Une nouvelle vie

di Magica Emy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


- E se decide di uscire adesso?
Esclama Grace mentre, accoccolata vicino a me nel lettone studia perplessa il mio pancione, ormai praticamente impossibile da nascondere sotto questa camicia da notte ricamata, diventata improvvisamente troppo stretta, accarezzandolo dolcemente con entrambe le mani e mettendosi in ascolto, quasi si aspettasse di sentir parlare il suo fratellino da un momento all’altro. Scoppio a ridere.
- Non è lui a decidere, tesoro, lo farà solo quando sarà il momento. È troppo presto, mancano ancora tre mesi.
Spiego pazientemente, sfiorandole il viso in una tenera carezza mentre si fa più vicina a me, o meglio a ciò che le interessa davvero fare, ovvero spiare ogni più piccolo movimento della mia pancia con estrema attenzione, cercando di capirne di più su questa complicata faccenda del bambino, come la chiama lei, e perdendosi a fantasticare immaginando il suo viso, e ancora mille altre cose. Ormai è così presa da questa storia della gravidanza che non mi guarda nemmeno più in faccia. La sua attenzione è tutta sulla mia pancia, e non fa che chiedersi quanto riuscirà ancora a crescere. È sempre stata una bambina molto sveglia, e adesso che sta diventando grande è sempre più difficile per me tenere a bada tutte le sue domande, a volte così imbarazzanti da prendermi totalmente alla sprovvista. Ma immagino che dovrò abituarmici, prima o poi. Solo che…gestirla è diventato fin troppo impegnativo in questi ultimi mesi, così come tutte le altre cose. A volte sono così stanca e spossata da dubitare davvero di riuscire ad alzarmi la mattina, ma non voglio certo darlo a vedere perché, a differenza del mio corpo che sembra collaborare sempre meno, la mia voglia di fare è invece sempre presente, tanto da spingermi a continuare a lavorare ancora adesso, cosa su cui Christian non è assolutamente d’accordo. Figuriamoci, fosse per lui mi avrebbe rinchiusa sotto una campana di vetro già all’inizio della gravidanza, impedendomi di fare praticamente qualunque cosa a parte mangiare e stare a riposo. Si preoccupa sempre troppo, e a volte è così soffocante che mi fa venir voglia di mettermi a urlare come una matta. Ma è anche tanto dolce con me, specie in quest’ultimo periodo, e se non ci fosse lui non so proprio come farei con Grace e tutto il resto.
- Ehy piccolo Logan, sei sicuro di voler restare lì dentro ancora per molto?
La voce della mia bambina mi riporta d’un tratto alla realtà, e non posso fare a meno di lanciarle un’occhiata perplessa.
- Logan?
Ripeto sgranando gli occhi, vedendola sollevare lentamente lo sguardo verso di me.
- Perché, non ti piace?
Dice sorridendo e sto quasi per risponderle, ma la voce di Christian, che si è appena materializzato nella stanza, mi blocca all’improvviso impedendomi di farlo.
- Che cosa? Ehy, ehy, un momento…cos’è questa storia? Credevo che avessimo già deciso che si sarebbe chiamato Freddy!
 
 
 
 
 
- Oh no Christian, ti prego! Ancora  con questa storia del “grande Freddy Mercury?” Ti ho già detto di togliertelo dalla testa, non chiamerò mai mio figlio con quell’orribile nome solo per onorare la sua memoria!
La sento esclamare con aria infastidita, guardandola allibito mentre mi avvicino di qualche passo.
- Ah, si – ribatto, punto sul vivo – bè, si da il caso che quello che stai aspettando sia anche mio figlio, e che quindi ho tutto il diritto di scegliere come…
- No – mi interrompe Grace, scendendo dal letto con un movimento fulmineo solo per venire a sistemarsi di fronte a me, guardandomi con espressione di leggero rimprovero – non pensarci nemmeno, perché abbiamo già deciso: Logan è il nome più adatto!
- Tu hai deciso – ribatte Johanna, scuotendo la testa divertita – io non ho ancora detto niente.
- Oh, mamma!
Esclama Grace, voltandosi verso di lei e sbuffando più volte, sul viso un’espressione così buffa che non posso fare a meno di mettermi a ridere, col risultato di farla arrabbiare ancora di più. Quella piccola discussione va avanti per un po’, finchè decidiamo che c’è ancora tutto il tempo per scegliere il nome del bambino e che, vista l’ora, Grace farebbe meglio ad andare subito a letto, considerato che tutte le mattine mi fa diventare matto nel tentativo di trascinarla giù dal letto, visto che non ne vuole mai sapere di alzarsi.
- A letto? Ma ci sono già stata ieri sera, perché dovrei tornarci di nuovo?
Esclama, incrociando le braccia al petto con aria offesa e facendo scoppiare a ridere Johanna, che appoggiata ai cuscini osserva la scena con aria perplessa, e il suo viso sembra illuminarsi non appena incrocia il mio sguardo, rendendola ancora più bella. Non so se sia merito della gravidanza, ma in quest’ultimo periodo sembra così solare e…serena, e io non credo di averla mai vista tanto felice. E poi è terribilmente sexy quando mi guarda a quel modo, e a volte mi accorgo di fare veramente fatica a restarle lontano. Come adesso, per esempio. Mi costringo comunque a non pensarci troppo, cercando invece di concentrarmi su quella peste di mia figlia e su quel sorriso sornione che è appena spuntato sul suo adorabile visetto paffuto.
- Credi di essere spiritosa, signorina? Vuoi che ti prenda di peso e vada a rinchiuderti in camera tua con la forza?
Dico, cercando di non ridere quando ricomincia a sbuffare finchè, con riluttanza, non si decide a salutarci entrambi e allontanarsi mestamente, imboccando il lungo corridoio della nostra nuova casa e sparendo ben presto dalla mia vista. Sospiro profondamente, pensando che stavolta convincerla a battere in ritirata sia stato più semplice del previsto, e mi chiedo se per caso non c’entri in qualche modo l’x-box che le ho regalato qualche giorno fa per festeggiare la promozione. Oh no, e se invece di dormire si è messa a giocare? Esco in corridoio, tendendo l’orecchio e mettendomi in ascolto, ma non sento alcun rumore provenire dalla sua stanza. Probabilmente mi preoccupo sempre per niente, ma con una peste del genere in casa è sempre meglio non abbassare mai la guardia, e cercare in qualche modo di prevedere le sue mosse. Ed è proprio quello che provo a fare, anche se a volte capire cosa passi per la testa di una ragazzina di quell’età si rivela davvero un’ardua impresa. Decido quindi di andare a letto anch’io, raggiungendo Johanna che nel frattempo è già scivolata sotto le coperte, sorridendomi non appena mi avvicino per sfiorarle le labbra con un bacio lieve.
- Come ti senti?
Le chiedo, e lei annuisce lentamente.
- Piuttosto bene, direi.
Risponde, facendosi più vicina e poggiando la testa sulla mia spalla. Le prendo la mano, intrecciando le mie dita alle sue e perdendomi ancora una volta a osservare i suoi splendidi lineamenti, percorrendo il profilo del suo viso con un dito.
- Bè, perché…stavo pensando che, se per te è troppo stancante, possiamo anche evitare di andare al matrimonio di mio cugino, domani.
Le sussurro, e lei solleva la testa di scatto, fissandomi con occhi sgranati.
- Christian, per favore, non ricominciare con questa storia! Sono incinta, non malata, e voglio andare a quel matrimonio!
Esclama.
- Ma sono quasi due ore di macchina!
- E con questo? Sarò benissimo in grado di affrontarle.
Sospiro profondamente, sollevando entrambe le mani in segno di resa e pensando che sia assolutamente inutile continuare a discutere con una simile testa dura, tanto sarà sempre lei ad averla vinta. In un modo o nell’altro.
- E comunque Logan è sicuramente il nome più adatto!
L’improvvisa voce di mia figlia, che fa di nuovo capolino nella stanza ci fa trasalire entrambi, costringendomi a sollevarmi di scatto solo per fulminarla con lo sguardo.
- Grace! Sei ancora in giro? Se non fili subito a letto, stasera è la volta buona che te le suono di santa ragione!
Esclamo, e alle mie parole la vedo schizzare via alla velocità di un proiettile solo per andare a richiudersi nella sua stanza, sbattendo la porta e provocando così un sordo tonfo che mi fa sussultare ancora una volta.
- Grace!
Grido di nuovo, al limite della sopportazione, e faccio per rialzarmi dal letto e correrle dietro, quando sento la mano di Johanna posarsi sul mio braccio con decisione, bloccandomi prima ancora che possa muovermi.
- Su, lasciala stare. Ha già avuto una giornata pesante, non ti ci mettere anche tu.
- Non mi piace che sbatta le porte così. Inoltre si comporta in modo strano, da un po’ di tempo a questa parte.
Rispondo incrociando il mio sguardo, e noto che le sue labbra si distendono in un piccolo sorriso rassicurante.
- È soltanto un po’ gelosa di questa nuova situazione. Sai, l’arrivo del bambino e…tutto il resto. Sta cercando il più possibile di attirare l’attenzione su di sé, e credo che sia perfettamente normale per una bambina della sua età. Vedrai che le passerà.
Mi spiega mentre si gira su un fianco, voltandomi le spalle e permettendomi così di abbracciarla da dietro e posarle un leggero bacio sulla nuca, che la fa rabbrividire di piacere. Adoro sentirla fremere fra le mie braccia, e in più da un po’ di tempo mi sono accorto che alcune parti del suo corpo sono diventate particolarmente sensibili al tatto, così ne approfitto ogni volta che posso. Come adesso, per esempio, mentre prendo ad accarezzarle il collo con studiata lentezza, per poi percorrerlo in tutta la sua lunghezza con una scia di piccoli baci morbidi che la portano a fremere violentemente contro il mio petto, facendosi ancora più vicina. Mi bacia.
- Ti amo.
Dice. Le mie mani scivolano sul suo pancione, accarezzandolo dolcemente.
- Anch’io ti amo – le sussurro, cominciando a stuzzicarle con le labbra la pelle sensibile dietro alle orecchie, facendola gemere piano – buonanotte amore mio. E sogni d’oro anche a te, piccolo Freddy.
La sento irrigidirsi all’improvviso alle mie ultime parole, sussultando vistosamente.
- Smettila di chiamarlo così!
Sibila a denti stretti, anche se so che sta facendo di tutto per non ridere.
- Perché no – ribatto – è un nome magnifico, e gli starebbe benissimo!
- È orribile invece, e non metterò mai al mio bambino un nome del genere. Faresti meglio ad arrenderti, una volta per tutte.
Mi ripete per l’ennesima volta, poco prima di scivolare nel sonno.
- Mai. Vedremo chi la spunterà.
Le rispondo, deciso, anche se ormai non può più sentirmi…

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


- Stai bene?

Mi chiede Christian per l’ennesima volta, facendomi sbuffare mentre impreco sottovoce, così non può sentirmi.

- Ma si, certo che si! Me lo hai chiesto appena cinque minuti fa, cosa credi che sia cambiato da allora?

Rispondo infastidita, evitando il suo sguardo e cercando di mantenere la calma per quanto mi è possibile, perdendomi a osservare la strada buia intorno a noi dal finestrino dell’auto, rabbrividendo quando una folata d’aria gelida mi pizzica le braccia scoperte. È molto tardi, e siamo sulla via del ritorno da circa un’ora e mezzo. Ancora una volta penso che abbiamo fatto bene a non portare Grace con noi, lasciandola invece da Hèlene. Si sarebbe stancata troppo se fosse venuta. Il matrimonio è durato molto più del previsto, però è stato davvero bellissimo, e il vestito della sposa era un sogno. M piacerebbe tanto che anche il nostro matrimonio fosse così, ma immagino sia ancora troppo presto per pensarci, considerando il fatto che abbiamo deciso che ci sposeremo solo dopo la nascita del bambino. Mi sfioro automaticamente la pancia, pensando che non l’ho sentito muoversi praticamente per tutta la sera. Credo proprio che se la stia dormendo, e non ha idea di quanto possa invidiarlo in questo momento. Sono così stanca che l’unica cosa che desidero è arrivare a casa al più presto e mettermi a letto per un tempo abbastanza vicino, diciamo a…per sempre. Bè, forse aveva ragione Christian in fondo, non è stata una buona idea affrontare tutte queste ore di macchina, ma non ho nessuna intenzione di ammetterlo con lui. Figuriamoci, morirei piuttosto che dargliela vinta, so che non aspetta altro che vedermi cedere per poter dire “te lo avevo detto” con quell’aria da stupido sbruffone che detesto. No, non gli darò questa soddisfazione. Mai. Mi volto verso di lui, perdendomi a osservare il suo viso che adesso è concentrato sulla guida, anche se questo non gli impedisce certo di continuare a parlare.

- Penso che dovresti evitare di andare al lavoro domattina.

Dice infatti e a quelle parole mi irrigidisco all’improvviso, lanciandogli un’occhiataccia torva. Ma certo, non vedeva l’ora lui, di uscirsene con una frase del genere! Ogni scusa è buona per mettersi a darmi degli ordini, ma non ha ancora capito con chi ha a che fare.

- Ancora con questa storia, possibile che debba sempre ripeterti le stesse cose?  Sto benissimo, mi sento alla grande, e domani ho tutta l’intenzione di andare a lavorare, perciò piantala con queste stupidaggini e pensa piuttosto a guidare!

Esclamo al limite della sopportazione, lasciandolo a bocca aperta.

- Di un po’ – risponde – vuoi darti una calmata? Tutta questa agitazione potrebbe fare male al bambino, e se ti dico queste cose è solo perché vorrei che entrambi foste il più possibile al sicuro. Non voglio che tu finisca per stancarti troppo, e lo sai bene.

- Certo, come no!

Mi guarda, confuso.

- Che vorresti dire con questo?

Replica, e noto che anche lui comincia ad agitarsi un po’, ma non mi importa. Adesso che ho cominciato non ho alcuna intenzione di smettere e, che gli piaccia o no, dovrà ascoltarmi.

- Voglio dire che chissà da quanto tempo non vedi l’ora di relegarmi in casa da mattina a sera, solo per sbarazzarti di me e poter fare i tuoi comodi con quella smorfiosa!

Non ho bisogno di pronunciare il suo nome, sa benissimo di chi sto parlando. Mi lancia un’occhiata furiosa, ma mi sforzo di non scompormi più di tanto. Voglio proprio vedere come si giustifica adesso. Lo sento sospirare a lungo e con forza, come tutte le volte che è arrabbiato. Bè, me ne frego. Sa che ho ragione io.

- Di che diavolo stai parlando adesso – esplode d’un tratto, facendomi sussultare – se ti riferisci al tempo che passo con Giselle, sai che è solo ed esclusivamente per lavoro! Mi sto occupando del lancio del suo nuovo album…

- Quella ti sta dietro, non l’hai ancora capito? Il lancio del nuovo album è soltanto una stupida scusa per starti appiccicata  tutto il giorno, possibile che tu non te ne sia ancora reso conto?  Ho visto il modo in cui ti guarda, e non mi piace per niente!

Lo interrompo, gesticolando furiosamente e tamburellando nervosa le dita sul finestrino, mentre lo sento esclamare: - Ma che cosa stai dicendo? Dio, non ti facevo così paranoica!

Paranoica, eh? Ma certo, fa anche finta di non capire adesso. Ma può dire ciò che vuole, questa biondona dal fisico statuario e gli occhi da cerbiatta non mi piace per niente, e se prova ancora a tenergli gli occhi addosso troverà pane per i suoi denti, questo è sicuro. Inoltre, ogni volta che vado a trovarlo alla nuova casa discografica che ha aperto qui, non appena mi vede arrivare, la strega mi lancia certe occhiatacce che mi fanno venire voglia di…strangolarla, ecco. E mi sa che lo farò prima o poi, vedrà che lo farò. Deve tenere quelle zampacce lontane da ciò che è mio, oppure…

La voce di Christian si insinua d’un tratto tra i miei pensieri, distraendomi e costringendomi di nuovo a voltarmi verso di lui. Siamo fermi a un incrocio adesso, e la strada è totalmente deserta.

- Brava – dice infatti – continua pure a cercare di cambiare argomento, tanto non attacca. Domani non andrai al lavoro, fine della discussione!

- Ma davvero, adesso ti sei messo anche a darmi degli ordini?

Continuiamo a discutere anche quando ci mettiamo di nuovo in marcia, e noto che Christian fissa nervosamente la strada buia che gli si para davanti, come se cercasse di ricordare la direzione giusta da prendere.

- Non puoi dirmi quello che devo fare – proseguo imperterrita, fuori di me – e la gravidanza non mi ha mai impedito di vivere serenamente, quando aspettavo Grace andavo persino a cavallo!

- Che cosa? – grida d’un tratto, facendomi trasalire ancora una volta – Mio Dio Johanna, tu sei pazza, come hai potuto mettere in pericolo la vita della bambina in questo modo? Sei un’irresponsabile, ecco cosa sei! E poi ti meravigli che stia qui a darti degli ordini? Sicuro che lo faccio, e lo avrei fatto anche allora se solo mi avessi permesso di essere presente…

 

 

 

 

Maledizione, non può dire sul serio. Prima d’ora non avevo mai sentito questa storia, e non oso nemmeno immaginare cos’altro sia stata capace di combinare in quel periodo, spericolata com’era! Guardandola adesso, però, non è che sia poi cambiata così tanto. E si meraviglia anche, quando cerco di tenere la situazione sotto controllo. Accidenti a lei e alle sue stupide trovate, stavolta la lego al letto e ce la tengo fino alla fine della gravidanza, giuro.

- Bè – la sento rispondere – scusa tanto se ho cercato con tutte le forze di tutelare me e mia figlia, considerando il fatto che fossi troppo impegnato a…

Si interrompe, evitando apposta di finire la frase, ma so benissimo cosa stava per dire.

- Avanti – la incito quindi, sfidandola con lo sguardo – dillo pure, tanto so che muori dalla voglia di rinfacciarmi ancora una volta il mio passato di droga! Coraggio, fai pure, dì tutto ciò che pensi riguardo a questa storia e facciamola finita una volta per tutte!

Mi guarda, allibita, ed è in quel momento che sento montarmi dentro una rabbia incontrollabile, difficile da contenere adesso che ha di nuovo tirato fuori l’argomento.

- Sei tu che continui a rinfacciarmi sempre le stesse cose – esclama – e la verità è che in fondo non sei ancora riuscito a perdonarmi per averti tagliato fuori dalla vita di Grace!

- Si, continua pure a rigirare la frittata – grido, fulminandola con lo sguardo – tanto l’unica cosa di cui sei capace è dire stronzate a raffica! Ti faccio notare che se non ti avessi perdonata non sarei qui adesso, e comunque non puoi pretendere che dimentichi così facilmente dieci anni di vita passati senza mia figlia…

- Christian, attento!

Grida d’un tratto, impedendomi di finire la frase e io mi volto verso la strada, giusto in tempo per cercare disperatamente di schivare un’auto sbucata improvvisamente dal nulla, ma senza risultato. Da quel momento, accade tutto così velocemente da sembrare quesi irreale. Io che perdo il controllo della macchina, le urla di terrore di Johanna, vicino a me e…quel rumore, il terribile rumore dello schianto, quando finisco fuori strada. Ricordo solo che la mia testa comincia a pulsare dolorosamente, e che tutto sembra diventare improvvisamente scuro intorno a me…

Poi, più nulla.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

La mia testa continua a pulsare in modo insopportabile, ma non mi importa. Non ho alcuna intenzione di muovermi da qui, non finchè non saprò che sono entrambi fuori pericolo. Non finchè qualcuno non uscirà da quella dannata porta per dirmi che è andato tutto bene, che loro stanno bene e che posso finalmente rasserenarmi. Sfioro con le dita la benda che mi avvolge la testa, desiderando ancora una volta di strapparmela di dosso, solo per provare a placare ciò che sento in questo momento. Per cercare di lenire almeno un po’ questa orribile, cieca disperazione che non mi abbandona nemmeno per un secondo, e che mi sta facendo impazzire. Io ho bisogno di sapere qualcosa, ho bisogno di sapere se…è tutto a posto. In quel momento una voce familiare pronuncia il mio nome, catturando la mia attenzione e costringendomi a voltarmi e uscire, anche se solo per un attimo, da questo strano stato di torpore in cui sembro essere caduto.

- Christian!

Hèlene si precipita nella mia direzione, l’aria scossa e spaventata mentre si siede vicino a me.

- Allora, cosa hanno detto i medici?

Chiede, e solo allora sembra accorgersi della vistosa fasciatura che ricopre il mio braccio, sfiorandola delicatamente e squadrandomi da capo a piedi con espressione preoccupata.

- Sei ferito…

Scuoto lentamente la testa, e quel semplice movimento mi provoca un’improvvisa vertigine che, ancora una volta, cerco con tutto me stesso di ignorare.

- Sto bene – taglio corto, cercando invece di riportare l’attenzione su ciò che mi interessa davvero – i medici non hanno detto molto in realtà. La stanno operando per provare a fermare l’emorragia, e hanno detto che…non c’è altra scelta, sono costretti a far nascere il bambino.

La vedo passarsi le mani fra i capelli con gesti impacciati e nervosi, chiudendo gli occhi e riaprendoli subito dopo, come se stesse cercando di tornare un po’ più padrona di se stessa, prima di riprendere a parlare.

- Oh Dio, è troppo…

- Presto, lo so – finisco la frase per lei, abbassando gli occhi, incapace di reggere oltre il suo sguardo addolorato – è troppo presto. Non è ancora il momento, e non so nemmeno se…

- Christian, come è successo?

Mi interrompe d’un tratto, coprendomi una mano con la propria e facendomi trasalire. Sospiro con forza, costringendomi stavolta a guardarla in faccia mentre dico con un filo di voce: - La strada era deserta mentre stavamo tornando a casa, così ho iniziato ad andare più veloce. Non lo avrei mai fatto se non fossi stato sicuro che non c’era alcun pericolo, ma…a un certo punto ci siamo messi a discutere. Eravamo entrambi arrabbiati, e io mi sono distratto un attimo. Solo un attimo…e non mi sono accorto di quella macchina, è sbucata fuori dal nulla e…non sono riuscito a fermarmi…

La mia voce si incrina all’improvviso mentre cerco di reprimere un singhiozzo disperato, e sento che Hèlene mi stringe più forte la mano.

- Quando mi sono risvegliato – continuo, e mi accorgo che sto ricominciando a tremare in modo incontrollabile – eravamo finiti fuori strada, e Johanna sembrava non respirare più. Ho provato a tirarla fuori dall’auto, ma era incastrata, così…ho avuto paura, e non ho più osato muoverla. Lei non…rispondeva, e stava perdendo molto sangue, così ho chiamato un’ambulanza. Poi ho chiamato voi, e…eccomi qui.

Ricambio la stretta della mia amica e lei annuisce impercettibilmente, come a cercare di tranquillizzarmi, anche se è tutto inutile.

- Dov’è Grace? Sta bene, non è vero?

Mi accorgo di non poter proprio fare a meno di rivolgerle quella domanda e, lo so che sembra stupido, ma ho davvero bisogno di sentirmi dire che va tutto bene. Che almeno lei è al sicuro.

- Stai tranquillo – si affretta a rispondermi – ho lasciato i bambini con Benedicte e Josè, è tutto a posto. Quando siamo andati via dormivano già da un pezzo.

Annuisco più volte, guardandomi intorno ancora una volta. Nessun medico nelle vicinanze, e la porta di fronte a noi continua a rimanere chiusa.

- È colpa mia – dico d’un tratto, torcendomi le mani per la disperazione – è solo colpa mia. Volevo…proteggerli, tenerli entrambi al sicuro, e invece guarda cos’ho combinato!

- No, Christian non dire così! Non è…

- Si, invece!

La interrompo, rizzandomi in piedi con uno scatto nervoso e cercando di ignorare l’improvviso capogiro che mi investe ancora una volta, e che rischia quasi di farmi perdere l’equilibrio. Hèlene continua a scuotere la testa e a parlarmi in tono rassicurante, ma io non l’ascolto quasi.

- È troppo presto, il bambino non può nascere adesso…non sanno neppure se ce la farà…

Mormoro, e sento che una rabbia incontrollabile sale via via a impadronirsi di me, riempiendo silenziosamente ogni fibra del mio essere finchè non mi viene una gran voglia di urlare, di spaccare qualcosa. Mi appoggio alla parete vicina, battendoci sopra un violento pugno di cui ben presto inizio a sentire gli effetti, sulla mano già dolorante e ferita.

- Christian!

Esclama la mia amica, rimettendosi in piedi a sua volta e precipitandosi verso di me con gli occhi sgranati, ma prima che possa dire o fare qualunque cosa due mani dietro di me mi afferrano saldamente per le spalle, costringendomi a voltarmi. È allora che mi trovo faccia a faccia con Nicolas e, non appena incrocio lo sguardo del mio migliore amico, mi accorgo che tutti gli sforzi fatti finora per trattenere le lacrime crollano miseramente come un castello di carte, facendomi esplodere in un singhiozzo convulso che non ho più la forza di controllare. Cercano entrambi di farmi rimettere a sedere, ma senza alcun risultato.

- Ehy…calmati, devi calmarti adesso – esclama Nicolas, squotendomi con forza e guardandomi dritto negli occhi, nel tentativo di attirare la mia attenzione – ho parlato con il dottore, tu non stai bene Christian, hai battuto la testa e sei ferito. Agitarti così servirà solo a farti stare peggio!

- Non mi interessa – ribatto con voce rotta, divincolandomi come impazzito – lasciami andare! Dovrei esserci io lì dentro in questo momento, e non Johanna! Lei non…

Non riesco a finire la frase e d’un tratto sono privo di forze, completamente svuotato, così lascio che il mio amico mi guidi lentamente vicino a Hèlene, facendomi sedere mentre mi rendo conto solo vagamente che il suo telefono sta squillando e che lui si affretta a rispondere, allontanandosi di qualche passo.

- Andrà tutto bene, vedrai – mi sussurra Hèlene – ce la faranno entrambi.

La guardo, chiedendomi se creda davvero a ciò che sta dicendo quando sento che Nicolas chiude la comunicazione, e sta di nuovo tornando verso di noi.

- Era Benedicte, voleva avere notizie. Ha detto che Josè e Laly saranno qui tra poco.

Annuisco.

- Grace…

Comincio, ma mi accorgo di non riuscire quasi a parlare.

- È tutto a posto – lo sento rassicurarmi – sta ancora dormendo, e non potrebbe essere altrimenti vista l’ora.

Lo guardo, confuso, poi abbasso gli occhi sul mio orologio da polso, accorgendomi solo allora che, nonostante il vetro sia andato completamente in frantumi, sembra funzionare ancora. Sono le quattro del mattino, e Johanna è in sala operatoria da più di un’ora.

- Cosa sarà successo – dico, ritrovando improvvisamente la voce e traducendo in parole quel pensiero – perché nessuno mi fa ancora sapere nulla?

Ma ho appena finito di dire così che le pesanti porte a vetri dietro di me si aprono all’improvviso, rivelando la figura alta ed esile di quella che credo sia un’infermiera di mezza età, che lentamente viene verso di noi…

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 

Riapro lentamente gli occhi, con l’amara sensazione di essermi appena destata da un sogno inquietante. Anzi, da un incubo. Batto più volte le palpebre, cercando di ottenere una visione meno sfocata e confusa di quella che ho adesso e, dopo vari tentativi, la cosa sembra più o meno funzionare. Solo che non ho la più pallida idea di dove mi trovi in questo momento, e in più tutte le volte che provo a muovere la testa tutto inizia a girarmi intorno vorticosamente, finchè non mi viene voglia di vomitare. Allora l’unica cosa che posso fare è chiudere gli occhi di nuovo, respirare profondamente e cercare di rilassarmi, ma…ehy, cos’era quello? Un momento, perché mi sento così, perché ogni volta che provo a muovermi ho male dappertutto, come se avessi un milione di aghi conficcati con violenza lungo tutto il mio corpo?

- Ciao, ti sei svegliata finalmente!

Una voce improvvisa cattura la mia attenzione, costringendomi così a sollevare lo sguardo, con riluttanza, fino a incontrare due occhi scuri su un’espressione chiaramente sollevata  che  continuano a fissarmi, attenti e inquieti, finchè non provo a rialzarmi. Solo che le forze me lo impediscono, e anche la sua mano che, leggera come un battito d’ali, si posa delicatamente sulla mia.

- No, resta giù. Non devi sforzarti adesso.

Dice. Noto una vistosa fasciatura bianca sul suo braccio, in parte macchiata di sangue. Forse è ferito. Ricambio il suo sguardo, l’aria sempre più confusa.

- Cosa…che succede, dove mi trovo?

Sussurro a fatica, traducendo in parole quel pensiero improvviso, ed è allora che la sento. È un’altra voce, diversa da quella di prima, e credo che appartenga alla ragazza dai capelli biondi che è in piedi vicino al mio letto, e che prima non avevo notato.  Si china su di me, accarezzandomi  lentamente una spalla, e la sua espressione sembra così tesa e preoccupata che vorrei poter dire qualcosa, qualunque cosa possa servire per tranquillizzarla almeno un po’,  ma la verità è che non sono nemmeno più sicura di riuscire a parlare ancora. Mi sento così debole, e…dolorante. Vorrei solo dormire, ma loro me lo impediscono. Sono così rumorose le loro voci, come tutto qui intorno, e continuano a parlare di cose di cui solo vagamente riesco ad afferrare il senso. O forse no.

- Sei in ospedale. Hai avuto un incidente Johanna, e…

La ragazza sembra esitare, così la voce di prima decide di venirle in aiuto.

- I medici hanno dovuto far nascere il bambino. So che è troppo presto, ma non devi preoccuparti tesoro, lui starà bene. Lo terranno qui, sotto controllo per un po’, e…presto starà bene. E anche tu.

Dice infatti, sfiorandomi appena la mano che io però mi affretto subito a ritrarre, con la spiacevole sensazione che la testa possa esplodermi da un momento all’altro. Li fisso, sconcertata. Non ho la più pallida idea di cosa stiano parlando. L’ospedale, il bambino…che significa tutto questo?

- Io…non capisco – sussurro dopo un lungo momento di silenzio, la voce tremante per lo sforzo – e non so nemmeno chi siete. Mi dispiace, ma non credo di avervi mai visti prima…

 

 

 

 

 

- Io voglio vedere la mia mamma…voglio vederla, hai capito?

Grace continua a strillare senza sosta, rivolgendomi un’espressione così truce e seccata che devo chiamare a raccolta ogni goccia di autocontrollo rimastami, per sforzarmi di non perdere la pazienza. Sono giorni che fa così, si rifiuta di sentire ragioni ed è così irascibile e nervosa che quasi non la riconosco più.Ma ha ragione, povera piccola. Prima d’ora infatti non le era mai successo di rimanere così a lungo senza Johanna, ed è perfettamente normale che cominci a sentire la sua mancanza. Un po’ meno normale è che invece continui a prendersela con me, accusandomi, ogni volta che ne ha l’occasione, di tenerla apposta lontana da lei, proprio come se non vedessi l’ora di farle un dispetto. In fondo è ancora una bambina, e non posso pretendere che comprenda appieno le mie ragioni. Forse sto sbagliando tutto, ancora una volta. Il fatto è che non voglio che veda sua madre in quelle condizioni, soprattutto perché…potrebbe anche non ricordarsi di lei, non riconoscerla più. Esattamente come non ha riconosciuto me, Hèlene e praticamente tutti quelli che sono andati a trovarla in ospedale in questi ultimi giorni. Non ricorda più nulla, nemmeno il suo nome. Anni di vita cancellati così, con un colpo di spugna. Come se non fossero mai esistiti. Insomma… come faccio a spiegare alla mia bambina che sua madre, la persona che lei ama di più al mondo ha perso la memoria in seguito all’incidente e che, forse, a detta dei medici, potrebbe anche non recuperarla più?  Ma io non voglio pensarci adesso, non voglio nemmeno prendere in considerazione un’eventualità del genere, perché adesso devo solo concentrarmi su Grace. Devo prendermi cura di lei, cercare di proteggerla il più possibile da quest’amara verità che potrebbe sconvolgerla, traumatizzandola irrimediabilmente. E io non permetterò mai che succeda. Ma lei continua a urlare, a fare i capricci e dimenarsi come impazzita, e io mi accorgo di fare veramente fatica a non perdere la calma.

- Grace, adesso basta – esclamo infastidito, al limite della sopportazione – ti ho detto di smetterla immediatamente!

- No – continua a gridare, e vedo che le sue guance si arrossano per lo sforzo – voglio che mi porti da lei, voglio vedere la mamma!

- Grace…

- Se non mi ci porti subito, giuro che chiamerò la polizia e dirò loro di venire qui ad arrestarti, perché non puoi tenermi lontano da lei!

Continua imperterrita e, nonostante la gravità della situazione, non posso fare a meno di ridacchiare a quelle parole. A volte è persino più matta di quella matta di sua madre.

- Vuoi chiamare la polizia? Bene, fai pure, il telefono è lì.

Ribatto indicandolo, incrociando le braccia al petto e sfidandola con lo sguardo, finendo per farla arrabbiare ancora di più. Voglio proprio vedere se è capace di adempiere a ciò che ha appena minacciato di fare. Ma lei indietreggia di qualche passo, gli occhi fiammeggianti e le mani strette a pugno prima di esclamare: - Sei cattivo! Ti odio, ti odio!

Sputa quelle parole con rabbia, affrettandosi poi a voltarmi le spalle solo per aprire la porta con uno scatto nervoso e correre a perdifiato verso la spiaggia, lasciandomi lì, esterrefatto e senza parole. Non mi aveva mai parlato così prima d’ora, ma non posso certo biasimarla. È a questo che sto pensando un attimo prima che una voce improvvisa mi faccia trasalire, costringendomi a voltarmi di scatto.

- Ciao, che succede? Ho visto Grace schizzare via come una furia proprio un attimo fa, e…

Giselle si interrompe, notando la mia espressione confusa.

- Oh, scusami – si giustifica, subito – non volevo spaventarti, so che avrei dovuto bussare ma la porta era aperta, e così…

- Non preoccuparti – la interrompo, togliendola ben presto dall’imbarazzo – entra, accomodati pure.

La vedo prendere posto sul minuscolo divano in cucina, vicino a me, squadrandomi dalla testa ai piedi con aria preoccupata.

- Va tutto bene?

Azzarda e io sospiro profondamente, strofinandomi nervosamente le mani sui jeans sbiaditi.

- Bè, vediamo…Johanna è ancora in ospedale e non ricorda assolutamente nulla, né di me né della nostra vita insieme, il bambino è nato prematuro e non potrà lasciare l’ospedale se non tra qualche mese, e mia figlia mi ha appena detto che mi odia. Ma, a parte questo…va tutto bene, certo!

So che non dovrei, ma non posso proprio fare a meno di usare un tono sarcastico. La verità è che comincio a essere stanco, terribilmente stanco di tutta questa situazione che mi sta uccidendo, e la colpa è solo mia.

- Oh, Christian…                  Giselle mi stringe una mano fra le sue nel tentativo di tranquillizzarmi in qualche modo, e io sollevo lo sguardo verso i suoi grandi e profondi occhi azzurri, che adesso mi fissano silenziosi, come se volessero imprimere in me tutta la forza, tutto il coraggio di cui ho bisogno per affrontare le cose.

- Mi dispiace – mi affretto a dire – non volevo, non era certo mia intenzione stressarti con i miei problemi. Io…

- Non devi scusarti – mi interrompe, sorridendo – anzi, se posso fare qualcosa…sarei ben felice di rendermi utile. So che la situazione che stai vivendo non è certo delle migliori, e se vuoi posso provare io a parlare con la bambina.

Scuoto lentamente la testa, ricambiando il suo sorriso e pensando a quanto sia gentile da parte sua pensare a me e a Grace, in un momento simile.

- Parlare con mia figlia? Ti ringrazio, ma è meglio che non ci provi nemmeno. Lo dico per te, sai? Quella ragazzina è assolutamente intrattabile da un po’ di tempo, ti farebbe impazzire prima ancora di rendertene conto!

Ride, e la sua risata cristallina sembra ben presto riempire l’aria intorno a noi, facendomi lentamente tornare il buonumore. Non so come ci riesca in una situazione del genere, ma credo di sentirmi già meglio.

- Dai, non può essere così terribile – dice – e poi mi piacerebbe rendermi utile in qualche maniera. Sei il mio manager, voglio fare qualcosa per te!

- È appunto perché sono il tuo manager che ti dico di lasciar perdere, ci tengo alla tua incolumità!

Rispondo, ed entrambi scoppiamo a ridere.

- Sul serio – aggiungo poi – non preoccuparti per lei, so com’è fatta. Vedrai che tornerà non appena il suo stomaco comincerà a brontolare. Ha solo bisogno di stare un po’ da sola.

Mi studia a lungo con espressione concentrata, poi dice “Io credo che abbia bisogno di sua madre, invece” e a quelle parole sussulto all’improvviso. Ha ragione, so che ha ragione.

- Non puoi continuare a tenerle lontane in questo modo – prosegue – farebbe bene a entrambe avere la possibilità di stare un po’ insieme e, chissà, vedere sua figlia potrebbe aiutare Johanna a recuperare la memoria molto più in fretta.

Annuisco, completamente sopraffatto da ciò che ho appena sentito. Si, è questa la verità, Grace ha bisogno di vedere la madre e non importa in che condizioni sia, perché lei riuscirà a farla tornare quella di prima. Ne sono certo. Johanna è sempre stata più brava di me, anche con le parole, e la bambina ha passato con lei molto più tempo di quanto abbia mai fatto con me. Sono praticamente cresciute insieme e tra loro c’è uno splendido, indissolubile legame che per niente al mondo ho intenzione di spezzare. Ora so di aver sbagliato, ne sono consapevole, come so perfettamente che non potrò sempre proteggere Grace da tutto. Anche se lo vorrei tanto. Ma sta crescendo, e ha il diritto di conoscere la verità, anche se sarà difficile. Anche se potrebbe farle male, e io voglio essere lì per aiutarla ad affrontare tutto questo. Per aiutarla a essere forte. Io e Giselle parliamo poi del lancio del suo nuovo disco che, per ovvi motivi, anche se mi dispiace molto, mi vedo costretto a rimandare, e devo dire che lei non ne sembra particolarmente impressionata. Continua a ripetere che la cosa più importante è che io stia bene, e che spera che le cose tornino a sistemarsi nel migliore dei modi. Ancora una volta, non posso fare a meno di rivolgerle un sorriso fiducioso. È una cara ragazza, e anche piena di talento. Quando Max, il mio socio in affari a Parigi mi ha pregato, qualche mese fa, di occuparmi di questa sua sfrenata passione per il canto e fare di lei una celebrità,  sapevo che doveva averci visto giusto. Giselle ha stoffa, e possiede i requisiti necessari per sfondare nel mondo della musica, e io ho tutta l’intenzione di aiutarla a spalancare le porte del successo. O meglio, ce l’avevo, prima…di tutto questo. Dal giorno dell’incidente, infatti, non faccio che pensare a Johanna e al bambino, che non mi permettono nemmeno di vedere se non attraverso un vetro, e la cosa per me è insopportabile. Insomma, so che è soltanto una precauzione per il suo bene, ma vorrei tanto poterlo abbracciare, stringerlo a me e dirgli che tutto andrà bene, che crescerà sano e forte e che presto dimenticheremo tutta questa brutta storia, lasciandocela alle spalle. Invece sono costretto a osservarlo da lontano, ed è ancora così piccolo e debole che…ho paura che possa non farcela. Ma questo non l’ho detto a Johanna, e nemmeno a Grace, perché non voglio che nessuna delle due pensi una cosa del genere. E comunque nemmeno io devo pensarci, perché lui starà bene. Si, dev’essere così per forza.

- Ricordati che per qualunque cosa, puoi contare su di me.

La voce di Giselle sembra riportarmi alla realtà, distogliendomi d’un tratto da quei tristi pensieri che, per quanti sforzi mi costringa a fare, non sarò mai in grado di scacciare via definitivamente. Le rivolgo uno sguardo riconoscente e sono quasi sul punto di chiederle se voglia fermarsi a cena, quando Grace compare all’improvviso davanti a noi, con i vestiti tutti bagnati e uno sguardo così duro e ostile da farmi pensare che la lunga passeggiata sulla spiaggia non sia affatto servita a calmarla. A quel punto vedo che Giselle si rialza in piedi di scatto, decidendo di salutarmi con un frettoloso “A presto Christian, e mi raccomando, riguardati” per poi rivolgersi a Grace, che la guarda con le sopracciglia aggrottate e una strana espressione dipinta sul viso.

- Ciao piccola, ci vediamo.

Dice, sorridendole affabile, ma mia figlia ci sorprende per l’ennesima volta col suo comportamento assolutamente fuori luogo.

- Penso che se non ci vedessimo più sarebbe ancora meglio, non starei certo a piangermi addosso sentendo la tua mancanza!

Esclama infatti, lasciandoci a bocca aperta e attraversando in fretta la cucina per andare a sedersi dall’altra parte della stanza, evitando apposta di incrociare il mio sguardo.

- Grace, che ti prende? Vieni subito a chiedere scusa!

La riprendo, ma Giselle mi interrompe con un gesto eloquente della mano, scuotendo lentamente la testa.

- Lasciala stare, ti prego. Non ha importanza, io…comprendo la situazione, e so che per lei non è…

- Questo non l’autorizza di certo a rispondere in questo modo – dico deciso, impedendole di continuare la frase – mi dispiace tanto.

Mi trattengo ancora un po’ con lei sulla soglia, poi la saluto, richiudendomi la porta alle spalle e lanciando occhiate di fuoco in direzione di mia figlia, che adesso ha preso posto sul divano con un balzo, scalciando via le scarpe con movimenti rabbiosi. Ok, adesso ne ho davvero abbastanza. Deve imparare che non può fare il bello e il cattivo tempo ogni volta che le pare. Mi avvicino di qualche passo, spiandola di sottecchi e vedendola sbuffare nervosamente, come tutte le volte che è arrabbiata.

- Sei stata maleducata e irrispettosa nei confronti di Giselle – comincio – che invece è sempre così gentile con te, e sappi che la cosa non mi piace affatto.

