Vanko's Way

di MrMurkrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nulla E' Per Sempre ***
Capitolo 2: *** La Donna Dalla Pelle Blu ***
Capitolo 3: *** Aiuto Dalle Ombre Del Passato ***
Capitolo 4: *** La Lunga Notte Dell'Ispettore Merlo ***



Capitolo 1
*** Nulla E' Per Sempre ***


Capitolo 1: Nulla E’ Per Sempre



 
 
New Beginning
 
 
Lo sbuffo di fumo sale lentamente verso l’alto. Parte di esso scompare placido nell’aria, il resto si posa delicatamente sul vetro della finestra mettendo in evidenza alcune imperfezioni nella lavorazione. Qualcuno, una volta, disse che il fumo è come una bella donna: la ami, ma ti rendi conto che non è quella giusta per te. La lasci. Poi cominci a vagheggiarla, ti rendi conto che la tua giornata è triste senza di lei. E pian piano dimentichi guai e tormenti, incominci a scriverle, a pregarla di tornare con te. C’erano delle regole precise e ferree di Cerberus riguardo al fumo, ma Vanko non era dell’umore giusto per curarsene. A stento riusciva a tenere ferma la sigaretta per fare un tiro decente. Per colpa dell’ansia aveva già fumato quattro di quelle piccole bastarde e ne aveva fatto cadere in terra altrettante, preferendo accendersene altre invece che chinarsi per raccoglierle dal pavimento. Continuava a vedere la strage che Dogma aveva operato su Haestrom. Non riusciva a dimenticare i morti, le mutilazioni, il sangue e il corpo martoriato di Kai Leng. L’assassino di Cerberus era al momento sotto i ferri per essere rimesso a nuovo, ma ormai il danno era fatto. Alistair temeva di quel che avrebbe deciso di fare ora l’Uomo Misterioso al riguardo. Di sicuro Vanko avrebbe espresso la volontà da ritirarsi da quella caccia all’uomo non appena fosse iniziato il colloquio. Non era un agente portato all’azione, era un semplice passacarte, una spia, adatto per le missioni di infiltrazione sotto copertura…non un soldato come Leng. Si portò nuovamente la sigaretta alle labbra, tossì un poco quando la tirata arrivò ai polmoni, riempiendo gli alveoli di quella che era una vera tossina per loro. Non fumava una sigaretta da anni. Che sarebbe successo ora? Riassegnato al suo vecchio lavoro? Licenziato? Terminato? L’unica cosa certa era che Alistair voleva tornare da Lidia e dimenticare tutto perdendosi tra le sue braccia, ma sapeva bene che, nel 99,99% dei casi, non sarebbe andata così.
Un soldato si avvicina alle sue spalle. Un Mattock tra le braccia, non in posizione di tiro. Inespressivo, a causa dell’elmo che portava. Potente, a causa della sua corazza e portamento militare. Sicuro, dalla disinvoltura dei suoi passi. Svogliato, dal tono della sua voce.
“Signore? L’Uomo Misterioso è in attesa nella sala conferenze”, fece quello, gettando uno sguardo disgustato alle sigarette sparse scompostamente ai piedi di Vanko.
Alistair non rispose. Si limitò a spegnere lo strumento, con cui stava sfogando le sue paure, premendolo contro il vetro e poi gettandolo a terra insieme alle altre sue sorelle. Oltrepassò il soldato muovendosi a piccoli passi lenti e con testa china. Era arrivato il momento di rendere conto del suo fallimento. La porta della sala conferenze era sempre molto teatrale e sorvegliata da due soldati di Cerberus posti ai due lati dell’ingresso. Il solito fischio schiarì il movimento d’accesso verso la buia sala. Poche fosche luci a led a livello del terreno indicavano la strada da percorrere fino all’oloproiettore. Non appena Vanko fu al centro del cerchio, il quale avrebbe rimandato la sua immagine al suo interlocutore, cercò di assumere un atteggiamento composto e sicuro, ma il suo volto e i suoi occhi tradivano in pieno il suo reale stato d’animo. L’immagine bluastra del leader di Cerberus comparve dinanzi al russo, come al solito, con quegli occhi brillanti, i capelli lisci con alcuni ciuffi bianchi e la sigaretta nella mano destra.
“Alistair”, salutò quello, mentre spostava la sigaretta dalla bocca,
“Signore”, rispose, altrettanto rapidamente, Vanko.
L’Uomo Misterioso si alzò dalla sedia, su cui normalmente presenziava alle quelle chiamate, e fece qualche passo a destra e a sinistra. Si vedeva che non era un buongiorno dopotutto. Il fallimento di recupero di Dogma, l’eliminazione della Squadra Segreta, Kai Leng in sala operatoria in lotta tra la vita e la morte….no, decisamente il boss di Cerberus non poteva essere di buon umore in quel giorno.
“Cosa è andato storto laggiù? Tu lo sai Alistair? Tu sai dirmi perché ho perso la mia squadra composta da alcuni degli elementi migliori di Cerberus?”, chiese in tono irato, ma controllato.
“Signore…”, balbettò Vanko, “…Io non ero con la squadra al momento dell’attacco….l’agente Kai Leng aveva richiesto esplicitamente che rimanessi a bordo della navetta da sbarco con il pilota….Credeva che le mie abilità non sarebbero state utili in battaglia e, visto il risultato, direi che aveva pienamente ragione….non sarei servito a niente in quella battaglia….era bene oltre il mio livello di preparazione”
L’Uomo Misterioso diede un attimo le spalle al suo interlocutore per spegnere la sigaretta nel posacenere.
“Leng ha sottovalutato il suo nemico. Si credeva sempre intoccabile ed invincibile. Una pecca che minava le tutte le sue altre qualità sul campo. Ora, per colpa sua e del vostro fallimento, ho dovuto inviare Shepard a sistemare la cosa”
Vanko ebbe un fremito a sentire quel nome, “Non pensa che sia rischioso signore?....Voglio dire, non rischiamo che anche il comandante cada in combattimento contro Dogma?”
“Da quanto mi hai riferito, durante il vostro volo di ritorno alla Chimaera, gli unici rimasti in vita su quel sasso incandescente sono Dogma, Tali’Zorah e un altro Quarian. Ed aggiungo che, sempre secondo le tue parole, Dogma era ferito e molto provato dal combattimento con la Squadra Segreta….Sebbene sappia quanto sia importante il comandante per le nostre operazioni, voglio che questa faccenda sia chiusa all’istante. Inoltre le abilità di Shepard sono notevoli, soprattutto in combinazione con i membri della sa squadra….Sono convinto che possa farcela”, poi si girò verso Vanko, congelandolo con uno sguardo minaccioso sulla sua posizione, “Tuttavia…..se perderemo Shepard, ti riterrò personalmente responsabile Alistair”
Il russo sudò freddo a  quelle parole e si lasciò sfuggire uno sguardo spaventato ed insicuro, “Comprendo signore…”, riuscì solo a dire con un filo di voce.
L’Uomo Misterioso tornò a sedersi sulla sua poltrona intrecciando le mani in segno di riflessione, “Ti riassegno alle tue precedenti occupazioni Alistair. Sarai molto più utile dove ti trovavi prima. Tutto ciò rappresenta una enorme falla nei miei piani….torna alla tua casa su Illium…Presto avrai nuove direttive …che mi aspetto tu segua alla lettera”, lo minacciò puntandogli l’indice contro, “Sei congedato”, concluse infine il capo di Cerberus chiudendo la comunicazione.
 
A dispetto delle sue previsioni, il colloquio non era andato tanto male. Vanko era tornato alla sua vecchia occupazione, alla sua vecchia casa e dalla sua Lidia, la quale lo accolse con grande felicità al suo ritorno. Alistair si ripromise che avrebbe abbandonato ogni pensiero riguardante Dogma e quella missione maledetta. Era a casa con la persona che amava. Non gli serviva altro. Trovò il suo appartamento un po’ cambiato. In sua assenza Lidia si era premunita di fare diversi acquisti: tende di seta stavano ora sulle finestre, lasciando filtrare la tenera luce del tramonto proveniente dall’esterno; drappi rossi stavano ora nella parete sopra al letto, andando a disegnare la figura di cuspide leggera e sinuosa; due nuove poltrone di stoffa imbottita stavano ai lati di un basso, ma lungo, tavolo di cristallo, tutto posto in parallelo ad uno schermo di quarantatré pollici; infine un divano color nero pece era sistemato dietro il tavolino in modo che si avesse completa visuale sullo schermo. Il tutto era probabilmente costato un occhio della testa….se non entrambi, ma Lidia era la figlia del presidente della Kassa Fabrications e si poteva indubbiamente permettere quella spesa senza troppi pensieri.
“Hai fatto compere vedo”, disse, in un sorriso sorpreso, il russo.
Lidia lo prese per le mani e lo portò al centro della sala, staccandosi poi da lui per effettuare un paio di giravolte su se stessa, vantandosi del suo lavoro, “Ti piace vero? Ho pensato che era troppo grigio questo appartamento se dovevamo vivere insieme. Così mi sono arrangiata un po’”, concluse facendogli l’occhiolino.
“Vivere insieme?”, affermò preso alla sprovvista il nostro, “E quando l’hai deciso?”
Lei si ritrasse imbronciata, “Da quando tu sparisci per giorni con pochissimo preavviso! Voglio che passiamo più tempo insieme…lo sai poi come è papà, odia gli uomini che pensano più al lavoro che a me”
“Okey, okey. Ammetto di averti trascurata un po’ ultimamente, ma era un lavoro importante come quello che tuo padre svolge ogni giorno….Questo mi tiene lontano da te, ma non vuol dire certo che il mio amore sia scemato nei tuoi confronti….Preferisci il lato destro o sinistro del letto?”
Lei gli saltò al collo entusiasta, “Io prendo il lato a sinistra! Quello che da sulla finestra”
Vanko ci avrebbe scommesso tutti i suoi averi su quella scelta, conosceva bene la vanità della sua compagna Asari, “Lo sai si che la luce viaggia a trecentomila chilometri al secondo? I raggi solari ti colpiranno solo un microsecondo prima di me”
Lei gli fece la linguaccia, mentre si rotolava nel letto, “Il sole bacia i belli, come dite voi, ma prima i più meritevoli secondo me….e io sono la più meritevole. Che ne dici se ora mi porti un bicchiere di quella Vodka dalla tua riserva personale e brindiamo alla nostra salute”
Alistair si fece una grossa risata, poi si mosse lentamente verso la cucina, dove era posizionato il piccolo frigorifero a combinazione contenente le bevande tipiche del suo paese di provenienza. Ne riempì due bicchieri e, proprio mentre si stava per avviare verso Lidia, un messaggio arrivò al suo factotum. Lo aprì velocemente e il contenuto, breve e terribilmente coinciso, lo paralizzò all’istante.
 
 
Mittente: #Sconosciuto#
Contenuto: “Nuove direttive: Allestimento dei preparativi per l’attentato alla figlia del presidente della Kassa Fabrication. Attendiamo conferma di ricezione tra tre ore per la comunica dei dettagli.”
 
 
Un bicchiere cadde a terra frantumandosi, spargendo frammenti di vetro e il suo contenuto in tutta la cucina. Sbiancato in volto e con la mascella penzolante, Vanko incontrò lo sguardo di Lidia, la quale rideva di quello che credeva essere stato un movimento maldestro del compagno.
 
 
 
 
 
Noticola di fondo pagina di un corvaccio :
Questa era una piccola idea che mi è saltata in testa qualche tempo fa. Un piccolo completamento se vogliamo. Insomma, Alistair Vanko non aveva più trovato posto nella storia di Mass Effect Reborn, così ho deciso di dedicargli questa piccola parentesi personale per chiudere le sue vicende con dignità che meriterebbe. Non sarà una cosa molto lunga o approfondita ai livelli di Reborn, ma è una cosa che voglio fare sia per lui che per voi, ingannando l’attesa fino all’uscita di Rebellion.
Buona lettura a tutti, Spettinati!

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Capitolo 2
*** La Donna Dalla Pelle Blu ***


Capitolo 2: La Donna Dalla Pelle Blu



 
 
“Quando non ho più blu, metto del rosso.” -Pablo Picasso
 
Minor 9th
 
La sveglia segnava le 02: 18. La notte copriva ancora col suo velato manto i cieli stellati di Illium e abbracciava con morbide carezze i palazzi dei quartieri alti. Vanko, seduto su una sedia in legno di betulla intagliato finemente e con numerosi intarsi sui braccioli, ammirava la veduta che aveva dalla grande finestra panoramica della stanza da letto. Giochi di luci ed ombre si susseguivano tra i palazzi, macchine sfrecciavano nel cielo rinfrangendo i fotoni contro di lui e contro le vetrate dei grattacieli. Teneva la sigaretta accesa lontano dal corpo, lasciando che il fumo dipingesse il suo quadro nell’aria. Aveva appena capito di essersi guadagnato un vizio, ma gli importava poco. Non riusciva a capire neanche il senso dei suoi gesti. Ero conscio di essere preoccupato, per la sua vita, per gli avvenimenti che lo avevano coinvolto….per Lidia. L’Asari, coperta dal lenzuolo fino a poco sotto le spalle, dormiva come se il suo unico scopo nella vita fosse quello di stare tra le braccia di Morfeo. La tenue luce artificiale esterna faceva risplendere la sua pelle azzurra. Le donava un che di puro, accendendola come un fuoco fatuo. Luce funesta che presenzia in cimiteri, paludi e brughiere nelle serate autunnali. Alistair non riusciva a fissarla. Si sentiva le mani sporche di sangue al solo sfiorare con lo sguardo le linee del suo fisico. Gli pareva di sporcarla a sua volta con suo lerciume, quel fango maledetto che portava il nome del cane a tre teste, posto a seviziare i peccatori di gola giù nell’Inferno.
E poi c’era l’incubo che ormai lo rincorreva da più di dieci giorni. Ogni notte gli si avvicinava sibilando la sua domanda fatale.
“Dimmi….Danzi mai con il Diavolo nel pallido Plenilunio?”, ripeteva la voce di Dogma, in un sibilo maligno ed oscuro.
Prima che le lame affondassero nel suo ventre lo chiedeva sempre. Non c’era la risposta alla domanda, perché era una presa in giro, una trappola, un avvertimento, un messaggio….una sentenza. Era così che il Jack di Picche aveva dato il suo ultimo saluto a Kai Leng. Vanko aveva sentito tutto tramite il comlink dell’assassino di Cerberus. Ricordava con orrore ogni suono, ogni lamento, ogni stridio delle ossa che si frantumano, ogni invocazione soffocata nell’urlo del sangue. Non aveva assistito in prima persona alla scena, ma la riviveva ogni santa notte riproducendola nel suo cervello, come un disco rotto che non si vuole fermare. A volte gli capitava di immaginarsi al posto di Leng e, in qualche angolo remoto di se stesso, sapeva che sarebbe stato il prossimo a ricevere quella fatidica e illusoria domanda.
Aveva solo i pantaloni indosso, lasciando così il petto al freddo della sala, il quale era davvero percepibile nelle ossa in notti del genere. Diede un occhiata rapida verso il pannello nascosto dietro al blocco di muro vicino alla libreria. Sapeva di doversi addentrare nella sala nascosta per parlare con l’Uomo Misterioso, ma l’argomento del discorso non lo attirava per niente. Si era fatto coinvolgere. Amava un aliena. Un Non-Umano. E loro gli stavano chiedendo di organizzare l’assassinio della donna a cui apparteneva il suo cuore. Non poteva riuscirci….non ci sarebbe mai riuscito….forse, un tempo, ce l’avrebbe fatta, quando la distanza tra lui e Lidia era ancora definita. Quando ancora non aveva oltrepassato quella sottile linea rossa. Le cose ormai erano diverse, cambiate, non era più il ragazzo che un tempo si sarebbe attaccato una bomba al petto per eliminare un capo di un governo alieno….No, ora Alistair Vanko era un rispettabile uomo d’affari che aveva imparato che sotto la pelle di colore diverso, dietro tre dita, oltre la fisionomia, le abitudini culturali e ideologiche…erano tutti uguali. Erano tutti Esseri Viventi. Persone con cui condividere l’amicizia, le proprie gioie, le proprie disfatte….e il proprio amore. Lavorava per Cerberus, ma ormai non si identificava più sotto il loro stemma e sotto le parole del loro leader. Era giunto il momento di prendere strade diverse…..il punto, però, rimaneva: come? Alistair lo sapeva, non lo avrebbero mai lasciato andare così, se entri in Cerberus non puoi andartene quando desideri. Hai degli obblighi, hai degli obbiettivi, hai del lavoro e loro pagano anche profumatamente perché tu sia fedele e non ti faccia troppe domande. Oltre il fatto che Alistair era un agente di collegamento con molte operazioni sporche dell’organizzazione, sapeva troppo per lasciarlo vivere. L’unica soluzione era agire d’astuzia, creare un piano con una falla che gli avrebbe permesso di salvare la vita a Lidia e di farli scappare entrambi dal pianeta. Serviva tempo. Serviva discrezione. L’Uomo Misterioso avrebbe di certo voluto avere un resoconto del piano, perciò doveva apparire perfetto ai suoi occhi, ma, cosa più importante, Vanko non doveva attirarsi i sospetti del suo futuro ex capo. Per elaborare questa strategia gli servivano un mucchio di informazioni, tra le quali era importante sapere il valore strategico che la morte della figlia del presidente della Kassa Fabrications poteva significare per l’organizzazione Pro-Umani. Alistair scattò in piedi producendo un rumore secco, ma non abbastanza forte da svegliare l’Asari, spense la sigaretta con un gesto e teatralmente sicuro per darsi la carica e si infilò al volo una camicia bianca allacciando solo qualche bottone. Si avvicinò lentamente al letto, si abbassò, appoggiando le ginocchia sul morbido tappeto, e diede un tenero bacio sulla tempia di Lidia. Lo fece in modo leggero e rapido, cercando e sperando in tutti i modi di non svegliarla. La guardò con occhi gonfi di tristezza, sapendo che avrebbe dovuto dirgli la verità prima o poi e sapendo altrettanto bene che il suo piano poteva andare a catafascio in qualunque istante, portandoli entrambi alla tomba nei modi peggiori possibili.
Vanko si rimise in posizione eretta e si accinse a sbloccare la porta della piccola stanza segreta. Si volse un ultimo momento verso la sua amata e, prima che la porta li dividesse, disse a bassa voce, “Dormi, amore mio. Al resto penserò io….Speriamo”
 
“Vanko!”, esclamò l’Uomo Misterioso non appena l’immagine olografica bluastra del suo agente apparve nella sala, “Cominciavo a temere che ci fossero stati problemi….Avresti dovuto contattarmi due ore fa. Che cosa ti ha trattenuto?”, chiese mentre si sedeva sulla sua sedia, incrociando le gambe e richiamando a se una piccola schermata arancione colma di trascrizioni.
“Mi scusi signore”, rispose il russo, le mani intrecciate dietro la schiena, “Il….bersaglio….mi ha trattenuto”, si odiò per aver usato quell’espressione, ma faceva parte del gioco. Dentro o fuori ora, non c’era spazio per gli errori. Occorreva mantenere il sangue freddo.
“L’importante è che ti sia collegato”, fece il leader di Cerberus, portando i propri occhi celesti dritti in collisione con lo sguardo di Alistair, “Dunque, siamo qui per parlare proprio dell’Asari a cui ti riferivi. Come ha ben capito, la dobbiamo eliminare”
“Se posso chiedere, signore, che vantaggi porterebbe la morte della figlia del presidente della Kassa Fabrications? Io perderei il mio appoggio con suo padre e così il controllo degli ambiti interni all’azienda”
Da un punto puramente strategico, Vanko aveva ragione. Lui ed il presidente erano collegati solo tramite la figlia, venuto a mancare tale anello di congiungimento, la fragile struttura sarebbe caduta subito.
“Non è più importante tutto ciò Alistair”, sentenziò l’Uomo Misterioso scorrendo tra alcuni file del suo factotum, “Non occorre più che tu faccia da tramite per l’organizzazione e la Kassa Fabrications”
“Posso chiederle il perché signore?”, domandò il russo, inarcando le sopracciglia con fare dubbioso,
“E’ presto detto, amico mio. In questo momento ho bisogno che molti agenti si infiltrino tra le fila della multinazionale in questione. Tutti sanno quanto quel vecchio balordo ami sua figlia, un lutto di tale portata indebolirebbe non solo la sua attenzione nei confronti dell’azienda, ma ci sarebbe anche un forte crollo in borsa oltre che una conseguente sfiducia dei dirigenti al vertice verso la sua personalità. Vedendolo in lacrime gli azionisti e il consiglio d’amministrazione lo reputeranno non più idoneo alla sua carica ed allora potremo spingere per l’inserimento di un qualcuno che, con le dovute motivazioni da parte nostra, patteggerà per gli interessi di Cerberus”
“Basa tutto questo su delle ipotetiche fluttuazioni di borsa e sulla morte di una Asari?”, fece Vanko irritato e per niente convinto delle parole del suo capo.
L’Uomo Misterioso si protese in avanti, tenendo tra l’indice e il medio della mano destra una sigaretta non ancora accesa, “Trovo disturbante la tua mancanza di fede Alistair….Il piano è frutto di molti mesi di preparazione…..E’ tutto pronto….tranne l’omicidio della tua “amica”. Fai in modo che tutto sia pronto e perfetto in meno di due settimane Vanko….Non ammetto errori stavolta”, intimò quello minaccioso.
“Come vuole signore, ma credo che avrebbe potuto parlarne con me prima di decidere di avviare questa operazione”, asserì Vanko intrecciando le braccia sul petto,
“Bisogna sempre tenere pronto un piano di riserva Alistair e bisogna anche pianificare tutto in anticipo per evitare di restare impreparati difronte alle avversità….Non sono il tipo di uomo che lascia tutto il lavoro al caso”, sentenziò, in una lunga tirata di sigaretta il leader di Cerberus, “Se ti stai preoccupando di non aver fatto un buon lavoro, rincuorati, perché hai eseguito le tue mansioni in modo egregio, ma le circostanze mi impongono ad agire in questo modo”.
Il russo sospirò e sciolse le braccia dal petto, portandole lungo i fianchi, “Comprendo….Ha qualche richiesta in particolare per le modalità dell’attentato?”
“In effetti si”, rispose l’Uomo Misterioso, mentre chiudeva una schermata d’arrivo di messaggi, “Il tutto dovrà essere fatto durante la serata di gala, organizzata dal padre della ragazza, in onore dei 150 anni della società. Più la cosa risulterà teatrale e più chi di dovere si accorgerà dell’evidenza dei fatti….e cioè che il presidente non è più adatto alla sua carica. Lavora di fantasia Alistair…sono sicuro che le idee non ti mancheranno” e interruppe così la comunicazione.
Piuttosto accigliato, la mente dietro a Cerberus, si alzò e si portò dinanzi a vari monitor olografici. In alcuni era visibile Vanko che usciva dalla stanza celata nel suo appartamento e si dirigeva in cucina.
“Il colloquio l’ha soddisfatta signore?”, chiese una voce al di fuori del suo campo visivo.
Quello non si voltò nemmeno, rimanendo concentrato sugli avvenimenti riportati dalle telecamere di sorveglianza, “Si”, ammise sincero, “Ora ho la prova certa che Vanko non è più un membro affidabile della nostra organizzazione”
“Quindi? Che vuole che faccia?”, incalzò la figura nell’ombra,
“Cercherà sicuramente di mandare a monte tutto. Stai al gioco finchè conviene e poi, quando farà la sua prima mossa, occupati di lui e dell’Asari….La Kassa Fabrications passerà sotto il nostro controllo e la figlia del presidente è il nostro biglietto d’ingresso. Ora va e tienilo d’occhio”
La sfuggente figura accennò un cenno d’assenso e si diresse alla porta, la quale, apertasi, lasciò entrare una luce che mise in mostra una linea alquanto cibernetica.
“Ah, Leng!”, lo richiamò l’Uomo Misterioso voltandosi di scatto, “Niente errori stavolta….Spero di essere stato abbastanza chiaro”, concluse spegnendo la sigaretta comprimendola con forza nel posacenere.
Kai Leng non rispose, si limitò semplicemente a proseguire dritto per la sua strada, lasciando che la porta chiudesse dietro di se le parole, in cui si avvertiva un leggero tono di sfiducia, del suo superiore. Lo scontro con Dogma l’aveva cambiato molto. Radicalmente quasi. Anzi, fisicamente lo era, diverso. Il braccio destro, amputatogli dal Jack di Picche, era stato sostituito da un arto completamente robotico, capace non solo di sprigionare una forza e potenza maggiorata, ma era anche dotato di alcuni piccoli extra come una rotazione a trecentosessanta gradi del polso ed un piccolo generatore di scudi supplementare. Anche nel resto del corpo erano stati inseriti nuovi impianti e potenziamenti cibernetici. Gli occhi potevano godere di una visione termica, di un visore notturno ed altre modalità oculari che spaziavano negli altri campi dello spettro della luce. I muscoli delle gambe erano stati ricostruiti con fibre sintetiche che garantivano prestazioni più elevate. Infine, nel palmo della mano destra era stato inserito un dispositivo blaster, funzionante anche come proiettore di energia cinetica. Si può affermare che era stato completamente rivisitato per permettergli di affrontare, con un pizzico di vantaggio, un secondo scontro con Dogma. In verità a Leng non bastavano quei potenziamenti e non gli andava affatto a genio che il Quarian che l’aveva quasi uccido fosse a bordo della Normandy, diventando in tal maniera, nuovamente, una risorsa di Cerberus. Lo voleva morto. Voleva sentire il suo lamento mentre la sua spada lo trafiggeva. Voleva vederlo sprofondare nell’Ade per mano sua…e prima o poi ci sarebbe riuscito…che il capo l’approvasse o no, avrebbe avuto la sua vendetta.
“Un giorno….si….un giorno ci rincontreremo ed allora cadrai sotto la mia ira. Sotto la mia furia!”
 
