HAWKEY-HAWKE

di Alvin Miller
(/viewuser.php?uid=112400)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1: Ian ***
Capitolo 2: *** 2: Manty ***
Capitolo 3: *** 3: Linda ***
Capitolo 4: *** 4: Dave ***
Capitolo 5: *** 5: Randal ***
Capitolo 6: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** 1: Ian ***


Fu un’estate calda, davvero molto calda, quella che colpì il Wisconsin quell’anno.
Il silenzio della notte veniva spezzato solo dal ritmico cri cri dei grilli, che insieme alla brezza che scuoteva gli alberi e agli uccelli notturni che con i loro versi annunciavano al mondo la loro presenza, conferiva alle notti della contea quell’ipnotica tranquillità tipica della stagione.
In un’abitazione in particolare, un piccolo ventilatore di seconda mano che ormai era prossimo alla discarica, cercava faticosamente di rinfrescare l’aria, mentre nel letto, tra coperte dismesse e afa insopportabile, un uomo dormiva, girandosi di tanto in tanto da un lato all’altro del materasso.
Stava facendo un sogno bellissimo, uno di quelli che si vorrebbe non finissero mai: era tornato a essere ricco e famoso, circondato da ammiratori e richiestissimo nei party. Non più squallida casupola di contea, ma sfarzoso attico ai piani alti dell’elite di Los Angeles, tra fiumi di soldi e feste da sballo in compagnia dei Vip più cool di Hollywood.
Ma come ogni grandioso sogno che si rispetti, avvolte è sufficiente il suono di una sveglia (anch’essa di seconda mano) per spezzare la magia dell’illusione.

Venne ben presto la mattina, e l’apparecchio cominciò a squillare prepotente dal comodino di fianco al letto.
L’uomo fu strappato dal suo meraviglioso sonno e costretto ad affrontare la dura realtà del risveglio. Allungò una mano per tastare la superficie dell’apparecchio alla ricerca del dannato tasto che la spegnesse, e quando lo trovò, la voce di Morfeo lo richiamò a se, convincendolo a ignorarlo e a tornare a dormire.
“Solo un altro po’”. Un invito che puzzava di menzogna, ma che diavolo, era così allettante! Dormire ancora un po’! Come dirgli di no?
Si appisolò nuovamente, ma per poco: La sveglia si riattivò da sola!
Mugugnò e aprì gli occhi, colto dal dubbio: l’aveva spenta sul serio? Non poteva aver premuto accidentalmente la funzione per rimandare l’allarme, anche perché tale funzione non c’era! La sua era una sveglia del modello più classico che si potesse immaginare: meccanica, con le lancette e la coppia di campanellini collegati insieme da un manico di metallo, poteva solo impostarla o disattivarla!
Complice il sonno che non gli consentiva di ragionare lucidamente, non diede troppo peso alla cosa e si limitò a spegnerla una seconda volta, per poi tuffarsi di peso sul cuscino e tornare a sognare i suoi party pomposi.
Finalmente si illuse di essersi conquistato il diritto di dormire, e stava già riassaporando i piaceri del sonno, ma ecco che l’apparecchio tornò di nuovo alla carica, riattivandosi per la terza volta!
Questa volta volle credere di starselo solo immaginando, pensare che se lo avesse ignorato, esso si sarebbe disattivato da solo una volta per tutte, ma ovviamente, era troppo bello per essere vero.
S’infuriò per la strafottenza dell’apparecchio e senza pensarci due volte lo afferrò per il manico e lo lanciò con tutta la sua forza contro la parete di fronte a sé, mandandolo in frantumi.
“Finalmente!” Esultò in silenzio. Ora niente si sarebbe frapposto tra lui e il richiamo.
Mentre si rimetteva a dormire, si chiese tra sé e sé cosa lo avesse spinto, quel giorno, a decidere di impostare un timer per svegliarsi, anche se non aveva nessun lavoro da svolgere e alcun appuntamento da raggiungere?
Ad ogni modo, riuscì quasi a prendere sonno, soddisfatto e trionfale, quando nuovamente e contro ogni aspettativa, l’indolente sveglia, apparentemente distrutta e indifferente al fatto di essere oramai in frantumi, ricominciò a drinnare.
L’uomo si mise seduto a letto, fissandola mentre da terra essa parve quasi burlarsi di lui «D’accordo, hai vinto te. Mi alzo!»
Non ne aveva alcuna voglia, ma ormai era fin troppo scombussolato per dormire, e inoltre, a giudicare dalla luce intensa che filtrava dalla finestra, la mattina era giunta già da un pezzo, quindi tanto valeva alzarsi. S’infilò le ciabatte ai piedi e uscì dalla stanza. In quel momento la sveglia cessò definitivamente si suonare.
“Lasciala perdere, ha avuto quello che voleva, più tardi le faremo conoscere il Signor Bidone della Spazzatura.” 
Si diresse nella minuscola e fatiscente stanzetta che lui chiamava “bagno” e guardò l’ometto calvo e indossante canottiera e boxer che era il suo riflesso sullo specchietto del lavandino «Buongiorno, Hawke.»
Il riflesso non rispose, ma non aveva importanza. Dopotutto i riflessi sono dei gran volponi: si prendono gioco di te imitando ogni tuo movimento del corpo e del viso, ma mai una volta che si degnassero di augurarti spontaneamente la buona giornata, o che ti dessero dei consigli sull’aspetto e sul vestire. Mimano e basta, credendosi simpatici.
Ian si lavò il volto con un paio di gettate di acqua sul viso e tornò in camera da letto per recuperare gli occhiali. Dopo di che partì alla volta della cucina.
Voleva un caffè, ne aveva bisogno, sarebbe impazzito se non ne avesse bevuto una tazza!
Già se lo pregustava: bello freddo, così da contrastare la calura di quella giornata.
Prese in mano la caraffa dalla caffettiera, ma si rese conto con orrore che anche un altro timer aveva deciso di gustargli la festa, quello automatizzato che quella mattina avrebbe dovuto attivarsi per farglielo trovare pronto da bere, e che invece, inspiegabilmente e al contrario della sveglia, non era scattato.
Ian avrebbe voluto imprecare, prendersela con qualcuno, sfogarsi dalla frustrazione e maledire la iella che quel giorno aveva evidentemente deciso di giocare d’anticipo! Ma con chi? Era solo in casa, non aveva nessuno a parte il telecomando della sua vecchia TV a tubo catodico, che era appoggiato su uno dei braccioli del divano in soggiorno. A proposito del telecomando, lo prese e mise su un canale a caso, sperando che qualche giornalista del meteo o qualche televendita gli facessero compagnia intanto che reimpostava manualmente la preparazione del caffè. Gli capitò invece un video musicale dei Chipmunks che alimentò la sua frustrazione.

Qualche minuto dopo.
Dopo aver recuperato la sua copia odierna del Milwaukee Journal Sentinel dal giardino ed essersi seduto scomposto al tavolino da pranzo in soggiorno, stava sfogliando con disinteresse le notizie della giornata mentre con la mano libera reggeva la tazza gialla del caffè. L’unica cosa buona di quella situazione era la piacevole carica d’energia che la caffeina in circolo dava ai suoi muscoli, quanto al gusto, invece, quello faceva schifo: bollente, amaro (non aveva in casa dello zucchero) e annacquato, come solo le peggiori caffettiere d’America sapevano preparare.
Era arrivato alle ultime sorsate quando il cellulare gli squillò. Dall’altro capo della linea una persona a lui familiare attendeva la risposta: «Pronto. Ti prego, dimmi che una di quelle sei palle di pelo ha perso la voce e per questo avete deciso di annullare il tour»
L’interlocutore fu colto alla sprovvista, e tacque un po’ prima di reagire «E’ bello sentire che anche oggi sei di buon umore, Ian.»
«Dave. Sono talmente di buon umore oggi, che sono indeciso se trapassare con un nodo a scorsoio o con un incontro di boxe con un tir di passaggio.»
«Bé, quando hai finito di suicidarti fammi sapere.» Disse Dave, sarcastico. Ma Ian non lo trovò affatto divertente «C’è un motivo per cui mi hai chiamato o chiudiamo questa discutibile conversazione?»
«A dire la verità mi andava di sentirti, sai com’è? Sapere come ti andavano le cose, se ti stavi riprendendo, eccetera.»
Ian sbuffò. «Come vuoi che vada? Quei non è male. Fa caldo. La gente lavora, i bambini giocano. Quanto a me invece… credo che lo sai già.»
«Ho saputo che ti hanno sottratto i diritti per la sceneggiatura sul film di Zoe.»
«Già, a quanto pare “non ero in possesso dei diritti di sfruttamento” della storia!» Fece il verso ai produttori dai quali se l’era sentito dire «Come se non fossero mie quelle 10 pagine di bozza del soggetto che avevo mandato!»
«Cavolo, brutta storia... e per il libro? Non c’è speranza, vero?» Dave in quel momento si stava riferendo a un’autobiografia che Ian aveva scritto e mandato in pubblicazione un semestre prima.
«Non mi parlare di quel dannato libro, Dave!» sbottò «Me la sento ancora in testa la voce dell’editore! “Scrivi un libro sulla tua storia, Hawke” diceva. “Farai soldi e potrai redimerti” diceva. E invece sono diventato lo zimbello dello Zio Sam!»
La conversazione s’interruppe brevemente.
«Ho scelto il momento sbagliato per chiamarti, mi sa.»
«Decisamente.» La fece breve Ian.
«Lo sai, però, che puoi contare su di me nel caso ne avessi bisogno?»
«Già, come no. Me lo segnerò sull’agenda. Grazie.» Rispose aspramente.
«Ok, allora… chiudiamola qui. Ma fatti sentire di tanto in tanto. Isolarti dal resto del mondo e chiudere i rapporti con l’umanità non ti aiuterà a stare meglio.» Gli consigliò.
«Ci penserò su. Alla prossima, Dave.» Lo salutò chiudendo così la conversazione.
Tornò alle sue attività con l’amaro in bocca, e non per colpa del suo pessimo caffè, ma per ciò che lui e Dave si erano appena detti per telefono.
Non gli andava di parlare con qualcuno di ciò che stava passando, tanto meno, non gli andava di parlare di quell’accidenti di libro.
Vuotò la tazza dal caffè e decise di non averne ancora abbastanza, perciò andò a riempirla nuovamente e riprese a bere. Questa volta, la bevanda era già più fredda e piacevole, anche se sapeva ancora di acqua sporca.
Interruppe ciò che stava facendo quando gli parve di sentire qualcuno bussare alla porta. Fu un suono quasi impercettibile, di quelli per i quali la prima cosa che si pensa è che siano solo frutto dell’immaginazione, ma malgrado ciò, appoggiò ugualmente la tazza sul bancone della cucina è andò a controllare.
Si fermò a due passi dalla soglia dell’ingresso e lì pensò: “Beh, me lo sarò immaginato”. Decise di provare a chiedere «Chi è?» e attese.
«Hawke, sono io!»
La voce era inequivocabile, suo malgrado, anche se era ovattata dalla porta che li separava.
“Oh no…” esclamò in silenzio. «Ehm… Hawke non è in casa!»
«Ah sì? E chi è che sta parlando allora?»
«L’uomo delle pulizie!»
«Balle! Tu non te la puoi permettere la donna delle pulizie, tanto meno l’uomo! Dai fammi entrare!»
Ian sbuffò e di malavoglia tolse i lucchetti all’entrata, per poi aprirla.
All’apparenza sembrò non esserci nessuno, ma il suo visitatore non era ad altezza uomo. Abbassò lo sguardo e si trovò di lì a poco a osservare un chipmunk dal manto scompigliato color marrone pastello, imbrattato di qua e dì la da chiazze di fango e polvere, e  senza alcun vestito addosso, che gli sorrideva con fare entusiastico.
«Buon giorno, amico mio!» Lo salutò il chipmunk.
«Randal… tra tutte le persone che non mi va di vedere questa mattina, tu occupi un posto d’onore nella lista.»
«In questo caso non hai di che lamentarti: io non sono una persona!»
La logica aveva un suo senso in effetti.
«Beh, l’ho estesa anche ai chipmunk ora!»
«Sai, se soltanto mi apprezzassi un pelino pochinino di più, le mie visite ti sarebbero molto più gradite. Allora? Vero che posso entrare in casa?»
Ian volle dirgli di no, ma sbattergli la porta in faccia per poi tornarsene al suo caffè non sarebbe servito a niente con lui. Avrebbe insistito fino allo sfinimento, quindi tanto valeva assecondarlo.
«Uff, entra.» 
«Lo sapevo!» Gioì «fai tanto l’antipatico ma in fondo non puoi resistere al tuo vecchio amico Randal!»
«Da quando ti sei auto-promosso mio “amico”?» Gli chiese mentre si dirigevano in cucina. Randal saltò sul banco dove era appoggiata la caffettiera «Uhm, da circa una settimana a dire il vero. Da quando mi hai quasi preso sotto con la tua auto. Ricordi?»
«Oh sì» rispose scontento «ma ora come ora, vorrei non aver frenato all’ultimo secondo.»
«Però l’hai fatto. E ciò, Hawke, dimostra l’inequivocabile!»
Ian non lo seguì «Randal, di che accidenti stai parlando?»
«Ma del fatto che ci tieni a me, no? Avresti forse frenato se non mi considerassi tuo amico?» Il chipmunk annusò l’aria, fino a quando il senso dell’olfatto non lo guidò alla tazza. «E’ caffè?»
«Così dice la confezione.»
«Ti dispiace se ne approfitto?»
«Serviti pure.» Disse disinteressato.
Randal, quindi, si tuffò con tutto il corpo nella tazza, compiendo un avvitamento degno di un atleta olimpionico e ritrovandosi con la testa sommersa da capo a collo nella caffeina. Una visione, questa, che a Ian fece tornare in mente il ricordo di quando fece assaggiare per la prima volta ad Alvin e ai suoi fratelli l’Espresso, con le conseguenze disastrose che ne seguirono.
Arretrò di qualche passo, pronto a defilarsela nell’eventualità che Randal cominciasse a saltellare di qua e di là in preda all’euforia.
In effetti poi andò più o meno così, ma con conseguenze meno catastrofiche del previsto: il chipmunk bevé tutto d’un fiato il caffè rimasto e, con l’agilità di un felino, balzò fuori con la testa inzuppata e grondante sul bancone. Per fortuna, subito dopo si limitò solo a un esuberante strillo, che ricordò molto da vicino quello dei cowboy al galoppo, ma non saltellò di qua e di là come una trottola impazzita.
«Ahah! Io lo AMO il caffè!» Disse esultando.
«Oook… » commentò invece Ian, attonito.
«Allora? Non rispondi alla mia domanda?»
Ian si era nuovamente perso «Quale domanda?»
«Quella della nostra amicizia, no? Mi avresti forse graziato se non ci tenessi a me almeno un po’?»
«Bé… ehm, sì… credo.»
«Visto, ecco l’inequivocabile!» Randal diede un’occhiata a una delle copie del libro di Hawke riposte su una mensola nella stanza, una delle tante invendute e sparpagliate per casa e in pile di scatoloni.
«Con il libro immagino che le cose vadano sempre male?»
Ecco il tasto dolente «Lascia perdere. L’ho appena avuta al telefono una discussione sul libro.» Andò a prenderne uno dal ripiano per passarselo tra le mani con il cuore gonfio di rammarico. La copertina, bianca e con il suo testone che sorrideva beffardamente, riportava il titolo “La vera storia di un produttore d’America”. «Credevo di poterlo usare per far pace con il mondo… e invece sai come andò a finire? Che adesso persino i piccioni ridono di me!»
Non era né una metafora né un esagerazione: proprio in quel momento, sul davanzale della finestra in cucina, due piccioni dal piumaggio bianco e grigio-celeste si erano appollaiati e avevano iniziato a emettere dei tubanti glu glu che assomigliavano a tutti gli effetti delle risate.
Sia Randal che Ian li guardavano mentre si prendevano gioco di lui, così l’uomo si armò di un mestolo prendendolo da uno dei cassetti e brandendolo a mo di mazza, lo usò per scacciali «Via, sciò! luride bestiacce!» Poi restò immobile sul posto a osservarli mentre volavano via «visto in che situazione mi ritrovo?»
«Eh, già. L’ho letto anch’io.»
Ian si voltò. «L’hai… letto?»
«Diciamo solo che due escursionisti l’hanno abbandonato nel bosco, e così ne ho approfittato.»
«Ah… »
Hawke si concedette una breve pausa per riflettere. «Randal, ehm… c’è un motivo per cui sei passato sta mattina?»
Il chipmunk non era sicuro di quale risposta dare. Dovette pensarci attentamente prima di decidere se parlare o no «Bé… a dire il vero… sì.»
Uscì in fretta e furia dalla stanza, sparendo improvvisamente alla vista di Hawke.
«Ehi, ma dove stai andando?»

Ricomparì qualche secondo dopo con in mano una foto, doveva averla nascosta da qualche parte nel giardino, visto che prima non ce l’aveva con se.
La passò a Ian, che la guardò: ritraeva due ragazze, le quali erano visibili dal busto in su. La ragazza a destra era mora, capelli a boccoli non molto lunghi, portava degli occhiali con montatura a “semi-giorno” bianca e indossava una t-shirt celeste con una leggera scollatura. L’altra, invece, era bionda, capelli lunghi raccolti a coda di cavallo, leggermente più “in carne” rispetto all’amica e con un viso tappezzato da una trama di lentiggini, con indosso un maglioncino nero. Stavano posando nel bel mezzo del bosco. Sullo sfondo Ian riconobbe un ruscello che ai suoi occhi parve familiare. Cosa più importante, però, era ciò che teneva in mano la ragazza mora: un cucciolo femmina di chipmunk dal manto giallo come quello di Eleanor Seville e i ciuffi di pelo della testa annodati su se stessi per formare anch’essi una coda di cavallo. Era curioso quanto la cucciola di chipmunk assomigliasse alla ragazza lentigginosa.
«E’ stata scattata con una polaroid tre giorni fa. Prima che le turiste se la dessero a gambe levate abbandonando la foto a terra. Io mi sono limitato a raccoglierla.» Spiegò Randal.
Mentre ascoltava, Ian si chiese come fosse possibile che nel 2013 qualcuno volesse ancora usare le polaroid per scattare le foto. Doveva trattarsi di qualche patito del retrò o qualcosa del genere «Perché sono scappate?»
«Storia lunga e noiosa, non ti piacerebbe… » si tenne sul vago.
«Bé, Randal… lo riconosco: la piccola chipmunk è carina. E anche le escursioniste sono tutto sommato un bel vedere, ma non capisco che ci devo fare con questa?»
«E’ mia figlia…» 
«Chi?»
«Come “Chi”? La chipmunk, no?»
Questo si che, come si soleva dire, era un vero colpo di scena! Inarcò le sopraciglia dallo stupore «Ma perché, tu hai una figlia? E da quando?»
«Da circa quattordici mesi, in effetti.»
A quel punto Ian appoggiò sul tavolo la foto e si portò la mano alla bocca, gli stava venendo da ridere e non voleva darlo troppo a vedere. «Eheh, no… tu non puoi avere una figlia, non scherzare!»
Randal restò serio. «Ti sembra così strano che io possa essere un padre?»
«No, affatto: mi sembra strano che una femmina voglia stare con te, tutto qui!» Lo sbeffeggiò.
«Bé, sì… sai com’è? La luna, le stelle, la stagione. Lei che mi si presenta di fronte alla tana… »
Ian lo arrestò «Oh, no! No, no, no! Non voglio sapere com’è successo! Risparmiamelo! Io… oh, buon dio!»
«Che c’è?»
«No, niente, è solo che mi ero immaginato te e la madre della piccola che… » fece un verso di disgusto, seguito da una smorfia schifata.
Il sarcasmo di Hawke sta volta colpì nel segno: «Sei molto gentile, Hawke. Lo sai?» Lo rimproverò il chipmunk, sentitosi offeso.
«No, scusa, è solo che… bé, lasciamo perdere. Rimangio tutto che ho detto… »
«Nah, non preoccuparti, scuse accettate.» Randal mutò subito atteggiamento, in fondo non era uno facilmente suscettibile.
«Comunque, hai proprio una figlia fantastica, ok, ma non ho ancora capito che vuoi da me?»
Era giunto il momento. Randal cercò le parole per spiegarglielo.
«Ecco, ehm… vedi… diciamo che abbiamo avuto una serie di contrattempi, e quindi… » Il chipmunk si bloccò, Ian, quindi, approfittò di quella pausa per chiederglielo: «Che genere di contrattempi?»
«Anche questa è una storia lunga. Ma, in sostanza… vorrei chiederti… di prenderti cura di lei… »
Una cupola di silenzio assordante cadde sulle teste dei due interlocutori. Da una parte Randal, che mentre attendeva una risposta, esibiva un sorriso a tratti imbarazzato e a tratti inquieto, dall’altra Hawke, i cui pensieri, invece, restarono per breve tempo impenetrabili.
«Buffo. Per un attimo mi era parso che mi avessi chiesto di prendermi cura di qualcuno.»
«Ehm, sì… di mia figlia. Io non ne ho la possibilità, e così pensavo che… »
Ancora una volta, una cappa di silenzio, ancora una volta, un volto impenetrabile per Ian Hawke.
«Allora?» Provò a insistere Randal.
A quel punto Ian eruppe: «SEI COMPLETAMENTE IMPAZZITO?!?»
Randal poté quasi sentire l’onda d’urto dell’urlo trapassargli la pelle, neanche fosse stato investito dall’esplosione di una bomba.
«Lo so, Hawke, ma non te lo chiederei se non ci fosse un buon motivo…»
«Ah sì? E quale sarebbe il buon motivo, di grazia?!»
«Ecco… i-io… non posso dirtelo…»
«Ottimo, allora sei libero di andare!» Ian si alzò e decise di chiudere lì la questione.
«Quindi… lo farai?» chiese Randal.
Ian lo assassinò con lo sguardo. «NO! Non ho nessuna intenzione di farlo, e sottolineo: NESSUNA!»
«Hawke, questa è una situazione delicata, giuro! Non te lo chiederei se non fosse estremamente necessario! Sei l’unico a cui posso rivolgermi!»
«L’unico a cui puoi rivolgerti?! Allora mentivi quando dicevi di aver letto il mio libro!»
Randal era perplesso. «Ehm, aspetta… e questo che centra?»
«Te la faccio breve: anche se volessi farlo, e nossignore, non ne ho alcuna intenzione, mi considerano tutti un mostro seviziatore di scoiattoli! Hai idea di che cosa mi farebbero se scoprissero che mi tengo in casa un cucciolo di chipmunk?!»
«Hawke, lascia perdere gli altri e le loro opinioni! Io mi fido di te, ed è a te che lo chiedo!»
«Ma non c’era una “madre” in tutta questa faccenda?! Che fine ha fatto? Non può prendersela lei?!»
«Lei, ecco… ehm… è… s-scappata.»
«Scappata da te?»
«Ehm… s-sì…»
«Guarda, mi domando il perché!»
«Il fatto è che non posso prendermene cura. A mala pena riesco a badare a me stesso!»
«E cosa ti fa credere che con me starebbe meglio?»
«Perché tu hai già avuto in casa altri chipmunk in passato! E ok, certo… l’ultima volta non è che ti sia andata troppo bene… però è già qualcosa! E poi, avrai letto le notizie sui disboscamenti di quest’ultimo semestre…» Randar si riferiva alle attività della società forestale che negli ultimi tempo stava abbattendo senza scrupoli interi ettari di foreste nella contea «da quando quelli hanno iniziato, si è scatenata una rivoluzione tra gli animali della foresta! Tutti i predatori sono fuggiti verso le ultime aree verdi rimaste, e indovina un po’ qual è una di queste aree verdi?!»
«Quindi mi stai dicendo che avete la tana circondata da carnivori?»
«Già, direi che possiamo anche dirla così. Ecco perché sono qui! La madre se l’è data a zampe levate prima ancora che io avessi il tempo di rendermi conto che mancava qualcuno nel nido, e mi sono ritrovato a badare alla piccola circondato da falchi, lupi, orsi e qualsiasi cosa abbia tanti denti e l’alito da carogna. E questi solo di giorno! Perché poi di notte tra gufi e animali notturni, c’è ben poco da stare allegri!»
Ian si limitò ad annuire con un cenno della testa.
«Allora. Mi aiuterai?» Ritentò il chipmunk.
Ian ci rimuginò su per un po’, contribuendo ad alimentare le sue speranze. Alla fine si convinse e decise di rompere il silenzio: «Scordatelo!»
«Ohh, e che cavolo! Che ti costa?!»
«Ma ti rendi conto che stai cercando di scaricarmi tua figlia come se fosse un vecchio maglione infeltrito che nessuno vuole?!»
«Adesso non esageriamo! Come ti dicevo, ho le mie buone ragioni per volerlo fare… solo che preferisco non parlarne. Qui avrebbe una casa, un letto dove dormire, del cibo per mangiare… è soprattutto starebbe al sicuro! Te lo chiedo per favore, Ian. E’ molto importante per me! Più di quanto tu immagini!»
«Randal, senti. Io non ho mai avuto figli, e ripensando al mio passato, forse è meglio così. Quindi non conosco i sentimenti di un padre alla prospettiva di avere il proprio figlio in pericolo. Ma ne so abbastanza da sapere che un figlio ha bisogno della sua famiglia per star bene, anche se essa è rappresentata da un solo genitore. Quindi, se ritieni che nella foresta la tua prole è in pericolo, l’unico aiuto che ti posso dare è un consiglio: portala via da lì e trovatevi un rifugio più sicuro!»
Un’espressione di addolorata delusione si stampò nel volto di Randal. «Quindi non mi aiuterai?»
«L’ho già fatto. Segui il mio consiglio e andrà tutto bene. Affidarla a me non aiuterebbe nessuno, tantomeno lei.»
Il chipmunk si interrogò a lungo sulle parole di Ian, in particolare sul fatto che affidargliela sarebbe stato controproducente. Stava facendo la scelta giusta? Oppure aveva un’alternativa? Qualunque fosse la risposta, Randal avrebbe potuto dire e fare qualunque cosa, ma l’uomo restava irremovibile
«Già… forse hai ragione tu…» disse infine.

Ian accompagnò il chipmunk alla porta, altro non poteva fare. E di sicuro non era intenzionato a cambiare idee all’ultimo momento, spinto magari dalla compassione.
Si salutarono, ma prima di andarsene Randal aggiunse un dettaglio: «Nel caso cambiassi idea, la nostra tana si trova dentro il tronco cavo di un nocciolo, in una radura attraversata dal ruscello di quella foto. Vicino al “sasso a forma di sasso”.»
Ian badò ben poco alle indicazioni di Randal, non aveva nessuna intenzione di accontentarlo, quindi si limitò a rispondergli con un vago «Vedrò» che in realtà voleva dire, per l’ennesima volta “Né ora, né mai!”.
Dopo di che, ognuno se ne andò per la propria strada.

Verso pomeriggio si stava avvicinando un brutto temporale. Da lontano i tuoni ruggivano le loro minacce incombenti, mentre la brezza estiva che fino ad allora aveva cullato dolcemente le fronde degli alberi, ora si stava tramutando in una violenta bora, che scuoteva le piante e faceva vibrare i tetti dei fienili delle aziende della contea.
Mentre fuori le foglie degli alberi veniva strappate dai loro rami, in casa Ian, non curante del vento di tempesta in arrivo, stava facendo quello che ultimamente avevo preso l’abitudine di fare sempre: spaparanzarsi sul divano e passare tutto il tempo dinanzi alla TV a non fare niente.
Il canale 31, sul quale era sintonizzato, stava trasmettendo una partita di football americano, che a lui importava ben poco, ma che gli teneva compagnia mentre la sua mente vagava nei ricordi di quel che era successo durante la mattina. Era quello il pensiero che aveva calamitato la sua attenzione.
Per quanto cercasse di auto-convincesi del contrario, la verità è che gli dispiacque immensamente di aver liquidato il chipmunk in quel modo, e ora cercava solo di levarsi di torno il senso di colpa che gli opprimeva il petto.
«Al diavolo, Hawke. Non è colpa tua! Se Randal non è capace di tenere a freno i suoi istinti animali sono solo affari suoi! Non sentirtene in colpa!» Disse ad alta voce ad un certo punto. Come si rimproverarsi potesse servire a qualcosa.
Cominciò anche a sentirsi calare le forze dal troppo ozio, e decise di far riposare gli occhi per una manciata di minuti.
«Tutte scuse!» 
Ian si alzò bruscamente dal suo giaciglio sul divano, convinto di aver sentito una voce. «Chi ha parlato?» Chiese per poi stare in silenzio e attendere una risposta.
«Perché non vieni a scoprirlo?» Rispose la voce.
Ian deglutì nervosamente e cercò di capire da dove provenisse.
«Vieni qui.» Continuò.
Sembrava venire da una delle stanze adiacenti, forse dal bagno, così Ian si diresse lì, con il cuore in gola e muovendosi con circospezione. Non c’era luce, tutto era buio e silenzioso, soltanto i deboli raggi che filtrava dalle finestre illuminava l’ambiente di un’atmosfera surreale. Sembrava quasi di trovarsi da un'altra parte, in qualche tetra galleria scarsamente illuminata, qualche viuzza umidiccia e puzzolente, non certo la casa che lui era abituato a conoscere.
 Raggiunse lo stanzino che era abituato a chiamare “bagno”, ma quando lo perlustrò, non vi trovò niente.
«Psss, girati.» Bisbigliò ancora la voce, che gli suonò sinistramente familiare.
Ian si voltò verso lo specchietto del lavandino e apparentemente non vide nulla di strano. Poi osservo con maggior zelo il suo riflesso, e lì si rese conto: non si muoveva al suo pari seguendo i suoi movimenti, ma se ne stava fermo, immobile, fissandolo con uno sguardo severo.
Hawke lo osservò da vicino, fece anche scorrere alcune volte la mano davanti ad esso e mimò qualche smorfia, per verificare il suo comportamento. Il riflesso però non mutò atteggiamento. Continuò a fissarlo con aria grave.
«Ma che ca… »
«Sì, ho parlato io.» Glielo confermò.
 Ian gridò e balzò all’indietro.
«Non è possibile… tu sei solo uno riflesso!»
«Infatti ti sei addormentato sul divano e ora stai facendo un sogno, imbecille!»
«Ah… ora ha più senso… »
«Ma non ti vergogni di quello che hai fatto?!»
Ian si guardò alle spalle «Ma…ce l’hai con me?»
«No, con la tua ombra. Certo che ce l’ho con te! Perché hai trattato Randal in quel modo?!»
Dunque era questo il punto.
«Io?! Io avrei trattato Randal… no, scusa, ora mi spieghi: è colpa mia se lui non è capace di tenere a freno ghiande e noccioline con le femmine?!»
«La stessa cosa che ti sei detto poco fa, e la risposta è la stessa, sì: è colpa tua! Colpa tua perché lui è venuto col cuore pieno di fiducia da te, ed è stato ricambiato con un bidone pieno d’immondizia, che è il modo in cui lo hai trattato!»
«Oh, andiamo, non puoi dire sul serio! Che ti aspettavi, che mi portassi in casa sua figlia, perché lui non è capace di adempiere ai suoi doveri di genitore?! Che avrei dovuto fare con lei una volta qui? Come l’avrei allevata? Con cosa l’avrei nutrita?»
«Avresti almeno potuto provarci! Mostrare un minimo interesse! Hai almeno ascoltato le indicazioni per raggiungere il loro nido?»
«Ma certo che le ho ascoltate! Era vicino al ruscello, di fianco alla… ehm… »
Si sforzò di ricordare le parole del chipmunk, almeno per risparmiarsi la figuraccia dinanzi al critico riflesso.
«Come volevasi dimostrare, non te le ricordi! Ti lamenti sempre degli errori del tuo passato, ma non fai mai niente per correggerli nel presente!»
«Grazie per la predica, adesso mi sembra di sentir parlare Dave!»
Fu proprio allora che il riflesso trasmutò in una massa informe che subito dopo acquistò la voce e il corpo di Dave «Esatto!» Disse quindi, in risposta a Hawke.
«Oh, grandioso!» Commentò questi, seccato.
«E’ chiaro che non sei cambiato affatto, Hawke! Rimani sempre lo stesso uomo di allora. Solo più povero di prima!»
«Se la pensi così allora dimmelo, che devo fare? Spiegamelo una volta per tutte così almeno sono certo di non risentirti mai più!»
«Devi solo aprire gli occhi, Hawke. Aprili, in tutti i sensi!»
Un bagliore lo accecò, mentre in lontananza un violento rimbombo fece esplodere lo specchio insieme alla figura di Dave al suo interno.

