Gabbie di inganni.

di Katniss_Lovegood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Sono Emily, ho sedici anni, e sono sdraiata per terra. È estate, e posso finalmente leggere distesa all'ombra degli alberi di ciliegio con ancora qualche fiore dimenticato dalla primavera, una brezza fresca mi accarezza il mento.
Sono sicura che questi momenti non si possano comparare con nient'altro. Amo questo posto: anche se è quasi totalmente isolato, non mi permette di sentirmi sola.
Arriva mia nonna con un toast. Lei si preoccupa sempre che io mangi a sufficienza perché pensa che io sia quasi anoressica, ma non è vero.
Sono estremamente magra, devo ammetterlo, ma non abbastanza da non aver la forza di compiere lavori manuali anche faticosi, e naturalmente ho abbastanza forza per nuotare fino al lontano orizzonte.
È difficile da credere, ma io riesco a nuotare per tre quarti d'ora senza mai fermarmi. Sono undici anni che mi alleno. Ho sentito che una donna ha quasi attraversato il canale della manica, quindi mi sono imposta questo traguardo. Voglio essere ricordata in qualche modo. Suppongo che leggendo non diventerò famosa, ma nuotare... Nuotare è diverso, ti distrugge, ma rimani in forma, ed accarezzare l'acqua è un'emozione unica.
Non voglio essere ricca, non voglio essere ricordata per una sciocchezza, voglio essere ricordata per aver battuto un record sportivo, per aver raggiunto un traguardo che nessuno è in grado di raggiungere.
Mangio il mio toast, quando mi arriva una chiamata sul cellulare: «Si?»
«Emily! È un po' che non ci si sente!»
«Già... Come stai?»
«Io bene, ma qui c'è Tom che non vede l'ora di vederti. Naturalmente anche io, ma lui sta diventando pazzo»
«Che bello... Che mi dici?»
«Ho una notizia fantastica! Ho sentito dire che domani sera ci sarà la festa della scuola, e sai dove?»
«Dove..?»
«Vicino al tuo paesino sperduto! Mi hanno detto che c'è una palestra gigantesca che è perfetta! Hai un vestito decente, vero? Non osare venire con i pantaloni e quei tuoi stupidi sandali!»
«Non chiamarlo sperduto. Comunque si, ho un vestito, contenta?»
«Spero per te che sia decente.»
«Si, tranquilla. Scusa, adesso devo andare, a domani, ciao!»
«Ciao, saluti anche da Tom!»
Helen. È una mia grande amica, ma ultimamente comincio a non sopportarla più. È una tale pettegola... Pensa solo ai vestiti, ai ragazzi, alle sigarette e ad essere al centro dell'attenzione; io sono solo la sua amica incompresa.
Incompresa perché penso che la vita sia più di questo: bisogna avere un obiettivo da raggiungere, oltre che andare in giro a far niente.

Dopo aver letto un po' mi alzo e torno dentro casa. Mia nonna mi chiede se voglio mangiare (naturalmente), quindi mangio un'insalata, per farla contenta: ad un cuore ormai così debole non si può negare un simile capriccio.
Dopo cena la nonna si piazza davanti alla TV a guardare quiz stupidi, io mi cambio e vado in spiaggia.
Andare in spiaggia col crepuscolo è un vero spettacolo, pieno di colori caldi e colori freddi, divisi dalla linea di orizzonte.
Vado un po' avanti sugli scogli e mi arrampico fino a raggiungere il mio 'nascondiglio'. Lì appoggio le mie cose, mi spoglio e mi butto in acqua con un tuffo; inizio a nuotare.
Quando inizia a far buio mi riavvicino al nascondiglio, mi asciugo per non prendere freddo con l'aria della notte, poi mi sdraio e guardo le stelle. Mi perdo tra i miei pensieri, e penso alla festa di domani, sperando che a Tom venga un improvviso malanno e non riesca a venire alla festa: è insopportabilmente appiccicoso. Mi adora dalle scuole elementari, andava a dire a tutti che eravamo fidanzati, e io non lo sopportavo. Alle scuole medie ha fatto in modo di essere in classe con me, ed è stato terribile: si ostinava ad accompagnarmi a casa tutti i giorni, e lungo il tragitto parlava di due cose solamente: videogiochi stupidi, o la nostra fantastica 'relazione'. Alle superiori me lo sono cavato di mezzo, anche se ha trovato un modo per vedermi lo stesso. Che rabbia.

Non mi accorgo di quanto stia passando in fretta il tempo, fino a quando non sento un rumore tra i cespugli dietro gli scogli, che mi risveglia dai miei pensieri.
Mi alzo di scatto, guardo nella direzione del rumore, aspettando un altro segnale: niente. Non vado a guardare tra le foglie perché potrebbe esserci un cinghiale, ed è meglio non avvicinarsi.
Mi limito allora a prendere le mie cose e tornare a casa.

«Emily, svegliati!»
Apro gli occhi e trovo mia nonna accanto a me nel letto.
«È arrivata una tua amica»
Mi stropiccio un attimo gli occhi e mi alzo. Non appena esco dalla mia stanza, mi trovo Helen al collo che mi abbraccia come se non ci vedessimo da anni.
«Che brutta cera, tesoro!» mi dice spostandomi i capelli dalla faccia.
«Helen, mi sono appena svegliata» rispondo con tono vacuo.
«Ah, giusto!»
«Shh, parla più piano: devo ancora svegliarmi del tutto.»
Mi stropiccio ancora gli occhi.
«Ah, scusa!» Bisbiglia con un sorrisino. Trovarsi Helen in casa appena svegliati non è il massimo. Faccio colazione e mi lavo, con un accompagnamento della storia delle ultime tre settimane di Helen. Dopo essermi lavata mi appresto ad andare a leggere sotto al mio ciliegio, ma secondo Helen dovrei già iniziare a prepararmi per la festa di stasera. Se c'è qualcosa di peggio che ascoltare questa ragazza che parla di trucco, vestiti e feste mi faccio suora. Lei è sempre tutta in tiro, mentre io non oso usare neanche un filo di mascara. Lei è molto bella, certo, ma se si lavasse via tutto quello che ha in faccia scommetto che avrebbe meno flirt con ragazzi "super-fighi".
Mi fa provare il vestito che ho scelto, dopo una lunga discussione su quest'ultimo, perché secondo lei non è adatto. Il punto è che per lei le uniche cose adatte sono quelle scollate.
«Tesoro, questo vestito ti sta bene, si..» Mi osserva con tono poco convinto, «però se ti mettessi uno dei miei vestiti -so già quale sarebbe perfetto per far risaltare i tuoi occhi- staresti da Dio! Con questi boccoli color rame e i tuoi occhi color nocciola, ho il vestito perfetto per te!»
Con riluttanza le lascio sperimentare sul mio corpo, e dopo vari commenti inopportuni sulle condizioni del mio corpo dopo tre settimane passate lontano dalla città, mi toglie la benda che mi aveva messo per non farmi protestare sulle sue scelte di look e mi conduce verso lo specchio.
Prima di farmi specchiare le ripeto -come tutte le volte- che non sarò mai bella, perché odio il mio aspetto, e comunque non sono come lei: non ho il suo carattere estroverso, la sua sicurezza.
Non appena mi specchio, però, mi scappa un sorriso.
«Sei stupenda, Emily»
Devo ammettere che questa volta ha superato se stessa, di solito non sopporto i modi in cui mi concia, adesso mi sento carina, per una volta.
«Grazie, Helen» la abbraccio, se lo merita.
Arriva la sera. Non mi piacciono le feste, ma per la festa della scuola sono sempre eccitata. Mia nonna ci raccomanda di fare da brave; non so cosa intenda con 'fare da brave' alla festa della scuola, non si può stare sedute sopra un divanetto a guardare gli altri che si divertono.
Per non far tardi alla festa non ribattiamo ed usciamo di casa.
Che la serata abbia inizio.