Alzo la voce apposta, voglio che capisca il rimprovero e ammetta di aver sbagliato a comportarsi a quel modo, ma mentre la guardo la sua espressione sembra mutare lentamente, e le sue labbra si piegano ben presto in una smorfia addolorata che mi fa tanta tenerezza un attimo prima che scoppi a piangere all’improvviso, cogliendomi totalmente alla sprovvista.

- Oh, Grace…

Sussurro, chinandomi su di lei e prendendole il viso fra le mani, cercando di asciugare le sue lacrime che, copiose, le rigano le guance accaldate mentre la sento singhiozzare ancora più forte.

- Io voglio solo…vedere la mamma…ti prego, per favore, puoi portarmi da lei?

Mormora con voce rotta dal pianto e in quel momento, travolto dall’emozione la stringo forte a me, cullandola dolcemente finchè non la sento rilassarsi pian piano fra le mie braccia.

- Tesoro mio, mi dispiace così tanto…

Le sussurro, scostandola da me quanto basta per riuscire a specchiarmi nei suoi occhi chiari.

- Dispiace anche a me – risponde, tirando su col naso – non volevo dirti tutte quelle cose cattive.

- Lo so piccola, lo so.

Cerco poi di spiegarle, con molto tatto, che sua madre potrebbe anche non essere esattamente come la ricorda, che dopo l’incidente ha perso la memoria e che potrebbe  anche non ricordarsi di lei. Non subito, almeno. Che ci vorrà del tempo prima che torni a essere quella di sempre, e che per farlo avrà bisogno di tutto il nostro amore e sostegno. Ma Grace sembra prenderla meglio di quanto mi aspettassi, dimostrandomi ancora una volta di essere una bambina molto sveglia e matura per la sua età e liquidando ore di discorsi con un “Correrò il rischio”, detto con così tanta semplicità da farmi scoppiare a ridere all’improvviso sotto il suo sguardo perplesso.

- Allora domani mi porterai da lei?

Mi chiede speranzosa e stavolta annuisco lentamente, facendola strillare di gioia mentre si getta fra le mie braccia con un balzo, facendomi quasi rischiare di perdere l’equilibrio e finire dritto sul pavimento.

- Va bene, abbiamo capito che sei felice, ma datti una calmata però! Sai, stavo pensando…che ne dici di hamburger, patatine e per finire una bella partita all’x-box?

Aggiungo poi, guardando l’orologio e accorgendomi che si è davvero fatto tardi, mentre il suo dolcissimo sorriso mi conferma di aver avuto un’ottima idea.

- Dico che sarebbe fantastico – esclama infatti – ma se vinco io lo chiamiamo Logan, sia chiaro!

- Piccola, perfida manipolatrice che non sei altro! Non ti arrendi proprio mai, eh?

Rispondo, facendola ridacchiare divertita.  

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


- Non riesco a crederci, sul serio non ti ricordi più di me? Voglio dire, è…impossibile, lavoriamo fianco a fianco tutti i giorni!

Esclama Laly con voce lamentosa, gesticolando animatamente ai piedi del letto di Johanna sotto gli occhi attenti e curiosi di Grace, che accoccolata vicino alla madre sembra non perdersi una parola di quel buffo monologo, che ormai va avanti da almeno mezz’ora. Vedo Johanna scuotere tristemente la testa e assumere lentamente un’espressione colpevole, ed è a quel punto che mi accorgo di riuscire a trattenere a stento la voglia improvvisa che ho di correre da lei, di stringerla tra le braccia e consolarla in qualche modo, di dirle che presto riuscirà a ricordare tutto e tornerà a essere quella di sempre. Ma non oso muovermi, preferendo invece rimanere dove sono, seduto su questa sedia e distante, forse troppo distante da lei, e non solo perché in verità non sono affatto sicuro che possa recuperare la memoria, ma anche perché…per lei sono come una specie di estraneo ormai. Proprio così, un estraneo che adesso non può aiutarla in alcun modo a stare meglio, perché non sa nemmeno da che parte cominciare per rendere le cose più semplici possibile. Per lei, per noi, per la nostra famiglia di cui, purtroppo, non ha più alcun ricordo. Mentre la guardo, mi rendo conto ancora una volta di quanto senta la sua mancanza, di come vorrei averla di nuovo a casa con me e vederla occuparsi di Grace, del nostro bambino. Di tornare a sorridermi, ad amarmi come se niente di tutto questo fosse mai accaduto. Ma lei è…così distante adesso, e ogni volta che ci penso non posso fare a meno di avere paura. Paura di non riuscire più a riportarla da me, di smarrire la via che mi permetterà di rientrare nel suo cuore. Grace invece sta dimostrando di essere molto più brava di me in questo, e riesce a guardarla come se niente fosse cambiato mentre le accarezza dolcemente i capelli, facendola voltare di tanto in tanto verso di lei e cingendola con le braccia quel tanto che basta per farla sorridere. È così bello vederla sorridere di nuovo, il primo vero sorriso da quando tutta questa brutta storia ha avuto inizio. In fondo, forse, dovrei sforzarmi di essere più fiducioso. Si, magari sarà proprio la mia piccola Grace a riportarla da noi, ed è così determinata che so che può farcela. Le ha portato persino una foto di noi tre insieme con tanto di cornice colorata, che si è subito affrettata a riporre sul suo comodino, nella speranza che questo l’aiuti a farle tornare più in fretta la memoria.  “Bè, con questa non potrò certamente dimenticarmi di voi tanto facilmente”  ha commentato Johanna, facendole una tenera carezza sulla guancia che mi ha in un certo senso tranquillizzato un po’, facendomi ben sperare che le cose possano tornare a posto. Anche se non so quanto tempo ci vorrà.

- Insomma Laly, vuoi lasciarla in pace? Credimi, in fondo è una vera fortuna che non si ricordi di te, considerando il fatto che chiunque in questa stanza, compreso me, pagherebbe per dimenticarsi della tua esistenza!

La voce di Josè si insinua d’un tratto tra i miei pensieri costringendomi a tornare coi piedi per terra, solo per voltarmi verso di lui e ridere a quella battuta insieme a tutti gli altri. Già, tutti tranne Laly, che lanciando occhiatacce di fuoco nella sua direzione esclama stizzita “Bè, il sentimento è reciproco, razza di idiota dal cervello atrofizzato!” scatenando ancora una volta l’ilarità generale e facendo scoppiare a ridere anche Johanna che, per un attimo, solo per un attimo sembra incrociare il mio sguardo, per poi sfuggirgli subito dopo e passare in rassegna  i nostri amici ancora una volta, proprio come se si stesse sforzando di trovare sui loro volti le risposte a tutte le domande che, con molta probabilità, affollano la sua mente confusa. Anche se continua ad avere l’aria stanca e segnata sembra che abbia una cera migliore oggi, ma sta dimagrendo a vista d’occhio, e la cosa non mi piace per niente. Sono impaziente, lo so, ma non sopporto di vederla in queste condizioni. Vorrei solo…che si riprendesse in fretta.

- Sai mamma – le sta dicendo Grace, avvicinandosi di più a lei per stringerle delicatamente la mano – poco fa siamo passati a vedere il bambino, ma non possiamo ancora toccarlo. È così piccolo, assomiglia tanto a una di quelle minuscole bambole che mi hai regalato qualche anno fa, ma papà ha detto che presto starà bene e che potremo finalmente portarlo a casa con noi. Ma credo che non potrà rimanere a lungo senza un nome, e sai che secondo me Logan era di sicuro il più adatto a lui e, ora che l’ho visto, penso proprio che abbia la faccia da Logan…

- Grace – intervengo, rialzandomi in piedi e riprendendola prima che finisca per stordirla di chiacchiere, come al suo solito – credo che la mamma abbia bisogno di riposare ora, quindi faremmo meglio a lasciarla tranquilla. Torneremo domani.

Sbuffa, lievemente accigliata.

-  Perché non possiamo restare qui a tenerle compagnia?

Dice e io sorrido, scuotendo lentamente la testa.

- Perché questo è un ospedale, non un albergo. Ci sono degli orari di visita da rispettare, non possiamo fare quello che vogliamo.

Spiego pazientemente mentre la vedo allontanarsi con riluttanza, ma non prima di averle stampato un sonoro bacio sulla guancia.

- Ti voglio bene mamma, torneremo presto. Non sentirti troppo sola, nel frattempo.

Johanna annuisce lentamente, sorridendole di nuovo prima di voltarsi verso di me, che mi avvicino a mia volta per posarle un leggero bacio sulla fronte.

- Cerca di dormire un po’, ok? A presto.

Le sussurro cercando il suo sguardo che, ancora una volta, però, sembra essere vuoto e sfuggente…

 

 

 

 

 

Ho lasciato l’ospedale già da un paio di giorni e adesso sono tornata a casa, o meglio, in quella che Christian chiama casa, ma che per me invece è solo un luogo come un altro che non mi dice assolutamente nulla. Le pareti colorate, i mobili, la mia camera…è tutto così strano, sconosciuto. Non ricordo di essere mai stata qui, né di aver mai visto lo splendido panorama mozzafiato che si può osservare da ogni angolo di questo posto, e che sembra quasi il paradiso. La spiaggia dorata, la brezza marina che ti solletica la pelle…è tutto così affascinante, così suggestivo. Bè, magari lo sarebbe anche di più, se solo riuscissi a ricordare qualcosa della vita che a quanto pare conduco qui da circa sei anni dopo aver lasciato il Texas, luogo in cui sono praticamente cresciuta, insieme a mia figlia. Tutte queste informazioni le ho apprese da Christian, che con molta pazienza e attenzione ha passato ore a spiegarmi tutto ciò che non riesco a ricordare, forse con la segreta speranza che le sue parole potessero farmi tornare la memoria, ma poi ha visto la mia espressione perplessa e confusa e allora ha deciso di arrendersi, lasciandomi tranquilla. È davvero molto dolce e paziente con me, e non cerca mai di forzarmi in alcun modo. Dice che probabilmente ci vorrà del tempo prima che questa amnesia svanisca, che lui non ha alcuna fretta e che non vuole farmi pressioni, perché l’unica cosa che conta davvero in questo momento è che io stia bene e che sia tornata a casa. Dalla mia famiglia. La mia famiglia. Pronunciare queste parole mi fa sempre uno strano effetto, ma qualcosa mi dice che vivere qui insieme a lui non debba essere poi così male. Christian mi piace davvero, e ha anche dimostrato di essere molto comprensivo quando gli ho detto che, almeno per il momento avrei preferito dormire da sola, anche se il lampo di delusione che ho colto nel suo sguardo sfuggente mi ha fatto pentire immediatamente di aver preso quella decisione. Insomma, non voglio che pensi che ce l’abbia con lui o roba del genere, ma mi serve del tempo per abituarmi a tutto questo, per tornare a essere la persona che ero, che lui vuole che io sia. Che tutti vogliono che io sia. Anche se non credo di essere pronta per questo, per tornare a vivere una vita che in fondo non ricordo nemmeno di aver vissuto, e alla quale non sento di appartenere. Ma lui sembra aver capito ancora una volta le mie ragioni, cedendomi la stanza senza alcuna esitazione per andare a trasferirsi in quella degli ospiti. Ebbene si, abbiamo anche una camera per gli ospiti. Accidenti, questa casa è così dannatamente grande che, se non sto attenta, rischio di perdermici dentro! Christian mi ha spiegato che ci siamo trasferiti qui solo da poco tempo, e che non siamo ancora sposati perché, a quanto pare, avevamo deciso di farlo solo dopo la nascita del bambino. Il bambino. Ogni volta che penso a quella piccola creatura, costretta a restare in ospedale chissà per quanto tempo ancora mi si stringe il cuore, anche se, per quanti sforzi faccia, mi accorgo di non riuscire proprio a sentirla mia. Mio figlio. Credevo che una madre dovesse sentirle subito certe cose, o almeno così dovrebbe essere. Ma allora perché io non sento proprio niente, cosa c’è che non va in me? Come posso essermi dimenticata così dei miei figli, e perché vederli non mi suscita alcuna emozione materna? È come se…non mi appartenessero neanche. Anche quando ho visto il mio bambino attraverso quel vetro freddo, senza nemmeno potermi avvicinare più di tanto alla piccola incubatrice che lo tiene in vita, io non ho provato niente. Assolutamente niente, se non un’infinita pena per lui, costretto a lottare fra la vita e la morte già così piccolo e indifeso. Ma voglio essere positiva, pensare che tutto andrà bene e che ce la farà. Intanto oggi, passeggiando per la casa e osservando le nostre foto appese alle pareti, mi è venuta improvvisamente voglia di preparare una torta alla vaniglia. Non so perché, ma il desiderio era così forte e irrefrenabile da costringermi ad andare al supermercato e comprare tutti gli ingredienti per realizzarla. Accidenti, è assurdo, non ho proprio idea di come possa essermi venuta in mente una cosa del genere. Voglio dire…non so nemmeno se la so preparare una torta! Ad ogni modo ci sto provando e adesso sono qui, in questa spaziosa cucina a mescolare gli ingredienti con cura sotto gli occhi di Grace che, seduta vicino a me, segue con attenzione ogni mia mossa.

- La torta alla vaniglia è una delle mie preferite. Te ne sei ricordata, è per questo che la stai preparando, vero? Significa che ti sta tornando la memoria?

Mi chiede.

- Non lo so – le rispondo dopo un attimo di esitazione, senza sollevare lo sguardo da ciò che sto facendo – mi è solo venuta voglia di cucinare, tutto qui.

- Quello non va bene.

Dice d’un tratto e stavolta alzo gli occhi verso di lei, confusa.

- Che cosa non va bene?

Chiedo, cauta, cercando di capirne di più, ma la vedo rialzarsi in piedi all’improvviso e dirigersi velocemente verso uno dei capienti cassetti della cucina solo per tornare da me poco dopo, con in mano un grosso cucchiaio che non credo di aver mai visto prima e l’aria sicura e soddisfatta. Mi sorride.

- Ecco – dice – è questo che devi usare, solo così l’impasto risulterà più liscio e omogeneo, me lo hai insegnato tu. Ma hai dimenticato anche questo, non è così?

Aggiunge poi, e a quelle ultime parole noto che il suo bel viso si incupisce improvvisamente, e che adesso sembra quasi sul punto di piangere.

- Mi dispiace…

È tutto ciò che riesco a dire, mentre sento che riprende a parlare.

- Ricordi almeno come si danno gli abbracci?

Sussurra infatti con voce flebile e a quel punto non posso fare a meno di guardarla con infinita tenerezza, mentre mi chino su di lei.

- Quelli non credo di averli mai dimenticati, piccola.

Rispondo, poi la stringo forte a me e sento che ricambia il mio abbraccio con slancio, chiaramente sollevata dalle mie parole.

Quella notte non riesco a dormire. Mi rigiro nel letto in continuazione, in preda a uno strano senso di inquietudine che proprio non mi spiego e, alla fine, quando finalmente prendo sonno, un incubo terribile mi sveglia di soprassalto facendomi urlare per lo spavento. Mi metto a sedere sul letto, ansimando e scompigliandomi nervosamente i capelli, e quando mi tocco la fronte scopro con sorpresa che è madida di sudore. Respiro profondamente, chiudendo gli occhi e cercando disperatamente di rilassarmi, ma quando li riapro mi accorgo che Christian è in piedi davanti a me, e mi guarda con espressione preoccupata.

- Johanna, che succede? Ti ho sentita gridare e…non ti senti bene, per caso?

Mi chiede, allarmato, avvicinandosi cauto e scrutandomi con curiosità.

- No – mi affretto a rispondere, gesticolando nervosa – sto bene, mi dispiace di averti svegliato. Io…credo di aver avuto un incubo, e…

Non riesco nemmeno a continuare la frase, sono ancora in evidente stato di agitazione e questo non sfugge di certo alla sua attenzione mentre mi guarda, preoccupato, e prende lentamente posto vicino a me.

- Su, cerca di calmarti adesso – mi sussurra, prendendomi una mano e stringendola fra le sue – era solo un brutto sogno e di qualunque cosa si trattasse, ora è finita.

Annuisco, ricambiando la sua stretta e sollevando lo sguardo verso di lui. Noto che indossa una maglietta di un grigio sbiadito che sembra avere un’aria vagamente familiare, ma non ho nemmeno il tempo di soffermarmi sulla cosa che la sua voce cattura la mia attenzione, distraendomi ancora una volta.

- Ti va di parlarne?

Dice inaspettatamente, senza lasciare le mie mani, e il contatto con la sua pelle sembra risvegliare in me una strana sensazione che non riesco a spiegarmi, e che mi provoca un intenso e piacevole brivido lungo la schiena.

- Era tutto così…confuso – comincio – c’erano luci e rumori assordanti dappertutto, e poi…

Mi blocco all’improvviso, cercando con tutte le mie forze di afferrare quel frammento di ricordo che adesso, però, sembra svanire pian piano, fino a dissolversi del tutto.

- Io non lo so, non me lo ricordo.

Concludo, facendo un lungo sospiro rassegnato e cercando a stento di trattenere un singhiozzo disperato, anche se ormai mi accorgo che è troppo tardi. Non posso fermarmi, è più forte di me, e mentre le lacrime cominciano a sgorgare senza che neppure me ne renda conto sento che mi attira a sé con gentilezza, avvolgendomi in un caldo abbraccio dentro al quale all’improvviso desidero solo perdermi, assaporando appieno la piacevole sensazione di pace e completezza che, investendomi come un’onda di marea, mi fa sentire finalmente protetta e al sicuro.

- Non importa – dice a voce bassa, stringendomi più forte – non pensarci più.

Poi mi scosta dolcemente da sé per tornare a guardarmi negli occhi, e sento le sue dita scivolarmi leggere sul viso e cercare di asciugare le lacrime che mi rigano le guance accaldate, mentre i suoi lineamenti si distendono lentamente in un sorriso rassicurante.

- Dovresti provare a dormire, ora – continua – cerca solo di rilassarti un po’ e…

- Non andartene, ti prego – lo interrompo, posandogli una mano sul braccio nel disperato tentativo di trattenerlo – resta con me.

Le mie parole sembrano colpirlo mentre mi studia con attenzione.

- Sei sicura?

Domanda, con cautela. Annuisco con decisione.

- Si – rispondo – io…non voglio rimanere da sola.

Si avvicina di più e le sue labbra, inaspettate, cominciano a percorrermi piano il viso fino a fermarsi sulle mie, stuzzicandole e sfiorandole appena, come in un tacito invito a lasciarmi andare. A quel punto smetto totalmente di pensare e gli circondo il collo con le braccia, attirandolo a me per baciarlo con trasporto mentre sento le sue dita giocare con i miei capelli, scompigliandoli dolcemente in una serie di gesti fin troppo familiari per me, ma allo stesso tempo…quasi sconosciuti, completamente nuovi. Comincio a muovermi impaziente contro di lui, liberandolo ben presto della maglietta per cominciare ad accarezzargli il petto con estrema lentezza, facendolo gemere sulle mie labbra e lasciando che le sue mani premano e spingano a lungo sulla mia pelle, infiammandomi di desiderio.

- Ti amo, ti desidero da morire…

Mi sussurra all’orecchio prima di riprendere a baciarmi con crescente passione, ma quando le sue mani si fanno strada sotto la mia camicia da notte, raggiungendo in fretta l’orlo dei miei slip per provare ad abbassarli mi irrigidisco all’improvviso, spingendolo via con un gesto deciso e lasciandolo confuso e disorientato.

- Che succede, ho fatto qualcosa di sbagliato? – azzarda, in cerca di risposte – Sto…andando troppo in fretta, per caso? Perché se è così, possiamo…

- No – mi affretto a rispondere, interrompendolo e sentendomi d’un tratto terribilmente stupida – tu non hai fatto niente di male. Sono io quella che non va.

Ed è vero, non so proprio cosa mi sia preso, ma…io non posso. Non posso farlo. Insomma, sto bene con lui e sento di desiderarlo con tutta me stessa, ma c’è qualcosa che mi blocca, e io non ho idea di che cosa sia. È solo una…sensazione, una brutta sensazione che non mi permette di abbandonarmi come vorrei, e che adesso mi fa sentire tremendamente in colpa nei suoi confronti.

- Scusami, io non…

Mi posa un dito sulle labbra, impedendomi di continuare a parlare.

- Va tutto bene. Non devi scusarti, la colpa non è certo tua. Forse è solo troppo presto. Probabilmente non sei ancora pronta e posso capirlo, dopo tutto quello che hai passato. E poi, sai, credo davvero che tu abbia bisogno di una bella dormita.

Dice infine, sfiorandomi la fronte con un bacio lieve e cercando di alleggerire la tensione venutasi a creare, facendomi sorridere prima di accoccolarmi contro il suo petto, chiudendo gli occhi mentre sento che mi cinge la vita con le braccia. Dentro di me si affollano sentimenti contrastanti, che faccio quasi fatica a comprendere, ma non voglio pensarci adesso. Sto così bene qui, vicino a lui, e questa è l’unica cosa che conta adesso.

- Sai – gli sussurro, dopo un lungo momento di silenzio – credo di aver cominciato a ricordare qualcosa, oggi…

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


- Cioè, fammi capire…mi stai dicendo che ti ha tenuto sveglio per tutta la notte solo per parlarti del suo cavallo?

Esclama Josè, occhi sgranati e un’espressione incredula dipinta sul viso.

- Già – rispondo – e di come fosse lucido e morbido il suo manto scuro, e della sua incredibile agilità quando correva per le praterie con la criniera al vento…

Mi interrompo all’improvviso quando vedo Nicolas e Josè scambiarsi delle occhiate perplesse poco prima di scoppiare a ridere, all’unisono, lasciandomi completamente spiazzato.

- Bene, sono contento che la cosa vi diverta tanto, ragazzi!

Borbotto risentito, incrociando le braccia al petto con aria infastidita e camminando su e giù per la mia spaziosa sala di registrazioni, luogo in cui ormai sono solito rifugiarmi anche quando non lavoro. È come una specie di abitudine la mia, come se il solo fatto di trovarmi in questo posto per me così importante potesse in qualche modo aiutarmi ad affrontare tutti i problemi e le preoccupazioni che mi assillano, soprattutto in questo periodo. Anche se oggi la cosa sembra non funzionare come dovrebbe e i miei amici, quando ci si mettono, sono solo capaci di peggiorare la situazione.

- Ma no, scusaci – si affretta a dire Josè, che comodamente seduto su una delle poltrone in pelle distende pigramente le gambe, sollevando le mani in segno di resa – è solo che…accidenti, questa descrizione è proprio tipica di Johanna! Il suo cavallo con la criniera al vento…ahah, roba da non credere!

E giù a ridere di nuovo come un matto, seguito subito a ruota da Nicolas che, accorgendosi solo allora della mia espressione furente e delle occhiatacce che sto intanto lanciando a entrambi si affretta subito a darsi un contegno, o meglio a fingere di farlo, visto che si vede lontano un miglio che continua a scappargli da ridere. Accidenti a loro. E accidenti anche a me, perché diavolo non imparo mai a stare zitto?

- Ma ci pensi – aggiunge poi Josè, continuando a ridere a crepapelle e a dimenarsi sulla poltrona – si ricorda del cavallo che ha lasciato in Texas, e non del suo Cri Cri adorato…incredibile, se lo racconto in giro non ci crede nessuno!

Ok, adesso non sono più arrabbiato. Adesso ho decisamente voglia di sparargli, e qualcosa mi dice che sarebbe ancora poco.

- Ma si, continua così! Continua pure a rigirare il coltello nella piaga!

Sibilo a denti stretti, sbuffando nervosamente e fermandomi a pochi passi da lui, scuotendo la testa più volte.

- Bè, però il fatto che le sia venuto in mente qualcosa è già positivo.

Si intromette Nicolas, rialzandosi in piedi d’un tratto per venire a sistemarsi vicino a me.

- No, se consideriamo che quel cavallo è morto da un pezzo.

Risponde il nostro amico comune, tornando improvvisamente serio, e a quelle parole non posso fare a meno di rimanere sbalordito.

- Che cosa?

Esclamo infatti, guardandolo con aria interrogativa. Entrambi mi spiegano allora che alcuni anni prima Johanna aveva appreso la brutta notizia dalla madre, che si era subito affrettata a chiamarla dal Texas per comunicarglielo, lasciandola devastata, tanto che per la disperazione non era quasi riuscita a toccare cibo per giorni. Era molto affezionata a quell’animale perché, anche se ormai lontano, rappresentava una parte della sua giovinezza che se ne andava per sempre.

- Questo cambia le cose – dico – evidentemente non ricorda che sia morto, e non posso certo dirglielo a questo punto. Sarebbe un duro colpo per lei in questo momento, e credo che abbia già sofferto abbastanza.

Nicolas annuisce, solidale.

- Vedrai che presto le tornerà in mente tutto quanto, non preoccuparti. Bisogna solo darle un po’ di tempo, magari è già sulla buona strada.

- E cosa mi dici invece di quella sventola  dal fisico statuario e un seno da urlo – riprende Josè dopo un lungo momento di silenzio, e credo proprio di sapere a chi si stia riferendo – come mai oggi non è qui a deliziarci con la sua ugola d’oro? Se ti manca il tempo per seguirla potrei sempre occuparmi io di lei…in tutti i sensi!

Conclude, ammiccando in modo eloquente nella mia direzione e allungando intanto una gomitata a Nicolas, che si affretta a prendere le distanze, fingendosi inorridito.

- Sai, è una vera fortuna che Benedicte non sia qui a sentire quello che dici.

Rispondo, guardandolo storto, anche se non posso fare a meno di ridacchiare divertito. È sempre il solito.

- Cosa c’entra Benedicte adesso – ribatte subito, punto sul vivo – stavo solo facendo un’ovvia considerazione! E poi, andiamo, vorresti farmi credere che non ci hai mai nemmeno fatto un pensierino? Dai Christian, ti sculetta davanti praticamente tutti i santi giorni! Voglio dire…ma l’hai guardata bene? Quella ispira sesso anche solo respirando, figuriamoci se…

- Ehi – lo interrompe Nicolas, dandogli uno spintone che rischia però di fargli quasi perdere l’equilibrio – smettila di fare l’idiota, non hai nemmeno un po’ di decenza? Non ti vergogni a parlare così in presenza di sua figlia?

Indica Grace che, poco più in là, insieme alla piccola Danièle si sta divertendo a riprodurre con l’aiuto del suo fedele flauto, dal quale non si separa mai, quella che dovrebbe essere una dolce e armoniosa melodia ma che invece sembra assomigliare più alla marcia della cavalleria rusticana, con l’aggiunta di incomprensibili e assordanti rumori in sottofondo che farebbero impazzire in poco tempo qualsiasi persona sana di mente. Ci voltiamo tutti verso le bambine, mentre Josè esclama: - Ma che dici, quelle due fanno un tale fracasso che non avranno sentito nemmeno una parola di quello che abbiamo detto. Mio Dio Grace, dacci un taglio con quel dannato coso, mi sembra che la testa mi stia per esplodere!

Rido.

- È inutile – lo avverto – non ti sta neanche ascoltando.

Lo vedo sbuffare, palesemente scocciato.

- Si può sapere perché vi siete portati dietro quei terremoti ambulanti, oggi?

- Perché sua moglie – spiego, indicando Nicolas con un gesto della mano – ha deciso di rapire Johanna per un intero pomeriggio.

- Già – mi fa eco lui – e non esiste che le lasciamo sole in casa, non oso immaginare cosa potrebbero combinare!

Continuiamo poi a discutere animatamente degli argomenti più svariati, finchè un rumore inaspettato nella stanza accanto cattura improvvisamente la mia attenzione, facendomi trasalire.

- Ma che diavolo…dannazione Grace, la batteria no!

Esclamo inorridito, realizzando solo allora cosa stia realmente combinando e precipitandomi da lei alla velocità di un proiettile, per cacciarla via da lì immediatamente. Sa benissimo che quello è uno strumento molto delicato e che non deve toccarlo per nessuna ragione al mondo, ma lei continua tranquillamente a farlo ogni volta che ne ha l’occasione. Sembra quasi che ci stia prendendo gusto a disobbedirmi.  Quella piccola peste finirà per mandarmi dritto al manicomio se continua così, me lo sento.

- Oh, povero il tuo dolce, amato gioiellino, continuamente tormentato da tutte le donne della tua vita!

Mi prende intanto in giro Josè, facendo ben presto scoppiare a ridere anche Nicolas mentre, fulminandolo con un’occhiataccia, mi affretto a lanciargli contro un fermacarte che prendo al volo da un piccolo tavolo vicino, colpendolo direttamente sulla gamba e facendolo imprecare dal dolore.

- Ahi! Che diavolo fai, sei impazzito?

- Chiudi il becco, Josè!

Esclamo irritato.

 

 

 

 

 

- Senti…posso farti una domanda?

Chiedo a Hèlene alla fine della nostra lunga giornata passata a fare compere, mentre l’aiuto a caricare i pacchetti in macchina e la osservo assicurare il piccolo Roger, che si è già addormentato da un po’, al suo seggiolino. È uno splendido pomeriggio d’estate e l’aria, fresca e piacevole, sembra però fare un po’ a pugni con il mio stato d’animo. Mi sono divertita oggi, ma quello strano senso di inquietudine che di tanto in tanto mi attanaglia il petto in una morsa dolorosa, sembra non volermi ancora abbandonare. E non so nemmeno il perché.

- Però devi promettermi che mi risponderai con sincerità – continuo, entrando finalmente in auto insieme a lei e guardandola ingranare la marcia – tu credi che io sia una buona madre?

La vedo sussultare alle mie parole ma è solo un attimo, poi le sue labbra si increspano in un dolce sorriso rassicurante.

- Ma certo – risponde, forse con troppa enfasi – certo che lo sei, Johanna. Sei una madre meravigliosa. Sei solare, divertente, e Grace ti adora. E non potrebbe essere altrimenti, credimi, considerando che eri davvero molto giovane quando l’hai avuta. Voi due siete praticamente cresciute insieme, e lei ti considera quasi come una sorella. Il vostro è un rapporto molto speciale.

La fisso, confusa, scuotendo la testa più volte prima di abbassare lo sguardo. Perché quello che ha appena detto, invece di rasserenarmi e farmi sentire meglio, sembra avere esattamente l’effetto contrario su di me? Dio, mi sento così frustrata, così…vuota. Si, completamente vuota.

- Se è davvero così speciale – rispondo, e mi accorgo che la mia voce trema – allora perché io non me lo ricordo? Perché non mi ricordo di Christian, di te, del mio bambino e…

- Johanna – Hèlene mi interrompe prima che possa continuare la frase, posandomi una mano sulla spalla come a cercare di tranquillizzarmi in qualche modo – smettila di agitarti così perché servirà solo a farti stare peggio. Nessuno di noi sa esattamente quando recupererai la memoria, hai sentito i medici, no? Ci vuole tempo per queste cose, dobbiamo solo aspettare ed essere fiduciosi.

Già, fiduciosi. Sembra che creda davvero a quello che sta dicendo, e vorrei poterci credere anch’io. Sul serio, solo che è tutto così…maledettamente confuso intorno a me, così sconosciuto. Quasi irreale, e io vorrei soltanto sapere quando finirà tutto questo. Annuisco debolmente e per un lungo momento nessuna delle due dice più una parola, ma è un silenzio piacevole, quasi confortante, interrotto di tanto in tanto dal respiro lento e regolare di Roger che, dietro di noi, ben legato al suo seggiolino dorme già da un pezzo, e sembra che non abbia alcun pensiero al mondo. È così dolce, così tranquillo in questo momento. Certo, sembra anche parecchio vivace e spericolato quando fa il diavolo a quattro, facendoci impazzire tutti quanti, ma è gioioso e pieno di vita e questo è ciò che conta, e io vorrei tanto che anche il mio bambino riuscisse a crescere sano e forte come lui. Vorrei vederli giocare insieme, rotolarsi sull’erba e combinare guai come tutti i bambini del mondo, ma…non so nemmeno se ce la farà. Non so se potrò vederlo stare finalmente bene un giorno, o se questo rimarrà solo un bellissimo sogno. Un sogno dal quale prima o poi sarò costretta a svegliarmi e…no, non voglio pensarci. Christian dice che starà benissimo, e io voglio credergli. Ho davvero bisogno di credergli. Vengo improvvisamente distratta dalla voce pacata di Hèlene che sembra strapparmi, quasi con sollievo a quei tristi pensieri mentre rialzo lo sguardo, incontrando i suoi occhi luminosi.

- Sai – dice – penso che faresti meglio a staccare la spina da tutte queste paranoie inutili che ti fanno solo star male, e io credo proprio di sapere quello che ti ci vuole: una bella serata tra ragazze. Si, proprio così. Per una volta niente uomini, niente bambini. Solo tu, io, Laly e Benedicte, come ai vecchi tempi…

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 

Hèlene ha mantenuto la promessa, così qualche giorno dopo, approfittando dell’assenza di Josè che è fuori città per lavoro ci ritroviamo tutte a casa di Benedicte e, soprattutto, senza figli o uomini di mezzo, esattamente come da piano. Solo noi quattro, una montagna di dvd sparsi sul divano e una pizza gigantesca che ci attende accanto a un meraviglioso maxi schermo, il pezzo forte della casa come lo chiama Benedicte, con un’espressione che lascia però chiaramente intendere che, se dipendesse da lei, quella gigantesca tv adesso si troverebbe sicuramente altrove. Sostiene infatti che Josè abbia manie di grandezza ai limiti della sanità mentale, e quando Laly le ha fatto notare che non potrebbe essere altrimenti, considerando che secondo lei sta cercando di compensare in tutti i modi il fatto di avere un cervello così poco sviluppato, lei è scoppiata a ridere insieme a tutte noi e senza nemmeno prendersela più di tanto. È una ragazza simpatica Benedicte e dimostra di avere un gran senso dell’umorismo, così come tutte le altre del resto. Mi trovo molto bene con loro, mi fanno sentire a casa. Forse, per la prima volta in assoluto. Non è che con Christian non stia bene, anzi, lui è molto dolce e comprensivo e mi lascia sempre i miei spazi, ma ogni volta che lo guardo ho come l’impressione che…si aspetti sempre qualcosa da me. Leggo spesso una certa impazienza sul suo viso, nonostante dimostri di saperla nascondere piuttosto bene sotto quella patina esteriore di tranquillità, che ormai credo di aver imparato a riconoscere.  Tutta questa situazione però comincia a pesarmi un po’. Odio sentirmi continuamente sotto esame, qualunque cosa faccia o dica o, peggio, dovermi trovare a soddisfare le aspettative di qualcuno. Non ho alcun ricordo della persona che ero prima dell’incidente, e anche se lui mi sta molto vicino e cerca sempre di tranquillizzarmi, dimostrando in ogni modo di tenere a me, a volte sembra quasi che se ne dimentichi. La verità è che spesso ho la sensazione di sentirmi fuori posto, come un pesce fuor d’acqua che ha smarrito la via e che non riesce più a tornare indietro. Persino con Grace a volte è tutto così difficile…ma non stasera. Si, stasera sembra tutto diverso. Nessuno è qui per giudicarmi, nessuno si aspetta niente da me, e questo mi fa sentire molto più sicura e rilassata. Forse Hèlene aveva ragione, tutto ciò che mi serviva era staccare la spina da tutte le mie paranoie e godermi finalmente una serata senza pensieri. Cosa che ho assolutamente intenzione di fare, a partire da adesso.

- Allora, non era carino?

Esclama Laly che, seduta in un angolo del divano, a gambe incrociate, sta scartando la pizza con gesti veloci per distribuirla poi sui capienti piatti di carta colorati, appositamente preparati per l’occasione sul tavolino di ciliegio, già fin troppo ingombro di patatine e cioccolatini vari.

- Quelli sono per dopo – dice Benedicte, indicandoli – quindi non mangiateli subito, mi racomando.

- Di chi stai parlando, Laly?

Chiede intanto Hèlene, prendendo posto vicino a lei e osservandola con curiosità mentre assaggia in piccolo fungo che sbuca fuori dal suo piatto, rischiando quasi di cadere sul tappeto.

- Come di chi…ma del fattorino, no? Avete visto che occhi? Quando gli ho aperto la porta a momenti svengo!

Sorrido divertita, sedendole vicino e aiutandola a dividere la pizza, ed è in quel momento che una piccola smorfia di fastidio compare sul viso di Benedicte, catturando la mia attenzione mentre la vedo allontanarsi in tutta fretta, borbottando un  “Vado a lavarmi le mani” con voce incerta e sparendo ben presto dalla nostra vista per la decima volta almeno, da quando siamo arrivate. Bè, non è normale. Insomma, avrò anche perso la memoria ma non sono mica diventata stupida, e un comportamento del genere è assolutamente inequivocabile.  Si, Benedicte sta decisamente nascondendo qualcosa, ma al momento non ho alcuna intenzione di approfondire la questione più di tanto, perché voglio solo rilassarmi e godermi la cena. Time out, pizza, relax. Ok, non è poi così difficile, posso farcela.

- Ma che stai dicendo, hai bisogno degli occhiali per caso? Quel tipo era inguardabile!

La voce di Hèlene mi distoglie dai miei pensieri, facendomi voltare verso di lei per assistere alla buffa conversazione che sta avendo con Laly e che però sembra placarsi solo al ritorno di Benedicte, che ci raggiunge per accomodarsi sulla poltrona, poco distante da noi.

- Allora, cominciamo?

Dice sorridendo, anche se noto che, più che mangiare è molto brava a pasticciare col cibo, spostandolo da una parte all’altra del suo piatto fin quasi a ridurre in poltiglia quella povera fetta di pizza, che ogni tanto finge di assaggiare senza appetito. Chissà se anche le altre si sono accorte del suo strano comportamento. Il resto della serata trascorre comunque allegramente, tra risate e scatole di pasticcini che non facciamo che passarci a vicenda, finchè proprio a metà del film Benedicte si decide a servire il dolce che ha preparato nel pomeriggio e io la seguo in cucina per darle una mano, lasciando Laly ed Hèlene impegnate in una fitta conversazione sulla straordinaria bellezza di Hugh Grant, protagonista della commedia che stiamo guardando.

- Ecco qua.

Dice, porgendomi il vassoio con una torta al cioccolato dall’aspetto davvero invitante, ma proprio quando sto per portarla in salotto la vedo improvvisamente accasciarsi sulla sedia mentre si prende la testa fra le mani, e una piccola smorfia di dolore compare ben presto sul suo viso segnato dalla stanchezza.

- Oh Dio!

Esclamo, mollando la torta sul tavolo per precipitarmi da lei, preoccupata.

- Benedicte cosa c’è, non ti senti bene?

Le chiedo con cautela, chinandomi fino a incontrare i suoi occhi chiari e inquieti.

- Ma no, non preoccuparti. È solo un capogiro, è già passato.

Cerca di rassicurarmi, ricambiando il mio sguardo e cercando a fatica di rimettersi in piedi.

- Ma, a parte questo…sei sicura che vada davvero tutto bene?

Non posso fare a meno di domandarle, pentendomi subito dopo di aver formulato quella frase. Accidenti, non voglio che pensi che sono una persona indiscreta, e magari non ha voglia di parlarne, ma, la sua risposta, datami dopo un breve attimo di esitazione, mi lascia completamente spiazzata.

- No, affatto, perché non c’è niente che vada bene in questo periodo.

Sussurra infatti, e adesso sembra quasi che sia sul punto di piangere. A quel punto mi siedo vicino a lei, cercando di incitarla a parlare di ciò che l’affligge, e la sua inaspettata confessione mi lascia senza parole.

- Sono incinta – dice – e questo dovrebbe essere il momento più felice della mia vita, ma non è così perché…non sono sicura che questo bambino sia di Josè. Ti prego, non giudicarmi male per quello che sto per dirti. Io lo amo, lo amo davvero tanto, ma qualche mese fa abbiamo litigato furiosamente e io…non so cosa mi sia preso…ma sono uscita di casa in tutta fretta e in preda all’agitazione. Ero arrabbiata, e triste, e mentre passaggiavo sulla spiaggia,  cercando di calmarmi ho incontrato un mio vecchio amico, che era qui per una breve vacanza. Io…non ho pensato alle conseguenze, non ho pensato a niente in quel momento, ma ero talmente disperata che ho finito per cedere alle sue avances, e…

Si interrompe all’improvviso, tamponandosi gli occhi con un fazzoletto e tirando su col naso un paio di volte, cercando la forza per continuare a parlare. Mi spiega poi che vivere in quest’incertezza è diventato davvero insostenibile per lei, che si è amaramente pentita di ciò che ha fatto e che si sente tremendamente in colpa, per questo ha deciso di confessare tutto al marito.

- Non voglio mentirgli – continua, un po’ più padrona di se stessa – lui deve sapere la verità, ma ti prego di non dire niente alle altre di tutto questo. È una bella serata e ci stiamo tutte divertendo tanto, non mi va di rovinare le cose. Scusami per questo sfogo, ma io…

- Non preoccuparti, non lo dirò a nessuno.

La interrompo, abbracciandola forte e soffocando così le sue lacrime. Dopo il film Benedicte ci mostra le foto del suo matrimonio di cui io, ovviamente, non ricordo assolutamente nulla, ma le ragazze mi fanno una bella descrizione di quel giorno, tanto che mi sembra quasi di poterlo rivivere attraverso i loro racconti. Così come quando cominciano a parlarmi dei tempi dell’università, della camera che dividevamo e in cui i ragazzi non erano ammessi, tanto che erano spesso costretti a entrare dalla finestra per poterci vedere. Ma noi non eravamo certo da meno a quanto pare, e insieme ne abbiamo veramente combinate di tutti i colori. È così bello, ma nello stesso tempo tanto triste vederle ridere, unite e complici, ricordando un passato che è anche il mio, che mi appartiene, senza però potermi unire alla loro allegria perché la mia mente è ancora una volta vuota, priva di stimoli. Come un foglio bianco che attende solo di essere riempito. Lancio di tanto in tanto delle occhiate preoccupate in direzione di Benedicte, che però sembra nascondere bene la propria inquietudine, fin troppo forse, e mi ritrovo a pensare che vorrei tanto poter seguire il suo esempio. Essere capace di strapparmi di dosso questa pena infinita che mi opprime il petto e che, anche se non vorrei, sento che sta di nuovo prendendo il sopravvento. Forse è per via di ciò che mi ha confessato, per la difficile situazione che tra breve si troverà ad affrontare con Josè e che, sicuramente, creerà inevitabili problemi tra loro. Spero solo che siano in grado di superarli, Benedicte mi sembra una così brava ragazza in fondo.