Si risvegliò dall’incubo che stava vivendo, grondando di sudore. Fuori, ormai, le nuvole del fronte temporalesco avevano avvolto la contea e a breve sarebbe iniziato a piovere.
Ian andò in bagno, dove prima di tutto costatò che non ci fosse altra gente critica ad attenderlo dentro lo specchietto, e poi si diede una rinfrescata lavandosi il volto.
Fissò il suo riflesso allo specchio, mentre le goccioline dell’acqua gli colavano dal mento e dal collo.
«“Apri gli occhi, Hawke”… se almeno avessero avuto la decenza di spiegarmi che significa!»
Uscì dal bagno e quando tornò in soggiorno decise di provare ad aprirli: guardò fuori dalla finestra e per la prima volta da giorni sentiva il desiderio di voler uscire. E così fece, malgrado il maltempo incombente.
I cumulonembi del fronte temporalesco erano sempre più minacciosi, sembrava si stessero preparando a scatenare l’inferno sulla terra.
Guardando verso la strada, Ian notò un tizio affrettarsi nel compito in cui era indaffarato, ma non capì quale potesse essere questo compito.
Doveva trattarsi di qualche suo vicino di casa, ma non poté dirlo con certezza. Di lui sapeva solo quello che vedeva in quel momento: un uomo apparentemente sulla trentina e con l’aspetto del classico americano medio di provincia. Capelli spettinati neri con qualche ciuffo bianco di qua e di là e una leggera calvizie sulla fronte. Indossava jeans vecchi – probabilmente da lavoro – scoloriti e strappati in alcuni punti, e una camicia ocra con motivi a scacchi e doppie righe bianche e nere.
Improvvisamente, l’uomo si rivolse a Hawke «Assomiglia a quel film, vero?»
Ian capì solo qualche secondo dopo che stava palando proprio con lui «Come, scusi?»
«La guerra dei mondi, sa? Il remake, quello con Tom Cruise: quando le astronavi aliene arrivano con il temporale. Ce l’ha presente?»
«Ehm, no… »
«Ah… bé. E’ un gran bel film, glielo consiglio!»
Adesso Ian si sentiva disorientato e perplesso «Ma noi ci conosciamo per caso?»
«Bé, lei è Ian Hawke, giusto? L’ex-manager dei Chipmunks. Chi non la conosce? E poi ho anche letto il suo libro.»
Ian non seppe esattamente come rispondere, ma vide il suo interlocutore intento ad arrotolare un tubo dell’acqua, e poiché l’asfalto non era bagnato, ne dedusse che avesse deciso di evitarne l’uso in vista della tempesta in arrivo.
«Le serve una mano?» Si offrì d’aiuto Ian.
«Oh, no. Non c’è problema. Un’auto ha semplicemente preso sotto un animale. Stavo giusto dando una ripulita al casino.»
A quella notizia, Hawke drizzò le antenne e, indifferente alle minaccia del temporale, uscì dal portico per avvicinarsi all’uomo «Un animale? Di che genere?»
«Non lo so. Non è che si capisse molto. Credo un roditore, un topo, uno scoiattolo. Un animaletto del genere. Poveraccio.»
A Ian gli si gelò il sangue nelle vene. «Non può essere più preciso?»
«Gliel’ho detto. Non si capiva niente. Era una frittella. Ma perché le interessa così tanto? Era forse un suo amico?»
Ian ignorò la domanda. «E dov’è adesso?»
«Ehm, l’ho scaricato in quel tombino. Se le può essere d’aiuto aveva la pelliccia marrone… credo… »
Non più sangue gelato nelle vene, ma sudore freddo sulla fronte «Marrone pastello?»
«Se mi dice com’è il marrone pastello forse glielo posso confermare.»
Ian guardò il tombino, valutando quanto sarebbe potuta essere folle l’idea di scendere nella fognatura per controllare, ma poi la sua attenzione fu richiamata da qualcosa visto al di là della carreggiata, nascosto tra i ciuffi d’erba incolta.
Andò a investigare, e quello che trovò gli fece evaporare tutto il sangue che ancora non gli si era già congelato: era la foto della figlia di Randal, la stessa vista quella mattina, stropicciata e sporca di terriccio.
«Fiuuu!» Fischiò l’Americano Medio, che gli era venuto incontro per curiosare sulla foto «mica male le ragazze! Chi sono?» 
La strinse nel pugno e tornò immediatamente in casa, incurante dell’uomo che era lì con lui. «Hey, ma…» fu tutto quello che riuscì a dirgli, prima di vedere Hawke sparire dentro la sua abitazione.
Rientrato, Ian tornò a osservare con più attenzione la foto, godendo ora della tranquillità necessaria per poter riflettere. Camminò per casa nervosamente, sbattendosi di tanto in tanto la testa con le mani.
«Che idiota, Randal! Che grandissimo idiota! Te l’avevo detto di rinunciare! E invece no! Sei voluto tornare per forza!» Un dubbio gli emerse dalle profondità della mente. «No, aspetta! Forse stava tornando alla tana quando… no! Impossibile! Era venuta sta mattina, ora è pomeriggio! Si sarebbero accorti da tempo di lui se… oppure no!»
Un altro tuono lo fece sobbalzare. Riguardò per l’ennesima volta la foto e solo ora se ne rese conto «Oh-ho… la piccola!»
Si morse il labbro, doveva prendere una decisione.
«Al diavolo, Randal! Persino da morto riesci a incasinarmi l’esistenza! No, un momento… non è detto che debba farlo per forza! Posso sempre fregarmene… uffa, non posso farlo! Oppure sì?»
In testa, la voce del suo sogno gli tuonò il monito: “Apri gli occhi, Hawke!”

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2: Manty ***


Un violento fulmine impattò non molto lontano, mentre Ian percorreva a lunghe falcate il sentiero lungo la foresta.
Correre nel cuore nella boscaglia durante quel tempaccio era il modo migliore per essere colpiti da una saetta vagabonda, ma oramai c’era in mezzo e non aveva senso tornarsene a casa proprio ora.
Vagava nel bosco alla ricerca di una meta che non conosceva, un gran bell’inizio, considerati i rischi a cui andava incontro.
Sapeva solo di dover raggiungere un ruscello, e la memoria lo guidò verso l’unica radura nella quale avrebbe potuto trovarne uno.
La strada da percorrere era lunga e tortuosa, e per completarla dovette superare diversi ostacoli, tra cui alberi caduti da saltare, enormi cespi di rovi da evitare e aree fitte di vegetazione da scostare, finché non trovò la via che lo avrebbe condotto all’arrivo. In lontananza riusciva già a udire lo scrosciare dell’acqua risuonare, in contrasto al rumore delle fronde scosse dal vento.
Finalmente arrivò alla radura, uno spiazzo di terreno ricoperto da foglie morte e fango, dal diametro di circa venti metri, con un ruscello che ne attraversava il fianco destro. Il corso veniva spezzato da piccole cascate che infrangendosi sulle rocce contribuivano a creare una melodia di acqua in scorrimento che avrebbe saputo trasmettere calma e relax a chiunque si fosse fermato a contemplarla. Ian però, non era giunto fin lì per godersi un pomeriggio all’aria aperta.
Si guardò intorno per trovare dei riferimenti che potessero aiutarlo e nel frattempo scavò nella sua memoria alla ricerca delle parole recitate da Randal.
«Una radura con un ruscello. Ma che altro?» Si interrogò ad alta voce «Cosa mi avevi detto, Randal?» Chiuse gli occhi e si picchiettò la fronte per cercare di ricordare «vicino al… al… che diavolo era? In una radura… attraversata da un ruscello… vicino… al “sasso a forma di sasso”» spalancò gli occhi in una smorfia di smarrimento «sasso a forma di sasso?! Che accidenti è un “sasso a forma di sasso”?!?»
Nella foga di mandarlo via, non si era minimamente preoccupato di chiedere a Randal cosa avesse voluto dire con quell’esclamazione. Un sasso a forma di sasso, cosa mai poteva essere? Quando lo udì dal vivo, Ian credé che l’avesse detto solo per costatare il suo livello di attenzione, e solo ora si stava pentendo di non avergli dato le giuste attenzioni.
Si guardò intorno alla ricerca di un qualunque indizio che potesse fornirgli la soluzione del rebus, finché un dettaglio non richiamò la sua attenzione: era sulla riva del ruscello, e qualunque cosa fosse, dava l’idea di stonare con il resto del paesaggio. Ian si avvicinò per osservarlo attentamente e ciò che trovò fu una specie di piccola targhetta metallica inchiodata a un masso. Notò anche che su di essa era incisa un’iscrizione, macchiata qua e là da un accenno di muschio e licheni in via di sviluppo:

“Pierre sous la forme de pierre”

Di

Antoine Marchand

Il nome non gli era nuovo. Aveva sentito dire che di recente un controverso artista di Parigi aveva deciso di fare della contea il teatro di mostra per alcune delle sue “opere”, e che alcune di esse erano state concepite proprio all’interno della foresta. Che fosse questa una esse?  
«Pierre sous la forme de pierre… » ripeté sussurrandolo. Aveva ancora dei rudimenti di lingua francese dai tempi in cui, da manager discografico, gli capitava di dover rispondere a qualche domanda nel corso delle tournee a Parigi. Ci pensò su un po’ e capì «Pietra dalla forma di pietra, ma certo!»
Malgrado i dubbi sulla qualità in se “dell’opera d’arte”, ebbe la conferma di trovarsi nel posto giusto.
«Quindi adesso devo solo trovare un albero cavo nel quale potrebbero nascondersi dei chipmunk, uhm… » intorno a se vedeva solo alberi; alberi piccoli, alberi grandi, alberi ovunque.
«Facile come scaricare la musica pirata!» Disse con tono autoironico.
Camminò per la radura, analizzando attentamente ognuno degli alberi in cui incappava il suo sguardo. Sapeva di dover cercare un nocciolo, il punto è che non aveva idea di come distinguerlo.
Intravide solo dopo una lunga ricerca, un tronco cavo che avrebbe potuto corrispondere alla descrizione di Randal: era bucato e, apparentemente, era anche un nocciolo.
«Sarà quello forse?»
Si avvicinò con estrema cautela, pronto a svignarsela nel caso qualche animale gli fosse balzato addosso con intenti aggressivi. Per fortuna, nessuna minaccia minò la sua salute.
L’anfratto dell’albero si rialzava a un’altezza di circa venti centimetri maggiore rispetto a quella di Ian, così per poterla raggiungere, dovette aggrapparsi a un ramo e tirarsi su per riuscire ad affacciarvisi.
L’interno oscuro e silenzioso lo mise a disagio. Si aspettò che da un momento all’altro qualcosa gli balzasse addosso con l’intento di dilaniargli il naso o ancora peggio, cavargli gli occhi.
«Ehila, c’è qualcuno in casa?» Chiese con tono vacillante, senza ricevere risposta. Deglutì nervosamente e si spinse ancora più in dentro con la testa. I suoi occhi erano ancora troppo abituati alla luce per permettergli di scrutare la tana con il massimo del dettaglio, ma quando finalmente le sue pupille cominciarono ad accettare l’oscurità, con la coda dell’occhio riuscì a localizzare la piccola occupante del nido, che se ne stava rannicchiata in un angolino a fissarlo con diffidenza.
 Il piccolo cucciolo di chipmunk, una femmina, dal manto giallo canarino, molto più chiaro rispetto a quello di Randal, lo guardava con occhi timorosi ma pieni di curiosità.
«Hey, ciao piccolina! Non avere paura. » La rassicurò, ottenendo l’effetto opposto. La piccola si schiacciò ancora di più verso la parete dell’albero cavo e si coprì con la piccola coda ergendola a mo’ di scudo.
«Sono un amico di tua padre, mi ha mandato lui da te.» Continuò Ian.
La piccola ebbe un sussulto, come se lo avesse capito. «Pa-pà?» Squittì con voce incerta e tartagliante, come quella di un bambino alla sua prima parola.
«Sì, esatto!» esultò l’uomo «mi chiamo Ian Hawke. Papà vuole che tu venga con me. Starai a casa mia per un po’. Ok?»
La piccola fissò il vuoto, pensierosa. «H-Hawke?» pronunciò una prima volta. Quel nome non le era nuovo. Poi parve rimembrare « uh… Hawkey-Hawke!»
Di tutti i modi in cui era stato chiamato in passato, da “Zio Ian” per i Chipmunks, a “babbeo” per gli amici, passando per “gonzolino” – che era il nome con cui lo appellava sua madre – quello della piccola era senza dubbio il più balzano che avesse mai sentito.
«Sì, certo…» commentò perplesso. Il rombo tonante di un lampo che s’infrangeva nelle vicinanze gli ricordò di doversi muovere. Non pioveva ancora, ma a giudicare dalle nuvole sempre più nere in cielo e dal vento che si alzava sempre più furente, non avrebbero dovuto attendere a lungo prima che l’ondata temporalesca li investisse. «Ehm, su coraggio. Dobbiamo andare!»
Cercò di infilare una mano all’interno della fenditura per afferrarla, ma non fece nemmeno in tempo a sfiorarla che la piccola gli affondò d’impulso le zanne sull’indice.
L’uomo urlò, più per la sorpresa che non per il dolore, rischiando a momenti di perdere la presa dal ramo e schiantarsi di testa sulle solide radici emergenti dell’albero. Per fortuna, con uno strattone riuscì a liberarsi il dito prima che ciò accadesse . La piccola ridacchiò burlesca.
«Ma sei impazzita?! Mi stavi staccando un dito, brutta piccola mmm…manticora!»
La chipmunk cambiò subito atteggiamento smettendo di sogghignare, si sentì offesa e cominciò a frignolare rumorosamente.
«Oh… no, ti prego! Su non piangere! Io non volevo offenderti!» Cercò di giustificarsi, ma a nulla valsero le sue parole. Urgeva una soluzione immediata  «io… Manty… sì… sì! Io volevo dire Manty! Ti chiamerò così, ti piace?»
La piccola smise di piangere, ma lo guardò con circospezione «M-anty?»
«Sì, Manty…  beh, se a te piace… »
La chipmunk meditò sulla proposta, e per un attimo Ian temette che stesse per tornare a far i capricci. «Manty sìì! Man-ty p-piace Hawkey-Hawke!» Annunciò invece lei, con grande sollievo dell’uomo.
«Fiuu. Ok, così va meglio. E a proposito, adesso è meglio andare. Niente più morsi, ci siamo intesi?»
«Hawkey-Hawke!» Asserì ancora.
«Già… Hawkey-Hawke, come vuoi tu. Yuhuu…»
Tentò di afferrarla una seconda volta e sta volta non ci furono più aggressioni da parte sua.
«Reggiti forte, mi raccomando.» La avvertì.
 Scesero giù dall’albero e tenendo la piccola chipmunk in mano, Ian ripercorse a perdifiato il sentiero di ritorno, prima che la pioggia cominciasse a incedere su di loro.

«Eccoci qua, benvenuta a casa di Ian Hawke.» La accolse, ostentando una sicurezza che invece non aveva.
Nel frattempo fuori la pioggia aveva iniziato a imperversare sulla contea, accompagnando con il suo fiotto i fischi del vento che si abbatteva sulle case e il rugghio dei fulmini che lambivano il cielo con le loro ragnatele di luce.
La appoggiò su di un mobile e la piccola saltellò allegra.
«Hawkey-Hawke!» Ripeté lei.
«Vaa bene… ora… ehm, non so esattamente cosa farti fare maaa… che ne dici di un giretto per la casa? Così ti ambienti un po’.» Propose, anche se non era ancora sicuro che la piccola riuscisse a capirlo in tutto e per tutto.
La chipmunk si guardò intorno, studiando con grande curiosità l’ambiente circostante di quel mondo “umano” che fino a quel momento non aveva mai visto. Dopo di che, indirizzò la sua attenzione su Ian per rispondergli con un «O-ei» (“Ok”) per poi saltare giù e cominciare a correre di qua e di là per la casa, attraversando sulle sue piccole zampette le varie stanze alla velocità della luce.
«La piccoletta corre… » costatò Ian tra sé e sé.
“Ok, calmo! Puoi farcela! E’ come per le rock star: basta che le assecondi di tanto in tanto e per il resto puoi fare quello che vuoi. Quanto sarà difficile?” Disse a se stesso per spronarsi.
Stava per tornare dalla chipmunk quando d’improvviso la senti piangere nuovamente. «Oh, no! Cominciamo bene.»
Ian andò a cercarla. «Hey, piccoletta, dove sei?»
Malgrado la udisse distintamente, dovette metterci un po’ a trovarla.
Guardò in una stanza e la chiamò «Piccola?» Niente.
Guardò in un’altra e di nuovo «Manty? Sei qui?» Ma ancora nulla.
Finalmente, giunto in cucina, la trovò. Era in piedi sul bancone e piangeva. «Che succede? Ti sei fatta male?» Le chiese con premura. Una rapida ispezione lo convinse che non si era fatta niente. «Meno male. Ok, che cerchi, cosa vuoi?»
Manty non la smetteva di piangere.
«Di che cosa avrà bisogno… » si chiese «ehem… vuoi… dormire?» Manty piangeva.
«No… vuuoii… un giocattolo?» Pianse più forte.
Ian si spazientì «e che cavolo, si può sapere cosa vuoi?!» Manty era una cascata di lacrime e un’orchestra di stridenti pianti.
«Vuoi mangiare qualcosa?»
Finalmente si placò.
«Uff… ok, mangiare… cibo, vediamo… cosa mangeranno i cuccioli di chipmunk?» Si guardò intorno in cerca di qualcosa da darle, scavando nel frattempo anche nella sua memoria. Ai tempi in cui aveva ospitato i Chipmunks, per quel poco che aveva vissuto con loro, li aveva nutriti a dolci e colesterolo, al contrario delle Chipettes, con le quali era stato più coscienzioso, nutrendole con frutta e verdura per preservarne la linea che avrebbero dovuto esibire ai concerti ai quali avrebbero dovuto prendere parte. Il problema era che ora non aveva né gli uni né gli altri.
Guardò in uno dei ripiani, alla ricerca di un sacchetto di noccioline che era convinto di avere, ma niente. Si era sbagliato. «Dannazione!»
Doveva fare qualcosa. Probabilmente era tutta la giornata che la piccola non metteva qualcosa sotto i denti, e dubitava altamente che quell’irresponsabile di suo padre, pronto com’era a darla in adozione, si fosse preso la briga di portarle qualche dispensa di cibo.
Rimase in riflessione sull’argomento ancora per un po’, fino a che il suo sguardo non lo guidò alle chiavi della macchina, che gli diedero la soluzione.
«Ho trovato!» Esclamò poi, rivolgendosi a Manty «allora, ascolta. Io adesso vado a comprarti qualcosa da mangiare, perché qui non ho niente per te, ma tu, per favore, resta qui e non andartene, ci siamo intesi?»
La piccola lo fissò con gli occhi ricolmi di fiducia e un sorrisetto abbozzato sul volto. «Hawkey-Hawke!»
Ian restò ammutolito per qualche secondo, ma poi parlò «Ok, ci siamo intesi.»
Si preparò in fretta e furia indossando solo una giacca di finta pelle marrone scuro tutta rovinata e un paio di vecchie Nike da jogging sporche e insudiciate, prese le chiavi dell’auto e la congedò con un «Torno subito!» per poi correre fuori armato d’ombrello per affrontare la pioggia che ancora non accennava a fermarsi.
Manty restò da sola.
In un primo momento non fece nulla. Stava seduta là, dove Ian le aveva chiesto di rimanere e obbediva, ma poi la fame e la noia presero il sopravvento.
Armata della sua inesauribile curiosità, all’inizio ispezionò la cucina con lo sguardo, sondando l’ambiente, fino a che non trovò ciò di cui era alla ricerca. Dopo di che vi si buttò a capofitto non curante delle conseguenze delle sue azioni.

«Eccomi, sono tornato!» Si annunciò Ian venti minuti dopo. Con sé aveva una borsa della spesa piena di frutta fresca di negozio. Frutta secca, di bosco, del fruttivendolo, di qualsiasi tipo ne avesse trovata, e in più si era preso la premura di comprarle un paio di pacchetti di biscotti e amenità varie.
Si aspettò che Manty, sentendolo rientrare, si gettasse a capofitto verso di lui, magari esultando col suo “Hawkey-Hawke” per esibire la gioia del suo ritorno, ma non fu così.
Ian non perse tempo e andò subito in cucina, dove si augurò di ritrovarla pazientemente in attesa sul balcone dove l’aveva lasciata.
«Ho una sorpresa per te! Penso ti piacerà… » la voce gli si spezzò in gola. Si aspettò di trovare quasi di tutto al suo rientro, ma non lo spettacolo osceno che la piccola aveva scatenato intorno a sé! La borsa con la spesa gli cadde dalle mani atterrando con un tonfo sordo sul pavimento, mentre l’uomo osservava attonito lo spettacolo delle cibarie del frigo cosparse un po’ dappertutto nella stanza.
In qualche modo, Manty era riuscita ad aprire lo sportello del frigo e a intrufolarvisi, ma non si era limitata a pasteggiare con tutto ciò che vi aveva trovato all’interno. No, lo aveva anche rovesciato sul parquet e su tutto il mobilio, a partire dai battiscopa del lavandino per giungere alle mensole attaccate alle pareti.
Cosa più sconcertante, Ian trovò Manty per terra, intenta a spolpare dalle ossa gli avanzi del pollo arrosto di due sere prima.
Quando la piccola chipmunk - che in quel contesto, più che un roditore, pareva un piccolo coguaro famelico, con brandelli di arrosto pendenti dalla sua bocca - si accorse della presenza di Ian, lo accolse alla vista di quel macabro spettacolo con uno dei suoi entusiastici «Hawkey-Hawke!»
«Hawkey-Hawke anche a te… » rispose Ian, con lo sguardo disperso nel caos della cucina e nel pasto della chipmunk.
Manty riprese a divorare la carcassa dell’arrosto, incurante del fatto che madre natura l’avrebbe concepita come “fruttivoro”.
«Se non altro abbiamo risolto il problema della fame… » farfugliò Ian, indeciso se sottrarle quel che rimaneva della carcasse e correre il rischio di finire egli stesso nel menù, o lasciarle stravolgere la catena alimentare continuando quel lugubre pasto. Alla fine optò saggiamente per la seconda scelta.

Per farla dormire, Ian aveva riempito una piccola scatola per scarpe con alcuni panni recuperati da vecchi abiti del guardaroba, e l’aveva portata nel suo studio con l’intento di farla dormire lì.
Dopo averla accompagnata in braccio nella stanza e averla appoggiata tra i morbidi stracci di quella cuccetta improvvisata augurandole la buonanotte, si stava convincendo che finalmente quella lunghissima giornata stava ormai volgendo al termine, e non vedeva l’ora di gettarsi sul letto per una lunga e riposante dormita. Malauguratamente per lui, Manty non era dello stesso avviso e glielo dimostrò balzando fuori e defilandosi come un razzo.
«Hey, Manty! Dove cavolo stai andando?! MANTY!!»
Altro che meritato riposo. Ian dovette rincorrerla per mezz’ora in giro per casa! Manty correva di qua e dì là, in qualunque piano o superficie riuscisse ad appoggiare le zampette, saltando sopra i mobili e nascondendosi sotto i tavoli, dovunque pur di non farsi acciuffare. Quando finalmente la recuperò, tornò nuovamente nello studio per ritentare la medesima operazione, e lei di nuovo lo morse sul lembo di pelle tra pollice e indice per poi fuggire di nuovo. Ne seguì un altro inseguimento.
La ritrovò arrampicata sul guardaroba in camera sua. Non sembrava avere il fiatone, al contrario di Ian, che ormai aveva il cuore a mille e il fiato corto.
«Manty, per piacere… sono esausto! Voglio andare a dormire. Ti prego, scendo giù!» La supplicò alternando ansimi e colpi di tosse.
«NO!» Rispose lei, mettendogli il broncio.
«Manty!» Tuonò di nuovo Ian, adirato.
La piccola scosse la testa. Non aveva nessuna intenzione di scendere.
Ian si rimestò alla ricerca di una soluzione, ma scarto subito la prima. Non aveva il coraggio di provare a prenderla, gli bastava il dolore pulsante alla mano a ricordargli di essere cauto.
Doveva escogitare qualcos’altro. Qualcosa che potesse mettere d’accordo entrambi, perché era chiaro che se anche fosse riuscito a catturarla e rinchiuderla nella stanza dello studio per quella notte, non avrebbe potuto ricorrere alla stessa manovra anche nelle sere seguenti. Manty  non si sarebbe fatta gabbare una seconda volta. Le circostanze esigevano un piano alternativo, ed era pressoché ineluttabile che le richieste e le suppliche non funzionavano con quel piccolo mostriciattolo.
Si osservò intorno alla ricerca di una soluzione e gli giunse quella più assurda di tutte, ma appunto per questo, forse l’unica efficace.
«E se… ti facessi dormire nel mio letto mentre io me ne andrò sul divano?»
Manty osservò il materasso, rimuginando sulla proposta. «No!» Rifiutò, quindi.
“Piano B” si disse Hawke tra sé e sé.
«E se… dormissi con me?»
Questa volta l’offerta fu accolta. «Sì!!» Esultò lei. Sembrava quasi che non mirasse ad altro che a questo. Spiccò un balzo dalla cima del guardaroba e atterrò sulla spalla di Hawke, soddisfatta dell’accordo, al contrario di Ian, che invece si sentiva recalcitrante. Ma oramai il dado era tratto, non aveva altra scelta che assecondarla.
La prese in braccio per l’ennesima volta e quindi la condusse al letto, ove la appoggiò con una raccomandazione: sarebbe tornato poco dopo, a patto che lei avrebbe fatto la brava e si sarebbe messa a dormire senza fare altre storie. «Ok?» Ammonì in conclusione.
«Shi!» rispose lei.
 La fece entrare sotto le coperte e la rimboccò, spense le luci e cercando di mantenere un atteggiamento composto, uscì dalla stanza.
A quel punto si assicurò solo di allontanarsi di qualche passo lungo il corridoio e quando si sentì abbastanza al sicuro, prese fiato e diede libero sfogo al panico represso: «OH MIO DIO!! Questa è una pazzia!! Hawke! Hawke! Non Può andare avanti così, non può!» Stava iperventilando «Si è mangiata tutto il pollo! Lei… una chipmunk… il pollo!» Si guardò la mano ferita dal morso «Oh no! Si mangerà anche me! Calma Ian, calma… devi solo… devi solo chiedere aiuto a qualcuno! Sì, aiuto! Già… ma a chi?»
Ebbe un sussulto, forse aveva la risposta. Raggiunse il bagno, dove la sua attenzione corse subito al suo riflesso nello specchio.
«“Riflesso”? Ehm… “Dave dall’altra parte dello specchio”? Ci siete? Aiutatemi!» Ma no, questa volta non vi furono voci nello specchio a parlargli.
«Specchio riflesso, parlami… adesso!»
Niente.
«Ehm… specchio, specchio delle mie brame, salvami dalla sua fame!»
E nemmeno questa nenia funzionò. «E dannazione!»
Doveva trovare qualcos’altro.
«Hawkey-Hawke?»
La vocetta di Manty, giuntagli così bruscamente alle orecchie, lo fece urlare e trasalire, tanto che quasi cadde di peso nella doccia.
La chipmunk era alla soglia della porta, e lo stava guardando.
«Ehm, piccola… io… io arrivo subito. Non ti preoccupare, stavo solo… uh… provando una nuova canzone, eheh… “Specchio, specchio delle mie brame, chi mi salverà dalla sua fame. Specchio, specchio tu lo farai, specchio, specchio, tu mi salverai!”» la intonò canticchiandola a ritmo di un’improvvisata musica «Capito? E’ il ritornello di una canzone, tutto qui! Vai a dormire, io ti raggiungo tra poco, promesso! Ok?»
Manty curvò il capo verso destra, perplessa, ma poi annuì e se andò.
«Fiù!» sospirò l’uomo «Ok, niente panico. Puoi farcela! Sei grande e grosso. Tempo che cominci a mangiarti, tu sarai già scappato! E solo una chipmunk, che vuoi che sia?» Respirò con calma, cercando di placare il terrore che gli scorreva nelle vene «già. Una chipmunk che scarnifica polli arrosto…»

In stanza, la scostò leggermente per avere spazio dove sdraiarsi. Era ancora scettico dell’idea di condividere con lei il letto, ma mentre la guardava appisolarsi, dolce e innocente, per un istante non gli parve più tanto spietata come se l’era figurata poco prima. Era iperattiva e ribelle, questo sì, ma pericolosa no. Tuttavia, un pensiero cadde alla memoria del fu Randal: chi sa se si comportava in questo modo anche con lui? Se così fosse stato, in parte lo si sarebbe potuto quasi compatire. Con una figlia del genere ogni padre sarebbe impazzito.
Mentre se lo diceva tra sé e sé, non si accorse che Manty si era svegliata e gli si stava accoccolando al suo fianco, un po’ come quella volta con Theodore Seville. Solo che stavolta non la scacciò via, ma le lasciò fare, guardandola mentre s’infilava sotto le coperte lasciando spuntar fuori delle coperte solo la testolina.
Si assopì subito dopo, senza mordere, senza strillare, senza piangere, e soprattutto, senza agitarsi.
Ian trasse silenziosamente un sospiro di sollievo.
«Buona notte, piccoletta.» Le augurò.
«N-ote Hawkey-Hawke.» Bofonchiò lei con la voce offuscata dalla sonnolenza.
Ian sorrise d’istinto, pensando che malgrado tutto Manty era un vero fenomeno della natura. Ancora non era nemmeno in grado di parlare correttamente, eppure era già in grado di comprendere al volo tutto ciò che le dicevano. E sapeva persino rispondere a tono!
Rimase a osservarla dormire ancora per un paio di minuti, dopo di che accantonò i pensieri che gli albergavano in testa e si sdraiò accanto a lei dopo aver spento la luce sul comodino .

