The Horse, the Soldier and the Girl

di Fallen Star 91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 15 Agosto 1914 ***
Capitolo 2: *** 2. Tempus fugit ***
Capitolo 3: *** 3. Disegni ***
Capitolo 4: *** 4. Il silenzio ***
Capitolo 5: *** 6. Troppo tardi ***
Capitolo 6: *** 5. Londra ***
Capitolo 7: *** 7. Il continente ***
Capitolo 8: *** 8. Il fronte ***
Capitolo 9: *** 9. Il raid ***
Capitolo 10: *** 10. Il soldato tedesco ***
Capitolo 11: *** 11. Verso nord ***
Capitolo 12: *** 12. Angel Chevalier ***
Capitolo 13: *** 13. Stanchezza ***
Capitolo 14: *** 14. Favola triste ***
Capitolo 15: *** 15. Una nuova speranza ***
Capitolo 16: *** 16. Soldati ***
Capitolo 17: *** 17. Grazie ***
Capitolo 18: *** 18. Azzardo ***
Capitolo 19: *** 19. Corsa ***
Capitolo 20: *** 20. Racconti ***
Capitolo 21: *** 21. Ricerca ***
Capitolo 22: *** 22. Ritrovarsi ***
Capitolo 23: *** 23. Nuovi inizi ***
Capitolo 24: *** 24. Una storia da raccontare ***



Capitolo 1
*** 15 Agosto 1914 ***


1. 15 AGOSTO 1914
 
James prese ancora una volta la busta tra le mani accarezzando con delicatezza il sigillo di ceralacca con impresso lo stemma dell’impero britannico, i suoi occhi chiari si spostarono sulla ragazza che gli sedeva di fronte e lo guardava apprensiva, rassegnata ad affrontare l’inevitabile. La notizia era arrivata la settimana prima travolgendo come un’onda le loro vite: l’invasione tedesca del Belgio non aveva lasciato scelta e l’Inghilterra era scesa in guerra contro l’Impero tedesco.
Il giovane scattò in piedi e si avvicinò alla finestra guardando con scarso entusiasmo le bandiere britanniche e i festoni rossi bianchi e blu che i suoi compaesani avevano appeso lungo le strade dopo la notizia dello scoppio della guerra. In preda all’euforia generale giovani e adulti si erano rovesciati nelle strade facendo a gara per segnare per primi il proprio nome nella lista dei volontari, mentre le donne orgogliose si erano riunite nelle case a rammendare, forse per l’ultima volta, le camice e i calzini dei loro uomini.
James si voltò verso la ragazza e sconsolato tornò a sedersi prendendo la busta su cui era scritto, con un inchiostro rosso e in una bella calligrafia, il suo nome. Con un movimento secco il giovane spezzò il sigillo di cerca e lesse il contenuto della missiva cercando di mascherare l’inquietudine che si stava lentamente impadronendo di lui.
- Ho tre giorni.- James richiuse la lettera e la infilò nelle tasche dei pantaloni lanciando uno sguardo vago alla giovane seduta davanti a lui – Si possono fare tante cose in tre giorni.-
- Partirai quindi.-
La ragazza si asciugò furtivamente una lacrima senza distogliere lo sguardo dal giovane.
- Non ho scelta.-
- Potresti chiedere l’esonero, sei caduto da cavallo meno di un mese fa e le tue costole non si sono ancora aggiustate nel modo giusto. Se non fai attenzione potrebbe volerci molto meno di un proiettile per … -
La giovane non riuscì a completare la frase senza che il pianto le serrasse la gola in un nodo.
- Non succederà, starò attento.-
James si avvicinò alla ragazza e si inginocchiò davanti a lei guardandola con tutta la serenità di cui era capace.
- Questo è quello che dite sempre vuoi uomini: ‘starò attento’, ‘ non mi succederà niente’, ‘so badare a me stesso’. Vi credete invincibili quando ci vuole così poco per uccidervi, per fermare i vostri cuori impavidi senza macchia e senza paura.-
La ragazza si nascose il viso tra le mani soccombendo alla tristezza mentre il suo corpo veniva scosso dai singhiozzi.
- Sylvia per favore, è già difficile così e vederti piangere non mi è di aiuto. Cosa vuoi che faccia?-
- Che tu non parta per questa guerra che si lascerà alle spalle solo un’interminabile scia di morti, vedove ed orfani. Questo non è un romanzo dove chi muore resuscita quando un nuovo lettore legge la sua storia per la prima volta, questa è guerra è reale!-
- Pensi che non lo sappia? Mi ritieni uno sprovveduto? Per te è facile parlare!- James scattò in piedi colpendo con violenza il tavolo che oscillò sotto il suo pugno - Perché pensi che andrò a combattere? Per appuntare una medaglia alla giacca? Per vivere qualche avventura? Combatterò per te, per noi, per rendere più sicuro il posto in cui abiti e il tuo futuro. Il Belgio non è così lontano dalle nostre coste, cosa farai se i tedeschi dovessero arrivare qui e mettere a ferro e fuoco il paese? Cosa farai se il nemico dovesse dare alle fiamme la chiesa, la scuola e la fattoria di tuo padre, me lo dici?-
Sylvia abbassò lo sguardo mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare e si asciugò stizzita le lacrime guardandosi intorno nervosa.
- Molto bene.- la ragazza raccolse la sua giacca e senza degnare di uno sguardo il giovane si diresse di gran carriera alla porta – Buona fortuna, mio eroe. Spero solo che l’aria del continente non faccia venire il raffreddore a te al tuo cavallo.-
- Dove vai adesso, si può sapere?-
- A casa, mio padre a bisogno di me per dare da mangiare alle oche.-
- Verrai martedì a salutarmi?- James raggiunse la ragazza e si pose davanti a lei impedendole di uscire.
- Forse, non lo so.-
- Ci terrei.-
Con una spallata Sylvia si liberò del giovane e senza voltarsi percorse il sentiero di grosse pietre di fiume dirigendosi verso la stalla dove la attendeva la sua cavalla Star. Entrata nella scuderia la ragazza prese la sella e i finimenti e con movimenti rapidi ed esperti preparò l’animale per il viaggio di ritorno, uscendo la giovane si fermò davanti al box in cui James aveva sistemato il suo cavallo e timidamente si avvicinò per vedere la bestia.
Non appena fiutò la presenza della ragazza un giovane baio si affacciò allungando interessato il muso alla ricerca di qualche zuccherino o qualche pezzo di frutta secca. Sylvia estrasse dalla tasca un pezzo di mela e glielo porse accarezzandogli gentilmente il collo  e la criniera nera.
- Vacci piano con lui, Joey, si è rotto una costola qualche settimana fa e non può fare sforzi. Tienilo lontano dai pericoli, va bene? Lo farai per me?-
Il cavallo strofinò il muso contro il braccio della ragazza che lo premiò allungandogli una zolletta di zucchero dalla scorta che James teneva nelle scuderie.
 
- Tutto bene?-
Sylvia depose la spazzola con cui stata lucidando il manto di Star e si voltò disinvolta verso il padre.
- Sì, perché me lo chiedi?-
- James partirà per la guerra?-
Irritata la ragazza riempì un secchio di frumento e lo depose davanti alla cavalla.
- Il capitano Nicholls intendi? Sì, partirà martedì.-
- Da quando tanta freddezza nei confronti di James? –
Sylvia si appollaiò sulla staccionata che costituiva il box di Star e la guardò distratta svuotare il secchio che le aveva preparato.
- Cosa è successo?-
- Partirà martedì, gli ho chiesto di non andare ma lui ha insistito dicendo che è un suo dovere, che lo fa per difendere me e altre stupidaggini di questo tipo.-
- È un ufficiale britannico, il suo posto è sui campi di battaglia non in un villaggio sperduto del Devonshire.-
L’uomo si sistemò su alcune cassette vuote e si accese la pipa tirando una lunga boccata.
- Quindi sei dalla sua parte? Pensi che sia giusto che un uomo che non ha ancora trenta anni debba andare a farsi ammazzare come un cinghiale dai tedeschi!-
- Non ti sto dicendo questo, sto solo cercando di farti capire che la sua situazione è più scomoda di quanto tu non possa pensare. Quel ragazzo è divorato dalla paura e l’unica persona che vorrebbe al suo fianco gli ha voltato le spalle sbattendo i piedi come una bambina capricciosa, ti sembra giusto tutto questo?-
Messa con le spalle al muro la ragazza abbassò lo sguardo e si sciolse la lunga treccia castana tormentandosi le punte disordinate e ribelli.
- Dovrei essere fiera di lui, aiutare sua madre a rammendare la sua biancheria e compiacermi del suo coraggio come fanno le altre ragazze quando parlano dei loro fidanzati o mariti.- la giovane prese a giocare con un filo di paglia soppesandolo tra le dita – Io non ci riesco. Quando vedo le bandiere e i giovani che corrono ad arruolarsi il cuore mi si stringe in una morsa di paura, io so che dovrei essere forte, saltargli al collo e baciarlo ringraziandolo per il sacrificio che è pronto a compiere per me, ma non ci riesco! Ogni volta che penso a quello che questa guerra porterà non posso fare a meno di pensare che James potrebbe non sopravvivere e lasciarmi da sola.-
- Gliele hai dette queste cose?-
- No.-
- Dovresti e dovresti anche dirgli che ti dispiace per quello che gli hai detto e andare a salutarlo martedì.-
La giovane lanciò un’occhiata contrariata la padre. Non voleva andare da James, farlo avrebbe voluto dire dargliela vinta e non voleva.
- Lo dico per te, Sylvia, se James morisse …-
- Non morirà.- la ragazza alzò di scatto lo sguardo fulminando l’uomo con i suoi occhi verde prateria.
- Se dovesse, l’astio che ti porti dentro ti schiaccerebbe e verresti divorata dal rimorso di non averlo salutato e baciato un’ultima volta. Non sempre è necessario un proiettile per ammazzare un uomo, è da quando sei piccola che te lo ripeto e la tua indifferenza ucciderà quel ragazzo prima ancora dei tedeschi.-
Sylvia chiamò a sé la cavalla che accorse obbediente strofinandole il muso contro le spalle nella speranza di ottenere qualcosa in più da mangiare.
- Tu sei la sua fidanzata, Sylvia, e il minimo che tu possa fare e stargli accanto in questo momento così difficile.-
La giovane abbassò lo sguardo e senza degnare il padre sellò nuovamente la cavalla che sbuffò contrariata e delusa dalla falsa promessa di una zolletta di zucchero.
- Dove vai?-
- A fare una passeggiata, devo schiarirmi le idee.-
L’uomo lanciò uno sguardo orgoglioso alla figlia, non avevano mai parlato molto ma ad entrambi bastava uno sguardo per capire le intenzioni dell’altra. Pigramente l’uomo si alzò e andò ad aprire la porta della stalla che venne illuminata dalla fredda luce della luna.
- Se per caso la tua strada ti portasse verso sud fa attenzione, alcuni contadini mi hanno detto di aver visto dei cinghiali in quella zona.-
La ragazza sorrise al padre e con dolcezza portò Star fuori dalla scuderia. La brezza frizzante di quella notte d’agosto la fece rabbrividire, ma non appena si fu gettata addosso la giacca il freddo scomparve e con determinazione Sylvia lanciò la cavalla al galoppo sparendo in breve tra i rilievi verde bottiglia del Devonshire.
 

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Capitolo 2
*** 2. Tempus fugit ***


2. TEMPUS FUGIT
 
Su una cosa James non si sbagliava, in tre giorni si potevano fare davvero molte cose. Nei giorni seguenti LUI e Sylvia presero i loro cavalli e percorsero il Devonshire in lungo e in largo riuscendo per un po’ ad accantonare le loro preoccupazioni riguardo alla guerra. Il cavallo di James, Joey, era un puledro di poco più di un anno dal carattere esuberante ma allo stesso tempo obbediente, la sua andatura era briosa ma il suo cavaliere riusciva a controllarlo senza tante difficoltà.
Inizialmente Sylvia era preoccupata che la sua cavalla non reagisse bene al carattere vivace del puledro, ma le sue paure furono presto smentite e i due animali socializzarono senza problemi.
Nei tre giorni precedenti alla partenza di James per la Francia i due giovani cercarono tutti gli espedienti possibili per distrarsi dalle loro ansie anche se, nei brevi momenti in cui i loro sguardi si incrociavano, era chiaro che i loro pensieri correvano a martedì e al giorno del loro addio.
 
Il canto del gallo arrivò all’alba risuonando nel cortile della fattoria fastidioso come il verdetto di un vecchio giudice dalle corde vocali rovinate per il troppo urlare.
Con uno scatto Sylvia saltò fuori delle lenzuola e dopo essersi lavata con cura scivolò dentro il vestito della domenica: un abito bianco lungo fino alle ginocchia con rose violacee che le ricadeva addosso valorizzandole le forme solitamente nascoste da indumenti maschili da lavoro rubati al padre.
Scendendo a colazione Sylvia incontrò la madre e la sorella di tre anni più piccola che la guardò sospettosa squadrandola con impertinenza.
- Dove vai vestita così? Non è domenica!-
- In città.- la giovane tagliò corto e addentò con voracità un pezzo di pane abbrustolito versandosi del porridge in una tazza.
La sorellina continuò a guardarla e malgrado le occhiatacce di Sylvia non si decideva a tornare sulla propria colazione.
- Si può sapere cosa vuoi? Ho visto oche con occhi più intelligenti dei tuoi, ed erano appese morte alla bottega del macellaio!-
La ragazza fece una smorfia guardano la sorella con malizia.
- Vai dire addio al tuo capitano? Perché sai che si tratta di un addio, vero?-
Con un movimento fulmineo Sylvia prese il coltello del burro e lo conficcò a pochi centimetri dalle pallide braccia della sorella che scappò verso le stanze squittendo come un topo a cui avevano tagliato la coda.
Finalmente libera da sorelle noiose la giovane tentò di finire il proprio pasto, ma le parole della sorellina l’avevano colpita con la violenza di un pugno all’addome bloccandole lo stomaco.
Rassegnata Sylvia uscì in giardino e si diresse verso le stalle dove il padre le aveva preparato il carro per andare in paese, l’uomo avrebbe voluto accompagnare la figlia per salutare James e consolare la ragazza asciugandole le lacrime che sarebbero inevitabilmente uscite, ma la sua presenza era richiesta nei campi e per quanto se ne dispiacesse aveva dovuto lasciare sola la giovane.
Malgrado il vestito la ragazza riuscì a salire con agilità sul carro e in poco tempo la fattoria scomparve inghiottita dalle colline.
Dopo circa mezz’ora, da dietro un piccolo rilievo, fece capolino il campanile della chiesa e in breve l’aria si riempì di urla eccitate e musica di festa.
Sylvia smontò con un salto dal carro e si perse tra la folla alla ricerca di James. Dopo diversi minuti lo trovò intento a parlare con un ragazzo che ad occhio e croce doveva avere meno di venti anni e che accarezzava con dolcezza Joey sussurrandogli parole confortanti alle lunghe orecchie.
- Sylvia!-
James andò incontro alla ragazza e la abbracciò stampandole un bacio sulle labbra, il suo volto era sorridente ma dietro i suoi occhi verdi la giovane riusciva ad intravedere lo spettro della paura.
- Ti voglio presentare un mio amico.- James accompagnò Sylvia da Joey che la salutò strofinandole il muso sul braccio – Questo giovane è Albert Narracott, è da lui che ho acquistato Joey. Il ragazzo è stato così gentile da volermelo prestare per questa guerra.-
James diede qualche pacca sul collo del cavallo che apprezzò il gesto rispondendo con un nitrito.
Sylvia studiò attentamente Albert indecisa se provare simpatia o odio per quel ragazzo che aveva venduto al suo fidanzato il cavallo che lo avrebbe accompagnato in guerra. Per quanto nei giorni precedenti la ragazza avesse visto di persona il valore di Joey non era ancora convinta che la sua velocità e il suo coraggio sarebbero bastati a riportare James a casa.
- Abitate molto lontano da qui, signor Narrocott?-
Albert spostò gli occhi celesti dal suo puledro posandoli sulla ragazza.
- Un’ora a piedi, signora, ma a cavallo ci vuole molto meno.-
- Non sono una signora, chiamami Sylvia.- la giovane tese la mano verso il ragazzo che la afferrò impacciato tornando ad accarezzare il cavallo.
Sylvia si guardò intorno cercando di comprendere l’euforia che aveva contagiato come un morbo i suoi compaesani e dovette fare un grosso sforzo per ricacciare indietro le lacrime.
- Tutto bene?-
James le prese una mano e la accarezzò dolcemente seguendo i lineamenti del suo viso.
- Sì, sto bene.-                 
La ragazza tirò su con il naso e si guardò nervosa intorno attraversata dalla spiacevole sensazione di essere in una specie di trappola per topi.
Intuendo il disagio e la tristezza della fidanzata James la tirò a sé e le accarezzò con delicatezza i capelli castani raccolti in una grossa treccia deciso a fissare nel suo cuore e nella sua memoria ogni attimo di quel momento: il profumo di erba tagliata della ragazza, i suoi occhi verde prato, il suo sorriso e quell’abitino bianco che sembrava esserle stato cucito addosso e che le metteva in risalto le forme femminili. Se avesse potuto fermare la sua vita immortalandola in un secondo, James avrebbe scelto quello: lui abbracciato alla ragazza che amava che, con il viso nascosto contro il suo petto, bagnava con le sue lacrime silenziose la sua uniforme verde certa che il sole le avrebbe asciugate prima che qualcuno le vedesse.
Un fischio attraversò l’aria seguito da un susseguirsi di ordini e dalla lenta messa in moto delle automobili su cui viaggiavano gli ufficiali. Sylvia si strinse con maggior forza a James determinata a non lasciarlo partire e decisa a non separarsi da lui, avrebbero dovuto strapparla a forza dal suo fidanzato e se solo ci avessero provato avrebbe cominciato a scalciare come una puledra imbizzarrita tornando immediatamente tra le braccia di James.
Un fitta attraversò il cuore del ragazzo mentre il convoglio si metteva lentamente in marcia, il tempo per loro era finito ed ora era arrivata la parte più dolorosa: salutarsi senza sapere se quello sarebbe stato o meno un addio definitivo. Il giovane strinse a sé la ragazza cercando di ingoiare il nodo che gli si era formato in gola e prima che le lacrime solcassero il suo viso la baciò nuovamente e più volte.
- Ti amo.-
La ragazza gli sorrise triste e si asciugò le lacrime sciogliendosi suo malgrado da quell’abbraccio che avrebbe voluto essere eterno.
Con agilità James montò in sella a Joey che si guardò intorno incuriosito alzando e abbassando le orecchie.
Sylvia si avvicinò alla bestia e gli accarezzò il collo slanciato offrendogli una zolletta di zucchero.
- Non ti dimenticare della nostra promessa, Joey, per favore.-
James si abbassò ancora una volta e baciò Sylvia assaporando un ultima volta il sapore selvatico delle sue labbra, poi spronò il cavallo che trotterellando allegro si unì agli altri cavalieri sfilando in mezzo a uomini e donne che si sbracciavano salutando orgogliosi i prodi cavalieri e i valorosi volontari dell’Impero britannico.
Sylvia si voltò verso Albert che guardava sconsolato Joey andare incontro a pericoli da cui lui non avrebbe potuto difenderlo. Per un attimo il ragazzo le sembrò incredibilmente vicino e l’antipatia che aveva inizialmente provato fu sostituita da una qual forma di compassione: entrambi avevano detto addio a qualcuno, con i soldati era partito un pezzo del loro cuore e poco importava se si trattasse di un uomo o di un cavallo quando per entrambi c’era l’incertezza del ritorno.
 

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Capitolo 3
*** 3. Disegni ***


3. DISEGNI
 
Sylvia percorreva nervosa la piccola cucina fermandosi di tanto in tanto davanti alla finestra scrutando con impazienza il vialetto e la strada alla ricerca del padre.
Era sola in casa quella mattina: sua madre e la sorellina erano andate a Londra per qualche giorno a far visita ad una parente, mentre suo padre era andato in paese a sbrigare alcuni affari e a ritirare la posta presso la stazione del villaggio.
Impaziente la giovane uscì in giardino e si diresse verso le gabbie dei conigli. Con dolcezza prese tra le mani una di quelle piccole creature e la accarezzò grattandola dietro l’orecchio godendosi il calore emanato da quella palla di pelo morbido.
- Sylvia!- il padre della ragazza venne verso di lei agitando allegro una busta bianca – Hai posta!-
Con rapidità Sylvia rimise il coniglio nella sua gabbia e a passi svelti e leggeri entrò in casa strappando con impazienza la lettera dalle mani callose del padre.
- È di James!-
La ragazza si sedette al tavolo e lesse avidamente il contenuto della missiva fino ad impararlo a memoria, la busta conteneva diversi fogli: in uno James le comunicava l’imminente partenza per la Francia e i progressi che lui e Joey avevano fatto da quando era cominciata l’ultima fase dell’addestramento, mentre negli altri vi erano dei bellissimi disegni del cavallo ritratto da solo o al pascolo.
Sylvia ammirò ancora una volta gli schizzi del fidanzato e senza esitazione si diresse verso la scuderia preparando Star per una passeggiata.
 
Albert era chino nel giardino della sua fattoria intento a strappare le erbacce che erano spuntate un po’ ovunque dopo le piogge abbondanti. Le sue grosse mani si stringevano con decisione intorno ai fusti delle piante infestanti sradicandole alla radice e lasciando nel terreno un buco profondo.
- Albert!-
Il ragazzo si voltò e i suoi occhi azzurri si posarono su Sylvia che lo osservava appollaiata sul cancello della proprietà.
- Tu sei Sylvia, vero?-
Il giovane si alzò e si avvicinò titubate alla fanciulla pulendosi le mani sporche di terra.
- Sì.-
- A cosa devo il piacere?-
- James, volevo dire, il capitano Nicholls mi ha scritto.- Sylvia sventolò la busta davanti agli occhi di Albert che la fissò senza tuttavia capire – Ti devo dare una cosa.-
Il giovane aprì il cancello e con gentilezza condusse la cavalla della ragazza nella scuderia in cui era stato ospitato Joey.
Sylvia si sedette su alcune cassette vuote e con delicatezza aprì la busta tirando fuori la lettera e i disegni porgendoli ad Albert.
- Questo è Joey!- il giovane accarezzò lo schizzo come se si trattasse del suo cavallo.
- Come vedi sta bene. Non preoccuparti per lui, con James è al sicuro.-
Il ragazzo sfogliò i disegni guardandoli con stupore e commozione, Sylvia aveva ragione: Joey era al sicuro con il capitano Nicholls.
Con garbo Albert raccolse i fogli e li porse alla ragazza che li respinse.
- Tienili tu.- Sylvia gli sorrise sincera porgendogli la busta in cui avrebbe potuto conservarli – Ne hai bisogno quanto io ho bisogno di questa lettera.-
Il ragazzo osservò incuriosito il foglio che la giovane teneva tra le mani senza tuttavia azzardarsi a chiedere cosa le avesse detto il fidanzato.
- Avete già risposto al capitano?-
- No.-
Albert si sedette accanto alla ragazza continuando ad ammirare i disegni.
- Potremmo rispondergli insieme, lo vorrei ringraziare per i disegni di e per le cure che avrà nei confronti di Joey.-
Sylvia ci pensò un momento prima di annuire e seguire Albert in casa. Il giovane la fece accomodare al grosso tavolo della cucina e le porse una tazza fumante di tè.
Soddisfatto il ragazzo appoggiò dei fogli di carta e attese che Sylvia gli dicesse cosa scrivere. La ragazza rifletté un momento cercando di dare un ordine ai pensieri e alle parole che le passavano per la mente.
I due giovani cominciarono dieci lettere diverse senza tuttavia finirne nessuna, ogni volta che rileggevano quello che avevano scritto si accorgevano di aver dimenticato qualche cosa o di aver commesso qualche errore. Sylvia voleva dare al messaggio un tono più romantico scaricando sulle parole tutta la sua apprensione, mentre Albert chiedeva ripetutamente notizie di Joey facendo innervosire la ragazza per niente interessata al cavallo, alla sua dieta e alle sue condizioni.
Alla fine i due ragazzi decisero di scrivere a James due lettere distinte in modo che ognuno potesse rivolgergli le parole e le domande che voleva senza togliere spazio all’altro.
Quando ebbero terminato Albert prese una busta da un cassetto e la porse a Sylvia che scrisse in bella calligrafia l’ultimo indirizzo da cui James aveva mandato la lettera.
Quando ebbe fatto la giovane appoggiò la busta sul tavolo e rimase a guardarla in silenzio.
- Quanto pensi ci metterà ad arrivare?-
- Non lo so.-
Albert versò dell’altro tè nella tazza di Sylvia e riprese tra le mani i disegni contemplandoli con entusiasmo.
- Tra quanto pensi che avremo la risposta?-
La ragazza sorseggiò il suo tè nascondendosi per un attimo agli occhi azzurro cielo del giovane. Cosa poteva saperne lei? Per quanto le riguardava quella prima lettera era stata per lei un miracolo insperato e solo Dio poteva sapere tra quanto James le avrebbe scritto nuovamente.
- Tra qualche giorno la sua compagnia partirà per la Francia, è dunque probabile che le prossime lettere tardino ad arrivare anche di settimane.-
La giovane riprese tra le mani la busta e in un angolo scrisse in piccolo ‘1’.
- Perché quel numero?-
- La Francia è un campo di battaglia, le lettere potrebbero non arrivare con ordine e voglio che James sappia l’ordine con cui le abbiamo mandate.-
 
Veloce come un fulmine Star attraversò i grandi campi del Devonshire galoppando allegra verso la fattoria dei Narracott. Era passato circa un mese da quando Albert e Sylvia avevano scritto al capitano Nicholls ed ora la ragazza stava correndo dal giovane portando due lettere.
- Buongiorno signor Narracott.-
- Buongiorno a lei, signorina.-
Il vecchio padre di Albert si tolse il cappello mostrando la fronte stempiata e i capelli grigi ed arruffati. Con un balzo Sylvia smontò da cavallo e condusse Star nella scuderia.
- Albert è in casa?-
- Sì, ti accompagno.-
L’uomo depose il secchio con il mangime delle oche e offrì il braccio alla ragazza offrendosi di scortarla fino in casa.
- Albert! Hai visite!-
In pochi istanti il giovane di materializzò in cucina e prima che il tè fosse pronto i due ragazzi avevano già aperto le due lettere. Come sempre le due buste contenevano diversi disegni di Joey e due messaggi distinti per Sylvia e Albert. Il primo portava la data 24 agosto 1914, mentre il secondo era di qualche giorno dopo 27 agosto.
Nella prima lettera James raccontava con entusiasmo della sua vita in Francia e dell’ottimismo che animava le truppe dell’Impero britannico e dei suoi alleati. Il giovane raccontò con cura i dettagli del loro viaggio descrivendo i luoghi e le persone che nei suoi spostamenti aveva incontrato. Sylvia e Albert rimasero particolarmente rapiti dalla descrizione dei soldati indiani che combattevano senza elmetto e con la sola protezione di un pesante turbante in seta.
La seconda lettera, sfortunatamente, portava con sé notizie allarmanti: la divisione di James si stava spostando ancora e i suoi superiori avevano predisposto un raid su un accampamento tedesco, il giovane cercò di descrivere la missione con leggerezza immaginando la reazione di Sylvia, ma la ragazza riuscì ugualmente a cogliere la gravità di quello che stava per accadere e dovette lottare per trattenere le lacrime.
- Questo è per te.-
Albert porse alla giovane un disegno che ritraeva una coppia di giovani in sella ai loro cavalli, Sylvia prese il foglio e lo accarezzò come se fosse una reliquia riconoscendo nei lineamenti dei due cavalieri quelli suoi e di James.
- Coraggio.- Albert le prese la mano per farle coraggio – Vedrai che andrà tutto bene. Il capitano è una persona cauta, vedrai che saprà avere cura di sé.-
Sylvia si asciugò rapida una lacrima cercando di mascherare il proprio turbamento.
- E poi finché continueranno ad arrivare lettere vorrà dire che sono entrambi sani e salvi, non ti pare?-
Sylvia annuì timidamente asciugandosi gli occhi con la manica della giacca. Albert aveva ragione, James era una persona prudente e sapeva che la guerra non era un gioco, inoltre finché sarebbero arrivate lettere e disegni avrebbe avuto la certezza che lui era vivo e avrebbe potuto tenere accesa la speranza che un giorno tornasse da lei.