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Capitolo 2
*** 2. ***


Helen ed io arriviamo alla palestra, allestita così bene che quasi sembra un altro posto. Non appena entriamo notiamo che c'è già un bel po' di gente. Si avvicinano due ragazze dai capelli rossi e due gran sorrisi: le gemelle Wilson. Sono decisamente simpatiche, ma questa cosa la penso solo io perché le ragazze della scuola pensano che siano strane. Lo pensano solo perché loro fanno ciò che vogliono senza badare alla reputazione (un giorno sono arrivate a scuola vestite da gondoliere, non si sa perché). Helen non sembra entusiasta di farsi vedere con loro, infatti sta già cercando qualcun'altro con cui parlare. A quanto pare sembra che l'abbia trovato, perché mi prende per un braccio e mi ci trascina. È Kenny, uno degli ex di Helen, uno dei pochi con cui è rimasta in contatto. Ha finito la quarta e a dirla tutta a me non sta affatto simpatico, anzi.
Dopo un'oretta incontro Tom, naturalmente felice di vedermi. Non posso dire lo stesso per me, ma faccio buon viso a cattivo gioco.
Passa una noiosa ventina di minuti con Tom appiccicato alle costole, fino a che non sentiamo un urlo provenire dall'ingresso della sala: «Non piacciono a nessuno gli imbucati, lo sai?»
Il bidello, stasera eccezionalmente nei panni di buttafuori, sta urlando contro un ragazzo quasi appeso alla sua mano da un orecchio: il nostro bidello ha sempre utilizzato metodi un po' vecchiotti.
«Non sono imbucato!»
«Peccato che tu sia entrato di soppiatto!»
«Non c'entra niente, volevo solo passare inosservato!»
Ormai tutti si erano girati per assistere alla scena.
«Non c'è motivo di passare inosservato, ragazzo!»
Il bidello è piuttosto stizzito oggi. «Invece si! È per una ragazza!»
Si leva un confusionato brusio e tutte le ragazze iniziano a guardarsi intorno, per capire chi potrebbe essere la fortunata. Sono tentata di guardarmi intorno anche io, ma mi trattengo: non sarà così che si scoprirà l'identità della ragazza, e poi non è che mi interessi tanto.
«Grazie per aver rovinato tutto, siccome adesso mi sta guardando mentre faccio questa figura di merda. Grazie tante!»
Il bidello lo scruta con uno sguardo torvo, e subito dopo lo lascia facendolo sprofondare sul pavimento.
Dopo un attimo di esitazione, la festa riprende, e riesco a liberarmi di Tom confondendomi tra la folla. Arrivo al banco delle bibite, mi limito a bere un bicchiere d'acqua. Sono sola, e rimango tale per qualche minuto, mi siedo perché mi fanno male i piedi a causa delle scarpe.
Passa ancora qualche minuto, e per un motivo anche a me sconosciuto, inizio a sentirmi osservata. Eppure nessuno mi guarda: sono tutti con gli amici e le amiche a ballare, ridere e chiacchierare. Comincio ad annoiarmi, e verso l'una mi dirigo da Helen per avvisarla che io me ne vado, ma la trovo avvinghiata ad un ragazzo, perciò me ne torno dov'ero, ed aspetto finché quei due non si staccano.
Circa alle due o giù di lì finalmente riesco a parlare con Helen, che decide di andare via con me: per stasera "ha già dato", dice lei.
Usciamo dalla palestra e ci troviamo davanti ad un meraviglioso panorama: un lago immenso, con la sagoma della luna riflessa sull'acqua immobile e piatta, tanti ciottoli ammucchiati alla riva luccicano alla luce della luna.
Rimango ad osservare questa meraviglia, Helen mi esorta a tornare a casa.
«C'era anche prima questo lago?»
«Certo che c'era anche prima! Non fare la scema, andiamo a casa!»
«Merita una foto, è veramente bellissimo»
«Domani sera, adesso vieni»
«No, stasera! È perfetto! Guarda la bellezza di questo paesaggio!»
«Si, molto bello.»
«Vado a prendere la macchina fotografica!»
«Emily, stai male? Vuoi tornare a casa per poi tornare qui semplicemente a fare una foto?»
«Si, esattamente!»
«Tu sei completamente scema!»

Dopo essere tornata a casa, aver lasciato Helen ed essere quasi arrivata al lago, trovo Tom.
Mi prende per un braccio e mi trascina dietro ad un cespuglio, ma riesco a liberarmi dalla sua stretta e mi dirigo verso la palestra. Tom mi ferma, si scusa e mi chiede di camminare un po', perché mi deve parlare.
Ci dirigiamo dalla parte opposta della palestra e del lago, quando mi squilla il telefono: sarà Helen, penso.
No: compare un numero sconosciuto, allora rispondo.
«Si?»
Mi risponde una voce maschile, dolce e allo stesso tempo seducente: «il lago è dall'altra parte, lo sai, vero?»

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Capitolo 3
*** 3. ***


Dopo quelle parole, il mio corpo sembra ghiacciato, pietrificato. Sono come bloccata, non riesco né a parlare né a muovermi.
«Non ti spaventare, Emily, io ti conosco bene, solo che tu non mi conosci.»
Tom nota che sta accadendo qualcosa di strano, così mi prende il telefono di mano e lo spegne.
Mi scanto non appena mi prende il cellulare.
«Che diavolo fai, idiota?!»
«Nessuno ti può infastidire»
«Ti prego, smettila! Tu non hai ancora capito che non sei il principe azzurro, sei solo un ragazzo qualunque con ancora il cervello da bambino.»
«Non capisco di cosa parli, ti ho fatto un favore!»
«Tu devi smetterla di intrometterti nella mia vita, hai capito? Vattene da qui e non mi rompere più le scatole.»
Torno verso casa arrabbiatissima, ma anche confusa: chi è il ragazzo che mi ha chiamato? Perché ha il mio numero? Come fa a sapere che dovevo andare al lago? Come fa a sapere che non ci stavo andando? Perché mi conosce bene, e io non lo conosco?
Troppe domande per la testa, meglio andare a dormire immediatamente.

