Una fredda estate

di a2m97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 3: *** Cinque ragazzi, un segreto ***



Capitolo 1
*** Ritorno a casa ***


Nicole guardò l’orologio, impaziente. Erano le cinque del mattino, l’aereo doveva ancora atterrare. Lasciò scivolare la testa contro il finestrino e rimase a fissare le luci che lampeggiavano sull’ala, fuori pioveva. Riusciva a sentire l’odore nauseante dell’uomo seduto accanto a lei, indossava una camicia sudicia e un paio di bermuda, non poteva considerarsi di certo un abbigliamento azzeccato date le condizioni atmosferiche. Una donna sedeva accanto a lui, probabilmente la moglie o una parente. Era vestita quasi elegantemente, aveva un’aria piuttosto schizzinosa e arricciava il naso ogni volta che l’uomo le rivolgeva la parola, sembrava quasi imbarazzata da lui. Infondo, come biasimarla?
Una voce annunciò a tutti i passeggeri che l’aereo era in fase d’atterraggio. Nicole tirò un sospiro, non vedeva l’ora di tornare a casa. Il tempo non passava mai, si sentì più sollevata solo quando le ruote toccarono il suolo, facendo sobbalzare l’aereo. I pannelli situati sulle ali cominciarono ad alzarsi ed abbassarsi freneticamente. Lo stridio del carrello cessò e, dopo che tutti i passeggeri ebbero preso i propri bagagli a mano, due rampe di scale furono situate accanto alle porte d’uscita. La ragazza si fece spazio nello stretto corridoio, sbattendo tra i sedili, e uscì in fretta. Finalmente aveva toccato terra dopo un lunghissimo volo. Percorse velocemente tutto l’aeroporto fino ad arrivare all’entrata. Diversi taxi sostavano dall’altro lato della strada, Nicole decise di prenderne uno per tornare a casa, di certo erano molto più comodi e igienici degli autobus. Non era abituata a prendere dei mezzi di trasporto pubblici, ma non aveva mai preso un taxi da sola. Infondo, pensò, c'è sempre una prima volta per ogni cosa.
Si avvicinò furtivamente all'auto che le sembrava essere in condizioni migliori.
“Scusi, è libero?” domandò dal finestrino all'autista che sedeva dentro, leggendo il giornale.
“Certo, mi dia la valigia e si accomodi.”                                                                                                                                                     
Era un uomo piuttosto alto, un po’ tondo, con dei baffi neri e folti, proprio come le sopracciglia. Indossava un berretto di lana dal quale si scorgevano pochi capelli: alcuni bianchi, altri neri. Aveva la voce rauca, da fumatore. Lanciò la valigia nel bagagliaio, salì in macchina e chiuse con forza la portiera. “Dove si va?”                                                                                                      
“Verso il lungomare, via Imperatori 15”                                                                                                                                                 
L’uomo chinò la testa, facendo segno di aver capito. Mise in moto l’auto e partì bruscamente.                                                                                                                               
Il viaggio fu breve. Nicole non vedeva la sua città da poco meno di un anno, ma non poteva di certo dire che le fosse mancata. Attraversarono il centro, passarono di fronte al liceo, alla palestra e infine entrarono nella zona di campagna. Vide la casetta di legno che aveva costruito con Jacopo, Davide e Jessica. Si sentiva finalmente a casa. Riusciva a percepire gli odori della sua infanzia, ben distinti da quelli dell’adolescenza, che la assalirono man mano che l’auto avanzava verso il mare, lasciando i boschi. Era già stanca di quel posto, non riusciva a capire come tante persone potessero amare quella città; le spiagge, il mare, il lago, il porto, il centro storico. Nicole odiava tutto ciò. Era tornata per i suoi amici, per il bosco, per l’inverno e per la sua famiglia.                                                                                                                                                                                