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Capitolo 4
*** 4. Il silenzio ***


4. IL SILENZIO
 
Albert tagliò un altro spicchio di mela e lo porse gentilmente a Sylvia che lo afferrò con un gesto meccanico senza distogliere lo sguardo assente da un punto indefinito davanti a sé.
- Quanto tempo è passato?-
- Tre settimane.-
La ragazza prese l’ultima lettera di James e la ripeté tra sé e sé accarezzando delicatamente la carta bianca e quella calligrafia ordinata.
- Forse non ha più tempo per scrivere o non gli sono arrivate le nostre lettere. Le possibilità sono tante non possiamo subito saltare alle conclusioni più tragiche.-
Sylvia addentò la mela rivolgendo uno sguardo scettico al ragazzo. Forse aveva ragione Albert e non doveva preoccuparsi più di tanto. James era andato in guerra non ad una battuta di caccia alla volpe era dunque normale che ci impiegasse del tempo per rispondere alle sue lettere. La ragazza cercò di convincersi delle parole di Albert, ma più cercava di vendere a se stessa quella giustificazione più il cuore si ribellava gridandole un’altra verità.
- Forse dovrei partire.-
Albert lanciò un’occhiata perplessa alla giovane cercando di decifrare le sue parole.
- Arruolarmi come infermiera e partire per la Francia.-
- Sei impazzita? È pericoloso e il capitano Nicholls non te lo permetterebbe mai, per non parlare poi di tuo padre.-
- Ho venticinque anni, sono grande a sufficienza per decidere dove voglio andare e quando intendo farlo.-
- Riflettici bene, se parti ti troverai davanti ad orrori e pericoli di ogni specie.-
- Devo trovarlo.- la ragazza guardò con determinazione il giovane specchiandosi nei suoi grandi occhi cristallini.
Il ragazzo si passò una mano tra i riccioli castani contraendo il volto in una smorfia di disappunto.
- Vorresti arruolarti come infermiera? Senza offesa Sylvia ma quanta esperienza hai con le ferite?-
- Molta!-
- Intendevo ferite umane. L’abilità che hai nel trattare gli infortuni dei cavalli non ti servirebbe a niente con gli uomini. Ammettiamolo Sylvia: come veterinaria non sei male, ma come infermiera faresti più danni di un macellaio facendo rimpiangere a quei poveretti i tedeschi.-
Sylvia cominciò a tormentarsi le dita riflettendo sull’obiezione fatta da Albert, indubbiamente conosceva molto meglio le ferite e le malattie dei cavalli ed era risaputo che non ci fosse niente che non potesse curare. Al contrario nel trattare con gli uomini era totalmente negata: una volta aveva provato a curare un taglio che sua sorella si era procurata giocando in giardino e come risultato aveva ottenuto una ferita purulenta e i rimproveri della madre.
- Sono sicura che in mezzo a tante infermiere improvvisate la mia inadeguatezza passerà inosservata. Al fronte hanno bisogno di persone e se non potrò servire negli ospedali troveranno qualche altra cosa da farmi fare.-
Albert guardò poco convinto la ragazza lanciandole uno sguardo scettico.
- Forse dovresti aspettare ancora un po’ per decidere. Datti ancora una settimana per rifletterci, poi vedrai cosa il cuore ti suggerisce. Non ti dimenticare che stai facendo considerazioni e progetti su un ritardo di tre settimane, non hai alcuna certezza che il capitano sia morto.-
Con un balzo Sylvia scese dal muretto e si sgranchì le gambe addormentate e le braccia indolenzite.
- Una settimana. Poi questo silenzio dovrà trovare una risposta.-
 
Una settimana passò, lenta ed inesorabile. Le ore per Sylvia sembrarono giorni e i giorni mesi interminabili. Di tanto in tanto Albert andava a trovarla chiedendole notizie di James, ma ogni volta tornava alla fattoria Narracott a mani  vuote e sempre più preoccupato dalla possibilità che la ragazza potesse partire per l’Europa.
- Ho visto Albert Narracott oggi.-
Sylvia alzò lo sguardo dal recinto dei maiali e si affrettò a raggiungere il padre lanciando un ultimo pugno di mandorle agli animali.
- Mi ha detto della tua intenzione di partire per l’Europa.-
La ragazza serrò i pugni e si morse il labbro maledicendo Albert e la sua lingua lunga.
- Non ricevo notizie di James da settimane e ho deciso di andarlo a cercare di persona.-
L’uomo guardò serio la figlia incrociando le mani sul petto e la squadrò attentamente assumendo un’espressione corrucciata.
- Tu non ti muoverai da qui. James è un soldato, il campo di battaglia è il suo habitat mentre il tuo, signorina, è qui: a casa con me, tua madre e tua sorella.-
- Vuoi forse impedirmi di andare a cercare il mio fidanzato?-
- Mi stai forse sfidando?-
Padre e figlia si guardarono a lungo negli occhi impegnati in un duello non verbale a cui erano abituati e dall’esito già scritto. L’uomo guardò la ragazza torvo maledicendo il cielo per avergli dato una figlia cocciuta come e più di lui.
- Tu non ti muoverai da qui, a costo di chiuderti in camera tua a chiave riducendoti ad una prigioniera in casa tua. Mi sono spiegato?-
La giovane guardò risentita il padre e lanciò con rabbia il secchio con le carrube in mezzo ai maiali che fuggirono per il recinto grugnendo terrorizzati.
Se fosse stata una ragazza saggia, o per lo meno furba, Sylvia si sarebbe arresa al divieto del padre e si sarebbe limitata, come le altre ragazze del paese a recarsi in chiesa più spesso e a pregare Dio di risparmiare la vita di James. Ma Sylvia non era come le altre ragazze, non lo era mai stata. Le figlie del villaggio erano tutte carine e camminavano per le strade sfiorando i marciapiedi con la delicatezza delle ballerine, i loro vestiti erano sempre lindi ed ordinati e al loro passaggio si respiravano essenze delicate come la lavanda, il gelsomino e i gigli. Al contrario Sylvia aveva i lineamenti duri del padre e la sua falcata era ampia e sostenuta, più simile a quella di un soldato che di una principessa, i suoi abiti erano sempre sporchi di fango per il troppo lavoro al fianco del padre e quando le si passava accanto si veniva investiti dall’odore selvatico e di erba tagliata di cui erano impregnati i suoi vestiti. Le altre ragazze inoltre erano educate e figlie elette a modello di garbo e obbedienza. Sylvia al contrario era selvaggia e dai modi alle volte anche rozzi e, cosa più importante, quando si metteva in testa una cosa non c’era verso di fargli cambiare idea, la sua determinazione era forte quanto un torrente di montagna e per quanto si cercasse di arginare il suo spirito questo trovava comunque il modo di aggirare l’ostacolo e di raggiungere il mare.
- Ai suoi ordini,- la ragazza filò accanto al padre scimmiottando un saluto militare e portandosi la mano alla visiera di un berretto immaginario – signore.-
 
Albert si alzò e barcollando si avvicinò alla finestra, gli infissi di legno cigolarono appena manifestando il loro disappunto nell’essere aperti nel cuore della notte.
Con occhi stanchi il giovane scrutò il campo di erbacce che si estendeva sotto la sua camera e tra il verde bottiglia del prato i suoi occhi si incontrarono con quelli di Sylvia.
La ragazza era in piedi accanto a Star e sopra la giacca da lavoro del padre portava un grosso zaino in cui aveva gettato alla rinfusa panni e tutto quello che pensava potesse esserle utile nel viaggio che stava per fare.
Prendendosi il volto tra le mani il giovane si affacciò alla finestra e si stropicciò vigorosamente gli occhi nella speranza che la ragazza sparisse dalla sua vista rivelandosi solamente un brutto scherzo della sua mente assonnata.
- Fammi indovinare.- Albert si coprì la bocca con una mano soffocando uno sbadiglio – Tuo padre non ha preso bene la tua idea di arruolarti.-
- Astuto come una volpe, complimenti.-
Il giovane si passò una mano tra i capelli rassegnato alla richiesta che da lì a poco sarebbe arrivata.
- Non immagini cosa io ti stia per chiedere?-
- Ho diciassette anni e il capitano Nicholls ha detto che sono troppo giovane per arruolarmi, quindi mi dispiace ma non affronterò un lungo viaggio solo per sentirmi dire che sono ancora un bambino e che il mio posto è dietro le sottane di mia madre.-
- Accompagnami a Londra. Se partiamo adesso dovremmo arrivare in mattinata e, a Dio piacendo, dopodomani sarò in partenza per la Francia mentre tu sarai di nuovo a casa sano e salvo.-
- Ti sei bevuta il cervello?- Il ragazzo si guardò allarmato in torno temendo di aver svegliato i suoi genitori con le sue grida – Non ti muovere! Scendo subito.-
In meno di un secondo Albert raggiunse la ragazza nel campo e per prima cosa allungò un pezzo di mela a Star per premiarla della pazienza che dimostrava con una simile padrona.
- Tuo padre ti verrà a cercare a Londra, sarà la prima cosa che farà non appena si accorgerà della tua scomparsa, anzi, prima ucciderà me per averti accompagnata, poi attraverserà la Manica e verrà in Francia a ripescare te.-
- Mio padre non mi seguirà a Londra, la nostra mucca sta per partorire e nel caso in cui il vitello dovesse nascere la sua presenza sarebbe più necessaria qui che non alle mia calcagna. Quanto a te non ti devi preoccupare, i nostri vecchi si conoscono e dubito che tuo padre gli permetterà facilmente di tirarti il collo come si fa con un galletto.-
Albert guardò scettico la ragazza per niente convinto dalla sua parlantina e dalla sua sicurezza.
- Immagino io non abbia altra scelta se non accompagnarti, giusto?-
Sylvia gli sorrise e gli fece l’occhiolino montando in sella a Star.
- Prendo un paio di cose, aspettami.-
Il giovane sparì in casa e ritornò pochi minuti dopo portando con sé una piccola borsa e una giacca senza incrostazioni di terra o grasso di animale. Con sicurezza il ragazzo si avvicinò alla cavalla prendendone le redini e aspettò che Sylvia gli facesse spazio sulla sella permettendogli di guidare l’animale.
- Cosa stai aspettando?-
- Che tu mi faccia salire, mi pare ovvio.- il ragazzo guardò timido la giovane che lo guardò incredula.
- Non crederai mica che ti faccia tenere Star? Monta dietro, avrai tempo al ritorno per divertiti con lei.-
Contrariato il giovane si arrampicò sulla sella e non appena si fu accomodato dietro a Sylvia la ragazza spronò la cavalla che partì allegra al galoppo.

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Capitolo 5
*** 6. Troppo tardi ***


6. TROPPO TARDI

- Buon giorno a tutti!-
Un uomo avanzò barcollando lungo il campo di insalata in cui i signori Narracot e Albert stavano lavorando. Il signor Narracot salutò con un cenno furtivo del campo il nuovo arrivato mentre la signora gli andò in contro pulendosi le mani sporche di terra nel grembiule logoro e macchiato.
- Ero all'ufficio postale e mentre ero li, la signora Allen ha detto che era arrivato un pacco per Albert, da...- l’uomo tentennò cercando le parole giuste senza tuttavia trovarne – da laggiù ed ho pensato che potevo venire io, in mattinata. Ed ecco qui.-
L’uomo porse ad Albert una busta che la afferrò titubante pulendosi grossolanamente le mani nei calzoni.
- Chi mi manda un pacco da laggiù?-
Il ragazzo rigirò il pacchetto tra le mani incuriosito togliendo lo spago che lo chiudeva.
- Aprilo e lo saprai.-
Albert scartò frettoloso l’involucro e dalla busta giallognola tirò fuori un piccolo quaderno dalla copertina in pelle marrone.
- È un libro di schizzi. È del capitano Nicholls! Guardate! Un ritratto di Joey!-
- Un ritratto di Joey? Questa poi!-
La madre di Albert si era avvicinata ai due uomini e guardava con curiosità agli schizzi del capitano.
- E c’è una lettera!-
Sempre più emozionato il giovane estrasse un piccolo foglio scritto a macchina ed incastrato nella copertina dell’album.
- Allora leggila.-
Albert aprì il foglio e ne osservò per un momento la scrittura a macchina così fredda e diversa da quella usata solitamente dal capitano nelle sue lettere.
- 'Caro Albert Narracott, il capitano Nicholls, morto… - l’entusiasmo del ragazzo si spense di botto e la sua voce cominciò a tentennare mentre leggeva la seconda parte della missiva - … morto oggi in battaglia, ti ha lasciato questo. In fede, sergente Sam Perkins.’-
Il ragazzo alzò incredulo gli occhi dal foglio e guardò con sguardo vuoto un punto davanti a sé cercando di comprendere quello che aveva appena letto.
‘ Morto oggi in battaglia’.
Era morto, James Nicholls non c’era più e ora il suo freddo cadavere riposava da qualche parte in un campo di battaglia a miglia e miglia da casa e da coloro che amava. E Joey?
- Montava Joey quando è morto.- lentamente Albert cominciò a mettere in ordine le idee realizzando tutto ciò che quel messaggio comportava.
- Non sai se era a cavallo.- la madre di Albert gli si avvicinò e gli pose una mano sulla spalla cercando di consolarlo.
- Qui dice: ‘morto oggi in battaglia.’-
Albert si divincolò dalla mano della madre e barcollando andò ad appoggiarsi alla staccionata del campo. Pensieri cupi come il cielo di quel pomeriggio gli attraversavano la mente: James era morto, Joey forse; era tutto così irreale, come in uno di quegli incubi in cui la situazione precipita senza alcuna possibilità di salvezza per il malcapitato di turno.
Albert riprese nuovamente la lettera tra le mani rileggendola un paio di volte, come a voler prendere piena coscienza di ogni singola parola e segnarsela a fuoco nella mente e, per la prima volta, un nuovo nome attraversò i suoi pensieri: Sylvia. Sapeva cosa era successo? Come aveva reagito alla notizia? Forse, la lettera destinata a lei era andata perduta e la ragazza nutriva ancora la speranza di trovare vivo il suo capitano.
Albert si morse il labbro e ancora stordito tornò in casa e si sedette al tavolo della cucina prendendo carta, penna e una busta vuota.
Davanti al foglio bianco il giovane esitò a lungo e prima di appoggiare la penna sulla carta si alzò a prendere altri fogli rassegnato all’idea che avrebbe cominciato e gettato decine di lettere prima di trovare le parole giuste per Sylvia.
Quando finalmente terminò era passata mezzanotte e i suoi occhi bruciavano per la poca luce, la stanchezza e le lacrime. Con gesti stanchi ed assonnati Albert prese tra le mani la lettera e la rilesse ancora una volta alla luce ormai fioca della lampada ad olio.

‘ Cara Sylvia,
spero vivamente che questa mia lettera ti trovi bene e che le cose in Francia stiano, per quanto possa essere possibile, andando bene. Non ho scritto molto in vita mia, ma tra le poche questa è stata sicuramente la più difficile.
Ho ricevuto oggi un pacchetto dalla Francia e al suo interno vi era l’album da disegno del capitano Nicholls e una lettera. Il capitano è stato ucciso in battaglia e il suo corpo giace a nord di Quièvrechain.
Mi dispiace veramente molto doverti dare questa notizia e vorrei esserti vicino in questo momento di dolore. Ti abbraccio e spero di rivederti il più presto possibile.
Albert’


Come scrittore di lettere era veramente penoso, in generale quando si parlava di parole, fossero scritte o meno, non era mai stato bravo. Sconsolato il giovane lanciò un’occhiata all’orologio della cucina valutando la possibilità di scrivere un’altra lettera con la speranza che venisse migliore, ma quando si accorse dell’ora decise di accontentarsi e presa la busta vi fece scivolare all’interno il foglio e la sigillò promettendosi di chiedere alla signora Allen consiglio su come far recapitare una lettera ad un’infermiera volontaria sperduta in Francia.

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Capitolo 6
*** 5. Londra ***


5. LONDRA
 
Due topi di campagna. In mezzo alle persone ben vestite e agli ufficiali che assediavano Londra in quei giorni Sylvia e Albert sembravano due topolini addormentatisi in un fienile e svegliatisi in una metropoli a miglia di distanza dalla loro tana.
Al loro passaggio la gente si scansava guardandoli incuriosita e i bambini cercavano di sfuggire dalle loro madri per andare ad accarezzare Star che ciondolante seguiva i due giovani.
Sia Sylvia che Albert erano stravolti dal lungo viaggio e avanzavano arrancando pagando con l’indolenzimento degli arti la loro cavalcata notturna. Albert non smetteva di massaggiarsi il fondoschiena, mentre Sylvia avanzava impettita cercando di non badare troppo al dolore ed esibendo così una camminata ancora più goffa e sgraziata di quella abituale.
- Siamo arrivati, ora dove andiamo?-
Il giovane si guardò intorno sperando vivamente che la compagna proponesse una sosta in un qualche giardino per riposare un po’.
- Dobbiamo trovare dei soldati, saranno loro ad indicarci la via.-
- Direi che hai l’imbarazzo della scelta.- il giovane allargò le braccia in un gesto che pareva avvolgere tutta la capitale – Per nostra fortuna in questo periodo Londra è presa di mira da parecchi militari. Lì c’è un ufficiale della marina per esempio, chiediamo a lui?-
Albert indicò un uomo a poca distanza da loro che stava parlottando animatamente con un altro ufficiale.
- Non con lui, con l’uomo con cui sta parlando.-
Il giovane guardò un paio di volte la ragazza e l’ufficiale chiedendosi perché Sylvia avesse preferito lui a quello della marina.
- Perché?-
- Perché era presente alla partenza di James e sono sicura che ci potrà aiutare maggiormente.-
Con decisione la ragazza si avvicinò ai due uomini che la osservarono guardinghi prima di togliersi il cappello.
- Buon giorno miei signori.- la giovane abbassò leggermente il capo esibendosi in uno di quei saluti ritenuti così cordiali dai suoi compaesani – Mi chiamo Sylvia Stone e vengo dal Devonshire, ho viaggiato tutta la notte per arruolarmi.-
I due ufficiali si guardarono dubbiosi cercando di capire se la ragazza stesse o meno scherzando.
- Arruolarti? La guerra è un lavoro da uomini, ragazzina. Forse dovresti tornare a casa e dedicarti ad altre occupazioni, sono sicuro che una giovane come te troverà più soddisfazioni con l’ago e il filo che non con il fucile.-
L’ufficiale della marina diede un’amichevole gomitata al compagno accompagnando il tutto con una risata sguaiata.-
- Ago e filo li odio e con il fucile sono brava quanto un ragazzo. Ho ucciso quattro cinghiali l’anno scorso.-
- Tedeschi e cinghiali non sono esattamente la stessa cosa.-
- Però entrambi rovinano i luoghi in cui passano ed uccidono i suoi abitanti, se ne hanno la possibilità.-
- Non sarà brava con ago e filo, ma la ragazza ha una lingua che taglia e cuce, Rob. Forse potrebbe insegnare una cosetta o due ai tuoi ragazzi, la troppa acqua salata gli ha annebbiato il cervello e seccato la lingua.-
L’uomo tese a Sylvia la mano sorridendole divertito.
- Colonnello Gregor Joy, al vostro servizio.-
- Sylvia Stone.-
- Bene signorina Stone,- l’ufficiale si rimise il capello e si aggiustò il cinturone in vita facendo tintinnare allegra la lunga spada che gli pendeva al fianco – purtroppo per lei non abbiamo più cuccette tra quelle dei soldati, ma se le può interessare ci servirebbe una mano all’ospedale. Pensa che la cosa la potrebbe interessare?-
- Sì, certo che sì.-
- Mi dica,- l’ufficiale della marina, che nel frattempo aveva acceso la pipa e cominciato a fumare, si rivolse nuovamente alla ragazza – perché tanta smania di raggiungere la Francia? La guerra è un brutto affare tanto per gli uomini quanto per le donne, perché è così ansiosa di partire?-
Sylvia abbassò imbarazzata lo sguardo cominciando a tormentare una pellicina del pollice fino a farla sanguinare.
- Sto cercando il mio fidanzato, il capitano James Nicholls, no ho sue notizie da un mese.-
- E ha deciso di partire per andarlo a cercare? Non teme quello che potrebbe trovare in Europa?-
Il colonnello la guardò ammirato dal suo coraggio.
- Mi spaventa di più non sapere, questo silenzio è una tortura e lo sarà finché non lo avrò ritrovato.-
Gregor si voltò verso l’ufficiale della marina guardandolo serio.
- Ribadisco, i tuoi ragazzi dovrebbero prendere ripetizioni da questa ragazza su diversi punti.- detto ciò l’uomo si rivolse nuovamente alla ragazza – Mi segua, la porterò dal medico che segue la mia compagnia. Stiamo per raggiungere la 55° e la 40° compagnia in Francia e, a Dio piacendo, domani faremo rotta per il continente e, se il medico la troverà idonea, lei sarà su quella nave.-
 
Albert arrancava dietro a Sylvia tirando Star per le redini, la ragazza procedeva fianco a fianco dell’ufficiale chiedendogli informazioni sulla Francia e sull’andamento della guerra e ascoltava rapita l’uomo ponendogli domande sempre diverse.
Il colonnello Joy portò i due ragazzi al porto e li introdusse in un enorme magazzino dove erano state provvisoriamente accatastate provviste e munizioni.
- Ci siamo.- l’uomo si voltò verso il suo seguito rivolgendosi per la prima volta anche ad Albert – Ti conviene lasciare fuori il tuo cavallo, ragazzo, lì dentro non esiterebbero a saltargli addosso e a ridurlo a bistecche per i volontari.-
Detto ciò il colonnello fece un cenno ad un giovane che accorse solerte per prendere in custodia Star. Riluttante Albert guardò il soldato indeciso a lasciare andare la cavalla, ma uno sguardo di Sylvia bastò a fugare tutti i suoi scrupoli e finalmente passò le redini dell’animale al ragazzo.
- Seguitemi e statemi vicini.-
L’uomo scostò con una spallata poderosa il portone di ferro facendo entrare i due giovani del magazzino più caotico che avessero mai visto: urla di uomini e versi di animali si univano in una cacofonia indistinta, ragazze vestite da infermiere si affaccendavano nell’ordinare scatoloni di medicinali a poca distanza da altri uomini intenti a spingere dei riluttanti capretti in una gabbia, l’aria era pesante e l’odore di disinfettate si mescolava a quello di sudore e alla puzza delle bestie.
Il colonnello avanzò deciso verso un uomo che in mezzo ai mucchi di farmaci coordinava i lavori di smistamento dando ordini alle sue infermiere con l’autorità di un generale.
- Dottor Pound.-
L’uomo si voltò guardando con sorpresa il colonnello.
- Colonnello Joy!- l’uomo si avvicinò e abbracciò l’ufficiale dandogli sonore pacche sulle spalle – Pensavo che i tedeschi l’avessero già fatto prigioniero!-
- Per ora l’unica ad avermi fatto prigioniero è stata mia moglie il giorno in cui mi ha sposato.-
Il colonnello si liberò dall’abbraccio aggiustandosi con un gesto disinvolto l’uniforme verde.
- Questa ragazza- l’ufficiale si voltò verso Sylvia facendole cenno di avvicinarsi – vorrebbe unirsi a noi per la prossima spedizione. Pensa di avere del lavoro per lei?-
Il dottore si avvicinò alla ragazza guardandola attentamente e soffermandosi sui suoi lineamenti sgraziati e sulle mani rovinate. Sylvia lo guardò intimorita studiando l’uomo con diffidenza: era poco più alto di lei e di corporatura esile, i suoi capelli, una volta biondi, erano ora di una bizzarra tonalità di grigio, il volto era gentile e al centro del viso brillavano due attenti occhi verdi che seguivano attentamente i movimenti della giovane.
- Ma certo, c’è sempre bisogno di giovani coraggiose e pronte ad imbarcarsi per nuove esperienze.-
Il dottore le prese le mani e le rigirò un momento tra le sue tastando con delicatezza i piccoli calli e le ferite leggere che la giovane aveva sulle piccole dita e sul dorso delle mani.
- Bene, bene mani piccole, dita corte ma immagino rapide.- l’uomo le controllò un taglio fresco all’altezza del pollice.
- La posso affidare a te, dunque?-
Il colonnello si intromise nella conversazione guardando apprensivo la giovane e l’uomo.
- Non ti preoccupare, la tua amica è in buone mani.- il medico appoggiò una mano sulla spalla della ragazza e indicò Albert che era rimasto per tutto il tempo in silenzio – Va pure a presentare ai tuoi ragazzi il loro nuovo commilitone e assicurati che stasera mangi un po’ di proteine, sul campo di battaglia gli svenimenti di un anemico sono l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.-
Il colonnello si voltò verso il giovane guardandolo sorpreso quasi si fosse dimenticato della sua presenza.
- Io non sono qui per arruolarmi, signore.- Albert si irrigidì cercando di sfuggire agli occhi dei due uomini- Ho solo accompagnato lei.-
- Una ragazza parte per una terra in guerra, mentre un giovane robusto come te resta a casa?- il dottore Pound scoppiò in una sonora risata – Mi dica lei, colonnello, se questo vecchio mondo non sta andando sempre più alla deriva!-
Albert abbassò umiliato lo sguardo cominciando a grattare il terreno con le scarpe e stringendosi in tasca i grossi pungi.
- Non ha ancora l’età per arruolarsi.-
I due uomini si voltarono nuovamente verso Sylvia che li guardava seria con le braccia incrociate sul petto.
- Ed è una fortuna che non sia un tedesco, l’ho visto sollevare sacchi di farina molto pesanti e scaraventarli a metri di distanza come se fossero cassette di legno vuote.-
Ovviamente la ragazza non aveva mai visto fare niente di tutto questo ad Albert, ma, considerando la sua corporatura robusta e le sue spalle ben piazzate, il giovane doveva essere tutto fuorché debole. Al sentire la voce della ragazza, il giovane alzò nuovamente lo sguardo e guardò con gratitudine l’amica cercando di assumere una postura il più impettita possibile.
- Non volevamo mancare di rispetto a nessuno.-
Il colonnello alzò le mani in segno di resa scambiandosi uno sguardo di intesa con il medico che lo osservava divertito ridendo di sottecchi.
- Questa ragazza ha più carattere di molti dei nostri ragazzotti.-
- È quello che dicevo prima al tenente Steven.- Gregor lanciò un’occhiata bieca alla ragazza facendole intendere di non aver affatto apprezzato la sua loquacità – Spero solo non ti dia filo da torcere.-
- Non ti preoccupare, a differenza tua io so come trattare con le donne e poi mi piace avere qualcuno con cui scambiare frecciatine, rende tutto più, … piccante.-
L’uomo guardò scettico il medico e si aggiustò l’uniforme.
- Bene, le nostre strade si dividono qui, signorina Stone.- l’ufficiale prese la mano della ragazza e gliela baciò inchinandosi in un gesto di riverenza – Che Dio benedica il vostro viaggio e la vostra ricerca.-
- Che Dio benedica anche voi, colonnello Joy.-
L’uomo scattò sull’attenti e dopo essersi congedato sparì alla vista di Sylvia sparendo rapido tra le ombre e le uniformi del magazzino.
- Molto bene!- il dottor Pound si strofinò soddisfatto le mani – Andiamo allora, il tempo stringe e ci sono molte cose da preparare.-
- Ho un momento per salutare il mio amico?-
Il medico annuì e si voltò verso alcune infermiere mentre Sylvia scortò Albert verso l’uscita. Fuori del magazzino i due giovani si abbracciarono e il ragazzo sommerse l’amica di consigli e raccomandazioni.
- Abbi cura di te, e fa attenzione.-  Albert strinse ancora la giovane annusando il suo odore di erba tagliata – Spero davvero tu possa ritrovare il capitano.-
- Grazie.-
Sylvia si liberò dall’abbracciò e salutò con uno zuccherino Star. Angosciata la ragazza osservò l’amico e la sua cavalla sparire tra la folla e nel suo cuore si fecero lentamente largo gli stessi sentimenti che l’avevano presa alla partenza di James, solo che quella volta era lei a partire per la guerra e solo Dio sapeva a cosa stesse andando incontro e se mai avrebbe fatto ritorno.

