Abbracciami di gunslinger_ (/viewuser.php?uid=151684)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fuoco alle ceneri ***
Capitolo 2: *** Chiudi gli occhi, andrà tutto bene ***
Capitolo 3: *** Bisogna avere il caos dentro di sé, per generare una stella danzante ***
Capitolo 4: *** Un brindisi al mostro che sono ***
Capitolo 5: *** Una Nuova Terra e milioni di anni luce ad unirci ***
Capitolo 1 *** Fuoco alle ceneri ***
Disclaimer. Gli Avenged Sevenfold sono personaggi realmente esistenti attorno ai quali ho costruito una storia (prendendo spunto da fatti accaduti) di pura fantasia, che non intende in alcun modo riprodurre la realtà. La pubblicazione di questa fanfiction non ha fini lucrativi.
"Anche l'elaborazione del lutto è come la nascita di nuova vita in te.
È piena di sofferenze e di timori. Spesso è buia come il percorso del parto.
Sembra volerci afferrare alla gola. È una strada stretta e tormentosa.
Ma, una volta che l'abbiamo percorsa sino in fondo,
il nostro cuore si allarga e vediamo una nuova luce che ci illumina.
Ci sentiamo liberi, come rinati."
(Anselm Grün)
La mano destra stretta a pugno, fasciata, era tesa sul bracciolo mentre l'altra poggiava sulla gamba del ragazzo che cercava di rimanere disteso su quel lettino di pelle nera che sembrava quasi fargli prudere la pelle.
Gli occhi verdi cercavano di vedere più in là di quanto riuscissero in quella posizione, sembrava impossibile rimanere a fissare il soffitto pallido senza battere ciglio.
“Sa perché è qui, signor Sanders?”
Matt a questo punto alzò di poco la schiena, riuscendo finalmente a guardare il suo interlocutore; nel frattempo però continuava a pensare a quella mano che, anche se la medicazione nascondeva tutto, ogni tanto riprendeva a sanguinare debolmente, infastidendolo. Se li ricordava ancora i rivoli rossastri che scivolavano lungo il polso e lui che rimaneva lì, immobile, senza più sapere esattamente cosa fare.
“Non sono pazzo.” rispose, con la tentazione di alzarsi in piedi ed uscire sbattendo la porta.
“Non mi permetterei mai di pronunciare un giudizio del genere, sarei solo interessato a conoscere il suo parere riguardo l'intera faccenda.”
Matt non lo sapeva, non sapeva proprio a che faccenda alludesse lo psicologo, non c'era assolutamente niente di cui discutere. Anche se si era fatto male non aveva bisogno di aiuto, non serviva parlare, solo un antidolorifico molto forte, nel caso.
“Non lo so...” mugugnò, per poi piegare leggermente le dita della mano sulla coscia. “Non è successo niente di grave Doc, chiaro? Posso chiamarla Doc?”
Questo rispose annuendo.
“L'amico che l'ha portato qui mi diceva che-”
Da quel momento in poi Matt aveva smesso di ascoltare, stendendosi di nuovo. Si adagiò per bene, finalmente un po' più rilassato e pensò per un attimo a Brian che lo aspettava fuori dallo studio, seduto su una sedia con una rivista per quarantenni disperate sulle ginocchia. Non aveva ammesso repliche quella mattina, l'appuntamento col dottor Grey l'aveva preso e non poteva permettersi di fare brutte figure anche perché quello era stato un colloquio di favore, gli psicologi più richiesti della città non si contattavano mica con una semplice telefonata; raccomandazioni, raccomandazioni e raccomandazioni. Anche un pizzico di fortuna, quella in effetti non era mai abbastanza.
Scosse piano la testa e forse il dottore, impegnato com'era a parlare, non se ne accorse nemmeno.
Nessun altro al mondo – oltre Brian Haner, s'intende – sarebbe mai riuscito a trascinarlo in uno studio del genere, lui che tanto aveva paura degli ospedali e soprattutto dei medici. Tecnicamente quello non era un ospedale e non era nemmeno tanto sicuro che gli psicologi fossero laureti in Medicina, ma Matt era spaventato lo stesso.
Lui non sa niente di me, aveva continuato a ripetere durante il tragitto da casa allo studio del dottor Grey. E non saprà mai nemmeno un secondo della mia vita, posso assicurartelo.
Brian aveva continuato a premere il piede sull'acceleratore ignorandolo del tutto, ormai quella era la sua ultima speranza ed aveva bisogno di crederci fino in fondo. Probabilmente avevano tutti e quattro bisogno di uno strizzacervelli, ma al momento Shads era quello in condizioni peggiori.
“Signor Sanders, mi sta ascoltando o no? Le ho chiesto come si è procurato quelle ferite.” disse lo psicologo indicando la mano fasciata del ragazzo con un cenno del capo.
A quel punto Matt si risvegliò dai proprio pensieri, senza avere comunque l'intenzione di dire niente, se non qualche frecciatina acida che chiarisse ancor meglio la sua posizione. Quel tipo doveva mettersi in testa che non voleva aver niente a che fare con lui.
“Così come si fanno le ferite.” rispose, quasi scontroso.
“È come un fuoco perpetuo, vero?”
No, adesso proprio non capiva.
“Quello che sente... È come una fiamma che brucia di continuo, tutto sta diventando cenere dentro di lei e non sa più come fare per sentirsi vivo. Parli, Matthew, parli senza fermarsi nemmeno per un attimo e vedrà che non si sarà mai sentito più reale di così. Mi dia retta.”
Matt quella volta aveva ascoltato davvero senza perdersi neanche un respiro, si era fatto custode di ogni singola parola che sembrava quasi scottargli la pelle.
Stava andando a fuoco, c'era così tanto fumo che ormai non si vedeva più niente.
“Non ne ho voglia, Doc.”
La verità non era esattamente questa, in realtà Matt non sapeva parlare; non lo aveva mai fatto e dopo trent'anni di silenzi non sapeva assolutamente da dove cominciare.
Il dottor Grey sospirò.
“La vedo piuttosto provato oggi, è meglio se interrompiamo qui la seduta. Vorrei però che lei facesse una cosa.”
“Non inizierò a scrivere uno stupido diario.”
Lo psicologo sorrise.
“No, mi piacerebbe solo che lei pensasse anche solo per cinque minuti al giorno a quello che ci siamo detti oggi, se lo farà sono sicuro che durante la prossima seduta saprà tutte le risposte alle mie domande. Magari non mi rivolgerà più di dieci parole, ma da qualche parte si deve pur iniziare.”
“Come fa a sapere che ci sarà una prossima volta?” chiese Matt.
“Penso che lei abbia tanto bisogno del mio aiuto e, se l'esperienza mi ha insegnato qualcosa, ritengo anche che non sia così stupido da non rendersene conto. Alla prossima settimana, signor Sanders.”
Matt uscì dallo studio con la testa che girava un po', piena di pensieri come non lo era da molto tempo. Non appena chiuse la porta Brian balzò in piedi, lanciando la rivista che aveva in mano sul tavolino.
“Allora, com'è andata?”
L'amico gli rivolse un sorriso amaro e gli fece cenno di seguirlo fuori: avevano entrambi bisogno di una boccata d'aria.
“Non credo di averne bisogno.” disse Matt, mentre si accendeva una sigaretta. I suoi occhi guardavano lontano, quasi persi nel crepuscolo che iniziava lentamente ad avanzare.”Farsi male ad una mano non è da strizzacervelli.”
Brian sospirò e guardò l'amico di sottecchi, quasi deluso. Sperava davvero che un'ora col dottor Grey gli avesse chiarito, almeno vagamente, le idee.
“Non è di una ferita che stiamo parlando, Matt, se ti fossi trovato di fronte una persona invece che uno specchio non avrebbe fatto alcuna differenza, lo avresti preso a pugni comunque rischiando anche la galera. Ne hai bisogno, credimi.”
