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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La gita a Melbourne ***
Capitolo 2: *** A volte le botte di culo accadono ***
Capitolo 3: *** Gelsomino ***
Capitolo 4: *** Ritorno a casa. ***
Capitolo 5: *** La piscina ***
Capitolo 1 *** La gita a Melbourne ***
-Ehi, Em.- disse
una voce calda nel corridoio.
-Ehi, Jen.- rispose mollemente Emma alla sorella, mettendosi straiadata
sul letto e cercando di toccare il soffitto con la punta del piede.
-Non è che ti andrebbe di accompagnarmi per un lavoretto
giovedì prossimo?- Il viso magro e allegro della sorella
spuntò come una molla nella stanza.
-Ohi, e dove andiamo?- Di solito Emma non amava portare in giro una
scassapalle esuberante come sua sorella, ma quel giorno si sentiva
particolarmente di buon umore.
Jenny parlò molto lentamente, scandendo ogni singola sillaba
e dandole la sua suprema importanza:- Devo andare a fare un servizio
fotografico per una rivista a Melbourne.-
Subito il cuore di Emma si fermò. MELBOURNE. La
città dei suoi sogni. La città in cui abitavano
loro. I Janoskians. Cinque prankers, stupidi, belli, folli. Folli
proprio come lei, per questo li amava. Potete solo immaginare la sua
risposta.
Giovedì all'alba Emma salì sul pick-up di Jenny
che era tutto un fascio di nervi, assolutamente estasiata di
raggiungere quella città.
Il viaggio durò a lungo e quando le due ragazze arrivarono a
Melbourne era già pomeriggio. Jenny si era guadagnata due
posti in un albergo di centro città che aveva una bella
visuale sul panorama. Il giorno dopo sulle rive del fiume Yarra si
sarebbe tenuto il servizio fotografico, con tanto di fari della luce e
macchine del vento.
Ad Emma tutto questo mondo appariva così
meraviglioso, ma allo stesso tempo un po' estraneo. La notte non
riuscì a dormire all'idea del servizio del giorno
successivo. Ma soprattutto, all'idea di trovarsi lì.
Il mattino successivo il sole non fece in tempo a salutare il mondo,
che Emma balzò in piedi, scattante come 'un criceto in
overdose di anfetamine'. Così la definiva scherzosamente la
madre ogni volta che, in preda all'emozione, iniziava a saltellare per
tutta la stanza in cui si trovava, inonando le anime di tutti e
mortificando le orecchie con striduli versi.
Dopo una veloce passeggiata per la città arrivarono alle
sponde del fiume, che rifletteva i forti raggi solari. La luce violacea
del cielo all'alba si rifletteva negli occhi meravigliati di Emma, che
osseravava tutto ciò che vedeva e lo rendeva proprio. Usando
come sfondo cinque magnifici grattacieli Jenny e altri tre fotografi
realizzarono un servizio a dir poco meraviglioso di cinque modelle
svettanti nei loro tubini. Dopo circa due ore, proprio quando Emma
pensava che avrebbe potuto svenire dalla stanchezza, i quattro
fotografi salutarono con una cordiale stretta di mano le modelle e,
dopo una breve chiaccherata, si divisero.
Jenny corse verso Emma con il sorriso sulle labbra:- Allora, ti
è piaciuto?-
-Certamente, sei un fenomeno con quella cosa.- disse Emma accaezzando
con l'indice l'obbiettivo della Canon.
-Forza, andiamo a fare un po' di shopping!- disse entusiasta la sorella
maggiore, prendendo a braccetto Emma e trascinandola ridendo come un
tacchino in calore verso la via commerciale. Malgrado la malcapitata
odiasse andare a fare shopping con quella stellina rosa della sorella,
si fece trasportare nei negozi da lei, perchè sapeva quanto
Jenny adorasse passare questi momenti con lei.
Vide così tanti vestiti che solamente la metà le
avrebbero fatto venire la nausea. Alla fine del tour dello shopping
decise di mollare e di spegnere il cervello, abbandonandosi totalmente
al paradisiaco impiego di analizzare mentalmente ogni singola frase
delle canzoni dei Muse, che le avevano rapito il cuore anni prima.
Finito, finalmente, il giro, Jenny decise di andare ad un bar
lì vicino per mangiare qualcosa e rilassarsi un po': musica
per le orecchie di Emma e per le gambe affamate di riposo. Mentre
gustava il suo milkshake e il suo cheesburger, Emma guardava
affascinata le macchine e le persone che si muovevano a volte
freteticamente, a volte lentamente, a volte sembrava che fossero
trasportate dalla corrente ammassata e sudata di teste, vestiti e
dilatatori. Non che a Syndey mancassero certe visioni; anzi, anche
nella sua città passava ore ad osservare il movimento e la
crescita progressiva di ciò che la circondava. Una volta era
rimasta cinque ore a contemplare un filo d'erba e ad ascoltare i
palpiti accellerati del suo cuore che cercava di crescere, per
raggiungere il cielo. Eppure lì a Melbourne tutto sembrava
così magico, come se la gente fosse trasportata dalla
musica, da uno straordinario Lux
Aeterna.