Verso le otto di mattina Helen si avvicina al mio letto per svegliarmi, ma sono già sveglia, lo sono rimasta per tutta la notte. Quelle domande mi frullano per la testa come un vortice di problemi da risolvere.
«Emily, io devo ritornare a casa mia, mi dispiace di andarmene via così presto, ma i miei sono venuti a prendermi. Ci sentiamo!»
Non ho neanche il tempo di alzarmi che Helen se ne sta già andando. Non importa, posso ritornare alla mia routine tranquilla e solitaria. Mi vesto, mangio una mela e vado a leggere sotto al ciliegio.
Un po' dopo l'ora di pranzo mi squilla il cellulare: ancora quel numero sconosciuto.
Non so se rispondere o no, esito un attimo, ma alla fine spingo il tasto verde.
«Mi vuoi dire chi sei?»
«Il fantasma del Natale passato.»
«Non sto scherzando, come hai il mio numero? Perché mi conosci? Cosa sai di me?»
«Stai tranquilla, non ti agitare.» Dice con voce calma.
«Ti potrò rivelare la mia identità per rispondere a tutte le tue domande. Vediamoci alla casa sull'albero dopo il bosco, prima dei campi di grano.»
«Non mi fido di te, non so chi sei.»
«Sapevo che lo avresti detto, proprio per questo ti avviso che se entro le cinque di domani non sarai qui, verrò io da te. Meglio avere subito le risposte che cerchi, non ti pare?»
Dopo quest'ultima frase, riaggancia senza lasciarmi il tempo di rispondergli.
Non sono agitata, di più. Ho paura che possa essere in qualche modo pericoloso, che possa essere uno scherzo, o neanche io so cosa; decido di andare a conoscere questa persona, sempre che non sia uno scherzo. Forse è stupida come cosa, ma ardo dalla voglia di avere la risposta alle mie domande.

Attraverso il bosco ed arrivo alla casa sull'albero, ma non trovo nessuno: immaginavo che fosse uno scherzo.
Mi preparo a veder qualcuno sbucare da qualche parte per farmi la festa, ma non arriva nessuno.
Mi guardo intorno e faccio per andarmene quando qualcuno mi prende la mano.
Mi volto di scatto e faccio un salto quando mi ritrovo faccia a faccia con un ragazzo, a tre centimetri di distanza.
Mi allontano abbastanza spaventata, ho il cuore che batte a mille.
Lui mi guarda fermo, sono io che sto facendo un casino della Madonna, quanto sono stupida.
«Mi vuoi dire chi sei?» Chiedo, non appena mi riesco a fermare.
«Beh, adesso sai che almeno esisto, e dovresti riconoscermi.»
Lo guardo come se stesse delirando.
«Adesso si che sono a posto con me stessa, allora.» Non sono mai stata capace di essere sarcastica, non è nella mia natura, ma adesso mi viene naturale e sembra l'unico modo in cui possa rispondere senza essere presa per scema.
Lui non dice niente, continua a guardarmi intensamente negli occhi, ed io non riesco a staccare il mio sguardo dal suo, è come una sorta di calamita.
Dopo un abbondante minuto lo riconosco: è il ragazzo che alla festa era stato accusato dal bidello!
«Hai capito, eh?» Mi chiede lui.
Come faccia a sapere che l'ho riconosciuto esattamente in quel momento io non lo so.
«Non sei partito esattamente bene. Scommetto che è per causa tua che mi sono sentita osservata alla festa, no?» Lo guardo aspettando una risposta.
«Si, è colpa mia. Anche sugli scogli.»
Mi allontano di un passo e gli chiedo allarmata: «Come hai fatto ad arrivare allo scoglio da solo?! Se mi avessi seguito ti avrei visto per forza!»
«Osservavo il tuo tragitto tutti i giorni per imparare ad arrivarci.» Dice con voce ferma. Mi chiedo come faccia a rimanere così calmo.
«Senti, al posto che farti tutte queste domande, adesso mi limiterò a fattene una sola. È una brutta domanda, ma tutto questo mi porta a farla.»
«So già a cosa stai pensando.» Dice abbassando lo sguardo: è la prima volta che lo fa da quando abbiamo iniziato a parlare.
«Ok, beh, io te lo chiedo: sei uno...» mi si spezza la voce «...stalker..?»
Mi guarda, io sono sempre più terrorizzata.
«Una sorta.» Sentenzia con sguardo solenne.
Sono indecisa tra scappare o tirargli un pugno.
«Emily, ti prego, non essere spaventata. Io non sono un vero stalker, io non ti voglio fare alcun male. Mi dispiace di averti seguita, ma non riesco a stare senza te.»
«Tu non mi conosci.» Dico, per la prima volta con voce ferma, ma aggressiva. «Tu non sai chi sono, e se veramente non riuscissi a stare senza di me, ti saresti avvicinato a me, io non mordo: avresti potuto parlarmi.»
«Hai ragione. Non trovo scusanti: non sono né timido, né altro, devo ammettere di essere stato un vigliacco. Comunque vorrei chiederti una cosa.»