L'altro ragazzo increspò le labbra accennando un sorriso, Brian era davvero testardo quando teneva a qualcosa, soprattutto alle proprie opinioni.
“Portami a casa.” rispose solo, senza spostare lo sguardo. “Ho bisogno di dormire.
L'orologio sul cruscotto dell'auto segnava le 19 quando Matt aprì la portiera e poggiò i piedi sull'asfalto; una leggera brezza lo fece stringere nelle spalle e socchiudere gli occhi.
“Ci vediamo, amico. Grazie del passaggio.”
Brian, invece di rispondere, scese anche lui dall'auto, beccandosi una fronte corrugata da parte dell'amico.
“Credevi davvero che dopo un'esperienza del genere ti lasciassi da solo? Apri la porta, sbrigati.”
Matt girò più volte la chiave nella toppa, prima che la pesante porta d'ingresso si aprì cigolando leggermente. Non era entusiasta della presa di posizione dell'altro ma, d'altro canto, non aveva neanche voglia di discutere.
***
Il salotto era silenzioso e buio, solo la luce che proveniva dalla televisione illuminava debolmente il ragazzo seduto sul divano, mentre una bottiglia di birra ormai vuota brillava sul tavolino. Questo si riavviò i capelli scuri con una mano, prima di alzarsi e dirigersi verso la camera da letto dove Matt dormiva. Aprì la porta con dolcezza evitando di fare rumore ed un cono di luce si fece spazio sul pavimento, sotto i suoi piedi.
Il padrone di casa era disteso a pancia in giù, vestito ma senza scarpe, la t-shirt che indossava gli si era leggermente alzata lasciando scoperta la parte bassa della schiena. Il braccio sinistro era disteso formando un angolo retto, mentre la mano destra penzolava fuori dal letto.
“Sempre il solito.” mormorò Brian che l'aveva visto dormire in quella posizione innumerevoli volte,
gli aveva sempre sistemato la mano ciondolante per poi appoggiarli addosso una copertina; quando erano in tour usava quello che capitava, anche una delle sue giacche se necessario, ma quando erano a casa sua prendeva sempre una delle trapunte che Matt aveva nell'armadio.
Quando ebbe finito ammirò con soddisfazione il suo lavoro e poi si sedette sul letto accanto al ragazzo per togliersi le scarpe.
Non sapeva che ore fossero, sicuramente però non era tardi, in ogni caso aveva deciso di stendersi e magari dormire nella speranza di donare un po' di serenità a Matt anche se a lui stesso mancava del tutto.
Stava andando tutto a rotoli giorno dopo giorno: Jimmy prima, poi tutti i problemi che si sono susseguiti uno dopo l'altro fino ad inghiottirli tutti, ma solo loro stessi erano in grado di salvarsi da quel declino in apparenza senza fine.
Alla fine si sistemò anche lui sotto la coperta e, disteso su un fianco, allungò un braccio verso la schiena di Matt come se volesse attirarlo a sé. Non sapeva bene così altro fare oltre che continuare a guardarlo sussurrandogli Andrà tutto bene, perché non aveva altro in cui poteva sperare.
Era buio, l'inverno imperversava fuori, e le ombre nella stanza sembravano aver preso la forma dei loro incubi.
“Ci salveremo.” disse avvicinandosi all'orecchio di Matt. “Andremo avanti.”
A quel punto il ragazzo mugolò e strofinò il viso su quello che era il petto di Brian, poi dischiuse lentamente gli occhi.
“Sei ancora qui...”
“Dove dovrei essere?”
Quella domanda non ottenne risposta in quel momento e probabilmente non l'avrebbe mai ottenuta, rimase ad aleggiare nella camera in silenzio, vegliando su quei due ragazzi che si stringevano forte.
“Mi fa male la mano.” disse Matt, cercando di mettersi a sedere.
Brian gliela raccolse e la accarezzò delicatamente, per poi alzarsi.
“Vado a prendere una garza pulita ed il disinfettante, torno subito.
“Ahi...”
Un lamento attraversò le pareti, quando la fasciatura venne sciolta, rivelando grumi di sangue attorno alla ferita e molto rossore.
“Brucerà un po', scusami.” si scusò Brian, per poi versare quel liquido verde chiaro sulla pelle dell'amico.
“Ormai ci sono abituato, brucia tanto anche a te... vero?”
Il ragazzo non capì, temette di essersi perso qualcosa, concentrato com'era sulla medicazione.
“Eh?”
“Jimmy, t-tutto il resto... Il dottore aveva ragione, brucia da morire.”
E così, senza nemmeno accorgersene, Matt stava seguendo il consiglio del medico, ponendo quella domanda; cinque minuti del suo tempo erano in quel momento dedicati alla seduta di quel pomeriggio, anche se nessuno ci avrebbe mai scommesso nemmeno un centesimo.
“No, sono solo rassegnato.”
E con questo non voleva dire che non stava male, che non sentiva il dolore trafiggerlo da parte a parte, solo che in qualche modo il suo incedio aveva iniziato a spegnersi, goccioline di pioggia stavano cadendo sulle sue membra.
“Vorrei tanto che fosse così anche per me.” concluse Matt sospirando, mentre l'altro sistemava la garza pulita. “Come ci sei riuscito?”
“Non lo so.” rispose Brian, dopo essersi alzato. “È successo e basta, col tempo, anche se so che tu a questa frase non ci credi. Ma, d'altronde, ognuno ha il proprio modo di andare avanti, sappi solo che il tuo non è quello giusto.”
Forse, avrebbe voluto rispondere Matt, però lo faceva quasi sentire bene vedere il proprio sangue affiorare sulla pelle, sentire il bruciore che pian piano si diffondeva dalla mano al resto del corpo; lo faceva sentire puro, come se quel rito espiasse tutti i suoi peccati.
Matt aveva peccato tanto, si sentiva così in colpa.
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Capitolo 2 *** Chiudi gli occhi, andrà tutto bene ***
Note: ci tenevo a ringraziare chi
di voi ha anche solo dato un'occhiata alla storia, arrivando
magari solo metà del primo capitolo, e un grazie
megagigante alle persone che hanno già inserito questa
fanfiction tra seguite e preferite. Ammetto di non aver ricontrollato
attentamente questo secondo capitolo, chiedo quindi scusa per eventuali
errori di battitura - si spera solo quelli -.
"La
tensione mi sta tirando in tutte le direzioni
E succederà se mi userai come corda
A volte la pressione ti manderà fuori di testa
Potrei esplodere in ogni momento
Ho bisogno di un po' di pace, sono stanco
Non voglio perderla, ma sto per cambiare strada."
(Tension - Avenged Sevenfold)
I frammenti di vetro
erano ovunque:
nel lavandino, sulla mensola del bagno, a terra.
Il centro dello specchio
non c'era
più, un piccolo buco lo rimpiazzava, circondato da
incrinature che sembravano fargli da corona; insieme a tutto questo
niente più,
niente tranne il sangue che si era infiltrato tra le schegge,
esattamente come queste che si erano conficcate nella pelle di Matt.
Il pugno era ancora
chiuso ed
alzato, gli occhi chiusi in balia di un dolore sia fisico che
dell'anima, un dolore che si portava dentro da mesi e che non sapeva
più come sfogare... Se non in quel modo.
Aveva infilato un paio di
pantaloni
ed una t-shirt per poi dirigersi in bagno per lavarsi i denti. Non
aveva premeditato le azioni che sarebbero seguite, le aveva compiute
e basta.
Faceva più
freddo del solito quella
mattina, faceva così freddo quando il sangue colava
giù dal pugno
lambendogli il polso.
Un paio di istanti
più tardi Matt
aprì lentamente gli occhi, puntando lo sguardo verso la sua
immagine
rotta e rossastra che lo specchio gli restituiva. Quanto c'era di
vero in quell'immagine?
