Un piccolo incidente

di ElisaJ7B
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un grande problema ***
Capitolo 2: *** Vita da bambino ***
Capitolo 3: *** Ricerca di una soluzione ***



Capitolo 1
*** Un grande problema ***


“Hai fatto un ottimo lavoro, Daniel.”

Dichiarò soddisfatto il barone.

 

Il cadavere era lì, coperto di sangue, ormai irriconoscibile.

Daniel era rimasto paralizzato, ancora con il pugnale del rituale in mano.

A vedersi sembrava un semplice ragazzo inglese, educato e tranquillo, ma con quell’arma in mano incuteva un certo terrore.

 

Alexander si avvicinò all’amico e lo strinse a sé, in un caldo abbraccio.

Lui non si mosse, rimanendo immobile tra le sue braccia.

Non era ancora pronto a tutte queste emozioni.

 

Daniel, che sembrava ancora sconvolto, sospirò.

“Come dice lei, barone…”

 

“Non preoccuparti, era solo un assassino. Una persona orribile.

Si meritava tutto questo. Tu lo sai bene.”

“Però… non è giusto.”

 

Le lacrime scesero dagli occhi di Daniel.

Sicuramente a causa del senso di colpa e della paura.

Alexander lo aveva intuito, perciò provò a farlo sentire più a suo agio.

 

Batté leggermente le unghie su una candela spenta.

“Daniel, potresti prendermi qualche acciarino? Ne ho bisogno.”

 

Non era vero. Il vecchio uomo aveva un’ottima vista, anche al buio.

Il ragazzo, un po’ rincuorato, fece un largo sorriso.

“Subito, barone.”

 

Daniel si diresse saltellando al mobile in cui tenevano gli acciarini e con foga ne prese una decina.

 

Avendo paura delle tenebre sentiva un gran bisogno di vedere un po’ di luce.

Tra le tante paure che possedeva, questa era quella che aveva più effetto su di lui.

 

Nel frattempo Alexander era andato a depositare un po’ di Vitae nel grande serbatoio, come era suo solito.

 

“Eccomi!”

Daniel era molto contento del fatto che presto il buio sarebbe scomparso, così cominciò a correre verso l’amico.

 

“Non tutti insieme, sciocco!”

 

Come previsto dall’uomo più anziano, il ragazzo inciampò e i cilindri si dispersero sul pavimento.

Daniel era mortificato e subito si piegò a raccoglierli.

Chiedeva perdono per ogni acciarino recuperato.

“Scusami… scusami Alexander...”

 

Dopo averne ripresi più che poteva, gliene diede uno.

 

“Molto bene…”

Accese la piccola candela e gliela porse.

Subito la portò vicino al volto, per contemplare meglio la fiammella dorata.

Alexander lo ignorò e prese in mano un altro globo.

 

“Svuoto l’ultima sfera di Vitae e ci ritiriamo per la cena.”

 

Il barone si affrettò ad andare verso l’enorme contenitore,

ma distrattamente scivolò in uno degli acciarini rimasti per terra.

Tentò di aggrapparsi a qualcosa, ma cadde lo stesso dentro il serbatoio.

 

Daniel urlò e poi rimase pietrificato a guardare Alexander affogare,

si dimenava nel lago di Vitae in cui era caduto senza riuscire a uscirne.

 

Un grido di quest’ultimo lo risvegliò:

“AIUTAMI IDIOTA!”

 

Ripreso dallo shock momentaneo, Daniel, tremante, appoggiò la candela vicino alla cisterna.

Raggruppò tutta la forza che aveva e strattonò fuori, con molta fatica, il vecchio uomo dal serbatoio.

Entrambi si sdraiarono sul pavimento a recuperare le forze.

 

Dopo qualche minuto, Alexander si alzò e si diresse alla porta.

“Sarà meglio andare a cambiarci, siamo tutti bagnati.

Ti aspetto nella sala da pranzo, prima finisci di raccogliere gli acciarini e poi raggiungimi.”

 

 

 

 

Dopo un po’ erano a tavola a consumare la cena.

I servi avevano portato i piatti, colmi di pietanze deliziose.

Emanavano un profumo meraviglioso. E anche l’aspetto era molto gradevole.

