Tanto rumore per nulla

di germangirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte: un'escursione in montagna ***
Capitolo 2: *** Seconda parte: meglio una caviglia rotta o un cuore spezzato? ***



Capitolo 1
*** Prima parte: un'escursione in montagna ***


Se aveva freddo, Sarah MacKenzie non lo dava a vedere. Se ne stava raggomitolata su una poltrona sgangherata, stringendosi in una leggera coperta, in una capanna in montagna, facendo del suo meglio per non emettere alcun suono e rivelare così ad Harm quanto avesse freddo e quanto stesse effettivamente scomoda.

“Ti avevo offerto di condividere il calore corporeo con te” disse Harm, rompendo il silenzio che si era creato ormai da mezzora.

“Pensavo che stessi dormendo” disse Mac, stringendosi ancora di più nella coperta.

“I tuoi denti che battono mi tengono sveglio” rispose lui, sorreggendosi su un gomito, “Andiamo Mac…” continuò, “non sarebbe certo la prima volta che condividiamo un letto.”

“Lo so” rispose, cercando di ricordare il vero motivo per cui aveva resistito tanto ostinatamente alla sua offerta quando lui gliela aveva fatta.

“Se potessi” aggiunse “verrei io stesso lì a prenderti…”

Allora lei si ricordò della sua gamba e si sentì di nuovo male al pensiero.

“Mac” disse lentamente. “Hai intenzione di venire qui o mi costringi ad alzarmi?” chiese, sapendo che stava giocando con i suoi sentimenti ma pensando che fosse per il suo bene.

“Harm, sto bene qui, davvero” rispose lei, tenendo gli occhi ben chiusi.

“No, non è vero” replicò bruscamente. “Stai congelando.”

“Harm, sto bene” ripeté Mac, ma bastò che Harm si mettesse a sedere e lei si alzò dalla poltrona e si precipitò nel letto, portandosi dietro la coperta.

Ci vollero pochi minuti affinché i due trovassero una posizione che fosse comoda per entrambi.

“Sei fredda” le disse, passandole una mano su e giù per la schiena.

“Solo un pochino” ammise lei alla fine.

“Va meglio?” le chiese poco dopo.

“Molto” rispose languidamente Mac, che adesso era al caldo in un letto comodo e si stava assopendo.

“Perché avevi insistito a rimanere laggiù?” sussurrò, sapendo che stava scivolando nel sonno.

“Non volevo farti male” borbottò. “Te ne avevo già fatto abbastanza.”

“Hey” disse, inclinando la testa verso di lei. “Pensavo che avessimo già risolto questa storia.”

La risposta di Mac si limitò a un leggero russare, quindi ad Harm non restò altro che tenerla stretta fra le sua braccia e sperare che sarebbe stata in uno stato d’animo migliore la mattina dopo.

Quando la mattina arrivò, Harm si svegliò per primo, contento di trovare Mac ancora comodamente sistemata nel suo abbraccio, le dita aggrappate al suo maglione e una gamba scivolata fra le sue. Con movimenti lenti e delicati Harm le accarezzò la schiena: non sapeva bene perché, ma indubbiamente questo gesto lo faceva stare bene. Il suono della pioggia che tamburellava sul tetto e l’ululare del vento intorno alla capanna dimostravano chiaramente che non si sarebbero potuti muovere a breve, così Harm chiuse gli occhi e aspettò di addormentarsi di nuovo.

Distrattamente, mentre si stava appisolando le posò un bacio sui capelli, cosa che fece svegliare Mac. Trovandosi in quella posizione, si ricordò degli avvenimenti che li avevano portati in quel luogo.

Per la maggior parte della settimana Mac era stata di cattivo umore: l’intensità poteva cambiare, ma la sensazione era sempre negativa. Molti fattori erano alla base del suo malumore: troppo lavoro, troppo poco sonno, aver perso un caso che avrebbe dovuto vincere facilmente e… Harmon Rabb. Mentre poteva gestire tutto il resto, il fatto di pensare che stessero andando verso un rapporto un po’ più personale per poi scoprire che lui era uscito con un’altra donna aveva fatto precipitare il suo umore da cattivo a pessimo

Grata per il lungo fine settimana che stava per iniziare e che significava tre giorni in un ambiente privo di Harm, Mac aveva pianificato di fare un’escursione nel parco nazionale e dormire sotto le stelle. Aveva riempito lo zaino con tutto il necessario e aveva informato Bud e Harriet dei suoi piani, nel caso in cui fosse successo qualcosa. Sapendo che non sarebbe dovuta andare da sola, ma odiando l’idea di avere compagnia, pensò che dirlo ai suoi amici sarebbe stato un compromesso con il quale poteva vivere.

Partita il venerdì nel tardo pomeriggio, felice delle ore di luce che ancora le rimanevano, Mac guidò fino al parcheggio del parco nazionale e, una volta arrivata, recuperò lo zaino dal bagagliaio. Pronta a mettersi in cammino, si irritò quando vide Harm parcheggiare l’auto proprio nello stallo accanto al suo. Invece di aspettarlo e dare inizio all’inevitabile discussione, Mac si voltò verso il sentiero e si mise a camminare di buona lena.

Chiamarla non servì a nulla, così Harm afferrò il proprio zaino dal bagagliaio e si incamminò dietro di lei. Non sapendo perché fosse stato il bersaglio di numerose battute taglienti o perché l’avesse  trattato con tanta freddezza, né tantomeno perché lei fosse stata di pessimo umore, Harm aveva pianificato di tenersi alla larga da Mac per il fine settimana. Tuttavia, dopo una chiacchierata con Bud nella sala ristoro quella mattina, in cui i particolari dei piani di Mac erano stati inavvertitamente rivelati, Harm aveva cambiato idea. Anche se era un marine, in nessun modo lui l’avrebbe lasciata andare in una zona selvaggia da sola, tanto più visto il suo stato d’animo e il fatto che la sua mente si sarebbe concentrata su ciò che la angustiava piuttosto che su ciò che stava effettivamente facendo.

“Andartene e non parlare con me non ti servirà a nulla, Mac” le gridò appena si trovò a una distanza tale da farsi udire da lei. “E nemmeno ignorarmi!”

Mac continuava a marciare su un terreno sempre più impervio.

“Non vado da nessuna parte” le gridò, ormai a pochi passi da lei. “Quindi appena sei pronta a parlare, io sono qui.”