Le due settimane successive, concesse dall’Uomo Misterioso a Vanko per la preparazione del piano in questione, volarono letteralmente. Il russo lavoro febbrilmente giorno e notte, spesso rinunciando a dormire a casa con Lidia per continuare il lavoro in un piccolo rifugio di Cerberus inutilizzato. Doveva calcolare ogni dettaglio, ogni minima e possibile variazione del corso degli eventi. Controllò gli invitati, ma, con sommo disappunto, si accorse che almeno tre persone erano infiltrati dell’organizzazione; esaminò i menù e i curriculum di ogni guardia di sicurezza, cameriere e cuoco per verificare la loro attendibilità; scrutò per ore il programma della serata, immaginandosi quale sarebbe stato il momento migliore per eliminare Lidia e, contemporaneamente, per lasciare il palazzo.
Dopo aver elaborato una decina di piani diversi, trovò la giusta formula chimica. Le cose sarebbero andate in questo modo: Ad inizio serata ci sarebbe stata l’accoglienza per gli ospiti con un grande buffet iniziale, tartine e alcolici leggeri; circa un’ora e mezza dopo sarebbe iniziata la cena vera e propria, intervallata da delle celebrazioni della società, come premiazioni per il miglior impiegato del mese, excursus storico della società, piccole discussioni riguardo agli importanti traguardi e così via; dopo un altro paio d’ore sarebbe arrivato il momento culmine della festa, ovvero il discorso celebrativo del presidente. Questo sarebbe dovuto essere il momento in cui in sala sarebbe entrata la grande torta, decorata dal grande pasticciere Bartolo “Buddy” Valastro, e sarebbe stato proprio in questa situazione di massima allegria e festeggiamenti che il cecchino appostato nell’edifico opposto avrebbe dovuto esplodere il colpo di fucile per eliminare Lidia. Dopo aver impedito ciò, Vanko e l’amore della sua vita, sarebbero fuggiti coperti dal trambusto e la paura generata da un tale evento avrebbero creato il caos, ideale per dileguarsi. Per sbarazzarsi degli agenti infiltrati, Alistair, aveva pensato di attirarli lungo la tromba delle scale che collegavano il piano dove si svolgeva la festa ad un ammezzato interno all’edificio, per poi eliminarli tramite una trappola esplosiva. In ogni caso, si sarebbe portato un’arma dietro, ma niente di troppo grosso o impacciato, soprattutto perché non poteva apparire armato alla festa. Decise di portare con se la pistola ATM Hardballer silenziata di suo padre. Anche nota come Silverballer, per il fatto di essere fatta in acciaio irritante, è un’arma calibro 45 solida, compatta e facilmente occultabile nell’abito che aveva già ordinato per la serata. Spara in modo inaffidabile con le munizioni a punta cava di quell'epoca e si potrebbe usare con ogni affidabilità solo con le nuove tipologie di munizioni EFMJ o Hardballer. Tuttavia, la Silverballer, se adeguatamente mantenuta, può essere modellata in un'arma abbastanza intrigante. Il vantaggio principale di questa arma è che quasi ogni parte è il drop-in di una M1911 e si trovano molti ricambi e parti personalizzate. Il difetto più frequente, in comune con tutti gli M1911, è l'estrattore. Fortunatamente questo pezzo è molto facile da sostituire e poco costoso.
L’ultima parte del piano prevedeva la fuga in auto direttamente verso una nave cargo, al quale comandante Vanko aveva già dato una lauta ricompensa per trasportare lui e Lidia nell’unico posto in cui sarebbero stati al sicuro: in mano all’Alleanza. Lui era un ex-dipendente di Cerberus, gli avrebbe dato tutto quello che volevano su di loro: informazioni, nomi e tutto quello che sapeva in cambio di protezione. Non era il miglior piano del mondo, ma almeno avrebbe salvato Lidia da una morte certa, fatta solo per spodestare il padre dai vertici della Kassa Fabrications.
Avvisò l’Uomo Misterioso del completamento dei preparativi e gli inviò un rapporto con tutti i dettagli. Il leader di Cerberus si complimentò con il suo agente e lo salutò con un largo sorriso, rammentandogli di mantenere il sangue freddo per il -Grande Evento- che si sarebbe svolto da li a tre giorni.
Alistair, rincasato velocemente al suo appartamento in modo da anticipare l’arrivo di Lidia, entrò nella stanza segreta e fece una copia di quanti più dati poté e li salvò in un piccolo hard disk esterno, in modo da avere qualcosa da mostrare all’Alleanza per ottenere da loro ciò che voleva. Si soffermò un attimo a riflettere, mentre la barra di caricamento sullo schermo si riempiva molto lentamente, a quanto cosa stesse facendo, e quelle che avesse pianificato, potessero andare davvero molto male. Si ritrovò anche a pensare di lasciar perdere tutto e lasciar morire l’Asari, ma subito si maledì per quei pensieri. La paura e l’ansia di fallire gli stavano mettendo una gigantesca pressione addosso. Alistair si concesse, non appena il trasferimento dati fu concluso, di farsi una doccia per tentare di calmarsi. Quando ne uscì, sentì lo scatto della porta, segno che Lidia era tornata a casa.
“Bentornata”, la salutò lui, mentre si asciugava la testa passandosi addosso velocemente un asciugamano, “Come è andata la giornata?”
Lei non gli rispose, si limitò ad camminare dritta per dritta, con il suono ritmico dei tacchi al seguito, fino alla camera da letto.
-Ahi-, si rammaricò mentalmente Vanko, -Questo va preso come un No di livello 8 nella scala “Lidia vs The World”. Sarà meglio che mi avvicini con cautela-
Alistair la raggiunse a brevi passi, tenendosi l’asciugamano sopra la testa come fosse un elmetto protettivo. Si affacciò sull’uscio della porta e la vide, braccia incrociate saldamente sul petto e negli occhi quella luce demoniaca che aveva visto solo nelle occasioni particolarmente emotive per Lidia. Tipo quando non era riuscita ad aggiudicarsi la borsa tempestata di diamanti, provenienti direttamente dalla scia di una cometa, del famosissimo stilista Jaan Fofon. Aveva tenuto quell’andazzo per una settimana, fracassando e facendo volare per casa tutto quello che trovava, incluso Vanko stesso, tramite i poteri biotici. Era fatta così la sua Lidia, anche per colpa del padre che da piccola gli regalava tutto quello che lei chiedeva. Si poteva dire che era particolarmente viziata ed esternava le proprie emozioni in brevi scatti d’ira a spese di cosa, ma soprattutto di chi, le stava intorno.
“Tutto bene?”, domandò avvicinandosi a passi calcolati, come quando si fa con un animale pericoloso per non farlo irritare.
Lidia sbottò offesa, incenerendolo con sguardo assassino, “A parte il fatto che non mi ami più….Si, tutto bene!”
Alistair rispose nella maniera più stupida e istintiva possibile, “Eh? Scusa non ti seguo”
A quelle parole, Lidia si alzò di scattò dal letto, ricoperta da un aura blu intensa, e scagliò un onda biotica contro il suo compagno. L’impatto fu talmente devastante da far volare Vanko oltre la porta fino a raggiungere il divano, il quale cadde all’indietro nello scontro con il corpo dell’Umano. Intontito e dolorante, il russo cercò di rimettersi in piedi usando il sofà come appoggio, ma scrutando oltre di esso vide che Lidia era già in procinto di caricarlo con un'altra ondata di energia.
-Oh merda! L’ultima volta mi ha quasi spezzato due costole…..e li avevo solo comprato una tipologia di rossetto diverso da quello che mi aveva chiesto di regalarle!-, gemette mentalmente, impaurito al ricordo di quella volta.
 -Proverò un ultimo tentativo di comunicazione-
“Amore?”, disse Vanko con voce preoccupata nel tono, “Non so cosa tu stia pensando, ma hai frainteso tutto….Che ne dici di se ci sediamo e ne parliamo senza che io voli attraverso tutto l’appartamento?”
“No”, fu la risposta secca dell’Asari.
-Fine tentativo-
Una sferzata lo fece uscire fuori dal nascondiglio improvvisato e lo portò faccia a faccia con il suo avversario.
“Bastava dirlo che non mi amavi più, invece che prendermi in giro!”, sentenziò quella urlando.
“Ma quando mai io….”, Alistair non riuscì a finire la frase che finì dritto in cucina, sbattendo la schiena dolorosamente contro la credenza.
“Non cercare di discolparti!”, lo minacciò con un dito quella, “Sei due settimane che fuggi da me! Non una parola di persona, niente regali, niente chiamate, niente coccole, rincasi, se lo fai, ad orari assurdi….C’è un’altra vero?”, concluse quasi piangendo lei.
Vanko sia per spiegare il fraintendimento e sia per evitare di finire all’ospedale, o peggio, nei minuti successivi, si affrettò a prendere la parola, “No, no, nonononono! Ma che hai capito Lidia? Non è affatto così!”
“Bugiardo!”, sibilò quella, espandendo nuovamente la sua aura.
Il russo protese le mani in avanti, come per bloccare un tir che sapeva bene lo avrebbe schiacciato, “Potrei argomentare la mia difesa con i biglietti che si trovano laggiù sul tavolo di cristallo?”
L’Asari si girò verso il tavolo, vide i biglietti, poi si girò nuovamente verso il compagno con uno sguardo del tipo –Fermo li….se provi solo a scappare…-. Procedette verso il tavolo, raccolse le due stampe digitali e, dopo averne letto il contenuto, richiamò a se l’Umano con un’altra sferzata. Lo abbracciò convulsamente saltando di gioia.
“Amoreeeeeeeee!!!”, esclamò quella in una rapida escalation dalla rabbia più nera alla felicità più raggiante, “Davvero mi porti sulla Terra?!”
Vanko, che ancora temeva una ripicca dell’ultimo minuto, rispose titubante, “S..Si. Volevo farteli vedere dopo la festa dei centocinquanta anni della società di tuo padre. Doveva essere una sorpresa….Questo mi scagiona dalle accuse”
Lidia continuava ad agitarsi come una quindicenne a cui gli avevano detto che avrebbe ricevuto un Pony come regalo, “Oh, scusami amore se ho dubitato di te”, disse dandogli poi un lungo bacio, “….E mi dispiace anche per averti….ehm….insomma…sballottato per aria. Vedrò di farmi perdonare stasera”, concluse con malizia lei.
In realtà quei biglietti dovevano essere l’ultimo baluardo di salvezza per entrambi nel caso il capitano della nave cargo gli avesse abbandonati all’ultimo minuto. Era una via piuttosto rischiosa, ma sicuramente non meno del resto del piano elaborato da Vanko. Ad ogni modo, gli avevano appena evitato un rattoppamento a base di medigel.
 
Roadhouse Blues –The Doors
 
La sala era stracolma di persone. Uomini d’affari di ogni compagnia, specie e dove presenziavano a quella festa vestiti in maniera elegante, chiaccherando amabilmente con gli altri commensali e degustando gli antipasti presenti al buffet. Alistair vestiva il suo elegante smoking e si muoveva tra i presenti con a braccetto Lidia, la quale indossava un incantevole abito lungo color Nero di Marte con allacciatura sulla nuca, scollo a forma di cuore e aperture sui fianchi. La serata procedeva in modo più che normale, tra la musica di più di cent’anni fa, abbastanza ricercata per quei tempi, e le variopinte iniziative messe in moto dal padrone di casa. Nell’edificio opposto, vi era piazzato il cecchino di Cerberus che avrebbe dovuto compiere l’assassinio.
“Ghost-Uno in posizione signore. Visuale libera, vento non troppo forte….Aspetto il momento prestabilito”, affermò il tiratore, in tono professionale e serio, al comlink di Vanko.
“Ricevuto Ghost-Uno”, confermò il russo con un cenno del capo, poi girò il suo sguardo verso sinistra, andando ad incrociare quello degli altri agenti infiltrati alla festa. Quelli alzarono i loro bicchieri nella sua direzione e lui fece altrettanto. La vera festa avrebbe avuto inizio tra poco.
Dopo che tutti furono seduti ai rispettivi tavoli, iniziò la cena. Fu una cosa molto solenne, da vera cerimonia, i piatti erano abbondanti e il vino non mancava mai nei bicchieri a causa della presenza di camerieri adibiti esclusivamente a quel tipo di mansione. Se ne stavano ritti, immobili lungo le pareti della sala con una bottiglia in mano e lo sguardo vigile. Non appena vedevano un bicchiere vuoto, si precipitavano come falchi per riempire il piccolo e prezioso recipiente con il contenuto di quelle costosissime bottiglie d’annata. Vanko era seduto al tavolo riservato del presidente della Kassa Fabrications. Oltre a lui, ed il presidente, nel tavolo d’onore c’erano Lidia e sua madre, una Asari dalla pelle sul violaceo andante, molto moderata nei modi e assolutamente contenuta per quanto riguarda le emozioni, eccetto quando incontra lo sguardo della figlia. Indossava una splendida collana di perle, bianche come la neve, regalatele dal marito per il loro trentesimo anniversario di matrimonio. Durante la cena i quattro discussero molto, i genitori di Lidia adoravano Vanko e non mancava occasione che la moglie del presidente non chiedesse se avessero piani di matrimonio con conseguenti risate dei due amanti. Anche il presidente pareva particolarmente gioioso quella serata: scherzava con Vanko, elargiva grandi sorrisi e non lesinava complimenti per la sua bellissima figlia, la quale si riempiva di imbarazzo per tutte quelle lodi da parte del padre.
Infine arrivò il momento del discorso del presidente, il quale salì sul piccolo palco tra scroscianti applausi. Passò circa mezz’ora tra un brindisi ed un altro accenno ai grandi traguardi della compagnia, poi fu il momento della torta. Fu in quel momento che il proiettile dilaniò selvaggiamente l’aria, infranse spavaldamente il vetro e trapassò crudelmente il cranio della madre di Lidia. Il foro del proiettile si aprì come un sole nero in mezzo alla fronte dell’Asari. Rivoli di sangue discendono sulla faccia, mentre la testa si blocca in uno sguardo vuoto verso il soffitto e le braccia si abbandonano molli sui fianchi. Il panico. Tutte le persone in sala si alzarono in piedi e corsero impaurite a cercare riparo. Sarebbe dovuta morire lei, ma Alistair l’aveva spostata dalla traiettoria all’ultimo secondo. Lo sguardo di Lidia cercava quello della madre, suo padre cercava urlando le due in mezzo alla folla. Vanko ignorava tutti e si era lanciato a passo rapido verso l’uscita secondaria delle cucine trascinandosi dietro l’amata compagna. Vedeva tre uomini in abito scuro cercare qualcosa nelle tasche interne delle loro giacche, mentre si facevano largo in quella moltitudine urlante. Un colpo di M-358 Talon volò dritto verso un vaso di fiori, facendolo esplodere in mille pezzi di coccio e spargendo terra e vegetali sul pavimento. Vanko aveva paura, più di quanto ne avesse avuta in vita sua. Era un contabile, un agente di collegamento, ma ora doveva prendere coraggio e tirare fuori la ATM fuori dalla fondina. Doveva proteggere Lidia. Non importava a che costo. Tenendola saldamente per il braccio con la mano destra, diede uno strattone all’Asari facendola andare in avanti, così lui si voltò e, con un gesto molto fluido, estrasse l’Hardballer dal suo nascondiglio e la punto contro i suoi nemici. Quelli non se l’aspettavano. Tre colpi consecutivi, ma solo uno centrò qualcosa di rilevate. Colpì la spalla sinistra dell’uomo con la Talon in mano facendolo cadere in terra, gli altri due corsero subito ai ripari. Un colpo di M-13 Raptor sfondò un acquario al fianco di Vanko. C’era anche il cecchino di cui doveva preoccuparsi. Fece rialzare a forza Lidia da terra e proseguirono verso le cucine. Alistair si coprì la fuga con altri tre colpi di pistola, in modo da evitare che quei tre cercassero di seguirlo gettandosi a capofitto nella battaglia. Il presidente della Kassa Fabrications non ebbe queste esitazioni e si mosse per raggiungere la figlia. Stava passando accanto alla grande torta cerimoniale, quando l’esplosione investì lui e tutti coloro che si trovavano nel raggio della bomba celata all’interno del dolce. Il presidente fu dilaniato dalla deflagrazione così come altri cinque presenti che fecero da scudo a Vanko e a Lidia. L’enorme boato riempì la sala, allontanando da se oggetti e persone tramite l’onda d’urto e scagliando scintillanti schegge metalliche tutt’intorno a sé. Polvere e sangue si mischiarono con l’aria rendendo l’atmosfera ferrosa e sporca. Il bellissimo salone adibito ai festeggiamenti divenne un macabro e tetro cimitero.
 Tutto ciò non era previsto nel piano. Alistair non aveva richiesto di portare alla festa nessuna bomba, ciò significava che Cerberus non si era fidato ed aveva predisposto un piano alternativo….ma perché uccidere il presidente? Secondo quanto riferitogli dall’Uomo Misterioso era necessario che fosse il consiglio di amministrazione della Kassa a deporre il presidente….e, oltre al presidente, giacevano a terra irriconoscibili i membri del consiglio della società. Quale era lo scopo di quel massacro? Vanko non potè concentrarsi molto su questi pensieri, visto che doveva rialzarsi e fuggire dal palazzo. Stordito, con le orecchie che fischiavano e barcollante, si rimise sulle sue gambe e fece altrettanto con l’Asari, entrando in cucina con la sola forza della determinazione. Sentì alcuni spari dietro di sé, non ci badò, doveva essere rapido e per questo continuava a muoversi per inerzia con il solo scopo di evitare di lasciarci la pellaccia. C’erano ancora alcuni cuoci spaventati nelle cucine, raggomitolati per terra urlavano impauriti alla vista della ATM. Nessuno bloccò l’incedere dei due, Vanko riuscì ad adocchiare la porta sul fondo della stanza, ma notò anche che gli agenti di Cerberus avevano appena fatto irruzione all’interno del luogo. Gettò Lidia dietro un riparo con uno spintone e poi si lasciò praticamente cadere dietro ad un forno per trovare riparo. Ancora intontito, cercò di montare il soppressore di fuoco sulla Silverballer, una cosa che gli venne estremamente complicata da portare a termine. Si sporse sul lato sinistro del riparo di fortuna e iniziò a sparare. Giurò a se stesso di aver visto un colpo andare a segno, ma non stette li ad averne la certezza, sentì solo il fuoco di risposta dei suoi avversari colpire il forno e penetrargli come un martello pneumatico il cervello. Con mille dubbi e un dolore lancinante alla testa, decise di raggiungere il punto in cui si nascondeva Lidia, tremante e impaurita, per tentare poi di attirare i suoi inseguitori nella trappola allestita sulle scale. Prese un lungo respiro e si lanciò basso a passi svelti verso il suo amore. Tento di coprirsi con un fuoco alla ceca della Hardballer, ma stavolta nessuno dei nemici si ritirò al riparo, preferendo tentare di rispondere al fuoco. Vanko si sentì colpire nella parte bassa sinistra del ventre, un dolore forte gli percorse tutti i nervi e ciò dimostrò ancora una volta quanto non fosse preparato per quel genere di situazioni. Sapeva sparare, ma non era certo il miglior tiratore del mondo; sapeva pensare, ma non era uno stratega militare. Giocò quindi tutto sull’improvvisazione e sul fatto che i suoi avversari lo stessero sottovalutando. Si costrinse a non mostrare cenni di dolore visto che Lidia aveva appena notato il sangue e pareva completamente paralizzata. La prese per mano e cercò di dirgli di non avere paura, gli indicò poi le scale e la avvertì di stare attenta una volta arrivati all’ultima rampa dell’ammezzato. Lei fece come gli era stato detto e così, sotto l’incessante fuoco dei loro inseguitori, si fiondarono nella tromba delle scale di servizio.
Vanko provò a bloccare la porta sparando al sensore posto all’ingresso, forse così avrebbero guadagnato tempo.
“Hanno ucciso mio padre…..mia madre….è morta un sacco di gente….Chi sono loro?”, chiese Lidia, tra le lacrime, a Vanko.
“Membri di un organizzazione chiamata Cerberus….sono qui per ucciderti”, rispose frettolosamente quello, tentando con sforzo disumano di recuperare ed inserire una nuova clip termica nell’Hardballer.
“Me? Che ho di così speciale?”, domandò ancora gemendo, mentre seguiva Alistair lungo le scale,
“Non lo so….”, si costrinse a dirle, per non aggravare il suo stato emotivo attuale, “Ora quello che importa è uscire vivi di qui…Ok?”, concluse fissandola negli occhi e ricevendo un cenno d’assenso con la testa.
Sentirono la porta venir sbloccata a forza dietro di loro, così decisero di allungare il passo. Arrivati nel punto della trappola, Alistair aiutò Lidia a evitare l’innesco e poi si diressero furiosamente verso l’auto già predisposta per la fuga.
Gli inseguitori corsero a folle velocità lungo le scale nel tentativo di fermare i loro bersagli prima che prendessero il volo. La fretta è cattiva consigliera, si sa. Non notarono l’innesco e così attivarono la trappola. Una piccola carica esplose ai loro piedi, dilaniando i loro arti inferiori e distruggendo la rampa che portava all’ammezzato. Fiotti di sangue si sparsero sulle pareti, mentre uomini in smoking precipitavano al livello inferiore del grattacielo.
Udirono l’esplosione quando furono già in macchina. Vanko si lasciò scappare un lieve sorriso per essre riuscito a mettere nel sacco quegli agenti. Una volta in volo, la macchina uscì rapidamente dall’ammezzato, come una scheggia che abbandona il braciere.
Tirarono un piccolo sospiro di sollievo, “Forse ce l’abbiamo fatta”, asserì Vanko….male, molto male.
Il cecchino, infatti, non era affatto d’accordo con loro. Scaricò il caricatore del Raptor sulla navetta da cui uscì subito del fumo. I sistemi di navigazione andarono subito in avaria e l’auto precipitò rovinosamente con un piccolo ponte di collegamento tra due grattacieli. Lo schiantò fu devastante, entrambi i passeggeri furono sbalzati fuori dall’auto che esplose poco dopo lasciando solo cumuli di metallo e fiamme di se.
Vanko si riprese dopo quelli che gli parvero essere secoli. Si sentiva come se le sue ossa e i suoi muscoli fossero stati tritati. Vide Lidia poco distante da lui e cercò quindi di trascinarsi verso di lei. Con grande terrore notò una navicella che atterrava sul piccolo ponte e da cui scesero diversi uomini armati. Riconobbe Kai Leng e lo sgomentò fu tale da fargli percorrere gli ultimi metri con tutta la forza rimastagli in corpo. Quando ormai era arrivato a toccarla, gli fu sottratta da sotto il naso. Cercò di arrabbiarsi, ma non ebbe la forza per farlo. Si disperò, mentre due soldati sollevarono entrambi e li misero sulle ginocchia.
“Tsk, tsk, tsk”, mugugnò in disapprovazione Kai Leng, “Non si fa così Alistair. E’ questo il modo di ringraziare l’uomo che ti ha reso ricco e che ti ha dato un lavoro importante? Tradendolo? Per una sgualdrina aliena? Ti facevo più devoto alla causa, amico mio”
“Mai stato…”, Vanko ansimò pesantemente, “Tuo amico…”, ancora un respiro profondo, “Leng”
“Su questo ti devo dare ragione”, affermò l’assassino tirando fuori una Talon dalla cintura, “Mai stati amici noi due”
“Perché la bomba?”, chiese il russo, “Perché eliminare il consiglio dell’azienda insieme al presidente?”
“Sveglia testone di un russo!”, disse Kai Leng in una risata, “Questo era un test per te! Potevamo accedere ai vertici della Kassa in entrambi i modi, ma l’Uomo Misterioso ti aveva lasciato la possibilità di rimetterti sui binari….e tu non l’hai fatto. In una settimana avremo il totale controllo della società e l’unico impedimento siete voi due adesso…..”, l’assassino accarezzò l’arma e gettando uno sguardo intimidatorio su entrambi i prigionieri, “Quindi il problema è…..chi ammazzo prima di voi due?”
Vanko guardò sconvolto Lidia, la quale piangeva in risposta. Non c’era via di uscita che riuscisse a focalizzare….ma non voleva vederla morire.
“Leng….uccidi me! Dai la colpa di tutto a me….ma lasciala vivere ti prego! Lei non vi serve più! Non sa niente….ti prego lasciala andare”, concluse Alistair in lacrime.
Kai Leng si avvicinò al russo, “Beh….abbiamo un vincitore”.
Vanko chiuse gli occhi in attesa della sua sentenza. Era meglio così, non avrebbe mai potuto vedere Lidia morire sotto i suoi occhi. Non ce l’avrebbe  fatta. Si preparò, testa alta, a ricevere il proiettile. Avvertì lo sparo, ma era ancora vivo.
Il terrore si impadronì di lui. Aprì gli occhi e con sgomento capì la situazione.
Lidia giaceva a terra nel suo stesso sangue. La morte se l’era già portata via.
“NOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!”, urlò Vanko disperato, cercando di proiettarsi verso il corpo dell’amata, ma i due soldati lo trattennero, colpendolo ai fianchi per farlo calmare. Le lacrime di dolore ricoprirono il viso di Alistair, mischiandosi alla polvere, al sangue ed alle ferite. Persa, l’aveva persa.
“Su su Vanko. Non fare certe scenate solo per un’aliena morta…..Non ora che stai per morire”, fece Leng rinfoderando la pistola ed estraendo solennemente la sua spada, “Tranquillo, questa spada non ti permetterà neanche di sentire dolore. Dovresti essermi grato….visto che pongo fine a tutte le tue sofferenze!”
Non c’era più niente per cui vivere. Niente per cui lottare…..Allora perché si mosse. Non era Vanko a muoversi, era il suo corpo, l’istinto di sopravvivenza.
Diede un forte strattone verso sinistra, mentre la fatale lama calava sulla sua testa. Tanto bastò per metterlo fuori traiettoria e a far mozzare oltre il polso la mano del soldato che lo bloccava. Lengo lo inseguì ed un altro sibilo fendette l’aria vicino al suo orecchio. Poi saltò. L’altezza era più che notevole. Le mille luci delle auto e della città lo accompagnarono in quel folle volo verso il nulla. Un sorriso. Un abbraccio. Le calde mani di lei che lo accompagnano nello Stige.
Poi il tonfo e nient’alto.
 
 
 
Perchè per ognuno di noi che cade, un altro è pronto a sorgere al suo posto.
 
 
 
Una calda e placida luce penetra attraverso la finestra, andando a scaldare proprio la sua faccia. Emette un piccoli mugugno stizzito. Cerca di frapporre, tra la luce e il suo viso, le sue tre dita, ma i fotoni attraversano gli spazi tra di esse e continuano ad infastidirlo.
Un’altra mano gli si posa sul viso, “Coraggio Tiberius. E’ l’ora di alzarsi. Non vedi forse come il sole ti da il buongiorno?”
Ed allora apre gli occhi.
Perché per ognuno di noi che cade, un altro è pronto a sorgere al suo posto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Noticciola stroppicciata di un corvaccio distrattone:
 
Giorno a tutti!
Era da un po’ che non ci sentivamo vero? Scusate per i millemila anni di attesa :)
Questo capitolo ha subito rimandi, ritardi, revisioni, stravolgimenti e capitolamenti che manco io mi aspettavo.
Alcune parti si allontanano forse un po’ dal mio stile classico (colpa di una certa corvaccia che mi sta accanto proprio in questo momento), ma in generale credo di essermi mantenuto sul genere di atmosfera che mi ero proposto di seguire.
Nel prossimo capitolo introdurrò, come avrete potuto capire, un personaggio che mi sta particolarmente a cuore. Spero vivamente di fargli fare bella figura!
Come sempre grazie mille a tutti ed a presto :D!

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Capitolo 3
*** Aiuto Dalle Ombre Del Passato ***


Atomi sparsi di un mondo che non conosco. Il Fante è inutile. Per cortesia, mi passeresti la Torre?
 