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Capitolo 4
*** 4. ***


Non sono sicura, ma credo che mi sia ceduta una gamba, perché mi ritrovo per terra tra gli aghi di pino caduti dagli alberi, il ragazzo mi guarda e mi aiuta a rialzarmi. Non so dire il motivo di questa caduta, so solo che è l'ennesima brutta figura che faccio, ma adesso è l'ultimo dei miei problemi.
Vista la sua stranezza e imprevedibilità, ho paura di scoprire qual è la domanda che sta per pormi.
Lo guardo, mi guarda, poi parla.
«È assolutamente insolita come domanda, però vorrei chiederti se sei disposta a conoscermi. So che non mi conosci e non ti ho di certo fatto una bella impressione, ma se tu mi dessi una possibilità, potrei farti cambiare idea. Io conosco i tuoi sentimenti.»
Ma delira? Non penso proprio che gli darò una possibilità, preferisco stare da sola, come ho sempre fatto. Non mi piace contare su qualcuno, dipendere da qualcuno. Me la sono sempre cavata da sola, le persone fanno soffrire, non ne vale la pena.
E di sicuro non passerò le mie giornate con una persona di cui non so neanche il nome, e che pensa di conoscere i miei sentimenti. Ma chi si crede, con quegli occhi meravigliosi e quel sorriso che mi fanno venire voglia di saltargli addosso? Non mi serve una persona come lui.
Oh mio Dio, ma cosa sto dicendo?!
«Mi chiamo Ed.»
Mi legge anche nel pensiero adesso.
Assolutamente ridicolo.
«Ti dò tempo per pensarci, se vuoi, anche se io so già quale sarà la tua risposta»
Ma quanto è presuntuoso? Non lo sopporto già più.
Se si aspetta che la mia risposta sia positiva, si sbaglia di brutto.
Mi sorride. Ecco, io penso queste brutte cose di lui, e lui mi sorride.
Ha capito come manovrarmi, con quella stupida aria positiva e assolutamente stucchevole.
Cavolo, se gli salterei addosso.
«Non credo proprio che accetterò» gli dico con tono noncurante.
Sorride ancora, la sua espressione non è cambiata di una virgola. Non ha capito, forse?
«D'accordo, come vuoi tu. Sappi che se vuoi mi trovi sempre qui»
«Bene. Addio, mi dispiace, ma non penso che tornerò»
«Si vedrà. Ciao ciao»
Credo che abbia detto "ciao" al posto di "addio" apposta.
Ma cosa si aspetta, che torni sul serio da quel pazzo stalker?

Sono le quattro di mattina, non riesco a chiudere occhio. Ormai non ha senso addormentarsi.
Nella mia mente compare il viso di Ed, che sorride, sia con la bocca che con gli occhi.
I suoi occhi, non riesco a togliermeli dalla testa. Sembra che con quelli riesca a penetrare nella mia mente per leggere i miei pensieri.
Devo assolutamente dimenticarmi della sua esistenza, non farà altro che danneggiarmi.

Dalle fessure delle imposte inizia a filtrare un po' di luce, perciò mi decido ad alzarmi. Scivolo fuori dalle lenzuola e vado a mangiare qualcosa.
La nonna dorme ancora, e dormirà per almeno altre due o tre ore, perciò decido di vestirmi ed uscire.
Non so dove andare, credo che andrò in spiaggia, a quest'ora non dovrebbe esserci nessuno.
Mi incammino, sovrapensiero.
Dopo all'incirca mezzo minuto, realizzo che non sto andando verso il mare.
Pare che i miei piedi di muovano per i fatti loro.
Alzo sguardo e capisco dove sto andando. Non è un buon segno.

«Ciao Ed. Alla fine sono tornata.»
Ed è appoggiato al tronco di un albero quando alza lo sguardo.
Mi vede, vede che sono tornata, constata che aveva ragione.
Mi sorride.
Mamma mia, il suo sorriso.

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Capitolo 5
*** 5. ***


Mi avvicino facendo attenzione a non inciampare tra i rametti secchi sul terreno, mentre lui si stacca dall'albero e rimane immobile a guardarmi, con le mani in tasca, in attesa.
Quando sono abbastanza vicina da vedere il mio riflesso sui suoi occhi, vedo la sua soddisfazione e felicità repressa nel suo sguardo.
«Sapevo che saresti tornata» dice con un filo di voce, ma in tono sicuro.
«Forse lo sapevo anche io.. In fondo..» abbasso lo sguardo sui miei piedi come un bambino timido alla recita scolastica.
Ed si appoggia di nuovo all'albero e mi fa cenno di accomodarmi, come se fosse a casa sua: mi siedo per terra, facendo attenzione a non pestare pigne e rametti.
«Sei stata al mare oggi? So che stavi per andarci» inizia Ed con aria noncurante.
Mi convinco sempre di più che questo ragazzo abbia un qualche potere psichico con cui mi riesca a leggere nella mente.
È assurdo.
È spaventoso.
È ambiguo.
«Stai tranquilla, non ti leggo nella mente» dice.
Ecco! Lo ha appena fatto! È assolutamente inquietante. Forse dovrei cercare di non pensare a niente ed agire d'istinto, così la smetterà.
«Ti piacciono i film?» mi chiede cambiando argomento.
«Si, direi di si..»
«Qual è il tuo film preferito?»
«Non so, direi.. Il Favoloso Mondo di Amélie».
Non ho neanche il tempo di chiedergli qual è il suo che il suo viso sembra si sia illuminato di gioia; mi prende per un braccio e mi annuncia che andremo a guardare Il Favoloso Mondo di Amélie.
Non riesco ancora a realizzare di star andando a casa sua, perché mi ci sta già mezzo trascinando, con passo carico e un sorriso in volto.

«Ciao papà, noi andiamo su a guardare Il Favoloso Mondo di Amélie!» annuncia Ed, neanche entrato in casa, ad un uomo invisibile, che dopo qualche secondo si affaccia da dietro un macchinario pieno di ruggine, grasso e olio. Il suo volto è pieno di rughe, e sembra che ognuna di queste possa raccontare una parte della sua vita; i capelli e la barba corta e ispida sono bianchi quasi del tutto. Ci guarda -forse sarebbe meglio dire "mi guarda"- e strizza l'occhio a Ed.
«Vieni» Ed mi prende per mano e mi fa salire le scale che portano al piano di sopra.
Nel corridoio del primo piano troviamo una ragazza alta, snella e con i capelli castani, quasi neri. I suoi occhi sono incredibilmente verdi e penetranti, come quelli di Ed. Non a caso questa ragazza si rivela sua sorella.
Mi lancia uno sguardo che incenerisce, ma Ed non sembra farci caso. Ci presenta.
«Lei è Emily. Emily, ti presento Eleanor»
Faccio per stringerle la mano, ma lei non la prende, mi sorride freddamente.
«Ciao Eleanor. Che bel nome! Eleanor come Eleanor Rigby!»
Mi guarda sempre negli occhi, sembra che stia cercando di penetrare nella mia mente per scoprire i miei pensieri.
«No,» dice con voce sempre fredda «Eleanor Rigby andava a raccogliere il riso davanti alle chiese. Eleanor Rigby era sola.»
Mi sento decisamente a disagio, ma credo che sia stata meglio questa risposta di un "chi è Eleanor Rigby?".
Almeno conosce i Beatles.

Dopo mezz'ora di film Ed mi mette il braccio intorno alla spalla e, anche se non vorrei, per non correre troppo, diciamo, appoggio automaticamente la testa alla sua spalla.
Guardiamo il resto del film così. Si sta bene, mi sento protetta, anche se forse sto correndo troppo. In realtà non lo so, perché non ho mai avuto un ragazzo.
Fortunatamente Ed non tenta di baciarmi, sa che non lo avrei tollerato.
Dopo aver finito di guardare il film dico che sarebbe ora che io vada, Ed non dice niente e mi accompagna alla porta.
«Allora, ci vediamo un'altra volta?» mi chiede appoggiandosi al muro con il braccio.
«Ehm.. Ok, direi di si». Perché esito sempre? Sono davvero così insicura?
«D'accordo, allora a presto!»
Mi saluta con un bacio sulla guancia. Sento la mia faccia infuocarsi, sono certa di essere rossa come un peperone.
In fondo, credevo che fosse peggio.

