Il cilindro 1
IL CILINDRO
Cap. 1 – Basildon
- Frocio! Femminuccia!
- Finocchio! Ti piace vestirti da donna eh?
- Succhiamelo, gay di merda!
Insulti
pesanti impregnano l’aria di cattiveria e bullismo; alle urla si
accompagnano gemiti di dolore e suoni sordi di mani che colpiscono le
morbide guance di un adolescente.
Non
voglio avere nulla a che fare con quello che sta accadendo; qui a
Basildon, Essex, c’è una regola che è fondamentale
imparare, se si vuole sopravvivere: se una cosa non ti riguarda, stanne
fuori. O saranno guai.
Le
grida cominciano a farsi più forti, la rissa è
inevitabilmente vicina. Il rumore di una sedia schiantata a terra, ed
ecco, inizia l’apocalisse.
- Stronzo!
- Ehi puttanella, ti piace farti picchiare?
Amo
definirmi un duro, cuore di pietra, uno impassibile che non ha paura di
nulla. Ma questa è solo una maschera, una piccola parte della
mia personalità; sentendo quel trambusto la parte più
sensibile e recondita del mio animo scalpita per capire che cosa sia la
fonte di tutto quel casino.
Giro
appena la testa, quel tanto che mi basta per sbirciare senza dare
nell’occhio. Cinque o sei ragazzi, grandi in tutti i sensi, sono
ammassati sul pavimento, e colpiscono alla cieca un bersaglio non
meglio identificato. Dopo qualche minuto di botte ed urla belliche la
sudicia tenda rossa dietro il bancone si scosta, rivelando
l’imponente figura di Ouer.
Ouer
è il padrone del pub; un omone ‘alto due metri e venti e
largo come un armadio a due ante’, tatuato dalla testa ai piedi.
Incrocia le braccia muscolose, dalla circonferenza pari a quella del
fusto di un albero, e fissa minaccioso la massa umana riversa sul
pavimento di piastrelle del Moon’s.
-
Allora, che stiamo facendo qua? Vi voglio tutti fuori nel giro di tre
secondi. Uno – comincia a contare sulle dita. – Due…
Inutile
dire che all’ “uno” i teppisti erano già
schizzati fuori dal locale. Ouer si china su quello che dovrebbe essere
un ragazzo, spalmato a terra, totalmente inerte; lo solleva per un
braccio e lo fa sedere al tavolo vicino al mio.
-
Ehi, forza, ti offro una birra e vedrai che ti riprendi. – Il
barista squadra il malcapitato e aggiunge: – Ma per l’amor
di dio, se proprio devi vestirti da donna, vedi almeno di non
frequentare posti del genere!
L’attenzione
generale, dopo quest’affermazione, cala notevolmente, ed ognuno
riprende a farsi i fatti propri. Anche io, seguendo la massa, faccio
per tornare alla mia pinta di birra, quando sento la voce di Ouer
urlare il mio nome.
- Ehi, Dave, dai una mano al nostro amico che non si regge in piedi. Evidentemente non è un tipo da risse, come qualcun altro- mi lancia un sorriso sbilenco. – Quando finisce di bere fatti dire dove abita e accompagnalo a casa.
- Io cosa ci guadagno?
- Se torni senza di lui, una birra gratis – risponde ridendo.
Finalmente
ho il coraggio di guardare il ragazzo dritto in faccia: i capelli sono
biondi, ricci, e gli contornano il viso dandogli un’aria da putto
del Giudizio Universale. Ha un bel viso; i tratti delicati, gentili,
dolci, sono stati però devastati dalle botte: croste di sangue
ed ematomi viola lo sfigurano totalmente. Alza lo sguardo verso di me,
un grande paio di occhi grigio-azzurri, entrambi definiti da un pesante
strato di eyeliner nero, ed entrambi neri e gonfi.
-
Che…è successo? – domanda con un filo di voce,
socchiudendo appena le labbra tinte di un acceso rosso ciliegia.
“Fantastico”, penso. – Hai preso un paio di cazzotti, amico. Forse è meglio che ti accompagni a casa.
- No… Posso farcela… da solo.
Stringe
la spalliera della sedia così tanto da farsi venire le nocche
bianche come il latte; si alza, e per un paio di secondi resta dritto
in piedi, trionfante per essere riuscito ad alzarsi senza bisogno di
aiuto. Poi, di colpo, crolla al suolo. Faccio appena in tempo ad
afferrarlo per la gonna e ad attirarlo a me.
- Certo, amico, ce la fai di sicuro. Avanti, dove abiti? Ho una macchina, in cinque minuti sei a casa, se siamo fortunati.
- Abito… vicino al Roundacre…
- Perfetto. Ok, dai, appoggiati a me. La macchina è proprio qua davanti.
Si
abbandona del tutto a me; sorreggendolo, lo trascino lentamente fino
alla Simca 1000 azzurra rimediata da un amico meccanico. Gli apro la
portiera e lo appoggio sul sedile.
Viaggiamo in silenzio; intono tra me e me un motivetto dei Cure.
“Walk across the garden In the footsteps of my shadow See the lights out No-one’s home”.
Dopo qualche minuto arriviamo al Roundacre. Fermo la macchina.
- Qui va bene?
- Sì… Perfetto. Allora… Grazie, Dave.
Si
sporge verso di me e mi butta le braccia al collo. Io ricambio con
qualche amichevole pacca sulle spalle: non amo gli abbracci,
figuriamoci da parte di un tizio truccato e vestito da donna!
- Tranquillo… com’è che ti chiami?
- Martin.
Lo guardo per un po’; ma dove l’ho già visto questo qua?
- Senti, ma tu per caso sei un musicista, o cose del genere?
- Sì… Suono la chitarra… Esibizioni al Round…
-
Ecco dove ti ho già visto! – esclamo trionfante. –
Allora magari ci becchiamo lì qualche volta; sai, io canto.
- Si sente… Bella voce…
Martin comincia a tossire, e sputa un po’ di sangue.
- Vai a casa, dai, che sei messo maluccio. Prima rissa, eh?
Annuisce timidamente. Gli do un buffetto sulla spalla.
- Allora ciao, Mart. A presto.
Scende
dalla macchina, e barcollando entra in una porta rosa tutta scrostata.
Sulla soglia si gira e mi fa un cenno di saluto. Rispondo, e riparto
con una sgommata, dritto verso la mia birra gratis al Moon’s.
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