Scent of hearts

di Anjulie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazio e Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ed epilogo ***



Capitolo 1
*** Prefazio e Capitolo I ***


PREFAZIO

 

 

Un saluto a tutti quanti hanno deciso ad avventurarsi a leggere la mia fanfiction ispirata alla ormai famosa serie di Capitan Tsubasa.

 

Grazie ad Erika che mi ha permesso di pubblicare la mia fanfiction sul suo bellissimo sito. Complimenti webmistress!!!

 

Un saluto e un ringraziamento particolare e specialissimo a Sanychan, le cui storie e soprattutto la passione e la cura con cui le ha scritte mi hanno fatto sognare e fantasticare una volta di più. Grazie per le e-mails che mi hanno incoraggiata, per l’aiuto nella cura dei particolari e per aver dedicato del tempo a leggere in anteprima questo flusso di idee strambe che è promanato dalla mia mente in momenti in cui avevi tantissimo da fare.

Dedico a te il mio Benji!!!

 

Per questo e altri lavori sarò per sempre debitrice ad Angela, Giacomo, Piero e Mariella: i miei angeli personali!!!

 

A tutti voi buona lettura e ad maiora!

 

 

CAPITOLO I

“ Se un bel giorno passi di qua

lasciati amare e poi scordati svelta di me

che quel giorno è già buono per amare qualche d’un altro”

(L.L.)

Monaco - Germania, maggio 1999.

- Mi dispiace Herr Price...non abbiamo potuto fare nulla -

Non può essere successo.

- Mi chiamo Liesel Hauermann … anche tu sei un calciatore? -

Non può essere vero.

- La sua costituzione era troppo debilitata. I lunghi digiuni hanno minato il suo fisico debilitato. Non era in grado di portare avanti una gravidanza...non avrebbe dovuto cercare di avere un bambino... -

Il bambino.

- La bambina è sottopeso...adesso è nell’incubatrice. Vuole vederla? -

La pioggia. Quanta pioggia.

Le sirene delle ambulanze.

Il cimitero.

I suoi compagni di squadra.

- ...se dovessi camminare in una valle oscura non temerei alcun male... -

Il viso di lei era di un biancore innaturale e le mani sottili e livide erano state ripiegate ed intrecciate sopra il ventre.

- Benji, sono incinta ... -

- ...le nostre condoglianze... -

Un gorgoglio gli salì alle labbra amaro come il fiele producendo un basso suono gutturale.

- Aiutami Benji, ti prego … non so cosa fare … -

La cassa veniva calata lentamente nella fossa mentre la pioggia torrenziale continuava a cadere inzuppando la terra, infradiciando i fiori.

- Perdonami, ti prego perdonami!….Lo so che ti ho ferito…-

- Che cosa farai Benji? -

- Neppure tu mi ami, vero Benji?....come vorrei che questo bambino non mi facesse diventare brutta e grassa... -

Nessuno sapeva.

Era colpa sua? Lui l’aveva uccisa?

- Mi sentivo sola …forse volevo punirti… -

- ...la signora aveva un emorragia interna...le pareti dell’esofago erano sottili come la carta velina...non è stato possibile fare nulla... -

Non può essere successo.

- Perdonami Benji ...ti ho deluso… -

Il viso di Liesel era sempre più freddo e lontano.

Benjiamin Price si svegliò con un sussulto nell’enorme letto matrimoniale in legno intagliato che troneggiava al centro della camera da letto padronale della sua villa a Monaco, in Germania. Si tirò a sedere e si passò una mano sulla fronte umida di sudore, cercando di rallentare i battiti irregolari del suo cuore.

Ancora quel sogno.

I cuscini erano stati scagliati lontano e le lenzuola di lino bianco formavano con il copriletto un groviglio spiegazzato, a testimoniare il suo sonno agitato. La palpebre sbatterono più volte ed i suoi occhi si abituarono velocemente all’oscurità mentre egli gettava via le coperte con un’imprecazione facendo oscillare giù dal letto le lunghe gambe. Andò alla finestra, scostò i pesanti tendaggi di velluto e aprì le imposte, lasciando che l’aria fresca di quella notte di primavera asciugasse dal suo corpo nudo il sottile velo di sudore che lo ricopriva.

Non poteva andare avanti così, doveva fare qualcosa.

Si versò una dose abbondante di brandy dalla caraffa che ormai teneva costantemente accanto al letto e fece girare il liquore nel bicchiere, centellinandone in bocca il ricco sapore.

Sul pavimento accanto alla poltrona un fascio di giornali giaceva spiegazzato, dopo essere stato sbattuto a terra con furia e, anche dal punto in cui si trovava, poteva vedere il suo nome, scritto a caratteri cubitali, campeggiare contro il biancore delle pagine, illuminato dalla fredda luce lunare. Piegò le labbra con una smorfia di disgusto: aveva sempre difeso meticolosamente il proprio diritto alla riservatezza dalle orde di giornalisti a caccia di scandali che cercavano continuamente di intrufolarsi nella sua vita alla ricerca di qualche succulento pettegolezzo ma neppure il suo proverbiale silenzio stampa era riuscito ad arginare l’ondata di congetture, illazioni e accuse più o meno velate che erano state gettate in pasto alla curiosità del pubblico.

Questa volta la notizia era troppo ghiotta e sensazionale perché i giornali non vi si gettassero a corpo morto, scandagliando con meticolosità maniacale ogni particolare, tutti i più piccoli dettagli.

Si lasciò cadere su una poltrona di fronte alla finestra mentre il calore del liquore gli scivolava nelle membra scaldandole e regalandogli un piacevole senso di spossatezza.

Mancavano solo due giornate alla fine del campionato e per la prima volta nella sua vita, lui, Benji Price, il portiere paratutto, il grande SGGK della Bundesliga e della nazionale giapponese, non ne era affatto dispiaciuto. Gli ultimi mesi erano stati i peggiori della sua vita: sempre in fuga, sempre braccato dalla stampa. La morte di Liesel era stato un evento doloroso e inaspettato e Benji avrebbe solo desiderato essere lasciato in pace.

Liesel…

Il suo viso gli apparve livido e segnato da profonde occhiaie, come quando lo aveva visto composto sul tavolo dell’obitorio della clinica privata e riservatissima dove lui l’aveva convinta a ricoverarsi.

Un tempo quel volto era stato bellissimo, il nasino capriccioso, gli occhi azzurri pieni di gioia di vivere. Liesel aveva solo ventiquattro anni quando era morta ed era stata una delle modelle più fotografate di tutta la Germania.

La sua mente prese a correre veloce allontanando ogni ombra di sonno ed egli lasciò i ricordi fluire a briglie sciolte come a saggiarne il loro potere e la loro forza.

Aveva incontrato Liesel due anni prima ad una festa, una delle tante che la società e gli sponsor davano durante l’anno per promuovere i campioni e i prodotti commerciali a cui era legata la loro immagine. Karl Heinz Schneider, già suo capitano nell’Amburgo, era appena stato acquistato dal Bayern Monaco. Una transazione complicata e dispendiosa che aveva riempito le prime pagine dei giornali e aveva tenuto con il fiato sospeso i tifosi, che vedevano finalmente realizzarsi il loro desiderio di poter contare su quello che, a ragione, veniva considerato il migliore attaccante della Bundesliga. Con un portiere come il SGGK e un cannoniere del calibro di Schneider, la società si aspettava grandi risultati dal campionato imminente.

Fece girare lentamente il liquore nel largo bicchiere panciuto mentre ricordava con stupefacente chiarezza la sera in cui aveva visto Liesel per la prima volta.

All’inizio non l’aveva notata poiché era impegnato a difendersi dalle attenzioni di Erika Langel, la figlia del presidente del Bayern Monaco. Non che Erika fosse una brutta ragazza, tutt’altro. I lunghi capelli corvini e gli occhi verdi erano una gioia per gli occhi ma Benji la giudicava troppo viziata e superficiale per i suoi gusti. Il fatto, poi, che fosse la figlia di Edmund Langel, un uomo che stimava per le sue indubbie capacità, lo faceva sentire a disagio. Conoscendo la propria incapacità nell’instaurare relazioni stabili e per rispetto al padre aveva preferito tenersi alla larga da Erika. Il fatto che la ragazza cercasse cocciutamente, ad ogni occasione, di fargli cambiare idea, lo aveva convinto a cercarsi un diversivo.

Liesel era in piedi, accanto al tavolo dei rinfreschi, fasciata in uno scollatissimo abito blu notte, quando lui, nel tentativo di sfuggire all’ennesima avance di Erika, l’aveva invitata a ballare. Liesel gli era apparsa subito come era in realtà: attraente, sensuale, spregiudicata. Sua madre era molta alcuni anni prima e lei, che non aveva mai conosciuto suo padre. A soli quindici anni era andata via di casa, trasferendosi a Berlino e aveva iniziato a sfruttare le indubbie doti che madre natura le aveva regalato. Ben presto il suo volto era diventato il testimonial in molte campagne pubblicitarie di rilievo e il bel mondo si era finalmente accorto di Liesel Hauermann.

Quella sera, quando lui l’aveva riaccompagnata a casa, Liesel lo aveva invitato a salire. Ricordava ancora l’occhiata incendiaria che Erika aveva rivolto alla rivale quando avevano lasciato la festa insieme ma poi, contrariamente ad ogni aspettativa, la figlia di Edmund aveva messo da parte ogni acredine e nei mesi successivi le due donne erano diventate ottime amiche.

Tuttavia qualcosa non aveva funzionato. Quanto era durata? Sei mesi… forse meno.

Quando aveva iniziato a stufarsi? Non lo ricordava.

Liesel invece si era innamorata e, quando lui aveva iniziato ad essere sempre meno coinvolto, lo aveva affrontato con la forza della disperazione

- Perché fai così, Benji.? Mi tratti come un oggetto di cui ti vuoi liberare al più presto… -

- Io non ti ho mai promesso nulla, Liesel … -

- Lo so… ma io … - aveva mormorato guardandolo speranzosa

- Mi dispiace… - il tono di lui era stato piatto, privo di qualsiasi tipo di indecisione, e Liesel lo aveva guardato con gli occhi azzurri pieni di lacrime.

- Come fai ad essere così insensibile, Benji? – gli aveva chiesto schiacciata dall’evidenza che lui non l’amava – Come puoi controllare i tuoi sentimenti al punto di non lasciarti mai coinvolgere da nessuno, di non provare nessuna emozione? -

Lui non aveva risposto ma Liesel aveva potuto scorgere il dispiacere annidato in quei profondi occhi scuri. La sua compassione l’aveva fatta montare su tutte le furie e, in preda alla collera, aveva perso completamente le staffe, tirandogli dietro un pesante posacenere di cristallo – Sei un bastardo! – aveva urlato furibonda mentre l’oggetto andava a frantumarsi contro la parete del salotto – Non so che farmene della tua pietà! – schiumava letteralmente di rabbia e Benji non ricordava di averla mai vista così fuori di sé - Altri prima di te hanno usato il mio corpo ma tu hai preso il mio cuore e la mia dignità e me li hai sbattuti in faccia! Sei un mostro Benji! Sei duro e freddo come il ghiaccio. Credi che non mi sia accorta di cosa fai? Ti rinchiudi nel tuo guscio protetto perché hai paura di dimostrare quello che provi. Anche quando fai l’amore con me… quando mi sfiori con passione… credi che non abbia capito che vuoi semplicemente annegare la tua solitudine? –

Lui era arrossito e Liesel gli si era avvicinata cercando con lo sguardo i suoi occhi – Pensavo saresti cambiato… - aveva mormorato – Pensavo che il mio amore sarebbe bastato per entrambi ma non è così… –

Di fronte al suo ostinato silenzio la sua ira era tornata a divampare – Sei umano Benji? O sei solo come ti descrivono i giornali, il grande SGGK, il portiere imbattibile? – Aveva alzato una mano e lo aveva schiaffeggiato violentemente – Sussulti quando vieni colpito? – gli aveva urlato quasi in preda all’isteria.

Benji era rimasto immobile mentre un segno livido iniziava a farsi evidente sullo zigomo abbronzato ma i suoi occhi avevano scintillato pericolosamente e Liesel, impotente e frustrata dalla sua mancanza di reazione si era arresa e aveva iniziato a raccogliere le sue cose - Dio solo sa, se vorrei non averti mai incontrato! – gli aveva urlato sbattendo la porta.

Per parecchio tempo lui non aveva più rivista o avuto notizie. Tutto questo fino a quattro mesi prima.

Una sera, mentre era appena rientrato da una trasferta all’estero con la squadra, Liesel gli aveva telefonato piangendo. Si erano incontrati in un bar poco frequentato e Benji aveva stentato a riconoscere, in quella ragazza poco curata e spaventosamente magra, la diva delle passerelle, la donna sexy e provocante, il sogno proibito di molti ammiratori.

Era incinta e lui impietosito le aveva promesso un aiuto. Poi era successo l’irreparabile. Liesel era stata ricoverata improvvisamente a causa di un malore e lui le era rimasto accanto.

I giornali avevano immediatamente dato in pasto al pubblico la succulente notizia e alcuni di loro erano riusciti a procurarsi delle fotografie della giovane donna. Il suo aspetto profondamente cambiato e l’abbandono dello scintillante mondo dello spettacolo avevano dato il via ad una serie di pettegolezzi e di illazioni fra cui quello più gettonato risultò essere che Liesel Hauermann frequentasse compagnie poco raccomandabili e facesse uso di sostanze stupefacenti o di psicofarmaci. La sua morte improvvisa sembrò confermare tragicamente quell’ipotesi assurda.

Benji posò con forza il bicchiere sul basso tavolino accanto a sé, imprecando sommessamente.

Il suo nome era stato legato a quello di lei e la stampa era arrivata ad ipotizzare che lui stesso facesse uso di sostanze illecite per falsare le proprie prestazioni e raggiungere certi risultati di gioco. Anche se la polizia non aveva trovato prove che la giovane modella assumesse droghe e nessun indizio lo collegasse all’improvvisa morte della ragazza, restava inconfutabile il fatto che lui la conoscesse bene e che, a suo tempo, avesse avuto con lei una relazione piuttosto chiacchierata.

Si affrettò a scacciare quell’immagine dalla sua mente, cercando di venire a patti con i sensi di colpa che lo attanagliavano. Se solo si fosse accorto in tempo della malattia che Liesel si ostinava fermamente a voler negare, forse avrebbe potuto fare qualcosa, avrebbe potuto costringerla a curarsi.

Sospirò pesantemente: la prova delle sue colpe era di là, oltre la porta della sua stanza, oltre il corridoio, piccola, innocente ed ignara di quello che la sua nascita aveva provocato.

Martine. Un nome bello e forte per una bambina che fin dall’inizio si era fatta strada con determinazione affacciandosi alla vita contro ogni previsione. Era stata Liesel a sceglierlo, pronunciandolo in uno dei pochi momenti in cui aveva ripreso conoscenza dopo il parto e aveva stretto a sé la minuscola figlioletta.

Non sapeva chi fosse il padre della bambina: Liesel si era sempre rifiutata di pronunciarne il nome – Mi dispiace solo che non sei tu. – gli aveva detto una volta con un sorriso triste – Quando stavamo ancora insieme avevo pensato che, forse, se fossi rimasta incinta, mi avresti amata e tenuta con te, perché sei troppo gentiluomo per abbandonare tuo figlio. – aveva confessato arrossendo leggermente – Ma poi ho pensato che non potevo farti una carognata simile. Questo bambino è solo mio. – aveva concluso fermamente guardandolo negli occhi – Solo da me avrà l’amore che gli sarà necessario per crescere. –

Ma così non era stato.

Liesel era morta due giorni dopo il parto per complicazioni intervenute a causa del suo già precario stato di salute, lasciandogli l’impegno di occuparsi della bambina appena nata.

Un brivido gli corse lungo la schiena al solo pensiero. Lui era un solitario, era uno scapolo incallito, non sapeva nulla di cosa si dovesse fare per allevare un bambino ma non aveva potuto e voluto sottrarsi alle ultime volontà di Liesel.

Non avrebbe mai saputo perché la giovane donna avesse fatto testamento nominandolo tutore di Martine e la notizia lo aveva colto di sorpresa come una doccia gelata.

Le motivazioni che Liesel aveva dato al notaio erano state squisitamente di natura pratica: lei era orfana, decisamente a corto di mezzi e, tranne una zia ottantenne che viveva in un piccolo paesino della Baviera, non aveva altri parenti. Benji aveva una posizione economica agiata e avrebbe consentito a Martine una vita priva di preoccupazioni.

Vedendolo perplesso il notaio Briegel gli aveva spiegato che, mancando un legame giuridico o di sangue con la madre, lui avrebbe potuto rifiutare di prendersi cura di Martine. In tal caso il Tribunale dei Minori avrebbe messo la bambina in orfanatrofio oppure l’avrebbe affidata ad una famiglia in attesa di adozione. Se invece lui avesse deciso di presentare istanza per affidamento della bambina avrebbe avuto ottime probabilità che il giudice si pronunciasse in suo favore, tenendo debitamente conto delle ultime volontà della defunta.

A sentir parlare di orfanatrofi Benji era inorridito.

La sua infanzia non era certo stata delle più felici: era spesso rimasto da solo e raramente aveva potuto godere dell’affetto e della compagnia dei suoi genitori perennemente in giro per il mondo. Tuttavia lui aveva potuto vivere di una bella casa, godere di un certo privilegio e aveva avuto la fortuna di avere accanto un uomo come Freddy Marshall.

Non era riuscito a trovare il coraggio di negare tutto questo alla figlia di Liesel. Il fatto poi che continuasse ad essere tormentato dai sensi di colpa per non aver potuto fare nulla per la giovane donna aveva contribuito a fargli prendere quella che gli appariva sempre di più come una folle decisione.

L’istanza per l’affidamento provvisorio era stata accolta dal Tribunale la settimana prima e adesso ufficialmente la piccola Martine Hauermann era sotto la sua tutela per i prossimi sei mesi.

Il giudice Anita Leumann aveva storto leggermente il naso di fronte al fatto che lui non fosse un parente della piccola e aveva iniziato a tartassarlo di domande sulla sua vita privata e sulle sue frequentazioni con la stessa insistenza di un giornalista molesto.

– Così lei era solo un amico della defunta signora Hauermann? – gli aveva chiesto sfogliando i documenti contenuti nel fascicolo di Martine – Nessuna parentela con la bambina? – aveva indagato sospettosamente

- No. – il volto di Benji era stato accuratamente inespressivo – Sono certo che lei è al corrente del fatto che io abbia avuto una relazione con Liesel Hauermann più di un anno fa – aveva commentato asciutto - Ultimamente eravamo solo amici e credo che sia per questo che abbia pensato a me come eventuale tutore della figlia. -

Il giudice Leumann lo aveva guardato intensamente quasi volesse soppesarne le intenzioni – Lei però non è sposato. – aveva obiettato in tono pratico – Inoltre fa un mestiere non proprio convenzionale che la porta a viaggiare molto. Forse la bambina starebbe meglio in una famiglia adottiva: una famiglia composta da una coppia di genitori – aveva specificato.

Di fronte allo sguardo meravigliato dell’avvocato Kraser, il legale della famiglia Price, che lo conosceva fin da ragazzino, Benji aveva sfoderato un sorriso che avrebbe commosso un sasso. Si era chinato leggermente verso la scrivania di Anita Leumann e, quasi volesse fare solo a lei una confidenza privata, aveva mormorato – Potrei decidere di sposarmi al più presto, giudice. Effettivamente ci stavo pensando da tempo e inoltre sarebbe più opportuno che Martine potesse beneficiare di una figura femminile, di una nuova mamma, per così dire. La necessità di assumere il mio ruolo di tutore della bambina affretterebbe solo un po’ i tempi di questa mia decisione. –

L’attempato avvocato, che era perfettamente al corrente dell’idiosincrasia di Benji Price per il matrimonio lo aveva guardato allibito, incapace di credere alla sue orecchie. Per fortuna il giudice Anita Leumann aveva continuato a guardare Benji, incantata dal sorriso convincente e dal fascino magnetico dell’uomo – In questo caso… forse… - aveva iniziato a cedere

Al piccolo tentennamento del giudice l’avvocato Kraser si era ripreso, recuperando il suo ruolo di legale e affrettandosi a cogliere i vantaggi di quella piccola indecisione – Giudice Leumann, se posso permettermi, potrei suggerirle un affidamento temporaneo in attesa che maturino gli eventi. In questo modo non disattenderebbe alle ultime volontà della signora Hauermann che designavano Herr Price quale tutore della piccola Martine. Contemporaneamente il mio cliente avrebbe modo di dimostrare, a questa Illustre Corte, la sua indubbia volontà di voler creare, nell’interesse della bambina, un ambiente familiare adatto. –

- Va bene. – Anita Leumann che era indubbiamente una persona pratica, aveva capitolato, procedendo a firmare il provvedimento – Concederò l’affidamento provvisorio per sei mesi al termine dei quali deciderò definitivamente, soprattutto alla luce dei cambiamenti che dovrebbero avvenire prossimamente. – aveva dichiarato guardando significativamente il portiere.