La mattina, il risveglio fu problematico. Ian era abituato a usare la sveglia per alzarsi, (anche se non aveva un lavoro da svolgere o un appuntamento da raggiungere), e poiché l’ultima in suo possesso aveva vissuto una brutta esperienza con la parete della stanza, ciò lo aveva portato a svegliarsi in ritardo. Molto più in ritardo di quanto dovesse. La mattina infatti si destava dal letto alle nove in punto. Ora, invece, si svegliò a mezzogiorno e mezzo.
Ma il vero dramma non era questo, quanto lo scoprire che al contrario di lui Manty era in piedi già da un pezzo, e probabilmente aveva una fame da lupi… una fame da branco di lupi!
«Manty!» Esclamò.
Uscì dal letto compiendo un balzo inumano e con la stessa agilità si catapultò fuori dalla stanza, guidato verso il salotto dal rumore della TV accesa.
«Manty, sei qui?» chiese esagitato, una volta raggiunta la stanza.
 La chipmunk era sul divano, con il dorso appoggiato sullo schienale e le zampe distese in avanti in una perfetta postura da relax .
«C-iao, Hawkey-Hawke!» Lo salutò lei con il suo ineluttabile entusiasmo.
«Oh, meno male. Sei qui!» Trasse un sospiro di sollievo, convinto di averla scampata per un soffio, ma aveva parlato troppo presto. L’uragano Manty aveva colpito ancora, e ora se ne accorse.
«Oddio, che hai fatto alle tende?!?» Urlò tanto da farsi male alla gola, mentre si stringeva le tempie con le mani.
Le tende erano state ridotte a brandelli, con diversi segni di lacerazioni da graffi e morsi che apparivano ben evidenti laddove il tessuto non era stato del tutto strappato dalle loro asticelle di supporto. Alcune erano ridotte peggio di altre, con parti di lino sparpagliate per terra e su tutto il mobilio, mentre altre sembravano persino scomparse nel nulla, come se fossero state mangiate.
«Oh no! No! No! No! Perché?!» Ian fece ricorso a tutta la sua buona volontà per non aggredirla. «Perché devi fare così, non puoi startene ferma per… » mentre si girò per guardarla, la vide sgranocchiare con innaturale ingordigia il telecomando della TV. Glielo strappò con la forza dalle zanne.
«Hey!» Esclamò Manty, tentando persino di morderlo per riappropriarsi del suo “osso”.
«“Hey” un bel niente! E’ il momento di cominciare a stabilire delle regole se vogliamo andare d’accordo. So che mi capisci, quindi ascolta bene: regola numero uno, questa che vedi qui intorno è casa mia! » indicò tutto la stanza con un gesto delle mani «E se vuoi continuare a viverci devi piantarla di masticare ogni cosa che ti capita sotto mano! Chiaro?!»
In Manty comparve una smorfia di disappunto. «S-hi…» (“Sì”) bofonchiò lei, volgendo lo sguardo altrove.
«Bene, lo spero, perché adesso arriva la regola numero due: siccome è casa mia, decido IO cosa si può fare e cosa no, perciò, quando io ti dico NO a qualcosa, è INSINDACABILE! Chiaro?»
«Oc-chei.»
«Regola numerò tre, e questa è la regola più importante» Le indicò il morso sulla mano. «Non-si-morde-il-padrone-di-casa! Spero di essere stato chiaro anche su questo!»
Uscì dalla stanza, sperando che nel frattempo Manty avrebbe riflettuto sui suoi errori mentre rimaneva da sola, e puntò alla caffettiera. La macchina sta volta aveva funzionato, ma a causa dell’orario, il caffè era ormai freddo. Pazienza. Se ne versò una tazza e lo bevé lo stesso.
Per terra era appoggiata in un angolo la borsa con gli acquisti della sera prima, ma ora come ora, non aveva molto senso riporli nei ripiani: Manty aveva già provveduto a depredarla da cima a fondo, svuotandola dal suo contenuto e disseminando briciole di biscotti e bucce di sfrutta ovunque.
Tornò in salotto.
«E un'altra regola: da oggi il mangiare te lo darò io, negli orari che deciderò io e nella quantità che riterrò opportuna io!»
«Hawkey-Hawke?» Lo chiamò lei, triste in viso.
«Che c’è?»
«Pa-pà?» Biascicò lei.
Tutta la sicurezza di Ian mantenuta fino a un istante prima, crollò come un castello di carte abbattuto dall’impatto con quella domanda.
«Oh… ehm… » non sapeva come comportarsi, tanto meno, non riuscì a dirsi se quell’uscita improvvisa fosse stato un astuto piano per deviarlo dal farle la predica o se veramente era preoccupata per le sorti di suo padre, fatto sta che il suo viso comunicava una profonda inquietudine.
Ian andò a sedersi vicino a lei, sul divano.
«Vedi, piccola… tuo padre è… » prima o poi avrebbe dovuto dirglielo, ma quando? Ora forse? «E’ dovuto partire per un po’. Ieri era venuto da me, e… e mi aveva chiesto di prendermi cura di te per un po’.» Non ebbe il coraggio di confessarglielo.
«Ca-nto?»
«Canto?» Ian non la capì, sta volta.
«No… Q-anto?»
«Quanto? Oh… uhm… non lo so. Credo per un po’.» Le mentì.
«Oh… »
«Già. Per il momento credo che dovremo imparare ad abituarci l’uno dell’altra.»
In fondo non aveva altra scelta. Non poteva di certo cacciarla di casa proprio ora .
«Ma promettimi che farai la brava. Ok?»
«Eheheh, s-hi.»
Quel sogghigno non promise nulla di buono a Hawke. Non avrebbe rispettato le quattro regole, questo era lampante, ma chi poteva dirlo? Forse era come diceva lui, dovevano solo abituarsi a quella strana convivenza.
«Piccola furbetta.» La etichettò Ian, e di risposta Manty gli fece un occhiolino beffardo.
Rimasero insieme a guardare la TV per una decina di minuti. A un certo punto su un canale passarono un video dei Chipmunks e delle Chipettes, uno dei tanti che stavano circolando in quel periodo, complice il nuovo album in uscita entro un mese.
Manty restò ammaliata nel vedere quei suoi simili esibirsi in TV.
«Quelli sono “Alvin e i Chipmunks”. Ho avuto a che fare con loro qualche anno fa. Una storia lunga, magari un giorno te la racconterò.»
A guardarla, però, Manty sembrava più concentrata alle tre scoiattoline in costume di scena, che non alle loro controparti maschili.
«Oh, e quelle sono le Chipettes. Stanno insieme ai Chipmunks da qualcosa come quattro anni. Anche loro me ne hanno fatte passare di tutti i colori.»
«Chi-tette?» Domandò Manty.
Ian scoppiò a ridere.
«Ma no! ChiPette, con la P!»
Manty meditò un paio di secondi.
«Chitette!»
Ian fece spallucce. “Bé, d'altronde, perché contraddirla?” Pensò tra sé e sé.
«E va bene, come vuoi tu. » Restarono in silenzio a guardarli ancora per un po’, poi Ian aggiunse «Ti piacciono?»
Era curioso di sentire la risposta, anche se già immaginava quale sarebbe stata: un misto tra il giubilo e la frenesia di qualcuno in overdose da caffeina. In pratica, come la reazione di una qualunque fan di fronte al suo idolo.
Dopo aver osservato con attenzione il video musicale e aver ammirato la maestria con la quale i sei chipmunk sullo schermo alternavano versi di canzoni a spettacolari mosse di danza acrobatica, la risposta definitiva di Manty fu:
«Chitette chifo » (“schifo”)
No, decisamente Ian Hawke non  se l’aspettò. Mostrò un sorriso a trentadue denti, uno di quelli che la gente esibisce di fronte a un blando tentativo di contenere un’imminente eruzione di gioiosa soddisfazione.
«Lo sai? A parte i morsi e tutto il resto, ho l’impressione che io e te andremo molto d’accordo, piccola.» Disse poi, per tentare di placare almeno in parte il suo desiderio di gridare “VITTORIA!”

Più le ore passavano e più stava cominciando ad accettare di buon grado la coabitazione con quel piccolo ciclone di nome Manty.
Tuttavia, prendendo il valore della sua inesperienza come “tutore”, sommata alle sue ridicole disponibilità economiche ed elevando il tutto al fattore “Caos” che la piccola si lasciava dietro al suo passaggio, Ian sapeva che quella convivenza non sarebbe durata a lungo. Aveva bisogno di un aiuto. Almeno per schiarirsi le idee sull’ABC del perfetto “patrigno di un chipmunk”. Purtroppo nelle librerie non era ancora disponibile un “ Allevare chipmunk per inetti”, perciò decise di affidarsi all’unico uomo che su quel campo aveva una riconosciuta esperienza pluriannuale.
Deciso ciò, si armò della cornetta del telefono e compose un numero.
«Pronto?» Rispose la voce dall’altro capo.
«Dave, sono io.» Si annunciò Ian.
Dave esitò. «Io… chi?»
Sbuffò. «L’addetto alla nettezza urbana, Seville! Ci risulta che non avete pagato le bollette dell’ultima mensilità, perciò stiamo venendo a riportarvi la spazzatura delle ultime quattro settimane!» Annunciò acidamente.
Dave rimase attonito per un lasso di tempo compreso tra i tre e i cinque secondi, secondo in più, secondo in meno. «Ian, sei tu?» Chiese dunque.
«E’ bello sapere che ancora ti ricordi della mia voce, Dave.»
«Scusami. E’ che non me l’aspettavo una tua chiamata, non dopo la discussione di ieri!»
«Per quanto riguarda quella, mi dispiace. Mi ero svegliato con il piede sbagliato.»
«Diciamo pure con entrambi i piedi sbagliati!» Scherzò. Ma Ian non raccolse la battuta.
«Senti, Dave. Vengo subito al punto. E’ un po’ strano quanto sto per chiederti, ma… mi trovo invischiato in una faccenda piuttosto delicata.»
«Di che si tratta, Ian? Hai bisogno di soldi?»
«No, no, è solo che… bé, mettiamola così. Ho… ospiti in casa.»
Ian tacque brevemente ed ebbe un sussulto. «E di che tipo?» Disse poi.
«Bé, non è che siano proprio ospiti… diciamo, un… una coinquilina…»
Altra pausa. «Ho capito, ti sei preso la cotta per qualcuno e vuoi dei consigli. Ma purtroppo non posso aiutarti, dovresti saperlo.»
«Dave, i Chipmunks te lo dicono mai di piantarla di saltare alle conclusioni affrettate?» Gli chiese seccato.
«Ma che ci posso fare se continui a parlare per indovinelli! Mi dici di che si tratta senza girarci intorno?» Controbatté.
“E va bene, diciamoglielo.” Si rassegnò Ian.
Trasse un profondo respiro e poi parlò. «Vedi, Dave. Il fatto è che ho in casa un… cucciolo femmina di chipmunk. E non so bene cosa fare per prendermene cura, quindi ho pensato: magari potevo chiedere a te, dato che tu te ne tieni in casa sei e hai ancora una parvenza di sanità mentale. Tutto qui.»
Dall’altro capo del telefono Dave non fiatò.
«Ehm, Dave? Sei ancora in… »
«COS’HAI TU?!?» Esplose d’improvviso dando libero sfogo a tutto il fiato che aveva in corpo
«Ok, ritiro quello che ho detto sulla sanità mentale.» Canzonò Ian dopo essersi ripreso dal frastuono.
«Non posso credere che tu l’abbia fatto di nuovo, Ian! Avevi detto di essere cambiato! E invece sei ancora qui a rapire chipmunk per quei diavolo di sogni di vendetta che nutri verso di noi!»
«Hai finito di lanciarmi contro calunnie oppure hai ancora qualcosa da dire?» Gli chiese, mantenendo un atteggiamento calmo e a tratti distaccato.
«Ho ancora qualcosa da dire, per la miseria! Non so dove tu l’abbia trovato, ma riportalo subito indietro finché sei in tempo! Oppure questa volta finisce che ti porteranno alla gogna in piazza con il pubblico che si gusterà lo spettacolo tra bibite e pop corn!»
«Bé, vedi Dave» si grattò la nuca «vista la situazione, in questo caso particolare sarei ben felice di fare come mi hai detto. Ma ahimè, non posso farlo.»
«Oh, si che lo farai! E anche alla svelta, oppure… »
«Che vuoi fare?» lo interruppe con fermezza «Denunciarmi alla protezione animali? Bene, fallo pure, ma prima siediti comodo e goditelo te lo spettacolo. Perché adesso ti racconterò io in che casino mi sono cacciato, e se vuoi aiutarmi, mi ascolterai. D’accordo?»
Dave indugiò sulla proposta, ma poi si convinse a dargli almeno una chance. «D’accordo. Parla.» Tuttavia, la sua voce non parve molto convinta.
Ian gli riassunse la vicenda che lo portò ad “adottare” Manty, partendo dal principio raccontandogli di Randal e della sua presunta (pessima) fine, per poi proseguire con tutti gli avvenimenti che si era ritrovato a dover gestire da quando la piccola era piombata nella sua vita. Non tralasciò alcun dettaglio, arrivando a parlargli persino delle tende strappate e dei morsi alle mani.
«Ah.» fu la risposta secca di Dave al termine del racconto.
«Tutto qui? Cioè, fammi capire bene… fino a poco fa sembrava che ti dovessero abbattere per farti tacere, e ora non hai niente da dire?!»
«No… è che… non credevo che la situazione potesse essere questa.»
«Capisci in che casini mi trovo, quindi? Ho bisogno di aiuto, Dave! La piccola mi ha già divorato le riserve di cibo di tutta la casa e si è mangiata persino gli avanzi dell’arrosto di pollo!»
«Stai forse dicendo che le hai dato da mangiare della carne?!»
«No! Ha aperto il frigo e l’ha depredato, DA SOLA!»
«E come… »
Ian non lo fece parlare. «E per favore, non chiedermi come ha fatto ad aprirlo, perché io proprio non lo so!»
«E’ possibile che l’hai lasciato aperto mentre te ne andavi?» Suggerì.
«Non lo so!» Gridò Ian «E ora come ora non mi interessa, tanto ormai è vuoto. Il fatto è che non so già più che fare! Per oggi va bene, per domani potrei farcela. Ma tra una settimana? Tra un mese? Tra… un anno??»
«E’ una situazione un po’ difficile, Ian, lo so…» fece comprensivo «tra l’altro io ho con me i ragazzi da quando erano già grandicelli. Ma da quel che mi hai detto, lei deve avere solo, quanto, quindici mesi?»
«Quattordici.» Lo corresse.
«Giusto. Quindi mi trovo un po’ impreparato a questa cosa… »
«Perché, io no?» Chiese di getto.
«E’ vero. Bé, ci penserò su e vedrò di inventarmi qualcosa… »
In quel momento a casa Seville, mentre Dave era al telefono con Ian, Simon e Eleanor fecero la loro comparsa nella stanza. L’uomo e i due chipmunk si salutarono con un cenno e restarono ad ascoltare la conversazione.
«Che succede?» Si intromise Simon.
«Ehm, Ian, resta un attimo in linea per favore.» Dave coprì l’estremità inferiore della cornetta con il palmo della mano.
«Ian ha in casa un cucciolo di chipmunk femmina.»
«Cosa?!?» Risposero in coro Simon ed Eleanor, sbigottiti.
«Non posso crederci! L’ha fatto di nuovo!» Aggiunse poi Simon.
«Ho detto anch’io la stessa cosa, ma è una situazione particolare questa volta.» Spiegò Dave.
«Di che tipo?» Chiese Eleanor.
«E’ complicata da spiegare. Ma ora Hawke sta cercando qualcuno che gli dica come prendersene cura. Vi viene in mente qualche nome?»
I due Chipmunk lo fissarono confusi, chiedendosi tra le righe se in quel momento il loro tutore non fosse impazzito.
«Non guardatemi così, ragazzi. So benissimo che state pensando, ma o lo aiutiamo oppure lo lasciamo in balia della piccola. Cosa credete che sia meglio?»
Il Chipmunk e la Chipette concordarono con lui e cominciarono a far ruotare le ruote degli ingranaggi. I pronostici davano Simon per vincitore, ma alla fine fu Eleanor ad avere la risposta.
«Bé… ci sarebbe “Lei”…» asserì, avara però di dettagli.
«“Lei” chi?» Chiese Simon.
«Lo sai.» Sostenne, sicura di se.
Simon rimuginò reggendosi il mento con la mano, finché infine si schiarì le idee. «Ah già… è vero! Lei è perfetta!»
«State parlando di chi penso io? Quella “Lei”?» Intervenne Dave.
«Proprio lei “Lei”.» Confermò Eleanor.
Dave strabuzzò gli occhi. «Ma certo!» Poi guardò verso i due chipmunk, indirizzando la sua attenzione su qualcosa. «Ma… un momento. Da quando voi due andate in giro insieme?»
Simon ed Eleanor sussultarono e si scambiarono sguardi imbarazzati mentre gesticolando compulsivamente cercavano di mettersi d’accordo su chi doveva parlare. Tocco a Simon. «Ehm… ogni tanto capita, Dave. Che c’è di male?»
«Ah, ok.» La loro risposta stiracchiata fu più che sufficiente. Evidentemente Dave non ci aveva comunque dato molto peso. Tornò a rivolgersi a Ian, mentre Simon ed Eleanor si scambiarono occhiate d’intesa alle sue spalle.
«Ian, sei ancora in linea?» Lo chiamò.
«Finalmente! Sì Dave, ci sono. Dimmi che hai buone notizie!»
«Diciamo di sì, ma prima una domanda… hai i soldi per un viaggio in aereo?»

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3: Linda ***


Il giorno dopo. Mattina.
Ian aveva preparato in tutta fretta e senza badare troppo ai dettagli una piccola valigetta con il minimo indispensabile per il viaggio. La sua meta era Carterson City, una piccola contea situata nello stato del Kentucky dove una volta giuntovi - gli era stato spiegato - avrebbe dovuto cercare una certa Linda Green: la donna che si era presa cura delle Chipettes durante i primi anni della loro vita.
Se c’era una persona al mondo con la quale avrebbe potuto parlare per chiedere consigli sul come allevare Manty nel modo migliore, quel qualcuno era certamente lei.
Ian ne aveva sentito parlare per la prima volta durante la telefonata del giorno prima. Infatti, benché le Chipettes avessero coabitato con lui per un breve periodo di tempo, non si era mai preso la briga di scoprire qualche dettaglio extra sul loro passato. Di conseguenza, non aveva idea di che tipo di persona doveva aspettarsi una volta giunto a destinazione. Si augurò solo che questa sarebbe stata disposta ad aiutarlo.
Per il viaggio aveva deciso di portare con sé solo qualche cambio di vestiti, giusto per le emergenze, e poco altro: i documenti di viaggio, una rivista di auto sportive letta e riletta almeno tre volte, ormai - ma che gli avrebbe fatto compagnia in aereo - e un po’ di contante preso dai pochi risparmi rimastigli, con il quale era pronto a pagare le eventuali spese di soggiorno. Per quanto riguardava i biglietti, invece, li avrebbe presi all’imbarco.
Aveva già provveduto a chiamare il servizio del taxi, e mentre attendeva il suo arrivo ricapitolò con una breve lista mentale per essere sicuro di aver portato con sé tutto. Poi il taxi arrivo, e quando ogni cosa risultò presente all’appello, chiuse la valigia e si disse pronto a partire.
Si fermò al varco della porta, colto inaspettatamente da un dubbio. Era come se una vocina dentro di sé gli stava sussurrando di aver trascurato qualcosa. Eppure aveva appena ricontrollato il contenuto della valigia, quindi cosa poteva essere? C’era qualcosa che gli sfuggiva? Dopo averci meditato brevemente, si convinse di no e uscì chiudendo a chiave.
Quattro gradini e un piccolo vialetto asfaltato circondato da un prato maltenuto erano tutto ciò che lo separavano dal taxi, ma quando iniziò a percorrerli uno squittio a lui familiare lo chiamò da dentro la casa.
Rientrò a passo svelto. Manty era nel corridoio, di fronte a lui.
«Vieni, si parte.» Le disse con apocrifa calma.
Manty lo seguì ubbidiente e la voce nella testa si era placata. Ora sì, aveva preso tutto.

Arrivati all’aeroporto, Ian sperò di oltrepassare il Check-in e imbarcarsi nel loro aereo senza incappare in contrattempi di alcun genere, ma fu chiaro fin da subito che era un obbiettivo, il suo, che sarebbe stato meglio non prefiggersi.
«Ian Hawke? Proprio quell’Hawke del libro?» Chiese la donna allo sportello. A quanto pare la sua “fama” lo aveva preceduto.
Ian sospirò. «Sì, proprio quello. L’ex-dirigente della Jet Records.» Rispose seccamente.
«Ed è venuto qui per imbarcarsi con… »
La donna indicò con un cenno dello sguardo Manty, di fianco a loro sul banco, che stava sbranando una penna trovata lì.
«Lei, sì.» Annuì l’uomo «c’è qualche problema, per caso? In teoria ora la legge degli Stati Uniti considera i chipmunk parlanti alla stregua degli esseri umani. O mi sbaglio?»
La responsabile annuì in silenzio.
«Quindi non dovrebbero esserci problemi a farla imbarcare nel volo, no?» Aggiunse Hawke. La donna sembrò non avere idea di come comportarsi.
«Sì, infatti. E solo che… può attendere qui solo un minuto.» Si congedò.
Ian attese, mentre la donna si allontanava per andare a rivolgersi a quello che probabilmente era il suo superiore. Con lui scambiò alcune chiacchiere sussurrate a vicenda, per poi giungere molto probabilmente alla soluzione e fare ritorno alla sua postazione. Qualunque cosa si fossero detti, non occorreva un indovino per capire che Ian stava per ritrovarsi dalla padella alla brace. Poco dopo, infatti, ecco che gli si presentò alle spalle una specie di montagna umana di muscoli e pessimo carattere, con l’uniforme della sicurezza. Era un afroamericano che dava l’idea di essere stato in una vita passata un campione di wrestling, o comunque, uno che aveva avuto un rapporto molto stretto con le migliori palestre dello stato. Tutto, ma proprio tutto di quel titano sembrava costituito da muscoli pompatissimi! Dai polpastrelli delle dita, fino alle sopraciglia, per non parlare delle vene sanguigne gonfie e pulsanti che gli rigavano collo e braccia come un reticolo di pura energia distruttiva. Al suo cospetto, Ian si sentì come un piccolo ramoscello di un albero morto: pronto a spezzarsi al minimo tocco. Come se ciò non bastasse, trovandosi a fissarlo letteralmente dal basso verso l’alto, in una posizione di estrema inferiorità, costatò anche che il tizio nerboruto sembrava particolarmente bramoso di affondargli i denti nella carne, magari per troncargli di netto un orecchio e sputarlo in un angolo della sala.
«Può venire con noi, signore?» Furono le parole pronunciate di punto in bianco dal gigantesco Hulk, con una voce spaventosamente rauca. Un invito che tuttavia gli suonò come una minaccia di morte.
Ian obbedì senza fiatare.

Ci vollero più di due ore affinché Ian fosse liberato dalle grinfie della security. Ma che accadde? A quanto pare, il fatto che il “famigerato” Ian Hawke si fosse presentato all’aeroporto accompagnato da un cucciolo di chipmunk, aveva destato preoccupazioni all’addetta del check-in, la quale si convinse senza (quasi) motivo apparente di trovarsi di fronte a un caso di rapimento, con conseguente mobilitazione della sicurezza e della montagna umana.
Ian fu interrogato per oltre un’ora e mezza sul dove l’avesse trovata e su quali fossero le sue intenzioni con essa. Fu sincero nelle risposte, ma non bastò a convincerli.
A un certo punto (probabilmente prima di passare alle torture corporali, immaginò lui) gli fu permesso di fare una telefonata, che sfruttò sensatamente per contattare Dave.
Dave parlò a lungo con gli agenti al telefono, ma per fortuna il suo intervento si rivelò provvidenziale. Con la buona parola di Seville, decisero di rilasciare Hawke e gli permisero di imbarcarsi con Manty.
Mentre raccattava le sue cose, Ian lanciò uno sguardo di sottecchi al colosso, scorgendo una maschera di delusione impressa sul suo volto. Evidentemente il mostro era ancora assetato di sangue, ma per sua fortuna, non sarebbe stato lui la sua vittima. Non quel giorno
Persero il loro volo, ma fortunatamente, ne trovarono un altro una quarantina di minuti dopo.

