Crowned

di Chamberlains
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eggs and Gossip ***
Capitolo 2: *** Sweetly Drunk ***
Capitolo 3: *** Blackmail ***



Capitolo 1
*** Eggs and Gossip ***


01. Eggs and Gossip 



Il telefono sul comodino squilla. Cerco faticosamente con la mano destra la cornetta, poi riesco come per miracolo a sollevarla.
-          Jenn?
-          Mmh? Chi è?
Rispondo ancora assonnacchiata.
-          Jennifer Shrader Lawrence, sono Austin Thompson, il tuo agente!
Perché diamine chiama a quest’ora?! Cosa c’è di così importante da comunicarmi alle sette del mattino?!
-          Aust, sono le sette del mattino ed a Normalandia è ancora presto. Ieri ho avuto una festa  e tu chiami alle sette per…
-          Tirati su dal letto e raggiungimi in camera mia, ho una sorpresa per te.
Odio quando ricorda i tempi in cui prestava servizio militare, ha un tono così brusco! Odio le urla alle sette del mattino!
-          L’unica sorpresa che apprezzerei in questo momento sarebbe la colazione in camera.
Con lui io parlo francamente, non ci sono barriere fra noi: è il mio terzo fratello, solo che invece di cospargermi la faccia di burro di arachidi, come facevano Ben e Blaine, mi sfotte per ogni piccolo blooper che faccio in pubblico. Io, per tutta risposta, quando mi va faccio un po’ di capricci, come adesso.
-          No cara, dimentichi che sono il tuo agente, non il tuo chef personale!
-          Ok, ci vediamo  alle prime luci di mezzogiorno!
Non oso parlare di lavoro senza prima aver trangugiato qualcosa. Faccio finta di riattaccare.
-          Jenn!
Lo sento urlare dalla cornetta.
-          Due uova, due uova col bacon!
-          Ok Jennifer, ma adesso alzati e vieni qui! È una cosa importante!
-          Ah, e non dimenticare il caffè!

 
Quando sei una star tutti pretendono qualcosa da te.
Il tuo agente vuole che tu sia sempre iper attiva, anche dopo una festa per la tua vittoria dell’Oscar, la tua famiglia non vuole essere messa da parte, anche durante le riprese e il regista di turno, giustamente, pretende che tu sia pronta per qualsiasi scena ci sia da girare.
C’è un piccolo particolare che tutti dimenticano: sono una ventitreenne e ogni tanto ho bisogno del mio spazio. Io sognavo di recitare, non di dover andare alle feste, concedere di continuo interviste e dover stare così lontana da casa. Volevo fare l’attrice e non la celebrità, ma purtroppo una cosa comprende l’altra e io ne sono consapevole. La mia passione è così forte che riesco ad accettare il compromesso, anche quando non sono dell’umore giusto, anche quando vorrei essere da qualche altra parte. Nella strada del sogno si trovano spesso gli ostacoli, sta a noi superarli. Io lo faccio continuamente ma riesco solo in un modo, essendo sempre me stessa. Ma se ad un certo punto l’essere me stessa stancherà? E se tutti cominceranno ad odiarmi, a non voler più vedere la mia faccia? Cosa farò? Sarò costretta a cambiare, a cambiare me stessa? E se non fossi me stessa, riuscirei a tenere insieme i pezzi della mia vita o andrebbe a rotoli?

 
Ho delle borse sotto gli occhi così grandi che ci entrerebbe un bazooka e i capelli in stile Katniss Everdeen Sopravvissuta agli Hunger Games. Dopo aver sciacquato il viso con acqua gelida, chiedo aiuto ai miei migliori alleati, gli unici che non posso evitare anche nei miei momenti  di sciatteria assoluta: la spazzola, il correttore, il mascara e il blush. Infilo i primi jeans e maglietta che trovo, i soliti anfibi, solita borsa. Occhiali da sole scuri prima di aprire la porta di casa e comincia una nuova giornata.
 