Non ci fu nessuna reazione e, a prescindere da ciò che disse Harm nel corso dell’ora successiva, Mac continuò imperterrita a rifiutarsi di rispondere. Poi, quando si fermò per sistemarsi una scarpa, Harm la raggiunse e si piazzò davanti a lei, aspettando che si alzasse e stabilisse un contatto visivo con lui, almeno per ammetterne la presenza.

Quando lo fece, il cuore di Harm si sciolse. Invece dell’algido sguardo da marine che si aspettava, si trovò davanti un volto rigato dalle lacrime. Immediatamente il suo tono si intenerì.

“Per favore parla con me, Mac” disse, allungando una mano per sfiorarle un braccio.

“Non mi toccare” sibilò lei, alzando le spalle in modo violento.

“Mac, per favore” la implorò. “Lascia che … lascia che ti aiuti.”

“Tu?” lo sbeffeggiò e anche se Harm non era certo felice del suo tono, almeno gli aveva rivolto la parola.

“Sì, io” disse piano, cercando di mantenere la calma e di non ingigantire tutta la faccenda.

“Sei l’ultima persona a cui mi rivolgerei” disse, andandosene infuriata.

Non intenzionato a lasciarla andare, Harm continuò a seguirla.

“Perché sono l’ultima persona a cui ti rivolgeresti? “ le chiese. In tutta risposta, lei si fermò per un istante, senza voltarsi, e poi cambiò direzione sul sentiero.

“Mac?” la chiamò, seguendo il suo cambio di direzione. “Io sono tuo amico”

Mac si girò e gli lanciò uno sguardo truce.

“Tu non sei mio amico” gli gridò prima di girarsi di nuovo e allontanarsi.

L’umore di Harm virò da preoccupato a irritato, ma non aveva certo intenzione di lasciarla andare dopo un’uscita del genere. Dopo tutto, fino a qualche giorno prima Rabb era convinto che fossero sulla buona strada per diventare molto più che amici.

Pochi passi rapidi le permisero di raggiungerla di nuovo e di afferrarle un braccio.

“Mac, fermati subito” le ordinò bruscamente, strattonandole il braccio.

“Non mi toccare” reagì lei, cercando di fargli mollare la presa ma senza successo questa volta.

“Ti lascio andare se ti fermi e parli con me” le propose, cercando di negoziare.

Mac non aveva alcuna intenzione di essere forzata a fare qualcosa che non voleva, pertanto sfruttò il fatto di trovarsi su un punto più alto del terreno e spinse Harm lontano da lei. Spingendolo con tutta la sua forza, Harm barcollò all’indietro finché il piede destro gli rimase imbrigliato nelle sterpaglie della vegetazione bassa, perse l’equilibrio e scivolò  lungo il terrapieno del sentiero per qualche metro.

“Porca puttana!” si lamentò appena il suo corpo malconcio approdò contro un albero. Facendo una smorfia, si mise a sedere e controllò la gamba sinistra; i jeans strappati dimostravano quanto fosse stato intenso l’impatto delle sterpaglie sul suo arto inferiore.

Cercando di liberare lo zaino in modo da recuperare il suo kit di pronto soccorso, Harm scoprì che questo era bloccato da un ramo che gli rendeva l’operazione molto difficile. Con una sfilza di improperi pronunciati uno dopo l’altro, Harm finalmente raggiunse il kit e usò le pinzette per estrarre alcune schegge che erano ancora incastrate nella ferita.

“Accidenti” disse quando scoprì che la profonda escoriazione sulla mano gli impediva di usare le pinzette in modo efficace.

Osservandolo dal sentiero, Mac si rese conto che sarebbe dovuta andare ad aiutarlo e lentamente scese giù per il terrapieno.

“Lascia fare a me” ordinò, tendendogli la mano affinché le consegnasse lo strumento.

“No, grazie” rispose, senza sollevare lo sguardo. “Penso che tu sia stata abbastanza chiara prima. Continua la tua passeggiata.”

“Non ho intenzione di lasciarti qui” replicò, togliendogli le pinzette di mano.

“Francamente, Mac” disse, trasalendo per il dolore appena lei si mise al lavoro. “Ho…”

I suoi pensieri si interruppero mentre si concentrava per respirare attraverso il dolore.

“Penso di averle rimosse tutte” annunciò Mac prima di usare un po’ d’acqua per pulire la zona. “Come va?”

“Fa maledettamente male” ammise lui, muovendo la gamba per vedere se riusciva a mitigare il dolore alla caviglia.

“Ti sei fatto male alla caviglia?” chiese, osservandogli il volto.

“Io non ho fatto nulla” scattò lui, “sei stata tu.”

Harm prese una benda dal suo kit, la mise intorno alla ferita sulla gamba e la fissò con un cerotto.

“Mi dispiace” disse piano. “Ma ti avevo detto di non toccarmi.”

“Sì, vero” le replicò freddamente. “E non commetterò lo stesso errore un’altra volta.”

Tirandosi su, Harm si rese conto che la caviglia era messa probabilmente peggio della gamba e si appoggiò all’albero, poiché gli girava la testa e il dolore gli rimbombava in tutto il corpo. Abbassandosi fece diversi tentativi per sollevare lo zaino prima di guardarsi intorno per capire come sarebbe riuscito a risalire la collina e riprendere il sentiero.

“Ti aiuto io” si offrì Mac, sapendo che lui non glielo avrebbe mai chiesto.

“No, grazie” replicò. “Mi hai fatto capire chiaramente che non sono il benvenuto. Ce la faccio da solo.”

Harm raggiunse l’albero successivo prima di aggrapparvisi mentre il dolore gli trapanava la gamba. Rendendosi conto che il viaggio per raggiungere la sua auto sarebbe stato molto lento e doloroso, Harm si mise a riflettere sulla sua prossima mossa.

“Lascia che ti aiuti” ripeté Mac dietro di lui, mentre nubi minacciose si accumulavano sopra la loro testa e l’oscurità cresceva velocemente.

“Cosa?” reagì lui voltandosi in parte verso di lei. “Davvero mi toccheresti?” le chiese sarcastico.

Di solito, a questo punto, Mac avrebbe reagito mandandolo a quel paese, ma vederlo soffrire la faceva stare male e sapere di essere la causa del suo dolore non rendeva certo le cose più semplici.

Girandogli intorno, Mac si posizionò davanti a lui.