Daniel rimase colpito dalla qualità delle cibarie e iniziò subito a mangiare.

Poi notò che qualcosa non andava.

 

Alexander sembrava perso nei suoi pensieri.

Non aveva quasi toccato cibo, forse per l’evento di poco prima.

Sentendosi responsabile dell’accaduto, il ragazzo allentò il ritmo fino a fermarsi.

 

Daniel era preoccupato.

“Tutto a posto, Alexander?”

 

“Sono solo un po’ stanco. Continua pure a mangiare.”

Disse, mentre giocherellava con il dolce.

 

“Sei sicuro?”

“Sicuro.”

“C’è qualcosa che posso fare per te?”

“Al momento no, grazie.”

 

Il barone si stava infastidendo.

 

“Sicuro che vada tutto bene?”

“Certo, Daniel, non essere insistente.”

“Ma io volevo solo…”

“Mi sembra che tu abbia già fatto abbastanza!”

 Ribatté alzandosi di scatto dalla sedia.

Si allontanò velocemente dal tavolo, lasciando il ragazzo da solo a finire il pasto.

 

Alexander si ritirò nella sua stanza e lo stesso fece Daniel.

Quella notte il ragazzo ebbe un altro dei suoi incubi, si svegliò sudato nel proprio letto.

Per abitudine andò alla porta, ma una volta messa la mano sulla maniglia si fermò.

Non aveva il coraggio di disturbarlo.

Non dopo quello che aveva combinato.

 

“Sicuramente sarà ancora arrabbiato con me…”

 

 

 

 

La mattina successiva, il barone si svegliò ben riposato.

 

Però c’era qualcosa di strano.

 

Alexander si guardò intorno.

“Non ricordavo che il letto fosse così grande…”

 

La stanza era diventata enorme.

Anche la vestaglia gli stava molto larga e quasi gli impediva di muoversi.

 

Scrutò attentamente la zona.

Era la sua camera. Identica a come l’aveva lasciata la sera prima.

Soltanto sembrava molto più grande.

 

Dopo molti sforzi, riuscì a scendere dal letto, per unirsi a Daniel a fare colazione.

Con la poca luce dell’alba che filtrava dalla finestra riuscì a guidarsi fino alla porta.

 

Si appoggiò al mobile in cui teneva gli abiti, mentre con l’altra mano si teneva il vestito.

“Di solito mi arrivava al fianco, adesso riesco addirittura ad appoggiarci la fronte.” Pensò.

 

Fece qualche altro passo quando vide lo specchio.

All’improvviso si fermò.

 

Nel riflesso non c’era il solito vecchio uomo burbero ed esile.

La figura grottesca era stata sostituita da quella di un piccolo e dolce bambino.

Inspiegabilmente aveva i capelli lunghi e bianchi.

 

I suoi occhi dorati stettero a fissare a lungo quel viso tondo e paffuto, non riuscendo a riconoscersi.

Eppure questo bimbo nel riflesso ripeteva esattamente i suoi movimenti.

 

Si guardò le mani. Piccole e morbide.

A quel punto capì.

 

La Vitae.

Di certo era la causa dell’accaduto.

Se solo quel ragazzo fosse stato più attento.

 

Con rabbia Alexander chiamò il suo nome.

 

“DANIEEEEEEL!”

La voce non era cambiata affatto, sempre tonante e imperiosa.

Era incredibile come da un piccolo essere potesse provenire un suono così spaventoso,

ma evidentemente insieme all’anima dev’essere l’unica cosa a non essere cambiata.

 

Quell’urlo terribile risuonò per tutte le stanze del castello fino al giardino, dove ad attenderlo c’era Daniel.

Per lo spavento la mano tremò e per poco non versò il the che era nella tazza.

 

“Il barone ha bisogno di me! Che cosa sarà successo?”

Di corsa il ragazzo si diresse da dove proveniva quell’urlo ed entrò nella camera.

 

“Mi ha chiamato?

Alexander? Dove sei?”

 

“Qui in basso, sciocco.”

 

Daniel guardò da dove proveniva la voce conosciuta e balzò indietro insieme a un urlo per lo stupore.