Finalmente erano partiti.
Il viaggio sarebbe durato poche ore ma Ian si augurò che giungesse al termine il prima possibile. Non era sicuro di poter garantire l’incolumità dei passeggeri del volo, non con Manty al suo fianco.
Una hostess passò lungo il corridoio offrendo snack vari da spiluzzicare. Quando si fermò ai loro posti, Hawke subì un sussulto nel vedere la chipmunk pronta a scattare contro la povera vittima indifesa e decise di punto in bianco di svenarsi le finanze acquistando gran parte delle cibarie dalla donna pur di scongiurare che la famelica creatura balzasse contro l’innocente donna.
Mentre Manty divorava avidamente quello che Ian le aveva comprato, nel sedile di fianco, sulla fila di destra, un’anziana signora sulla settantina (o forse sull’ottantina) si accorse solo in quel momento dei curiosi passeggeri che condividevano il suo stesso volo, e non esitò a cogliere l’occasione per fare una chiacchierata con loro.
«Mi scusi, giovanotto?» Chiese lei con voce gracchiante.
Ian la sentì, ma non era certo che si fosse rivolta a lui. «Dice a me?»
«Sì. Mi stavo chiedendo cosa fosse quella piccola creaturina che sta seduta lì, sul sedile di fianco al suo.»
Ian non credé alle sue orecchie. Davvero non lo sapeva? «Ehm… questa… » non trovava nemmeno le parole per risponderle «questa, signora, è una chipmunk. Non ne ha mai visto uno?»
Prese Manty tra le braccia, interrompendola dal suo banchetto, e la mostrò all’attempata passeggera.
La vecchia, dopo un primo fugace sguardo, si mise a cercare nella sua borsa qualcosa, e quando ne estrasse la raggrinzite mani, Ian vide che tra le dita teneva un paio di occhiali da vista che subito indossò. Si sporse verso di loro per guardare la piccola scoiattolina e lì ebbe come un’illuminazione. Le sembrò di ricordare qualcosa. Alzò lo sguardo sul volto di Hawke ed ebbe la stessa reazione. «Un momento! Ma io la conosco!» Proclamò.
«Ma va?» Ian finse interesse.
«Certo! Lei è quel musicista che ha fatto fortuna facendo cantare gli scoiattoli!»
“Buon Dio, grazie al cielo no!” Pensò Ian tra sé e sé. «Ehm, non proprio. A dire il vero sono quell’altro… sa? Quello che ha tentato di rapirli e tutto il resto.»
L’anziana ebbe un altro momento di smarrimento. Si sporse ancora di più e studiò con maggiore attenzione il volto del suo interlocutore. «Ian Hawke?» Chiese conferma infine.
“Sveglia, la nonna!” Commentò col pensiero. «Indovinato!» Intonò quindi.
«Credo di aver letto il suo libro.» Disse lei poi.
“Anche lei?!” Pensò ancora. «Ah… e come le è sembrato?»
«Mettiamola così, giovanotto. Non tutte le ciambelle escono col buco.»
“E ti pareva!”
Ian Tagliò corto. «Bé, signora. La ringrazio per la sua brillante recensione. Certo, avrei preferito che la ciambella fosse bucata, ma ormai c’ho fatto il callo.»
Fece per tornare alle sue faccende, ma l’anziana non era ancora intenzionata a troncare la conversazione.
 «Oh, non se la prenda. Sa, Gerald, mio marito – che riposi in pace – diceva sempre: “Un uomo può percorrere il proprio cammino in un’autostrada deserta o in un’incolta boscaglia. Quale che sia lo sceglie il destino, ma l’uomo può scegliere quanta percorrerne”.»
Per quanto pateticamente stereotipata suonasse, quella massima fece sorridere Hawke, che però cercò di non darlo a vedere alla passeggera.
«E poi poteva anche andarle peggio.» Aggiunse l’arzilla.
«Ma davvero? E in che modo?» Ian s’incuriosì.
«Per esempio potevano arrestarla e impedirle l’imbarco!»
Ian non se l’aspettò quella risposta, tantomeno non seppe dirsi se quella battuta fosse stata solo una coincidenza o se l’attempata lo avesse visto mentre veniva condotto alla sala degli interrogatori, fatto sta che dopo un attimo di laconico smarrimento, non fu in grado di astenersi dallo scoppiare a ridere. Una risata divertita alla quale prese parte anche la donna, che rise con lui.
«Bé, signora» parlò Hawke poi, asciugandosi le lacrime dagli occhi con il dorso della mano «la ringrazio per la chiacchierata. Davvero, lo apprezzo. E mi dispiace per suo marito.»
La vecchia a quel punto dimostrò di non capire cosa volesse dire Ian. «E perché, mi scusi?» Gli chiese gelata.
«Bé, non mi ha appena detto che suo marito è, diciamo… morto?»
Sui lineamenti del viso le si materializzò lo sconcerto. «Dio del cielo, no! Mio marito non è morto, è qui di fianco a me!»
Glielo indicò con entrambe le mani e Ian dedicò solo ora attenzione all’ometto raggrinzito che le dormiva di fianco, immobile e apparentemente privo di vita, non fosse stato per il russare che di tanto in tanto lo tradiva. Un rantolo grave che a tratti sembrava quasi un fischio.
«Ma… aveva detto “Che riposi in pace”, e anche che “lui diceva sempre eccetera, eccetera”, parlando al passato!» Tentò Ian di giustificarsi.
«E’ naturale: sta dormendo. Ed è straordinario, ora che ci penso, perché ha sempre sofferto di gravi problemi di insonnia, poverino. Un tempo ne conosceva un sacco di aforismi, ma ora, eh… la sua memoria non è più quella di un tempo.» Spiegò, volgendo lo sguardo verso il marito addormentato.
Ian ammutolì imbarazzato e smise di guardare. Anzi, a dire il vero avrebbe voluto mandare la donna a quel paese, ma decise che fosse meglio cucirsi la bocca.
«Giovanotto?» Lo chiamò.
Ian ritornò in sé. «Sì?»
«La sua piccola amica le sta mangiando il dito…»
Ian guardò in basso, sul suo grembo. Concentrata nella sua attività, Manty stava masticando il pollice di Hawke come se si trattasse di un cane intento a sgranocchiare un osso. Non le importava minimamente di chi fosse quello “stuzzichino” che tanto ostentatamente stava masticando.
Ciò che lo sorprese più di tutto, però, era il fatto che non se ne era minimamente reso conto. A quanto pare la conversazione con l’anziana si era rivelata più coinvolgente del previsto, tanto che solo ora che finalmente glielo si era stato fatto notare, era finalmente conscio della gravità di ciò che la piccola chipmunk stava compiendo.
«Lo so, signora.» Disse Hawke, in tutta risposta all’avviso dell’anziana «E non può immaginare quanto sia doloroso.» Con uno strattone cercò di liberarsi il dito.
«E molla!» Ordinò alla piccola.
Privatasi del suo “osso”, Manty fece come per ricominciare a lamentarsi, ma fu azzittita quasi immediatamente.
«Non provarci, piccolo piranha peloso!» Le ringhiò contro Ian.
La conversazione con la donna subì una brusca battuta d’arresto al termine di quel fatto e per tutto il seguito del viaggio i due si dissero ben poco. Non ci furono commenti nemmeno al risveglio del marito, che si limitò a chiederle quanto mancasse secondo lei allo scalo successivo.  

Nel giro di poche ore, giunsero finalmente alla prima tappa della loro meta.
Atterrarono all’aeroporto di TannerVille, che si trovava a poche miglia dalla loro destinazione finale a Carterson City.
Da lì, Ian affidò parte delle sue esigue finanze a un’agenzia di noleggio d’auto come anticipo per una settimana d’utilizzo di uno dei loro mezzi, (anche se non era convinto di permanere tanto a lungo) e ripartì insieme alla chipmunk.
Per trovare la destinazione esatta dovettero affidarsi alle scrupolose indicazioni che Dave fornì loro per telefono. Raggiunsero Carterson City e percorsero la direzione che era stata indicata loro, approfittando, nel frattempo, per studiare il paesaggio di quella minuscola contea. L’architettura essenziale delle casette non richiamavano a niente che non fosse lo stereotipo tipico dei paesini statunitensi. Le case erano in legno prefabbricato, circondate in alcuni casi da fatiscenti steccati la cui pittura era stata scolorita dal tempo e dal clima, e distribuiti casualmente su un territorio di circa una sessantina di chilometri quadrati. Le strade erano sporche e maltenute, solcate qua e la da profonde buche e increspature nell’asfalto che ne minavano la già inconsistente estetica. Addentrandosi via, via all’interno della sua giurisdizione, però, il paesaggio cominciava gradualmente a mostrarsi più gradevole, con abitazioni esteticamente gradevoli nella loro semplicità e giardinetti curati tenuti in salute dalla dedizione dei loro proprietari.
L’auto passò di fianco alla Prospect Chapel, la chiesa del paese, dove Ian scorse di sfuggita un piccolo gruppo di persone che stava per entrarvi, ma non si soffermò a osservare. Era qui per una specifica ragione, i viaggetti turistici li avrebbe compiuti in seconda sede.
Svoltò verso destra all’incrocio che ne seguì e si lasciò dietro un’altra breve fila di casette, oltre che un piccolo negozio di alimentari e una tavola calda dal nome altisonante, “Club Chipettes”, che in qualche modo gli riconfermò di star andando nella direzione giusta. . Manty nel frattempo si era arrampicata sulla portiera dell’auto e, reggendosi al meccanismo di chiusura della serratura come l’osservatore di una nave pirata sull’albero maestro, scrutava il mondo al di fuori dal finestrino con lo stupore che solo un cucciolo poteva manifestare per cotanta scialbezza.
Infine, percorso un altro miglio di strada, finalmente raggiunsero quella che secondo le indicazioni, corrispondeva alla casa di Linda Green.
Anch’essa, come tutte le sue consorelle, del resto, non aveva niente di particolare che la contraddistinguesse dalle altre: pareti in legno dipinte di un bianco opaco, una veranda sostenuta da quattro colonne portanti contornate da un corrimano bruno, apparentemente laccato, ma non pitturato come il resto della casa. Gli unici particolari che ne consentivano il riconoscimento consistevano in un giardino particolarmente ampio (rispetto alla media delle altre proprietà), con un prato erboso che dava l’idea di essere stato appena tosato con scrupolosa perizia, ma privo di fiori decorativi o qualsiasi altro tipo di piante di medio o basso profilo. Solo una grande quercia troneggiava fiera e maestosa su quel giardino così spoglio. Ian la osservò di sfuggita, e vide una profonda cicatrice segnarne una porzione, dove un tempo vi erano probabilmente dei rami e che ora invece lasciavano solo uno spazio vuoto tra le fronde.
Ian parcheggiò sul bordo del marciapiede e uscì lasciando Manty in macchina.
Si avvicinò alla cassetta delle lettere dandovi una frettolosa occhiata al nome scritto sopra, che gli confermò di essere nel posto giusto, quindi si diresse alla porta attraversando il prato erboso.
Suonò il campanello con un po’ d’incertezza e si mise ad attendere.
«Sì! Eccomi.» Gli rispose subito dopo una voce femminile dall’interno.
Ian attese ancora.
La porta si spalancò e di fronte a se gli si manifestò una donna sulla trentina, dai capelli aurei, un po’ scompigliati, ma lisci e lucidi, che le scendevano liberi fino alle spalle ricoprendole come un velo dorato.
«Desidera?» Chiese lei, interrogativa.
Ian si fece forza con una boccata d’aria e si presentò «Buona giornata. Mi perdoni il disturbo, il mio nome è Ian Hawke, e sono venuto da lei perché ho bisogno del suo aiuto.»
Si rese conto solo in quel momento di quanto frettolosamente aveva impostato la presentazione, e si auto-inflisse un morso sulla lingua come punizione.  
La donna restò ammattita, ma poco dopo fece chiarezza nel groviglio d’informazioni che le erano appena giunte e reagì. «Lei è proprio quell’Ian Hawke?» Domandò circospetta.
«Bé… ehm… ho paura a doverlo ammettere ma… s-sì. Sono io.»
Ne seguì un breve ma imbarazzante momento di silenzio.
«Le dispiacerebbe togliersi gli occhiali?» esortò quindi la donna.
Ian trovò la richiesta alquanto bizzarra «Oh... ok.» Se li tolse, colto però da un dubbio «ma perché me l’ha…» Non terminò la frase. La donna gli sferrò un prorompente pugno in pieno volto con una violenza tale da mandarlo immediatamente al tappeto.
Atterrò pesantemente di schiena, sentendosi come un pugile appena sconfitto sul ring in attesa del knockout da pare dell’arbitro.
Si portò le mani al naso, che era la parte che più di tutte gli pulsava dal dolore, e constatò che aveva cominciato a sanguinargli copiosamente. «Il mio naso, oddio! Ma è impazzita?!»
La donna si chinò su di lui e glielo ghermì tra dita indice e medio, tirandolo verso l’alto. «Ti fa male se lo tiro così?» Glielo chiese molto educatamente, quasi con distacco, come se non fosse successo niente.
Ian emise un gemito. «Non più di prima, ma sì! Fa un male d’inferno!.»
La donna mollò la presa «Bene, non è rotto. Puoi rialzarti.»
«Dice davvero? Ohh, ma che bella notizia! E si può sapere perché l’ha fatto?!» Urlò.
La donna fece spallucce. «Un piccolo acconto per tutto quello che hai fatto passare ai Chipmunks e alle Chipettes. E sei fortunato che Dave mi aveva avvertito del tuo arrivo, altrimenti ti avrei fatto provare i cinquantamila volt del teaser che ho pronto nel cassetto! Mi chiamo Linda Green, diamoci pure del TU. Ora rialzati ed entra, ti darò qualcosa per il naso.»
«Non mi dai nemmeno un aiutino per rialzarmi?» La punzecchio.
Linda sbuffò e scosse la testa, dopo di che rientrò in casa, lasciando Ian spiattellato al suolo.
L’uomo, ancora scosso, tastò il terreno di fianco a se, alla ricerca degli occhiali, augurandosi di non averli rotti nell’impatto. Li trovò e verificò la loro integrità, che per fortuna non era stata scalfita. Li indossò.
“Cominciamo bene” pensò tra sé e sé pulendosi il sangue raffermo con la mano, per poi rialzarsi e andare incontro alla donna .

Era seduto nella sala da pranzo, che al contrario di quella di casa sua, non era collegata direttamente al cucinotto e al soggiorno, ma rappresentava una stanza ben definita nell’abitazione della donna. Sopra la sua testa un ventilatore da soffitto ruotava su se stesso distribuendo un piacevole venticello di aria fresca che in quel clima di caldo torrido rappresentava un vero tocca sana per la mente e il corpo, e sul quale Ian si convinse che un giorno ne avrebbe dovuto installare uno anche a casa sua, quando cioè le sue esigue economie avrebbero ricominciato a navigare a suo favore. Per il resto c’era ben poco da dire sull’arredamento; era seduto di fronte a un tavolino di tre metri per uno forse un po’ troppo piccolo rispetto alle proporzioni della stanza, e a parte delle tende in cotone che ricoprivano le tre grandi vetrate della sala, un finto tappeto persiano posto sotto il tavolo e una vetrina con dentro qualche calice da vino, non c’era nient’altro a riempirla. Ian non sapeva nemmeno molto sulla donna che lo aveva “accolto” in casa qualche minuto prima, ma a giudicare dalle prime impressioni, dava l’idea di una persona che in passato aveva avuto molto su cui ambire e che ora invece era confinata in una vita noiosa dalla quale voleva solo uscire. Una persona per certi versi molto simile a lui, se ci aveva visto giusto. Anche se probabilmente prosciolta dagli errori madornali che invece avevano caratterizzato la sua esistenza.
“Oppure è solamente una pazza psicopatica”, ipotizzò “del resto Brittany deve pur aver preso da qualcuno quell’atteggiamento da primadonna inviperita che si ritrova”.
Linda entrò nella sala da pranzo porgendo a Ian una busta di minestrone surgelato.  L’uomo la guardò con sospetto, senza capire che doveva farci.
«E’ per il naso.» Spiegò «spiacente, ma non ho borse del ghiaccio in casa, dovrai fartelo bastare.»
Ian lo accettò a malincuore e lo premette contro il setto nasale, il quale gli lanciò una pulsazione di dolore al momento del contatto, giusto per rammentarlo del trauma vissuto poco prima.
«Non è nemmeno di marca.» Si lasciò sfuggire un borbottio lamentoso.
Linda si sedette su una seggiola di fianco a lui. «Purtroppo ho finito la “Campbell’s” la settimana scorsa. Oggi solo merce da discount.» Tacque brevemente, per separare la battuta dal resto della frase «allora, dicevi di avere un problema. Di che si tratta?»
Ian parlò con la busta premuta sul viso, cosa che conferì alla sua voce un tono nasale.
«Esattamente che ti ha detto Dave?»
«Non molto. Solo che avrei ricevuto la tua visita. All’inizio pensavo che volesse scherzare, ma poi ho dovuto ricredermi quando ti ho visto parcheggiare dinanzi al giardino.»
Ian allontanò da se la busta gelata e la guardò. «E io che pensavo che venendo qui avrei trovato un aiuto.»
Linda si fece severa. «In tutta franchezza, Ian, se ti fossi presentato qui di punto in bianco senza alcun preavviso, come minimo avrei chiamato lo sceriffo. Ma Dave ha garantito per te, e anche le ragazze, perciò farò del mio meglio. Quella del pugno era solo un piccolo conto in sospeso che dovevamo regolare.»
Indicò con un cenno dello sguardo qualcosa riposto in un angola della vetrina, che Hawke prima non aveva notato: il suo libro.
Ian realizzò. «Oh, grandioso. Ora si spiega tutto!»  Fece una pausa. «Certe volte mi chiedo: se tutta sta gente l’ha letto, dov’è finito il compenso per i diritti d’autore?! Non ho visto il becco di un quattrino di tutti quei soldi! Bah… »
«Evidentemente devi aver accumulato un sacco di Karma negativo che ora ti si sta ritorcendo contro.»
«Già, il Karma.» Sbottò «ultimamente me la sta facendo pagare anche per i casini che ho combinato nelle vite passate!»
Linda reagì ai lamenti di Ian con un sogghigno, quasi traendo piacere dall’udire le sue sventure. Poi si ricompose «Parlavi di un problema, no? Di che si tratta?»
Ian decise di lasciar perdere l’autocommiserazione, che non sortiva alcun effetto nella donna, se non quello di renderlo ancora più patetico nei suoi confronti.
Fu così che Ian le raccontò la storia di Manty e Randal, in una versione molto simile a quella fornita a Dave, cercando però di sintetizzare i punti che riteneva insignificanti ai fini dello scopo e dando maggior peso a quelli che riteneva utili per Linda.
«E questo è tutto. E più il tempo passa e più mi convinco che non ce la posso fare!» Terminò.
Linda, dopo aver ascoltato pazientemente tutto il resoconto, si chiuse in un silenzio impenetrabile, dal quale non lasciò trasparire alcuna emozione. Forse stava valutando la situazione per fornire la miglior soluzione alla causa di Hawke, o per lo meno, era quello che sembrava.
Al contrario di lei, però, Ian non era in grado di serbare la sua stessa pazienza. Voleva una risposta, la esigeva, subito. «Allora?» Insistette.
Linda a quel punto ruppe il suo mutismo «Certo la tua situazione è un po’… complessa.» Tagliò corto lei.
«Però tu hai già avuto a che fare con dei piccoli di chipmunk femmina. Ti sarai fatta un’idea, no?»
Linda si sporse in avanti, verso di lui. «Ti faccio una domanda, Ian. Dov’è ora?»
Ian non capì. «Chi?»
«Stiamo parlando della chipmunk, no? Lei dov’è adesso?»
Hawke si imbambolò a fissare un punto imprecisato della stanza.
“Già, è vero… dov’è Manty ora?”
Scavò  nella mente per cercare di rammentare dove l’aveva lasciata.  Poi se lo ricordò. «Oh-ho!» Esclamò di conseguenza.
Balzò bruscamente dalla sedia, rischiando di inciampare su di essa e corse precipitosamente fuori dalla stanza. «Dannazione, la macchina!»
Linda lo seguì, senza preoccuparsi di non apparire attonita. «Non te la sarai mica dimenticata in auto con questo caldo?!»
«E’ colpa del tuo pugno, per la miseria! Ho visto le stelle e mi sono scordato di lei!»
«Ian, così non va bene. Te lo devo dire!»
«Facciamo che me lo dici dopo, va bene?!»
Varcarono la porta di casa e Ian si lanciò verso l’auto.
La prima cosa che verificò fu che lei stesse bene, ed era così. Manty si trovava in piedi sul sedile passeggeri anteriore, tranquilla e mansueta. Non sembrava conscia di essere stata abbandonata dentro. «Meno male, mi hai fatto prendere un colpo!» Disse Hawke, risollevato. Ma capì subito di aver parlato troppo presto. La chipmunk era in salute, ma lo stesso non si poteva dire dell’auto: il sedile passeggeri era stato selvaggiamente sconquassato in vari punti da evidenti segni di piccoli morsi, e l’imbottitura era stata strappata e cosparsa su tutta la superficie degli interni della vettura.
Mentre Ian costatava il livello dei danni all’auto, Linda li raggiunse.
«Grazie al cielo sta bene!» Disse lei.
«No, non va bene, niente va bene! Guarda l’auto! Guarda come l’ha conciata!»
Linda gli lanciò un’occhiataccia di biasimo. «Hai abbandonato un cucciolo di chipmunk in auto in piena estate e ti preoccupi del sedile?!»
«Ma no, è che è un’auto a noleggio! Non è mia! Diavolo, all’autonoleggio mi faranno un c… me la faranno pagare cara!»
«O mio Dio!» Imprecò ad alta voce «no, Ian. Così decisamente non va bene!»
Come risposta, dall’uomo ottenne solo uno sguardo incognito, al quale reagì cominciando a ridere istericamente. Conosceva Hawke da non più di quindici minuti e già le era bastato per capire che la situazione gli stava decisamente sfuggendo di mano. Ian, dal canto suo, non capì cosa avesse fatto di male. Certo aveva lasciato Manty al caldo dentro un’auto cocente sotto un sole in fiamme, però la piccola non pareva accusare alcun disturbo. Al contrario dell’auto, per la quale stava cominciando davvero a temere per la sua incolumità, nel momento in cui l’avrebbe riconsegnata all’agenzia di noleggio. Come lo avrebbe spiegato ai titolari? Ma soprattutto, l’assicurazione avrebbe accettato il risarcimento? O avrebbe dovuto provvedere di tasca sua? Era questo il pensiero che in quel momento lo angosciava più di ogni altra cosa.
Linda trasse dei respiri  profondi per riacquistare il controllo. Doveva farlo, altrimenti le sarebbe sopraggiunto un attacco d’ansia. «Ok. Prendila e torniamo dentro.» Ordinò seduta stante, e senza attendere di essere seguita dai suoi ospiti, rientrò.
Ian e Manty si scambiarono un’occhiata sgomenta, mentre la vedevano allontanarsi.

In casa.
Tornarono a sedersi ai loro rispettivi posti nella sala da pranzo, mentre Manty stava girovagando per la stanza.
Linda sospirò. «Dunque, una cosa alla volta. Prima di tutto, come hai detto che si chiama?»
Ian volle dirle di rilassarsi, perché non aveva ancora visto niente di ciò che era capace la piccola chipmunk. Ben presto avrebbe avuto bisogno di qualcosa di ben più forte dei respiri profondi per mantener la calma, ma per ora si limitò a risponderle.
«Manty.»
Linda parve dubbiosa. «Che razza di nome è Manty?»
«E’ un diminutivo, a dire il vero… di… ehm… “Manticora”»
La donna spalancò la bocca e strabuzzò gli occhi, incredula. «Le hai dato il nome di un mostro della mitologia greca?!»
Ian fece spallucce, del resto che altro poteva dire.
«Ok, lasciamo perdere.» Continuò Linda. «Dunque…» si prese una pausa per riordinare le idee. «Avete un posto dove dormire mentre starete qui?»
Ora fu Ian a sospirare «Non lo so ancora. La prima cosa che abbiamo fatto appena arrivati è stata di venir da te. A dire il vero non ho idea di dove possiamo andare, accettiamo suggerimenti.»
Linda mugugnò, poi si mise a meditare per qualche secondo, fissando per un istante un punto nella stanza. «Ho una camera per gli ospiti al piano di sopra. Potrete mettervi lì.»
Ian fu quanto mai stupito dall’improvvisa generosità della donna «Oh, io… non saprei. Non verremo disturbare, e…» “d'altronde se insiste…” «beh, ok…» Disse in fine, in tono arrendevole. Anche se sotto, sotto era contento della prospettiva di poter risparmiare qualche dollaro.
«Bene. Più tardi andrò a prepararla, mentre voi porterete dentro i bagagli.»
Ian annuì in silenzio.
«Quanto pensate di fermarvi?» Chiese nuovamente la donna.
«L’auto è affittata per una settimana, ma non ho idea di quanto resteremo. Tutto dipenderà da Manty, se così si può dire… »
La chipmunk nel frattempo si era arrampicata sulla vetrina e stava guardando con curiosità i calici di vetro contenuti in essa, batticchiando due colpetti sul vetro, che attirarono l’attenzione dei due umani. Manty poi passo a ispezionare il libro di Ian sul ripiano del mobile.
Linda tornò a rivolgersi a Hawke «Dunque, parliamo di un cucciolo, ok? E quando si tratta di allevare un cucciolo, ci sono tre cose importanti che bisogna prendere in considerazione.»
Ian ascoltò con attenzione.
«Prima di tutto, l’alimentazione. Deve essere corretta e bilanciata. E qui ti chiedo: cosa le dai da mangiare di solito?»
Ian ci rifletté brevemente. «Mi è un po’ difficile rispondere, perché fino ad ora si è sempre servita da sola.»
«Ok… » Linda parlò lentamente, valutando attentamente le parole da usare per apparire più chiara ed esaustiva possibile. «E quindi che cosa mangiava di solito?»
«Ah, bé. Tutto. Qualsiasi cosa le fosse capitata sottomano, e non necessariamente commestibile. L’hai visto il sedile dell’auto.» Rispose a bruciapelo Ian.
«Non scherzare, Hawke. Questa è una faccenda seria, non c’è tempo per le battute.»
Ian si sporse in avanti e le appoggiò il palmo della mano sul dorso della sua, sicuro di sé e della risposta che stava per dare.
«Credimi, mia cara. In questo momento Ian Hawke è la persona più seria del mondo.»
Più tardi Linda avrebbe avuto una dimostrazione di ciò che volesse dire:
Verso il tardo pomeriggio, entrando in cucina si ritrovò ad assistere a una replica di ciò che accadde a casa di Ian un paio di giorni prima, con le cibarie del frigorifero e dei ripiani riversi a terra in un mare di briciole e carcasse di confezioni.
Non poté credere a ciò che stava vedendo. Tutto, ma proprio tutto il cibo della cucina era stato preso d’assalto dalla chipmunk, eccezion fatta per i surgelati e i cibi in scatola, che ovviamente non era stata capace di aprire, ma per il resto, sembrava di trovarsi nel bel mezzo di un campo di battaglia, dove le confezioni riverse a terra erano come edifici abbattuti da un bombardamento, e i resti del cibo i soldati periti sotto il fuoco nemico.
Il volto della donna si deformò in un’espressione di feroce ira, che si scaricò tutta in un fragoroso urlo. «HAWKE, VIENI SUBITO QUI!!»
Ian sopraggiunse poco dopo. Era calmo e rilassato, per niente turbato dal modo in cui era stato chiamato, e con la stessa tranquillità sbirciò il caos della cucina, mentre Linda lo guardava con un misto di sbigottimento e rabbia.
«Te l’avevo detto: mangia ogni cosa che trova sul suo cammino. La prossima volta, mettici dei lucchetti.» Commentò con sarcasmo, ma a giudicare dalla fulminata che ricevette dalla donna, capì che non aveva colto la sua sottile ironia.

Tornando indietro nel tempo alla conversazione che ebbero, seduti sul tavolo della sala da pranzo, ci furono altri due argomenti a essere esposti.
Dopo aver discusso del cibo e di come doveva essere regolata l’alimentazione di Manty, toccò ora a un altro importante argomento. Linda parlò a Hawke con la sicurezza di una professoressa di fronte ad una classe di liceali. «Un’altra cosa importante è il bagnetto. Crescendo imparano a farselo da soli, ma adesso è ancora piccola, perciò dovrai farglielo tu.»
Ian aggrottò le sopraciglia. «Farle il bagno?»
«Non puoi certo lasciarla con la pelliccia sporca tutto il giorno, no?»
«Ma devo proprio?»
«Certo che devi, e glielo farai sta sera stessa!»
Fu un’impresa impossibile.
La sera Ian provò seriamente a obbedire alle direttive di Linda, ma come volevasi dimostrare, Manty non dette segno d’obbedienza.
Lo graffiava e lo mordeva in qualunque posto riuscisse ad affondare le zanne, e inutili furono i tentativi di Hawke di convincerla a entrare nella vasca con le buone.
«Manty, no… ti prego, fai la brava… ahiaa, la testa no! I capelli, i capelli!! Manty, finiscila… basta!!» Tra un graffio di qua e un morso di là, Ian non poteva far altro che lamentarsi e gridare. Dopo essere riuscito ad afferrarla, stava quasi per voltarsi e lanciarla dentro con la forza, quando sbatté il fianco sul bordo della vasca.
Manty sgusciò via dalle sue grinfie e se la dette a zampe levate, mentre Ian cadeva dentro. La prima cosa che sentì fu l’umido dell’acqua che gli impregnava i vestiti, seguito da un doloroso impatto con la superficie, che gli fece mancare il fiato.
Poco dopo, Linda in salotto vide la chipmunk fuggire all’impazzata mentre Ian la inseguiva, grondando acqua da tutte le parti.
«Ma che succede?» Gli chiese.
L’uomo si stoppò di colpo guardandola in cagnesco.
«Il bagno: NO!» Si limitò a dire all’incredula spettatrice prima di tornare all’inseguimento.