Non distingueva bene i
contorni
della sua figura, non riconosceva le sue labbra, i suoi capelli, i
suoi occhi... D'altronde neanche prima di fare tutto quel casino si
riconosceva, ma almeno in quella situazione comprendeva l'alienazione
che provavano i suoi amici quando lo osservavano muoversi o anche
solo parlare.
Non c'era più
niente di tutto
quello che aveva conosciuto fino a quel momento.
Il nulla.
Il sangue continuava a
gocciolare ma
una tale concentrazione era riservata allo specchio che stentava
quasi a farci caso.
“Matt...”
“È
così
che è arrivato
Brian?” chiese lo psicologo, interrompendo il racconto del
ragazzo
che, di rimando, annuì.
“O almeno
credo.”
aggiunse, titubante. “Ricordo davvero poco di quella mattina,
nella
mia mente è rimasto solo il sangue.”
“Nient'altro?
Brian?”
Matt prese
a mordicchiarsi il labbro inferiore.
“Lui c'era
Doc
quindi sì, me lo ricordo. Ha preso subito il disinfettante e
delle
garze e, con una lucidità che non avrei creduto possedesse,
mi
medicò la ferita senza il minimo segno di
agitazione.”
“Era tanto
arrabbiato, vero? È per questo che ha colpito lo specchio in
quel
modo.”
“I-Io sono
ancora
arrabbiato, tanto, forse molto più di quanto fossi mai
stato... E
sono anche tanto spaventato.” ammise, alla fine.
Quando si
raccontano le proprie abitudini più segrete o le debolezze
più
recondite, è inevitabile continuare a parlare senza
smettere,
lasciare il discorso a metà non renderebbe meno vulnerabili.
“Ha visto
che
avevo ragione?” disse il dottor Grey, lasciando il paziente
interdetto per un istante. “Ha saputo rispondere senza quasi
nessuna esitazione alle domande che le avevo posto la settimana
scorsa.”
“Ma non ci
ho
pensato molto.” rispose Matt, come a voler sottolineare che
in
realtà lui non era ancora d'accordo con questa terapia.
“Le parole
sono venute adesso e basta.”
Lo psicologo non
risponse, ma in cuor suo sapeva che il ragazzo stava mentendo e che
provava un briciolo di sollievo, mentre raccontava.
“Vada avanti
col
racconto.” disse, infine.
Brian sistemò
le ferite, le
schegge, il vetro, il tutto mentre Matt se ne stava seduto sul letto
con i gomiti sulle cosce così da mantenersi la testa e
fissare il
pavimento di parquet. L'altro ragazzo ogni tanto gli lanciava di
sottecchi delle occhiate – dalla porta aperta del bagno aveva
visuale completa della camera da letto – e in cuor suo
sperava che
non facesse nessun altra stronzata.
“Posso farti una
domanda?”
Matt a quel punto
alzò il viso,
scritando lo sguardo appuntito di Brian.
“Dimmi.”
“Perché?”
“Non lo so.”
“Non raccontarmi
stronzate.”
“Non sono stronzate, non lo so
e
non voglio saperlo. L'ho fatto e basta.”
“Credo di avere il diritto
di-”
“Nessuno ti ha chiesto niente
Brian, non ti ho mai chiesto niente. Hai sempre fatto tutto da
solo.”
“Adesso mi
rendo
conto che non avrei dovuto rispondergli in quel modo, ma ci sono dei
momenti in cui la testa si annebbia e dico tutto ciò che la
rabbia
mi suggerisce, senza filtri o freni.”
Lo psicologo
annotò
qualcosa sul suo taccuino, a Matt infastidiva che lo facesse, temeva
che lo prendesse per il culo o che scrivesse cose poco carine sul suo
conto o imbarazzanti o terribili; insomma, gli avrebbe strappato via
quel blocchetto dalle mani e lo avrebbe strappato in mille pezzi..
Scosse la testa.
“Signor
Sanders
deduco che lei abbia dei problemi a gestire la rabbia, qualsiasi
problema le capiti di fronte sembra sia collegato a questo.”
Matt
sospirò
profondamente.
“Cos'ha?”
“N-Niente,
l'ora
è finita giusto?”
Si alzò in
piedi,
di scatto, per poi guardare nervosamente la porta.
“Abbiamo
ancora
cinque minuti e lei può quindi rispondere alla mia domanda.
Si
sieda, faccia un bel respiro e parli.”
“Ci si vede,
Doc.”
Anche questa volta
Brian era in sala d'attesa e, esattamente come la scorsa settimana,
balzò in piedi non appena lo vide.
“Sei in
anticipo.”
“S-Sì,
ascolta
Brian non torno a casa vado a fare una passeggiata. Ciao.”
“Matt!”
urlò
il ragazzo, trattenendo la voglia di afferrarlo per la collottola e
strattonarlo. “Aspettami!”
Ormai era troppo
tardi, per fermarlo od inseguirlo, o forse semplicemente per
ricominciare.
***
“Perché
non ti fai fare la ricetta
medica?”
“Fa' poco lo
spiritoso, ti pago e
voglio la mia roba.”
“Tieni
tieni, ma stai attento. Mi
raccomando.”
“Come se a
te importasse qualcosa.”
“Mi sembrava
giusto avvertirti.”
Zacky prese il
sacchetto che un ragazzo
con il berretto calato sulla testa gli diede e, dopo aver pagato, lo
nascose all'interno della giacca. Fortunatamente non era lontano da
casa, così si ritenne al sicuro piuttosto in fretta.
Le gambe erano
piuttosto pesanti, da
giorni camminava a fatica; forse la stanchezza accumulata cominciava
a farlo star male più dell'insonnia stessa.
Da quant'è
che non dormiva, mesi?
Non ricordava a quanto
tempo prima
risalisse una vera e propria dormita e a volte temeva che non ce ne
fosse mai stata una. I mostri che per anni aveva disegnato ed
immaginato avevano preso vita, lo accompagnavano ogni ora del giorno
e della notte, da sveglio e da addormentato.
Zacky per la prima
volta aveva paura,
esattamente come Matt, e il suo terrore più grande di
manifestava in
quelle creature orribili, spesso mollicce o con i denti aguzzi, che
secondo dopo secondo tentavano di mangiargli la testa a morsi.
Avrebbe voluto correre via, ma non si può uccidere
ciò che si ha in
testa, era in trappola.
Arrivato a casa chiuse
la porta, si
tolse la giacca e poi aprì il sacchetto che custodiva
così
gelosamente. Ne estrasse un piccolo contenitore cilindrico di
plastica gialla e tappo bianco; sull'etichetta era stata
scarabocchiata ad inchiostro nero: metadone.
Si era vagamente
informato su quanto avesse dovuto prenderne ma non importava, avrebbe
continuato ad ingerirlo fino a che il dolore e i mostri non si
sarebbero dissolti in una nuvoletta di fumo.
Era possibile,
tutto era possibile se si avevano le conoscenze giuste e, per di
più,
nessun essere umano meritava una sofferenza del genere: aveva tutto
il diritto di curarsi.
Anche Brian
gliel'aveva detto, l'altro giorno, lo aveva quasi pregato di trovare
una soluzione alla sua insonnia; dovevano lavorare, ne avevano
bisogno per distrarsi, ma non potevano farlo se Zacky si reggeva a
malapena in piedi.
“Uno...
due...
tre...” contava mentre ingeriva pasticche, seduto sul divano,
come
se stesse assaporando dell'ottimo champagne francese.
Sta per finire tutto,
si ripeteva, Dormirò,
come una ninna nanna che lo cullava prima di addormentarsi.
Di colpo
appoggiò
la testa allo schienale, quasi con uno scatto, quasi come se non
fosse stato un movimento naturale e volontario.
Zacky aveva chiuso
gli occhi, erano serrati e non si percepiva il minimo movimento, se
non quello del torace che affievoliva i respiri.
***
Parole
che Matt aveva scritto diverso tempo prima, premevano sulle tempie
come se volessero uscire fuori, ed urlargli nelle orecchie che in
altre circostanze non si sarebbe comportato così, che non
avrebbe
trattato Brian in quel
modo.