Con la mia casetta alle spalle, mi dirigo a piedi verso la casa di Austin, a dieci minuti da qui. Guardo il balcone sotto il mio, le serrande sono ancora abbassate, Ruth sta ancora dormendo, sarà il suo giorno libero. Mentre cammino con i Black Keys che mi tartassano le orecchie, penso a quando da piccola sognavo Hollywood, immaginando luci scintillanti e magnifici edifici. In realtà, tranne gli Universal Studios e le sale cinematografiche, qui è tutto normale. Le case sono tutte piuttosto tozze, la maggior parte ha solo il piano terra, mentre le strade sono spoglie. Beverly Hills è una bella zona, proprio come le leggende popolari dicono, anche se non comprerei mai una casa lì, la sua perfezione rasenta la freddezza e non sento il calore di casa, quell’atmosfera familiare che mi ricorda Louisville.
Suono il campanello, lascia aperta la porta e sgattaiola in cucina. Esulto dentro di me quando sento l’odore delle uova, Aust è un cuoco provetto e cerco in tutti i modi di mangiare in casa sua, vista la mia totale incapacità ai fornelli. Sentendo i miei passi verso la stanza, non si volta nemmeno per salutare, fissa lo schermo luminoso.
-          Le uova sono quasi pronte, ben arrivata.
Ha già posato sul tavolo la mia tovaglietta preferita, quella con Piggley Winks stampato sopra.
-          Pensavo che dopo l’Oscar mi avresti dato un po’ di tregua, almeno per un po’! Pensavo fossi orgoglioso di me e anche comprensivo.
-          Sono orgogliosissimo di te, ma non posso permettermi di essere comprensivo, domani devi ripartire per le Hawaii.
-          Appunto, domani, avresti potuto lasciarmi qualche giorno di tregua, invece di farmi alzare presto pure oggi! Sai benissimo che lì Francis ci farà lavorare da matti!
-          Specialmente grazie alle tue indiscutibili doti nel tiro con l’arco!
Ride. L’anno scorso, per Hunger Games, ho dovuto provare circa due settimane per riuscire a tirare decentemente.
-          Ehi, adesso sono brava! Riesco a prendere il bersaglio, non al centro ma è già qualcosa, no?
-          Ah ah ah, tiravi sempre in aria!
Mette le uova in un piatto, che mi porge subito.
-          Ad ogni modo, ti ho chiamato perché gira una voce.
-          Uhm, gossip? Pensavo fosse qualcosa di più importante! – rispondo a bocca piena – Chissà, magari un contratto per un nuovo film!
-          Non si tratta di un pettegolezzo qualunque, è un pettegolezzo… reale!
-          Reale? In che senso?!
Le uova sono davvero ottime.
-          Gira voce che tu sia la prima nella lista del principe Harry!
-          Harry Windsor?
-          Proprio lui, si dice che voglia venire dall’Inghilterra per conoscerti!
-          Non mi piace neanche un po’! E’ un principino viziato che sa solo farsi fotografare nudo! Non ci tengo proprio ad incontrarlo.
Henry del Galles ha rovinato le mie uova al bacon, il mio momento di gloria.
-          Non importa Jenn, probabilmente è solo una diceria, lo scrive Perez Hilton, capisci che non è proprio attendibile. Però voglio che tu lo sappia, nel caso in cui dovesse scappare una domanda a riguardo durante un’intervista, così da non trovarti impreparata.
-          Fingerò di non sapere, mostrandomi sorpresa e dirò forzatamente che lo attendo volentieri.
-          Proprio così Jenn.
-          Speriamo che si siano inventati tutto, non ho abbastanza dei britannici!
Nicholas e la nostra relazione oltreoceano andata in frantumi. L’Oscar ha sicuramente attutito la caduta, ma i lividi ci sono ancora.
-          Cara Shrader, il caffè è pronto!
 

 

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Capitolo 2
*** Sweetly Drunk ***


02.  Sweetly Drunk



-          Quindi tu quale metteresti? Il rosso o il verde?
Il vestito rosso è stretto e a girocollo sul davanti, ma dietro ha uno strascico e una profonda scollatura. Quello verde invece è aperto sul davanti, giusto per lasciare intravedere le due torri gemelle, ma è per il resto è molto semplice e raffinato.
-          Se avessi delle bocce come le tue Jenn, quel vestito verde sarebbe la mia seconda pelle!
 