 
 
Capitolo 3: Aiuto Dalle Ombre Del Passato
 
“Sottovaluta il tuo avversario e i Merli si ciberanno delle tue carni”
 
Tiberius Theme
 
La cerca quella candida mano, ma non la trova. Sapeva bene che non l’avrebbe trovata li, appoggiata delicatamente sul suo viso. Eppure aveva sperato, per un brevissimo istante, che lei fosse ancora accanto a lui. I suoi occhi trasfigurano in lampi di dolore a quella malvagia constatazione, geme qualcosa e cerca di distogliere l’attenzione dall’evidenza dei fatti. La luce continua ad infastidirlo, come a volergli ricordare che l’Universo continua a muoversi e come a spronarlo ad essere partecipe a quel moto senza fine. Stancamente, e con riluttanza,  decide di alzarsi dal letto. Si mette seduto sul compatto materasso e volge uno sguardo timoroso, con la coda dell’occhio, all’altro lato del letto. La rivede distesa che gli da le spalle, un allucinazione così reale da sembrare necessaria, così perfetta da risultare impossibile da eliminare dal quadro della sua vita. Eppure era solo nebbia sugli occhi vecchi e scavati di lui. Lo sa e tuttavia non la lascia andare, si sente solo e sperduto senza di lei, sente che potrebbe uccidersi senza di lei….ma è ormai così da più di dieci anni. Lei gli sussurra qualcosa prima di scomparire, parole vuote, parole che si perdono nella nebbia delle illusioni, parole che non arriveranno mai a destinazione prefissata. Sparisce lentamente in quel banco di fumo, si perde tra gli sbuffi e i fili setosi della realtà. Tutto quel che rimane è il suo bracciale posato sul suo comodino. E’ piccolo e impolverato, nessuno lo muove più dalla sua posizione da quelli che potrebbero essere secoli per un’anima in pena. Il nero e il bianco nel primo segmento si incontrano con il rosso del secondo frammento, un’ondata di dolore impietosa gli arriva dritta al cuore ed, ancora una volta, distoglie lo sguardo.
Prova a rialzarsi sulle sue gambe, ma una fitta alla schiena gli nega quella mossa ricordandogli la sua attuale situazione fisica. Ricade piano sul materasso, emette un sospiro seccato e volge la sua attenzione al suo mite e silente compagno che placidamente aspetta appoggiato al comodino a pochi centimetri dalla sua posizione. Era di forma classica: un fusto robusto in legno compatto e lavorato finemente con tonalità scure e decise di castano; il pomo ad uncino in metallo scintillante con forme rimandanti la severità e l’austerità tipica della sua vecchia vita; il puntale anch’esso in metallo per avere più presa a terra e per vanificare un possibile invecchiamento prematuro del attrezzo di sostegno; infine il piccolo collare, che fungeva da minuta diga tra il fusto e l’uncino, era in argento con intagliata l’immagine di un animale zannuto che si mordeva a coda in un circolo infinito. Quel pezzo di legno e ferraglia era il suo nuovo migliore amico da parecchio tempo ormai. Uno dei suoi muscoli si era atrofizzato in modo neuropatico a causa di una ferita subita in battaglia. I medici avevano tentato di recuperare la sua condizione fisica anche intervenendo chirurgicamente e con trapianti, ma il suo corpo non aveva reagito positivamente alle cure, rigettando addirittura gli elementi trapiantati, e così era stato costretto a prendere un bastone per aiutarsi nella vita di tutti i giorni. Era qualcosa di rarissimo, le statistiche dicevano uno su centocinquanta milioni di casi.
Allunga la mano per raccoglierlo e portarlo a se, ma la sua attenzione viene catturata dalla cornice contenente la fotografia di lui e lei insieme. Si riprometteva ogni giorno, sempre nello stesso identico momento, di spostare quella foto dove non potesse fargli del male, ma ogni volta fingeva di autoingannarsi con la scusa di esserselo dimenticato. La verità era che non ci riusciva e non voleva allontanarla, sarebbe stato come ripudiarla ed era l’ultima cosa che gli sarebbe mai passata per la testa di fare. Indugia sul suo viso e poi, mentre le emozioni vengono nuovamente soppresse, afferra il bastone e lo preme con forza sul pavimento per usarlo come leva per alzarsi.
Non senza sforzo, si ritrova finalmente in piedi. Si muove a passi lenti e calcolati, la schiena era comunque dritta, non si sarebbe mai lasciato piegare in un essere gobbuto dai sui problemi. Con un rapido gesto del factotum fa alzare le serrande dalla loro posizione, così la luce ebbe campo libero per divampare all’interno dell’abitazione. Per un breve istante la sua vista fu accecata, poi gli occhi di abituarono subito alla nuova fonte di illuminazione. La pupilla si restringe per miosi e la stanza appare tutta più chiara. Si guarda intorno spaesato, come se non riconoscesse casa sua. La polvere fluttua nell’aria descrivendo forme imprecisate, imprevedibili e sfuggevoli, si deposita infine su tutto ciò che per lui ha significato: i ricordi.
L’armatura risplende di una luce pallida, vecchia, ma orgogliosa. Erano presenti tutti i segni che caratterizzavano un’armatura che aveva compiuto il suo dovere: graffi, parti usurate, placche bruciacchiate, ammaccature, segni di riparazione e di sostituzione parti danneggiate. Si, dopo quasi trent’anni, la Titan Royale era ancora la miglior tenuta di combattimento che avesse mai indossato. La miglior via di mezzo tra le armature leggere Spectre e le armature medie Predator. Sottili placche di ceramica percorrevano tutti gli arti che potevano benissimo essere espanse in combattimento per aumentare notevolmente la resistenza, il circuito integrato nel collare garantiva poi un piccolo boost agli scudi cinetici, donando una piccola dose di energia extra da utilizzare per ridurre il tempo di ricarica degli scudi o per aumentarne il potere frenante. Il più grosso svantaggio era che l’espansione delle placche avrebbe imitato notevolmente il movimento, bloccando stringendo in una morsa poco piacevole le giunzioni muscolari di gambe e braccia al torace ed al bacino. Molto versatile quando si aveva a che fare con proiettili ad impatto diretto, la Titan Royale soffriva durante un possibile attacco corpo a corpo. I fianchi sotto le ascelle erano poco protetti e una lama ben affilata avrebbe potuto facilmente passarci attraverso e fare poltiglia di polmoni ed organi interni. I gradi erano ancora ben visibili sulla spalle, erano forse l’unica cosa che avrebbe dovuto essere rovinata ed invece erano lì, intatti, a ricordagli momenti bui della sua carriera.
Poggiò una mano sul casco, il quale vantava un lungo taglio superficiale sulla parte destra, e subito gli vennero in mente tutte le occasioni in cui quella silente amica gli aveva permesso di riportare a casa la sua pelle e quella dei suoi compagni. Compagni…..lascia cadere la mano sul fianco e, accompagnato dal leggero rumore del bastone, si accostò alla piccola cornice sulla quale indugiava spesso. Una trentina di Turian stavano in posizione per la foto ricordo del loro diploma alla Reale Accademia delle Forze Speciali D’Assalto nella città di Tyrant. In quel giorno era diventato un membro d’elite, un membro di una delle più prestigiose e famose unità dell’esercito della Gerarchia: la 126esima Fanteria Reale Tyrant. Un organo d’assalto e combattimento specializzato in operazioni speciali ad alto rischio, dall’assalto frontale alla testa dei reggimenti dell’esercito fino alle Black Operations. La 126esima era sempre stata un sinonimo di efficienza, disciplina, strategia e implacabilità. Il motto era semplice e chiaro: “Forza Insieme”. Erano tempi diversi, tempi in cui ancora si dava poca corda ad organismi militari ben più giovani come i BlackWatch, la Fanteria Reale Tyrant aveva una lunga e magnifica storia alle spalle e qualunque soldato ne avrebbe voluto entrare a far parte. Nella foto apparivano tutti rigidi ed ordinati nelle loro uniformi dipinte con i classici colori della Gerarchia, seri e fieri di aver raggiunto quel risultato. Preferiva di gran lunga l’immagine dell’altro riquadro, dove vi erano gli stessi Turian, ma stavolta abbracciati sostenendosi a vicenda, sporchi di terra, bagnati dalla pioggia e con facce stanche e sorridenti. Era la loro prima vittoria sul campo e nessuno ci aveva rimesso la pelle…avevano immortalato quel momento perché lo sentivano nel cuore. Era stata una battaglia da poco a confronto di quelle che seguirono, ma era la loro vittoria, era personale e meritava di essere ricordata. “Forza Insieme!” avevano urlato….un gran bel ricordo….che ora aveva un significato amaro di rimpianto e nostalgia.
Di li a pochi passi, appeso al muro per mezzo di supporti, c’era un altro suo vecchio compagno: l’M-94 Mercury. Predecessore del più evoluto e moderno Mattock, spara “alla vecchia maniera” ovvero con un dispositivo di raffreddamento incamerato nell’alloggiamento di espulsione dei proiettili, un’arma precisa, affidabile e con selettore multiplo di fuoco. Lo iniziò a fissare intensamente, mentre le tenebre si impossessavano dei suoi occhi.
 
 
-Dei civili correvano contro di me. Erano una mandria urlante che fuggiva dalla battaglia che era scoppiata in mezzo a loro. I miei compagni erano rimasti bloccati in un imboscata nel mercato centrale. Era una strage. Mentre tentavo di farmi largo in mezzo a quella massa di corpi un esplosione squarciò l’aria a pochi metri dalla mia posizione. Mi rialzai con una ferita alla testa e le orecchie che fischiavano. I cadaveri di almeno quaranta Turian stavano immobili sul piccolo ponte che permetteva di passare all’altro distretto. Alcuni si erano salvati, ma erano pochi e malconci. Li sentivo muoversi quei terroristi maledetti. Afferrai il mio fucile con tutte le mie forze e i miei muscoli liberarono la loro energia in uno scatto rabbioso per difendere la testa del ponte. Riuscii a fare solo pochi metri prima che la mia corse fosse fermata da una grossa figura, avvolta nella sua corazza blu notte, che piombò dall’alto sul malridotto terreno di scontro. Il tonfo del suo arrivo al suolo sollevò un grosso polverone e fece tremare le giunture ai capi della struttura, si voltò torvo verso di me, guardandomi attraverso il visore oscurante del suo casco. Una Fantasma, un dannato Fantasma della 26esima.
“Porti al sicuro i civili rimasti sergente”, mi disse rimettendosi in posizione eretta e mentre i suoi piccoli stabilizzatori si riposizionavano integrandosi con la corazza, “Mi occuperò io della testa di ponte”
Senza aggiungere altro estrasse il suo Phaeston e si lanciò con la sua armatura ipertecnologica contro il nemico che avanzava. Non lo potevo sopportare. Non potevo sopportare di essere lasciato indietro a fare da scorta a dei fottuti civili….Al tempo ero giovane, stupido, mi lasciavo trasportare troppo dalle mie emozioni e da cazzate come la rivalità creatasi tra la 126esima e la 26esima del quale non sapevo nemmeno precisamente i dettagli….forse era qualcosa riguardo alla catena di comando o stronzate del genere. Sta di fatto che questa rivalità veniva inculcata a forza nei membri di ciascuna delle due divisioni, era come parte dell’addestramento, i più giovani, come me, si lasciavano trasportare da scemenze simili fino a trasformare questa rivalità in odio, mentre i più anziani sapevano che certe cose erano da lasciar perdere soprattutto in un inferno come il campo di battaglia. Il Fantasma di quel giorno credo avesse almeno una dozzina di anni in più di me ed era sicuramente uno che aveva capito che quella rivalità era puramente un illusione in quei frangenti.
Rimasi li a riflettere un poco, i civili sopravvissuti scivolavano lentamente, reggendosi tra loro, oltre di me verso la coda del ponte. Avrei dovuto fare come mi era stato ordinato, dopotutto il Fantasma era un mio superiore: proteggere la ritirata dei civili….ma ero uno zoccolo duro e, maledicendo i gradi, raggiunsi il membro della 26esima.
“La 126° fanteria reale Tyrant non prende ordini dalla 26°!”, credo che urlai questo, più qualche imprecazione lungo la strada.
Quando arrivai sulla sua posizione capii il perché la 26° era così rinomata per le strategie d’assalto extrarapido, ma al tempo soffocai quella constatazione sotto l’orgoglio di appartenenza alla mia divisione e alla rabbia. Volava come una dannata mosca attraverso tutto lo spiazzo difronte al ponte, sparando con precisione letale ad ogni bersaglio. Mentre scendevo i piccoli scalini, per raggiungere un riparo offerto da un blocco appartenente al palazzo crollato in precedenza, il Fantasma si sollevò per aria percorrendo una traiettoria trasversale ascendente verso sinistra e sparando in mezzo al petto a quattro ribelli. Quelli caddero a terra, accasciandosi tra gli spasmi di dolore, mentre il Fantasma si posizionò sopra un piccolo balcone. Gli altri terroristi lo bersagliarono con i loro fucili, ma egli attivò il suo dispositivo di occultazione, così quelli non si accorsero che si sollevò in aria sopra di loro per poi ricadere pesantemente a terra liberando un onda cinetica gigantesca tramite i dispositivi potenziati della sua tuta. Furono tutti lanciati attraverso il campo di battaglia per diversi metri, finendo svenuti per un urto troppo violento o impalati tra delle lamiere di un edificio distrutto. Lo svantaggio di effettuare una mossa del genere era che per liberare tale energia, gli scudi e gran parte dei sistemi elettronici della corazza venivano spenti per poter ottenere più potenza possibile e per evitare anche che si danneggiassero nella propagazione dell’onda d’urto. Fu proprio in quel momento che altri sei terroristi sbucarono da un vialetto laterale e spararono al fantasma. Si procurò una ferita appena sotto il polmone destro, ove la sua corazza era più debole, e si accasciò a terra tenendosi una mano sula ferita per cercare di rallentare l’uscita del sangue. Uno di quegli uomini lo sollevò da terra e, con un colpo ben piazzato del calcio della sua arma al volto dell’avversario, spaccò la sua visiera oscurante e lo lasciò cadere con un pesante tonfo al suolo.
Non so perché lo fece, ma guardò dritto davanti a se, come se mi stesse cercando, come se sapesse da una vita che ero dietro quel blocco di roccia. In quel breve instante i nostri occhi si incrociarono e non vidi un nemico, che non avevo in realtà mai conosciuto, ma un mio fratello che chiedeva aiuto. Strinsi le dita della mano destra sul grilletto e quelle della mano sinistra sulla granata. Confesso di aver avuto paura in quel momento, paura di non farcela……è strano come la paura possa giungere nei momenti più inaspettati. La gente comune idealizza troppo i soldati, credono che tutti loro non possano conoscere la paura grazie al loro addestramento…Stronzate….un mucchio di gigantesche stronzate. Il soldato ha più paura dell’uomo medio e il generale ha più paura di tutti i suoi uomini, perché ognuno sa che deve fare bene il proprio lavoro se non vuole perdere i propri compagni o gli amici o i familiari….ma per compiere il proprio dovere è necessario sconfiggere la Paura, metterla da parte e far valere il coraggio o non si rimane chiusi in un circolo di vergogna e maledetto.
Così mi feci coraggio, diedi uno scatto alle mandibole e mi proiettai fuori dal riparo. La granata FB esplose in un lampo di luce che accecò gli sventurati lasciandoli vulnerabili al mio fuoco. Svuotai il caricatore su di loro, vidi i loro corpi assorbire i proiettili come spugne e rigettare fuori zampilli di sangue come se stessi dipingendo un quadro sui loro ventri. Tenevo ancora premuto il grilletto, mentre uno sbuffo di fumo dal sistema di raffreddamento, posto sul lato destro dell’arma, mi avvisò del surriscaldamento. Uscii dal riparo e aiutai il Fantasma della 26° a rialzarsi.
Sulla strada del ritorno mi disse stancamente: “Hai disobbedito agli ordini sergente….ci saranno delle ripercussioni per questo”
“Non mi dica che non è stato felice di vedermi Tenente? Sarebbe stato eliminato da quei bastardi senza il mio intervento!”, ero arrabbiato, volevo un po’ di riconoscenza per quello che avevo fatto, specie da parte di un ufficiale che apparteneva ad una divisione con la quale c’era una grande rivalità.
Lui rispose con cattiveria e amarezza, un tono di voce inasprito dal sapore ferroso del sangue, “Ciò non toglie che hai disobbedito all’ordine diretto di un tuo superiore e hai deliberatamente lasciato dei civili senza protezione…..e se ci può essere una scusante per la prima accusa, per la seconda non ve ne sono…Siamo soldati non per l’ebrezza della battaglia, non per accumula gradi e mostrine…ma per loro, per la nostra gente che ha bisogno di noi. Se non comprendi questo allora sarei sempre il peggiore tra soldati Merula”
Quel giorno quel Turian mi cambiò la vita e sembrava saperlo dallo sguardo che mi rifilò dopo che il Colonnello mi sbattè a pulire ogni fottuto mezzo corazzato della divisione…..E lo sapevo anche io.-
 
 
Riaprì gli occhi Tiberius Merula. Occhi stanchi, di un nero opaco, cercavano qualcosa a cui appigliarsi in quel muro dei ricordi. C’era la sua immagine riflessa sulla teca dove era custodito il coltello di famiglia, arma raffinata con una lama perfettamente modellata per lavorare a doppio taglio sulla carne e motivi tipici della cultura di Palaven, ma non si riconosceva in essa. C’era il volto di un Turian sconfitto dall’età, dal dolore, dai ricordi. La sua pelle, seppur composta di carbonio e torio, aveva perso lo smalto di un tempo, poteva quasi dire di essere diventato più pallido. Inoltre l’assenza della terminazione posteriore della mandibola destra, perduta in uno scontro corpo a corpo con un Krogan, e tutte le altre cicatrici, che pareva quasi rughe nell’equivalente Umano, non lasciavano difficile interpretazione al suo stato attuale. Tiberius Merula, ormai superati i 68 anni di età, si riteneva poco più che un soprammobile in quella casa e un impiccio per il mondo la fuori. I suoi marchi blu notte seguiti, nei bordi bassi, da sottili linee bianche, erano l’unica cosa che non pareva invecchiata all’apparenza. I tempi al servizio della Gerarchia era finiti, ma la vita non era stata clemente con lui per il “pensionamento”. Posò la mano sulla teca e poi, dopo essersi perso nuovamente per qualche minuto in un lontanissimo e buio ricordo, scivolò lentamente in cucina. Mangiò poco e poi prese il suo antidolorifico per quella vecchia ferita alla schiena che la mattina gli ricordava sempre quale era il suo posto nella Galassia ora.
Prima di uscire di casa si infilò sul braccio sinistro una piccola piastra protettiva, lo faceva per due motivi principali: il primo era essenzialmente abitudinario, la vita militare gli aveva lasciato l’insegnamento di avere sempre una piccola protezione per le emergenze; il secondo era che voleva mantenere un aspetto dignitoso ed autoritario, non voleva che gli altri lo considerassero come -un vecchio bavoso Turian mezzo paralizzato-, sapeva però fin troppo bene che lo consideravano in quel modo. L’ultimo raggio di luce, che entrò in casa prima che la porta si richiudesse alle sue spalle, illuminò una foto di un primo piano di una Turian. Sotto di essa era attaccata una targhetta commemorativa che recitava: “In memoria di Eris Tannis,  fiera, coraggiosa e fulminea”, più sotto era riportata una dedica con lettere molto più eleganti e intrise di palladio, “Tu sei stata la prima. Ora e per sempre: Intangibile ed Inarrestabile”. Quando uscì all’esterno dalla sua piccola dimora su Illium, che gli passò suo padre come da testamento, fu lieto di scorgere una bella giornata. Il piccolo spiazzo fuori dall’abitazione era grande e costellato di vasi con piante di ogni varietà e specie, un piccolo angolo di Paradiso in mezzo al malessere e ai disgustosi traffici illegali di Illium. Prese un lungo respiro e poi si incamminò verso destra, ma fu fermato dopo pochi metri da un anziana Umana dai capelli corti e bianchi.
“Oh, Tiberius! Buongiorno! Va a fare la sua solita passeggiata?”, chiese quella sfoderando un raggiante e affabile sorriso.
“Mia cara miss Pennyworth”, salutò il vecchio Turian con un mezzo inchino, “Lei mi conosce troppo bene….non sarà che sono io troppo prevedibile?”, rispose facendo scaturire da quelle parole tutta la felicità per quell’incontro.
“Forse un po’ amico mio”, fece lei ridacchiando un po’.
“Eeeeeh la vecchiaia miss! Tra poco dovrò segnarmi le cose sulle mani per non dimenticarle”, rise anch’egli.
“Suvvia Tiberius, non faccia lo sciocco! Lei ha una memoria di ferro.....Piuttosto, sono riuscita a farmi spedire quella marca di thè che mi aveva detto essergli piaciuta molto tempo fa”, affermò la Pennyworth facendo apparire un ologramma della summenzionata busta di thè.
“E’ proprio lei!”, affermò Merula indicando l’immagine digitale, “Lei mi vuole proprio viziare mia cara”
“Un modo come un altro per passare il tempo insieme a parlare dei vecchi tempi”, disse lei raggiante, “Allora stasera la aspetto verso le 21 e non faccia tardi come l’ultima volta!”
“Sarò puntualissimo miss Pennyworth, non ne dubiti” e fece un altro inchino accompagnandolo con la mano sinistra.
“Quante volte ti ho detto che puoi chiamarmi Ann, eh Tiberius?”, fece lei un poco rattristata.
“Credo dozzine di volte….e che il suo cognome esprime un certo nobile retaggio che mi piace sottolineare”, ammise il Turian sincero.
“Adulatore..”, lo schernì lei allontanandosi salutandolo con la mano.
Tiberius adorava quella donna, era la classica dottoressa da ospedale, premurosa, accondiscendente e gentile con tutti. Si conoscevano da molto tempo, più o meno da quando Eris era morta. Era facile diventare affabili con lei, aveva il gran dono di trasmettere tranquillità a chiunque le rivolgesse il saluto o scambiasse anche solo due parole con lei. Era anche l’unica compagnia vera e sincera su cui il Turian potesse contare, non era per mera cortesia che lei voleva parlare con lui, ma proprio perché entrambi godevano molto della compagnia reciproca. Passavano lunghe giornate a giocare a scacchi, chiacchierare dei ricordi e sorseggiare thè come nelle migliori famiglie inglesi. La vista che poi si godeva sul tramonto del sole di Illium dalla terrazza panoramica della Pennyworth era incantevole. Era come vedere l’orizzonte prendere fuoco ed essere investiti dall’ultima ondata di calore dell’Universo. I Turian erano abituati alle alte temperature, complice l’ambiente ostile di Palaven, ma Tiberius riusciva a percepire quel calore fino alle ossa, a volte ci scherzava pure sopra dando la colpa alla vecchiaia.
Riprese a camminare, spostando il peso sempre in modo che il bastone lo aiutasse a non sforzare la schiena, lungo le vie di Illium. C’era molta gente nelle strade, per lo più Asari e Volus che correvano dietro a potenziali clienti per i loro commerci e uomini d’affari che si muovevano attraverso i gate di collegamento dei quartieri alti.
La destinazione di Merula era poco più lontana dal mercato centrale, un  piccolo parco situato in una grande apertura circolare e agghindato da un paio di grattacieli di contorno. Un polmone verde frequentato solo da pochissimi, tutti avevano troppa fretta per sedersi un attimo a pensare o a godersi lo spettacolo offerto dalle varietà floreali del giardino. Sembrava così in contrasto con tutto il pianeta quel posto. Il posto preferito di Tiberius era una panchina che dava lo sguardo direttamente sullo strapiombo di strade, autovelivoli e palazzi del pianeta. C’era poi il fatto che quando ci si sedeva su un determinato posto per più di tre volte, diventava automaticamente di tua proprietà, così gli altri avventori del luogo lasciavano libera la panca per lui, consapevoli che sarebbe arrivato ad occuparla. Non aveva mai avuto l’occasione di fare grandi discorsi con loro, per lo più si salutavano e scambiavano cenni d’intesa e complicità. Era uno strano rapporto di fiducia e rispetto reciproco che Tiberius non aveva compreso fin da subito, ma ne aveva imparato a capire il significato accostandolo all’intesa che aveva con i suoi vecchi compagni di battaglia. Prese un ascensore che lo avrebbe portato al livello inferiore dove si trovava il suo piccolo momento felice. I ricordi fluivano come un torrente in quei momenti, ad Eris piaceva molto andare in quel parco e stare li a far nulla, semplicemente per contemplare i cielo e perdersi in discorsi sul vago e l’incerto. La porta dell’ascensore si aprì di scatto, riportandolo alla realtà solo dopo che una decina di persone dietro di lui lo avevano aggirato per proseguire di fuori, lanciandogli insulti vari e lamentele riguardo al bloccarsi davanti ad un’entrata. Se ne preoccupò ovviamente meno di zero e riprese a camminare verso il parco, che ora si stagliava a due isolati più a destra della sua posizione come una oasi nel mezzo del deserto. Era un posto tranquillo anche perché era leggermente defilato dalla zona percorsa normalmente dalla gente di affari e questo era un bene per la tranquillità del posto che sembrava vergine di visite di gente di quel tipo.
Lo videro arrivare da lontano alcuni Umani frequentatori del luogo. Lo salutarono e gli diedero il bentornato con un gran sorriso, cosa a cui Merula ricambiò con sincerità. Sorpassò una palma terrestre e un gran cespuglio di fiori azzurri Asari e prese posto alla panchina.
La calma del luogo, l’aria impregnata di ogni genere di odore prodotto da quelle varietà floreali e vegetali e la luce lo trasportarono ad uno dei suoi ricordi più belli.
 