Mancava ancora un punto alla lista dell’ABC del “perfetto allevatore di roditori parlanti”.
Linda glielo aveva illustrato nel corso di quella prima chiacchierata pomeridiana:
«E infine, dopo averle dato da mangiare con le giuste dosi e averle fatto il bagnetto, devi mandarla a dormire presto. Per un cucciolo il riposo è basilare!»
Ian la guardò come se si trovasse dinanzi a una pazza.
«Commenta ancora e ti becchi un altro pugno!» Minacciò lei.
Tutto inutile. Fu più forte di lui. «Ok, questa la so già come finisce.»
E infatti andò come previsto.
Dopo che il miserabile tentativo di farle il bagnetto si era concluso con un Ian affogante nella vasca da bagno e una casa madida di acqua gocciolante, era venuto il tragico momento di convincerla ad andare a letto. Ma quando l’uomo la condusse alla stanza per gli ospiti dove entrambi avrebbero alloggiato, né lui né Linda potevano immaginare che si sarebbero ritrovati a doverla tirar giù dalla ventola sul soffitto, dopo che la piccola vi si era arrampicata per sfuggirgli.
«Manty, scendi giù immediatamente!» Le urlò Ian.
«No!» Disobbedì lei.
Di tanto in tanto cercava di spiccare un balzo per agguantarla, ma il ventilatore era a quattro metri da terra, troppo per le sue misere capacità.
«Ma come avrà fatto ad arrivare fin lassù?!» Chiese Linda.
«Non ne ho proprio idea! Quella piccola peste riesce a violare tutte le leggi della fisica di Archimede, Galileo e Newton messi insieme!» Saltò ancora, ma fu inutile.
«Manty, su piccola, scendi giù!» Riprovò Linda.
«No!»
«Uffa! Dobbiamo fare qualcosa, Ian!»
Hawke rifletté. Un’illuminazione lo colse. «Accendiamo il ventilatore!»
«Intendevo dire qualcosa che non implicasse ammazzarla!»
L’uomo si guardò intorno. L’attenzione cadde sulle sedie e con un ghigno diabolico si rivolse alla chipmunk. «E va bene, piccola canaglia. A mali estremi, estremi rimedi!»
Per cominciare, spostò il tavolo posizionandolo al di sotto della ventola, in modo che fosse centrata con esso, dopo di che ne prese una e la mise sopra di esso, per poi salirvi.
«Reggimi la sedia, non voglio rischiare di rompermi il collo.» Disse a Linda.
Lei si bloccò e gli rivolse una critica di disappunto. «Grandioso. Così invece di ammazzare lei ammazzi te stesso, fai progressi, Hawke!»
«Ti dispiace star zitta trenta secondi e tenermi ferma la sedia?!» Era l’idea più razionale che gli fosse venuta in mente, quindi tanto valeva procedere con essa.
Cercando di lavorare di squadra, mentre Linda lo sosteneva, Ian, salito sulla sedia, a sua volta sopra il tavolo, cercò di allungarsi il più possibile per cercare di raggiungerla.
«Te lo giuro, Manty! Non appena ti avrò messo le mani addosso, noi due faremo i conti!»
Sfiorò una delle pale della ventola un paio di volte e dopo essersi allungato i legamenti dei muscoli oltre il limite dell’umano, riuscì quasi ad arrivare a toccare la chipmunk. Manty, però, dimostrò di non gradire quell’invasione del suo “spazio” e decise di raccogliere la sfida. Saltò su un’altra pala, costringendo Ian a ritirarsi per poi ripartire alla carica.
«Se non scendi giù ti prometto che la ventola la accendo sul serio!» La minacciò.
Come risposta, Manty gli indirizzò una pernacchia.
«Sei troppo basso Hawke, non ce la farai mai!» Costatò Linda.
«Sì invece, ce la faccio, devo solo allungarmi un po’ di più!»
«E se usassimo la scala?» Propose di punto in bianco.
Ian a quel punto si arrestò e guardò verso il basso, su Linda. «Perché? Ne hai una?»
«Quella nello sgabuzzino che uso per cambiare le lampadine, certo!»
«Dirmelo prima no eh?»
«Non ci avevo pensato, con quella… » si fermò bruscamente e con uno scatto gli indicò di voltarsi  «Ian, ATTENTO!»
Manty aveva deciso di contrattaccare l’assalto, spiccando un balzo dritto sul volto di Ian, con le precise intenzioni di farlo sbilanciare dalla sedia.
L’uomo non ebbe il tempo di reagire e la conseguenza della sua distrazione fu che perse l’equilibrio, cadendo per la seconda volta durante la serata. Sta volta, da diversi metri di altezza, schiantandosi di schiena sul pavimento della stanza, mentre Manty si volatilizzava di nuovo sotto gli occhi attoniti di Linda.
Un fragoroso tonfo indicò che l’impatto fu particolarmente violento.
«Oh Gesù! Ian!» Per la prima volta da che lo conobbe, Linda si preoccupò di Hawke: si chinò su di lui e lo scosse un paio di volte.
Lui si lamentò.
«Ian, stai bene?» chiese la donna, in pena.
«Io… non lo so.» Borbottò tra lamenta e mugugni.
«Che vuoi dire? Sei ferito? Qualcosa non va?»
«Credo… » rifletté «un paio di contusioni, due vertebre rotte… forse anche l’anca.»
Quando Linda colse la vena d’ironia nei suoi lamenti, sospirò sollevata. «Vuoi… che ti chiami un dottore?»
«No… mi basterebbe un esorcista… voglio dire, uno bravo.»
La battuta fece sbuffare la donna. «Dai, ti aiuto ad alzarti.» Gli porse la mano e lo aiutò ad alzarsi da terra. Ian si mise seduto sul pavimento, con Linda accanto a sé, inginocchiata. Restarono un po’ in silenzio, contemplando la stanza per cercare di localizzare la direzione intrapresa da Manty durante la fuga. Poi Linda riprese «Dove pensi che sia andata?»
Ian scrutò ancora l’ambiente intorno a sé. «Dovunque, in ogni dove! Non la troveremo mai! Forse adesso si sta nascondendo. Ci osserva… in silenzio… in agguato. Pronta a colpire!» Parlando, puntava ansiosamente lo sguardo da un punto all’altro della stanza.
«Su, adesso non esagerare! Riprendi il controllo e vediamo di trovarla.» lo ammonì Linda.

Vagarono in lungo e il largo sia fuori che dentro la casa, ma di Manty nessuna traccia. Stavano veramente cominciando a temere per lei, quando un’intuizione di Linda li condusse alla stanza per gli ospiti. Lì dentro la trovarono avvolta nelle coperte, con la testolina poggiata sul cuscino e intenta a dormire.
Con quel gesto era riuscita a mandar loro un messaggio forte: aveva avuto la sua vittoria sugli umani! Solo lei poteva decidere per sé cosa fare e quando andare a dormire, e nessuno poteva convincerla del contrario.
Beh, per lo meno ora stava dormendo. E con questa consapevolezza, Linda e Hawke potevano dirsi soddisfatti del risultato, malgrado tutto.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4: Dave ***


La prima notte a Carterson City trascorse pacifica. Forse persino meglio delle loro più rosee aspettative.
Il giorno seguente, poiché Linda sarebbe dovuta andare a lavoro fino al primo pomeriggio, si mise d’accordo con Ian sul piano d’azione per la mattinata: Hawke e la piccola sarebbero rimasti a casa sua, e avrebbero dovuto arrangiarsi fino al suo ritorno.
Ogni cosa sembrò andare a gonfie e quelle prime ore della giornata, fermo restando che Ian accusava ancora i dolori delle cadute della sera precedente, non avevano dato né all’ospite né alla padrona di casa altri grattacapi a cui dover porre rimedio.
Un paio di ore dopo il rientro in casa di Linda, Hawke decise di uscire da solo per svolgere delle commissioni, sulle quali però mantenne il riserbo più totale.
La verità è che si diresse immediatamente al più vicino negozio di alimentari della zona, l’unico presente nel paesello, e vi comprò cibarie e viveri di vario genere come piccolo risarcimento per i disagi provocati alla padrona di casa dall’uragano Manty. D'altronde la colpa era anche sua se la donna si era ritrovata a non avere più niente di commestibile in casa.
Quando fu sicuro di aver comprato a sufficienza (tenendo anche conto dei suoi esigui fondi), fece ritorno con il bagagliaio carico di borse.

«Cos’è tutta questa roba, Hawke?» Gli chiese Linda, sconcertata alla vista di quanta spesa si stesse trascinando dietro.
«Il mio calumet per la pace.»
Linda era refrattaria ad accettare. «Ma dai! Non era necessario!»
«Signorina Green, se è così in pena per gli acquisti che le porto in dono, allevi le mie sofferenze aiutandomi a portarli in casa.»
Non incline ad accettare, ma con le spalle al muro, la donna lo aiutò portando due dei quattro sacchetti presenti nel bagagliaio dell’auto.
«Dove li portiamo?» Domandò Hawke.
«In sala da pranzo va bene. Ci penserò io a metterli a posto dopo.» Disse Linda, capitolata.
«Sempre che Manty non li depredi prima. A proposito, dov’è?»
«Bé, Ian. Puoi non crederci ma ha fatto la brava per tutto il tempo!»
«Sul serio? Uhm, effettivamente è tutto il giorno che non combina niente di male. Sarei quasi preoccupato.»
«Nah, è normale. E’ solo stanca. Ieri gliene abbiamo fatte passare di tutti i colori.»
«Noi a lei o lei a noi?»
La battuta fece ridacchiare la donna.
I due portarono la spesa in sala da pranzo e subito Ian si diresse in salotto, il primo posto dove si aspettò di trovare la piccola chipmunk.
Come aveva detto Linda, Manty era seduta educatamente sul divano e stava guardando un cartone animato in TV.
«Hawkey-Hawke!» Lo salutò non appena si accorse della sua presenza.
«Anch’io sono felice di vederti, piccoletta.» Si sedette accanto a lei. «Allora? Ho sentito che hai fatto la brava mentre non c’ero.»
«Sì!» Esclamò lei, soddisfatta.
«Bene, perché sì da il caso che a me la schiena fa ancora un male d’inferno! Per colpa tua a momenti ci rimanevo su quel pavimento!» Il rimproverò non sembrò suscitare alcun effetto sulla chipmunk, che anzi gl ripropose il suo ghigno di soddisfazione.
«Eh dai! Non sgridarla. In fondo oggi è stata brava. » Linda fece capolino nella stanza, con in mano una tazza fumante.
«Già, per ora. Ma aspetta che le torni la fame, o che debba andare a dormire, o che semplicemente si annoi… »
Linda gli porse gentilmente la tazza, azzittendolo.
Ian ne studiò il contenuto annusandolo riottoso. «Che cos’è?» Chiese dunque.
«Solo una tazza di Tè. Bevila, brontolone. Ti calmerà.»
Ma Ian sembrò riluttante. «Tè caldo in piena estate? Non è che potresti metterci del ghiaccio prima?»
Linda sospirò rassegnata, dopo di che gli afferrò la mano e costrinse le sue dita ad afferrare a forza il manico della tazza.
«E va bene, ok. Proviamo ‘sto Té.» Si arrese.
Soffiò un paio di volte per raffreddare la bevanda e quando si sentì sul volto l’appiccicosa condensa del vapore, fu sul punto di far marcia indietro. La donna, tuttavia, lo fulminò con uno sguardo talmente maligno che fu costretto nuovamente a tornare sulla sua strada.
Il primo sorso non si poté nemmeno definire un assaggio. Sentì solo un’ondata di calore investirgli il palato ustionandogli la lingua e le gengive, ma ben poco del sapore. La curiosità, a quel punto, lo spinse ad assaporarne una quantità maggiore, e questa volta dovette ricredersi. Gli piacque assai!
«Allora?» Chiese Linda, a quel punto.
Ian si concedette un ulteriore lungo sorso. «Devo ammetterlo. E’ delizioso!»
«Visto? Te l’avevo detto che dovevi fidarti! Forse se ti lamentassi un po’ meno e provassi a dare retta alla gente un po’ di più, le cose non ti andrebbero sempre così male!»
«E con questo che vuoi insinuare?»
«Oh, no. Niente, niente.» Lasciò scivolar via il discorso «Lo senti l’effetto del Tè sui muscoli?»
Ian rifletté sulla domanda e a quel punto se ne rese conto. Sentiva palpabile dentro di sé una sensazione di rilassamento che gli permeava il corpo man mano che i secondi passavano. Di punto in bianco gli sembrò che tutto lo stress accumulato nel corso di quelle giornate evaporasse dalla sua pelle come particelle d’acqua in ebollizione.
«Sì, in effetti ora che mi ci fai pensare mi sento più tranquillo…wow, è davvero incredibile! Ma che piante usi per l’infuso?!»
«Ah, niente di che. Le coltiva uno che conosco, che abita dall’altra parte della contea. Ogni tanto vado da lui e me ne faccio dare un po’.»
Ian annuì e ne bevé un altro po’. Di qualunque cosa fosse fatto quell’infuso, sperava che non si vuotasse mai. Ne avrebbe bevuto all’infinito.
«Per la miseria se è buono!» Si lasciò scappare.
«Beh, se ti piace così tanto posso fartene avere un po’ per quando ripartirai.»
Ian continuava a bere. «Sai che c’è? Dovresti provare a darne un po’ anche a Manty. Magari così si calmerà.» Suggerì poi.
«L’ho fatto.»
«Cosa?!» Ian non capì.
«Guarda tu stesso.» Linda gli fece segno di guardare in basso: Manty stava dormendo appoggiata alla coscia destra di Hawke. Era la prima volta in assoluto che le capitava di appisolarsi durante il pomeriggio.
«Oh… questa sì che è bella!»
 L’uomo e la donna restarono per qualche breve secondo in silenzio a guardarla. Nella stanza l’unica cosa udibile era il rumore della TV accesa, che copriva con i suoi suoni irregolari e chiassosi il ritmico respiro della chipmunk.
«Lo sai? In fondo quando dorme è carina.» Commentò Linda.
«Già. Speriamo che l’effetto del tuo Tè duri tutta la giornata.»
Altro momento di silenzio, in cui ripresero a guardarla.
«Oggi ho provato a farla cantare.» Ricominciò Linda.
Hawke strabuzzò gli occhi.«Ma non mi dire? E come se la cava?»
Linda rifletté sul modo migliore per descriverglielo. «Beh, direi che … è a metà tra un vetro che scorre su una lavagna e… il rumore che farebbe un frullatore acceso se ci buttassi dentro delle posate di metallo.»
Ian fu incredulo.
«Non scherzo.» Precisò la donna, per poi tornare a tacere, lasciando l’uomo a marinare nello sconcerto.

Ian lasciò Manty a dormire nella stanza fino al suo risveglio, un paio di ore dopo. In seguito, tornato da lei, le chiese di aiutarlo a constatare di persona l’esperimento di Linda.
Dopo essersi presentato in stanza con il laptop di proprietà della donna, invitò la piccola a cantare sulle note di “Witch Doctor” dei Chipmunk, usando un video da Youtube come base per la canzone. Ma finì per pentirsene dopo qualche secondo di riproduzione. Farla cantare fu come scoperchiare il leggendario Vaso di Pandora, quello che secondo il mito, una volta aperto, avrebbe liberato sulla terra i mali del mondo. Il canto di Manty fu ben peggiore del previsto: una specie di lamento di un animale in fin di vita, unito al pianto disperato di un neonato. Una combinazione, a modo suo perfetta, dei suoni più fastidiosi mai uditi da orecchio umano.
«Ok, ok. Manty. Sei bravissima! Ma ora, ti prego. Smettila!» Ian, tappandosi le orecchie, ci mise un po’ a convincerla a fermarsi.
“Grandioso! Sono sei anni che tento di rapire un chipmunk per farlo cantare, e ora che me ne ritrovo uno in casa praticamente contro la mia volontà, scopro che ha un catenaccio di ferro arrugginito al posto delle corde vocali!”.

Era sera.
Ian, che praticamente aveva trovato alloggio fisso a casa di Linda, fu chiamato da lei per aiutarla ad apparecchiare la tavola, ma fu subito chiaro che c’era qualcosa di grosso nell’aria.
«Come mai dieci piatti? Hai ospiti a cena?» Chiese dopo che la donna gli ebbe consegnato in mano la pila.
«Sì.» Rispose lei, lesinando sui dettagli.
Ian volle vederci più chiaro. «Amici tuoi?»
«Diciamo, una specie.»
La faccenda stava diventando sempre più sospetta. «Se qui ci sono dieci piatti, e noi con Manty siamo in tre, vuol dire che devono arrivare altre sette persone, quindi… »
«Quindi dovresti darmi una mano a portare in sala il tavolo grande che ho nello sgabuzzino.» Lo arrestò lei.

Mentre erano impegnati nella sostituzione del tavolo della sala, piccolo e scomodo, con uno decisamente più grande, estratto dallo sgabuzzino, Ian realizzò. «Un momento!»
Lo poggiarono a terra fermandosi.
«Cosa c’è?»
«Sette invitati… sei… più uno… non avrai mica invitato Dave e le sue palle di pelo?!?»
Linda sbuffò, innervosita. «Senti, Hawke. Fino a prova contraria i ruoli qui dentro non sono cambiati: io sono la padrona di casa e tu sei l’ospite che alloggia gratis. Quindi sì. Li ho invitati. E tu te li farai piacere. Hai un grosso debito con Dave. Ora aiutami a finire, o la cena te la farò mangiare sul divano!»
«Dici davvero? Mi faresti mangiare di là?»
«Ian!!»
«E va bene, e va bene. Portiamo il tavolo in sala, su.»
Terminarono la sostituzione e si divisero il resto dei lavori.
Ian avrebbe continuato ad apparecchiare aggiungendo posate, tovaglioli, eccetera, mentre Linda si sarebbe dovuta rintanare in cucina per continuare a preparare la cena, con Manty a farle da compagnia.
Delle pietanze che sarebbero state servite, Ian sapeva soltanto che ci sarebbe stato un secondo a base di pesce, pesce gatto fritto, per la precisione, che lui non aveva mai assaggiato.
Aveva appena finito di sistemare l’ultima posata, quando il rumore di un’auto in avvicinamento, forse un taxi, attirò la sua attenzione.
«Credo siano arrivati!.» Disse ad alta voce per farsi udire da Linda.
«Sono un po’ impegnata qui, vai ad aprire tu, per piacere.»
Ian andò, ma non prima di aver sbuffato per l’ennesima volta. Nel frattempo il campanello alla porta suonò. «Sì, sì. Eccomi.» borbottò seccato. Poi aprì. Di fronte a sé si trovò la famiglia Seville al completo, i Chipmunks e le Chipettes insieme a Dave, che malgrado sapessero già della sua presenza, non poterono fare a meno di avere un sussulto alla sua vista.
«Ian!» Esclamò Dave.
«Oh, ma tu guarda! Dave e la banda delle pellicce ruspanti.» Commentò Ian, per niente entusiasta. Dave di tutta risposta gli lanciò uno sguardo di rimprovero, che tuttavia non lo urtò in alcun modo.
«E’ un vero piacere rivederti, Disco Stu senza capelli!» Lo schernì Alvin.
«Anche per me, “grande A”» “Dove A sta per Ammazzati”, completò tra sé e sé la frase. «Ma prego, entrate pure. Fate come se foste, ehm… a casa mia.» Li fece accomodare in casa e chiamò ad alta voce Linda per confermarle che erano arrivati.
Nel frattempo le Chipettes si guardarono intorno e fecero dei commenti sulla casa e sull’arredamento. Eleanor propose di raggiungere Linda in cucina, ma non fu necessario, poiché la donna si presentò a loro subito dopo.
«Linda!» Esultarono in coro vedendola comparire, e subito corsero da lei per abbracciarla. Era la prima volta che la rivedevano da quell’autunno del 2009, quando furono state costrette a lasciare Carterson City per sfuggire alle attenzioni indesiderate di quei due mascalzoni di Charles e Amanda, che sembravano più che intenzionati a rapirle.
«Mi siete mancate, ragazze!» Disse la donna.
«Anche tu, Linda, non sai quanto!» Rispose Jeanette.
I maschi si fecero in disparte per concedere loro il tempo di salutarsi a dovere, Dave, intanto, approfittò per allacciare bottone con Ian. «Dave e la banda delle pellicce ruspanti?»
«Devi ammettere che suona bene, potresti usarla come titolo per una nuova canzone.» Scherzò Ian.
Dave sospirò. «Certe cose non cambiano mai.»
«Sai come si dice, Dave: il lupo perde il pelo… »
«Ma non il vizio.» Completò Seville e restarono per un breve lasso di tempo in silenzio. «E con la piccola come procede, stai imparando a gestirla?» Riprese Dave.
«Oh sì, una meraviglia! Ieri ha solo tentato di uccidermi un paio di volte, ma grazie a Linda stiamo facendo qualche progresso.»
Una domanda di Eleanor si collegò alla loro conversazione: «Hey, ma dov’è la piccola?»
«Sì, vogliamo vederla!» Continuò Brittany.
«Credo sia ancora in sala da pranzo. Aspettate.» Linda appoggiò a terra le tre Chipettes e chiamò Manty, invitandola a raggiungerli. Simon non poté non rimanere colpito dall’insolito nome. «Chi l’ha chiamata così?» Si rivolse a Ian, che di risposta, alzò timidamente la mano, come un alunno introverso in un’aula di scuola.
«Ti spiegherò più tardi.» Tagliò corto l’uomo.
All’arrivo di Manty nel corridoio, fu accolta dalle Chipettes con un “Awww” emozionato, mentre lei, vedendo loro, esultò squittendo a piena voce con «Chitette!» suscitando inevitabilmente nel gruppo una variegata serie di reazioni.
«Come?!» Chiese Eleanor.
«Eh?» Seguì Jeanette.
«Cooosa?!?» Tuonò in contemporanea Brittany.
Alvin, invece, scoppiò in una fragorosa risata, mentre nei volti di Simon, Theodore, Dave e la stessa Linda si stampò una smorfia di sconcertante sconcerto.
Seguì un momento d’imbarazzante gelo, durante il quale l’attenzione degli astanti si spostò tutta su Ian, che si asciugò il sudore dalla fronte mentre cercava le parole per giustificarsi. «G-giuro che non gliel’ho insegnato io…»

Malgrado la parentesi della patetica figura di Ian, alla fine l’equivoco fu chiarito, e i presenti tornarono a scambiarsi qualche chiacchiera in corridoio, prima di cenare.
Le Chipettes non si schiodarono da Manty neanche per un secondo e interagivano con lei alla stregua tre sorelle maggiori. «Ma che carina che sei!» Commentò Brittany.
«Ti assomiglia, Ellie, lo sai?» Notò invece Jeanette.
«Sì, è vero!» Confermò Eleanor.
Ian, invece, guardava il gruppetto con preoccupazione crescente. Malgrado la sua apparente aria di tranquillità, quella che stavano tanto amorevolmente strapazzando di coccole e carinerie era pur sempre l’uragano Manty, famigerata per essere una roditrice carnivora attentatrice della vita altrui. «Ehm, ragazze… non vorrei guastarvi la festa, ma vi consiglio di fare attenzione… »
«Oh, andiamo Ian! Che vuoi che succeda? E’ una cuccioletta così dolce e adorabile!» Disse Brittany, subito prima di dare alla piccola Manty un buffetto sulla guancia. Era lampante che non la conosceva affatto.
“Sì, certo… proprio un amore!” Nel frattempo e con discrezione, cercò di far cenno con gli occhi a Linda affinché le allontanarle da lei. La donna si accodò al suo gioco.
«Ok… ehm… che ne dite se adesso ci avviassimo tutti quanti a cena?»
«Io sono d’accordo! Sto morendo di fame. E anche te Dave, non è vero?» Ian urtò la sua spalla con il gomito.
Dave fu colto alla sprovvista ma resse ugualmente il gioco «be’, il viaggio è stato lungo. Perciò… sì. Andiamo.» Anche se finì per chiedersi subito dopo se avesse fatto bene oppure no.
Tutti insieme si diressero in sala da pranzo, eccetto Manty, che fu l’ultima della fila ad avviarsi, e Alvin, che invece era intenzionato a fare due chiacchiere con la chipmunk. «Hey, aspetta.»
Manty si fermò e lo guardò con circospezione, gli altri nel frattempo avevano abbandonato la stanza.
«Non ci siamo presentati. Io sono Alvin, Alvin Seville la rock-star. Ce l’hai presente?»
Da Manty, nessuna risposta.
«Oh, ok. Forse sto andando troppo di fretta, tu…ehm, mi capisci? Sai parlare?»
La chipmunk meditò un po’ prima di rispondere. «S-hi… un poco, ma s-sì» balbettò lei, sforzandosi di comporre correttamente la frase.
«Ma è grandioso! Sai, nostro fratello Theodore ha impiegato tipo cinque anni per la sua prima parola… certo, Simon ha imparato prima a parlare che a camminare, ma lui è Simon, da lui uno se lo aspetta! Non trovi?»
Manty non sapeva come rispondere, tanto meno come comportarsi con lo strano chipmunk che aveva di fronte.
Si era posto a lei avviando un discorso sconclusionato, si dimenava come un pazzo e soprattutto, Manty non capiva a che pro lo faceva. Di tutta risposta la piccola reagì alla sua parlantina indietreggiando di qualche passo e ritraendosi da lui.
«Comunque mi hai fatto morire dal ridere prima, con quel modo di chiamare le Chipette, ehehe. Anche se forse le sopravaluti un po’ troppo. Se capisci cosa intendo.»
No, non lo capiva. Non riusciva proprio a capire se quel chipmunk c’era o ci faceva.
«Sei di poche parole, eh? Va bé. Allora… com’è vivere con Ian? Ti ha mai trattata male?  Ti tiene chiusa in gabbia?»
«Hawkey-Hawke?»
«Sì, lui. Hawk… no, un momento? Com’è che l’hai chiamato?» Scoppiò a ridere nuovamente, e a quel punto Manty non resse più. Aveva fame, molta fame, voleva raggiungere la cucina e abbuffarsi con tutto quello che vi avrebbe trovato, e inoltre le sembrava che quel chipmunk non fosse proprio a posto con la testa. Meritava una lezione.
«Ahahah… ahhh Manty, sei veramente uno spasso! Dovresti venire a stare con noi! Ti troveresti davvero bene! Anzi, se vuoi posso proporlo a Dave! Che dici, potrebbe interess… ehm… perché mi guardi in quel modo?»

In sala da pranzo tutti si stavano accomodando ai loro posti, mentre Linda finiva il proprio lavoro in cucina.
«Dave, sbaglio o Alvin oggi sembra più esuberante del solito? Che gli è preso?» Chiese Ian.
«Lascia stare, va. Ieri mattina abbiamo firmato un accordo per un duetto con Psy per il mese prossimo, e da quel momento non ha più chiuso bocca!»
«Stiamo parlando del coreano della Gangnam Style?»
«Purtroppo per tutti noi, sì.» Si intromise Simon. «A proposito, dov’è ora?»
Un acuto urlo di Alvin, proveniente dal corridoio, gli fornì la risposta. Tutti si voltarono verso la direzione, più sbalorditi che preoccupati.
«Ma che succede?» Domandò Theodore.
«Temo di saperlo.» Sussurrò a bassa voce Ian.
«Simon, vai a vedere.» Gli chiese Jeanette.
«Oh? Sì.» Saltò giù e andò a controllare.
Quando raggiunse la porta socchiusa, lo spettacolo che trovò in corridoio si rivelò sconcertante: la piccola e dolce Manty, che fino a poco prima le Chipettes stavano coccolando e riempiendo di complimenti, ora si stava accanendo su Alvin come un animale imbizzarrito sulla sua preda, mordendolo e strapazzandolo ovunque riuscisse ad affondare le sue zanne e gli artigli.
«Aaaarghhhhh! Aiuto!! Levatemela di dosso!! Levatemela di… ahio, no! Mi morde l’orecchio, mi morde… ouch, la mia camicia noo!! Simon, aiutamiii!!» Simon cominciò a capire molte cose, prima fra tutte il perché Ian fosse apparso così vistosamente preoccupato poco prima, tuttavia, malgrado ciò non aveva alcuna intenzione di intervenire in favore del fratello. «Vai così, campione! Te la cavi alla grande!» Lo incitò invece, per poi appoggiarsi comodamente allo stipite della porta per godersi la scena sogghignando sotto i baffi, mentre il resto del gruppo a tavola si scambiava occhiate incerte.
«Che stanno facendo?» Bofonchiò Theodore, che dalla sua posizione non poteva scorgere ciò che scrutavano gli occhi di Simon, come del resto nessuno della tavolata.
«A quanto pare la pupilla di Hawke ha scambiato Alvin per un grosso croissant.» Scherzò lui in tutta risposta, per poi sghignazzare trionfale.
«Oh no… » sussurrò Ian dal suo posto in tavola.
«Qualcuno non dovrebbe andare ad aiutarlo?» Chiese Jeanette, facendosi portavoce del gruppo.
«Vedi cara, io lo farei, ma non ne ho il coraggio: è troppo divertente!» Le rispose il Chipmunk con gli occhiali.
A quel punto fu Brittany ad alzarsi e a raggiungere Simon sbuffando. «Vai a sederti, ci penso io a lui.»
Simon tornò al suo posto ridendo ancora, mentre Brittany andò a salvare la vita al Chipmunk nell’altra stanza.
«Brittany, ti prego, salvami almeno tu!!!» Implorò Alvin.
«E va bene, basta così Manty. Sono certa che ha imparato la lezione» ma Manty non lo lasciò  «Manty, eh dai lascialo!» Nada  « MANTY!» Finalmente Manty lo lasciò e si fece in disparte.
Alvin era conciato da far paura: i vestiti della camicia che indossava erano stracciati, la pelliccia era scombinata e unta di saliva di cucciolo di chipmunk, mentre ciuffi di pelo inzaccherati erano sparsi per terra in grumi disfatti. Lo stesso Alvin se ne stava disteso a terra rantolante come un moribondo, con gli occhi sbarrati dallo shock.
«Certo che ci sai proprio fare con i piccoli.» Commentò Brittany guardandolo dall’alto in basso. Alvin balzò in braccio alla Chipettes e piagnucolo «Portami via da qui! Quella è pazza, è pericolosa, è… » Brittany lo lasciò cadere a terra. «Oh, andiamo, adesso non esagerare!»
Alvin spalancò gli occhi ancor di più «Che?! Guarda qui! Guarda la mia coda!!» Le indicò la punta della coda, dove una grossa porzione di pelliccia risultava strappata via a morsi.
«E’ allora?» Domandò lei, indifferente.
«Allora?! Ma mi ha staccato un pezzo di coda!!»
«Uff, che noioso che sei. Dai muoviti, che di là ci stanno aspettando.»
«Ma… ma… »
Ma Brittany non si degnò nemmeno di guardarlo.
Si voltò e guardò Manty furioso, bramando vendetta nei suoi confronti. «Con te facciamo i conti dopo!» La minacciò, ma la piccola sembrava impaziente di iniziare il secondo round. Gli rispose con uno sguardo di sfida e col suo famigerato ghigno di malizia, completando il tutto leccandosi le labbra, come un predatore che pregustava il suo pasto. Una reazione che tramutò la rabbia di Alvin in una smorfia di sgomento, seguita da una crescente sensazione di terrore che lo fece fuggire a gambe levate nella sala da pranzo.
In corridoio rimasero soltanto Brittany e la piccola Manty. La prima sospirò, per poi rivolgersi alla seconda. «Lo so, è un idiota di prima categoria. Però ogni tanto è divertente. Basta soltanto farci l’abitudine.»
«Sc-emo» biascicò Manty.
«Eheh. Già, hai colto nel segno! Dai, dammi la manina, che andiamo a mangiare.» Brittany allungò la mano per afferrare quella di Manty e condurla alla sala da pranzo, ma la piccola chipmunk non digerì il modo di fare di quella sua simile, né il fatto che avesse alzato la voce su di lei per convincerla a lasciar andare lo scemo.
Quando Brittany fece per tornare in sala, con Manty al suo seguito tenuta per mano, questa si radicò sul posto. «Hey, ma che ti prende?» Volse lo sguardo verso la piccola e si accorse che la stava fissando con un’espressione truce. «Perché mi guardi in quel modo?» Fu l’unica cosa che riuscì a chiederle.

Se in quel momento un pedone di passaggio avesse attraversato il viale di fronte alla casa di Linda, probabilmente sarebbe corso via a gambe levate, terrorizzato dal raggelante urlo che Brittany emise.