“Mi stai dicendo che sei in grado di tornare alla tua macchina da solo senza procurarti ulteriori danni?” lo sfidò e Harm reagì scrollando le spalle.

“Forse no” replicò. “Ma potrebbe essere comunque meno pericoloso.”

“Ascolta” riprese Mac, tendendogli una mano. “Mi dispiace di averti spinto, non avrei dovuto farlo. Mi dispiace che tu ti sia fatto male.”

“Scuse accettate” disse. “Io per primo non avrei dovuto toccarti. Stavo solo cercando di attirare la tua attenzione.”

“Beh, ci sei riuscito” disse, passandosi il suo braccio sulle spalle e mettendo il proprio intorno alla sua vita. “Prendiamola con calma.”

Con calma era un eufemismo fin troppo ottimista, così ritennero più semplice continuare lungo il terrapieno, poiché la pioggia che aveva iniziato a cadere rendeva l’ascesa difficile e scivolosa. Avendo intravisto una vecchia capanna, Mac guidò Harm in quella direzione. Nell’istante in cui entrarono, i cieli si aprirono e rovesciarono sulla terra una valanga di pioggia.

“Ce l’abbiamo fatta giusto in tempo” annunciò Mac mentre aiutava Harm a sedersi su una vecchia poltrona traballante e a sollevare la gamba ferita, appoggiandola su una cassa di legno.

Borbottando fra un sospiro e l’altro, Harm chiuse gli occhi mentre il dolore alla caviglia gli esplose nuovamente nel cervello, facendogli pensare di essersela fratturata nella caduta.

“Stai bene?” gli chiese, accarezzandogli la schiena.

“Mmmmm” riuscì a mormorare dopo un respiro profondo.

“Aspetta che ti tolgo la scarpa e vediamo…” dichiarò prima di slacciargli la scarpa e togliergli quella e il calzino.

Entrambi si trovarono davanti una massa gonfia e di uno strano colore.

“Oh, Harm, ha un brutto aspetto” disse Mac, il senso di colpa salito velocemente alle stelle.

“Sto benissimo” replicò, digrignando i denti.

Formando un impacco freddo, Mac arrotolò un pezzo di stoffa intorno alla sua caviglia, mordendosi il labbro inferiore ogni volta che lui sussultava per il dolore. “Scusa, scusa, scusa” mormorò lei, davvero non volendo infliggergli ulteriore dolore.

“Va tutto bene, va tutto bene” borbottò lui, afferrandole il braccio quando lei strinse un po’ troppo il bendaggio di supporto.

“Mi dispiace, mi dispiace” sussurrò lei in risposta.

Una volta che Mac ebbe finito di prendersi cura delle ferite di Harm, rovistò nel suo zaino e trovò gli antidolorifici che si portava sempre dietro, poi raccolse la bottiglia d’acqua di Harm prima di passare tutto a lui e guardarlo buttare giù le pillole.

“Adesso dovresti mangiare qualcosa” disse lei, tirando fuori altra roba dalla sua borsa.

“Non ho fame” replicò lui, il cibo era proprio l’ultimo dei suoi pensieri.

“Andiamo” lo incoraggiò. “Almeno prenditi una barretta di cereali, così hai qualcosa in circolo.”

Risentito, Harm prese la barretta e la scartò. “Grazie” disse, mordendone un pezzo. “Lo apprezzo molto”

Ci fu un lungo silenzio, sintomo del loro disagio e del fatto che nessuno di loro volesse essere il primo a romperlo. Alla fine, Harm decise di parlare.

“Hai intenzione di farmi sapere perché sei così arrabbiata con me?” chiese, guardandola direttamente negli occhi.

“Mi stupisce che tu abbia bisogno di chiedermelo” rispose lei, guardando ovunque tranne che nella sua direzione.

“Beh, mi dispiace sorprenderti, ma non ne ho idea” ammise sinceramente.

“Ti do un indizio: 1,70 m, capelli scuri, cena al Sapphire Garden…” elencò Mac, cercando di tenere la gelosia lontana dal suo tono e fallendo miseramente.

“Emily?” le chiese, dopo tutto era l’unica mora con cui aveva cenato al Sapphire Garden di recente.

“Se è così che si chiama, allora sì” disse lei, incrociando le braccia.

“Tutto questo malumore e tutta questa violenza fisica perché ho cenato con Emily?” chiese con un grugnito.

“Cena e pranzo l’altro giorno” aggiunse Mac, peggiorando il lato divertente che Harm vedeva in tutto questo.

“Sei gelosa!” esclamò e mentre Mac lo negava, entrambi sapevano che lo era, e anche al massimo livello.

Dopo essersi infilati in questo vicolo cieco, Harm decise di fornire a Mac maggiori informazioni.

“Vuoi che ti racconti di Emily?” le chiese, più che felice di sapere che il suo stato d’animo era dovuto alla gelosia e non a un motivo più serio.

“C’è qualcosa da raccontare?” gli domandò a sua volta, simulando una nonchalance che era ben lontana dall’avere.

“Oh, molto” rispose in tono esagerato. Se Mac voleva fare tanto rumore per nulla, chi era lui per scoraggiarla?

“Allora non sono interessata” proclamò, togliendosi gli stivali con un calcio e accoccolandosi su una sedia. Se c’era tanto da dire allora lei aveva già la sua risposta.

“Lascia che ti racconti di lei” disse, ben sapendo di prenderla in giro. “Emily è meravigliosa e…”

“Harm, basta” lo interruppe, gelandolo con lo sguardo. “Non voglio conoscere i dettagli delle tue conquiste. Preferirei starmene qui in silenzio.”

“Conquiste?” la sfidò Harm. “Sei sicura di non essere gelosa?”

“Vado a vedere che tempo fa” annunciò, alzandosi e dirigendosi verso la porta.

Il tempo non era certo più sereno dello stato d’animo di Mac e non c’erano miglioramenti all’orizzonte – per nessuno dei due.

“Allora?” chiese Harm quando lei ricomparve.

“Sta diluviando e sembra che continuerà a farlo per tutta la notte” annunciò con aria rassegnata.

“Se vuoi andare…” iniziò Harm, ma Mac scosse la testa.

“Cosa? E lasciarti qui?” gli chiese. “Sicuro” continuò, “e mentre sono per strada divento persino vegetariana” aggiunse, cercando di dimostrargli quanto fosse ridicolo il suo suggerimento.