 
-Polvere ferrosa si disperde nell’aria, la tempesta è vicina. Sento la lingua come riempirsi del dannato metallo, mentre scruto la piccola gola granitica che avremmo dovuto attraversare, ma stavolta non da protagonisti. Controllo il Mercury poggiando a terra il ginocchio, collimo la mira e innesto il sistema di raffreddamento….
“Merl! Allora che facciamo? Ci muoviamo?”
“Si Rax….Dammi solo un momento….Ah e ti converrebbe chiamarmi col mio titolo finchè abbiamo il colonnello in mezzo ai piedi, sai quanto ci tiene alla stronzata dei gradi”, lo rimproverai,
“D’accordo….Capitano…..Ma, dimmi, è vero che oggi faremo da spalla?”, mi chiese quasi spaventato,
“Non hai visto tutti quegli stronzi in corazza nera e casco oscurante? Ecco, dobbiamo scortarli al complesso e garantirgli copertura finchè sono dentro”, ammisi con riluttanza trascinandolo con me verso il resto del gruppo,
“Da quando la 126° fa da scorta??? Siamo noi l’elite no?”, esclamò lui gonfio d’ira e orgoglio, mentre allargava le braccia,
“Dannazione, non lo so Rax! I fottuti politici iniziano a credere che ci voglia un gruppo più ristretto di uomini, più anonimi, meglio addestrati e con abilità speciali. Il Generale Kantus mi ha confermato che la Gerarchia ha già avvallato una serie di progetti….forse questi uomini stanno venendo messi alla prova…”
“Che intendi con –abilità speciali-?”, domandò lui incuriosito da quella scelta di parole,
“Intendo dire biotici Rax, per quanto rari ne abbiamo anche noi credo….ma, che gli Spiriti mi fulminino, se abbiamo bisogno di dannati biotici nella nostra unità!”, sentenziai….giovane…..ingenuo….stupido,
Qualche minuto dopo il colonnello ci diede le informazioni necessarie per lo svolgimento della missione. Si trattava di muovere la 126° attraverso la stretta gola ed eliminare la resistenza esterna, offrendo contemporaneamente copertura all’unità speciale affidatagli dal Primarca. Loro si sarebbero occupati dell’interno dell’insediamento. Fatto ciò ce ne saremmo andati belli e tranquilli…..o quella era l’idea. Io sarei stato a capo della prima e della seconda squadra, ero fresco di promozione e quel balordo del colonnello non vedeva l’ora di farmi comprendere appieno le responsabilità del comando. Seguii la strategia classica d’assalto frontale: il piccolo stabile era protetto da due torri di osservazione e avevano anche un mezzo corazzato e degli altri veicoli terrestri. Ordinai alla seconda squadra di colpire da lontano, avevamo due cecchini e un mortaio, perché non utilizzarli?
La prima squadra mi seguì attraverso la gola, tenendo gli specialisti della Gerarchia all’interno di una disposizione a V rovesciata.
L’assalto fu tanto rapido quanto devastante. Il mortaio fece cadere una pioggia di fuoco sull’accampamento grazie ai missili Hellstorm che, una volta raggiunta la massima quota, si dividevano in ben dieci unità più piccole di esplosivo che facevano letteralmente terra bruciata attorno a loro. Sfruttando il panico i cecchini colsero alla sprovvista sentinelle e altri sprovveduti, lasciando a terra almeno una dozzina di ribelli. Avanzai con la prima squadra sfondando la prima linea di difesa nemica, eravamo dentro l’accampamento, ma avevo avuto la premura di lasciare dietro quei presunti Specialisti, dato che secondo le direttive del colonnello era nostro dovere tenerli fuori dagli scontri a fuoco.
Non incontrammo grande resistenza, eravamo più preparati, più coordinati e vantavamo dell’effetto sorpresa, non avevano scampo. Eliminammo qualcosa come una trentina di feccia ribelle e poi diedi il via libera ai protetti della Gerarchia di farsi avanti. Tra loro notai una figura più snella delle altre, mi passò anche per la testa che potesse essere una femmina, ma la parte maschilista del mio cervello ignorò prontamente quella chiamata, ai tempi credevo che le donne non dovessero immischiarsi in affari di guerra….quanto ero idiota. Come da richiesta, il bunker con tutte le informazioni preziose e i nemici al loro interno sarebbero stati un loro affare. Ci limitammo così a stazionare all’esterno, col dannato vento a oscurare la vista e le particelle di metallo trasportate dall’elemento naturale a rendere difficili le comunicazioni. Mi informai sulla visibilità che aveva la squadra due, a stento riuscii a comprendere che avrebbero avuto una visuale migliore attraverso una lastra di piombo. Optai per non far muovere la squadra due, sarebbe stato un azzardo niente male con quel tempo, se fossero stati attaccati in mezzo a quella tempesta di sabbia ferrosa non avremmo potuto fare niente per loro. Di contro persi la copertura offerta dal mortaio, cosa che poi si rivelò determinante.
Quegli Specialisti ci fecero attendere quasi un’ora, la tempesta si infittiva di minuto in minuto e io non avevo assolutamente intenzione di rischiare che un VTOL-F60 nemico stagliasse il cielo per farci secchi alla sprovvista. Stavo per entrare nel bunker quando un dannato Mako d’assalto sbucò fuori dal retro dell’accampamento. I maledetti strumenti non lo avevano rivelato e il vento rendeva impossibile vedere e sentire praticamente tutto quello che non fosse a tre passi da ognuno di noi. Stavolta erano loro ad essere in vantaggio. Un colpo di cannone bastò a farci disperdere per il campo di battaglia. Non potevo coordinare la mia squadra e l’unico che aveva un lanciamissili era Rax che non vedevo attorno a me. Sentivo sparare di qua e di là, ma sapevo che sarebbe servito a poco, la corazza del Mako era impossibile da penetrare per le nostre armi d’assalto. Un altro colpo di cannone, stavolta talmente vicino da farmi uscire di copertura e trovarmi faccia a faccia col muso schiacciato del mezzo corazzato che mi si dirigeva contro per speronarmi. Pensavo già di passare alla storia come Turian che ha fatto il salto più veloce dalla promozione di Capitano alla tomba, quando il mezzo si bloccò sul posto. Non lo notai subito, ma era attorniato da una specie di sfera azzurro-violacea sostenuta da due Specialisti della Gerarchia.
“Meglio se ti levi di qui!”, mi fece la figura snella di prima.
Mi spostai ed allora i due lanciarono letteralmente il cargo a trenta metri di distanza facendolo ribaltare. Provati dalla fatica i due stavano recuperando le forze, ma il Mako si aprì rivelando cinque uomini al suo interno. Iniziarono a bersagliare i due biotici, così estrassi la mia arma e mi diedi da fare. Il Mercury non lasciò molto scampo a quei bastardi, mi ero migliorato e preparato per avere una mira ottima anche in situazioni meteo avverse, ovviamente ciò non significava che fossi infallibile. Messi a terra i primi due, ne ferie un terzo alla gamba, ma uno di loro tirò fuori dal mezzo una mitragliatrice pesante con cui mi teneva sotto scacco. Fortunatamente arrivò Rax che con il suo lanciamissili colpì in pieno il generatore del motore del Mako facendolo saltare in aria e riempendo l’aria di fumo nero e fiamme. Ci stavamo avvicinando ai due specialisti per aiutarli, quando due sopravvissuti all’esplosione ci si avventarono addosso, ma si bloccarono a mezz’aria. Uno di loro aveva avuto i riflessi abbastanza pronti da afferrare i due con una presa biotica e farli volare via in mezzo alla tempesta di sabbia. Non ci furono tante cerimonie, solo un ringraziamento veloce da parte mia e poi organizzammo subito la ritirata.
Una volta tornati alla base operativa, iniziai a togliermi di dosso parte di quella dannata sabbia che si era infilata ovunque.
“Ha gestito bene oggi la situazione……Capitano Tiberius Merula, giusto?”, era apparsa una femmina alle mie spalle. Era snella, si avvicinava a passi lenti e calibrati, l’armatura nera che ancora indossava non nascondeva comunque una certa eleganza nei movimenti. Li per li ero pensando –Che diamine ci fa una Turian quaggiù?-
“Si….Ci conosciamo?”, domandai con una punta di nervosismo….lo dovevo ammettere, aveva degli occhi verdi incredibilmente magnetici,
“Sono quella che oggi le ha salvato la vita dal Mako e dai ribelli……ed anche quella che lei ha salvato da una scarica di mitragliatrice pesante”, ammise lei identificandosi.
Le mie mandibole scattarono in un cenno di dissenso che lei colse al volo, “C’è qualcosa di me che la turba Capitano?”
“A parte il fatto che è una femmina con poteri biotici? Solo il fatto che la mia unità Tyrant sia stata usata per portarla a fare una passeggiata dolcezza!”, scattai rabbioso…..stupido.
“Quella a cui avete partecipato era un importante operazione d’intelligence Capitano! Grazie a questo successo la Gerarchia approverà definitivamente la creazione di una nuova squadra d’elitè: i BlackWatch. Credevo comunque che fosse meno bigotto e che apprezzasse il fatto che ci fossero donne che sanno fare altro oltre che accudire bambini”, si indignò lei per quel tono sprezzante e volgare nei suoi confronti,
“Dovrei essere quindi felice che la Gerarchia abbia intenzionalmente degradato la 126° da unità di prima scelta a quella di seconda mano? E di aver contribuito con le nostre stesse mani a scavarci la fossa?! Tutto ciò è ridicolo!”, feci per andarmene, ma quella mi trattenne per un braccio, la presa salda come la roccia più dura.
“Stia a sentire Capitano”, mi squadrò lei, “Per le sue doti tattiche e di comando i BlackWatch le faranno la proposta di entrare nei loro ranghi. Paga proficua, le armi migliori, le corazze migliori, gli elementi migliori sotto il suo comando…..Fossi in lei prenderei in seria considerazione questa proposta….”
Le lanciai uno sguardo truce di rimando, credo che quella fosse una delle poche volte che la vidi intimorita, “Io sono Tiberius Merula, Capitano della 126° Fanteria Reale Tyrant ed è questo il mio posto, questo è il mio fucile, questa è la mia corazza e quelli sono i miei uomini….Non ho nient’altro da dirle”
Mentre me ne andavo lei fece uno scatto biotico verso la parte interna dell’hangar, superandomi e sedendosi sopra una cassa di rifornimenti incrociando le gambe, “Il mio nome Eris Tannis, Capitano, se ci ripensasse sa almeno a chi rivolgersi”
Risi molto mi ricordo…….Il suo nome era Eris Tannis e solo gli Spiriti sanno quanto la amai dopo allora.-
 
 
Tiberius venne riportato alla realtà da un grosso fracasso. Un Umano aveva fatto cadere a terra tre Asari che portavano dei vasi andandoci contro senza accorgersene, questo perché correva a perdifiato guardandosi le spalle. Si scusò in modo rapido, ma la sua fretta, il modo in cui era conciato e la paura che trapelava dai suo gesti e movimenti era palese. Si infilò in un vicolo e sparì. Poco dopo altri quattro uomini arrivarono e si gettarono dietro lo stesso vicolo dove si era infilato prima l’altro Umano. Se c’era una cosa che Tiberius aveva imparato nella sua carriera era che se vedevi un uomo correre, voleva dire che aveva fretta per qualcosa di importante, se vedevi però correre qualcuno dopo di lui vuol dire che fuggiva per non essere ucciso. La strada in cui si era andato a cacciare era senza via di uscita. Riflettè, sapeva cosa stava per succedere, aveva notato le armi silenziate degli inseguitori, l’unica cosa era: andare oppure no?
Socchiuse gli occhi e, quando li riaprì, un vecchio fuoco ci bruciava dentro. Lasciate che il leone ruggisca un'altra volta.
 
 
Downplay - Save Me
 
 
Vanko incespicava tra il ciarpame accumulato sul fondo della strada, si era chiuso da solo in una maledetta trappola. Era riuscito a salvarsi dal volo per puro miracolo, era atterrato su un auto che, sentendo l’urto, si era subito accostata e così era potuto fuggire. Aveva comunque dolori lancinanti per la botta subita e per la lunga fuga, ormai i subalterni di Leng lo avevano raggiunto e non lo avrebbero certo risparmiato.
“Ti abbiamo preso Vanko”, fece uno di loro avanzando verso di lui con fare minaccioso.
“Scusate signori!”, esclamò una voce poco distante. Vanko vide un Turian avanzare ritto sulla schiena e con al seguito un bastone, non potè fare a meno di chiedersi che diamine stesse succedendo e chi fosse quell’alieno.
“Vi consiglierei di lasciare andare quell’Umano, se non volete tornare a casa imbustati in quei sacchi di immondizia”, disse quello indicando l’immondizia col bastone.
Quello che stava vicino a Vanko fece cenno agli altri tre compagni di occuparsi del visitatore, mentre lui completava il lavoro.
Tiberius sospirò sommessamente, poi, appena il primo di loro si fece avanti, estrasse il coltello di famiglia e lo infilò ripetutamente nel ventre del malcapitato, lasciandolo a dissanguare al suolo. Non diede tempo agli altri due di reagire, si dimenticò della fottuta schiena e brandì il bastone con lo stile da combattimento che aveva imparato per poterlo usare come un arma letale. Eseguì un rapido mezzo giro sulla destra e colpì l’altro avversario sulla tempia, poi destabilizzò la gamba su cui spostava il peso e lo fece cadere a terra. Successivamente rivolse l’attenzione sull’altro aggressore, prese il bastone dalla parte inferiore e lo colpì brutalmente col pomo metallico sulla testa. Disorientato quello tento un assalto alla ceca, ma incontrò solo altri tre colpi di bastone alle gambe e al ventre ed infine il pugnale al cuore. L’altro che era caduto a terra fu poi eliminato da una zampata secca del Turian che spezzo le vertebre vicino al cranio causandogli una morte istantanea. Infine l’ultimo assalitore, rendendosi conto che i suoi compagno erano stati eliminati, attaccò a sua volta il soccorritore del russo. Anche stavolta non si fece cogliere impreparato, un colpo di bastone al ventre lo bloccò sul posto, poi un’altra sventola sotto il mento gli ruppe la mascella ed infine il coltello penetrò negli intestini e risalì fino al collo in un unico, devastante, fluidissimo e violentissimo gesto. Rinfoderata l’arma dietro la schiena, il vecchio Tiberius Merula si avvicinò all’Umano, dicendogli:
“Scusa se ti ho fatto aspettare così tanto”
 
 
 
 
 
 
 
 
Nota alla rinfusa, sconclusionata, bruciacchiata, piena di cancellature e pure puzzolente di Murkrow:
 
Dio mio…..Ce l’ho fatta davvero….
Questo capitolo è……un grosso e gigantesco BOH……E’ passato attraverso mille e passa travagli: riscritture, cancellamenti, abbandoni, dimenticanze, cose strane ecc. ecc.
Alla fine questo è quello che ne è uscito fuori. Spero solo che sia un degno trampolino di lancio per il mio ritorno alla scrittura :).
Ringrazio Johnee per l’infinita pazienza nell’aspettare Tiberio (che spero abbia fatto la sua figura nonostante tutto) , ad Andromedahawke per aver editato in nuova veste Siha e a Lubitina per avermi insegnato il romano xD. Ma soprattutto vi ringrazio una per una perché mi avete sempre sostenuto, incoraggiato, ispirato per vie dirette e non, sopportato, perchè mi avete fatto compagnia nelle ore buie dell’uni, perché abbiamo sdrogheggiato e perché con voi ho saldato un’amicizia che già da ora posso ritenere indissolubile. E direi che non c’è modo migliore che ringraziarvi se non con millemila baci, cuori, abbracci e occupandomi dell’editing delle nostre clips nel Mega Multiplayer Montage di Mass Effect 3 :D!
Ragazze vi voglio un bene dell’anima <3<3<3

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Capitolo 4
*** La Lunga Notte Dell'Ispettore Merlo ***


Capitolo 4: La Lunga Notte Dell’Ispettore Merlo
 
 
“Lo spettacolo non mi piacque fin dall'inizio... anche se mi avevano riservato un posto in prima fila.”
 