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Capitolo 7
*** 7. Il continente ***


7. IL CONTINENTE          
 
Per le prime settimane Sylvia stazionò in un ospedale allestito a poche miglia di distanza da Le Havre dove venne affidata ad un’infermiera di quaranta anni di nome Ursula perché le insegnasse i rudimenti del primo soccorso. Fin dall’inizio la ragazza si dimostrò svelta nell’imparare e volenterosa compiacendo sia la sua insegnate che il dottore Pound che, malgrado il tanto lavoro, non la perdeva mai di vista e non smetteva di chiedere ad Ursula dei suoi miglioramenti. Durante il suo soggiorno a Le Havre Sylvia entrò in contatto con uomini dalla carnagione e la lingua diverse. Gli indiani con i loro turbanti di seta che sembravano essere usciti da un romanzo di Kipling e che la guardavano incuriositi ogni volta che gli si avvicinava senza tuttavia provare a toccarla o a mancarle di rispetto. I francesi dai modi raffinati e dall’accento ancor più ricercato e infine gli inglesi e gli americani che, in virtù della loro lingua comune, si prendevano qualche libertà ritrovandosi, quando le loro attenzioni venivano rivolte verso Sylvia, a massaggiarsi dolorante i polsi storti con fermezza dalla ragazza.
Nel giro di poco Sylvia aveva imparato alla perfezione a medicare le ferite, a cambiare le medicazioni e a fare iniezioni e, poiché i suoi progressi non si arrestavano, il dottor Pound decise di portarla con sé verso il fronte dove ci sarebbe stato maggiormente bisogno di aiuto.
- Domani partiremo per il fronte.- Il dottor Pound alzò gli occhi da alcuni referti massaggiandosi assonnato le tempie – La cosa ti spaventa?-
- No.- Sylvia si portò alle labbra la tazza fumante di tè e bevve un altro sorso lasciando che la bevanda le riscaldasse lo stomaco.
- Devo avvisarti, Sylvia, più andremo ad ovest più aumenteranno i pericoli e gli orrori di cui sarai testimone. Per ora il peggio che puoi aver visto sarà stato una scheggia di legno o di metallo nel corpo di un uomo, ma ti posso assicurare che da qui in poi le cose possono solamente peggiorare.-
La ragazza si alzò e prese a consultare alcune carte cercando di non prestare troppa attenzione alle parole del medico. Sapeva a cosa stava andando in contro così come sapeva che la strada per ritrovare James passava inevitabilmente attraverso i campi di battaglia, i morti e le mitragliatrici tedesche.
- Va a riposare ora.- L’uomo si tolse gli occhiali da lettura e si stropicciò gli occhi assonnati e imploranti di sonno – E saluta Ursula.-
- Non viene con noi?- Sylvia si voltò verso l’uomo delusa dalla notizia di dover abbandonare l’unica donna con cui aveva stretto amicizia dal suo arrivo in Francia.
- No, serve qui per insegnare alle nuove volontarie.- il medico si avvicinò e appoggiò una mano sulla spalla della giovane lanciandole un’occhiata significativa – Ascoltami attentamente, figlia mia, d’ora in avanti non ti affezionare più a nessuno, né ai soldati né alle infermiere. Siamo in guerra e chiunque può essere ucciso. Chiunque.-
L’uomo diede una leggera pacca alla ragazza e si allontanò ciondolante verso la sua cuccetta lasciando la giovane sola con quelle parole che le rimbombavano nella testa.
Chiunque poteva essere ucciso, anche lei se non fosse stata attenta o sei i proiettili del nemico fossero stati più veloci e più precisi.
 
- Ursula.-
La donna si voltò alzando lo sguardo dal piccolo diario che stava aggiornando.
- Sylvia! Che piacere vederti!-
La ragazza le porse alcuni fiori selvatici che aveva trovato nel campo che subito la donna sistemò in un bicchiere prima di sedersi accanto alla giovane.
- Domani parto, vado ad ovest con il dottor Pound.-
Ursula le sorrise malinconica consapevole di cosa volessero dire quelle parole e di cosa avrebbe dovuto dire per alleggerire il cuore della ragazza.
- Andrà tutto bene, vedrai. Le guerre non durano per sempre e vedrai che quando questa sarà finita ti ritroverai accanto al tuo capitano a scambiarvi storie di guerra.-
Sylvia le sorrise e cominciò a giocare con la gonna dell’uniforme cercando di aggiustarsela addosso.
- Quante volte hai ripetuto queste parole, Ursula?-
La donna trasse un lungo sospiro e accarezzò il volto della giovane cercando di trattenere le lacrime.
- Tante, forse troppe. Non sei la prima ragazza che vedo partire per il fronte e non sarai nemmeno l’ultima.-
- Devo saperlo, Ursula, per ora quante sono tornate a Le Havre?-
- Una, si chiamava Jane ed è tornata due mesi fa dopo aver prestato servizio al fronte per un mese.-
Una, solo una su più di cinquanta infermiere che erano state affidate a Ursula e ai suoi insegnamenti. Sylvia trasse un profondo respiro cercando di nascondere l’inquietudine che le avevano gettato addosso le parole dell’infermiera.
- Mio Dio, tu stai tremando come una foglia.-
Ursula le appoggiò una mano sulla fronte misurandole la temperatura.
- Sto bene.-
Sylvia si scostò la mano della donna dalla fronte e si alzò cominciando a misurare a lunghi passi la tenda in cui dormiva Ursula.
- Sicura di stare bene?-
La ragazza arrestò il suo andirivieni e guardò preoccupata la compagna.
- No, non sto bene. Ma immagino che giunti a questo punto si possa fare ben poco.-
- Ascoltami,- Ursula scattò in piedi e afferrò Sylvia per le braccia – sei ancora in tempo per tornare indietro. Sei non sei una coraggiosa, non cercare di esserlo. Al fronte ti troverai davanti a cose che nemmeno nei tuoi incubi peggiori hai mai immaginato e il dottor Pound non potrà stare dietro ai pianti di una bambina che vuole giocare a fare l’eroina. Se non sei convinta, se non sei più che certa di volerlo fare fa un favore a tutti e tornate alla tua fattoria.-
Sylvia si specchiò negli occhi neri della donna che la guardavano con fermezza scavando nel suo nodo di paure e preoccupazioni. Lei non era un’eroina, ma la figlia di un veterinario improvvisato. Non aveva coraggio, ma pazzia e determinazione sufficienti a sopperire alla sua mancanza di eroismo.
Con un movimento brusco la ragazza si liberò dalla presa di Ursula e i suoi occhi verdi guardarono la donna con orgoglio e fermezza.
- Codardo non è chi ha paura, ma chi si rifiuta di affrontare i propri demoni. Temo quello a cui sto andando in contro, l’ignoto e quello che potrei trovare al termine del mio viaggio. Tutto questo è troppo grande per me e la cosa mi spaventa, ma sai cosa ti dico? Non mi importa, forse sarà la mia incoscienza a parlare, ma non mi interessa. Sono scappata di casa per ritrovare James e, cascassero il cielo e le stelle, lo ritroverò.-
Ursula sorrise alla ragazza e la abbracciò accarezzandole i lunghi capelli castani. Le due infermiere rimasero così per alcuni istanti rincorrendo ognuna i propri pensieri e pregando l’una per l’altra. Alla fine Ursula sciolse quell’abbraccio e prima di congedare Sylvia le prese il capo tra le mani e le baciò la fronte con fare materno.
- Che Dio ti benedica, Sylvia Stone.-

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Capitolo 8
*** 8. Il fronte ***


8. IL FRONTE     
 
Una raffica di spari attraversò senza alcun preavviso il silenzio della notte gettando nello scompiglio l’accampamento inglese. Sylvia saltò a sedere sulla sua branda e si portò le ginocchia al petto rimanendo immobile nella sua tenda aspettando che il trambusto passasse. Il cuore le batteva impazzito nel petto e i suoi occhi seguivano spaventati le ombre che si disegnavano sulla cerata.
Tra le sagome dei soldati la ragazza ne distinse una che, a gran carriera, puntava verso il suo rifugio.
- Vieni! C’è bisogno di te.-
Una donna entrò nella tenda e guardò seria la ragazza pestando i piedi per l’impazienza.
- Allora? Mi hai sentito?-
Obbediente Sylvia infilò le scarpe e si gettò un maglioncino sulle spalle per difendersi dal freddo della notte e si mise al rimorchio della donna seguendola attraverso le tende e i fuochi fino ad un padiglione più grande in cui era stato collocato l’ospedale.
Prima di entrare nel tendone la ragazza si fermò cercando di farsi forza per affrontare quello che la attendeva oltre la cortina con la croce rossa dipinta sopra. Come sempre al suo ingresso venne investita da le urla strazianti dei feriti e dalla puzza di urine, cancrene e pus che permeava il luogo attaccandosi ai suoi vestiti.
- Cora! Cora, da questa parte!-
La donna deviò e si diresse a passo svelto verso il dottor Pound senza assicurarsi che Sylvia la seguisse o meno.
Cautamente la ragazza si affiancò al medico e all’infermiera e sbirciò da sopra la spalla della donna il ferito su cui il dottor Pound si stava preparando ad operare.
Su una barella giaceva cosciente un ragazzo di appena diciannove anni che osservava terrorizzato l’armeggiare dei medici e degli infermieri intorno al suo capezzale: il suo volto era sporco di terra e tra il fango e il sangue brillavano attenti due grandi occhi azzurri, anche l’uniforme era macchiata di sangue e sporgendosi un po’ Sylvia vide che la mano destra del ragazzo era stata completamente distrutta da un proiettile senza alcuna possibilità di recupero.
- Che cosa è successo?-
Il dottor Pound cominciò ad interrogare i due soldati che avevano portato il loro compagno all’ospedale mentre con delicatezza somministrò al malcapitato una dose di antidolorifico.
- Un cecchino tedesco.-
Il medico girò intorno alla barella ed ispezionò accuratamente l’arto valutando l’entità del danno e le possibilità che gli si presentavano.
- Cora. Laccio emostatico, sega e altro antidolorifico.-
Subito la donna andò alla ricerca degli oggetti richiesti dal dottore lasciando Sylvia sola con il ragazzo e il medico.
- Sylvia,- l’uomo si rivolse alla ragazza che si avvicinò timidamente cercando di nascondere l’orrore per la ferita del giovane – ci sono altri pazienti che hanno bisogno di me, tu resta con Cora e aiutala ad amputare la mano di questo ragazzo.-
A quelle parole il giovane fu percorso da un sussulto e i suoi occhi si posarono rapidi ed atterriti sul dottore cominciando ad implorarlo.
- Per favore no! La mano no! Mi serve!-
- Mi dispiace figliolo, stai perdendo troppo sangue e se continua così morirai dissanguato prima del sorgere del sole.- il medico accarezzò la fronte del soldato cercando di calmarlo e fece cenno ad altri due uomini di avvicinarsi e di sedarlo.
- Per favore no!-
Il ragazzo cominciò a divincolarsi cercando di liberarsi dalle cinghie che gli infermieri gli avevano stretto intorno al busto e ai quattro arti nel tentativo di immobilizzarlo prima di iniettargli un sonnifero.
Sylvia osservò agghiacciata la scena cercando di trattenere il groviglio di lacrime e paura che le si era formato in gola.
- Ascoltami, Sylvia.- il dottor Pound si rivolse nuovamente a lei riportandola con la testa a quel momento – Cora sa come fare questo genere di operazione, non è la prima volta che deve amputare un arto. Stalle vicina e fa tutto quello che ti viene detto, sono stato chiaro?-
Sylvia annuì e prima che potesse rendersene conto il medico sparì dalla sua vista perdendosi tra i tanti che affollavano l’ospedale.
La ragazza rimase confusa a guardare la folla alla ricerca di un volto amico prima di tornare a fissare il giovane che dormiva accanto a lei, frattanto Cora era tornata alla barella portando con sé gli strumenti necessari per procedere e senza alcuna esitazione cominciò ad armeggiare con il braccio del ragazzo con la stessa non curanza con cui avrebbe trattato un cosciotto d’agnello o un arrosto di tacchino.
Con movimenti rapidi ed esperti strinse il laccio emostatico sopra il gomito del ragazzo e aspettò assicurandosi che il flusso di sangue si indebolisse.
- Prendi.- Cora porse alla ragazza una ciotola di metallo – mettiti al mio fianco e posizionati sotto la mano del ragazzo.-
Sylvia obbedì e scivolò al fianco dell’infermiera distogliendo lo sguardo e cercando di non prestare troppo attenzione ai rumori che provenivano dalla barella.
Inizialmente la ragazza udì solamente il cozzare di oggetti metallici e le sommesse bestemmie della donna, poi, dapprima debole e poi sempre più concitato, cominciò a sentire il ronzare della sega con cui Cora stava tagliando l’osso del povero ragazzo.
Sylvia si morse il labbro cercando di ignorare lo stridere della lama che si faceva sempre più rapido come se il sangue avesse risvegliato una sete primitiva e animalesca.
La ragazza strinse ancora i denti e cercò di distrarsi cominciando a cantare tra sé e sé una canzone che gli aveva insegnato il padre per allontanare i mostri dei brutti sogni. Forse quello era veramente un brutto sogno, un incubo da cui presto si sarebbe svegliata e di cui avrebbe riso a colazione raccontandolo al padre e poi a James durante una delle loro passeggiate per i campi del Devonshire.
Un tonfo sordo fece ritornare la ragazza nell’ospedale e ritraendo la ciotola la giovane vide la mano amputata purulenta e sanguinante.
Sylvia rimase qualche momento ad osservare agghiacciata il moncone indecisa se lasciare cadere la ciotola e scappare o mettersi ad urlare.
- Cosa stai aspettando?- Cora la guardò accigliata e le diede una spinta facendola barcollare appena.
- Cosa,… cosa ci devo fare?- Sylvia alzò lo sguardo sulla donna e la guardò con occhi vuoti e privi di emozioni.
- Portala nel bosco e gettala tra i cespugli, magari una volpe o un tasso gradiranno il pensiero.-
Cora si voltò e si chinò nuovamente sul ragazzo per terminare l’intervento voltando definitivamente le spalle alla ragazza.
Sylvia fissò ancora un momento la mano nella ciotola e senza farselo ripetere due volte uscì correndo dall’ospedale puntando con decisione verso il bosco e tenendosi il recipiente stretto contro il petto non curandosi del sangue che le macchiava l’uniforme candida.
Raggiunti i primi alberi la giovane avanzò ancora per una decina di minuti decisa a lasciarsi per qualche istante gli orrori del campo alle spalle, senza badare alla direzione corse fino a raggiungere una piccola radura appena illuminata dalla luna.
Sylvia appoggiò la ciotola sul manto erboso e cominciò a piangere dando sfogo alla paura e alla tristezza che le avevano serrato il cuore da quando era arrivata all’accampamento.
Quando finalmente riuscì a calmarsi prese tra le mani il moncone e lo osservò indecisa su dove abbandonarlo. Gli occhi disperati del ragazzo tornarono per un momento a guardarla e senza ulteriori indugi la ragazza cominciò a scavare a mani nude nella terra creando una fossa profonda una ventina di centimetri dentro cui nascose la mano. Era solo un pezzo di carne, questo lo sapeva bene, ma per quanto tale non le sembrava decoroso abbandonarlo alla mercé delle bestie selvatiche come un avanzo qualsiasi. Prima di lasciare la radura la ragazza andò ai piedi di un albero e raccolse alcuni fiori bianchi che adagiò su quella specie di tomba. Era stupido, lo sapeva benissimo e molto probabilmente se qualcuno l’avesse vista avrebbe riso del suo sentimentalismo, ma questo non le importava. Sapeva che la guerra era capace di trasformare anche gli uomini più onorevoli in animali e guardando il cinismo con cui Cora aveva trattato il povero ragazzo monco non le riusciva poi così difficile crederlo.
L’umanità era l’unica cosa che le rimaneva e per questo anche la più preziosa. Con il tempo avrebbe dimenticato il sole del Devonshire, la voce dei suoi genitori e tutto quello che fin dalla giovinezza aveva chiamato ‘casa’, ma l’umanità, l’amore e la gentilezza non le sarebbero mai state strappate.

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Capitolo 9
*** 9. Il raid ***


9. IL RAID
 
 Sylvia scostò appena la cerata scivolando nella tenda del dottor Pound.
- Voleva vedermi, dottore?-
La ragazza si avvicinò cauta alla scrivania del medico che le lanciò un’occhiata rapida prima di rivolgersi nuovamente all’uomo che era nella tenda con lui.
- Sì, cara.- il medico si alzò e accompagnò la giovane al tavolo – Questo ragazzo ha qualcosa per te.-
Il soldato si voltò verso la ragazza e le allungò una busta grossolanamente chiusa con dello spago.
- L’abbiamo cercata per giorni, signorina Stone.- il militare guardò serio la ragazza mettendola fortemente a disagio.
- Abbiamo cambiato due accampamenti nelle ultime due settimane, siamo arrivati a Cambrai solamente pochi giorni fa.- il medico intervenne in soccorso della ragazza che osservava la lettera rigirandosela tra le mani nel tentativo di indovinarne il contenuto.
- Posso andare?-
- Sì, certo.- il dottor Pound la salutò con un sorriso e in un batter di ciglia la ragazza era sparita dalla sua vista.
Sylvia corse veloce attraverso il campo fino a raggiungere il limitare della foresta, quella lettera veniva dall’Inghilterra, veniva da casa sua. Senza rallentare la sua corsa la ragazza cominciò a vagliare i possibili mittenti: suo padre, inviperito per la sua fuga che le mandava la ramanzina con un corriere, un’amica, impossibile visto che non ne aveva e non aveva detto a nessuno delle sue intenzioni, James, tornato prima del previsto e preoccupato per non averla trovata a casa.
La ragazza raggiunse una radura e si sedette su un tronco abbattuto nei pressi di un ruscello. Eccitata rigirò la busta tra le mani assaporando il momento in cui avrebbe letto il misterioso mittente e il messaggio. rapida scartò l’involucro e prese tra le mani i fogli che vi erano stati ordinatamente ripiegati: due disegni di cavalli e una lettera.
La giovane prese tra le mani i due ritratti e li osservò alla luce della luna riconoscendo nei tratti la mano di James. Il ragazzo stava bene, era come aveva detto Albert: finché fossero arrivati disegni voleva dire che James stava bene.
In preda alla gioia Sylvia prese la lettera e cominciò a leggerla certa di ricevere buone notizie, la giovane aprì il foglio e osservò confusa le parole scritte in una calligrafia goffa e nettamente diversa da quella del capitano.

Cara Sylvia,
spero vivamente che questa mia lettera ti trovi bene e che le cose in Francia stiano, per quanto possa essere possibile, andando bene. Non ho scritto molto in vita mia, ma tra le poche questa è stata sicuramente la più difficile.
Ho ricevuto oggi un pacchetto dalla Francia e al suo interno vi era l’album da disegno del capitano Nicholls e una lettera. Il capitano è stato ucciso in battaglia e il suo corpo giace a nord di Quièvrechain.
Mi dispiace veramente molto doverti dare questa notizia e vorrei esserti vicino in questo momento di dolore. Ti abbraccio e spero di rivederti il più presto possibile.
Albert