Nei prossimi mesi…

Se la situazione non fosse stata tragica, Benji avrebbe riso a quell’assurdità. Lui non era in procinto di sposare nessuna fantomatica fidanzata e neppure aveva mai pensato seriamente al matrimonio.

Il fatto che il giudice Leumann avrebbe praticamente basato la sua decisione sulla possibilità o meno che lui si presentasse, fra sei mesi in Tribunale, con una moglie al braccio era il lato più paradossale dell’intera faccenda. Inoltre, come se tutto questo non bastasse continuava ad avere i giornalisti alle calcagna. La stampa si era estremamente risentita con il campione per una sua mancata replica alle accuse che gli venivano mosse e non gli aveva dato tregua, sperando di stimolare una sua qualche reazione.

L’intera vicenda giudiziale per l’affidamento di Martine era stata condotta nel mezzo di quel pandemonio con il più stretto riserbo ma Benji sapeva per esperienza che sarebbe bastato solo un piccolo accenno per scatenare l’interesse di tutti su quel succoso pettegolezzo. L’ultima cosa che desiderava era vedere Martine sbattuta in prima pagina per quella che lui riteneva una faccenda delicata e strettamente privata.

Si versò di nuovo da bere.

Fortunatamente tra pochi giorni sarebbe ritornato in Giappone per ottemperare ai suoi impegni con la nazionale e avrebbe condotto con sé la bambina. Non aveva la minima idea di cosa avrebbe fatto una volta arrivato ma sperava che, per quando fosse rientrato in Germania in autunno, la stampa avrebbe smesso di dargli la caccia.

Sorrise sarcasticamente di se stesso. Era riuscito tenacemente, per ventisette anni, ad evitare il collare del matrimonio con la medesima cura con cui le persone normali evitano di venire contagiati da una terribile malattia. Adesso, se voleva evitare che gli venisse tolto l’affidamento di Martine, avrebbe dovuto cercare una moglie e soprattutto una madre adeguata per la bambina in un tempo da record.

Aveva tempo solo sei mesi.

Alle dieci di ogni martedì mattina l’ufficio di Edmund Langel rimaneva deserto per circa un’ora, giusto il tempo che il suo proprietario tenesse, nella sala delle conferenze al piano di sotto, la riunione settimanale con gli alti vertici della società a cui spesso partecipavano anche alcuni suoi giocatori.

Il presidente del Bayern Monaco era un corpulento uomo di mezza età e possedeva un innato amore per la buona tavola e i vini di pregio, come poteva testimoniare la sua ricca enoteca da intenditore e le numerose bottiglie pregiate che teneva sugli scaffali dell’ufficio, in attesa di essere degustate alla conclusione di qualche importante affare.

Si vantava di saper mantenere con i suoi campioni un rapporto professionale sereno e corretto e aveva fama di essere un uomo dal carattere serio e determinato.

Per una forma di inconfessata scaramanzia, nonostante fosse da molti anni alla presidenza del Bayern Monaco, aveva lasciato immutato l’arredamento dell’ufficio presidenziale scelto dal suo predecessore, limitandosi ad aggiungere i suoi effetti personali a quell’ambiente severo e maschile, fatto di pesanti mobili in noce, divani e poltrone di pelle lievemente consunti e folti tappeti orientali. La sua ostinazione nel non procedere ad alcun cambiamento era stata fonte di numerose discussioni con la figlia.

Erika Langel tamburellò nervosamente con l’unghia curata sul ripiano di marmo nero della lussuosa sala da bagno dell’ufficio paterno. Con occhio critico scrutò la sua immagine nell’ampio specchio dalla cornice intarsiata, cercando qualche difetto nel viso sapientemente truccato. Si passò un filo di rossetto porpora sulle labbra generose con gesto esperto e lisciò meticolosamente una ciocca dei lunghi capelli neri perfettamente acconciati. Era di poco più alta della media ma le scarpe a tacco alto ne allungavano la statura di almeno una decina centimetri, mentre gonna cortissima lasciva abbondantemente scoperte le gambe affusolate di cui andava molto fiera. Sapeva di essere bella ed era soddisfatta del suo aspetto fisico: la carnagione ambrata, il corpo tonico modellato dalla palestra, il seno generoso e gli occhi di un bel verde smeraldo.

Allisciò una piega sul fianco tornito e sistemò con cura i risvolti della giacca del tailleur color crema. Raramente si presentava negli uffici della società paterna prima del pomeriggio ma quella mattina si era alzata prestissimo e in fibrillazione perché sapeva che finalmente l’avrebbe rivisto. Lui. Benji Price.

Il SGGK, come veniva chiamato dai tifosi, il portiere della squadra, uno dei migliori giocatori della Bundesliga. Quella mattina avrebbe sicuramente partecipato alla riunione per approvazione del bilancio provvisorio assieme a Karl Heinz Schneider e Richard Voegl quali azionisti di minoranza del Bayern Monaco.

Il suo cuore accelerò i battiti e le sfuggì dalle labbra un lieve sospiro. Era rimasta colpita dal fascino di quell’uomo fin dalla prima volta che l’aveva visto durante un allenamento. Il fisico potente e atletico, il bel viso bruno dai lineamenti virili facevano di lui un esemplare maschile piuttosto notevole ma ciò che più l’aveva affascinata era l’aura di magnetismo che lo avvolgeva. Benjiamin Price aveva il potere di riempire una stanza con la sua sola presenza ed Erika, che era una donna fino in fondo, si era sentita soggiogata dal suo prepotente carisma.

Quando Benji aveva stretto, per la prima volta, la mano nella sua, in segno di saluto, aveva sentito le ginocchia diventare molli per l’emozione e si era sentita arrossire come una scolaretta al primo appuntamento.

A parte la violenta attrazione di quegli occhi scuri e ardenti come due tizzoni, Benji Price emanava ondate di puro fascino maschile con la stessa fatica con la quale gli altri uomini respiravano.

Il fatto che fosse famoso, strepitosamente ricco, e l’unico erede di una delle famiglie più in vista di tutto il Giappone lo avevano reso una preda estremamente appetibile nella cosiddetta buona società ed Erika era sufficientemente esperta e navigata da accorgersi di quanto lui fosse corteggiato.

L’atteggiamento di distaccato rispetto e il blando interesse che aveva sempre dimostrato nei suoi confronti non aveva fatto altro che pungolare il suo amor proprio e all’improvviso lei, Erika Langel, si era trovata a inseguire un uomo come mai le era capitato prima. Viziata oltremodo dal padre, aveva sempre ottenuto tutto ciò che voleva dal compiacente genitore e, facendo molta attenzione a mantenere una dignitosa reputazione, aveva sempre accettato la corte di uomini affascinanti, facendosi accompagnare nei locali più alla moda di Monaco e conducendo una vita lussuosa e sofisticata.

Tuttavia, aveva immediatamente compreso che a Benji Price quelle cose non interessavano. Né il denaro, né il potere sembravano aver mai esercitato alcuna attrattiva su di lui ed, in principio, Erika si era sentita spiazzata dal suo comportamento, incapace di elaborare un a vera e propria strategia per conquistarlo.

La relazione del portiere con Liesel Hauermann l’aveva colmata di risentimento verso la bella modella ma, prima e dopo di lei, altre donne erano transitate nella vita del campione, senza lasciare una traccia duratura. Erika non aveva battuto ciglio, aspettando il momento buono, sapendo che, prima o poi lui avrebbe avuto bisogno di lei.

Sistemò il pesante collier d’oro e brillanti in modo che il pendente fosse perfettamente posato sulla prima curva del petto florido: adesso sentiva che quel momento era arrivato.

Contrariamente alla stampa lei sapeva dell’”eredità” che Liesel aveva lasciato a Benji. Suo padre, quale presidente del Bayern Monaco aveva chiesto giustificazioni al SGGK riguardo alle illazioni che circolavano sul suo conto e il portiere aveva succintamente spiegato i motivi per cui non intendeva rispondere alle provocazioni dei giornalisti. Edmund Langel si era mostrato estremamente comprensivo e, in ragione della vicenda giudiziaria della piccola Martine, si era dichiarato d’accordo a mantenere la notizia riservata per un po’ di tempo.

Erika aveva visto la neonata solo una volta e non ne aveva ricavato un’impressione particolare. Intuiva che Benji si sentisse in obbligo ad accudire la piccola e sapeva che l’affidamento definitivo di Martine era subordinato alla condizione che Benji si presentasse davanti al Giudice con una madre adeguata per la bambina.

Sorrise segretamente: non le importava affatto di fare da madre a quella piccola peste urlante ma Martine poteva essere il mezzo per avvicinarsi a quell’uomo tanto bello quanto enigmatico.

Avvertì un fremito di piacere nel ricordare le larghe spalle, il torace muscoloso, i fianchi stretti e il ventre saldo e piatto. Lo voleva. Lo voleva disperatamente e avrebbe fatto qualsiasi cosa per riuscire a portarsi a letto quel maschio arrogante e dotato.

Si mise dietro le orecchie alcune gocce del suo profumo preferito e gettò un’ultima occhiata compiaciuta alla sua immagine riflessa prima di uscire fuori dall’ufficio.

La sala delle conferenze era un ampio salone circolare sui cui lati si aprivano numerose porte che conducevano agli uffici privati dei dirigenti. Al centro troneggiava un enorme tavolo rettangolare di palissandro e un numero imprecisato di comode poltrone in pelle era disposto tutto attorno ai lati. La stanza prendeva luce dalle grandi vetrate poste sulla parete meridionale e dalle finestre era possibile ammirare una superba vista della città.

Quando Erika fece il suo ingresso la riunione non era ancora iniziata e molti dei più stretti collaboratori di suo padre si affrettarono a salutarla con deferenza. Come una calamita i suoi occhi cercarono e trovarono l’uomo che sedeva all’estremità più lontana del tavolo, lo sguardo intento a scorrere una serie di tabulati e di cifre.

Erika trattenne il respiro alla vista della maschia bellezza di lui, il profilo scolpito, le guance asciutte e perfettamente rasate. I capelli neri erano tagliati corti e si arricciavano leggermente sopra il colletto della camicia candida. Indossava un completo grigio antracite e una cravatta regimental a righe blu e grigie era annodata perfettamente attorno al collo abbronzato.

Erika sentì l’ormai familiare nodo allo stomaco farsi ancora più intenso e dovette ammettere con se stessa che, qualunque cosa Benji Price indossasse, appariva sempre splendidamente.

Si diresse verso di lui con passo sicuro, ancheggiando leggermente e distribuendo cenni di saluto a coloro che erano già seduti.

Si fermò accanto al posto vuoto vicino alla sedia dell’uomo - Buongiorno, Benji. E’ libero questo posto? – gli chiese indicando la sedia vuota

Gli occhi scuri di lui si alzarono immediatamente ad incontrare lo sguardo interrogativo della donna e il portiere si alzò in piedi cortesemente – Buongiorno Erika, come stai? – la salutò facendole cenno di accomodarsi.

La ragazza sedette sulla poltrona vuota, aspirando il lieve sentore amarognolo della colonia di lui e sentendo i battiti del proprio cuore farsi più veloci – Io sto molto bene, grazie. – rispose con un sorriso – E’ il nuovo bilancio di previsione? – chiese, chinandosi leggermente sui fascicoli che Benji aveva aperto davanti a se e consentendogli una piena ed ampia visione del suo seno, attraverso la scollatura della giacca.

Lo sguardo di Benji non vacillò un istante e si alzò ad incontrare, al di là del tavolo, quello ironico e divertito del suo biondo capitano. Karl Hainz Schneider sedeva rilassato all’estremità opposta, giocherellando distrattamente con una stilografica d’oro. Un rapido bagliore nei chiari occhi azzurri fece intuire al SGGK quanto lui si stesse divertendo per l’imbarazzante situazione.

Benji era un uomo leale e Karl comprendeva benissimo come la sua integrità gli impedisse di approfittarsi della figlia del loro presidente se non avesse avuto intenzioni più che serie nei suoi confronti. Si conoscevano da parecchi anni e in più di un’occasione era stato testimone di come le donne, di qualunque levatura fossero, dimenticassero ogni pudore e si gettassero tra le braccia del SGGK, prive di qualsiasi inibizione.

Nonostante il suo carattere taciturno e scontroso, Benji Price attirava le donne come una calamita e Karl si era sempre chiesto se il portiere fosse pienamente consapevole dell’incredibile ascendente che aveva sulle rappresentanti del gentil sesso.

Dopo aver giocato insieme nell’Amburgo per diversi anni, le loro strade si erano di nuovo incrociate al Bayern Monaco e, a causa del carattere introverso e silenzioso di Benji, era sicuro che la loro amicizia fosse il rapporto più stretto e profondo che il SGGK avesse instaurato con un compagno di squadra. Karl era il solo, ad eccezione di Edmund Langel, ad essere a conoscenza dell’esistenza di Martine e francamente non riusciva a spiegarsi perché un uomo così solitario come Benji Price avesse accettato di diventare il tutore di una bimba di pochi mesi. Karl aveva conosciuto la madre di Martine ma il SGGK non aveva mai mostrato una particolare tenerezza nei confronti della bella modella. Non riusciva proprio a capire perché il compagno di squadra avesse deciso di tenere con se la bambina, di cui, gli aveva confidato, era certo di non essere il padre.

Vide Erika chinarsi verso Benji strusciando il seno scarsamente coperto sul braccio del portiere e il Kaiser sogghignò di fronte al suo approccio diretto. La ragazza si era decisamente infatuata del bruno portiere del Bayern Monaco ed era partita all’attacco, sfoderando tutto il suo arsenale di seduzione per tentare di conquistarlo.

Un sorrisetto sprezzante piegò le labbra del Kaiser: al pari di molte altre donne, Erika non era riuscita ad intuire la complessità di quell’uomo. Benji non teneva in alcuna considerazione le facili vittorie e le conquiste senza sforzo. Preferiva di gran lunga una caccia difficile, un torneo vinto a fatica, una partita in cui doveva mettere alla prova tutta la sua abilità. Nella vita, come nel calcio, amava la sfida, il gusto dell’inseguimento, la glorificazione di una resa finalmente ottenuta.

Karl osservò il cipiglio insofferente con il quale ascoltava le chiacchiere inarrestabili di Erika e provò un briciolo di compassione per la ragazza. Se le sue intenzioni erano quelle di fare capitolare il SGGK aveva decisamente sbagliato tattica!

La ragazza era talmente assorbita dai suoi tentativi di seduzione da non accorgersi del cupo cipiglio che scuriva il volto di Benji. Si guardò attorno per un attimo, a sincerarsi che nessuno li stesse ad ascoltare e poi si chinò verso la sua spalla, appoggiandogli famigliarmente la mano sulla coscia muscolosa – Come va con Martine?- chiese con un basso mormorio, disinteressandosi completamente del bilancio.

Benji le scoccò un’occhiata interrogativa, meravigliato dal tono da cospiratrice con il quale aveva accompagnato la domanda e dal gesto intimo – Va tutto bene. - rispose con noncuranza – Perché me lo chiedi? -

Erika non rispose subito e accavallò le gambe abbronzate lisciando la gonna chiara – Papà mi ha detto che il Giudice ti ha concesso l’affidamento temporaneo, - spiegò lentamente – e mi piacerebbe sapere che cosa hai intenzione di fare? -

Benji inarcò un sopracciglio e si appoggiò allo schienale della poltrona – Per la verità – disse tentando di dominare l’irritazione per quell’ingerenza – Non vedo come questo ti possa interessare. -

Erika gli sorrise sicura sbattendo le lunghe ciglia scurite dal mascara – Te lo chiedo perché mi preoccupo per Martine. Dopotutto Liesel era una mia amica e io ho a cuore il bene di sua figlia. -

Benji le scoccò un’occhiata perplessa e preferì rimanere in silenzio in attesa che continuasse.

- Quello che intendo dire, - riprese lei un tantino sconcertata dalla sua mancanza di partecipazione – E’ che sono molto preoccupata per Martine. Dopotutto è sempre sola, in quella grande casa, sempre in compagnia unicamente dei domestici. So che non hai assunto neppure una bambinaia e che della bambina se ne occupa Mrs. Bauer. Il giudice non ti darà mai l’affidamento definitivo se non dimostri di poter offrire a Martine una famiglia normale. Quella povera bambina rischia di finire in un orfanatrofio. – lo ammonì scrutandolo ansiosamente. Prese fiato per un attimo e poi sparò – Mi rendo conto che forse la mia offerta è un po’ azzardata ma penso che io potrei occuparmi di lei. Insieme potremmo offrire a Martine una famiglia e un futuro. -

Benji la guardò, letteralmente stupito dalle incredibili macchinazioni di quella donna – In realtà, Erika non ci avevo ancora pensato e, inoltre – disse abbracciando la stanza con lo sguardo – credevo di essere qui per discutere del bilancio della squadra e non della mia vita privata. –

La ragazza si raddrizzò, un tantino piccata dall’atteggiamento rigido dell’uomo – Forse hai ragione, non è questo il luogo più adatto. Però potremmo discuterne più dettagliatamente dopo. Magari questa sera, a cena. – buttò lì trattenendo il fiato in attesa della risposta.

Gli occhi neri dell’uomo si fissarono sul suo volto e la trapassarono con durezza adamantina – No. – Benji cercò di scandire bene le parole perché le si imprimessero bene in mente – Non discuteremo di questo argomento questa sera a cena. Domani rientro in Giappone e ho ritardato la mia partenza solo per presenziare a questa riunione con tuo padre. –

Erika, irrigidì la mascella in un testardo atteggiamento – Non puoi fuggire, Benji. Se vuoi ottenere l’affidamento di Martine dovrai sposarti al più presto e, in questo caso, perché non io? – bisbigliò con fare suadente.

Di fronte al silenzio dell’uomo Erika proseguì ancora più caparbiamente – Ti struggi per qualcuno che non c’è più Benji? Liesel è morta ma io sono qui e insieme potremo crescere Martine. Le vorrò bene e la crescerò come se fosse davvero mia figlia. – gli assicurò posandogli una mano sull’avambraccio muscoloso sotto il fine tessuto della giacca – Oh caro, potremmo essere così felice se solo tu volessi! -

Benji la guardò in viso e poi scostò la sua mano dal proprio braccio alzandosi in piedi – Come ti ho già detto Erika, ci devo pensare. Comunque prenderò una decisione al mio ritorno dal Giappone. – Afferrò il fascicolo del bilancio – Ora, se vuoi scusarmi, devo parlare con tuo padre di queste cifre prima dell’inizio della riunione. – disse avviandosi verso la porta dell’ufficio di Edmund.

Erika fissò rapita l’ampia distesa della schiena di lui e mentalmente fece un bilancio della loro conversazione. Non si poteva certo dire che Benji fosse entusiasta all’idea ma con un altro paio di mosse ben assestate sarebbe riuscita a convincerlo che sposarla era senz’altro la soluzione migliore. Per un attimo pensò a cosa avrebbe potuto fare se non fosse riuscita a convincerlo ma si affrettò a scacciare quel pensiero importuno e riprendere sicurezza – Ci penserà papà. – rifletté con soddisfazione.

Si alzò in piedi e con passo allegro abbandonò la sala delle conferenze, prima ancora dell’inizio della riunione, dimenticandosi completamente il motivo della sua presenza lì. Aveva già raggiunto il suo scopo e adesso doveva solo pensare a come organizzare la sua vita come moglie di Benjiamin Price.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


CAPITOLO II

 

“Non si ripete due volte questo giorno

scheggia di tempo grande gemma

Mai più tornerà questo giorno.

Ogni istante vale

una gemma inestimabile”

(Taknan)

 

 

Il “Collegio Femminile Fusujiama” era una delle istituzioni scolastiche più antiche della città e sorgeva poco lontano dal centro, in una zona tranquilla, protetto da un alto muro di cinta e da una robusta cancellata sempre e perennemente chiusa, ad impedire l’accesso di chiunque non fosse atteso.

I muri dell’imponente struttura quadrangolare erano stati intonacati di fresco e tutta l’area attorno alla costruzione aveva un aspetto lindo e ordinato. L’edificio principale che ospitava le aule scolastiche si apriva su un largo cortile in terra battuta alla cui estremità occidentale sorgeva un piccolo campo sportivo recintato con un fitta rete a maglia metallica da cui provenivano le grida allegre delle ragazze dell’ultimo anno.

Fino a quarant’anni prima ad un uomo non sarebbe mai stato consentito l’accesso all’interno di quelle alte mura. Ormai i tempi erano cambiati e adesso un nuovo insegnante di matematica faceva parte corpo insegnanti. Il fatto che avesse circa cinquant’anni e soffrisse di frequenti attacchi d’asma era soltanto uno dei motivi che avevano contribuito alla sua assunzione. Per il resto tutto il personale docente e amministrativo era femminile e ciò era motivo di vanto e di prestigio per quello che, a ragione, era considerato uno dei collegi femminili più esclusivi di tutto il Giappone.