Mentre le due ragazze parlavano tra di loro, Emma
sentì un rumore come di un orgasmo ostentato alle sue
spalle, poi un po' di parolacce urlate a caso e tante, tante risate.
Ecco, il solito gruppo di ragazzi deficienti venuti a disturbare un po'
di tranquillità. Decise che per dimostrare di non essere
interessata al loro giochetto stupido non si sarebbe girata. Giusto per
non incoraggiarli ad andare avanti. Ma non potè ignorare lo
sguardo della sorella che lentamente alzò il sopracciglio
perfettamente delineato da una pinzetta, per poi aggiungere con voce
scocciata:- Adesso che vengono qua gliene dico due, a quei due tipi
identici!-
E se...? Qualcosa scattò in Emma, una sinapsi alla
velocità della luce le sussurrò nell'orecchio: e
se fossero proprio Jai e Luke? Luke. E Jai, ovviamente. Ma soprattutto
Luke. Con uno scatto si voltò per guardare. Aveva il battito
del cuore a mille e il cervello ormai fottuto.
Due ragazzi, sui diciassette anni. Castani. 1.70 di altezza. Identici.
Uno a torso nudo, uno con in mano una piccola telecamera. Uno riccio,
l'altro liscio. Uno un piercing al labbro, l'altro un paio di
orecchini. Uno lo sguardo da pazzo, l'altro l'aria da ragazzo della
porta accanto.
Aveva davanti un sogno o cosa? Luke e Jai Brooks erano davvero davanti
a lei?
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Capitolo 2 *** A volte le botte di culo accadono ***
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Con tutti i pensieri che
avrebbe potuto avere, tutti i ringraziamenti, a Dio, alla sorella e
perfino al tour dello shopping, riuscì a focalizzare solo una
cosa: a volte le botte di culo accadono.
Emma avrebbe tanto desiderato fare anche solo un passo verso i due
ragazzi, che si erano fermati a parlare e a ridere sguaiatamente a due
passi da loro. Eppure era immobilizzata da una strana pressione alle
gambe e al sedere, come se il suo corpo si rifiutasse di proseguire.
Paura, Em? sembravano sussurarle malefici i piedi. Proprio lei, Emma
Paltry, la ragazza tosta e forte della scuola, paura di avvicinarsi a
due ragazzi minimamente famosi. Si maledisse per essere così
spaventata e per un attimo pensò di piantarsi una forchetta nel
palmo della mano per svegliarsi un poco. Poi con un sospiro
inavvertibile si arrese, accasciandosi sulla sedia, distrutta dalla
lotta interiore. Si limitò a fissare per qualche secondo dalla
sua posizione il gomito di Luke, le minime grinze della pelle e come le
costole affiorassero leggermente dalla carnagione chiara, come se
fossero curiose di vedere cosa ci fosse fuori da quel corpo caldo, ma
non abbastanza coraggiose da separarsene.
Ma nel momento in cui percepì il minimo movimento da parte di
Jai, il curvarsi di una gamba, capì: ora o mai più,
alzati, pezzente.
BOOM! Scattò in piedi senza averlo comandato veramente a se stessa e urlò:- Non andate via!-
Tutta la gente intorno si era voltata a guardarla. Volle morire
risucchiata dal cemento caldo sotto le sue Vans. Era come se fosse il
centro di tutto, tutti gli sguardi e tutti i gesti dipendevano da lei
ed erano in mano sua. La sorella, con un vago tono di disprezzo,
accennò un:- Ma che diavolo...?!-
Si rese conto che Jai la stava fissando, scrutandola con gli occhioni e
analizzando ogni singola particella del suo essere. Poi volse
impercettibilmente la testa e ciò che vide le fece pensare
ancora che le botte di culo a volte accadono. Alla sua sinistra c'era
lui, proprio lui: "riccio ribelle" aka "giuro che un giorno lo sposo"
aka "madonna mia!" aka Luke Anthony Mark Brooks. Che guardava proprio
lei, e lei sola. Emma si fermò per un attimo ad osservarlo. Non
era possibile, quello non era il ragazzo di Youtube. Era stranamente un
altro lui, degli occhi profondi e vivi, non composti da pixel, una
bocca realmente profonda ed un piercing che si tuffava così
crudelmente nella sua carne che Emma sentì una fitta al labbro
inferiore. Una leggera spinta di coraggio costrinse il suo braccio a
stendersi nella sua direzione. Voleva assicurarsi che quel cuore
battesse veramente. Allora lui abbassò lo sguardo verso la magra
mano con le unghie rosicchiate che si tendeva in direzione del suo
stomaco. E quando rialzò lo sguardo, sorrideva. Un sorriso
sghembo, di quelli che faceva quando era leggermente imbarazzato.