Il sorriso che fino a pochi istanti prima aveva illuminato il volto della ragazza si spense contorcendosi in una smorfia di dolore ed incredulità.
Sylvia abbassò lentamente il foglio cercando di realizzare quello che aveva appena letto: la testa le cominciò a girare vorticosamente e il sangue sembrò seccarsi nelle vene, anche la bocca divenne arida e il respiro cominciò a farsi affannato come se avesse appena corso da Londra ad Oxford senza un momento di pausa.
‘ Il capitano è stato ucciso in battaglia e il suo corpo giace a nord di Quièvrechain’.
James era morto. Disorientata la giovane si guardò intorno cercando di trovare un senso a quelle parole e di realizzare cosa questo comportasse per lei, tuttavia i pensieri e le lacrime sembravano essersi inceppati e per quanto si sforzasse nella sua mente e nel suo cuore risuonavano solamente quelle parole così irreali.
Scombussolata Sylvia si alzò in piedi e mosse qualche passo incerto verso il campo aggrappandosi ai tronchi ricoperti di muschio degli alberi.
Un rumore improvviso la costrinse a fermarsi e a voltarsi verso la radura che aveva appena lasciato. Tutto taceva e il silenzio della notte era disturbato solamente dallo scroscio delle acque del ruscello e dai richiami di alcuni animali notturni. Rassicurata la ragazza riprese il cammino ma ecco che un’ombra le si parò davanti e prima che potesse urlare le si gettò addosso tappandole la bocca con la grossa mano.
- Seid leise![1]-
Soldati tedeschi. Sylvia guardò l’uomo senza capire una parola di quello che gli aveva detto. In un gesto disperato la ragazza provò a divincolarsi dalla stretta, ma questo la strine ancora più forte puntandole il pugnale della sua baionetta alla gola.
Altre ombre si avvicinarono alla giovane guardandola con disprezzo.
- Bringsieum![2]-
Uno dei soldati si avvicinò incitando il compagno a tagliare la gola della ragazza.
- Nein, später. Ich will Spaß haben[3].-
Gli uomini si guardarono contrariati lanciando occhiate torve alla giovane che li osservava terrorizzata e silenziosamente presero il sentiero per il campo scivolando tra gli alberi silenziosi come ombre. L’uomo che tratteneva Sylvia rimase indietro guardando i suoi compagni svanire inghiottiti nella foresta.
Quando il drappello fu sparito tra i boschi, l’uomo si rivolse alla ragazza parlandole in un inglese dal marcato accento teutonico.
- Non ti agitare, non voglio farti del male.- l’uomo abbassò il coltello allontanandolo dalla gola della ragazza – Quando l’attacco sarà portato a termine ti lascerò andare, va bene?-
Sylvia annuì, ma non appena sentì la presa farsi più debole infilò i denti nell’incavo tra l’indice e il pollice dell’uomo cominciando a strattonare fino a sentire il sapore del sangue invaderle la bocca. Il soldato lanciò un sordo grugnito e allontanò la ragazza con una spinta guardandosi imbestialito la ferita.
- Du, Hexe![4]-
L’uomo guardò la ragazza con odio e si scagliò nuovamente su di lei cercando di agguantarla deciso a sgozzarla come un maiale. Con un salto la giovane schivò il soldato e senza esitare cominciò a correre in direzione dell’accampamento incurante dei cecchini e dei soldati che si erano acquattati tra le ombre del bosco.
- ALARM! ALARM!-
Alle spalle poteva sentire le urla del soldato e prima che potesse rendersene conto una scarica di proiettili le tagliò il cammino costringendola a deviare bruscamente.
Istintivamente la ragazza si portò le mani alla testa coprendosi le orecchie nel tentativo di attutire le bestemmie dell’uomo e il ronzio degli spari, il cuore batteva rapido quasi volesse uscirle dal petto e correre davanti a lei e il tutto il suo corpo sembrava sul punto di cedere e di accasciarsi a terra come un sacco vuoto.
- ALLARME! ALLARME!-
Uscita dal bosco Sylvia si gettò tra le tende urlando e sbracciandosi nel tentativo di attirare l’attenzione dei militari che la guardavano sconcertati domandandosi da cosa dipendesse tutta quella agitazione.
- I tedeschi sono nel bosco!-
Un soldato si avvicinò alla ragazza sorridendole beffardo.
- Non ci sono tedeschi in questa zona.-
Il ragazzo si voltò verso i compagni scambiando qualche battuta, ma la sua ironia si smorzò quando i primi cavalieri tedeschi uscirono dalla foresta puntando sul campo come un’orda infernale con le spade alzate e pronte a calarsi sugli abitanti del campo.
In preda al panico i soldati cominciarono a correre da una parte all’altra dell’accampamento alla ricerca delle proprie armi. In breve tra le tende risuonarono ordini, spari e i suoni della battaglia. Terrorizzata Sylvia cominciò a correre cercando di raggiungere un posto sicuro: raggiungere l’ospedale era impensabile, posto al centro del campo era un obbiettivo troppo facile e i tedeschi lo avrebbero raggiunto in pochi minuti; continuando a correre avrebbe raggiunto nuovamente il bosco, ma sentiva di non poter chiedere al suo corpo uno sforzo simile. Voltandosi la ragazza vide i cavalieri teutonici avvicinarsi e senza esitare scivolò sotto una vettura parcheggiata a pochi metri da lei e si accoccolò sotto il telaio della macchina portandosi le ginocchia al petto nel tentativo di difendersi dall’orrore che si stava scatenando a pochi metri da lei.
Alcuni cavalli passarono lanciati al galoppo accanto alla vettura e sotto i loro zoccoli il terreno tremò come scosso da un sisma, Sylvia si rannicchiò ancora di più e si tappò le orecchie con le mani isolandosi così in una bolla dai contorni invisibili dentro il quale i rumori erano solo echi ovattati e distanti.
Per il resto della nottata Sylvia rimase sveglia ad osservare prima i cavalli e poi gli uomini sfilare attraverso i resti dell’accampamento alla ricerca di feriti e di qualcosa che potesse tornare utile, di tanto in tanto nell’aria risuonavano grida ed ordini a cui talvolta si univa il suono di uno sparo o il nitrire spaventato di un cavallo.
Alcuni soldati si avvicinarono alla macchina sotto cui era nascosta Sylvia e con movimenti rapidi e precisi ne asportarono il motore e alcuni componenti, mentre i due uomini armeggiavano intorno al cofano, la ragazza rimase immobile nel suo nascondiglio trattenendo il fiato portandosi le mani alla bocca per evitare che il minimo suono potesse tradirla.
Le operazioni di recupero e di perlustrazione durarono per tutta la mattina e, quando i tedeschi abbandonarono il campo, la giovane attese ancora un’ora prima di sgattaiolare timidamente fuori dalla sua tana.
In piedi in mezzo alla devastazione Sylvia si guardò intorno cercando invano di riconoscere qualche cosa in quel marasma di fuochi, tende strappate e cadaveri. Incerta mosse alcuni passi verso il luogo in cui si ergeva l’ospedale e i suoi arti indolenziti gemettero non appena posò un passo sul terreno fangoso ed intriso di sangue. Claudicante la ragazza raggiunse il padiglione ospedaliero che era stato parzialmente risparmiato: il coro di urla e di ordini era sparito sostituito dal silenzio della morte, nell’aria, una volta intrisa dell’odore delle medicazioni, aleggiava come una coltre invisibile l’odore acre della decomposizione e del proliferare delle infezioni, a terra i feriti giacevano morti e i loro corpi piagati si intrecciavano con quelli delle infermiere e dei medici che non erano riusciti a scappare dalla furia tedesca, tra le donne che giacevano a terra Sylvia riconobbe Cora che era morta per colpa di un proiettile piantatosele in piena fronte e, avanzando ancora in quella fossa comune, la ragazza vide anche il dottor Pound riverso in una pozza di melma rossastra.
A passi svelti la ragazza guadagnò l’uscita dalla tenda gettando occhiate furtive intorno alla ricerca di qualcosa che fosse sfuggito ai tedeschi.
Uscita nuovamente all’aperto la giovane venne percorsa da un brivido e, toccandosi l’uniforme da infermiera, la ragazza si accorse di avere i vestiti bagnati e sporchi di fango.
Con cautela Sylvia cominciò ad ispezionare alcune tende rimaste miracolosamente in piedi e frugando tra le cuccette e gli zaini abbandonati riuscì a rimediare tre camice, altrettanti pantaloni, qualche paia di calzini e diversi completo da cucito. Senza pensarci due volte la giovane scivolò fuori dei suoi abiti infilandosi nella camicia verde militare e nei pantaloni abbandonando l’uniforme nel fango. Trovare un paio di scarpe fu più arduo, ma dopo essersi guardata un po’ intorno la ragazza vide il cadavere di un soldato tedesco di corporatura gracilina e alto più o meno quanto lei, con prudenza Sylvia si avvicinò al soldato e, dopo essersi assicurata che fosse morto, calcolò rapidamente il suo numero di scarpe appoggiando una delle sue scarpette contro il grosso stivale del giovane. Le due calzature erano più o meno simili, ma, sapendo di non potersi aspettare di meglio, la ragazza sfilò gli stivali al militare infilandoseli senza tanti complimenti ai piedi avvolti nei calzettoni di lana.
Finalmente dentro abiti asciutti la ragazza si fermò a fare il punto della situazione: era sola, indifesa e senza più nessuno su cui contare, James era morto e con lui erano sfumate le motivazioni che la costringevano a restare in Francia. Al pensiero della morte del fidanzato il cuore della ragazza si strinse in una morsa e, mentre la disperazione faceva lentamente capolino tra i suoi pensieri, un barlume di speranza si ostinava ad ardere suggerendole che James non era morto, ma solamente disperso.
Sylvia mandò giù il nodo che le serrava la gola e si guardò intorno indecisa sul da farsi: era arrivata lontano, più di quanto avesse mai pensato o sperato, per non parlare del fatto che era sopravvissuta ad un raid tedesco in cui avevano perso la vita tutti gli uomini del campo. Tornare indietro a quel punto avrebbe avuto il sapore acre della sconfitta.
Sei non sei una coraggiosa, non cercare di esserlo. Se non sei convinta, se non sei più che certa di volerlo fare fa un favore a tutti e tornate alla tua fattoria.
Le parole di Ursula tornarono nella sua mente severe come un monito e dolci come un consiglio fraterno. Non era coraggiosa, ma lo sarebbe stata se si fosse reso necessario, lo avrebbe fatto per James, perché anche da morto potesse essere fiero di lei. Non era convinta, ma determinata a trovare il fidanzato anche se ridotto ad un freddo cadavere che non le avrebbe parlato o sorriso mai più.
Con decisione la ragazza tornò in una delle tende e prese uno zaino controllando attentamente il contenuto: una padella, qualche pezzo di carne e frutta secca, berretto, pugnale, proiettili, fiammiferi ed una borraccia piena. Soddisfatta di quel bottino la giovane cominciò ad ispezionare il campo alla ricerca di altri zaini dimenticati dai tedeschi e, alla fine della perlustrazione, aveva racimolato razioni di carne e frutta per una settimana, diverse confezioni di fiammiferi e acqua per una settimana circa. Con ordine Sylvia organizzò lo zaino svuotandolo del suo contenuto e riorganizzandolo in modo da poter trovare quello che le serviva senza doversi togliere lo zaino di dosso: sul fondo posizionò gli abiti che aveva trovato e ai lati delle due divise incastrò le borracce e i contenitori di carne e frutta, infine in una tasca dei pantaloni nascose una confezione di fiammiferi, mentre le altre le chiuse in una tasca del suo bagaglio. A passo svelto la ragazza tornò dal cadavere del giovane tedesco e gli sfilò il cinturone incastrando in uno dei foderi appesi alla cinta il pugnale.
Pronta di tutto punto la ragazza si fermò a raccogliere l’uniforme da infermiera e da una tasca tirò fuori la lettera di Albert sporca di terra rileggendola rapida un paio di volte.
‘Il suo corpo giace a nord di Quièvrechain’.
Quièvrechain, era quella la sua destinazione. Dopo un’ultima perlustrazione la ragazza si aggiustò lo zaino sulle spalle e puntò con decisione verso nord.
Sylvia aveva mosso solo pochi passi quando un grugnito sommesso la fece bloccare e guardare intorno allarmata. Istintivamente la ragazza portò la mano al cinturone stringendo le dita intorno al pugnale e a passi felpati si mosse verso il cadavere di un cavallo a pochi metri da lei.
Un nuovo grugnito e sporgendosi un po’ la giovane vide, schiacciato sotto l’animale, un uomo che la guardava terrorizzato e sofferente.


[1] Silenzio!       
[2])Uccidila!
[3])No, dopo. Mi voglio divertire un po’.
[4])Puttana! – il termine ‘Hexe’ significa ‘strega’, ma può essere usato anche con il significato di ‘puttana’.

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Capitolo 10
*** 10. Il soldato tedesco ***


10. IL SOLDATO TEDESCO
 
- Mädchen!- l’uomo allungò una mano verso la ragazza implorandola con lo sguardo – Bitte!-
Sylvia si avvicinò ancora guardando il soldato con diffidenza senza capire le parole disperate che le rivolgeva.
- Non capisco, mi dispiace.-
La ragazza abbassò il coltello e scosse la testa assumendo un’espressione rattristata. Il militare voltò lo sguardo digrignando i denti e cercò di disfarsi del cadavere del cavallo sotto cui era rimasto intrappolato. Capendo le sue intenzioni la ragazza scavalcò la carcassa della bestia e si mise a spingere con tutte le sue forze per liberare l’uomo. Era un nemico, avrebbe dovuto ucciderlo o guardarlo morire con un ghigno stampato sul volto. Erano stati i suoi compagni a mettere a ferro e fuoco il suo campo, erano stati i suoi fratelli ad uccidere James, ed ora lei stava aiutando uno di loro a rimettersi in piedi. La ragazza guardò il militare che la osservava pieno di gratitudine cercando di scivolare sotto il cadavere della bestia.
- Ti aiuto, ma se provi a toccarmi ti ammazzo!-
Sylvia lo guardò serio e si passò il pollice sulla gola mimando uno sgozzamento. L’uomo la guardò e annuì, non aveva capito una parola di quello che la giovane gli aveva detto, ma quel gesto e quegli occhi severi non lasciavano spazio a fraintendimenti.
- Danke.-
La ragazza ignorò le parole del soldato e con un ultimo spintone lo liberò accasciandosi boccheggiante sul posteriore del cavallo.
Lentamente il militare strisciò lontano dall’animale guardando con tristezza il cavallo che si era faticosamente comprato e cominciò a valutare i danni delle proprie ferite. Quando ebbe terminato quest’operazione l’uomo alzò lo sguardo sulla ragazza che lo fissava di rimando con diffidenza.
- Danke.-
- Di niente.-
L’uomo le sorrise e cercò di mettersi in piedi.
- Wie heisst du?-
Sylvia lo guardò senza capire alzando appena un sopracciglio.
- Dein Name?-
Pensando di aver capito la domanda la ragazza si azzardò a rispondere per non fare totalmente la figura della cafona.
- Sylvia Stone.-
L’uomo le si avvicinò tendendole la mano sporca.
- Stephen Voigt.-
La ragazza guardò la mano indecisa se stringerla o meno.
- Ich will nicht, dich zu verletzen.-
La giovane lo guardò scettica scoccandogli uno sguardo glaciale e senza togliergli gli occhi di dosso si alzò andando a recuperare lo zaino.
- Wo gehst du?-
La ragazza si voltò scocciata verso il militare fulminandolo con lo sguardo.
- Ascoltami, non capisco la tua lingua per cui risparmia il fiato. Va bene?-
Il soldato la guardò interdetto e il suo volto assunse un’espressione pensierosa.
- Dove vai?-
Sylvia lo guardò sorpresa e si sedette sul cadavere del cavallo lanciando una borraccia all’uomo.
- Conosci la mia lingua, perché mi hai parlato in tedesco fino ad adesso?-
- Abitudine, ho studiato inglese per diversi anni al ginnasio.-
La ragazza prese il contenitore della carne secca e ne porse un pezzo al soldato che la accettò volentieri.
- Hai detto di chiamarti Stephen.-
- Sì.-
- Quanti anni hai?-
Stephen inghiottì il boccone e si attaccò alla borraccia bevendo avidamente.
- Trentatre. Tu?-
- Ventisei.-
L’uomo si guardò intorno sconcertato dall’orrore e dalla confusione che regnavano nel campo.
- Sei l’unica sopravvissuta?-
La ragazza annuì lanciando un’occhiata triste all’ospedale in cui giaceva il dottor Pound.
- Come hai fatto a sopravvivere?-
- Mi sono nascosta sotto una vettura e ho pregato che a nessuno venisse in mente di controllare sotto di essa.-
- Furba.-
L’uomo cercò di alzarsi ma non appena si fu messo in piedi ricadde gemendo per il dolore e tastandosi la gamba destra poco sotto il ginocchio.
- Cosa succede?-
- La gamba, fa un male atroce.- l’uomo si massaggiò il polpaccio digrignando i denti e soffiando.
- Fammi vedere.- Sylvia si avvicinò – Ti puoi arrotolare i pantaloni?-
Ubbidente Stephen si tirò su la gamba del pantalone fin sopra al ginocchio. La ragazza si avvicinò e cominciò ad osservare l’arto gonfio e coperto di lividi dal ginocchio alla caviglia.
- Il cavallo ti ha spezzato l’osso.- Sylvia si alzò e si diresse verso l’ospedale – Tu non ti muovere.-
Automaticamente la ragazza si ridesse verso l’armadietto in cui venivano tenute le garze e gli antidolorifici, ovviamente i tedeschi avevano fatto razzia di quasi tutti i medicinali, ma cercando tra le barelle e battendo palmo a palmo il tendone la giovane riuscì comunque a trovare quello che le serviva.
Entrando in una delle tende prese i paletti che servivano da sostegno e la cerata e se li mise sotto braccio tornando a passi svelti verso il soldato. Quando fu accanto a Stephen lo fece stendere e gli posizionò due dei bastoni ai lati della gamba fissandoli con la garza e con brandelli della tenda in modo da formare un’ingessatura molto improvvisata che limitasse al minimo i movimenti all’arto.
- Dovrebbe andare, per il momento.- la ragazza guardò con poca convinzione quel rimedio leggendo anche negli occhi dell’uomo scetticismo.
- Grazie.-
Sylvia si sedette a pochi metri da lui e gli porse un altro bastone.
- Questo ti servirà per camminare. Per i primi tempi cerca di stare a riposo e di muoverti il meno possibile.-
L’uomo afferrò il sostegno e si mise in piedi provando la sua nuova fasciatura e prendendo confidenza con quella stampella di fortuna.
- Dove andrai adesso, ragazza?-
La giovane gli mostrò la lettera di Albert.
- Quièvrechain, il mio fidanzato si trova a poca distanza da lì e io lo sto raggiungendo.-
- Quièvrechain.- l’uomo si fermò a riflettere come se dovesse pescare un’informazione dai cassetti della memoria – Una nostra guarnigione era accampata nei pressi di Quièvrechain, poi qualche settimana fa gli inglesi l’hanno attaccata ma da quel che so ai tuoi fratelli è andata piuttosto male.-
Sylvia abbassò triste lo sguardo cominciando a tormentare l’orlo della propria uniforme.
- La tua meta è lontana e il viaggio è pericoloso, il nord è completamente in mano ai tedeschi e tu sei sola.-
- Non ho paura.-
- Non metto in dubbio questo, Liebe, ma del fatto che in guerra gli uomini hanno appetiti pericolosi per una ragazza che viaggia sola e disarmata.-
Sylvia guardò il bosco ripensando all’incontro avuto con il primo tedesco e prendendo in considerazione le parole di Stephen, l’uomo aveva ragione: la notte prima aveva sfiorato la morte e forse qualcosa di ancora peggiore. Per la prima volta si sentì debole ed indifesa, in balia di onde che non poteva controllare e che l’avrebbero sbattuta da una parte all’altra secondo il loro piacimento fino a ridurla ad un sacco pieno di ossa sbriciolate.
- Che cosa posso fare?-
L’uomo guardò la ragazza studiandola attentamente per alcuni istanti.
- Se tu avessi abiti più grandi e potessi camuffare le tue forme passeresti senza problema per un ragazzo dai tratti molto aggraziati.-
Sylvia si guardò imbarazzata e irritata dalle considerazioni dell’uomo.
- Cerca di prendere un cipiglio militare, hai occhi loquaci: fa che siano la tua lingua.- L’uomo si era seduto sulla carcassa di un tavolo tenendo fissi gli occhi sulla ragazza – Quando prima mi hai minacciato non mi è servito conoscere l’inglese per capire che mi avresti ucciso veramente, se avessi fatto un passo falso. Sei inglese, per cui non provare a spacciarti per tedesca, piuttosto resta in silenzio e assumi l’aria più contrita che puoi. Se scoprono che sei inglese ti fucileranno seduta stante.-
Sylvia ascoltava attentamente le parole del soldato chiedendosi il perché di tanta premura e tanti consigli.
- Perché mi aiuti? Siamo nemici.-
- Sarò anche un nemico, ma sono un uomo di onore. Tu mi hai salvato la vita, signorina Stone, il minimo che posso fare è darti qualche consiglio su come affrontare quello che ti attende.- l’uomo impugnò la sua stampella con entrambe le mani e si raddrizzò.
- In questo caso, grazie.-
I due rimasero per qualche momento in silenzio rincorrendo ognuno i propri pensieri.
- Tu invece dove andrai?-
- A est e poi a sud. Ci sono alcune guarnigioni tedesche, conto di unirmi a loro, di ottenere l’esonero e di poter poi far ritorno a casa mia a Bamberg il prima possibile.- l’uomo sorrise al pensiero di casa e dei suoi cari frementi nell’attesa del suo ritorno da eroe della grande guerra.
- Ricordati quello che ti ho detto sulla tua gamba.-
- Penso di poter camminare senza problemi, almeno qualche chilometro al giorno.-
 
Per il resto del pomeriggio Stephen rimase a riposo sotto una delle poche tende ancora intatte mentre Sylvia gironzolava per il campo alla ricerca di oggetti e provviste per l’uomo. Era ormai sera quando la ragazza tornò dal soldato con uno zaino in cui aveva raccolto altra carne secca e un altro paio di borracce e quando mostrò il suo bottino all’uomo un sorriso soddisfatto e vittorioso le illuminò il volto stanco.
Al calare delle tenebre Sylvia si ritirò in una tenda il più lontano possibile da quella di Stephen e con le dita serrate intorno all’impugnatura del coltello si addormentò cadendo in un sonno profondo ed isolandosi per qualche ora in un mondo in cui non esistevano soldati e campi di battaglia, ma solo le verdi colline del Devonshire e l’amore libero come il vento di due giovani.

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Capitolo 11
*** 11. Verso nord ***


11. VERSO NORD
 
Si erano salutati all’alba, velocemente e dopo essersi incamminati nelle rispettive direzioni nessuno dei due si era voltato a guardare l’altro scomparire tra la boscaglia. Era meglio così, se si fossero incontrati nuovamente sarebbe stato da nemici e uno avrebbe dovuto uccidere l’altra in barba alle gentilezze e a quel briciolo di solidarietà e fratellanza che avevano condiviso in quelle ventiquattro ore.
Sylvia puntò con decisione verso nord, rinvigorita dalla nottata di sonno e con lo stomaco pieno di carne e frutta essiccata. Prima di partire la ragazza era andata alla ricerca di altri abiti e aveva cambiato un paio di camice con due di alcune taglie più grandi che la avvolgevano nascondendo le sue curve e conferendole un aspetto sgualcito.
“Se tu avessi abiti più grandi e potessi camuffare le tue forme passeresti senza problema per un ragazzo dai tratti molto aggraziati.”
Accovacciata sul corso di un torrente Sylvia rimirava il proprio riflesso nelle acque del fiumiciattolo chiedendosi se davvero un’uniforme un po’ più grande fosse sufficiente ad ingannare gli occhi dei suoi nemici e a farla passare per un ragazzo.
“Cerca di prendere un cipiglio militare, hai occhi loquaci: fa che siano la tua lingua. Quando prima mi hai minacciato non mi è servito conoscere l’inglese per capire che mi avresti ucciso veramente, se avessi fatto un passo falso.”
Tenendo lo sguardo fisso sul proprio riflesso la giovane cominciò ad increspare la fronte, a aggrottare le sopracciglia e a cimentarsi in tutte le espressioni che il suo volto le permetteva di fare. Si sentiva una stupida, ma quel gioco le dava la possibilità di tirare il fiato prima di riprendere il suo pericoloso viaggio.
Era ormai in cammino da giorni: durante le ore di luce attraversava a passo svelto campi coltivati e foreste tenendosi alla larga dai villaggi e dalle strade principali, al calar della notte cercava un riparo tra gli alberi o sotto qualche ponte e si concedeva qualche ora di sonno, il minimo indispensabile per recuperare le forze.
Ogni tanto il vento le portava i rumori dei combattimenti e allora si svegliava nel cuore della notte e si portava le ginocchia al petto chiudendosi su se stessa come un bocciolo, altre volte invece nel bosco sentiva risuonare urla e ordini in tedesco e allora cominciava a correre il più veloce possibile nella direzione opposta fino a trovare un albero o un nascondiglio in una macchia o in una caverna.
Dopo una settimana di cammino il confine belga era ancora lontano e le scorte di cibo e di acqua dimezzate. Sylvia cominciava ad avvertire la fatica di quella vita da fuggiasca e a desiderare fervidamente le comodità della sua fattoria. A ciò ci aggiungeva il dover fare i conti con il suo essere donna e, se al campo gestire il malessere era relativamente semplice, affrontarlo da sola e in quelle condizioni diventava l’ennesimo fattore di disagio.
Ora, seduta su un materasso improvvisato di paglia e iuta, Sylvia addentava con gusto un pezzo di carne valutando attentamente la situazione e come procedere. Un topolino le sfrecciò davanti fermandosi per un istante a guardarla speranzoso di poter ricevere qualcosa da quella sconosciuta che puzzava di foresta e fango. La ragazza ingoiò il boccone e si distese guardando il soffitto in legno nero del mulino in cui si era rifugiata. Era giunta lì solo qualche giorno prima e, stanca e duramente provata dal viaggio, quella costruzione fatiscente le era sembrata un’ancora di salvezza, con cautela era sgattaiolata fino alla porta e, dopo essersi assicurata che non vi fosse nessuno, era scivolata dentro il mulino arrangiando con la paglia e i sacchi che aveva trovato un giaciglio certamente più confortevole di quelli a cui era abituata.
Il topolino le schizzò nuovamente davanti e questa volta le si avvicinò annusando incuriosito il suo profumo e arricciando il piccolo muso come disgustato dall’odore selvatico della ragazza. Una volta suo padre le aveva detto che, se affamati, i topi erano capaci di accanirsi anche contro l’uomo, questo non era sicuramente un roditore dalle dimensioni significativamente pericolose, ma per stare dalla parte del sicuro Sylvia gli lanciò ugualmente un pezzo di frutta secca sperando che si accontentasse di quel boccone e la lasciasse in pace.
Era notte fonda, dopo una cena frugale Sylvia si era accoccolata sul suo materasso coprendosi con un sacco che profumava di erba appena tagliata. Improvvisamente la porta del mulino si spalancò e il piano inferiore fu animato dal vociare sommesso ed agitato di due giovani.
Sylvia corse a nascondersi dietro alcuni mobili vecchi ed attese che i due nuovi inquilini si facessero avanti, erano affannati e alle loro voci concitate si univa di tanto in tanto lo sbuffare di un due cavalli che grattavano insistenti il terreno.
La ragazza si sporse dal suo nascondiglio ed appoggiò un orecchio sulle assi del pavimento per origliare la loro conversazione. Erano tedeschi e dal loro tono si capiva che dovevano essere in guai molto seri. Di tanto in tanto uno dei due chiamava l’altro che subito correva ad aiutarlo nel sistemare il cavallo o nell’arrangiare un letto su cui stendersi.
Facendo attenzione a non fare rumore la giovane strisciò nuovamente verso il suo pagliericcio e si strinse nella sua coperta tendendo le orecchie al minimo suono, intanto dal locale inferiore giungevano le risate dei due giovani e il loro chiacchierare che durarono finché il sonno non ebbe ragione di loro e si addormentarono.
 
Erano da poco passate le due di notte quando il convoglio tedesco percorse il vialetto che conduceva al mulino, lo scoppio dei motori e il loro sommesso gorgoglio riempirono il silenzio della notte con un ronzio metallico simile ad uno sciame di api inferocite. Sylvia saltò a sedere nel suo letto e rapida corse nuovamente a nascondersi dietro la vecchia credenza rannicchiandosi tra i setacci e gli altri attrezzi accatastati alla rinfusa.
Al piano inferiore i cavalli nitrivano e calpestavano innervositi il terreno mentre i due ragazzi correvano da una parte all’altra cercando di raccogliere il più velocemente possibile le loro cose.
- Gunther! Gunther! Über!-
Uno dei due giovani si arrampicò sulla scala che collegava i due locali seguito a ruota dal fratello. Nella penombra il più giovane urtò contro un mobile su cui erano impilati piatti e pentole che si rovesciarono a terra in uno scroscio metallico.
I due ragazzi si spalleggiarono rimanendo in silenzio a scrutare l’oscurità, mentre, acquattata nel buio, Sylvia li spiava con il cuore in gola certa che il pericolo non fosse ancora passato. Le vetture avevano nel frattempo circondato il mulino e intorno all’edificio echeggiavano minacciose le grida dei soldati tedeschi. I due giovani si schiacciarono maggiormente contro la parete e i loro occhi pieni di paura guardavano la porta aspettando che da un momento all’altro qualcuno entrasse.
Improvvisamente il silenzio tornò ad avvolgere il mulino, i due fratelli si guardarono stupiti indecisi se tirare o meno un sospiro di sollievo ed anche Sylvia sentì il cuore rallentarle nel petto. I due cavalli si erano quietati e salvo il ronzio delle tarme e il cigolio delle travi tutto era piombato nella calma più assoluta.
- Verlassen sie?-
Gunther si rivolse al fratello che continuava a fissare la porta preoccupato.
- Michael?-
Il giovane scosse leggermente il braccio del maggiore che si portò un dito alle labbra intimandogli di tacere. La scala di legno del mulino gemette e pesanti passi risuonarono sui gradini finché un uomo non spalancò la porta.
I due fratelli si guardarono terrorizzati e cercarono di nascondersi tra le luci e le ombre che invadevano la stanza, dal suo nascondiglio Sylvia poteva vederli tentare inutilmente di sfuggire agli occhi dell’uomo mentre, voltando lo sguardo verso l’esterno non poteva vedere i tratti del soldato che era comparso sulla soglia e osservava impettito la scena.
Rassegnati i due ragazzi si mossero verso la porta tenendo le mani leggermente alzate in segno di resa e seguirono obbedienti il militare all’esterno del mulino.
Sylvia rimase appostata dietro la credenza serrando le dita intorno ai ripiani in legno, poteva sentire i due giovani parlare con il soldato e, anche se non capiva una parola di quello che si stavano dicendo, poteva intuire che si trattava di qualcosa di molto grave e che avrebbe avuto conseguenze nefande per i due fratelli.
Gli uomini si allontanarono dal mulino e Sylvia udì le loro voci ancora per qualche minuto prima che il tuono dei fucili mettesse fine alla cosa e il convoglio sparisse con la stessa velocità con cui era giunto.
Il sangue nelle vene di Sylvia si gelò al sentire gli spari e i corpi dei due giovani disertori cadere a terra. tremante la ragazza si portò le mani alle orecchie e si portò le ginocchia al petto nel tentativo di creare una barriera contro i pensieri che la insidiavano come il freddo di quella notte autunnale.
“Sei non sei una coraggiosa, non cercare di esserlo.”
La ragazza si morse il labbro inghiottendo a fatica il nodo che le serrava la gola. Si era cacciata in una guerra e la guerra non guardava in faccia nessuno: uomini, donne, ragazzi, adulti, inglesi e tedeschi- Erano solo pezzi di carne da sfruttare fino alla loro prematura dipartita che sarebbe stata comunicata ai familiari con gli accenti più eroici sottolineando come il loro ragazzo fosse morto valorosamente combattendo per un quadrato di stoffa. Sylvia ripensò all’espressione atterrita dei due ragazzi e al loro tentativo disperato di sottrarsi a quella carneficina per poi trovare ugualmente la morte. Gunther e Michael, il maggiore non doveva ancora avere ventiquattro anni ed ora i loro corpi giacevano da qualche parte abbandonati alla mercé dei lupi in qualche fosso o boschetto. Quel pensiero fece rabbrividire la ragazza che si strinse le mani intorno alle spalle nel tentativo di riscaldarsi. Inutile: dalla porta aperta entrava un vento freddo che si era ormai impadronito della stanza.
Rassegnata all’idea di aver perso il suo giaciglio la ragazza abbandonò la stanza lasciandola in balia della notte e del freddo e, raccolte le sue cose, scese al piano inferiore.
La scala cigolò appena sotto i passi della giovane attirando immediatamente l’attenzione dei due cavalli, un baio alzò interessato il muso e si diresse verso la giovane con le orecchie tese in avanti.
Immobile sulla scala Sylvia osservò l’animale avvicinarsi e allungò la mano verso quel muso così familiare.
- Joey.-
Il cavallo scosse la testa e sfregò la lunga fronte contro il braccio della giovane manifestando la sua gioia nel vedere finalmente una faccia amica.
La ragazza gli accarezzò il collo e il mantello lucido e prese dallo zaino un pezzo di frutta allungandolo alla bestia.
- Hai fatto del tuo meglio, Joey, non ce l’ho con te.- Sylvia trasse un profondo respiro e si sedette sui gradini tenendo gli occhi fissi sul cavallo.
 