Stette a guardarlo per qualche secondo, mentre il bambino lo fissava arrabbiato.

 

D’istinto lo prese in braccio e lo avvicinò al volto per vederlo meglio.

Per accertarsi che fosse reale.

 

I loro occhi si incontrarono e a Daniel scappò un risolino.

Era così dolce.

 

“Alexander…? Sei tu…?”

 

“Dobbiamo trovare una soluzione. E in fretta.”

 

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Capitolo 2
*** Vita da bambino ***


“Se tu fossi stato più attento, tutto questo non sarebbe successo!”

Lo aggredì con rabbia Alexander.

 

“Come potevo sapere… Io…” Cominciò a farfugliare Daniel.

Sapeva bene che dietro quell’aspetto delicato c’era una persona terribile e spietata.

 

Si mise in ginocchio, in segno di rispetto.

 

“Mi dispiace, barone. Troveremo una cura.

Altrimenti, può sempre rimanere così…” disse senza pensare.

 

“No, no, no, no! Io voglio tornare normale! Adesso!”

Alexander cominciò a piangere istericamente come un bambino.

 

Daniel era spaventato.

Il ragazzo era abituato a vedere il barone sempre impassibile,

non sapeva come reagire a questa reazione piuttosto infantile.

 

Dolcemente si sporse in avanti e lo abbracciò.

Per il momento sembrava che lo avesse calmato un po’.

 

“Scusami, Daniel.

Dobbiamo trovare una soluzione. Questo corpo… non è il mio.

Devo tornare come prima. Intanto, andiamo a prendere dei vestiti della mia misura.”

Alexander si era ricomposto un po’ e si era asciugato le lacrime dagli occhi.

 

“Dovremmo avere dei vestiti da bambino nell’obitorio. Tra le vittime c’era un bimbo di cinque anni.”

Disse il ragazzo prendendolo per mano.

 

Poco più tardi arrivarono a destinazione, il cadavere era ancora lì, in un angolo della stanza.

Daniel lo spogliò e osservò la tunica. Era tutta sporca di sangue.

Alexander gliela strappò di mano e se la infilò, soddisfatto.

 

Il ragazzo fece una faccia schifata.

“Cerchiamo un vestito più pulito…”

“Per ora può andare bene questo. Mi piace l’odore del sangue”

 

Rimarcò Alexander. Non era cambiato poi così tanto.

“Forza, andiamo nel Coro. Abbiamo dei rituali da compiere.”

Daniel acconsentì e prese dei pugnali da uno scaffale.

 

Scelsero un prigioniero e lo legarono sul tavolino delle torture.

L’uomo era terrorizzato, alla vista di tutti quei coltelli, e continuava a ripetere di essere innocente.

 

Daniel mise Alexander sopra il tavolo, in modo che potesse dargli dei suggerimenti.

“Fai un piccolo taglio con il pugnare qui, sopra lo sterno… perfetto.

Adesso prendi la sega e inizia ad aprire la ferita…”

 

La vittima urlava di dolore, poi improvvisamente incominciò a ridere.

All’inizio era appena un risolino, poi cominciò a diventare sempre più sguaiato.

 

“Cos’hai da ridere tanto?” Ringhiò Daniel.

“Ti fai dare ordini… da un bambino!

Non ho mai visto niente di simile in vita mia.”

 

Scoppiò a ridere in modo incontrollabile.

Ormai la tortura era saltata. Il prigioniero non emetteva più Vitae.

 

Con rabbia, Alexander infilò un coltello in profondità nel cuore, uccidendolo istantaneamente.

L’uomo smise di ridere, morendo con un gran sorriso sulle labbra.

 

Il barone scese con un salto dal tavolo e allontanandosi borbottò:

“Oggi dovrai lavorare da solo. Sembra che la mia presenza non sia gradita.”

“Ma no… la prego…”

“TORNA AL LAVORO!” urlò con rabbia.

 

Mentre tornava nella sua camera, passando davanti alle celle, tutti i prigionieri iniziarono a sghignazzare.

“Hey, bimbo! Cosa ci fai quaggiù?” “Come sei dolce!” “Torni dalla mamma?” Lo canzonarono in ogni modo immaginabile.

