatto che presto il buio sarebbe scomparso, così cominciò a
correre verso l’amico.
“Non tutti
insieme, sciocco!”
Come
previsto dall’uomo più anziano, il ragazzo inciampò e i cilindri si dispersero
sul pavimento.
Daniel era
mortificato e subito si piegò a raccoglierli.
Chiedeva
perdono per ogni acciarino recuperato.
“Scusami…
scusami Alexander...”
Dopo averne
ripresi più che poteva, gliene diede uno.
“Molto
bene…”
Accese la
piccola candela e gliela porse.
Subito la
portò vicino al volto, per contemplare meglio la fiammella dorata.
Alexander lo
ignorò e prese in mano un altro globo.
“Svuoto
l’ultima sfera di Vitae e ci ritiriamo per la cena.”
Il barone si
affrettò ad andare verso l’enorme contenitore,
ma
distrattamente scivolò in uno degli acciarini rimasti per terra.
Tentò di
aggrapparsi a qualcosa, ma cadde lo stesso dentro il serbatoio.
Daniel urlò
e poi rimase pietrificato a guardare Alexander affogare,
si dimenava nel
lago di Vitae in cui era caduto senza riuscire a uscirne.
Un grido di
quest’ultimo lo risvegliò:
“AIUTAMI
IDIOTA!”
Ripreso
dallo shock momentaneo, Daniel, tremante, appoggiò la candela vicino alla
cisterna.
Raggruppò
tutta la forza che aveva e strattonò fuori, con molta fatica, il vecchio uomo
dal serbatoio.
Entrambi si
sdraiarono sul pavimento a recuperare le forze.
Dopo qualche
minuto, Alexander si alzò e si diresse alla porta.
“Sarà meglio
andare a cambiarci, siamo tutti bagnati.
Ti aspetto
nella sala da pranzo, prima finisci di raccogliere gli acciarini e poi
raggiungimi.”
Dopo un po’
erano a tavola a consumare la cena.
I servi
avevano portato i piatti, colmi di pietanze deliziose.
Emanavano un
profumo meraviglioso. E anche l’aspetto era molto gradevole.
Daniel
rimase colpito dalla qualità delle cibarie e iniziò subito a mangiare.
Poi notò che
qualcosa non andava.
Alexander
sembrava perso nei suoi pensieri.
Non aveva
quasi toccato cibo, forse per l’evento di poco prima.
Sentendosi
responsabile dell’accaduto, il ragazzo allentò il ritmo fino a fermarsi.
Daniel era
preoccupato.
“Tutto a
posto, Alexander?”
“Sono solo
un po’ stanco. Continua pure a mangiare.”
Disse,
mentre giocherellava con il dolce.
“Sei
sicuro?”
“Sicuro.”
“C’è qualcosa
che posso fare per te?”
“Al momento
no, grazie.”
Il barone si
stava infastidendo.
“Sicuro che
vada tutto bene?”
“Certo,
Daniel, non essere insistente.”
“Ma io
volevo solo…”
“Mi sembra
che tu abbia già fatto abbastanza!”
Ribatté alzandosi di scatto dalla sedia.
Si allontanò
velocemente dal tavolo, lasciando il ragazzo da solo a finire il pasto.
Alexander si
ritirò nella sua stanza e lo stesso fece Daniel.
Quella notte
il ragazzo ebbe un altro dei suoi incubi, si svegliò sudato nel proprio letto.
Per
abitudine andò alla porta, ma una volta messa la mano sulla maniglia si fermò.
Non aveva il
coraggio di disturbarlo.
Non dopo
quello che aveva combinato.
“Sicuramente
sarà ancora arrabbiato con me…”
La mattina successiva,
il barone si svegliò ben riposato.
Però c’era
qualcosa di strano.
Alexander si
guardò intorno.
“Non
ricordavo che il letto fosse così grande…”
La stanza
era diventata enorme.
Anche la
vestaglia gli stava molto larga e quasi gli impediva di muoversi.
Scrutò
attentamente la zona.
Era la sua
camera. Identica a come l’aveva lasciata la sera prima.
Soltanto
sembrava molto più grande.
Dopo molti
sforzi, riuscì a scendere dal letto, per unirsi a Daniel a fare colazione.
Con la poca
luce dell’alba che filtrava dalla finestra riuscì a guidarsi fino alla porta.
Si appoggiò
al mobile in cui teneva gli abiti, mentre con l’altra mano si teneva il
vestito.
“Di solito
mi arrivava al fianco, adesso riesco addirittura ad appoggiarci la fronte.”
Pensò.
Fece qualche
altro passo quando vide lo specchio.
All’improvviso
si fermò.
Nel riflesso
non c’era il solito vecchio uomo burbero ed esile.
La figura
grottesca era stata sostituita da quella di un piccolo e dolce bambino.
Inspiegabilmente
aveva i capelli lunghi e bianchi.
I suoi occhi
dorati stettero a fissare a lungo quel viso tondo e paffuto, non riuscendo a
riconoscersi.
Eppure
questo bimbo nel riflesso ripeteva esattamente i suoi movimenti.
Si guardò le
mani. Piccole e morbide.
A quel punto
capì.
La Vitae.
Di certo era
la causa dell’accaduto.
Se solo quel
ragazzo fosse stato più attento.
Con rabbia
Alexander chiamò il suo nome.
“DANIEEEEEEL!”
La voce non
era cambiata affatto, sempre tonante e imperiosa.
Era
incredibile come da un piccolo essere potesse provenire un suono così
spaventoso,
ma
evidentemente insieme all’anima dev’essere l’unica cosa a non essere cambiata.
Quell’urlo
terribile risuonò per tutte le stanze del castello fino al giardino, dove ad
attenderlo c’era Daniel.
Per lo
spavento la mano tremò e per poco non versò il the che era nella tazza.
“Il barone
ha bisogno di me! Che cosa sarà successo?”
Di corsa il
ragazzo si diresse da dove proveniva quell’urlo ed entrò nella camera.
“Mi ha
chiamato?
Alexander?
Dove sei?”
“Qui in
basso, sciocco.”
Daniel
guardò da dove proveniva la voce conosciuta e balzò indietro insieme a un urlo
per lo stupore.
Stette a
guardarlo per qualche secondo, mentre il bambino lo fissava arrabbiato.
D’istinto lo
prese in braccio e lo avvicinò al volto per vederlo meglio.
Per
accertarsi che fosse reale.
I loro occhi
si incontrarono e a Daniel scappò un risolino.
Era così
dolce.
“Alexander…?
Sei tu…?”
“Dobbiamo
trovare una soluzione. E in fretta.”