Ma, d'altronde, le
canzoni del passato non lo rispecchiavano più.
Tension,
tensione.
Doveva smaltirla a
tutti costi, aveva infatti accelerato fino ad accennare una corsetta.
Non si curava della direzione che stava prendendo, di che marciapiedi
attraversava, l'importante era non fermarsi e non pensare;
soprattutto la seconda.
Poteva affermare
con certezza che non era arrabbiato, che tutti si sbagliavano, Doc
compreso, che era solo un periodo di merda ed aveva bisogno di stare
da solo e sfogarsi. In tal caso, però, non avrebbe detto la
verità,
non sarebbe stato sincero.
Se a Matt fosse
stato chiesto dell'esistenza di un giorno privo di rabbia, non
avrebbe saputo rispondere; da quando aveva memoria era sempre stato
prima un bambino, poi un ragazzino, dopo ancora un uomo incazzato
nero con il mondo. Ce l'aveva con tutti, sempre, anche se con
l'età
aveva imparato a gestire la situazione.
Fino alla morte di
Jimmy.
Sembrava quasi che
una parete nel suo cervello si fosse frantumata dopo
quell'avvenimento e che il fiume in piena che aveva represso per
tutti quegli anni, avesse deciso di esondare.
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Capitolo 3 *** Bisogna avere il caos dentro di sé, per generare una stella danzante ***
"Non
sarei un terzo del chitarrista che sono, se non fosse stato per gli
Avenged.
Sono dei ragazzi stimolanti ed è una continua sfida con me
stesso
scrivendo cose che vanno oltre la mia abilità
per poi immaginare come suonarle."
(Synyster Gates)
L'attesa in quella
sala d'aspetto,
ordinata e pulita, sembrava più estenuante del solito. Era
arrivato
allo studio del dottor Grey un po' in anticipo, ma di solito con una
sigaretta era sempre riuscito a far accelerare il tempo così
da non
soffrire troppo; fumare da solo però, per giunta con un gran
peso
sullo stomaco, non aveva lo stesso effetto benefico.
L'orologio ticchettava
quasi
noiosamente, come se non avesse nessuna intenzione di muoversi, e
Matt lo guardava spazientito mentre appoggiava le guance sui palmi
delle mani. I gomiti che premevano sulle cosce iniziavano a far male,
ma ormai non aveva più nemmeno voglia di sbuffare.
Quando con un piede
iniziò a tenere il
ritmo di una canzone che aveva in mente, gli balenò in testa
l'idea
di tornarsene a casa, farsi una bella doccia e poi stendersi in boxer
sul letto, a stella e con lo sguardo puntato sul soffitto. Poi
però
pensò a Brian, si rese conto che aveva commesso un errore,
pensava
che quella reazione avrebbe potuto evitarla, così rimase
seduto lì
sperando che questo avrebbe reso la sua situazione meno
compromettente.
Finalmente la paziente
uscì dallo
studio e si diresse a lunghi passi verso l'uscita, dopo avergli
lanciato uno sguardo veloce.
“Buonasera
signor Sanders.” lo
salutò il dottore, appena lo vide entrare.
“Ammetto che questa
volta sono davvero sorpreso di vederla. Si accomodi pure.”
Matt eseguì
in silenzio, impiegando
qualche minuto per trovare una posizione comoda.
“Sono
sorpreso anch'io.” iniziò
con un sospiro. “Ma ormai mi sto abituando ad un sacco di
cose.”
“Brutta cosa
l'abitudine, un ragazzo
con un mestiere come il suo dovrebbe essere circondato da costanti
stimoli.” commentò lo psicologo, dopo aver preso
il suo solito
taccuino in mano.
Il paziente strinse
involontariamente i
pugni, davvero non riusciva ancora a sopportare il rumore di quei
fogli che veniva sfogliati e della mina della matita che li
perforava; sembravano decine di martelli pneumatici.
“Dai miei
appunti vedo che eravamo
arrivati ad un punto focale la scorsa volta: la rabbia.
Volev-”
“Non voglio
parlarne.” asserì
Matt, categorico. “Cambiamo argomento, parliamo di qualsiasi
cosa,
ma lasciamo stare la rabbia. Per favore.”
Anche in quel momento
iniziava ad
alterarsi, il dottore notò le guance del ragazzo avvampare
mentre la
mano sana si torturava i jeans, tenendo stretta la stoffa tra le
dita.
“Di cosa ha
voglia di parlare?”
Matt non lo sapeva,
non voleva più
dire nulla, cercava solo di non lasciar sfuggire le lacrime che
iniziavano ad inumidirgli gli occhi; stava da schifo seduto su quel
lettino, temeva quasi che lo psicologo si fosse alzato con dei
bisturi in mano per studiare l'interno del suo cervello e forse anche
del suo cuore.
Spinto da quel
silenzio, il dottore
cercò di proporre lui un argomento che fosse riuscito a
mettere il
suo paziente a suo agio.
“Mi racconta
di come ha conosciuto
Brian?”
A quel punto il
ragazzo si trovò
costretto ad annuire, non ce la faceva neanche ad arrabbiarsi e a
dire di no. Si rassegnò al taccuino, alla matita che
graffiava le
pagine, alla fastidiosa abitudine del dottor Grey a sistemarsi di
continuo gli occhiali sugli occhi.
Prima di conoscere Brian,
Matt aveva
sentito la sua voce al telefono mentre Jimmy gli spiegava dove si
trovasse il garage dove di solito provava, quello della famiglia
Sanders che gentilmente si era arresa all'intenzione del figlio di
buttarsi nella musica. D'altronde durante le prove si teneva fuori
dai guai, il che a loro bastava.
“A tra poco.” lo
sentì dire,
prima che il batterista tolse il vivavoce e chiuse la chiamata.
“Sta arrivando!”
esclamò
quello, alzando entrambe le braccia al cielo in segno di vittoria.
“Il miglior chitarrista di Orange Country appena
diplomato.”
Matt storse il naso.
Non era neanche sicuro
che Jimmy lo
avesse mai visto prendere in mano una chitarra, visto che si erano
conosciuti durante una rissa, ma voleva dargli almeno una
possibilità.
“Si sente
bene?”
Con quella domanda
si sentiva tremendamente preso in giro. Non poteva stare bene mentre
parlava di Jimmy, né tanto di Brian, vista l'attuale
situazione.
“Jimmy
è morto
poco tempo fa, ma posso farcela.”
Passò il
palmo
della mano sul viso, come a voler cancellare le tracce
dell'inquietudine che provava in quel momento.
“Complimenti davvero per il
provino, Brian.” Matt andò a congratularsi con
l'ormai nuovo
chitarrista che si stava sfilando lo strumento per riporlo
accuratamente nella custodia. “Per una volta Jimmy aveva
ragione.”
L'altro ragazzo, dopo
aver passato
una mano tra i corti capelli corvini, strinse la mano che il cantante
gli aveva porso e fece una smorfia che Matt imparò a
decifrare solo
diverso tempo dopo, quando si rese conto che Brian incurvava le
labbra in quel modo solo quando si sentiva in imbarazzo; sembrava
anche solo strano che lui potesse provare una sensazione simile,
eppure gli occhi bassi tradivano la sua arroganza.
“Grazie... Matt vero? Abbiamo
tanto lavoro da fare, ma sono contento di essere entrato a far parte
degli Avenged Sevenfold.”
Zacky stappò
delle bottiglie
ghiacciate appena tirate fuori dal mini frigo e ne offrì una
a tutti
i componenti. Ora mancava solo un bassista, visto che Dameon Ash si
era ritirato dopo il primo breve tour che aveva seguito l'uscita di
Sounding The Seventh Trumpet, il loro primo album.
Brindarono a loro,
brindarono ai
successi che sarebbero venuti promettendosi in silenzio che mai e poi
mai si sarebbero divisi. Purtroppo però, non è
possibile prevedere
le innumerevoli incombenze della vita che, come milioni di corde,
cercano di allontanare sempre le persone più care.