Dopo quel secondo incidente, si decise unanimemente di tenere Manty sotto la rigida supervisione di Linda, che con l’aiuto di Hawke, andava avanti e indietro dalla cucina per portare le scodelline con le insalate preparate apposta per i sei chipmunk.
Brittany, intanto, si sistemava compulsivamente il ciuffo di peli dei capelli con il suo pettine in miniatura: poco prima era stata essa stessa vittima dell’ennesimo assalto dell’uragano Manty, che si era accanita sulla testa della Chipette come ripicca della sua insolenza, scombussolandole tutta l’acconciatura in un’aggrovigliata matassa di pelo arruffato.  
«Quella stupida piccola peste… io… io giuro che la uccido!! Io… grrr, che rabbia!!»
Di fianco a lei era seduto Alvin, ripresosi dallo shock fisico ma non da quello morale. «Te l’avevo detto che era pericolosa, Britt. Ma non mi hai voluto ascoltare… » mugugnò a bassa voce, quasi mormorandolo.
«Ahhh, stai zitto! Non parlare, non respirare, non esistere! Estinguiti, chiaro?!?» Gli inveì contro. Gli altri non commisero l’errore di Alvin e se ne stettero in silenzio, evitando di rivolgersi a lei.
Ian e Linda, nel frattempo, terminarono il loro compito. «Vai pure, porto io il resto.» Gli disse lei, e Hawke andò a sedersi dopo averle semplicemente risposto con un «Ok.»
«Dovreste fare qualcosa per i suoi difetti comportamentali.» Suggerì Dave, con un tono di voce che suonò tanto come una critica.
«Cioè che vuoi dire? Insegnarle le buone maniere? Se credi che sia possibile, sogni a occhi aperti.»
«Sì, ma non puoi mica lasciare che aggredisca chiunque le si avvicini! Come pensi che sarà quando sarà cresciuta?!»
Ian valutò una risposta. «Già, è vero! Potrebbe diventare la prima Bonnie Parker chipmunk della storia!»
«Non riesci proprio a essere serio per più di due minuti, eh?»
«Che ci vuoi fare. La natura mi ha dotato del senso dell’umorismo. »
Linda irruppe nella stanza, cogliendo tutti di sorpresa. «Ian, abbiamo un problema.» E lui capì che alludeva a Manty. «Non me lo dire… cos’ha combinato sta volta?»
«Il pesce gatto.»
«Vuoi dirmi che… ?»
«Sì, se l’è mangiato. E anche i dessert.»
«Ma come ha… » stava per chiedere Eleanor, ma poi tacque. Era sul punto di domandare come avesse fatto a mangiare tutto quel cibo, ma dopo aver pensato per un istante a Theodore, capì che non era poi così inverosimile.
La vera questione fu un’altra e a sollevarla ci pensò Dave. «Ma non è possibile! L’avrai lasciata da sola sì e no trenta secondi!»
«Oh, trenta secondi per lei bastano e avanzano, credimi.» Gli rispose Hawke.
«E adesso che cosa facciamo?» Riprese la donna.
«Uhm…ce l’avete una pizzeria qui in paese?» Suggerì Ian.
In un primo momento Linda non reagì, poiché non era sicura che dicesse sul serio, ma quando poi, riflettendoci, si rese conto della fattibilità della proposta, decise di prenderla seriamente in analisi.  «Una gigante prosciutto, cipolle e funghi per tutti, vi va?» Propose.
«Oh sì. Per me va bene, e a te, Dave?» Dave aveva lo sguardo fisso nel vuoto e la bocca spalancata.
«Sì, anche lui è d’accordo.» Ne fece le veci Ian.
«Ok… vado a telefonare.» Concluse Linda, per poi uscire.
«Ehm, Dave, ti senti bene?» Riprovò Ian. Dave a quel punto rinsavì.  «S-si è mangiata il… pesce gatto…» Balbettò.
«Lo so. Visto che ti dicevo? Tre giorni fa si era mangiata il pollo arrosto, oggi il pesce gatto, dalle altri tre giorni e passerà all’antropofagismo.»
Dall’altra parte del tavolo, anche i Chipmunks e le Chipettes condividevano la stessa reazione di sconcerto di Dave. Brittany si avvicinò all’orecchio di Alvin e gli sussurrò «e tu che ti lamentavi della coda… »
«Già… » rispose Alvin «e tu che ti lamentavi dei capelli…»
«Touchè»

All’arrivo della pizza, la serata poté finalmente avviarsi come da programma. Manty era sta resa inoffensiva dall’abbondante cena della quale si era abbuffata, oltre che da una dose concentrata dell’infuso di Linda, e finì per addormentarsi su una delle poltrone in salotto, mentre il resto del gruppo proseguì col proprio pasto.
Alla fin fine si rivelò persino una serata piacevole, e dopo aver trascorso un’oretta a chiacchierare tra di loro e a rivivere i vecchi ricordi con Linda e le Chipettes, durante i quali la donna aggiornò loro la sua attuale situazione lavorativa e sentimentale (in sostanza: scapola e con un sogno da scrittrice abbandonato a macerare nel cassetto) il gruppo di Dave decise di andare. Avevano una severissima tabella di marcia da rispettare, che li avrebbe portati a imbarcarsi nuovamente la mattina stessa del giorno dopo per far ritorno a Los Angeles, in tempo per alcuni importanti impegni di lavoro della band.
Hawke e Linda accompagnarono i Seville all’atrio, dove poi restarono ancora qualche  minuto a parlare.
«E’ stato un vero piacere poterti finalmente conoscere di persona, Linda.»
«E’ stato un vero piacere avere voi come ospiti, Dave. E grazie per tutto quello che hai fatto per le ragazze. Se non fosse stato per te… »
«Già, non saremo qui a doverci sorbire queste smancerie di seconda mano.» Si mise in mezzo Ian, che prima di venir linciato con lo sguardo dagli altri due umani, corse subito ai ripari con un «Sto scherzando!» Ridacchiando poi, per enfatizzare la battuta di dubbio gusto.
Dave alzò gli occhi al cielo.
Mentre terminavano le ultime chiacchiere, Manty fece la sua comparsa in corridoio, e vedendola Alvin raggelò. «Eh-ehm, io vado ad accendere la macchina!» E se la diede a zampe levate.
«Alvin, ma che?» Tentò di dirgli Dave, ma fu già troppo tardi perché lui se l’era già svignata. Manty intanto si avvicinò ai piedi di Ian. «Hawkey-Hawke.» Lo chiamò.
«Toh, sei sveglia.» Le disse l’uomo, tornando poi a Dave.
«Buona fortuna con lei.» Gli augurò Dave, tentando poi di passarle il dito indice sopra la testolina per accarezzarla, ma cambiò idea subito dopo, per timore di essere morso.
«Grazie. Ne avrò bisogno. E tu, buona fortuna con Alvin.»
«Grazie, ma ormai è un caso disperato. Almeno con la tua sei ancora in tempo.»
«Sempre ammesso che riesca a sopravvivere abbastanza a lungo per riuscire ad educarla.»
«Vedrai che ce la farai. Non mollare.»
«Lo credi davvero?»
«Ehm, forse…no.» Rispose Dave dopo averci riflettuto brevemente.
Finirono così di salutarsi, e prima della partenza Linda estese a Dave e ai sei chipmunk l’invito a tornare ancora, ricevendone uno a sua volta per raggiungerli a Los Angeles.
Poco dopo arrivò il tassista da loro chiamato per telefono e il gruppo dei sette ripartì, diretto chi sa dove, forse in qualche alberghetto di Carterson City, oppure da un’altra parte. Non furono chiari sulla loro destinazione, e Hawke non se ne interessò.
Rimasti soli alla fine della serata, Ian e Linda collaborarono quindi nello sparecchiamento della tavola, parlando un pò tra di loro durante le pulizie, ma ciò che si dissero spaziava principalmente tra i commenti della serata e quelli sul passato delle Chipettes e dei Chipmunks, senza lasciare tempo e spazio all’interazione interpersonale.
Poi, concluso il lavoro, si diressero alle proprie camere da letto salutandosi miseramente con un paio di “Buonanotte”.  

Ian si tuffò di peso sul suo materasso, senza disdegnare un lamento. «Uff, finalmente.»
Non era più abituato all’idea di avere tanta gente intorno a sé (soprattutto Dave e la sua combriccola di scoiattoli dinamitardi). Randal fino a qualche tempo prima era stato l’unico ad aver dato un pizzico di vitalità alla sua solitaria esistenza, e ora che conviveva con sua figlia la sua barra immaginaria di fabbisogno d’estroversione poteva ufficialmente definirsi costantemente sovraccarica.
Ora che si era dimostrato capace di sopportare la presenza dei Seville per un’intera serata, desiderò solamente dimenticarsi di tutti i problemi che ancora lo attendevano i giorni seguenti e farsi cullare dalle comode braccia di Morfeo. Neanche a farlo apposta, però, qualcosa cercò di interferire col suo sonno.
Accese la piccola luce sul comodino di fianco al letto e si trovò faccia a faccia con la chipmunk.
«Manty?» Era talmente preso dal desiderio di gettarsi in branda da non ricordarsi nemmeno che la piccola avrebbe dormito con lui, come del resto lo aveva fatto le sere precedenti. Si strinse un po’ per farle spazio e batté sul cuscino per invitarla a sdraiarsi. «Forza, vieni pure.»
Manty, però, non si mise a dormire, bensì se ne restò in piedi sopra le coperte. Ciò incuriosì Ian, che si sollevò leggermente dal cuscino. Notò anche che la piccola aveva un’espressione tutt’altro che spensierata in quel momento, c’era qualcosa che non andava. «Hey, che ti succede? Ora non dirmi che l’intruglio di Linda t’ha fatto venire l’insonnia!»
Manty lo fissò in volto, e quello sguardo lo turbò più di qualsiasi altra cosa la chipmunk avesse mai fatto fino a quel momento. «H-Hawke… »
La situazione si stava facendo seria, era la prima volta che lo chiamava senza quel buffo appellativo. Ian si mise seduto sul letto, in apprensione.
«Pa-pà?» Si sforzò di chiedere lei, con un tono di voce che lasciava intendere timidezza, ma anche angoscia e disagio. Sentimenti che fino ad ora non l’avevano mai toccata, ma che aspettavano solo il momento buono per emergere.
Ian si trovò di punto in bianco in una situazione di stallo. Cosa avrebbe dovuto dirle? Era la seconda volta che gli poneva la domanda, e per la seconda volta si trovò costretto a dover decidere se mentirle oppure no. La prima opzione gli avrebbe dato solo pochi giorni di tempo, due al massimo, prima che la piccola tornasse a chiedersi che fine avesse fatto suo padre, e in ogni caso i sensi di colpa di cui, sì, anche Ian Hawke soffriva, non gli avrebbero dato pace fino a che non si fosse deciso a dirle la verità. D’altro canto, però, farlo avrebbe significato confessare a un cucciolo di chipmunk vivace e giocherellone, come solo Manty sapeva essere, una verità che forse era troppo grande da affrontare per una creaturina così giovane e piena di vita. Cosa doveva fare, quindi?
«Vedi, Manty… io, non so bene come risponderti… » doveva stare attento, misurare le parole. Non doveva dimenticarsi che, malgrado la tenera età e la difficoltà nell’esprimersi, la piccola chipmunk era incredibilmente sveglia e sagace, e qualsiasi errore di formulazione avrebbe potuto portare a conseguenze imprevedibili «il fatto è che io…  non credo che tuo padre tornerà presto. E’ andato via. In un posto lontano, e non so quando tornerà… »
«D-dov-e?»
«Dov’è andato? Io… non so nemmeno questo. »
«M-a tu, mi… o-odi?»
Ian si sentì d’improvviso un nodo in gola e si rese conto che forse aveva preso con troppo leggerezza il fatto di avere Manty intorno a sé. Evidentemente la chipmunk si era accorta di quanto lui si sentisse a disagio per quella convivenza molto prima di quando non lo non fece egli stesso.
«No, no… non è vero. Non ti odio affatto!» Rispose precipitosamente, augurandosi di assumere un tono quanto mai convincente «è solo che non c’ho ancora fatto l’abitudine. Sai, anche per me tutto questo è una novità. E quindi non so bene come comportarmi. Ma non significa che ti odio… »
«Ma, io fac-io la c-ativa e poi tu ti arr-a-bi. Io, mi dis-piace». Mentre si sforzava con tutta se stessa di parlare nel modo più chiaro possibile, una piccola lacrima sembrò bagnarle la pelliccia del viso.
Le parole della giovane scoiattolina colpirono al cuore di Ian, che non si sarebbe mai aspettato di vederla addolorata fino a quel punto. «Hey, dai non piangere. Non hai niente di cui ti devi dispiacere. Andrà tutto bene, vedrai.»
«Pa-pà è a-dato vi-a per m-me?»
«Non pensarlo neanche! I motivi per i quali se n’è andato sono, ecco… complicati da spiegare. Ma non hanno niente a che vedere con te. Tu non hai colpe di nessun genere, al massimo, se proprio vuoi cercare un colpevole…» un’illuminazione lo attraversò da parte a parte, una nuova consapevolezza che solo ora si era reso conto di avere: «quello sono io… » questo pezzo del discorso lo pronunciò con lo sguardo perso nel vuoto, come se stesse parlando con se stesso ad alta voce. Subito dopo tornò a rivolgersi a Manty. «Forse, non sono stato il miglior tutore del mondo… anzi, togliamo il “forse”, non lo sono stato affatto… però… voglio rimediare. Te lo prometto!»
“Apri gli occhi, Hawke”. Ancora adesso rammentava quella frase dettagli in sogno, e solo ora ne capì finalmente il significato: mai, in tutta la sua vita era stato un uomo responsabile. Si era arricchito alle spalle degli altri con l’astuzia e l’inganno, e sempre l’astuzia e l’inganno, alla fine, hanno finito per ridurlo al lastrico. Si era ritrovato di punto in bianco a essere un reietto della società, con le pezze ai piedi ma con la stessa arroganza di sempre. Con essa aveva finito per toccare ancora di più il fondo durante i fatti avvenuti con le Chipettes nel 2009, e sempre quell’atteggiamento di altezzosa prepotenza si era presentato nel 2011, quando per un momento era tornato a pregustarsi il successo che sarebbe derivato dalla morte di Dave, qualora fosse precipitato in quel baratro nel corso dell’eruzione vulcanica.
La vita gli aveva presentato per l’ennesima volta delle nuove chance, con nuovi amici che tentavano di farsi strada per entrare nel suo mondo e vecchie conoscenze che non erano intenzionate ad arrendersi con lui. E malgrado tutto, continuava ancora a manifestare apertamente il suo disprezzo verso tutto e tutti.
Il solo fatto di trovarsi lì, a migliaia di miglia da casa, era un’ulteriore prova di quanto continuasse a percorrere il sentiero sbagliato. Era sul punto di scaricare su Linda la responsabilità di Manty, solo per potersene poi tornare alla sua misera vita da nullafacente nel Wisconsin, e solo ora finalmente, capiva l’enormità dei suoi sbagli. Si ricordò anche della frase di quella simpatica vecchietta che aveva conosciuto durante il viaggio in aereo: “Un uomo può percorrere il proprio cammino in un’autostrada deserta o in un’incolta boscaglia. Quale che sia lo sceglie il destino, ma l’uomo può scegliere quanta percorrerne”.
Chiaramente, quel piccolo uragano azzanna-tutto da lui battezzato “Manty”, doveva essere una specie di ultimo Jolly mandatogli dal destino per aiutarlo a imboccare finalmente nel modo corretto il suo cammino, doveva soltanto decidersi, una volta per tutte, a percorrerlo nel modo corretto.
In fondo, i due erano più accumunati di quanto non sembrasse: entrambi, a modo loro, erano due disadattati, con un carattere di difficile gestione e un senso dell’indifferenza verso il prossimo che poteva competere alla pari solo con la loro ingordigia. Di Manty per qualsiasi cosa riuscisse ad addentare, di Hawke per la fame di successo che tanto ardeva di tornare ad avere. Due anime tanto accumunate, quindi, potevano benissimo andare incontro a una grande amicizia, se solo l’impegno reciproco di entrambi si fosse messo in gioco.
Finalmente consapevole di tutto questo, Ian prese una decisione che avrebbe esposto a Linda il giorno seguente, poi sollevò delicatamente Manty e la appoggiò al cuscino di fianco a sé.
«Domani ricominceremo da capo, ok?» Le disse, sorridendole poi.
«Sì.» Ricambiò lei.
Ian le asciugò la lacrimuccia dalla guancia e poi riprese a parlarle «Dobbiamo imparare ad andare d’accordo l’uno con l’altra. Perché diciamocelo, fino ad ora abbiamo fatto semplicemente schifo.»
«G-già.» Ne seguì un breve istante di silenzio.
«Beh, dai. Dormiamo ora, che si è fatto tardi.»
«Not-e, Hawkey-Hawke.» Lo salutò la chipmunk, addormentandosi accanto a lui con un sorrisetto appena accennato in volto.
«Buona notte anche a te, Manty.» E per la terza notte di fila si addormentò con quel cucciolo di chipmunk nel suo letto, ma sta volta era diverso. Questa volta, per la prima volta, non la vide più come una presenza da sopportare, ma come un’amica, la SUA amica.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5: Randal ***


La mattina, mentre stava per accingersi a bere una tazza di caffè prima di prepararsi per andare al lavoro, Linda si trovò ad avere l’inaspettata compagnia di Ian, che spuntò in cucina con ancora l’alone di sonnolenza sul volto. «Giorno.» La salutò con tono letargico.
«Buongiorno anche a te. Già in piedi a sta ora?»
«Già. E’ tutto la notte che non riesco a dormire.»
«Mi dispiace. Ti va un caffè? Magari ti aiuterà a riordinare le idee.»
«Te l’avrei chiesto io se non mi avessi rubato le parole di bocca. Accetto volentieri.» Linda gli servì una tazza e si sedettero insieme al tavolo per consumarlo. «Allora? Il motivo dell’insonnia?»
«Oh, quella… » ingurgitò un sorso di caffè «niente, ho passato la notte a riflettere. Per lo meno Manty ha dormito meglio di me.»
Anche Linda bevette un sorso. «Uhm, riflettere su cosa, se non sono indiscreta.»
«Mah, tante cose. La mia vita, i miei sbagli. Tutti i casini in cui mi sono ritrovato in passato.»
«Già. Per non parlare di quel libro.» Farfugliò la donna, prima di terminare il suo caffè.
«Eccolo, ci risiamo con quel libro! Si può sapere che avete tutti contro quel libro?!  “Ian Hawke, l’autore del Libro”. Dio, ormai sta diventando un fenomeno internazionale! Neanche fossi l’autore di “The secret”!» Ian parve svegliarsi di colpo. «Beh, per lo meno quello la gente l’ha apprezzato.» Aggiunse poi.
Linda si alzò dal tavolo, con l’intenzione di riportare la tazza in cucina. «Beh, non c’è bisogno che te lo venga a dire. Già lo sai qual è il suo problema.» Ci fu un momento d’imbarazzante silenzio tra i due. «Lo sai, vero?» Aggiunse la donna.
Ian inarcò le sopraciglia.  «Sapere cosa, scusa?»
«Vuoi dirmi che tu… oh. » Linda, a quel punto tornò a sedersi.
«Davvero non lo sai?»
«Ma la vuoi piantare con queste domande?! Non so neanche di che parli! Fino a ieri pensavo che facesse solo schifo, e invece?»
Dunque Ian era all’oscuro di tutto.
«Non leggi molto le recensioni online, vero?»
Di risposta Ian fece spallucce in modo seccato.
«Beh, allora mettiamola così: diciamo che tu in quel libro ti eri descritto come una specie di Paperon Da Paperoni, ce l’hai presente?»
«Sssiiiiehhmm…no.»
«Possibile che tu non abbia mai letto un “Topolino” in vita tua?!»
«Mia madre diceva che leggerli rendeva i bambini stupidi, quindi temo di non essere informato in materia.»
«Wow, deve essere stata un’infanzia molto difficile la tua… comunque, De Peperoni… in questi fumetti era lo Zio di Paperino» si arrestò dubbiosa «almeno lui lo conosci, vero?»
«Parla di quel papero con la raucedine?»
«Sì, proprio lui. Insomma, diciamo che suo Zio è il papero più ricco di tutta Paperopoli,  la loro città. E’ un ultra-miliardario che vive in cima a una collina dentro un enorme deposito ricolmo di soldi. Una specie di salvadanaio gigante dove lui ci nuota letteralmente dentro.»
«Un papero che nuota nell’oro insomma. Chi sa perché non ci ho mai pensato io. Ma comunque, questo che centra con me?»
«Vedi, Hawke, lui è sì il papero più ricco del mondo, ma anche il più avaro. Deve proprio a questo la sua fortuna. Un maniaco del risparmio che fa colazione con vecchie gallette scadute e bevendo infusi di te riciclati, e inoltre, ogni volta che ha la necessità di compiere un viaggio, o ha bisogno di qualcuno che lo assista in qualche mansione, si rivolge sempre ai servigi del nipote Paperino, che sfrutta alla stregua di uno schiavo.»
«Un vero infame insomma, adesso si spiega il paragone.»
«Sì, ma non è questo il punto. Lasciami finire: malgrado lui faccia di tutto per minimizzare il più possibile le spese, in taluni casi si ritrova comunque costretto a scucire qualche dollaro. Ed è qui che volevo arrivare! Vedi, malgrado abbia tutte quelle ricchezze, malgrado come dicevi te, nuota letteralmente nell’oro, ogni volta che si trova costretto a dover “pagare”, finisce sempre per lamentarsi e piagnucolare per la malasorte che gli ha imposto tale tortura. Anche se spesso è proprio lui che se le cerca! Ebbene, è quello che tu hai fatto col libro!»
«Io? Non ti seguo… »
«E’ molto semplice, Ian. Da quando hai fatto la conoscenza dei Chipmunks, non hai fatto altro cercare di arricchirti alle loro spalle senza alcun riguardo per la loro salute e i loro desideri. Un po’ come Paperone con Paperino. E anche quando sei incorso nell’errore una seconda volta, e a momenti una terza, hai sempre attribuito la colpa di tutto questo al destino, alla iella, e hai riversato tutto questo in quel libro. Hai cercato di discolparti da tutto, quando invece, chiunque sapeva che in realtà la colpa era tua e solo tua.»
Calò il silenzio nella stanza. Ian abbassò lo sguardo, fissando il caffè, che ancora attendeva di essere bevuto, ondulare sui bordi lucidi della tazza. «Dunque è questo, eh?»
Linda provò una sensazione d’imbarazzo. «Forse sono stata troppo dura, scusami…»
«Oh, no, no.. A dire il vero… era per questo che non ho dormito tutta la notte. Lo so, sono stato un’idiota in questi ultimi anni, e col senno di poi, a quanto pare quel libro non è stato la migliore delle mie idee.»
«Direi proprio di no… però, se ti può consolare, stai facendo un ottimo lavoro con Manty.»
Dall’espressione che gli si disegnò in voltò, Linda capì che Ian trovò da ridire anche su quest’ultima affermazione «Certo, l’hai dimenticata in auto e l’hai scaricata a me praticamente per il settanta percento del tempo che abbiamo passato insieme, però è già qualcosa. Potevi benissimo abbandonarla al suo destino, quel giorno, e invece hai deciso di correre il rischio, pur sapendo a cosa andavi incontro.»
«Mia cara, stiamo parlando di Manty. Nessuno poteva prevedere a cosa sarei andato incontro.»
«Eheh, in effetti.»
«Beh, perlomeno sta mattina ho imparato qualcosa di nuovo.»
«Ah sì, e cioè?»
«Che il mio alter ego dei fumetti è un papero antropomorfo riccone e schiavista.» Linda rise ancora, e a ella si unì anche Ian, in un coro di allegria che gli risollevò il morale.
«Mi sa che sto facendo tardi a lavoro.» Riprese lei.
«Già. e io invece mi sono alzato troppo presto» spezzò la frase con uno sbadiglio «mi sa che me ne tornerò a dormire ancora un po’, prima che Manty si svegli e cominci a invocare due o tre milioni di tonnellate di cibo.»
«Ti ho fatto trovare pronta la colazione per lei in frigo.»
«Sì, lo so. Grazie.»
«Bene, allora… io vado.»
Un non so che di quell’ultima frase gli fece tornare in mente che aveva ancora qualcosa da dirle.
«Linda.» La chiamò, e lei si voltò.
«Sì?»
«Ho deciso che io e Manty torneremo a casa oggi.»
Dopo questa rivelazione shock, Linda sembrò dimenticarsi del suo ritardo. «Ian, ho forse detto qualcosa che non dovevo?»
«Ma no! Anzi! Hai ragione su tutto. Ed è proprio questo il punto. Sei stata una padrona di casa eccezionale, e davvero, lo apprezzo tutto l’aiuto che mi hai dato. Ma credo che sia arrivato il momento che io mi assuma le mie responsabilità.»
«Però puoi sempre cominciare restando ancora qui. Non devi andare per forza!»
La reazione della donna sorprese Ian, che non si aspettava da lei un tale attaccamento.
«E invece devo. Ieri sera Manty mi ha chiesto per l’ennesima volta dove fosse suo padre, e ancora non sono stato capace di dirle la verità. Ma temo che presto dovrò farlo.»
«Ian, adesso sono io che non capisco te. Cos’ha a che vedere col fatto che hai deciso di ripartire?»
«Perché dovremo presto imparare ad andare d’accordo a vicenda, io e Manty. E dovremo impararlo da soli. Quindi prima la riporto a casa, e meglio sarà. Non posso prendermi cura di lei se continuo a scaricarla ad altre persone. Sembra stupido, ma non lo è! Ci ho riflettuto a lungo, e credo che sia la soluzione più giusta. Non mi aspetto che tu lo capisca.»
Invece capiva benissimo. Era contenta che finalmente Hawke avesse deciso di crescere e assumersi le proprie responsabilità con la piccola, tuttavia, avrebbe voluto che restassero ancora un po’. Erano stati con lei per pochi giorni, ma già le erano stati sufficienti per convincersi di essersi affezionata a loro. Malgrado ciò, erano degli ospiti, e come tali, non poteva costringerli a rimanere contro la loro volontà.
«Aspetta solo che sia tornata a casa dal lavoro, ok?» Lo pregò.

Nel pomeriggio di quella giornata la temperatura a Carterson City calò di qualche grado, lasciandosi alle spalle l’umidità afosa dei precedenti giorni e dando spazio a un clima molto più gradevole.
Aspettando il ritorno di Linda, Ian si premurò di procurarsi i biglietti per l’imbarco e a preparare le loro cose. Manty sapeva che sarebbero ripartiti quel giorno, ma anche lei non poté che essere rattristata.
Per un attimo Hawke si chiese se fosse la cosa giusta, ma d'altronde non potevano nemmeno pretendere di alloggiare in casa altrui per sempre! Linda era già stata generosissima ad accettare di ospitarli (e diciamocelo, anche sopportarli) senza esigere nulla in cambio, ora era giunto il momento di levare le tende. In qualunque altro alloggio, Ian si sarebbe sicuramente ritrovato sul lastrico nel dover risarcire gli eventuali danni che Manty avrebbe causato, e a ben pensarci, gli erano più che sufficienti quelli causati al sedile dell’auto noleggiata coi quali si sarebbe confrontato al momento della restituzione.
Ora non restava che caricare i pochi bagagli che avevano con sé e salutarsi con la padrona di casa. E poi sarebbero potuti ripartire.
«Bene, dovrebbe essere tutto.» Costatò dopo aver caricato nel mezzo le ultime cose.
Linda stava tenendo in mano la piccola Manty, alla quale stava sussurrando qualcosa «Non farlo impazzire troppo, d’accordo?»
«Ci prov-erò.» Balbettò lei, emettendo poi degli squittii di risate.
Quando Hawke tornò da loro, Linda estrasse dalla tasca una piccola busta in plastica dal contenuto ignoto e gliela porse. «Ho qualcosa per te»
L’uomo la studiò con curiosità e accettò. «Che cos’è?»
«Un po’ di quel tè che ti avevo promesso.» Disse sorridendogli.
«Oh! Eheh, già. Mi sa che ne avrò bisogno.»
«Un cucchiaino per tazza, cinque per una teiera. Tienilo in infusione per dieci minuti in acqua bollente e poi filtra il fondo con un setaccio.»
«Sembra facile. La userò con quelli della banca, quando verranno a reclamare le mensilità in arretrato della casa. Grazie!»
E di nuovo la donna sorrise.
«A che ora avete l’imbarco?» Proseguì poco dopo, cercando di nascondere tra le impercettibili sfaccettature del suo viso la tristezza per la loro partenza.
«Tra un paio di ore. Se conto il tempo di riportare l’auto e sorbirmi la strigliata dei responsabili per il sedile, dovremo riuscire a farcela.»
«Già, e… se proprio lo perdeste, potreste sempre tornare qui.»
Sta volta fu  Ian ad accennarle un sorriso compiaciuto «Non vuoi proprio che ce ne andiamo, eh?»
«No, non è questo… è che…non ha senso dormire nell’aeroporto quando sapete di poter passare la notte qui…» Cercò di giustificarsi senza sembrare imbarazzata, ma finendo per apparirlo ancora di più. La verità è che le stava venendo un groppo alla gola al pensiero di doversi separare da loro, non voleva che se ne andassero così su due piedi.
«Sono abbastanza sicuro che ce la faremo. Ma questo non è un addio. Viviamo nell’era di facebook e dei social network. Quel genere di saluti ormai non si dicono più!»
«Eheh. Sì, hai ragione. Allora… ci sentiremo.»
Ian le porse la mano per salutarla, ma poco dopo finirono per concedersi un abbraccio.
«Nah, troppo smielato.» Disse Linda.
«Mi copi le battute? Stavo per dirlo io.» Immediatamente si staccarono.
«Ah, scusa ancora per… sì, insomma, quello lì.» Indicò il livido sul volto di Ian, che di risposta l’uomo si massaggiò. «Nessun rancore, me lo sono meritato… forse.»
Linda distolse lo sguardo per puntarlo altrove. «Ehm, Ian… » stavolta indicò l’auto, dove Manty vi si era insediata per perpetrare il suo piano di devastazione del sedile.
«Oh, per la miseria Manty, finiscila!» Ian le corse incontro.
«Hawkey-Hawke!»
«Eh, “Hawkey-Hawke”, non te la puoi cavare sempre con Hawkey-Hawke!» Tornò a rivolgersi a Linda «Ehm, forse è meglio partire, prima che mi rosicchi anche i copertoni delle ruote.»
«Ahahah, forse è meglio! In bocca al lupo, Ian!»
«No, in bocca a Manty. E comunque: “crepi”.»
«Hey!» Disse Manty, offesa.
«Non dicevo a te, intendevo… bah, lascia perdere! Grazie di tutto Linda!»
«Non dimenticarti di tenermi aggiornata, d’accordo!»
«Lo so. Farò del mio meglio per dimenticarmi di te alla svelta!»
«Come, scusa?!»
«Sto scherzando!»
«Oh, ma vattene, va!» Risero insieme per l’ultima volta. Dopodiché si diedero l’ultimo saluto e il viaggio di ritorno per il Wisconsin  poté avere inizio.