- Guarda, te la ricordi questa?

Laly mi fa sobbalzare mettendomi sotto il naso la foto sbiadita di una vecchia auto bianca, che però ancora una volta non mi suscita alcuna emozione.

- La tua prima macchina – continua – un vecchio rottame che non faceva che lasciarti sempre a piedi, ma che tu adoravi tanto. Già, fino al giorno in cui hai avuto quel brutto incidente e lei è andata completamente distrutta, e tu sei finita in coma per…

- Laly – la interrompe d’un tratto Hèlene, lanciandole un’occhiata di rimprovero – vuoi stare zitta? Devi per forza rivangarle, certe cose?  

- Si – si intromette Benedicte, guardandola storto – complimenti davvero, che tatto!

- Che c’è, non mi sembra di aver detto proprio niente di male! E poi, una volta ho letto da qualche parte che un metodo efficace per far tornare la memoria a chi l’ha persa può essere quello di farle rivivere un trauma del passato, cosicchè…

- Vuoi chiudere quella bocca, oppure no?

Esclama Hèlene, impedendole di nuovo di continuare la frase. Le fisso, senza capire, mentre un piccolo campanello d’allarme comincia pian piano a suonare nella mia testa.

- Volete dire che…ho avuto un altro incidente prima di questo?

Chiedo con un filo di voce, e mi accorgo che il mio stato di ansia continua a peggiorare ogni minuto che passa mentre cercano di tranquillizzarmi, affrettandosi a cambiare argomento. L’album dei ricordi che adesso Hèlene sta lentamente sfogliando è piuttosto consistente, e a un tratto da una delle sue pagine scivola via una piccola fotografia che mi affretto subito a raccogliere, tenendola a lungo tra le mani e fissandola come ipnotizzata. Non sembra recente e raffigura i ragazzi, forse con qualche anno di meno, intenti a suonare degli strumenti musicali in un luogo che sembra assomigliare tanto a una specie di garage, ma tra loro ce n’è uno che non riesco a riconoscere. Eppure, mi sembra di…

- Oh, guarda cos’hai pescato – sussurra Laly, distraendomi con la sua voce – una delle rare fotografie in cui compare anche Sebastian. Lui non amava molto farsi fotografare, per quel che ricordo. Il mio Sebastien…

Sospira a lungo, sfiorando delicatamente con le dita il suo viso immortalato in quell’istantanea, proprio come se ce lo avesse davanti, finchè non mi viene una voglia matta di scoppiare a ridere. Non so perché, ma improvvisamente non riesco proprio a trattenermi.

- Ancora con questa storia di Sebastien – mi ritrovo a esclamare, prima ancora di rendermene conto – non riesci proprio a dimenticarlo, eh? E pensare che all’inizio non ne volevi nemmeno sapere…ma in fondo sono stata io a farvi mettere insieme, no? Ricordi quando ho tappezzato la stanza con tutte le sue foto e ti ho nascosto un registratore sotto il letto che, per tutta la notte non ha fatto che ripetere Io amo Sebastien, finchè ad Hèlene, che ha sempre avuto il sonno leggero, non è venuta voglia di lanciarlo fuori dalla finestra? Però sembrava avesse funzionato, perché al mattino il suo nome è proprio la prima parola che hai pronunciato, e non riuscivi nemmeno a capire il perché…

Mi interrompo bruscamente, notando solo allora che tutte e tre mi stanno guardando a bocca aperta e con gli occhi sgranati, come se mi fossi improvvisamente trasformata in un alieno.

- Johanna…tu te lo ricordi? Oh mio Dio, te lo ricordi! Questo significa che ti è tornata la memoria!

Strilla Benedicte, alzandosi dalla poltrona per correre ad abbracciarmi, ed è in quel momento che me ne rendo davvero conto. Io li sento, sento tutti i ricordi tornare a riempirmi la mente, a far parte di me con la stessa forza di uno tzunami, lasciandomi stordita, devastata. Si, è vero, ora ricordo tutto. L’università, il mio cappello giallo, le nostre risate in garage…il matrimonio, l’incidente, il bambino. Il mio bambino…

Mi prendo la testa fra le mani scoppiando all’improvviso in un dirotto pianto, completamente sopraffatta da tutte quelle emozioni, che adesso mi bruciano dentro come mai avrei immaginato.

- Ehy…no, non piangere – mi sussurra Hèlene, circondandomi le spalle con un braccio e attirandomi dolcemente a sé – va tutto bene tesoro, va tutto bene. Sei tornata, finalmente.

- Si, bentornata tra noi.

Aggiunge Laly, chinandosi su di me mentre tutte e tre mi stringono in un forte abbraccio collettivo…

 

 

 

 

 

 

Continuo a camminare su e giù per la cucina, aprendo cassetti a caso e richiudendoli subito dopo, affranto. Accidenti, dove diavolo terrà le padelle per friggere le uova? Sbuffo per l’ennesima volta, guardandomi intorno e pensando che stamattina sarò costretto a ripiegare sui soliti cereali al miele. Che razza di sfiga, per una volta che volevo preparare una colazione diversa per Grace…ma questa cucina è troppo dispersiva. Si, è questa la verità. Ok, sarà meglio che ci rinunci e vada a prepararmi un bel caffè bollente, ne ho proprio bisogno. Ma ho appena messo la caffettiera sul fuoco che il rumore della porta d’ingresso che si apre cattura la mia attenzione. Johanna dev’essere rientrata.

- Ciao, sono in cucina!

Le grido per farmi sentire e poco dopo mi compare davanti, i capelli in disordine e un’aria soddisfatta e rilassata dipinta sul viso, anche se, non appena incontra il mio sguardo, i suoi splendidi occhi verdi sembrano incupirsi all’improvviso, lasciandomi perplesso.

- Buongiorno, tutto bene? Com’è andata la serata con le ragazze, vi siete divertite?

Azzardo, anche se mi rendo conto che, di primo mattino, tre domande in una sola frase sono decisamente troppe. La verità è che da quando sta così non so neanche più come prenderla, a volte mi sembra quasi di vivere con una perfetta estranea. Sembra…così diversa, specie in questo momento, mentre abbassa lo sguardo per non essere di nuovo costretta a incrociare il mio. Annuisce impercettibilmente, rispondendo con un frettoloso “Si, tutto bene” per poi voltarmi le spalle e aprire il frigo con gesti nervosi, alla ricerca di una bibita fresca.

- Hai già fatto colazione?

Le chiedo, mentre accendo il bollitore e tiro fuori due tazze capienti dalla vetrina di fianco a me. Almeno quelle so dove si trovano.

- No – risponde, stavolta dopo un attimo di esitazione – ma non ho molta fame, credo di aver mangiato un po’ troppo ieri. Dov’è Grace?

- Sta ancora dormendo, ieri sera abbiamo fatto tardi anche noi. Il nuovo gioco dell’x-box sembra averla presa parecchio, molto più di quanto mi aspettassi, così…

- Siete rimasti a giocare per quasi tutta la notte, scommetto – mi interrompe, saltando subito alle conclusioni e voltandosi verso di me, con uno scatto improvviso che mi fa trasalire – così adesso non è in grado di alzarsi. Non avresti dovuto permetterle di stare attaccata a quel coso per tutto il tempo, vuoi che le si frigga il cervello prima ancora che arrivi all’età della pensione?

La fisso, leggermente spiazzato.

- Johanna, sono appena le nove del mattino, lasciarla dormire un po’ di più non mi sembra poi una cosa così grave. Inoltre siamo in piena estate e la scuola è finita, ragion per cui direi che si merita un po’ più di libertà dalle solite restrizioni a cui è costretta durante l’anno, no?

Replico, ma la vedo scuotere energicamente la testa e incrociare le braccia al petto, segno evidente che non è affatto d’accordo con ciò che ho appena detto. Il che non è certo una novità, lo so bene, ma…stamattina mi sembra davvero più strana del solito, forse è successo qualcosa che l’ha infastidita. Spero proprio che non abbia discusso con una delle ragazze ad esempio, e sono quasi sul punto di chiederglielo quando mi accorgo che, voltandomi di nuovo le spalle, si sta velocemente dirigendo al piano di sopra.

- Sicura allora che non vuoi fare colazione, ma…dove stai andando?

Le domando, cauto, cercando di attirare la sua attenzione mentre la guardo fermarsi proprio in cima alle scale e lanciarmi un’occhiata enigmatica che, a questo punto, potrebbe voler dire qualunque cosa.

- A salutare mia figlia. Cos’è, ho per caso bisogno del tuo permesso per farlo? Oppure adesso hai intenzione di controllarmi anche quando vado al bagno?

Risponde, piccata, cogliendomi totalmente alla sprovvista.

- No, certo che no, figuriamoci!

Replico a voce bassa, sollevando le mani in segno di resa. Si, sembra decisamente arrabbiata e, quel che è peggio, non riesco proprio a capirne il motivo, ma qualcosa mi dice sia meglio non farglielo notare adesso. Eppure sembrava così serena appena rientrata…

- Senti – aggiungo poi in fretta, cercando con fatica di ignorare il suo avvilente sarcasmo e di spezzare la tensione che già da un po’ avverto nell’aria, e che mi provoca una strana sensazione di disagio – avevo intenzione di preparare delle uova, solo che non riesco a trovare la padella adatta. Non è che per caso sai dove…

- Secondo cassetto in basso a destra.

Dice automaticamente, senza nemmeno lasciarmi il tempo di finire la frase. Annuisco, fissandola sbalordito, ed è allora che si affretta ad aggiungere, quasi a giustificarsi della prontezza con cui mi ha appena risposto “Lo so perché l’ho usata ieri”, e la sua voce è improvvisamente così strana che non so quasi cosa pensare.

- Capisco – rispondo senza smettere di cercare il suo sguardo, che adesso è di nuovo sfuggente – sai, stavo pensando…non è che per caso ti è venuto in mente qualcos’altro, oggi? Bè, a parte il cavallo e tutto quel che lo riguarda, intendo.

Scuote lentamente la testa.

- No – dice, stavolta dopo un brevissimo attimo di esitazione che, tuttavia, non posso fare a meno di notare – assolutamente niente.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


- Ma uffa! Così non vale, hai vinto di nuovo…voglio la rivincita!

Esclama Grace, imbronciata, incrociando le braccia al petto e sbuffando infastidita di fronte all’ennesimo game over. È più di mezz’ora che giochiamo, e convincerla a gettare la spugna e staccarsi finalmente da quel televisore sembra davvero un’ardua impresa, ma c’è una sola cosa che sia mai stata facile con lei? Appunto. Presuntuosa e testarda come suo padre, deve sempre avere l’ultima parola, ma questa volta troverà pane per i suoi denti.

- Te l’ho già data la rivincita – ribatto, guardandola storto – almeno tre volte, e la tua moto continua miseramente a schiantarsi contro quel muro. Non c’è niente da fare, mia cara, sono io la più forte. E tu sei una schiappa!

- Non è vero, io non sono una schiappa!

Grida, punta sul vivo, facendomi scoppiare a ridere.

- Si che lo sei – la canzono – e se continui così ti soffierò il primo premio da sotto il naso. Schiappa!

Mi fa una linguaccia.

- Antipatica!

Replica, rispondendo alle mie provocazioni senza perdere un colpo. La fisso a lungo, fingendomi mortalmente offesa.

- Che cos’hai detto? Prova a ripeterlo se ne hai il coraggio!

Esclamo, afferrandola per le braccia e spingendola sul divano con decisione per cominciare a farle il solletico, facendola ridacchiare divertita.

- Smettila, sai che non lo sopporto!

Si lamenta, dimenandosi come impazzita, ma non ho alcuna intenzione di mollare la presa.

- Ritira subito quello che hai detto, piccola strega!

- No!

Ribatte lei, ridendo a crepapelle mentre un’intensa, meravigliosa luce illumina ben presto il suo bel visetto paffuto, rendendola ancora più bella e solare.

- Sapevo che prima o poi saresti tornata.

Mi sussurra poi, inaspettatamente, cogliendomi di sorpresa e facendomi venire una gran voglia di abbracciarla forte. E probabilmente lo avrei fatto se solo Christian non fosse improvvisamente comparso dal nulla, materializzandosi davanti a noi e facendoci trasalire entrambe.

- Tornata? In che senso tornata?

Chiede subito, lanciando a Grace delle occhiate piene di curiosità che mi fanno desiderare di mettere subito fine a questa conversazione.

- Dal supermercato – mi affretto a dire, così, sperando con tutte le mie forze di risultare convincente almeno un po’ – tornata dal supermercato. Mi sono accorta che mancava il latte, così…sono andata a prenderlo. Grace, tesoro, perché non vai un po’ fuori a giocare? È una così bella giornata…su fila via, ti chiamo quando è pronto da mangiare!

Le do una scherzosa pacca sul sedere per costringerla a rialzarsi dal divano, cosa che lei fa con una certa riluttanza prima di decidersi a correre verso la porta d’ingresso, aprendola con uno scatto veloce e sparendo ben presto dalla nostra vista. A quel punto sospiro profondamente e abbasso lo sguardo, ancora una volta più che decisa a non incrociare quegli occhi scuri che, come sempre, da giorni ormai, continuano disperatamente a cercare i miei. Ho pregato le ragazze di non dire a Christian che ho recuperato la memoria e, anche se sembrano essere rimaste un po’ perplesse da questa mia insolita richiesta, hanno comunque finito per acconsentire senza fare troppe domande. La verità è che non sono ancora pronta per questo, non adesso. Non voglio che sappia che qualcosa è cambiato, perché non riuscirei nemmeno a spiegarglielo. Non ho voglia di parlargli, né di guardarlo in faccia in questo momento. Non ne ho la forza, io…non posso.

- Johanna…

Comincia, palesemente a disagio, ma non ho alcuna intenzione di starlo a sentire.

- Sarà meglio che vada a preparare la cena, si è fatto tardi.

Dico infatti, interrompendo qualunque cosa stesse per dire e bloccando così sul nascere ogni suo possibile tentativo di conversazione, affrettandomi poi a rialzarmi in piedi e dirigermi verso la cucina, sforzandomi di non voltarmi indietro…

 

 

 

 

 

 

Sono insofferente all’aria condizionata: non la sopporto proprio, mi fa sempre venire il torcicollo. E non sopporto nemmeno di dormire da solo, in questo letto fin troppo grande per me, dove mi accorgo di fare davvero fatica a prendere sonno. La verità è che Johanna mi manca terribilmente, e in un modo che mai avrei creduto possibile. Mi mancano i suoi baci, le sue attenzioni, le nostre lunghe chiacchierate notturne, quando spesso ci perdevamo a fantasticare sul nostro matrimonio, su come sarebbe stato vivere la nostra vita insieme. “ Come lo vedi il tuo futuro fra vent’anni? “

Le ho domandato una volta mentre, dopo aver fatto l’amore, la tenevo stretta a me e le accarezzavo dolcemente i capelli, ascoltando il suo respiro lento e regolare poco prima che si addormentasse. “ Non ne ho idea, ma so che in un modo o nell’altro, tu ne farai sempre parte “ mi ha risposto, facendomi sorridere e sfiorandomi le labbra con un bacio lieve. Si, è questa la promessa che ci siamo fatti, far sempre parte della vita dell’altro e sostenersi a vicenda dividendo ansie e preoccupazioni, anche se lei ora lo ha completamente rimosso. Come tutto il resto. Ma cos’è cambiato da allora, possibile che l’amnesia che l’ha colpita l’abbia improvvisamente trasformata in una persona così diversa da quella che era, da quella che è sempre stata, cancellando di colpo tutta la sua allegria, la sua solarità e quella voglia di vivere che ha sempre fatto parte del suo carattere, rendendola invece così fredda e distaccata? Quasi…ostile, oserei dire. Magari è in ansia per il bambino, ed è perfettamente comprensibile visto che lo sono anch’io, o forse…la perdita della memoria le causa strani sbalzi d’umore che non riesce a controllare…io non lo so, non so più che pensare. Vorrei solo riaverla indietro, poterla stringere e vederla finalmente tornare a sorridermi, come una volta. Invece non mi rivolge quasi la parola, e tutte le volte che lo fa è solo per chiedermi qualcosa riguardo a Grace o altre stupidaggini senza senso. Tipo cosa vorrei per cena ad esempio, domanda assolutamente irrilevante, considerando che il cibo non è proprio una delle mie priorità in questo periodo. Il resto del tempo, invece, preferisce passarlo a ignorarmi completamente, tra l’altro senza mai guardarmi in faccia, come se per lei non esistessi nemmeno. E forse è proprio così. Quel pensiero improvviso mi attraversa la mente come uno sparo, facendomi più male di una pugnalata in pieno petto. No, non è possibile, devo smetterla di torturarmi in questo modo. Forse ho solo bisogno di una bella boccata d’aria fresca per vedere le cose sotto un’altra prospettiva, poi potrò finalmente dormire più tranquillo. Almeno spero. Sospiro profondamente, rimettendomi in piedi con uno scatto improvviso e deciso più che mai ad adempiere a ciò che mi sono appena ripromesso di fare, ma quando raggiungo la veranda, una figura esile e alta proprio di fronte a me cattura la mia attenzione. Johanna. È in piedi, con le braccia incrociate al petto e mi da le spalle, completamente persa in chissà quali pensieri, tanto che sembra non accorgersi della mia presenza finchè non mi avvicino lentamente, abbracciandola da dietro. Le sfioro la nuca con le labbra, respirando forte il profumo dei suoi capelli mentre la sento irrigidirsi contro il mio petto. Ma non si muove, rimane esattamente dov’è, e questo basta a incoraggiarmi per cominciare a parlarle. Se non altro, sembra un buon inizio.

- Ehy, a quanto pare stasera abbiamo avuto la stessa idea – le sussurro, cercando così  di attirare la sua attenzione – nemmeno tu riesci a dormire?

- Avevo solo voglia di farmi un thè.

Risponde dopo un breve attimo di esitazione, e mi accorgo che tenta di sciogliersi dal mio abbraccio ma io, pronto, la stringo ancora più forte, bloccandola con il mio corpo e rendendo così vano ogni suo possibile tentativo di fuga.

- Ti prego, non andare via – dico a voce bassa, senza smettere di stringerla – non continuare a ignorarmi. Non stavolta, perché non lo sopporterei. Io ti amo Johanna, ti amo davvero tanto e non importa quanto tempo ci vorrà perché tutto ti torni in mente, sono disposto ad aspettarti anche tutta la vita se necessario, ma…ti prego, per favore, parlami. Dimmi qualcosa, qualunque cosa. Raccontami di tutto quello che senti, di ciò che provi e, se qualcosa non va, proveremo a trovare un modo per risolverla. Lo faremo insieme. Io sono qui amore mio, e voglio starti vicino. So che non è facile per te affrontare questa situazione e desidero soltanto poterti aiutare, ma…non so come fare se tu non mi permetti di esserci, se continui a respingermi in tutti i modi, trattandomi come un estraneo. Sei così fredda e distante, quasi non mi rivolgi la parola, e questo mi fa davvero star male. Voglio solo che tu sappia che non sei sola, che puoi contare su di me e che io ci sarò sempre, di qualunque cosa tu abbia bisogno, perciò…ti scongiuro, non continuare a comportarti così. Non continuare a far finta che io non esista.

Sento i muscoli delle sue spalle contrarsi nuovamente alle mie parole, e stavolta non oppongo resistenza quando prova ancora ad allontanarsi da me, finendo ben presto per sciogliersi dal mio abbraccio. A quel punto si volta, alzando finalmente lo sguardo solo per incontrare il mio, ed è allora che i suoi bellissimi occhi chiari sono improvvisamente attraversati da un lampo di infinita tristezza che, se pur breve, non sfugge  certo alla mia attenzione, e che ancora una volta mi fa un male insopportabile.

- Non devi preoccuparti per me, Christian, io sto bene. Davvero. Anzi, non credo di essermi mai sentita meglio. Buonanotte.

Dice, gelida, voltandomi lentamente le spalle per incamminarsi verso la sua camera e lasciandomi lì, ancora una volta solo e pieno di dubbi…

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 

Qualche settimana dopo arriva la bella notizia: finalmente possiamo portare a casa il bambino. Questo fa spuntare sul viso di Johanna un bellissimo sorriso che ormai non speravo più nemmeno di vedere, e che sembra avere il potere di tranquillizzarmi almeno un po’, facendomi ben sperare che, adesso che la nostra famiglia è al gran completo, forse qualcosa comincerà a girare per il verso giusto. Magari, poter tenere suo figlio tra le braccia per la prima volta, dopo tutto questo tempo, l’aiuterà ad accelerare il processo di guarigione e a recuperare la memoria molto più in fretta del previsto. Anche se…non posso negare che una piccola parte di me continui ad avere paura di tutta questa assurda situazione, che non mi permette di vivere serenamente come vorrei. Già, perché vedere Johanna in questo stato per me è assolutamente insopportabile, e ancor di più lo è sapere che, ogni giorno che passa, la sento sempre più distante. È come se…tutte le volte che provo a raggiungerla lei mi spingesse via con decisione, chiudendomi fuori da ogni suo gesto, da ogni suo pensiero più nascosto. Dalla sua vita. Ma non voglio pensare a questo adesso, non voglio continuare a star male, ed è ciò che non faccio che ripetermi mentre accarezzo dolcemente il minuscolo visetto di Logan (ebbene si, alla fine ha vinto Grace, ma in fondo sono contento anch’io. Il nome non è poi così male) che giace a pancia in giù, profondamente addormentato nella sua culla azzurra e circondato da un numero spropositato di pelouches colorati e carillon vari donatigli da tutti i nostri amici, che disposti ordinatamente nella sua cameretta fanno bella mostra di sé. Non so se sia questo l’effetto che fanno i bambini ma, giuro, non riesco a smettere di guardarlo nemmeno per un secondo. Lui è così…meravigliosamente perfetto, anche se è ancora tanto piccolo rispetto ai suoi coetanei, ma i medici ci hanno rassicurato che entro il primo anno di età riuscirà a mettersi in forze e sarà vispo e allegro come tutti gli altri bambini. Il peggio è passato quindi, possiamo finalmente considerarlo fuori pericolo, anche se questo Johanna sembra non capirlo come dovrebbe. È così spaventata all’idea che possa accadergli qualcosa di brutto che continua a limitare le visite dei nostri amici, riducendole al minimo anche se non ce ne sarebbe bisogno, e il più delle volte non permette quasi di toccarlo nemmeno a me, continuando a ripetere che non ne sarei capace perché non ho mai avuto a che fare con un bambino in vita mia, e altre paranoie simili che,  detto in tutta sincerità, non stanno né in cielo né in terra. Ora, posso anche capire che sia preoccupata dopo tutto quello che ha dovuto affrontare in quest’ultimo periodo, ma quando fa così ho quasi l’impressione che…voglia tenermi apposta lontano da lui, come se non si fidasse di me. Insomma, ogni scusa è buona per strapparmelo dalle braccia, e tutte le volte che piange trova sempre una scusa per non permettermi di occuparmene. Non so cosa le prenda, e non so se questa sia una conseguenza della perdita della memoria, ma adesso mi sembra persino più strana del solito. È…iperprotettiva con il bambino, fin troppo forse, e questo non è un bene neppure per lei. Vive un continuo ed evidente stato d’ansia che non la fa certo stare serena, e a volte arriva a fine giornata talmente sfinita da non avere quasi la forza di raggiungere il letto, finendo spesso per addormentarsi sul divano e rimanerci così per tutta la notte. Come adesso per esempio, che è praticamente crollata dopo averlo cambiato e, dieci minuti dopo, quando ha ricominciato a piangere non lo ha neppure sentito. Così sono andato su io, e dopo averlo cullato un po’ per farlo riaddormentare sono rimasto qui con lui, completamente rapito dalla sua aria pacifica e dal ritmo lento e regolare del suo respiro.

- È davvero bellissimo.

Commenta Josè, che vicino a me osserva Logan con estrema attenzione, come se cercasse di imprimerne nella memoria ogni più piccolo particolare.

- Si, lo è. Lo è davvero.

Rispondo sospirando, e mi rendo conto che più lo guardo e più non riesco a smettere di sorridere.

- Accidenti, amico – lo sento poi esclamare, catturando la mia attenzione – che ti è preso? Ormai non ti riconosco quasi più. Ma non preoccuparti, perché non dirò a nessuno che questo splendido ometto ti ha trasformato in poco tempo in un enorme marshmallows zuccheroso!

Rido a quella battuta, anche se ancora una volta non posso fare a meno di notare che, nonostante continui a scherzare allegramente, sforzandosi si essere quello di sempre, i suoi occhi tradiscono una profonda e infinita tristezza che solo chi lo conosce bene è in grado di cogliere davvero. So che sta passando un periodo molto difficile e mi dispiace per lui, aveva appena raggiunto la serenità accanto a Benedicte e, adesso, dopo quella tremenda confessione, il mondo gli è praticamente crollato addosso. E posso anche capirlo, in fondo non dev’essere semplice apprendere da tua moglie che il figlio che lei aspetta potrebbe non essere tuo…

Quando Benedicte gli ha parlato dello stato in cui si trovava e di quello che era successo, è letteralmente andato fuori di testa. Io e Nicolas abbiamo cercato in tutti i modi di farlo ragionare, ma sembrava non ci ascoltasse nemmeno, così, dopo una terribile scenata che ha ridotto sua moglie in lacrime se n’è andato di casa sbattendo la porta e gridandole dietro che, da quel momento, qualunque cosa avesse da dirgli, avrebbe dovuto rivolgersi ai suoi avvocati. Non vuole più vederla né sentirla nominare, e ha detto che presto avvierà le pratiche del divorzio. Già, e come dargli torto? Ma Benedicte è una mia cara amica, e non posso certo negare che vederla soffrire così e per di più nel suo stato, non mi abbia fatto un certo effetto. Insomma, lo so che ha tutti i torti del mondo e che ha tradito Josè, tra l’altro con conseguenze irreparabili, ma…non posso fare a meno di provare un’infinita pena per lei, per entrambi, e spero davvero che un giorno riusciranno a sistemare le cose. Anche se la vedo molto dura e, conoscendo il mio amico, non sarà affatto facile.

- Ehy – dico, dopo un breve momento di silenzio – lo sai che la mia offerta è ancora valida, vero? Se ti fa piacere puoi trasferirti qui per tutto il tempo che ti pare, e…

- Ti ringrazio – m interrompe, subito – ma ho bisogno di restare un po’ da solo, perciò per adesso la pensione andrà benissimo. E poi anche Nicolas mi ha proposto la stessa cosa, dovrei dividermi in due parti per accontentarvi entrambi!

Scuoto la testa, divertito.

- Come vuoi, ma se dovessi cambiare idea…sai dove trovarmi.

Rispondo, tuttavia non riesco a finire la frase perché l’arrivo improvviso di Johanna me lo impedisce, e la sua espressione tutt’altro che amichevole mi mette addosso un’incredibile sensazione di disagio di cui, per quanti sforzi faccia, mi accorgo di non riuscire a liberarmi.

- Ciao, finalmente ti sei svegliata!

La saluta Josè, e in quel momento i suoi lineamenti si distendono in un dolce sorriso che la fa sembrare d’un tratto più tranquilla, mentre comincia a conversare amabilmente. È allora che la realtà mi si delinea davanti a chiare lettere, lacerante e spietata come un pugno nello stomaco. Perché con tutti gli altri riesce sempre a sembrare allegra e rilassata, come se niente al mondo potesse turbarla e, non appena rimane sola con me, invece…cambia completamente, trasformandosi quasi in un’altra persona?  Il problema non sono i suoi sbalzi d’umore né la perdita della memoria, e neppure la sua iperprotettività verso il bambino c’entra qualcosa. No. Il problema è un altro, il problema sono io…

 

 

 

 

 

 

- Che ci facevi nella stanza del bambino?

Chiedo a Christian senza nemmeno voltarmi a guardarlo, dopo aver accompagnato Josè alla porta ed essermi intrattenuta con lui per qualche minuto, prima di salutarlo definitivamente. Ho preferito non chiedergli nulla di Benedicte e…tutto il resto, la sua faccia diceva già tutto, anche se so che sta cercando disperatamente di fingere che vada tutto bene. Che lui stia bene. Ma io so che non è così, e non so cosa fare per aiutarlo. La voce di Christian mi distrae d’un tratto da quei tristi pensieri, riportandomi bruscamente alla realtà.

- L’ho sentito piangere – spiega infatti – così sono andato su da lui. Ma si è riaddormentato quasi subito non appena l’ho preso in braccio, e…

- Perché non ni hai chiamata?

Lo interrompo, impedendogli di finire la frase e lanciandogli un’occhiataccia torva. Perché diavolo deve sempre fare di testa sua? Non riesco proprio a capirlo, e la sua espressione confusa mentre cerca il mio sguardo sembra improvvisamente mettermi addosso una strana rabbia, feroce e incontrollabile, che mi accorgo di fare quasi fatica a tenere a bada. Ma in fondo…perché dovrei farlo? Sono stanca di tutto questo, terribilmente stanca.

- Perché stavi dormendo, eri sfinita e non ho voluto svegliarti. E poi, perché avrei dovuto, se c’ero io con lui? Io non ti capisco Johanna, sinceramente, non è la prima volta che mi fai questi discorsi. È quasi come se…cercassi in tutti i modi di tenermi lontano da mio figlio, come se non ti fidassi di me. Per favore, dimmi che mi sto sbagliando e che non è come penso, dimmi che ho preso un abbaglio, perché…non capisco, sul serio. Per quale motivo fai così, qual è il problema?

Dice a voce bassa, ed è proprio in quel momento che mi accorgo di non riuscire più a trattenermi.

- Qual è il problema? E me lo chiedi anche?

Esplodo finalmente, cogliendolo totalmente alla sprovvista e avvicinandomi di qualche passo. Dio, ho la sensazione che la testa mi stia per esplodere, ma non posso fermarmi adesso, non voglio. Non ora che ho appena cominciato.

- La colpa è tua – proseguo, alzando la voce più di quanto intendessi fare e dimenticandomi completamente di Logan, che sta dormendo al piano di sopra e che potrebbe svegliarsi – soltanto tua! Sei tu l’unico responsabile di tutta questa situazione, e hai anche il coraggio di domandarmi cosa c’è che non va?

Mi fissa a lungo, esterrefatto, come se continuasse a non capire a cosa mi stia riferendo, e questo mi fa venire improvvisamente una gran voglia di prenderlo a schiaffi. Come può non rendersi conto di quello che ha fatto, e perché continua a guardarmi con quell’espressione incredula dipinta sul viso?

- Si può sapere di cosa diavolo stai parlando? – balbetta, quando finalmente ritrova la voce – Johanna per favore, cerca di calmarti adesso, torna in te…

- Io sono in me, Christian – grido – ed è proprio questo il punto! La mia memoria è tornata, e già da un pezzo ormai! Ricordo tutto, ricordo ogni singola cosa!

Lo vedo scuotere lentamente la testa, come se non credesse a ciò che ha appena sentito.

- Come? Hai recuperato la memoria? Ma…perché non me lo hai detto subito, quando è successo?

- Ricordo perfettamente come hai messo in pericolo la mia vita e quella del bambino – proseguo, ignorando le sue domande – rischiando di ucciderci entrambi solo per la  stupida mania che hai di fare sempre di testa tua, senza mai pensare alle conseguenze! Sei un irresponsabile, ecco cosa sei, e non ti permetterò mai più di avvicinarti a mio figlio, né di sfiorarlo con un solo dito, dovesse essere l’ultima cosa che faccio in vita mia! Non gli farai del male, mai più, e ti giuro su quello che ho di più caro al mondo che farò di tutto per proteggerlo da te!

Lo vedo abbassare lentamente lo sguardo, sconfitto e ferito dalla mia sfuriata che di certo non si aspettava, ma non mi importa. È ora che sappia come stanno davvero le cose, e che questo sarà soltanto l’inizio se proverà ad ostacolarmi in qualche modo. Non toccherà il mio bambino, non gli farà del male, dovessi ucciderlo con le mie stesse mani!

- È questo il problema, quindi – dice a voce bassa, pronunciando quelle parole come se facesse un grande sforzo per farlo – mi consideri responsabile dell’incidente, credi che lo abbia fatto apposta? Mio Dio Johanna, come puoi solo pensare che avrei potuto mettere in pericolo la tua vita e quella del bambino intenzionalmente? Sai perfettamente come sono andate le cose, c’eri anche tu…

- Stà zitto – lo interrompo, furiosa – non voglio nemmeno ascoltarti, non voglio più sentire una sola parola da te! Ti odio, ti detesto con tutta me stessa, e sai che c’è? Logan non sa proprio che farsene di un padre come te, lui non ha bisogno della tua presenza perché sei completamente inutile, anzi, sarebbe stato meglio che fossi morto quella stessa notte…almeno avresti fatto un favore a tutti quanti!

Mi rendo conto di ciò che ho detto solo quando vedo i suoi occhi scuri creparsi dall’interno, come se qualcosa dentro di lui si fosse appena spezzato, irrimediabilmente. Non ce la faccio a sostenere il suo sguardo così mi volto dall’altra parte, dandogli le spalle mentre lo sento riprendere a parlare, la voce ridotta a un flebile sussurro: - Bene, allora comincia a pregare che succeda. Chissà, potresti essere più fortunata stavolta!

Poi se ne va, richiudendosi violentemente la porta alle spalle e provocando così un sordo tonfo che mi fa trasalire, mentre sento che uno strano tremore comincia lentamente a impadronirsi di me, facendomi venire le lacrime agli occhi…

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


- Dammene un altro!

Farfuglio confusamente, agitando il mio bicchiere vuoto in direzione di Benedicte mentre lei mi risponde con una timida occhiata di ammonimento. Non mi importa niente di quello che pensa, voglio solo che si sbrighi a riempirmi il bicchiere più in fretta possibile. Tutto il resto non conta. Già, tutto il resto…

Mi accorgo che, nonostante tutto, riesco ancora a pensare quasi lucidamente, il che significa che non sono ancora abbastanza sbronzo. E devo assolutamente rimediare.

- Dì un po’, non ti sembra di aver già bevuto abbastanza per questa sera?

Replica la mia amica, facendosi un po’ più vicina e squadrandomi a lungo con aria preoccupata.

- Niente affatto, ho appena cominciato!

Ribatto con voce atona, abbassando gli occhi sul bicchiere che tengo tra le mani e spingendolo con decisione verso di lei, che sbuffa spazientita.

- Christian – dice, scandendo bene le parole come se stesse parlando a un perfetto imbecille – quello era il quarto bourbon e non ho alcuna intenzione di servirtene un altro, perché adesso stai davvero esagerando. Si può sapere qual è il problema, perché fai così? C’entra qualcosa con Johanna per caso, non è che voi due avete litigato?

Il solo sentirla nominare mi provoca una violenta stretta al petto che, per un attimo, solo per un attimo mi fa quasi vacillare, riportandomi alla mente stralci di quell’assurda discussione avuta con lei solo qualche ora prima, durante la quale mi accusava di essere il diretto responsabile dell’incidente. Di aver messo apposta in pericolo sia lei che il bambino…e se avesse ragione? Se fosse veramente tutta colpa mia e del mio atteggiamento da irresponsabile…no, non può essere. Non lo pensava sul serio.

“Sarebbe stato meglio che fossi morto quella stessa notte, almeno avresti fatto un favore a tutti quanti!”

Le sue orribili parole mi risuonano ancora nelle orecchie, senza sosta, come un disco rotto, e il suo sguardo era così ostile che no, non può aver mentito. Lei pensava davvero ogni singola cosa, stava dicendo la verità, e questa consapevolezza mi fa un male insopportabile. Che cosa ci è successo, come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto? Sembrava tutto così perfetto, ed eravamo così felici. E adesso, invece…

Dannazione, non posso continuare così, io…ho solo bisogno di bere, perché qui nessuno sembra capirlo? Sento già la mente annebbiata dai fumi dell’alcool, ma so che non è abbastanza. Non ancora, e io voglio solo spegnere questo rumore assordante che non mi da pace e che sento scorrermi sotto la pelle, come lava bollente, invadendomi l’anima e procurandomi un dolore sordo, talmente intenso che non credo di riuscire a sopportarlo oltre. No, non è ancora abbastanza.

- Ti ho chiesto di darmene un altro – dico con voce impastata, al limite della sopportazione – non di impicciarti degli affari miei, anzi…credo che faresti meglio a pensare ai tuoi adesso, mi risulta che lì ci sia parecchia carne al fuoco…

- Christian, adesso smettila!

Esclama allarmata, rivolgendomi un’occhiata furiosa mentre mi accorgo solo vagamente che alcuni clienti seduti ai tavoli vicini si voltano lentamente verso di noi, lanciandosi di tanto in tanto delle occhiate perplesse che mi fanno sorridere. È allora che mi afferra l’irresistibile desiderio di provocarla, di farle del male in qualche modo. Perché, perché diavolo devo essere solo io a soffrire in questo modo?

- E perché dovrei – proseguo, alzando la voce più del dovuto e rialzandomi in piedi all’improvviso, cercando di catturare l’attenzione generale – coraggio Benedicte, non devi mica vergognarti a condividere i tuoi oscuri segreti con i tuoi affezionati clienti! Sembra tutta brava gente in fondo, e sono sicuro che nessuno smetterà di venire a trovarti solo perché…

- Basta così, adesso stai veramente esagerando!

Mi interrompe, terribilmente imbarazzata, gelandomi con lo sguardo e sperando così che mi decida a smettere di parlare. Ma io ho appena cominciato, e non posso fermarmi adesso.

- Andiamo, è giusto che qui tutti sappiano che il piccolo bastardo che porti in grembo non è figlio di tuo marito, ma di un idiota qualunque che passava di qui per caso e al quale una notte ti sei concessa senza nemmeno battere ciglio!

Alle mie parole il locale piomba improvvisamente in un inquietante silenzio, che ben presto sostituisce l’allegro chiacchiericcio di poco prima mentre gli occhi di tutti, pungenti come spilli si posano su Benedicte che, palesemente a disagio e sul punto di scoppiare in lacrime, molla la bottiglia di bourbon sul bancone con uno scatto deciso, facendomi trasalire mentre la spinge nella mia direzione gridando: - Ecco qua, e spero tanto che ti ci strozzi con questa!

Poi corre via con gli occhi bassi, incapace di reggere oltre quegli sguardi implacabili che pian piano, però, tornano distrattamente a posarsi sui propri bicchieri ricolmi, lasciando il posto a un insistente cicaleccio che non riesco a comprendere, ma che comunque non ho voglia di ascoltare. Afferro saldamente la bottiglia davanti a me, deciso più che mai a servirmi ancora una volta, quando sento che una mano dal tocco gentile ma deciso si posa sulla mia spalla, catturando così la mia attenzione e costringendomi a declinare, seppur momentaneamente, l’allettante invito di quel liquido ambrato che sembra aspettare solo me, e con cui non vedo l’ora di riempirmi il bicchiere…

 

 

 

 

 

La piccola sedia a dondolo sulla quale sono seduta scricchiola fastidiosamente ad ogni mio movimento, ma va bene così, se questo serve a far dormire Logan. Mi spingo avanti e indietro, nel buio, in un ritmico movimento, cullandolo contro il mio petto anche se si è già addormentato da un pezzo. Il suo dolce respiro, lento e regolare ha uno strano effetto su di me, ma non basta a cancellare i miei pensieri. Non basta a farmi smettere di pensare a tutto ciò che sono stata capace di dire stasera, scoprendo, quasi con orrore, di non esserne affatto pentita. Mo Dio, che cosa mi sta succedendo? Logan si agita piano contro di me e a volte respira un po’ più forte, così lo stringo di più, cercando di infondergli tutta la sicurezza e quella tranquillità di cui ha bisogno, e che solo io posso dargli adesso. Si, lui ha bisogno di me, soltanto di me.

- Dormi tranquillo piccolo mio, ci sono io a proteggerti. Lui non ti farà del male, non glielo permetterò più, te lo prometto…

Dico accarezzandogli delicatamente la minuscola testa, e sento la mia voce spezzarsi in un singhiozzo convulso mentre le lacrime premono ben presto per uscire, pretendendo impudicamente di rigarmi il viso, di svelare la mia pena. Ma non me ne preoccupo, le lascio fare…

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


- Christian…cosa stai facendo?

Giselle si siede vicino a me, nell’unico posto non occupato di tutto il locale, il che dimostra quanto la gente del luogo si stia impegnando al massimo per cercare di evitarmi in tutti i modi possibili. Ma non importa, va bene così. Anch’io eviterei di rivolgermi la parola, se fossi nei loro panni. Ne andrebbe dell’incolumità di tutti, visto che, a quanto pare, sono come una specie di pericolo pubblico ormai. Una calamità naturale, che finisce per distruggere tutto ciò che tocca. Ma lei non sembra particolarmente spaventata da quello che sta vedendo, forse solo un po’ preoccupata a giudicare da come mi guarda, ma nemmeno questo mi interessa, dopotutto. Non so nemmeno che diavolo ci faccia qui in questo momento, e l’unica cosa che desidero è che mi restituisca il bicchiere che mi ha appena tolto di mano, allontanandolo da me con uno scatto deciso e rendendolo ben presto fuori dalla mia portata. Vorrei dirle qualcosa, ribellarmi in qualche modo, ma la mia mente e la mia vista sono ormai talmente annebbiate dall’alcool che non riesco quasi a mettere a fuoco il suo viso, e tutto intorno a me appare così strano e confuso che preferisco non continuare a guardare. Così chiudo gli occhi, prendendomi stancamente la testa fra le mani e sospirando più volte, cercando di ritrovare almeno un po’ della mia lucidità e sperando che questo mi aiuti a sentirmi meglio perché, detto in tutta sincerità, mi sta venendo una gran voglia di vomitare.

- Christian!