Ruth è la mia rude, sconsiderata, abominevole, formidabile, mitica, super vicina di casa.
All’inizio credevo fosse lesbica, ma poi un giorno ha cominciato a raccontarmi i dettagli della sua relazione da letto con Marcus il chitarrista. La sua specialità è cantare, è la lead vocalist dei B.O., sigla che sta per British Octopus (non chiedetemi perché) e devo dire che sono davvero bravi, fanno musica di nicchia, rock allo stato puro che a me piace parecchio. E’ un’appassionata di romanzi fantasy e manga giapponesi, capolista delle fan di Hunger Games, avrà letto la saga almeno venti volte. Quando Francis Lawrence mi ha consegnato il copione di Catching Fire, per entrare meglio nella parte ho chiesto consiglio a lei. Grazie a lei ho capito meglio cosa i fan si aspettano da Katniss, le devo un viaggio alle Hawaii.  
 In realtà è matta, come un po’ tutti qui nella zona, tutti artisti o pseudo artisti che cercano in qualche modo di essere ingaggiati. Sono emotivi, folli e isterici ma anche sorprendentemente simpatici e sinceri, niente gente schizzata del mondo dello showbiz. Qui tutti cercano una loro strada ed io, anche se sono una delle poche ad avere un po’ di notorietà, mi sento un po’ come loro, sempre alla ricerca di ispirazione, pronta a fare tutte le esperienze che mi vengono propinate dalla vita.
Nessuno mi tratta come una star, adesso sono una di loro: bussano da me per Halloween, mi portano dei dolci quando torno da qualche viaggio, mi rimproverano se non butto la spazzatura nel posto giusto, mi avvertono se sono circondata da paparazzi. Per loro ormai il mio è un lavoro come tutti gli altri, ho una routine un po’ movimentata e non ci sono spesso a casa, ma sono sempre una ventiduenne che ha voglia di giocare ai giochi di società, guardare la tv, mangiare junk food.
Un anno fa, quando sono arrivata, non era esattamente così, la maggior parte di loro faceva parte del fandom di Suzanne Collins e non vedeva l’ora che uscisse il film The Hunger Games, per non parlare di come idolatravano la mia interpretazione in Winter’s Bone. Mi trattavano come una star, si sentivano tesi ogni qualvolta mi presentassi davanti a loro, sono stata io che poco a poco ho cominciato a trattarli come amici ed allora lo sono diventati davvero. Adesso sono cambiate tante cose, Ruth è una delle mie migliori amiche e mi capita di rinfacciarle il periodo in cui non sosteneva il mio sguardo, lei che fa tanto la dura.
 
-          Metterò il rosso.
Ho già deciso.
-          Non capisco perché mi chiedi consigli se poi fai sempre di testa tua!
Si butta sul mio letto e avverto subito il lamento della rete di metallo, rinuncio a ripeterle ancora una volta che potrebbe rompersi da un momento all’altro.
-          Per poter mangiare il cibo che porta tua madre! Che domande, mrs. Jones!
-          Notevoli argomentazioni, mrs. Lawrence! Mi ricorderò di ingozzarmi di cibo prima che mia madre abbia varcato il mio pianerottolo e che possa ricordarsi di te!
Ignorando la sua risposta, lascio la camera da letto e per riscaldare nel microonde un po’ del pollo della signora Jones.
-          Non devi andare ad una serata di gala? Perché mangi?
Le rispondo a bocca piena, non preoccupandomi di deglutire prima.
-          Appunto! A queste serate non si mangia molto, gli invitati sono tutti tremendamente attenti alla linea! La prima volta  sono rimasta shoccata, la mia pancia brontolava già a metà serata.
-          Uhm sarà, ma tu sei un maiale, Shrader!
-          Comincia a chiamarmi mrs. Pig, allora! Meglio di essere chiamata mrs. Spaghetto!
-          Va bene, Pig. Chi ci sarà a questa serata di gala, Pig?
-          Gente famosa.
Liquido così Ruth ogni volta che non voglio fare la telecronaca di un evento, mi secca da morire. La verità è che non lo so, Austin mi ha informato all’ultimo minuto ed io non ho idea di chi partecipi, è una serata di beneficenza contro le malattie genetiche, spero solo che ci sia qualche mio amico. E’ un bel po’ che non vedo Josh, non mi dispiacerebbe incontrarlo per caso a questa cena, in modo da addebitargli tutti i pugni che ha accumulato in questi mesi con il Punch.
Chissà se ci sarà Bradley, o Woody, o addirittura Robert De Niro o Donald Sutherland, in modo da poter scambiare quattro chiacchiere con loro!
-          Va bene, va bene, Jenn! Non ti chiedo altro. Immagino che il tuo manager passerà tra poco, quindi forse è meglio che vada. E poi, Marcus mi aspetta.
Strizza un occhio.
-          Ci vediamo domani, Ruth.
Capisce al volo che è ora di andare, che non ho voglia di parlare dello sfavillante mondo di Hollywood. Devo attaccare la lavatrice prima di andar via, asciugarmi i capelli e stirare un po’ della roba che si è accumulata in una settimana. Devo assumere una domestica.
Appena chiudo lo sportello dell’auto di Aust mi rendo conto di non voler andare da nessuna parte, che avrei preferito stare in pigiama, camminare scalza come mamma mi proibiva a casa.
 