“Mac” disse lentamente. “E’ una situazione già abbastanza difficile, siamo bloccati qui, possiamo dichiarare una tregua delle ostilità per un po’?”

Mac annuì prima di pensare a una risposta diversa. “Non devi avvertire Emily? Farle sapere che non riesci a vederla stasera?”

“Non ho nessun appuntamento con Emily stasera” disse e osservò attentamente il suo volto. “Però avevamo pensato di incontrarci per un brunch domenica.”

Non sapendo bene cosa dire, Mac si espresse solo con un grugnito.

“Mac, stai ingigantendo questa storia”, le disse piano. “Si tratta di un paio di pasti con qualcuno che conosco da sempre e a cui voglio bene. Non avrebbe dovuto causare lo scoppio della terza guerra mondiale.”

“Allora fai sul serio con Emily?” gli chiese appena, le braccia ancora saldamente conserte.

“Sul serio?” replicò, cercando di non sorridere.

“Sì, sul serio” confermò. “Le vuoi bene?”

“Sì” rispose onestamente. “Molto”

“Oh, okay” disse con un cenno del capo e non ci fu altro da dire in merito a quella piccola rivelazione.

Vedendo la sua delusione, Harm si rese conto che era il momento di smettere di giocare. “Mac, Emily è mia cugina” disse piano. “E’ in città questa settimana e ne abbiamo approfittato per incontrarci. Non ci vedevamo da dieci anni e le voglio davvero bene. Abbiamo trascorso un sacco di tempo insieme da ragazzini. Quando avevo 10 anni, mamma ha cominciato a spedirmi dalla sua famiglia ogni estate perché ero diventato una peste. Pensava che lo zio Bill, il papà di Emily, mi avrebbe raddrizzato.”

“E’ tua cugina?” chiese Mac incredula.

“E’ mia cugina” confermò Harm.

“Allora perché mi hai fatto credere che fosse qualcosa di più?” lo mise alla prova.

“Volevo almeno che ammettessi di essere un po’ gelosa” le spiegò. “Dopo tutto, pensavo che ci stessimo avvicinando prima di tutta questa storia.”

“Pensavo la stessa cosa ma poi… non so… mi sono immaginata che io non ti stessi più a cuore” rivelò, cercando di nascondere quanto ci avesse sofferto.

“Tu non mi stessi a cuore?” le chiese. “Come fai a dirlo?”

“Perché ci stavamo avvicinando sempre di più, o almeno lo pensavo” ammise. “E poi improvvisamente mi sono sentita una persona non gradita.”

“Mi dispiace” si scusò. “Credo che stessi cercando di spronarti affinché tu mi rispondessi e…”

“Ha prodotto l’effetto contrario” offrì lei e Harm annuì.

“Ha prodotto l’effetto contrario” concordò. “E mi dispiace” ripeté.

“Facciamo davvero schifo sul piano della comunicazione” disse. “Mi dispiace di averti spinto… fisicamente.”

“Beh, non avrei dovuto toccarti” disse. “Dovrei essere in grado di discutere con te senza forzarti fisicamente a stare con me e ad ascoltarmi.”

Alla fine entrambi ammisero di aver fatto la cosa sbagliata, entrambi cercarono il perdono e entrambi lo ottennero. E mentre erano tornati ad essere amici, l’atmosfera rimase tesa e le tenebre li trovarono addormentati in posti separati.

Con Harm che russava, Mac colse l’opportunità per scivolare dalla sua presa e cercare un bagno. Naturalmente non ce ne era uno nel rifugio. Dovette usare un cespuglio grande per avere un minimo di privacy e alcuni fazzolettini di carta. Quando ebbe finito, usò un po’ della loro acqua per lavarsi le mani e dette un’occhiata veloce alla zona intorno alla capanna.

Andando verso est, fu felice di scorgere una pista battuta, molto probabilmente usata dai veicoli della forestale. Questo significava che lei avrebbe potuto guidare il SUV di Harm fino alla capanna e lui non avrebbe dovuto camminare molto. Sapendo che non ci sarebbe stato molto spazio per fare manovra, studiò la zona per capire se le sarebbe convenuto arrivare in retromarcia e ripartire o fare il contrario. Probabilmente sarebbe anche riuscita a fare manovra in quello spazio ristretto ma pensò che non sarebbe stato semplice su quel tipo di terreno.

“Mac?” la chiamò Harm e lei rientrò velocemente. “Stai bene?” le chiese appena comparve sulla porta.

“Sì” rispose, avvicinandosi al letto. “Stavo solo controllando il modo migliore per tirarti fuori da qui”.

”Posso camminare” disse, ma poi si guardò il piede e fece una smorfia. Ora era coperto da macchie rosso porpora.

“Ci vuoi ripensare?” domandò, sicura che la sua caviglia fosse rotta.

“Hai trovato una soluzione?” le chiese con un sospiro rassegnato.

“Sì, penso di poter portare il tuo SUV giù lungo la pista, credo sia usata dai veicoli della forestale” disse. “L’unica cosa è che non penso di riuscire a rigirarlo, quindi dovremo tornare indietro in retromarcia.”

“O potremo proseguire in avanti, per vedere cosa c’è laggiù” suggerì e Mac annuì.

Raccogliendo le poche cose che aveva, Mac trovò un paio di barrette proteiche e ne passò una ad Harm. “Mi dovrò arrampicare lungo il sentiero fino al parcheggio e la mangerò per la strada” lo informò, afferrando la sua bottiglia d’acqua. “Devi mangiare la tua e prendere un paio di antidolorifici” ordinò, passandogli la bottiglia. “Magari ti fa bene se provi a muoverlo un pochino.”

Harm annuì. “Fa’ attenzione là fuori” la implorò, consegnandole le chiavi. “Sarà molto scivoloso con tutta la pioggia di ieri notte.”

“Andrà tutto bene” lo rassicurò, lasciando cadere il suo zaino accanto a quello di Harm. “Hai bisogno di nulla prima che vada?”

“No, sto bene” rispose, scuotendo la testa. La verità era che si sentiva malissimo e aveva bisogno di andare in bagno, e in entrambi i casi Mac non lo avrebbe potuto aiutare.

“OK, torno presto” disse, dirigendosi verso la porta. “Non ti azzardare a muoverti finché non torno.”

“Sissignora” rispose facendole il saluto militare.