Mrs. Sommerson lasciò la finestra aperta per consentire ad un leggero venticello di rinfrescare l’aria ferma e calda del suo ufficio. Sedette all’imponente scrivania, simbolo della sua posizione e del suo potere all’interno della scuola che gestiva in qualità di direttrice, e con aria pensosa giocherellò con un massiccio tagliacarte d’argento.   

Mrs. Sommerson non era certo quella che si sarebbe potuta definire una bella donna. Qualunque traccia di avvenenza il suo viso avesse posseduto in gioventù era stata cancellata dall’inesorabile trascorrere del tempo e dal cipiglio severo che la contraddistingueva. Era piccola e di ossatura minuta, perennemente vestita di nero da quando era rimasta vedova, una decina d’anni prima. I capelli rigorosamente stretti in un nodo sulla nuca scoprivano una fronte spaziosa e attraversata da una fitta ragnatela di rughe. Il naso era sottile e leggermente aquilino sormontato da un paio di occhiali con la montatura d’osso. Aveva dedicato la sua vita all’insegnamento e proprio in ragione della sua esperienza era stata scelta come direttrice del prestigioso “Collegio Femminile Fusujiama”. Aveva fama di essere una persona estremamente formale e conservatrice e poche erano le cose che ormai stupivano quell’inossidabile direttrice.

Tuttavia l’incredibile richiesta che le era appena stata fatta l’aveva lasciata confusa e interdetta.

Mrs. Sommerson studiò attentamente il volto dell’uomo seduto di fronte a sé: i tratti del viso marcati e decisi, uno sguardo che non tradiva incertezze. Non si era mai interessata di sport, né tantomeno di calcio ma perfino lei sapeva chi era Benjiamin Price. La sua famiglia, tra le più influenti di tutto il Giappone, aveva contribuito a fondare il collegio ed era stato proprio questo legame a spingere il campione a venire da lei.

Già da tempo circolavano voci secondo cui il portiere della nazionale giapponese fosse coinvolto in situazioni personali poco chiare ma Mrs. Sommerson si considerava un ottimo giudice dell’animo umano e riteneva che lui fosse solo un altro personaggio famoso, vittima dei giornalisti. Era sicura che la stampa sarebbe piombata su di loro come un avvoltoio, se solo avesse fiutato la notizia di cui era appena stata messa a conoscenza e per la quale era stata richiesta tutta la sua discrezione.

Estremamente compiaciuta della fiducia che le era stata accordata intrecciò le mani e si chinò leggermente sul ripiano della scrivania, dando voce finalmente alle sue perplessità

- Vorrei che comprendesse, Mr. Price … non mi sta chiedendo una cosa semplice –

La bocca dell’uomo si assottigliò in una piccola smorfia che ne tradiva l’impazienza

- Mi rendo conto Mrs. Sommerson - la sua voce aveva un timbro fondo ed era calma e pacata, come se spiegasse qualcosa di complicato ad un bambino – Ma io non chiedo miracoli. Voglio solo sapere se lei come direttrice di questo collegio può fornirmi quello che cerco. Diversamente mi rivolgerò altrove -

- Mr. Price … non dirà sul serio! – la direttrice si raddrizzò gli occhiali sul naso un tantino offesa– Dopotutto la sua famiglia è sempre stata estremamente generosa con il nostro collegio.-

- Appunto. E’ per questo motivo che mi sono rivolto a voi prima che ad altri. – la pazienza del campione andava esaurendosi

- Si … ma si tratta di una richiesta alquanto insolita … - temporeggiò la direttrice disorientata – Inoltre bisogna considerare anche l’aspetto…uhm…come dire…di decoro dell’intera faccenda – replicò dubbiosa.

Benjiamin Price si appoggiò allo schienale della poltrona con il viso illuminato da un sorrisetto duro e sarcastico

- Non si deve preoccupare, Mrs. Sommerson. Non sono solito molestare i miei dipendenti, né ho bisogno che qualcuno mi faccia da sensale per le mie faccende personali. La mia casa è grande e piena zeppa di domestici. Quello di cui ho bisogno è solamente una bambinaia. Non sto chiedendo la luna. – concluse seccamente.

La direttrice arrossì leggermente – Mr. Price, non intendevo insinuare che ci fosse nulla di sconveniente nella sua richiesta. Le chiedo solo qualche minuto per riflettere e trovare una soluzione adeguata. – mormorò imbarazzata.

Al leggero cenno di assenso di lui la donna tirò un lieve sospiro di sollievo. Il suo istituto femminile, considerato uno dei più qualificati e prestigiosi di tutto il Giappone, aveva potuto mantenere tale primato anche grazie alle sostanziose donazioni della famiglia Price.

Tuttavia…la richiesta di Benjiamin Price l’aveva colta di sorpresa e lasciata del tutto impreparata. Nel suo collegio le insegnanti, tutte rigorosamente di sesso femminile, avevano per la maggior parte superato la cinquantina e molte di loro erano sposate e avevano una famiglia. Per quanto riguardava le educande più grandi, provenivano dalle migliori famiglie, studiavano e imparavano tutto quanto era loro utile per diventare delle ottime padrone di casa, in attesa di essere presentate in società e di contrarre un adeguato matrimonio. Ben poche di loro avrebbero iniziato a lavorare una volta diplomate e certamente nessuna di loro avrebbe mai accettato l’incarico di bambinaia…anche se…

L’offerta di Benjiamin Price sarebbe apparsa a molte delle sue studentesse come una splendida opportunità per avvicinarsi a quell’uomo, famoso campione sportivo ed unico erede di una delle famiglie più facoltose. E solo il cielo poteva sapere cosa erano in grado di fare quelle scriteriate!

Inoltre lui…non lo si poteva certo definire uno stinco di santo!

Quell’uomo aveva ottenuto l’affidamento provvisorio di una bambina di pochi mesi, avuta, poi, non si sapeva bene con chi, dal momento che madre non era in circolazione, e Mrs. Sommerson rabbrividì al pensiero che una delle sue ragazze avrebbe potuto compiere un qualche gesto sciagurato e ritrovarsi nei guai.

Se in giro si fosse saputo che lei aveva preso parte ad un tale contratto e che, anzi, aveva addirittura suggerito il nome della ragazza, l’onore e la reputazione del suo collegio sarebbero stati definitivamente distrutti e la sua carriera rovinata. Inoltre le famiglie delle ragazze non avrebbero mai permesso alle loro figliole di…

Le famiglie…Certo sarebbe stato diverso se la ragazza in questione non avesse avuto parenti che si preoccupassero per lei o che potessero andare a spettegolare qualcosa alla stampa… 

La direttrice interruppe improvvisamente le sue considerazioni febbrili mentre nella sua mente un’idea stava prendendo forma e consistenza. Aprì uno schedario alle sue spalle e ne trasse fuori un fascicolo sottile. Ciò che stava per fare le procurava un leggero senso di fastidio ma Mrs. Sommerson sapeva che quella era l’unica soluzione che le consentiva di salvaguardare il buon nome del collegio.

Con aria soddisfatta sollevò lo sguardo - Riflettendoci, Mr. Price forse ho trovato la persona che fa per lei – annunciò sfogliando il fascicolo

Il giocatore si sporse leggermente al di sopra della scrivania, sbirciando i fogli scritti a caratteri minuti, mentre la donna continuava

- Si chiama Clare Miller ed è stata una delle nostre migliori studentesse. I suoi genitori erano inglesi e suo padre era professore al Liceo Nankatsu. Entrambi sono morti in un incidente d’auto quando lei aveva solo otto anni. Da allora ha vissuto con una zia fino a quando non ha iniziato a frequentare il nostro istituto. Adesso sta svolgendo il tirocinio come maestra nelle prime classi della nostra scuola elementare. E’ una persona preparata e competente e le posso assicurare che svolge il suo lavoro dedicandovisi completamente. Le bambine la adorano. -

- Vive e lavora dentro il collegio?- chiese lui interrompendola.

La direttrice annuì – E’ una nostra collaboratrice –

- Non sapevo che le allieve diplomate potessero continuare a vivere in collegio- commentò un lui po’ stupito.

- La signorina Miller è anche una nostra insegnante e l’alloggio all’interno dell’istituto ci è stato richiesto come un favore personale – ribatte la direttrice un po’ rigida.

 - Capisco. – con un gesto secco della mano lui sembrò liquidare l’argomento mentre alzandosi prendeva un biglietto da visita dalla tasca interna della giacca.

- Date questo alla signorina Miller e chiedetele di venire a casa mia domani pomeriggio per discutere dell’incarico. Se rimarremo reciprocamente soddisfatti del colloquio e se la signorina accetterà la mia offerta di lavoro avrete presto mie notizie – disse tendendole il biglietto.

Mrs. Sommerson lo strinse tra le dita rapaci – Sono certa che sarete soddisfatto, Mr. Price – disse già pregustando la ricca donazione che, lo sapeva, sarebbe seguita a quell’incontro.

Lui annuì leggermente e con un leggero inchino si accomiatò.

La direttrice rimase per un attimo in silenzio, compiaciuta che il suo progetto si stesse evolvendo nella giusta direzione. Era certa di fare la cosa giusta e adesso non restava altro da fare che comunicare alla diretta interessata la sua decisione. Si accostò alla finestra e guardò giù in cortile dove un gruppo di bambine coordinato da un’insegnante giocava con un pallone rosso. La maestra indossava un abito con un’ampia gonna verde e i suoi capelli dorati brillavano alla luce del sole come monete d’oro zecchino.

La direttrice osservò Clare Miller spiegare con pazienza a due bambine il modo corretto di colpire la palla e provò una fitta di rammarico per ciò che stava per comunicarle. Ma non aveva scelta, il decoro ed il prestigio  della scuola venivano prima di ogni altra cosa, prima dell’affetto e della compassione che provava per quella ragazza.

Se le cose fossero andate diversamente Clare avrebbe potuto essere una ragazza felice, una ragazza come tante altre, invece...

Ciò che Mrs. Sommerson aveva raccontato a Benjiamin Price era tutto vero. Clare aveva perso entrambi i genitori in un incidente e la bambina era stata affidata ad una zia, tale Sarah Miller, fino all’età di tredici anni. Poi Clare era stata tolta all’affidamento della parente e grazie agli ottimi voti e all’interessamento di un’insegnante della sua vecchia scuola le avevano assegnato una borsa di studio e la ragazzina aveva potuto continuare a studiare in collegio fino al diploma. Era stata una studentessa molto dotata e aveva un’abilità particolare per il disegno. I suoi quadri, apparsi in qualche piccola mostra, avevano riscosso un successo incredibile e i suoi ritratti erano sempre molto richiesti. 

Ciò che aveva taciuto e che non era stato riportato nel fascicolo della ragazza erano le motivazioni per cui Clare aveva dovuto abbandonare improvvisamente la casa della zia.

La direttrice sospirò. Il marito di Sarah Miller, Gedeon Dawson,  era un ubriacone e un poco di buono ed era noto alle autorità per aver partecipato a delle risse e per aver percosso al moglie in alcune occasioni. Nonostante ciò il Tribunale aveva affidato a questa famiglia incredibilmente inadatta una bambina di soli otto anni. Sara Miller sapeva che suo marito era un uomo pericoloso e aveva cercato di non lasciare mai sola in casa la figlia del suo povero fratello.

Tutto questo fino a quel fatidico pomeriggio di dicembre di sette anni prima, quando la donna era andata da una vicina per farle un’iniezione e Clare era rimasta nella sua cameretta impegnata a fare i compiti. Gedeon Dawson era arrivato in anticipo dal lavoro ed era entrato ubriaco nella camera della nipote. Le sue intenzioni erano apparse del tutto ovvie e Clare terrorizzata aveva cercato inutilmente di guadagnare la porta. L’uomo l’aveva gettata sul letto, strappandole la camicia e colpendola con violenza sulle guance fino quasi a farle perdere i sensi ma lei aveva lottato con la forza e la disperazione di una ragazzina di soli tredici anni.

Fortunatamente Sarah Miller, rifiutando di trattenersi dalla vicina per il tè, era rientrata e aveva sentito le urla disperate di Clare. La donna era corsa al piano di sopra della casetta dove vivevano e si era gettata addosso al marito strappandolo letteralmente di sopra alla nipote.

Era bastato quell’attimo a Clare per rimettersi faticosamente in piedi e uscire incespicando dalla stanza. Tenendo stretti i lembi stracciati della sua camicetta, era uscita di corsa da casa della zia e aveva bussato piena di disperazione alla porta della vicina che aveva immediatamente chiamato le assistenti sociali.

La ragazzina era stata ricoverata in ospedale e ai suoi parenti era stato tolto l’affidamento della minore.

Dopo alcuni mesi, quando anche l’ultimo ematoma era ormai sparito dal viso e dal corpo di Clare, i medici si erano resi conto che la brutta esperienza aveva lasciato cicatrici ben più profonde nell’animo della ragazzina.

Durante tutto il primo anno successivo all’aggressione Clare non riusciva a sopportare la presenza o la vicinanza di un uomo adulto. Ogni notte incubi terribili la tormentavano e si svegliava urlando.

Quando era stata in grado di riprendere la scuola era stata trasferita nel “Collegio Femminile Fusujiama” grazie ad una borsa di studio. L’ambiente sereno e protetto ed il contatto con i bambini si erano rivelati la migliore delle medicine e diventare maestra era stata la conseguente scelta naturale.

Con l’aiuto di una psicologa, la dottoressa Spencer, Clare aveva ripreso ad uscire fuori dall’istituto e, sebbene facesse sempre molta attenzione a rientrare prima che fosse buio, era in grado di andare dovunque senza timore. Anche gli incubi di cui soffriva la notte erano praticamente scomparsi da quando, un paio d’anni prima, Clare era venuta a conoscenza della morte di Gedeon Dawson, investito da un automobilista mentre attraversava la strada ubriaco.

Tuttavia, nonostante i miglioramenti, la dottoressa Spencer era stata molto chiara con la direttrice sulle reali possibilità della ragazza di ritornare ad avere una vita normale. Nel tentativo di convincerla sull’assoluta  necessità per Clare di rimanere nell’ambiente protetto ed ovattato del collegio, la psicologa aveva esposto la sua diagnosi in termini molto netti.

La terribile esperienza aveva segnato a tal punto Clare che molto probabilmente non si sarebbe mai sposata, né avrebbe avuto dei figli, dal momento che la ragazza sarebbe stata del tutto incapace ad attendere all’aspetto intimo di una normale vita coniugale.

Mrs. Sommeson sospirò leggermente guardando la giovane maestra allineare in due file perfette le sue piccole alunne. Poi prese in mano il telefono

- Mary?…Mi vada a chiamare al signorina Miller, per favore. Ho bisogno di parlarle -

Guardò ancora fuori, in cortile, le bambine che si avviavano ridendo verso le loro classi seguite dalla loro insegnante che teneva per mano la più piccolina e non poté trattenere un mesto sorriso.

Nonostante avesse subito dal destino quell’orribile prova, Clare sembrava avere dentro di sé un’inesauribile fonte di amore da donare.

 

Clare Miller sgranò gli occhi di fronte all’enorme cancello in ferro battuto della splendida villa della famiglia Price. In tutti i suoi diciannove anni non aveva mai visto niente di più imponente e il pensiero di venirci a vivere le procurò un moto di apprensione. La costruzione a due piani si ergeva bianca e maestosa, circondata alle spalle da un boschetto di sempreverdi. Ai lati dell’abitazione si aprivano ampi prati all’inglese, mentre un rampicante di splendidi fiori rossi copriva quasi interamente la parte sinistra della facciata principale. Altri alberi erano disposti in due lunghe file ordinate e parallele ai lati di un viottolo che conduceva all’entrata principale della villa. L’ordine meticoloso con cui il giardino veniva regolarmente curato e lo splendido e maestoso edificio padronale denotavano un lusso e buongusto ereditato da generazioni.

Clare sospirò. In meno di quarantotto ore la sua vita aveva preso una svolta inaspettata quanto terribile e il delicato equilibrio che era riuscita a costruire in quegli anni aveva subito un violento scossone. Non poteva rifiutarsi di fare ciò che le era stato chiesto. La direttrice era stata categorica in proposito: un facoltoso benefattore del collegio, che viveva per la maggior parte dell’anno in Germania, aveva bisogno di una bambinaia per la figlia neonata, rimasta orfana della madre. Lei si sarebbe dovuta occupare della piccola fino a quando fosse stato ritenuto necessario e poi avrebbe potuto fare ritorno al collegio.

Mrs. Sommerson le aveva ampiamente illustrato il debito di riconoscenza che il collegio nutriva nei confronti della famiglia del suo futuro datore di lavoro, per concludere poi con la necessità di mantenere inalterati il prestigio e il decoro dell’istituto. Clare aveva finalmente la possibilità di dimostrare la propria gratitudine al collegio che l’aveva accolta, svolgendo quest’incarico della massima delicatezza.

Nervosamente si asciugò i palmi umidi soffregandoli leggermente contro la gonna di cotone del vestito a fiori che indossava. L’abito era più grande della sua taglia di almeno due misure e scendeva a coprirle le gambe fino a metà polpaccio, dissimulando perfettamente le morbide curve del suo corpo snello.

Portava i capelli raccolti in una pesante treccia, alla quale erano sfuggite alcune ciocche ribelli ma neppure la severità di quell’acconciatura riusciva a nasconderne il brillante colore che tradiva le sue origini europee. Fili dorati schiariti dal sole, brillanti in capricciose spirali si mescolavano a ciocche del colore del miele, creando uno straordinario contrasto. Il viso era un perfetto ovale dalla pelle di porcellana, il naso fine ed impertinente sopra la bella bocca morbida leggermente dischiusa per l’ansia. Gli occhi, frangiati da lunghe e folte ciglia nere come l’ebano, avevano il brillante colore dell’ambra più pregiata e in quel momento si muovevano inquieti in direzione della villa.

Chiunque fosse passato di lì in quel momento avrebbe visto, di fronte al cancello della villa, una splendida, giovane donna, infagottata in abiti troppo grandi per lei, in preda alla più completa indecisione.

Se l’osservatore si fosse soffermato ancora per alcuni minuti avrebbe visto la ragazza raddrizzare le spalle e suonare con decisione il campanello in un improvviso moto di coraggio, prima di ritrarre bruscamente la mano come se si fosse scottata.

Oltrepassato il cancello, Clare percorse il vialetto di ingresso della proprietà ammirando il magnifico giardino, le siepi accuratamente potate e le aiuole curate. Era uno dei giardini più belli che avesse mai visto ed il sole filtrava tra le cime dei sempreverdi allungandone le ombre lungo il viottolo di ghiaia bianca.

Il pesante portone di ingresso si aprì e una donna di mezz’età che indossava un grembiule bianco si fece avanti con un sorriso - La signorina Miller? –

La sua voce aveva una cadenza esotica e istintivamente Clare ricambiò il sorriso – Si, sono Clare Miller –

- Venga signorina la stavamo aspettando – disse introducendola nell’imponente vestibolo e conducendola in un ampio salotto che dava sul giardino. Accanto al divano rivestito in prezioso damasco rosso a fiorami c’era una culla. La donna le fece cenno di accomodarsi – Io sono Anne Bauer e sono la governante della famiglia Price. Mi occupo della loro residenza di Monaco, in Germania. Mr. Price la prega di attenderlo qui. Sarà da lei al più presto, non appena avrà finito i suoi allenamenti– spiegò

A Clare la cosa apparve alquanto strana ma non commentò, attratta immediatamente dalla culla ornata di trine – E’ lei la bimba di cui dovrei occuparmi? – sussurrò chinandosi sull’esserino che dormiva.

La piccola aveva un viso da cherubino e una leggera peluria castana copriva la testolina adagiata sul cuscino. Mrs. Bauer annuì.

Clare sfiorò con un dito la manina della bimba – Come si chiama? – chiese

- Martine. - 

- E’ bellissima.-

L’aveva detto così, semplicemente. Come se fosse una constatazione.

Mrs. Bauer  osservò attentamente il viso di Clare intento ad ammirare la bimba e concluse che si trovava di fronte ad una giovane donna molto bella che possedeva un animo semplice e pietoso. Non capiva perché mortificasse il suo corpo infagottandolo in quegli abiti troppo grandi per lei ma la sua innata gentilezza e l’interesse che aveva immediatamente mostrato nei confronti della bimba avevano fatto un’ottima impressione sulla governante. Era molto diversa dalle sofisticate donne occidentali che il suo padrone era solito frequentare e sicuramente lontana anni luce dalla bellezza curata della madre di Martine.