Al contrario delle peripezie vissute durante l’andata, il ritorno a casa non fu funestato da spiacevoli inconvenienti.
La consegna all’autonoleggio fu chiarita in maniera relativamente pacifica. Dopo aver verificato attentamente le clausole del contratto, si capì che il risarcimento sarebbe pervenuto attraverso la compagnia assicurativa di Ian, mentre con i proprietari dell’auto si limitò solo a rilasciare delle informali e quanto mai imbarazzate scuse. Quindi tutto bene ciò che finisce bene, per lo meno con loro. Già, perché in ogni caso, prima o poi avrebbe comunque dovuto fare i conti con il suo Assicuratore, ma questo era un'altra storia.
Riguardo al resto, non vi fu alcuno degli spiacevoli inconvenienti nei quali si era imbattuto in precedenza, e riuscirono a far ritorno a casa senza ulteriori contrattempi.
Rivedere la sua misera casetta in legno prefabbricata, col prato incolto e brulicante di erbacce e il vicinato costituito prevalentemente da gente che lo detestavo o che semplicemente non voleva avere a che fare con lui, colmò il suo cuore di commozione. Gli mancava quella vecchia baracca!
Pagò il tassista che li aveva accompagnati fin lì e scaricò i suoi bagagli, e prima di entrare in casa si concedette una breve pausa per contemplare il suo prato, spinto da una voglia tutta nuova di ripulirlo e sistemarlo a dovere.
«Vieni, Manty.» Disse alla chipmunk, per poi avviarsi verso la casa.
Una volta entrati, la piccola se ne andò per i fatti propri, cominciando a correre da una stanza all’altra come di consuetudine, mentre Ian ispezionò l’abitazione per verificare che fosse tutto in ordine.
Salì le scale portandosi dietro il bagaglio, diretto alla camera da letto. La trovò socchiusa, cosa insolita, ma che non era necessariamente sintomo di qualcosa di sospetto.
Mentre apriva la valigia, per cominciare a svuotarla del suo misero contenuto, non si accorse subito della presenza che si trovava con lui in stanza.
Il misterioso intruso tentò di sgusciar fuori di soppiatto dopo essere miracolosamente sfuggito alla sua vita, ma per farlo avrebbe dovuto attraversare la porta. E Ian vi era proprio di fronte.
Inutile tentare qualunque approccio di evasione, i due ben presto finirono per incrociarsi gli sguardi.
Da prima, entrambi urlarono alla vista dell’altro.
«Tu?!»
«Tu?!»
Parlarono in sincrono.
«Che ci fai ancora qui?!?»
«Che ci fai già qui?!?»
Contenuto diverso, ma poste all’unisono.
«Pensavo fossi morto!»
«Pensavo tornassi tra una settimana!»
Entrambi urlarono una seconda volta.
«Randal!»
«Ian!»
Hawke indietreggiò contro l’armadio, convinto di avere un’allucinazione. «Mi… mi avevano detto che eri morto! Ho… ho trovato la tua foto per terra sul ciglio della strada!»
«Sì, beh… ecco… bella giornata oggi!»
«PER LA MISERIA, IO TI CREDEVO MORTO!!»
«Abbassa la voce, ci sento benissimo!» Guardò verso la porta «Lei dov’è?»
«Tua figlia? E’ da basso!»
«Chiudi la porta, per favore.»
«E perché dovrei farlo?»
«Perché non voglio che mi senta. Assecondami!»
Ian andò a chiudere la porta, come gli era stato chiesto dal chipmunk, ma non lo fece per assecondarlo, bensì perché non voleva essere colto in fragrante da Manty nell’atto di far a pezzi suo padre. Ma Randal questo non lo capì.
«Scommetto che ti starai chiedendo come mai io sia vivo e perché mi trovi in casa tua, vero?» Gli chiese il chipmunk.
Ian lo guardò, ma non gli rispose… non con le parole. Spiccò, invece, a gran sorpresa, un tuffo verso di lui, che il chipmunk dovette schivare per evitare di esserne travolto.
«Hawke, ma che ti prende?!»
Ian tentò di agguantarlo ancora una volta, poi un’altra, e un’altra volta ancora.
«No, Ian! Calmati. Calm down. Calmez-vous. Smirise. Beruhigen!»
Non riuscendo ad acciuffarlo, l’uomo aprì uno dei cassetti del comodino e iniziò a lanciargli contro tutto quello che vi trovava. «Questa… me la…paghi! Hai… Idea… di quante… me ne hai… fatte… passare?!» Ogni parola era interrotta dal lancio di un oggetto contro Randal, che  dovette scartare con l’agilità di un giocatore di dodgeball per non farsi colpire.
«Almeno lasciami spiegare, no!» Un posacenere gli volò a pochi centimetri dalla testa, colpendo la parete alla sua sinistra. Ian frugò ancora, ma oramai il cassetto era vuoto. Si calmò e sedette a terra per riprendere fiato. «Ok… parla.» Disse al chipmunk, pronunciando a fatica le parole.
«Ecco… ehm… non avevo previsto che mi avresti lasciato parlare, quindi… non ho preparato il discorso… »
Ian si rialzò goffamente «Ok, sono certo di aver lasciato la mia mazza da baseball qui, da qualche parte.»
«No, no, no, aspetta! E va bene, hai vinto!»
«E allora comincia a spiegare, partendo da A: perché ti sei finto morto per costringermi ad adottare tua figlia e concludendo con B: dicendomi come hai fatto a entrare in casa mia!»
«Beh, per entrare è stato facile, è bastato passare dal buco nello sgabuzzino.»
«Quale buco?! Non ci sono buchi lì dentro!»
«Hai ragione solo in parte, tecnicamente: non c’erano.»
Ian si ammutolì momentaneamente. «La mazza. Dev’essere nell’armadio! Ne sono certo!»
«E aspetta un momento! Subito a partire con la violenza!»
«Randal, giù al piano terra c’è tua figlia, che da quattro giorni non fa che chiedermi di continuo dove sia suo padre! E non hai idea di quanto sia stato difficile tacere per non doverle dare questa risposta! Ma ancor di più, hai la minima idea di quante me ne abbia fatte passare? Quanti morsi, quanta devastazione si sia lasciata alle spalle?! Quindi dammi una ragione per cui ora non debba trasformarti in un cappello da boy scout, una sola!»
Alla domanda, Randal sembrò titubare. C’era forse qualcosa che non voleva che uscisse allo scoperto?
«Allora?» Insistete Ian.
«Allora cosa?» S’indispettì. «Hai visto anche tu com’è! Come potevo prendermi cura di una figlia così?! Da solo, oltretutto!»
«E quindi hai pensato bene di abbandonarla a se stessa? Bravo, complimenti! Grande prova di responsabilità per il chipmunk Randal! Se non fosse che da te uno se lo potrebbe aspettare, meriteresti il ripudio da parte di tutta la tua razza!»
«Ho sbagliato, va bene?! Demonizzami pure, ma il fatto è che non posso prendermi cura di lei. Non ne sono in grado!»
«E secondo te io sarei stato più adatto di te?!»
«Beh, non mi pare che ti sia andata malaccio fino ad ora, o mi sbaglio?»
«Questo lo insinui te, e non è comunque il punto, perché eri TU che avresti dovuto provvedere a lei, non IO!»
«MA IO NON POTEVO FARLO, VUOI CAPIRLO?!?»
«PERCHE’?!»
Randal perse improvvisamente il vigore, travolto ancora una volta da quella domanda alla quale non intendeva rispondere. «Ecco io…non… non potevo, stop!» Tagliò corto «però non volevo abbandonarla a se stessa! E così ho pensato: “Magari posso chiedere una mano all’unica persona che in questa contea considero un amico!”, e si da il caso che quella persona eri tu, Hawke!»
«Sappi che non mi incanti con i sentimentalismi!»
«Ma non sono sentimentalismi! E’ la verità! Quel… quel pomeriggio stavo tornando per riprovare a convincerti, quando, fatalità, mi ritrovo in mezzo alla strada del tuo isolato la carcassa di un animale spiaccicato. Qualunque cosa fosse stata, non aveva importanza, ma aveva il mio stesso colore di pelo, perciò… »
«Perciò hai pensato bene di mettere in piedi una messinscena degna di una puntata di CSI!»
«Beh, sì… più o meno. Ho pensato che se te ne accorgevi in tempo, ciò sarebbe bastato per farti cambiare idea, così ho tenuto d’occhio la zona finché non ti ho visto uscire. E’ stato un vero colpo di fortuna che tu abbia notato quel tizio che puliva l’asfalto. Un minuto in più e tutto sarebbe andato in fumo, ma dopo ti ho visto rientrare, e a quel punto credevo di essermela giocata male. E invece no! Stavo tornando al nido, pioveva, e a un certo punto ti ho visto correre in mezzo al bosco con in mano mia figlia. Ti ho tenuto d’occhio di nascosto, giusto per assicurarmi che le cose stessero procedendo bene, e poi mi sono fatto da parte. Ed ecco tutto!»
Ian non emise alcun suono per una manciata di secondi, dopo di che «Te lo chiedo ancora una volta: perché?»
«“Perché” cosa?»
«PERCHE’-MI-HAI-AFFIDATO-TUA-FIGLIA?!?» Scandì una ad una le parole.
Randal sbuffò «Perché non posso fare il padre, non ne sono capace, ok?! Non me ne è mai importato niente e non voglio averci niente a che fare! E anzi, meglio che ora me ne vada.»
Si avviò verso la finestra, in quel momento chiusa.
«Ti dispiacerebbe aprirmela. Se uscissi dalla porta corro il rischio di farmi beccare.»
«Sei disgustoso! Non vorrai filartela per davvero, voglio sperare?!»
«Non è “Io voglio”ma “Io sto”. E sto per andarmene!»
«Ah sì? E come pensi di fare, sono curioso!»
«Vuoi forse impedirmelo?»
«Dovrai passare sul mio cadavere, se vuoi andartene da qui.»
«Molto bene.» Randal allora si arrampicò con un salto sulla scrivania, e da lì, saltò sul davanzale della finestra. Ian lo guardò con fare si sfida, non immaginando cosa stava per accadere. Il chipmunk tirò un pugno al vetro della finestra, e per quanto minuto, il colpo si rivelò sufficientemente potente da sfondarne una minuta porzione, sufficiente a lasciargli lo spazio per uscire. Hawke restò a bocca aperta, incapace di concepire come il chipmunk ci fosse riuscito.
«Un consiglio: la prossima volta compra dei vetri di qualità migliore.» Ammonì il chipmunk, poco prima di infilarsi nel foro per dileguarsi.
«Pa-pà!» Proprio in quel momento, Manty fece la sua apparizione nella stanza dopo essere riuscita ad aprire la porta, attratta dal forte baccano provenire dall’interno della stanza, e quando entrò, fece solo in tempo a vedere suo padre svicolare fuori da un foro aperto nel vetro della finestra.
Quando udì la sua giovane e inconfondibile voce Randal si fermò, e tra i due vi fu un breve incrocio di sguardi.
Gli occhi del chipmunk adulto si colmarono di uno straziante dolore, contenuto a malapena, in netto contrasto con la gioia che provava la piccola nel sapere di aver appena ritrovato suo padre.
«Evangeline… mi… mi dispiace.» Riuscì solo a balbettare Randal. Era questo il suo vero nome, Evangeline? Si chiese Hawke.
«Pa-pà?»
Randal avrebbe dovuto far marcia indietro e ricongiungersi a lei, o per lo meno, questo era quello sul quale Ian era pronto a scommettere, ma qualunque fossero le sue ragioni, non tornò. Saltò giù dalla finestra, atterrando tra i cespugli del giardino e corse via.
«Papà!!» la piccola gridò e parve intenzionata a seguirlo, ma Hawke  la fermò. Aspetta, Manty!»
«La-iami!» (lasciami!) Lo morse ripetutamente, tanto che Ian dovette far fronte a tutta la sua volontà per impedirle di liberarsi.
«E’ andato via, non lo vuoi capire?! E’ scappato!»
«Ma, lui è il m-io papà!»
«Lo so, piccola. Ma non vuole che tu lo segua! Non lo so perché, ma è così. Adesso calmati, per favore. Calmati.» Manty smise di dimenarsi e si arrese.
«Bene. Io adesso ti lascerò andare, ok?» Allentò la presa.
«Hawkey-Hawke… io, voglio il papà!»
«Lo so, Manty. Ma lui vuole che tu resti con me ancora per un po’.» Si guardò la mano, rendendosi conto di doverla medicare. Questa volta non era stato un gioco. Le ferite che gli aveva inferto erano ben più gravi del solito, ma vedendole, si chiese quali fossero le più estese: se quelle fisiche, provocate alla sua mano dalla piccola, o quelle emotive al cuore di lei, causate dall’insensibilità del padre?

Passarono due giorni da quando Randal se l’era filata dalla finestra nella stanza da letto e in casa il clima era divenuto uno dei più tristi che si potessero pensare.
Ian si era medicato da tempo la mano e oramai le sue ferite erano in fase di lenta guarigione, ma per quanto riguarda Manty, la situazione si era fatta più seria. Randal le aveva spezzato il cuore, per poi masticarlo e sputarlo dove gli capitava in un miscuglio di frattaglie informi. Con lei non sarebbero bastati del disinfettante e una fasciatura per rimetterla in sesto. Il suo era un dolore nell’animo. Una delusione che nessun adulto vorrebbe mai provare, figuriamoci un cucciolo di chipmunk.
Tutto era cambiato da quella volta: Manty non bramava più il cibo come prima, per non parlare della sua irrefrenabile vitalità che sembrava ormai giunta alla sua ultima corsa. Ora ciondolava da una stanza all’altra, spesso priva di meta, e Ian fu costretto ad ammettere che, come recita il detto popolare, “non si era reso conto di ciò che aveva, fino a che non lo aveva perso”.
«Manty, dove sei?» Era l’ora di pranzo. Ian aveva provato a chiamarla ripetutamente per dirle di venir a mangiare. Ma sembrava svanita nel nulla.
Il telefono squillò, all’altro capo della linea, Linda attendeva la risposta.
«Pronto?»
«Ian, sono io.»
«Oh, ciao Linda. Come stai?»
«Bene, sì. Ma voi? Manty si è risollevata?» Era al corrente degli ultimi avvenimenti.
«Se si è ripresa, non lo da a vedere: non vuole mangiare, non vuole giocare e adesso pare si sia nascosta da qualche parte. Non riesco a trovarla.»
«Dalle tempo. La conosci, vedrai che le passerà. Comunque chiamavo solo per sapere se c’erano novità con lei.»
«Purtroppo, niente non ti abbia già detto.»
«D’accordo, allora scusa se ti ho disturbato. Andate pure a mangiare, perché qui il lavoro mi reclama.»
«Nessun disturbo, anzi. Ti terrò aggiornata.»
«Va bene, grazie. Ciao Ian, statemi bene.»
«Altrettanto, ciao anche a te.» Dopo quella breve telefonata, Ian tornò a cercarla.
La cosa strana era che non aveva avuto sue notizie da tutta la mattinata. Si erano svegliati insieme, e lei sembrava quasi più vitale dell’ultima volta, ma dopo la colazione improvvisamente era svanita nel nulla.
«Adesso basta, Manty! Esci subito fuori! Non ho voglia di giocare!» Nell’aria circolava qualcosa di strano, un sospetto terrificante.
E se fosse scappata di casa? No, era impossibile! O forse no? La porta era chiusa, e in ogni caso, anche se la chipmunk sarebbe sicuramente stata in grado di aprirla, era impensabile che uscisse senza che Ian se ne accorgesse. Inoltre non era al corrente della via d’accesso dello scantinato usata da Randal. Dunque, rimaneva una sola via d’uscita tra lei e l’esterno.
Ian corse come un ossesso al piano superiore, diretto verso la camera da letto. Non aveva ancora avuto l’occasione di sostituire il vetro devastato dal pugno di Randal, perciò, nel durante, lo aveva raffazzonato alla meno peggio con del nastro isolante.
Quando vide il foro nuovamente aperto da quelli che sembravano chiari segni di piccole unghiate, si senti quasi svenire, e dovette aggrapparsi all’armadio per non incespicare su se stesso. Accadde proprio quello che aveva temuto: Manty era scappata.

Non poteva essere andata troppo lontano. Voleva a tutti i costi ricongiungersi con suo padre, perciò l’unico posto logico in cui lo avrebbe dovuto cercare era la foresta.
Era molto improbabile che fosse tornato lì, ma questo Manty non poteva saperlo.
Ian doveva ritrovarla. Uscì di casa senza nemmeno preoccuparsi di chiudere la porta a chiave. Per raggiungere la foresta avrebbe dovuto attraversare la strada di fronte al suo isolato, per poi girare intorno all’abitazione del suo vicino di casa (non ne conosceva il nome, ma ora lo identificava come “quello che aveva pulito la strada dal finto cadavere di Randal).
Si guardò intorno nel frattempo per cercare di localizzare possibili tracce del passaggio della chipmunk: orme, sentieri di erba calpestata e – perché no? – tracce di morsi a cose e persone. Non trovò niente, ma d'altronde Hawke non era un segugio.
Cominciò a circumnavigare la casa del vicino, quando fu attratto da un dettaglio che lo fece tornare sui suoi passi e buttare un’occhiata al vicolo sul lato destro dell’abitazione. Qualcosa stava rovistando nel bidone della spazzatura, spargendo dovunque i rifiuti e avanzi di cibo.
«Randal?» Quando capì chi fosse il responsabile di quel casino, stentò a crederci.
«Hawke! Le nostre strade si incrociano di nuovo, vedo.»
«Ma… che ci fai ancora qui? Pensavo che te ne fossi andato!»
«Beh, le intenzioni sono quelle, ma dovevo pur mangiare qualcosa prima.»
«E hai passato due giorni a frugare nei bidoni della spazzatura?»
«Prova te a trovare qualcosa di commestibile qui dentro!» Come dimostrazione tirò fuori dal pattume una lattina di tonno vuota e unta di olio raffermo.
Non ha tutti i torti, ammise tra sé e sé Ian. «Non importa, senti, Manty è qui con te?»
«Chì?»
Dimenticava che Manty era un nome che le aveva dato lui. «Tua figlia, Randal. E’ con te?»
«Ehm… no. Cosa le è successo?»
«E’ scappata di casa per andare a cercare quell’idiota irresponsabile di suo padre, ecco cosa! E chi sa che fine ha fatto adesso!»
«Deve essere tornata alla tana, è l’unico posto dove andrebbe.» Spiegò Randal, anche se non sembrò poi così stravolto dalla tragica notizia.
«E’ quello che pensavo anch’io, infatti stavo andando lì. Vieni con me, sbrighiamoci.» Ian stava già per ripartire, convinto che Randal gli sarebbe venuto dietro. «No.» Esclamò bruscamente il chipmunk.
Ian fece dietrofront verso di lui. «Cosa?»
«Non posso aiutarti, Ian, mi dispiace. Vai da solo.»
Tra l’attonito e lo sgomento, Ian dovette trattenersi dal non urlargli contro tutta la sua furia. «Accidenti a te, Randal! Tua figlia sta rischiando di perdersi nella foresta per ritrovarti, e tu non vuoi neanche smuovere le chiappe per andare a cercarla?! Sai che ti dico: sarà molto meglio per te che non ti riveda in giro quando saremo tornati. Sparisci dalla nostra vita e non tornare mai più!» Non aveva tempo da perdere con lui. Ripartì di corsa senza dargli il tempo di rispondere.

«Manty! Maaanty! Dove sei, piccola?!» Vagando tra gli alberi, Ian prestava attenzione a qualsiasi impercettibile suono che potesse rivelargli la presenza della chipmunk nei paraggi. Ogni ramoscello smosso poteva essere un suo passo nella boscaglia, ogni piccolo verso poteva essere la sua voce che rispondeva al richiamo di Ian. Niente di tutto questo però alla fine si rivelò Manty. Dovunque ella fosse, era ancora troppo distante per udire la sua voce (ammesso e non concesso che fosse effettivamente lì e che non si stesse nascondendo alla sua vista).
Ian continuò a cercarla, seguendo i sentieri tracciati dagli escursionisti lungo il ruscello (lo stesso percorso che fece la prima volta che vi si avventurò), ma doveva percorrere ancora molta strada prima di raggiungere il nido.
Si fermò per guardarsi intorno. «Manty!» Chiamò ancora, e ancora nessuna risposta. Ma un suono sì. Alle sue spalle gli parve di sentire il crepitio di foglie calpestate. Quando si voltò, lui era lì, di fronte a Ian.  «Hai cambiato idea?»
Randal avanzò timidamente. «Io… c’è una cosa che non sai. So che c’è un’emergenza, ma ho bisogno di parlarti.»
Hawke osservò il paesaggio circostante, Manty non era nei dintorni, e ora come ora un minuto in più o un minuto in meno speso nella sua ricerca non faceva molta differenza. «Che cosa c’è?»
«Non sono stato molto onesto con te, c’è un pezzo della storia che devi conoscere.»
Ian lo guardò con fare sospetto «Che vuoi dire?»
«Io… ti ho mentito, Hawke… ecco cosa.»

Qualche tempo prima.
Randal era felice. Dopo diversi anni spesi a bighellonare nei boschi senza meta e vivendo con ciò che la vita quotidianamente gli offriva, aveva finalmente trovato una motivazione d’esistere nei volti delle chipmunk che erano diventate la sua famiglia.
Conobbe quasi per caso una scoiattolina di nome Melody che ben presto divenne la sua compagna di vita. Randal provava un amore incondizionato per lei, che ben presto si concretizzò in Evangeline.
La loro figlioletta era vivace e dal tratto un po’ aggressivo: aveva la tendenza a mordere qualsiasi cosa le capitasse sottotiro, ma ciononostante non impediva ai suoi genitori di volerle un gran bene.
Negli ultimi tempi una serie di lavori di disboscamento nella foresta aveva complicato la vita di tutti gli animali che vi abitavano, compreso Randal e la sua famiglia.
Non era stato facile doversi spostare in una nuova tana per trovare riparo, ma la zona in cui si insediarono, tutelata dalle leggi locali come area protetta, garantì loro un soddisfacente ritorno alla normalità. Sfortunatamente, però, anche i predatori si accorsero di questo.
Avere la sicurezza di una nuova casa imponeva come prezzo salato di dover sempre prestare attenzione alle minacce che in qualunque momento potevano compromettere la tranquillità della loro vita.
Randal agiva come un genitore modello, assicurandosi di tenere al sicuro la sua famiglia dai pericoli incombenti. Si offriva sempre volontario per il ruolo di sentinella durante le ore all’aperto e si premurava di procurar sempre abbondanti scorte di cibo per sfamare la sua compagna e la figlia.
Non era raro che Melody si offrisse di sostituirlo di tanto in tanto per consentirgli di recuperare le forze, ma l’amore platonico che provava per loro lo aveva reso uno stakanovista per il quale l’idea del riposo veniva ripudiata con ogni fibra del suo essere. Era lui che doveva incaricarsi del lavoro pesante, mentre loro dovevano solo stare al sicuro, almeno fino a quando le acque non si sarebbero calmate.
Occasionalmente non disdegnava di andare a fare un saluto a Ian Hawke, un umano che malgrado facesse di tutto per sembrare scorbutico e associale, aveva conquistato la sua simpatia.
Col trascorrere delle giornate, Randal si convinse di essersi abituato al ritmo di lavoro che la vita quotidiana gli imponeva e mentre lui si occupava di tutto, Melody si prendeva cura di Evangeline. Poi un giorno, accadde qualcosa: Randal si sentiva esausto. Non godeva più della resistenza fisica e mentale di un tempo, che col passare dei mesi aveva finito per corrodersi sempre di più prosciugando le sue energie. Accadde tutto troppo in fretta. Non si era mai concesso un solo giorno di riposo, ma durante la sua quotidiana ricerca del cibo, tra sé e sé pensò “Melody ha ragione, sto esagerando. Non ne posso più.” E così decise: si appartò tra i rami di un albero, a una ventina di metri dal suo nido e si appisolò.
Quanto dormì, non seppe dirlo, ma fu svegliato da alcune grida provenienti dalla direzione del suo nido. Non perse tempo. Balzò subito giù dai rami e si precipitò con il cuore in gola verso di esso.
Corse a perdifiato su tutte e quattro le zampe, urlando con tutte il fiato che aveva nei polmoni il nome di Melody, sperando in una risposta che lo tranquillizzasse, ma quando arrivò l’unica cosa che riuscì a vedere fu grosso falco che volava via dal loro nido ghermendo qualcosa tra gli artigli.
Si sentì morire, urlò ancora inveendo contro il rapace che non curante e soddisfatto se ne andava col suo bottino. Quando Randal raggiunse il nido, disperato e attonito, come prigioniero di un incubo dal quale non riusciva a svegliarsi, si rese conto di non aver nemmeno prestato attenzione alle forme della vittima. Chi delle due era stata presa? La sua compagna o la piccola Evangeline. Non aveva il coraggio di affacciarsi nella cava dell’albero per ispezionare le condizioni del nido. Ma doveva sapere, scoprire quale delle due era stata vittima della sua negligenza.
Trovò Evangeline, nascosta in un angola della tana, priva di sensi ma grazie al cielo anche priva di ferite. Stava bene. Tuttavia, malgrado il sollievo di scoprire che la sua piccola era ancora viva, dall’altro lato della medaglia, si rese conto di aver perduto la sua compagna, il suo amore. Perita probabilmente per salvare la piccola dalle grinfie di quel maledetto falco.
Se soltanto Randal fosse stato lì, avrebbe sicuramente saputo proteggerle, qualcosa se lo sarebbe inventato, ma non fu così. Per una volta che le aveva lasciate sole più del previsto, il destino era stato spietato con tutti loro. E non sarebbe successo niente se soltanto la lotta per la sopravvivenza non avesse spinto i predatori a scatenare una vera e propria guerra contro i pacifici abitanti della foresta.
Chi sarebbe stato il prossimo? Lui, sua figlia? Non poteva andare avanti così. Era stato uno sciocco a illudersi di poter donar loro una vita serena malgrado tutto, e per questo ne stava pagando le conseguenze.

Presente.
«Quindi ho pensato: “Magari posso portarla da qualche altra parte? Un posto lontano dalla foresta dove potrebbe vivere al sicuro e protetta. Già, ma dove?” Il tuo nome mi è saltato subito in mente. Eri l’unico amico umano che conoscevo, l’unico che poteva tenerla con sé. E così, beh… il resto lo sai.» Terminata la storia, il volto del chipmunk era solcato da profonde rughe di rabbia e sconforto, che faticosamente cercava di contenere.
Ian invece era attonito di fronte a quanto aveva appreso. Il chipmunk che aveva sempre marchiato come un’irresponsabile canaglia, in realtà era un amorevole padre di famiglia dai trascorsi terribili. Un padre disposto a qualunque cosa per il bene di sua figlia.
«Io non riesco a capire… perché non me l’hai detto subito?» Gli chiese.
«Perché lei non sa niente. Non ha alcun ricordo di quanto è successo. Quando si è svegliata le ho solo detto che sua madre se n’era andata. Non volevo che sapesse la verità, e meno persone lo sapevano, meno rischi c’erano che trapelasse qualcosa. Ecco tutto!»
«E ora invece hai cambiato idea, perché?»
«Perché, Hawke… non volevo che l’ultimo ricordo che tu avessi di me fosse quello di un padre meschino che non riconosce sua figlia, io… » Probabilmente stava per dire qualcos’altro, ma si arrestò. In seguito, si voltò e fece per andarsene.
«Hey, che stai facendo?»
«Me ne vado. Adesso sai la verità. Vai e trovala, sono certo che si troverà bene con te. Sicuramente… sicuramente meglio che con me… »
«Un momento, volgi le chiappe da questa parte e ascoltami. Nel caso non te ne fossi ancora accorto, tua figlia si è cacciata in questo guaio per colpa tua!»
«Lo so questo, e difatti… »
«No, non sai niente! Serra quella mascella e sturati le orecchie: lei è scappata di casa per cercare te! TE, è chiaro?! Mi dispiace davvero molto per quello che vi è successo – certo se l’avessi saputo avrei fatto meno lo str… l’infame – ma questo non ti da il diritto di defilartela lasciando me allo sbaraglio! Lei è tua figlia, e ti vuole bene. Ha bisogno di te, sei suo padre! Io potrei anche darle una catapecchia di casa che la tenga lontana dai predatori, ma non sarà mai felice se tu te ne vai!»
«Ma mi… mi ha  visto scappare via dalla finestra, come farò a… »
Ian lo arrestò subito «Non mi partire con le frasi fatte da sequenza drammatica di un film Hollywoodiano. Questa è ben altra cosa! Tu sei suo padre e lei è scappata per cercare te. Io sono solo l’umano scorbutico che da titolo alla storia. Quindi trai te le conclusioni!»
Randal ragionò su tutto quello che Ian gli aveva detto fino a quel momento, sulle sue parole, sul significato che cercava di trasmettergli. Da una parte qualcosa gli diceva di non dargli ascolto, proseguire sulla propria strada e sparire per sempre dalla loro vita come si era ripromesso di fare, ma dall’altra, beh, dall’altra il dubbio era sorto. Stava compiendo davvero la scelta giusta? Ci fu un’accesa battaglia all’interno della sua mente tra la coscienza, il raziocinio e l’istinto, in cui ognuno si imponeva agli altri per dire la sua. L’istinto, in particolare, si stava comportando come un bulletto viziato, che ad ogni pensiero replicava all’idea di restare. Lasciò che le parti si contrapponessero per il tempo che gli sarebbe stato necessario, fino a quando non giunsero al verdetto definitivo.
«Io…  credo tu abbia ragione… » cominciò a parlare con tono sommesso, ma subito dopo riacquisto la sua sicurezza «insomma, lei è mia figlia! Non la posso abbandonare di nuovo! Devo essere io a trovarla! Io mi devo ricongiungere a lei!»
Trionfante, Ian sorrise. «Vedo che finalmente l’hai capito! Ce ne hai messo di tempo.»
«Si vive per sbagliare, dopotutto! Vai pure a casa Hawke, torneremo da te quando l’avrò ritrovata!» Gli disse, nella convenzione che da quel momento in poi sarebbe toccato a lui e soltanto a lui proseguire la ricerca.
 «Nah, ti darò una mano anch’io. In fondo sono pur sempre il protagonista della storia!» Obbiettò invece l’uomo.
«Dici davvero? Ma se fino a poco fa dicevi che … oh. Ok, fa niente. Una mano mi farà comodo!»
Fu così che, stretto l’accordo e accantonati brutti ricordi e rammarichi del passato, Ian e Randal ripartirono alla volta della foresta, alla ricerca di Mant… Evange… Man… Eva… insomma, della piccola chipmunk. Senza tuttavia sapere se l’avrebbero mai ritrovata.