Joey spintonò delicatamente la ragazza che si era addormentata raggomitolata tra la paglia e i sacchi. Sylvia aprì lentamente un occhio cercando di riportare alla mente gli eventi della sera prima. Indolenzita la ragazza si alzò in piedi e andò a recuperare lo zaino porgendo ai due cavalli due pezzi di frutta secca, malgrado il trambusto della notte era riuscita a dormire a sufficienza e, malgrado l’intorpidimento, poteva sentire i benefici di quella notte passata tra le mura del mulino.
Dopo aver fatto colazione ed essersi grossolanamente pulita la ragazza si sedette a controllare le provviste e a fare il punto della situazione: doveva muoversi il prima possibile, aveva ritrovato Joey e con lui spostarsi sarebbe stato più rapido e comodo, la ragazza guardò il cavallo valutando seriamente la possibilità di portarlo con sé.
Quasi intuendo le intenzioni della giovane l’animale si avvicinò e il suo mantello lucido fu illuminato dalla pallida luce del sole sorgente. Joey era veramente un cavallo bellissimo: zampe snelle con balzane bianche che si allungavano sugli stinchi come polsini, muso proporzionato al centro del quale brillavano due grandi occhi castani intelligenti ed attenti a tutto quello che lo circondava; Joey era veramente bello, troppo per accompagnare una fuggiasca vestita a metà tra un soldato tedesco e un fante inglese.
Sylvia allungò la mano verso la bestia e gli accarezzò il muso scompigliandogli il ciuffo nero che scendeva sulla fronte del cavallo.
- Non puoi venire con me, bello, anche se non sai quanto vorrei poter godere ancora della tua compagnia.-
La ragazza si alzò e preso il cavallo per le redini lo legò ad un anello per impedire che la seguisse, disorientato il cavallo la guardò pestando il terreno irritato.
- Abbi cura di te, Joey.-

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Capitolo 12
*** 12. Angel Chevalier ***


12. ANGEL CHEVALIER
 
La luce del sole filtrava attraverso le grandi finestre illuminando i letti allineati come bianchi soldati nell’ospedale del convento. Suore dall’abito candido volteggiavano tra i capezzali portando medicine e assistendo con amorevolezza i feriti che riposavano cullati dal calore del sole così inusuale in quell’autunno di guerra e morte.
In uno dei letti giaceva un giovane conosciuto da tutti come Angel per via dei suoi lineamenti gentili e dell’espressione serena del suo volto addormentato. Il ragazzo era arrivato al convento ai primi di settembre e quando le suore lo avevano visto per la prima volta avevano subito temuto per la sua vita. Le condizioni in cui era stato portato al monastero di Notre- Dame de Ciel erano pietose e disperate: il giovane soldato era stato ferito in uno scontro a poca distanza da Quièvrechain ed era rimasto sul campo di battaglia per circa un giorno svenuto e sanguinante, per via dei proiettili che lo avevano raggiunto, in balia del freddo e della febbre. Erano stati alcuni cacciatori a notarlo mentre a stento annaspava nel fango nel tentativo di mettersi in piedi e avevano immediatamente deciso di portarlo dalle suore perché lo curassero o gli dessero una morte più dignitosa.
Ora il giovane soldato era fuori pericolo e, anche se continuava a vivere un sonno senza sogni, i medici che lo avevano curato erano ottimisti.
- È forte, ha la volontà di ferro tipica degli ufficiali inglesi.- aveva commentato un medico durante la visita di ruotine – Quando si sveglierà avrà un paio di cosette da raccontarci il nostro Angel Chevalier.-
Erano state le suore a dargli quel nome, quando infatti il ragazzo era giunto al convento era talmente malridotto da non riuscire nemmeno a parlare e le sorelle avevano deciso di dargli d’ufficio il nome Angel Chevalier, Angel Knight, per via dei suoi lineamenti angelici e del disegno di un cavallo che avevano rinvenuto in una delle tasche della sua uniforme.
James dormiva sereno, il suo volto disteso era il ritratto della pace e la sua bocca era increspata in un sorriso che faceva intuire la natura spensierata dei suoi sogni.

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Capitolo 13
*** 13. Stanchezza ***


13. STANCHEZZA

Quanto ancora mancava al confine? Seduta sul ciglio di un fosso Sylvia si guardava intorno con occhi stanchi massaggiandosi le gambe doloranti. Quanto tempo era passato dalla sua partenza per la Francia? Quanto dal raid nel campo e dall’inizio del suo viaggio verso il Belgio, verso James? Un mese? Due? Un anno? La ragazza scivolò lungo l’argine del fossato cadendo tra i cardi secchi e il fango, le divise che aveva sottratto ai soldati erano ormai ridotte a brandelli e nemmeno l’ago e il filo riuscivano più a chiudere i numerosi strappi che si allargavano all’altezza delle ginocchia e delle spalle. Debolmente la giovane si arrampicò nuovamente lungo la sponda del canale e claudicante percorse la strada sterrata fregandosi gli arti indolenziti e barcollando in preda alla stanchezza.
Era sfinita, le scorte di cibo erano finite così come quelle d’acqua, per i primi tempi si era arrangiata mangiando i frutti di bosco che trovava tra le radici degli alberi, ma più si spostava a nord più sembrava che i tedeschi non escludessero nemmeno le foreste dalla loro irrefrenabile ricerca di viveri. Per la prima volta dopo settimane Sylvia si ritrovò ad attraversare un villaggio, al suo passaggio gli abitanti la guardavano con sospetto e paura indicandola come fosse stata un cane randagio e, passando davanti ad una finestra, la ragazza capì immediatamente il motivo di tanta diffidenza: il lungo viaggio l’aveva sfigurata e il suo viso, già sgraziato, appariva ancora più smunto e sciupato. Per mascherare il suo aspetto trasandato la giovane si aggiustò la divisa logora e allungò il passo desiderosa di lasciarsi il villaggio alle spalle il più velocemente possibile.
La notte calò silenziosa e nell’aria risuonarono presto i rumori delle stoviglie e il vociare allegro delle famiglie riunite intorno alla tavola. Appostata nel sottobosco Sylvia poteva osservare una famiglia mentre spensierata si passava grossi piatti di zuppa fumante e fette di pane leggermente tostate e dorate. Alla ragazza sembrava quasi di sentire l’odore del pane e il rumore della crosta croccante, passandosi la lingua sulle labbra secche le sembrava di sentire il sapore delle verdure che componevano la zuppa e nella sua mente le assaporava una ad una cercando di ricordare che gusto avessero quando sua madre le cucinava per la sua famiglia.
La sua famiglia. Dopo settimane Sylvia si ritrovò a pensare a loro e il suo cuore fu preso dalla nostalgia e dalla paura di non rivederli più. Era arrivata lontano e ci era arrivata con le sue sole forze, ma ora quella stessa energia che le aveva permesso di sopravvivere la stava abbandonando e non c’era nessuna mano tesa per aiutarla. Era sola, completamente ed inesorabilmente sola. Sylvia si portò una mano allo stomaco e lo accarezzò come fosse un cucciolo affamato da rabbonire, tormentata dalla fame si addentrò nella foresta cercando di allontanarsi dai profumi e dagli odori del villaggio e, distesa tra le radici di un frassino, cercò inutilmente di prendere sonno.

Una goccia di pioggia le corse lungo la colonna vertebrale facendo rabbrividire Sylvia che si strinse maggiormente le ginocchia al petto nel tentativo disperato di riscaldarsi e difendersi dalla pioggia che cadeva impietosa da una settimana. Il suo corpo era attraversato da brividi e sussulti e non c’era niente che la ragazza potesse fare per soffocarli, il suo viso era bollente e i suoi arti erano pesanti e deboli oltre ogni immaginazione. Sylvia si raggomitolò ancora di più su se stessa e si appoggiò maggiormente alla parete della nicchia sotto il quale aveva trovato riparo. Gli uomini e le donne del villaggio in cui era giunta le passavano accanto e, scambiandola per una vagabonda, le lanciavano sguardi carichi di disprezzo e sospetto.
- Comment allez-vous?-
Sylvia alzò gli occhi verso l’uomo che le stava dinnanzi e la guardava preoccupato. La giovane batté le lunga ciglia nere alzando appena le spalle e stringendosi ancora di più le ginocchia al petto con diffidenza. L’uomo le sorrise intuendo che non aveva capito una sola parola di quello che le aveva detto e le allungò un pezzo di pane. La ragazza guardò la fetta a lungo cercando di intuire le reali intenzioni dello sconosciuto.
- Sei inglese? Tedesca o italiana?-
- Inglese.-
Sylvia si convinse ad accettare il pane e, non appena lo ebbe tra le mani, addentò al mollica e la assaporò lentamente come se si fosse trattato del boccone più prelibato del mondo.
- Sei una dissidente? Sei scappata dal campo?-
- C’è stato un raid tedesco. Sono l’unica sopravvissuta.-
L’uomo la osservò cercando di valutare se la ragazza avesse o meno detto il vero.
- Perché ti sei diretta a nord? Da quel che ne so i tuoi sono a sud.-
La ragazza ingoiò il boccone e addentò nuovamente con maggiore voracità.
- Un mio amico è rimasto coinvolto in uno scontro a nord di Quièvrechain, sto andando da lui.-
L’uomo guardò con poca convinzione gli abiti logori e fradici della giovane soffermandosi ad osservare gli occhi verdi resi lucidi dalla febbre.
- Hai la febbre, in queste condizioni non andrai molto lontano.-
L’uomo si inginocchiò accanto a Sylvia ed allungò un mano verso la sua fronte per sentire la temperatura. A quel gesto la ragazza si ritirò e scoccò uno sguardo severo e diffidente allo sconosciuto facendogli ben intendere di non voler essere toccata per alcun motivo.
- Non voglio farti del male.- l’uomo ritrasse la mano e la alzò come in segno di resa – Voglio aiutarti.-
- Come faccio a sapere che dici la verità?-
L’uomo si alzò e si guardò intorno indeciso prima di allontanarsi da Sylvia e sparire tra i vicoli e la pioggia.
La ragazza rimase a guardarlo mentre mestamente scompariva dalla sua vista pensando di aver appena rifiutato l’unica mano che, dopo settimane, le era stata tesa per aiutarla a rialzarla. Era stata una stupida, lo riconosceva da sé, era allo stremo delle forze e lo sconosciuto non mentiva quando le aveva detto che in quelle condizioni non sarebbe andata lontano. Rattristata da quel pensiero la giovane si strinse nuovamente le ginocchia al petto nascondendovi la forma di pane che l’uomo le aveva dato e senza nemmeno accorgersene scivolò in un sonno senza sogni, un torpore pesante che l’avvolgeva come una coperta di lana e allo stesso tempo umido come gli abiti che indossava.

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Capitolo 14
*** 14. Favola triste ***


14. FAVOLA TRISTE

Sylvia respirò a fondo quel profumo di pulito e casa che la avvolgeva in quella coperta che pizzicava sulla pelle. Per un attimo pensò di essere tornata a casa, lentamente si mise a sedere e ancora mezza addormentata si guardò intorno cercando di riconoscere, nella tavolozza di luci ed ombre della stanza, la cassettiera e lo specchio della propria camera. Era stato tutto un sogno: James la aspettava seduto al tavolo della cucina e nell’attesa discuteva con suo padre di cavalli e di caccia, presto li avrebbe raggiunti ed insieme sarebbero usciti nei campi per estirpare le erbacce e chiudere le tane delle talpe.
Sollevata dal pensiero che si fosse trattato di un lungo incubo la ragazza si stropicciò le palpebre e fu allora che scorse, ai piedi del letto, una ragazzina che la osservava incuriosita con i suoi grandi occhi azzurri.
Sconcertata Sylvia strabuzzò gli occhi e, non appena si accorse di essere vista, la bambina si abbassò continuando a guardare di sottecchi la ragazza attraverso le sbarre del letto.
- Ciao.-
La piccola si nascose sotto il letto scomparendo del tutto alla vista di Sylvia. Non era stato che un sogno, non si trovava a casa e James non la stava aspettando seduto al tavolo della cucina in compagnia di suo padre. Sylvia si sentì stringere lo stomaco a quel pensiero, ma cercò di non pensarci e di concentrarsi sul posto in cui si trovava. Ricordava di essersi addormentata sotto la nicchia, ricordava un uomo che le aveva allungato una forma di pane e un’ombra che, poco prima che perdesse conoscenza, le si era avvicinata e le aveva fatto delle domande a cui lei non aveva risposto.
- Perdona mia figlia.-
Una donna entrò nella stanza e senza esitazione si avvicinò a Sylvia appoggiandole una mano sulla fronte.
- La febbre è scesa, bene.-
- Chi siete? Dove mi trovo?- la ragazza guardò disorientata la donna cercando di ordinare le idee che le si accalcavano nella testa. La testa. Sylvia si portò una mano alle tempie e cominciò a massaggiarle cercando di alleviare il dolore che le attraversava il capo come uno sciame di stilettate.
- Sei al sicuro,- la donna cominciò a ordinare alcuni abiti nei cassetti dei comò – mio marito ti ha trovato sotto la pioggia, deliravi per la febbre e non se l’è sentita di lasciarti per strada in quelle condizioni.-
- Come vi potrò mai ringraziare? Mi avete salvato la vita.-
- Non ti preoccupare, eri in uno stato talmente pietoso che sarebbe stato un crimine lasciarti a dormire sul fango e con solo la pioggia come coperta.- la donna si avvicinò nuovamente al letto e si sedette sulle coperte guardando Sylvia negli occhi – Ora riposa e tra qualche minuto ti porterò un po’ di brodo.-
La signora si alzò e tese una mano alla bambina che scivolò fuori del suo nascondiglio e seguì allegra la madre fuori della stanza.
- A proposito, io sono Amy Lewis. Mentre lei è Maggie.-
- Sylvia Stone.-
La donna le sorrise e rapidamente lasciò la camera chiudendosi con delicatezza la porta alle spalle.

Sylvia scivolò lentamente sotto il velo dell’acqua, era bollente, ma il desiderio di lavarsi era talmente forte che la ragazza non ci fece caso e si lasciò avvolgere dal calore e il vapore senza preoccuparsi troppo della temperatura.
Senza pensare la giovane affondò sempre di più nella vasca fino a scomparire totalmente sotto quella coperta calda e trasparente, nemmeno ricordava l’ultima volta in cui aveva fatto un bagno degno di tale nome ed ora era quanto mai decisa a godersi quel momento di totale ristoro.
Con decisione la ragazza cominciò a frizionare i capelli con una lozione e in poco tempo il suo capo cominciò a profumare come un mazzolino di mughetti e fiori di campo. Dopo essersi sciacquata dai capelli la schiuma, Sylvia cominciò a massaggiare con delicatezza il suo corpo facendo attenzione ai diversi tagli ed ematomi che le coprivano la pelle. Dopo settimane vissuta all’ombra di alberi e costretta a mascherare le sue sembianze le faceva uno strano effetto vedersi completamente nuda e così vulnerabile.
Rientrando in camera la ragazza trovò sul letto degli indumenti puliti che emanavano un delicato odore di sapone di Marsiglia e lavanda. Con soddisfazione Sylvia osservò il proprio riflesso nello specchio del comò: la malattia le aveva segnato il volto, ma i due giorni di convalescenza, i pasti caldi che Amy le aveva offerto e il bagno caldo le avevano in parte ridato la sua consueta energia, ancora qualche giorno e Sylvia sarebbe stata nuovamente in grado di riprendere il cammino.
La scala cigolò appena sotto i passi della ragazza e i lamenti dei gradini attirarono l’attenzione della bambina che rivolse i suoi meravigliosi occhi azzurri all’ospite salutandola con un sorriso.
- Arrivi in tempo per il pranzo.-
Amy appoggiò sul tavolo una zuppiera bianca da cui salivano pallide volute di fumo e indicò una sedia alla giovane.
- Mio marito è andato a fare visita ad un vecchio amico, sarà di ritorno tra poco. Immagino sarà contento di vederti in piedi.-
- Immagino di sì.-
Sylvia prese posto a tavola e cominciò a giocare con la bambina.
- Parlate molto bene inglese, signora Lewis.-
- Per favore, chiamami Amy.- la donna si sedette accanto alla bambina e cominciò a tagliare dei tocchi di formaggio da una grossa forma – Io e mio marito ci siamo trasferiti in Francia sei anni fa. L’Inghilterra ci piaceva, ma Arthur voleva viaggiare, conoscere persone nuove e vedere posti nuovi, per cui ci siamo trasferiti al di là della Manica ma i nostri grandi viaggi sono finiti quasi immediatamente.-
La donna sorrise ed allungò un pezzo di formaggio alla piccola che lo addentò con avidità.
- Tu invece? Qual è la tua storia?-
- Una storia?- la bambina alzò gli occhi dal boccone e guardò interessatissima la ragazza – Racconta! Racconta!-
La piccola cominciò a battere eccitata le manine guardando con sguardo languido Sylvia.
- Sei proprio una piccola impertinente, lo sai?- Amy diede un buffetto sulla guancia della figlia che rise ancor più allegra tornando a mangiucchiare il suo pezzetto di formaggio.
- Dopo pranzo la nostra ospite ci racconterà la sua storia, ma per il momento devi lasciarla mangiare in pace. Va bene?-
La bambina sorrise e si mise a sedere composta accarezzando con soddisfazione la promessa fattale dalla madre.
- Buon giorno a tutti!-
Un uomo entrò in quello stesso istante e, nel momento stesso in cui si tolse il berretto, Sylvia riconobbe i lineamenti dell’uomo che l’aveva avvicinata per offrirle il pane.
- Voi, voi siete l’uomo che mi ha dato da mangiare, non è così?-
L’uomo si inchinò leggermente sorridendo alla ragazza che era scattata in piedi come alla presenza di un nemico.
- Arthur Lewis, al vostro servizio.-
- Sylvia Stone, al vostro.-
Sylvia rimase per qualche istante ad osservarlo con attenzione: era alto, questo lo aveva visto fin dal loro primo incontro, e il suo volto ispirava simpatia e bontà, al centro del viso brillavano due allegri occhi verdi e i lineamenti del volto, resi duri dal lavoro e dagli stenti della guerra, erano incorniciati da una rada barba rossa che lo faceva assomigliare a Vincent Van Gogh. L’uomo si avvicinò alla moglie e dopo averla baciata si rivolse alla piccola a cui porse un fiore di campo raccolto lungo il cammino.
- State meglio oggi, quando vi ho portato a casa eravate pallida come la luna e calda come un pezzo di carbone, per non parlare dei deliri della febbre.-
L’uomo si sedette a tavola e si versò un po’ della zuppa preparata dalla moglie.
- Ma ditemi, cosa ci facevate in quella nicchia? So di avervi già fatto questa domanda, ma devo ammettere che non ho capito granché del vostro farfugliare.-
- La mamma ha detto che Sylvia mi racconterà una storia dopo pranzo!-
Maggie sorrise soddisfatta al padre quasi a volersi vantare di quella conquista.
- Una storia?- l’uomo allungò una mano verso la figlioletta e la accarezzò con dolcezza la guancia – Una storia che parla di cosa?-
- Mi dispiace, non fornisco anticipazioni.-
Sylvia fece l’occhiolino alla piccola che le rispose con un sorriso, segno che per il momento quella risposta le andava bene.

Seduta al tavolo della cucina Sylvia pensava e ripensava alle parole con cui avrebbe raccontato alla figlia di Arthur e Amy la sua storia. Come poteva raccontare ad una bambina di appena di cinque anni di guerre e di orrori senza turbarne l’animo? Come poteva rendere le sue avventure e disgrazie una bella storia? Una di quelle che la piccola avrebbe rivissuto ancora ed ancora nei suoi sogni o nei suoi giochi? La sua era una favola triste, una di quelle favole che si vorrebbero raccontare e sentire una volta sola per poi dimenticarle per sempre. Già, dimenticare, Sylvia sapeva benissimo che mai avrebbe dimenticato quel viaggio in Europa specialmente se avesse trovato una croce e una lapide al termine del suo cammino.
- Allora la mia storia?-
Maggie aveva appoggiato il mento sulle braccia incrociate ed ora guardava con avidità e occhi carichi di aspettative la ragazza.
- Sì, non me ne sono dimenticata.- Sylvia sorrise e trasse un profondo respiro prima di cominciare a raccontare la sua favola triste – Bene, da dove comincio?-
- Dal titolo! Tutte le favole hanno un titolo!-
Maggie le sorrise e scosse il capo domandandosi come ad una ragazza così grande fosse sfuggita una simile banalità.
- Giusto! Il titolo.- Sylvia rifletté un momento cercando di trovare qualcosa che potesse riassumere in modo accattivante la sua storia – Questa favola si intitola: il cavallo, il soldato e la ragazza.-
La bambina sorrise e si rimise in ascolto sgranando gli occhi. Anche Amy e Arthur si sedettero accanto alla figlia interessati ad ascoltare il racconto della loro ospite e curiosi di scoprire come avrebbe reso le sue avventure materia di favole.
- C’era una volta un regno, governato da un re buono e amante della pace. In questo regno vivevano un soldato e la sua fidanzata, i due giovani amavano andare a cavallo e passare le loro giornate a spasso per i campi e le colline del regno. Un giorno però un uomo cattivo dichiarò guerra e il re buono fu costretto a preparare il suo popolo alla battaglia.-
- Come si chiamano i due giovani?-
- James e Sylvia.-
- la ragazza si chiama come te!-
- Sì, ma se vuoi le posso cambiare nome.-
- No, no!- Maggie scosse con convinzione il capo – Mi piace come nome.-
- Come dicevo. Il re dovette preparare i suoi soldati per la guerra e ordinò che tutti i ragazzi si preparassero per partire. Quando la notizia arrivò alle orecchie di James e Sylvia i due giovani furono molto tristi, Sylvia infatti temeva che James potesse morire e non voleva perderlo. James però aveva una cosa che nessun’altro soldato aveva: un cavallo veloce come il vento, furbo come una volpe e coraggioso come un leone, con un simile animale al suo fianco James era sicuro di riuscire a sopravvivere e che un giorno sarebbe tornato da Sylvia.-
Sylvia fece una pausa cercando di capire a chi stesse veramente raccontando quella storiella, se ad una bambina o a se stessa nel tentativo di mettere a tacere, almeno per un momento, le voci che dentro di lei le gridavano quanto disperato e futile fosse il suo viaggio.
- James partì per la guerra e per le prime settimane scrisse a Sylvia ogni volta che poteva in modo da non farla mai sentire sola. Poi però le lettere smisero di arrivare e Sylvia fu molto triste per questo motivo e si domandava perché il suo soldato non le scrivesse più. Così, una notte, la ragazza scappò di casa e, dopo aver preso una nave, raggiunse la terra lontana in cui James era stato mandato a combattere.-
Sylvia fece nuovamente una pausa gustandosi per un istante l’espressione rapita sul volto della bambina.
- La ragazza cominciò a percorrere quella terra straniera alla ricerca del suo fidanzato. A volte aveva la fortuna di avere dei compagni di viaggio, mentre altre si muoveva da sola e doveva fare ancora più attenzione perché quella terra era piena di pericoli. Un giorno però Sylvia si ammalò e cercò riparo dalla pioggia e dal freddo sotto una piccola nicchia, pioveva tanto quel giorno e la ragazza stava veramente male quando, tra la pioggia, avanzò un signore che la portò a casa sua per curarla e darle da mangiare.-
Sylvia terminò il suo racconto traendo un sospiro di sollievo: aveva raccontato tutto quello che poteva raccontare e la sua sciagurata avventura era davvero diventata una favola triste al pari di quelle con cui era cresciuta da bambina.
- Ti è piaciuta, piccola?-
- Finisce così?-
Maggie incrociò le braccia guardando contrariata Sylvia.
- Sì, suppongo di sì.-
- Ma questo non è un finale.- la bambina cominciò a gesticolare scocciata dal fatto di dover spiegare ad una ragazza grande come terminavano le favole – Alla fine il principe e la principessa si incontrano, si sposano e vivono per sempre felici e contenti.-
- Mi dispiace piccola, ma io non so coma va a finire questa favola.-
Sylvia abbassò triste il capo prima che una nuova idea le balenasse nella mente.
- Come vorresti che finisse?-
La bambina assunse un’aria concentrata e si portò una mano alla fronte valutando molto bene la domanda della giovane.
- Perché James non ha più scritto lettere a Sylvia?-
- Non lo so, qualcosa glielo ha impedito.-
Maggie rifletté ancora un momento prima di prendere le redini della situazione.
- Ecco come sono andate le cose.- la bambina si aggiustò sulla sedia e si guardò con fierezza intorno per accertarsi che tutti ascoltassero la sua versione della storia – James non ha più scritto a Sylvia perché è stato preso prigioniero dai nemici, è vivo, ma non può farlo sapere alla sua fidanzata e per questo sta male e piange tutte le sere.-
Sylvia si irrigidì e per un momento il fiato le morì in gola, l’ipotesi che James fosse prigioniero dei tedeschi non l’aveva nemmeno lontanamente sfiorata e quella nuova possibilità demoliva le sue già flebili speranze di ritrovare il suo capitano.
Non curante del turbamento della ragazza, Maggie continuò imperterrito la sua narrazione.
- Però Sylvia è coraggiosa e furba e, con uno stratagemma, riesce a liberare il suo fidanzato e, con l’aiuto del cavallo di James, a tornare a casa.-
- E vissero per sempre felici e contenti.- Amy batté entusiasta le mani applaudendo al lieto fine ideato dalla figlioletta – Veramente una bella storia, Maggie. Tu e Sylvia potreste scrivere un libro, avete una promettente carriera da narratrici!-
La donna ammiccò alla ragazza cercando di farle tornare il sorriso.
- E vissero per sempre felici e contenti.- Sylvia ripeté a bassa voce quella formula chiedendosi se davvero la sua storia si sarebbe conclusa con quelle parole.