Dopo pochi minuti si ritrovarono di fronte ad un vialetto che portava ad una villa immensa. L’uomo fermò il taxi e si voltò stupito verso la ragazza. “Questa è casa sua?”                                                                                                                                                       
“Già..” rispose, un po’ imbarazzata.                                                                                                                                                         
Si affrettò a scendere dall’auto, prese la sua valigia e consegnò una banconota da 50 euro all’autista.
“Tenga pure il resto”.                                                                                                                                                                                
 L’uomo non ebbe nemmeno il tempo di ringraziare, Nicole stava correndo lungo il vialetto con l’enorme bagaglio tra le braccia. La casa era proprio come la ricordava. Avevano apportato qualche modifica, montato una piscina sul retro, un nuovo campo da pallavolo accanto a quello da basket e un recinto per i cani. Riusciva a scorgere in lontananza il sentiero che portava al suo nascondiglio nel bosco, sperava che nessuno lo avesse scoperto in sua assenza. Vi teneva tutte le cose più segrete sin da quando era piccola.                                                                   
“Nicole?”                                                                                                                                                                                                             
Sentì una voce maschile e si girò di scatto.                                                                                                                                      
“Fabio!” esclamò con stupore.
Il ragazzo le corse incontro e l’abbracciò.                                                                        
Fabio era suo fratello minore, aveva quindici anni, due in meno di lei. Era cresciuto tantissimo; l’aveva superata in altezza ed era ben piazzato. Aveva un nuovo taglio di capelli e la sua voce era cambiata radicalmente. Non era più un bambino.                                                                                                                                               
 “Papà, Alex” gridò “Nicole è tornata”.                                                                                                                                                  
I due schizzarono di corsa fuori dalla porta e si fiondarono verso di lei. Il padre la sollevò in aria, proprio come faceva quando era piccola. Era sempre stata piuttosto magra e non molto alta, per questo, non solo i suoi parenti, ma anche gli amici, si divertivano a prenderla in braccio.                                                                                         
 I quattro passarono ore a parlare di tutto il tempo in cui non erano stati insieme. Nicole si rese conto di quanto le fossero mancati, avrebbe voluto tornare in Australia e portarli con sé.              
“E la mamma?” domandò “dov’è?”                                                                                                                                                      
“Ehm..” fece Alex, voltandosi verso il padre                                                                                                                                               
“La mamma è…” esitò un momento.                                                                                                                                                    
“Da Jay, ti stavano organizzando una festa a sorpresa per domani, ma sei tornata in anticipo e ci hai colti di sorpresa”  disse infine Fabio, attirando le occhiate di dissenso del padre e del fratello maggiore. Non era mai riuscito a tenere un segreto.
“Ma Jacopo non si era trasferito?” chiese la ragazza, incuriosita.
“è tornato quest’anno, poco dopo la tua partenza.” le rispose il padre “ora andiamo su, ti aiuto a riordinare le tue cose”                                                                                                                                                                                                
Prese la valigia e si diresse verso casa, seguito dalla figlia. Salirono due rampe di scale e si ritrovarono nell’immensa stanza di Nicole. Essendo l’unica femmina in famiglia, i genitori l’avevano sempre viziata un po’, anche se questo non traspariva affatto dal suo carattere. Indicò al padre di lasciare le sue cose davanti alla porta, ci avrebbe pensato più tardi poichè ora era troppo stanca, aveva passato la notte in bianco.                                                                                                             
Si gettò sul letto, priva di forze. L’idea di essere tornata in quel posto la tormentava non poco.        










NOTA AI LETTORI: 
Questo primo capitolo è corto, banale e poco accurato, a differenza dei prossimi che saranno sicuramente migliori e più intriganti. Qui ho cercato di mettere le basi essenziali per cercare di capire il resto della storia.                                              

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Capitolo 3
*** Cinque ragazzi, un segreto ***