“Deduco che
non
abbia voglia nemmeno di parlare di Jimmy.”
“No, se
possibile. Doc non credo di riuscirci, impazzirei...”
rispose,
abbassando la testa per appoggiarla sul lettino.
“Immagino
abbiate
trovato un bassista poi.” disse il dottor Grey, cambiando
discorso.
Non voleva mettere Matt troppo sotto pressione, voleva dargli la
possibilità di abituarsi ai loro dialoghi e a
quell'ambiente, così
da aprirsi pian piano.
“Sì,
Johnny
Christ, l'uomo che ci ha letteralmente salvato il cul- ehm, la
vita.”
Nonostante il
sorriso che fece anche solo pronunciando il nome di uno dei suoi
migliori amici, anche parlare di Johnny faceva male. Continuava a
rivedere quella
scena, il
loro ultimo incontro e, anche
se col passare dei giorni aveva ormai capito che il discorso che
stava facendo era giusto, trovava ancora molta difficoltà
nel
ritrovare la forza per reagire.
Scusami tanto, nanerottolo,
pensò, promettendosi di chiamarlo, appena si sarebbe sentito
meglio.
“Quando
Dameon
aveva avuto dei problemi, il fratello maggiore di Johnny che aveva la
nostra età ci disse che suo fratello se la cavava piuttosto
bene con
quelle quattro corde, così ci aiutò diverse
volte.”
“Seward? Sono Brian Haner,
abbiamo
suonato insieme qualche volta.”
“Non potrei mai dimenticare gli
Avenged Sevenfold. Come se la cava Dameon?”
“Da schifo amico, ci ha
abbandonati e abbiamo bisogno di un bassista.”
“Datemi due minuti e sono al
garage di Matt con basso in spalla.”
Quello era l'inizio degli
Avenged
Sevenfold, cinque ragazzi e altrettanti cinque strumenti, tanta
voglia di cavalcare il mondo intero.
***
Matt bussò
due
volte mentre l'imbrunire alle sue spalle si faceva sempre
più
intenso, giocava con l'orologio che aveva al polso mentre aspettava
che il padrone di casa andasse ad aprire la porta, sempre se
ciò
fosse accaduto.
“Questa non
me
l'aspettavo proprio!” esclamò il ragazzo che gli
parò davanti,
con un largo sorriso divertito. I capelli era sparati da tutte le
parti e gli occhi più piccoli del solito e lievemente
arrossati
tradivano diverse ore passate a dormire.
“Ti ho
svegliato?”
“No, stavo
solo
per fare una doccia, ma entra e siediti che devi proprio spiegarmi
perché un duro come te sia venuto qui.”
Continuava a
ridere, Brian, mentre faceva entrare l'ospite. Sapeva di avere il
coltello dalla parte del manico in quel momento e non si sarebbe
lasciato sfuggire quella situazione per nulla al mondo.
Matt nel frattempo
si accomodò sul divano comodo e morbido, sistemandosi un po'
per
trovare una posizione comoda.
“Sono stato
dallo
psicologo.” disse, come se si aspettasse che a quel punto
Brian gli
facesse le feste. “Ci sono andato anche se tu non
c'eri.”
“Beh mi fa
piacere, almeno hai capito che forse il dottor Grey riuscirà
a farti
star meglio, molto più di quanto possa fare io.”
Il ragazzo si
strinse nell'accappatoio blu, per poi sedersi di fronte al suo
interlocutore che si sentì ferito. Non si aspettava una
risposta del
genere, anche se forse avrebbe dovuto.
“Non volevo
dire
che-”
“Lo so, lo
so, ma
è questa la verità. Alla fine io te la do sempre
vinta e così non
ti aiuto. Ti ho cercato per ore quando sei fuggito via l'ultima volte
e non ero minimamente arrabbiato. Questo non è sano. Vuoi
una
birra?”
Matt scosse la testa.
Ad ogni parola che
pronunciava, sentiva Brian sempre più lontano e non avrebbe
mai
voluto che ciò accadesse. Non era la prima volta che lui
rispondeva
male a qualcuno, ma alla fine tornava sempre tutto come prima.
Forse adesso
sarebbe stato diverso.
“Che stai
cercando di dirmi?”
“Niente,
solo che
forse ho fatto bene a sparire per qualche giorno, ha fatto bene ad
entrambi. Non saresti mai venuto qui a chiedermi scusa, ammettilo. Io
invece ho composto, suonato, ho liberato la testa dai pensieri
negativi e questo mi ha fatto bene.”
“Io invece
sono
stato uno schifo, mi sei mancato, mi sono sentito abbandonato anche
se sapevo di avere torto.”
A quel punto Matt
iniziava a sentire la rabbia salire, il viso avvampare e le mani
perdere il controllo. Non riusciva a capire cosa volesse dire Brian
con il suo stare
bene,
avevano dormito nella stessa cuccetta
per anni e una settimana di silenzio non aveva avuto nessun riscontro
su di lui.
Si sentiva tradito.
“Però
ha fatto
bene anche a te, se sei andato dallo psicologo.” disse il
chitarrista, notando però il cambiamento d'umore dell'altro.
“Ehi
calmati, respira.” Si alzò e legò
l'accappatoio in vita, così da
avvicinarsi a Matt ed abbracciarlo. “Va tutto
bene.” gli
sussurrava piano, accarezzandogli con dolcezza la schiena.
“L'ho
fatto solo per te.”
Il contatto
riuscì
a calmargli i nervi, con un respiro profondo si sentiva già
meglio.
“Non ce la
faccio.” rispose con un fil di voce. “Non riesco ad
affrontare
tutto questo, Brian.”
“Continua a
parlare con il dottor Grey, d'ora in poi sarò sempre in sala
d'aspetto per te. Ti prego però, smettila di fare il cazzone
con
me.”
Matt sorrise
lievemente, finalmente sollevato.
Anche quella volta
si stava sistemando tutto, Jimmy non c'era più ma Brian e
Matt
c'erano ancora, sperando che sarebbero rimasti così per
tanto,
magari anche fino alla fine dei tempi.
***
Erano secoli che
Zacky non provava la piacevole e rilassante sensazione di svegliarsi
dopo molte ore di sonno, con gli occhi riposati e il viso affondato
nel cuscino.
Si mise a sedere
sul letto con calma, con l'intenzione di assaporare ogni momento. Con
una mano cercò gli occhiali sul comodino, ma le dita si
scontrarono
con un flacone di plastica colorata.
Corrugò la
fronte,
in cuor suo però era grato a quelle piccole pillole bianche
che gli
avevano ridato la vita.
E il sonno.
Note: questo
capitolo è arrivato un po' in anticipo, ma ammetto che la
recensione che ho ricevuto mi ha davvero ispirata.
Grazie a tutti per il supporto!
|
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Capitolo 4 *** Un brindisi al mostro che sono ***
Note: quello di oggi
è un capitolo lievemente più breve, ma spero
comunque possa colpirvi come mi auguro abbiano fatto gli altri.
Grazie per le letture,
le preferenze e le recensioni!
"La
mia ombra è l'unica che cammina al mio fianco
Il
mio cuore vuoto è l'unica cosa che batte
Qualche
volta spero che lì fuori ci sia qualcuno a trovarmi
Fino
ad allora cammino da solo.”
(Boulevard
of Broken Dreams – Green Day)
Erano
passate settimane ormai dalla prima volta in cui Matt aveva messo
piede nello studio del dottor Grey e ci si era quasi abituato alla
poltrona di pelle, alle scartoffie e alle domande inaspettate, di
quelle che hanno le risposte bloccate in gola e tenute strette da
corde di lacrime.
Si
stava grattando gli occhi stanchi per colpa delle poche ore di sonno,
quando lo psicologo interruppe quella piacevole seduta con un
intervento che il ragazzo aveva completamente rimosso dalla memoria;
era come se non ne avessero mai parlato, come se in realtà
quella
conversazione non fosse mai avvenuta.