Afferrò quella piccola mano e con un minimo sforzo la
tirò a sè e la abbracciò, immergendo il mento
nella curva tra collo e spalla. Cazzo, questo non lo dovevi proprio
fare.
Emma chiuse gli occhi, cercando di controllare le gambe tremanti e il
battito a mille e di concentrarsi sul corpo che la circondava
completamente. Finalmente in mezzo a quel turbinio di emozioni
riuscì a percepire un contatto con lui, riuscì a sentire
un vago profumo di familiarità e sì, un battito cardiaco
leggermente sopra la norma. Come disse il suo dio, Justin, avrebbe
potuto morire nelle sue braccia e nella sensazione che lui fosse ormai
parte integrante del suo corpo. Poi lui, ancora senza avvertire, si
staccò ed Emma sentì di essere stata separata dal suo
vero cuore.
Allora anche Jai si fece avanti con la sua buffa camminata da pinguino
e la circondò con la braccia. Oggi deve essere il giorno
più bello della mia vita, fu il secondo ed ultimo reale pensiero
che riuscì a formulare lei quel giorno.
-E' sempre bello incontrare fan come te.- disse semplicemente Jai abbozzando un sorriso timido.
Emma si sentì motivata a proseguire, insomma, la parte
più tosta l'aveva passata, parlare con loro sarebbe stata una
passeggiata. Così aprì la bocca ma la voce che
sentì non era la sua:- Cioè, tu conosci questi?- disse
Jenny con un tono scandalizzato.
-E chi sarebbero?!?-
Emma sarebbe volentieri saltata al collo della sorella. Guardò
Luke e capì che lo stava perdendo. Si girò verso di lei e
le urlò in faccia, sputandole addosso con odio tutte le parole
che si ritrovava in testa:- Hai presente quando mi dici che ho un'aria
felice e che mi vedi proprio bene? Beh, Jenny cara, ti presento Jai e
Luke, i ragazzi che mi fanno ridere quando il resto del mondo mi fa
sentire una merda!-
Forse aveva esagerato. Jenny chinò il capo e poi disse:-Va beh,
io vado in quel negozio là, ho già pagato il conto, tu
sai dove trovarmi.-
Emma si sentì un po' in colpa per aver trattato così male
la sorella, ma non era la cosa che la preoccupava. Sì giro per
vedere se loro, effettivamente, erano rimasti. Fortunamente quando si
girò dovette trattenersi dall'infarto che le prese quando vide
che erano ancora lì a osservarla, evidentemente imbarazzati.
-Ehm, mi dispiace.- disse scrutando nei loro per vedere se li avrebbe
riconquistati o meno. Solo un paio di quegli occhi parve risvegliarsi
presto da quel torpore che li rendevano ancora più profondi.
Jai, invece, dopo averla salutata con un sorriso cordiale e averle
detto che non importava, si allontanò lentamente, giocando con
la telecamera. Poi, dopo qualche passo, si fermò, si
voltò e disse al gemello:- Tu non vieni? Andiamo al centro
commerciale adesso!-
Non poteva andare via. Non in quel momento. Di nuovo di colpo, senza
neanche lasciarle assaporare l'amaro gusto di un addio. Emma lo
guardò con occhi imploranti. Lui forse se ne accorse
perchè aggiunse subito ad alta voce:- Va' avanti, ti raggiungo
fra poco.-
Sarebbe rimasto. Uno, due, tre minuti. Poco, ma sarebbe rimasto. Un sorriso si fece largo gioiosamente sul viso di Emma.
Da quel momento per loro due non esistì più nient'altro
se non lo sguardo scrutatore dell'altro. Si scavarono dentro l'anima
per due minuti, forse cinque, forse un'ora, forse un giorno intero.
Luke si immerse senza aver prima preso una boccata d'aria nei suoi
occhi marroni, rischiando seriamente di annegare. Quando pensava che
sarebbe potuto morire così, sepolto nell'anima di quella
bellissima ragazza che si trovava di fronte, trovò ciò
che cercava: un piccolo cuore, piccolo come tutta la ragazza, che
batteva freneticamente, come per liberarsi dai tendini che lo tenevano
stretto. Dunque in fretta risalì la corrente, su, su, fino alla
testa, oltre al naso all'insù, fino agli occhi. Respira. Dopo il
tempo che gli fu necessario per riprendersi da quel faticoso viaggio,
si assicurò di essere ancora in grado di stare in piedi, e
parlò:-Come ti chiami?-
La risposta arrivò così naturale e limpida che
pensò di averla formulata lui stesso, nella sua testa:- Emma.-
Emma. E. M. M. A. Lettere così dolci e sinuose, quasi sensuali.