 

Alexander tornò nella sua stanza per dormire un po’.

Si sentiva molto stanco e umiliato.

 

 

 

 

Molte ore dopo, Daniel lo svegliò con dolcezza.

“Svegliati. È ora di cena” Lo accarezzò sulla guancia.

 

Era così morbido al tatto, il ragazzo non poté trattenersi.

“Sei così carino e soffice” Si pentì subito dopo di aver detto quelle parole, ma ormai era troppo tardi.

 

Inaspettatamente, Alexander arrossì leggermente.

Sebbene fosse un uomo burbero, i complimenti gli facevano piacere.

Si alzò dal letto e si recarono in sala da pranzo.

 

Con molta fatica, il barone si sedette sulla sedia, ma non riusciva ad arrivare alla tavola.

 

Allora Daniel lo appoggiò delicatamente sulle sue ginocchia.

Alexander provò ad afferrare un cucchiaio, ma le sue mani erano troppo piccole e non ne sostenevano il peso.

 

“Sembra che io non sia più in grado di fare niente da solo” mormorò.

“Non si preoccupi, signore. Ci sono qua io a servirla.”

 

Daniel prese la posata in questione e la riempì con un po’ di minestra.

Facendo attenzione a non versarla, imboccò il piccolo Alexander.

 

Il bambino aspettava il cucchiaio a bocca aperta e occhi spalancati.

Era dolcissimo.

 

“Ecco, ecco che arriva l’areoplanino!”

Disse Daniel con un tono di voce veramente idiota.

 

“Daniel, non sono davvero un bambino.

Smetti immediatamente di fare lo sciocco.”

 

Il ragazzo arrossì e lo imboccò di nuovo.

“Er… Scusi, barone.”

 

 

 

 

Finita la cena, ognuno tornò nella propria camera per dormire.

Quella notte, ci fu una terribile tempesta, con lampi e fulmini.

 

Alexander si svegliò di soprassalto.

 

Le ombre che la finestra proiettava erano spaventose, sembravano mostri venuti per catturarlo.

Forse erano le anime nere dei prigionieri che aveva torturato.

 

Il povero bambino iniziò a piangere per la paura,

non riuscendo a riaddormentarsi.

 

Poi una luce, un rombo di tuono e fu costretto a balzare giù dal letto e correre verso la porta.

Senza pensarci due volte, si diresse alla camera di Daniel.

 

Anche il ragazzo non riusciva a dormire.

I temporali facevano parte delle sue paure, insieme al buio e tutto il resto.

 

Il barone aprì violentemente la porta della stanza, tanto che Daniel si spaventò.

Veloce come un gatto, si infilò sotto le coperte.

 

Il ragazzo era piuttosto sorpreso.

“Alexander?”

 

“Daniel, ho paura.” Piagnucolò il bambino.

Dalle lenzuola si intravedevano appena gli occhi dorati, pieni di lacrime.

 

“Non essere spaventato. Ci sono io con te.”

Cercò di rincuorarlo. Aprì le braccia, aspettando che uscisse dalle coperte.

 

Poco alla volta, il barone uscì dal suo nascondiglio.

Si posizionò tra le braccia dell’amico, appoggiando la testa sul torace.

Daniel lo strinse in un caldo abbraccio.

Poi coprì entrambi con le lenzuola.

 

Cominciò a cantare piano una piccola nenia, come era sua abitudine con Hazel, la sua sorellina.

Alexander iniziò ad addormentarsi. In testa aveva solo la voce di Daniel e il temporale non lo spaventava più.

 

Poco dopo si era già addormentato, succhiandosi il pollice.

Il ragazzo non poté fare a meno di ridacchiare per questa buffa posa, considerando chi era quel bimbo.

 

Un crudele torturatore come il barone, trasformato in un piccolo bambino indifeso.

“Come sarebbe bello se rimanesse così…” Sospirò.

 

Daniel si stese, abbracciando un po’ più forte quella delicata creatura.

Si avvicinò tanto che le loro guance si toccavano. Era soffice come una pesca.

 

La tempesta fuori infuriava,

ma in quella camera c’era solo pace.

 

La candela accesa vegliava su di loro,

proteggendoli dal buio e dalle ombre paurose.