Mrs. Bauer aveva conosciuto Liesel ai tempi della sua relazione con Benjiamin Price ed era rimasta molto colpita dal suo fascino sicuro e dal carattere allegro e spregiudicato. Era stata sinceramente addolorata dalla notizia della morte di quella giovane signora, così bella e allegra. Poi, alcuni giorni dopo il funerale della signorina Hauermann, il padrone si era presentato a casa accompagnato da un’infermiera che spingeva davanti a se una carrozzina. Dopo averle spiegato brevemente la situazione le aveva affidato la bambina, in attesa di trovare una persona che se ne occupasse definitivamente. Da quel giorno Martine era entrata a fare parte della vita dei domestici di casa Price che a turno si prendevano cura della bimba, spinti dalla devozione per la famiglia e dalla compassione che provavano nei confronti della piccina.

Ciò che aveva stupito grandemente Mrs. Bauer era stata la reazione di Benjiamin Price nei confronti della piccina. O meglio, la sua mancanza di reazione.

Il suo datore di lavoro era noto per essere un uomo chiuso e solitario. Coloro che erano alle sue dipendenze imputavano tale caratteristica del suo carattere al fatto di aver vissuto da solo la maggior parte della sua vita, in una delle tante residenze della sua famiglia, senza l’affetto dei genitori, in compagnia dei soli domestici e del suo tutore Freddy Marshall. La lealtà dei domestici nei suoi confronti non era mai stata messa in discussione ma molti sopraccigli si erano inarcati nel constatare il suo disinteresse per la piccola Martine.

Il portiere si era gettato a capofitto in sedute intensive di allenamenti in un periodo dell’anno, la fine del campionato della Bundesliga, in cui non ve ne era necessità alcuna.

Inoltre, per sfuggire all’assalto della stampa scandalistica che non gli dava tregua, dalla notizia della morte di Liesel Hauermann, aveva scelto di ritornare in Giappone per partecipare agli allenamenti della nazionale giapponese in vista di una quadrangolare amichevole tra le squadre asiatiche, in preparazione ai Mondiali che si sarebbero svolti l’anno successivo. Appena terminati i suoi impegni di campionato era partito in sordina per il Giappone, trascinando dall’altro capo del globo una piccola creatura di neppure tre mesi.

Alla notizia della sua partenza il personale riunito in cucina aveva disapprovato all’unanimità. Mrs. Bauer sapeva che il campione soffriva per la morte della madre di Martine e che in qualche modo se ne faceva una colpa ma non riusciva a spiegarsi il suo atteggiamento distaccato nei confronti della bimba.

Intanto la neonata aveva aperto gli occhietti incredibilmente scuri e si era portata alla bocca i piccoli pugni emettendo dei gorgoglii e facendo schioccare le minuscole labbra. Clare e Mrs. Bauer si guardarono per un istante con un sorriso d’intesa.

- Per Martine è ora della poppata – affermò la governante – Vado a prendere il biberon -

- Già – Clare sorrise e con gesti esperti prese in braccio la neonata che aveva iniziato ad emettere piccoli strilli soffocati – Direi che adesso è il momento di scoprire se sei una mangiona oppure no – disse rivolta al faccino paonazzo della bimba.

 

Benji finì l’ultima serie di addominali e si asciugò la fronte imperlata di sudore. La palestra, che era stata costruita sul retro della villa, così come il campo da calcio regolamentare che si estendeva a sinistra dell’edificio, gli avevano sempre consentito di allenarsi in tutta tranquillità e lontano da sguardi indiscreti.

Tra breve avrebbe rivisto i suoi compagni della nazionale giapponese e insieme avrebbero iniziato un periodo di allenamento che avrebbe consentito di ritrovare l’affiatamento di un tempo.

Molti di loro giocavano all’estero: Holly in Brasile nel San Paulo, Tom e Mark erano come lui in Europa, il primo in Francia nel Paris-sans-Germain e la “Tigre” in Italia nella Juventus. Anche Philip Callaghan era approdato al calcio europeo dopo una breve esperienza negli Stati Uniti e militava adesso nelle file del Manchester United. Alcuni erano rimasti in patria e avevano continuato a giocare da professionisti, altri si erano infine dedicati ad altre attività collaterali al mondo del calcio, come Julian Ross.

Il “principe del calcio”, come lo chiamavano da ragazzi, dopo aver risolto definitivamente i suoi problemi di salute aveva continuato ad allenare le giovani promesse del calcio giapponese, non potendo comunque sopportare le sollecitazioni che un’intensa attività agonistica avrebbe imposto al suo cuore.

Con Mark Lenders si era incontrato e scontrato durante le partite della Champions League ma adesso sarebbero ritornati ad essere una squadra con un unico scopo: vincere i mondiali.

Immaginava che avessero avuto notizie di lui dai giornali, gli stessi che lo avevano sbattuto in prima pagina, ma nessuno di loro era a conoscenza della vicenda di Martine.

Si gettò l’asciugamano di traverso sul collo e si diresse verso la scala che portava al piano superiore.

Non sapeva quando sarebbe arrivata la bambinaia mandatagli da Mrs. Sommerson ma era pienamente intenzionato a fare una doccia prima del colloquio.

Aveva appena posato un piede sul primo gradino che udì una ninnananna cantata a mezza voce provenire dal pianterreno. Poiché era sicuro di non aver mai sentito Mrs. Bauer cantare fece dietro front e si avvicinò alle porte semiaperte del salotto. La sua governante era in piedi, accanto ad una donna seduta sul divano che in quel momento gli dava le spalle.

La voce di lei era limpida e calda, ricca e armoniosa come un buon vino invecchiato, e sembrava accarezzare ogni parola. Su di un basso tavolino un biberon vuoto testimoniava che Martine aveva appena terminato il suo pasto e che ora riposava placidamente, cullata dal suono morbido di quella voce.

Si avvicinò silenziosamente facendo un gesto a Mrs. Bauer che si era accorta della sua presenza e attese la fine della melodia. Ora poteva vedere parzialmente il viso della donna chinato sulla neonata che dormiva fra le sue braccia. Era molto giovane, più di quanto si aspettasse, e piuttosto graziosa.

I lunghi capelli dorati erano raccolti, discosti dal viso e mettevano in risalto il collo lungo e slanciato e l’incarnato di magnolia del suo volto.

La voce di lei si spense in un sussurro e un lieve sorriso le piegò le labbra nel constatare che la bambina si era serenamente addormentata.

- Avete una voce molto bella -

Clare sussultò e alzò lo sguardo verso l’alto uomo bruno che stava in piedi accanto al divano.

- Mi dispiace averla spaventata - riprese lui accomodandosi di fronte a lei del tutto inconsapevole del suo turbamento - Clare Miller, suppongo -

Mrs. Bauer si eclissò prontamente e Clare annuì incapace di emettere alcun suono.

L’uomo che le si trovava davanti era di gran lunga il più bello che avesse mai visto.

I tratti del viso sembravano scolpiti nel marmo: la fronte alta e spaziosa, la linea decisa della mascella, gli zigomi alti e marcati sopra le guance asciutte e un tantino incavate. La bocca dalla linea severa era ferma e sensuale, neppure piegata all’accenno di un sorriso.

Aveva una carnagione abbronzata come di chi passa la maggior parte del suo tempo all’aria aperta e i capelli neri, umidi e leggermente arruffati, si arricciavano sopra il colletto della felpa.

Indossava una tuta nera che ne metteva mirabilmente in risalto il fisico imponente: le ampie spalle, il torace muscoloso, il ventre saldo e piatto. Un asciugamano bianco era stato gettato con noncuranza attorno al suo collo ad asciugare i rivoletti di sudore che ancora gli scendevano dalla nuca.

Gli occhi, frangiati da lunghe ciglia nere che avrebbero fatto l’invidia di molte donne, sembravano due tizzoni scuri e brillavano come il rosseggiare del carbone sotto la cenere.

Clare trattenne il fiato per un istante: era splendido, sembrava una statua greca. Avrebbe voluto ritrarlo.

Lo sguardo adamantino dell’uomo la percorse, gelido e impudente, come ne valutasse rapidamente la professionalità, soffermandosi un istante di più sui suoi capelli chiari, strettamente intrecciati, e sulle sua braccia che racchiudevano protettivamente la bambina addormentata.

- Io sono Benjiamin Price – si presentò, consapevole del minuzioso esame a cui era stato sottoposto - Mi dispiace riceverla in queste condizioni ma ho appena terminato l’allenamento e non mi aspettavo che lei arrivasse così presto -

Clare aggrottò leggermente la fronte. Allenamento? Chissà cosa intendeva...

Benji poté fissare per la prima volta in faccia la ragazza e si rese conto che definirla graziosa era stata, da parte sua, soltanto una banale semplificazione. Era bellissima.

Il viso, un ovale dai lineamenti delicati, completamente privo di trucco, aveva il pallido splendore dell’alabastro e gli ricordava la dolcezza dei volti delle Madonne medioevali che più volte aveva ammirato in Europa. Le sopracciglia spiccavano come due pennellate castane sulla bella fronte, curvandosi in un arco elegante sopra gli occhi più stupefacenti che avesse mai visto. Avevano un taglio oltremodo affascinante, leggermente obliquo, e risplendevano di un’insolita sfumatura di ambra, come se fossero pieni di scintillanti pagliuzze d’oro.

Quegli occhi lo osservavano con sconcertante attenzione ed erano velati da una punta di timore.

- Immagino che Mrs. Sommerson le abbia già spiegato il motivo per cui si trova qui - proseguì

- Mi ha detto che lei ha bisogno di una bambinaia - la voce di lei era morbida, dolce, priva di qualsiasi inflessione.

- Infatti. Vedo che ha già fatto la conoscenza di Martine.-

Clare annuì dando una rapida occhiata alla neonata che continuava a dormire indisturbata tra le sue braccia

- Pensa di potersi occupare di lei? -

- Si certo -

A quella risposta così calma e sicura l’uomo parve rilassarsi impercettibilmente.

- Allora ritengo opportuno chiarire alcuni punti fondamentali. Come forse Mrs. Sommerson le avrà detto, la madre di Martine è morta nel darla alla luce ed io ho bisogno di una persona che se ne occupi a tempo pieno. Per questo motivo lei abiterà qui e le verrà assegnata una stanza accanto a quella della bambina. Potrà comprare tutto quello che le serve e apportare qualsiasi modifica che riterrà utile. Io viaggio molto a causa del mio lavoro e quando non sarò a casa voglio essere informato sulle condizioni di Martine ogni sera per telefono. Per le emergenze avrà sempre un numero al quale potrà rintracciarmi in qualunque momento. Potrà avere un pomeriggio libero ogni settimana  e un’intera giornata una volta al mese. Per quanto riguarda i giornalisti…-

- I giornalisti? – Clare sgranò gli occhi

- Si – continuò lui imperterrito - Non li voglio fra i piedi. Non dovrà rilasciare interviste o commenti su di me o su Martine, né dovrà permettere loro di fotografarla. E’ tutto chiaro? Se ha qualche domanda… -

- Si – il cervello di Clare lavorava febbrilmente – Perché i giornalisti dovrebbero voler fotografare Martine? -

Benji che si aspettava una domanda a proposito del salario o delle giornate di libertà rimase per un attimo interdetto - Mi scusi signorina Miller, lei sa che mestiere faccio? – chiese con una punta di ironia nella voce

Clare fece cenno di no.

- Sono un portiere -

La mente di Clare brancolava nel buio – Un portiere? Di questa casa? – chiese incredula.

Il sopracciglio di Benji scattò verso l’alto totalmente spiazzato dall’ingenuità con la quale la domanda era stata posta - No, signorina Miller. Evidentemente lei non si interessa di calcio. Io sono il portiere del Bayer Monaco. – chiarì con un sorrisetto sarcastico.

Il viso di Clare si profuse di rossore – Mi dispiace – mormorò contrita – Io non seguo molto lo sport. –

Benji guardò meravigliato il volto arrossato della ragazza. Da molto tempo non gli capitava di vedere una reazione così spontanea di timidezza. Nell’ambiente prettamente maschile al quale lui era abituato simili manifestazioni di imbarazzo erano rare e le donne che gravitavano intorno al mondo del calcio e ai giocatori erano, per la maggior parte, tutto fuorché che timide.

Guardò Clare sistemare la copertina di Martine mentre tentava di darsi un contegno e mentalmente sorrise

- Spero, signorina Miller, che capisca il motivo per cui non voglio che la stampa fotografi Martine. Non voglio che diventi un fenomeno da baraccone. -

- Si certo. Può stare tranquillo. – dal tono con cui lei gli aveva risposto Benji fu certo che aveva compreso perfettamente il suo punto di vista

- Per quanto riguarda lo stipendio… - lui disse una cifra e all’espressione sbalordita di Clare non poté trattenere un mezzo sorrisetto – Spero corrisponda alle sue aspettative.-

- E’ più di quanto mi aspettassi. Siete molto generoso.-

Benji liquidò l’affermazione con un gesto brusco – Riconosco il valore delle persone e dai miei dipendenti mi aspetto lealtà assoluta. Il rapporto di fiducia che si instaura è reciproco e pertanto esigo assoluta sincerità in merito ad ogni cosa. Se avesse delle perplessità o dei dubbi non esiti a parlarmene e vedremo di risolvere la questione. – Indicò la bambina che dormiva fra le braccia di Clare - Soprattutto riguardo a Martine, non dovrà mai essermi nascosto nulla –

- Va bene -

- Allora signorina Miller, accetta questo impiego? – chiese

Clare guardò il visetto placido della bambina e il viso le si illuminò di una luce particolare – Si, Mr. Price, accetto. - rispose semplicemente. Poi con un gesto che stupì Benji gliela tese – E’ addormentata. Non vuole tenerla un po’ in braccio? – chiese con un sorriso.

Il campione si alzò di scatto dal divano con un movimento brusco – No…adesso è meglio di no. –

Davanti allo sguardo meravigliato di Clare capì di avere avuto una reazione esagerata – Sono tutto sporco –si scusò incrociando le braccia sul petto – Non è prudente che tocchi adesso.-

Clare annuì dubbiosa.

- Pensa di riuscire a trasferirsi qui in una settimana? – il tono di lui era divenuto impaziente.

Clare pensò alle sue poche cose che si trovavano ordinatamente riposte nel suo armadio al collegio – Dovrebbe essere un tempo più che sufficiente – rispose. 

- Bene – approvò lui con un cenno del capo – Benvenuta a bordo signorina Miller. -

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


 

Ringrazio tutti coloro che mi hanno espresso il loro piacere e apprezzamento nel leggere i primi capitoli della mia ff.

Il vostro entusiasmo e le vostre critiche spronano a fare sempre meglio.

Vi abbraccio tutti e ad maiora!

 

 

 

CAPITOLO III

 

 

La pioggia è il tuo vestito.

Il fango è le tue scarpe.

La tua pezzuola è il vento.

Ma il sole è il tuo sorriso e la tua bocca

e la notte dei fieni i tuoi capelli.

Ma il tuo sorriso e la tua calda pelle

è il fuoco della terra e delle stelle.”

(C. Govoni)

 

 

Era mattina presto ma al campo sportivo gli allenamenti della nazionale erano iniziati da un pezzo e i giocatori erano in pieno fermento in vista della prima partita del quadrangolare, che si sarebbe svolta di lì a due settimane.

La primavera piovosa aveva lasciato il posto alle prime calde giornate estive caratterizzate da uno splendido cielo azzurro nel quale era possibile scorgere solo di tanto in tanto qualche nuvola solitaria.

Patricia Gatsby, o Patty come la chiamavano tutti gli amici, era emozionantissima. Sebbene ormai fossero passati più di dieci anni dai tempi in cui faceva la manager della New Team, le sembrava quasi di rivivere quei momenti, quando, ragazzina, si occupava del benessere della squadra prima di ogni partita. Ancora adesso, incapace di stare ferma per un solo istante, si era aggregata ai preparatori atletici e in quel momento si stava dando da fare con gli asciugamani e le bottiglie di integratori.

Seguì con lo sguardo i giocatori in campo e immediatamente individuò la coppia formata da Oliver Hutton e Tom Becker.

La Golden Combi procedeva al riscaldamento correndo lungo la pista di atletica che circondava il campo sportivo e il viso di Holly era profuso di gioia per la possibilità di potersi ancora allenare con il suo vecchio compagno di squadra e rinsaldare così l’amicizia che, nonostante la lontananza e i rispettivi impegni professionali, non era mai venuta meno.

Patty sorrise: Holly era nel suo elemento. Era nato per giocare a calcio e aveva passato la maggior parte della sua vita sui campi in erba, tralasciando tutto il resto e concentrandosi ad inseguire il suo grande sogno: giocare con la nazionale giapponese e sollevare la Coppa del Mondo ai Mondiali.

"Boru wa Tomodachi" amava ripetere lui, quando era ragazzino, e Patty nel suo intimo era convinta che lo pensasse ancora.

Per lei quegli anni avevano avuto un prezzo.

Quando Holly non era ritornato da Parigi, dopo aver vinto la Coppa del Mondo Juniores, era stato come se qualcosa fra loro si spezzasse, come se il tacito e fragile legame che fino ad allora avevano condiviso si fosse dissolto come neve al sole.

Da quando lo aveva conosciuto, Patty aveva ascoltato Holly parlare ininterrottamente di strategie di gara, tattiche di gioco, avversari da affrontare, campionati da vincere. Giorno dopo giorno, instancabile, lo aveva incitato durante gli incontri e si era sempre presa cura di lui dopo ogni infortunio. Gli era stata accanto come un soldato fedele, elemosinando le briciole del suo affetto, travolta e soggiogata dall’entusiasmo, dalla passione che lui aveva per il calcio.

In quegli anni Patricia Gatsby non era mai esistita.

Nessuno, tanto meno Holly, perso dietro al suo sogno personale, si era mai preoccupato di cosa veramente desiderasse. E forse neppure lei era consapevole di avere dei sogni e delle ambizioni che non rispecchiassero quelli di lui. Davanti al meraviglioso fuoco che solo l’amore dell’adolescenza sa dare, Patty si era abbandonata, ignorando i propri desideri e perseguendo la felicità di Holly come se fosse stata la sua.

Quante lacrime aveva versato la notte, mordendo il cuscino, in preda alla frustrazione per quelli che temeva fossero sentimenti non ricambiati! Oh, e quanti giorni era ritornata a casa scintillante di gioia perché lui le aveva rivolto un sorriso che le era parso più speciale del solito!

Era andata avanti così, nutrendo il suo amore di speranze, alimentandolo con la forza e le emozioni che sentiva palpitare dentro ogni qualvolta posava gli occhi su di lui.

Poi tutto era improvvisamente finito in pochi secondi.

Non aveva avuto modo di prepararsi ad affrontare il dolore e gli eventi inarrestabili che l’avevano travolta, come una valanga che l’avesse colpita in pieno.

All’aeroporto, in mezzo alla gente, aveva aspettato con ansia al cancello di sbarco che Holly e gli altri giocatori della nazionale juniores scendessero dal volo che, da Parigi, li aveva riportati in Giappone campioni. Aveva cercato febbrilmente, con le guance rosse per l’emozione, il volto di lui tra gli altri, più o meno conosciuti, che si accavallavano davanti ai suoi occhi, mentre il desiderio di stringerlo e mormorargli “bentornato campione!” le aveva fatto quasi dolere braccia. Quando aveva capito che Holly non era lì, aveva sentito il cuore contrarsi in una stretta, proprio lì, in mezzo al petto, come se qualcuno l’avesse trapassato con una lama invisibile. Gli occhi avevano bruciato per le lacrime trattenute e il respiro le si era fermato per un istante, soffocato dal peso di quel tradimento inaspettato. 

Nessuna parola di consolazione era arrivata dagli amici, né il suo orgoglio ferito avrebbe potuto accettare i loro sguardi pietosi. Aveva trasformato il suo volto in una maschera di pietra e le sue labbra si erano tese in un sorriso, per salutare calorosamente il rientro dei campioni del mondo, i suoi amici più cari.

I giorni successivi al rientro della squadra erano stati un incubo fatto di festeggiamenti a cui lei era stata costretta a partecipare. Suo malgrado aveva invidiato Amy e Jenny… erano così felici!

Si era sentita meschina per quel sentimento incontrollabile che nasceva dritto dal suo dolore e dalla sua umiliazione: erano delle amiche fantastiche e a loro volta avevano passato dei momenti molto difficili. Prima Amy, così dolce e forte, sempre in ansia durante tutta la malattia di Julian. Per quanto tempo aveva avuto il timore che Julian potesse non farcela a causa di quel cuore ballerino che aveva sempre impedito al giovane attaccante di praticare il calcio con l’agonismo che avrebbe desiderato!