Per Mac la mezzora successiva fu abbastanza piacevole. La vegetazione bassa non era così bagnata come pensava e, camminando a una velocità più sostenuta di quanto avrebbe fatto normalmente, vista l’urgenza della situazione, quando raggiunse il parcheggio si sentì piena di energia e di vigore. Non la sorprese scoprire che le loro auto erano gli unici veicoli lì, date le condizioni meteo e l’ora.

Guidando attraverso il parcheggio, Mac raggiunse un cancello che stimò potesse portare alla capanna. Scese dal SUV e aprì il cancello prima di entrarvi. Mantenendo un’andatura piuttosto lenta a causa delle condizioni del terreno, Mac seguì la pista facendo una smorfia ogni volta che un ramo o un cespuglio sfioravano la macchina. Non voleva immaginare la reazione di Harm se avesse graffiato il suo veicolo, bastava già il fatto di avergli probabilmente causato la frattura della caviglia.

Mentre Mac era impegnata a raggiungere il veicolo e a ritornare alla capanna, Harm era impegnato a organizzarsi. Nell’istante in cui cercò di poggiare il piede per terra si rese conto che era una pessima idea e borbottò una serie infinita di improperi risollevandolo. Sapendo che se la sarebbe fatta sotto se non fosse riuscito a trovare un bagno, Harm analizzò con lo sguardo tutta la stanza per vedere se c’era qualcosa che lo avrebbe potuto aiutare, ma non trovò nulla. Alla fine si appoggiò al muro per saltellare fino alla porta e poi usò la cornice della porta per sostenersi e saltellare fuori. Zompettando fino al limite dell’edificio si rese conto che non sarebbe riuscito ad andare oltre e si liberò lì. Sentendosi subito meglio, Harm si girò per tornare dentro ma dopo un salto capì che la fatica per rientrare non valeva lo sforzo. Lentamente si mosse fino alla porta e si lasciò scivolare a terra, aspettando Mac. Anche se non era un fan del dolore che stava provando, né del fatto di dipendere così tanto da Mac, giunse alla conclusione che almeno questa storia li aveva fatti parlare e forse, se avesse giocato bene le sue carte, sarebbe riuscito a convincere Mac a prendersi cura di lui per i prossimi giorni e vedere dove questa situazione li avrebbe portati.

“Cosa stai facendo lì fuori?” furono le prime parole di Mac appena scese dal SUV. “Pensavo di averti detto di rimanere dentro.”

“Avevo bisogno di andare in bagno” le rispose, “e non potevo aspettare.”

Mac gli sorrise comprensiva. “OK, mi sembra una buona ragione” disse. “Come va la caviglia?”

“Sono abbastanza convinto che sia fratturata” annunciò con una smorfia, appoggiandosi allo stipite della porta per rimettersi in piedi.

“Lascia che ti aiuti” si offrì, avvicinandosi a lui e passandogli un braccio intorno alla vita.

Ci vollero alcuni minuti per raggiungere la macchina e poi altri minuti per riuscire a far salire Harm. Mac tirò indietro il più possibile il sedile del passeggero e lo reclinò, in modo da alleviargli la sensazione di vertigine, poi sollevò la gamba di Harm con attenzione e gli fece poggiare delicatamente il piede sul tappetino. Ancora scalzo, vide chiaramente perché sentiva ancora così tanto dolore.

“Sicuro di stare bene?” gli chiese quando si voltò verso di lui e lo trovò con la testa reclinata e gli occhi saldamente chiusi.

“Niente che un paio di dosi di morfina non possano curare” replicò, aprendo gli occhi e sorridendole debolmente.

Dopo pochi minuti Mac aveva messo i loro zaini nel bagagliaio e stava guidando lentamente lungo la pista come aveva suggerito Harm. Due volte, per i primi venti metri, aveva provato a suggerirle di fare attenzione, ma ogni volta lei aveva reagito con un’occhiataccia. Dopo tutto, non c’era modo di evitare gli ostacoli lungo il cammino. Alla fine giunsero a una radura e Mac sorrise sollevata quando riuscì a far manovra e fu in grado di risalire la pista per tornare indietro.

Una volta raggiunto il parcheggio, si fermò per uscire e richiudere il cancello.

“Dove vai?” le chiese guardandola scendere dal veicolo.

“Non ho nessuna intenzione di lasciare qui la mia macchina” replicò, facendo finta di essere seria.

“Ma…” iniziò a protestare prima di vedere il sorriso che le illuminò il volto.

“Voglio solo chiudere il cancello che avevo aperto per accedere alla pista” dichiarò, andando dietro la macchina per completare la sua missione.

 

Nota della traduttrice:

Visto che la prima traduzione è stata apprezzata, ho deciso di continuare. Anche in questo caso si tratta di un racconto di NettieC, che è stata tanto gentile da autorizzarmi a pubblicare il testo in italiano. Questo è il link alla storia originale:

http://www.fanfiction.net/s/9428663/1/Mountains-and-Molehills

Grazie a Monica per aver letto la traduzione e avermi mandato i suoi suggerimenti, sempre precisi e accurati.

E grazie a chi di voi mi ha dedicato un po’ del proprio tempo ed è arrivato fino qui.

Baci,

Germangirl

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Capitolo 2
*** Seconda parte: meglio una caviglia rotta o un cuore spezzato? ***


Ci vollero 45 minuti per raggiungere la corsia di emergenza dell’ospedale di Bethesda. Sapendo che Harm non sarebbe riuscito a camminare e avrebbe odiato una sedia a rotelle, Mac pensò che fosse meglio farlo scendere direttamente davanti alla porta prima di andare a parcheggiare. Era un buon piano, ma un agente della sicurezza si avvicinò a loro mentre lei apriva lo sportello.

“Signora, non può parcheggiare qui” le disse dietro di lei.

“Non voglio parcheggiare” reagì Mac. “Voglio solo farlo scendere.”

“Signora, non può usare questa corsia. E’ solo per le ambulanze” continuò.

“Bene” concesse Mac mentre Harm scivolava dal sedile e cercava di stare in piedi accanto a lei. “Lo prenda così sposto la macchina.”

“Signora, non è il mio lavoro” protestò. “Mi dispiace, signora”

“Non sono una signora, sono il colonnello Sarah MacKenzie” abbaiò lei e sul volto della guardia apparve il panico. Dopo tutto, era il suo primo giorno di lavoro.