Luke si assicurò ancora una volta di essere cosciente e le
chiese, con tutto il coraggio che riuscì a racimolare:- Bene,
Emma.- Piccola pausa per assaporare quel nome sul filo delle labbra.-
Emma, vorresti uscire con me?-
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Capitolo 3 *** Gelsomino ***
La testa di Emma
si fece più pesante e il mondo esterno a lei e Luke apparve
torbido e offuscato. Un ronzio lontano si amplificò nella
testa fino a farle credere che si sarebbe strappata le orecchie per il
nervoso. Per un attimo pensò che sarebbe potuta svenire
lì, in mezzo alla strada. Poi lentamente iniziò a
riemergere dalle profondità del suo petto e il nero si
schiarì fino a diventare il verde scuro degli occhi di Luke.
Era passato già troppo tempo da quando Luke le aveva chiesto
quella cosa
e lui iniziava a guardarla con la testa storta, lo sguardo ormai
rassegnato. Emma pensò che le sarebbe piaciuto moltissimo
andare da lui e abbracciarlo di nuovo solo per dimostrargli che non
avrebbe mai dovuto essere triste. Allora capì che era ancora
una questione di un attimo, un attimo prima lui era lì,
l'attimo dopo no. A volte certe frasi, per quanto corte o dette senza
curarsene molto, possono capovolgere un momento, che non ti
porterà più alla stessa strada che avresti
percorso se non avessi detto quella frase.
-Sarebbe un onore.-
Il resto non esisteva più, a parte il tempo, ovviamente.
Emma in futuro non ricordò nulla di quella settimana, se non
che il tempo sembrasse aver tirato il freno a mano. Veramente,
perchè quello stupido non si metteva a correre
forsennatamente come faceva durante le vacanze estive? Stupido,
stupido, stupido. Non aveva mai amato quel sarcastico del tempo, cinico
e bastardo.
Luke sarebbe andato a Sydney quella domenica per trovare sua zia, la
sorella di Gina. Ma aveva promesso ad Emma che sarebbe stato tutto il
tempo con lei. E non aveva mai fatto una promessa così
spontanea e sincera.
Finalmente le ultime ore si colmarono in fretta di eventi ed Emma si
trovò a camminare in All Star e salopette per Sydney,
chiedendosi come diavolo facesse ad essere tutto quello reale.
Probabilmente era uno di quei sogni talmente realistici che ti sembrano
veri fino a quando non ti svegli. La parte ottimista di lei, invece,
continuava ad urlare: questa è realtà, babbiona!
Più si avvicinava al punto in cui si sarebbero dovuti
incontrare più i suoi occhi si aggiravano intorno allarmati,
scattando come molle da una parte all'altra della strada. E se avesse
sbagliato ora? Se non fosse venuto? Se avesse capito male il luogo?
No, lui era lì. Gli occhi attirarono come una corda il corpo
esile della ragazza, che cercò, inzuppata di paura, di
creare un poco di resistenza. Ma era inevitabile non aggrapparsi a
quella corda che, lo sapeva, avrebbe portato solo a cose straordinarie
e tormentate. Magari non solo belle, magari la aspettavano anche brutte
sorprese. Ma diavolo, non aveva mai amato l'idea di perseguire una vita
grigia. Così strinse le dita affusolate attorno all'aria e
si aggrappò stretta per non cadere.
Ancora il tempo, sempre il tempo, sempre e solo lui. Mentre i due
camminavano parlando tranquillamente lui toglieva ingannevole il
cemento sotto i loro piedi, costrigendoli a correre. O forse a tenersi
le mani per non scivolare.
-Voglio portarti in un posto.- disse Luke sorridendo leggermente.
Camminarono per un po', fino a quando non furono davanti ad un grande
portone in legno che sembrava aver affrontato cinque guerre mondiali.
Luke bussò forte sulla porta per un minuto intero, sempre
più forte. Emma lo fissava quasi delusa perchè
non accadeva nulla ma allo stesso divertita nel vederlo schiantarsi di
petto contro il legno pur di farsi aprire, rimbalzando completamente a
terra. Lei gli corse intorno e gli prese la mano per farlo rialzare.
-Tutto bene?- disse cercando di reprimere le risate. Ma non ci
riuscì e si sedette a terra accanto a lui, gettando la testa
all'indietro e ridendo colori meravigliosi, ridendo tutto
ciò che c'è di genuino e meraviglioso nel mondo,
ridendo degli occhi che piangono per la gioia e l'amore di un animale
per il suo padrone, ridendo la mente stupenda e libera di cattiverie di
un bambino, come sempre ridendo tutta se stessa.