Poi Jenny… lei e Philip Callaghan si erano lasciati con la sola promessa di rivedersi, strappata all’ultimo momento, il giorno della partenza di lei per gli Stati Uniti. Tra loro si frapponeva un’età acerba, un intero oceano a dividerli e solo un giovane amore a legarli l’uno all’altra. Eppure proprio quel sentimento così immaturo aveva resistito alla lontananza e, quando si erano riabbracciati, tutti avevano potuto vedere come gli occhi del fiero capitano della Flynet brillassero di lacrime di gioia nel baciare con amore la testolina bruna della sua Jenny.

Per Patty quelle due ragazze erano state l’unica ancora di salvezza in mezzo al caos della sua esistenza. Le erano state accanto e avevano condiviso con lei quei terribili momenti, ben sapendo che cosa significasse per lei quell’abbandono senza spiegazioni, la solitudine nella quale si era trovata catapultata in mezzo a tutta quella profusione di gioia.

Allora non sapeva perché Holly non fosse rientrato in Giappone dopo la vittoria. Lo aveva scoperto più tardi, nel modo peggiore, attraverso i giornali, leggendo le interviste che lui aveva rilasciato al termine della partita della Coppa del Mondo e poi quando ormai si trovava in Brasile e aveva iniziato a giocare nel San Paulo allenato da Roberto Sedinhjo.

Degli amici di Holly solo Benji aveva rifiutato di fare finta che tutto procedesse a meraviglia e aveva affrontato il suo dolore, cercando di aiutarla a superarlo.

Era rimasto seduto accanto a lei in silenzio, per ore, davanti al campo vuoto degli allenamenti, fino a quando il cielo non aveva iniziato a tingersi di rosso. Allora si era alzato in piedi e le aveva teso la mano guardandola con il suo strano ed indecifrabile sorriso  - Tornerà. -

Lei era scoppiata a ridere, una risata amara e un po’ isterica che l’aveva lasciata vuota e inerte come una bambola di pezza.

- Tornerà?! – aveva urlato dando sfogo al tormento che aveva nel cuore, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime cocenti – Credi che sia importante adesso? Cosa ti fa pensare che tutto sarà come prima? Che io lo perdonerò per quello che mi ha fatto? -

Benji l’aveva attirata a se soffocando il suo pianto contro il suo petto, accarezzandole i capelli come una bambina – Lo farai. – aveva mormorato mostrando una sicurezza che lei era ben lontana dal provare – Perché sei forte e troverai la tua strada anche senza di lui. Quando Holly ritornerà tu lo perdonerai. –

- Tu stai scherzando! – Patty lo aveva guardato con ferocia, attraverso le lacrime che colavano inarrestabili, ma lui aveva assunto quell’atteggiamento caparbio che tanto la faceva infuriare quando erano ragazzini.

- Lo perdonerai perché lo ami. – aveva ribattuto e lei lo aveva guardato come se fosse impazzito e aveva continuato a crederlo, anche dopo che Benji se ne era andato, anche dopo aver ricevuto la prima lettera di Holly.

Oh…si, le aveva scritto! Una lunga lettera piena di spiegazioni inaccettabili che lei aveva strappato in preda a un dolore e a una furia che solo una donna innamorata può provare.

Un’altra sarebbe rimasta a crogiolarsi nella disperazione ma non lei, non Patricia Gatsby!

Dopo un periodo di comprensibile smarrimento aveva preso in mano le redini della sua vita e aveva iniziato a girare il Giappone facendo quello che era sempre piaciuto fare, trasformando un semplice hobby in una professione vera e propria.

La fotografia l’aveva sempre affascinata fin da ragazzina e se prima i suoi soggetti preferiti erano le azioni dei giocatori durante le partite di calcio, e uno di loro in particolare, in seguito aveva messo a frutto la sua particolare abilità, andando a fotografare la natura e i suoi abitanti anche nei luoghi più sperduti. Possedeva una sensibilità particolare per le forme e le luci e le sue fotografie erano state immediatamente apprezzate e richieste. Nel tentativo di dimenticare Holly si era gettata a capofitto in quell’unica cosa che sembrava darle un po’ di serenità e ben presto aveva iniziato a godere dei frutti del suo impegno e della sua abnegazione.

Si, perché Patricia Gatsby non faceva mai le cose a metà. Animata dallo stesso fuoco che aveva dimostrato quando seguiva la carriera di Hollly, aveva iniziato a collaborare con riviste prestigiose del calibro di National Geographic e la sua vita professionale si era arricchita anno dopo anno di esperienze eccezionali.

Piano piano aveva smesso di interessarsi al calcio, di seguire con apprensione ogni successo di Holly, e dopo alcuni anni riusciva anche a trascorrere anche un’intera giornata senza che il pensiero di lui le si affacciasse alla mente.

Convinta di essere completamente guarita da quella che ormai giudicava solo una cotta da ragazzini, non aveva esitato un solo istante ad accettare il servizio che le era stato commissionato in Brasile.

Non aveva mai saputo chi lo avesse avvertito del suo arrivo, forse sua madre o addirittura Bruce, ma la terza mattina del suo soggiorno a San Paolo, assieme al vassoio della colazione, aveva ricevuto in camera un enorme cesto di gigli bianchi e un invito a cena.

Il cuore aveva preso a batterle all’impazzata ma lei lo aveva ignorato cercando di convincersi che tutta quell’emozione era dovuta solo al piacere dell’invito e al desiderio di rivedere un vecchio amico.

Erano passati anni da quella malaugurata finale della Coppa del Mondo Juniores ed entrambi non erano più ragazzini alle prese con i loro confusi sentimenti. Per quello che ne sapeva Holly poteva anche essere felicemente fidanzato o sposato!

Nonostante tutto si era preparata a quell’incontro con cura, indossando un abito corto di un turchese acceso che faceva risaltare la sua figura slanciata e il colore ambrato della sua pelle leggermente abbronzata dal sole sudamericano.

Quando Holly l’aveva vista entrare, puntualissima, nella sala da pranzo del lussuoso ed esclusivo ristorante, aveva dovuto fare uno sforzo su se stesso per impedirsi di rimanere assai poco elegantemente a bocca aperta. Non era possibile che quella giovane donna d’aria sicura e sofisticata fosse la Patty che lui ricordava ancora adolescente in Giappone.

Eppure lei lo aveva stupito una volta di più: smessi i panni della ragazzina scalmanata, gli aveva parlato della sua professione con una dedizione e una passione del tutto simili a quelle che lui aveva sempre manifestato per il calcio.

Lo aveva incantato con i racconti dei suoi viaggi e presto lui si era accorto di non seguire più il filo del discorso, perso come era ad ammirare la curva gentile del suo viso, il sorriso luminoso, i movimenti agili ed eleganti delle sue mani che sottolineavano le parole.

Avevano trascorso una serata piacevolissima, ricordando gli anni del liceo, ridendo degli episodi buffi. Senza che nessuno dei due se ne accorgesse il lieve sentimento che li aveva sempre legati come un filo invisibile era di nuovo lì, tra loro, come se quell’incontro ne avesse rispolverato l’esistenza, rendendolo più forte e più vero.

Il giorno seguente avevano passeggiato come due vecchi amici. Holly l’aveva condotta a vedere il campo dove si allenava con il San Paolo e la sera l’aveva invitata a cena a casa sua.

Aveva cucinato lui e Patty lo aveva preso in giro di fronte a quella dote inaspettata, dovendosi poi ricredere al primo assaggio della squisita paella. Quando dopo cena si erano trasferiti in salotto con in mano un bicchiere di vino bianco, Patty si era sentita così felice e rilassata come non le accadeva da tempo. Era lì, nell’unico posto dove desiderava essere, accanto all’uomo che aveva cercato disperatamente di dimenticare. Di fronte al sorriso gentile di Oliver e alle sue affettuose premure tutte le difese che aveva eretto con tanta cura erano crollate come un banale castello di carte.

Quando lui le si era avvicinato, togliendole di mano il bicchiere e posando le proprie labbra su quelle di lei in un gentile invito, non aveva trovato motivo di ritrarsi. Era quello che aveva sempre desiderato, quello che le aveva sempre impedito di innamorarsi di nuovo di un altro uomo.

Compiacente gli aveva fatto scivolare le braccia sottili attorno al collo e non aveva protestato quando lui l’aveva presa fra le braccia e l’aveva portata in camera da letto.

Tutti quegli anni di amore represso erano esplosi in quell’unica sera in cui Patty aveva finalmente ritrovato il suo amore. Nei suoi gesti non c’era stata incertezza o timore ma solo un infinito desiderio di donarsi, di essere, almeno una volta, parte di lui. L’aveva stupito con la sua passione, andandogli incontro con grazia, allettandolo, seducendolo come solo una donna innamorata sa fare.

Colmati dal vento. Spazzati dal lampo.

Era rimasta fra le sue braccia tutta la notte, crogiolandosi nel calore di lui, guardando con crescente preoccupazione la sottile lama di luce del sole filtrare tra le imposte accostate. Mano a mano che l’alba si faceva più vicina, l’incredibile luminosità del giorno che nasceva aveva posto fine a quell’incredibile notte che aveva aspettato per tutta la vita.

La mattina si era alzata in silenzio e si era rivestita nella penombra della stanza. Aveva gettato un ultimo sguardo a Holly, profondamente addormentato, ed era uscita dalla stanza e dalla sua casa con il cuore gonfio di pena.

Non sapeva che cosa quella notte significasse per lui. Per lei era stata l’esperienza più sconvolgente della sua vita ma non ne era pentita. In quel momento sapeva che negli anni a venire avrebbe avuto almeno il ricordo di quell’unica notte perfetta in cui aveva sentito di appartenergli completamente.

La mattina stessa aveva chiamato la compagnia aerea e aveva trovato un volo per il Giappone. Preoccupata e confusa, aveva fatto i bagagli in fretta e furia ed era partita, ignara che Holly stesse rivoltando l’intera San Paolo per cercarla.

Scostò dal viso una ciocca dei suoi lunghi capelli e non poté trattenere un sorriso nell’osservare il cross preciso che Holly aveva fatto partire in direzione di Tom.

Adesso il suo lavoro come fotografa continuava ad avere la priorità su ogni altra cosa ma le partite di calcio avevano ripreso ad avere il loro fascino particolare.

Sì… da quando un Holly esausto e disperatamente innamorato era arrivato direttamente dal Brasile, il giorno dopo la fine del campionato, e aveva bussato alla sua porta in un’assolata mattina di giugno di un anno prima.

Era furibondo e Patty non l’aveva mai visto tanto arrabbiato. Quando aveva scoperto che lei era fuggita, ritornando in Giappone, si era sentito franare la terra sotto i piedi. A causa dei suoi impegni con la squadra non aveva potuto inseguirla immediatamente e aveva dovuto aspettare la fine del campionato, procrastinando, come lui stesso aveva affermato con un lampo di furia negli occhi scuri, “l’immenso piacere di darle una sculacciata come si sarebbe meritata”. 

Lei era in partenza per un servizio sui Monti Kitami e lui, che da quando aveva iniziato a giocare a calcio non aveva trascorso un solo giorno della sua vita lontano da una sfera a scacchi, aveva preso i suoi bagagli senza battere ciglio e l’aveva seguita rifiutandosi di posticipare quello che riteneva un chiarimento necessario.

Patty sorrise al ricordo. Quello che era iniziato come un viaggio in cui entrambi si guardavano in cagnesco e non perdevano occasione di rimbeccarsi a vicenda, si era rivelato la migliore delle medicine per il loro rapporto incerto. Lontani da tutti erano riusciti a trovare il coraggio di aprire il loro cuore e per la prima volta da quando si conoscevano Holly le aveva confessato i suoi sentimenti e il suo timore di perderla. L’aveva corteggiata, stuzzicata, lusingata, ricolmandola di tutto l’amore e le attenzioni che le aveva fatto mancare in quegli anni e Patty aveva capito che, nonostante quello che le aveva fatto, il suo cuore sarebbe sempre stato indissolubilmente legato a quello di lui.

Certo rimanevano ancora delle difficoltà da superare, perché Holly continuava a giocare in Brasile e lei viaggiava per tutto il mondo a fotografare la natura che tanto amava ma con il tempo tutto si sarebbe sistemato.

La Patty, scatenata tifosa della New Team, non avrebbe esitato un solo istante ad abbandonare tutto per seguire Holly in Brasile e aiutarlo a realizzare il suo sogno ma la nuova Patricia Gatsby, così indipendente e sicura di sé, aveva scelto di realizzare le proprie aspirazioni e un Oliver fiero e orgoglioso l’aveva appoggiata in tutto e per tutto.

Si guardò lo splendido anello che portava all’anulare della mano destra e il ricordo della voce di Holly, emozionata e colma d’amore, le risuonò nella mente.

Avrebbero trascorso insieme questo periodo prima che lui facesse ritorno in Brasile per l’inizio del campionato e per tutto l’anno seguente, lei avrebbe fatto, come al solito, la spola tra il Sud -America e il Giappone. L’anno prossimo ci sarebbero stati i Mondiali al termine di quali lei gli avrebbe dato la sua risposta.

Il grido dell’allenatore la distolse dalle sue considerazioni e, dopo aver gettato un’occhiata ad un compiaciuto Freddy Marshall, riportò la sua attenzione alla partita di allenamento.

Holly ricevette il passaggio da Tom agganciandolo al volo e caricò il tiro. Il pallone andò ad insaccarsi nell’angolino in alto a destra della porta, alle spalle di Alan Crocket che non aveva neppure provato a pararlo. Il portiere recuperò il pallone e con un calcio lo rinviò a  Mark Landers perché lo posizionasse al centro del campo.

La Golden Combi si scambiò un’occhiata soddisfatta e Mark non poté trattenere una battuta sarcastica

- Guardali lì i due gemelli siamesi! Sono schifosamente affiatati come se avessero continuato a giocare insieme in tutti questi anni! -

- Invidioso, Landers? – Bruce Harper superò l’attaccante ridendo e Mark calciò il pallone prendendo in pieno Bruce sul fondoschiena.

- Non fino a quando posso prendere a calci te Harper!- esclamò la Tigre provocando la risata incontenibile dei presenti.

- Non sei cambiato per niente, Landers, sempre a prendertela con quel poveraccio. Possibile che tu non abbia imparato niente alla Juventus?-

Una voce profonda alle loro spalle li fece voltare tutti quanti verso l’alto uomo bruno in piedi accanto alla panchina di Freddy.

- Benji! – L’urlo di Patty attirò l’attenzione di tutti i giocatori in campo. In un attimo gli furono tutti intorno, abbracciandolo e stringendogli la mano.

- Come stai? – Philip Callaghan lo aveva raggiunto per primo.

- Quando sei arrivato? – chiese Tom battendogli pacca amichevole sulle spalla

- Benissimo. Sono arrivato una settimana fa, giorno più giorno meno. -

- Perché non ti sei fatto vivo? – il tono di Lenders era volutamente provocatorio, in ricordo dei loro memorabili scontri.

-  Avevo alcune cose da sistemare. – rispose concisamente sistemandosi la visiera del cappello.

- Adesso che la squadra è al completo possiamo davvero iniziare ad allenarci seriamente! – Holly era al settimo cielo.

- Infatti. - Benji sogghignò – A quanto pare non hai perso il tuo entusiasmo. -

- Eh, no. – Landers dette una spintarella a Holly facendogli perdere l’equilibrio – Il nostro Hutton ha l’energia di un ragazzino! -

Il sorriso ironico di Benji si allargò - Tu invece mi sembri un po’ infiacchito, Mark! – esclamò prendendolo in giro. 

- Cosa? – la Tigre alzò la testa punta sul vivo – Stai scherzando, Price! Aspetta che i rifili uno dei miei tiri da fuori area! -

Gli altri risero. Erano anni che Mark Lenders e Benji Price si affrontavano e la loro competizione continuava anche fuori dai campi di calcio con battute sarcastiche e osservazioni pungenti.

Da ragazzi erano venuti più volte alle mani, sfogando nell’unico modo possibile il loro temperamento irascibile, ma dietro alle continue reciproche provocazioni c’era fra di loro un profondo rispetto e, anche se entrambi lo avrebbero decisamente negato, una solida amicizia.

Erano due solitari, due caratteri duri e violenti, due dominatori, troppo simili per non entrare continuamente in competizione.

- Sono qui per questo, Mark. – lo sguardo di Benji non tradiva incertezze.

- Appunto! – Freddy Marshall battè le mani con forza attirando l’attenzione di tutti – Dal momento che adesso anche Benji è qui con noi ci alleneremo insieme. Vogliamo vincere contro la Thailandia, vero? E allora tornate ad allenarvi! – esclamò.

Ubbidienti alle sue esortazioni si diressero tutti verso il campo correndo e Benji prese posto tra i pali della porta, infilandosi i guanti. Si sistemò la visiera del berretto e piegò leggermente le ginocchia allargando le braccia.

Era lì, pronto a guardare in faccia l’attaccante, pronto a vedere nei suoi occhi la determinazione e il fuoco della sfida. L’adrenalina gli scorreva nelle vene come il primo giorno in cui aveva iniziato a giocare. Vide Mark Lenders avvicinarsi pericolosamente all’area si rigore e guardò la furia dell’attaccante pronto a dominarla. Uno scintillio gli corse negli occhi, preparandosi a parare.

Più tardi, al termine dell’allenamento, i giocatori indugiarono pigramente negli spogliatoi rinnovando l’amicizia ed il cameratismo di sempre.

- Benji, sei davvero in gran forma! – disse Holly, fregandosi vigorosamente il capo con un asciugamano. Il capitano era pienamente soddisfatto. Con l’arrivo Price la squadra sembrava molto più motivata. Quel portiere era davvero carismatico, riusciva a spronare tutti con la sua sola presenza.  

- Grazie Holly, anche tu mi sembra che ti sei ripreso perfettamente dopo quel piccolo infortunio. - rispose l’altro infilandosi la giacca della tuta

- Già. – il capitano fletté il braccio e la spalla con attenzione – Sembra che sia tornato tutto a posto – confermò.

- A dire il vero siamo tutti in ottima forma – replicò Tom uscendo dalle docce con solo un asciugamano stretto in vita.

- Abbiamo ottime probabilità di vincere questo quadrangolare – disse Mark dando voce alle speranze di tutti.

- Già. E’ un’ottima opportunità per prepararci in vista dei Mondiali dell’anno prossimo – intervenne Philip

- Si. Dobbiamo fare del nostro meglio anche perché il capitano ci tiene particolarmente a fare una bella figura. – Il corpo di Tom era scosso da un risolino a malapena trattenuto –  E non solo per il motivo che credete voi! – aggiunse mentre il viso del campione diventava paonazzo. 

In un attimo l’attenzione di tutta la squadra venne calamitata su Holly che, imbarazzato, rovistava nel suo armadietto.

- Dai Holly! – Bruce era il più agguerrito – Cosa sa Tom che noi non sappiamo? -

- Niente, niente. – il giocatore cercava di sfuggire inutilmente alla curiosità dei suoi compagni.

- Vuoi vedere – il tono di Lenders era a metà strada tra lo stupito e il divertito – Che quel pappamolle di Hutton ha trovato finalmente il coraggio di dichiararsi? – sparò con improvvisa intuizione.

Lo sguardo di fuoco di Holly e la risata incontenibile di Tom confermò agli altri che Mark aveva centrato nel segno.

Se possibile Holly diventò ancora più rosso – Ti avevo detto di tenertelo per te!- sibilò irato rivolto all’atra metà della Golden Combi.

- Dai Holly non prendertela! – Tom non riusciva a smettere di ridere – Una notizia così bella non potevo tenermela per me. -  

- Holly! – Bruce aveva le lacrime agli occhi per l’ilarità – Vuoi dire che finalmente hai trovato il coraggio di sposare quella scatenata di Patty? -

Philip gli battè una manata sulle spalle – E bravo il nostro capitano! -

- Taci Philip! – la pazienza di Holly si andava esaurendosi – Non mi sembra che tu sia in una posizione migliore della mia! – gli ritorse contro.

Il calciatore fece le spallucce con aria tranquilla – La mia storia con Jenny è cosa nota ed io non ne faccio certo mistero. Lo sanno tutti che abbiamo intenzione di sposarci prima dell’inizio del prossimo campionato. – replicò calmo.

- Siete dei rammolliti. – Mark scosse la testa con una smorfia di disapprovazione – Tutti persi dietro a qualche sottana. -

- Tu no, Lenders. Non c’è pericolo che qualcuna ti prenda, scontroso come sei! – esclamò Bruce, prontamente zittito da un asciugamano bagnato, scagliato sulla sua faccia da una Tigre impermalita.

Tutti risero.

Benji sollevò il borsone sulla spalla e si avviò alla porta.

- Benji…- il tono serio di Holly lo fermò quando già aveva posato una mano sulla maniglia – Aspetta un attimo ti devo chiedere una cosa… -

Il portiere si fermò e trattenne inconsciamente il fiato, già sapendo quello che l’altro stava per dire.