«A proposito, perché quel nome?» Chiese Randal qualche minuto dopo, mentre la loro ricerca proseguiva.
«Eh?»
«Parlo di “Manty”. Come mai l’hai chiamata così?»
«Oh, quello… è accaduto la volta che l’ho tirata fuori dal nido. Sai, mi ha quasi staccato un dito e così l’ho insultata chiamandola, ehm… Manticora.»
Randal rise. «Già, ha il brutto vizio di mordere ogni cosa, lo so bene…» si fermò e gli mostrò una profonda cicatrice sulla zampa anteriore sinistra, che solcava l’avambraccio in una parabola a mezzaluna che lasciava uno spazio glabro lì dove probabilmente erano stati affondati i denti.
«Wow… » commentò Ian, lanciando anche una veloce occhiata di sfuggita alla sua mano fasciata.
«La prima volta che l’ho tenuta in braccio, era appena nata. Aveva delle zanne che sembravano tagliole per orsi in miniatura!»
«Aspetta un momento!» Scattò d’improvviso Ian.
«Che c’è?» Randal si guardò intorno. Hawke aveva forse visto qualcosa?
«Sei sicuro che sia stato un falco a far… ehm… »
Randal guardò severo Ian. «Che vorresti dire con questo?!»
«Oh, no, no! Niente, niente. Fa come se non avessi detto niente! Lascia stare»
Riprese la marcia in tutta fretta lasciandosi alle spalle il chipmunk.

Poco dopo:
«Randal, non volevo dirtelo, ma sono quindici minuti che camminiamo, e ti dico che la strada non è questa, dovevamo andare di là, da quella parte!» Indicò il ruscello, dal quale si erano decisamente allontanati.
«Lo so. Per chi mi hai preso? Hai idea di quante volte abbia fatto avanti indietro da casa tua al nido?»
«E allora perché non ci stiamo andando?!»
«Ma certo che ci stiamo andando, solo che prima dobbiamo fare una cosa.»
Ian dovette seguirlo, ma nel durante si chiese quale fosse questa “cosa” che doveva fare. Arrivati ai piedi di un abete, Randal cominciò a scavare nel terreno. «Dammi una mano, per favore.»
«Ma certo! Tua figlia è chi sa dove e noi qui scaviamo per cercare tartufi!»
«E mettiti a scavare!»
«Sì, sì, sto arrivando. Eccomi, uffa.»
Rimestarono una grossa zolla di terreno, finché non venne alla luce quello che agli occhi di Ian si mostrò come un’allucinazione. «Ma questo è il mio libro!»
«Visto? Te l’ho detto che l’avevo letto! Merito di quelle due escursioniste della foto. Sono state loro ad averlo lasciato.»
«Non mi avrai portato fin qui solo per farmi vedere QUESTO?!»
«Sì e no. Prendilo, ce lo portiamo dietro.»
«E… e a che ci serve?!»
«Tu prendilo, fidati.»
Mentre Randal se ne andava, Ian fu costretto di controvoglia a doversi trascinarsi dietro la copia lercia e infangata del suo libro, e mentre riprendevano le ricerche, si chiese se farsi accompagnare da Randal fosse stata davvero una buona idea.

Da un’altra parte della foresta.
Manty raggiunse finalmente il nido che era stato la sua casa fino a una settimana prima, convinta che al suo interno vi avrebbe trovato suo padre pronto ad accoglierla.
Si arrampicò con agilità e destrezza sulla corteccia per poi proseguire la scalata balzando da un ramo all’altro, e quando lo raggiunse entrò subito nella buca, pronta a tuffarsi tra le braccia di Randal. «Papà?» Chiamò lei, non vedendolo subito di fronte a se, ma nessuno le rispose. Fu allora che capì di aver preso una cantonata: era ormai ovvio che non c’era nessuno lì. O forse sì? Magari era solo uscito!
Manty sgattaiolò fuori dalla buca e continuò a guardandosi intorno alla ricerca del genitore.
«Papà!» Provò di nuovo.

Non molto lontano.
Il falcò volò in cielo, disegnando un cerchio perfetto sulla volta celeste. Aveva fame e sapeva che da qualche parte nei dintorni c’era un albero che avrebbe fatto al caso suo. Non era la prima volta che vi si “riforniva” e ora bastava solo che lo trovasse. Aguzzò la vista, localizzando immediatamente il suo bersaglio. Dopo aver completato un altro cerchio in volo, calò giù in picchiata sguainando gli artigli.

Non mancava molto al nido.
Finalmente Ian e Randal si erano rimessi in cammino lungo il torrente, e ora dovevano solo raggiungere la “Pierre sous la forme de pierre” vicino alla quale era situato il nido.
Ian si voltò sui loro passi. Diversi minuti prima gli parve come che qualcuno li stesse seguendo, e quell’opprimente sensazione non lo aveva abbandonato da allora.
«Hey, hai sentito?» Chiese Randal, mettendosi sull’attenti. Non molto lontano da dove si trovavano, la voce di Manty che invocava suo padre giunse alle loro orecchie caricandoli di gioia. «E’ lei!» Confermò Ian.
«Muoviamoci!» Incitò il chipmunk.
Accelerarono il passo, per poi mettersi a correre lungo la foresta. «Evangeline, sono qui!» Rispose al suo appello Randal. Poi Ian si fermò di nuovo: qualcuno li stava decisamente seguendo, non vi erano più dubbi.
«Ehm… Randal… » Disse Hawke subito dopo, dandogli le spalle.
«Sì, Hawke?»
«Abbiamo dei problemi… »
«Ma davvero?» Chiese il chipmunk, senza voltarsi.
«Sì… per la precisione, tre. Con tanti denti, bava alla bocca e un pessimo carattere.»
Randal dunque si girò nella direzione di Ian.
Di fronte a loro tre lupi famelici aspettavano solo la mossa del capobranco per assaltarli.
«Wow…» cominciò Randal «Sai, anch’io qui ho un problema, Hawke.»
«Ma davvero?» Chiese Ian, senza distogliere lo sguardo dai tre predatori.
«Sì, e questo è uno solo. Grosso, brutto e… bruno.»
«Bruno?» Ora fu Ian a voltarsi verso Randal, e quello che vide fu un grosso esemplare di Orso Grizzly, che gli ruggì contro quando i loro sguardi si incrociarono.
«Oh porca vacca!» Imprecò l’uomo, e i due si misero spalla contro spalla a tener d’occhio le belve.
«Ok, Randal… ho un piano! Tu comincia a correre di qua e di là per distrarli, mentre io mi arrampico in un albero e mi metto in salvo!»
«Ma per favore, i predatori puntano sempre alla preda più grossa; se ci fai caso stanno tutti guardando te!» Sfortunatamente per Ian, Randal aveva ragione.
«E allora che diavolo facciamo?!» L’orso nel frattempo avanzò di qualche passo, mentre i lupi stavano solo litigandosi il privilegio di chi doveva attaccare per primo.
«Fai quello che ti dico io, muoviamoci vero il fianco destro, con calma, molto lentamente e senza movimenti bruschi.» Disse Randal, sussurrando a bassa voce.
«Che vuoi fare?»
«Sai quando dicevo di fidarti di me?»
«Sì?»
«Ecco, continua.»
L’orso ruggì ancora e i lupi avevano evidentemente stabilito la loro gerarchia di attacco.
«E’ meglio che ci sbrighiamo. Fianco destro, ora.» Proseguì.
«Aspetta, la mia destra o la tua?»
«Per Diana! Da quella parte, Hawke, muoviti!»
Si spostarono quindi secondo le direttive di Randal, stando attenti a non voltare mai le spalle ai loro predatori. Quello che successe è che mentre loro avanzarono verso il fianco destro, i tre lupi e l’orso confluirono gli uni verso l’altro, diventando un unico, compatto branco di carnivori multi – specie che bramavano tutti di farsi uno spuntino con le membra dei Nostri.
Randal e Ian terminarono la loro marcia quando si ritrovarono con le spalle coperte dal tronco di un grosso albero.
«E adesso?» Domandò Ian, con la voce sempre più tremolante.
«Adesso lanciagli il libro.»
Ian dimenticò all’istante la minaccia dei predatori e guardò verso Randal, sconcertato.
«Che devo fare?!?»
«Lanciagli contro il libro. Non mi sembra difficile!»
Solo ora Ian si rese conto di tenere ancora in mano la sua copia infangata dell’autobiografia. A questo punto tanto valeva fare come diceva il chipmunk, perché in ogni caso da lì a qualche minuto sarebbero comunque finiti divorati dalle quattro bestie.
Mirò in un preciso punto del terreno, e lì gettò il libro. «E adesso?»
«Adesso goditi lo spettacolo.»
Prima il Grizzly e poi il branco di lupi si concentrarono sulla copertina. L’orso guardò nuovamente Ian, come a voler confrontare l’umano che aveva di fronte con quello che vedeva sul tomo, mentre i lupi si scambiarono sguardi interrogativi, come se stessero discutendo tra di loro. L’orso poi cominciò a emettere dei versi che sembravano a tutti gli effetti delle risate, seguito a ruota libera dai lupi, che lo imitarono emettendo guaiti di derisione. Quelli che fino a pochi secondi prima apparivano come dei ringhianti predatori, ora sembravano gli avventori di qualche Cabaret di quartiere.
Ian osservava la scena con stupore e imbarazzo, al contrario di Randal che invece aveva un ghigno trionfale sul volto e l’apparenza di uno soddisfatto della riuscita del proprio piano. «Proprio come i piccioni sulla tua finestra. Te li ricordi, vero?»
Ian non gli rispose. Borbottò invece qualcosa, che tuttavia non fu comprensibile.
«Forza, Hawkey-Hawke. Andiamocene prima che quelli si riprendano e decidano di tornare alla carica!» E se ne andò di corsa. Ian era ancora distratto dallo sconcertante spettacolo delle bestie che ridevano dinanzi al suo libro, ma poi si riscosse. «Hey. No aspetta! Ma allora quel nomignolo è tuo?!» Chiese cercando di raggiungere il chipmunk, ma non ottenne risposta.

Contemporaneamente.
Manty era da poco uscita fuori dalla tana per chiamare suo padre. Dall’alto, nel frattempo, un falco aveva puntato lei come prossima preda, e si apprestava a piombarle addosso per agguantarla e trascinarla via con sé.
La piccola si accorse solo all’ultimo momento della minaccia che stava per incombere su di lei e fece appena in tempo a ripararsi nella tana, che il falco era già atterrato sul ramo dell’albero.
Manty urlò terrorizzata, e ciò scatenò ancora di più la frenesia del rapace, che ora stava cercando di introdursi nell’albero cavo per afferrarla.

L’urlo della piccola si propagò per decine di metri lungo della foresta, giungendo fino alle orecchie di Randal e Ian.
«Ehi, ma che succede?» Chiese l’uomo.
«Evangeline!» Urlò poi il chipmunk, scattando subito dopo in direzione del nido.
«Randal, aspettami! Ah, cavolo!» Ian rimase indietro, mentre l’altro proseguì la corsa.
Una volta arrivato, trovandosi di fronte la scena del falco che prendeva d’assalto il suo nido, fu colto da un tremendo dejà vù che lo paralizzò sul posto: eccolo lì, lo stesso uccellaccio reo dell’averlo privato della sua compagnia, e che era intenzionato a fare lo stesso con la cosa più preziosa che ancora gli restava al mondo. Se ci fosse riuscito, non gli sarebbe più rimasto niente per cui lottare. Nessuno da accudire. Niente famiglia. Sarebbe tornato da solo, mentre il falco in breve tempo sarebbe presto tornato alla carica, pronto per un’altra battuta di caccia, come se niente fosse. No, questa volta non glielo avrebbe permesso. Era furibondo e pronto a fargliela pagare cara.
I suoi occhi s’intrisero di sangue e le fiamme dell’odio e della rabbia eruttarono in lui come un vulcano risvegliatosi dal suo sonno centenario. Sì sentì come una bomba sul punto di esplodere ed era pronto a detonare sul suo bersaglio non appena gli avesse messo le mani addosso.
Si arrampicò sull’albero con un’agilità fuori dal comune e si lanciò con tutto il peso contro il falco. «LASCIALA STARE!» Urlò con vigore e con un violento strattone lo scaraventò via dall’albero, proiettandolo verso il suolo.
«Papà!» Gioì la piccola.
«Evangeline, stai bene?»
«Sì, sì!»
«Grazie al cielo, andiamo via, presto!»
Manty guardò qualcosa alle sue spalle e mutò subito espressione «Papà, attento!» Il falco era tornato alla carica e sta volta il suo bersaglio era la preda più grossa. Afferrò vigorosamente Randal e lui non poté fare niente per evitare la morsa dei suoi artigli.
«Nooo!! Papà!!!»
«Evangeline, vai subito da Hawkey-Hawke! Scappa!»
«Manty, vieni qui, presto!» La chiamò Ian, che finalmente li aveva raggiunti. La piccola era indecise su cosa fare, scendere o restare lassù per tentare di aiutare suo padre? Non dovette scegliere, perché subito dopo il falco si alzò di quota portandosi via Randal, sotto gli occhi pietrificati della figlia e dell’umano.

Dall’alto, Randal sentì Ian Hawke ed Evangeline gridare il suo nome, come se invocandolo lo avrebbero aiutato a liberarsi. Ma non fu così, non potevano fare niente per lui.
Per fortuna, il falco non aveva affondato gli artigli sulla sua carne e si limitava solo a tenerlo serrato nella morsa mentre si sollevava in volo. Il suo atteggiamento era rilassato e indifferente, niente e nessuno gli avrebbe sottratto la sua preda, almeno questo era quello che pensava.
Randal cercò di forzare qualcuna delle dita del rapace per riuscire a liberarsi dalla stretta, ma invano. Oltretutto, a quell’altitudine di volo se fosse caduto, chissà se sarebbe sopravvissuto.
Per il momento l’uccello si era solo limitato ad alzarsi di quota, senza percorrere quasi nessun metro rispetto all’area dove l’aveva catturato. Il tempo cospirava contro Randal, gli serviva una soluzione e gli serviva alla svelta. E forse quella che gli frullava nella testa poteva funzionare.
«Hey! Hey!» Il falco abbassò lo sguardo, richiamato dalla sua voce. «Sì, parlo con te, brutto sacco di pulci volanti! Ti ricordi di me, eh? No, vero?! Io invece sì! Te la sei svignata con la mia compagna tra le tue grinfie! Me l’hai portata via, maledetto! E ora non contento sei tornato per noi, è così?! Bene, mi fa molto piacere! E lo sai perché? Lo sai? Perché così posso ripagarti con la stessa pasta! Gli umani hanno un detto, sai?! Loro dicono: Tale padre, tale figlia! Mi vuoi mangiare? Molto bene, allora mangiati questo!!» Spalancò più che poté le fauci e con esse azzannò una delle zampe del rapace, cogliendolo totalmente alla sprovvista. L’uccello gridò, e il suo strillo sì udì anche a chilometri di distanza. Randal serrò sempre di più i denti sulla sua pellaccia dura, finché questo, alla fine, fu costretto a lasciarlo andare.
Il chipmunk afferrò con le braccia la zampa ferita del volatile e vi restò aggrappato ancora per qualche secondo, dovendo assicurarsi di lasciare la presa in un punto preciso della foresta, in modo che cadendo avrebbe potuto sfruttare gli alberi per attutire la caduta. Al contempo, però, doveva anche fare in modo di atterrare non molto lontano da dove si trovava il suo nido, in modo che Ian e sua figlia potessero ritrovarlo una volta a terra.
Non fu facile prendere una mira accurata, dato che il falco non la smetteva di dimenarsi per aria, ma ad un certo punto avrebbe dovuto buttarsi per forza, o avrebbe dato al suo quasi – carnefice una seconda chance per riagguantarlo.
Mollò la presa e si lasciò cadere.
«Adieu mon ami! Salutami i cacciatori quando inizia la stagione!» Lo schernì, lasciando poi che la forza di gravità e la Dea Bendata conducessero il gioco.

Le sorprese non erano ancora finire per Ian e Manty.
Prima ancora di essersi ripresi dallo shock di vedere Randal portato via dal predatore, si ritrovarono nuovamente spettatori di una scena da sgomento quando dovettero assistere alla visione del falco che d’improvviso e senza motivo apparente, dopo aver emesso un acuto strillo, aveva cominciato a volteggiare disordinatamente per aria come in preda a uno squilibrio di qualche tipo.
Di principio, l’uomo e la piccola si guardarono l’un l’altra, senza capire cosa stesse avvenendo, ma poco dopo Ian impallidì di un bianco cadaverico quando si ritrovò ad osservare a occhi spalancati un terrificante spettacolo: il chipmunk che era stato suo compagno di ricerche fino a una decina di minuti prima stava precipitava al suolo, in procinto di atterrare chi sa dove nel bel mezzo della foresta. Non ebbe tempo di riflettere, né tantomeno di esclamare qualcosa. Tutta la sua attenzione era focalizzata su Randal e sulla direzione in cui stava cadendo. La foresta lo inghiottì qualche secondo dopo e Ian capì che era atterrato da qualche parte tra gli alberi, non molto lontano da lì.
Qualsiasi cosa fosse avvenuta, non volle perdere tempo a porsi degli interrogativi. Doveva trovarlo e raggiungerlo al più presto. Caricò con sé Manty e partirono alla ricerca del luogo dello schianto.

Percorse diverse centinaia di metri:
«Papà, lì!» Fu Manty ad avvistare suo padre e a indicarlo a Ian. Era riverso a terra senza dare segni di vita.
«Papà!» La piccola saltò giù dalle braccia di Ian e gli corse incontro.
“Oh no…” pensò l’uomo in silenzio. Preferì non esclamarlo apertamente di fronte alla chipmunk.
 «Papà, sve-iati! Papà!»
Ian si avvicinò. “Cavolo, e adesso cosa faccio?”.
Randal nel frattempo non mostrava alcuna reazione agli appelli della figlia, nemmeno quando questa iniziò a strattonarlo per provare a farlo rinvenire.
Ian si inginocchiò di fianco a lei. «Manty… credo… credo che dovremo andare. Non è sicuro qui.»
«NO!» Gli ringhiò contro.
Decise allora di mettersi in disparte, in questo modo, si disse, le avrebbe dato il tempo di accettare l’accaduto. In fondo era suo padre, e anche se ostentava un distacco, nel profondo del suo animo lo stesso Ian stava soffrendo in silenzio per la sorte del malaugurato.
Manty continuò a chiamarlo e strattonarlo, senza ottenere da lui alcun segnale di ripresa. Non sarebbe durato a lungo. A un certo punto Ian avrebbe dovuto allontanarla e riportarla a casa.
Più tempo passava e più la volontà della piccola si esauriva, lasciando il posto solo all’agonia di un piccolo cucciolo rimasto orfano, così Hawke decise che era il momento di farsi avanti.
«Mi dispiace, piccola. Hai fatto quello che potevi, ma… a volte queste cose succedono. Randal… papà ti voleva bene. Voleva soltanto che tu stessi al sicuro. Lontano dalla foresta e da tutti questi pericoli.» Si augurò di ottenere da lei una qualche risposta, anche un semplice “no”, come poco prima, ma Manty si chiuse in sé stessa, rifiutandosi di parlare con lui.
«Vieni, torniamo a casa.» Insistette.
Invece di obbedire, o per lo meno, di rifiutasi apertamente, lei rimase immobile sul posto, con il capo rivolto in giù. Ian, quindi, dovette chinarsi a terra, per tentare di prenderla in mano.
«Aspetta.» Disse lei, scandendo bene la parola. Si avvicinò al corpo supino di suo padre, mentre Hawke la osservava chiedendosi cosa volesse fare.
La chipmunk studiò Randal, muovendo velocemente gli occhietti da una parte all’altra, come se lo ispezionasse.
«Che cosa fai?» Le chiese Hawke.
Manty, in silenzio, scrutò ancora per un po’, dopo di ché si mosse con decisione, come se sapesse esattamente cosa fare: afferrò una della braccia inanimate di suo padre, osservandola attentamente per un breve lasso di tempo, e infine, sicura di sé, la azzannò.
«Ahhhhrghhhh!!» Randal balzò istantaneamente in piedi urlando dal dolore. «Che succede?! Chi è stato?! Il falco è ancora qui?!?»
Ian a momenti cadde all’indietro, colto com’era stato alla sprovvista. «Randal! Brutta canaglia, sei vivo!».
«Hawke? Oh… ora ricordo! Diavolo, mi ha morso proprio sulla cicatrice!»
«Papa!!» Manty gli andò subito incontro per abbracciarlo.
«Hey, piccola. Eheheh, piano, piano. Sono qui.» La strinse a sua volta, godendosi in silenzio quel momento di riconciliazione, poi guardò Ian «ti ho fatto preoccupare, eh?»
L’uomo sbuffò. «Già, ed è la seconda volta questa settimana! Alla terza giuro che ti lascio lì!»
«Ahahah! Io l’ho sempre detto, Hawke, che tu sotto, sotto tu mi adori!»
«Sono felice, papà! Che bello!» gioì Manty, stringendolo come non mai.
«Anch’io lo sono, cara. Scusami se sono stato via per tutto questo tempo… e anche per essere scappato dalla casa di Hawke… »
«E anche per aver simulato la tua morte con una pantegana spiaccica!» S’intromise lui.
«Grazie per aver distrutto questo memorabile lieto fine, Hawke.»
«Sempre il meglio per te! Sono libero su appuntamenti dal lunedì al venerdi!»
Manty punto gli occhi al cielo. «Hawkey-Hawke, avvolte sei noioso!»
«Ahahah! Digliene quattro, Evangeline!» Si complimentò Randal.
«Hey, tu! Ma… da quand’è che hai imparato a parlare così?»
Di risposta, la chipmunk gli fece l’occhiolino.
«Oh, bene… piccola furbetta impostora.»
In lontananza un ringhio di un orso li avvisò che i guai erano lungi dall’essere cessati.
«Ehm, forse sarebbe meglio andarcene sul serio ora…» Suggerì l’umano.
«Già, e di corsa!» Si unì Randal. «Vieni, Evangeline, andiamocene. E Hawke, grazie di tutto!»
«Aspetta un momento, dove state andando?»
«Non è sicuro qui. Sono stato uno sciocco a pensare che lo fosse. Andremo alla ricerca di un’altra tana. Dove magari i predatori ci lasceranno in pace!»
«Non se ne parla neanche, voi venite con me!»
«Come?»
«Mi avete fatto passare le pene dell’inferno per starvi appresso! Non posso andarmene sapendo che da un momento all’altro qualche animale vi trasformi in uno spezzatino. Venite da me!»
«Ma tu non dicevi sempre che mi detestavi e che Evangeline t’ha fatto sudare sette camice?»
«Ehm, sì… è vero! Però… insomma, soffro di solitudine e di carenze d’affetto. Dave Seville è anni che segue le terapia “palle di pelo” e pare che con lui funzioni!»
Randar ridacchiò a mascelle serrate, per poi rivolgersi a sua figlia. «Tu che ne dici?» Le diede l’ultima parola.
«Andare con Hawkey-Hawke? Sì!!»
«Evvai!!» Esultò Ian, per poi trattenersi «Ehm, cioè. Ok… siamo d’accordo.» si corresse imbarazzato.
Altro ruggito dell’orso, e sta volta più vicino che mai!
«Che ci facciamo ancora qui?! Scappiamo! Via, via, via!!»
Fuggirono di gran fretta, con Ian in testa, accodato dai due chipmunk.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** EPILOGO ***


Qualche tempo dopo.
Un taxi si fermò di fianco a un altro paio di mezzi, nel vialetto della casa di Ian Hawke. Ne uscì Dave Seville, che scendendo dopo aver pagato al taxista il suo compenso, non poté che rimanere stupito della cura e dalle attenzioni che erano state dedicate alle aiuole e alle siepi nel giardino della proprietà, tutte perfettamente potate e ben tenute.
“E’ davvero la casa di Ian Hawke questa?” si chiese mentre percorreva il vialetto verso la porta.
Suonò il campanello, e poco dopo qualcuno giunse ad aprirgli.
«Dave! Sei arrivato finalmente!» A parlare fu una persona che Dave non si sarebbe mai aspettato di veder lì.
«Linda? Anche tu qui?»
«Già, sembra che Ian abbia voluto fare le cose in grande sta volta. I ragazzi non ci sono?»
Scrollò le spalle «Li avevo invitati, ma quando gli detto che avrebbero rivisto Manty, Alvin e Brittany sono scappati di casa per due giorni e abbiamo dovuto inseguirli per mezza Los Angeles. Quando li abbiamo trovati, erano affamati e sfiniti, così ho deciso di venire da solo.»
«Ah… wow… beh, se non altro ora sono maggiorenni, quindi… ok, forza entra!» Tagliò corto e lo invitò ad accomodarsi in casa, dove poco dopo furono raggiunti da Hawke, che si presentò a Dave con aria gioconda.
«Ho-hoh, era ora! Cominciavo a temere che non arrivassi più!»
«Ho avuto dei problemi a trovare un taxi perciò… aspetta… tu… ti stavi preoccupando per me?»
«Nah, è solo che se cominciavamo a mangiare senza di te Linda non mi avrebbe dato pace fino alla fine dell’anno.»
«Ah, ecco.»
«Strano, mi aspettavo di vedere anche le palle di pelo. Li hai abbandonati per strada?»
«No, ma magari ti racconto dopo.»
«Capisco… beh, se le cose stanno così muoviamoci allora, che di là si fredda!» Concluse Hawke, per poi dirigersi di fretta nell’altra stanza, lasciandoli soli.
«Il lupo perde il pelo… » Cominciò Dave.
«Ma non il vizio.» Concluse Linda.
Con questo proverbio, si diressero dagli altri, dove Dave finalmente ebbe la possibilità di conoscere di persona Randal e rincontrare Manty, e come in una scena già vista in un capitolo precedente, si sedettero tutti insieme per iniziare a mangiare.
«A proposito, Ian» Gli si rivolse Dave poco dopo, mentre il gruppo era già assorto nel pranzo «hai mai provato a farla cantare?» chiese, alludendo a Manty.
«Oh, ma certo che canta!» Prese parola Randal «dai, fagli sentire!»
Ian e Linda si guardarono a vicenda, e i loro visi trasmutarono immediatamente in una smorfia di terrore angosciante.
«Nooooooo!!!»
«Nooooooo!!!»
Ecco, se in quel momento qualcuno fosse passato da quelle parti, molto probabilmente sarebbe corso via in preda al panico nell’udire un assordante vagito proveniente dalla casa di Hawke, a cui seguì una catastrofica esplosione dei vetri della cucina e dalla sala da pranzo che si cosparse per tutto il prato del giardino.
Dentro la stanza, a Dave fischiarono le orecchie, mentre Randal deglutì nervosamente a denti stretti.
«CHE ACCIDENTI E’ SUCCESSO?!» Chiese Dave ad alta voce, ancora palesemente assordato.
«Io gliel’ho detto a Hawke di prendere dei vetri di qualità migliore!» Cercò di giustificarsi il chipmunk.
« CHE HAI DETTO? PARLA PIU’ FORTE, NON TI SENTO!»
«Ho detto che la colpa è di Ian che non vuole decidersi a comprare dei vetri di qualità!!»
Dall’altra parte del tavolo, Ian stava ispirando ed espirando rumorosamente, come un toro la cui furia sormontante stava per travolgere tutto e tutti.
Linda si prodigò subito nel tentare di domarlo. «Ian… Ian, mantieni la calma! Non fare così!»
Ma Ian non riuscì proprio a contenersi, raccolse tutto il fiato che poté e urlò a squarciagola: «Randaaaaaaaaaaaaaaaaaalllllllll!!!!!!!!!!!!!» E questo… questo sì che Dave lo sentì!
Poco dopo anche Manty volle dire la sua, e così si unì a Ian, squittendo a pieni polmoni davanti a tutti: «Haaawkeeey-Haaaawkeee!!»

FINE!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1970420