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Capitolo 15
*** 15. Una nuova speranza ***


15. UNA NUOVA SPERANZA

- Sono sempre più vicini.-
Arthur si sedette al tavolo della cucina e cominciò a mangiarsi le unghie gettando sguardi nervosi intorno quasi si aspettasse di vedere i tedeschi irrompere con l’impeto di un uragano nella cucina.
Amy sedeva accanto al marito con in braccio la bambina che fissava il padre cercando di cogliere il motivo di tanta preoccupazione. Sylvia osservava la scena seduta sui primi gradini della scala cercando di valutare la prossima mossa, le notizie che giungevano erano a dir poco preoccupanti: l’avanzata dei tedeschi sembrava irrefrenabile e ovunque passassero gli uomini del kaiser si lasciavano alle spalle miseria, distruzione e morte.
- Come se non bastasse quei cani hanno iniziato a depredare le fattorie. Obbligano gli abitanti del posto a salire sulle loro camionette, li portano nei frutteti e nelle fattorie e poi costringono le persone a consegnare loro tutti i generi alimentari di cui dispongono.-
Amy allungò una mano verso quella del marito e gliela strinse costringendolo ad alzare lo sguardo.
- Non avere paura, la nostra è un’abitazione modesta e se anche dovessero arrivare non troverebbero nulla da portare via.- la donna si guardò intorno sorridendo – Dobbiamo farci forza, andrà tutto bene vedrete. Abbiamo superato tempeste peggiori e la nostra casa ha sempre resistito all’urto e alla forza dei venti sfavorevoli. Non dobbiamo temere.-
Arthur guardò con poca convinzione la moglie e accarezzò con delicatezza il volto della sua bambina beatamente addormentata tra le braccia della madre. Leggere i pensieri dell’uomo e le sue paure era tutt’altro che difficile, alle allarmanti notizie che giungevano dai villaggi vicini per Arthur si aggiungeva la preoccupazione di non poter difendere la propria famiglia in caso di una scorribanda tedesca.
- Vicino a Parigi abita una zia di mia madre, se può farti sentire meglio potremmo trasferirci al sud finché le acque non si calmano.-
Amy diede la bambina in braccio al marito e si alzò per preparare il bollitore per il tè.
- Non mi piace l’idea di abbandonare casa nostra, inoltre potrebbe esserci bisogno di noi qui.- l’uomo scostò un ciuffo dal volto della piccola che si agitò appena nel sonno – Però tu, Maggie e Sylvia potreste trasferirvi al sud finché le acque non si calmano. Sarei molto più sereno sapendovi al sicuro lontane dal fronte.-
- Io non posso andare a sud.- Sylvia andò a sedersi al tavolo insieme ad Arthur e a sua moglie – Non posso mollare proprio ora che la mia meta è ad una manciata di chilometri.-
- Fino a tre giorni fa eri stesa in un letto e deliravi per la febbre, più andrai a nord e più le cose peggioreranno e, se le cose dovessero mettersi male per te, dubito che incontreresti persone come noi disposte ad aiutarti e ad accoglierti sotto il loro tetto.-
Sylvia abbassò demoralizzata lo sguardo e cominciò a giocherellare con le frange della tovaglia ponderando le parole del suo ospite.
- Questo lo so bene.- la ragazza alzò lo sguardo guardando con fierezza l’uomo e la moglie – L’ho sempre saputo e si può dire che il rischio sia stato l’unico compagno di viaggio a non avermi mai abbandonata. Sono così vicina, il confine è ormai a una manciata di chilometri ed ora che sono nuovamente in forze posso affrontare questo ultimo tratto. Per cui per favore: non mandatemi a sud, non ora che James è così vicino.-
Arthur si passò una mano tra i capelli e si massaggiò le tempie come a voler dare un ordine ai pensieri. Il coraggio e la determinazione della sua giovane ospite erano ammirevoli, ma lui possedeva una cosa che lei non aveva: la coscienza; l’uomo era pronto a scommettere sul fatto che Sylvia si sarebbe gettata persino su un terreno minato e tra i reticolati di filo spinato se questo le avesse consentito di avvicinarsi anche solo di un passo al suo amato.
- Sylvia, hai mai preso in considerazione l’ipotesi di non trovare quello che cerchi?-
- Arthur!- Amy scoccò uno sguardo serio al marito.
- Rispondimi.- l’uomo continuò incurante delle occhiatacce della moglie e dei rimproveri che gli stava facendo a mezza voce – Ci hai mai pensato?-
- Sì.- Sylvia strinse i polsi e si irrigidì come se le avessero gettato un secchio di acqua fredda lungo la colonna vertebrale.
- Al nord ci sono solo morti e feriti, ho parlato con un uomo che abitava da quelle parti ed è scappato prima che i tedeschi si impossessassero della sua fattoria. I campi sono diventati distese di corpi straziati e cadaveri intrecciati e sfigurati dalle mine e dai proiettili, i corvi volteggiano giorno e notte sopra i campi di battaglia e, se i soldati non sono abbastanza veloci nel rimuovere i corpi, gli animali escono dalle foreste e banchettano con i cadaveri.-
- Arthur, ora basta.-
- No,- l’uomo guardò serio la moglie che ammutolì davanti alla freddezza del marito – ha detto lei di aver fatto del rischio il suo compagno di viaggio e se così deve essere voglio che possa vedere senza filtri tutte le possibilità anche le più macabre.-
L’uomo tornò a rivolgersi a Sylvia che era rimasta impietrita a guardarlo lottando per scogliere il nodo che le si era formato in gola.
- Conserva i bei ricordi che hai con il tuo capitano, scrivi un diario per poterli rammentare anche quando la memoria ti abbandonerà e conserva nel tuo cuore il ricordo dei bei lineamenti e dello sguardo gentile del capitano Nicholls. Ma se ancora consideri l’idea di continuare il tuo viaggio, allora faresti meglio ad accettare l’idea di ritrovarti, presto o tardi, ad abbracciare un volto sfregiato e un cadavere mutilato.-
Amy guardò con apprensione Sylvia e i suoi occhi si spostarono un paio di volte dalla ragazza allo sguardo grave del marito.
Sylvia rimase in silenzio ancora qualche secondo prima di prendere nuovamente la parola.
- Quello che dici è vero.- la giovane trasse un sospiro come a voler raccogliere tutto il coraggio e la forza che ancora aveva – Giunta a questo punto è alquanto probabile che alla fine del mio viaggio io trovi il cadavere del ragazzo che amo. Tuttavia, se ora mi arrendo e torno indietro non saprò mai cosa ne è stato di James e dovrò convivere per il resto dei miei giorni con il dubbio e il rimorso di aver mollato ad un passo dalla fine.-
Sylvia alzò nuovamente lo sguardo e i suoi occhi cercarono immediatamente quelli di Arthur.
- Accetto il rischio e tutte le conseguenze di questa mia scelta.-
- Allora è deciso.- l’uomo consegnò la piccola alla moglie e si alzò a prendere il bollitore e a preparare il tè – visto che farti cambiare idea è impossibile ti aiuterò a raggiungere il confine e a ritrovare il tuo capitano.-
Sylvia non poteva credere alle sue orecchie, vista la piega che la discussione aveva preso quello era un risvolto del tutto inaspettato e insperato.
- Veramente? Mi aiuterete davvero a raggiungere Quièvrechain?-
- Ti do la mia parola d’onore.- l’uomo si inchinò leggermente esibendosi in una goffa riverenza – Un mio vecchio amico ha trovato due cavalli, sicuramente scappati da qualche campo di battaglia, e sono più che certo che non avrà alcun problema a prestarceli per il nostro viaggio al nord. Ci sposteremmo più velocemente e, con un po’ di accortezza, di qui a qualche giorno dovremmo raggiungere il confine.-
Sylvia sorrise e si portò una mano alla bocca per soffocare l’entusiasmo che le incendiava il corpo e la mente.
- Grazie, mi sento un’ingrata e vorrei ripagarvi in qualche modo.-
- Non ci devi niente, cara.- Amy versò il tè nelle tazze e ne allungò una alla giovane sorridendole.
- Vi devo la vita e ora una nuova scintilla di speranza.- Sylvia sorseggiò appena la bevanda.
- Trova il tuo capitano, vivi il tuo lieto fine e poi torna per raccontarlo a Maggie.-

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Capitolo 16
*** 16. Soldati ***


16. SOLDATI

Aveva ripreso lentamente, camminando inizialmente intorno al proprio letto per poi avventurarsi, una volta certo che le gambe avrebbero retto, per i corridoi della struttura.
Quando i medici lo avevano trovato in piedi accanto alla sua branda avevano accolto la cosa con entusiasmo commentando l’evento come qualcosa di straordinario considerate le condizioni in cui era arrivato al convento di Notre Dame de Ciel.
Giorno dopo giorno James si era fissato nuovi traguardi da raggiungere e, claudicante ed appoggiandosi alle pareti e a tutto quello che gli capitava a tiro, aveva lentamente e pazientemente conquistato la porta dello stanzone, il corridoio, la cappella del piano e la stanza dei medicinali.

Un medico, che doveva essere l’incarnazione di Babbo Natale, si aggirava intorno al letto di James osservando le ferite in fase di cicatrizzazione e studiando quelle che si ostinavano a dare problemi, le sue mani paffute premevano con ferma dolcezza sul torace e la schiena del ragazzo cercando di valutarne lo stato di salute
. Dal canto suo James lo assecondava docilmente protestando di tanto in tanto quando sentiva le dita del medico appoggiarsi su qualche ematoma che non si era ancora assorbito.
- Très bien, très bien!-
L’uomo consegnò la cartella clinica di James all’infermiera e si rivolse nuovamente al giovane ufficiale sfregandosi soddisfatto le mani e mostrando al ragazzo un sorriso a trentadue denti.
- Monsieur Noël? Quando potrò andarmene? Sono mesi che manco da casa e comincio a sentirne nostalgia.-
Il medico guardò il capitano confuso e scambiò qualche parola con la suora che lo accompagnava sperando che potesse tradurgli ciò che il suo paziente gli aveva chiesto.
- Parlez vous française?-
James scosse mestamente il capo.
- Posso tradurre io.-
Il medico si voltò e, sporgendosi oltre la corpulenta figura del dottor Noël, James vide che il soldato che occupava il letto alla sua sinistra si era alzato a sedere e li osservava attentamente.
- Je parlé française très bien, monsieur Noël.-
Medico e paziente cominciarono uno scambio di domande e risposte che James seguiva senza tuttavia capire granché.
- Le sue condizioni sono nettamente migliorate, capitano, ma è ancora presto per parlare di dimissioni.-
- Presto? Da quante settimane sono qui? Sei? Otto? Voglio tornare a casa, riesco a camminare senza alcun sostegno oramai. Ieri sono arrivato fin al giardino dell’ospedale.-
Il soldato tradusse al medico che soffocò una risata sarcastica scuotendo il capo e spiegò al soldato le ragioni per cui, malgrado i miglioramenti, James non poteva ancora tornare in Inghilterra.
- Il dottor Noël preferirebbe tenerla in osservazione ancora per qualche tempo.- il giovane colse il turbamento negli occhi del capitano e, prima di essere nuovamente investito da un fiume in piena di parole, si affrettò a puntualizzare – Si tratta di una formalità, capitano. Il dottore vuole essere certo che lei sia in grado di affrontare un viaggio lungo e pesante come quello di ritorno.-
James inarcò appena un sopraciglio poco convinto e deluso da quella spiegazione.
- Va bene.- il giovane ufficiale tornò a stendersi sulla sua branda incrociando le braccia sul petto come un bambino imbronciato – Almeno potrò uscire dall’ospedale? Solo per brevi passeggiate, mi accontento anche di mezz’ora al giorno. Sono chiuso qui dentro da troppo tempo e comincio a sentirmi prigioniero di questo posto.-
Il soldato tradusse e, con grande sollievo di James, il dottor Noël acconsentì a patto che il giovane non fosse mai lasciato solo durante le sue passeggiate fuori dell’ospedale.
- Un’ultima cosa.- James si rimise a sedere sul letto – Potrei avere carta e penna? C’è una persona che aspetta mie notizie da tanto, troppo tempo.-
Il giovane tradusse e in men che non si dica il capitano si ritrovò a stringere tra le dita una penna e a riempire i fogli bianchi di parole.
- Se vuole posso accompagnarla all’ufficio postale, capitano. Ce n’è uno a pochi metri dall’ospedale.-
James alzò lo sguardo dalla lettera e guardò il soldato sorpreso di vederlo ancora ai piedi del suo capezzale. Non appena aveva avuto tra le mani carta e penna il giovane capitano si era isolato in un mondo di pensieri ed emozioni che gli aveva fatto completamente dimenticare la realtà dell’ospedale e dalle persone che lo circondavano.
- Mi scusi.- il giovane ufficiale cercò di ridarsi velocemente un contegno – Non mi ero accorto che fosse ancora qui. Non l’ho ancora ringraziata per avermi fatto da interprete, mi sono comportato da perfetto cafone. Spero voglia perdonarmi.-
Il soldato abbozzò un timido sorriso e agitò la mano con nonchalance.
- Non si preoccupi.-
- Con chi ho l’onore di parlare?-
- Steve Sisley, signore. Al suo servizio.-
- Capitano James Nicholls.- James si protese verso il ragazzo porgendogli la mano – Dove eravate accampati, signor Sisley?-
Il soldato si mise a sedere sulla sua branda senza distogliere lo sguardo dall’ufficiale che gli stava dinnanzi.
- La mia compagnia è partita da Le Havre e abbiamo battuto il fronte come truppe di supporto. Ma è stato a Quièvrechain che la mia compagnia è stata distrutta: un raid; rapido e preciso che non ha lasciato scampo a nessuno.-
James ascoltò attentamente il racconto del commilitone cercando di ricordare i nomi degli ufficiali di istanza nelle località elencate dal giovane.
- Lei invece dove è stato ferito?-
Velocemente il capitano raccontò al compagno del suo viaggio e dello sfortunato raid all’accampamento tedesco.
- Ancora Quièvrechain, se non fosse nemmeno lontanamente plausibile giurerei che per noi inglesi quella sia una località maledetta.- il giovane si coricò nuovamente fingendo per un momento di aver perso interesse per quella conversazione e James ne approfittò per riprendere la sua lettera.
- Ha una famiglia, capitano?-
- No, almeno non per il momento.-
- Quanti anni ha?-
- Ventisei.-
Il soldato gli sorrise e tornò a fissare il soffitto rincorrendo un pensiero lontano.
- Avete la stessa età di mia moglie.- il giovane fece una pausa prima di rivolgersi nuovamente a James - Siete fidanzato?-
- Sì, la lettera che sto scrivendo è per la mia fidanzata.- James si affrettò a concludere il suo messaggio per Sylvia e a inserire il foglio in una busta – Le avevo detto che le avrei scritto ogni volta che mi fosse stato possibile ed è da settimane che non riceve mie notizie. Dio solo sa quanto sarà in pensiero.-
James scoccò una risata verso il commilitone che gli sorrise di rimando.
- Mia moglie sa dove mi trovo, aveva anche suggerito di raggiungermi ma gliel’ho sconsigliato. La guerra è un brutto affare e non voglio che lei veda gli orrori che ho visto io.-
- Con Sylvia queste scuse non funzionano.- James accarezzò la busta – Proibirle di raggiungermi in questo posto è il modo più sicuro per ritrovarla al mio capezzale nel giro di qualche giorno.-
- Cosa le avete scritto nella lettera dunque? Dovete aver trovato una scusa più che geniale per giustificare più di un mese di silenzio.-
- Ci può scommettere.- James rise nervoso all’osservazione del soldato – La vera domanda è se mangerà o meno la foglia.-

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Capitolo 17
*** 17. Grazie ***


17. GRAZIE

- Un solo cavallo, la giumenta l’ho abbattuta ieri.-
Il vecchio contadino riprese ad armeggiare con il forcone e a spostare mucchi di paglia da un lato all’altro del fienile ignorando completamente i due viandanti.
Sylvia e Arthur si guardarono contrariati cercando di valutare le possibilità che gli si proponevano.
- Non puoi proseguire da sola. È troppo pericoloso e l’ultima volta per poco non ci hai lasciato la pelle.-
- Non c’è altro modo e in più ho approfittato fin troppo della tua gentilezza.-
Con un coltellaccio Sylvia finì di tagliarsi i capelli che, dal suo arrivo in Francia e dall’ultima volta in cui avevano visto un paio di forbici, si erano incredibilmente allungati.
- Scordatelo, andremo a piedi. Ci vorrà più tempo, ma almeno mi potrò assicurare che non ti succeda nulla.-
- Dove siete diretti, monsieur?-
Il contadino si affacciò sulla porta del fienile e squadrò pigramente Arthur e Sylvia.
- Quièvrechain.-
- Quièvrechain? Quanto tempo pensate durerà ancora l’autunno? Quanto tempo pensate di avere ancora? Qualunque cosa vi attenda a nord fareste bene a raggiungerla entro la prossima settimana o anche la neve vi ostacolerà il cammino, cosa che penso stiano già facendo quei bastardi figli del Kaiser.-
L’uomo si ritirò nuovamente nel fienile bestemmiando i tedeschi, la loro bandiera e il loro imperatore dal viso suino.
- Che cosa ha detto il fattore?-
Sylvia guardò preoccupata il suo compagno sapendo di non potersi aspettare nulla di buono dalla sua espressione seria e pensierosa.
- Ha detto che se non ci muoviamo in fretta avremo da fronteggiare anche la neve.-
- Neve? A metà novembre?-
Sylvia sgranò allarmata gli occhi, il cambio di stagione e il repentino calo delle temperature non le erano sfuggiti, ma non avrebbe mai immaginato di doversi preoccupare, tra le altre cose, del ghiaccio e della neve.
- Questo non è il Devonshire, questo è il Continente e ciò implica un clima diverso da quello a cui sei abituata.-
Arthur scrutò assorto il cielo che nelle ultime settimane era diventato di un preoccupante color grigio pallido: segno evidente che la prima nevicata non era lontana.
- Sylvia ascolta,- l’uomo prese per un braccio la ragazza e la allontanò dal fienile in modo che nessuno potesse ascoltarli – abbiamo abiti caldi a sufficienza, cibo ed acqua per affrontare qualunque evenienza. Continuare a piedi non sarà un problema.-
Sylvia guardò poco convinta l’amico. Andando a piedi avrebbe potuto godere della compagnia di Arthur ancora per qualche tempo, ma se ascoltava la propria coscienza si rendeva tristemente conto di non poter chiedere all’uomo di proseguire ancora. Fino a quel momento il loro era stato un viaggio tranquillo e, salvo qualche imprevisto, non avevano dovuto affrontare pericoli mortali, ma ora, a qualche chilometro dal territorio in mano ai tedeschi, i pericoli sarebbero aumentati e ogni curva, sentiero o ponte poteva essere un ottimo appostamento per posti di blocco o, peggio, sciacalli e banditi. No, non poteva chiedere ad Arthur di continuare con lei. Lui era un padre di famiglia e la sua morte avrebbe lasciato vedova Amy e orfana la piccola Maggie. Lei invece era una stupida che, come una ragazzina innamorata, si era imbarcata in un viaggio suicida alla ricerca di un fantasma.
A conti fatti non era così diversa dalle eroine di quei romanzetti scialbi che le sue compaesane divoravano e per cui aveva sempre manifestato un profondo quanto palese disprezzo.
Se fosse riuscita a portare a casa la pelle, a prescindere dall’esisto di quella sciagurata vicenda, avrebbe messo su carta quelle esperienze, i volti, i nomi e i luoghi che avrebbero albergato nella sua memoria per anni.
- Mi faresti il favore di tradurre per me?-
Senza attendere la risposta dell’uomo la ragazza si avvicinò nuovamente al fienile e vi infilò la testa cercando nella penombra la gobba sagoma del contadino.
- Quanto vuole per il cavallo?-
Arthur tradusse mentre l’uomo accantonò per un momento i sacchi che stava ammucchiando per lanciare uno sguardo distratto alla ragazza e al suo interprete.
- Rien.-
- Non ho denaro, ma ho del cibo che dividerò volentieri con lei.-
L’uomo si rivolse ad Arthur ignorando per alcuni istanti la giovane e solo quando ebbe finito il suo monologo tornò a fissare la ragazza.
- Guardalo e dimmi cosa vedi.- Arthur ripeté a memoria le parole del contadino – È vecchio e stanco, tra qualche giorno i tedeschi verranno per prendere i frutti del suo lavoro e dopo di loro sarà il turno della morte. Cosa pensi possa fare? Se tu avessi un talismano in grado di fermare la morte lo scambierebbe volentieri con quel ronzino che tiene nella stalla, ma, poiché così non è, puoi prendere senza alcun problema quel mangia fieno e andare in contro al tuo destino mentre lui aspetterà qui il suo.-
Quando Arthur ebbe terminato quella specie di monologo il contadino si toccò appena la visiera del berretto e tornò a dedicarsi al suo lavoro.
Sylvia rimase imbambolata a guardarlo sentendo sulla lingua e nel cuore l’amarezza di quella parole cariche di disperazione e rassegnazione. Dopo alcuni istanti la ragazza si voltò e sconsolata si avviò verso la stalla ignorando i borbottii di protesta di Arthur.
Come aveva detto l’uomo nella stalla Sylvia trovò un cavallo bianco dalle zampe esili e il collo ancor più sottile, il mantello, una volta candido e lucido, era opaco e all’altezza del garrese e degli stinchi si potevano vedere aree completamente scorticate.
Quando ebbe fiutato la ragazza l’animale si mosse ciondolante verso di lei studiandola con i suoi occhi neri e percorsi dalla stessa serena rassegnazione del suo padrone.
Sylvia guardò poco convinta la bestia accarezzandogli il muso grigio e il mantello lanuginoso. Guardando quella bestia così mal concia le fu inevitabile pensare a Joey e ai suoi occhi attenti ed intelligenti e una parte di lei cominciò a rimproverarle di non averlo preso quando le si era presentata l’occasione.
- Non posso permettertelo.-
Arthur si mise all’ingresso della scuderia deciso a farsi calpestare dal cavallo piuttosto che lasciar andare Sylvia da sola.
- Hai già fatto troppo per me e non posso chiederti di fare un altro miglio.-
La ragazza recuperò la sella e i finimenti del cavallo e cominciò a prepararlo per il viaggio non prestando orecchio all’uomo e alle sue obiezioni.
- Ho promesso a mia moglie che avrei avuto cura di te e che mi sarei accertato che non ti succedesse niente.-
- E lo hai fatto. Sei stato un compagno di viaggio eccezionale e mi dispiace di non poter ricambiare la gentilezza tua e di Amy, per non parlare della simpatia di Maggie.- Sylvia si allontanò dalla bestia e si avvicinò all’amico – Hai fatto tutto quello che potevi e anche di più, ma questo è il mio viaggio.-
Arthur guardò sconsolato la giovane e nei suoi occhi verde prateria vide ardere la consueta fiamma della determinazione.
- Dimmi una cosa Arthur, perché mi hai dato da mangiare e mi hai portato a casa tua? Quando le persone mi vedevano facevano attenzione a girarmi alla larga, mi consideravano alla stregua di un randagio e avrebbero digerito facilmente e velocemente il fatto di trovare un cadavere sul ciglio della strada. Perché tu ti sei impegnato così tanto per salvarmi la vita? Nemmeno mi conoscevi.-
L’uomo si accomodò su alcune cassette passandosi una mano tra i capelli fulvi.
- Ti consideravano un randagio.- l’uomo le sorrise malinconico – Pensavo che questa guerra avrebbe segnato la deriva della nostra società. È difficile guardare con ottimismo al domani quando la tua terra viene invasa e sei costretto a lottare per tenerti stretto quei diritti voluti da Dio per i suoi figli. È difficile pensare che il sole tornerò a splendere quando i cannoni sparano e rigurgitano nel cielo la loro nuvola nera di morte.
Quando i tedeschi hanno messo a ferro e fuoco il Belgio credevo che fosse la fine, che se il peggio aveva un fondo noi lo avevamo toccato. Ma quando ho visto il modo in cui quei soldati trattavano le persone, quando ho visto uomini calpestati e la loro dignità ridotta a quella di un verme.- Arthur fece una pausa e si asciugò furtivamente un occhio – Era quella la fine dell’umanità, la fine di tutto. Quando un uomo si erge sugli altri e li calpesta fino ad annullarli ecco che l’umanità intera muore.
Davanti a tutto questo viene voglia di bestemmiare, maledire o arrendersi. Queste soluzioni non mi piacevano così, con Amy, ho studiato nel mio piccolo un modo per arginare la distruzione dell’uomo.
La risposta era chiara quanto scontata: amore; l’unica forza in grado di annientare l’odio.
Amy ed io siamo convinti che non esistano francesi, inglesi, tedeschi o italiani, ma solo uomini: fratelli diversi da noi solo per la lingua.
Poi sei arrivata tu con la tua storia piena di dolore ma soprattutto di amore e di un coraggio tra i più puri che io abbia mai visto.-
L’uomo fece nuovamente una pausa e guardò la ragazza con ammirazione. Sylvia dal canto suo lo fissava con gli occhi umidi mentre lentamente quell’uomo, che per giorni aveva considerato solamente un amico, diventava ai suoi occhi un fratello.
- Tu guardi avanti, non ti volti indietro perché sai che farlo vuol dire perdere quella forza che ti ha fatto arrivare fino a qui.
Inizialmente ti ho salvato perché pensavo che fosse la cosa giusta da fare, ma poi mi sono impegnato per aiutarti perché avevo la certezza di fare la cosa giusta.-
Senza riflettere un momento di più Sylvia corse ad abbracciare Arthur dimenticando qualsiasi etichetta e senza domandarsi quanto fosse o meno conveniente stringere in quel modo un uomo sposato.
Non disse nulla e rimase in quell’abbraccio respirando l’odore di lavanda e sapone emanato dai panni dell’uomo.
- Grazie, di tutto.-
Detto ciò la ragazza tornò verso il cavallo e gli montò agilmente in sella stringendo saldamente le dita intorno alle redini.
- Addio.-
L’uomo spalancò la porta della stalla e si mise di lato.
- Addio e che Dio ti benedica.-
Un colpo di talloni e il cavallo partì al galoppo lasciandosi per sempre la fattoria alle spalle.
Con le parole di Arthur a riscaldarle il cuore Sylvia si lanciò al galoppo sulla strada guardando dritto avanti a sé. Davanti a lei vi erano pericoli e ignoto, alle sue spalle Arthur e la sua famiglia che apparivano, tra gli orrori della guerra, come un porto e un rifugio sicuro.
Ma chi ama non si può accontentare dei porti e questo Sylvia lo aveva imparato.
A fatica ingoiò il nodo che le serrava la gola e si asciugò gli occhi umidi spronando ancora la sua cavalcatura.