- Ecco… - il capitano, solitamente sicuro e deciso nelle questioni che riguardavano la sua squadra, sembrò esitare - Tutti noi siamo molto felici che tu sia arrivato. Ti aspettavamo con ansia anche se non speravamo che venissi. Freddy si è rifiutato di parlarcene, ma noi abbiamo letto i giornali… credevamo…- iniziò incerto

- Cosa vuoi sapere, Holly? – il tono di voce di Benji era secco e innaturale – Vuoi sapere se faccio uso di sostanze proibite? -

- No! –

Benji si girò sorpreso. Era stato Lenders a parlare con la sua grinta abituale  – Vogliamo sapere perché non hai tirato fuori le palle e non ti sei difeso da quelle accuse infamanti. – affermò con la sua solita schiettezza.

Un lampo d’ira di accese negli occhi del portiere – Quando vorrò una lezione su come tenere i rapporti con la stampa, Mark, stai pur tranquillo che verrò ad interpellarti – ribatté aspro.

- Non hai risposto alla mia domanda. – l’attaccante incrociò le braccia sul petto possente – Qui non si tratta di un malinteso con i giornalisti. Non credere di potertela cavare con i tuoi soliti giochetti. -

- Lascia perdere Lenders… - la voce di Benji era secca come una frusta ma Mark non era certo intenzionato a soprassedere

- Spiegaci perché te ne stai zitto e buono quando in altri momenti avresti fatto fuoco e fiamme per molto meno. Stai lasciando che la stampa ti faccia a pezzi senza opporre la minima resistenza. – continuò il cannoniere.

Benji lo ignorò e fece per aprire la porta dello spogliatoio ma Mark fu più veloce di lui e la richiuse con un tonfo secco, facendola sussultare sui cardini – Non vorrai dire che lascerai credere a tutto il mondo che le boiate che hanno scritto su di te sono vere! – esclamò la Tigre al colmo dell’esasperazione.

- Sono vere, Mark! –

Gli occhi di Benji fiammeggiavano e le parole gli uscirono di bocca come tante staffilate – Almeno nella parte in cui dicono che Liesel è morta e che io non ho fatto nulla per impedirlo! Se avessi fatto qualcosa adesso non troverei a fare da tutore ad una neonata di appena tre mesi! -   

Aprì la porta con tale veemenza che il pannello sbatte contro il muro con un rumore che nel silenzio assoluto dello spogliatoio rimbombò come una fucilata.

I giocatori fissarono allibiti il vano della porta ormai vuoto mentre cercavano di assimilare quella notizia stupefacente. Lenders fu il primo a riaversi dallo stupore lasciandosi cadere su una panca – Oh cielo! Perché non lo ha detto prima? –

 

Benji guidò fino a casa furibondo.

L’ automobile rispondeva ad ogni sua minima sollecitazione ed egli spingeva il potente mezzo fino al limite, scaricando la rabbia che aveva accumulato.

Non era arrabbiato con Mark per ciò che aveva detto ma piuttosto perché sapeva che lui aveva ragione. Eppure non poteva fare diversamente. C’erano in gioco troppe cose… l’affidamento di Martine e l’assoluta necessità di dover trovare al più presto una moglie per ottenerlo, lo stavano facendo impazzire.

Eppure non sapeva come comportarsi con la bambina. I suoi sentimenti per lei erano ancora troppo contrastanti e confusi. Non era abituato a dividere la propria vita con qualcuno. Era sempre stato solo e il fatto che all’improvviso ci fosse un esserino che avesse bisogno di lui in maniera così totale lo impauriva e lo sconcertava.

Frenò sul vialetto di entrata della villa e scese dall’auto mentre il maggiordomo gli apriva la porta e gli andava incontro prendendogli dalle mani il borsone sportivo.

Benji lo salutò con un cenno del capo – Martine e la signorina Miller? -

- Sono di sopra nella nursery, signore. -

Incredibilmente il viso perennemente serio di Jameson si aprì in un sorriso – Se posso permettermi, signore, quella bambina ha portato la gioia in questa casa -

Benji non replicò e iniziò a salire rapidamente le scale. Si fermò stupito sull’ultimo gradino.

Una risata melodiosa, come un tintinnio di tante campanelle proveniva dalla porta aperta della nursery.

Clare era china sul fasciatolo e stava cambiando il pannolino a Martine facendole un leggero solletico sul pancino. La piccolina muoveva manine e piedini e gratificava Clare di tutta una serie di risatine che andavano a mescolarsi al divertimento della giovane donna.

Fu come se Benji avesse ricevuto un pugno in testa. Il volto ridente di Clare era come un faro luminoso che lo attirava verso la luce e il calore.

Improvvisamente sentì il rabbia abbandonarlo. Quella donna aveva il potere di calmare il suo animo inquieto con la sua sola presenza e si scoprì a desiderare di andarle più vicino per godere appieno di quella gioia incredibile che emanava, come un affamato che desiderasse di avvicinarsi ad un suntuoso banchetto.

Lei si volse e lo vide, fermo sulla soglia della nursery. Smise di ridere ma un dolce sorriso continuò ad illuminarle il volto - Buonasera Mr. Price, è venuto per vedere Martine? – gli chiese continuando a cambiare la bambina con gesti rapidi e sicuri.

Lui si ritrovò ad annuire e si avvicinò lentamente al fasciatoio, accostandosi alle spalle di lei.

– Oggi è stata buonissima. – lo informò lei mentre Martine gorgogliava contenta.

Clare alzò lo sguardo e vide gli occhi dell’uomo puntati su di sé. Poteva avvertire distintamente il sentore di pulito che emanava e il profumo amarognolo della sua colonia e inspiegabilmente il suo cuore accelerò i battiti.

Benji fece scorrere la punta dell’indice sua una delle morbide manine della bambina, meravigliandosi quando le piccole dita si strinsero con forza attorno al suo in una stretta tenace. 

- Adesso dovrei darle da mangiare …- mormorò Clare incapace di distogliere lo sguardo da quello penetrante ed enigmatico di lui – Se vuole può tenere un po’ in braccio la bambina mentre io preparo il biberon. -

- No. – la risposta negativa di lui non si fece attendere – Ho alcune cose importanti da fare. Non posso trattenermi. Metta pure Martine nella culla. –

Poi non riuscendo a sostenere lo sguardo di rimprovero di Clare si avviò verso la porta.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


CAPITOLO IV

 

 

“Un giardinetto per passeggiare

l’immensità per sognare.

Ai piedi tutto quello che si può coltivare e raccogliere,

di sopra ciò che si può studiare e meditare,

qualche fiore sulla terra

e tutte le stelle in cielo.”

(V. Hugo)

 

 

Clare aprì gli occhi non appena i primi raggi del sole filtrarono attraverso gli spessi tendaggi. Si stiracchiò sorridendo e affondò i piedi nella morbidezza del materasso. Si trovava a Villa Price da quasi un mese e ancora non si era completamente abituata al lusso che la circondava.

Mrs. Bauer le aveva assegnato una camera da letto a fianco della nursery di Martine nello stesso corridoio su cui si affacciavano le camere padronali. Tutto l’arredamento della villa era in stile occidentale la governante le aveva raccontato che era stata proprio la mamma del padrone ad operare quella scelta e quel cambiamento radicale. Il risultato, poi, non doveva averla soddisfatta più di tanto perché aveva ripreso a viaggiare a fianco del marito, lasciando il figlio, ancora ragazzino, solo in quell’enorme casa.

Benjiamin Price era cresciuto così, lontano dai genitori, circondato dal lusso e da un numero impressionante di domestici e precettori.

La stanza da letto di Clare sembrava voler ricreare l’atmosfera di un giardino fiorito. Preziosi pannelli di seta damascata a fiorami nei toni del crema, rosa antico e verde pallido rivestivano le pareti e un folto tappeto orientale era steso ai piedi del letto in ferro battuto. Uno scrittoio inglese di fine Ottocento era appoggiato contro il muro ed illuminato da una preziosa lampada di Sevrés, la cui base raffigurava una giovane dama intenta a suonare il flauto. Piccole statuine d’avorio raffiguranti degli animali fantastici erano disposte su un basso tavolino circondato da una coppia di piccole poltrone. Dietro un pannello una porta nascosta si apriva un una sala da bagno rivestita di marmi delicatamente rosati, mentre dal lato opposto della stanza una simile apertura consentiva l’accesso diretto nella nursery.

Clare spinse da parte le coperte e, dopo aver constatato che Martine dormiva ancora, fece una rapida doccia e si infilò uno dei suoi soliti vestiti di cotone, a fiori bianchi e azzurri. Tese l’orecchio ma nessun rumore sembrava provenire dal corridoio. Tutto era silenzioso come al solito.

Alcuni giorni dopo aver preso iniziato il proprio incarico aveva trovato in salotto alcune riviste sportive spiegazzate e accatastate senza alcun ordine apparente. Incuriosita aveva dato un’occhiata.

Splendide immagini di Benjiamin Price erano state scattate durante le azioni di gioco, mentre lui vestiva la maglia del Bayern Monaco o della nazionale giapponese. Dagli articoli che corredavano le illustrazioni aveva scoperto quello che la stampa e l’opinione pubblica pensavano di lui: un eccezionale talento, un campione, il Super Great Goal Keeper.

Una fotografia piccola e piuttosto sfuocata lo ritraeva accanto ad una donna bionda e bellissima, immortalata poi nella pagina accanto, da sola, in una posa da repertorio. Clare aveva immaginato si trattasse della defunta madre di Martine. Mrs. Bauer le aveva detto che la giovane donna era morta dopo il parto per un’emorragia interna e che il Tribunale aveva affidato al suo datore di lavoro la tutela della bambina.

L’articolo si diffondeva a descrivere minuziosamente il legame tra Liesel Hauermann e il portiere del Bayern Monaco, mentre raccontava in maniera vaga e piuttosto ambigua le circostanze della morte della giovane modella.

Clare aveva preso un’altra rivista. Qui il giornalista si era spinto ad ipotizzare un diretto coinvolgimento del campione nella disgrazia che aveva colpito Liesel. Forse che i due facessero uso di sostanze illecite? Era questo che aveva provocato la prematura scomparsa della ragazza? Quali responsabilità aveva Benji Price?

Aveva scorso tutti i giornali velocemente. I giornalisti si erano concentrati nel ricavare un gustoso scandalo da quella che era soltanto una terribile disgrazia. Apparentemente nessuno sembrava essere a conoscenza dell’esistenza della piccola figlia di Liesel Hauermann e del fatto che il SGGK fosse il suo tutore. Viste le raccomandazioni che egli le aveva rivolto durante il loro primo colloquio, il portiere non sembrava assolutamente intenzionato ad informare i media della notizia.

Durante quel periodo Clare aveva visto pochissimo il padrone di casa, che sembrava immerso in allenamenti intensivi e scanditi da ritmi regolarissimi. All’alba sentiva aprirsi la sua porta, dall’altro lato del corridoio, e poi i passi di lui che scendevano le scale. Poco dopo il suono secco del portone di ingresso che si chiudeva stava ad indicare che lui era già uscito diretto al campo sportivo. Mentalmente sorrise.

Era sabato, ma anche durante il fine settimana Benji si allenava per conto suo, andando a correre all’alba attorno al campo da calcio sul retro della villa per poi sparire nella palestra con il suo preparatore atletico per lunghe sedute che duravano ore.

L’unico momento in cui si trovavano faccia a faccia era durante la cena, che veniva consumata nella sala da pranzo al pianterreno alle otto in punto di ogni sera. All’inizio la richiesta di unirsi a lui le era apparsa alquanto inopportuna, essendo lei stessa una semplice dipendente, ma Benji aveva liquidato seccamente le sue obiezioni affermando di non avere intenzione di andarla a cercare ogni sera per essere debitamente aggiornato su Martine. Era molto più semplice parlare mentre consumavano il pasto e Clare si era dovuta arrendere alle sue argomentazioni. La cena era diventata ben presto un rito quotidiano: mentre lei gli elencava i progressi di Martine e lui si informava educatamente della sua giornata. Molto presto si era resa conto che le loro conversazioni si esaurivano, per lo più, in un breve scambio di frasi fra una portata e l’altra ed il resto del pasto serale si svolgeva nel più completo silenzio.

A volte Freddy Marshall si univa a loro e i due uomini si immergevano in appassionanti discussioni tecniche da cui lei si asteneva prudentemente. Il commissario tecnico della nazionale giapponese le era sembrato una persona gentile e molto competente e l’aveva fatta sentire subito a proprio agio. Adorava Martine ed era sempre molto grato a Clare per occuparsi della neonata. A Benji lo legava un rapporto quasi filiare essendo stato, a sua volta, il suo tutore e mentore. Aveva iniziato ad allenarlo da ragazzino, intuendo e facendo emergere quelle doti e quella predisposizione innata che lo avevano fatto diventare un campione.

La seconda settimana erano partiti entrambi per un ritiro in vista della prima partita del quadrangolare a cui partecipava la nazionale giapponese ed puntualmente ogni sera lui aveva telefonato accertandosi che tutto procedesse al meglio.

Tuttavia, ciò che sgomentava profondamente Clare era l’atteggiamento che Benji aveva nei confronti della bambina. Nonostante desiderasse essere costantemente aggiornato sul suo stato di salute non cercava di instaurare alcun tipo di rapporto con la piccola, limitandosi semplicemente ad osservarla mentre era sdraiata nella sua carrozzina oppure fra le braccia di Clare.

Più volte si era offerta di fargliela tenere in braccio, ma lui aveva sempre rifiutato adducendo le scuse più improbabili e banali e Clare stava iniziando a sospettare che questo suo comportamento non fosse affatto casuale ma piuttosto mirasse a tenersi, quanto più possibile, a distanza dalla piccina.

Riscuotendosi dalle sue considerazioni, si pettinò velocemente intrecciando i lunghi capelli in un largo nodo dietro la nuca. Quindi andò in camera della bambina e vide che si era finalmente svegliata. Dopo aver giocato con lei per alcuni minuti le fece il bagnetto, cospargendo di talco la pelle tenera e leggermente arrossata dall’acqua, e le mise una tutina pulita. Scaldò l’acqua nell’apposito bollitore e mise tre misurini di latte in polvere nel biberon. Diede da mangiare alla bambina, le fece fare il ruttino e aspettò fino a che non la vide addormentata. Poi scese le scale con Martine in braccio e la mise nella carrozzina che si trovava nel guardaroba a lato del vestibolo di ingresso.

Ignorando il tavolo della colazione, riccamente apparecchiato nella sala da pranzo, afferrò un paio di biscotti da un piatto e salutò Mrs. Bauer.

La governante sorrise nel vederle uscire e, quasi senza volerlo, si ritrovò a pensare che sembravano davvero una giovane mamma con la figlioletta di pochi mesi. Era ormai diventata un’abitudine vedere Clare portare a passeggio la bimba nel parco della villa, la mattina presto, ma i primi giorni le era parsa una cosa piuttosto insolita. Poi aveva capito che Clare preferiva portare fuori la neonata prima che facesse troppo caldo e che, memore delle istruzioni ricevute, non si allontanava mai dalla villa. Raggiungeva un gazebo posto all’estremo confine della proprietà e lì sostava fino all’ora di pranzo quando rientrava attraverso il viottolo ombreggiato dagli alti sempreverdi che circondavano il campo sportivo, a quell’ora sempre deserto.

Clare passeggiò lentamente, spingendo la carrozzina, fino alla costruzione con il tetto a cupola all’estremità del prato. La giornata era splendida e nel cielo azzurro non si poteva scorgere neppure una nuvola. Sedette sulla panchina di ferro battuto che le permetteva una piena visuale della villa e, dopo essersi accertata che Martine continuasse a dormire, tirò fuori il blocco da disegno e le matite.

Il tempo scorreva lentamente e sotto il suo abile tocco il profilo della costruzione in pietra bianca prese forma, parzialmente nascosto dagli alberi alti. Poi fu la volta di un bellissimo cespuglio che fioriva poco lontano dalla sua panchina e infine su la volta di Martine, ripresa da tante diverse angolazioni. Era così impegnata a ritrarre accuratamente i tratti delicati della neonata che solo all’ultimo momento si accorse di una donna, vestita con un completo rosso, che si avvicinava al gazebo a passo sostenuto.

Era piccola e minuta di costituzione, con i lunghi capelli castano scuro sciolti sulle spalle.

Clare posò il blocco e si alzò in piedi facendo scudo con la propria figura alla carrozzina dove Martine continuava a dormire indisturbata.

Sul viso della sconosciuta apparve un largo sorriso – Tu devi essere Clare, Mrs. Bauer mi aveva detto che ti avrei trovata qui. – esordì con una voce chiara tendendole mano sottile, ornata di un grosso brillante, in segno di saluto – Non ci conosciamo. Io sono Patricia Gatsby, un’amica di Benji, ma puoi chiamarmi Patty come fanno tutti -

Clare le strinse meccanicamente la mano, leggermente stordita da quel fiume di parole, e Patty si lasciò cadere su di una poltroncina in ferro battuto massaggiandosi energicamente una caviglia – Maledetti tacchi… - borbottò sfilandosi una scarpa. Poi le sorrise – Mi dispiace di essere piombata qui come un ciclone ma sono venuta a trovare Benji, o meglio, sono venuta a vedere la bambina. – cercò di spiegare - Quel testone non la porterà mai a farla vedere al resto della squadra, così sono qui io.-  

Clare la guardò attentamente – Lei non è una giornalista, vero? – chiese dubbiosa

Patty la fissò per un attimo, poi scoppiò a ridere – No, certo che no…Credi che Mrs. Bauer mi avrebbe lasciata entrare impunemente se solo avesse sospettato che avevo qualcosa a che fare con la stampa?-

Anche Clare sorrise divertita all’immagine della temibile governante – No, credo proprio di no –

- Bene.- Patty si rilassò appoggiandosi comodamente allo schienale della poltroncina – Capisco che Benji non voglia che la bambina venga continuamente fotografata ma ha assunto un atteggiamento un po’ paranoico. A proposito, sai dove si trova adesso? -

- Credo si stia allenando.-

Patty sbuffò – Non è possibile, tale e quale al mio Holly.- Poi si avvide dell’occhiata interrogativa di Clare e spiegò – Oliver Hutton, l’attaccante della nazionale giapponese…mai sentito nominare? –

Clare scosse la testa e sorrise – No, mi dispiace.-

L’espressione di Patty da sbalordita divenne compiaciuta – Scommetto allora che non sapevi neppure chi fosse Benji, prima di venire a lavorare per lui – azzardò

- Infatti.-

Patty scoppiò a ridere per la seconda volta in pochi minuti – Questa si che è bella! Chissà come ci sarà rimasto male quell’essere arrogante e pieno di sé! Finalmente una ragazza che non conosce il grande SGGK! –

- Patty! -

Una voce maschile alle loro spalle le fece sussultare entrambe. Benjiamin Price era arrivato silenziosamente dietro di loro, senza fare il minimo rumore. Doveva avere appena terminato gli allenamenti perché indossava una felpa di cotone rosso, macchiata d’erba, e aveva ancora ai piedi le scarpe con i tacchetti. Aveva indosso il solito berretto e la visiera gli nascondeva i penetranti occhi scuri. 

- Benji! –il saluto di Patty era pieno di gioia – Non perderai mai l’abitudine di sbucare fuori all’improvviso! Prima o poi mi farai venire un infarto! – lo rimproverò

- Così io sarei arrogante e pieno di sé! – citò lui ignorando il saluto.

Clare arrossì leggermente ma Patty rise alzandosi sulla punta dei piedi e costringendolo a chinarsi per schioccargli un sonoro bacio sulla guancia – Meno male che sei arrivato, altrimenti avrei potuto dire anche di peggio! – esclamò ridendo.

- Già. Potresti rovinarmi quel poco di reputazione che mi rimane. – borbottò lui.

– Per quello ci hai già pensato abbondantemente da solo – ribattè impertinente.

Benji fece una piccola smorfia – Penso tu abbia ragione ma non è il caso di peggiorare la situazione.-

Patty lo squadrò con vivacità – Sono venuta per vedere la bambina - annunciò – Non è giusto che tu la tenga nascosta. -

Benji non replicò ma fece un cenno a Clare che prese in braccio la neonata addormentata.

Sul volto di Patty si allargò un enorme sorriso – E’ bellissima! – esclamò rapita

- Si chiama Martine, ha quasi tre mesi. – la informò Clare.

- Che splendore! Oh Benji, che amore! Come vorrei che anche Holly ed io avessimo un tesorino simile! – Patty era letteralmente estasiata – Posso prenderla in braccio? – chiese rivolta a Clare

- Certamente. Basta fare attenzione alla testa. E’ molto delicata. - la istruì porgendole correttamente la neonata. Ristette lì senza sapere cosa altro fare mentre l’attenzione di Patty era completamente assorbita dal frugoletto che aveva tra le braccia.