La voce di Giselle mi costringe però a riaprire gli occhi, allora mi ritrovo a sbattere più volte le palpebre nel vano tentativo di metterla a fuoco nel migliore dei modi. Accidenti, adesso si che sono davvero ubriaco!

- Credo che tu abbia bevuto un po’ troppo – continua, e la sua voce mi arriva quasi come un’eco indistinta, raggiungendomi a malapena – e non ti fa certo bene. Cosa succede, perché non sei a casa? Su, andiamo, ti porto via da qui.

Mi prende delicatamente per un braccio, costringendomi a rialzarmi in piedi insieme a lei mentre, barcollando e incespicando nei miei stessi piedi, mi guida lentamente verso l’uscita. Camminiamo verso la spiaggia, e alle sue continue e insistenti domande decido di chiudermi in un ostinato silenzio, rompendolo solo quando noto, nel mio stato di confusione, che si sta dirigendo verso casa mia.

- Non ci torno lì, hai capito? Risparmiati pure il disturbo!

Grido, e la mia voce impastata echeggia nel buio mentre una brezza leggera solletica le mie braccia scoperte, facendomi rabbrividire.

- Non vuoi proprio dirmi che cosa è successo, vero?

Insiste, studiandomi concentrata per un lungo momento, poi sospira profondamente ed è in quell’attimo che sembra prendere una decisione definitiva.

- E va bene, vieni con me allora.

Dice infatti, come colta da un’improvvisa ispirazione che mi prende in contropiede, prima di stringermi la mano e trascinarmi velocemente dalla parte opposta della spiaggia. La lascio fare, non oppongo resistenza. Non mi interessa nemmeno lottare, non ne avrei la forza in questo momento. Sono solo…stanco, tanto stanco.

Dopo un tempo che mi sembra interminabile arriviamo finalmente davanti all’uscio di una casa minuscola, o almeno così sembra. Poso distrattamente lo sguardo lungo le sue pareti giallastre, ma tremolano talmente tanto ai miei occhi che ben presto devo costringermi a smettere di guardarle, se non voglio vomitarmi sulle scarpe. Dio, che sbronza. Non devo più bere così. Sento Giselle girare la chiave nella serratura e condurmi gentilmente fino al piccolo ma comodo divano al centro della stanza, dove mi lascio languidamente cadere, esausto e con la terribile sensazione che la testa possa esplodermi da un momento all’altro.

- Aspettami qui, torno subito.

Dice e scompare nella stanza accanto, per poi ricomparire solo pochi minuti dopo con in mano una tazza fumante che si affretta a porgermi, e che prendo con mani tremanti. La fisso, senza capire.

- È una tisana alle erbe che ti aiuterà ad attenuare gli effetti della sbronza, così non avrai più quell’aria da pulcino smarrito che ti ritrovi!

Sorrido a quella battuta, trangugiando quel liquido dal sapore orrendo che però sembra avere proprietà miracolose. Quando lo finisco, infatti, mi sembra di essere più padrone di me stesso, anche se solo un pochino. In effetti mi sento come se mi avessero dato un colpo in testa.

- Allora, va un po’ meglio?

Mi chiede.

- Si.

Rispondo, mentendo spudoratamente, infastidito persino dal suono della sua voce che è come carta vetrata sui miei nervi già provati.

- Bene, mi auguro che adesso tu possa finalmente dirmi cosa ti ha spinto a ridurti in questo stato. Non ti ho mai visto così prima d’ora, e ti confesso che mi stai davvero facendo preoccupare…

- Dove siamo?

La interrompo, nel disperato tentativo di cambiare argomento, mentre mi guardo attorno con curiosità.

- Nella mia nuova casa – spiega con un sorriso – l’ho presa in affitto solo pochi giorni fa perché ero stanca di stare alla pensione. È carina, ma non fa proprio per me, che sono un tipo che ama la stabilità e che preferisce di gran lunga provare a ricostruirla, almeno per tutto il tempo che passerò in questa splendida isola. Così…eccomi qui. C’è ancora un po’ di confusione in giro, ma conto di sistemarmi al più presto. Allora, possiamo tornare a noi adesso? Me lo dici che ci facevi al bar a bere come una spugna?

- E tu, allora?

Chiedo, guardandola di sottecchi.

- Avevo fame e non mi andava di cucinare, ammetto di non essere molto brava in questo, così sono andata al bar per mettere qualcosa sotto i denti. Adesso tocca a te.

Mi sorride con aria furbetta, e capisco di non poter sfuggire ancora a lungo alle sue domande.

- Ho litigato con Johanna.

Ammetto, così, abbassando lo sguardo verso la punta delle mie scarpe. La sento venirmi più vicino, posandomi una mano sulla spalla in segno di conforto.

- Oh, mi dispiace tanto. Spero non sia niente di grave, e che possiate presto superare questo momento.

Dice, e sento le sue dita accarezzarmi piano il braccio, in un ritmico movimento che mi provoca una piacevole scossa lungo tutto il corpo.

- Purtroppo…credo che stavolta non sarà così semplice. Mi ha detto delle cose orribili, mi ha ferito, e io…io non so…

- Ehy – mi interrompe, sollevandomi delicatamente il mento per costringermi a guardarla negli occhi, e io mi sento quasi sopraffatto dalla sua gentilezza – non angustiarti, perché qualunque brutta cosa possa averti detto, nessuno meglio di me sa che non è vera. Tu sei una persona speciale Christian, e non devi darle retta. Magari era solo arrabbiata.

Scuoto la testa con decisione, senza smettere di specchiarmi nei suoi occhi chiari e sinceri. So che sta dicendo quello che pensa, ma lei non sa, non sa niente di…

- Ha detto che sarebbe stato meglio che fossi morto la notte dell’incidente.

Dico quasi senza accorgermene, mettendo così a tacere anche i miei più oscuri pensieri mentre mi accorgo di una piccola ruga che ben presto solca la sua fronte alta, facendole cambiare espressione.

- Oh mio Dio, ma è…terribile! Nessuna persona normale potrebbe mai dire una cosa del genere all’uomo che ama, come può averlo fatto?

Mi accarezza dolcemente il viso, sfiorandomi i capelli con le dita.

- Quella donna non ti merita…

Sussurra poi, prima di sfiorarmi le labbra con un bacio che mi ritrovo ben presto a ricambiare, smettendo totalmente di pensare. No, non voglio pensare mai più. Mai più…

L’attiro a me, annullando così in un colpo solo la già breve distanza tra noi, continuando a baciarla con foga mentre la sento trafficare con i bottoni della mia camicia, decisa più che mai a liberarmi di quell’indumento, diventato improvvisamente troppo stretto e soffocante. La stoffa scivola leggera lungo le mie spalle, e le sue mani mi accarezzano il petto con studiata lentezza prima che le mie labbra scendano a stuzzicare piano il suo collo candido, facendola gemere di piacere e portandola a stringersi a me ancora di più, aderendo completamente al mio corpo. La sento muoversi, agitarsi impaziente contro di me, ed è proprio allora che mi accorgo davvero di ciò che sto facendo. Io…non so se lo voglio davvero. La prendo così per le braccia, staccandomi da lei e dalle sue labbra morbide e invitanti e scostandola con decisione, lasciandola confusa e disorientata.

- No…Giselle mi dispiace, ma non credo sia una buona idea. Non sono in me in questo momento, e prima di fare qualcosa di cui entrambi potremmo pentirci, io…è meglio se ci fermiamo.

- Christian…

Non posso – sussurro, cercando di ignorare la sua espressione addolorata e supplichevole – cerca di capire, ti prego. Io non voglio questo…mi dispiace…

Mi ricompongo come meglio posso, avviandomi velocemente verso l’uscita senza voltarmi indietro, e senza nemmeno darle il tempo di dire una sola parola. So che, in fondo, è meglio così…

Sembra che i fastidiosi effetti dell’alcool stiano lentamente svanendo, permettendomi finalmente di tornare a respirare, anche se la testa mi pulsa ancora in modo insopportabile. Che cosa speravo di fare, dimenticare tutto quello che è successo, dimenticare Johanna tra le braccia di un’altra? A cosa sarebbe servito? Forse a farci ancora del male,  a ferirci più di quanto non abbiamo già fatto finora, e a cacciare di mezzo una terza persona che di certo non si merita questo trattamento. Mio Dio, come ho potuto credere di poter risolvere tutto in questo modo? È a questo che sto pensando mentre mi ritrovo a passeggiare sulla spiaggia, a piedi nudi e a notte fonda, rabbrividendo quando una folata d’aria gelida mi pizzica la pelle, facendomi sobbalzare per la sorpresa. La luce argentea della luna brilla sopra la mia testa, riflettendosi pian piano sulle onde del mare e donandomi uno strano senso di quiete, che però non serve ad alleviare le mie pene. Non voglio tornare a casa, non ancora, non sono pronto per questo. Non sono pronto ad affrontare tutto ciò che mi aspetta, ad affrontare lei…

No, non voglio.

 

 

 

 

 

 

 

Un altro colpo, un altro ancora nella strada deserta. I fari si spengono, la mia testa comincia a pulsare…c’è dolore intorno a me, solo dolore, non sento nient’altro…non vedo nient’altro…è tutto così buio qui, e non so nemmeno dove mi trovo. Il bambino scalcia con forza dentro di me, si agita senza parlare, ha paura…anche lui ha paura…non ti agitare piccolo mio, io non ti lascerò. Troveremo una soluzione, vedrai. Non posso, non posso perderti…ne usciremo…

Mi sveglio di soprassalto, ansante e sudata, mettendomi a sedere sul letto di scatto. Mi sfioro la pancia, scoprendola completamente piatta, allora tiro un sospiro di sollievo. Era solo un sogno. Lo stesso orribile, identico sogno che si diverte a torturarmi ogni notte, facendomi rivivere quel drammatico incidente e rendendo la mia vita un inferno, ancora una volta. Ma non ho perso il mio bambino, lui c’è, c’è ancora…anche se io ho bisogno di esserne sicura. Mi trascino giù dal letto e, con il cuore che batte ancora all’impazzata, impedendomi quasi di respirare mi precipito in camera di Logan, avvicinandomi con passi felpati alla piccola culla solo per guardarlo dormire, per ascoltare il suo respiro. Per saperlo al sicuro. Mi passo stancamente le mani sugli occhi, scoprendoli ancora una volta bagnati di lacrime. Non riuscirò più a chiudere occhio per questa notte, e di nuovo la storia si ripete. Sospiro a lungo e con forza, sfiorando la fronte del mio bambino con un bacio lieve prima di uscire dalla stanza, lasciando la porta socchiusa per dirigermi al piano di sotto. Accendo la luce con mani tremanti, gurdandomi intorno, agitata. Sono quasi le tre del mattino e la casa sembra così vuota e silenziosa. Fin troppo, forse. Mi avvicino alla finestra stringendomi nelle spalle, osservando rapita la luna che, proprio di fronte a me si riflette sulla superficie dell’acqua, creando uno strano gioco di luci e di colori dai quali mi accorgo di non riuscire proprio a staccare gli occhi. Non so nemmeno…come sentirmi. Non so cosa provo, non sento niente. Non sono niente. Mi sento così…vuota, arida, spenta come non credo di essere mai stata in vita mia. È tutto talmente irreale che faccio quasi fatica a crederci, a viverlo. Christian non è ancora tornato, e l’unica cosa a cui riesco a pensare è che c’è una parte di me che spera con tutto il cuore che lui non faccia mai più ritorno…

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Gioco distrattamente con la sabbia, spostandola da un palmo all’altro delle mie mani e sospirando più volte, affranto e ancora incerto sul da farsi, quando una debole luce alla mia destra cattura tutta la mia attenzione. È il locale di Benedicte, è ancora aperto. Possibile che prima non lo abbia notato? Devo essere davvero un caso disperato stasera, quasi quasi mi faccio pena da solo. Rido a quel pensiero buffo e strampalato, rialzandomi in piedi con fatica e rischiando più volte finire lungo disteso sulla spiaggia prima di riuscire a trovare un minimo di equilibrio, necessario a permettermi di camminare. Cerco, come meglio posso di darmi una veloce ripulita, anche se i miei jeans sono così bagnati e sporchi da assomigliare ad un confuso ammasso bluastro che quasi non riesco a definire. Mi incammino lentamente verso il locale, e quando entro noto subito che Benedicte è nel pieno delle pulizie, e che è così intenta a strofinare energicamente il bancone principale con la piccola spugna che tiene tra le mani, che sembra accorgersi della mia presenza solo quando mi schiarisco la voce più volte, richiamando la sua attenzione. È allora che alza lo sguardo, incrociando il mio solo per pochi secondi prima di abbassarlo di nuovo, riprendendo a strofinare con molta più forza di quanto sia necessario e sforzandosi in tutti i modi di ignorarmi. So che è arrabbiata con me, ed è comprensibile dopo quello che sono riuscito a combinare stasera.

- Finirai per farci un buco enorme in quella povera ceramica, se continui così.

Comincio, cercando di alleggerire la tensione, ma non ottengo risposta. Si, è decisamente furiosa. Mi avvicino di più, sedendomi proprio di fronte a lei e cercando ancora una volta di catturare la sua attenzione.

- Benedicte – sussurro, premendo una mano sulla sua e costringendola così a fermarsi definitivamente – mi dispiace tanto, io non ero in me quando ho detto quelle cose, e ti giuro che in questo momento mi sento veramente un verme. So che il fatto che fossi completamente ubriaco non è certo una giustificazione, ma…

- Risparmia pure il fiato – mi interrompe, ritirando in fretta la mano – le tue patetiche scuse non mi interessano.

Sospiro.

- Benedicte…

- Immagino che per te sia stato divertente umiliarmi davanti a tutta quella gente, che da oggi in poi ogni volta che passerà di qui penserà solo che io sia una volgare sgualdrina senza un minimo di decenza. Ammesso che qualcuno voglia ancora mettere piede qui dentro…

La sua voce si incrina fino a spegnersi lentamente e lei crolla sul bancone, scoppiando improvvisamente in un dirotto pianto che mi fa sussultare mentre mi precipito verso di lei, cercando di calmarla in qualche modo.

- No, ti prego, non piangere…non fare così.

Mi chino su di lei, asciugandole le lacrime che, copiose, le rigano le guance accaldate mentre la stringo forte a me, soffocando i suoi singhiozzi disperati e accarezzandole ritmicamente la schiena, finchè non la sento rilassarsi pian piano.

- Scusami – dice infine, premendosi le mani sul viso – sono una stupida, in fondo non è nemmeno colpa tua. Si sarebbe comunque venuto a sapere prima o poi, ed è inutile che stia qui a prendermela con te quando sono io l’unica responsabile di ciò che è successo…è colpa mia se Josè mi ha lasciata e non vuole più avere niente a che fare con me. Sono riuscita a rovinare tutto. Uno stupido errore di una notte e guarda come è finita, sarebbe meglio per tutti se lo perdessi questo bambino…

Vedo le sue dita scivolare lentamente lungo il suo addome, ancora poco pronunciato, colpendolo con rabbia e premendolo con forza crescente, quasi stesse cercando di strapparselo di dosso mentre ricomincia a singhiozzare.

- Ehy, smettila di parlare in questo modo, fermati ti prego!

Esclamo, bloccandole le mani con un movimento deciso e cercando così di farla tornare in sé.

- Non è così che risolverai le cose, e lo sai bene – continuo – questo bambino c’è, fa già parte di te, ed è a lui che devi pensare prima di tutto. Angustiarti in questo modo non servirà a niente, non servirà a riportare indietro Josè, né a cancellare le tue colpe. Lo capisci questo?

Annuisce lentamente, guardandomi seria mentre stringo le sue mani.

- Non so dove sia – mormora con voce rotta – non so nemmeno se sta bene…

- Sta bene – la rassicuro – ha solo bisogno di tempo.

- Promettimi che gli resterai vicino – risponde, ricambiando la mia stretta – ora più che mai ha bisogno di sapere che può contare su qualcuno, che può contare sui suoi amici. Ti prego, devi promettermelo Christian!

Le sorrido, annuendo con decisione.

- Te lo prometto, ora però dovresti andare a riposare. Sei incinta, e anche stanca, e non dovresti fare tutti questi sforzi. Vieni, ti accompagno a casa.

L’aiuto a chiudere il locale, e durante il tragitto verso casa sua finiamo inevitabilmente per parlare di Johanna. Le racconto di quello che è successo, senza però scendere nei particolari, una volta per me è già stata più che sufficiente. Non riesco a ripetere ciò che è stata capace di dirmi, perché fa troppo male anche solo pensarci.

- Sapevo che aveva recuperato la memoria – dice – ma ha fatto promettere a me e alle ragazze di non farne parola con nessuno, né tantomeno con te. Devo ammettere che la cosa mi ha lasciata un po’ perplessa all’inizio, ma ho preferito non fare domande. Mi dispiace di non avertene potuto parlare prima.

Sospiro profondamente, affranto da quella rivelazione che per me è come un’ulteriore doccia fredda.

- E perché, non è mica colpa tua. A quanto pare, quindi, ero l’unico idiota a non conoscere la verità, a non sapere come stessero realmente le cose. Finchè lei non ha deciso di sbattermele in faccia senza pietà, accusandomi di…

Mi interrompo bruscamente, senza avere la forza di continuare. È una situazione talmente assurda e grottesca che faccio quasi fatica a credere che sia reale. Come può esserlo, dove ho sbagliato, per la miseria? Perché siamo finiti in questa situazione? Tutte domande senza risposta. Sento a malapena la voce di Benedicte che cerca di tranquillizzarmi, di spiegarmi che probabilmente Johanna ha ancora bisogno di tempo per assimilare e accettare tutto ciò che è successo, che è stata una stupida lite senza importanza e che non devo preoccuparmi, perché le passerà presto e tutto tornerà alla normalità. Già, ma allora perché io ho l’amara sensazione che invece non sarà così semplice come dice? Quella notte faccio una lunga nuotata per schiarirmi le idee, per trovare la forza necessaria ad affrontare la cosa una volta per tutte. O almeno, per provare a farlo. Mi distendo infine sulla sabbia morbida e illuminata dai primi raggi del sole del mattino, perdendomi a osservare i gabbiani che volano sopra la mia testa e desiderando ardentemente di sprofondarci dentro, per rendermi invisibile al mondo. Per provare a scomparire nel nulla, trovando finalmente la pace di cui ho bisogno, anche se solo per un breve istante…

 

 

 

 

 

 

 

Sento la chiave girare nella serratura e all’improvviso me lo ritrovo davanti, completamente bagnato dalla testa ai piedi, sul viso un’espressione stanca e segnata di chi non ha chiuso occhio per tutta la notte. Bene, siamo in due allora.

- Si può sapere dove diavolo sei stato fino ad ora – lo aggredisco, furiosa – eri con quella, non è vero? Sei andato a cercare quella sgualdrina?

Mi fissa, pietrificato dalla mia sfuriata che di certo non si aspettava.

- Smettila di parlare così, non sono proprio andato a cercare nessuno. Non c’è niente tra di noi, e comunque…non sono affari che ti riguardano.

Ribatte dopo qualche secondo, e noto che sta disperatamente cercando di mantenere la calma, cosa che ha l’effetto di farmi arrabbiare ancora di più.

- Mi riguardano eccome invece, se questo ti porta a dimenticarti completamente di adempiere ai tuoi doveri!

Grido, incapace di trattenermi, ma noto che continua a guardarmi con aria stranita, senza capire. Mi chiedo come faccia ad avere una simile faccia di bronzo.

- Si può sapere di che cosa stai parlando?

Dice infatti, ed è in quel momento che sento di non riuscire più a sopportare oltre il suo ignobile atteggiamento.

- Di tua figlia, Christian – esplodo, aggredendolo ancora una volta – sto parlando di tua figlia e della promessa che le avevi fatto di portarla a fare una gita in barca! Come hai potuto dimenticartene così?

Lo vedo abbassare lentamente lo sguardo mentre si prende la testa fra le mani, e per un attimo sembra quasi sopraffatto dalle mie parole.

- Oh mio Dio, è vero…

Sussurra, parlando più a se stesso, dopo un lungo momento di silenzio rotto solo dal ticchettio dell’orologio da parete, che adesso segna le dieci del mattino.

- Aspettava questo giorno da un sacco di tempo, era così eccitata che si è svegliata all’alba – continuo, con voce più calma – e quando non ti ha trovato in casa è andata nel panico. Non sapevo nemmeno cosa dirle per giustificare la tua assenza.

Ripenso alla sua espressione triste, a quel dolce visetto che tanto amo incupirsi all’improvviso nell’istante in cui realizzava che suo padre si era dimenticato di lei e della loro giornata speciale, quella a cui teneva tanto, e sento che una rabbia feroce e incontrollabile torna a montarmi dentro, scorrendomi nelle vene come lava bollente e togliendomi quasi il respiro.

- Puoi comportarti come vuoi, fuori di qui – ricomincio a gridare, facendolo sussultare e avvicinandomi di qualche passo – puoi farti chi ti pare, non mi interessa minimamente, ma se osi ancora una volta far soffrire Grace in questo modo, ti giuro che…

L’improvviso e insistente pianto di Logan, che dal piano di sopra reclama le mie attenzioni mi costringe a interrompermi bruscamente, facendomi trasalire mentre mi volto verso le scale.

- Guarda cos’hai combinato, adesso hai anche svegliato il bambino!

Esclamo lanciandogli un’occhiata di fuoco, e lui mi guarda come se non credesse alle proprie orecchie.

- Cos’ho combinato? Io? Ma se sei tu che da quando sono arrivato non fai che strillare come un’aquila!

Ribatte e fa per muoversi verso le scale, ma io glielo impedisco, parandomi davanti a lui con un movimento fulmineo e bloccandogli così la corsa.

- Non provarci nemmeno, non ti avvicinerai a lui in quelle condizioni – sibilo a denti stretti, alludendo chiaramente allo stato in cui si trova – e nemmeno a Grace! Se vuoi scusarti con tua figlia per le tue mancanze vai almeno a darti una ripulita prima, sei assolutamente indecente!

Lo vedo passarsi lentamente le mani fra i capelli, in un gesto che tradisce enorme disagio prima di rivolgermi uno sguardo addolorato che, però, non mi permette di registrare alcuna emozione. Non adesso, non più. Non mi ero sbagliata sul suo conto, riesco solo a pensare a questo.

- Dov’è adesso?

Mi chiede con un filo di voce.

- L’ho mandata in spiaggia con Hèlene e i bambini per cercare di distrarla, nella speranza che possa almeno provare a dimenticare il dolore che le hai causato oggi. Complimenti Christian, davvero un ottimo lavoro. Continua così, mi raccomando!

Sputo quelle parole con rabbia, senza nemmeno guardarlo in faccia, affrettandomi poi a voltargli le spalle per andare su a occuparmi di Logan…

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Mi spoglio con gesti lenti, infilandomi sotto la doccia e indugiando a lungo sotto il getto d’acqua tiepida, premendo la fronte contro il vetro freddo che mi circonda, come se quel gesto potesse servire a riordinare in qualche modo i pensieri confusi che agitano la mia mente inquieta. Anche se so che non basterà, non basterà a farmi sentire meglio. Come ho potuto dimenticarmi così della promessa fatta a mia figlia solo qualche settimana prima? Come ho potuto scordare della nostra gita in barca, che avevamo passato ore a pianificare con tanta cura e attenzione? Grace non riuscirà mai a perdonarmi per questo, e nemmeno io. Ma devo comunque fare un tentativo con lei perché non posso perderla così, non dopo che ho faticato tanto per conquistarmi la sua fiducia, per provare a costruire dal nulla un rapporto che fino a qualche mese prima le era venuto a mancare. Una figura paterna, che fino ad ora non aveva mai avuto. Che cosa penserà di me adesso? Basta così, non posso continuare ad arrovellarmi in questo modo. Devo scoprirlo. Esco velocemente dalla doccia, avvolgendomi in un morbido asciugamano e indossando poi degli abiti comodi, prima di dirigermi di nuovo verso la spiaggia. Poco prima di uscire noto che Johanna sta trafficando in cucina, lavando le tazze della colazione con gesti lenti e misurati e lanciandomi uno sguardo ostile che vale più di mille parole, costringendomi così ad abbassare il mio. Non ce la faccio proprio a sostenerlo, per me è diventato difficile persino guardarla negli occhi ormai, e comunque non è certo lei la mia priorità adesso. Devo andare da mia figlia, subito. Quando la raggiungo è china sulla spiaggia, intenta a costruire un castello di sabbia insieme a Danièle e non si accorge subito della mia presenza. Lancio un’occhiata densa di significati a Hèlene, che poco più in là si sta assicurando che il piccolo Roger non si allontani troppo dalla riva con il suo salvagente colorato, e vedo che annuisce lentamente nella mia direzione, affrettandosi poi a richiamare a sé la figlia per permettermi di rimanere un po’ da solo con Grace.

- Su, vieni con me e tuo fratello Danièle, andiamo a fare un bagno.

Dice infatti, e mentre la bambina li raggiunge mi avvicino di qualche passo, permettendo così a mia figlia di accorgersi di me mentre mi chino su di lei, cercando il suo sguardo che adesso sembra sfuggente.

- Grace…

La chiamo, tentando di attirare la sua attenzione, ma lei si affretta a rialzarsi in piedi e voltarmi subito le spalle, come se fosse ansiosa di mettere tra noi quanta più distanza possibile. Lo so, non posso certo biasimarla, ha perfettamente ragione, ma io non posso permetterglielo senza averle prima spiegato. Non posso arrendermi così con lei. Mi rialzo anch’io, prendendole la mano e bloccandole così la corsa verso casa, costringendola poi a voltarsi verso di me, anche se continua a tenere gli occhi bassi. La sua espressione triste mi spezza il cuore.

- Grace, tesoro, per favore guardami – comincio, nella speranza di convincerla a rialzare lo sguardo, anche se non me lo merito – ti prego, non fare così. Mi dispiace, non sai quanto mi dispiace…io…ho lavorato fino a tardi, e non mi sono accorto del tempo che passava. Perdonami piccola mia, ti prometto che una cosa del genere non accadrà mai più.

 Odio doverle dire una bugia, ma mi accorgo di non poter fare altrimenti. Non posso certo raccontarle della furiosa lite che ho avuto con sua madre, e…di quello che è successo dopo. I miei problemi con Johanna non c’entrano con lei, non deve risentire di tutto questo, anche se, le domande che mi rivolge subito dopo, mi lasciano completamente spiazzato.

- Hai litigato con la mamma, non è vero? È per questo che lei era così triste stamattina, e che tu sei andato via di casa? Volevi abbandonarci di nuovo, volevi lasciarmi di nuovo sola…

La sua voce si incrina all’improvviso e questo non le permette di finire la frase, perché le lacrime prendono ben presto il sopravvento e io non posso far altro che stringerla forte a me, cercando disperatamente di placare i suoi singhiozzi.

- No, no…come ti è venuta in mente una cosa del genere? Non devi pensarci nemmeno amore mio, sai che non potrei mai abbandonarti, non ora che ti ho finalmente ritrovata. Tu e Logan siete le persone più importanti per me e io vi amo più della mia stessa vita, ricordatelo sempre. Non c’è niente che conti più di questo.

Rialza lentamente lo sguardo verso di me, asciugandosi le lacrime e permettendomi finalmente di specchiarmi nei suoi splendidi occhi chiari.

- Davvero?

Chiede speranzosa e io annuisco con decisione, sfiorandole la fronte con un bacio lieve e stringendola di nuovo, mentre sento che stavolta ricambia il mio abbraccio.

- Ma certo – rispondo, con voce rotta dall’emozione – non devi mai dubitarne.

Ho lasciato che i problemi prendessero il sopravvento su di me, sulla mia vita, permettendo loro di controllarmi e dimenticando completamente le mie responsabilità verso questa bambina meravigliosa che invece si aspetta tanto da me, e io non posso deluderla. Non di nuovo. Mentre la tengo tra le braccia, sentendola pian piano rilassarsi, prometto a me stesso che quello che è successo oggi non dovrà mai più ripetersi. Ho dei precisi doveri verso i miei figli, ed è a loro che devo pensare prima di ogni altra cosa. Si, loro vengono prima di tutto…

 

 

 

 

 

 

 

- Quindi non mi ero sbagliata, quando ho pensato che tra te e Christian ci fossero dei problemi e che tu non fossi più la stessa.

Mi dice Hèlene, mentre sedute nella mia cucina a prendere il thè conversiamo amabilmente da più di mezz’ora, con le risate dei bambini a farci da sottofondo, che allegri, giocano in camera di Grace. Sospiro, giocherellando distrattamente con il cucchiaino e lasciando che il thè che ho davanti si freddi ben presto nella mia tazza, sentendo improvvisamente il mio stomaco chiudersi per l’apprensione. Non sopporto di scivolare in certi fastidiosi argomenti che, fino a quel momento, avevo cercato con tutte le mie forze di evitare. Già, ma non avevo fatto i conti con Hèlene, alla quale non sembra sfuggire proprio niente, compreso il mio umore nero di oggi. Ma quello, ormai, non è certo una novità. Il mio sguardo scivola distrattamente su Logan, profondamente addormentato nel suo passeggino a pochi passi da noi, nella speranza che questo serva a farmi guadagnare tempo dal rispondere alla mia amica, perché…non ho assolutamente voglia di farlo. Non ho voglia di confermare una versione che ormai è evidentemente chiara come il sole, e che di certo non è sfuggita alla sua attenzione, ma quando i miei occhi incontrano i suoi capisco che sta aspettando una risposta e che, a quel punto, non posso più tirarmi indietro.

- Lui sta quasi tutto il giorno fuori – comincio, esitante – non so con chi è né dove va, non so più niente di lui, e non mi interessa nemmeno saperlo. Davanti a Grace ci sforziamo di fingere che vada tutto bene, che la vita scorra serena come al solito, ma quando lei non c’è non ci guardiamo nemmeno in faccia. Lui non mi rivolge la parola, io faccio altrettanto e…va bene così.

- No – ribatte Hèlene – non va affatto bene così, e tu lo sai anche meglio di me. Che cosa è successo Johanna, come mai siete arrivati a questo punto? Ogni volta che parli di Christian la tua espressione cambia completamente, sul serio, non ti ho mai vista così ostile e piena di rabbia come adesso. Ascolta, tu non sei questa, non sei così, e se non ti decidi a tirar fuori tutto ciò che hai dentro nessuno di noi potrà mai aiutarti, lo capisci questo? Parlami, per favore, dimmi…

Il pianto improvviso di Logan non le permette però di finire la frase, e ringrazio il cielo per questo. Perché siamo finiti a parlare di Christian quando io non voglio nemmeno sentirlo nominare, perché non si decide a lasciarmi in pace una volta per tutte? Nessuno sa quello che provo, nessuno può capirlo. So che Hèlene è la mia migliore amica e che parlare con lei mi farebbe bene, ma io non voglio. Non posso proprio, non ci riesco. Sono come…bloccata, intrappolata dentro me stessa in una specie di vortice oscuro che non mi permette nemmeno di respirare, di capire. No, io non voglio più sforzarmi di capire, perché fa troppo male. È tutto troppo doloroso, troppo difficile da sopportare e sento che mi sta distruggendo lentamente, ogni minuto che passa. No, non c’è proprio niente di cui parlare. Mi rialzo in piedi con uno scatto improvviso, prendendo Logan tra le braccia per cominciare a cullarlo lentamente, nella speranza che almeno lui trovi un po’ di pace e che si riaddormenti presto. Ma non lo fa, continua a piangere e strillare senza un perché e mi sembra quasi che le sue urla insistenti mi stiano trapanando il cervello senza pietà, finchè non mi viene una voglia irrefrenabile di mettermi a gridare tutta la mia frustrazione.

- Non è che ha fame?

La voce di Hèlene mi strappa bruscamente a quei cupi pensieri, mentre mi accorgo che mi fissa, leggermente accigliata.

- Ha mangiato appena un’ora fa – rispondo, continuarlo a cullarlo – e non ha bisogno di essere cambiato. Non capisco proprio cosa gli prenda, non ha mai fatto così…e se stesse male?

Quell’assurda paura mi attraversa la mente come uno sparo, facendomi vacillare, e uno strano tremore che mi accorgo di non riuscire a controllare sembra d’un tratto impadronirsi di me, attraversandomi da capo a piedi e terrorizzandomi come non mai. Non può essere…ti prego, fa che stia bene…

Vedo a malapena Hèlene che si avvicina lentamente, acarezzandogli dolcemente le piccole mani come a cercare di rassicurarlo in qualche modo.

- Ma no, non pensare a queste cose – mi sussurra – a volte capita che i bambini si comportino così, ma tu sembri molto nervosa in questo momento e la cosa non lo aiuta di certo a calmarsi. I bambini sono molto empatici a quest’età, probabilmente sente la tua ansia e questo peggiora le cose. Vuoi lasciar provare me?

Annuisco e lei lo prende dalle mie bracia, cominciando a cullarlo a sua volta e canticchiando una dolce ninna nanna che però sembra non avere alcun effetto su di lui, che continua ad agitarsi insistentemente e ad urlare con quanto fiato ha in corpo, gettandomi ancor più nello sconforto. È in quel momento che la porta d’ingresso si apre all’improvviso, rivelando la figura di Christian che si precipita subito verso di noi, l’aria visibilmente tesa e preoccupata.

- Che succede, sta bene?

Chiede allarmato, cercando lo sguardo di Hèlene che gli risponde con un breve cenno di assenso.

- Penso di si, ma non riusciamo a farlo smettere di piangere.

- Lascia che ci pensi io.

Dice, e senza nemmeno aspettare che gli risponda lo prende delicatamente dalle sue braccia e io mi accorgo di essere quasi sul punto di correre a strapparglielo, ma in quel momento accade qualcosa di inaspettato, qualcosa che mi costringe a tornare sui miei passi mentre osservo la scena, senza parole. Nell’attimo stesso in cui Christian stringe il bambino al petto lui smette immediatamente di piangere, accoccolandosi contro di lui con aria pacifica e chiudendo gli occhi mentre prende a cullarlo dolcemente, accarezzandogli la schiena in un ritmico movimento che lo porta ben presto a riaddormentarsi tra le sue braccia.

- Eccoci qui, così va molto meglio, non è vero? Accidenti, che polmoni che hai giovanotto, saresti proprio un ottimo cantante, sai? Ma si, certo che lo saresti. Adesso però si va a nanna…

E così dicendo si avvia lentamente verso le scale, stando bene attento a non svegliarlo mentre lo seguo con lo sguardo, a bocca aperta, senza avere il coraggio di pronunciare una sola parola.

- Bè, in fondo credo che avesse solo bisogno di suo padre!

Esclama Hèlene, sorridendo compiaciuta e io non posso far altro che annuire, scoprendo con sorpresa di trovarmi perfettamente d’accordo con quell’affermazione. Si, forse ha ragione lei, forse aveva davvero bisogno di suo padre…

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


 

- Va bene così, sei stata fantastica!

Esclamo, parlando attraverso il vetro della mia sala registrazioni affinchè Giselle, dall’altra parte della stanza, possa sentirmi. La vedo togliersi le cuffie e allontanarsi velocemente dal microfono per venire a raggiungermi, l’aria soddisfatta e felice di chi ha appena raggiunto un importante obiettivo. E il suo lo è davvero. Finalmente, dopo tanto lavoro, il suo primo album è completo.

- Non riesco a crederci che abbiamo finito, ed è tutto merito tuo!

Dice saltellando gioiosa da una parte all’altra della stanza, e la sua allegria finisce ben presto per contagiarmi inevitabilmente. Non mi ero accorto di quanto avessi bisogno di ridere prima d’ora, di rilassarmi un po’ e liberare la mente da tutti i pensieri tristi e cupi che la popolano, finendo per schiacciarmi senza pietà. Ma non voglio pensarci adesso. No, non ora che siamo nel bel mezzo dei festeggiamenti, anche se questo è solo l’inizio ed entrambi sappiamo che la strada è ancora lunga. O almeno lo so io, ma non sono del tutto sicuro che anche Giselle se ne renda conto, anche se non voglio certo essere io a spegnere il suo entusiasmo. Questa ragazza ha grinta e talento da vendere, e può arrivare molto lontano.

- Guarda che io non ho fatto proprio niente – rispondo, scuotendo la testa divertito – sei tu che hai una voce straordinaria. Solo che siamo ancora agli inizi, lo sai vero?

- Ma certo che lo so, Christian – ribatte, e la sua allegria resta immutata – ma avere te come manager mi fa sentire molto più tranquilla e sicura di me stessa, perciò so che…comunque andrà a finire, sarà ugualmente un successo!

Ride, e la sua risata cristallina echeggia per tutta la stanza, trasmettendomi un senso di gioia e tranquillità che non provavo più da tempo, e che mi fa sentire bene. Nonostante questo, però, mi accorgo di non poter fare a meno di sentirmi un po’ a disagio per quello che è successo tra noi solo poco tempo fa, o meglio, per quello che sarebbe potuto accadere, se io non avessi deciso di fermarmi. Nessuno di noi due da quella volta ha più toccato l’argomento, ma io credo sia arrivato il momento di farlo. Non possiamo continuare a evitare di parlarne come se non fosse mai successo nulla, perché entrambi sappiamo che non è così, e io preferisco mettere le cose in chiaro una volta per tutte.

- Giselle – comincio, quindi -  riguardo quel che è successo tra noi, l’altra volta, vorrei che sapessi che mi dispiace davvero tanto di averti coinvolta. Come ti sarai accorta non ero in me quella sera, stavo attraversando un momento piuttosto difficile, e…ho commesso un errore, e mi vergogno di essermi comportato così. Insomma, tu sei una bellissima ragazza, sei solare, brillante e mi piaci davvero tanto, ma…non vorrei che ti facessi delle strane idee per via di come sono andate le cose, perché tra me e te non potrà mai esserci niente, e voglio che questo sia chiaro. Io amo Johanna, e anche se so che le cose tra noi non stanno andando esattamente come vorrei…non voglio arrendermi, non voglio smettere di sperare. Perciò…

- Non preoccuparti – mi interrompe, impedendomi di continuare la frase – io ho capito, e sono perfettamente d’accordo con te. È stato solo un errore, un errore che non dovrà mai più ripetersi.

Nonostante le sue parole risultino piuttosto convincenti, però, noto un piccolo lampo di tristezza attraversare i suoi grandi occhi azzurri, rendendoli improvvisamente inquieti e sfuggenti al mio sguardo inquisitore. Accidenti, e io che non volevo più sentirmi in colpa…ma sono convinto che le passerà presto, qualunque infatuazione possa nutrire nei miei confronti. È una ragazza forte, e poi le sue priorità sono altre in questo momento.

- Bene – dico infine, rivolgendole uin sorriso rassicurante e coprendole una mano con la mia – sono felice che la pensiamo allo stesso modo. Allora, sei pronta a conquistare Parigi? Si parte tra una settimana!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Perché non posso venire con te?

Chiede Grace, imbronciata, mentre seduta sulle ginocchia del padre, sul minuscolo divano della cucina gli rivolge uno sguardo offeso che lo fa sorridere divertito. Le sue valige sono già pronte in un angolo della stanza, tra qualche ora lascerà questa casa, e io non so nemmeno come sentirmi. Ancora una volta il mio cuore non sembra registrare alcuna emozione, o forse, non vuole farlo. Ma è meglio così. Sento a malapena, dalla mia postazione poco lontana da loro, la sua voce che cerca di spiegarle che non sta andando a Parigi per divertimento ma per lavoro, e che presto, molto presto, la porterà a visitare la città meravigliosa dove è nato, ma per adesso dovrà pazientare un po’ perché non è ancora arrivato il momento. Quella nuova prospettiva sembra farla sentire subito meglio, anche se mi accorgo che fa un po’ fatica ad allontanarsi da lui, oggi. Quando ci si mette, sa essere davvero parecchio soffocante.

- Ma due settimane sono tante…devi per forza stare via per tutto questo tempo?

Christian le accarezza dolcemente i capelli, sorridendole ancora una volta.

- Purtroppo si, ma passeranno in fretta, non preoccuparti. E poi ci sentiremo tutti i giorni.

Risponde. Gli occhi di Grace si illuminano di speranza.

- Vuoi dire che potrò chiamarti ogni momento della giornata?

Domanda, facendolo scoppiare a ridere.

- Bè, magari ogni momento no, potrei non avere la possibilità di risponderti sempre, ma almeno due volte al giorno si.

Dice, strizzandole l’occhio con fare giocoso e rassicurandola ancora una volta.

- Bene, allora ti chiamerò tutte le sere per darti la buonanotte.

- Ci conto!

Le sussurra prima di abbracciarla forte e poi metterla giù, per permetterle di correre a giocare in spiaggia.

- Ti voglio bene papà, mi mancherai. Torna presto, mi raccomando.

Dice, stampandogli un bacio sulla guancia prima di uscire, e lui annuisce nella sua direzione.

- Anche tu mi mancherai, tesoro.

Risponde facendo un lungo sospiro, come se questo potesse dargli la forza di alzarsi finalmente da quel divano e allontanarsi da questa casa. Ma lui non lo fa, non ancora e il suo sguardo sembra indugiare a lungo in ogni angolo di questa stanza, proprio come se volesse imprimerlo nella memoria, prima di incontrare il mio. A quel punto abbasso subito gli occhi, fingendo di fissare un punto indefinito della cucina, tutto, pur di smettere di guardarlo. Pur di sfuggire a quei profondi occhi scuri, attenti come non mai che, non so per quale motivo, oggi sembrano provocarmi uno strano rimescolìo dentro che proprio non mi spiego. Sospiro, passandomi le mani fra i capelli con gesti nervosi e affrettandomi poi a lasciare la stanza, ma la voce di Christian mi blocca a metà strada, costringendomi a fermarmi.

- Johanna – dice piano – non andare, ti prego. Partirò tra qualche ora e starò via per due settimane, hai intenzione di continuare a ignorarmi ancora per molto? Non mi dici niente, nemmeno un saluto? Io…non posso andare via così, non posso partire sapendo che…

Si interrompe all’improvviso, e la sua voce sembra incrinarsi a quelle ultime parole mentre lo sento rialzarsi in piedi, per venirmi più vicino. A quel punto mi irrigidisco e faccio per allontanarmi ma la sua mano, pronta me lo impedisce, stringendosi delicatamente attorno al mio polso e bloccando così qualunque tentativo di fuga da parte mia.