Lui si rialzò lentamente guardandola estasiato. Mai visto
nessuna come lei. La bocca spancata in quella risata argentina era il
lasciapassare per arrivare al suo cuore. Si avvicinò deciso
a poter avere in anticipo con un bacio un assaggio di paradiso. Ma
dall'alto una voce di una donna urlò in un irlandese
piuttosto incazzato:- Brooks, che diavolo ci fai qui?!? Per tua
informazione questo è l'unico periodo della settimana in cui
il signor MacKirk non è impegnato a potare le sue adorate
gardenie e me lo stavo godendo proprio!-
Luke rise leggermente e le urlò:- Ti prego, Marge, fammi
entrare! Volevo farle vedere il vostro giardino!-
La donna rientrò scocciata in camera stringendosi nella
vestaglia a scacchi e urlando forte:- Aperto come al solito.-
Luke si alzò con un viso sbattuto appoggiandosi ad Emma e si
avvicinò alla porta. La sfiorò leggermente e si
aprì con un cigolio. Emma di nuovo scoppiò a
ridere davanti alla faccia sconvolta di Luke. Poi lui le prese la mano
e la portò con sè attraverso uno scuro corridoio
con il pavimento a scacchi. Arrivati davanti ad un'altra porta Luke si
girò verso di lei e guardandola dritto negli occhi disse con
il fiatone:- Pronta ad entrare nel Paese delle meraviglie?-
Emma sorrise: ci era già. Annuì decisa e lui con
una mano spalancò il portone. Quando il sole
irradiò il suo volto, accentuando i suoi lineamenti, Emma
pensò che non avrebbe potuto desiderare di essere in un
altro qualsiasi posto in quel momento.
-Forza, andiamo!- disse lui circondandola con le braccia e conducendola
all'interno del giardino. Quando Emma si abituò alla forte
luce del sole che le aveva sferzato violentemente il viso, vide un
giardino meraviglioso, pieno di piante esotiche e colori meravigliosi.
Nell'aria volava a bassa quota un lieve profumo di gelsomino. Lei
chiuse gli occhi e con un sorriso si fece condurre da quel profumo
paradisiaco, trascinando dietro di sè lui. Non importava se
tra lei e quel fiore c'erano altre piante, non importava, l'avrebbe
trovato. Finalmente, quando ogni singola cellula della sua anima fu
pervasa da quella specie di malefico odore creato per confondere le
menti degli uomini, aprì gli occhi. Davanti a lei spuntava
orgogliosamente un unico gelsomino, candido e fiero, che svettava su
tutti gli altri fiori con la sensualità e la dolcezza
regalatagli da Dio. Era così perfetto che Emma si trattenne
dallo strapparlo da quel contesto. Che crimine stava per fare. La
natura è sempre meglio senza l'egoismo dell'uomo che crede
che tutto appartenga a lui.
-Ehi.- rimbombò in tutto quel silenzio la voce di Luke. Lei
si girò. Lui era un po' come quel gelsomino. Perfetto nella
sua unicità e orgoglioso di essere se stesso. Avrebbe dovuto
raccorglielo o lasciarlo alla natura che con tanto amore lo aveva
creato? A volte l'egoismo prende incontrollabilmente il sopravvento, e
non c'è pensiero razionale che lo possa frenare.
Emma decise di scoprire che sapore aveva la felicità.
Così si sporse fino a far toccare i loro nasi.
Sentì il suo respiro caldo sul collo.
Luke pensò che a volte la vita ti regala qualcosa
così, senza chiedere nulla in cambio. Lei era come qualcosa
di migliore, così puro e felice. Lei era la parte illuminata
della sua anima perversa e triste. Il ragazzo frustrato ha trovato
qualcuno di luminoso. Non poteva rischiare di ricadere
nell'oscurità. Così chiuse gli occhi,
aspirò il profumo di gelsomino e si buttò nel
vuoto. Per fortuna a sostenerlo trovò le labbra morbide e
profumate di lei.
Emma credette che sarebbe impazzita. Si strinse a lui e schiuse le
labbra assaporando il rude sapore metallico del suo piercing, che
contrastava con le labbra carnose e succulente.
Che sapore ha la felicità? Gelsomino.
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Capitolo 4 *** Ritorno a casa. ***
Quando Emma si
staccò lentamente dal corpo caldo di Luke, rimase per un po'
ad osservare il suo viso così dannatamente attraente. Non le
erano mai piaciuti i ragazzi perfettamente carini e pettinati alla
maniera giusta, vestiti di marca e con una vita senza rimpianti.
Adorava la piccola scintilla di stranezza che luccicava nella pupilla
di lui. Lui era diverso. Forse anche un po' matto. Era questo
ciò che la rendeva completamente persa di lui.