- Come sarà possibile che tu, da quel caprone che sei, diventi un genitore adeguato! – esclamò Patty cullando teneramente Martine

Lui si strinse nelle spalle– Forse perché in realtà sono molto più bravo di te, Gatsby – ribattè pungente.

Patty rise – Oh, no!- esclamò – Sei sempre stato solo più fortunato! –

Un lampo di sofferenza attraversò lo sguardo di Benji ma Patty non lo vide, intenta a vezzeggiare la neonata che nel frattempo aveva aperto gli occhietti. Clare si accorse dell’espressione che percorse velocemente il viso dell’uomo ma credette quasi di esserselo immaginato. Quando Patty alzò lo sguardo e gli sorrise, pochi istanti dopo, sul viso del suo datore di lavoro campeggiava la solita espressione arrogante e determinata.

Lo sguardo di lui incontrò quello di Clare da sotto la visiera del cappello e vi si allacciò strettamente.

Lei arrossì leggermente e distolse lo sguardo. Gli occhi dell’uomo erano così intensi e profondi che sembravano leggerle l’anima. Anche Patty si accorse del suo imbarazzo e le venne in aiuto restituendole la bambina, dopo aver scoccato a Benji un‘occhiata indagatrice. – Adesso avrei proprio voglia del tè di Mrs. Bauer. – esclamò fissandolo intensamente.

Patty ebbe appena il tempo di salutare Clare che lui non fece commenti ma, presala sotto braccio, iniziò a sospingerla verso la villa.

- Ehi Benji, vai più piano! – esclamò faticando a tenere il passo, in precario equilibrio sui tacchi alti – Sembra che tu non veda l’ora di liberarti di me! -

Lui ebbe la decenza di arrossire leggermente – Scusami Patty – disse rallentando l’andatura.

Patty gli posò una mano sull’avambraccio – Cosa succede Benji? –

- Niente – la voce di lui aveva assunto un tono secco e indifferente ma Patty vide che sfuggiva il suo sguardo. Sapeva per esperienza che quando Benji Price aveva deciso di chiudersi a riccio niente e nessuno lo avrebbero indotto a lasciarsi sfuggire qualche confidenza.

Lo conosceva fin da quando, ragazzini, lui giocava, come portiere, nella squadra di calcio del Saint Francis e lei era il capo del coro dei sostenitori della Newppy.

Lui prepotente e presuntuoso, lei un maschiaccio scatenato e irruento. Fra loro erano state subito scintille.

Poi alla Newppy era arrivato Holly e i due avevano dato vita ad una sfida in cui Benji era risultato, all’inizio, perdente.

Quella bruciante sconfitta aveva scatenato in lui un fortissimo desiderio di rivalsa che lo aveva portato ad allenarsi e a cercare di migliorare continuamente, mai pago dei risultati raggiunti. La sfida con l’amico- rivale  Oliver Hutton era continuata. Oliver giocava a calcio per divertimento, per pura passione. Per Benji giocare era, invece, una questione di orgoglio, di riuscita. Non poteva accontentarsi di essere bravo, doveva dimostrare di essere il migliore.

Successivamente le due squadre si erano unite per rappresentare la città al torneo nazionale e, con l’arrivo di Tom Becker, la nuova squadra, ribattezzata New Team, possedeva finalmente due attaccanti-centrocampisti di tutto rispetto, la Golden Combi, e un portiere che si portava appresso il soprannome meritato ed ingombrante di Super Great Goal Keeper.

Alla fine del campionato, dopo la vittoria, Benji era partito per l’Europa, destinazione Germania, seguito dal fidato Freddy Marshall, per giocare nella primavera dell’Amburgo.

Durante quegli anni Patty aveva seguito i suoi successi sportivi, al pari di quelli di Holly, attraverso i giornali e la televisione. Anche in Germania, merito della sua caparbietà, il suo soprannome lo aveva seguito e, dopo un solo campionato, aveva conquistato il posto di titolare nell’under 21. Patty poteva soltanto immaginare i duri allenamenti e la fatica che doveva aver fatto per raggiungere quei livelli, lui un portiere giapponese.

Si erano rivisti a Parigi, in occasione della World Youth Cup, e l’inverno dopo lui aveva iniziato a giocare come giocatore professionista, portiere di riserva in prima squadra nell’Amburgo. La stagione successiva Benji era diventato il portiere titolare e l’anno successivo l’Amburgo aveva vinto la Coppa U.E.F.A. in Champions League.

Era considerato uno dei migliori portieri della Bundesliga e, l’anno in cui l’Amburgo aveva conquistato la Coppa di Germania, il Bayern Monaco lo aveva acquistato con un contratto da capogiro.

Nel Bayern Monaco Benji aveva mietuto successi e acquisito l’esperienza necessaria a supportare il suo straordinario talento. Adesso all’età di ventisette anni era considerato uno dei migliori portieri al mondo e Patty sapeva che per Benji, come per Holly, la meta da raggiungere era quella di giocare ai prossimi Mondiali e diventare campioni.

Il grande SGGK, il portiere che riusciva a mantenere tutto il suo sangue freddo di fronte all’attaccante più temibile di tutta la Bundesliga, il campione schivo, taciturno, cinico e inflessibile, ecco come il mondo vedeva Benjiamin Price, davanti alle telecamere, agli obiettivi dei fotografi e nelle interviste. Non era facile andare oltre le apparenze e scorgere, dietro la facciata di uomo di talento e di successo, le piccole crepe che attraversavano la corazza che lui era solito indossare di fronte agli altri. Non occorreva essere uno psicologo per capire che gli anni di solitudine ed il perenne conflitto con la sua famiglia avessero contribuito a farlo diventare l’uomo che era adesso ma l’amicizia con Holly e con gli altri compagni di squadra avevano sempre smussato questo lato difficile del suo carattere.

Però qualcosa era cambiato.

Da quando era ritornato in Giappone, preceduto da quella serie di notizie infamanti su di un suo presunto coinvolgimento nella morte di quella modella, Patty lo aveva visto animato da una furia cieca. Sembrava quasi che in campo e durante gli allenamenti sfogasse un tormento interiore.

Era duro, preciso, incredibilmente determinato.

Era arrivato fra loro con quella notizia sconvolgente… l’impegno di doversi occupare di quella bambina la cui madre era morta nel darla alla luce… aveva lasciato tutti di stucco.

Patty si sarebbe aspettata di vederlo preoccupato di dover allevare da solo Martine e, invece, lui aveva stupito tutti informandoli piattamente che aveva trovato chi si sarebbe occupato della piccola. Sembrava del tutto indifferente alla questione ma l’irrigidimento dei muscoli e la tensione che aveva letto sul suo volto dicevano esattamente il contrario.

Era un uomo complesso, con una forza d’animo e una volontà incrollabili, e Patty lo temeva.

Sapeva che la sua ira poteva raggiungere vette altissime se scatenata ma era anche consapevole che, senza un po’ di dolce violenza, non sarebbe riuscita a spingerlo a confidarsi e a scaricare un po’ del peso che sembrava gravargli sulle spalle.

Ricordava ancora come lui le fosse stato vicino anni prima, quando credeva di aver perduto Holly per sempre, spronandola a non arrendersi.

- Che cosa succede Benji? – ripeté dolcemente intensificando la stretta per costringerlo a darle retta – Non dirmi che non è nulla, perché non ci credo. -

Lui guardò un punto indefinito di fronte a sé e alzò le spalle con indifferenza – Forse è solo un po’ di tensione, in vista dell’incontro con la Thailandia. –

Patty lo guardò dubbiosa – Ne sei sicuro? Sei cambiato così tanto… -

-Trovi?-

- Si…- Patty proseguì testardamente – Anche Holly e gli altri se ne sono accorti…-

Sul viso di Benji apparve un sorrisetto beffardo – Di loro di non preoccuparsi. Le mie prestazioni in campo non saranno inferiori alle aspettative. Vinceremo contro la Thailandia.-

- Benji! – Patty si fermò piantandosi saldamente i pugni sui fianchi - Non hai idea di quanto sai essere esasperante a volte! Loro sono i tuoi amici e si preoccupano per te. Sanno benissimo che non li deluderesti mai. – esclamò.

- Bene. - il suo tono di voce aveva un che di conclusivo – Allora ti prego di tenere per te le tue preoccupazioni. Sto benissimo.- disse aprendole la porta e scostandosi per lasciarla entrare.

Patty sospirò esasperata. Si lasciò condurre in salotto e attese che lui facesse servire il tè poi ritornò all’attacco – I ragazzi della squadra sono rimasti molto stupiti che tu non li avessi informati di Martine. E' tua figlia e un figlio una gioia da condividere. Invece sembra quasi che tu la voglia nascondere.- 

Lui si passò una mano sulla fronte con un gesto stanco - Non voglio che diventi un fenomeno da circo, Patty.  Ha diritto ad un’infanzia lontano dai riflettori, soprattutto adesso, dopo quello che è successo. -

Patty sorrise leggermente - Vive con te, Benji. Sei il SGGK e lei farà parte della tua famiglia. Sarà sempre al centro dell’attenzione. Non potrai impedirlo. –

- No ma, almeno per ora, posso sperare di tenere lontana la stampa da tutta questa storia. – il suo viso era serio quando lasciò scorrere lo sguardo fuori dalla finestra sul prato verde che circondava la villa. - Il Tribunale dei Minori  mi ha dato solo l’affidamento temporaneo della bambina. Tra sei mesi ci sarà l’udienza per l’adozione definitiva. – confessò

- Cosa intendi dire? – indagò lei mescolando lo zucchero del suo tè.

Benji sospirò pesantemente – Il giudice, la dottoressa Leumann, ha acconsentito a darmi l’affidamento temporaneo di Martine solo i ragione del testamento di Liesel. Non sono considerato un tutore adeguato per via del lavoro che faccio e per il fatto che non sono sposato. – spiegò.

- Vuoi dire che potrebbero toglierti la custodia della bambina? – Patty era scioccata

Lui annuì - Tra sei mesi il giudice potrebbe decidere di affidarla ai servizi sociali e metterla in un istituto in attesa di una famiglia adottiva. -

- E’ terribile! Non possono fare questo … - Patty era genuinamente sconvolta. 

Sul volto di Benji passò un’ombra scura -  Possono. – replicò asciutto – Almeno a quanto dice l’avvocato Kraser. L’unica soluzione sarebbe che io trovassi una moglie prima della data dell’udienza. In questo caso, presentandoci come una famiglia e con il testamento di Liesel che mi nomina tutore di Martine, ci sarebbero ottime probabilità che il giudice decida a mio favore. –

Patty bevve un sorso del suo tè e posò la tazza sul tavolino osservandolo attentamente – Saresti disposto a sposarti per il bene di Martine? – chiese titubante.

Lui scrollò le spalle con noncuranza – Patty, non voglio una moglie, se è questo che intendi. Ho sempre condotto la mia vita così com’è, in maniera piuttosto soddisfacente. Mi serve solo una donna che sappia fare da madre a Martine e che non accampi troppe pretese. – chiarì con indifferenza.

Patty lo guardò sbalordita per ciò che aveva in mente di fare – E pensi di riuscire a trovarla? – riuscì a chiedergli

- Devo. - il tono di lui era estremamente determinato – Non ho altra scelta. -

Lei scosse la testa - Non posso essere d’accordo con te, Benji. Anche se so che fai tutto questo per il bene di Martine. Un matrimonio deve costruirsi su basi differenti. Ci vogliono amore, affetto e comprensione reciproci. Non è un contratto o un accordo commerciale. Come pensi che vivrà Martine in una casa dove coloro che dovrebbero essere i suoi genitori si ignorano apertamente? – gli chiese cercando di farlo ragionare

Un muscolo iniziò a pulsare sulla guancia abbronzata dell’uomo - Sicuramente meglio che in una stamberga con molto amore e poche possibilità – ribattè duramente – Liesel voleva che sua figlia crescesse negli agi e con una solida posizione sociale alle spalle. Sapeva benissimo che io non costituisco la famiglia ideale però posso dare alla bambina tutto quello che potrebbe desiderare. Sua madre ha fatto questa scelta e a me non resta altro che cercare di esaudire il suo desiderio. -

- E tu? Come farai tu? Non è questo quello che vuoi … – Patty diede voce ai timori che nutriva per l’amico.

Benji non rispose e nella stanza calò un silenzio ostinato. Patty riconobbe nel testardo atteggiamento della mascella serrata che egli aveva ormai preso la sua decisione. Cercò di distogliere l’attenzione da quell’argomento spinoso e accennò con un gesto della mano al giardino – Mrs. Bauer mi ha tessuto le lodi di Clare e da quello che ho potuto vedere ha perfettamente ragione. Verrà con te in Germania? -

Benji corrugò leggermente la fronte e passò un lungo istante prima che si decidesse a rispondere. Le sue parole furono estremamente misurate - Non c’è nessun accordo in proposito. A me serve qualcuno che si occupi della bambina a tempo pieno fino a che non avrò trovato una moglie. Sono spesso fuori e devo sapere di poterla lasciare in buone mani. –

Stranamente il pensiero che Clare non lo seguisse in Germania gli risultava particolarmente fastidioso.

Patty posò la tazza da tè sul tavolino  - E’ molto giovane…- osservò tranquillamente – E anche molto bella.-

Lui inarcò un sopracciglio scoccandole un’occhiataccia - Ti assicuro che non erano questi i requisiti che cercavo quando ho chiesto a Mrs. Sommerson di scovarmi una bambinaia. – replicò brusco.

Patty sostenne il suo sguardo di riprovazione e lo valutò attentamente, battendosi pensosa l’indice contro la guancia  - Sei mai stato innamorato, Benji? – gli chiese a bruciapelo.

La domanda lo fece sussultare leggermente –Cosa centra adesso… - iniziò

- Rispondi. – Patty non aveva intenzione di farsi sviare – E’ solo una semplice domanda. -

Lui corrugò la fronte in un gesto di fastidio – No. Non credo di aver mai amato veramente una donna.-

Patty trattenne il respiro – E Liesel?- buttò là aspettando una sua reazione

Negli occhi di Benji passò un bagliore pericoloso – Cosa vuoi dire? - chiese duramente.

- Non parli mai di lei…- la voce di Patty era poco più che un sussurro.

La ragazza lo vide irrigidirsi - Non c’è niente da dire. – la sua voce era aspra, controllata a fatica – La conoscevo. Abbiamo avuto una relazione che è finita molto tempo fa. –

- Ma Martine … -

- Martine non è mia figlia. – il tono di Benji era privo di qualsiasi emozione mentre si abbassava accuratamente la visiera del cappello sugli occhi – Liesel ed io non dormivamo assieme da molto tempo … è rimasta incinta di qualcun altro dopo che ci eravamo lasciati. -

Patty trattenne il fiato e distolse lo sguardo fissando senza vederlo un punto oltre le spalle dell’uomo – Oh, Benji …mi dispiace tanto. – mormorò.

- Non occorre che ti scusi, Gatsby. Era una situazione che mi trovava perfettamente d’accordo. Io…non potevo darle quello che lei desiderava – concluse seccamente.

Patty lo osservò affranta – Sai chi è il padre della bambina? – si arrischiò a chiedergli

- No – Benji scosse il capo – Non ne ho la più pallida idea. Liesel non me lo ha mai detto. -

- Non sai chi lei frequentasse? Magari è qualcuno di cui si era innamorata dopo che vi eravate lasciati. -

Sul viso di Benji apparve il solito sorrisetto sarcastico – Non lo so Gatsby e francamente non ha importanza. Evidentemente Liesel non voleva che fosse lui a crescere la bambina. Immagino che anche tu sappia che per fare un figlio non serve essere innamorati. -

Patty gli lanciò un’occhiataccia ma poi il suo sguardo si addolcì.

Era un uomo talmente solitario e silenzioso. Anche a questa esperienza lui aveva reagito arroccandosi in difesa, difendendo strenuamente la riservatezza della sua vita privata e le sue scelte.

- Mi dispiace così tanto, Benji… i giornali hanno scritto delle cose terribili… - mormorò

Benji strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche – Pochi mesi prima di morire Liesel è venuta a cercarmi. Era incinta ed era malata. Forse non se ne rendeva conto neppure lei ma i medici mi dissero che non avrebbe mai dovuto avere un figlio nelle sue condizioni. Io purtroppo non mi sono accorto di quanto stesse male. – Il suo volto granitico fu attraversato da un  lampo di rimorso – In quel momento ero troppo preso dagli impegni di campionato, dalle partite di coppa. Ero spesso fuori casa. Mi limitai ad aiutarla finanziariamente in nome della nostra… vecchia amicizia. La sua malattia… non aveva niente a che fare con la droga e… neppure io. – concluse soffocando la collera che gli montava dentro.

Patty gli afferrò le mani stringendole con forza - Credimi Benji, nessuno ha mai dubitato di te! – esclamò con foga

Dopo un attimo di esitazione lui annuì leggermente – Purtroppo questo non cambia lo stato delle cose. I giornalisti hanno costruito un castello di menzogne alle quali molto facile credere. Mi hanno coinvolto in quello che è stato lo scandalo della stagione ed io sarò sempre sospettato di aver fatto uso di sostanze illecite. D’ora in poi ogni mia prestazione agonistica sarà messa in discussione. - replicò con amarezza.

– Puoi sempre indire una conferenza stampa, rivolgerti a degli avvocati…costringerli a rimangiarsi la loro spazzatura - mormorò Patty

- No! – disse, alzandosi di scatto e voltandole le spalle.

Quella semplice piccola parola era stata pronunciata con tanta forza che Patty non ebbe il coraggio di replicare. Guardò affranta l’ampia distesa della sua schiena comprendendo appieno il tormento che lo rodeva.

Benji Price era un uomo orgoglioso e non era mai fuggito di fronte a niente in tutta la sua vita. Se questa volta restava impotente a guardare quelli sciacalli gettare nel fango la sua reputazione non era né per timore né per inettitudine. Aveva deciso di difendere la memoria di una giovane donna della cui morte si sentiva in parte responsabile e di proteggere la piccola vita che era stata affidata alle sue cure.

 

Più tardi, dopo che Patty se ne fu andata affermando che sarebbe tornata il giorno dopo per vedere Martine, Benji salì al piano superiore.

La porta della nursery era aperta dalla culla della bambina provenivano dei piccoli rumori che stavano ad indicare che la piccina era sveglia. Si avvicinò e sbirciò quell’esserino che, disteso supino era intento a baloccarsi, come fanno i bimbi di pochi mesi, con le dita delle mani e dei piedi.

Martine emetteva dei gridolini estasiati e sul suo visino apparivano tutta una serie di sorrisi.

Clare era china sul fasciatoio intenta a sistemare una serie di barattoli e non si accorse dell’imponente figura china sopra la culla. Si volse di scatto e per poco non gridò. Le sfuggì di mano un contenitore che cadde a terra con un tonfo e rotolò lontano fino ai piedi di lui.

Benji si volse verso di lei e si avvide di averla spaventata.

- Mi dispiace, signorina Miller – disse l’uomo chinandosi a raccogliere il barattolo – Non volevo spaventarla.-

Lei annuì e i suoi occhi lo fissarono come due enormi laghi d’ambra – E’ venuto per vedere Martine? – chiese con la voce che tremava un poco.

Benji, che in realtà non sapeva neppure lui perché fosse entrato, fece un cenno affermativo con il capo – Volevo sapere come sta. –

Clare fece un sorriso incerto – E’ tutto a posto. La stavo cambiando prima di farle fare un sonnellino. Vuole prenderla in braccio per qualche minuto, mentre metto a posto la biancheria? – gli chiese

Benji parve soppesare la cosa per un attimo – No… è meglio di no. Ero venuto solo per dare un’occhiata – disse osservando Martine dalla cui bocca uscivano piccole bollicine di saliva.

La ragazza gli parve delusa e lui si dispiacque della risposta che aveva dato ma… no, non era assolutamente in grado di fare una cosa del genere…

Si trovò a riflettere sul perché gli importasse l’opinione di una dipendente e mentre la guardava riporre una copertina pulita nel cassettone si rese conto che Patty aveva perfettamente ragione: Clare Miller era una giovane donna molto bella e molto sensibile. Si chiese perché facesse un lavoro così impegnativo e così anonimo quando altre donne avrebbero sicuramente preferito occupazioni che procurassero loro maggiori gratificazioni.

La vide prendere in braccio Martine e mormorarle all’orecchio tante paroline dolci mentre passeggiava, cullandola per farla addormentare. Era un’immagine che gli evocava una prorompente tenerezza.

Si affrettò ad uscire silenziosamente fuori dalla stanza.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


CAPITOLO V

 

“ Io giro attorno a Dio

alla torre antichissima

giro da mille secoli

e ignoro tuttavia

se sono un falco

un turbine

oppure un grande canto”

(R.M. Rilke)

 

 

I giorni si susseguirono lenti, come tante perle su un filo. Le lunghe giornate estive si accumularono a formare settimane e giugno lasciò il posto ad un luglio afoso che lasciava prevedere un’abbondante stagione delle piogge. Venne e passò il giorno del ventesimo compleanno di Clare e la ragazza constatò con il passare del tempo che un mutamento era intervenuto nella sua esistenza, mano a mano che si insediava saldamente nella sua posizione uniformandosi ai ritmi di villa Price.