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Capitolo 6
*** 6. ***


Attraverso il bosco per tornare a casa, cammino velocemente e i miei passi sono leggeri; mi accorgo dopo un po' di avere un largo sorriso stampato sulla faccia. Sono felice.
Non sono più la persona solitaria che sta in casa a leggere al posto di uscire con qualcuno.
Ho trovato un amico, forse di più. Spero di più.
Per il resto della giornata non faccio altro che pensare a Ed, cosa nuova per me che non ho mai di questi pensieri, e alquanto strana, dato che ogni volta che penso a lui mi viene uno strano fastidio allo stomaco, come se si fosse tutto annodato non si sa come, e faccio quasi fatica a respirare.
Penso ai suoi occhi, alla sua voce, al modo in cui mi tratta, a tutto.
Quando arriva l'ora di cena, mangio un'insalata con la nonna, prima di andare sul mio scoglio.
Per i primi cinque minuti regna il silenzio, si sentono i primi grilli della sera, e il sole comincia a scendere.
È insolito che mia nonna non parli durante la cena, di solito quando non lo fa è successo qualcosa.
Le chiedo di passarmi il sale con la bocca mezza piena e una mano allungata verso il sale vicino al polso di mia nonna.
Me lo passa, e dopo che lo uso sull'insalata, inizia finalmente a parlare.
«Cosa sta succedendo tra te e quel ragazzo? È un tipo strambo» dice con voce ferma.
Di solito mi appoggia in tutte le mie scelte di amicizia (solo Helen, perciò) e su tutto quello che faccio, perché mi capisce. Ora sembra che sia contraria a Ed, sembra che lo voglia eliminare dalla mia vita, anche essendoci appena entrato.
«Non succede niente, nonna» rispondo con gli occhi bassi puntati sul piatto quasi vuoto.
Appoggia le posate e mi guarda in modo severo.
«Guarda che lo so, si capisce dal tuo comportamento. Che non ti cambi in qualche modo. Già sei strana..» che colpo basso. Credevo che lei capisse il mio comportamento, la mia ostilità verso le persone e la mia insolita routine.
Non ho la forza di risponderle, quindi continua a parlare.
«Non voglio che tu smetta di comportarti come fai di solito, non voglio che cambi il tuo modo di pensare e di agire. Non voglio che tu ti affezioni troppo, perché soffrirai.»
Cosa posso risponderle? Non so cosa dire, e anche se volessi rispondere, non mi uscirebbe un filo di voce dalla gola.
Non può farmi soffrire. Una persona così? Ma per favore. Ed è fantastico, è unico e non lo sostituirei con nessun altro.
Non mi piace la piega che prende il discorso, quindi finisco di mangiare, sparecchio e vado al mio scoglio, dove nessuno mi potrà trovare.
Nessuno, a parte Ed.

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Capitolo 7
*** 7. ***


Mentre saltello da uno scoglio all'altro per raggiungere il mio nascondiglio ripenso alla discussione con la nonna. Forse sono stata un po' brusca ad andarmene via così, di solito sono educata e non manco mai di rispetto a nessuno.
Il fatto è che mi sono stancata di essere sempre la brava ragazza modello, vorrei poter prendere in mano la mia vita e fare le mie scelte da sola, invece sembra che le redini della mia esistenza siano in mano ai miei familiari, che mi credono una sorta di perfezione.
Devo convincermi che non mi interessa il comportamento che ho avuto con mia nonna, se lo meritava. E basta.
Arrivo al nascondiglio giusto in tempo per vedere il sole che tramonta all'orizzonte e si porta con sé la luce. Inizia a far fresco, quando mi accorgo di non aver portato il mio telo. Non ho portato niente con me.
Mi appoggio alla parete rocciosa e stringo le ginocchia al petto circondate dalle braccia. Così accovacciata dovrei sentire meno il freddo.
Rimango così per non so quanto tempo, riflettendo ed osservando il mare, quando ad un tratto mi ritrovo Ed seduto di fianco.
Non ho il tempo di dire nulla, che già mi circonda con le braccia e mi avvicina al suo corpo per scaldarmi.
«Inizi ad accorgerti di essere in trappola, eh?» bisbiglia dopo un po'.
Lo guardo negli occhi.
«È successo anche a te?» gli chiedo speranzosa che lui mi possa capire.
«Si, beh, da quando è morta mia madre sono cambiate molte cose..» la sua voce si spezza, capisco che non è un bell'argomento da trattare.
Non so cosa rispondere, quindi non dico niente, so che non è necessario parlare.
Ho la testa appoggiata alle sue gambe, lui gioca con una ciocca dei miei capelli, nessuno parla.
Non è uno di quei silenzi imbarazzanti che c'erano quando ci conoscevamo a malapena, è uno di quei silenzi che si condividono insieme, e che non andrebbero mai spezzati.
Il tempo passa, ci passa davanti senza che ce ne accorgiamo, in questa quiete quasi soprannaturale. Si sente solo il rumore delle onde che si infrangono sulle rocce, ed i nostri respiri quasi impercettibili.
Non ci accorgiamo delle ore che passano, finché non rompo il silenzio: «Ed, è mezzanotte passata, forse dovremmo andarcene» allungo la testa all'indietro per poterlo guardare negli occhi.
«D'accordo, forse è meglio».
Faccio per alzarmi, ma Ed mi mette le mani sulle spalle per bloccarmi. Non lo fa violentemente, però è evidente che non vuole che mi alzi.
«Cosa c'è? Andiamo!» gli dico.
«Cinque minuti. Non è stupendo tutto questo?» alza lo sguardo all'orizzonte.
Mi lascio cadere di nuovo su di lui, e annuisco con un cenno quasi inavvertibile.
«Vorrei poter stare sempre così» dice Ed, abbassando lo sguardo su di me, poi rialzarlo verso il riflesso della luna sul mare.
«Già, ma prima o poi le cose belle finiscono. Un po' come la vita» ribatto con un accenno di tristezza «la vita ci regala tante belle cose, come poi ce le toglie» continuo.
«La vita mi ha regalato te» abbassa lo sguardo su di me.
Ci guardiamo negli occhi, lui penetra dentro ai miei e io penetro dentro ai suoi.
Si abbassa su di me e mi dà un bacio.
È la sensazione più bella del mondo ma, anche se non vorrei, mi scanso.
Mi alzo in piedi in fretta e faccio per andarmene.
Ed mi prende per un braccio.
«Ed, no»
«Perché no?!»
«E se mia nonna avesse ragione? Se mi farai solo soffrire?»
«Emily, ti tengono in trappola. Sei dentro ad una gabbia, non te ne rendi conto?»
«Ma per favore. Sei tu che stai creando una gabbia intorno a me, con le tue protezioni e le tue fissazioni. È meglio rifugiarsi in un libro, stare da soli.» tiro via il braccio con uno strattone e me ne vado, lasciandolo da solo sugli scogli.
Solo quando arrivo alla spiaggia mi volto e vedo la sua sagoma in lontananza, seduta con i piedi in acqua, che fa rimbalzare sassolini sulla superficie del mare.
Perché ho avuto quella reazione? Sono stata brusca, non avevo motivo di trattarlo così.
Cosa ne so se mi farà soffrire?
Cosa ne sa mia nonna?
Non riesco più a controllarmi. Non distinguo più il bene dal male. Vedo il male dove non c'è, trovo il bene dove di questo non c'è traccia.
La verità è una: non riesco ad utilizzare le carte che ho a disposizione, la situazione mi sfugge di mano. Devo andarmene.