La distanza tra le due città era ampia, ci
volevano parecchie ore di viaggio per raggiungere Melbourne. Luke corse
verso la macchina, trasportato dal vento che portava alle sue orecchie
una melodia nuova, trionfante e profumata di estate. Anche se davanti a
lui c'era una strada, macchine, persone. Ma lui riusciva a vedere
solamente il sorriso angelico di lei e riusciva a ricordare solamente
la morbidezza della sua pelle che sapeva d'arancia. Nella sua mente
rimbombava con un ritmo tutto particolare la frase che le aveva
pronunciato all'orecchio poco prima.
Mi hai salvato.
Guidò tutto il pomeriggio e continuò
anche quando il cielo si fece scuro. Gli occhi bruciavano e le palpebre
lottavano per chiudersi su se stesse. Il cruscotto luminoso segnava le
2.13. Luke decise che sarebbe stato meglio fermarsi, così
accostò ad un campo al lato dell'autostrada deserta. Scese
barcollando leggermente, per poi cadere sulle ginocchia in mezzo a
centinaia di migliaia di spighe di grano. Un vento impercettibile
soffiava tiepidamente tra queste, che frusciavano debolmente al pigro
volere della brezza estiva. C'era sapore di sonno nell'aria.
Luke rimase in silenzio ad ascoltare il concerto delle spighe
e pensò che quello era uno di quei giorni che non dimentichi
neanche dopo venti anni.
Si lasciò cadere sulla schiena ed
osservò il cielo nero che gli offriva perle luminose in
quantità. Sorrise. Nel cielo era apparso il volto di lei. Un
sospiro trattenuto e madido di emozione percorse il suo petto mentre si
ritrovò a osservare nuovamente la piega graziosa che
prendeva il suo labbro superiore quando rideva. Tese la mano verso il
cielo, desiderando di poter toccare il suo volto di nuovo. Rimase
così per cinque minuti, poi richiuse gli occhi e si
addormentò profondamente.
Una coccinella aprì le ali e spiccò il
volo ronzando soddisfacentemente. Luke aprì gli occhi
lentamente, riparandosi con una mano dall'accecante raggio di sole che
sembrava concentrato tutto sul suo viso. Quando si fu ripreso
balzò in macchina e viaggiò per gli ultimi
chilometri con i finestrini abbassati e la musica a palla. Era un
mattino diverso, per la prima volta da un sacco di tempo si alzava con
la consapevolezza che il mondo era migliore del regno dei sogni. Lei
era il migliore della sua giornata.
Raggiunta casa sua, scese dalla macchina e si
avvicinò alla porta nera della villetta. Suonò il
campanello sperando che Jai venisse ad aprirgli. Era decisamente troppo
di buon umore per sopportare le battutine a sfondo sessuale di Beau su
Emma o una sgridata di sua madre sul perchè fosse tornato
solo a quell'ora. Per sua fortuna quando la porta si aprì
lui si trovò davanti alla versione 'capelli lisci' di se
stesso.
-Hey- disse Jai sfoderando uno di quei suoi sorrisi da
ragazzo buono. Poi esitò un po' prima di dire altro e
cercò di indovinare dallo sguardo del gemello com'era andato
l'appuntamento. Una scintilla di follia gli accendeva gli occhi. Gli
bastò questo per capire.
Non era lei che camminava per la strada, era la strada che scorreva
sotto i suoi piedi. Il mondo si trovava ad una spanna più
lontana dal suo corpo leggero come l'aria. Stava quasi per sbattere il
naso contro il portone della sua villetta. Aprì la serratura
con le mani sudate e il cuore che palpitava, correndo su e
giù per tutta la lunghezza del suo corpo. Con uno scatto la
luce di quella calda giornata di gennaio entrò violentemente
nella stanza buia e dall'aria viziata.
Emma attraversò la stanza incurante del muro di respiri
caldi che le rendeva difficile camminare. La casa era vuota, e lei la
riempiva di se stessa.
Accese con le mani tremanti il computer. Aspettava. Com'è
lenta la connessione oggi. Cazzo, dai. Porca puttana, se non apri
Google subito giuro che ti mando in rottamazione.
Quando, dopo sedici lunghi minuti, Emma riuscì a
connettersi, veloce si precipitò a digitare le parole 'luke
brooks' su Google immagini. Le apparvero davanti agli occhi milioni di
foto, miliardi di pixel colorati che raffiguravano solo lui, ovunque
c'era lui. Luke. La mano di Emma automaticamente si tese a toccare lo
schermo. Quel viso... era reale, ora lo sapeva.
Non era più costretta ad adorare come una statuetta una
foto. Non era più schiava di uno stupido computer a
connessione lenta. Ora lei aveva la possibilità di sentire
la sua pelle sotto il suo palmo. Fissò a lungo le sue
labbra. Erano sue ormai.