- Per favore, guardami – sussurra, senza lasciarmi andare – non può finire così tra noi. Lo so io e lo sai anche tu, perciò…guardami. Non lasciare che vada via in questo modo, non senza una spiegazione.

Non so perché ma, più continua a parlare, più sento che la rabbia torna prepotente a opprimermi il petto, stringendolo in una morsa dolorosa e impedendomi di respirare, finchè non mi viene una voglia matta di schiaffeggiarlo. Perché, perché non può andarsene senza tante patetiche sceneggiate, qual è il problema? Che cosa spera di ottenere ancora?

- Cosa vuoi che ti dica, Christian – esclamo, voltandomi finalmente verso di lui per lanciargli un’occhiata infastidita, che sembra avere il potere di agitarlo all’istante – che cosa ti aspetti da me? Di quale altra inutile spiegazione hai bisogno per chiarirti le idee una volta per tutte e lasciarmi in pace, quale parte della parola vattene al diavolo non ti è ancora chiara?

Scandisco quelle ultime parole, con rabbia, nella speranza che si decida a mettere fine a questa patetica conversazione che non porterà da nessuna parte, ma lui non ha alcuna intenzione di mollare. Non stavolta, glielo leggo negli occhi. Mi afferra per le braccia con decisione e la sua presa si fa d’acciaio mentre comincia a strattonarmi con forza, nel disperato tentativo di comunicare ancora con me in qualche modo. Ma non ha ancora capito che non ho nulla da dirgli? Non più, ormai.

- Lasciami Christian, toglimi immediatamente le mani di dosso!

Grido al limite della sopportazione, dimenandomi contro di lui nella vana speranza che si decida finalmente a mollare la presa e sparire dalla mia vista, ma ancora una volta decide di tenermi testa, stringendomi con forza crescente fino a farmi male.

- Puoi scordartelo – replica, lanciandomi un’occhiata di fuoco che mi spaventa – non ora che ho tutta la tua attenzione. Dimmelo Johanna, dimmi che tra noi è tutto finito e che non vuoi più avere nulla a che fare con me, dimmelo adesso e sparirò dalla tua vita! Avanti, cosa aspetti?

Continua a scuotermi insistentemente, e io mi accorgo di non poter fare niente per ribellarmi, per fermarlo. Non sono abbastanza forte.

- Lasciami andare!

Provo ancora una volta a urlare, dimenticandomi completamente di Logan che dorme al piano di sopra, ma lui mi bacia improvvisamente, soffocando così le mie proteste e cogliendomi totalmente alla sprovvista. Dopo un attimo di iniziale smarrimento riesco finalmente a reagire, spingendolo via e liberandomi della sua presa con uno strattone prima di mollargli un violento ceffone in pieno viso, che lo coglie di sorpresa.

- Non provarci mai più!

Esclamo furiosa e lui mi guarda, completamente spiazzato dal mio gesto, ma è solo un attimo, poi torna alla carica. Approfitta della mia distrazione per afferrarmi di nuovo per le braccia, tornando a strattonarmi con malo garbo e riprendendo a urlarmi in faccia parole che riesco solo a malapena a comprendere, ormai, nello stato di totale confusione in cui mi trovo. Sento che il cuore comincia a battermi furiosamente nel petto e la testa mi fa un male insopportabile, ma lui non si ferma. Continua a insistere, implacabile, inesorabile, finchè non mi viene una voglia matta di gridargli di smettere, di lasciarmi in pace. E lo farei, lo farei davvero, se solo non avessi l’amara sensazione di avere la lingua incollata al palato. Come se, d’un tratto, non riuscissi più a proferire parola. Non posso, non ce la faccio…

- Dimmi che non mi ami più! Coraggio, dimmelo e facciamola finita!

- Lasciami, mi stai facendo male…

Riesco a replicare, ritrovando improvvisamente la voce e cercando con tutte le mie forze di ignorarlo, anche se so che ormai è tutto inutile.

- Dimmelo, Johanna! Avanti, dimmi che non mi ami più, dimmelo guardandomi negli occhi e ti crederò!

- Christian, basta, per favore…

Sussurro, ed è allora che smetto di lottare, arrendendomi completamente mentre le lacrime prendono il sopravvento, finendo ben presto per annebbiarmi la vista. Sento che qualcosa sta scoppiando dentro di me, spezzandosi irrimediabilmente e lasciando il posto a uno strano calore che, lentamente sembra invadere ogni fibra del mio essere, avvolgendola completamente e abbattendo in un solo colpo tutte le mie barriere, facendomi crollare come un castello di carte, nuda e vulnerabile di fronte a lui che continua a insistere imperterrito.

- Dai, gridami in faccia che non mi ami più e ti giuro su Dio che sparirò per sempre dalla tua vita, ma non ci crederò finchè non lo farai! Dillo!

- Non posso! Io non posso, non posso farlo perché…non è così, non è vero…

Ammetto finalmente, con le ultime forze rimastemi prima che lui molli definitivamente la presa, avvolgendomi in un caldo abbraccio nel quale mi rifugio, scoppiando all’improvviso in un pianto disperato che mi accorgo di non riuscire più a trattenere, aggrappandomi a lui con tutta me stessa come se fosse la mia unica ancora di salvezza…

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


 

Un’ora più tardi siamo seduti sul divano e Johanna è rannicchiata contro il mio petto, con la testa poggiata sulla mia spalla e le dita intrecciate alle mie. Cerco di muovermi il meno possibile, per non spaventarla o agitarla ulteriormente, ora che ha finalmente smesso di piangere. Ha solo bisogno di un po’ di tranquillità, adesso. Improvvisamente la sento sospirare e rannicchiarsi ancora di più contro di me, e questo mi provoca una violenta esplosione di emozioni che faccio quasi fatica a tenere a bada, mentre mi sporgo piano per guardarla ancora una volta. Sembra esausta, spossata ma finalmente un po’ più serena, e sono sicuro che quella terribile crisi che ha appena superato, in fondo, sia servita a qualcosa. Il fatto che abbia smesso di singhiozzare, poi, cedendo a questo dolce torpore post traumatico tipico di quelle situazioni, mi fa sentire molto più tranquillo riguardo le sue condizioni. Sapevo che c’era qualcosa che non andava in lei, che non era più la stessa, ma…non avevo capito, non sapevo che fosse a questo punto. La sua reazione al forte scossone che le ho provocato è stata catartica, e mi ha quasi spaventato. Forse ho esagerato a trattarla a quel modo ma volevo che reagisse, che mi facesse capire che chi avevo davanti era ancora un essere umano e non un fantoccio di carta, privo di emozioni e sentimenti, capace soltanto di sputare sentenze e ferirmi così costantemente. Ora lo so: lei c’è, forse c’è sempre stata, dovevo solo trovare il modo di riportarla in superficie. Di riportarla da me. Restiamo ancora così, stretti l’uno all’altra per un tempo che mi sembra interminabile, senza parlare finchè, d’un tratto, è lei a rompere il silenzio per prima.

- Mi dispiace – dice, e la sua voce è un debole sussurro che faccio quasi fatica a sentire – mi dispiace tanto di averti detto tutte quelle cose orribili, io…non le ho mai pensate davvero, non so nemmeno perché l’ho fatto.

Annuisco, stringendola più forte a me e sentendola rilassarsi pian piano fra le mie braccia.

- Dispiace anche a me – rispondo, sfiorandole la fronte con un bacio lieve – non volevo spaventarti, né farti del male. Volevo solo…

Mi interrompo, percorrendo delicatamente con le dita la morbida curva delle sue braccia, ancora arrossate e doloranti, come se volessi cancellare in un colpo solo tutto il dolore, tutta la pena che le ho causato.

- …che mi parlassi – riprendo, a voce bassa – che mi dicessi che tra noi non poteva finire così, che non ti avrei persa per sempre.

- Tu non mi hai persa, io sono qui.

Risponde gentilmente, muovendosi piano contro di me e stringendomi più forte le mani, facendomi sorridere.

- Sai – prosegue poi, affondando la testa nell’incavo della mia spalla per depositarvi un piccolo bacio, che mi fa rabbrividire di piacere – quando ho recuperato la memoria, è stato…terribile. Tutte quelle emozioni, tutte insieme, ed erano così intense che…credevo di non farcela a gestirle, a sopportarle. Da quel momento, e per tutte le notti a venire non ho fatto che sognare dell’incidente, continuando a rivivere tutte le mie angosce e le paure di quel momento, ogni volta sempre più ricche di orribili particolari, continuando a pensare che non volevo, non potevo perdere il mio bambino…

La sua voce si incrina e sento che è di nuovo sul punto di piangere, così continuo a baciarla e accarezzarla, cercando di rassicurarla ed esortandola a continuare a parlare. E lei non si fa attendere molto.

- A quel punto – riprende, dopo un breve attimo di esitazione – c’era solo una grande rabbia dentro di me, ed era così forte, così potente che ben presto me ne sono sentita sopraffatta, senza via di scampo, così…ho cominciato a riversarla su di te perché avevo bisogno di qualcuno con cui prendermela. Qualcuno a cui dare la colpa per tutto quello che era successo, per provare a sentirmi meglio…ma la cosa non ha funzionato, anzi, ha continuato a peggiorare, finchè non mi è sfuggita di mano e…mi dispiace, perdonami, so che non sei responsabile di ciò che è accaduto e che era assurdo solo pensarlo, e io…mi vergogno tanto per questo. Vorrei solo poter tornare indietro, per…

- Shh – la interrompo, posandole un dito sulle labbra – non pensarci più, ora è tutto a posto. È finita, non devi più avere paura di niente perché tu e Logan siete qui e state bene, e questa è l’unica cosa che conta davvero. Tutto il resto è solo acqua passata, ormai.

La sento sollevare lentamente il bacino, spostandosi quanto basta per potermi guardare negli occhi mentre mi accarezza i capelli e io mi perdo ben presto nel suo sguardo, così puro e limpido da essere in grado di spazzare via immediatamente, e in un colpo solo tutte le mie paure, tutti i miei timori più nascosti per lasciare finalmente il posto a una grande gioia. Una serenità immensa che non provavo più da tanto, troppo tempo…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Grazie per non esserti arreso con me – gli sussurro, specchiandomi in quegli occhi scuri che solo ora ho scoperto di non aver mai smesso di amare – per aver lottato così duramente, solo per riavermi indietro. Tu mi hai affrontata, mi hai sfidata, rimettendo così tutto in discussione e costringendomi a guardare in faccia le mie assurde paure, quella rabbia che mi stava uccidendo, divorandomi dall’interno, permettendomi finalmente di capire, di tornare ad amarti. Perché è così Christian, io ti amo, ti amo tantissimo…

- Anch’io ti amo – dice – non ho mai smesso di amarti.

Poi mi bacia con trasporto, stringendomi forte a sé mentre gli getto le braccia al collo, attirandolo più vicino e affondando le dita tra i suoi morbidi capelli corvini.

- Quando devi essere all’aeroporto?

Mormoro contro le sue labbra, senza smetterle di stuzzicarle dolcemente con le mie.

- Tra qualche ora.

Mi risponde, gemendo piano.

- Allora un po’ di tempo ce l’abbiamo…

Dico, lanciandogli uno sguardo malizioso prima di riprendere a baciarlo con passione, aderendo completamente al suo corpo mentre sento le sue mani accarezzarmi la schiena, modellandola sotto i suoi palmi bollenti e infiammandomi di desiderio di lì a poco.

- Ti amo, ti amo…

Continuo a ripetere, scoprendo con sorpresa quanto sia facile adesso per me pronunciare quelle due semplici parole, chiudendo gli occhi e lasciando ancora una volta che le sue labbra morbide si fondano con le mie, regalandomi intense emozioni che credevo non sarei mai più riuscita a provare. Dio quanto mi è mancato, come ho potuto pensare di poter fare a meno di lui? L’improvviso pianto di Logan, proveniente dal piano di sopra sembra però spezzare quel magico incantesimo venutosi a creare, riportandoci bruscamente alla realtà e costringendoci a staccarci l’uno dall’altra mentre lo sento sospirare, frustrato.

- Come non detto.

Dico sorridendo, osservandolo mentre si rialza in piedi lentamente.

- Vado io.

Dice e mi accorgo di essere quasi sul punto di replicare, ma mi fermo appena in tempo, terribilmente a disagio, e lui comincia a ridacchiare divertito.

- Vedo che certe abitudini sono dure a morire!

Esclama, indovinando subito le mie intenzioni e facendomi scoppiare a ridere. Farabutto, dovrebbe smetterla di leggermi nel pensiero. E io dovrei smettere di preoccuparmi una volta per tutte, lo so, e imparare finalmente a dargli un po’ di fiducia. In fondo, se la merita.

- Certo, vai tu.

Rispondo così, e lui si china su di me per sfiorarmi le labbra con un bacio.

- Torno subito, non muoverti di qui.

- Non ci penso nemmeno.

Lo seguo quindi allontanarsi con lo sguardo per dirigersi al piano superiore, tornando poi qualche minuto dopo con il bambino tra le braccia, già profondamente addormentato sul suo petto. Torna a sedersi vicino a me, muovendosi con delicata attenzione per evitare di svegliarlo di nuovo. Sorrido, accarezzando dolcemente la testa di mio figlio prima di posargli un piccolo bacio sulla fronte.

- Ma come fa il tuo papà a essere così bravo con te e farti subito addormentare, me lo spieghi? Chissà cos’avranno di tanto speciale le sue braccia, voglio provarle anch’io.

Sussurro, avicinandomi di più e catturando le sue labbra in un bacio che lo coglie di sorpresa, indugiandovi a lungo fin quasi a fargli mancare il respiro.

- Ehy…ci sono dei minorenni qui.

Mi riprende, scherzoso.

- Allora riportalo nel suo lettino.

Rispondo, lanciandogli un’occhiata maliziosa che vale più di mille parole.

- Su, saluta la mamma. Ciao ciao, mammina.

Dice, prima di riavviarsi lentamente su per le scale e tornare subito dopo, di corsa, ansioso di ricominciare ciò che avevamo appena iniziato.

- Allora – mormora, prendendomi fra le braccia – dov’è che eravamo rimasti?

- Direi…proprio qui.

Dico, riprendendo a baciarlo dolcemente, ma in quel momento il suono improvviso del campanello ci costringe a staccarci bruscamente, di nuovo, mentre impreco sottovoce.

- Accidenti – lo sento dire – mi sa che oggi non è proprio giornata!

Rido.

- Già, concordo con te.

Poi vado ad aprire, trovandomi davanti Grace che, non appena rimette piede in casa, comincia subito a strillare di gioia facendoci trasalire entrambi.

- Che bello, non parti più?

Esclama rivolgendosi a suo padre, e solo allora lo vedo abbassare gli occhi sul suo orologio da polso, sussultando quando si accorge di che ore sono.

- In realtà…sono in un ritardo spaventoso, devo sbrigarmi!

E così dicendo si rialza velocemente in piedi, abbracciando Grace per l’ultima volta e spedendola subito dopo a fare la doccia, mentre lo osservo prendere le sue valige con una piccola stretta al cuore che cerco di mascherare con un sorriso, affrettandomi ad accompagnarlo fuori. Mi abbraccia.

- Chiamami quando arrivi, non farmi stare in pena.

Gli sussurro e lui annuisce, sorridendo.

 - Quando torno ricominciamo da capo.

Dice prima di baciarmi sulle labbra, frettolosamente mentre gli butto le braccia al collo e mi stringo a lui, respirando forte il suo profumo e percorrendogli la mascella con una serie di piccoli baci morbidi che lo fanno rabbrividire di piacere.

- Se continui così non risponderò più di me e finirò per prenderti qui, su queste scale.

Lo sento dire, circondandomi la vita con le braccia e guardandomi intensamente, provocandomi un intenso fremito che mi fa tremare le ginocchia.

- Mmm…minaccia allettante…

- Quanto ci mette Grace a fare la doccia?

Rido, dandogli un colpetto giocoso sul braccio.

- Devo andare.

Continua poi, più serio, ed è allora che mi prende all’improvviso una voglia irrefrenabile di non lasciarlo partire, di tenerlo qui e non permettergli di allontanarsi da me.

- Non andare a Parigi – mi sfugge dalle labbra socchiuse, prima ancora che possa rendermene conto – non partire con quella donna, io…

- Johanna – mi interrompe, prendendomi il viso tra le mani e guardandomi dritto negli occhi – amore, non c’è niente tra me e Giselle e non ci sarà mai, perché per me esisti solo tu. Sei tu l’unica donna della mia vita e non devi essere gelosa, né di lei né di nessun’altra. Io amo te, soltanto te, perciò smettila di preoccuparti.

Sorrido, sfiorandogli le labbra con un bacio.

- Ti amo anch’io.

Dico, poi mi sciolgo dolcemente dal suo abbraccio, seguendolo con lo sguardo mentre si allontana da me, sparendo ben presto dalla mia vista mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime cocenti, che mi accorgo di non riuscire più a trattenere…

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Parigi è esattamente come la ricordavo, così piena di luci e di colori, così…viva. Ci metti veramente poco a essere sopraffatto dai suoi ritmi frenetici, che finiscono per assorbiti prima ancora che tu te ne renda conto e senza un attimo di tregua. Siamo qui da appena qualche giorno e Giselle comincia già a firmare autografi a ogni passo, proprio come una vera star della musica. Il suo primo concerto è stato un successone e lei è stata semplicemente fantastica, sembra nata per muoversi sul palcoscenico e le sue canzoni hanno già fatto impazzire un numero spropositato di ragazzi di tutte le età, che cercano di intrufolarsi arbitrariamente nel suo camerino anche solo per poterla vedere da vicino, oppure per lasciarle dei fiori. Se le cose continueranno di questo passo avrà presto bisogno di una guardia del corpo, anche se io e Max non ce ne stiamo preoccupando troppo per il momento. Siamo molto orgogliosi di lei e del lavoro svolto, e sicurissimi che allo scadere di queste due settimane riuscirà anche a scalare le migliori classifiche musicali, scavalcando i più grandi cantanti in voga. È una sfida che voglio assolutamente portare a termine, anzi, sono già sicuro che presto avremo la vittoria in mano. Unico neo: non ho un minuto libero, e questo non facilita di certo le comunicazioni con la mia famiglia, che finiscono per essere inevitabilmente ridotte al minimo, e che alla fine mi lasciano dentro una piccola punta di insoddisfazione che non riesco proprio a colmare. Ma stasera voglio assolutamente provare a farlo, così, approfittando di questi pochi minuti liberi che adesso ho a disposizione, prima dell’inizio del prossimo concerto, decido subito di salire nella mia camera d’albergo per chiamare Johanna. Lei e i bambini mi mancano moltissimo, e me ne rendo conto ancora una volta non appena sento la voce allegra e gioiosa di Grace, che  dall’altro capo del filo mi saluta festosamente, facendomi subito sentire a casa.

- Papà, che sorpresa! Come stai? Mamma arriva subito, sta finendo di rivestire Logan proprio adesso. Sai, oggi lo abbiamo portato in spiaggia per la prima volta, ma non certo a fare il bagno, è ancora troppo presto per lui, e poi il bagnino nuovo ha cominciato a flirtare con la mamma. Le ha detto che è bellissima e all’inizio ci ha persino scambiate per sorelle, non riusciva a credere che fossi sua figlia, dice che è troppo giovane per avere una bambina della mia età! Ma insomma, mi ha dato della bambina, te ne rendi conto?

Rido.

- Oh, immagino che per te debba essere stato terribile subire un simile affronto!

La prendo scherzosamente in giro.

- Altrochè, non puoi immaginare! Quando capiranno che sono già una signorina, e non una stupida bimbetta viziata e frignosa?

Esclama, alzando la voce più di quanto sia necessario e riuscendo quasi a sfondarmi i timpani. Già, nessuno come lei è in grado di confondermi le idee e fare assomigliare in poco tempo il mio cervello a un ingombrante ammasso di ovatta assolutamente indefinibile. A volte supera di gran lunga sua madre in queste cose, e io che credevo non fosse possibile…

- E poi – continua, senza nemmeno prendere fiato – ho sentito che la mamma lo raccontava a Hèlene stasera, e ha anche detto che quel bagnino era davvero un figo da paura!

- Grace! Piantala immediatamente e dammi subito quel telefono!

A questo punto l’urlo soffocato di Johanna in sottofondo mi fa scoppiare a ridere, mentre la sento sostenere una piccola battaglia con quella peste di nostra figlia prima di riuscire a impossessarsi definitivamente del telefono, per rispondermi di lì a poco.

- Allora, che stai combinando – le dico, in tono di finto rimprovero – cos’è questa storia del bagnino? Devo metterti sotto chiave o venire lì a spaccare la faccia a questo figo da paura, che osa flirtare con te! Glielo hai detto che sei proprietà privata del sottoscritto, vero?

La sento ridere.

- Non devi far caso a quello che dice Grace, lo sai che esagera sempre! Fai attenzione tu, piuttosto, a quello che combini!

Replica con una punta di sarcasmo, facendomi scuotere la testa divertito mentre alzo gli occhi al cielo, anche se non può vedermi. Mi parla poi delle condizioni di salute di Benedicte, piuttosto preoccupanti a quanto pare, visto che è stata ricoverata in ospedale per via di un improvviso malore e che adesso è tenuta sotto stretta osservazione, considerato che i medici hanno parlato di gravidanza a rischio. Accidenti, non ci voleva proprio. In quel momento la voce di Max, che dietro la porta della mia stanza mi richiama ai miei doveri mi riporta bruscamente alla realtà, costringendomi a chiudere in fretta quella telefonata e a liquidare così Johanna con poche battute, senza sapere se e quando riuscitò a richiamarla stavolta.

- Ti amo.

Le sussurro, prima di mettere giù il ricevitore e precipitarmi fuori dalla porta, richiudendomela poi alle spalle con uno scatto deciso. Sospiro, ancora una volta pronto ad affrontare la serata che mi aspetta. Ci siamo, si va in scena. Il concerto sta per cominciare…

 

 

 

 

 

 

 

Quel pomeriggio Laly viene a trovarmi a casa, e dopo aver fatto una lunga chiacchierata decidiamo di uscire a passeggiare sulla spiaggia. Il sole sta per tramontare  e Logan, avvolto nella sua copertina azzurra, si agita fra le mie braccia alla vista del mare, proprio come se volesse avvicinarsi di più fin quasi a toccarlo. I suoi occhietti vispi e attenti cominciano a osservare il mondo che lo circonda con crescente curiosità e questo mi riempie di gioia, perché significa che sta venendo su davvero bene e che, se continua così, presto lo vedrò correre a piedi nudi sulla sabbia insieme a Grace, a giocare e divertirsi felice come tutti gli altri bambini. Christian ha ragione, il pericolo è passato e finalmente posso rilassarmi anch’io. I miei incubi notturni sono spariti insieme all’ansia che mi attanagliava il petto, lasciando il posto a un gran senso di pace e tranquillità che però sembra non essere completa, adesso che Christian non è qui con me. La verità è che mi manca terribilmente, e quest’attesa mi sta logorando i nervi. Sono ancora molti i giorni che ci separano, ma io li conto ogni volta che ne ho l’occasione, nell’assurda speranza che possano diminuire e che questo basti a riportarlo da me. Dio, sono proprio fuori di testa. Sembro una liceale alle prese con la sua prima cotta, ma non posso farci niente se il mio Cri Cri adorato mi fa sempre questo effetto e se sono totalmente, irrimediabilmente pazza di lui.

- Guarda, quello laggiù non è Josè?

La voce improvvisa di Laly mi distrae ben presto dai miei pensieri, costringendomi a voltarmi nella direzione da lei indicata. Si, è proprio lui. La sua sagoma, china sulla sabbia è inconfondibile. Quando lo raggiungiamo, assorto com’è nei suoi tristi pensieri ci mette un po’ ad accorgersi della nostra presenza, ma basta un piccolo vagito di Logan a catturare ben presto la sua attenzione.

- Ehy…guarda un po’ chi c’è! Ciao piccolo ometto, che ci fai da queste parti?

Ecco, è sempre così, ormai non mi guardano nemmeno più in faccia. Da quando il bambino è nato mi sembra di essere diventata praticamente invisibile per il resto del mondo, come se fossi improvvisamente finita in un universo parallelo dove nessuno mi conosce, perché tutte le attenzioni ormai sono solo ed esclusivamente per lui e devo anche considerarmi fortunata se, ogni tanto, qualcuno si degna di rivolgermi la parola. È una situazione talmente assurda e grottesca che a volte non so se ridere o piangere, ma una cosa è certa: la nascita di un figlio ti cambia completamente la vita. Già, ed è quello che sto cercando a spiegare a Josè mentre, insieme a Laly, discutiamo ormai da un po’ della complicata situazione che sta vivendo con Benedicte.

- Si, ma quello non è mio figlio!

Puntualizza lui per la centesima volta, facendomi sbuffare, frustrata. Accidenti, a volte ha testa più dura del marmo. Possibile che non capisca?

- Questo non puoi saperlo.

Ribatto, decisa più che mai a tenergli testa.

- Ha ragione – mi fa eco Laly, prendendo Logan dalle mie braccia e coccolandolo un po’, cimentandosi poi in una serie di buffe smorfie che lo fanno sorridere – non dovresti pensare a questo adesso, ma solo ed esclusivamente a tua moglie e a quanto stia male in questo momento. Lei è in ospedale a lottare per la sua vita e per quella che porta in grembo mentre tu stai qui, come un salame a perdere del tempo prezioso, quando invece dovresti stare al suo capezzale.

Annuisco, perfettamente d’accordo con quelle parole.

- Ha bisogno di te, Josè – sussurro – è questa la cosa più importante adesso, quella che conta di più al mondo, perciò…non lasciarla sola. Corri da lei e restale vicino, aiutala a superare questo difficile momento.

Mi guarda confuso e io cerco la sua mano, stringendola fra le mie.

- Io so che la ami ancora, nonostante tutto – proseguo poi – non lasciare che il tuo orgoglio vi divida, ascolta solo il tuo cuore.

Sorride, scuotendo lentamente la testa.

- Da quando sei diventata così saggia?

Mi prende in giro, dandomi un leggero spintone che però rischia di farmi finire lunga distesa sulla sabbia mentre, fingendo una smorfia infastidita lo colpisco sul braccio, scoppiando poi a ridere.

- Da quando tu sei diventato così stupido! Oh scusami, è vero…dimenticavo che lo sei sempre stato!

Scherzo, ma stavolta è lui a guardarmi incredulo.

- Che cosa hai detto?

- La verità!

Puntualizzo, senza riuscire a smettere di ridere e contagiando ben presto sia lui che Laly, mentre mi accorgo che una leggera brezza comincia a pizzicare le mie braccia scoperte, facendomi rabbrividire.

- L’aria si è fatta più fresca, sarà meglio che riporti Logan a casa. Vi fermate per cena?

- No – risponde Josè, scuotendo la testa con decisione – ti ringrazio ma non ho molta fame, e poi se mi affretto magari faccio in tempo a rientrare nell’orario delle visite.

Mi strizza l’occhio impercettibilmente e io sorrido.

- Saggia decisione.

Sussurro, battendogli affettuosamente una mano sulla spalla e annuendo soddisfatta prima di salutarlo e tornare a casa insieme a Laly, che invece decide di rimanere a tenermi compagnia. Quella sera ordiniamo una pizza ( Grace non c’è, rimane a dormire da Hèlene) e guardiamo un film alla tv, poi, dopo aver fatto tardi a chiacchierare e mangiare quintali di patatine la mia amica mi augura la buonanotte, avviandosi lentamente verso casa mentre io controllo Logan ancora una volta, prima di decidere di andare anch’io a dormire. Mi spoglio con gesti lenti, e mentre indosso il mio morbido pigiama do un’occhiata veloce all’orologio da parete: sono le due del mattino. Non sento Christian da ieri sera, chissà che fine avrà fatto e come sarà andato il concerto. Bè, non mi resta che scoprirlo. E poi, anche se è tardi, non voglio andare a letto senza prima avergli dato la buonanotte. Mi affretto così a comporre il suo numero di telefono ma, quella che sento subito dopo, dall’altra parte non è affatto la sua voce, e questo mi gela il sangue nelle vene.

- Pronto, sono Giselle…si, Christian è proprio qui, vicino a me e siamo rientrati in camera già da un pezzo. Si è appena addormentato, è esausto poverino e non vorrei disturbarlo, la nostra è stata una lunga serata…

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


- Christian, sei ancora lì? Sbrigati, o finiremo per perdere l’aereo!

La voce di Giselle, che ferma all’imbocco del corridoio mi fissa con aria perplessa cattura ben presto la mia attenzione, fino a quel momento tutta per il mio telefono cellulare, che non faccio che girarmi e rigirarmi tra le mani da un paio di giorni ormai. Sbuffo per l’ennesima volta, osservandone il display con aria assorta prima di farlo sparire nella tasca dei miei jeans, scuotendo la testa rassegnato. Sono giorni che cerco di mettermi in contatto con Johanna, ma senza risultato. Ogni volta che provo a chiamarla risponde sempre Grace e, dopo poche chiacchiere, tutto ciò che sa dirmi è che sua madre è parecchio impegnata e che quindi non può mai venire al telefono. Insomma, è semplicemente assurdo, e se non la conoscessi bene penserei che…si, che si fa negare apposta, per evitare di parlare con me, ecco. Ma no, non può essere, come fanno a venirmi in mente certe idee? Prima che partissi abbiamo parlato a lungo, e lei mi ha finalmente confidato tutte le paure e le angosce che si portava dentro e che non la facevano stare bene, rendendola così strana ai miei occhi, quindi…è tutto a posto. Lei sta bene ora, ci siamo chiariti e tra noi va tutto alla grande. Ma allora perché non risponde mai, nemmeno agli sms che le invio durante la giornata? Possibile che sia davvero così impegnata da non avere il tempo di parlarmi anche solo per cinque minuti? Che cosa sta succedendo? Non riesco proprio a capirlo.Ma forse, come al solito, mi sto preoccupando per niente. E poi farei meglio a sbrigarmi, dobbiamo essere all’aeroporto tra poco e l’ultima cosa che voglio fare è perdere l’aereo che mi riporterà finalmente a casa, tra l’altro con due giorni di anticipo rispetto alla data ufficiale di ritorno. Volevo comunicarle la bella notizia ma, pensandoci bene, forse è meglio così. Vorrà dire che le farò una sorpresa. Già, non vedo l’ora di riabbracciare lei e i bambini, mi sono mancati così tanto.

- Si, arrivo subito Giselle.

Mi affretto a rispondere, trascinandomi dietro le mie valige che sembrano essere diventati ancora più pesanti da quando sono partito, o forse, sono solo io a essere più stanco. Anzi, completamente esausto. Non vedo l’ora di buttarmi sul letto e dormire per giorni, se Grace me lo permetterà, s’intende. A proposito, quando vedrà il nuovo gioco per x-box che le ho comprato impazzirà di gioia, ne sono sicuro.

- Ma insomma, possibile che debba sempre venire a recuperare te o il tuo telefono da qualche parte che sembra non essere mai quella giusta?

Mi rimprovera scherzosamente mentre ci avviamo verso l’ascensore, facendomi scoppiare a ridere.

- È vero – ammetto – hai perfettamente ragione, non so proprio come farei se non ci fossi tu. E, a proposito di questo, ti ringrazio tanto per aver ritrovato il mio cellulare l’altra notte. Accidenti, mi ero spaventato a morte pensando di averlo perso!

Mi sorride dolcemente.

- Per fortuna mi sono accorta che lo avevi lasciato nella hall, sbadatone che non sei altro, così te l’ho riportato subito!

Annuisco lentamente.

- Già, sei stata un vero tesoro. Pensa se me lo avessero rubato, o se proprio in quel momento avessi ricevuto una chiamata importante, magari da parte della mia famiglia. Sai com’è, con due bambini piccoli in casa non si riesce mai a stare tranquilli, ho sempre paura che possa succedere loro qualcosa, specie quando non sono presente.

Mi guarda, rivolgendomi ancora una volta un sorriso rassicurante.

- Ma no – dice – puoi stare tranquillo. Non hai ricevuto proprio nessuna chiamata.

 

 

 

 

 

 

 

Il rumore della porta d’ingresso che si apre all’improvviso mi fa trasalire, così mi affretto a raggiungere il piano di sotto, stando bene attenta a dove metto i piedi per evitare di ruzzolare giù per le scale, vista l’enorme quantità di roba che tengo tra le mani. Ma ho appena finito di scendere l’ultimo gradino che me lo ritrovo davanti, l’aria stanca e segnata, ma non appena mi vede i suoi occhi scuri sembrano illuminarsi d’un tratto, mentre i lineamenti del suo volto si distendono ben presto in un piccolo sorriso che, anziché rincuorarmi o farmi sentire meglio, mi provoca esattamente l’effetto opposto.

- Ah, sei qui – è tutto ciò che riesco a dire, fingendo una tranquillità che non mi appartiene – bè, non scomodarti a disfare le valige, anzi, aggiungici pure questi stracci e vattene fuori dai piedi!

Lancio con rabbia tutti i suoi vestiti facendoli atterrare in un angolo del pavimento, ai suoi piedi, mentre mi fissa esterrefatto.

- Johanna, ma cosa…

- Tornatene da dove sei venuto – lo interrompo, stavolta urlando, senza più riuscire a tenere a bada l’angoscia che mi attanaglia il petto ormai da giorni – e portati dietro quella maledetta sgualdrina con cui per tutto questo tempo hai pensato bene di dividere il letto!

Vedo il suo sguardo sconcertato posarsi distrattamente sulla montagna di stoffa sgualcita che giace abbandonata ai suoi piedi, prima di incontrare il mio, scuotendo lentamente la testa come se non credesse alle proprie orecchie.

- Si può sapere di che diavolo stai parlando, sei diventata completamente pazza, per caso?

Balbetta con gli occhi sgranati, indietreggiando istintivamente di qualche passo non appena si accorge dello sguardo di fuoco che gli sto intanto lanciando. No, non ho nessuna intenzione di controllarmi, non voglio più farlo.

- Si – esplodo così, ancora una volta – hai ragione, sono stata proprio una pazza a credere che fossi cambiato, a fidarmi di te ancora una volta quando invece non lo meriti affatto! Amo solo te, sei tu l’unica donna della mia vita… e invece no, sono tutte stronzate! Sei il solito patetico traditore e bugiardo di sempre, e io sono solo una stupida! Come ho potuto, come ho fatto a essere così dannatamente idiota da cascarci un’altra volta? Perché? Perché ti diverti tanto a prenderti gioco di me in questo modo, credevi che non lo avrei mai scoperto, vero? Credevi che non sarei mai venuta a sapere di come te la sei spassata a Parigi, con quella sciacquetta slavata senza un grammo di cervello?

- Adesso basta – replica, guardandomi storto – smettila di urlare in questo modo, o finirai per svegliare Logan! E poi si può sapere perché ti sei messa a tirare in ballo Giselle, adesso? Non permetterti mai più di offenderla, tu non la conosci nemmeno!

- Tu invece si, non è vero? Tu la conosci molto bene…bè, visto che le cose stanno così va pure dalla tua amata allora, raggiungila e vai a vivere con lei se la cosa ti fa piacere. Non mi interessa minimamente!

Sbuffa spazientito, incrociando le braccia al petto.

- Johanna tu stai vaneggiando, te ne rendi conto?

- Fai silenzio, non voglio nemmeno ascoltarti! Mi fai schifo!

Dico con disprezzo, muovendo qualche passo verso di lui e intimandogli ancora una volta di sparire dalla mia vista, di non farsi mai più vedere in questa casa. Ho passato dei giorni d’inferno per colpa sua, ma adesso basta. Ha finito di farmi soffrire così, non gli permetterò mai più di continuare a giocare in questo modo coi miei sentimenti. Ogni volta che chiudo gli occhi mi sembra ancora di poter sentire la voce di quella donna, e ora lui…lui si comporta come se non ne sapesse nulla, come se avesse improvvisamente perso la memoria. Bene, ci penserò io a rinfrescargliela una volta per tutte!

- Piantala di fare la commedia, Christian – continuo, fuori di me – io so tutto, hai capito? So tutto! Qualche sera fa ho provato a chiamarti sul cellulare, era molto tardi e mi ha risposto Giselle! Lei mi ha…mi ha detto che eravate tornati in camera da un pezzo, e che tu eri esausto e stavi dormendo…

- C…Cosa? – mi interrompe, con gli occhi sgranati – No, non può averti detto una cosa del genere. Non può averlo fatto!

- Si, invece!

Grido ancora una volta, senza riuscire a trattenermi.

- Ascolta, non è possibile che lei ti abbia parlato in questo modo. Sei davvero sicura di aver capito bene, non è che si tratta solo di un malinteso?

Un malinteso? Che fa, mi prende in giro adesso? Non posso credere che dica sul serio.

- Di un po’ – ribatto, avvicinandomi pericolosamente – mi hai preso per una stupida, per caso? So bene cosa ho sentito! Credi forse che me lo stia inventando?

- No – si affretta a dire, scuotendo la testa con decisione e sollevando le mai in segno di resa – penso solo che…

- Ti ho detto di stare zitto – lo interrompo per l’ennesima volta, frustrata – non mi interessa affatto quello che pensi, voglio solo che tu te ne vada. Adesso!

Mi chino sulla montagna di stoffa che giace ancora in un angolo del pavimento, pescando biancheria a caso e afferrandola con entrambe le mani prima di cominciare a strapparla furiosamente, sotto i suoi occhi esterrefatti in un’espressione basita, che mi fa venire improvvisamente voglia di stringere le dita attorno al suo collo e strangolarlo, così come si fa con le galline. Come può continuare a fingere così bene, che cosa spera di ottenere? Vuole farmi perdere la testa? Bè, c’è riuscito benissimo. Gli è bastato un secondo per trasformare tutto ciò che avevamo costruito finora in…niente, carta straccia gettata al vento. Senza valore. Già, ed è proprio in carta straccia che io adesso ridurrò tutti i suoi vestiti.

- Johanna fermati, ti prego…che stai facendo?

Cerca di rabbonirmi, ma non ha ancora capito che io ho appena cominciato.

- Ecco fatto! Tanto questi non ti servono più, visto che non riesci mai a tenertelo nelle mutande!

Esclamo, ignorandolo e strapppando il suo terzo paio di boxer per scaraventarglielo poi addosso, con rabbia, mentre sento a malapena ciò che dice.

- Ti ho detto di fermarti, subito! Fammi capire bene, discutiamo di questa cosa da persone civili…no, che fai? Quella no, per favore…

- Intendi…questa qui, per caso?

Dico con aria di sfida, sventolando sotto il suo naso una maglietta bianca e azzurra che conosco bene, e che so essere la sua preferita. Il rumore secco dello strappo che ho appena provocato a quella stoffa, già lisa e leggermente scolorita dal tempo lo fa trasalire mentre digrigna i denti in un’espressione di dolore, come se avesse appena ricevuto un pugno nello stomaco.

- La mia maglietta…l’hai distrutta…

È tutto ciò che riesce a dire, seguendola con lo sguardo mentre gliela butto ai piedi, ormai ridotta miseramente in pezzi.

- Ecco – esclamo, annuendo soddisfatta – sono sicura che adesso ti starà molto meglio addosso, ma se non la vuoi…non preoccuparti, posso sempre decidere di usarla come carta igienica!

Mi lancia uno sguardo sinistro che mi affretto a ricambiare, rialzandomi in piedi con uno scatto deciso prima di lanciarmi su di lui, cominciando a spintonarlo e a colpirlo sul petto ripetutamente, nel disperato tentativo di allontanarlo da questa casa.

- Vattene via – riprendo a gridare, sentendo il sangue ribollirmi nelle vene – stai lontano da me, non voglio vederti mai più!

- Johanna, non fare così…

Cerca invano di opporre resistenza, prendendomi per le braccia e scuotendomi con forza ma io mi ritraggo, liberandomi della sua presa con uno strattone e precipitandomi poi ad aprire la porta.

- Vattene – ripeto a denti stretti, scandendo bene le parole e guardandolo come se volessi incenerirlo – fuori di qui. Subito!

- No – ribatte, sostenendo il mio sguardo con fatica in un ultimo, disperato tentativo di farsi ascoltare – non puoi dire sul serio. Ascoltami, per favore…non c’è niente tra me e Giselle, non abbiamo mai dormito nella stessa stanza. Non so perché ti ostini a pensare il contrario e non so cosa vi siate dette tu e lei, ma sono pronto a giurarti sulla mia vita che tra noi non c’è stato assolutamente nulla, e non potrà mai esserci. Ti prego Johanna, cerca di ragionare. Non gettare al vento tutto quello che abbiamo, non mandarmi via. Tu non puoi…

- Vattene!

Sibilo per l’ennesima volta, irremovibile, impedendogli di finire la frase mentre lo vedo abbassare lo sguardo, decidendosi finalmente a trascinare fuori le sue valige, con la testa china e le spalle curve, sconfitto e ferito dalle mie parole prima di richiudersi lentamente la porta alle spalle, lasciandomi, nonostante tutto, in balia di un terribile senso di vuoto che mi opprime il petto, togliendomi il respiro mentre sento le lacrime cominciare a pungermi le palpebre. È allora che crollo in ginocchio, prendendomi la testa fra le mani e scoppiando ben presto in un dirotto pianto che mi accorgo di non riuscire proprio a controllare. È finita, stavolta è finita davvero, per sempre…

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Non so da quanto tempo mi trovo qui, seduto sulla sabbia, con le valige abbandonate ai miei piedi e lo sguardo perso nel vuoto. Potrebbero essere passate sei ore, o forse cinque minuti, ma nello stato di totale confusione in cui mi trovo è difficile dirlo. Vorrei solo…poter riavvolgere il nastro e tornare indietro nel tempo, per cercare di capire. Insomma, qual è il problema? Perché Johanna è così convinta che tra me e Giselle sia successo qualcosa a Parigi e, soprattutto, che lei glielo abbia addirittura confermato, rispondendo al telefono al mio posto? No, ha sicuramente capito male, non è possibile che Giselle le abbia detto una cosa del genere, e poi…perché diavolo avrebbe dovuto rispondere al mio cellulare? È semplicemente assurdo. Io non ho mai…

Un momento.