 

 

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Capitolo 3
*** Ricerca di una soluzione ***


La mattina seguente, erano ancora abbracciati sotto le coperte.

Il temporale era cessato durante la notte e il sole splendeva alto nel cielo.

 

Il primo ad aprire gli occhi fu Daniel, che cominciò ad accarezzare i capelli del barone per svegliarlo.

Dopo qualche minuto anche Alexander si svegliò e fece un grande sbadiglio.

 

“Non dormivo così bene da tanto tempo.” Ammise il bambino.

“Perché non rimane così allora?

Voglio dire, perché vuole tornare ad essere anziano?”

 

Sul volto del barone si formò una smorfia, poi spiegò.

“Ho già vissuto queste esperienze, molto tempo fa. Non voglio riviverle di nuovo.

 

Voglio soltanto riavere la mia vita indietro.

 

Se vuoi vedila dal punto di vista sociale.

Cosa credi che penseranno i miei colleghi? Non vorranno trattare con un bambino!

Come faccio a tenere sotto controllo Brennenburg e il castello in queste condizioni?”

 

“Lei è così saggio, barone.”

Ad un certo punto cominciarono a sentire un odore strano.

 

Alexander arrossì vertiginosamente e bisbigliò:

“Daniel… temo di essermi fatto la cacca addosso.”

 

Il ragazzo cercò di trattenersi dal ridere, ma non ci riuscì, scoppiando in una forte risata.

Il barone si coprì il viso con entrambe le mani per la vergogna.

 

Daniel gli diede un bacio gentile sulla testa.

Poi lo prese in braccio e andò in bagno per cambiarlo.

 

 

 

 

Nel corso della mattinata, i due passarono molto tempo nel laboratorio.

Alexander aveva estratto qualche fiala del suo sangue e le aveva posizionate in fila sul tavolino.

 

Il barone cominciò a dare ordini.

“Ora, non resta che iniziare gli esperimenti. Abbiamo già perso troppo tempo.

Se non ci muoviamo gli effetti potrebbero diventare permanenti.”

 

Afferrò una provetta dal tavolo.

“Tu mi farai da assistente, esegui tutto quello che ti dico io.”

 

Daniel annuì. Appoggiò sul tavolino tutti gli ingredienti necessari per un probabile antidoto.

Alexander armeggiava con gli alambicchi e le erbe con aria sicura, consapevole di ciò che faceva.

Visto da fuori sembrava un piccolo genio.

 

Un bambino così piccolo alle prese con la scienza.

 

 

 

 

Erano passati solo tre giorni dall’incidente, ma il barone era sempre più deciso nel suo intento.

Subito dopo pranzo si erano recati nel laboratorio per fare altri esperimenti.

 

I primi test erano falliti miseramente.

 

In un caso, alcuni cani su cui erano state fatte le prove tornarono cuccioli. Tutto l’opposto di ciò che stavano cercando.

In un altro, molti animali morirono a causa della pozione. Probabilmente aveva creato un potente veleno,

ma non era ciò che stava cercando.

 

Finalmente, dopo molti test, Alexander sembrava aver trovato un vaccino.

Il fumo rosso usciva lentamente dalla provetta, dall’aria per niente invitante.

 

L’effetto era quello desiderato.

Era un liquido in grado di far invecchiare la materia organica.

 

“Siete certo che vada bene?” Chiese titubante Daniel.

“Ne sono totalmente sicuro. Sulle altre creature ha funzionato.”

“Quanta ne deve prendere? C’è una dose prestabilita?”

 

L’espressione tranquilla del barone cambiò all’istante.

 

Adesso era molto preoccupato.

Aveva pensato a tutto, alla qualità degli ingredienti, gli effetti che avrebbe avuto,

ma non alla quantità che avrebbe dovuto ingerire.

 

Se ne bevesse troppo, l’antidoto potrebbe ucciderlo.

Invecchiarlo fino ad essere a un passo dalla morte.

 

Aveva la pozione in mano, o meglio, ciò che ne rimaneva.

L’aveva sprecata sugli animali e lo stesso valeva per il resto delle sostanze che lo componevano.

 

“Daniel…”

Cominciò a dire.