“Mi scusi, colonnello, signora” disse precipitandosi ad aiutare Harm. Anche se era stato istruito sui suoi doveri specifici, non accontentare un colonnello era tutta un’altra storia.

Quando Mac ritornò al pronto soccorso Harm era già disteso su un letto in una stanza in fondo al corridoio. Quando le dissero che solo i familiari potevano entrare, Mac informò l’infermiera che Harm era il suo partner e la fecero passare immediatamente.

“Quante persone hai spaventato?” le chiese sorridendo, visto che la morfina lo aveva liberato dal dolore.

“Non ho spaventato nessuno” dichiarò lei, avvicinandosi al letto e prendendogli la mano.

“Eccome” disse “Non hai visto la faccia di quel ragazzino. Ero sicuro che se la sarebbe fatta sotto!”

“Beh, cosa volevi che facessi? Che ti costringessi a venire a piedi dal parcheggio?” lo sfidò, intrecciando le loro dita.

“No, sono stato più che felice del servizio porta a porta” ammise prima di sbadigliare.

“Ti hanno detto nulla del piede?” gli chiese guardando verso la parte ferita che adesso era coperta da una benda bianca e pulita.

“Che pensano sia fratturato” rispose appoggiando la testa e chiudendo gli occhi. Ora che il dolore era passato la stanchezza ebbe il sopravvento.

“Stai bene?” gli chiese, passandogli una mano fra i capelli.

“Sì” rispose con un sospiro. “Penso di stare per addormentarmi.”

“Posso aspettare fuori se vuoi…” iniziò, ma lui scosse la testa e le afferrò di nuovo la mano.

“Voglio che tu rimanga” disse velocemente. “A meno che tu non voglia andare”

“No, voglio rimanere” dichiarò con un sorriso.

“Bene” disse chiudendo gli occhi.

Pochi minuti dopo il medico entrò nella stanza. “Buongiorno comandante Rabb” lo salutò, controllando la cartella clinica. “Signora” disse, facendo cenno a Mac. “Allora, in che guaio si è cacciato?”

“Sono caduto mentre stavamo facendo un’escursione” rispose, omettendo qualche dettaglio. “Sono scivolato all’indietro lungo un terrapieno e il piede è rimasto imbrigliato nelle sterpaglie. Ho pensato che il problema fossero le escoriazioni e le schegge nella gamba, ma quando ho provato a rimettermi in piedi mi sono reso conto che la caviglia era messa peggio.”

“Beh, sembra che abbia fatto abbastanza casino” dichiarò, prendendo qualche appunto. “Dunque, a che ora è successo?”

Harm guardò Mac come faceva sempre quando si parlava di orari. “Erano le 18:53 di ieri sera, dottore” annunciò lei e il medico aggrottò la fronte.

“La sua caviglia è in questo stato da…” iniziò.

“12 ore e 39 minuti” concluse Mac prima di annuire. “Stavamo camminando quando è successo e non siamo riusciti a rientrare a causa del temporale. E’ un problema?”

“Sì” rispose, aggiungendo ulteriori appunti. “Il dolore deve essere stato terribile” Harm annuì. “E la circolazione ne deve aver risentito. Comunque, a causa del gonfiore una radiografia potrebbe non fornirci il quadro completo quindi la sottoporrò a una risonanza magnetica” lo informò, compilando la richiesta. “Ci dirà quanti danni ha causato.”

Passò un’ora prima che Harm fosse portato a fare la risonanza e Mac colse l’opportunità per prendersi un caffè e una boccata d’aria fresca. Odiava gli ospedali. Stando seduta all’aperto, controllò il cellulare e non trovò alcun messaggio che richiedesse la sua attenzione. Fece un respiro profondo e si mise per un po’ a godersi la sensazione del sole sulla pelle, poi gettò il contenitore nel cestino e rientrò per vedere cosa stava succedendo a Harm.

Passarono altri 20 minuti prima che Harm fosse riaccompagnato nella sua stanza e un’altra ora e mezzo prima che il medico tornasse a fargli visita. Harm trascorse la maggior parte del tempo dormendo.

“Qual è il verdetto?” chiese Mac appena il dottore comparve.

“La caviglia è fratturata e anche i tendini sono stati danneggiati” dichiarò e Mac strinse la mano di Harm. “La gamba è troppo gonfia per il gesso in fibra di vetro che useremmo abitualmente quindi dovremo applicare uno stivaletto” continuò, tamburellando sulla cartella clinica. “Dovrà portarlo per 8 settimane e poi dovrà fare un po’ di fisioterapia. Quindi, temo che dovrà dire addio alle escursioni per qualche mese.”

“Almeno non devo essere operato” replicò Harm: gli era andata bene.

“Nessun intervento chirurgico” concordò il medico. “Informerò il reparto di ortopedia e la contatteranno per un appuntamento alla fine della settimana. La seguiranno loro.”

Ci vollero altre quattro ore prima che Harm fosse dimesso da Bethesda e Mac lo potesse accompagnare a casa.

“Non hai fatto colazione né pranzo” disse, mentre lasciavano il parcheggio. “Vuoi che mi fermi a comprarti qualcosa?”

“Mangi con me?” le chiese, non volendo porre fine al tempo trascorso con lei, nonostante tutto quello che era successo.

“Certo” rispose, annuendo. Dopo tutto non aveva in programma di essere altrove se non a casa sua.

Decise di fermarsi in un negozio di alimentari invece che da un rivenditore di cibo da asporto. Lasciò Harm in macchina dopo essersi fatta dare la lista delle cose che pensava gli sarebbero servite nei giorni successivi. Riempiendo il carrello con prodotti freschi, latte e qualche altro alimento, Mac aggiunse un paio di cose che sarebbero servite a lei, prevalentemente dal reparto dolciumi e gastronomia.

Caricando le borse sul retro del SUV, Mac riportò il carrello al suo posto prima di rimettersi al volante e sorridere vedendo che Harm si era addormentato. Non si svegliò quando Mac posteggiò nel parcheggio sotterraneo del suo edificio, proprio accanto all’ascensore. Aprendo lo sportello del passeggero, Mac gli fece una leggera carezza sul viso e lo chiamò per nome, ma non ci fu nessuna reazione. Chiamarlo a voce più alta non servì, quindi Mac chiuse lo sportello e aprì il portellone per recuperare le borse della spesa e portarle nell’appartamento di Harm. Ripeté l’operazione con i loro zaini e mise su il caffè.