E se…no, quando l’ho lasciato nella hall, credendo invece di averlo perso e lei me lo ha riportato, ha detto che non c’era stata alcuna chiamata. Per quale motivo avrebbe dovuto mentirmi? Ma se, solo per ipotesi…lo avesse fatto? Se Johanna avesse davvero ragione…

Devo scoprirlo, e l’unico modo che ho per farlo è parlare con Giselle. Si, non c’è altra soluzione. Almeno chiariremo le cose una volta per tutte, risolvendo definitivamente questo assurdo mistero che mi sta facendo impazzire. Spinto così da una rinnovata determinazione mi rialzo in piedi con uno scatto deciso, e senza nemmeno preoccuparmi di portare con me le valige mi avvio velocemente verso casa sua, dall’altra parte della spiaggia.

- Christian – esclama, sorpresa, non appena viene ad aprirmi la porta – che ci fai qui a quest’ora? Credevo che la tua intenzione fosse quella di correre a casa e metterti a dormire per un mese di fila!

Ride, ma non appena incrocia il mio sguardo, che rimane invece serio e concentrato, capisce subito che qualcosa non va.

- Che è successo?

Mi chiede infatti, l’aria improvvisamente preoccupata mentre si affretta a farmi entrare. Sospiro profondamente, passandomi le mani tra i capelli e scompigliandoli nervosamente prima di decidermi a rispondere.

- Bè…vorrei saperlo anch’io. È per questo che sono qui, infatti.

Dico a voce bassa, incrociando il suo sguardo curioso. Comincio poi a raccontarle di questa assurda situazione venutasi a creare con Johanna e delle sue urla isteriche che, se chiudo gli occhi, mi sembra ancora di poter sentire, e alla fine lei scoppia in una fragorosa risata che mi coglie di sorpresa, lasciandomi completamente spiazzato.

- Non posso crederci…mi stai veramente dicendo che ha pensato che tra noi ci fosse qualcosa, e ti ha addirittura detto di aver sentito la mia voce rispondere al tuo telefono? Accidenti, certo che ne ha di fantasia! Senti Christian, non offenderti per quello che sto per dirti, ma comincio a credere seriamente che quella donna abbia davvero bisogno di un bravo neurologo! Insomma…avevo capito che avesse un problema di gelosia nei miei confronti, questo era più che evidente, ma da qui a mettere in piedi un’assurdità come questa…

- Quindi puoi confermarmi che tu e lei non avete mai parlato al telefono, e che non le hai mai detto che stavamo dividendo la stessa camera?

Ripeto ancora una volta, tanto per esserne sicuro.

Mi guarda, allibita.

- Ma certo che no – esclama, senza riuscire a smettere di ridere – mi spieghi perché avrei dovuto farlo? Santo cielo, questa è la più grossa stupidaggine che abbia mai sentito in vita mia!

Dovrei sentirmi rincuorato da questa sua risposta, finalmente più leggero per aver chiarito la situazione, ma…la verità è che non ci riesco, perché tutto ciò che provo in questo momento è solo una fastidiosa sensazione di vuoto allo stomaco che ancora una volta mi fa stare male. È davvero possibile, quindi, che Johanna si sia inventata tutto? Il suo astio nei confronti di Giselle era così forte da indurla a raccontarmi tutte quelle bugie, al solo scopo di mettermi contro di lei? Oppure…oppure comincia ad avere strane allucinazioni che la mandano fuori di testa. Se le cose stanno davvero così, significa che…Johanna non sta ancora bene, non come invece voleva farmi credere. Probabilmente è ancora molto scossa da tutto quello che è stata costretta a subire in quest’ultimo periodo, e questo è il risultato. La mente le fa brutti scherzi. Se solo ripenso a quello che mi ha urlato in faccia, alla sua espressione furiosa mentre mi intimava di andarmene via, di lasciarla in pace…

No, non sta affatto bene, e questa nuova consapevolezza mi fa un male insopportabile.

- Mi dispiace – balbetto, palesemente a disagio – non avrei mai voluto presentarmi qui, a casa tua e di punto in bianco, mettendoti di fronte a una situazione…

- Non devi scusarti – mi interrompe, rivolgendomi un sorriso rassicurante – non è colpa tua. Sono solo…davvero dispiaciuta che tu sia costretto a vivere una realtà del genere, subendo continuamente le angherie di una donna che non ci sta con la testa. In tutta sincerità, Christian, credo che tu debba prendere dei seri provvedimenti, e se fossi in te lo farei il più presto possibile.

Abbasso lo sguardo, sentendomi improvvisamente colpevole. Non sopporto di sentirla parlare di Johanna in questo modo, ma non posso certo darle torto. Se continuo a ignorare il problema, a far finta che non esista non risolverò certo le cose, e potrei finire per peggiorare la situazione ancora di più. Oggi Giselle, domani potrebbe essere…qualcos’altro. No, non posso permetterlo ed è vero, devo fare qualcosa, ma per il momento potrei limitarmi almeno a cercare di calmare le acque. Certo, ed è proprio quello che ho intenzione di fare adesso.

- Giselle, ascolta – dico d’un tratto, colto da un’ispirazione improvvisa – so che ti chiedo molto, ma non lo farei se non fosse veramente importante. Ecco, io…vorrei che tu venissi con me, a casa mia, e che spiegassi a Johanna che le cose non sono andate come dice, che ha preso un abbaglio e…che la tranquillizzarsi in qualche modo, almeno per ora. Forse, coinvolgendoti, potrei riuscire a rimettere le cose a posto, a convincerla che ciò che crede di aver sentito in realtà non è mai accaduto.

La vedo annuire lentamente, e il suo sorriso resta immutato.

- Ma certo – risponde – se questo può servire a farti stare più tranquillo.

- Bene, non sai quanto ti sono grato per l’aiuto che mi stai dando. Questa è davvero una cosa più grande di me e, a questo punto, non ho la minima idea di come fare a gestirla.

Mi prende la mano, cercando il mio sguardo.

- Lo so, e ti prometto che proverò a darti una mano. Non sei solo, ricordalo sempre.

Dice gentilmente e io la ringrazio ancora una volta, ma, non appena mi volto per guadagnare l’uscita insieme a lei e provare finalmente a parlare con Johanna, sento che qualcosa di duro e pesante mi colpisce alla testa, con violenza, provocandomi un dolore sordo che mi costringe a piegarmi su me stesso. Crollo in ginocchio, premendomi la nuca con entrambe le mani, nel disperato tentativo di mettere a tacere quell’improvvisa, insopportabile sofferenza mentre sento che le forze mi abbandonano lentamente, prima che tutto intorno a me diventi buio…

 

 

 

 

 

 

- Grace, tesoro, faresti meglio ad andare a letto. Si è fatto tardi. Su, dammi quel telefono.

Le sussurro, nella speranza che si decida finalmente a smettere di provare a chiamare suo padre che, da oggi pomeriggio, ha il telefono staccato. Sospira profondamente poi si volta verso di me, gli occhi bassi e un’espressione ferita che mi spezza il cuore ancora una volta.

- Perché non risponde? Io…volevo solo dargli la buonanotte, non riesco a dormire se non gli do la buonanotte. Perché non mi vuole parlare?

Mi chiede di nuovo, e di nuovo non so cosa risponderle. Perché è proprio di questo che si tratta: Christian non vuole parlare con sua figlia. Non c’è altra spiegazione possibile, avrà staccato il telefono per concentrarsi sulla sua…nuova vita amorosa, insieme a quella donna. Ma certo, sarà con lei adesso, a spassarsela e ridere di come sia stato semplice prendermi in giro e liberarsi finalmente di me. Ma può continuare a strapparmi il cuore e calpestarlo finchè gli pare se è questo che vuole, non mi importa, ma non riesco proprio a tollerare che ci vada di mezzo la bambina. Lui è prima di tutto un padre adesso, e come tale ha dei doveri precisi ai quali non può sottrarsi, e invece…non fa che continuare a ferirla col suo comportamento da stupido irresponsabile, e io non sopporto di vederla così. Non sa ancora che Christian è tornato da Parigi, non ho avuto il coraggio di dirglielo. Mi avrebbe fatto troppe domande, e io non posso raccontarle tutto quello che è successo oggi, non posso dirle che ho cacciato di casa suo padre e che lui adesso è andato a vivere insieme a quella…Dio, non riesco nemmeno a definirla, e non voglio farlo. Non più. L’unica cosa che desidero è dimenticare tutta questa brutta storia il più presto possibile, ma…non posso. Non così. Non se a pagare le spese delle sue bravate dev’essere soprattutto Grace. Non ho idea di cosa dire alla mia bambina, non sono pronta per affrontare questa cosa con lei, anche se so bene che prima o poi sarò costretta a farlo. Mi avvicino di più, togliendole delicatamente il telefono di mano e accarezzandole la testa, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio e guardandola con affetto.

- Amore, ascolta, non è che papà non voglia parlarti, probabilmente è solo…molto impegnato in questo momento, ma vedrai che domani risponderà. Ora però cerca di tranquillizzarti, ok? Dai, vieni qui, dammi un bacio e poi fila subito a letto!

La vedo finalmente sorridere, probabilmente sollevata dalle mie parole mentre mi schiocca un sonoro bacio sulla guancia prima di dirigersi al piano di sopra, lasciandomi dentro un’orribile senso di colpa di cui, lo so bene, non riuscirò a liberarmi tanto facilmente. Detesto dover mentire a mia figlia, ed è tutta colpa sua. Soffoco un singhiozzo disperato, coprendomi la bocca con la mano ed è a quel punto che un moto di rabbia incontrollabile mi investe da capo a piedi, facendomi quasi capitolare. Non avrei mai pensato di riuscire a detestarlo in questo modo…lui non può trattarci così. No, non può farlo.

 

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Quando riapro gli occhi la prima cosa che sento è una fitta lancinante alla testa, così forte da farmi sussultare. La mia mano si muove automaticamente verso il punto dolorante, massaggiandolo energicamente ma, quando la ritraggo, mi accorgo con stupore che è sporca di sangue. Accidenti, ma che diavolo è successo? Mi sento come se mi avesse appena investito un camion e, cosa peggiore, non so nemmeno dove mi trovo. Provo a guardarmi intorno ancora una volta, nell’assurda speranza di riuscire a capire se questo posto buio e maleodorante faccia parte di un terribile incubo oppure della realtà, ma ad ogni minimo movimento sento la mia testa pulsare in modo insopportabile, allora sono costretto a fermarmi. A chiudere gli occhi, anche se non lo vorrei. Anche se preferirei capirne di più su questa situazione assurda. Mi costringo così a rialzare lentamente lo sguardo, cercando disperatamente di ignorare il dolore e dare finalmente un volto a quella figura esile e scura che, in piedi davanti a me, con le braccia incrociate al petto mi studia con una strana, indecifrabile espressione dipinta sul viso.

- Ti sei svegliato, finalmente. Devo dire che ci hai messo un  bel po’, e la cosa cominciava seriamente a preoccuparmi. Non pensavo di averti colpito così forte, dopotutto.

Dice seria e io la fisso, confuso.

- Di…di che stai parlando – biascico stancamente, lottando per tenere gli occhi aperti – che cosa mi hai fatto Giselle, dove…

Mi blocco all’improvviso, cercando con fatica di rialzarmi in piedi ma, per quanti sforzi faccia, mi accorgo di non esserne in grado. C’è…qualcosa che mi blocca. Dannazione, ma cosa…

È allora che i miei occhi cominciano lentamente ad abituarsi al buio e che mi accorgo, con orrore, che una delle mie mani è incatenata a un grosso tubo d’acciaio tramite delle pesanti manette, che ogni minuto che passa sembrano quasi stringere con forza crescente la pelle attorno al mio polso, finendo ben presto per farla sanguinare. Do un violento strattone, cercando invano di liberarmi e imprecando più volte ad alta voce, facendole curvare le labbra in una fastidiosa risatina di scherno che improvvisamente mi fa ribollire di rabbia.

- Giselle – grido con quanto fiato ho in corpo, cercando ancora una volta di ignorare il dolore alla testa – se questo è uno scherzo non mi piace per niente! Avanti, liberami subito, si può sapere che diavolo hai intenzione di fare?

- Su, cerca di calmarti adesso – risponde con accento mellifluo, avvicinandosi di qualche passo e piegando la testa di lato per guardarmi più da vicino – agitarti così non ti servirà a niente, qui nessuno può sentirti. Sei nella mia cantina, in un posto sicuro, dove non potrai più fuggire via.

 La fisso in preda a una crescente agitazione, cercando, con scarsi risultati, di decifrare le sue parole.

- Di cosa stai parlando, che cosa vuoi dire?

Esclamo, fuori di me mentre con la mano libera comincio a trafficare freneticamente nelle tasche dei miei jeans, alla ricerca del mio cellulare. Dannazione, dev’essermi caduto da qualche parte.

- Cercavi questo?

La sua voce mi costringe a rialzare lo sguardo e vedo che mi sventola il telefono proprio sotto al naso, ritraendolo poi con uno scatto improvviso quando tento di afferrarlo.

- Dammelo subito – sibilo a denti stretti, lanciandole un’occhiata di fuoco – perché ti comporti così, a che gioco stai giocando?

Sorride con disprezzo, e i suoi occhi chiari hanno uno strano scintillio che non mi piace. La guardo, turbato, improvvisamente incapace di emettere suono. Dio, non la riconosco quasi. Sembra…così diversa, e questo mi spaventa.

- Mi dispiace, ma non ti permetterò di tornare da lei – la sento dire, a voce bassa – hai già sofferto abbastanza per colpa sua e non lascerò che ti rovini ancora la vita. Devi dimenticarla Christian, quella donna non ti merita. Tu non hai bisogno di lei.

Poi se ne va, raggiungendo in fretta la porta e aprendola lentamente, lasciando così entrare un piccolo cono di luce che mi ferisce gli occhi e che per un attimo, solo per un attimo sembra rischiarare quel luogo angusto e senza via d’uscita, prima di richiudersela alle spalle e lasciarmi lì, completamente solo e immerso nell’oscurità mentre in preda al panico comincio a urlare tutta la mia frustrazione, ritrovando d’un tratto la voce.

- Giselle, non puoi andartene, non puoi lasciarmi qui! Torna indietro! Toglimi immediatamente queste manette e lasciami andare, mi hai sentito? Giselle!

Il mio grido disperato echeggia inutilmente nel buio, mentre sento che la testa ricomincia a pulsare dolorosamente…

 

 

 

 

 

 

Mi siedo ai piedi del letto di Benedicte, sistemando il passeggino vicino a me mentre il mio sguardo scivola distrattamente su Logan, che continua a dormire profondamente praticamente da quando siamo arrivati. Sospiro, voltandomi poi verso la mia amica che mi guarda con uno splendido sorriso stampato sul volto. Sono davvero felice che l’abbiano finalmente dimessa dall’ospedale, anche se dovrà riguardarsi e stare a riposo almeno fino alla fine della gravidanza, ragion per cui non potrà assolutamente occuparsi del locale, cosa che la fa andare fuori di testa. Già, è così meticolosa e attenta nel suo lavoro e non sopporta di non poter avere la situazione sotto controllo, anche se solo temporaneamente. Per fortuna Hèlene si è offerta di occuparsi dell’attività per tutto il tempo che sarà necessario, se non altro questo dovrebbe renderla un po’ più tranquilla. Almeno spero. Nonostante tutto, comunque, sembra molto felice in questo momento, e io credo di sapere bene il perché.

- Sono davvero contenta che le cose tra te e Josè si siano finalmente sistemate.

Dico infatti, e lei annuisce lentamente.

- Si – risponde, esitante – bè, a dire il vero…non sta andando esattamente come speravo, ma è finalmente tornato a casa, e questo è già qualcosa. Ha promesso che mi starà vicino, almeno fino alla fine della gravidanza. Poi, quando nascerà il bambino, spero che…

Si interrompe bruscamente, ed è allora che i suoi occhi sono improvvisamente attraversati da un fugace lampo di tristezza, che non sfugge certo alla mia attenzione. Mi avvicino di più, coprendole una mano con la mia.

- Devi solo avere un po’ di pazienza – le sussurro – sai com’è fatto, no? È orgoglioso e testardo, e ha bisogno dei suoi tempi, ma il fatto che sia tornato da te significa già molto. Josè ti ama, credimi, e non ha mai smesso di farlo. Nonostante tutto. Abbi fiducia, e le cose torneranno a posto.

Annuisce ancora una volta, stringendo la mia mano mentre cerca il mio sguardo.

- Lo so. Anch’io lo amo tanto, e spero davvero che un giorno riesca a perdonarmi per quello che gli ho fatto.

Si accarezza delicatamente la pancia, ormai piuttosto evidente sotto la sua camicia da notte attillata, poi sorride.

- Sai – continua – sono sicurissima che questo bambino sia suo. Non chiedermi come, ma io lo so, riesco a sentirlo…non posso sbagliarmi. Ma…parliamo di te piuttosto, e di questo piccolino che sta crescendo sempre più sano e forte, ogni giorno che passa.

Indica il passeggino e io lo spingo lentamente nella sua direzione, permettendole così di osservarlo meglio.

- Oh, sembra così dolce e tranquillo in questo momento. Sai, credo che stia cominciando ad assomigliare tanto a Christian, ha proprio i suoi occhi.

Dice, e il solo sentirlo nominare mi provoca una violenta stretta al cuore che cerco con tutte le mie forze di ignorare, mentre provo a sorridere ancora una volta.

- Immagino che questi giorni senza di lui per te siano un po’ difficili. Non è ancora tornato da Parigi, vero?

- No – mi affretto a rispondere, un po’ troppo precipitosamente – non ancora.

Non posso raccontarle la verità, perché non saprei nemmeno da che parte cominciare. Cos’è che dovrei dirle, che Christian mi ha tradita e che adesso è andato a vivere con la sua amante, dimenticandosi completamente anche dei suoi figli e tenendo il telefono costantemente staccato, da più di un giorno ormai? Quest’orribile consapevolezza mi provoca un improvviso brivido lungo la schiena che per un attimo mi fa vacillare, ma io…non posso. Non devo. Ho promesso a me stessa che non mi sarei fatta schiacciare da tutto questo, che sarei stata forte stavolta, per Grace e Logan, che sono le mie uniche ragioni di vita ormai. Si, è per loro che devo andare avanti, da adesso in poi. Sono ancora così piccoli e hanno tanto bisogno di me e io non posso deluderli, non posso abbandonarli. Sono l’unico genitore rimastogli ora che suo padre ha deciso di voltar loro le spalle, di non cercarli più, e non riuscirò mai a perdonarlo per questo. Respiro profondamente e chiudo gli occhi, riaprendoli subito dopo, un po’ più padrona di me stessa mentre mi accorgo che Benedicte mi studia a lungo, l’aria seria e concentrata prima di chiedermi: - Johanna, sei sicura che vada tutto bene? Non so…mi sembri un po’ pallida, oggi.

- Ma certo – rispondo, sforzandomi di ricacciare indietro le lacrime e ostentando una sicurezza che invece non provo affatto – è tutto a posto. Sto benissimo.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


L’improvviso scricchiolìo della porta che si apre mi fa sussultare mentre tendo l’orecchio, nel buio, ascoltando i suoi passi echeggiare sul pavimento, sempre più vicini. Provo a sollevare lo sguardo verso di lei, ma la testa mi fa così male da impedirmi anche i movimenti più semplici, mentre mi accorgo di fare davvero fatica a tenere gli occhi aperti. Il debole fruscio del suo vestito cattura la mia attenzione prima che si chini su di me, lentamente, sfiorandomi il braccio libero con le sue dita gelide e facendomi trasalire ancora una volta. Mi ritraggo bruscamente dando l’ennesimo, violento strattone alle manette che mi trattengono il polso, imprecando dal dolore quando avverto di nuovo il calore del sangue che scivola piano sulla mia pelle, avvolgendola ben presto in ogni sua parte. Sono terribilmente stanco, spossato e sento che le forze mi stanno via via abbandonando, ma non posso mollare proprio adesso. Non così. Devo uscire da questo posto, e devo farlo il prima possibile.

- Ti ho portato qualcosa da mangiare, Christian – dice, e la sua voce mi arriva come un’eco indistinta che solo a malapena riesco a comprendere – e questa volta faresti meglio ad accettarlo. Sei molto debole, hai bisogno di mettere qualcosa sotto i denti.

Mentre i miei occhi si abituano lentamente all’oscurità, la vedo spingere nella mia direzione un piatto ricolmo di una strana pietanza verdognola che proprio non riesco a definire, ma che dall’odore sembra non promettere niente di buono. Volto la testa dall’altra parte, nauseato. Se si aspetta che mangi del cibo preparato da lei è soltanto una povera illusa.

- Fammi uscire da qui.

Ripeto per l’ennesima volta, con un filo di voce, costringendomi a guardarla in faccia prima di vederla rimettersi in piedi, sovrastandomi dall’alto con la sua figura esile che adesso mi sembra quasi di vedere per la prima volta. E forse, è davvero così. Come ho fatto a non accorgermi subito di che razza di squilibrata avessi di fronte, come ho potuto frequentarla per tutti questi mesi senza mai rendermene conto? Ma soprattutto, come ho potuto dubitare così di Johanna, finendo invece per fidarmi di lei? Dannazione, avrei dovuto capirlo subito che stava mentendo, che mi ha mentito fin dal primo istante, cercando di minare le sicurezze della donna che amo al solo scopo di ferirla, di confonderle le idee, allontanandola da me per sempre. E c’è riuscita, c’è riuscita benissimo, ma io non le permetterò di rovinare ancora le nostre vite, dovesse essere l’ultima cosa che faccio.

- Non vuoi mangiare? Peggio per te, allora. Volevo darti almeno la possibilità di consumare l’ultimo pasto della tua vita, ma se sei così testardo da rifiutare ancora una volta…bè, non posso mica costringerti.

Ribatte ignorandomi, e ci vuole un po’ prima che, nello stato in cui mi trovo, riesca a dare un senso alle inquietanti parole che le ho appena sentito pronunciare.

- C…Cosa stai…cercando di dire – balbetto, esasperato e in preda all’agitazione – di che parli, Giselle? Io non…

Mi interrompo bruscamente, fiutando l’aria mentre il cuore comincia a battermi all’impazzata e un’orribile sensazione di puro terrore si impadronisce via via di me, costringendomi ancora una volta a rimanere lucido, in ascolto. Si, devo provare con tutte le mie forze a rimanere lucido, a sfuggire a questo strano torpore che sembra appesantirmi le membra ogni minuto che passa, minacciando di impadronirsi di me. Ma no, non posso permetterlo. Io devo resistere, devo essere forte.

- Rispondimi, maledizione – grido così, all’improvviso, e sento che la mia testa ricomincia a pulsare dolorosamente – cos’è questa puzza di bruciato?

 

 

 

 

 

Questa mattina sono tornata al lavoro, non ce la facevo più a rimanere a casa. La verità è che ho bisogno di tenere la mente il più possibile impegnata, e cercare con tutta me stessa di scacciare via l’immagine di Christian e Giselle insieme che, forte e prepotente, torna a farsi spazio dentro di me e quando meno me lo aspetto, come un’istantanea indelebile, facendomi desiderare di morire. Anche adesso, sommersa da milioni di documenti di cui occuparmi e con Logan che dorme vicino a me, comodamente adagiato nel suo passeggino, mi rendo conto di fare davvero fatica a trattenere le lacrime. Allora cerco di concentrarmi sulla voce di Laly, che seduta di fronte a me nella sua scrivania non fa che ripetermi che non c’era bisogno che tornassi così presto, che avrei potuto prendermi ancora tutto il tempo che volevo, perché tanto lei se la cava benissimo anche da sola e altre sciocchezze simili, che non ho nemmeno voglia di ascoltare. Respiro profondamente ancora una volta, cercando di far entrare nei miei polmoni quanta più aria possibile nell’assurda speranza che questo basti a calmarmi i nervi, già terribilmente tesi e provati da tutta questa assurda situazione che faccio fatica a reggere. Sono stanca, veramente a pezzi già di primo mattino e, come se non bastasse, devo anche cercare di tenere a bada le continue proteste di Grace che non fa che piagnucolare e lamentarsi da mattina a sera, pretendendo spiegazioni sullo strano comportamento del padre che io non potrò mai darle. Non me la sento ancora. E, in fondo, come si fa a spiegare a una bambina della sua età che suo padre si è dimenticato di lei, che ha preferito voltarle le spalle per concentrare invece tutte le sue attenzioni su un’altra donna, e che da questo momento vivrà felice e contento insieme a lei fregandosene della sua famiglia e di tutti i suoi doveri? Mi prendo la testa fra le mani, liberandomi la fronte dai capelli mentre sento che Laly ricomincia a parlare, e la sua voce è quasi come carta vetrata che con forza crescente ferisce ogni centimetro della mia pelle, facendomi venire di nuovo voglia di scoppiare a piangere. E di nuovo sono costretta a trattenermi, sforzandomi invece di sollevare lo sguardo verso di lei, che adesso si è alzata in piedi e si sta lentamente avvicinando al passeggino con un ampio sorriso dipinto sul volto.

- Ma guardalo, è così tenero che ogni volta che lo osservo mi viene una gran voglia di strapazzarlo di baci. Ma come ha fatto una pazza scatenata come te a mettere al mondo un capolavoro del genere? Non sembra nemmeno tuo figlio!

Scherza, strizzandomi l’occhio e chinandosi a sfiorare con un dito la pelle morbida del mio bambino. La guardo, assolutamente incapace di ricambiare il suo sorriso, mentre spero con tutte le mie forze che non si accorga della pena infinita che opprime il mio petto, dilaniandomi lentamente dall’interno. Senza pietà. Mi accorgo poi che sta per agiungere qualcosa ma l’arrivo improvviso di Nicolas glielo impedisce, e forse anche l’espressione preoccupata che possiamo chiaramente leggere sul suo volto teso.

- Johanna – dice subito e, non so perché, ma il suo strano tono di voce mi fa sussultare – ascoltami, c’è qualcosa che dovresti sapere ma…ti prego, non spaventarti…

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


- Ho appena dato fuoco alla casa.

Dice semplicemente, e i suoi occhi vitrei incontrano i miei per un brevissimo istante prima che mi sieda vicino, scivolando lentamente lungo la parete per poi rannicchiarsi su se stessa, proprio come se volesse improvvisamente nascondersi, affondando la testa fra le ginocchia e lasciandosi andare a un lungo sospiro rassegnato che mi provoca un intenso brivido lungo la schiena. Per un attimo credo di non aver afferrato del tutto il senso delle sue parole. Ma si, non c’è altra spiegazione possibile, forse…sto sognando, sto solo avendo un terribile incubo e sono sicuro che tra poco mi sveglierò e mi ritroverò a casa mia, nel mio letto e con Johanna al mio fianco, che mi chiederà se ho dormito bene e poi mi informerà che ha appena preparato la colazione, e che farei meglio ad alzarmi subito se non voglio che si freddi tutto…

Ma il fatto che sia particolarmente terrorizzato e che stia cominciando a sudare freddo, purtroppo, non lascia molti dubbi in proposito…si, ho davvero capito bene. L’incubo è realtà, e io mi sento morire.

- No, non è possibile…io…io non ci credo, non puoi averlo fatto…

Comincio a balbettare parole sconnesse, in preda al panico mentre il cuore prende a battermi furiosamente nel petto e la mia vista si annebbia di nuovo, minacciando di farmi perdere i sensi da un momento all’altro. Ma, ancora una volta, cerco di farmi forza. Se crollo adesso sarà finita per sempre, non avrò più alcuna via di scampo.

- Si, invece – risponde lei e la sua voce è d’improvviso atona, il suo viso privo di espressione, come se fosse in stato di trance – te l’ho appena detto, e l’incendio comincerà presto a propagarsi dappertutto, fino a raggiungerci qui sotto per portarci via con sé. Resta con me Christian, non lasciarmi sola. Resta con me…

Continua a ripetere come un’inquietante litania, abbracciandosi le ginocchia e dondolandosi avanti e indietro in uno strano, patetico tentativo di autoconsolazione. Questa donna è pazza, completamente pazza, e io devo assolutamente trovare un modo per fuggire da qui prima che sia troppo tardi. Già, ma cosa posso fare? Qualcosa mi dice che urlare e strepitare non servirebbe a nulla ormai, sono sicuro che non mi ascolterebbe nemmeno, e poi non ho più la forza per farlo. Sono esausto e dolorante, la testa continua a pulsare in modo insopportabile e dubito di riuscire a tenere gli occhi aperti ancora per molto. No, devo cercare di risparmiare le ultime forze rimastemi e, l’unico modo per farlo, è giocare d’astuzia.

- Giselle – comincio così, nella speranza di riuscire ad attirare la sua attenzione – sei una bellissima ragazza, così solare e divertente e con tutte le carte in regola per riuscire a sfondare, per avere finalmente il successo che meriti, ma allora…perché hai deciso di farla finita? Io…non capisco, non capisco proprio, cosa può esserci di così terribile da spingerti a compiere un gesto estremo come questo…

- Io non merito di vivere -  mi interrompe d’un tratto, senza però voltarsi a guardarmi – mio padre me lo diceva sempre e, sai una cosa? Aveva proprio ragione. Si, aveva ragione a gridarmelo contro ogni notte, quando, completamente ubriaco si divertiva a rincorrermi intorno al tavolo della cucina per picchiarmi. E ci riusciva sempre alla fine, sai? Non puoi sfuggirmi, mi diceva, è colpa tua se tua madre è andata via e mi ha abbandonato qui, completamente solo e con una stupida figlia a carico che non è nemmeno in grado di prepararmi da mangiare!

Si ferma bruscamente, asciugandosi le lacrime con gesti furiosi e prendendo a massaggiarsi energicamente le braccia, la mente persa in quell’orribile passato di cui solo ora vengo a conoscenza, mentre un’improvvisa sensazione di gelo si impadronisce via via del mio petto, stringendolo in una morsa dolorosa che faccio veramente fatica a ignorare. L’odore acre e pungente del fumo si fa intanto sempre più forte intorno a noi e mi riempie ben presto le narici, togliendomi quasi il respiro e facendomi tossire più e più volte. Ci siamo, le fiamme stanno per raggiungerci, riesco a vederle sotto la porta. No, non è la fine, non può esserlo. E io non posso arrendermi.

- Un ex poliziotto col pallino della giustizia – prosegue, dopo un breve momento di silenzio – questo era mio padre, costretto a rinunciare a quel ruolo per via di un incidente che gli ha stroncato la carriera da un momento all’altro, senza via di scampo, trasformandolo in poco tempo in un violento e psicopatico alcolista. Mia madre, stanca dei suoi continui soprusi decise un giorno di lasciarlo per fuggire con un altro, finendo così per abbandonare anche me. Fu in quel momento che mi trasformai a mia volta nel giocattolo preferito dell’unico genitore rimastomi, in qualcuno su cui sfogare tutte le sue frustrazioni, ma…io ero solo una bambina, e l’unica cosa che riuscivo a capire era che rivolevo indietro quel padre affettuoso e amorevole che era sempre stato, prima che quel dannato incidente lo cambiasse completamente rendendolo ai miei occhi un perfetto estraneo. Un estraneo dal quale scappare via, per sempre. E lo feci, a sedici anni, quando la mia passione per la musica, l’unica in grado di farmi sentire viva mi portò lontano da quella casa e mi fece conoscere Max, il tuo socio in affari a Parigi. Il resto…lo sai già.

Sospiro, cercando il suo sguardo sfuggente e addolorato e scoprendo che è più vicina di quanto pensassi, tanto da permettermi di coprirle una mano con la mia, cercando così di darle almeno un po’ di conforto. Il suo tremendo racconto mi ha sconvolto, lasciandomi completamente spiazzato. Non credevo, non potevo nemmeno immaginare che la sua infanzia fosse stata tanto difficile e dolorosa da vivere, segnando irrimediabilmente il suo corpo e soprattutto la sua mente, ormai palesemente instabile.

- Mi dispiace tanto – dico sinceramente, e la vedo finalmente voltarsi a guardarmi – mi dispiace che tu sia stata costretta a subire tutto questo, ma non permettere che il tuo passato prenda il sopravvento su di te in questo modo. Sii forte Giselle, non sei responsabile di ciò che è succcesso, non meriti affatto di morire e so che anche tu, nel profondo del tuo cuore pensi la stessa cosa, esattamente come me, perciò…non buttare via la tua vita in questo modo, cerca di reagire. Andiamo via da qui, ti scongiuro, prima che sia troppo tardi per entrambi.

 Le fiamme hanno raggiunto la cantina ora e rischiarano tutto l’ambiente circostante, permettendomi di vederla sorridermi tra le lacrime mentre si avvicina di più, guardandomi con una strana luce negli occhi.

- Tu sei così buono, Christian – mi sussurra con affetto – sei stato il primo a credere in me, a ridarmi un po’ di fiducia in me stessa, ricordandomi che sono prima di tutto un essere umano e non un fantoccio da torturare e utilizzare a proprio piacimento. Ma è proprio per questo che non posso lasciarti andare, io ho tanto bisogno di te…ti prego, non lasciarmi qui da sola, non tornare da quella donna. Non farlo, resta con me…

Scuoto lentamente la testa, continuando disperatamente a lottare per riuscire a tenere gli occhi aperti, e ancora una volta osservo quelle lingue di fuoco che, adesso, guadagnando velocemente terreno, minacciano di venirci addosso da un momento all’altro.

- Giselle, per favore – continuo a parlare, in un ultimo disperato tentativo di salvarmi la vita, anche se so che ormai è troppo tardi – ascoltami, liberami da queste manette e permettimi di tornare a casa mia. Se non vuoi farlo per me, o… per Johanna, fallo almeno per i miei bambini. Hanno bisogno di avere il loro padre vicino.

Mi interrompo solo per un momento, chiudendo gli occhi e lottando ancora con me stesso cercando di convincermi a non mollare, a continuare a resistere il più possibile, per poter uscire vivo da questo inferno.

- Per favore – ripeto, con l’ultimo filo di voce rimastomi – non lasciare che i miei figli crescano senza di me. Grace ha solo dieci anni e fino a poco tempo fa non sapevo nemmeno della sua esistenza, e io non posso, non posso rinunciare a lei in questo modo. Non adesso che l’ho finalmente ritrovata. E Logan…lui è così piccolo e ho ancora tante cose da insegnargli, perciò…te lo chiedo ancora una volta, ti prego, non lasciare che cresca senza una figura paterna vicino. Non permettere che entrambi crescano come sei cresciuta tu, sola e disperata, senza qualcuno che ti guidasse, che ti proteggesse dimostrandoti un po’ d’affetto… lascia che almeno loro abbiano un padre…

Quelle ultime parole sembrano scuoterla nel profondo mentre la vedo alzarsi di scatto, gli occhi sgranati e un’espressione addolorata dipinta su quel viso da bambina prima che, con mia grande sorpresa cominci a trafficare nei suoi jeans, tirandone fuori, poco dopo, qualcosa di estremamente piccolo e dorato. Una chiave. La fisso, speranzoso, tirando un sospiro di sollievo quando mi accorgo che mi libera in fretta il polso, permettendomi così di rimettermi finalmente in piedi, o almeno di provare a farlo, visti i continui e violenti capogiri che mi investono senza preavviso, rischiando più volte di farmi capitolare.

- Vai via – dice, lasciando che le lacrime che sta versando scivolino liberamente sul suo volto scarno – lascia questo posto e fai in fretta, prima che possa pentirmi di quello che sto facendo.

- No Giselle, non me ne andrò senza di te.

Rispondo, deciso, ma lei scuote la testa con convinzione, alzando improvvisamente la voce e intimandomi di nuovo di andarmene da lì al più presto.

- Non mi hai sentita, sei diventato sordo per caso? Ti ho detto di andartene subito! Corri, prima che sia troppo tardi!

- No – insisto, imperterrito – non ti lascerò qui, non ti permetterò di ucciderti in questo modo! Vieni via con me, sbrigati, non vedi che qui sta crollando tutto?

Le fiamme hanno ormai avvolto almeno più della metà della stanza, rendendomi difficile, se non impossibile il cammino verso la porta. Ma non mi arrendo, usciremo entrambi vivi da tutto questo.

- Vieni – esclamo, afferrandole il polso con decisione e trascinandola via con me – ti porterò fuori di qui, che tu lo voglia oppure no!

La guido con decisione verso l’uscita, risalendo rapidamente le scale e ignorando le sue continue proteste mentre mi riparo il viso con una mano, cercando disperatamente di farmi largo tra quelle fiamme ardenti che però continuano a colpirmi senza sosta, facendomi urlare di dolore ogni volta che bruciano la mia pelle attraverso i vestiti. Ma io non posso fermarmi, non ora che sono quasi riuscito a raggiungere la salvezza. Ma è allora che la mano di Giselle sguscia improvvisamente dalla mia, sfuggendo al mio controllo mentre mi urla di continuare a correre, di non preoccuparmi per lei e di lasciarla lì, nell’unico posto dove merita di stare.

- Smettila di delirare, cazzo – esplodo, confuso e al limite della sopportazione – non sai nemmeno quello che stai dicendo! Vieni via da lì, attenta!

Ma è troppo tardi, e non mi resta altro da fare se non rimanere esattamente dove sono, pietrificato dallo choc un attimo prima che il tetto le crolli addosso, schiacciandola sotto il suo peso mentre le fiamme avvolgono velocemente il suo corpo, nascondendolo ben presto alla mia vista.

- Nooo! Giselle, perché…

Urlo disperato, anche se so che ormai è troppo tardi, e che lei non può più sentirmi. Devo uscire da qui, subito. Mi precipito fuori con uno scatto deciso, dubitando seriamente di riuscire ancora a tenermi in piedi ma continuando comunque ad avanzare, zoppicando verso la spiaggia, e l’aria fresca che in un attimo riempie i miei polmoni è l’ultima cosa che riesco a sentire prima che le poche forze rimastemi mi abbandonino completamente, facendomi accasciare sulla sabbia stremato e privo di sensi...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Che succede, si tratta di Grace per caso? Per favore, dimmi che sta bene…avanti, parla!

Esclamo allarmata, scattando in piedi all’improvviso come se mi avesse appena morso una tarantola e precipitandomi nella sua direzione, accorgendomi solo allora delle due valige scure che tiene tra le mani e che, purtroppo, conosco molto bene.

- No, stai tranquilla, Grace non c’entra. Sta bene, sta giocando sulla spiaggia. Si tratta di Christian, piuttosto.

Ancora una volta il suo nome mi provoca una violenta stretta al cuore, che mi costringe ad abbassare lo sguardo mentre stringo con forza i lembi del mio vestito, come se quel gesto potesse servire a calmarmi in qualche modo, a darmi la forza necessaria per sopportare ciò che sta per dirmi e che, lo so bene, non mi piacerà affatto.

- Sono ore che cerco di mettermi in contatto con lui – continua Nicolas – ma senza risultato. Il suo telefono risulta sempre spento, immagino che anche tu te ne sarai accorta e la cosa non è proprio da lui. Inoltre, poco fa, mentre tornavo a casa dal lavoro ho trovato queste abbandonate sulla spiaggia, e sono più che sicuro che gli appartengano. Ecco, guarda.

Si china sulle valige che ha appena posizionato al centro dell’ufficio, sotto gli occhi miei e di Laly che osserva la scena con aria stranita, come se non capisse dove il nostro amico comune voglia andare a parare.

- Ma…scusate, credevo che non fosse ancora tornato da Parigi – dice infatti, perplessa – allora che diavolo ci facevano le sue valige incustodite sulla spiaggia?

- Già, è quello che vorrei sapere anch’io.

Risponde Nicolas, aprendole con uno scatto deciso e mostrandoci i vestiti che trova al loro interno. Si, sono proprio i suoi, senza alcun dubbio e questo, anche se non vorrei, mi provoca un intenso brivido lungo la schiena che faccio veramente fatica a ignorare. Ci metto un po’ a capire che si tratta di paura. Si, è come un brutto presentimento che improvvisamente non mi fa stare tranquilla, e che mi mette una tale ansia addosso che, d’un tratto, mi rendo conto di non riuscire più a star ferma. Comincio così a camminare avanti e indietro sotto gli occhi attenti dei miei amici, pensando che la cosa non abbia assolutamente senso. Perché, se è andato a rifugiarsi da quella donna dopo la nostra furiosa lite, avrebbe deciso di abbandonare le sue valige in mezzo alla sabbia? Cos’è, non gli servono più i pochi vestiti che gli sono rimasti? Ma certo, che stupida. Ovvio che non gli servano, considerato che il suo unico pensiero ormai sarà quello di passare le giornate in posizione orizzontale, nel letto di quella sgualdrina!

Quel solo, orribile pensiero è come una violenta pugnalata in pieno petto, l’ennesima, che stavolta non credo proprio di riuscire a sopportare oltre. Sento a malapena la voce di Nicolas che cerca di attirare in tutti i modi la mia attenzione, che cerca di tranquillizzarmi ma senza risultato, finchè, con un movimento fulmineo mi afferra per le spalle, scuotendomi con decisione e riuscendo finalmente a strapparmi da quello stato di catalessi in cui sembravo improvvisamente essere caduta.

- Johanna, fermati una buona volta e ascoltami. Guardami. Lo so che sei preoccupata, lo so anch’io, ma adesso dobbiamo cercare di ragionare lucidamente e…

Si interrompe bruscamente, notando la mia strana espressione e cercando il mio sguardo sfuggente, alla ricerca di conferme.

- A meno che – prosegue poi, osservandomi pensieroso e con la fronte aggrottata, come se avesse avuto un’improvvisa illuminazione – tu non sia a conoscenza di qualcosa che noi invece non sappiamo. È così, Johanna? Rispondimi per favore, è per caso successo qualcosa tra te e Christian di cui noi non siamo a conoscenza? Sapevi che è tornato, dov’è adesso? Se lo sai parla, ti prego!

Alza la voce più di quanto sia necessario e le sue parole cominciano a girarmi in testa, vorticosamente, finchè non mi viene una gran voglia di vomitare.