-Ci sono i ragazzi in giardino.- disse Jai. - Mi hanno chiesto
perchè non ci fossi. Mi hanno tirato un pugno nei coglioni
ed io ho parlato. Preparati per il discorso.-
-E' tanto terribile?- chiese Luke alzando le sopracciglia. Ma in fondo
la risposta la sapeva già. Avrebbero fatto scene sul fatto
che lui non avrebbe più potuto essere parte dei Janoskians
fino a fargli promettere solennemente che avrebbe dedicato
più tempo al gruppo che ad Emma. Viva i Janoskians, viva la
figa e viva sballarsi. Per sempre.
Sospirò e superò il fratello con una spallata.
Lui aveva resistito a tre calci nei coglioni quando Jai era rimasto in
America un giorno più di loro.
Nel giardino spelacchiato erano seduti a cerchio tre ragazzi. Suo
fratello Beau stava tirando da un narghilè, mentre Skip e
James ridevano di cazzate loro. Ma appena lo videro saltarono in piedi
come molle e gli vennero incontro con volti scuri. Iniziava sempre Skip.
-Non ci si comporta così con gli amici.- disse il ragazzo
sputandogli in faccia parole dette con uno strano accento libanese.
E dopo iniziò a parlare Beau sul 'perchè io
rinuncio alla figa per stare con i miei migliori amici'.
Ma la stoccata finale fu tutta di James, che si fece avanti minaccioso
con tutta la sua mole:- Devi scegliere chi preferisci. Quella.- Beau e
Skip sputarono a terra -O noi.-
Jai si fece avanti e gli afferrò saldamente le braccia. Gli
sussurrò piano all'orecchio uno 'scusa'. A turno tutti e
quattro i ragazzi gli tirarono un pugno nel cavallo dei pantaloni. Era
la procedura.
-Allora,- disse Beau solennemente -prometti che passerai più
tempo con la tua famiglia che con lei?-
-Prometto- disse Luke con un filo di fiato. Avrebbe voluto urlare.
James intonò l'inno con una voce ruggente:-Viva i
Janoskians, viva la figa e viva sballarsi.-
-PER SEMPRE!-
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Capitolo 5 *** La piscina ***
-Forza,
entra, ti stiamo aspettando!- disse Luke con un ampio sorriso ad
un'Emma piuttosto intimidita che sorrideva per nascondere la tensione.
La ragazza mise la testa furtiva nel vano della porta e si diede
un'occhiata intorno. Era per caso passato un treno sopra quella casa?
C'erano ovunque felpe, maglioni, calze. Un coniglio bianco le
tagliò la strada quando cercò di mettere piede
nella villetta.
-Ehm, non fare caso al disordine, è che...- disse Luke
passandosi una mano tra i capelli ed abbonzando un sorriso timido.
-Non importa, se ci sei tu mi guardo poco intorno.- disse Emma
sorridendo. Si protese con tutto il suo corpo verso di lui per
baciarlo. Lui le cinse la vita con le braccia tatuate e lei si
aggrappò al suo collo. Erano una cosa sola, una fusione di
corpi che scompaiono uno attorno all'altro. Come un cerchio, non
esistevano punti di rottura o angoli in loro.
Anche se era entrata nella villetta per la prima volta, lei sapeva di
essere a casa.
-Ehi, Emma!- tuonò una voce calda dalla cucina. I due
ragazzi sobbalzarono staccandosi con uno scatto spaventato. Jai
uscì dalla cucina con le braccia alzate al cielo, come se
stesse cercando di afferrare il soffitto e scattò verso
Emma. La ragazza con un risolino acuto si lasciò abbracciare
da quel ragazzo, che sudava gioia e sorrideva sempre. Era bello
abbracciare Jai, era qualcosa di felice e piacevole, profumava di erba.
Era la cioccolata della domenica mattina, era la neve, la bicicletta
con cui aveva viaggiato mezza Australia, era il suo album preferito.
Era l'amico speciale.
Quando si fu staccata dall'abbraccio di Jai, vide dietro di lui una
figura piccola, ancora più piccola di lei. Fece appena in
tempo a mettere a fuoco l'immagine della ragazza che le
sfuggì un piccolo grido e le corse incontro per
abbracciarla.
Ariana rise dolcemente lasciando avvolgere dalle braccia profumate di
Emma. 'La ragazza di Luke' pensò Ariana e sorrise. Era la
prima che il gemello di Jai sembrasse veramente in pace con
sè. Sembrava una ragazza in gamba, una di quelle che riesce
a vivere perchè non le importa cosa pensino gli altri.
Emma aveva sempre preferito le Vans ai tacchi, i jeans alle gambe, il
rock-punk ai dj e alla musica dance, il cioccolato alla dieta, i film
fantasy ai film da botteghino di Ashton Kutcher e Zac Efron. Sapeva di
essere diversa dalle cheerleaders o dalle ragazze popolari del liceo,
da quelle che leggono Sophie Kinsella o che vengono elette reginette
del ballo. Ma non importava, non aveva mai importato. Si era sempre
sentita adeguata, nella sua nicchia di felicità.