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-Un soffio d’aria insolitamente fredda si fece largo nel campo, sollevando una piccola quantità di polvere e facendogli fare due o tre loop prima di disperdersi nell’ambiente. Con la coda dell’occhio seguo quel piccolo e sfuggente serpente d’aria, tutto acquisiva più importanza dopo aver perso qualche centinaio di uomini e un numero imprecisamente alto di civili in un assalto dei Terroristi. Le prime luci del mattino inondavano l’accampamento dopo la terribile giornata precedente. L’ospedale del campo, così come quelli degli altri insediamenti circostanti, aveva lavorato a pieno regime e c’erano stati quindi un mucchio di pianti e lacrime di tutta la gente accorsa per i loro cari. Ho perso molti amici ieri, la Reale Accademia è stata attaccata e i membri della Tyrant rimasti a difesa erano troppo pochi per riuscire a contrastare l’offensiva nemica. Ci hanno presi di sorpresa, la 126° è stata presa a pugni in faccia dagli oppositori della Gerarchia..la nostra storia, i nostri cimeli, le nuove reclute, i vecchi soldati e la nostra casa sono stati annientati senza pietà..ho sentito dai miei superiori che si contano circa 300 perdite della più nobile, prestigiosa e antica divisione dell’esercito della Gerarchia. Colpire in questo modo una struttura militare, specie una unità come la Fanteria Reale Tyrant, è uno dei più grandi smacchi che la storia Turian ricordi… per giunta se effettuata da dissidenti del potere del Primarca.
Da qualche parte dentro di me..sento che sarò uno degli ultimi a portare lo stemma identificativo della Tyrant sulla corazza..la storia mi ricorderà come uno dei sopravvissuti al genocidio della mia legione..per me questo è solo un disonore terribile..avrei preferito essere ricordato come un martire che aveva perso la vita per difendere la sua casa, piuttosto che apparire come un codardo che non era riuscito a evitare uno dei più grandi massacri della storia della Gerarchia.
Bisogna dar merito a quei bastardi di aver organizzato tutto veramente bene..diamine non ho mai visto una cura così maniacale per i dettagli. Di certo non si può dargli torto, hanno effettuato un’impresa assolutamente impensabile. Da quando questa guerra contro i terroristi ha iniziato a prolungarsi anni in più di quanto previsto la Gerarchia ha applicato severe norme di sicurezza per accedere alle città più importanti, per non parlare della capitale che è diventata una specie di fortezza. Il Primarca Valorum si è lasciato decisamente trascinare dalla sua politica difensiva tanto decantata ed elogiata, ma è un Turian troppo orgoglioso e sicuro di se ed ha la cattiva abitudine quando mette in pratica una soluzione ad un problema di lasciarla a vegetare li, senza più curarsi di modificare alcuni aspetti del piano quando arrivano i segnali che qualcosa stia cambiando. Questo vale per le sue fottute “bolle di difesa”, come piace a lui chiamarle. Nessuna difesa è impenetrabile, ma la sua spocchiosa fiducia in se stesso e la volontà di apparire sempre come risoluto ed uno che non fa mai passi indietro lo rendono vulnerabile e prevedibile. Se l’avevo capito io figuriamoci quanto ci hanno messo a capirlo i Terroristi.
Ad ogni modo, il suo piano prevedeva cose come inserire accessi monitorati da soldati nelle città. Controllo documenti, scannerizzazione biometrica, perquisizioni varie, controllo dei precedenti e così via. Nemmeno i soldati erano esenti da questo trattamento onde evitare che ci fossero infiltrati tra le nostre stesse fila. Il problema era migliaia di persone entrano ed escono dalle grandi città ogni giorno e quindi, per garantire un flusso di entrata/uscita abbastanza fluido da non congestionare la strada, si controllavano velocemente e sommariamente gran parte delle persone e le perquisizioni si concentrarono più su coloro che ricalcavano lo stereotipo del terrorista, cioè gente proveniente dagli arcipelaghi settentrionali e delle montagne del Warsur. L’ostentata sicurezza del Primarca aveva contagiato anche gran parte di coloro che erano affidati a questo tipo di incarico, così che la loro vigilanza sul campo diminuì gradualmente fino ai livelli di placido e passivo assolvere. Dalle prime informazioni raccolte sappiamo che dovrebbero aver superato questi blocchi in vari modi: c’erano squadre che usarono dei cargo agli astroporti nascondendosi nella merce, cellule che sfruttarono i canali di scolo, riciclo e filtraggio delle città, gruppi che applicarono la corruzione a chi era di servizio agli ingressi controllati e chi semplicemente riuscì a superare i controlli semplicemente per la pigrizia di chi di dovere. Da li in poi i terroristi si divisero in piccoli gruppi e si portarono in diversi posti di particolare importanza delle varie città, camuffati da normali cittadini non ebbero problemi a muoversi attraverso le reti urbane e locali. Giunti ai loro obbiettivi, attesero che fosse mezzogiorno in punto e poi diedero il via ad un attacco simultaneo su ben dieci grandi città. Stazioni di mezzi pubblici, aeroporti, tribunali, aziende con legami fitti e strettissimi con la Gerarchia, industrie di vario genere (metallurgiche, energetiche, militari), ospedali, scuole, accademie militari come la Tyrant, piazze e grattacieli qualunque. Si stima un numero di infiltrati in media per città pari a un ottantina di elementi. Si procurarono le armi tramite il mercato nero, quindi niente di rintracciabile o riconducibile al loro movimento estremista, nessuna targhetta identificativa, documenti o altro per riuscire a di indentificarli..non ne avevano bisogno..sapevano benissimo che il loro era un viaggio di sola andata. Difatti il loro era un attacco mirato per mietere più vittime possibili, il caos era il loro obbiettivo, non appena capirono di essere alle strette e senza più molte munizioni…si fero saltare per aria…erano imbottiti di esplosivo ed erano pronti a lasciarci la pelle fin dal primo momento dell’assalto, ma il vero scopo di questo gesto diabolico era tutt’altro. Mentre il numero delle perdite civili, e non, saliva alle stelle, un gruppo di circa cinquanta Terroristi guidati dal loro stesso leader colpì la residenza del Primarca dapprima rapendolo e poi, circa dopo quattro ore da questi eventi, mostrandolo sanguinante, con ripetuti segni di abusi e torture, appeso ad una catena che lo teneva ritto in piedi. E’ stata una prova di forza, dove questi figli di puttana hanno dimostrato di sapere bene cosa stanno facendo e come lo stanno facendo..ora chiedono la liberazione di tutti i loro uomini catturati e la resa immediata dell’istituzioni che, a parer loro, hanno rovinato la società Turian. Ogni fottuto soldato o persona su questo buco di pianeta sa che non rivedremo il Primarca vivo e devo dire che Valorum non mi mancherà, da qualche parte ai piani alti è stato sicuramente nominato un sostituto pronto a prendere il suo posto. Di certo non tratteremo con i terroristi e certamente si farà di tutto per creare un piano per salvare il Primarca, ma questa è solo una copertura dei politici per dire “Abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere, ma abbiamo fallito”, sappiamo tutti che il Primarca è già morto..solo che questo non impedirà a me o al restante comparto militare di andare a fare il culo a quei bastardi e avere almeno il sapore della vendetta.
Ero seduto su una roccia all’ingresso del campo che guardavo la luce colpirmi il volto, giochicchiavo con un bastoncino tra le mani, fragile e piccolo, pareva dovesse spezzarsi al prossimo alito di vento. Continuavo a pensare a cosa avrei potuto fare se fossi stato all’Accademia Tyrant per dare una mano..mi sentivo peggio di un traditore e avrei voluto spaccare l’armatura dalla rabbia. Proprio mentre rimuginavo e tendevo in una flessione il bastoncino, arrivò di corsa un Turian alle mie spalle che mi chiamò a gran voce.
“Merl! Merl!”, urlò quello con quanto fiato aveva nei polmoni.
Dalla sorpresa misi troppo forza e spezzai il bastoncino che rimase metà  nella mao sinistra e metà nella mano destr in seguito ad un piccolo schiocco. Alzando gli occhi al cielo per aver combinato quel danno, come se fosse stato una cosa grave, lo deposi a terra mettendo le due parti in verticale per terra affiancate in modo parallelo. Nel frattempo lo strillone lo raggiunse e si fermò appoggiando le mani sulle ginocchia e respirando affannosamente.
“Cosa c’è Rax?”, gli domandai con noncuranza mentre sistemavo accuratamente i bastoncini,
“Il colonnello Mauser e il generale Kantus ti vogliono in sala briefing…in questo preciso momento!”, disse lui, sempre con un tono di voce alto e respirando più volte tra una parola e l’altra.
Stancamente mi rialzai, gli diedi una pacca sulla spalla e lo invitai a seguirmi mentre ci dirigevamo lentamente alla sala briefing poco più avanti, “Hanno detto il motivo di tutta questa fretta?...Il Primarca è stato dichiarato morto nelle ultime ore?”
“No ad entrambe le cose Merl e sinceramente non capisco perché tu ce l’abbia tanto con Valorum..A me è sempre stato simpatico e l’ho sempre ammirato per i suoi metodi”,
“Questo perché tu ti intendi di politica quanto un Varren si intende della tecnologia di campi di massa”, fui sincero e schietto con lui, quel giorno però non c’era ironia nelle mie parole, ero troppo coinvolto in quegli eventi e mi lasciai scappare quell’esternazione poco corretta nei suoi confronti. Fortunatamente lui la prese per il verso ironico.
“Sempre a scherzare sulle mie preferenze politiche. Ehi! Io faccio il soldato, mica il sindacalista”, sbottò in una risata.
Arrivati al CIC le guardie sulla porta fecero passare solo me, così Rax andò a riunirsi con la squadra lasciandomi con l’espressa richiesta di vuotare il sacco su quel colloquio subito dopo.
Entrai nella stanza e trovai il colonnello Mauser e il generale Kantus disquisendo su alcune mappe olografiche di metodi di ingaggio. Quei due non andavano granchè d’accordo, soprattutto per il fatto che la figlia di Kantus era in una delle decine di squadre Tyrant sotto il comando di Mauser e lo vedeva responsabile della salute della figlia, di convesso nutriva lo stesso sentimento verso di me, visto che sua figlia era il cecchino della mia squadra. Per altro avevano avuto spesso diverbi di natura politica e di strategie della Gerarchia, ma si rispettavano molto entrambi per le imprese militari compiute sul campo, anche se non lo avrebbero ammesso mai. Il colonnello Mauser era un Turian sulla ad un passo dalla mezza età, indosso portava la sua armatura bianca a strisce blu classe Specter. Statuario e imponente, era risoluto quando chiedeva di eseguire gli ordini e metteva spesso in mostra strategie offensive molto elaborate in cui i veicoli pesanti la facevano da padrone. Portava marchi dalle forme a curva di color verde intenso.
Il generale Kantus era invece un Turian appena oltre la sessantina, convinto che la miglior possibilità di vittoria stava nell’essere sempre pronti ad effettuare manovre difensive così da neutralizzare non solo l’offensiva nemica, ma anche a spezzargli il morale, così che si facessero più fiacchi ad ogni tentativo andato a vuoto. Indossava una spessa, voluminosa e antiquata armatura Blood Gear, molto solida, ma davvero limitante nei movimenti. Indossava quella corazza solo per far scena e ricordare a chi lo guardava che anche lui, prima di arrivare ai piani alti, era stato un soldato che aveva sputato sangue sul campo di battaglia. I suoi occhi neri erano la cosa che più in quel Turian trasmetteva la sua carica, non era il portamento, l’attitudine, la sua fermezza o la sua storia a renderlo rispettato da tutti, ma l’energia che emanava guardando chi gli stava intorno con i suoi occhi, si può dire quasi che facesse nascere un primitivo senso di paura in chi lo osservava. I marchi rossi sul suo volto, alcuni profondamente scavati da ferite vecchie più di me all’epoca.
I due interruppero la loro conversazione e si voltarono all’unisono verso di me.
“Ah, capitano Merula”, esordì Mauser, “Arriva giusto in tempo, stavamo dando un’occhiata alle immagini di ricognizione fornite dagli Hornet stamattina…la cosa non le piacerà”
“I Sovversori si stanno muovendo soldato, ma non dove noi ci aspettavamo”, si inserì Kantus schiarendosi la voce.
Le immagini erano poco dettagliate, ma si poteva notare un folto numero di soldati, quattro forse cinque squadre di assaltatori con veicoli leggeri al seguito, dirigersi verso il limite della boscaglia. Le presi e cercai di carpirne ogni dettaglio. I Sovversori erano diventati bravi a spostare le loro forze con cautela e senza essere individuati per questo motivo la Gerarchia aveva approvato la costruzione dei piccoli droni da ricognizione B-60 “Silver” Hornet. Questi droni, di dimensioni assai contenute, vantavano della allora sperimentale mimetizzazione ottica: sostanzialmente erano rivestiti di un materiale ultrariflettente a sua volta rinforzato con uno strato di grafene, il primo elemento riusciva a rendere il piccolo mezzo difficile da distinguere in mezzo al campo di battaglia, mentre il secondo provvedeva a dargli copertura contro gli scanner ad infrarossi o ai radar terra-aria. Uno di questi piccoli Calabroni d’Argento era riuscito a darci una visuale di quello che i nostri nemici stavano architettando. Quello su cui rimasi più colpito non fu l’armamentario di cui disponevano, sapevamo già bene che avevano molti legami con il mercato nero Volus e in particolar modo con l’odiata famiglia mafiosa Pallazzo, ma il numero di uomini al loro seguito. Quella nelle foto non era il gruppo completo di Sovversori, ma una semplice avanguardia. Rabbrividii nel confermare che quei dannati stavano ottenendo sempre più consenso in tutto il pianeta, c’era davvero così tanti fra di noi che credevano nelle estremistiche idee di quei reietti? Ebbene si..e quelle immagini, benchè non lo diedi a vedere, furono un colpo duro da mandare giù.
“Si muovono verso il passo di Magair”, dissi indicando prima la foto e poi la loro probabile direzione nella olomappa;
“Precisamente”, fece Mauser annuendo con un gesto sicuro del capo, “L’Intel sospetta che vogliano attraversarlo prima della fine della stagione e riunirsi con un secondo gruppo a Reienne. Il Maggiore Livus e io concordiamo sull’intercettarli alla fine del passo”;
“Colonnello questo pare pane per l’aviazione non per noi”, sentenziai portando la mia mano in un punto più alto della mappa, “I caccia possono partire da Camp Finer ed essere sul bersaglio in meno di 4 ore. Farebbero tabula rasa di questo gruppo di Sovversori con facilità”;
“Dovrà essere un lavoro fatto da terra soldato”, spiegò Kantus incrociando le mani dietro la schiena, “Un secondo rapporto dell’Intel conferma che trasporteranno batterie antiaeree e gli basterà individuare i caccia sul radar per contrattaccare…I bastardi hanno dato un notevole aggiornamento al loro equipaggiamento”, concluse facendo scattare le mandibole con rabbia;
“Allora non abbiamo altra scelta che distruggere le loro postazioni radar così da rendere inoffensive le loro contromisure. Risparmieremo anche parecchie vite dei nostri che perderemmo in un eventuale assalto frontale”;
“Questo è impossibile da effettuare Merula”, controbattè subito Mauser, “Fare ciò che dici implicherebbe una deviazione di sei giorni attorno al confine del Mandarey e a quel punto i Sovversori sarebbero già allontanati da un pezzo”;
“Lo so Colonnello”, ammisi poggiando le mani sul tavolo al centro della stanza, “Ma se tagliamo per il Mandarey con un piccolo contingente dovremo farcela in soli due giorni”;
“C’è un piccolo dettaglio che non ha considerato capitano”, mi bloccò immediatamente sul posto il generale, “Il Mandarey è una colonia neutrale”, pronunciò quelle parole come se volesse prendermi a sassate sul cranio per aver detto una cosa così sciocca.
Mi voltai verso di lui con fare deciso e lo guardai dritto negli occhi, come a sfidare quegli occhi che a tutti mettevano così tanta paura, “Non era mia intenzione chiedere dei visti, signore”;
“Questa scelta è impossibile da prendere anche solo in considerazione Merula, lo capisce?! E’ diplomaticamente inaccettabile! Ne io ne il generale Chox approveremo questa decisione”, sfuriò in tono grave Kantus.
Mi ci volle molta forza di volontà per non alzare la voce e battere un pugno sul tavolo del CIC, “Signore, i Sovversori varcano continuamente il confine e il Mandarey non batte ciglio”;
“La neutralità è una faccenda complicata”, si intromise il colonnello Mauser prima che Kantus si lanciasse in un’altra sfuriata delle sue.
Sapevo le idee di Mauser, era il mio colonnello, era un membro della FRT come me, mi aveva addestrato e nutriva molta fiducia in me, nei miei metodi e nei componenti della mia squadra. Così gli chiesi con velato intendimento, “Devo prenderlo come un Si o un No, signore?”;
“Come un –Non farti beccare- Merula”, sentenziò con voce dura per cercare di sembrare risoluto difronte a Kantus che, al sentire quelle parole, aveva subito puntato Mauser con inaudita sorpresa e ferocia negli occhi, “I Sovversori interrogheranno, tortureranno e giustizieranno ogni componente della tua squadra te compreso e se venissi catturato in Mandarey la Gerarchia negherà ogni coinvolgimento…sai bene che la convenzione di Torugul in questi casi non prevede prigionieri di guerra. Sia in Maranday che con i Sovversori saresti fregato insomma”;
“Colonnello!”, intervenne furente il generale Kantus, “Si rende conto di che diamine sta facendo uscire dalla sua bocca?! Permettere al Capitano di entrare in Mandarey, eliminare i radar dei Sovversori dall’altro capo dello stato e poi tornare indietro? E’ follia! Non posso approvare questa operazione e nemmeno lei, per gli Spiriti!”.
Per quanto Kantus fosse un rompiscatole, aveva ragione, un operazione del genere non poteva essere approvata ne tantomeno presa in considerazione. Come colonia neutrale il Maranday non poteva, teoricamente, essere attraversato da una forza ufficiale della Gerarchia, ma era ben risaputo che lo stato maggiore favoreggiava per i Sovversori e taceva bellamente su tutti gli spostamenti che i nostri nemici compivano sul loro terreno di casa. Proposi quell’idea al Colonnello perché ero stufo che i Sovversori fossero sempre un passo avanti a noi ed anche perché volevo rendergli un sano pan per focaccia dopo tutti i disastri e le morti che avevano causato.
“Generale Kantus..io non so lei come la veda, ma sono stufo di essere preso a calci nel culo da questi bastardi!”, si sfogò Mauser affrontando faccia a faccia il generale, “Non permetterò che quelli se ne vadano impuniti dai loro compagni a Reienne bevendo e sparlando dei nostri morti. Oggi me ne infischio della procedura, della burocrazia e delle sue dannate obiezioni, perché ho ospedali pieni di Turian in lacrime per i loro cari e di cimiteri che si riempiono ogni giorno di più. Oggi io non li lascerò passare signore, oggi dico No”, poi il colonnello Mauser si volse verso di me ricercando compostezza, “Merula, sai quello che ti serve sapere..”.
Mi avviai lentamente verso la porta del CIC, “Ricevuto signore”, feci il saluto, ma prima di uscire all’esterno il generale mi urlò dietro, “Hai mia figlia con te capitano…mia figlia”;
Feci un cenno d’assenso col capo per intendere che lo sapevo bene e poi lasciai la stanza senza altre esitazioni.
Dopo qualche gelidi secondi di silenzio, Kantus riprese la parola, “Lei ripone troppa fiducia in quel soldato Mauser”, sentenziò laconicamente Kantus, “Un giorno la rovinerà, me lo sento”;
“Con tutto il rispetto signore, so quando dare o non dare il mio benestare ai miei uomini”, fece il colonnello voltandosi verso il suo superiore;
“E’ orgoglioso, istintivo e irrispettoso. Cosa diamine ci vede di speciale in lui?”, chiese Kantus prendendo posto su una sedia li vicino;
“Lei ha descritto il vecchio Merula generale”, iniziò a spiegare Mauser, “Non è più quel impetuoso ragazzo che conobbe al campo di addestramento quando ancora lei era Maggiore. Ha imparato molte cose, certo, non ha ancora raggiunto la completa maturazione, ma non mi dica che lei è nato già formato caratterialmente da generale”;
Quello diede un sonoro sbuffo come se, arrabbiato, riconoscesse la veridicità delle parole del suo interlocutore, “Ammetto che ha dimostrato più di una volta le sue abilità e le sue competenze…e devo dire che non fui affatto sorpreso di sapere che i BlackWatch lo volessero arruolare, più che altro mi lasciò sconcertato il suo rifiuto. Che diamine! Quale soldato sano di testa rifiuterebbe anche solo di provare ad entrare in quell’elite?”, concluse allargando le braccia;
“Su una cosa devo dargli ragione: Merula è orgoglioso. E’ orgoglioso dello stemma che porta sulla corazza, è orgoglioso della sua posizione nell’esercito, è orgoglioso dei suoi uomini e dell’appartenenza alla sua specie. Per questo ha rifiutato, non è il tipo da affrontare il pericolo tra le ombre, non è il soldato che abbandonerebbe la sua squadra per ricercare gloria personale o una posizione favorevole nell’esercito. No, Merula se ne infischia dei gradi, anzi ogni volta che riceveva una promozione lo vedevo molto abbattuto piuttosto che esaltato, lo sa perché? Perché ad ogni avanzamento di grado gli sembra di allontanarsi dai suoi uomini, crede di non poter aiutare nessuno stando dietro una scrivania come me e lei a fare strategie e dare ordini. No, lui è un soldato da prima linea che si butterebbe a fare da scudo ai suoi compagni piuttosto che vederli crepare da dietro un riparo. Son tuttavia convinto che un giorno imparerà che il pregio del comando può salvare tante vite quante ne salverebbe da solo sul fronte. Si…un giorno ce lo vedo..Colonnello Tiberius Merula e quel giorno saprò di aver fatto qualcosa di buono come soldato in questa Galassia che va sempre più a rotoli ogni giorno che passa”
Mi muovevo a passo veloce verso la mia squadra con mille idee per la testa. Non ero più un completo ribelle come i primi periodi d’addestramento, mi piace giocare pulito, ma bisogna riconoscere tra le regole e la palese stupidità. Quel vecchio rimbambito di Kantus, avesse potuto, ci avrebbe mandato a combattere cavalcando dei Varren. Quindi se c’è un modo migliore per porre fine a questa guerra io lo proverò.
Superai cinque file di tende stracolme di feriti e civili gettando sguardi fugaci verso il loro interno.. troppi, troppi morti c’erano stati. Quel che ci accingevamo a fare, se avessimo avuto successo, non avrebbe ridato indietro le vite spezzate da quei bastardi, ne tantomeno avrebbe equiparato le perdite dalla loro parte, ma avremmo sicuramente fatto felici diverse persone, me in primis.
La mia squadra era radunata vicino ad un carro AH-330 “Wild Dust” parcheggiato in una piccola rimessa in attesa di riparazioni. Mi notarono da lontano e subito si prepararono ad ascoltare le notizie che gli portavo.
“Sbaglio o quella è la sua faccia da cospirazione, signore?” . Salton è l’ingegnere della squadra, veloce e preciso quando si tratta di hackerare qualche tecnologia nemica e letale quando si tratta di scendere in prima linea armi in pugno. La sua arma preferita era senza dubbio una M-7 Rainstorm, piccola e versatile mitraglietta con caricatore laterale da 40 colpi. Sebbene il rinculo fosse notevole, l’arma si prestava bene a raffiche brevi per la sua alta precisione anche a distanze superiori di 100 metri. Salton era inoltre un tipo molto agile che prediligeva l’utilizzo di armature leggere per muoversi più velocemente sul campo quando gli veniva dato un ordine di sabotare una determinata struttura nemica ed effettivamente certi incarichi lo mettevano spesso sotto la linea di tiro del nemico. Ad ogni modo non si era mai tirato indietro a queste eventualità e spesso scherzava sul fatto di fungere da bersaglio mobile in modo da garantirci tiri puliti sui nostri bersagli.
“Indovinato Salton”, risposi richiamando gli altri membri della squadra Sette in cerchio con dei rapidi gesti delle mani, “Qualcuno è interessato a una missione che ufficialmente non esiste in Mandarey per far esplodere un po’ di chincaglieria radar nemica?”;
“Credevo che non ce l’avresti mai chiesto!”, esclamò esaltato Rax. Rax e io ci conoscevamo da una vita intera ormai, sempre fianco a fianco in tutte le missioni assegnateci. Per quanto il suo atteggiamento fosse rimasto costantemente chiacchierone e scanzonato dai tempi dell’addestramento, in campo si dimostrava sempre vigile e reattivo. Insomma, sapeva bene come distinguere il Fuori da il Dentro del campo di battaglia. Ultimamente si era specializzato con l’uso del M-44 Atlus un fucile d’assalto pesante con doppia modalità di fuoco. La prima era la full-automatic che scaricava il caricatore come se si stesse usando una mitragliatrice pesante, la seconda invece permetteva solo tre raffiche brevi a frequenza di fuoco ridotta per tiri più precisi.
“A me piacciono le esplosioni signore…specie se si portano via qualche Sovversore”, ridacchiò compiaciuto Bai. Di dimensioni più contenute della media Turian era Bai Tack, questo soldato era originario delle isole settentrionali e lo si poteva ben capire dal fatto che portava dei marchi con forme decisamente tribali, tondeggianti e che finivano in numerose punte, solo sul lato sinistro del viso. La popolazione di quelle isole era famosa proprio per la sua forma decisamente più ridotta di qualsiasi Turian e ciò li metteva spesso come oggetto di scherno dal resto dei propri “fratelli maggiori”. Ciò che la maggioranza non sapeva e che questo contadinotto isolano sapeva muoversi silenzioso come un alito di vento e, vista la sua corporatura, era dannatamente difficile da individuare specialmente tra le ombre. Io stesso alle volte lo perdevo di vista per poi vederlo dietro le linee nemiche a freddarli di sorpresa alle spalle. Si adatta praticamente ad ogni tipo di arma anche se pistole montanti soppressori e il suo coltello da caccia SOG.
“Dal suo tono sembrerebbe che non abbia ricevuto il benestare del Generale, signore”, affermò decisa Lea portando il suo fucile di precisione in spalla. Lea era figlia del generale Kantus ed anche un cecchino dalle abilità indiscusse. Per quanto fosse abbastanza tranquilla di natura, bisognava dire che la grinta e il coraggio non gli mancassero affatto. Rapida, silenziosa e dannatamente infallibile da tiri da distanze di 200 metri. Utilizzava un M-82 Firefly silenziato, ottimo fucile di precisione con alta cadenza di fuoco grazie al sistema di raffreddamento studiato apposta per questa arma, di contro aveva un gran rinculo e richiedeva molta manutenzione per evitare guasti tipici come la tendenza a destra del colpo.
“Diciamo pure che il generale si sta facendo molti problemi di diplomazia al riguardo”, risposi schietto, Lea sapeva come era fatto il padre e non avere la sua approvazione era un problema che aveva assimilato e superato fin da quando era bambina.
“Verrà anche lei con noi signore?”, domandò Bai mentre iniziava già a ricontrollare la perfetta limatura della sua lama.
“Non ve lo chiederei se non fossi disposto ad andarci io per primo”, feci osservando e rimanendo stupito, per l’ennesima volta, di quanto quell’arma bianca apparisse letale alla sola visione, “Abbiamo due giorni per eliminare la stazione radar di Gralia. Iniziate a prepararvi l’equipaggiamento, io farò un salto in officina a vedere che mezzo riesco a strappare dalle mani dei ragazzi, lo sapete quanto sono fiscali con queste stronzate burocratiche. Mi ci vorrà minimo un’ora per fargli capire che la missione non è ufficiale e quindi non devo firmare nessun dannato registro”, detto questo mi allontanai a passo leggero, ma deciso verso la cabina del capomastro.
“Sai cosa lo preoccupa Bai?”, domandò Rax al compagno di fianco a lui che sollevò lo sguardo verso di me e facendo segno d’assenso, “Alla prossima promozione gli toccherà starsene seduto al QG”;
“Gli manca essere un soldato di fanteria”, concordò quello riponendo la lama nella fodera agganciata sul lato destro del bacino, “Glielo si può leggere negli occhi”.
A conti fatti non è la bandiera a contare, ma sono i soldati accanto a te. E più salgo di grado, più mi è difficile mantenere quel contatto. Forse dovrei…
Non feci in tempo a concludere il pensiero che mi ritrovai Lea al mio fianco, “Signore, possiamo parlare qualche minuto?”
Sapevo già dove sarebbe andata a parare, quindi allungai il passo per superarla e espressi il mio diniego, “Mi spiace Lea, ma abbiamo cose importanti di cui occuparci ora, il tempo è prezioso. Parleremo quando saremo tornati a missione compiuta”.
Quella non cedette e mi fermò scandendo bene la parola, “Merl!”, mi bloccai sul posto come se mi avesse lanciato un incantesimo, “Ne dobbiamo parlare ora”.
Diedi un lungo sospiro, mi passai la mano sul volto e poi le feci cenno di seguirmi. Ci allontanammo da orecchie indiscrete arrivando quasi al limite orientale del campo. Una volta appurato che non c’era qualcuno nei dintorni, abbassai la testa e con le mani le diedi il via libera per esprimersi.
“Davvero vuoi che sia io a parlare per prima?”, disse lei mostrando ampia delusione per quella scelta, “E va bene…”, si avvicinò appoggiandosi sul mio petto e fulminandomi con i suoi occhi di un colore simile all’oro, “Non mi hai più rivolto la parola dopo quel che è successo tre giorni fa..quindi..”, prese tempo e intrecciò le sue braccia attorno al mio collo, “Vuoi dirmi cosa c’è che non va?”.
Sospirai nuovamente, mi liberai dalla presa e l’allontanai da me. Fu molto sorpresa di questo atteggiamento e aspettò pazientemente, ma con visibile ansia, che proferissi parola.
“Senti Lea…Quello che è successo è stato uno sbaglio…uno di quelli giganteschi”, iniziai io mentre lei sgranava gli occhi sempre più stupita, “Io ero ubriaco, tu eri ubriaca e quel che ne è seguito non è stato certo dettato dalla lucidità mentale…E’ stato solo il momento…non c’era nessun sentimento dietro…Quindi non c’è nessun Noi…mi dispiace”.
Lei strinse le mani a pugno e digrignò i denti, “Per me non era affatto il momento Merl”, mi rivolse poi uno sguardo carico di tristezza, ma con la stessa compostezza del fiero soldato quale era, “Ho cercato di impressionarti fin dal primo giorno d’accademia FTR…Pensavo che prima o poi avresti fatto la tua mossa, ma sei sempre rimasto chiuso ad ogni mio tentativo..Ceco dinanzi ad ogni mia iniziativa..Pensavo che alla fine..beh..l’alcool avesse rivelato il tuo vero interesse per me..”.
Mi forzai a dire qualcosa, benchè già di per se fosse stupido protrarre quella conversazione, “Mi spiace Lea, ma questa è la verità, non provo amore nei tuoi confronti..Sei un membro della mia squadra, una mia cara amica, ma qui finisce la nostra linea di rapporti…”;
“E’ a causa di mio padre vero?”, disse lei di getto, probabilmente rigirandosi mentalmente quella dannata frittata che le era stata servita;
“Spiriti!”, esclamai con sorpresa passandomi ancora una volta la mano sul volto, “Ovvio che no Lea! Lui è solo un mio superiore, se la cosa fosse andata in porto non mi sarei certo fatto problemi a sfidare tuo padre…anche se ciò sicuramente ci avrebbe fatto finire fuori dall’esercito con onta e disonore”, la vedevo corrucciarsi sempre di più mentre parlavo, così decisi di tagliare il discorso li ora e per sempre, ma ovviamente lo feci con la mia solita grazia, la quale non mi ha mai abbandonato nel corso degli anni, “Senti Lea…è stato uno sbaglio..non ci pensare più, perché non è successo assolutamente niente e, come ti ho già detto, io non provo alcun tipo di amore nei tuoi confronti..Vai a prepararti, a breve dobbiamo essere in marcia”;
Mi allontanai a passi lesti come a voler fuggire dall’inferno stesso, ma lei pareva non voler mollare l’osso, giacchè se c’è una cosa che le donne della mia vita avevano in comune era l’insana abitudine di avere sempre l’ultima stramaledetta parola per loro, “Tu si che sai come rendere più dolce la pillola Merl..Pensi che possa semplicemente premere il tasto Cancella e arrivederci? Sei proprio un coglione lasciatelo dire..”.
Ahimè. Se peccavo in mancanza di tatto, peccavo ancora di più in formazione. La situazione avrebbe voluto che tollerassi quelle parole e che esprimessi ancora una volta la necessità di prepararsi per la missione, ma, ahimè, ero uno che pretende rispetto per i gradi. Puoi odiare un tuo superiore, arrivare ad alzare la voce con lui, discutere un ordine, pensare le peggio cose su di lui nella tua testa, ma mai arrivare ad offese verbali, perché c’è un motivo comunque se quel qualcuno in questione si è meritato le mostrine sul petto e la responsabilità di dirigere degli uomini e di dare loro degli ordini. Ci possono essere dei casi in cui la palese deficienza di un ufficiale possa essere contestata, ma si arriva comunque ad oltrepassare una linea che ti macchia il registro per sempre che tu sia in buona o cattiva fede. Non potevo permettere a Lea di parlarmi così o di passarla liscia, così dovetti almeno alzare la voce e rendermi più duro con lei, affinchè capisse come stavano le cose.
Feci dietrofront e mi parai davanti a lei, lo sguardo duro e l’atteggiamento di uno che sta per esplodere di rabbia, “Sinceramente tenente puoi pensare di quello che ti pare e piace di me, ma non ti azzardare mai, e dico MAI, più a rivolgerti a me con cotanta insolenza! Io sono un tuo superiore e tu una mia sottoposta, è lecito che tu mi voglia mandare apertamente delle maledizioni vista la situazione, ma ti chiedo, anzi, ti impongo di tenere certe stronzate nella tua testa. Pensa di me quello che vuoi tenente, mi basta che sul campo di battaglia tu sia vigile, attenta, precisa e letale come sempre lo sei stata. Qui siamo nell’esercito! Tu e io siamo membri di un elite! La FTR! Non siamo scolaretti figli di papà della scuola di Azura! Quindi vai a prepararti tenente, perché io non sono buono, ma giusto e so che tu capisci bene che intendo dire…”.
Lea lo capiva, sapeva com’ero fatto, sapeva che era stata ingiusta almeno tanto quanto lo ero stato io con lei, ma capiva perfettamente la situazione ed era conscia che si stava semplicemente lasciando sballottare dai sentimenti che aveva covato per anni nei miei confronti. Diede un forte cenno d’assenso con la testa, poi mi fissò intensamente negli occhi e fece il saluto. In futuro io e Lea Kantus saremmo rimasti ottimi amici, compagni d’arme che della FTR furono d’esempio e per la quale identità e per la nostra amicizia lei sacrificò la sua stessa vita. Ricordo che ai funerali il generale Kantus mi ringraziò. Mi ringraziò per aver formato sua figlia fuori e dentro il campo di battaglia come lui non era riuscito a fare. Fu la prima e unica volta in cui vidi un generale piangere e nonostante ciò mi ringraziò perché, così disse, “Mia figlia è morta secondo i grandi valori della Gerarchia e secondo gli importanti valori di amicizia e coesione che tu stesso gli hai ispirato”. Mi strinse le mani con forza e con visibile tremore. Il sacrificio di Lea aveva salvato più persone di quante ne salvai io nel resto della mia vita. Lei divenne un monumento nei miei ricordi, un’amica che mai mi sarei meritato e alla quale avevo reso praticamente solo torti.
 Mentre la guardavo allontanarsi verso l’armeria, feci mente locale, guardai per un attimo il sole e poi volsi uno sguardo stanco al resto del campo.
“Sono un soldato e una persona davvero schifosa”, ricordo che pensai, “Non diventerò mai colonnello ringraziando gli Spiriti”-
 
 
 
Vanko era ancora allibito dalla scena a cui aveva appena assistito. Diamine, chi non lo sarebbe stato? Il suo sguardo passò prima sopra i vari cadaveri dei suoi inseguitori che giacevano a terra in posizioni scomposte e innaturali, poi alle pozze di sangue che iniziavano a riempire la strada, ebbe un fremito di terrore a pensare che avrebbe potuto essere lui a colorare il pavimento del vicolo. Deglutì. Stava sudando freddo come se ci fossero ancora cento sgherri di Cerberus a circondarlo, invece c’era solo la figura di quel vecchio Turian che, mentre teneva con la mano sinistra il bastone ritto davanti a se per tenersi in equilibrio, gli porgeva la mano destra per aiutarlo a rialzarsi. Alistair non poteva certo dirsi pienamente convinto delle intenzioni del Turian: punto primo, era saltato fuori dal nulla come se ce lo avesse depositato un Angelo per salvargli la pelle; punto secondo, aveva seccato i suoi inseguitori con inaudita rapidità e ferocia per un anziano; punto terzo, a che pro tutto ciò? Che voleva da lui? Perché lo aveva aiutato?
“Vuoi rimanere col sedere per terra per il resto della giornata ragazzo?”, chiese il Turian con un accenno di fatica tra le righe, “No, perché io avrei anche altri impegni per il resto della giornata. Tipo le pastiglie..”.
Il vecchio si fermò un attimo a quella parola e strabuzzò gli occhi, “Le pastiglie! Spiriti! Me ne sono completamente dimenticato!”, dopo aver tastato le tasche del suo vestiario si tornò a girare verso l’umano che osservava la scena con una faccia a mezza via tra lo sconvolto e il sorpreso per una scena così naturale in mezzo a dei cadaveri.
“Ehm sul serio giovane”, continuò il Turian, stavolta con un tono di chi ha molta fretta, “Se devi rimanere li immobile con una faccia da drogato per altre sette ore dimmelo che io me ne vado. Sai le pastiglie in questione servono per la mia schiena e con tutto il movimento di poco fa non credo che dovrò attendere molto prima che..”.
Il vecchio non terminò la frase. Un dolore lancinante partì dalla parte bassa della schiena per poi attraversargli tutta la spina dorsale. Si estese in un movimento di riflesso alla tremenda fitta e perse l’equilibrio. Sarebbe rovinosamente caduto al suolo se non fosse stato per Alistair, il quale lo afferrò non appena lo vide inclinarsi in malo modo sulla destra. Lo rimise in posizione eretta, tenendolo ben stretto e fece in modo che il Turian potesse aggrapparsi bene a lui in modo da permettergli di ritrovare la terra sotto i piedi.
“Ehi! Tutto ok signore?”, chiese Vanko con un po’ di apprensione, dopotutto quel Turian gli aveva appena salvato la vita, un aiuto per tenersi in piedi gli parve il minimo da fare.
Il vecchio si passò una mano davanti agli occhi per cercare di fermare il vicolo che girava vorticosamente su se stesso, “Eh non sono più resistente come quando avevo sessant’anni”, ridacchiò poco convinto.
Cercò poi di fare presa più salda sull’Umano mentre cercava di capire se le sue ginocchia gli concedessero di stare in posizione eretta senza aiuto. Un’altra scarica di dolore, sebbene più lieve, gli confermò che non poteva.
“Sii gentile ragazzo, mi raccoglieresti il mio bastone”, disse indicando l’oggetto in questione ai piedi di Vanko.
Alistair non discusse, cercò di allungare il braccio senza piegarsi troppo, per evitare che il suo compagno potesse sbilanciarsi ancora o avere altre fitte di dolore a causa dei suoi goffi movimenti. Preso il bastone lo passò al Turian che gli elargì diversi ringraziamenti e lo invitò a muoversi verso l’uscita del vicolo, visto che ormai non vi era più alcun motivo per rimanere in quel loco ameno e che presto avrebbe richiamato l’attenzione delle forze dell’ordine locali. Vicino ad un cadavere tuttavia Vanko notò un piccolo tubo con impresse scritte di inconfondibile natura Turian. Facendolo notare al vecchio, quello confermò che era la medicina di cui aveva bisogno e raccattatola ringraziò nuovamente quell’umano che stava ripagando già ampiamente l’aiuto che gli aveva prestato precedentemente.
Presero posto in una panchina del parchetto vicino. Non appena furono seduti, il Turian aprì il contenitore e fece cadere nella sua mano quattro grosse pastiglie di colore violaceo, le quali furono immediatamente ingurgitate dallo stesso senza troppi complimenti. Dopo qualche istante, in cui il vecchio sembrò riprendersi e rilassarsi da ogni possibile supplizio che le fitte alla schiena gli stavano infliggendo, il Turian prese parola.
“Allora”, fece ponendo ritto il bastone difronte a lui e scrutando Vanko con occhi pieni di curiosità, “Inanzitutto le presentazioni: Tiberius Merula, come avrai sicuramente capito sono un ex militare ormai in pensione e, se non te lo fossi figurato da te, con qualche acciacco dovuto all’età e alle ferite di guerra”, ridacchiò in modo solare, “E tu invece saresti?”, porgendo la mano come era consuetudine tra gli Umani quando si salutavano.
“Ah..Alistair Vanko..piacere”, rispose l’ormai ex membro di Cerberus in modo impacciato, stringendo la mano dell’altro con quella poca forza che gli rimaneva dopo tutti gli avvenimenti attraverso cui era passato durante la giornata.
“Mmmm non hai davvero un bell’aspetto ragazzo”, notò Tiberius squadrandolo bene alla luce del sole, “Giacchè ti salvai la vita e siamo qua seduti assieme, che ne diresti di raccontarmi perché eri inseguito da quei brutti ceffi? Son certo che non hai commesso qualche cavolata giovanile perché quelli non erano dicerto dei tipi a cui righeresti la macchina”, sentenziò il Turian.
Vanko rispose in modo come ferito nell’orgoglio, “Ehm ho ventotto anni signore..direi che sono adulto abbastanza da non fare certe scemenze..”;
“Spiriti!”, sbottò il vecchio, facendo un rumore secco sbattendo la punta del bastone a terra, “Vorresti farmi credere che ti definisci già come un adulto formato? Diamine, ai miei tempi uno era adulto quando suo padre smetteva di rifilargli scappellotti sul cranio…e conta che ciò succedeva anche all’età di trent’anni! Si è adulti solo quando il proprio vecchio lo ammette. Sta tutto nel dimostrarlo con le azioni”, poi scosse la testa in diniego, “Voi Umani pensate sempre di essere adulti ancor prima di essere svezzati…Ad ogni modo non evitare la vera natura della domanda ragazzo”, gli intimò, infine, indicandolo con la punta del bastone.
Alistair, deglutendo al pensiero di far innervosire Tiberius e, soprattutto, di dover assaggiare di persona la furia di quel bastone, si decise a parlare. Non gli raccontò tutta la storia solo per paura ovviamente, ma anche perché era completamente solo, non aveva dove andare, era senza qualcuno o qualcosa su cui fare affidamento e anche perché il Turian meritava di sapere ciò che era successo visto che gli aveva salvato la pellaccia in quel vicolo.
Dopo un resoconto degli eventi più importanti, delle mire di Cerberus, della morte della sua ragazza, del suo lavoro all’interno dell’organizzazione terroristica pro-Umani, Vanko tirò un sospiro di sollievo, si era liberato da un peso enorme che si era caricato fin dal primo giorno di lavoro con Cerberus e che era diventato sempre più gravoso e pesante da sostenere ogni giorno che passava. Si sentì decisamente più leggero e libero. Lasciò che il Turian assimilasse tutto ciò che aveva detto, certo, si aspettava sbigottimento, sorpresa, fraintendimenti, scatti di rabbia, si aspettava pure che lo avrebbe condotto alla polizia oppure che se ne sarebbe andato lasciandolo solo al suo destino…invece…quello se ne stava immobile a rimuginare, come a spulciare ogni sillaba di ciò che gli aveva appena raccontato. Non diede alcuna reazione significativa, nemmeno un parere, un commento veloce, niente…ascoltò e iniziò a riflettere. Infine si volse all’Umano e disse:
“E’ una storia davvero strana e al contempo triste ragazzo..mi spiace per la tua perdita comunque..”, il suo tono era più che mai sincero, Tiberius conosceva bene la perdita di qualcuno che si ama, poi si fece più serio, “Dunque, se non sono indiscreto, quale sarà la tua prossima mossa?”.
La domanda arrivò davvero inattesa. Ora che Lidia era morta non sapeva davvero cosa fare. Lei era tutto per lui, si sarebbe consegnato all’Alleanza per salvarla, ma ora che poteva fare? Fuggire dal pianeta pareva l’unica opzione sensata, sempre che riuscisse a sopravvivere alle prossime ore.
“Sinceramente non ne ho idea”, dovette confessare con volto mesto, “Potrei fuggire…ma poi? Prima o poi mi rintraccerebbero e mi ucciderebbero”.
Tiberius gli mise la mano destra sulla spalla e gli disse, “Che ne dici del piano riguardante l’Alleanza? Potresti dargli molte informazioni utili riguardo Cerberus no? Salveresti parecchie vite in questo modo, oltre che avere una piccola rivalsa contro chi ha fatto del male alla tua Asari”;
“Sinceramente penso che quello sia un vicolo ceco signore”, rivelò con schiettezza, “Cerberus ha infiltrati ovunque, non so quanto di chi ci si può fidare e comunque che potrei dire? Senza dati a sostegno della mia testimonianza tutto quello che direi potrebbe valere meno della parola d’onore di un Vorcha”.
Tiberius si fece cupo, mise entrambe le mani sul pomo del bastone come a volerlo accarezzare, “E se recuperassi i dati? Come hai detto tu stesso, se ti presentassi con una documentazione che certifica quello che dici non avrebbero motivo di non crederti”.
Alistair aveva capito dove il vecchio Turian voleva andare a parare e subito ebbe delle obiezioni da fare, “Il punto sarebbe il come procurarseli. Sicuramente hanno già liberato il mio appartamento e senza ombra di dubbio li avranno scaricati in qualche loro server di sicurezza”;
“Ragiona ragazzo”, fece Tiberius indicando il proprio cranio, “Serve tempo per traferire la quantità di dati che conservavi e maneggiavi su una rete protetta. E ne serve ancora di più per cancellare poi ogni traccia. Cerberus è organizzata, ma sa benissimo che ci sono cose che richiedono tempo. Direi che hai una possibilità di recuperare i dati abbastanza buona da permetterti il rischio dell’impresa”.
Vanko scattò come se Tiberius avesse detto chissà quale eresia, “Certo, come no! Non vorrei deluderla signore, ma non crede che si sia dimenticato un piccolo dettaglio? Ad esempio che Cerberus mi sta alle calcagna e che avrà certamente messo una scorta più che consistente alla difesa di quei dati? Non avrei alcuna possibilità di sfidarli, certamente i numeri sono dalla loro parte”.
Merula gli volse uno sguardo profondamente deluso e di sdegno, “Se mi fossi abbattuto alle prime difficoltà da giovane non avrei certo vissuto la vita che desideravo. La palla è tua ragazzo, devi decidere tu come muoverti, ma frenarsi solo perché vedi il buio all’orizzonte non ti condurrà da nessuna parte o, meglio, alla morte sicuramente. Inoltre ora non sei solo, hai un alleato in più: me”.
Alistair si volse stupito verso il suo interlocutore, “Perché mi vuole aiutare? Perché vorrebbe imbarcarsi in un’impresa tanto folle quanto disperata?”.
Tiberius si raddrizzò e ammirò l’orizzonte, “Vedi ragazzo, mi è stato insegnato che non si abbandona mai qualcuno in difficoltà, specie se quel qualcuno è in guai seri..in più sono vecchio e la vita comincia a trascorrere in modo così lento che ti senti più inutile e fuoriposto ogni secondo che passa..Ho l’occasione di aiutarti a portare a termine un’impresa che gioverà non solo la tua salvezza, ma anche all’Alleanza e la Gerarchia che si vedrebbero un passo più vicino dall’eliminare un nemico comune e giuro che non ti abbandonerò fino al completamento di questa missione. Se tu vorrai, questo povero vecchio cercherà di rendersi utile e di aiutarti in ogni modo che potrà. Allora che ne pensi?”.
L’Umano non sapeva proprio come rispondere. Quel Turian non solo gli aveva salvato la vita, ma ora si metteva lui stesso nella linea del fuoco e gli proponeva di aiutarlo in una missione dove le possibilità che li vedevano morti erano decisamente maggiori di quelle in cui ne uscivano sani e salvi.
“Dico che fa sempre piacere ricevere un aiuto quando si è in difficoltà. Non ho idea se riusciremo nell’impresa, ma sicuramente non ho nulla da perdere nel provarci”, fece Vanko mettendosi in piedi accanto al suo nuovo compagno di sventure, “Quale è il primo passo?”;
“Quello di spostarci dalla strada ed andare in un luogo sicuro. Di sicuro Cerberus, dopo non aver ricevuto altre notizie dai quei primi inseguitori, ti avrà messo alle costole altri uomini. Direi che è il caso di muoverci tu non credi?”, asserì Tiberius iniziando ad incamminarsi lungo la strada come se sapesse già dove dirigersi.
Alistair lo raggiunse al suo fianco e chiese titubante, “Hai già qualche luogo in particolare in mente?”
Il lieve schiocco del bastone di Tiberius si insinuò nelle orecchie del russo e, mentre il sole illuminava con raggi arancioni il piccolo giardino, il compagno annuì, rispondendo in tono serio e coinciso, “Certamente. Andiamo a casa mia”.
 