- Io…io non…

Comincio a balbettare, messa alle strette, ed è allora che un improvviso, fortissimo boato ci fa trasalire tutti, finendo per svegliare anche Logan che dormiva beatamente fino a un attimo prima e che comincia a piangere, disperato e in trepida attesa di qualcuno che corra a consolarlo. È Laly a muoversi per prima verso la carrozzina, prendendolo in braccio e cominciando a cullarlo dolcemente ancor prima che possa rendermene conto mentre Nicolas, sconvolto quanto me mi guarda con espressione attonita, precipitandosi poi fuori dalla porta e riuscendo solo per un pelo a scansare Grace che, spaventata e con gli occhi sgranati corre subito a rifugiarsi fra le mie braccia, nascondendo il viso tra le pieghe del mio vestito.

- Mamma, mamma…cos’è stato quel rumore tremendo?

Esclama con voce piagnucolosa e io mi chino su di lei, accarezzandole il viso con entrambe le mani e cercando così di tranquillizzarla.

- Non lo so tesoro, ma tu non preoccuparti però. Resta qui, insieme a Laly e tuo fratello mentre io e Nicolas cerchiamo di scoprirlo, va bene?

Annuisce lentamente, staccandosi dalle mie braccia per dirigersi verso la mia amica, che nel frattempo è riuscita a far riaddormentare Logan e che mi lancia uno sguardo preoccupato che vale più di qualunque parola.

- Che diavolo può essere successo? Non riesco a vedere niente da qui!

Esclama intanto Nicolas, avviandosi verso la spiaggia per cercare di capirci qualcosa e io mi affretto subito a seguirlo, con il cuore in gola e lo stesso strano presentimento di poco prima, che come un campanello d’allarme comincia intanto a risuonare nella mia testa, senza un attimo di tregua, angosciandomi a ogni minuto che passa. Appena poco più in là un capannello di persone, tra le quali riusciamo a scorgere anche Hèlene sta discutendo animatamente di ciò che è appena accaduto, così decidiamo di unirci a loro e proseguire tutti insieme, cercando una volta per tutte di risolvere questo inquietante mistero ma, ciò che improvvisamente vediamo dall’altra parte della spiaggia, proprio di fronte a noi, ci lascia senza fiato. È una casa immersa tra le fiamme quella che stiamo osservando, e lo spettacolo è talmente forte e raccapricciante che per un attimo rimango lì, completamente basita e incapace di muovermi tra il mormorìo generale, che sento farsi ancora più intenso mentre mi accorgo che Hèlene si sta lentamente avvicinando, coprendosi la bocca con la mano in un’espressione d’orrore.

- Oh mio Dio, ma è terribile…

Sussurra e la sua voce si mescola ben presto alle altre, finendo per confondermi le idee.

- Presto, dobbbiamo spegnere l’incendio!

- Chiamiamo subito i soccorsi!

- Chi vive in quella casa è in serio pericolo, dobbiamo farlo uscire da lì immediatamente!

Riesco a malapena a sentire le loro grida allarmate e tutti quegli strani rumori perché, improvvisamente, la mia attenzione è tutta per una figura familiare, immobile e riversa a terra poco lontano dal disastro, che, non so come, riesco immediatamente a identificare. È in quel momento che mi accorgo che nient’altro ha importanza e che io devo correre, e devo farlo adesso perché, qualunque cosa sia accaduta, sento che lui ha bisogno di me.

- Christian!

Urlo con quanto fiato ho in corpo, e prima ancora di poter rendermene conto l’ho già ragiunto, chinandomi su di lui e soffocando a stento un singhiozzo disperato, quando mi accorgo di come è ridotto. Ha una ferita alla testa che, a giudicare dalle sue condizioni sembra aver perso già molto sangue, e i suoi vestiti sono tutti strappati in corrispondenza di piccoli tagli ed escoriazioni sulla pelle, che mi sconvolgono molto più di quanto non lo sia già.

- Mio Dio Christian, dimmi che riesci a sentirmi! Ti prego amore mio, apri gli occhi…ti prego…

Continuo a ripetere, in preda al panico e nel disperato tentativo di rinvenirlo, mentre le lacrime scorrono copiose sulle mie guance accaldate e le mie mani sfiorano piano i suoi capelli, intrisi di sangue rappreso.

- Christian, rispondimi! Per favore, aiutatemi…qualcuno chiami un’ambulanza!

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Rimango sotto osservazione in ospedale per gran parte della notte, nonostante continui a ripetere che mi sento benissimo. Ok, lo so che è una bugia considerando il fatto che, in questo momento, se provo anche solo a respirare mi sembra quasi che una serie di lame taglienti si conficchino lungo tutto il mio corpo, ma non mi importa. Non voglio restare qui. L’unica cosa che desidero adesso è tornare finalmente a casa e mettermi a letto, sperando di dimenticare tutta questa orribile storia il prima possibile. Anche se non sarà facile, anche se l’immagine di Giselle che si accascia a terra tra le fiamme continua a comparirmi davanti agli occhi quando meno me lo aspetto, facendomi sussultare. Mi lascio lentamente scivolare sulla sedia della sala d’aspetto, esausto, gemendo a ogni minimo movimento e imprecando dal dolore quando sento che la mia testa, coperta da una vistosa fasciatura bianca, ricomincia a pulsare dolorosamente. Ho bende dappertutto, anche se per fortuna le ustioni che ho riportato sembrano non essere poi così gravi. Magra consolazione, visto che praticamente mi fanno un male cane. Adesso aspetto i risultati degli esami a cui mi hanno sottoposto, per essere sicuri che stia bene e che non abbia preso il tetano o altre stupidaggini simili. Tutta roba inutile insomma, che non avrei nemmeno la forza di sopportare se Johanna non fosse qui con me in questo momento. Per tutto il tempo non ha mai smesso di tenermi la mano, neppure per un istante, e mentre guardo le nostre dita intrecciate mi accorgo che il calore della sua pelle a contatto con la mia è l’unica cosa di cui ho davvero bisogno in questo momento, per sentirmi finalmente un po’ più tranquillo.

- Come va la testa?

Mi sussurra, sfiorandomi i capelli e depositandomi un bacio leggero sulla tempia che, in un attimo, sembra quasi riuscire a cancellare tutto il mio dolore. Mi volto lentamente verso di lei, asciugandole una lacrima intrappolata fra le ciglia che mi strappa un debole sorriso.

- Smettila di piangere – dico dolcemente – da quando siamo arrivati qui sembra che tu non sappia fare altro. Sto bene, non devi più preoccuparti adesso, quante volte dovrò ancora ripetertelo perché tu te ne convinca?

La vedo scuotere la testa, tirando su col naso.

- Come puoi chiedermi di non preoccuparmi? Se penso…che ho quasi rischiato di perderti…

La sua voce si incrina, sfociando ben presto in un singhiozzo convulso mentre l’attiro a me, stringendola fra le braccia e sfiorandole le labbra con un bacio.

- Ehy…guarda che io sono qui. Non mi hai perso e non mi perderai mai, ok? Su, cerca di calmarti adesso.

- Mi dispiace – dice, abbassando improvvisamente lo sguardo con aria colpevole – mi dispiace così tanto di non averti creduto, di aver pensato tutte quelle cose orribili su di te e averti urlato contro, facendoti quella tremenda scenata e…

- Ormai non ha più importanza – la interrompo – ti prego, non pensiamoci più. Non voglio più pensare a niente, l’unica cosa che desidero è tornare a casa insieme a te e ricominciare tutto da capo.

Annuisce sorridendomi e in quel momento vedo Nicolas fare ritorno dal bar al piano di sotto, con in mano una cioccolata bollente che si affretta subito a porgermi.

- Ecco, bevi questa – dice – magari ti farà sentire meglio.

- Grazie.

Comincio lentamente a sorseggiarla. Mentre rispondo alle domande del mio amico Johanna si rialza improvvisamente in piedi, lasciando la mia mano per prendere il telefono e questo mi provoca subito dentro una strana sensazione di vuoto, come di…abbandono. Non sopporto che si allontani da me, nemmeno per un solo istante. Non voglio mai più separarmi da lei, mai più provare tutto quel dolore.

- Sarà meglio che chiami Laly, adesso. L’ho lasciata da sola con i bambini, spero non le stiano dando troppi problemi.

Dice, e si allontana di qualche passo per comporre il suo numero. La vedo fare ritorno dopo qualche minuto, porgendomi il telefono.

- È Grace – sussurra – e a quanto pare non ha proprio intenzione di andare a letto, senza prima aver parlato con te.

La guardo, perplesso.

- Non…non le avrai…

- Stai tranquillo – mi interrompe, rassicurandomi con un sorriso e indovinando subito cosa stessi per dire – non le ho detto proprio tutto, non voglio spaventarla.

Sospiro, sobbalzando dal dolore non appena l’apparecchio sfiora il mio viso escoriato, ma è solo un attimo perché la voce gioiosa di mia figlia me ne fa subito dimenticare, lasciando invece il posto a una grande emozione…

 

 

 

 

 

 

 

Entro in punta di piedi, cercando di fare meno rumore possibile mentre mi richiudo la porta alle spalle e mi avvicino lentamente al letto, solo per controllare che stia bene. Lo so, non dovrei continuare a preoccuparmi in questo modo, soprattutto perché i medici ci hanno già ampiamente rassicurati sul suo stato di salute e, a quanto pare, con qualche particolare attenzione e soprattutto molto riposo, in poco tempo tornerà come nuovo. Insomma, ne sono perfettamente al corrente, ma…non posso proprio fare a meno di venire su a controllarlo almeno dieci volte al giorno, per assicurarmi che sia tutto a posto e che prenda gli antidolorifici che gli hanno prescritto in ospedale, e che lui continua puntualmente a dimenticare. Do un’occhiata veloce al suo comodino, sorridendo quando mi accorgo che è immerso nel caos più totale. Bè, se non altro adesso sono sicura che ha preso le sue medicine, e questo mi fa sentire molto più tranquilla. Scivolo piano al suo fianco stendendomi vicino a lui per guardarlo dormire, osservando con attenzione quel dolce profilo che tanto amo e le sue labbra morbide e piene, resistendo a stento alla tentazione improvvisa di baciarlo. Non ho nessuna intenzione di svegliarlo, voglio che riposi il più possibile perché solo così potrà finalmente rimettersi in forze.

- Smettila di fissarmi – lo sento però dire dopo qualche minuto, sussultando per la sorpresa – è inquietante.

Rido.

- È romantico!

Puntualizzo.

- No, non lo è affatto!

Ribatte, palesemente scocciato prima di girarsi lentamente su un fianco, dandomi le spalle. Scuoto la testa divertita poi mi avvicino di più, abbracciandolo da dietro e posandogli un piccolo bacio sulla spalla.

- Oh, il mio piccolo, scorbutico e antipatico Cri Cri – esclamo sorridendo – perché sei così scontroso oggi? Ce l’hai ancora con me per aver rovinato la tua maglietta preferita, non è vero? Amore, ti ho già chiesto scusa per quello. Almeno trenta volte. Per non parlare poi di come ho ridotto i tuoi pantaloni di lino e quella camicia a quadri che ti piaceva tanto. Lo so, quella è stata una vera carognata…

- C…Cosa? Anche quella?

Mi interrompe allarmato, voltandosi immediatamente a guardarmi e sobbalzando dal dolore per aver appena compiuto quel brusco movimento. Mi mordo le labbra con aria colpevole, sussurrando appena un patetico “mi dispiace” anche se so che non servirà a niente. Ecco, adesso mi ucciderà.

- Maledizione Johanna, si può sapere come diavolo ti è venuto in mente di fare una cosa del genere? Tra magliette, boxer e pantaloni hai praticamente distrutto quasi tutto il mio guardaroba, te ne rendi conto?

Grida infatti, facendomi sussultare, ma nonostante la gravità della situazione mi accorgo di non riuscire a trattenermi dal ridacchiare mentre lo vedo lanciarmi un’occhiataccia indispettita che, se possibile, risulta esser ancora più divertente.

- Su, non mi sembra il caso di scaldarsi tanto, in fondo lo sai che ti preferisco senza vestiti!

Cerco di sdrammatizzare, ma le parole mi muoiono in gola non appena mi accorgo dell’espressione furiosa che ha intanto assunto il suo viso. Bene, adesso si che sono veramente nei guai. D’accordo, lo ammetto, forse non è stata una grande idea quella di accennare all’orribile fine che ho fatto fare a più della metà dei suoi poveri indumenti, ma tant’è.

- Senti, ti ho già detto che sono terribilmente dispiaciuta per quello che ho fatto ai tuoi vestiti, soprattutto a quella maglietta a cui tenevi tanto, ma…ti prometto che te ne ricomprerò una uguale! Insomma, dimmi cosa devo fare per farmi perdonare e ti prometto che lo farò, va bene? Puoi chiedermi qualunque cosa!

Esclamo colta da un’ispirazione improvvisa, sperando che questo basti a calmare un po’ le acque e tranquilizzarlo così in qualche modo, anche se il sorrisetto sornione che vedo pian piano spuntare sulle sue labbra non mi fa presagire nulla di buono.

- Qualunque cosa, eh?

Sussurra infatti e io annuisco con decisione, guardandolo seria.

- Bene – continua, avvicinandosi di più per prendermi fra le braccia – allora suppongo che, per pareggiare i conti, potresti permettermi di strappare a mia volta qualcuno dei tuoi vestiti. In fondo lo sai che anch’io ti preferisco senza, perciò penso che potremmo tranquillamente cominciare con questa…

Le sue dita scivolano dolcemente ad accarezzarmi attraverso la stoffa leggera della camicetta, procurandomi un intenso brivido lungo la schiena che d’un tratto annulla ogni mio possibile tentativo di resistenza, mentre le sue labbra catturano le mie in un bacio appassionato che mi toglie il respiro.

- Non provare a toccare questa camicia o te ne farò amaramente pentire, razza di farabutto che non sei altro.

Mormoro, per niente convincente prima di attirarlo a me per ricominciare a baciarlo con trasporto, accarezzando piano le sue braccia fino a scendere lungo il suo polso fasciato, percorrendolo dolcemente con le dita prima di sentirlo irrigidirsi improvvisamente.

- Che c’è – chiedo preoccupata, ritirando istintivamente la mano – ti ho fatto male?

- No, sto bene. Non preoccuparti, non è colpa tua. È solo che…

- Cosa?

Sospira profondamente, prendendomi le mani e stringendole forte fra le sue.

- Stavo pensando a Giselle – dice a voce bassa – e a tutto quello che è successo. Il fatto è che…non riesco a togliermi la sua immagine dalla mente, quelle fiamme…lei che si accasciava a terra e mi pregava di non preoccuparmi, di lasciarla lì e proseguire il mio cammino fuori da quella casa, affinchè potessi salvarmi, mentre io invece…riuscivo solo a pensare che volevo portarla fuori da lì. Ma…non ho potuto…non sono riuscito a salvarla…

Sento che la sua voce si incrina all’improvviso un attimo prima che scoppi a piangere tra le mie braccia, lasciandomi completamente spiazzata mentre lo stringo forte a me, cullandolo piano nel tentativo di rasserenarlo almeno un po’. Credo di sapere esattamente cosa prova, mi ha raccontato tutto ciò che è successo in quella casa, e so che aver appreso dei terribili soprusi che quella ragazza è stata costretta a subire lo ha colpito nel profondo, destabilizzandolo non poco. Ma lui non ha alcuna colpa di ciò che è accaduto, ed è quello che sto cercando di spiegargli mentre asciugo le sue lacrime con gesti lenti, accarezzandogli i capelli e poggiando la fronte contro la fasciatura che ricopre la sua, guardandolo negli occhi.

- Non sei responsabile di quello che ha passato, nè della sua morte – continuo a ripetergli – hai fatto di tutto per salvarla,  ora puoi solo pregare che la sua anima trovi finalmente un po’ di quella pace che non ha mai avuto,e gioire del fatto che tu sia ancora vivo e soprattutto qui, insieme a me in questo momento.

Annuisce lentamente, ricambiando il mio sguardo.

- Qui, nell’unico posto dove voglio stare – mormora con voce rotta – insieme a te. Non lasciarmi mai più amore mio, perché io non posso vivere senza di te. Ho bisogno di te, ti amo da morire…

- Ti amo tanto anch’io, Christian.

Gli sussurro prima di baciarlo di nuovo ed è struggente, quasi disperato l’indugiare della sua bocca sulla mia, mentre assaporo le sue lacrime e lo sento rilassarsi pian piano fra le mie braccia…

 

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


- Su, avanti, provaci! Non è così difficile…devi soltanto dire mamma!

Esclamo con voce lamentosa, scandendo bene quel’ultima parola che Logan, a quanto pare, si rifiuta categoricamente di pronunciare. Dovrei sentirmi offesa a dirla tutta, in fondo cosa c’è di male a chiamare la propria mamma? Sono quella che l’ha messa al mondo, no? Bel ringraziamento, non vuole nemmeno darmi questa soddisfazione! Antipatico e dispettoso come suo padre. In compenso sembra sempre avere una fame da lupi, e infatti si è appena finito un intero barattolo di omogeneizzato alla velocità della luce, e proprio quando sto per alzarmi e riporre il cucchiaio nel lavandino esordisce con la prima parola che ha imparato.

- Papà!

Strilla infatti, facendomi trasalire mentre gli lancio un’occhiataccia offesa, e per tutta risposta lui comincia a ridere battendo le manine. Cavolo, come si fa a resistere a tanta dolcezza? Sfioro con le dita i suoi capelli scuri, depositandogli un piccolo bacio sulla fronte prima di ripetere con pazienza la parola mamma, scandendola ancora una volta mentre lo vedo osservarmi attentamente dal suo seggiolone, proprio come se mi vedesse per la prima volta prima di esclamare “Papà” gettandomi di nuovo nello sconforto. Sbuffo, frustrata.

- Allora lo fai apposta! Ma certo, ce l’hai con me, non è vero?

Un’improvvisa risata alle mie spalle mi fa sussultare, costringendomi a voltarmi bruscamente solo per incontrare lo sguardo divertito di Christian, che con le braccia incrociate e un odiosissimo sorrisetto sornione stampato sul viso si sta godendo la scena da chissà quanto tempo, ridendo di me e dei miei goffi tentativi di insegnare a Logan a dire la magica parolina che in questo momento mi renderebbe la donna più felice della terra.

- È inutile che insisti, il tempo è scaduto appena cinque minuti fa, e…mi dispiace per te ma hai perso!

Dice con aria trionfante mentre si avvicina di qualche passo, continuando a sorridere e mandando così all’aria ogni mio tentativo di mantenere la calma. Già, la nostra scommessa. Bè, il fatto è che, secondo quanto abbiamo scommesso, durante tutta questa settimana avrei dovuto insegnare al bambino a dire “mamma”, e devo dire che mi sono impegnata davvero tanto per riuscire nell’intento ma, ahimè, senza alcun risultato. Si, tutto fiato sprecato. Il mio piccolo ha la testa più dura del marmo e, non so per quale strano e inspiegabile motivo preferisce invece chiamare tutto il giorno quel farabutto senza speranza di suo padre, e questo, inutile dirlo, mi fa andare su tutte le furie. Accidenti, non è giusto. Uffa.

- Su, dammi quello che mi devi e non se ne parla più.

Continua Christian, facendomi sbuffare per l’ennesima volta mentre si avvicina a Logan per dargli un bacio. Papà ripete, ridendo e cercando la sua mano che lui si affretta subito a stringergli, guardandolo con affetto.

- Si tesoro mio, sono qui. Su, diglielo anche tu alla mamma che la sua era una battaglia già persa in partenza! Lo dicevo io che non avrebbe cavato un ragno dal buco, e questo perché noi due siamo una squadra, non è vero?

- Piantala di darti tante arie – sbotto infastidita – se devo pagarti lo farò, ma non illuderti troppo, prima o poi lo imparerà!

- Si, certo, ma intanto ho vinto io.

Risponde ridacchiando, mentre mi guarda rialzarmi in piedi con riluttanza per dirigermi nella stanza accanto e prendere il portafoglio. Accidenti a lui, avrei voglia di mollargli un pugno sul naso.

- È un piacere fare affari con te, dolcezza!

Mi grida dietro, facendomi venire improvvisamente voglia di trasformare in realtà ciò che ho appena pensato di fare. Vedremo se poi avrà il coraggio di continuare a ridere come un idiota.

- Vattene al’inferno!

Replico acida, ma proprio in quel momento accade qualcosa che mi fa tornare sui miei passi. Mamma! Dice Logan, e per un attimo credo di non aver capito bene. Ho…ho davvero sentito…

- Ma si, lo hai detto! Lo hai detto! Bravissimo amore mio, lo sapevo che ce l’avresti fatta!

Esulto incapace di trattenermi, correndo verso di lui per prenderlo in braccio e riempirlo di baci.

- Hai visto, uomo di poca fede? Lo ha detto! Hai sentito anche tu, no?

Continuo rivolta a Christian, facendogli una smorfia mentre lo vedo alzare gli occhi al cielo.

- Si, certo che ho sentito – risponde sospirando – non sono mica sordo! Ciò non toglie che tu abbia perso la scommessa, perciò…dove sono i miei soldi?

Lo guardo, fingendomi inorridita.

- I tuoi soldi? Stai scherzando, vero?

Esclamo.

- Per niente, i patti sono patti!

- Ma se ha appena detto…

- Non mi interessa cosa ha detto, era fuori tempo massimo perciò non vale! Su, sgancia il malloppo!

Muove qualche passo verso di me con la mano tesa, attendendo in silenzio. Non posso crederci, pensa sul serio che mi abbassi ad ammettere la sconfitta dopo che Logan ha appena pronunciato la parola che aspettavo? Mi dispiace, ma quei soldi adesso può scordarseli!

- Nemmeno per sogno! Non sborserò un centesimo, e se pensi che mi lasci convincere così facilmente sei solo un povero illuso!

 

 

 

 

 

- Convincere? E chi ha parlato di convincere, quando posso benissimo corromperti?

Replico, annullando con pochi passi la distanza fra noi per cingerle la vita, avvolgendola in un caldo abbraccio e stuzzicandole piano il collo, facendola rabbrividire di piacere.

- Avanti – le sussurro con voce suadente, percorrendole le spalle con una scia di piccoli baci morbidi che la portano a fremere contro il mio petto – tira fuori quei soldi…

Ride.

- Smettila, non vedi che ho il bambino in braccio?

Dice, ma si volta per baciarmi sulle labbra. È in quel momento che mi accorgo che Grace sta lentamente scendendo le scale, ancora in pigiama e con un’espressione sul viso che lascia chiaramente intendere che avrebbe di gran lunga preferito rimanere sotto le coperte.

- Ehy, principessa – esclamo andandole incontro – stavo giusto per venire a svegliarti!

Mi guarda, ancora insonnolita, stropicciandosi gli occhi più volte e solo allora mi accorgo di quanto sia pallida stamattina, forse come non lo è mai stata prima.

- Grace, che succede? Va tutto bene?

Azzardo, chinandomi su di lei e sfiorandole la fronte con un bacio lieve per poi ritrarmi subito dopo, non appena mi acorgo di quanto scotta.

- Tesoro, ma tu hai la febbre! Su, non restare in piedi, vai a metterti subito a letto. Ci penso io ad avvisare la scuola che oggi non vai.

Annuisce lentamente mentre Johanna si avvicina a noi, squadrandola a lungo con aria concentrata.

- Che cosa c’è, piccola?

Chiede, chinandosi a sua volta per tastarle la fronte e le guance pallide.

- Mi fa male la testa – risponde con un filo di voce – e anche la gola…

- Avrai preso il raffreddore. Magari è solo…

- No – si ntromette Johanna, interrompendomi – non lo prende da anni, esattamente da quando ci siamo trasferiti qui. Non è possibile.

- Non significa che ne sia immune.

Considero con un’alzata di spalle, quando l’occhio mi cade sulla pelle alla base del suo collo, ricoperta da minuscole macchie rosse che mi fanno sgranare gli occhi.

- Un momento – dico – e queste cosa sono? Non sarà mica…morbillo?

Vedo Johanna scuotere la testa con decisione.

- Ha già avuto il morbillo. A due anni.

Risponde, e non posso fare a meno di notare una certa apprensione nella sua voce.

- Sarà meglio chiamare il dottore – continua – almeno ci chiarirà le idee. Su Grace, torna a letto e, mi raccomando, non alzarti più per nessun motivo.

- Prima però voglio dare un bacio a Logan!

Prorompe mia figlia e si affretta ad avvicinarsi a lui, che per tutto questo tempo non ha fatto che osservarci con occhietti vispi e attenti dalla sua postazione poco lontana, ma Johanna la blocca in tempo, trattenendola per le spalle.

- Non mi sembra una buona dea – dice – è meglio che non ti avvicini a lui per il momento, almeno finchè non sapremo con esattezza l’origine di quelle macchie.

- Ma io voglio solo salutarlo!

Protesta, sbuffando e divincolandosi con scatti furiosi che finiscono ben presto per mettere a dura prova la pazienza di Johanna, che si affretta a riprenderla, alzando la voce forse più del necessario.

- Adesso basta Grace, smettila immediatamente di fare i capricci e fila subito a letto!

Esclama infatti, e questo sembra coglierla di sorpresa. Ma è solo un attimo, perché la sua espressione infastidita mi lascia chiaramente intendere che non è disposta a cedere tanto facilmente.

- No! – urla infatti per tutta risposta, dandomene così la conferma, e le sue guance si arrossano per lo sforzo – Da quando c’è Logan pensi sempre e soltanto a lui! Logan di qui, Logan di là, come se io non esistessi nemmeno più, e adesso non mi permetti di avvicinarmi! Sei cattiva mamma, non voglio più vederti!

Poi si affretta a voltarsi e risalire le scale più velocemente possibile, sorda ai continui richiami di sua madre che cerca di attirare la sua attenzione.

- Grace, torna subito qui!

Grida frustrata, ma è troppo tardi, non può più sentirla. Sospiro profondamente, voltandomi a guardarla.

- Sarà meglio che vada su a parlarle, credo che…

- No – mi interrompe, posandomi una mano sul braccio con risolutezza – vado io. La colpa è mia, forse sono stata un po’ troppo dura con lei.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Apro lentamente la porta, avvicinandomi piano al letto di Grace e sedendomi ai suoi piedi, cercando il suo sguardo sfuggente mentre mi accorgo di una lacrima solitaria intrappolata tra le sue ciglia socchiuse, che mi provoca una piccola stretta al cuore. Non sopporto di veder piangere mia figlia, soprattutto quando sono io a causarle dolore.

- Grace – dico dolcemente – guardami, per favore.

La vedo sollevare lo sguardo, permettendomi così di specchiarmi nei suoi occhi chiari mentre mi avvicino di più, prendendole il viso fra le mani e sussultando quando mi accorgo che la sua pelle è bollente. Credo che la febbre stia salendo ancora di più, e questo comincia a preoccuparmi non poco.

- Su tesoro, mettiti sotto le coperte. Papà sta chiamando il dottore, vedrai che presto sarà qui, così capiremo finalmente cose c’è che non va.

Abbassa di nuovo lo sguardo, cercando ancora una volta di fuggire ai miei occhi attenti, che continuano a osservarla con attenzione. Sospiro profondamente, come se questo potesse aiutarmi a trovare le parole giuste da usare per cominciare un discorso come quello, che, a dir la verità, mi spaventa un po’. Non mi sono mai trovata in una situazione del genere prima d’ora, e non avevo ancora fatto i conti con l’evidente gelosia di mia figlia verso il suo fratellino più piccolo, nonostante gli voglia un gran bene e dimostri di essere molto legata a lui.

- Grace – comincio, con voce incerta – non devi pensare che Logan sia più importante di te e non voglio mai più sentirtelo dire, perché non è così. Io vi amo esattamente allo stesso modo, per me non c’è alcuna differenza fra voi due, ma devi capire che lui è ancora piccolo e ha bisogno di molte più attenzioni, proprio come te quando avevi la sua età.

- Davvero ero così piccola?

Mi chiede sgranando gli occhi, facendomi scoppiare a ridere.

- Certo che lo eri – rispondo – e il nostro era e sarà sempre un legame speciale. Sei la mia prima bambina, e io ti voglio un bene dell’anima amore mio, non dimenticarlo mai.

Sorride, asciugandosi gli occhi e gettandosi fra le mie braccia, mentre la stringo forte a me.

- Anch’io ti voglio bene mamma, e mi dispiace di averti risposto male poco fa.

Mi scocca un sonoro bacio sulla guancia e io le libero il viso dai capelli, appoggiando le labbra sulla sua fronte bollente prima di scostarmi leggermente, sospirando sconsolata.

- Su, adesso distenditi e mettiti sotto le coperte, così misuriamo la febbre.

Dico, aprendo il cassetto del comodino per prendere il termometro, ed è allora che le noto. Altre minuscole macchie rosse sulle braccia, che sembrano quasi aumentare a vista d’occhio. Cerco di fare mente locale, provando a ricordare quali malattie potenzialmente infettive non abbia ancora avuto e, a parte morbillo e orecchioni, non mi viene in mente nient’altro. E se si trattasse di qualcosa di più grave? No, non devo pensare a questo adesso, ma solo sforzarmi di mantenere la calma e cercare di non spaventarla più di tanto, anche se lei non sembra essere particolarmente impressionata da quello che le sta accadendo. Dei passi improvvisi dietro di me catturano la mia attenzione, strappandomi bruscamente ai miei pensieri mentre mi accorgo che Christian si sta lentamente avvicinando. I nostri sguardi si incrociano per un breve istante e lo vedo sorridermi con sollievo. Ho la netta sensazione che abbia ascoltato tutto quello che io e Grace ci siamo dette. Ricambio il sorriso, strizzandogli l’occhio con fare giocoso e lui mi accarezza piano il braccio prima di sedersi dall’altra parte del letto, osservando Grace con crescente curiosità.

- Ho chiamato il dottore – dice – tra poco sarà qui. Allora, come si sente la mia bambina?

Le da un buffetto scherzoso sulla guancia, poi si china a baciarla dolcemente.

- Mi fa ancora male la testa.

Risponde, e i suoi occhi sono sempre più lucidi. In quel momento il suono insistente del cellulare nella tasca dei miei jeans cattura la mia attenzione, costringendomi a prenderlo tra le mani per controllare il display.

- È Hèlene.

Sussurro, un attimo prima di rispondere. La sua voce squillante e agitata mi fa quasi trasalire mentre mi annuncia che Benedicte sta per avere il bambino e che è già in ospedale, chiedendomi poi di accompagnarla.

- Ecco, io…non so se…

Esito per un momento, riferendo la situazione a Christian e lui annuisce lentamente, rassicurandomi all’istante.

- Vai pure – dice – qui posso benissimo cavarmela da solo.

Gli lancio uno sguardo interrogativo.

- Sei sicuro?

- Ma si, certo che sono sicuro. Vai tranquilla e, mi raccomando, tienici informati. Vogliamo avere notizie al più presto.

Quando io ed Hèlene arriviamo in ospedale Josè è già in sala d’aspetto, e a giudicare dalla sua espressione sconsolata sembra che lo abbiano appena mandato alla forca.

- Allora, ci sono novità?

Chiedo, sedendomi vicino a lui per cercare di saperne di più mentre Hèlene prende posto dalla parte opposta, scrutandolo con curiosità e sospirando rumorosamente, più volte, come fa sempre quando è in ansia per qualcosa.

- Non lo so – risponde lui, voltandosi a guardarmi – nessuno mi ha ancora fatto sapere nulla. L’unica cosa di cui sono sicuro è che Benedicte è lì dentro da più di mezz’ora ormai, e io non so cosa pensare.

- Vedrai che andrà tutto bene – lo rassicura Hèlene, anche se il suo sguardo inquieto tradisce la preoccupazione che anche lei stessa prova – cerca di stare tranquillo. Sono sicura che fra poco qualcuno uscirà fuori da quella porta e ci darà notizie, magari annunciando subito il lieto evento.

- Già – lo sentiamo sussurrare, annuendo lentamente con aria assente – la nascita di un figlio dovrebbe sempre essere un lieto evento per entrambi i genitori, ma…ogni volta che provo a pensarci m rendo conto che questa gioia non mi appartiene, perché quello potrebbe non essere mio figlio. E io…non so nemmeno come sentirmi…

Si rialza in piedi all’improvviso, imboccando frettolosamente il corridoio prima ancora che possa rendermene conto, lasciandomi completamente spiazzata.

- Sarà meglio che lo segua, quello che ha detto non mi piace per niente.

Dico a Hèlene dopo un attimo di esitazione, e lei annuisce lentamente. Mentre mi precipito da lui, che intanto ha raggiunto l’atrio, non posso fare a meno di pensare che probabilmente sta soffrendo più di quanto voglia far credere, e questo mi provoca una piccola stretta al cuore che non riesco a scacciare. Annullo con pochi passi quella ormai breve distanza fra noi, posandogli una mano sulla spalla e costringendolo a voltarsi verso di me.

- Josè – dico piano – so che questa situazione per te non è affatto semplice, ma…

L’improvviso, insistente trillo del mio telefono cellulare mi costringe a interrompermi bruscamente, mentre lo tiro fuori dalla borsa con gesti nervosi e controllo velocemente il display.

- Amore – rispondo, non appena sento la voce di Christian parlarmi dall’altra parte – cosa? Ha detto proprio che si tratta di varicella? Accidenti, non ci voleva…Ascolta, tieni Logan il più possibile lontano da lei, non voglio che finisca per contagiarlo e non farla alzare dal letto per nessun motivo al mondo, ok? Ma si, so che lo sai e che non sei un cretino, non c’è alcun bisogno di puntualizzarlo!

Vedo Josè che vicino a me sta trattenendo a stento una risata, dalla quale finisco ben presto per rimanere contagiata anch’io.

- Si, certo – continuo, ridacchiando divertita e sentendolo imprecare sottovoce, offeso – no, ancora nessuna notizia, sono qui con Josè e…come? Vuoi che te lo passi? Va bene, aspetta.

Gli allungo il telefono e lui lo afferra dopo un breve attimo di esitazione, guardandomi leggermente spiazzato.

- Vuole parlare con te.

Sussurro prima di vederlo allontanarsi di qualche passo, camminando su e giù con aria agitata e rispondendo a monosillabi alle domande di Christian, quasi come se non avesse voglia di parlare. È in preda all’ansia, e credo di poter intuire come si senta in questo momento. Dopo qualche minuto lo osservo chiudere la comunicazione e tornarmi vicino, porgendomi il telefono con un debole sorriso.

- Sai – esclama – non te l’ho mai detto, ma sono davvero felice che tu e Christian vi siate ritrovati. Il tuo Cri Cri adorato sembra quasi un altro adesso, ed è molto più maturo di quanto mi aspettassi!

Poi mi volta le spalle e imbocca il lungo corridoio, lasciandomi un po’ perplessa mentre mi affretto a seguirlo all’interno dell’ospedale.

 

 

 

 

 

 

- Quando spariranno queste macchie?

Mi chiede Grace, guardandosi le braccia ormai completamente ricoperte da piccole macchie rosse che siamo finalmente riusciti a identificare, e questo mi rende molto più tranquillo.

- Ci vorrà un po’ di tempo, piccola. Devi avere pazienza.

Rispondo, accarezzandole la fronte e accorgendomi con sollievo che la febbre si è abbassata, permettendole di essere più lucida e attenta. Mi guarda, l’aria improvvisamente triste.

- Davvero non potrò stare con Logan in questi giorni?

Dice con un filo di voce, e il suo visetto imbronciato mi fa tanta tenerezza.

- Purtroppo no Grace, te l’ho già spiegato. È ancora piccolo, e se venisse contagiato le conseguenze potrebbero essere molto più gravi di così. Tu non vuoi che stia male, non è vero?

Scuote la testa con decisione.

- No, certo che non voglio, e ho capito: cercherò di stargli il più lontano possibile, anche se sarà difficile!

Esclama, facendomi sorridere mentre mi chino a baciarla sui capelli.

- Rimani con me finchè non mi addormento, papà?

- Certo tesoro mio, rimarrò con te per tutto il tempo che vorrai.

Si sistema meglio, scivolando sotto le coperte e appoggiando la testa sul mio petto, chiudendo gli occhi e lasciandosi coccolare dalle mie mani che le accarezzano ritmicamente la schiena, in un debole tentativo di conciliarle il sonno.

- Vuoi che ti legga qualcosa?

Le domando, e la vedo scuotere lentamente la testa.

- No, so a memoria tutti i miei libri. Potresti raccontarmi qualcosa di nuovo, di diverso, tipo…ma si, ci sono, come vi siete conosciuti tu e mamma ad esempio!

Dice d’un tratto, lasciandomi leggermente spiazzato.

- Vuoi sapere come ci siamo conosciuti tua madre e io? Bè, va bene, d’accordo, se ci tieni a saperlo te lo racconterò. Ma devi promettermi che non ti metterai a ridere, ok?

- Lo prometto! Croce sul cuore!

Dice solennemente, appoggiando una mano all’altezza del suo petto, l’aria tremendamente seria.

- Bene. Dunque…devi sapere che la mamma a vent’anni era un vero terremoto, sempre allegra, solare e tremendamente divertente, e devo dire che in questo tu le somigli davvero tanto. Anche se, guardandola oggi, posso dire che non è poi cambiata così tanto da allora…

Chiudo lentamente gli occhi, perdendomi ben presto nei ricordi e raccontando a mia figlia tutti gli esilaranti aneddoti di cui più e più volte siamo stati protagonisti insieme ai nostri amici, e vedo che lei mi ascolta con interesse, scoppiando spesso a ridere e venendo così meno alla promessa che mi aveva fatto appena pochi minuti prima.

- A volte ero un po’ infastidito da tutti i guai che era capace di combinare, sembrava proprio avesse una predisposizione naturale per quello, ma se non l’avessi conosciuta non sarei ciò che sono oggi. Lei mi ha davvero cambiato la vita, e poi mi ha regalato te e Logan, i miei due gioielli più preziosi.

Concludo, e quando mi sollevo per guardarla mi accorgo che si è addormentata con un dolce sorriso sulle labbra, respirando pacificamente contro il mio petto. Quando rialzo gli occhi noto che Johanna, ferma sulla soglia mi sta guardando con un sorrisetto sornione stampato sul viso. Le lancio un’occhiata densa di significati mentre mi rialzo lentamente, facendo attenzione a non svegliare Grace e rimboccandole le coperte, prima di posarle un leggero bacio sulla fronte e lasciare la stanza socchiudendo la porta.

- Hai sentito tutto, non è vero?

Le chiedo non appena la raggiungo e lei mi getta le braccia al collo, stampandomi un bacio sulle labbra che vale più di mille parole.

- Come sta Grace?

- Meglio, la febbre è finalmente scesa, anche se le macchie sul suo corpo si sono praticamente triplicate. Ma almeno sappiamo di cosa si tratta, adesso. E Benedicte, invece? Il bambino è già nato?

Annuisce.

- Si – risponde – dovresti vederlo, è bellissimo. E lei ha subito richiesto gli esami per stabilirne la paternità, e…indovina? È figlio di Josè e, quando lui lo ha saputo, è letteralmente impazzito di gioia. Era così bello vederlo col suo bambino fra le braccia…a proposito, sai che ha anche assistito al parto? Toglimi una curiosità, cos’è che gli hai detto per tranquillizzarlo così e spingerlo a compiere un passo del genere? Sembrava…diverso, come se tutta la sua ansia fosse sparita magicamente dopo aver parlato al telefono con te!

Sorrido, cingendole la vita con le braccia e attirandola a me con decisione.

- Roba da uomini.

Dico, e lei fa una smorfia infastidita.

- Andiamo, dimmelo! Non fare l’antipatico, su!

Ribatte, guardandomi storto. Sospiro profondamente, stringendola più forte e guardandola intensamente negli occhi.

- Bè…gli ho solo detto di smettere di pensare, di provare a guardarsi dentro e ascoltare solo il suo cuore. Sono contento che abbia funzionato.

Rispondo, e mi accorgo che i suoi occhi scintillano di una luce nuova non appena incrocia di nuovo il mio sguardo.

- Cosa c’è?

- Niente, stavo solo pensando a quello che ha detto Josè oggi. Aveva ragione, sei proprio cresciuto tanto.

Sussurra, sfiorandomi la guancia con un bacio.

- Di’ la verità, avresti mai pensato che saremmo finiti così? – continua poi – Una casa, due splendidi bambini e…noi due. Insieme.

- Dunque, se devo essere del tutto sincero…allora ero troppo impegnato a scappare da te e dalla tua irruenza, per pensare a cose del genere!

Scherzo, strizzandole l’occhio e facendola sbuffare.

- Ah, è così, eh?

- Ma no amore mio, stavo solo scherzando. Lo sai che sei la cosa più bella che mi sia mai capitata nella vita, e io ti amo pazzamente…

Mormoro contro le sue labbra prima di baciarla con passione, cancellando così ogni suo possibile dubbio.

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


- Cosa? Quindici persone qui in casa?! Ma sei matta?

Mi urla Christian dall’altro capo del tavolo mentre, con Logan sulle ginocchia cerca di concentrarsi sulla disposizione migliore da dare agli invitati durante il ricevimento nuziale. Roba che per lui è assolutamente out, visto che il suo concetto di “migliore” differisce totalmente da mio, col risultato che non facciamo che litigare da almeno due settimane praticamente per ogni cosa, persino per il colore dei tovaglioli scelto. Ad esempio, ha deciso che il rosa era stupido e puerile e ha pensato bene di sostituirlo con il lilla, tra l’altro senza nemmeno consultarmi, anche se sapeva quanto ci tenessi. E anche lì ci sono passata sopra. Ma stavolta non ho alcuna intenzione di dargliela vinta, per quanto mi riguarda può urlare fino a lacerarsi i polmoni. Che non sarebbe male, almeno sarebbe costretto a chiudere quel becco parlante per un po’.

- Smettila di alzare la voce, spaventi il bambino. E comunque sono ventitrè se ci aggiungi mia zia Ruth, Lois la cognata di Frank e i suoi cinque figli che dobbiamo tenere in conto solo per i posti a sedere, visto che praticamente non mangiano nulla…

- Cinque figli? Ma in Texas nessuno guarda la televisione?