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Capitolo 8
*** 8. ***


Faccio scorrere la cerniera per chiudere lo zaino, dove c'è tutto lo stretto necessario.
Scrivo una lista per verificare bene di non aver dimenticato niente.

KIT DI SOPRAVVIVENZA:
- Bottiglia d'acqua da 1litro;
- 1 panino con prosciutto crudo;
- 1 panino con mortadella;
- Costume da bagno;
- Telo;
- Due libri;
- Cellulare SPENTO per non farmi trovare, ma da usare in caso di emergenza;
- Cambio di vestiti;
- Soldi che sono rimasti tra i miei risparmi (circa 47 euro, non male);
- Foto di famiglia (non si sa mai cosa potrebbe fare la nostalgia).

Sono pronta, è ora di andare.
Sono le 5 di mattina, perciò mia nonna non dovrebbe svegliarsi e accorgersi che non ci sono.
Ed potrebbe essere ovunque, conoscendolo, devo guardarmi intorno con attenzione.
Arrivo fino alla spiaggia, e mentre scavalco massi e scogli per arrivare al mio realizzo che non potrò starci a lungo, siccome è il primo posto dove Ed mi verrà a cercare se non mi trova.
Ecco i problemi di tutte le fughe, anche nei film c'è sempre un problema.
Ci penso su un attimo e mi viene in mente un posto. Un sorriso malizioso mi compare sul viso.

Arrivo in cima alla collina con il fiatone, poi guardo in basso e vedo il mio villaggio. Riesco persino a vedere la casa di Ed, dopo gli alberi.
Mi siedo dietro alla palestra dove c'è stata la festa della scuola, lì dove ho visto Ed per la prima volta.
Riprendo fiato per un minuto e aspetto di smettere di sudare, poi apro lo zaino e prendo un panino.
Mangio lentamente guardandomi intorno. Poco lontano c'è un bar.
Non ci sono molte persone e nessuno fa caso a me. Dall'altra parte vedo il lago, che non ero riuscita a fotografare.
Ecco cosa dovevo portare: la macchina fotografica!
Non importa, non ho tempo, tra un po' dovrò allontanarmi anche da qui.

«Hey, ragazzina?» sento una voce vicino al mio orecchio, e qualcosa che mi scuote leggermente un braccio.
Apro gli occhi e con uno scatto mi metto seduta.
Metto a fuoco e vedo un ragazzo con i RayBan da vista, i capelli rasati e il naso dritto. Avrà qualcosa come venticinque anni, penso.
«È tutto ok?» mi chiede.
Mi schiarisco la gola.
«Si, tutto a posto.»
Guardo l'orologio: sono le sei di sera.
Sgrano gli occhi e mi alzo in piedi.
«È successo qualcosa? I tuoi genitori sanno che sei qui?» Non lo ascolto, sono intenta a controllare che nessuno abbia rubato niente dallo zaino mentre dormivo, poi lo richiudo e me lo metto in spalla.
«Allora?»
«Allora niente, devo andare, grazie per il disturbo.»
Riprendo il mio cammino e lo lascio lì da solo.
«Sei sicura che non ti serva qualcosa?» mi urla.
«No, addio!» gli urlo di rimando.
Arrivo ad un altro boschetto e mi ci inoltro.
Cammino a passo di marcia finché non incontro un ragazzo. Ce l'hanno tutti con me oggi? Non ce la faccio più, devo allontanarmi.
Quando mi avvicino noto la familiarità del ragazzo.
È Ed, dovevo immaginarlo.
«Cosa vuoi?!»
«Ti porto a casa, tua nonna è preoccupatissima!»
Mi prende per un braccio, ma mi allontano con uno strattone.
«Vattene!»
«Non ti lascerò andare via!»
«L'hai detto anche tu che mi tengono in gabbia. Bene, ora mi sono liberata, non sei contento?»
«No!»
«Perché no?!»
«Perché con me non ci sei tu!»

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Capitolo 9
*** 9. ***


Mi blocco e lo guardo, senza parole.
«Cosa?»
«Io volevo essere libero con te!»
«Non sarò mai libera se dovrò pensare a qualcuno vicino a me!»
Ed mi guarda atterrito con occhi sofferenti.
Mi mette un braccio sulla spalla e mi stringe a sé.
«Vieni Emily, andiamo a casa».

Apro la porta di casa e appoggio lo zaino a terra. Non appena mi avvicino alla sala esce mia nonna e mi abbraccia.
«Ero preoccupatissima, pensavo che ti fosse successo qualcosa» dice con la voce rotta dai singhiozzi.
Mi faccio abbracciare, dò questo piacere alla nonna, che credo abbia già sofferto abbastanza.
Eccomi di nuovo nella morsa della prigionia.

Dopo essermi fatta una doccia esco di casa per andare da Ed. Non so bene perché, ma sento che ci devo andare.
Non appena arrivo, Ed mi dà un bacio sulla guancia e mi guida dentro casa tenendo il solito braccio sulla mia spalla.
Usciamo dalla porta sul retro e ci troviamo davanti a un campo di grano ormai giallo che si estende per almeno un chilometro.
«Ti piace?» mi chiede Ed guardandomi e poi alzando lo sguardo verso l'orizzonte.
«Non tutto ciò che è bello è mare, sai?» aggiunge con un accenno di ironia.
Mi prende la mano e mi porta vicino ad alcune balle di fieno posizionate in modo da nascondere chiunque ci vada.
«Ed ecco il mio di nascondiglio».
Ci sediamo abbracciati e stiamo zitti, non c'è bisogno di parlare.