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Capitolo 18
*** 18. Azzardo ***


18. AZZARDO

Li aveva incontrarti lungo il cammino e quando quell’ufficiale britannico le aveva proposto di proseguire con loro non se lo era fatto ripetere due volte e si era accodata a quella carovana di scalcagnati.
Erano zingari, profughi, disertori e disperati alla ricerca di un posto non ancora sconvolto dalla guerra, si muovevano verso nord solo per raggiungere il paesino cresciuto intorno al monastero di Notre Dame de Cieli: il più grande convento della regione divenuto, in quell’autunno nero, un porto sicuro.
Come voleva il regolamento della carovana, Sylvia aveva dovuto mettere in comune le sue scorte di cibo ed acqua e anche il cavallo le era stato preso per essere usato come bestia da soma, cosa che non le era dispiaciuta più di tanto visto che come cavalcatura era alquanto penosa.
La presenza di quel cavallo aveva attirato intorno a lei uno stuolo di bambini curiosi ed eccitati che, esattamente come era successo al suo arrivo a Londra, la circondava perennemente con la speranza di poter montare su quell’animale così simile ai destrieri che accompagnavano gli eroi nelle loro imprese.

- Nevica.- Sylvia alzò gli occhi e fissò ipnotizzata la danza di quelle pagliuzze nere mentre scendevano dal cielo grigio.
- Questa neve mi fa sentire maggiormente nostalgia di casa.-
Il soldato che le camminava accanto si strinse nella giacca di lana ed estrasse dalla sua tascapane una borraccia di metallo.
- Sidro di mele.- l’uomo bevve un sorso e si leccò i baffi soddisfatto – Sarebbe meglio berlo caldo, ma anche così scalda a sufficienza.-
L’uomo porse la bottiglia alla ragazza che prese a sua volta più per il desiderio di sentire la gola e lo stomaco bruciare che per il piacere di sentire sulla lingua il sapore dell’alcol.
- Come siete riuscito a scappare ai tedeschi, maggiore Stewart?-
Il soldato si riappropriò della sua borraccia e ne trangugiò avidamente un altro sorso, quasi a voler annegare un pensiero o un ricordo.
- Sa miss Stone cosa ho imparato in questa guerra?- l’ufficiale ripose nella tascapane la sua preziosa bottiglietta e si aggiustò addosso il cappotto – Ho imparato che non esistono né caso nè tantomeno fortuna e che la differenza tra la vita e la morte, tra la libertà e la prigionia, si gioca in quel delicato momento in cui l’occasione incontra il talento.-
Jamie Stewart lanciò un’occhiata soddisfatta alla giovane che gli camminava accanto compiacendosi di non aver perso la sua loquacità e la sua rispettabilità. Certo, la prigionia lo aveva provato duramente, ma alla fine era riuscito a scappare e , anche se ferito, a far perdere le proprie tracce.
- Zoppicate più del solito, maggiore. Siete sicuro di non voler approfittare di Trick?-
Sylvia porse le redini del cavallo all’ufficiale che la squadrò risentito, come se quell’offerta l’avesse ferito nell’orgoglio.
- Lei si è unita alla nostra compagnia da pochi giorni, miss Stone, ma io viaggio con queste persone da una settimana oramai, senza contare i giorni passati a nascondermi nei boschi.-
Sylvia abbassò prontamente lo sguardo intuendo di aver in qualche modo violato la dignità di quell’ufficiale tutto d’un pezzo accanto a cui si sentiva sparire per via della sua statura imponente.
In altre occasioni Sylvia avrebbe volentieri fatto a meno della compagnia del maggiore, ma, essendo l’unico inglese presente nella carovana, non se l’era sentita di fare la schizzinosa e si era impegnata per farselo piacere almeno un po’.
Caratterialmente Jamie era l’esatto contrario di James, il che alimentava ulteriormente l’antipatia di Sylvia nei suoi confronti.
James era dolce e solare, mentre Jamie era ligio e i suoi occhi scrutavano tutto e tutti con un’austerità che veniva accentuata dalla sua statura. Se il capitano Nicholls sapeva dividersi tra il suo ruolo di ufficiale e quello di civile, il maggiore Stewart sembrava nato con l’uniforme e i suoi modi e il suo linguaggio riflettevano quelli di un uomo abituato a dare ordini e a farli rispettare.
- Perché sta andando a Notre Dame de Ciel, maggiore?-
Dopo alcuni minuti Sylvia si decise a rompere il silenzio che si era imposta come castigo per aver offeso l’orgoglio dell’uomo.
- Ho diverse motivazioni. Vorrei tornare il prima possibile in Inghilterra, ma raggiungere i nostri accampamenti a sud è troppo rischioso per cui spero che al monastero possano darmi una mano. In più è risaputo che davanti alla croce di nostro Signore nessuno osa alzare le armi né tantomeno ostacolare il cammino di chi è stato benedetto da Dio.- l’ufficiale ammiccò alla ragazza sfoderando un sorriso furbetto – Inoltre ho saputo che molti soldati inglesi sono ricoverati in quell’ospedale e spero di poter rivedere qualcuno della mia divisione, sarebbe un autentico miracolo.-
Sylvia sorrise all’idea del maggiore Stewart tra le barelle intento a portare saluti ai suoi commilitoni, ma vista la reazione che aveva scatenato la sua ultima osservazione preferì tenere per sé quel pensiero.
- A quale divisione appartenete?-
- 54° della cavalleria.-
Sylvia sentì il cuore saltarle in gola e si voltò sorpresa verso l’ufficiale.
- Avete detto 54° divisione della cavalleria?-
- L’ho detto.- Jamie guardò la ragazza con diffidenza pronto a rimetterla al suo posto nel caso avesse fatto un altro dei suoi irriverenti commenti.
- Il mio fidanzato apparteneva a quella divisione. Conoscete per caso il capitano Nicholls?- Questa volta fu il cuore del maggiore a perdere un colpo mentre il suo viso cominciò ad impallidire. James Nicholls, certo che conosceva quel nome e da quel che sapeva quel promettente ufficiale era rimasto ucciso durante l’attacco che lui stesso aveva ordinato sull’accampamento tedesco.
L’uomo si voltò verso la ragazza e i suoi occhi chiari incontrarono quelli verdi della ragazza che lo osservavano carichi di speranza. Cosa doveva dirgli?
- Lo conosco, anzi è un mio caro amico.-
Sylvia sentì il nodo alla gola allentarsi e, decisa a non farsi sfuggire l’occasione di avere dopo tanto tempo notizie certe, tornò alla carica ponendo altre domande.
- Ho ricevuto una lettera in cui mi veniva riferita la sua morte. Sembra che sia rimasto coinvolto in uno scontro nel corso del quale ha perso la vita. Ma non deve per forza essere così, giusto? Magari è solo disperso.-
- Sì, sì probabilmente è così.-
Ala fine lui, Jamie Stewart, uomo d’onore figlio di una lunga dinastia di ufficiali britannici aveva scelto di mentire a quella giovane senza domandarsi quali aspettative le sue bugie sarebbero andate ad alimentare, bugie che, alla resa dei conti, avrebbero ferito la giovane.
Cullando questi pensieri Jamie tornò a fissare la campagna innevata cominciando a tessere nella sua mente acuta una fitta rete di parole che non lo lasciassero irretito nella sua stessa menzogna.

Dopo un giorno di marcia, che a Sylvia era parsa un’eternità per la lentezza con cui il convoglio si muoveva, avevano trovato un campo di erbacce incorniciato da un piccolo boschetto e da un fiumiciattolo che scorreva pigro trascinando nel suo corso neve ghiacciata e foglie secche.
Sylvia si chinò sul torrente e si sciacquò abbondantemente il volto con le acque fredde rabbrividendo per le gocce che le scesero lungo il collo, i suoi occhi attenti scrutarono la campagna circostante così diversa da quella in cui era cresciuta e, a causa della guerra, ancora più aspra e ostile.
- La tua cena.- Jamie le si avvicinò alle spalle e porgendole una tazza di metallo piena di una poltiglia verdognola – Vieni vicino al fuoco o congelerai.-
Sylvia seguì obbediente l’ufficiale e si accoccolò sul suo zaino portandosi le ginocchia al petto e ancorando le sue piccole dita intorno al contenitore di metallo lasciando che il calore si diffondesse dalle mani al resto del corpo.
- Ho parlato con monsieur Malzieu, a suo dire dovrebbe mancare poco più di un giorno di marcia al convento.-
- Bene.- la ragazza si portò la tazza alle labbra cercando di ignorare l’odore stomachevole che emanava quella sottospecie di zuppa – Abbiamo quasi finito le provviste e penso che molte di queste persone non potrebbero sopportare un giorno di più di cammino.-
Jamie guardò sconsolato i suoi sventurati compagni di viaggio soffermandosi ad osservare un’anziana donna intenta a sorseggiare la sua cena e a cercare di calmare i tremori che le attraversavano il corpo.
- Nives mi pare ogni giorno più stanca.- l’uomo indicò alla sua compagna la signora – Questa guerra le ha portato via tutto: i figli, il marito, la casa; la vita è l’unica cosa che le è rimasta e, giorno dopo giorno, sembra sempre di più in procinto di abbandonarla.-
Sylvia guardò con preoccupazione la donna.
- Quando mi hanno chiamato per questa guerra- Jamie riprese la parola cambiando argomento – pensavo che sarebbe stata una cosa da poco, le truppe del Kaiser sembravano feroci quanto una tigre di carta pesta ed ero fermamente convinto che le cose si sarebbero risolte nel giro di poco. Invece guarda: dopo mesi di scontri ancora la vittoria non si decide a pendere da una o dall’altra parte e temo che rimarrà indecisa ancora a lungo.-
- Tutti hanno sottovalutato i tedeschi e come te molti speravano in una risoluzione rapida. Mi chiedo solo se, quando avremo vinto, ci ricorderemo di cosa abbiamo perso.-
Jamie guardò la ragazza senza capire cosa volesse dire, ma vedendo il suo volto farsi triste decise di mettere a tacere la propria curiosità e di dedicarsi nuovamente alla sua cena.
Un paio di uomini sfrecciarono accanto a loro e cominciarono ad affaccendarsi intorno ad un carro cercando di nascondere le poche provviste che erano rimaste.
- Cosa sta succedendo?- Sylvia si rivolse allarmata a Jamie che guardava con preoccupazione a quegli uomini certo di non potersi aspettare nulla di buono.
- Qualunque cosa succeda, resta vicino a me e, se le cose dovettero mettersi male, nasconditi nella foresta e corri.-
Sylvia annuì con il capo e senza attendere cominciò a radunare le sue poche cose. Aveva appena chiuso il suo zaino quando nella notte riecheggiò il rumore di alcune automobili che si avvicinavano di gran carriera alla carovana. Atterrita Sylvia si nascose dietro la figura slanciata del maggiore Stewart e da dietro il suo scudo umano osservò quattro soldati tedeschi mentre, con la loro consueta arroganza, si avvicinavano spavaldi ai fuochi del campo.
Monsieur Malizeu, il capo della carovana, si avvicinò ai soldati e scambiò alcune parole con loro cercando di convincerli di non avere niente di prezioso, ma questi non lo ascoltarono e con una spintonata lo fecero cadere nella neve.
- Achtung! Achtung!- un soldato si avvicinò ai profughi incrociando impettito le braccia dietro la schiena e squadrando i presenti con altezzosità e strafottenza – Dovete consegnarci immediatamente cibo, coperte e metalli. A chi non obbedirà verrà piantata una pallottola in fronte, sono stato chiaro?-
I tre soldati che lo accompagnavano si mossero verso il gruppo porgendo grandi sacchi e strappando dalle loro mani i recipienti di metallo senza appurare che fossero o meno vuoti. Senza che nessuno osasse obbiettare i tre soldati raccolsero un bel bottino lasciando alla carovana cibo a sufficienza a sfamare appena la metà di loro.
Come i loro compagni di viaggio anche Sylvia e Jamie diedero ai soldati quello che volevano senza protestare: Sylvia perché così vicina al suo obbiettivo non intendeva certo farsi sparare e Jamie perché, essendo un soldato britannico, temeva lo avrebbero fucilato se avessero scoperto chi era.
- Che cosa nascondi lì?- uno dei soldati strattonò con insistenza Nives che resisteva coraggiosamente stringendosi al petto un piccolo involto di stracci – Facci vedere vecchia strega! Subito!-
L’uomo fece cadere a terra la donna che rimase rannicchiata cercando di proteggere con il suo gracile corpo il suo tesoro.
- No, no!- Sylvia si lanciò verso l’anziana donna ma Jamie la trattenne per un braccio.
- Non è il momento di fare l’eroina, Sylvia. Stai buona.- Jamie strinse la presa intorno al braccio della ragazza cercando di riportarla dietro di sé.
Frattanto il soldato spazientito aveva cominciato a tirare in faccia alla donna neve e terra e, irritato dalla sua caparbietà, aveva messo mano alla pistola. Con un movimento fulmineo Sylvia si liberò dalla presa di Jamie e impastata una palla di neve e ghiaccio la lanciò contro il soldato centrandolo in pieno viso.
Furibondo il soldato si guardò intorno cercando chi avesse osato oltraggiarlo quando i suoi occhi azzurri e freddi come il ghiaccio si posarono su Sylvia che, dopo quell’atto tanto sconsiderato quanto coraggioso, era rimasta impietrita.
- Tu!- il soldato si avvicinò minaccioso alla ragazza puntandole contro la pistola – Cosa pensavi di fare? Me lo dici?-
Sylvia lanciò un’occhiata impaurita verso Jamie e sulle sue labbra riuscì a distinguere una sola parola: ‘scappa’.
Fulminea si voltò e cominciò a correre in direzione della foresta, ma non fece che pochi passi quando uno dei soldati le si parò davanti colpendola all’addome con il calcio del fucile.
Boccheggiando la ragazza cadde in ginocchio sulla neve tenendosi le mani sul ventre e cercando di ordinare i pensieri che le si accalcavano nella mente, il dolore le annebbiava a momenti la vista e guardandosi intorno la giovane riusciva a distinguere a malapena ombre ed echi lontani di ordini e suppliche. Era ancora a terra quando senti una mano scivolarle sotto il braccio e strattonarla con violenza costringendola a mettersi in piedi e a voltarsi verso l’ufficiale a cui aveva lanciato la palla di neve.
- Mein Herr, per favore lasciatela stare.- Malzieu e Jamie si erano avvicinati al tenente a capo dell’operazione – Non voleva mancarvi di rispetto. Risparmiatele la vita.-
L’uomo scrutò serio i due uomini e senza aggiungere una parola passò in mezzo a loro scostandoli dal suo cammino con una spallata. A passi lunghi raggiunse i due soldati che sostenevano Sylvia e con freddezza la guardò a lungo prima di ordinare ai due di lasciarla. Per un momento Sylvia cullò il pensiero di essere riuscita a salvarsi, ma non aveva ancora assaporato la gioia della libertà che tre proiettili la colpirono in pieno petto facendola cadere a terra e spruzzando la coltre di neve con macchie vermiglie.






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Capitolo 19
*** 19. Corsa ***


19. CORSA

- James.- Il ragazzo le sorrise chino su di lei, i suoi occhi chiari la guardavano sereno e una ciocca di capelli si ostinava a cadergli sul volto. Sylvia tese una mano verso quel viso a lungo sognato e seguì con il pollice la linea degli zigomi e delle guance mentre le lacrime cominciavano a rigarle il volto.
Nuovamente provò a parlare al suo capitano, ma le sue labbra si aprirono senza emettere alcun suono. In preda allo sconforto la ragazza provò ancora ed ancora senza tuttavia riuscire a pronunciare una sola parola. James frattanto si era fatto più vicino e, se solo si fosse sporta un po’ in avanti, avrebbe potuto baciarlo.
L’espressione serena del giovane aveva ceduto il passo alla preoccupazione e le sua bocca, inizialmente tesa in un sorriso, si muoveva articolando una sola parola: ‘resisti’.

- Resisti! Sylvia, Resisti!- Jamie si era inginocchiato accanto alla giovane e la scuoteva nel tentativo disperato di non farle perdere conoscenza. I tedeschi avevano da poco lasciato il campo abbandonando il corpo agonizzante di Sylvia in un bagno di neve e fango.
Una donna si era avvicinata alla ragazza e incurante del freddo della notte le aveva aperto il giaccone e la camicia scoprendole i fori aperti dai proiettili sul suo corpo. Rapida la guaritrice aveva preso una coperta e, dopo averne fatto pezze più piccole e aver versato della grappa sulle ferite della ragazza, aveva cominciato a tamponare il sangue nel tentativo di fermare l’emorragia.
- È molto debole, se non verrà operata subito morirà.-
La donna guardò preoccupata Jamie che non staccava gli occhi da Sylvia.
- Ti prego, ti prego salvala!-
Malzieu si avvicinò all’uomo tenendo per le redini un cavallo nero come la notte e dalla muscolatura possente.
- Il convento di Notre Dame de Ciel non è lontano. Con Thor dovreste raggiungerlo entro domani mattina.-
Jamie si voltò verso l’uomo guardandolo con gratitudine ed incredulità.
- Grazie.-
Facendosi aiutare da Malzieu sistemò Sylvia in sella a Thor e agilmente montò dietro di lei stringendo saldamente le redini del possente frisone.
- Non permettere che perda conoscenza, deve rimanere vigile o morirà.- la donna che aveva tamponato le ferite della ragazza si avvicinò a Jamie porgendogli una tascapane con un po’ di acqua e viveri, lo stretto necessario per impedire che svenisse durante la cavalcata che lo attendeva – Parlale, fa in modo che rimanga sveglia.-

Thor era davvero veloce e possente quanto il dio di cui portava il nome. La terra tremava sotto i suoi zoccoli e i venti gelidi dell’inverno sembravano non avere effetto su di lui che proseguiva impavido lungo la strada.
Con una mano Jamie stringeva a sé la ragazza per paura che scivolasse dalla sella, mentre con l’altra cercava di controllare l’irruenza di quel cavallo così diverso dal suo amato Topthorn.
Di tanto in tanto Sylvia si lamentava e rantoli di dolore che le uscivano dalla bocca facevano stringere sempre di più il cuore del povero maggiore.
- Non mi lasciare Sylvia, non adesso. Forza! Stai cercando il capitano Nicholls nel posto sbagliato, non è tra i morti, è vivo e ti sta aspettando. Coraggio.-
Jamie si morse il labbro e guardò sconsolato il cielo domandandosi come fosse arrivato su quella strada, in sella ad un frisone prestatogli da uno zingaro con una ragazza agonizzante tra le braccia a cui sussurrava parole cariche di speranza e dolcezza, parole che non aveva mai avuto nemmeno per i suoi amici più cari.
La notte procedeva al ritmo del galoppo di Thor e quando le mura del convento comparvero all’orizzonte il sole aveva appena cominciato a tingere di grigio il cielo.
- Ce l’abbiamo fatta Sylvia, ecco il convento. Coraggio, ancora poco e potrai riposare.-
Sylvia si lamentò appena mentre Jamie le cingeva i fianchi con un braccio e la faceva discendere da cavallo. Claudicante Jamie si avvicinò alla porta del monastero e batté violentemente il pungo contro il portone pregando che qualcuno accorresse presto ad aprirgli.
- Coraggio, aprite forza.- Jamie continuò a picchiare alla porta con foga sempre maggiore – Aiuto! Abbiamo bisogno di aiuto! Ho un ferito e mi occorre un dottore!-
Finalmente da oltre il massiccio portale cominciò a sentirsi un rumore di chiavistelli, il suono di una chiave in una serratura e di ingranaggi che si mettevano in movimento.
Una piccola suora fece capolino da oltre la porta e guardò intorno con timore e sospetto scrutando attentamente il forestiero che le stava dinnanzi.
- Aiuto, vi prego. Le hanno sparato e sta morendo.-
La suora si affacciò alla porta seguita da altre due sorelle che si sporsero incuriosite verso la giovane semi svenuta. La monaca scambiò un paio di parole con le sue compagne e si fece da parte permettendo a Jamie di entrare nella chiesa del convento.
Alzando gli occhi verso il soffitto della chiesa Jamie non poté trattenere la meraviglia davanti a quel capolavoro di architettura gotica: sopra di lui archi a sesto acuto si intrecciavano in una fitta rete, grandi vetrate coprivano quasi interamente le pareti della cattedrale proiettando sul terreno riflessi iridescenti simili a farfalle dai mille colori, infine, oltre l’altare maggiore, un grande rosone a raggiera disperdeva la sua luce per tutta la navata centrale facendola risplendere delle tonalità dell’alba e del meriggio.
Due uomini entrarono affannati da una porta laterale portando con sé un paio di valigette, uno di loro si avvicinò senza indugio a Jamie e lo aiutò a deporre Sylvia sul pavimento della chiesa.
- Che cosa è successo?-
Il medico cominciò a tastare il collo e il polso della giovane alla ricerca del battito.
- Le hanno sparato.-
- Da che distanza?-
- Tre, forse due metri. Vi prego salvatela.- Jamie cominciò a torturarsi le mani in preda all’agitazione.
Ignorando il disappunto delle suore il medico sbottonò la camicia della giovane scoprendo il rimedio provvisorio che la zingara aveva applicato sulle ferite di Sylvia.
- Ha perso molto, troppo sangue. Dobbiamo operarla subito.-
L’uomo si fece passare un braccio di Sylvia intorno al collo e, presala in braccio, la portò all’altare maggiore adagiandola sul piano di marmo.
- No! Non qui! Non si può, questa è la casa del Signore!- la badessa del convento si avvicinò all’altare proferendo segni della croce e manifestando apertamente la sua disapprovazione.
- Comprendo benissimo le vostre ragioni, sorella.- il medico rovesciò sull’altare alcuni strumenti e chiamò accanto a sé il collega perché lo assistesse – Ma questa ragazza morirà dissanguata prima di raggiungere la più vicina sala operatoria. Sono più che sicuro che a Nostro Signore non dispiacerà se usiamo la sua casa per salvare la vita di una persona.-
Jamie sorrise appena del modo in cui il medico aveva messo a tacere la suora e si accomodò in una delle panche massaggiandosi la gamba ferita.
- Sorelle, vi sarei grato se poteste accompagnare il nostro ospite in ospedale e mandare qualcuno a medicare le sue ferite. Inoltre mi serviranno antidolorifico, acqua e una più che generosa quantità di garze.-
Un paio di suore si avvicinarono a Jamie e, presolo per le braccia, lo scortarono fuori della chiesa ignorando la sua resistenza e i suoi sguardi preoccupati verso Sylvia e l’altare sui cui la stavano operando.