“Parliamo
della rabbia.” disse, a labbra strette, quasi avesse paura
che Matt
scappasse via come l’ultima volta che avevano affrontato la
questione.
“Pensa
che io adesso sia pronto?”
Il
cantante si grattò leggermente il naso, a disagio. Ecco che
stava
salendo, proprio lei, la sua compagna di avventure da quando aveva
memoria: l’ira. Avrebbe voluto saltare in piedi e prendere a
ceffoni il dottore, dargli un libro in testa e dire finalmente tutto
ciò che pensava su quella faccenda, che faceva schifo vivere
in quel
modo, che nei suoi panni non ci voleva più stare.
“Dimmi
a cosa stai pensando.” rispose il dottor Grey,
inaspettatamente.
“Siamo arrivati ad un livello d’intesa tale che non
solo ti do
del tu, ma per di più sei in grado di aprirti totalmente con
me.
Avanti, Matt.”
Non
sapeva cosa dire, la bocca si era fatta secca e le parole spingevano,
ma erano talmente tante che non riusciva a pronunciarne nemmeno una.
“Sono
stufo di essere sempre arrabbiato.” ammise, dopo un
po’. “Mi
sta rovinando la vita, sempre se non l’abbia già
fatto.”
“Ricordi
la prima volta di esserti sentito furioso? O meglio: qual è
il tuo
ricordo più vecchio inerente alla rabbia?”
Matt
ci pensò per un paio di secondi fissando intensamente gli
occhi del
dottore con i suoi.
“Questa
era il mio pennarello!”
“Non
è vero, l’ho preso prima io!”
“Matthew
Sanders!”
Il
bambino sentì le dita della maestra afferrarlo per la
collottola e
tirarlo via dal suo compagno e dal tavolo del disegno.
Improvvisamente il suo volto aveva assunto un'espressione sorpresa,
quasi innocente, perchè diavolo lui aveva decisamente
ragione!
L'altro
invece si grattava il naso, i piccoli occhi scuri si erano fatti
umidi per le lacrime che stavano per scendere.
“Non
è stata colpa mia signora Williams, è stato Tom a
rubare il mio
colore.” cercò di scusarsi Matt, mentre si
liberava dalla presa
dell'insegnante.
“Questi
sono i pennarelli di tutti, Matthew, non puoi tirare cazzotti ai tuoi
compagni quando più ti piace.”
Si
stava vergognando davvero tanto di quelle confessioni, gli sembrava
di dipingere un mostro e forse non aveva torto a pensarla
così; in
passato molte persone lo avevano definito così, tra compagni
di
scuola, vicini e conoscenti.
“Mi
dispiace davvero.” disse, dopo il racconto. “Volevo
solo il mio
pennarello, non ce l'avevo con Tom.”
“Riprendi
a respirare tranquillamente.” propose lo psicologo sorridendo
leggermente, per poi annotare qualche parola sul taccuino.
“Secondo
me.” riprese, dopo una manciata di minuti di silenzio che
permisero
a Matt di rilassarsi. “Quel pugno era un chiaro segnale:
volevi
essere ascoltato, a tutti i costi. Avevi l'impressione che quel
bambino non stesse capendo quello che gli dicevi e così tu
hai fatto
in modo che si accorgesse di te. Comunque vai avanti, raccontami
qualche altro episodio così riesco a farmi un'idea
più chiara della
situazione.”
“Signori
Sanders mi dispiace dirlo, ma non so più cosa fare con
vostro
figlio. È coinvolto in risse quasi quotidianamente e non
posso
continuare a far finta di non vedere. Questa scuola non è
più
adatta a vostro figlio, l'espulsione mi sembra ormai l'unico
provvedimento che posso prendere.”
Matt
era in piedi dietro ai suoi genitori che, seduti sulle sedie nere che
spesso occupava lui, si lanciavano occhiate preoccupate. Avevano sempre
saputo di avere un figlio piuttosto vivace ed anche irascibile,
arrivati a quel punto, ma una situazione del genere dopo solo il
primo anno di liceo non se la sarebbero mai aspettata.
Non
sapevano assolutamente cosa dire, erano in totale imbarazzo; il
ragazzo che li conosceva bene sapeva che stavano boccheggiando e che
a casa una bella paternale con i fiocchi non gliel'avrebbe negata
nessuno.
“Sei
una delusione.” aveva infatti detto suo padre, una volta
varcata la
soglia della loro abitazione. “Questo non è il
figlio che io e tua
madre abbiamo cresciuto."
“Immagino
che tu sia stato molto male, a causa di quelle parole.” disse
il
dottor Grey quando il paziente ebbe terminato.
“Credo
di non aver dormito per giorni, da quel momento in poi mi sono sempre
sentito un totale disastro ai suoi occhi anche se so per certo che
non pensava davvero quello che ha detto. Aveva perfettamente ragione,
dopotutto, ma non riuscivo proprio a contenermi.”
Matt
appoggiò il capo al poggiatesta della poltrona con un
sospiro. Non ce
la faceva più a raccontare, non se la sentiva di arrivare a
parlare
delle patetiche risse da bar a cui aveva partecipato per mesi. Non
voleva sapere perché l'aveva fatto, era sicuro che sarebbe
stato
doloroso.
“Se
non ho capito male Matt, per un periodo eri riuscito però a
superare
la rabbia. Ricordi quando è successo?”
“Certo
che ricordo doc, quando sono entrato a far parte degli Avenged
Sevenfold.”
“Sai
dirmi secondo te, il motivo? O è una coincidenza?”
“Penso,
come avevi detto prima tu, perché avevo finalmente trovato
qualcuno
che mi ascoltasse; Brian, Jimmy, Zacky e poi anche Johnny non
fingevano di essermi amici, lo erano davvero e mi sentivo sempre
considerato, quando ero con loro.”
***
“Allora,
di cosa avete parlato tu e il doc, oggi?” chiese Brian, non
appena
lui e Matt entrarono in una tavola calda. L'amico aveva espressamente
richiesto un hamburger e delle patatine sufficientemente impregnate
d'olio, se non lo avesse accompagnato avrebbe rischiato di trovarsi
il sedile dell'auto mangiucchiato.
“Rabbia.”
rispose solo, mentre con lo sguardo cercava un tavolo libero.
Non
appena si sedettero una ragazza dai capelli biondi e ricci si
avvicinò a loro e, con un largo sorriso che mise Brian a
disagio,
prese le ordinazioni; quando si allontanò ripresero la
conversazione.
“Rabbia,
quindi?”
“Di
quanto io sia un mostro, va bene così?”
“Avanti
Matt, tu non sei un mostro non dire così.”
Brian
gli afferrò una mano e ne accarezzò lentamente il
dorso, il tutto
guardandolo sempre dritto negli occhi.
“Il
dottor Grey vuole parlare con te.”
“Che
cosa?”
“Vuole
parlare con te non so per quale motivo, smettila di guardarmi come se
avessi visto la madonna.”
L'altro
ragazzo interruppe il contatto e volse lo sguardo verso il piatto
fumante che gli era stato portato. Iniziò a mangiare in
silenzio,
l'idea di essere psicanalizzato anche lui lo metteva a disagio.
“Ti
sto prendendo in giro.” disse all'improvviso Matt, tra un
boccone e
l'altro.
“Cosa?”
“Il
dottor Grey non vuole parlare con te, stupido.”
Il
cantante scoppiò a ridere e continuò a guardare
il suo migliore
amico senza la minima intenzione di perdersi una scena come quella.
L'espressione terrorizzata che aveva sul volto da quando Matt gli
aveva dato quella sconvolgente notizia era impagabile.
“Ti
odio, sei uno stronzo.” mugugnò Brian a bassa voce
dopo aver
addentato il suo hamburger.
“Ti
voglio bene anche io, Haner.”