Si avvicina a me, mi stringe la mano e si presenta.
-          Jennifer, ma chiamami pure Jenn, anzi, mrs. Pig!
Ha una risata calda, si diverte davvero.
-          Perché dovrei?
-          Uhm, si da il caso che Ruth, la mia pazza vicina di casa, mi accusa di mangiare quanto un suino! Dimmi tu, ti sembra normale?
-          No, decisamente no! Non ci crederei mai, non potrei mai paragonarti ad un animale così ripugnante! Tu sei bellissima.
-          Ma i maialini sono i miei animali preferiti! Sai, a casa io avevo il compito di dar da mangiare a quelle allegre palline di lardo rosa e parlavo spesso con loro! Facevo bene il verso!
Imito i maiali per almeno due minuti,ridiamo e scherziamo sulla mia vita da contadina, finché lui non mi prende la mano sotto il tavolo.
-          Stupefacente.
Ha un’espressione bramosa, i suoi occhi luccicano nel buio della sala.
Mi trascina fuori, blatero cose senza senso, ridiamo, barcollo, mi prende dalla vita.
Ci accasciamo su un gradone, poggio la testa sulla sua spalla, chiudo gli occhi.
-          Dovevo attraversare un oceano, prendere tre aerei, per incontrare te.
-          Lo dicevo che sei straniero! Hai un accento del cazzo!
Risate, risate sonore.
-          Tu invece hai un accento del sud America! Texas?
-          Ti sembro una cowgirl?! Milord, hai sbagliato proprio tiro!
-          Da dove vieni allora?
-          Hogwarts!
-          Sei la figlia di J. K. Rowling?
-          Sì, la mamma si è ispirata a me per il personaggio di Hermione, dice che ci somigliamo…
 
Labbra che si premono le une contro le altre, la ricerca di una parte di se stessi nell’altro.
Non esiste più nulla, solo io ed il suo sapore spumeggiante, che mi inebria fino a farmi sentire leggera, soave.
 
Soave da sbornia.
 
 

 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Blackmail ***


03. Blackmail



Ho la gola secca.
Sento il mio corpo come una massa pesante, estranea del tutto a me, come se non mi appartenesse. È come se un camion mi fosse passato sopra, eppure non ricordo di aver fatto qualcosa di speciale ieri, sono solo andata ad una festa ed oltre allo sforzo sovrumano del camminare su un tacco dodici, non credo di aver fatto qualcosa di estenuante. È strano perché mi sento un po’ stordita, non è sicuramente colpa dei tacchi, questo è mal di testa post sbornia. Ecco! Ci ho dato giù con l’alcol, per questo ho i ricordi un po’ sfocati! Spero solo di non aver fatto brutte figure, chissà cosa dirà Aust…
Pazienza, quel che fatto è fatto, adesso mi alzo e cerco di ristabilirmi, magari bevo pure un bicchiere d’acqua. Faccio lo sforzo immane di aprire gli occhi, mi tiro su per inerzia.
Cazzo. Cazzo, questa non è la mia camera. Aspetta, forse è un sogno, mi strizzo gli occhi. No, non lo è.
Dove sono? Comincio a camminare a carponi sul materasso, la testa mi pesa troppo per reggerla semplicemente sulle spalle. Sul comodino a destra c’è un vassoio con cibo sopra, hanno lasciato pure un biglietto:

Buongiorno Mrs. Lawrence!

 
La calligrafia è molto simile a quella della mia maestra delle elementari, quella di matematica. Ricordo che avevo seri problemi a capire cosa scrivesse sulla lavagna, infatti copiavo sempre i compiti da qualcun altro o non li scrivevo proprio. Ok, la scuola non è mai stata il mio forte, non a caso faccio l’attrice, però Mrs Dalloway era proprio un’incapace: scriveva sempre sgorbio e non sapeva tirare una linea retta. Un’insegnante di matematica che non è precisa è come un attore senza espressioni facciali. E’ solo colpa sua se quando pago al supermercato ed ho solo spiccioli la fila dietro di persone dietro di me è sempre interminabile. 
 