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- Confine con il Mandarey
 
Il rumore del motore del piccolo furgone era l’unica cosa che spezzava la tranquillità della pacifica aria del Mandarey. Attorno alla squadra Sette c’erano solo, montagne, alberi, cespugli e altra vita vegetale che poco aveva di interessante per noi partecipanti a quell’insana missione. Il cielo era pulitissimo e la strada deserta, sembrava davvero il posto più pacifico e sereno sulla faccia della galassia. Sulla destra potei scorgere il movimento di qualche animale che, notato il mezzo su cui viaggiavano lui e i suoi compagni, si affrettava a nascondersi per paura di essere preso di mira. Si poteva notare anche qualche tipologia di volatile sulle fronde degli alberi starsene riparata dal sole sotto l’ombra garantitagli da quel rifugio temporaneo.
“Signori, stiamo ufficialmente violando il territorio di una colonia neutrale”, annunciai, con falsa fierezza, ai miei compagni seduti, nel retro del mezzo, in modo da occupare sapientemente lo spazio minuto del veicolo che ero riuscito ad ottenere dai meccanici dell’officina del campo base.
“Naturalmente uno dei piloti VTOL avrebbe potuto paracadutarci direttamente oltre il confine del Mandarey..”, disse Rax in uno sbuffò, mentre cercava di sistemarsi più comodamente nel suo spazio, ma andando inevitabilmente a dare fastidio a Lea, la quale gli assestò un robusto calcio agli stinchi.
“Come no Rax”, lo schernii agitando le mani in aria, “Violiamo anche lo spazio aereo del Mandarey. Svegliamo i radar di tutti quanti..”;
“Sono solo lamentele, signore. Servono a passare il tempo”, si difese lui, mentre ridacchiava e sorrideva a Lea.
“Lamentati pure Rax, ma smettila di muoverti come se avessi le convulsioni!”, protestò Bai assestandogli una poco elegante gomitata alle costole con grande soddisfazione della figlia del generale.
La strada si faceva sempre più sconnessa e tortuosa, il Mandarey non era certo famoso per le sue grandi autostrade ed anzi era uno dei luoghi meno sviluppati urbanamente e industrialmente di Palaven. Un territorio in gran parte coperto della vegetazione tipica del pianeta Natale dei Turian, lo stato neutrale era decisamente più famoso per le sue riserve di caccia e parchi naturali piuttosto che per le industrie tessili o le sue città. Effettivamente il paesaggio era decisamente splendido e si vedeva benissimo come le autorità locali ci tenessero a mantenere lindo e perfetto il proprio suolo, almeno non avrebbero perso la più grande forma di sostentamento: il turismo. Entrare e uscire dal Mandarey non era la cosa più semplice del mondo, venivano controllati visti, documenti di identità, motivazioni della visita, status sociale e fedina penale, diciamo pure che erano più scrupolosi di certi personaggi della dogane del resto delle grandi città di Palaven. La più grande preoccupazione per noi al  omento era non far trovare l’equipaggiamento da battaglia e l’esplosivo che avremmo usato per far detonare le torri radar una volta giunti sull’obbiettivo.
Dopo una curva presa troppo stretta ebbi dei sudori freddi, “Salton vacci piano con questa guida spericolata! E voi tre la dietro tenete d’occhio il carico, questa strada è più accidentata della superficie di un meteorite”;
“Ci proviamo, signore, ma qui dietro a malapena riusciamo a condividere l’aria”, disse Lea, mentre un sobbalzo fece saltare Rax, il quale si era di poco spostato per controllare se l’esplosivo fosse ben fissato, e fargli sbattere il cranio al tettuccio del mezzo.
“Ma porcaccia…”, gridò Rax che si reggeva la nuca con entrambe le mani e lamentandosi sonoramente, “Salton accidenti a te! Lo hai fatto apposta e non cercare di negare!”
Per tutta risposta Salton diede una piccola frenata che fece tornare a sedere il povero Rax con un piccolo tonfo sordo, “Hai sentito il capitano, no Rax? E’ il terreno che è accidentato, non darmi colpe che non ho. Lo sai che sono un guidatore provetto”, ma si lasciò scappare una risatina rivelatoria.
Rax avrebbe voluto dirgliene altre quattro, ma incrociò prima il mio sguardo e poi venne subito interrotto da Bai, “Signore, quanto manca al confine?”;
“Arriveremo in nottata Bai, quindi cercate di fare meno chiasso li dietro e concentratevi. Una volta fuori cercheremo un punto dove nascondere il camion, direi che potremo tenere come riferimento una distanza minima di cinque chilometri dal bersaglio. Poi ci toccherà procedere all’interno dei boschi fino alla stazione di Gralia”.
Per le successive ore rimanemmo tutti in silenzio. Il panorama non variava poi molto, a volte passavamo vicino a dei piccoli centri abitati, ma per il resto era unicamente la luce a cambiare dando nuova prospettiva al paesaggio. Ad un certo punto dovemmo passare all’interno di questo villaggio di campagna. C’era un attività molto fervida: bambini che correvano in mezzo alle strade, madri che cercavano di riacchiapparli, vecchi che stavano seduti all’esterno delle case fumando dalle loro vecchie pipe e lanciandoci sguardi duri e sbilenchi dovuti al fatto che, evidentemente, non passavano molti stranieri da quelle parti. Non avevamo motivo di essere preoccupati, il fatto di essere estranei non voleva dire essere fuori luogo, sicuramente qualche altro mezzo passava di quando in quando di li per dirigersi dall’altra parte dello stato e comunque non avevano elementi sufficienti per capire che eravamo militari del reggimento FTR.
Il silenzio fu interrotto improvvisamente da Salton, “Non saprei davvero dire se il Mandarey non si accorge di chi buca il suo confine o semplicemente se ne frega…”, affermò indicandomi con lo sguardo un punto della strada poco avanti a noi.
C’erano Sovversori che conversavano amabilmente con un gruppo di locali, uno addirittura teneva in braccio un bambino giocherellandoci e tutti ridevano al vederlo alle prese col bimbo che piangeva e piangeva disperato perché voleva tornare dalla madre. In totale era una squadra di sette terroristi con appresso dei semplici fucili d’assalto e dell’equipaggiamento standard come granate o flare. Non avevamo alcun interesse a eliminarli al momento, avremmo solo fatto saltare la nostra copertura e di conseguenza la missione stessa, ma ciò non vuol dire che non avremmo voluto ardentemente fermare il camion, scendere e riempirli di piombo. Feci cenno a Salton di proseguire lentamente, giacchè la strada si restringeva proprio in prossimità del gruppo di nemici e cittadini. Vidi gli sguardi dei tre che dietro di me si caricavano d’odio e rancore, con un rapido gesto della mano attirai la loro attenzione su di me e gli intimai, cercando di fargli capire bene il labiale, di stare calmi e di non fare rumore. Al nostro passaggio, il gruppo si accostò lungo i bordi della strada per permetterci di andare oltre. Salton, il quale aveva una gran faccia tosta, elargì sorrisi e ringraziamenti a tutti i presenti, persino fece un incitamento ai Sovversori. A malincuore fui costretto anche io a seguire l’esempio del mio compagno e fortunatamente le cose andarono per il meglio. Nessuno dei terroristi si insospettì ed anzi ringraziarono Salton per il suo incoraggiamento. Intanto potevo sentire Lea digrignare i denti per il disprezzo verso i nostri nemici e Rax stringere i pugni, mentre Bai, invece,  mantenne un contegno impeccabile, stando per tutto il passaggio a occhi chiusi. Oltrepassato quel punto la strada si fece più larga e tutta in discesa. C’erano solo qualche altro edificio molto vecchio sul percorso che Salton oltrepassò con noncuranza tenendo lo sguardo fisso davanti a se con uno sguardo di chi ha appena commesso un reato e vuole allontanarsi il prima possibile dal luogo del misfatto. Una volta fuori dal paesello tirai un sospiro di sollievo e mi rivolsi al nostro pilota:
“Salton..ti ha mai detto nessuno che hai un incredibile faccia tosta?”, appoggiai stancamente il capo sul poggiatesta del sedile e socchiusi gli occhi, “..Già un sangue freddo invidiabile..”;
Lui accennò un lieve sorriso, “Mi son esercitato tanto con mia madre. Quando facevo qualche macello in casa dovetti imparare in fretta a dire le bugie con delle espressioni il più possibile credibili, sennò erano botte”;
“Per un momento ho davvero pensato di sporgermi con il fucile e sparare”, ammise sommessamente Lea, sbattendo i pugni sul pavimento del veicolo;
“Noi siamo dei semplici camionisti che attraversano un paese neutrale ricordate”, dissi rimarcando inutilmente l’utilità della nostra copertura;
“Con un carico di esplosivi, signore. Vorrei evitare di dare spiegazioni a riguardo”, precisò Bai dietro la sua maschera di ghiaccio.
 
Dopo altre due ore superammo una grossa altura e ci si piazzò davanti all’orizzonte il nostro obbiettivo. Quattro torri radar, alte circa trenta metri, si innalzavano dal suolo facendo convergere la loro base in metallo fino ad un puntale soverchiato di elettronica, parabole e sensori di puntamento. Erano certo uno spettacolo di ingegneria e maestria nel saper sfruttare adeguatamente la rete satellitare offerta dalla Gerarchia. Guardandole ci si poteva rendere conto che i Sovversori avevano davvero fatto passi da gigante in fatto di mezzi e alleati, per erigere e poter controllare sotto falso nome quella rete di radar non dovevano certo mancare in fatto di amicizie altolocate..almeno in Mandarey. Ricordai i tempi in cui ci dicevano che questi oppositori sarebbero stati schiacciati in maniera rapida e indolore..Spiriti se li avevamo sottovalutati! Erano cresciuti, di numero, di mezzi, di sostenitori e persino di conto in banca. A volte mi domandavo se fosse stato il caso di usare mezzi meno “tradizionali” per debellare questa minaccia, ma non era quello il modo di agire che ci avevano insegnato, così accantonavo presto il pensiero.
“Ammirate il panorama signori!”, esclamai in tono serio, “Domani non ci sarà più”.
Una volta mi posi il problema se non avessi una specie di dipendenza dal pericolo, dalla sensazione di minaccia, da quella strana sensazione di vittoria e liberazione che si prova nell’uscire da una situazione disperata rimanendo vivo. Poi ho capito…No. Non ho una dipendenza. E’ solo paura. Paura di deludere tutti. E ogni promozione non fa che peggiorare le cose.
 
Infine la notte si impadronì della strada, del camion, di noi e del pianeta. Salton accese i fari e guidò con ancora più prudenza di quanto gliene avessi raccomandata. La notte e il buio son cose strane, misteriose e affascinanti. Le peggio cose accadono nel buio. Almeno per noi soldati è una benedizione ed una maledizione allo stesso tempo. Ci offre riparo per non essere scoperti, ma cela anche ai nostri occhi, per rispetto, anche i nostri nemici. La notte e il buio sono così: imparziali. Spettatori silenti degli eventi che sarebbero seguiti. Probabilmente, se hanno piacere a vedere uno spettacolo pirotecnico, stanotte ci garantiranno un pizzico di aiuto in più.
Salton decellerò improvvisamente mostrando una smorfia grottesca, accentuata dai toni bui dell’ora tarda. Capii subito il perché: a meno di cento metri c’era un posto di blocco occupato da dei soldati del Mandarey armati di tutto punto. Mi accigliai anche io, ma dovetti mantenere il sangue freddo per non allarmare troppo gli animi del gruppo.
“Merda…”, sibilò Salton, comunque non rallentando troppo il passo da destare sospetto alle figure poco distanti, “Signore, l’Intel non parlava di..Quello”;
“Rilassati Salton”, gli dissi senza voltarmi verso di lui, ma mantenendomi concentrato sul blocco stradale, “Vogliono solo sapere chi varca il loro confine. Mantieni il tuo sangue freddo come al solito, mostra le credenziali che abbiamo e andrà tutto bene. Non sono Sovversori, non dobbiamo preoccuparci di loro”
Nel frattempo dietro si erano mossi per capire che diamine stesse succedendo, mi girai appena per fargli capire la procedura, “Sarebbe dura spiegare loro cosa ci fanno nel retro del camion una donna e un isolano. State tutti giù”, poi aggiunsi per tenerli all’erta, “E se le cose si mettono male…fate i finti tonti mentre io e Salton li sistemiamo”.
Il blocco era molto poco professionale. C’erano giusto cinque soldati, la cabina che controllava l’argano per sollevare una sbarra ricoperta di un antico quanto classico filo spinato elettrificato e mancavano totalmente delle postazioni fisse. Ci fermammo non appena ci fecero segno. Come al solito Salton esibì la sua solita parlantina affabile e incredibilmente ben riuscita al primo soldato che gli si avvicinò. Lo elogiò per la loro costanza nel lavoro anche di notte, elargì centinaia di sorrisi e si abbandonò anche a chiedere qualche falsa indicazione stradale. Il soldato che venne verso di me, invece, non era dei più cordiali, saltò a pie pari i convenevoli e chiese subito le credenziali per confermare il motivo del nostro passaggio. Dapprima guardò i fogli con disinteresse, poi sembrò trovare qualcosa che non andava. Chiese di pazientare un attimo e poi raggiunse il suo collega nella cabina di controllo. Mentre guardavano le carte che gli avevo passato, sudavo freddo cercando di capire cosa avesse mai potuto notare di sbagliato. Mi ripassai mentalmente ogni riga di quei documenti, ma non riuscii a trovare traccia di errori o imprecisioni. Dopo qualche minuto il soldato tornò ad avvicinarmisi, d’istinto portai la mano alla pistola temendo il peggio, ma fu tirai un sospiro di sollievo quando quello mi ripassò sul factotum i documenti. Per prudenza chiesi se c’era stato qualche problema, ma quello ammise candidamente che, a causa del sonno, si era semplicemente dimenticato di controllare la bolla di transizione e che quindi, portando a verificare i documenti al suo superiore nella cabina, aveva ricevuto una strigliata per una mancanza così banale. Lo rassicurai dicendogli che un errore può capitare di tanto in tanto, quello elargì un sincero sorriso e, insieme al suo compagno, si fecero da parte per lasciarci passare.
Superato il blocco sentii Rax gracchiarmi dietro, “Il ritorno sarà divertente, signore..”.
A Rax piaceva, di tanto in tanto, sottolineare l’ovvio o fare l’uccellaccio del malaugurio, “Troveremo un’altra strada. Appena possibile preparatevi a nascondere il camion”.
Non ci volle molto. Dopo quasi venti minuti avevamo trovato il posto adatto. Nascondemmo il camion sotto dei grossi alberi con foglie caduche e ci preparammo velocemente indossando l’armatura e raccattando ognuno il quantitativo di esplosivo assegnatigli.
“Bai”, lo chiamai mentre già eravamo in marcia, “Tu sei il più abile tra noi a muoverti in questi ambienti. Assumi tu la testa della fila e guidaci”.
Sapevo perfettamente che avrei rischiato di perdermi e di far perdere i miei uomini in quel dannato buio della foresta. Bai era decisamente più esperto di tutti noi a muoversi nelle foreste visto che era cresciuto su un’isola dove la vegetazione la faceva da padrone. Quindi non mi venne difficile affidargli il comando degli spostamenti. Bisogna sempre saper riconoscere i propri limiti e farsi aiutare quando si può.
Bai si mosse quindi svelto davanti a tutti e ci disse: “Adesso facciamo le cose alla maniera della mia gente. Tutti quanti da ora…Silenzio”.
Ci volle quasi mezz’ora prima di scorgere la base della prima torre e, fortunatamente, le altre distavano poco l’une dalle altre. Doveva essere una cosa rapida e precisa. Se avessimo tardato troppo il posto si sarebbe riempito di soldati e specialisti del turno di giorno e saremmo rimasti davvero nei guai.
“Lea tu rimani quassù e offrici copertura dall’alto”, le dissi indicando un buon punto dove avrebbe ottenuto una buona visuale su tutto l’area.
“Non sappiamo quanti siano la dentro, signore”, protestò lei che avrebbe preferito decisamente una posizione meno arretrata;
“Vorrei evitare una sparatoria tenente”, le dissi cercando di farla ragionare, “Monta il soppressore di fuoco sul Firefly e tieni gli occhi vigili. Ci serve che ci guardi le spalle mentre siamo laggiù a piazzare le cariche”.
Lei diede un cenno d’assenso con la testa e si diresse nel punto che gli avevo indicato, ma, per ottenere una vista ancora migliore, si arrampicò su un albero li vicino e si posizionò nella posizione che gli garantiva più copertura e stabilità.
Rax intanto controllava l’area accucciato e scrutando col binocolo, “Scommetto che Mauser non ha riferito al generale in che modo avremmo agito..”, la sua suonava molto come un’ironia malsana verso me e Lea, ma la presi come quello che effettivamente dichiarava;
“A lui basta poter sapere quando far decollare i caccia senza problemi di antiaerea”.
Salton intanto mi diede un tocco sulla spalla e mi indicò poi una guardia al limite della recinzione di sicurezza, “Quella guardia fa un giro lungo, signore. In venti minuti sarà dinuovo in quella posizione”;
“Bene”, sentenziai dando una rapida controllata al Mercury, “Possiamo entrare e uscire senza che se ne accorgano. Dobbiamo chiudere la faccenda entro un paio d’ore, sennò qua salta tutto”.
Lo faccio spesso. Dico qualcosa di ottimista, ma ancor prima di aprire bocca so che si tratta di una stronzata allegra a cui nessuno di noi crederà.
Ci avvicinammo lentamente nascosti sempre dal buio e dal fogliame. Cercammo sempre di tenere d’occhio Bai, il quale passava nei punti in cui era meno probabile fare rumore pestando rami o altro. C’era da dire che la tensione era alta, quindi rimanere saldi ad una guida capace era la cosa migliore da fare per muoversi in quei momenti.
Sentii poi la voce sarcastica di Lea tramite il codec impiantato nell’orecchio, “Gentile da parte loro tenere qualche luce accesa”.
Subito ci fu la risposta seria, ma al contempo ironica di Salton, “La sicurezza è scarsa. Non affiderei il mio ingresso posteriore al Mandarey”.
Ci muovemmo fino al limite della recinzione e aspettammo che la guardia girasse l’angolo per poter passare indisturbati. Quando pareva che la guardia si stesse facendo da parte, si girò di scatto e fissò un punto indistinto tra il fogliame. Subito pensammo al peggio e ci tenemmo pronti a bloccargli il fiato in gola con un proiettile dritto ai polmoni. Invece quello si guardò intorno circospetto e tirò fuori un pacchetto di sigarette da una tasca della cintura, si sedette su una roccia e iniziò a fumare con tranquillità.
“Dannazione”, sbuffò Rax tranquillizzandosi, “Abbiamo beccato l’unico stronzo pigro”.
Mentre noi quattro ci scambiammo un’occhiata mista tra sbalordimento e sollievo, Lea mi chiamò sul codec: “Signore, ho una visuale pulita…Basta che mi dia l’ordine”;
“Negativo Lea”, feci rivolgendo un’occhiata di intesa a Bai, il quale stava già tirando fuori il suo coltellaccio, “Ho un’idea migliore”;
“Sarebbe meglio che non perdiamo altro tempo, signore. Ci rimane solo un’ora”, asserì Bai, mentre già si occupava di sminuzzare la recinzione per aprirsi un varco;
“Salton, vagli dietro e state attenti a non fare rumore”, ordinai con un gesto della mano.
Ci volle meno di tre minuti. Bai e Salton si mossero rapidi come fulmini, ma Bai era così veloce che seminò il suo compagno e fu dietro al nemico così all’improvviso che neanche Lea era riuscito ad individuarlo fino al momento dell’uccisione della guardia da parte dell’isolano.
La guardia difatti fece in tempo giusto a buttare via la cicca della sigaretta, poi Bai gli tappò la bocca e gli tagliò il collo da parte a parte con la sua arma bianca. Il corpo del nemico cadde a terra e la testa rotolò poco distante da lui. Uno spettacolo non certo entusiasmante da vedere, ma diamine se era efficace.
“Via libera signore. Io e salton vi copriamo le spalle. Entrate”, fece l’isolano comunicando via codec;
“Spiriti, signore”, esclamò Rax mentre passavamo attraverso il passaggio aperto poco prima nella rete da Bai, “Non si sente, non si vede…”;
“..E poi la tua testa si stacca. Un lavoro pulito”, conclusi io manifestando aperta ammirazione per le abilità di Bai.
Raggruppatici decidemmo che ognuno avrebbe piazzato gli esplosivi sulla torre che gli avrei indicato. Fummo rapidi e tramite le indicazioni di Lea riuscimmo ad evitare le poche altre guardie in giro per il campo. La torre più vicina toccò a Bai. Piazzo due cariche su ogni gamba di sostegno della torre in maniera fulminea.
“Una volta piazzate le mie cariche avremo dieci minuti a disposizione, signore. A meno che ovviamente non le attiviamo prima”, recitò l’isolano con la sua tipica voce glaciale;
“Basteranno Bai”, gli comunicai, mentre sia io che Rax e Salton predisponevano le cariche nelle rispettive torri radar;
“Ho intenzione di battere il record dei duecento metri oggi, signore”, rise ironicamente Salton.
Una volta che Lea ci confermò le posizioni delle guardie, iniziammo la corsa verso la recinzione. Sfortunatamente una sentinella salita su una torre di guardia aveva notato i nostri movimenti e ci stava per illuminare con il suo faro, ma prima che ciò potesse accadere Lea aveva piazzato un proiettile proprio alla fonte luminosa. Sebbene ciò ci avesse di essere visti, non aveva evitato di attirare l’attenzione, perciò iniziammo a correre a rotta di collo fuori dal raggio dell’esplosione. Appena fummo fuori dalla recinzione urlai verso Salton, il quale teneva in mano il detonatore: “Falle saltare! ORA!”;
Lui, correndo a perdifiato, si girò verso la recinzione e poi verso di me, “Siamo ancora troppo vicini, signore”.
Accelerai e mi portai accanto a lui, “Tu fallo e basta”.
Salton sbottò vistosamente e, mentre premeva il pulsante posto in cima al detonatore, disse: “Voglio una medaglia postuma però”.
L’esplosione che seguì squarciò l’aria con un boato spaventoso. Le fiamme divorarono il campo nemico e le torri crollarono come giganti di metallo al suolo, seguiti da uno scricchiolio sinistro e spaventoso. Fumo e detriti si sparse tutt’intorno all’area. L’onda d’urto ci fece volare per almeno una decina di metri e la stessa Lea fu sbattuta giù dall’albero per l’enorme potenza liberata dagli esplosivi. Se qualcuno ci aveva notato al campo ora certamente non poteva più proferirlo a qualcuno.
Mi rialzai acciaccato aiutandomi con le braccia, mentre anche i miei compagni cercavano di far passare il fischio che rimbombava nella testa. Dovevo essere rapido, così portai la mano all’orecchio e attivai una comunicazione codec.
“Sette-Uno a controllo. Richiedo che questa comunicazione sia trasferita al comando”, recitai cercando di riguadagnare al contempo un buon equilibrio sulle gambe.
“Controllo a Sette-Uno. Richiesta approvata. Trasferimento comunicazione in corso”, fece un addetto dall’altro capo della chiamata;
“Comando a Sette-Uno. Vi riceviamo. Che notizie mi porti capitano?”, era la voce di Mauser nella quale riuscii a distinguere una punta di apprensione;
“Radar eliminati, signore. Potete far alzare in volo i caccia quando volete”, continuai mentre aiutavo Rax ad alzarsi ed incitando gli altri ad alzarsi per filarcela da quel putiferio;
“Ricevuto Sette-Uno. Ottimo tempismo davvero”, stavolta la sua voce si riempì d’orgoglio volutamente non celato;
“Silenzio radio finchè non avremo varcato il confine. Passo e chiudo”.
Raggiungemmo Lea e gli diedi una mano ad alzarsi, fortunatamente non si era rotta nulla cadendo da quel maledetto trespolo. Il resto del tempo lo trascorremmo correndo nella foresta senza fiatare e con sempre Bai alla testa del gruppo. Raggiungemmo il furgone in quelli che mi parsero pochi minuti e subito ognuno prese il proprio posto dentro il mezzo. Salton sgasò e si fiondò sulla strada non lesinando sul consumo dell’acceleratore. Dopo qualche istante di fuga, Rax controllo dallo spioncino di dietro e esclamò:
“A quanto pare nessuno ci segue. Spiriti se abbiamo fatto danni laggiù!”;
“Come minimo avranno chiamato tutto il supporto areo della zona dopo l’esplosione. Dobbiamo sbrigarci a superare il confine, signore”, manifestò preoccupata Lea;
“Hai ragione Lea”, concordai, “Mezzo Mandarey avrà sentito le esplosioni. Non supereremo mai il blocco”, poi lanciai uno sguardo di intesa a Salton che annuì capendo al volo la mia strategia:
“Spengo le luci ed esco fuori di strada”.
Ho paura. Ho paura del futuro. Ho paura di starmene seduto dietro una scrivania e mandare uomini a morire. E’ molto più facile ricevere ordini che impartirli.
 