Matt
gli diede un buffetto su una guancia e a quel punto anche l'altro
sorrise seppur debolmente, decisamente sollevato.
***
Johnny
Christ si sentiva solo.
Aveva
ripetutamente controllato la lista delle chiamate effettuate dal suo
cellulare e notare che i nomi dei suoi migliori amici comparivano
solo verso la fine, lo faceva stare terribilmente male. Avrebbe
voluto chiamarli, salutarli, invitarli a bere una birra al Johnny's,
ma l'orgoglio gli impediva di premere quel dannato pulsante verde che
sembrava quasi chiamarlo.
Non
li sentiva da un mese circa, aveva saputo che Matt stava seguendo una
specie di percorso di riabilitazione però non aveva avuto
modo di
approfondire la questione; anche se non si aspettasse una chiamata da
quel testardo cronico dopo la loro ultima litigata, almeno un pochino
ci sperava. O anche solo un messaggio da parte di Brian, che invece
continuava ad essere l'ombra del cantante e ad assecondarlo anche
quando non aveva ragione.
Mancava
solo Zacky.
Quando
aveva espressamente consigliato di alzare i culi dai divani e di
riprendersi ognuno la rispettiva vita non si era opposto, ma non
aveva nemmeno seguito la dritta, il che significava averlo ignorato
del tutto.
No,
nonostante la solitudine lo stesse divorando dall'interno, non
avrebbe chiamato neanche lui: che si fottesse, che si fottessero
tutti quanti, tanto c'era Jim che, anche se da una tomba vuota e
fredda, gli teneva compagnia durante quei pomeriggi cupi e
strazianti, gli veniva quasi da piangere.
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Capitolo 5 *** Una Nuova Terra e milioni di anni luce ad unirci ***
"Sei
l'unico
Ed è in te che confido."
(Warmness On The Soul - Avenged Sevenfold)
Quella mattina
Hungtington Beach
sembrava essere piuttosto serena, la luce del sole aveva rischiarato
il cielo terso nonostante non facesse ancora molto caldo. Sembrava
quasi che la città si fosse svegliata dopo tanti mesi di
buio e
lacrime, anche se in reaktà era rimasta esattamente la
stessa.
Di tanto in tanto si
udivano delle auto
sfrecciare sulla strada, ma per fortuna quell'abitazione si trovava
in una via secondaria così che il traffico non potesse
infastidire
molto.
Matt si
stropicciò debolmente gli
occhi quando si svegliò e, con un velo di tristezza sulle
iridi
verdi, constatò subito che Brian non era rimasto con lui
quella
sera, che era quasi una settimana che passava solo di sfuggita per
sapere come stava e se tutto stava andando secondo i piani; lui
rispondeva sempre che si sentiva meglio, non mentiva: ogni tanto la
voragine la percepiva ancora, probabilmente non sarebbe mai sparita
del tutto, ma si faceva viva solo quando si infila sotto le coperte e
inevitabilmente la sua testa si riempiva di immagini tristi e
pensieri che non avrebbe più dovuto fare.
C'era Jimmy, era
sempre lui a
tormentarlo e, nonostante qualche risveglio un po' sudaticcio, era
felice di sognarlo; voleva dire che il suo amico era esistito
davvero, che l'aveva abbracciato e tenuto stretto, che nonostante la
merda che aveva dovuto ingoiare per colpa sua avevano trascorso
davvero dei bei momenti insieme e forse era solo questo che
importava.
Si mise a sedere sul
materasso e
ripensò alla settimana precedente, alle parole che aveva
detto allo
psicologo e come si era sentito: un mostro.
Sette giorni dopo non
aveva del tutto
cambiato opinione, ma aveva più fiducia nel suo futuro e in
quello
che avrebbe potuto fare se solo l'avesse voluto. Dopo la tavola calda
ne aveva parlato seriamente con Brian, si era sfogato e come al
solito il suo migliore amico lo aveva sostenuto. Non che gli dasse
dei veri e propri consigli, però lo aiutava sempre a
ragionare e
magari gli proponeva punti di vista diversi da quelli a cui era
abituato.
“Posso dirti solo una cosa,
Matt.
Va' a casa e prendi il quaderno in cui hai raccolto tutti i tuoi
testi e rileggili attentamente. Hai scritto di amore, di guerre, di
sangue, di incubi e dolore... Non ti sembrano temi così
fottutamente
umani? Non sei un mostro, se lo fossi mai stato non saresti riuscito
a comporre quelle canzoni.”
E una volta tornato
nel suo salotto lo aveva fatto, aveva corso verso la scrivania e
aveva cominciato a sfogliare le pagine piene di parole che
riflettevano lui stesso in ogni minimo dettaglio; lo aveva fatto
seduto sul pavimento e con la schiena un po' piegata in avanti. Non
lo aveva mai confessato a nessuno, ma non era la prima volta che si
metteva a rileggere i propri testi. Lo facevano sentire orgoglioso e
fiero, sentiva di essere capace in qualcosa nella vita. Solo che
quella volta doveva fare molto di più: scavare all'interno
di
quell'inchiostro e ritrovare se stesso, rivivere il passato che aveva
immortalato nella carta e abbandonare le zanne, gli artigli,
l'aspetto spaventoso... doveva tornare Matt Sanders e questo sembrava
essere l'unico modo possibile per farcela.
La sera prima aveva
riletto Warmness On The Soul e quasi istintivamente si chiese
perché
non aveva mai accettato di suonarla e cantarla dal vivo; è troppo
personale,
si rispose, e nonostante l'avesse scritta prima di
conoscere Brian, in futuro si rese conto che quella canzone gli
appartenesse già.
Con quei pensieri
iniziò a lavarsi ai denti e guardarsi allo specchio; quella
mattina
il suo riflesso faceva molta meno paura.
***
“Ti vedo
davvero
molto bene, Matt.” disse il dottor Grey non appena il
paziente si
sistemò sul sedile di pelle rivolgendogli un breve sorriso.
“Mi sono
svegliato col piede giusto e ti dirò di più doc:
spara, sono pronto
a qualsiasi domanda.”
Fu lo psicologo a
sorridere questa volta, poi inforcò gli occhiali da vista e
si
schiarì da voce.
“Se ne sei
proprio sicuro...” iniziò, sfogliando i suoi
precedenti appunti.
“Per iniziare vorrei solo che mi parlassi di Brian, di
qualsiasi
episodio o avvenimento a lui legato. Siete molto legati e mi
aiuterà
di certo a capirti un po' di più.”
A quel punto lo
sguardo del paziente iniziò a vagare sulla libreria alle
spalle del
dottore, dubbioso. Non sapeva bene di cosa aveva voglia di parlare,
col suo migliore amico aveva condiviso molti più momenti di
quanti
probabilmente immaginava, ma non ce n'era uno in particolare che
gliene veniva in mente.
O forse sì.
Brian si copriva il viso
con le
mani, i suoi occhi erano puntati verso le scarpe chiare che erano
state macchiate da un liquido bruno, lo stesso che in quel momento
gli stava rigando le guance e bagnando le labbra.
Non aveva il coraggio di
alzare lo
sguardo, non sapeva chi o cosa si sarebbe trovato davanti in quel
momento, forse per la prima volta aveva solo paura.
“M-Mi dispiace...”
Quel sussurro sembrava
una richiesta
di aiuto piuttosto che di perdono, era una voce flebile che andava
dritta a scuotere le corde del suo cuore e, nonostante la delusione e
il dolore, non riusciva a non prestarle attenzione.
“B-Brian
s-scusami...” continuò,
facendo qualche passo indietro, passi incerti e terrorizzati.
Lui però
continuava a non dire
niente, non sapeva nemmeno se ci fossero state delle parole adatte a
quella situazione, continuava a fissarsi la punta delle scarpe e a
stringere i denti per non piangere dal dolore anche se gli occhi
lucidi che li aveva già.