«Che carini i due piccioncini!»
"Ecco che arriva Eleanor Rigby", penso.
Questa ragazza è una guastafeste assurda.
«Cosa vuoi, Eleanor?» domanda Ed con uno sbuffo.
«Oh, io? Niente!» ribatte lei in tono sarcastico.
«Allora potresti andartene, no?» domanda lui.
Eleanor fa un sorrisetto malizioso: «Ehm.. D'accordo, oggi non ho voglia di darvi fastidio. Ed, non è che quando hai finito puoi venire un attimo in camera mia? Ti devo parlare.»
Ed la guarda e annuisce, lei fa per andarsene e ci saluta, chiamandomi sgualdrina. Non so cos'abbia contro di me, non le ho fatto niente.
«Non ci pensare» mi dice Ed, spostandomi un ciuffo di capelli dal viso «non le vai a genio, ma a lei non va a genio quasi nessuno».
«Magari è perché si sente sola..» dico giocando con una pagliuzza.
«Lasciala perdere» risponde lui, abbracciandomi.

Dopo un'oretta Ed va a parlare con Eleanor in camera sua, e mi dice di rimanere nel nascondiglio, per stare un po' insieme anche dopo.
Suppongo che la camera di Eleanor sia esattamente sopra dove sono io, siccome sento tutto ciò che dicono. «Per quanto hai intenzione di andare avanti con questa storia?» dice lei.
«Certo che a te proprio non va bene che una persona sia felice, eh?»
«Lei ti fa solo male! Liberatene»
«Al massimo sono io che le faccio male. Non farebbe niente di male»
«Questo lo dici tu»
«Perché ce l'hai con lei?!»
«Vedo che c'è qualcosa che non va in lei. Come fai a non vederlo?! Proprio tu, che sei bravo a capire cosa passa nella testa della gente!»
«Anche tu sei così, sorellina»
«Appunto, e mi sembra assurdo che tu ti stia distraendo così. Se proprio non vuoi liberartene tu, lo farò io».

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Capitolo 10
*** 10. ***


Dopo quelle parole resto pietrificata, il cuore mi batte all'impazzata, inizio a respirare a fatica, mi metto una mano sul petto e mi appoggio ad una balla di fieno per non svenire, e dopo qualche minuto torna Ed.
«Oh mio Dio, che è successo? Emily, stai bene?»
Strizzo gli occhi e poi li spalanco, poi annuisco a Ed.
Mi abbraccia e mi dà un bacio sulla guancia.
«Forse dovresti andare ora, mia sorella è abbastanza turbata, e non si sa mai quello che può fare, mi dispiace».
Mi aiuta ad alzarmi e mi tiene per mano per accompagnarmi dentro casa e poi alla porta principale.
Quando sto per andare via arriva Eleanor giù dalle scale e rimane lì a guardarmi con un sorriso soddisfatto e leggermente maligno.
Ed vede che la sto guardando e mi conduce fuori e chiude la porta, per parlare senza avere i suoi occhi addosso.
Appena fuori mi abbraccia e mi bacia. Questa volta non oppongo resistenza, non riesco più a resistergli. Ed mi piace, o forse c'è qualcosa di più grande di una cotta. Non me ne sono preoccupata prima, ma penso che sia così. Lo abbraccio ancora più forte e quando ci separiamo mi dice una cosa che non mi sarei mai aspettata.
Mi prende una mano.
«Emily, so che ci conosciamo da poco tempo, ma ogni secondo passato con te mi rallegra e mi estranea dal mondo. Io ti amo, Emily».
Sorride. Dio mio, il suo sorriso.
Mi metto in punta di piedi per arrivare a lui, lo bacio.

Dopo aver passato un paio di ore a girarmi e rigirarmi nel letto, accendo la luce e mi metto a leggere un libro, non riesco a dormire.
Quando dalle tapparelle inizia a filtrare la prima luce del mattino mi alzo dal letto e mangio qualcosa.
Passo gran parte della mattinata sdraiata sotto al ciliegio, con un lieve venticello che trapassa il mio vestito di cotone bianco.
A un certo punto mi arriva una chiamata dal solito numero sconosciuto, allora rispondo: Ed mi chiede di stare un po' con lui a casa sua.

Non appena arrivo a casa di Ed, Eleanor mi dà il benvenuto con il solito sorriso colpevole e lo sguardo che gela le interiora.
Mi chiedo il perché di questo cambiamento, Ed mi dice di non farci caso.
Mi tiene per mano mentre mi conduce sul retro, Eleanor ci segue.
Eleanor mi tira per un braccio e Ed si ferma a guardarla per capire le sue intenzioni. Lei mi sorride e per una volta non sembra cattiva, forse ha trovato un modo per sopportarmi.
«A mio padre stai molto simpatica, perché non lo vai a salutare? È laggiù!» dice lei, indicando un campo di grano.
Guardo dove indica e vedo in lontananza un uomo vicino a una macchina che non riesco bene ad identificare, perché le spighe di grano sono alte più di me.
Eleanor mi dà un colpetto e mi sprona ad andarci, guardo nella direzione di Ed per dirgli che ci metterò poco, ma Ed non c'è.
«Oh, Ed è andato a prendere qualcosa da bere. Quando tornerà tu avrai finito di parlare con nostro padre. Adesso vai» dice dandomi una leggera spinta.
Mi faccio largo tra le spighe gialle, finché non arrivo a qualche metro dal padre di Ed, che sta aggiustando un macchinario molto arrugginito.
«Salve signo..» non faccio in tempo a finire la frase, che sento il suono di un timer. Sarà l'apparecchio che sta aggiustando, penso.
Poi mi rendo conto, questo suono è come quello dei film d'azione che guardo con mia nonna per farle compagnia, quando sta per scoppiare una bomba.
Mi tappo le orecchie, un'esplosione mi sbalza indietro.
Intorno a me fuoco. Non posso far a meno di tirare un urlo quando vedo che il padre di Ed è scomparso tra le fiamme.
Sono scioccata, cerco di convincermi che è tutto un sogno, finché non sento una risata in lontananza.

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Capitolo 11
*** 11. ***


Mi volto: il lontananza, vicino alla casa, vedo Eleanor che ride di gusto. Non riesco a capire, è contenta della morte di suo padre? È davvero così crudele da ridere?
Arriva Ed di corsa non appena sente l'esplosione, e si ferma accanto a sua sorella, e guarda preoccupato nella mia direzione, poi guarda Eleanor, che ha smesso di ridere ed ora le scendono le lacrime.
«Quella troietta, io lo sapevo!» urla Eleanor puntandomi il dito contro.
Brava attrice, penso.
Ed la abbraccia e la porta dentro, io non riesco a muovermi, sono scioccata, le lacrime scendono sul mio volto e mi bruciano le guance.
Dopo qualche minuto Ed è davanti a me, mi urla contro da un metro di distanza, io non capisco niente, sono ancora sotto shock.
«Sei una strega! Perché lo hai fatto?!»
«Tu credi veramente a tua sorella? Stava ridendo! È stata lei! Voleva incastrarmi! Mi odia!»
«E fa bene! Vattene!»
Ora sto singhiozzando, Ed ha gli occhi gonfi di lacrime e punta il dito verso l'uscita, non posso far altro che andarmene.