Mac ritornò al parcheggio, aprì di nuovo lo sportello di Harm e questa volta lo scosse un po’, chiamandolo per nome. Aprendo gli occhi, persi in uno sguardo confuso, Harm cercò di concentrarsi su Mac, sorridendo stancamente mentre lei gli accarezzava il volto.

“Già finito di fare la spesa?” le chiese prima di sbadigliare.

“Sì, ed è già sistemata nel tuo appartamento” lo informò mentre Harm sbatté gli occhi un paio di volte prima di rendersi conto di dove fossero.

“Siamo a casa?” domandò, sbattendo gli occhi di nuovo.

“Sì” confermò, aiutandolo a girarsi e a scivolare fuori, atterrando sulla gamba buona. “Aspetta, sta’ fermo!” aggiunse, abbracciandolo quando lo vide perdere l’equilibrio.

“Scusa, Mac” disse, appoggiandosi a lei. “Queste medicine hanno un effetto strano.”

“Facciamo con calma” lo tranquillizzò lei, assicurandosi che fosse stabile prima di lasciarlo per recuperare le stampelle dal sedile posteriore. “Andiamo.”

Una volta raggiunto il loft, Mac lo aiutò a sedersi in poltrona, spostando alcuni mobili così che potesse avere il poggiapiedi davanti a lui. Sollevandogli la gamba, Mac la posò delicatamente sul cuscino prima di assicurarsi che stesse comodo. Spostandosi verso l’angolo cottura, preparò il pranzo per entrambi e quando gli portò i tramezzini farciti con l’insalata Harm dichiarò che non aveva fame, che stava scomodo e che non si sentiva per niente bene.

“Mi dispiace” disse indicando il cibo. “Mi sento malissimo.”

“Perché non vai a farti una bella dormita?” gli propose, lasciando i piatti sul tavolino basso.

“Non penso di avere abbastanza energia” disse, non troppo sicuro di ciò che gli stava accadendo.

“Lascia che ti aiuti” si offrì Mac , prima di spostare il poggiapiedi e aiutarlo a stare in posizione eretta. “Così è più facile.”

“E’ la gamba che mi dovrebbe fare male, non tutto il corpo” si lamentò mentre lei lo abbracciava per sostenerlo e accompagnarlo verso gli scalini che conducevano alla sua camera.

“Forse sono gli antidolorifici” disse aiutandolo a salire i tre scalini. “Appena sei a letto chiamo Bethesda e vedo cosa mi dicono.”

Annuendo con la testa, visto che parlare richiedeva troppa energia, Harm riuscì a raggiungere il lato del letto.

“Okay, ti aiuto a prepararti per dormire” continuò Mac, allentando i cordoncini dei pantaloni chirurgici che gli avevano fornito dopo avergli tagliato i jeans.

Quando furono abbastanza lenti da scivolare fino alle ginocchia, Mac lo aiutò a sedersi e glieli tolse del tutto. Osservandola mentre li faceva scorrere con attenzione sullo stivaletto, Harm pensò che avrebbe dovuto provare imbarazzo ma a questo punto non sentiva proprio nulla. Sbadigliò e aspettò che gli togliesse anche la maglia.

Quando arrivò finalmente a distendersi sul letto, Harm combatté per trovare una posizione comoda. Non gli era mai piaciuto dormire supino ma almeno in quel modo la gamba non era compromessa. Tuttavia, stare disteso gli faceva girare la testa.

“Che ne dici se ti sposto i cuscini?” gli propose Mac, seduta accanto a lui che continuava ad agitarsi in cerca di una posizione sopportabile.

Annuì e si tirò su. Afferrando gli altri cuscini, Mac li mise dietro di lui e lo aiutò a stendersi di nuovo, sperando che stare un po’ più in alto gli facesse bene. La testa stava effettivamente meglio, ma il resto del corpo no. Harm sospirò.

“Ancora male?” gli chiese, passandogli le dita fra i capelli.

“Boh, non importa” brontolò. “Non credo di stare bene in nessun modo.”

“Perché non provi a dormire?” gli suggerì continuando ad assisterlo come un’infermiera. “Rimango qui con te per un po’.”

Forse per la fatica, forse per il tocco di Mac, Harm scivolò nel sonno. Appena fu sicura che stesse davvero dormendo, Mac si allontanò da lui e telefonò all’ospedale. Spiegando i sintomi al dottore, quest’ultimo concordò che si potesse trattare di una reazione allergica agli antidolorifici e disse che avrebbe prescritto a Harm qualcos’altro. Stava per terminare il turno ma avrebbe lasciato i medicinali al banco del pronto soccorso affinché lei li potesse ritirare.

Sapendo che non avrebbe potuto lasciare Harm nello stato in cui era e sapendo altresì che i nuovi medicinali erano necessari, Mac chiamò Bud e gli spiegò tutto, chiedendogli di andare a Bethesda per lei. Quando arrivò a casa del comandante Rabb, Bud svegliò Mac che si era appisolata sulla poltrona.

“Entra” lo invitò Mac sottovoce, aprendogli la porta.

“Come sta?” chiese Bud, consegnandole il sacchetto dei medicinali.

“Non bene” rispose sinceramente. “Ma penso che questi lo faranno stare meglio, grazie.”

“C’è altro che posso fare?” Si offrì Bud e Mac scosse la testa prima di ricordarsi che in realtà c’era un’altra questione da sistemare.

“Mmmm, a dir la verità la mia macchina è ancora laggiù” disse. “Non è che avevi in programma un giro con la famiglia?”

“Beh, pensavo di portare AJ a fare un giro” annunciò lentamente. “Forse Mikey può venire con noi e riportare indietro la Sua macchina.”

“Ah” disse Mac, non proprio entusiasta all’idea di affidare la sua macchina a Mikey.

“Oppure lui può guidare la mia e io prendo la Sua” replicò Bud, interpretando l’espressione di Mac.

“Sarebbe perfetto” disse velocemente. “A meno che non sia troppo disturbo…”

“Hey, a cosa servono gli amici?” dichiarò e prese le chiavi che Mac gli porgeva. “Se Le viene in mente qualcos’altro basta che ci chiami. Mikey è impegnato fino alle 15:00 quindi andremo più tardi.”

Dopo che Bud fu uscito, Mac andò a vedere come stava Harm e lo trovò sveglio.

“E’ scomodo” brontolò.