“Non passa mai il tempo in questa topaia” osservò Jessica.
“Smettila”  rispose Daniel innervosito  “dammi una birra”
La ragazza lo squadrò. Era diventato disgustoso. Quell’anno li aveva cambiati molto, troppo.
“Fatti una doccia, fai schifo. Sei sporco di terra ovunque, dove sei stato?”
“Sono affari miei. Lasciami in pace”. Le strappò di mano la bottiglia e ne versò il contenuto in un boccale. Bevve velocemente, tutto d’un sorso. Sospirò, quasi seccato. “Nicole è tornata”.
Entrambi sembravano preoccupati. Non sapevano cosa dire. Jessica scosse leggermente il capo, in quel momento le passarono per la mente un’infinità di pensieri. Prese in mano uno strofinaccio e iniziò a pulire il bancone, poi passò ai bicchieri. Quando alzò lo sguardo si rese conto che Daniel era rimasto a fissarla per tutto quel tempo, con la stessa espressione. Pensò che, forse, era giunto il momento di affrontare la situazione. Ingoiò la saliva, aveva un sapore amaro.
“Pensi che dovremmo dirglielo?”
“Credo che dovremmo dirlo a tutti, non solo a Nicole..”
“Ma come facciamo? Insomma, non si tratta più di un gioco, c’è di mezzo la nostra vita”
“Proprio per questo dobbiamo parlarne con tutti, guarda come ci siamo ridotti per aver mantenuto il segreto per un anno intero. Non possiamo andare avanti così, Jessica, nascondendoci in mezzo ai boschi e dormendo con le sbarre alle finestre. Dobbiamo chiamarli e vederci al solito posto”

Si sentì sbattere la porta. Qualcuno si stava avvicinando al bancone, sbattendo i piedi sul pavimento di legno. Poteva essere un cliente, ma il bar non aveva clienti. Vi andavano a dissetarsi solo i poveri passanti che facevano escursioni nei boschi. Era buio e si distingueva ben poco. L’ombra si avvicinava sempre più, con passo lento. I due ragazzi si fissavano e, di tanto in tanto, lanciavano qualche occhiata all’imponente figura che avanzava verso di loro. Pian piano riuscirono a capire che si trattava di un uomo.
Giunto al bancone si sedette su uno sgabello che a malapena reggeva il suo peso. “Una birra” sussurrò con voce rauca. Jessica aprì il frigorifero e ne prese una. Aveva sentito quella voce qualche mese prima, anche se non ricordava dove.
Dopo essersi dissetato, l’uomo iniziò a frugare in una valigetta. Tirò fuori una busta e qualche documento. Li posò sulla tavola di legno e li avvicinò alla ragazza. “Il vostro amico, lo abbiamo trovato”.
I due ragazzi spalancarono gli occhi. Diedero un’occhiata ai fogli: quella notte, nove mesi prima, Andrea era fuggito. Nessuno lo aveva più visto. Si era recato a pochi chilometri di distanza ma, qualche settimana dopo, era stato ritrovato dalla polizia e portato direttamente in un ospedale psichiatrico.
Daniel prese in mano la busta e la aprì delicatamente. Ne estrasse un foglio stropicciato. Era una lettera, probabilmente scritta da Andrea.
 
“Loro sanno. Sanno quello che nascondiamo. Non danno segni di sapere nulla, non hanno visto, non hanno sentito. Nessuno parla eppure sanno tutto quanto. Ci scoveranno e faranno qualsiasi cosa per farci passare per pazzi. Io non sono fuori di testa, dovete credermi. Penso a cose strane, cose di cui non conosco il significato, cose che non immaginerei mai di pensare. Ci penso tutto il giorno, a quello che penso, ma non capisco proprio. Dovete aiutarmi, fatemi uscire da qui, posso esservi utile. Voi cinque siete incompleti senza di me, lo siete sempre stati e sempre lo sarete. Dobbiamo interpretare i miei pensieri, forse sono degli indizi. Tiratemi fuori prima che sia troppo tardi, potrei dimenticare tutto. Dovete venire di notte. Domani notte. Non fatevi vedere da nessuno, non ditelo a nessuno. Se domani a mezzanotte non sarete sotto la finestra della mia stanza non ci sarà più scampo, per nessuno di voi.
A.D. 14-06-13”
Dopo aver riletto il biglietto i due ragazzi si fissarono per qualche istante. L’uomo era scomparso, ma a loro non importava. Avevano ottenuto le informazioni che cercavano.
Jessica riprese in mano il foglio e controllò l’ultima riga “A.D. 14-06-13”. La data era quella di ieri. Sarebbero dovuti andare all’ospedale psichiatrico quella notte.
 