 

“Questa provetta è l’ultima che rimane.

Potrebbe essere letale, quanto inefficiente. Chi può dirlo.”

 

“Lasci perdere! Non vale la pena rischiare di morire!”

 

Il ragazzo cercò di sfilargliela di mano, ma Alexander la mise velocemente in tasca.

“Stai calmo. Non ho intenzione di berla. Non ancora.”

 

“Mi prometta che non farà cose azzardate, signore.”

Gli occhi di Daniel erano tristi. Non voleva perdere un caro amico a causa della sua disattenzione.

 

“Sembri stanco. Perché non vai a riposarti, mh?” Alexander cambiò discorso.

 

“D’accordo, barone. Vado a riposarmi nella mia stanza, se ha bisogno di me, sarò là.”

Di fretta il ragazzo uscì dal laboratorio e andò nella sua camera.

 

“Finalmente solo… a volte quel ragazzo è davvero impossibile.” Borbottò il bambino.

 

Stette qualche istante a fissare il fluido cremisi all’interno della fiala.

Poi con un unico sorso ne bevve il contenuto e cominciò a tossire.

 

Sembrava che avesse appena bevuto del fuoco e si mise in ginocchio, la provetta rotta davanti a sé.

“Forse aveva ragione Daniel…!” mormorò, accasciandosi a terra.

Tutto diventò buio all’improvviso.

 

Alexander svenne sul pavimento del laboratorio.

 

 

 

 

Qualche ora dopo, il barone riaprì gli occhi.

Emise un piccolo sospiro. Almeno non era morto.

 

Per prima cosa guardò le sue mani.

Erano esili, vecchie e rugose. Rovinate dal tempo e dal lavoro.

 

Cercò di alzarsi in piedi, ma sentì uno strappo nel mezzo della schiena.

Riconobbe i dolori che lo affliggevano meno di una settimana prima.

Sorrise di nuovo.

 

Sotto di sé un piccolo pezzo di stoffa, probabilmente il vestito che indossava prima della trasformazione.

Alexander si guardò. Era nudo, percorreva con le dita le proprie cicatrici, i tagli e le ferite che aveva guadagnato negli anni.

Si passò una mano sul torace, le costole sporgevano e la pelle era ruvida.

 

Sorrise ancora di più quando si accorse di avere un piccolo taglio sulla gamba destra, quello che Daniel gli aveva provocato appena un mese prima.

Era passato troppo vicino a lui con una sega. Sempre il solito distratto.

 

Con fatica, si alzò in piedi.

Tutto era tornato delle dimensioni normali.

Aprì la porta del laboratorio e si condusse barcollando nella propria camera.

 

Prese la camicia, la giacca rossa e i pantaloni.

Gli stavano alla perfezione.

 

Stette molto tempo a guardarsi allo specchio, il suo volto magro e l’espressione impassibile.

Guardò il fisico un po’ scheletrico a cui era abituato, ma capace di contenere tutta la sua forza di demone.

L’altezza era rimasta invariata, esattamente identica a prima.

 

Era soddisfatto di vedere che i suoi trecento anni erano tornati.

E li portava più che bene.

 

Poco prima di uscire dalla stanza, afferrò una frusta che era appoggiata su un mobile.

Poi si diresse alla camera di Daniel.

 

Lui era lì che leggeva, sdraiato sopra il letto.

Aveva la testa tra le nuvole, come sempre.

 

Entrando, Alexander fece schioccare la frusta e il ragazzo sobbalzò al suono.

Daniel rimase senza parole, subito gli corse in contro e lo abbracciò piangendo dalla felicità.

Immerse il proprio volto nel suo petto, contento di esser tornato il più piccolo e indifeso della situazione.

 

“…signore!”

Sussurrò, alzando lo sguardo e azzardando un sorriso.

 

L’espressione di Alexander era più cattiva e sadica che mai. Incuteva paura soltanto a guardarlo.

Con un ghigno stampato sul volto, accarezzò la testa del ragazzo e sibilò:

 

“Andiamo, Daniel. Abbiamo dei prigionieri che ci aspettano.”

 

 

 

                                                                                                                                                                                                                                           Fine.

 

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