“Beh, Bud ci ha appena portato le nuove medicine, quindi che ne dici di prenderle subito e vedere se le cose migliorano?” suggerì Mac e Harm alzò le spalle. Odiava prendere pillole, sciroppi o qualsiasi altro medicinale e anche in questo caso non faceva eccezione.

Dandogliele comunque, Mac si distese dall’altro lato del letto e Harm si allungò per prenderle la mano, stringendogliela gentilmente. Passarono altri minuti prima che Harm girasse di nuovo la testa dopo che pensava di averla sentita tirare su con il naso.

“Hey” disse, stringendole la mano ancora una volta. “Perché stai piangendo?” spostò la mano per accarezzarle il volto con un gesto che risultò più impacciato di quanto avesse pensato.

“Mi dispiace di averti fatto tutto questo” ammise, non riuscendo a mantenere il contatto visivo con lui. “Volevo solo un po’ di spazio, non ho mai avuto intenzione di farti del male. Mai.”

“Nemmeno un pochino pochino?” le chiese con un mezzo sorriso.

“Che vuoi dire?” replicò guardandolo.

“Stai dicendo che lassù in montagna, quando eri chiaramente molto arrabbiata con me, nemmeno per un momento hai avuto l’intenzione di farmi del male?” le chiese.

“Oh, allora” rispose con un sospiro. “Volevo ucciderti… ma, no, seriamente, non ho mai voluto massacrarti.”

“Puoi avvicinarti un po’, per favore?” le chiese e Mac lentamente si spostò così che la sua testa si trovò sul cuscino accanto a quella di lui. “Ora” continuò, muovendosi finché non riuscì a mettere un braccio dietro la schiena di Mac e a farle spostare la testa sul proprio petto. “Mi dispiace non averti detto di Emily. Non la aspettavo e non ho avuto opportunità di parlartene e poi quando ho potuto…”

“Ero io a non parlare con te… mi dispiace” concluse lei, chiudendo gli occhi.

“Sai una cosa, Mac” disse, cominciando a passarle le dita fra i capelli. “Ci conosciamo da quanto, nove anni?”

“Mmmm” replicò, cercando di non addormentarsi.

“E non penso di averti mai sentito chiedere scusa tante volte come hai fatto oggi” continuò, lasciandole un bacio sulla testa.

“E’ perché non penso di essere mai stata tanto dispiaciuta” ammise lei, non osando guardarlo.

“Cosa devo fare per farti capire che è tutto perdonato?” le chiese. “Perché per come la vedo io siamo entrambi colpevoli allo stesso modo. Se fossimo più bravi in questa storia della comunicazione allora io ti avrei detto già tanto tempo fa che tu sei l’unica donna per me.” Sentì il corpo di Mac irrigidirsi. “E ti avrei detto che io vivo per momenti come questo… un segno che anche tu provi lo stesso per me. E ti avrei detto che tu sei la persona più intelligente, coraggiosa, forte e bella che io abbia mai incontrato e che nonostante le mie parole e le mie azioni dimostrino il contrario, io sono molto innamorato di te. Senza alcun dubbio.”

Tirandosi su, Mac si voltò per guardarlo, sorpresa e confusa.

“Non essere così sorpresa” continuò Harm. “E prima che tu aggiunga qualcosa, devi sapere che non parlo così per via delle medicine. E’ quello che sento davvero e se hai bisogno di un’ulteriore prova, c’è un anello di fidanzamento per te nel cassetto superiore di quella scrivania. Ce l’ho da un po’ e spero nonostante tutto che un giorno, molto presto, saremo in un luogo in cui io possa chiederti di sposarmi.”

Lasciata completamente senza parole, Mac continuava a fissarlo. Harm non voleva dire nient’altro, temendo che le sue parole perdessero il loro significato. Alla fine, Mac si rannicchiò contro di lui di nuovo.

“Quando saremo in quel luogo ti dirò di sì” rispose sotto voce, mentre le dita gli accarezzavano il petto. “Perché… beh, per come la vedo io, quando trovi l’anima gemella, la tua metà, allora sarebbe una follia persino prendere in considerazione un futuro che non comprendesse stare insieme a quella persona – in maniera definitiva.”

“Anche io la penso così” concordò, baciandole di nuovo la testa.

“E sebbene lo abbia negato prima, devo ammettere di essere stata gelosa di Emily” riprese Mac. “E nemmeno solo un po’… era molto di più di solo un po’. Ho trascorso del tempo ultimamente, e non solo di recente, a pensare che le cose fra noi stessero andando bene e poi tutto ad un tratto c’era un’altra donna nella tua vita. Non ho potuto fare a meno di ricordare tutte le volte che sono arrivata qui sperando che la nostra relazione ci avrebbe portato a un livello successivo, solo per trovarti con un’altra donna. Non volevo discutere con te perché non volevo ammetterlo. Non volevo affrontarti perché ero gelosa e mi sono sentita ferita.”

“Scusa” disse, baciandole la testa più volte. “Sono solo felice che questa volta sia andato tutto bene”.

“Non proprio” disse Mac, sollevandosi su un gomito. “Ti sei fratturato la caviglia.”

“E’ molto più facile aggiustare una caviglia rotta che un cuore spezzato” sussurrò. “E il mio cuore si sarebbe frantumato in mille pezzi se tu non avessi provato per me quello che io provo per te.”

Avvicinandosi di nuovo a lui, Mac si chinò sul petto di Harm, prima di sollevare il volto e baciarlo teneramente. “Ti amo, Harm, tantissimo” dichiarò con una quieta sicurezza. “E ti prometto che lavorerò per migliorare la mia comunicazione con te.”

“E io ti prometto che farò la stessa cosa” replicò restituendole il bacio. “E ti prometto che non ti farò mai pentire di amarmi.”

“Ti prometto la stessa cosa” disse Mac, accarezzando le labbra dell’uomo con le sue e, nonostante l’aver ingigantito tutta la storia li aveva condotti esattamente in questo punto, Mac fece un’altra promessa. “E ti prometto di sicuro che non farò più tanto rumore per nulla.”

 

Nota della traduttrice:

Ecco anche la seconda e ultima parte di questa storia.

Grazie a NettieC che mi ha regalato il privilegio di tradurla in italiano.

Grazie a chi di voi ha letto anche questo capitolo, a chi lo ha fatto in silenzio e a chi mi ha donato un po’ del proprio tempo lasciandomi qualche parola.

Baci,

Germangirl

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