Escludendo la possibilità di trovarmi in casa di Mrs Dalloway, comincio a considerare l’opzione di potermi trovare in una camera d’albergo, la colazione sul vassoio ne è una prova. Decido di assaggiare qualcosa, il cappuccino ed il pane tostato hanno un’aria assai invitante.
Mentre constato che il cibo non è avvelenato, mi accorgo di avere addosso una polo bianca. Istintivamente la annuso, profuma di dopobarba da uomo sul colletto, avverto lo stesso una sensazione di disgusto, la tolgo all’istante, l’appallottolo e la lancio in un angolo della stanza. A malincuore mi alzo, cerco disperatamente qualcosa di mio. Trovo il mio vestito rosso per terra, calpestato dal piede di una sedia. Sento le urla di mia madre dentro i timpani, manco avessi di nuovo quindici anni. Sbuca fuori anche una delle decolleté nere, l’altra sembra essere stata risucchiata da un buco nero. Nessuna traccia della mia pochette.
Con fare pudico reggo con la mano il vestito sul petto, dato che non trovo nemmeno il reggiseno, nel frattempo apro cautamente la porta, pregando che non ci sia nessuno in giro. Niente, qui è tutto deserto. Sgattaiolo subito in direzione del bagno, attraversando l’ampio soggiorno, mi rendo conto di trovarmi in una suite di lusso. Chiudo la porta a chiave, lancio un sospiro, finalmente ho un po’ di privacy, adesso nessuno potrà entrare. Noto con piacere che in questo bagno non ci sono finestre, nessun pericolo paparazzi quindi, almeno per ora. So che già possederanno mille scatti di quello che è successo ieri notte e che probabilmente mi aspettano fuori da questo albergo, pronti per qualche domanda.
Io non so nulla, nulla di nulla. Eppure prima avevo addosso una maglietta da uomo, di chi era? Se avevo la sua polo addosso questo significa che… abbiamo scopato.
Lui mi avrà spogliato e poi io, sempre affetta dal mio brio da sbornia, mi sarò messa la sua polo perché avevo freddo in déshabillée, subito dopo sarò crollata sul letto. Tutto sembra verosimile, peccato che non ricordi assolutamente nulla.
Mi infilo sotto la doccia, lascio che l’acqua fredda oltrepassi il mio cranio, fino ad arrivare al mio cervello per riportarmi ad un normale stato mentale. Cerco di rimettere insieme i pezzi della serata appena passata: cena da me, Ruth rompiscatole. Fin qui ci siamo. Mi passa a prendere Austin – Aust cazzo! Chissà cosa starà facendo adesso!- e vado alla festa. Alla festa ci sono solo dei rampolli di Beverly Hills, noiosi e viziati, prendo un cocktail per ammazzare il tempo. Brindisi dell’aperitivo, un bel bicchiere di champagne. Non so come, un tipo rossiccio e dall’accento britannico attacca bottone con me. Non so dire con esattezza chi fosse, so solo che dovevo averlo già visto da qualche parte e questo non mi aiuta, da queste parti non è affatto difficile incontrare qualcuno abbastanza popolare. Ricordo vagamente di averlo baciato però, fuori dal locale. Ci avranno visto, è sicuro.
Indosso l’accappatoio poggiato sul termosifone e le ciabatte da doccia sul pavimento, mi assicuro di essere ben coperta ed esco timorosamente dal bagno. Vengo accolta da un bell’imbusto in camicia bianca, un viso pallido con un nasino non esattamente alla francese:
-          Buongiorno.
Sfodera un sorriso perfetto, bianco smagliante. Lo conosco, ne sono certa.
-          Ha dormito bene, mrs. Lawrence?
L’accento è britannico, londinese puro. È il tipo di ieri sera, è… Henry del Galles.
-          Perché sono qui?
Domanda secca, ignoro la sua cortesia principesca. Ride:
-          Beh, questa è una cosa che un po’ tutti ci chiediamo, sai? Non a caso esistono diverse teorie a riguardo, non che io sia molto informato ma…
Idiota. Non so se odio di più il suo essere nobile o il suo essere inglese, è un nobile inglese, il peggio del peggio.
-          Intendo qui, in questa stanza, con te.
-          Ah, sì…- finge di essere imbarazzato mentre sgranocchia un toast –ecco, si da il caso che io e te ieri ci abbiamo dato dentro.
Mi fa l’occhiolino. Mi sento ribollire di rabbia, reprimo tutto con la lingua fra i denti.
-          In che senso?
-          Nel senso proprio del termine.
Soffoca una risatina, è un disgustoso porco. Odio essere una celebrità, quanto vorrei dargli un calcio dove…