Mentre torno a casa vedo già due macchine dei carabinieri salire verso casa di Ed.
Quando entro in casa mia nonna mi abbraccia forte, evidentemente sa quello che è successo.
«Non credo che sia stata tu, davvero»
«Sembra che tu sia l'unica» dico mentre mi scende una lacrima.

Mi faccio una doccia perché sono sporca di cenere, poi vado sotto al mio ciliegio con un libro, come quando ero sola, come d'altronde sono adesso.

Mia nonna mi scuote, apro gli occhi lentamente e mi metto seduta. Mi sono addormentata sotto all'albero.
«Ci sono degli agenti che vogliono parlare con te» dice con voce ferma. Mi alzo in piedi e mi strofino gli occhi, e due agenti vengono condotti in giardino.
«Salve signorina, vorremmo farle qualche domanda riguardo all'accaduto»
«Sono accusata di qualcosa?»
«Per adesso lei è solo una testimone, stiamo cercando di capire se l'esplosione è stata organizzata o è stato solo un malfunzionamento del macchinario. Lei era vicina alla vittima al momento dell'esplosione, giusto? Racconti nel dettaglio cosa è successo»
«Sono andata a trovare Ed, il figlio della vittima. Sua sorella Eleanor, a cui sto abbastanza antipatica, mi ha detto di andare a salutare suo padre, che stava aggiustando un macchinario in mezzo al campo. Mentre mi avvicinavo c'è stata l'esplosione. Sono stata sbalzata all'indietro, ho avuto paura. Quando mi sono rialzata ho visto Eleanor che rideva di gusto, poi appena è arrivato suo fratello si è fatta seria e ha iniziato a piangere e ad accusarmi. Lui ha creduto a lei, poi me ne sono andata».
Abbasso il capo, non voglio che nessuno veda i miei occhi lucidi.
«Lei e il ragazzo che tipo di rapporto avevate?»
«Stavamo insieme»
«Capisco. Perciò la ragazza avrebbe secondo te manomesso il macchinario per incastrarti?»
«Non vorrei fare accuse, ma penso che sia andata così»
«Interessante. Per adesso è tutto, si tenga a disposizione per un eventuale interrogatorio, ora andremo a sentire la versione dei due fratelli. Arrivederci signorina»
Mi tende la mano destra e la stringo, poi vedo i due agenti allontanarsi e andare verso la casa di Ed.

Passa un'oretta scarsa, e sento bussare alla porta.
Vado ad aprire e trovo gli agenti con una faccia addolorata, seguiti da Ed, che tiene lo sguardo basso.
Faccio segno di accomodarsi sul divano e si siedono senza esitare, saranno esausti.
«Abbiamo motivo di credere che l'esplosione sia stata causata da una manomissione del macchinario causata dalla signorina Eleanor» comincia l'agente con cui ho parlato prima.
«Siamo entrati in casa, abbiamo ascoltato la versione di Ed, che include lei come colpevole, e quando è stato il turno di Eleanor... Beh, non era nella sua stanza. Non era in casa».
Lo guardo sbalordita.
«Quindi... È scappata?».
Ed è stato tutto il tempo a testa bassa, non sembra più lo stesso.
L'agente mi guarda.
«Si».

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Capitolo 12
*** 12. ***


Mi chiudo la porta dietro, mi butto sul letto a peso morto, non ce la faccio più.
Sono appena stata in commissariato, in pratica Eleanor scappa e io devo continuare ad essere disponibile per gli agenti. Non ce la faccio, questa storia è troppo complicata per me.
E Ed? Lui non ha il coraggio di parlarmi, dopo avermi accusata. Non è possibile che Ed lo abbia fatto, non me lo sarei aspettato da lui. Davvero no.

«Emily, svegliati, è pronta la cena!» Apro gli occhi lentamente e metto a fuoco la sagoma di mia nonna chinata su di me. Mi sono ancora addormentata sotto al ciliegio.

«Nonna, mi dispiace, dovevo crederti quando mi dicevi che mi avrebbe fatto soffrire» le dico smettendo di masticare.
«Stai tranquilla, tesoro, non è niente» dice lei con il suo solito tono rassicurante.
Continuiamo a mangiare un silenzio, finché lei non appoggia le posate e mi guarda seria.
«Ho sentito tuo padre, ti verrà a prendere domani per tornare in città».
Appoggio anche io le posate e la guardo esterrefatta.
«Cosa? Niente più mare?» «Mi dispiace, è per quello che è successo»
«Digli che sto bene!»
«Non vuole sentire ragioni, ormai sta finendo l'estate e tu devi studiare».

Vado per l'ultima volta al mio scoglio.
Sono in piedi sulla roccia, che guardo il riflesso della luna sul mare. Un leggero venticello mi accarezza i capelli. Non riesco a trattenere le lacrime, mi copro il viso con le mani colme di singhiozzi.
Piango. Piango per tutto. Quello che è successo, per lui, per tutto. Mi sento esplodere dentro.
Mi tolgo i vestiti velocemente e mi tuffo, comincio a nuotare, nuotare, nuotare, fino all'orizzonte.

Mi asciugo e mi rivesto dopo questo sfogo, il mio ultimo sfogo nell'acqua salata.
Mi appoggio per guardare le stelle, sono seduta con le gambe avvolte nelle braccia, un po' infreddolita.
Arriva qualcuno.
Ed.
Lo guardo, mi guarda.
«Mi perdonerai mai?» dice con la voce spezzata da un singhiozzo.
Ricominciano a scendermi le lacrime.
«Domani torno in città».
Mi alzo, lui si avvicina e mi abbraccia.
Sento il battito del suo cuore.
Ed è caldo, rassicurante.

«Allora addio» mi dice prima di andare via.
«Addio» gli rispondo con un filo di voce, guardando per l'ultima volta i suoi occhi illuminati dalla luce della luna e riempiti dalle onde del mare.
Mi bacia, per l'ultima volta.
Mi saluta e se ne va, per l'ultima volta.
Mi volto verso il mare, guardo le stelle, guardo la luna, mi scende un'altra lacrima.
Ora è tutto finito. Non posso far altro che tornare alla mia vita.
Come se non fosse successo niente.
Normale.
Neutra.
Io.
Solo io.

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