Quando i quattro ragazzi uscirono dalla casa il sole era ormai
tramontato dietro le case a schiera di Melbourne.
Salirono tutti sulla macchina di Jai e partirono, verso la strada che,
lentamente, veniva mangiata dal buio. Alla radio suonava 'The Only
Exception' dei Paramore. Mentre Emma, stretta tra le braccia di Luke,
canticchiava il ritornello, guardò Luke. L'ultima luce
batteva sul suo viso, portando alla luce tutto ciò che di
giorno non si riusciva a vedere. Osservandolo, per la prima volta gli
sembrò debole, sconfitto, ma felice. Si ripromise che
l'avrebbe sempre protetto, sempre.
Luke volse lo sguardo verso Emma, la sua bellissima Emma. I grandi
occhioni marroni erano sempre spalancati di meraviglia e le sue labbra,
così morbide, erano sempre contratte in una smorfia che gli
ricordava un fiore raro.
Fuori calava l'oscurità e le prime stelle nacquero nel
cielo. Luke sfiorò con la bocca il suo orecchio e le
sussurrò lentamente:-Look at the stars, look how they shine
for you.- Poi chiuse gli occhi e si appoggiò alla sua spalla.
Dopo mezz'ora Jai fermò la macchina. In mezzo al buio si
riusciva ad intravendere un cancello nero circondato da alberi.
-Menomale che ti sei ricordata di non mettere il vestito, amore!- disse
Jai quando Ariana scese dalla macchina.
-Che dobbiamo fare?- chiese Emma squadrando i gemelli, che continuavano
a scambiarsi sguardi complici.
-Entriamo in questa villa, naturalmente.- rispose Jai allargando le
braccia e ridendo.
Un'espressione di stupore apparve sulle labbra delle ragazze, che
rimasero sbigottite, mentre Jai e Luke iniziavano già ad
arrampicarsi agilmente sull'inferriata. Emma incontrò lo
sguardo di Ariana, un misto di ansia e divertimento. Incrociarono gli
sguardi e risero. Mai avrebbero potuto sentirsi così vive.
A fatica, anche le due ragazze riuscirono a superare il cancello in
ferro. Atterrarono in un giardino buio e rumoroso. C'era un frinire
talmente assordante da coprire i rumori delle poche parole sussurate
alla ricerca di qualcuno che riuscisse a percepirle.
Seguendo un faro lontano, Emma riuscì ad uscire dal
corridoio buio in cui era finita. Ariana le stava dietro, tenendole la
mano. E se fosse spuntato da qualche cespuglio un cagnaccio ragnoso?
Quando furono arrivate in uno spiazzo illuminato, la luce a led di un
lampioncino colpì in pieno i visi, tanto che ognuna dovette
proteggersi gli occhi con la mano che non stringeva saldamente quella
dell'altra, prima di riuscire a scorgere un ampio spazio pieno di
sdraio allineate e ombrelloni ripiegati. In mezzo troneggiava
fieramente un'enorme piscina stracolma di acqua, la quale sbatteva
sciattamente contro il bordo in pietra.
I ragazzi erano già immersi nella piscina. I loro vestiti,
da blu, grigi e verdi, erano diventati neri. Si erano tuffati
completamente vestiti.
-Forza, non venite? L'acqua è bellissima e il vecchio
custode è in vacanza in questo periodo!- urlò
Luke, inghiottendo per questo acqua e iniziando a sputacchiare ovunque.
Ridendo Ariana si tolse le scarpe e correndo si tuffò in
acqua. Emma rimase un secondo sul bordo della piscina. Quando
incrociò gli occhi di Luke, puntati su di lei, fissi ed
intensi, prese la rincorsa e...
Sono i momenti in cui sappiamo che stiamo vivendo, i momenti in cui
gettiamo la testa indietro e ridiamo. E ringraziamo chi ci ha donato
quella perla di felicità in un universo di
banalità.
L'aria fredda, il vento. E poi la caduta verso il basso, attratta
brutalmente verso il fondo nero della piscina. Calda, fredda, tiepida.
Acqua nelle orecchie, stordimento. Momentanea perdita della vista. E
poi, la rinascita. La risalita, per terminare con una violenta zaffata
di vento gelido. Emma si guardò intorno e vide Ariana e Jai
che si spruzzavano acqua ridendo. Ma dove poteva essere finito...
Luke si piazzò sotto i suoi piedi, trattenendo a fatica il
fiato. Poi risalì, spingendole le gambe per farla ribaltare.
Quando risalì lei era lì, tutta fradicia e
pallida, con la pelle lucente come una sirena, che rideva in direzione
del cielo scuro. Si avvicinò alla sua pelle candida, le
sfiorò la guancia delicatamente, per non sciuparla.
Ti amo, avrebbe voluto dirle. Invece si limitò a baciarle il
collo lentamente, per assorbire la sua anima.
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