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Capitolo 20
*** 20. Racconti ***


20. RACCONTI

Jamie percorreva nervoso la corsia dell’ospedale chiedendo a tutti gli infermieri notizie di Sylvia senza tuttavia averne di certe. A metà mattina aveva girato già tre reparti senza trovare né la ragazza né il medico che l’aveva operata e parlare. Preso dalla disperazione aveva anche provato a rivolgersi ad alcune suore, ma il loro abito bianco e nero le rendeva un esercito di pinguini apparentemente tutti uguali.
Stava giusto visitando un ultimo reparto quando avvertì una presenza alle sue spalle, un’anima gentile e riservata che, se non fosse stato per la sua ambizione, non si sarebbe trovata ad arrancare zoppicante lungo i corridoi di quell’ospedale.
- Maggiore Stewart?-
Jamie si sentì gelare il sangue e lentamente si voltò incrociando gli occhi chiari e altrettanto sorpresi del capitano Nicholls.
- Capitano,…- l’uomo indietreggiò appena assumendo l’espressione che si avrebbe alla vista di un fantasma. - che cosa ci fa lei qui?-
James abbassò appena lo sguardo sulle gambe fasciate e mostrò appena il petto stretto in bende e garze.
- I tedeschi ci hanno provato a farmi fuori, ma noi del Devonshire siamo di tempra dura e alquanto difficile da abbattere.-
il giovane abbozzò un sorriso che si tramutò in una smorfia di dolore quando, inavvertitamente, appoggiò tutto il peso sulla gamba ferita.
- Sì, lo vedo bene.- Jamie guardò il suo commilitone constatando come quelle parole fossero vere tanto per lui quanto per la sua coraggiosa fidanzata.
- Cosa l’ha spinta quassù, maggiore? Quale missione avventata è venuto a propormi questa volta?-
James si appoggiò alla parete mettendosi in ascolto del suo superiore.
- Mi sembra di aver scorto una stanza vuota poco più indietro. Mi segua, seduti parleremo meglio.-
Jamie e James si spostarono in un piccolo salotto rimediato alla bene meglio lungo un corridoio. Entrambi i soldati si lasciarono cadere pesantemente sulle seggiole e per qualche minuto osservarono in silenzio il frenetico carosello di medici, infermiere, suore e pazienti che affollavano l’ospedale.
Jamie si sporse verso il suo compagno cercando di constatare quali danni avessero fatto la guerra e la convalescenza a quel giovane intelligente e d’animo nobile.
Per un attimo la sua espressione seria si distese in un sorriso quando un ricordo gli solleticò la memoria e, chiudendo appena gli occhi, rivide il giovane che gli sedeva accanto sorridergli sfacciatamente mentre, in sella al suo giovane baio, superava lui e Topthorn e andava a conquistare quel cerchio di raso blu facendolo scivolare lungo la lama della sua spada.
- Maggiore?- James si sporse verso l’uomo riportandolo nella corsia dell’ospedale – Sta bene?-
- Sì, non si preoccupi per me.- Jamie sorrise appena cercando il coraggio di raccontare al commilitone gli ultimi avvenimenti che lo avevano interessato.
- Non mi ha ancora detto come è finito in questo posto.- James si aggiustò sulla sua sedia guardando con crescente curiosità l’uomo che gli sedeva vicino.
- Dopo il nostro raid all’accampamento tedesco il nemico mi ha preso come prigioniero di guerra insieme ad altri nostri compagni d’armi. Sono stato loro ostaggio per mesi, origliando le loro conversazioni nel disperato tentativo di comprendere qualche notizia sull’andamento della guerra, ma invano. Poi una sera si è presentata un’occasione, non ho ben capito quale fosse il motivo, e francamente non ho perso tempo per appurarlo, ma l’accampamento era animato da una contagiosa agitazione e i soldati messi a picchetto davanti al nostro recinto avevano abbassato la guardia. Così quando si è presentato il momento favorevole sono riuscito a forzare i nostri vincoli, corde logore e strette in modo alquanto approssimativo, niente di impossibile da sciogliere, e con un gruppo dei nostri ci siamo lanciati tra le tende dell’accampamento alla volta della foresta . Tre di noi sono stati colpiti prima di raggiungere i primi alberi, gli altri sono caduti in seguito a causa delle ferite. Ho seppellito il corpo del tenente Armstrong due settimane fa, alla fine la polmonite ha avuto ragione di lui e lo ha stroncato.-
Jamie tacque per dare modo al suo compagno di assimilare tutte quelle informazioni e per lasciare che l’amaro, che quei ricordi gli avevano fatto salire in bocca, svanisse nuovamente. Inoltre si avvicinava sempre di più il momento in cui avrebbe dovuto parlare di Sylvia e del suo incidente e non sapere come il commilitone avrebbe reagito alla notizia lo rendeva alquanto inquieto.
- Mi dispiace molto maggiore.- James abbassò sinceramente dispiaciuto lo sguardo sulla benda che stringeva la coscia dell’uomo – Ciò che conta è che tutto sia andato per il meglio e che lei possa raggiungere i suoi cari per Natale. Non manca poi così tanto.-
James sorrise spensierato e anche Jamie cercò di imitarlo tirando la bocca in un sorriso poco convinto e assumendo un’espressione angosciata che non sfuggì agli occhi del giovane capitano.
- Maggiore? Ho forse detto qualcosa di sbagliato?-
- Temo di non averle ancora detto tutto, capitano.- Jamie trasse un profondo sospiro e guardò gli occhi chiari di James fissi su di lui in attesa di parole e spiegazioni.
- Dopo aver sepolto il tenente mi sono unito ad una carovana di zingari e profughi diretti qui al convento e, tra quelle persone, ho incontrato la sua fidanzata: Sylvia Stone.-

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Capitolo 21
*** 21. Ricerca ***


21. RICERCA

James accolse con un sorriso la notizia, ma più Jamie continuava nel suo racconto più l’espressione del capitano diventava angosciata culminando, quando il maggiore terminò il suo racconto, in una corsa verso la più vicina stanza dei medici alla ricerca della sua fidanzata.
- Capitano Nicholls!-
Jamie si lanciò all’inseguimento del giovane stupendosi di come, malgrado ferito e claudicante, riuscisse a sostenere un’andatura così sostenuta.
James si aggrappò allo stipite di una porta e con il fiato corto si affacciò all’interno di una piccola stanza destando l’attenzione e la preoccupazione dei medici lì riuniti.
- Sylvia Stone.- tra gli affanni della corsa e dell’angoscia il ragazzo riuscì a pronunciare quel nome ripetendolo con maggiore fermezza, giusto per fare intendere ai dottori che non si trattava di deliri causati dalla febbre – Sylvia Stone.-
Uno dei medici si alzò e si sporse sul corridoio certo di veder sopraggiungere, dietro al soldato che gli stava dinnanzi, l’infermiera a cui era momentaneamente scappato.
- Sylvia Stone.- per la terza volta il giovane disse il nome delle ragazza guardando con occhi pieni di aspettative l’uomo – Dove si trova? Sta bene? È fuori pericolo?-
Il medico cominciò a parlottare in francese con i suoi colleghi mettendo a dura prova il sistema nervoso di James. Frattanto anche Jamie aveva raggiunto la stanza e boccheggiante e dolorante assisteva alla scena cercando di capire cosa stesse succedendo.
- Capitano, dubito che questi gentiluomini parlino inglese. Se volete posso tradurre io per voi.-
James si fece di lato e lasciò che il maggiore scambiasse qualche parole con i medici. Dopo circa dieci minuti di parole incomprensibili Jamie si voltò nuovamente verso il suo compagno.
- Non ne sanno niente.-
James chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro dando fondo a tutta la calma di cui era capace.
- Dieci minuti di chiacchiere per poi dirmi che non sanno dove si trova Sylvia?- il giovane si passò una mano sulla fronte cercando di nascondere o per lo meno quietare l’irritazione che lo stava lentamente conquistando - Potrebbero, questi galantuomini, almeno dirle dove possiamo trovarla?-
Jamie riprese la sua conversazione che, per non pesare ulteriormente sui nervi del povero capitano, fu ridotta al minimo.
- Dicono che è stata operata dal dottor Joyce che era di turno la scorsa notte. Siamo fortunati, il dottor Joyce è inglese e, per di più, un vecchio amico di famiglia nonché rinomato medico dell’esercito britannico.- - Strano, non ne ho mai sentito parlare.- James seguì docilmente il maggiore allontanandosi lungo la corsia sotto lo sguardo disorientato del medico.
- Lei è giovane capitano e, anche se ha davanti a sé una promettente carriera, sono ancora molte le cose che deve imparare e le persone che deve conoscere.

Trovarono il dottor Joyce nell’ala dell’ospedale adibita a dormitori per i medici e gli infermieri che gravitavano lì intorno e, dopo nemmeno quindici minuti, James era in una stanza semi illuminata davanti al capezzale di Sylvia che dormiva beata impegnata in uno dei suoi sogni.
- Che cosa le è successo?-
James si voltò verso il medico e l’ufficiale guardandoli disorientato e sull’orlo delle lacrime.
- Le hanno sparato, tre proiettili in pieno petto: due le hanno perforato il polmone destro mentre il terzo per poco non le ha reciso l’aorta. È un miracolo che non sia morta dissanguata lungo il tragitto.-
James impallidì e si appoggiò al letto della ragazza incapace di digerire quella notizia che gli si era piantata sullo stomaco e sul cuore come un macigno.
- Cosa?-
- È fuori pericolo, se non fosse stato per il maggiore Stewart sarebbe certamente morta.-
Il giovane guardò l’ufficiale con gratitudine prima di tornare a fissare la ragazza addormentata.
- Se è fuori pericolo, perché non si è ancora svegliata?-
- L’operazione è stata complicata e ha perso parecchio sangue. Le abbiamo fatto un paio di trasfusioni, ma il suo corpo deve ancora riprendersi.- il medico si avvicinò al giovane appoggiandogli cautamente una mano sulla spalle nel tentativo di calmarlo – Dopo un intervento del genere è normale che il paziente dorma per un giorno, un giorno e mezzo.-
James guardò poco convinto il medico che gli sorrise sfoderando la sua espressione più rassicurante.

- Su una cosa aveva ragione: voi del Devonshire siete fatti di una tempra speciale.-
Jamie abbassò la sua tazza di tè e guardò fuori dalla finestra il paesaggio innevato lasciando che gli occhi si rilassassero su quella campagna ammantata di bianco.
- Sylvia è una ragazza speciale.- James mescolò il suo tè sovrappensiero guardandosi intorno nervoso – È diversa da tutte le altre: selvatica come una volpe e cocciuta come un somaro, ma anche coraggiosa, leale e forte come il mare in tempesta.-
- Da quanto tempo siete fidanzati?-
- Quattro anni.-
- E non l’ha ancora sposata?- Jamie guardò stupito il giovane che gli sedeva davanti, nemmeno lui era sposato, ma la sua era stata una scelta consapevole e, a chi glielo domandava, lui rispondeva di essere spostato con l’Inghilterra – Spero vivamente che provvederete a farlo al suo rientro in Inghilterra.-
- Se mai torneremo.-
Il giovane scosse mestamente il capo e si portò la tazzina alla bocca bevendone un lungo sorso.
- Il dottor Joyce ha detto che è ormai è fuori pericolo, anche se non si è ancora svegliata la vostra fidanzata vivrà e, con un po’ di fortuna, potrete rientrare a casa per le feste.-
- Sarebbe un bel regalo di Natale, questo è certo.-
- E lo sarà.- Jamie sorrise e si allungò sulla sedia sgranchendosi gli arti indolenziti – Non sia così pensieroso, capitano, tutto andrà per il meglio.-

Sylvia fissò disorientata il soffitto sopra la sua testa cercando di capire dove si trovasse e come fosse arrivata in quel letto che cigolava lamentandosi ad ogni suo movimento. Cautamente puntellò i gomiti e si mise a sedere appoggiandosi alla spalliera di metallo e osservando frastornata la flebo che le era stata attaccata al braccio e quella vestaglia leggera che le copriva le ferite sul petto. Lentamente i ricordi cominciarono ad affiorare nella sua mente confusa, i tasselli cominciarono a disporsi con ordine davanti ai suoi occhi e, sforzandosi un po’, la ragazza riuscì a completare il mosaico e a ricordare tutto nitidamente.
- Buon pomeriggio.-
Una suora fece timidamente capolino sulla porta e appoggiò su una sedia degli abiti puliti insieme a degli asciugamani.
Sylvia si mise a sedere sul letto e la guardò con sospetto indecisa se soffocarla di domande o attendere che lei per prima le desse qualche risposta.
- Il dottor Joyce verrà a visitarla tra poco, sarà molto contento di vederla già sveglia.- la donna sorrise e si avvicinò a Sylvia cominciando ad armeggiare con la flebo.
- Quando ho dormito?-
- Quasi due giorni.-
- Così tanto?-
Sylvia sgranò gli occhi rammaricandosi per aver sprecato tutto quel tempo.
- Chi mi ha portato qui? E, soprattutto, dov’è qui?-
La suora le sorrise nuovamente e le si sedette accanto accarezzandole le mani nel tentativo di calmarla.
- Non ricorda? Quell’ufficiale, il maggiore Stewart, è stato lui ha portarla a Notre Dame de Ciel.-
- Notre Dame de Ciel.- Sylvia ricadde all’indietro appoggiandosi nuovamente alla spalliera – Ce l’ho fatta, alla fine ci sono arrivata.-
- Sì, il suo fidanzato è stato davvero coraggioso.-
- Il mio fidanzato? Ha visto il capitano Nicholls? Come sta?- la giovane si riaccese di entusiasmo e guardò speranzosa la donna.
- Io mi riferivo al maggiore.- la suora guardò stupita e imbarazzata la ragazza – Pensavo fosse il suo fidanzato, doveva vedere che sguardi apprensivi le lanciava e quanto era in pena per lei.-
- Il maggiore Stewart è solo un amico.- Sylvia si stese nuovamente stringendo le dita intorno alle lenzuola e cercando di calmare il suo cuore eccitato dalla falsa promessa di poter rivedere il suo capitano – Gentilmente, potrebbe mandarlo a chiamare? Vorrei ringraziarlo per quello che ha fatto.-
- Vedrò cosa posso fare.- la suora finì di sistemare alcune cose nella piccola stanza per poi incamminarsi verso la porta – Le mando il dottor Joyce per la visita.-
- Va bene, grazie.-
No, non andava bene. Non voleva il dottor Joyce, non voleva nemmeno il maggiore Stewart. Voleva James, voleva vedere il suo volto, sentire la sua voce e accarezzare le sue guance. In preda allo sconforto Sylvia scivolò nuovamente sotto le coperte e, nascosta dalle lenzuola, si abbandonò in un lungo e straziante pianto che le faceva alzare ed abbassare il petto e tirare i punti che le chiudevano le ferite.

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Capitolo 22
*** 22. Ritrovarsi ***


22. RITROVARSI

- Si è svegliata.-
James abbassò il libro che stava leggendo e guardò confuso l’uomo che gli era dinnanzi.
- Sylvia si è svegliata e ha chiesto di vedermi.-
James si mise a sedere e invitò Jamie a prendere posto sul letto accanto a sé.
- Non ha chiesto di me?- una nota di delusione e amarezza si era dipinta sul volto del giovane che guardò sconsolato il suo superiore.
- Immagino che nemmeno sappia di lei.- Jamie si alzò e si sistemò con un movimento rapido quanto plateale la camicia del pigiama. – Pensi che sorpresa sarebbe per quella ragazza se, invece del maggiore Stewart, vedesse entrare nella sua stanza il capitano Nicholls.-
L’uomo si allontanò dal letto del giovane facendogli l’occhiolino, gesto a cui James rispose con un timido sorriso.

Sdraiata su un fianco Sylvia osservava la neve cadere pigramente dal cielo e coprire alberi, tetti, fontane e campi con il suo mantello freddo ed immacolato. I suoi occhi guardavano sconfortati le strade che si allontanavano dal convento e dall’ospedale cercando di indovinare su quale la sua ricerca l’avrebbe presto portata. Andare a nord era impensabile così come muoversi verso est: troppi tedeschi e, ammesso e non concesso che James fosse sopravvissuto, non si sarebbe mai addentrato da solo e ferito in territorio nemico; la cosa migliore era andare verso ovest o scendere a sud. La ragazza si sistemò sul materasso e nel farlo i punti delle ferite le tirarono facendole digrignare i denti. Con delicatezza si passò una mano sulle tre ferite e le sfiorò quasi a voler rabbonire il dolore. Nuovamente tornò a fissare fuori dalla finestra e a progettare la prossima tappa di quel viaggio che, sdraiata sofferente e debole in quel letto d’ospedale, le sembrava interminabile. Dopo tanto tornò ad accarezzare il pensiero di tornare a casa e, come sempre, il suo cuore cominciò a scalpitare protestando contro quell’idea che si infiltrava strisciando nella sua mente. Per la seconda volta nel giro di poco era arrivata ad un passo dal lasciarci le penne e per la seconda volta la Provvidenza le aveva inviato un angelo per salvarle la vita. Poteva morire, poteva già essere morta e a quel pensiero un brivido percorse il suo corpo costringendola ad accoccolarsi maggiormente sotto la ruvida coperta di lana. Quella partita con il destino era durata fin troppo e, se James era vivo, avrebbe dovuto trovare un altro modo per tornare da lui. Che senso avrebbe avuto il suo viaggio se, alla fine, si fosse trovata davanti ad una tomba con su scritto il suo nome invece di quello del fidanzato?
Qualcuno bussò timidamente alla porta distraendola per un attimo dai suoi pensieri. Strano, non ricordava che il dottor Joyce avesse chiuso la porta dopo la visita e, se anche così non fosse stato, non aspettava nessuno.
- Avanti.-
La ragazza rispose senza distogliere gli occhi dal panorama ignorando deliberatamente il proprio ospite, ma, anche dopo diversi secondi nella stanza non si udiva altro rumore all’infuori del suo respiro e del gocciolare del lavandino.
- Ho detto avanti.-
Scocciata la ragazza si voltò mettendosi a sedere e, quando alzò lo sguardo verso la porta, sentì il fiato morirle in gola. James era fermo poco oltre la soglia e la guardava con dolcezza e quell’aspettativa tipica di chi ha a lungo atteso di rivedere la persona amata.
Sylvia gettò via le coperte e si mise accanto al letto e, cautamente, si mosse verso il capitano che continuava a guardarla silenzioso, come tutte le volte in cui era apparso in sogno alla giovane. E come in un sogno Sylvia gli si avvicinò, leggera e silenziosa, quasi temesse che, al primo scricchiolio del pavimento, il suo capitano svanisse come aveva già fatto tante volte nei suoi incubi.
Quando fu a poca distanza da lui Sylvia allungò una mano verso la sua guancia e tra le lacrime seguì la linea che la bocca di James, tesa in un sorriso di pura gioia, disegnava sul suo volto.
- Sei tu.-
La ragazza si gettò al collo del giovane che la accolse stringendola a sé con gentile passione cominciando ad accarezzarle i capelli e a baciare via le lacrime dal volto della fidanzata.
- Sono io.-
Sylvia lo abbracciò a sua volta con la stessa forza con cui aveva cercato di trattenerlo il giorno della sua partenza per la guerra e, ora come allora, cominciò a singhiozzare.
Divertito James le sollevò il viso specchiandosi in quegli occhi verdi a lungo sognati e, con la sua consueta espressione furba, cominciò ad accarezzarle le guance nel tentativo di placare il suo pianto.
- Non pensavo che rivedermi ti avrebbe fatto così male.-
Sylvia si allontanò appena da lui cercando tra le lacrime di sorridergli e di ridarsi un contegno.
- Smettila.- la ragazza tirò su con il naso e si asciugò gli occhi con la manica della camicia da notte – Cominciavo a pensare che non ti avrei mai più rivisto.-
James la ritirò verso di sé.
- Invece sono qui ed ora in avanti non ti lascerò più sola.-
Sylvia alzò lo sguardo verso il giovane che le sorrise con la sua solita spensieratezza.
- Non vorrei mai che ti buttassi nuovamente in una pazzia come questa.- lo sguardo del giovane si rabbuiò e la sua espressione divenne seria – Perché sai che hai commesso una pazzia, vero?-
- Sì.-
James guardò la ragazza con un misto di biasimo e orgoglio. Selvatica come una volpe e cocciuta come un somaro, ma anche coraggiosa, leale e forte come il mare in tempesta, erano queste le parole che aveva usato con il maggiore Stewart per descrivere Sylvia e ora, vedendola in piedi davanti a lui, non riusciva a trovare altri termini che per spiegare chi fosse Sylvia.
-Siamo arrivati lontani, ma ora è arrivato il momento di tornare a casa.-

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Capitolo 23
*** 23. Nuovi inizi ***


23. NUOVI INIZI

Sylvia si abbandonò sulla sedia reclinando il capo all’indietro e stiracchiandosi gli arti intorpiditi. James entrò in quel momento e le arrivò furtivo alle spalle spiando il suo lavoro nel tentativo di raccogliere qualche indizio. Da quando Sylvia aveva saputo di essere incinta si era chiusa in una stanza e, salvo che per i pasti e le visite occasionali, non era più uscita né aveva rivolto una sola parola al marito che ora, dopo tre giorni, cominciava ad essere seriamente preoccupato.
- È finito.- la giovane si voltò verso James e indicò soddisfatta una pila di fogli accanto alla macchina da scrivere – Ordinare nomi, luoghi ed eventi è stata dura, ma penso di aver inserito tutto e tutti.-
Sylvia si voltò verso James che continuava a fissare i fogli non certo di aver capito a cosa la ragazza si riferisse.
- Scusa se non ti ho rivolto la parola per giorni, ma avevo paura che, quando il piccolo sarà nato, non avrei più avuto tempo a sufficienza per finirlo.-
- Finire cosa?-
James prese tra le mani la pila di fogli e la rigirò leggendo, al centro della prima pagina, sei parole in caratteri maiuscoli:

‘IL CAVALLO, IL SOLDATO E LA RAGAZZA’

- E questo cosa sarebbe?-
Il giovane cominciò a sfogliare incuriosito il lavoro della moglie soffermandosi di tanto in tanto a leggere qualche riga.
- È il racconto del nostro viaggio in Europa, ci tenevo a trascriverlo prima che il bambino e la mia corta memoria cancellino i ricordi. Sarebbe stato un vero peccato.-
La ragazza accarezzò l’ultimo foglio ancora incastrato nella macchina da scrivere e si lasciò scappare un sorriso.
- E adesso che ne farai?- James si appoggiò alla scrivania e rimise in ordine i fogli risistemandoli accanto alla macchina da scrivere – Che cosa ne sarà della nostra storia?-
- Questa copia è per Maggie: la figlia di Arthur e Amy.- Sylvia si alzò dalla sedia e andò a prendere due tazze di tè – Prima di salutarli ho promesso alla bambina che le avrei fatto sapere come andava a finire la mia favola triste e, dopo tutto quello che hanno fatto per me, mi sembrava assai scortese non mantenere la parola data.-
James appoggiò accanto a sé la tazzina che la moglie gli aveva portato e strinse a sé la giovane donna sfiorandole delicatamente il ventre dove, silenzioso ed indisturbato, stava crescendo suo figlio.
- Vorrei leggere la tua storia, pensi di poterne fare una copia anche per me?-
Sylvia si liberò dall’abbraccio del marito e volteggiò per la stanza fino alla libreria da cui prese una cartellina di pelle rossa.
- Volevo farti una sorpresa, ma visto che insisti ecco: questa copia è per te.-
Il giovane prese tra le mani la copertina e la aprì accarezzando le pagine scritte dalla ragazza.
- Me lo leggeresti? Letto da te sono sicuro che fa tutto un altro effetto.-
Sylvia prese il libro dalle mani del marito e, prendendolo per mano, lo condusse in veranda. L’aria stava cambiando e i freddi venti invernali si stavano trasformando in una frizzante brezza primaverile.
Placidamente il sole cominciava a sparire oltre le colline del Devonshire e, come ultimo tributo a quel primo giorno di primavera, colorava di rosso, arancione e oro il cielo e i pendii erbosi.
Sylvia si sedette su una panca mentre James si stese accanto a lei appoggiandole il capo sulle gambe, i suoi occhi chiari erano simili a quelli di un bambino fremente di attesa, impaziente di sentir raccontare una storia e guardavano Sylvia con attenzione e curiosità.
Sylvia gli accarezzò i capelli chiari sorridendogli e, presa tra le mani la copertina di pelle, cominciò a leggere:

‘15 AGOSTO 1914

James prese ancora una volta la busta tra le mani accarezzando con delicatezza il sigillo di ceralacca con impresso lo stemma dell’impero britannico, i suoi occhi chiari si spostarono sulla ragazza che gli sedeva di fronte e lo guardava apprensiva, rassegnata ad affrontare l’inevitabile. La notizia era arrivata la settimana prima travolgendo come un’onda le loro vite: l’invasione tedesca del Belgio non aveva lasciato scelta e l’Inghilterra era scesa in guerra contro l’Impero tedesco. ...’

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Capitolo 24
*** 24. Una storia da raccontare ***


24. UNA STORIA DA RACCONTARE

La stanza delle curiosità era senza dubbio la più bella della grande casa di zia Maggie e, anche se sua madre insisteva perché non passasse così tanto tempo tra quelle chincaglierie da bazar di Tunisi, Janet non poteva resistere e ogni volta che poteva sgattaiolava all’interno della camere e cominciava a frugare tra gli armadi e i bauli ammassati alla rinfusa tra i due letti, la specchiera e i pochi mobili che arredavano quella vecchia stanza.
Era impegnata nell’ennesima esplorazione quando, da un cassetto chiuso male, la bambina vide spuntare un oggetto in pelle che non aveva mai visto prima. Incuriosita provò a forzare il cassetto che, dopo parecchi tira e molla, si aprì permettendo a Janet di mettere le mani su quella copertina di belle marrone su cui, tanti anni prima, qualcuno aveva inciso delle parole che il tempo aveva provveduto a sbiadire fino a renderle illeggibili. In preda all’eccitazione la ragazza prese il manoscritto e si distese su uno dei tanti materassi cominciando a sfogliare quelle pagine ingiallite che profumavano di vecchio e di avventure.
- Cosa stai facendo qui?-
Janet si voltò di scatto e i suoi occhi verdi incontrarono quelli azzurro cielo della vecchia zia. Imbarazzata per essere stata scoperta la bambina si alzò stringendo al petto la copertina di pelle e le pagine in essa custodite.
- Leggevo.-
- Se tua madre ti trova qui passeremo entrambe dei guai, lo sai vero?- Maggie cercò di assumere il tono più serio di cui era capace ma, guardando quella ragazzina così simile alla Maggie di tanti anni fa, non poté che provare tenerezza e sorriderle.
- Per questa volta non diremo niente a Julia. Sarà il nostro piccolo segreto, va bene?- la donna si chinò in avanti e ammiccò alla nipote facendole capire di essere sua complice.
- Croce sul cuore?- la ragazza scrutò con diffidenza la zia stringendosi con maggior fermezza il manoscritto al petto e cominciando a gongolare leggermente. - Croce sul cuore.- Maggie rise e diede un bacio sulla guancia della bambina – Ora, cosa hai trovato questa volta? Quale tesoro sei riuscita a portare alla luce?-
La donna si lasciò cadere su un materasso e allungò le mani verso l’oggetto che la piccola aveva trovato.
- Penso sia un libro, ma non riesco a leggerne il titolo.- la ragazza andò a sedersi accanto alla zia e le mise in grembo la copertina tamburellando con le dita sulla superficie di pelle levigata – Tu sai che tipo di storia è?-
Janet guardò la donna sperando di riuscire a strapparle una di quelle storie che, fin da quando era piccola, avevano stuzzicato la sua immaginazione portandola in tempi lontani e così diversi dalla sua quotidianità.
- Ma tu guarda, temevo di averlo perso.- Maggie prese tra le mani il fascicolo e cominciò a sfogliarlo annusando quelle pagine ingiallite dal tempo e accarezzandone con delicatezza la carta ruvida su cui risaltavano, ben visibili dopo tanti anni, i caratteri impressi da una macchina da scrivere. L’anziana donna sorrise nostalgica e una lacrima corse furtiva giù dai suoi occhi azzurro cielo sfiorandole la guancia.
- È un libro? Che storia racconta?- Janet scosse con insistenza il braccio della zia guardandola con occhi vispi e curiosi – Lo possiamo leggere?-
- Non lo so.- Maggie sorrise alla nipotina asciugandosi furtivamente le lacrime – Solo le bambine coraggiose possono leggere questo tipo di storie. Tu sei una bambina coraggiosa?-
- Certo!- Janet si sistemò sul materasso assumendo una postura impettita e fiera – Ho quasi undici anni e non ho paura di niente. Sono anni ormai che dormo con la porta chiusa e la luce spenta e nemmeno i ragni mi spaventano più.-
Maggie accarezzò il volto della nipote scostandole alcuni boccoli biondi che si ostinavano a ricaderle sul viso.
- Lo so piccola mia, tu sei la bambina coraggiosa che io abbia mai conosciuto. Tuttavia questa storia non parla di mostri sotto al letto o di ragni, ma di qualcosa di molto, molto peggio. Sei sicura di voler ascoltare questa favola triste?-
La bambina ascoltò la donna valutando attentamente la sua offerta. Quali terribili cose poteva mai raccontare un libro divorato dalla polvere e abbandonato per anni in un cassetto?
Janet fissò i suoi occhi verde smeraldo in quelli della zia e annuì con decisione agitando i boccoli biondi.
- Molto bene allora.- Maggie aprì il libro e cominciò a leggere – Il titolo di questa storia è: ‘ Il cavallo, il soldato e la ragazza.’-
Ancora una volta nell’aria risuonarono i nomi di Sylvia e James, le loro avventure e il loro amore impavido ed indomito divenivano nuovamente materia di favole e fantasie che avrebbero nutrito per molto tempo la mente di Janet donandole sogni e storie con cui riempire i propri pomeriggi di gioco e le lunghe sere invernali.


FINE

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