Matt, che in quel momento
era stato
accerchiato da tutti i membri dello staff, sembrava essere semore
più
lontano. Non c'era più la sua lucidità, non
c'erano i suoi sguardi,
non c'era il suo calore.
In quel momento si
percepiva solo la
presenza di Zacky, Johnny e Jimmy che, increduli, non avevano la
più
pallida idea di come affrontare la situazione.
“Hai tirato
un
pugno a Brian, ho capito bene?”
Il ragazzo
annuì
con un cenno del capo mentre la sua espressione continuava ad essere
concentrata; anche lui stava cercando di trattenere le lacrime.
“Brian, posso?”
“La zona notte non è
di mia
proprietà, puoi fare quello che vuoi.”
“Senti, mi dispiace. Non avrei
mai
dovuto alzare le mani contro di te, n-non lo meriti.”
“Sono ore che ripeti sempre la
stessa frase, ora basta. Se tu fossi sincero non avrei problemi a
perdonarti, il punto è che non senti davvero quello che
dici.”
Brian uscì
fuori dalla sua cuccetta
e rimase in piedi davanti all'altro, nel buio.
“T-Ti sbagli.”
“Se mi sbaglio,
perché ti trema
la voce?”
Matt poté
giurare di aver percepito
l'accenno di un sorriso tra quelle parole, ormai non aveva bisogno di
guardarlo in faccia per sapere quale espressione stesse assumendo il
viso del suo migliore amico.
“Non voglio
ricaderci.” disse il
cantante, abbandonando le braccia lungo i fianchi.
“Non lo farai.”
rispose l'altro.
“Mi hai tirato un cazzotto e la prossima volta ti
farò nero se ci
riproverai, ma non è questo che conta. Importa che tu non
voglia più
comportarti così e ti prego, Matt, non farlo.”
Non appena Brian riprese
fiato,
l'altro sentì delle labbra sulle sue. Non appena si rese
conto di
quello che stava succedendo, queste non c'erano già
più e gli venne
il dubbio di averle sognate.
“Supererai, supereremo anche
questa.” sussurrò il chitarrista appoggiando la
fronte su quella
di Matt. “Continua a correre, amico.”
“Perché
hai
voluto raccontarmi proprio questo momento?”
Il paziente prese
un bel respiro, sapeva esattamente cosa dire e doveva farlo, si
sentiva così leggero come non accadeva da tempo, aveva
capito che
stava ormai risalendo la montagna e non aveva alcuna intenzione di
fermarsi.
“Perché
nonostante io abbia picchiato uno dei miei migliori amici, per un
motivo che ormai neanche ricordo, lui non mi ha allontanato, non ha
avuto paura di me. In un primo momento sì, però
poi ha saputo
guardarmi meglio e ha capito che non sono un mostro.” Prese
un
altro respiro. “E ripensando a quest'avvenimento anch'io ho
capito
di non esserlo, sono solo fottutamente umano, citando le sue
parole.”
Quando ebbe finito
di parlare si voltò verso la finestra alla sua destra e mai
le
colline in lontananza gli erano sembrate così verdi; invece
lo erano
sempre state così come lui non era mai stato un mostro,
aveva solo
bisogno di rendersene conto.
“Stai
facendo dei
passi enormi, lo sai vero?” chiese il dottor Grey
visibilmente
compiaciuto, ormai non aveva neanche aperto il taccuino, anzi,
all'inizio del racconto lo aveva chiuso e poggiato sul piano della
scrivania.
“Lo so doc,
anche
se non lo avrei mai creduto possibile.”
“Come ti ha
fatto
sentire il bacio di Brian?”
Lo psicologo lo
fulminò con quella domanda, cambiando discorso senza dargli
il tempo
di rendersene conto ed imbarazzandolo terribilmente.
“Io n-non
sono...
beh insomma... n-non...”
“Matt non
sono
qui per giudicarti, penso tu ormai l'abbia imparato. Non ti ho
chiesto se sei gay, ti ho chiesto di spiegarmi le tue
sensazioni.”
“Mi sono
sentito
amato, ok?” Il tono di Matt non era più rilassato,
d'altronde era
la prima volta dopo diversi anni che ripensava a quello che era
accaduto. Col tempo aveva semplicemente smesso di farsi domande e
invece, forse, non avrebbe dovuto smettere di porsene sempre di
nuove. “Mi sento sempre amato quando sono con
Brian.”
“Benissimo.”
disse il dottor Grey, dopo un respiro profondo. “Volevo
sapere solo
questo. Il fatto che tu l'abbia ammesso fa chiarezza su te stesso
perché, infondo, quando parli con me è come se
raccontassi la tua
vita al riflesso dello specchio. È importante che tu sappia
tutto
ciò che ti riguarda e solo essendo sincero potrai
riuscirci.”
Nonostante le
rassicurazioni, il volto del ragazzo era ancora piuttosto provato. Si
guardava intorno come alla ricerca di una via d'uscita, il suo cuore
aveva preso a battere forte e non riusciva a smettere di pensare a
Brian, aveva più difficoltà del solito a
distogliere la sua mente
da lui.
“Posso
prendere
una boccata d'aria? Sarò veloce e prometto di non
scappare.”
L'ultima frase la
pronunciò con un sorrisetto divertito e il dottor Grey gli
diede il
permesso con un cenno della mano.
“Ehi, finito
prima?” chiese Brian, non appena vide il suo amico uscire per
poi
chiudere la porta.
Questo scosse
vigorosamente la testa e si precipitò verso l'altro che nel
frattempo si era alzato in piedi e lo strinse forte.
“Matt,
sicuro di
stare bene?” continuò il chitarrista,
ridacchiando. “Non mi
sembri molto... te.”
“Oh sta
zitto
idiota.” rispose l'altro. “Volevo solo abbracciarti
e dirti che
ti voglio bene, che te ne ho sempre voluto e che te ne vorrò
anche,
boh, quando la Terra brucerà e la razza umana
sarà costretta a
trovarsi un altro pianeta e sarà fondata la Nuova
Terra.”
“Tu guardi
troppo
Doctor Who, te l'ho mai detto? Comunque anche io te ne
voglio.”
ammise il chitarrista, senza però sciogliere l'abbraccio.
Fu Matt a farlo,
allontanò le braccia dell'altro da sé e si
costrinse a guardarlo
dritto negli occhi, in quegli stessi occhi nocciola che aveva fissato
nel buio senza però saperlo.
Lo baciò,
fu un
bacio ugualmente leggero, come il primo, carico di imbarazzo,
timidezza e tanta gratitudine. Senza dare il tempo a Brian di
replicare Matt tornò dentro e aspettò di sedersi,
prima di parlare.
“Non
immagini
neanche quanto tu sia riuscito ad aiutarmi, doc. Forse è
molto più
di quanto tu sia riuscito a fare in tutto questo tempo.”
Brian, d'altro
canto, era rimasto in piedi, immobile e alla ricerca di risposte. La
sua testa aveva preso a girare forte, la leggera pressione delle
labbra di Matt sulle sue la percepiva ancora e questo lo confondeva
ancora di più.
Sono fottuto,
riuscì solo a pensare.
Note: chiedo
scusa per il ritardo, non è che abbia moltissime cose da
fare è solo che mi sento la testa piena. Non so se vi sia
mai capitato, se sì penso possiate capirmi, ho talmente
tanti pensieri che non so quali trascrivere per prima e così
finisce che non scrivo proprio niente. Spero che nonostante
ciò non vi siate dimenticate di questa piccola long con
poche pretese, ma che comunque mi sta personalmente dando molte
soddisfazioni. La sto scrivendo col cuore, vorrei che almeno questo si
percepisse.
Ci tenevo a precisare che non so se Matt segua davvero Doctor Who,
probabilmente no, ma mi andava di inserirlo e, infondo, non ci stava
tanto male a mio parere.
Ancora grazie a tutti voi che per la maggior parte mi segue in silenzio
e al prossimo aggiornamento!
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