Passarono come minimo altre due o tre ore e cominciavo a temere che Salton si fosse perso, ma dal suo sguardo si evinceva che sapeva benissimo cosa stava facendo e dove stava andando. Durante questo periodo di tempo rimanemmo tutti in silenzio. Rax era intento a pulire la sua arma e testarne il corretto funzionamento, controllava insistentemente il sistema di raffreddamento nel caso saltasse fuori qualcuno con l’intento di accopparci. Lea teneva in braccio il suo Firefly e recitava in un sussurro preghiere agli Spiriti. Bai stava a braccia conserte e occhi chiusi nel suo angolo non muovendo un muscolo, difficile dire se stesse dormendo o stesse solo riposando. Io dal canto mio guardavo in modo circospetto la strada, cercando di cogliere qualche movimento tra le fronde degli alberi oppure notare qualche movimento in cielo di VTOL nemici. Tutta quella calma era così strana e innaturale dopo la nostra operazione, ma ne ero grato.
Alle prime luci del mattino ordinai a Salton di tornare lungo la strada, muoversi nella boscaglia a quel punto era inutile, tanto più che il mio compagno era sicuro di aver superato il confine. In un certo senso lo avevamo fatto, ma non avevamo tenuto conto del possibile allestimento di posti di blocco dall’altra parte della colonia. Infatti ne trovammo uno proprio sulla via per il ritorno al confine opposto del Mandarey.
“Merda”, sibilò Salton a quella brutta sorpresa, “Se ci beccano nel Mandarey dubito che quei ragazzi saranno tanto neutrali”.
Gli misi una mano sulla spalla destra e cercai di rassicurarlo, “Lascia parlare me”.
Ma il pilota scosse la testa, “Sa anche lei che non servirà a nulla, signore..”.
Sapevo che intendeva dire con quelle parole. Gli battei una mano sulla spalla e gli dissi di accelerare, poi mi volsi ai tre dietro, “Impedite loro di fare rapporto”, si poteva ben notare l’amarezza nella mia voce, “Ufficialmente questa missione non esiste…quindi niente testimoni”.
Lea, Rax e Bai presero le armi e confermarono l’ordine. Non appena Salon buttò giù la barriera del posto di blocco e la oltrepassò a tavoletta, i tre aprirono lo sportello posteriore e iniziarono a sparare verso le guardie del Mandarey. Nessuna di loro sfuggi alle mortali raffiche. Caddero a terra inesorabilmente senza nemmeno avere la possibilità di rispondere al fuoco nemico. Due di loro erano molto giovani. E’ la guerra.
Usciti dal Mandarey, ci volle appena un’ora per vedere VTOL battenti i marchi della FTR librarsi nel cielo.
“Siamo a meno di un chilometro dall’accampamento”, sentenziai vittorioso, “Ottimo lavoro ragazzi. Chiamo il comando come prestabilito”.
Mi misi la mano nell’orecchio e attivai la comunicazione codec, “Sette-Uno a comando. Siamo di ritorno al campo, a breve saremo li. Abbiamo avuto qualche problema al confine col Mandarey, ma non saranno in grado di identificarci”;
“Il generale Kantus è furioso Merula. Il Mandarey ha fatto un reclamo formale al sostituto Primarca”, era sempre la voce del colonnello Mauser dall’altra parte;
“Noi non siamo mai passati di la”, dissi come se stessi prestando giuramento;
“E’ quello che il Reggente ha detto loro, ma vi beccherete ugualmente una bella ramanzina Sette-Uno…comunque ottimo lavoro squadra. Davvero. Comando chiudo”.
Ottenere un complimento dal colonnello fu un vero toccasana per tutti noi. Ci venne un sorriso grande come una casa e a nessuno di noi importava di sentirsi fare la paternale da Kantus o dal Reggente in persona. Avevamo fatto il nostro dovere.
A volte non sai mai come il tuo pezzo si inserisce nel puzzle della guerra.
A volte tutto ciò che fai è invisibile. Ingrato.
A volte è anche fatica sprecata. Ma preferisco di gran lunga questo lavoro a quello di Kantus o di Mauser.
“Non c’è pericolo che diventi colonnello”, mi ripetevo osservando i miei compagni che finalmente scherzavano e sorridevano allegramente, “Non c’è nessun pericolo”
 
 
 
 
La ramanzina fu meno pesante di quanto ci potessimo aspettare. Come previsto il Mandarey non aveva alcun tipo di prova che fossero stati i soldati sotto il comando della Gerarchia a commettere i reati da loro riportati, perciò il Primarca gestì la cosa in modo semplice e collaudato. Persino il generale Kantus ebbe da ammettere che era stata un’operazione rischiosa, ma incredibilmente efficace. Ricevemmo tutti una giornata di completo riposo e tutti e quattro i membri della mia squadra ne approfittarono in primis per andare a dormire. Li capivo, visti i due giorni di fuoco passati, avrei voluto anche seguirli, ma Mauser mi chiese un colloquio privato. Camminammo in direzione del campo d’atterraggio per i VTOL e ci fermammo in un punto sgombro dal personale e con nessun mezzo che doveva atterrarvici.
“Come stai Merula?”, quando il colonnello mi chiamava per nome era per far capire che la discussione era di tono personale. Teneva a me come se fossi suo figlio, aveva imparato a conoscermi, mi aveva insegnato a sparare e un mucchio di altre cose. Era stato come un secondo padre per me, ma un padre di genere diverso dai classici stereotipi Turian;
“Bene colonnello. E’ stata una settimana dura. Non solo per me, ma anche per la mia squadra, per lei, per il generale, per il Primarca e per tutta la gente delle città e che ha subito le ripercussioni degli attentati”, parlavo in tono sincero e con voce un po’ roca a causa della sete;
“Non ti ci tormentare. Non potevi fare niente. Ne per tutta quella gente, ne per i tuoi compagni all’Accademia”, disse lui poggiandomi una mano sulla spalla sinistra, “Non essere tormentato come le era sempre tuo padre”;
“Ci farò ho fatto l’abitudine ormai, signore…alle perdite intendo”, fissavo le truppe salire e scendere dai VTOL per essere trasferiti lungo qualche confine di battaglia al momento a me ignoto e mi chiedevo perché diamine non stavo salendo sul mezzo di trasporto aereo con loro;
“No invece. Non ci si fa mai l’abitudine. E, se fosse possibile, non dovresti”, disse lui girandomi per guardarci faccia a faccia, “Tutti impariamo a gestire la cosa a modo nostro. Tuo padre ha deciso di andarsene per lavorare alle –Armi-“;
“Si, ed ora lo capisco decisamente molto meglio”, affermai in tono triste e facendo cadere lo sguardo verso il basso.
Il colonnello Mauser mi diede uno strattone come per impedire che mi addormentassi, “Ascolta Merula..Noi perdiamo soldati, amici, compagni e civili ogni giorno che gli Spiriti mandano in terra. E la cosa non smetterà mai di farci del male, ma giorno dopo giorno torniamo la fuori a combattere finchè non abbiamo concluso il nostro lavoro. Sei bravo soldato, tieni duro”.
Improvvisamente un VTOL senza livree tipiche dei mezzi standard dell’esercito della Gerarchia si stagliò nel cielo e puntò dritto verso la nostra piattaforma.
“Da quando disponiamo di modelli di VTOL così veloci, signore?”, domandai con sguardo sospetto;
“Difatti non ne dovremmo avere di quel genere”, confermò lui e passò subito la mano all’orecchio per chiamare il controllo e sapere l’identificazione di quel velivolo, ma arrivò sulla piattaforma lo stesso generale Kantus a fugare i nostri dubbi:
“Non sprechi tempo a chiamare il controllo Mauser”, fece avanzando con le mani dietro la schiena, “Le dico io chi sono quelli: sono i BlackWatch”.
“Spiriti!”, esclamai nella mia testa, rivolgendo poi un’occhiata minacciosa al VTOL completamente nero che ormai atterrava sulla piattaforma, “Ancora loro?!”.
“Perché diamine i reparti speciali sono qui?”, urlò furioso Mauser, ma soprattutto per farsi sentire dal generale oltre il rumore terrificante che emettevano i motori del VTOL.
“Li ho chiamati io”, rispose tranquillamente Kantus, riparandosi gli occhi dalla polvere che, sollevata dal velivolo, veniva sparata contro i visi dei presenti.
“Spiriti del cielo! Perché diamine lo ha fatto?! Senza nemmeno avvertirmi tra l’altro”, continuò, sempre più furente, il colonnello.
“Diciamo che ero talmente preoccupato per la buona riuscita della missione della sua squadra FTR che ho preferito chiamare una squadra di specialisti di rinforzo”.
Kantus stava palesemente mentendo. Mauser lo sapeva e me lo aveva rivelato: le BlackWatch alla fine erano state approvate e pienamente sfruttate dalla Gerarchia. Ed era lampante come il sole che quel tipo di squadre quando venivano messe sul campo non era certo per fare da scorta ad una missione guidata da un gruppo di fanteria. Kantus era sicuramente preoccupato per sua figlia e quindi aveva di nascosto chiesto l’intervento di quel gruppo d’elite per avere la certezza che almeno Lea sopravvivesse, mentre ovviamente io e il resto del gruppo potevamo tranquillamente morire.
Dal VTOL uscirono gli specialisti. Erano sei, tutti bardati nelle loro uniformi nere. Spiriti se non fui preso dalla voglia di sparargli all’epoca, ma fortunatamente la stanchezza e l’impossibilità di recuperare un’arma da fuoco sul breve periodo mi impedirono di fare una colossale scemenza.
Kantus si avvicinò a quello che doveva essere il capo di quella combriccola di disadattati e porse le sue scuse per averli fatti venire così di fretta, giacchè a causa di un “imprevisto” la questione era già stata risolta.
“Chiamalo imprevisto!”, sbottai io cercando di farmi sentire solo da Mauser.
Poi la riconobbi. Impossibile non riconoscere quelle linee e quelle forme. Era passato del tempo, ma sarei riuscito a riconoscerla anche tra mille uniformi nere. Così, non appena Kantus gli diede il benestare per farli riposare quanto tempo reputassero necessario nel campo e se ne andò via insieme a Mauser, mi avvicinai a lei.
“Capitano Tannis”, dissi ottenendo la sua attenzione, “Che fa? Non saluta un suo quasi-ex-collega?”.
Lei rise parecchio e, congedatasi dal resto della squadra che procedette fino alla caserma del campo, si tolse il casco per farsi vedere in faccia. Spiriti…quegli splendidi occhi verdi…ricordo che ne rimasi abbagliato allora quanto ogni singolo altro giorno che incrociavo il suo sguardo.
“Comandante adesso, caro mio quasi-ex-collega”, fece lei in tono di superiorità;
“Nei ranghi BlackWatch si fa carriera in fretta a quanto vedo”, ribattei io sminuendo la cosa, “Chiedo scusa a vossignoria per avervi fatto fare un viaggio a vuoto, ma c’è chi è competente nel proprio lavoro a differenza di qualche nostro superiore”.
Lei se la rise nuovamente di gusto, “Aaaah capitano Tiberius Merula della 126° FTR…non sei cambiato manco di una virgola. Sempre quel tono saccente e di disprezzo nei miei confronti”;
“Certe cose non si possono cambiare Tannis”, affermai incrociando le braccia al petto;
“Sapevo che i gradi li rispettava Merula, cosa è cambiato? Sempre per la questione che sono io?”, fece lei inviperita per la mia mancanza di rispetto;
“Il mio rispetto va a chi sta sul campo e non si copre di una maschera d’ombra. Farei più volentieri il saluto ad una recluta che ad uno solo di voi –Specialisti-”, diamine…a volte ripensandoci mi chiedo perché mai, benchè l’avessi vagheggiata nei miei sogni per notti intere, quando la incontravo mi veniva da darle contro. Probabilmente non accettavo il fatto che provavo qualcosa per lei. Mi rifiutavo di concedere i miei sentimenti verso quel qualcuno che aveva contribuito a rendere la FTR una banale divisione di fanteria. Lei non aveva una colpa diretta, ma far parte del processo, ed essere anche l’unico BlackWatch di cui sapessi volto e nome, la identificò nella mia testa come il male personificato.
Lei si avvicinò a passi calmi e calcolati, “Capitano lei dovrebbe capire l’importanza di avere delle forze speciali slegate dai comuni vincoli dell’esercito”, mi squadrò con uno sguardo gelido e sembrò penetrarmi l’anima dall’intensità del suo sguardo, “Lei ha visto quello che è successo negli ultimi giorni…Sa che il nostro reparto Intel aveva intercettato alcune comunicazioni dei terroristi? Le abbiamo presentate ai generali e quei bastardi le hanno accantonate definendoli inutili allarmismi…Fino all’altro giorno lo stesso Kantus ci denigrava come la maggior parte dei suoi pari. Le BlackWatch non hanno avuto vita facile come lei può pensare Merula”, mi diede le spalle e allargò le braccia continuando il suo discorso, “Molti la pensavano come lei, ai generali non andava a genio una forza speciale come la nostra, pensando che l’assurda guerriglia tra loro e i nostri comandanti avrebbe fatto a pezzi non solo il nostro reggimento, ma anche la struttura gerarchica di potere dell’esercito classico. Pensavano che, non essendo legati a qualche disciplina storica della Gerarchia, ci saremmo scatenati come dannati selvaggi”;
“La guerra ha bisogno di regole”, la bloccai io, rendendomi oggetto di un’occhiataccia da parte sua;
“Ma davvero?”, fece lei puntandomi un dito contro, “Capitano le devo forse ricordare in quale missione è stato occupato negli ultimi due giorni?”.
E li dovetti rimanere in silenzio. Colpito e affondato in pieno.
“Quella che ha appena compiuto è una dannata missione da BlackWatch. La FTR esegue le Black Operations, ma sempre sotto guida del Primarca e rispondendo direttamente a lui. Lei ha preso un’iniziativa personale Merula. Lei e forse con la partecipazione del colonnello Mauser che figuriamoci se non la coprirebbe visto che anche lui è stato membro delle FTR”.
Aveva ragione su tutta la linea, impossibile darle torto. Rigirare la frittata a mio favore era una semplice scusa.
Io sapevo.
“Lei lo sa Merula…lei sa. Sa che c’è bisogno di una forza speciale come la nostra. E lo conferma il fatto che è andato dal suo ufficiale responsabile dell’organizzazione della Tyrant e gli ha chiesto di creare delle squadre di azione specializzate in operazioni d’alto profilo. Può mentire a me se la cosa le piace capitano, ma non a se stesso. Lei sa che c’è bisogno di gente come noi, sa che c’è bisogno di qualcuno che possieda i mezzi e che abbia la possibilità di agire in modo più diretto su certe missioni, senza aspettare i burocrati e i politici”.
Non avevo idea che lei sapesse di quell’incontro, ma questo mi confermò che non è facile dare un rifiuto alle BlackWatch. Ti tallonano e ti tengono d’occhio.
“So che tuttavia non le piace agire nell’ombra, che preferirebbe combattere in prima linea e morire sul campo assieme ai suoi compagni…Ma deve capire che potrebbe salvare molte più vite se venisse in pianta stabile tra i nostri ranghi piuttosto che rimanendo a marcire sotto il peso delle regole e la rigida catena di comando. Si unisca ai BlackWatch capitano…lo sa che è la cosa migliore per lei”.
Sentirsi la verità sbattuta in faccia non fa mai bene, soprattutto se tu stesso la rifiuti. Ho desiderato di entrare nelle BlackWatch un paio di volte, quando davvero sentivo le catene della lunga scala gerarchica sulle mie azioni, ma mi son sempre rifiutato alla fin fine. Non ero tagliato per stare assieme ad individui simili. L’ombra non era la mia soluzione.
Rialzai lo sguardo verso di lei. Uno sguardo di chi è vinto, “No, comandante. Non mi unirò alle BlackWatch, non è quella la mia strada…ma le sosterrò da ora in avanti. Ha ragione: serve una forza come la vostra, ma servono anche i soldati come me. Mentre lei agirà da dietro le linee nemiche, io farò in modo da tenerli occupati sul fronte. Le guerre non si vincono solo con battaglie campali o con operazioni segrete, servono entrambe le cose. Perciò io sarò la luce che guiderà i nostri uomini nelle grandi battaglie e lei sarà l’ombra che ci libererà la strada e ci proteggerà da attacchi alle spalle. L’una beneficerà dell’aiuto dell’altra e come entità indissolubili proteggeremo il nostro popolo fino alla fine”.
Lei non riuscì subito a rispondermi, vidi una leggera tristezza bagnargli il volto, ma fu subito accantonata. Si portò vicino a me e mi prese le mani.
“Quando il nemico è forte, Tu non cedere.
Quando le avversità sono grandi, Tu non cadere.
Quando pensi sia la fine, Tu non credere.
Allunga la mano. Ci sarà sempre qualcuno che dal buio della paura si farà avanti per aiutarti.
Sono i tuoi Compagni. Loro sono la tua forza e tu sei la loro.
Insieme non temete di andare incontro alla Morte, perché la sconfiggerete.
Che gli Spiriti vi facciano dono della Coesione e veglino sui passi di voi e dei vostri Compagni.
Forza Insieme!”
Non potevo sapere. Non potevo immaginare. Non potevo credere. Recitò la formula completa del giuramento della Fanteria Reale Tyrant così come era incisa a lettere d’oro sulla grande lasta appesa all’entrata dell’Accademia. Ma la recitò in un modo che non avrei mai pensato potesse accadere. Non era un semplice ripetere delle parole che per lei potevano anche solo significare una bella composizione di frasi. Era una promessa. E io non seppi che dire, se non perdermi nell’infinito dei suoi occhi e pregare gli Spiriti che non fosse tutto un sogno.
Lei mi lasciò le mani lentamente e con certo dispiacere, “Maledizione a lei Merula…Sempre attaccato ai suoi ideali e ai suoi valori…ma forse è proprio per questo che la trovo così dannatamente affascinante..Hai la tua Ombra Tiberius…ma a me manca una Luce…pensi di poter diventare la guida che serve a tutti noi?”.
Non aspettò una risposta. Se ne andò muovendosi in direzione della caserma senza mai voltarsi indietro. Stavo per inseguirla, benchè non avessi idea di che dirle, ma fui fermato da Rax che mi prese alle spalle e mi disse:
“Merl! Mauser ti ha già dato la notizia?”;
“Quale notizia?”, chiesi io, mentre al contempo cercavo con lo sguardo lei che si allontanava;
“Ti hanno promosso Merl. Ti faranno Maggiore!”.
E fu così che la Luce divenne tale e assunse consistenza. Le guerre si vincono con i soldati e con qualcuno che li guidi…ed io ero appena diventato uno di questi ultimi. Le mie più grandi paure assunsero forma e mi ritrovai catapultato in un mondo di cui ben presto avrei capito le responsabilità e le difficoltà. –
 
 
[x]
 