Mi interrompe all’improvviso, facendomi sbuffare. Accidenti, incomincia veramente a seccarmi con tutte queste battutacce fuori luogo che, tra l’altro, mi sembra che nessuno gli abbia chiesto di fare.

- Ah ah, spiritoso!

Ribatto sarcastica mentre osservo Logan giocare con i fogli di carta sparsi disordinatamente sul tavolo.

- Ehy…no, no questi non si toccano. Su, molla i fogli piccola peste, mi servono…

Cerca di riprenderlo, poi solleva lo sguardo verso di me, riprendendo a scuotere la testa con decisione.

- Mi spieghi come diavolo facciamo a far entrare in questa casa ventitrè persone, compresi i cinque marmocchi?

- Bè…otto, con i figli di mia sorella.

Aggiungo, e lui mi lancia un’occhiataccia torva che mi fa rabbrividire. È quasi inquietante quando fa così.

- Otto? Otto bambini più i nostri in mezzo a un caos immane? Che cosa ti sembra questo, un Bed & Breakfast per caso? Perché già che ci sei non appendi fuori dalla porta un cartello completo di luci psichedeliche con su scritto “albergo a cinque stelle”, così se gli abitanti delle isole vicine vorranno unirsi alla tavolata sarà più facile per loro trovarci! Si può sapere cosa c’è che non va nella tua testa? Non ti permetterò mai di trasformare casa mia in una specie di ricovero per profughi!

Rimango a bocca aperta.

- Profughi? Hai appena chiamato i miei parenti profughi?

Esplodo, perdendo improvvisamente la calma e lanciandogli addosso una matita appuntita, dopo aver preso bene la mira ed essermi assicurata che Logan rimanesse fuori dalla traiettoria.

- Ahi!

Si lamenta, portandosi una mano all’altezza del petto e massaggiandosi il punto dolorante dove l’ho appena colpito.

- Così impari a spararle grosse! E poi non vedo il motivo di tutta questa agitazione, questa casa è abbastanza grande da poter ospitare un intero reggimento di soldati, te ne sei accorto?

Dico, riuscendo solo per un pelo a schivare la matita che lui mi ha appena rilanciato contro, mentre faccio una smorfia infastidita che sembra avere il potere di farlo infuriare ancora di più.

- Benissimo, vuoi invitare pure loro al matrimonio? Aspetta che vado a bussare alla caserma più vicina allora, così consegno gli inviti a tutti!

- Vuoi sapere cosa penso? Che sei geloso, perché io a differenza di te ho una famiglia numerosa!

- Geloso io? Di quei caotici stranieri che vorrei non mi comparissero mai davanti? Voi americani siete tutti uguali, sapete solo incasinare la testa alle persone! E comunque, sei totalmente fuori strada. Mi bastano i miei di parenti, e sai perché? Perché posso benissimo alloggiarli alla pensione qui accanto e…

- Dunque te ne lavi le mani? Complimenti Christian, davvero un ottimo modo di fare il padrone di casa! Che ospitalità, dovrebbero darti il premio Nobel per questo! Sai Logan, papà è un vero imbecille!

- E la mamma una povera pazza!

Ribatte senza perdere un colpo e, non so perché, ma improvvisamente non ho più voglia di litigare. Bè, a dirla tutta d’un tratto non riesco a trattenermi dal ridere. Quando rialzo gli occhi, poi, la sua espressione furente è un vero spettacolo. Adoro farlo arrabbiare, mi piace da morire, soprattutto perché assume quell’aria tenebrosa che lo rende così incredibilmente sexy che…ok, va bene, so che non è il momento per pensare a certe cose, ma non posso farci niente. Non è colpa mia se mi fa questo effetto.

- La mia era peggio, devi ammetterlo. Uno a zero per me.

Mi fissa sconcertato per un lungo momento, come se non capisse la mia lingua prima di ribattere: - Cos’è questa, una gara a chi segna più punti?

Continuo a ridere mentre mi rialzo in piedi, affrettandomi ad andargli vicino e facendo una carezza sulla testa di mio figlio, ancora intento a giocherellare con quei numerosi fogli bianchi accatastati proprio davanti a lui.

- Tra l’altro – aggiungo, cingendogli il collo con le braccia – io posso sempre rinsavire mentre per te non c’è speranza mio caro, resterai sempre un imbecille. Ma non preoccuparti, io ti amo lo stesso!

Poi gli chiudo la bocca con un bacio, impedendogli così di ribattere allo scherzoso insulto che gli ho appena rivolto, anche se lui sembra sempre prendere tutto un po’ troppo sul serio. E me ne accorgo ancora una volta quando mi allontana da se con decisione, sbuffando.

- Smettila – replica – certi giochetti con me non attaccano, quindi toglimi le mani di dosso. Mi infastidisci!

Scuoto la testa divertita, chinandomi di nuovo su di lui solo per sussurrargli con voce suadente: - Davvero? Eppure non sembravi così infastidito di avere le mie mani adosso, la scorsa notte.

A quel punto mi accorgo che le sue labbra si increspano in un debole sorriso che però cerca inutilmente di nascondere, voltando la testa dall’altra parte mentre ne approfitto per sfiorargli la nuca con un bacio lieve che lo fa rabbrividire.

- Vado a controllare Grace.

Dico prima di avviarmi su per le scale, ridendo sotto i baffi quando lo sento imprecare per l’ennesima volta.

- Maledizione Logan, quei fogli no! Guarda cos’hai combinato, ci avrò messo almeno un’ora per buttare giù quello schema e adesso tu lo hai strappato!

Sento il mio bambino ridere in lontananza e non posso fare a meno di essere divertita anch’io dal piccolo disastro che sembra appena aver combinato. Si, decisamente dispettoso come suo padre, ma non è male che ogni tanto anche lui ne paghi le conseguenze. E poi quello schema sulla disposizione dei tavoli faceva schifo, la sua idea di piazzare mia zia Ruth vicino all’orchestra solo perché parla troppo, nella speranza di rintronarla così del tutto, è assolutamente stupida e fuori luogo. Oh povera me, ho la sensazione che questo matrimonio mi farà impazzire…

 

 

 

 

 

 

 

Quel pomeriggio, dopo aver lavorato un po’ decido di far visita a Josè e Benedicte visto che, tra una cosa e l’altra, non ho ancora avuto il tempo di conoscere il bambino. Sono imperdonabile, lo so, ma tra Grace che non sta ancora bene e…tutto il resto, la mattina sono già esausto ancor prima di cominciare la giornata e Johanna non m facilita certo le cose. Non fa che contestare ogni mia singola parola, finendo così per stroncare sul nascere ogni mia idea riguardo al matrimonio e…morale della favola, non le va mai bene niente e ogni scusa è buona per andarmi contro. Questa donna mi farà diventare matto prima o poi, ne sono convinto.

- Sei sicuro che ti vuoi ancora sposare? Lo sai che una volta pronunciato il fatidico si non si torna più ndietro, vero?

Scherza Josè mentre con il suo bambino tra le braccia si siede vicino a me sotto gli occhi di Benedicte, che proprio di fronte a noi li osserva rapita, in una sorta di euforia distante e quasi timorosa di spezzare in qualche modo quel magico momento tra padre e figlio. Sono contento che le cose si siano finalmente sistemate tra di loro, e passata la tempesta l’arrivo del piccolo Adam ha finalmente portato un po’ di gioia e serenità in questa casa, legandoli per sempre come una vera famiglia. Già, a proposito di famiglia credo proprio che farei meglio a tornare dalla mia adesso, si è fatto un po’ tardi. Saluto i miei amici e mi incammino così verso casa, passando il resto della serata a convincere Grace a restarsene nel suo letto e non a bighellonare in giro per le stanze, rischiando così di contagiare suo fratello. Ma lei non fa che strillare che se resta segregata in camera sua ancora un po’ rischia di finire dritta in manicomio, e ogni volta che cerco di sdrammatizzare urla ancora più forte, svegliando praticamente tutto il vicinato e accusando me e sua madre di sequestro di minore.

- Avrete dei guai per questo, ve lo garantisco!

Ripete per la centesima volta, e di nuovo devo trattenermi dal ridere se non voglio farla agitare ancora di più. Accidenti, non so nemmeno dove le abbia sentite certe espressioni. “Carcerieri” ci chiama inoltre, e in fondo credo di poterla capire. È ancora una bambina, e non è abituata a restare chiusa in casa così a lungo, non posso pretendere che accetti passivamente questa antipatica situazione.

- Tua figlia ha fatto il diavolo a quattro stasera, ci sono volute ore prima che la piantasse di strepitare che prima o poi ci farà arrestare tutti quanti per sequestro di persona!

Dico, lanciando un’occhiata di traverso a Johanna mentre entro in camera da letto.

- Ah, quando fa i capricci diventa improvvisamente mia figlia? Ma guarda un po’, che fine ha fatto il tuo orgoglio paterno stavolta?

Esclama scherzosa, incrociando il mio sguardo e sorridendo divertita prima che Logan, accoccolato vicino a lei catturi la sua attenzione.

- Seppellito – rispondo tra uno sbadiglio e l’altro – andato, come le poche forze rimastemi. Sono stanco morto…ehy, piccolo usurpatore della mia metà del letto, che ci fai ancora sveglio a quest’ora?

Aggiungo poi rivolto al bambino, prendendolo in braccio e stendendomi vicino a Johanna prima di poggiarlo sul mio petto e sfiorare la sua piccola fronte con un bacio.

- Anche qui abbiamo un tenero diavoletto – risponde lei, girandosi su un fianco per avvicinarsi di più – che non ne vuole proprio sapere di dormire.

- Già, me ne sono accorto.

Osservo mentre lo guardo dimenarsi contro di me, esibendosi in una buffa serie di incomprensibili gorgheggi che mi fanno sorridere divertito.

- Sai – continua – oggi ha chiamato mio fratello.

- Davvero, e…quale dei cinquecento?

Chiedo, stavolta voltandomi verso di lei. Ride.

- Scemo, siamo solo in sei. Mio fratello Roy comunque, ricordi? Te ne ho parlato un sacco di volte. Ha detto che vuole venire a trovarci perché è ansioso di conoscere Logan, così ne approfitta anche per farsi una vacanza e starà da noi fino a dopo il matrimonio. Poi tornerà a casa insieme agli altri.

La fisso, allibito.

- Grazie per avermi consultato!

Sbotto senza riuscire a trattenermi, facendola ridere ancora di più.

- Dai, smettila di lamentarti sempre. Questa è anche casa mia, no? E quello è mio fratello, perciò credo di avere tutto il diritto di…

- Va bene, d’accordo. Mi arrendo. Fai come ti pare.

Mi affretto a interromperla, sollevando le mani in segno di resa e sperando così che  questa piccola discussione si concluda il prima possibile. Non ho proprio la forza per mettermi a litigare anche su questo. Che faccia pure ciò che vuole, può anche invitare qui tutta Houston se lo desidera, non mi interessa minimamente, purchè mi lasci finalmente dormire. Stasera sono davvero distrutto, non riesco nemmeno a tenere gli occhi aperti. Mi accorgo solo vagamente che Johanna si sta muovendo piano vicino a me prendendo Logan, ormai profondamente addormentato dalle mie braccia e posandomi un bacio leggero sulle labbra.

- Buonanotte amore.

Mi sussurra, ed è l’ultima cosa che sento prima di scivolare lentamente nel sonno…

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Apro la porta con le mani piene di pacchetti e pacchettini, visto che prima di andare a prendere Roy all’aeroporto ne ho approfittato per fare un po’ di provviste al fornitissimo supermercato di fronte, poi faccio cenno a mio fratello di entrare in casa. Solo che, non appena varcata la soglia un piccolo uragano di nome Grace, turbinìo di capelli al vento ed espressione gioiosa dipinta su quel dolce visetto gli è subito addosso, avvolgendolo in un caloroso abbraccio che lo fa scoppiare a ridere.

- Zio Roy, sei qui finalmente! Non vedevo l’ora che arrivassi!

Esclama felice, facendogli un gran sorriso e baciandolo sulla guancia.

- Eccola qui la mia bambina, sono così contento di vederti! Accidenti quanto sei cresciuta, sei diventata una signorina! E queste macchie rosse? Non vogliono proprio saperne di andar via, eh?

Dice, studiandola a lungo con aria concentrata.

- Prima o poi lo faranno – mi intrometto, posando i pacchetti sul tavolo della cucina e cominciando a sistemare la spesa – è già in via di guarigione.

- Si – aggiunge Grace – adesso posso finalmente uscire un po’, e presto ricomincerò ad andare a scuola, sai?

Mia figlia comincia subito a stordirlo di chiacchiere, ma lui non ne sembra particolarmente impressionato mentre sistema momentaneamente le valige ai suoi piedi e si siede sul divano, permettendole così di appollaiarsi sulle sue ginocchia e accarezzandole piano i capelli, ascoltandola con attenzione. Non lo vedo da anni ma è come se non ci fossimo mai persi di vista, è sempre lo stesso. Fisico tonico e asciutto, frutto di continui e massacranti allenamenti in palestra e sorriso schietto e sincero, di chi non ha peli sulla lingua e sa il fatto suo. Mio fratello è sempre stato un tipo molto affascinante e sicuro di sé, forse è per questo che praticamente da quando ho memoria tutte le ragazze gli svengono ai piedi implorandolo di degnarle di uno sguardo, cosa che lui ovviamente non si è mai fatto ripetere due volte. Bè, tutto ciò che posso dire è che alla fine si lasciava sempre dietro una consistente scia di cuori spezzati e che ancora oggi, a trentasei anni suonati, non ne vuole proprio sapere di mettere finalmente la testa a posto e decidersi a formare una famiglia tutta sua. Ma lui è fatto così, è un tipo un po’ fuori dal comune, ed è anche per questo che noi due andiamo così d’accordo. La voce di Christian mi distrae improvvisamente dai miei pensieri, riportandomi bruscamente coi piedi per terra mentre lo vedo raggiungerci velocemente con il bambino tra le braccia, ansioso di conoscere finalmente Roy , che non appena lo vede arrivare si precipita da lui per stringerlo subito in un amichevole abbraccio, rischiando quasi di farlo ruzzolare giù per le scale. Accidenti, cominciamo bene! Christian non è certo abituato a manifestazioni d’affetto così sfrenate da parte di gente a lui estranea, e la sua espressione perplessa e confusa mentre cerca di sgattaiolare via da quella imbarazzante situazione ne è la prova. Ma fortunatamente poco dopo mio fratello sembra indirizzare a Logan tutte le sue attenzioni, facendogli tirare un sospiro di sollievo che mi fa sorridere divertita, mentre lo guardo di sottecchi dalla mia postazione poco lontana.

- Che piacere conoscervi entrambi!

Esclama Roy, allegro, prendendo il bambino tra le braccia e facendolo volteggiare più volte mentre lo osserva ridere a crepapelle, chiaramente divertito da quella nuova situazione.

- Fai attenzione – lo avverte Christian, avvicinandosi di qualche passo e cercando, con scarsi risultati di nascondere l’apprensione dovuta a ciò che sta vedendo e a cui non è certo abituato – ha mangiato da poco e non vorrei che si sentisse male.

- Non preoccuparti – risponde lui, di rimando, continuando a coccolare il nipotino – so come trattare con i bambini. Una volta portai Grace a fare un giro a cavallo subito dopo averle fatto ingurgitare un intero biberon di latte, che poi finì per rigettare tutto in faccia a quella povera bestiola! Ronnie è sempre stato un puledro dal carattere non facile, ricordi come si imbizzarrì quel giorno, Johanna? Rischiammo tutti di finire all’ospedale!

E scoppia a ridere come un matto mentre lo sguardo di Christian saetta rapidamente da me a lui, e la sua espressione sembra mutare lentamente in peggio prima di esclamare un accorato “Che cosa?” incenerendomi sul posto e facendomi trasalire. Ops…qualcosa mi dice che sia meglio mettere immediatamente fine a questa conversazione.

- Ehm…Roy, sono sicura che il viaggio fin qui sarà stato parecchio stancante, cosa ne dici di andare di sopra e fare un bel bagno rilassante? Vieni, seguimi, così ti mostro la tua stanza…

- Niente affatto, sorellina – mi interrompe, strizzandomi l’occhio giocosamente – non sono stanco per niente, e l’unica cosa che desidero adesso è fare un bagno, si, ma là fuori, in quel meraviglioso oceano. Allora, dov’è la tavola da surf?

Ci vuole più di mezz’ora per spiegare a Roy che qui non siamo a Miami Beach e che nessuno di noi possiede una tavola da surf, ma lui sembra irremovibile, e dopo aver passato gran parte del pomeriggio a cercarne una praticamente in ogni negozio dell’isola alla fine ne acquista ben due, sperando così di convincere Grace a fargli compagnia tra le onde e lei, inutile dirlo, si mostra subito entusiasta all’idea, pronta a seguirlo anche in capo al mondo.

- Non se ne parla nemmeno – esclama Christian mentre, subito dopo cena passeggiamo sulla spiaggia insieme a Logan – tuo fratello dovrà passare sul mio cadavere prima di portare mia figlia nel bel mezzo dell’oceano con quella stupida tavola da surf! Si da il caso che non sia ancora guarita del tutto, e poi potrebbe prendere freddo e…mi spieghi cos’è questa storia del cavallo che si è imbizzarrito in sua presenza, poi? Meno male che sapeva trattare coi bambini! Senti, mi spiace dirtelo ma quel ragazzo ha della segatura in testa! Irresponsabile oltre ogni dire, e tu ancora più di lui visto che gli permettevi tranquillamente di occuparsi di una bambina così piccola…Dio Johanna, ma ti rendi conto? Oggi ha rischiato di far vomitare Logan per ben due volte con quella ridicola palla salterina che ha pensato bene di portargli dal Texas!

Sbuffo, palesemente scocciata.

- Hai finito? Siamo venuti qui per rilassarci un po’ e conciliare il sonno al bambino, non certo per fargli venire i vermi alla pancia per l’agitazione! Smettila di lamentarti in questo modo, non ti servirà a niente, e comunque Roy sta solo cercando di recuperare il tempo perduto con i bambini. Che male c’è a farlo divertire un po’ con la palla salterina, ci abbiamo giocato tutti quanti da piccoli…

- Ecco perché siete tutti fuori di testa, allora!

Mi interrompe, furioso, facendomi venire una gran voglia di strangolarlo con le mie stesse mani. Già, è un vero peccato che in questo momento siano impegnate a reggere Logan, che comincia già a mostrare piccoli segni di cedimento sbadigliando ripetutamente e accoccolandosi di più contro il mio petto, alla ricerca di una posizione più comoda per potersi addormentare.

- Si, finalmente ho capito il motivo! – continua – Inoltre, pensi sia stata una buona idea lasciare Grace da sola con lui, adesso? Chissà cosa potrebbe spingerla a combinare, di questo passo!

- Vuoi smetterla di parlare di mio fratello come se fosse l’essere più pericoloso al mondo? Le stava solo insegnando a giocare a poker, che male c’è?

- Che male c’è? Oh, andiamo, far giocare a poker una bambina di dieci anni! Quale sarà la sua prossima mossa, insegnarle a bere tequila per caso?

Scoppio improvvisamente a ridere, cogliendolo in contropiede.

- Certo che hai una fervida immaginazione, amore mio! Su, smettila di preoccuparti, Roy sarà anche un po’ sopra le righe ma non è certo un criminale. È un ragazzo in gamba, e ha anche un grande cuore e tu non dovresti giudicarlo senza prima conoscerlo.

Sospira, circondandomi le spalle con un braccio e accarezzando dolcemente il viso paffuto di Logan, che si è appena addormentato.

- Non lo sto giudicando – dice, abbassando notevolmente il tono di voce – è solo che…

- È solo che sei geloso – finisco la frase per lui – perché Grace sta dimostrando tante attenzioni nei confronti di suo zio, e tu ti senti spodestato del tuo ruolo di padre. Sto sbagliando, forse?

Il suo improvviso silenzio conferma ciò di cui in cuor mio ero già sicura e quell’adorabile, improvviso sguardo da cucciolo smarrito mi fa tanta tenerezza mentre gli poso un bacio leggero sulle labbra, cercando così di tranquillizzarlo.

- Non devi preoccuparti – gli dico dolcemente – tua figlia ti adora, e per lei resterai sempre tu il migliore. Non dubitarne mai.

Lo vedo sorridere alle mie parole, finalmente più sereno mentre mi bacia a sua volta, prima di incamminarci lentamente verso casa. Non appena varchiamo la soglia però l’insistente suono dello stereo, regolato al volume massimo ci investe all’improvviso, facendoci sussultare e finendo per svegliare anche Logan, che quasi sul punto di piangere comincia ad agitarsi fra le mie braccia, come se volesse fuggire da tutto quell’incredibile baccano a cui non è certo abituato, specie a quell’ora. Christian si irrigidisce vicino a me e il suo sguardo è d’un tratto gelido, quasi addolorato mentre lo osservo avanzare con passo deciso in mezzo a tutta quella confusione e, prima ancora che possa rendermi conto di cosa stia succedendo spegnere lo stereo con uno scatto nervoso, scatenando ben presto le lamentele di Grace e mio fratello. Entrambi cominciano infatti a lanciargli delle strane occhiate perplesse a cui lui però sembra non prestare particolare attenzione, ed è allora che finalmente capisco: oh no, quella era la canzone di Giselle…

- Ehy, si può sapere perché diavolo hai spento? Quella canzone spacca di brutto!

Gli grida dietro Roy che, ancora sbigottito dal suo strano comportamento cerca in qualche modo di attirare la sua attenzione, ma è troppo tardi. Christian si sta già dirigendo al piano di sopra e non fa nemmeno lo sforzo di voltarsi indietro, sordo a qualunque tipo di richiamo e, a quel punto, mi accorgo di non poter far altro che seguirlo…

 

 

 

 

 

 

Mi sveglio di soprassalto, ansante e sudato, mettendomi a sedere sul letto mentre mi accorgo che Johanna mi sta guardando con aria seria e preoccupata, accarezzandomi il braccio da cima a fondo nel tentativo di restituirmi un po’ di lucidità.

- Christian, che cosa c’è? Hai fatto un brutto sogno?

Mi chiede dolcemente, mettendosi a sedere a sua volta e circondandomi le spalle con le braccia, posandomi un bacio leggero sulla tempia. Annuisco, voltandomi a guardarla e prendendole le mani, come a rassicurarla che, qualunque cosa fosse, è già passata. Anche se non ne sono del tutto sicuro. No, non riesco mai a esserlo fino in fondo…perché non posso dimenticare.

- Ti va di parlarne?

Continua, liberandomi la fronte dai capelli scomposti e poggiando la testa nell’incavo della mia spalla, ascoltando il mio respiro irregolare prima che mi decida finalmente a parlare.

- Io…continuo a vederla – comincio con voce rotta – la sua immagine mi compare sempre davanti e quando meno me lo aspetto, anche se…penso di essermi lasciato tutto alle spalle. Ma non è così, e io riesco ancora a sentire l’odore di fumo, a vedere le fiamme che l’avvolgono, a sentire…le sue urla disperate mentre mi dice di andare via da quella casa, di pensare solo a salvarmi e abbandonarla lì…

Non riesco a continuare perché la mia voce si incrina e mi ritrovo a singhiozzare prima ancora di rendermene conto, prendendomi la testa fra le mani mentre Johanna mi avvolge in un caldo abbraccio, stringendomi forte a se e cercando di consolarmi.

- Amore, non fare così ti prego…è per via di quella canzone, non è vero? L’hai sentita e ti è tornato tutto in mente…ma Roy non lo ha fatto apposta, lui non poteva sapere, non immaginava certo che…

- Lo so – la interrompo, asciugandomi le lacrime e tornando lentamente un po’ più padrone di me stesso – e mi dispiace se gli ho dato una cattiva impressione. Insomma…non volevo che smettessero di divertirsi, ma solo che non ascoltassero quella canzone. Io non voglio sentirla mai più, e invece continuano a trasmetterla praticamente ovunque, non ne posso più…sta diventando un incubo. È già un incubo.

Mi accascio, d’un tratto privo di forze e di nuovo mi rifugio tra le sue braccia, nell’unico posto dove ho bisogno di stare. Nell’unico posto dove voglio davvero stare.

- Coraggio amore mio, passerà. Vedrai che passerà, tutto questo dolore andrà via prima o poi e quei brutti momenti resteranno solo un lontano ricordo.

Mi sussurra e sento le sue mani sfiorarmi piano i capelli prima di scivolare lungo le mie spalle scosse dai singhiozzi, accarezzandole ritmicamente in un debole tentativo di conforto mentre le sue labbra percorrono il profilo del mio viso, raccogliendo dolcemente le mie lacrime e fondendosi più volte con le mie, donandomi finalmente la pace di cui ho bisogno.

 

- Dai papà. Posso farmi il tatuaggio del teschio che luccica?

Mi ripete Grace per l’ennesima volta mentre, seduti a tavola all’ora di pranzo racconta a me e sua madre di come è andata la sua mattinata passata in compagnia dello zio che, adesso, a quanto pare, ha pensato bene di dileguarsi per andare a cavalcare l’onda insieme alla sua ormai inseparabile tavola da surf. Insomma, capisco la sua sfrenata passione per questa specie di sport assurdo che, per inciso, non mi azzarderei mai a fare, ma ora mi sembra che quel ragazzo stia cominciando a esagerare un po’. Sono giorni che non fa che montare quella stupida sottospecie di skate senza ruote, rischiando tutte le volte di rompersi l’osso del collo sotto gli occhi attenti e curiosi di Grace, che non fa che guardarlo con crescente ammirazione. E va bene, d’accordo, sono un po’ geloso…e allora? Ok, diciamo pure che sono geloso marcio di tutta questa situazione, ma il fatto è che quella è mia figlia e…oh, lasciamo perdere certi argomenti,è meglio! E comunque gli americani diventano proprio fissati quando ci si mettono, con certe cose.

- Si può sapere perché ti sei intestardita con questa storia del teschio? Me ne parli praticamente da quando ci siamo seduti a tavola, ma la mia risposta è sempre la stessa: puoi scordartelo! Alla tua età non ti fai proprio nessun tatuaggio, fine della discussione. Perciò sei pregata di smettere di tormentarmi con certe sciocchezze.

Ribatto, palesemente scocciato dalle sue assurde richieste prima di riempirmi il bicchiere con dell’acqua fresca e cominciare lentamente a bere.

- E poi non capisco come ti sia venuta in mente un’idea simile, un teschio non è certo un tipo di tatuaggio indicato per una bambina come te, neppure se luccica.

Si intromette sua madre, che seduta di fronte a me la osserva con crescente curiosità.

- Uffa! Quanto siete noiosi!

Si lamenta intanto lei, e a quel punto io e Johanna ci scambiamo delle occhiate perplesse.

- E poi si può sapere dove lo hai visto?

Esclamiamo all’unisono, scoppiando a ridere subito dopo per l’assurdità della situazione.

- Che domande – risponde lei, pronta – l’ho visto sul sedere di quella ragazza mora con cui zio Roy si rotolava mezzo nudo sul divano proprio questa mattina!

A quelle parole il sorriso mi si spegne sulle labbra e per poco non mi va di traverso l’acqua che sto bevendo.

- Che cosa hai detto?

Esclamo sconvolto prima ancora di riuscire a trattenermi, e quando mi volto mi accorgo che a Johanna è caduta la mascella e che la sta fissando con gli occhi sgranati, come se non riuscisse a credere a ciò che ha appena sentito.

 

- Oh, insomma – esclama Roy, visibilmente infastidito da quella discussione che dura ormai da almeno mezz’ora – quante storie per una sveltina di poco conto…in fondo cos’avrò mai fatto di tanto grave? Ho conosciuto quella tizia sulla spiaggia e…

- Non mi interessa un accidente di come l’hai conosciuta! – sbotto, interrompendolo agitato – Te la sei portata qui in casa mia, sul mio divano e sotto gli occhi di una bambina di dieci anni, che adesso tu avrai irrimediabilmente traumatizzato! Hai idea di quello che abbiamo dovuto spiegarle io e tua sorella? Come cazzo ti è venuto in mente di fare una cosa del genere?

Alzo la voce più di quanto sia necessario, ma non me ne frega niente. È già un miracolo che non gli abbia ancora spaccato la faccia, dopo quello che è stato capace di fare in presenza di mia figlia. Dio, se solo ci penso mi sale il sangue alla testa. Cosa crede che sia questo, un harem? Una specie di bordello dove può fare i propri comodi indisturbato quando non ci siamo? No, non riesco proprio a tollerarlo. Adesso ha veramente passato i limiti, e lo leggo anche negli occhi di Johanna che, vicino a me, con le braccia incrociate e l’aria tremendamente seria sembra non perdersi una sola parola di tutta questa assurda discussione che adesso mi trovo costretto ad affrontare, anche se non avrei mai voluto. Ma Roy continua a lanciarci delle occhiate perplesse, come se non capisse, come se non riuscisse a rendersi conto della gravità della situazione venutasi a creare, e questo mi rende ancora più furioso nei suoi confronti.

- Non ci vedo assolutamente nulla di scandaloso – replica, sulla difensiva – ve la state prendendo per niente! Santo cielo, solo perché la bambina mi ha beccato a fare la cosa più naturale del mondo… Vorresti farmi credere che tu ti fai tanti scrupoli ogni volta che ti scopi mia sorella?

- Come e quando mi scopo tua sorella sono affari che non ti riguardano – urlo, al limite della sopportazione – e comunque ho l’accortezza di farlo in camera da letto, lontano da sguardi indiscreti e sicuramente non in presenza di mia figlia…

- Christian, smettila – mi interrompe Johanna, arrossendo violentemente mentre mi incenerisce con lo sguardo – finitela tutti e due, parlate come se non fossi nemmeno qui! Questi discorsi mi stanno veramente imbarazzando!

- Tua figlia? – ribatte Roy, ignorandola – Adesso è diventata improvvisamente tua figlia? Ti ricordo che quella bambina l’abbiamo cresciuta noi in Texas, almeno per i primi quattro anni della sua vita! Noi abbiamo seguito i suoi primi passi, ascoltato le sue prime parole e le siamo stati accanto tutte le volte che non stava bene…e tu, dov’eri tu quando lei aveva più bisogno di te? Dov’eri quando mia sorella non faceva che piangere tutte le notti, perché tu l’avevi messa in questa situazione e non eri nemmeno in grado di prenderti le tue responsabilità? Te lo dico io dov’eri…

- Basta così – lo interrompe Johanna, facendo un passo deciso verso di lui – piantala immediatamente di rivangare il passato, stai parlando di cose che non sai!

- Oh, sicuro che le so – risponde, alzando la voce ancora di più – ne so abbastanza per poter dire la mia, e adesso tu mi ascolterai perché non sei nella posizione di aggredirmi in questo modo! Non sei nemmeno stato capace di occuparti della tua bambina, sangue del tuo sangue, perché in realtà eri troppo impegnato a passare le giornate a bucarti nei peggiori vicoli della tua Parigi, perché la cosa potesse davvero interessarti!

- Dacci un taglio, Roy, non ti permetto di parlargli in questo modo!

Grida Johanna, ma io non l’ascolto quasi perché quelle parole mi colpiscono nel profondo, sedimentando dolorosamente dentro di me e senza che io possa far niente per impedirlo. Adesso basta, questo è veramente troppo.

- E va bene, cominciamo a essere decisamente in troppi qui dentro. Non c’è abbastanza spazio per tutti e due in questa casa, perciò devi scegliere Johanna: o me, o lui.

Dico d’un tratto, la voce improvvisamente bassa e controllata, senza staccare gli occhi da Roy nemmeno per un istante mentre mi accorgo che ricambia il mio sguardo, senza parlare, proprio come se volesse mantenere il punto.

- Christian, falla finita con queste stupidaggini – esclama lei, l’aria visibilmente scossa – non posso credere che tu mi stia davvero mettendo in questa posizione! Come puoi costringermi a scegliere tra te e mio fratello? Insomma, lui è la mia famglia, e non…

- Non preoccuparti -  la interrompo, impedendole così di finire la frase – se per te è così difficile decidere vorrà dire che ti darò una mano: sarò io ad andarmene!

Poi mi allontano, lasciando la casa e richiudendomi violentemente la porta alle spalle, sordo ai suoi continui richiami mentre cerca inutilmente di fermarmi, di convincermi a tornare sui miei passi. Ma ormai è troppo tardi, e non c’è niente che lei possa fare per riportarmi indietro. Non finchè si ostinerà a permettere a quell’essere disgustoso di continuare a occupare casa mia.

 

  

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


 

- Bè, quello che ha fatto è sicuramente grave, ma non credi di aver esagerato un po’ ad andartene via di casa?

Osserva Josè, mentre seduti nel salotto di Hèlene e Nicolas discutiamo animatamente di tutto ciò che è successo nelle ultime ore, bevendo limonata fresca preparataci dalla padrona di casa.

- No, niente affatto, e finchè quell’idiota senza cervello si ostinerà a rimanere in quella che è la mia proprietà io non tornerò sui miei passi, sia ben chiaro!

Ribatto ostinato, riponendo il mio bicchiere ormai vuoto sul tavolo vicino e sospirando rumorosamente, scompigliandomi i capelli più volte con gesti nervosi, come se questo potesse aiutarmi a raccogliere finalmente le idee e fare un po’ di chiarezza nella mia testa. Anche se in questo momento mi sembra impossibile. Non posso credere che stia succedendo davvero: mi sposo tra poco più di due settimane, e l’unica cosa a cui riesco a pensare è che non credo di essere pronto a compiere un passo del genere. Non più almeno, non dopo quello che è successo.

- Andiamo Christian, sei sempre la solita testa calda! Prendi tutto di petto senza mai curarti delle conseguenze delle tue azioni, e questo è il risultato. Che cosa speri di ottenere comportandoti così, non pensi a Johanna?

Esclama Nicolas voltandosi a guardarmi e io mi ritrovo ad abbassare improvvisamente gli occhi, incapace di incrociare i suoi. Già, certo che ci penso. Ci penso ogni minuto della mia vita, ed è proprio per lei che ho preferito andarmene anziché spaccare la faccia a quella sottospecie di…ok, devo calmarmi adesso o finirò per farmi partire un embolo oggi. Faccio così un respiro profondo, liberandomi la fronte dai capelli e proprio in quel momento il suono improvviso del campanello ci fa trasalire tutti, costringendo Hèlene a interrompere le sue faccende in cucina per andare ad aprire la porta.

- Finalmente ti ho trovato, Christian – esclama Roy, trafelato, entrando in casa con passo deciso e guardandomi con espressione seria – giuro che non sapevo più dove cercarti. Avanti, torna subito a casa e risolviamo la questione da persone adulte!

- Da persone adulte? Ah, bella questa!

Ribatto rialzandomi in piedi con uno scatto deciso e incrociando le braccia al petto, accorgendomi solo vagamente che i miei amici stanno intanto lasciando la stanza, dileguandosi lentamente fino a sparire per permetterci così di parlare faccia a faccia. Bè, peccato però che io non abbia alcuna voglia di farlo in questo momento, ma lui si avvicina ancora di qualche passo, lo sguardo fiero e deciso di chi non ammette repliche.

- Per favore – continua e il suo tono di voce è d’un tratto pacato, fin troppo misurato mentre parla – se non vuoi farlo per me, fallo almeno per Johanna. Mia sorella ha già sofferto abbastanza e non merita di continuare a farlo. Lei ti ama, e so che anche tu provi la stessa cosa. Il tuo posto è lì, in quella casa, vicino a quella che presto diventerà tua moglie, perciò…vai da lei, ti prego, non farla più aspettare. Sono io l’estraneo qui, tocca a me andarmene.

Lo fisso a bocca aperta, completamente spiazzato da quelle parole che di certo non mi aspettavo di sentirgli dire.

- Ho già combinato abbastanza casini col mio comportamento sconsiderato – continua, palesemente a disagio – e mi dispiace di averti parlato a quel modo, non lo meritavi. Tutti commettiamo degli errori nella vita, e io non avevo alcun diritto di rinfacciarti quelle cose. So che sei stato male e che hai sofferto anche tu, e vorrei solo…che sotterrassimo l’ascia di guerra e cercassimo di andare d’accordo, per amore di mia sorella. Insomma, devi essere per forza una persona speciale se lei ti ama così tanto, no?

Mi tende la mano e io decido di stringerla dopo un breve attimo di esitazione, ricambiando il suo sorriso mentre mi attira a sé, abbracciandomi e battendomi affettuosamente una mano sulla spalla, facendomi scoppiare a ridere per l’imprevedibilità di quel gesto.

- Il futuro marito di mia sorella è anche mio fratello!

Continua a ripetere, ridendo e facendomi scuotere la testa divertito. Quando quella sera torno a casa tra me e Johanna non c’è bisogno di parole, i suoi occhi dicono già tutto. Le corro incontro, stringendola in un lungo abbraccio che in un attimo cancella ogni dissapore tra noi, restituendoci finalmente il sorriso.

 

 

 

 

 

 

 

I giorni successivi volano via veloci tra gli ultimi preparativi da affrontare e l’arrivo di tutti i miei parenti che, aveva ragione Christian, sembrano proprio trasformare in breve tempo casa nostra in una specie di campo profughi, in cui succede veramente di tutto. Continuiamo infatti a muoverci tra svariate conversazioni a più voci e schiamazzi di bambini urlanti, che non fanno che scorrazzare per le stanze già affollate creando se possibile ancora più caos in giro, cosa che scatena costantemente le ire di Christian, che non fa che sbuffare tutti i santi giorni ogni volta che crede di non essere visto. Povero il mio Cri Cri adorato, lui non ha una famiglia numerosa e a differenza di me non è certo abituato a questa confusione, e anche se tutto quanto sembra pesargli parecchio cerca sempre di non darlo a vedere, nascondendo il più possibile il suo inquieto stato d’animo e mascherandolo il più delle volte dietro a quel buffo sorriso tirato che ormai, purtroppo per lui, ho imparato facilmente a riconoscere. Già, non ha ancora capito che ogni suo goffo tentativo di nascondermi le cose risulta assolutamente inutile e fuori luogo, visto che praticamente lo conosco come le mie tasche. Ed è proprio a questo che sto pensando la mattina del matrimonio, mentre fisso la mia immagine riflessa nello specchio e ancora una volta devo fare uno sforzo tremendo per non scoppiare a piangere per l’ennesima volta, rischiando così di rovinarmi il trucco di cui Hèlene e Benedicte si sono appena meticolosamente occupate, facendo uno splendido lavoro. Accidenti, non sembro nemmeno io oggi! È tutto così strano, così emozionante…ecco, lo sapevo, sento che sto per piangere di nuovo…

- Ehy – esclama Hèlene, venendomi subito incontro non appena nota che comincio a tamponarmi gli occhi con un fazzoletto – non azzardarti a versare una lacrima oggi, ok? Renderesti vano tutto il nostro lavoro, e rischieresti di assomigliare in breve tempo a un clown con il mascara che cola da tutte le parti!

Scuoto lentamente la testa, facendo un debole sorriso e in quel momento incrocio lo sguardo di mia madre che, ferma sulla soglia, mi osserva con un sorriso estatico dipinto sul volto, proprio come se mi vedesse per la prima volta.

- Mamma!

Dico, tendendo le mani verso di lei e stringendo con calore le sue mentre lascio che Hèlene dia un’ultima ravviata al mio semplice abito bianco, stretto in vita e impreziosito da piccoli strass che creano uno splendido gioco di luci intorno a noi, emozionandomi ancora una volta.

- Sei bellissima tesoro mio, sei pronta per scendere di sotto e dare inizio alla cerimonia? Aspettiamo tutti te, e Christian ha un’aria così nervosa e preoccupata che mi aspetto che possa svenire da un momento all’altro, se non ti sbrighi a raggiungerlo subito!

Esclama mia madre, facendomi scoppiare a ridere.

- Oh, lui è sempre nervoso e preoccupato, ma non devi farci caso. Fa parte della sua natura, sarebbe anormale il contrario.

Rispondo divertita e lei mi sorride ancora una volta, accarezzandomi i capelli che mi ricadono morbidamente sulle spalle nude.

- È proprio un bravo ragazzo il tuo Christian, e ti vuole davvero molto bene.

- Anch’io gliene voglio mamma, e non vedo l’ora di sposarlo.

Dico, abbracciando strette lei ed Hèlene e affrettandomi poi insieme a loro a lasciare la stanza per raggiungere il piano di sotto, bloccandomi per un attimo a metà strada non appena scorgo tra i presenti lo sguardo adorante dell’uomo che amo più di me stessa e che mi sta aspettando per prendermi la mano, pronto a condurmi verso questo meraviglioso sogno d’amore che entrambi siamo finalmente pronti a coronare. Il ricevimento, così come la cerimonia iniziale si svolge direttamente nel nostro giardino, appositamente addobbato per l’occasione da una miriade di palloncini e fiori colorati, sapientemente sistemati dalle mani delle ragazze e di tutti i bambini presenti, compresi i miei che, a modo loro, hanno voluto dare un piccolo aiuto affinchè tutto riuscisse nel miglior modo possibile. Già, sono veramente contenta del risultato e della fantastica aria di festa che si respira qui intorno e che non accenna a diminuire nemmeno a notte inoltrata, quando, subito dopo il taglio della torta nuziale e approfittando del fatto che tutti siano troppo impegnati a mangiare per badare a noi Christian mi prende per mano, trascinandomi silenziosamente sulla spiaggia e attirandomi a sé, specchiandosi così intensamente nei miei occhi da riuscire a farmi arrossire per l’emozione.

- Cos’è questo, un tentativo di rapimento?

Scherzo, ricambiando il suo sguardo e accarezzandogli il viso, illuminato solo in parte dalla luce argentea della luna.

- Volevo rimanere un po’ da solo con mia moglie, per poter approfittare di lei indisturbato.

Risponde, sfiorandomi le spalle con studiata lentezza e facendomi rabbrividire di piacere.

- Tua moglie? Mmm…si, suona proprio bene!

Dico, facendolo sorridere mentre gli getto le braccia al collo e lui mi stringe forte.

- Ti amo.

Mi sussurra, prima di catturare le mie labbra in un bacio dolcissimo che mi toglie il respiro. Un bacio carico di promesse, che ha il sapore di un nuovo inizio.

 

Fine

 

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