“Ti sei persa davvero tante cose, Nicole” continuava a ripetere Jacopo, seduto comodamente di fronte alla ragazza “probabilmente ti chiederai perché stiamo andando così lontano per incontrare Daniel, Jessica e Davide”
“Esatto” esclamò.
“Beh devi sapere che, poco dopo la tua partenza, ci fu una festa di fine anno. Io, Jess, Daniel, Davide e Andrea non eravamo più molto uniti, come già sai, a stento ci salutavamo. Quella serata si rivelò un vero disastro: ci ritrovammo tutti e cinque nello stesso posto, allo stesso momento, inspiegabilmente. Probabilmente eravamo a qualche centinaio di metri dalla villa in campagna dove si svolgeva la festa. Il luogo era buio, si distingueva qualche albero. L’erba era altissima e pioveva. Non riuscivo a capire molto, eppure non avevo nemmeno bevuto. Vidi Andrea correre, mi pare stesse gridando qualcosa, non riuscivo a sentirlo bene. Cominciai a camminare più veloce, mi facevo spazio in mezzo alle sterpaglie. La figura nera di fronte a me continuava a muoversi. Ad un tratto cadde, scomparendo in mezzo agli arbusti. Tentai di raggiungerlo immediatamente, ma, quando arrivai, Andrea era cosparso di sangue. Capii che non era il suo solo quando alzai lo sguardo e vidi Jessica e Daniel, anche loro con i vestiti impregnati di un fluido rosso.    Mi guardai intorno, incredulo. Passandomi una mano tra i capelli mi resi conto di essere completamente sporco, proprio come gli altri. Mi buttai in ginocchio e cominciai a gridare, mentre Daniel aiutava Andrea a rialzarsi. Riuscirono a balbettare qualcosa e si misero alla ricerca di Davide. Li seguii, avevo troppa paura di rimanere solo in quel posto, al freddo, al buio. Quando lo trovammo lo credemmo morto. Tentammo di svegliarlo in ogni modo ma era privo di sensi, anche lui cosparso di sangue. Ero sconvolto, non riuscivo a capire cosa fosse successo, chi aveva perso tutto quel sangue era certamente morto. Ma quel qualcuno non poteva essere uno di noi.
La risposta alle mie domande giunse pochi istanti dopo, quando vidi Andrea arrampicarsi su di un albero e poi indicare verso il basso, gridando cose insensate e incomprensibili. Seguii la traiettoria del suo dito e riuscii a scorgere una scarpa, fuoriuscente da un mucchio di foglie. Chiamai gli altri, gridando a squarciagola. Non riuscivo a controllarmi. Daniel tolse subito tutte le foglie e sobbalzò all’indietro. Si lasciò cadere atterra e scoppiò a piangere. Non ebbi il coraggio di avvicinarmi. Gli altri avevano già visto il cadavere. Mi resi conto che se qualcuno ci avesse trovati avrebbe sicuramente pensato che fossimo stati noi ad uccidere quella persona. Cercai di mantenere la calma e prendere in mano la situazione. Ognuno di noi aveva, nello zaino, un cambio, nel caso in cui avessimo deciso di buttarci in piscina. Pensavamo di accendere un fuoco e gettarvi i vestiti sporchi ma, essendo in aperta campagna, era proibito fare falò. Decidemmo allora di allontanarci dal corpo in fretta. Corremmo per più di tre chilometri, fino al vecchio bar abbandonato nel mezzo del bosco, quello in cui Jess e Daniel passano parecchio tempo, ultimamente.
Lì ci rendemmo conto che Andrea era scomparso. Ora, a distanza di circa un anno, non lo abbiamo ancora rivisto. Forse questa sarà la serata giusta.”
Nicole non riusciva a crederci. Rimase immobile, con gli occhi spalancati, stringendo tra le mani la borsa. Non aveva ancora assimilato tutto ciò che Jay le aveva appena raccontato, probabilmente non ci sarebbe mai riuscita. Aveva in testa un milione di domande sull’accaduto, ma forse nemmeno i suoi amici avrebbero saputo risponderle. Decise di tenerle per se e aspettare il momento giusto per parlare della situazione.
“Questa è la nostra fermata” Le disse il ragazzo appena il treno iniziò a frenare.

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