-          Da parte mia posso dire che è stato… stupefacente.
Sì, certo avrai detto così anche a Cherie Cymbalisty o a qualche altra ragazza in divisa. Jenn, frena la rabbia! Conficco gli incisivi nel labbro inferiore.
-          Avevo una pochette con me, ieri sera.
Prenderò la pochette, chiamerò Austin ed insieme affronteremo la situazione.
-          Uh sì, ce l’ho io.
-          Potrei riaverla?
-          Ma certo che no! Non prima che tu abbia cominciato a trattarmi come si deve, miss Lawrence!
Basta così, a furia di mordermi il labbro lo scorticherò tutto. Attraverso il tavolo che ci divide, mi piazzo davanti a lui, cercando di far venir fuori l’espressione più inferocita che si sia mai vista:
-          Sua Altezza Reale, mi rincresce dirle che non ci troviamo nel Regno Unito ma negli Usa, di cui io sono cittadina e come tale lei non può permettersi di privarmi dei miei effetti personali!
La mia rabbia gli scivola addosso, ha già pronto un sorriso beffardo. Mi sfiora le labbra con un polpastrello.
-          Sei stupefacente, lo ripeto e proprio per questo cercherò di tenerti più tempo possibile qui con me.
Ha la pretesa di tenermi fra le sue mani, quasi fossi una bambolina. Devo riuscire a farlo ragionare, ammesso che abbia un cervello.
-          Sir, se non mi farai chiamare il mio agente dal mio cellulare sarò costretta a scendere nella hall, in accappatoio. Questo potrebbe creare dei problemi a me nello stesso modo in cui li creerebbe a te.
-          Una bella ragazza che esce dalla mia camera in accappatoio dovrebbe essere una minaccia per me?
-          Direi piuttosto una bella attrice strapagata di Hollywood in accappatoio  che hai portato a letto la sera prima dopo averla fatta ubriacare di brutto.
-          Ma tu eri già brilla prima che mi presentassi!
-          Già, ma questo lo sappiamo tu ed io.
Sfodero il sorriso più stronzo della storia.
-          Tu avresti intenzione di… - completo la sua frase – Dire ai giornalisti che mi hai fatto sbronzare per portarmi a letto, sì è esatto, Sir.
In realtà non lo farei mai, ne verrebbe meno anche la mia immagine, ma devo pur incastrarlo in qualche modo.
-          Chissà cosa ne penserebbe la regina… - dico per rigirare il coltello nella piaga.
Ha lo sguardo pensoso, anche se dubito abbia qualcosa su cui meditare, idiota com’è.
-          Va bene, mi hai convinto mrs. Lawrence!
Tira fuori da un cassettino la mia pochette, prende il mio cellulare e quando mi accorgo che sta componendo il numero di Austin tento di bloccarlo, ma lui scatta veloce verso la camera da letto, chiudendosi a chiave. Mentre la mia fronte è attaccata alla porta della camera, lo sento parlare, farà portare qui le mie cose e poi Austin verrà a riprendermi accedendo da un’entrata secondaria dell’albergo.
Esce dalla stanza a mani vuote.
-          Il mio cellulare?
-          Sei pericolosa, Lawrence. Chi mi garantisce che tu non esca davvero dall’albergo in accappatoio? Per impedirti di fuggire terrò in ostaggio il tuo amatissimo Blackberry, te lo ridarò nel momento in cui sarai abbigliata a dovere. Ora asciugati i capelli, fra poco arriveranno i tuoi vestiti e tutto ciò che ti serve per apparire degna di una superstite ad una notte col Principe del Galles.
Impartisce ordini come se fossi un soldatino! Vada al diavolo! Andandomi ad asciugare i capelli, sbatto la porta del bagno.
Non appena ritorno nel soggiorno fortunatamente non trovo il principino, solo un borsone ed un foglietto con un messaggio veloce:
 
Cara mrs. Lawrence,
mi dispiace non sai quanto non poterti salutare come meriti, sono però sicuro che ci rivedremo presto. Qui c’è il tuo prezioso smartphone, come promesso. L’agente Thompson ti aspetta nel parcheggio interno.
E’ stata una notte da sogno,
Harry Windsor.
 
Lo butto nel primo cestino che vedo, corro più veloce che posso verso Aust, cercando di sfuggire alle grinfie di Sua Altezza. Mi sento libera non appena chiudo lo sportello dell’auto, ancora di più quando il lussuoso albergo sparisce dalla mia vista. Riaccendo il cellulare che l’idiota reale ha spento senza il mio permesso.
 

Inserire sim.

 
 
 
 

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