 
“A che pensa?”, chiese Vanko riportando Tiberius all’interno dell’ascensore che li avrebbe portati al livello della casa del Turian.
Il vecchio soldato si passò una mano davanti agli occhi tentando di riabituare gli occhi alla luce, la quale ormai si fugava oltre l’orizzonte.
“A niente. Vecchi ricordi”, rispose lui con disinvoltura, “Siamo arrivati. Scendiamo qui”
I due camminavano a passo normale, ma con incedere deciso. Alistair stava accanto a Tiberius che guidava l’Umano attraverso le vie ancora strapiene di gente che andava e veniva da ogni parte. Il russo si guardava attorno circospetto, temendo che qualcuno li stesse seguendo. Dopotutto Cerberus aveva sicuramente mandato qualcun altro a cercarlo, magari stavolta anche personaggi meno propensi a non portare con se delle bocche da fuoco di piccolo calibro. La luce ormai si affievoliva di minuto in minuto e la notte iniziava ad avvolgere con il suo freddo abbraccio il panorama di Illium. Riflettendoci erano passate ore dall’ultimo contatto con quei sicari, eliminati in un batter di ciglia dal vecchio Turian, e probabilmente, come Tiberius aveva già accennato in precedenza, Cerberus si stava occupando di insabbiare alcune cose a suo riguardo e di pilotare gli eventi come aveva spiegato l’Uomo Misterioso e Kai Leng in precedenza. Merula aveva insistito per fare un giro un po’ più lungo per tornare a casa sua, complice il fatto che voleva passare per luoghi in cui la presenza di telecamere era più bassa ed erano più facili da evitare. Inoltre Tiberius insistette affinchè Alistair entrasse in un bagno a ripulirsi le ferite, effettivamente un Umano livido, sporco e con macchie di sangue sui vestiti avrebbe destato sospetti. Il Turian optò anche per recuperare lungo la strada degli abiti spicci e che dessero meno nell’occhio dell’elegante completo che Vanko indossava. Il russo doveva ammetterlo: il vecchio sapeva muoversi bene e cercava di non lasciare nulla al caso. Lo aveva parecchio sottovalutato, sebbene a livello fisico avesse comunque dei limiti causati dall’età e dalle vecchie ferite, a livello cerebrale non si poteva certo dire che soffrisse di particolari debolezze tipiche dell’avanzare della vecchiaia. Almeno in quei momenti pareva assolutamente concentrato e vigile, sebbene mantenesse all’esterno l’aspetto del semplice Turian in pensione.
-Evidentemente certe cose ti rimangono. Non so che tipo di soldato tu sia stato vecchio, ma pare che la guerra ti scorra ancora nelle vene-, pensò Alistair dandogli una rapida occhiata da capo a piedi.
Quando arrivarono alla loro metà era ormai buio. Le fonti di luci artificiali poste nei muri e vicino alle grandi terrazze dei dintorni erano in piena attività. Le stelle brillavano nel cielo come un insolita trapunta magica. Spettatrici indiscrete degli eventi che si svolgono lontani da loro. C’era comunque una fervida attività nelle strade. Una Asari corse proprio accanto a Vanko mentre rispondeva alla chiamata di una amica e reggeva maldestramente diverse buste contenenti vari abiti firmati da svariate centinaia di crediti l’uno. C’era una coppia formata Drell e un Umana dai capelli lunghi rossi che ammiravano lo scenario della città illuminata. Lui la teneva stretta per le spalle e lei lasciava cadere piano la testa sul suo compagno.
Erano attimi così puri e innocenti. E mentre loro vivevano serenamente le loro vite, un vecchio Turian e un Umano fuggivano da un nemico per ora invisibile, ma sempre incombente dietro gli angoli bui dei vicoli.
L’aria fredda e leggera si infiltrava ovunque, come un piccolo messaggero elargiva parole silenziose a coloro che avevan orecchie per intendere il messaggio che portava. Tiberius sentì un brivido di freddo percorrergli la schiena, ebbe un attimo di esitazione ed arrestò il passo. Volse il suo sguardo alle lontane luci della città e del cielo. Sentiva che erano osservati e che presto avrebbe dovuto rimettere sotto sforzo la sua schiena…Oppure era semplicemente un vecchio Turian acciaccato che sentiva freddo.
Riprese a camminare. La notte elargì altri ricordi alla sua mente, dei quali ora Tiberius non voleva avere a che fare. Inseguimenti, urla da una casa al primo piano, colpi di pistola, la musica di un pianoforte, il Jazz e il C-Sec...
Dimenò la testa in quel bagno di memorie buie e le soffocò sotto la luce delle stelle del presente. La notte smise di tormentarlo. Aprì gli occhi e si ritrovò insieme al suo compagno Umano davanti al suo palazzo. Oggi l’edificio aveva un che di stranamente tetro. Sospiri e sussurri sembravano provenire dai dintorni, l’aria sembrava stregata ora, un che di pesante e ghiacciato aleggiava nelle sue molecole. Le strade parvero diventar brulle e scoscese come fossero nel mezzo di una brughiera. Quale immonda bestia si aggirava in cerca di prede quella notte?
“E’ questo il posto?”, domandò il russo squadrando l’edificio con fare sospettoso;
“Si”, rispose rapido Tiberius, incalzando l’andatura, “Muoviamoci. Ho sentore che qualcuno sia a caccia stanotte ed è meglio per noi ripararci in casa”.
Salirono utilizzando l’ascensore. Pareva che le ombre avessero vita propria quella sera. Persino gli avvisi acustici dell’elevatore avevano un tono musicale più dolce e soave del solito. Arrivati al piano, Merula si diresse senza indugi alla porta. Stava per aprire la suddetta, quando arrivò una voce ad attirare l’attenzione dei due compagni.
“Per amore del cielo, Tiberius! E dire che mi ero tanto raccomandata di essere puntuale!”, unaa donna era apparsa a braccia incrociate sull’uscio di casa sua ed in controluce i suoi capelli bianchi avevano un non so che di spettrale.
Tiberius si diede una manata sulla fronte e si avvicinò alla figura femminile facendo un mezzo inchino, “Mia cara Pennyworth..”, iniziò a dire cercando le parole giuste, “Diciamo che ho avuto un piccolissimo contrattempo..”.
La Pennyworth scosse sconsolata la testa e ridacchiò un po’, “Aaaaaah Tiberius..Ormai mi son abituata alle sue stranezze, ma non deve inventarsi scuse se è la sua schiena ad averle dato difficoltà”, concluse lei alzando l’indice in rimprovero.
Il vecchio Turian avrebbe voluto arrossire, si sentì parecchio in imbarazzo per quella sorta di ramanzina da parte dell’amica, “La schiena centra relativamente Miss..”, fece lui portando una mano dietro il collo mostrando evidente disagio.
La Pennyworth gli elargì uno dei suoi grandi sorrisi e poi portò la sua attenzione su Vanko, il quale non riuscì a trattenere una risata alla scenetta a cui aveva appena assistito, “Oh e chi è questo bel giovanotto che le fa compagnia?”, disse lei in tono gioioso.
Tiberius passò prima lo sguardo su Vanko, tirandogli un’occhiataccia minacciosa, per poi rigirarsi verso la donna, “Lui? Ecco lui è il principale motivo del mio ritard…”.
Non fece in tempo a finire la frase che la Pennyworth prese Alistair per il braccio e tentò di tirarlo dentro casa incalzandolo di domande, “Oh allora mi deve raccontare tutto? Che cosa è? Un suo amico? Conoscente? Esattore delle tasse? Oh sarà una serata davvero interessante! Venga, venga dentro! Ho thè per tutti e biscotti in quantità!”.
Prima ancora che il Turian potesse declinare gentilmente l’invito, Ann aveva già trascinato in casa il russo, il quale si voltò verso il compagno con la faccia di chi non ha la minima idea di cosa deve fare ed, anzi, è anche parecchio in difficoltà a gestire la personalità esuberante della donna che lo stava trasportando. Tiberius diede un sospiro sommesso. La Pennyworth li avrebbe trattenuti parecchio e lui, che sentiva ancora quello spiacevole brivido, aveva paura di infilarla a sua insaputa in una pessima situazione. Entrò in casa, diede una veloce occhiata all’esterno e richiuse la porta dietro di se, che diede un rapido sibilo prima di sigillarli all’interno.
Casa Pennyworth era un piacevole tuffo nel passato per chi sapeva apprezzarne il valore. Mobilio di legno antico, vasi in porcellana e mattonelle dagli affascinanti disegni artistici contornati da splendidi colori, erano la prima cosa che balzava all’occhio. Ann era nata a Londra e vissuta li per quasi trent’anni prima di intraprendere carriera medica nelle stazioni spaziali. Si era laureata col massimo dei voti all’University College in Scienze Biomediche. Ricercatrice di talento fece grandi passi nell’industria del suo campo ed ebbe molte occasioni di confronto con altri scienziati di varie specie aliene, moltissimi dei quali la spronarono a seguire dei corsi specialistici per permetterle poi di arrivare a condurre l’intera facoltà o addirittura di assumere il ruolo di rettore dell’università. La Pennyworth seguì il loro consiglio, ma, una volta concluso il periodo di specializzazione e dopo aver guidato per un anno il suo dipartimento, preferì andare nello spazio dove credeva che avrebbe spinto ai suoi limiti le sue conoscenze e dove avrebbe potuto avere più possibilità di ricerca viste le enormi possibilità di scambio di informazioni che avrebbe potuto avere con altri dottori in posti come la Cittadella. Effettivamente Ann Pennyworth ebbe una vita spaziale condita di tantissimi viaggi e confronti scientifici con altri dottori di altre specie. Di rado rimaneva stabile in un posto per più di sei mesi. Ottenne numerosi successi ed affermazioni tra i suoi pari. Scrisse numerosi libri e trattati che furono poi consigliati in numerose università come materiale di studio imprescindibile. Riceveva moltissime lettere di richiesta di prendere cattedra in moltissime università ed anche ottenne richieste di lavoro presso laboratori in cui sarebbe stata strapagata e in cui avrebbe ricoperto incarichi di alto profilo. Il suo lavoro gli riempì talmente tanto tempo che non pensava mai a cercare qualcuno con cui condividere le sue gioie, certo, aveva avuto in giovinezza una fervida attività sentimentale. C’è chi diceva che fosse la più contesa del campus e che la sua bellezza avesse incantato anche diversi dottori di altre specie. Indiscrezioni vollero che avesse avuto una storia lampo con una virologa Asari. Quando Ann raccontò di ciò a Tiberius disse tranquillamente e con uno dei suoi soliti limpidi sorrisi: “A chi non piace un po’ di blu nella propria vita?”. Tuttavia il vero amore fu qualcosa per cui tutti le diedero contro, il fortunato era un dentista Umano, tale Robert Tresk. Rinomato nel suo lavoro e conosciuto soprattutto per quella volta che aveva dovuto creare un apparecchio odontoiatrico per un Krogan, praticamente come mettere una museruola ad uno squalo bianco. Tutti le dicevano che avrebbe potuto avere di meglio, ma lei era convintissima della sua scelta, difatti non si lasciò influenzare da certe malelingue e visse una vita felice insieme al suo compagno. Le circostanze della morte di Robert, però, la lasciarono in una crisi profonda. Si scoprì terribilmente malato di una tipologia di cancro incurabile e benchè avesse lavorato giorno e notte per trovare una cura, non vi riuscì in tempo. Ottenne la sua cura, ma, proprio durante la sintetizzazione della formula finale, il marito morì. Non erano riusciti ad avere figli quindi Ann si ritrovò completamente sola. Per un po’ si buttò sul lavoro, ma non riuscì più ad eguagliare i risultati che un tempo le appartenevano. Lentamente prese coscienza che non poteva continuare e lasciò tutto e si ritirò a vita privata.
Un grande specchio era posto vicino all’entrata. Strategicamente posto in quella posizione in modo che la Pennyworth potesse sempre darsi una controllata veloce prima di uscire. Sotto di esso c’era un comò talmente lucido da far sembrare che falegname l’avesse consegnato in mattinata. Sopra il suo ripiano c’era un grande centrino bianco sopra cui erano appoggiate diverse foto di lei e Robert in viaggio in svariati posti: Rio, Teotihuacan, Nairobi, Roma e persino Thessia. Come per il vecchio Turian, quelle foto erano spesso più fonte di rimpianti che di rievocazione di bei momenti. Tiberius diede una veloce occhiata alla sua faccia nello specchio, constatando che pareva essere appena uscito da un bar con serata alcolica inclusa, riprese a camminare verso il centro dell’appartamento. La tappezzeria aveva dei toni giallo-ocra su cui si muovevano in modo indistinto, descrivendo forme tanto strane quanto complesse, rampicanti che terminavano in miriadi di fiori rosa. Il salotto comprendeva un enorme spazio al cui centro era posizionato un tavolino di cristallo lunghissimo sopra il quale era posto un grosso centrino azzurrino pieno di merletti. Ai lati maggiori di quello strano rettangolo vi erano due divani dai cuscini enormi e sofficissimi, probabilmente contenevano vera piuma d’oca cosa rarissima di questi tempi. Entrambi erano di un color rosso pompeiano e sui braccioli stavano posati altri centrini bianchi. Tutti questi oggetti si trovavano appoggiati sopra un tappeto persiano delle dimensioni simili a quelle di un campo da football. I tipici disegni arabici davano un tono molto regale alla stanza e quasi dava dispiacere a Tiberius rovinare il tappeto con i suoi piedi. Sopra il tavolino era posto un grande lampadario, anch’esso in cristallo, che alla luce del sole creava giochi di luci spettacolari in tutte le pareti di casa. Alle spalle di uno dei due divano vi era l’enorme finestra, la quale fungeva praticamente da quarta parete della stanza, che dava sull’enorme terrazzino da cui si poteva godere una fantastica vista della città, molto spesso Tiberius e Ann prendevano il thè all’esterno proprio per la vista e la piacevole brezza che in alcuni momenti passava a quell’altitudine. Nell’angolo in fondo a destra vi era il tavolino, ma praticamente era uno sgabello decisamente più grande, alto ed intagliato finemente, che fungeva da scacchiera. La Pennyworth amava gli scacchi ed aveva non solo iniziato, ma reso esperto Tiberius in materia, il quale non ebbe grosse difficoltà a imparare a gestire il gioco strategico come più gli piaceva. Da notare come anche i pezzi di quella fantastica scacchiera fossero in legno, di come sotto ogni pezzo vi fosse un piccolo strato di velluto per conservare l’integrità del legno e di come lo stesso piano di gioco fosse stato prima inciso e poi dipinto sullo sgabello. Certamente erano tutti oggetti di gran classe che una donna di gran gusto come lei aveva piacere non solo di far vedere, ma anche e soprattutto usare. Ovviamente Ann possedeva molti altri giochi simili: dama, Shangai ed altre cose più classiche, e più abbordabili, come Memory e Tombola. Non si faceva comunque il dispiacere di non avere e saper utilizzare tantissimi mazzi di carte. Ognuno era specificatamente indicato per un gioco diverso: Scopa, Briscola, Bridge, Rubamazzetto, Poker e tutti erano conservati in un mobiletto stanziato nella parete destra della sala da pranzo e riposti in piccole caselle di legno portamazzi. Sulle altre pareti stavano quadri che illustravano galassie lontane, incoronazioni di re del passato e anche un paesaggio dai toni surrealistici, ma dagli sgargianti colori accesi.
“Tiberius!”, lo chiamò la Pennyworth facendogli cenno con la mano, “Vieni a sederti amico mio. Voglio che mi racconti tutto su questo bel ragazzo che mi hai portato”, e non scherzava affatto. Ad Ann piaceva tantissimo chiacchierare, ma mai si sarebbe permessa di chiedere di parlare direttamente al suo ospite, avrebbe chiesto tutto al Turian e poi, se il russo avesse acconsentito o se lo avrebbe ritenuto d’uopo, avrebbe potuto inserirsi nella conversazione. Ovviamente ciò voleva dire che Ann era autorizzata a condirlo a fuoco lento con centinaia di domande. Non era ne cattiveria, ne curiosità, semplicemente era la prassi che la Pennyworth seguiva in questi casi, etichetta che aveva imparato a sue spese dalle nonna materna.
“Eccomi mia cara!”, fece Merula facendo tichettare il bastone sul legno del pavimento. Prese poi posto ad uno degli angoli piccoli del tavolino, sedendosi su una comoda poltrona anch’essa con centrini e di color rosso pompeiano. Lasciò in tal modo Vanko faccia a faccia con Ann la quale si era seduta proprio nel divano opposto ad Alistair.
Nel frattempo la Pennyworth aveva servito sul tavolino il thè, come al solito nella sua grande teiera di porcellana, così come lo erano e tazze, i piattini, la zuccheriera e la lattiera. Unica nota differente erano i cucchiaini e il vassoio i quali erano composti interamente d’argento. Ann prese dalla zuccheriera due zollette di zucchero e le fece cadere dolcemente in una tazza contenente un infuso verde chiaro e lo porse con altrettanta delicatezza verso Tiberius.
“Ecco a te, mio caro”, ancora un grande ed affabile sorriso si dipinse sul suo volto e la voce suonò calda e accogliente.
“Non posso assolutamente dire che non mi vizi, amica mia”, fece Merula prendendo il thè e facendole un inchino con la testa.
Poi prese una seconda tazza e ci versò dentro del thè contenuto in una teiera diversa dalla precedente, mise un paio di biscotti nel piattino e lo allungò verso Alistair.
“E questo è per lei. Son sicura che un giovane come lei gradisce di più questa tipologia di thè ed ho subito intuito dai suoi lineamenti che proveniva da un paese dell’est Europa..Russia forse?”, disse lei, ma la domanda, come prassi, era rivolta a Tiberius, il quale però non poteva rispondere a tale domanda, così Vanko, benchè imbarazzato, si trovò a dover rispondere di persona.
“Ha indovinato”, fece un  poco titubante, “I miei genitori sono di San Pietroburgo”, poi prese un sorso di thè e ne rimase piacevolmente colpito, “Complimenti signora, questo infuso è eccezionale”;
“La prego, mi chiami Ann. Sono lieta che le piaccia. La ricetta è proprio russa: chiodo di garofa, cannella, acqua bollente e poi succo d’arancia dopo aver lasciato riposare l’infuso per qualche minuto”, fece la Pennyworth mostrandosi sempre accorta e con occhio vigile ai dettagli.
“Oh che sbadato!”, fece il russo acquisendo più coraggio, “Alistair Vanko, piacere di conoscerla Ann”.
Era la caratteristica principale di Ann Pennyworth quella di mettere a proprio agio le persone. Il suo incredibile carattere, la simpatia, la dolcezza, la sua gentilezza e la sua affabilità rendevano facile per chiunque aprirsi con lei. Una caratteristica che molte spie pagherebbero oro per avere, si era ritrovato più volte a pensare Tiberius.
“Piacere di conoscerla signor Vanko. Allora mi racconti un po’ di come lei e Tiberius vi siete conosciuti, non mi ha mai parlato di le…”.
Una luce. Fu questo tutto quello che Tiberius riuscì a vedere fuori dalla finestra prima che si scatenasse il finimondo, ma tanto gli bastò per sentire per l’ennesima volta il brivido sulla schiena e lanciarsi con quanta più energia possibile verso l’amica, facendo volare il thè sopra il tavolino. Anche Alistair notò in tempo sia la luce che la reazione del Turian, così si limitò a gettarsi a terra per cercare riparo.
Nei secondi successivi qualche centinaio di proiettili irruppero in casa Pennyworth senza essere invitati. I quadri si riempirono di buchi, così come le pareti e la mobilia, mentre la piuma d’oca, i frammenti di porcellana e le schegge di legno volavano per la stanza. Il rumore assordò la casa e penetrò selvaggio nelle orecchie dei tre. Ann urlava impaurita, mentre Tiberius la teneva inchiodata al suolo per evitare che facesse movimenti che in preda al panico la avrebbero messa nella traiettoria dei tiratori nemici. Vanko era anch’esso sdraiato a terra, le mani sopra il collo in un vano tentativo di ripararsi il capo.
Merula urlò qualcosa verso di lui, ma le prime due volte non riuscì a capire, complice il terribile rumore delle armi automatiche. Poi alla terza riuscì a focalizzare meglio l’udito e a capire quello che gli stava dicendo.
“Dobbiamo andare in casa mia!”, continuava a urlare con quanto fiato poteva il Turian, “Ho un dispositivo di sicurezza attivo. E’ uno scudo cinetico!”;
Vanko gli fece cenno d’assenso muovendo la testa e in risposta Tiberius indicò la cucina, “Dobbiamo passare da li e sperare che il muro devi sufficientemente i proiettili da non venire trasformati in un colabrodo!”, poi si rivolse anche ad Ann, guardandola negli occhi per attirare la sua attenzione, “Ann! Guardami! Ci dobbiamo muovere, d’accordo? Dobbiamo andarcene da qui o moriremo! Stai bassa e incollati a me!”.
La Pennyworth diede un piccolo cenno d’assenso. Probabilmente aveva capito metà di quello che il suo vecchio amico gli aveva detto, ma si sforzò di seguire quello che gli diceva. Non appena furono pronti e le armi tacquero per un istante, si diedero alla fuga attraverso la cucina, correndo a testa bassa e sperando nella fortuna. Vanko era in testa e, essendo il più giovane fu il primo a gettarsi dietro il mobile all’entrata per aprire la porta. Una volta fattolo diede cenno di muoversi a Tiberius, mentre continuavano a piovere proiettili da tutte le parti. Merula si gettò in corsa tenendo stretta l’amica a se. Appena usciti dalla porta, il Turian smanettò sul dispositivo di identificazione sulla porta per accedere. La porta emise un sibilo veloce e subito si accesero le luci interne della stanza. Alistair si stava per lanciare all’interno, ma il compagno lo fermò.
“Non ora ragazzo!”, gli disse trattenendolo per una spalla, “Lo scudo non è ancora attivo!”.
Difatti il velivolo su cui erano piazzati i tiratori fece in tempo a spostarsi e a dare qualche raffica all’interno di casa di Tiberius prima che un aura blu ricoprisse le finestre. Si iniziarono a sentire crepitii e a vedere bagliori bluastri sulle vetrate.
“Non durerà per molto. Presto tutti dentro!”, incitò il vecchio militare Turian.
Vanko, appena catapultato dentro un ambiente che non conosceva, non sapeva che fare e si guardava attorno spaesato. Tiberius portò Ann dietro la colonna portante di camera da letto e le intimò di non muoversi. Lei biascicò qualcosa mentre delle lacrime gli scorrevano sul viso, “Non lasciarmi qui da sola!”;
“Ann, ascoltami! Tu devi rimanere qui, sei al sicuro, stai bassa e non muoverti”, fece Tiberius prendendola per le spalle, “Devo attirare la loro attenzione su di me, così non penseranno a sparare nella tua direzione. Non posso permettere che ti facciano del male a causa mia, quindi ti prego, rimani qui!”.
Non aspettò il consenso dell’amica, si avviò zoppicando leggermente verso Vanko, il quale era ugualmente impanicato.
“Porca puttana!”, gemeva quello mentre guardava Tiberius andare verso il muro in fondo alla stanza, “Che cazzo facciamo ora?!”;
“Mi pare chiaro ragazzo!”, fece il Turian strappando l’M-94 Mercury dai supporti fissati al muro e prendendo da un’altra teca un M-7 Lancer, “Combattiamo!”.
Vanko sbiancò a quelle parole e il terrore lo pervase quando Tiberius gli lanciò il Lancer tra le braccia, “Cosa?! Vuole sparare a dei soldati iper-equipaggiati con dei residuati bellici dalla Guerra del Primo Contatto?! Visto che ci siamo possiamo anche lanciargli un vaso della sua amica, chissà, magari gli facciamo anche più male!”.
Merula lo prese per il bavero e lo alzò di prepotenza da terra, chiamando a se ogni energia dai suoi muscoli, “Senti bene ragazzo, è ora di tirare fuori i coglioni dalle mutande se vuoi sopravvivere! Niente piagnistei o battute del cazzo! Prendi bene la mira, attento al rinculo e al sistema di raffreddamento, queste cose non hanno bisogno di clip, ma hanno comunque un limite di sopportazione. Brevi raffiche precise quindi, non sprecare un buon tiro per una scarica che di letale ha solo l’aspetto!”.
Poi tirò fuori da una piccola scatola, che era posta dove teneva solitamente il coltello di famiglia, e ne estrasse alcune fiale contenenti del liquido giallastro. Se ne infilò alcune nella cintura e poi ne prese una, attivò la siringa posta ad un suo capo e ne iniettò il liquido nelle vene infilando l’ago con forza nel collo.
“Porca miseria!”, esclamò Alistair mentre prendeva riparo dietro a un mobile, “Ma che cazzo fa?!”;
“E’ la mia soluzione speciale. Senza di questa crollerei a terra a momenti”, disse facendo scattare la mandibola in una stizza di dolore e gettando via la siringa che finì rotolando sotto un mobile, “Ora tieniti pronto a sparare e guai a te se mi rovini quell’arma! E’ un caro ricordo!”, gli intimò Tiberius.
Appena qualche attimo dopo, gli scudi cinetici cedettero crepitando nell’aria e le vetrate furono bruscamente abbattute da un fiume di proiettili. Frammenti scintillanti di vetro iniziarono a volare in ogni dove nell’appartamento. Vanko prese coraggio e si sporse dal riparo. Constatò subito che quell’M-7 si era conservato più che bene. Un ruggito possente seguito dai muzzle flashes in punta alla canna, appartenenti alla prima scarica di colpi, evidenziò come la stessa arma fosse più che pronta a seminare il suo carico di morte e distruzione. La rapida sequela di colpi colse di sorpresa ed in pieno petto uno dei tiratori nemici. La corazza si riempì di buchi da cui sgorgò copioso il sangue vermiglio. I suoi compagni non tardarono a far arrivare una risposta. Nuovamente una generosa raffica di proiettili si abbattè sui nostri in difesa. Tiberius aveva aspettato qualche secondo che la medicina facesse effetto prima di scendere effettivamente in campo. Non appena si sentì la gola bruciare e le dita serrarsi in una stretta coriacea sull’impugnatura dell’arma, uscì dalla copertura e sparò in direzione della navetta che fluttuava difronte alla sua finestra. Un perfetto colpo alla testa fece esplodere le cervella di un secondo tiratore, abbellendo di frattaglie rosate e di sangue l’interno del mezzo. Il corpo del soldato nemico cadde nel vuoto sottostante come una foglia secca che si stacca dall’albero. Non si diede tempo di respirare. Mentre Alistair esplose una seconda raffica contro i loro avversari, Tiberius cambiò rapidamente copertura posizionandosi dietro la seconda vetrata della casa. Così mentre i due tiratori rimasti concentravano il fuoco verso il russo, il Turian prese la mira ed sparò ad un altro tiratore bersagliandolo con una raffica alle gambe, che fece detonare il ginocchio sinistro del soldato nemico in un guazzabuglio di ossa e tendini. Successivamente, mentre quello si dimenava e urlava guardando il moncone sanguinante, gli rifilò un’altra raffica precisa all’altezza delle costole facendo tacere quelle invocazioni d’aiuto. Alistair provò ad ottenere una posizione migliore per eliminare il nemico rimasto portandosi dietro un mobile sulla sinistra dell’appartamento, ma le raffiche che elargì in seguito si infransero sul mezzo nemico senza nessun risultato significativo.
Vedendosi in svantaggio, l’ultimo soldato chiuse la paratia laterale della navetta e diede un qualche tipo di ordine al pilota. Sulle prime i nostri pensavano che si fossero ritirati, ma con amara sorpresa constatarono che il mezzo nemico contava dei piccoli cannoni frontali i quali fecero subito intendere la pericolosità e la loro potenza. Il balcone esterno venne tartassato da tre salve che lo divelsero completamente e catapultarono in casa una grossa quantità di polveri e detriti.
Vanko incespicò e raggiunse Tiberius dietro una colonna della casa, “D'yavol! E adesso cosa facciamo?!”, chiese al Turian, mentre quello faceva raffreddare la camera del Mercury.
“Adesso passiamo alle maniere forti anche noi!”, sibilò Merula correndo basso verso una piccola camera laterale. Ne torno dopo una manciata di secondi con qualcosa di sferico in cui erano incise linee rette che identificavano i numerosi spigoli della strana forma dell’oggetto. In ogni angolo era posizionata una piccola sfera rossa. Tiberius lanciò una di queste al russo che se la rigirò bene tra le mani prima di esclamare:
“Che cosa diamine è quest’affare?”;
“Una granata tattica d’assalto T-34 standard in dotazione a vari reparti dell’esercito Turian tra cui la Fanteria Reale Tyrant di cui facevo parte. Innescala premendo il piccolo esagono posto nel piano leggermente rialzato, conta fino a tre e poi lanciala. Vedi di non contare troppo in fretta o troppo lentamente se non vuoi far male ad altri se non che a te stesso”, fece il vecchio posizionandosi nel riparo che aveva precedentemente lasciato.
Alistair sgranò gli occhi e squadrò prima la granata e poi il suo compagno, “Ma questa è una casa o un’armeria? Se le chiedevo un lanciamissili ho paura a chiedere cosa mi avrebbe tirato fuori..”;
“Non avevo tempo di controllare dove avevo lasciato l’anticarro. Al momento mi son venute in mente queste. Sempre a lagnarti ragazzo, Spiriti!”, si lamentò quello. Poi capì l’ironia del suo interlocutore e fece una smorfia di disapprovazione, “Lancia la granata e basta..”, gemette infine.
Innescarono entrambi i due esplosivi ed iniziarono a contare.
 
1.
 
Iniziano a raccogliere le forze per il lancio e ad imprimere la rotazione del polso.
 
2.
 
Escono dal riparo ed inquadrano l’obbiettivo. I muscoli si tendono in uno sforzo congiunto con l’unico scopo di far arrivare la bomba a destinazione.
 
3.
 
Le granate si stacca dal palmo delle loro mani e viaggiano spedite attraverso l’aria infischiandosene di schegge e di detriti sollevati dalla potenza dei cannoncini del mezzo nemico.
 
4.
 
Le T-34 sono nel primo gradino delle granate intelligenti. Sanno riconoscere il tipo di terreno su cui atterrano grazie ai numerosi sensori sulla sua superfice. Se la superficie è morbida o vengono rilevate tracce di terra la granata non esplode all’istante poiché potrebbe essere anche finita in un punto non desiderato. Se la superficie è metallica o la composizione di riscontro appartiene ad una corazza la granata esplode all’istante. Se invece il contatto è a pelle, la granata si incolla al bersaglio e non ci sono Santi, Dei o Spiriti che possano salvare il malcapitato.
 
5.
 
Le T-34 esplodono a contatto col cofano del mezzo. La cabina di pilotaggio diventa una trappola che si riempie di fuoco e grosse parti metalliche che tranciano qualunque cosa si trovino a dover passare per assecondare le leggi della fisica. I due avversari che si trovavano all’interno non hanno scampo.
Un secondo scoppio fa vacillare il mezzo che compie cerchi e spirali nell’aria lasciando solo fumo dietro di se. Non c’è più nessuno al controllo del mezzo ed anche se vi fosse potrebbe solo vedere il suolo avvicinarsi così come la fine della sua vita.
Un’ultima esplosione riempie l’aria e le fiamme saturano il piccolo piazzale. Alto si leva il fumo. Forte si leva l’odore del metallo fuso e della carne bruciata. Niente altro interrompe l’infaticabile incedere del fuoco.
Tutto brucia.
Tiberius aiuta ad alzarsi Ann Pennyworth, la quale stava letteralmente morendo di paura nel suo piccolo cantuccio. Rivedere il volto dell’amico la riempie di gioia ed altre grandi lacrime gli percorrono il viso.
Almeno per quella notte era tutto finito.
Alistair Vanko, nuovamente sporco, sudato e provato dall’ennesima emozione del giorno, si porta accanto al Turian ringraziandolo. Merula gli da un cenno di ricambio con la testa, mentre stringe la sua amica in abbraccio sincero di sollievo.
“Ed ora che facciamo? Sanno che stiamo collaborando… Pensi ancora di volermi aiutare?”, chiese titubante il russo, mentre la luce del fuoco rendeva visibili gli evidenti segni della fatica sul volto dell’uomo.
Il vecchio Tiberius Merula fa occhi duri al cielo e lancia un occhiata di disprezzo e disgusto verso la carcassa metallica dei loro attentatori.
“Si. Ora più che mai son disposto ad aiutarti”, riflette un attimo cercando di trovare il fiato per continuare la frase, “Ma, abbiamo bisogno di rinforzi. Di gente pronta a tutto per poter anche solo sperare di sopravvivere ad un prossimo assalto. So già a chi rivolgermi…”, queste ultime cinque parole furono riferite con una fiducia, ma al contempo con grande tristezza.
 
 
 
 
 
 
 
 
Solita nota sbiadita di fondo di Murkrow:
 
Salve! Se qualcuno è arrivato qua in fondo mi sento il dovere di ringraziarlo. Non solo per il fatto di aver letto l’enorme montagna di roba di sopra, ma anche e soprattutto per la pazienza di aver letto errori grammaticali o chissà quali altre stramberie.
Non scrivevo da un secolo lo so e me ne dispiaccio. E da ancora più tempo non recensisco una storia su questa splendida sezione che come ho potuto notare si è riempita di persone di talento e con grande voglia di fare. Recupererò, piano piano, ma lo farò.
Che dire? Non lo so nemmeno io, ma mi sembra d’uopo fare diversi ringraziamenti. Ringrazio chi è appena arrivato e sta sopportando le mie stranezze, ringrazio chi è tornato perché probabilmente l’ho deluso e ringrazio chi non se n’è mai andato perché siete davvero importanti. Ringrazio Johnee e Andromedahawke per un’infinità di motivi tra cui l’enorme e sconfinato supporto, la sopportazione riguardo i mei deliri e la gigantesca amicizia da cui siamo legati. Un abbraccione ragazze, ma di quelli davvero titanici. Ringrazio mamma e papà semplicemente per tutto. Ringrazio la mia terra che mi accoglie sempre con un bentornato caloroso e ringrazio un po’ me stesso per essere sempre così Spettinato e non in un altro modo.
In questo capitolo ho messo un po’ tutto di me, delle mie idee e di tutto quello che penso possa essere un mondo complicato da descrivere come quello di Mass Effect. Scusate anche per l’insolita disposizione dello scritto, c’è stato poco spazio per la vicenda in se effettivamente e molto più ai ricordi. La prossima volta sarò più equilibrato.
 Non sono il migliore dei narratori, il migliore a scrivere intrecci o inventare personaggi. Mi piace raccontare agli altri delle storie, nella speranza che possano interessare e divertire. Di questi tempi mi ci vuole davvero tanto tempo, ma prometto che proverò ad accorciare i periodi d’attesa, promesso.
Un grazie a chi leggerà la storia, a chi mi vorrà lasciare un parere e a chi passerà un buon quarto d’ora nella lettura e ne uscirà soddisfatto.
Un grazie anche a chi legge queste note, perché son sconclusionate come il mio cervello e può essere difficile destreggiarsi.
Un grazie ancora a tutti perché non smetterei mai di farlo.
Infine un saluto, con la promessa di risentirci prima che siano passati 17.000 anni.
Ah allego qui una bonus track per il capitolo, ero indeciso se inserirla oppure no, ma alla fine pensando che spezzasse troppo il ritmo l’ho inserita qui. Enjoy :D
 
La vita è un gioco per tutti…e il premio finale è l’amore

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