Clare era interamente assorbita dalle cure che prodigava alla piccola Martine e dalle visite di Patty che passava a salutarla almeno una volta al giorno. La fidanzata di Oliver Hutton era una persona esuberante e piena di vita e ben presto le due ragazze avevano scoperto di avere molti punti in comune oltre ad essere accomunate dall’amore per la piccola orfana.

Clare trovava la sua compagnia estremamente piacevole e apprezzava, per la prima volta nella sua vita, la possibilità di confrontarsi e confidarsi con una giovane donna di poco più vecchia di lei. A causa della sua timidezza e dei problemi che erano emersi a seguito dell’aggressione, non aveva mai avuto un’amica all’interno delle mura del collegio, e, quando era diventata maestra, si era sempre dovuta confrontare con persone molto più adulte di lei. Non aveva mai condiviso con nessuno i piccoli segreti e le confidenze da adolescente e neppure i primi palpiti, le prime cotte, il primo amore. Tutto questo semplicemente perché Clare non era mai stata innamorata. Era come se la terribile esperienza che aveva vissuto, oltre a segnarla irrimediabilmente, le avesse strappato la spensieratezza e le gioie che le ragazze vivevano abitualmente alla sua età.

Dal canto suo Patty si era accorta che Clare faceva di tutto per nascondere il suo corpo dentro quei vestiti informi e come era naturale al suo carattere schietto le aveva chiesto delle spiegazioni. Le deboli scuse di Clare sulla comodità degli indumenti non l’avevano affatto convinta e un pomeriggio che erano sole nel giardino della villa aveva deciso di riprendere l’argomento.

Martine aveva da poco terminato il suo pasto e sonnecchiava nella carrozzina all’ombra degli alti sempreverdi che costeggiavano il campo sportivo e le due ragazze si erano sedute su una panchina.

Il pomeriggio era mite e Clare aveva tirato fuori l’album degli schizzi. Dopo aver visto per caso i disegni di Clare, Patty ne era rimasta così entusiasta da convincere la nuova amica a iniziare a lavorare ad un suo ritratto che voleva assolutamente regalare ad Holly quando lui avesse fatto ritorno in Brasile.

- Sei così brava che potresti mantenerti lavorando come ritrattista, non ci hai mai pensato? – le chiese strappando un filo d’erba e rigirandolo tra le dita. 

Clare sorrise leggermente mentre la sua mano correva veloce sul foglio, tracciando il profilo di Patty con il carboncino – Mi piace molto insegnare e se decidessi di dedicarmi interamente ai miei ritratti dovrei abbandonare il collegio. Adoro i bambini e veder crescere giorno dopo giorno Martine è un’esperienza bellissima. –  rispose con un sorriso.

Patty fece una smorfia – Si, certo ma questo non è un lavoro che farai per sempre. –

- No, infatti – Clare la guardò rapidamente in viso e poi tornò a concentrarsi sul foglio che aveva davanti – Quando Martine tornerà in Germania io riprenderò il mio posto di insegnante al collegio. Mrs. Sommerson mi ha assicurato che questa è soltanto una situazione provvisoria. -

Patty la guardò interdetta – Non ti piace vivere qui? –

- Oh, no! – Clare scosse la testa con decisione – La casa è bellissima, Martine è adorabile e sono tutti molto gentili con me. Però quando Mr. Price e la bambina partiranno per la Germania non ci sarà più bisogno di me. -

Patty congiunse le mani in grembo osservando pensosa i bagliori provenienti dallo splendido anello che Holly le aveva regalato – Hai qualche affetto che ti lega qui? – chiese gentilmente

Clare si ravviò una ciocca di capelli sfuggita alla pesante treccia dietro l’orecchio – Ho la mia vita al collegio. Mrs. Sommerson, le bambine, le mie colleghe. I miei genitori sono morti molti anni fa. – disse quietamente.

Patty sorrise – Ti piacerebbe un giorno avere un figlio tuo, invece che allevare quelli degli altri? - insistette

Clare aggrottò leggermente la fronte concentrandosi sullo spessore del tratto – Non lo so, non ci ho mai pensato. La mia vita al collegio è sempre stata molto tranquilla. –

- E prima? Hai sempre vissuto al collegio? Non avevi qualche parente? -

Clare impallidì e la mano che scorreva rapida sul foglio di carta si fermò bruscamente – Avevo una zia …la sorella di mio padre. Ho vissuto per un po’ a casa sua. – mormorò cercando di ritrovare la concentrazione e scacciare la sensazione di gelo che l’aveva invasa.

- E perché non sei rimasta con loro? – le domandò gentilmente notando il pallore innaturale che si era diffuso sul viso della ragazza.

Clare smise di disegnare – Io… - non riusciva a nascondere la verità, non voleva mentire a Patty eppure temeva il suo giudizio. Non avrebbe sopportato veder diffuso sul volto dell’amica l’orrore e il disgusto. Posò l’album sulla panchina. – Ho avuto dei problemi …  – disse con voce soffocata.

Patty si accorse che la ragazza era genuinamente sconvolta. Prese le mani tra le sue e si accorse che erano gelide – Che ti prende, Clare? Ti senti male? – chiese preoccupata.

- No, non è niente, davvero - Clare si sforzò di fare un sorriso – Sto bene. -

Patty la guardò attentamente - Cosa è successo, Clare? – le chiese forzandola a parlare e stringendo le mani della ragazza tra le sue – Stai tremando. -

Clare si aggrappò a quella stretta con una forza sorprendente per quelle dita esili e gli occhi le si riempirono di lacrime. Distolse lo sguardo incapace di sopportare il disprezzo che si sarebbe formato sul volto di Patty

- Sono dovuta andare via … il marito di mia zia… - la sua voce era rotta e giungeva come un sussurro – Lui … ha cercato di violentarmi. Oh, Patty! …– esclamò disperata alzando lo sguardo, cercando implorante la comprensione in quello dell’amica, mentre le lacrime colavano dai bellissimi occhi. - Avevo solo tredici anni! -

La rivelazione colpì Patty con tutta la sua devastante portata – Oh, cielo! – mormorò scioccata. Abbracciò Clare, scossa dai singhiozzi, accarezzandole il capo come se fosse stata una bambina – Shh … non fare così … adesso sei al sicuro … - cercò di consolarla.

Clare cercò di riguadagnare un po’ di controllo e con le mani tremanti cercò il fazzoletto nella tasca del vestito – Mi … mi dispiace  - disse cercando di trattenere i sigulti che la scuotevano e asciugandosi gli occhi.

Patty la guardò allibita – Ti dispiace? Di cosa? Di disperarti per aver vissuto un’esperienza così terribile? Oh, Clare …- mormorò con gli occhi colmi di pena.

La ragazza la guardò con gli occhi arrossati dal pianto – In Tribunale, quando gli hanno tolto l’affidamento, lui ha detto che era colpa mia … che io lo avevo provocato … - ogni parola che pronunciava come un lieve sussurro sembrava un grido di dolore.

- Che bastardo! – Patty fremeva dalla rabbia - Dov’è adesso quell’uomo? – chiese dopo aver riguadagnato un tantino di calma.

Clare cercò di asciugarsi gli occhi con il fazzoletto zuppo - E’ morto, alcuni anni fa. – la sua voce era atona – Non sono riuscita a provare dispiacere. -

Patty le strinse le mani – Nessuno ci sarebbe riuscito, cara. E’ una fortuna che sia accaduto. Pensa a quello che avrebbe potuto fare a un’altra ragazza. – cercò di consolarla.

Clare annuì e distolse lo sguardo fissando un punto lontano. – Dopo quello che era successo non sono più ritornata a casa da mia zia. –

- Sei sempre vissuta al collegio? -

- Si, avevo ottenuto una borsa di studio e così potei finire la scuola superiore. Poi Mrs. Sommerson mi ha aiutata a trovare un posto da maestra e ho potuto continuare ad insegnare al collegio. – la sua voce si assottigliò fino a diventare solo un roco bisbiglio – I primi tempi sono stati molto difficili … di notte avevo gli incubi …mi svegliavo urlando. -

A Patty si strinse il cuore - E’ questo il motivo per cui ti infili dentro questi enormi abiti a campana? –  le chiese gentilmente indicando il vestito verde che l’altra indossava – Per apparire meno visibile? Per nasconderti agli occhi degli uomini? -

Le guance di Clare divennero paonazze. Annuì lentamente.

- Oh, Clare … - Patty la fece girare verso di sé costringendola a guardarla – Non tutti gli uomini sono delle bestie. Quando ami una persona trovi piacevoli i suoi baci, le sue carezze e… – arrossì leggermente – il lato fisico dell’amore. -

Clare la guardò come se parlasse un’altra lingua – Io non sono mai stata innamorata. –disse semplicemente.

Se Patty avesse conosciuto Gedeon Dawson avrebbe voluto uccidere quell’uomo. Aveva rinchiuso quella ragazza bella e intelligente dentro una prigione invisibile fatta di paure, impedendole di vivere una vita serena. Era come se l’animo di Clare fosse racchiuso dentro il bozzolo del suo incubo personale, incapace di sciogliere i fili che la tenevano legata al passato. Patty poteva soltanto immaginare l’orrore e il disgusto che una simile esperienza avesse lasciato in una ragazzina di soli tredici anni. Non c’era da meravigliarsi che cercasse di celare il suo corpo dentro quegli indumenti informi. Per Clare erano una sorta di scudo, di protezione dagli occhi e dai giudizi della gente. Pensò a Benji e a come si servisse del suo berretto allo stesso modo… impedire che gli altri potessero avvicinarsi a lui, scoprire i suoi lati vulnerabili.

Erano così simili quei due … segnati dalle loro esperienze …entrambi così pieni di dolore.

Le batté un colpetto sul polso sottile – Non preoccuparti, per l’amore c’è tempo. Intanto possiamo modificare qualcosa del tuo aspetto e aiutarti a fare qualcosa davvero per te stessa. – disse sorridendole rassicurante.

Clare fece per obiettare ma Patty fu inflessibile – Lascia fare a me. Domani ti porto a fare spese. – dichiarò con piglio autoritario – Devi smetterla di sembrare un piccolo bruco, è ora che ti trasformi in una splendida farfalla. -

Con il consenso riluttante di Benji e dietro forti pressioni da parte di Patty, le due ragazze avevano iniziato a portare a passeggio Martine fuori dal parco della villa.

Dal momento che anche la piccola aveva bisogno di nuovi indumenti si divertirono a girare tutti i negozi specializzati facendo spesso ritorno cariche di buste e pacchettini. Durante quelle uscite Patty si divertiva a trascinare una recalcitrante Clare dentro i negozi che lei frequentava abitualmente, costringendola a provarsi qualunque cosa stuzzicasse il suo interesse.

Alla fine avevano raggiunto un compromesso: Patty avrebbe lasciato perdere i vestiti troppo aderenti e le minigonne mozzafiato e Clare si sarebbe lasciata consigliare sulla scelta dei tessuti e dei modelli. Si accordarono su uno stile piuttosto classico che valorizzava la figura sottile mettendone in risalto la grazia tutta femminile.

Benji era stato molto generoso con il suo assegno mensile e Patty fu prodiga di consigli. Nel suo giorno libero l’accompagnò a scegliere abiti dal taglio morbido, comodi pantaloni e golfini dai colori delicati. Scelse per Clare biancheria seducente e discreta e l’accompagnò dal parrucchiere per farle spuntare i capelli e consigliare il trucco. Clare non aveva mai fatto uso di cosmetici e l’estetista applicò solo un tocco di mascara e un velo di lucidalabbra.

Patty era entusiasta e Clare non credeva ai propri occhi. Risero come ragazzine per tutto il pomeriggio e dopo aver riposto gli acquisti nel baule dell’auto, Patty la convinse ad accompagnarla al campo sportivo dove la nazionale era radunata per l’ultimo allenamento, prima dell’incontro con la Thailandia.

I giocatori sarebbero partiti l’indomani mattina e, dal momento che non li avrebbe seguiti perché doveva consegnare un lavoro al suo editore, la ragazza aveva tutta l’intenzione di passare quelle poche ore con il suo Holly.

Sbirciò di sottecchi Clare che era seduta nervosamente sul sedile dell’auto e si stupì della sua trasformazione. Con i capelli raccolti in una morbida coda di cavallo, un paio di jeans neri e una camicia di lino bianca sembrava molto più giovane dei suoi vent’anni. E molto spaventata.

Patty sorrise incoraggiante – Devi conoscere i ragazzi della squadra. – affermò con convinzione - Stai tranquilla, non mordono. Sono tutti brave persone. – le disse scendendo dall’auto nel parcheggio del campo di allenamento – Tranne forse Mark Lenders ma di solito lui ringhia in avvertimento. – scherzò.

Clare abbozzò un tremulo sorriso – Non so… Patty… ho paura. – confessò.

La ragazza la prese sottobraccio sospingendola verso l’entrata del campo di allenamento – Ti fidi di me non è vero? Questo è il primo passo per ritornare ad avere una vita normale. Devi affrontare i tuoi timori. – le spiegò - Non puoi chiuderti nel tuo guscio per sempre. –

Poco convinta Clare si lasciò trascinare da Patty sugli spalti e sedette accanto all’amica che sembrava non stare nella pelle dall’emozione. Freddy Marshall si accorse delle due ragazze e fece loro un cenno di saluto dalla panchina.

- Eccolo! – il gridolino entusiasta di Patty le fece concentrare la sua attenzione sul campo dove i calciatori, con addosso delle pettorine di diverso colore, stavano disputando una partita di allenamento. Seguì lo sguardo adorante di Patty e individuò un giovane alto, dai capelli scuri e dal fisico atletico che correva accanto ad un compagno

 - E’ lui! E’ il mio Holly! -

Il viso di Patty era soffuso da una tale emozione che Clare ne rimase colpita.

Fece scorrere lo sguardo sul campo e infine all’estremità del campo vide Benjiamin Price, fra i pali della porta, con l’immancabile berretto calato sugli occhi. Era leggermente chino in avanti, teso e concentrato a percepire ogni minimo gesto dell’attaccante che stava avvicinandosi pericolosamente all’area di rigore.

Il pallone partì rasoterra, potentissimo e Benji fu costretto ad un repentino tuffo alla sua sinistra. Ruzzolò con il pallone stretto saldamente fra le braccia e Clare si rese conto di aver trattenuto il fiato, fino a quando non lo vide rialzarsi ed effettuare un passaggio con le mani ad un compagno.

- Benji è sempre il migliore. – Patty aveva un’espressione soddisfatta – Con lui a difendere la porta e con Holly Tom e Mark che si preoccupano di segnare quanti più goal possibile, il Giappone sta davvero diventando una squadra temibile, in grado di rivaleggiare con le migliori nazionali europee e sudamericane.-

- E’ sempre stato così bravo? -

- Chi, Benji? Si. – Patty annuì convinta – Fin da ragazzino. Lo chiamavano il Super Great Goal Keeper. L’SGGK, è un soprannome che si è portato dietro anche quando è andato a giocare giovanissimo in Europa.- Iniziò a ridacchiare – Da piccolo era terribile: arrogante, presuntuoso, viziato, strafottente. Ricordo che si vantava di poter parare qualunque tiro, da qualunque direzione venisse tirato. –

Clare la guardò meravigliata – Era vero? -

- Si. Per la maggior parte era vero. Con Mark Lenders c’è una rivalità di lunga data per questo motivo. Quei due zucconi non si sono mai potuti sopportare a lungo. Sono troppo simili. – rise indicando il bruno giocatore con la maglia numero nove.

Il gioco proseguì ancora per una ventina di minuti e infine Freddy fischiò la fine dell’allenamento.

- Okay,  per oggi basta ragazzi. Andate a casa. – disse con voce stentorea attirando l’attenzione di giocatori. - Domani mattina ci vediamo tutti quanti all’aeroporto. Puntuali mi raccomando.- lo sguardo del commissario tecnico si appuntò intenzionalmente su Bruce Harper provocando qualche risolino tra i compagni.

- Holly! – la voce di Patty lo salutò squillante mentre agitava il braccio per attirare la sua attenzione – Siamo qui! -. Poi senza aspettare risposta si precipitò giù dalle gradinate trascinando con sé una Clare confusa ed imbarazzatissima.

Il cannoniere si voltò verso la fidanzata con un sorriso – Ciao Patty! – esclamò felice di vederla mentre i suoi compagni ammiccavano scambiandosi sorrisetti ironici. Erano rimasti molto colpiti dalla notizia che il loro capitano avesse finalmente deciso di ufficializzare la sua storia con quella che era stata la manager della sua  squadra e la sua tifosa più accanita e Patty era al colmo della gioia. 

- Ciao ragazzi – li salutò con piglio vivace - Vi presento Clare. E’ una mia amica e quindi cercate di farla sentire a suo agio. - disse indicandola.

Gli sguardi di tutta la nazionale giapponese si fissarono sulla ragazza che, a fianco di Patty, aveva le guance soffuse da un lieve rossore.

I gemelli Derrick si lasciarono sfuggire un simultaneo fischio di apprezzamento e Bruce si fece avanti per primo – Caspita Patty, non ci avevi detto di avere un’amica così carina. – disse afferrandole la mano e trattenendola nella sua stretta - Bellezza, io sono Bruce Harper il migliore difensore di questa nazionale. – affermò guardandola negli occhi con aria sognante

Tutti risero e le guance di Clare si arrossarono leggermente per l’imbarazzo – Sono felice di conoscerti Bruce. – mormorò sorridendo. Nessuno sembrò fare caso al suo atteggiamento timido mentre la attorniavano ansiosi di presentarsi e scambiare alcune frasi di saluto.

Patty assistette alla scena con un sorrisetto divertito sul volto. Sentì il braccio di Holly circondarle la vita e si appoggiò leggermente a lui – Ciao capitano, come sono andati gli allenamenti, oggi? – gli chiese contenta.

Holly le sorrise di rimando – Molto bene, siamo pronti ad affrontare la Thailandia. – rispose soddisfatto. Chinò il capo su quello di lei e le sfiorò i capelli con le labbra - La tua amica ha riscosso molto successo. – le sussurrò all’orecchio, inclinando la testa verso la squadra interamente riunita attorno a Clare.

Patty sorrise compiaciuta cercando di sbirciare, oltre la fitta selva di teste e di ampie spalle, l’estremità del campo da calcio e l’uomo che stava tra i pali della porta.

Benji non si era accorto di nulla. Al richiamo di Freddy aveva abbandonato la concentrazione necessaria a seguire l’incontro e si era limitato a raddrizzare la schiena togliendosi i guanti. Si avvicinò meravigliato a quell’insolito capannello e vide la camicia color geranio di Patty spiccare tra le maglie blu scuro dei compagni di squadra.

- Come al solito sei sempre al centro della mischia, Gatsby – esclamò ad alta voce tergendosi il sudore dalla fronte.

Patty rise ma Bruce non le consentì di replicare, scostandosi in modo da fargli ammirare il motivo di quella confusione – Guarda Benji, tu lo sapevi che Patty ci tenesse nascosta un’amica così bella? – disse continuando a stringere possessivamente una mano di Clare tra le sue.

Benji si volse con le labbra piegate ad un sorrisetto ironico per l’affermazione del compagno di squadra… la vide e si irrigidì.

- Clare Miller? – indagò con la confusione dipinta sul volto.

Sul viso di lei era dipinto un pallido sorriso – Mi dispiace avervi disturbato. Patty mi aveva detto che non c’erano problemi se venivo anch’io ad assistere all’allenamento. - 

Jason Derrick si lasciò sfuggire un sospiro di delusione – Ecco lo sapevo! Per una volta che Patty porta un’amica carina ti pareva strano che il nostro SGGK non la conoscesse già? –

- E’ vero Benji? La conosci? – il tono di Bruce era a metà strada tra il rassegnato e l’offeso.

Il portiere non rispose. Sapeva che dietro a tutto questo c’era lo zampino di Patty e non riusciva a decidere se essere grato all’amica per quella trasformazione. Fino ad ora era quasi sempre riuscito a convincersi di avere assunto come bambinaia una ragazzina timida ed introversa ma la particolare bellezza di lei, messa in risalto dagli abiti nuovi, lo rendeva del tutto impreparato ad affrontare l’improvviso desiderio di sottrarla alle occhiate rapaci dei suoi compagni di squadra. Percepiva la loro reazione stupefatta e gli sguardi ammirati che lanciavano in direzione della ragazza gli fecero provare uno strano senso di irritazione.

Lo infastidiva soprattutto Bruce che continuava a tenere stretta fra le sue la mano sottile e bianca di Clare.

Accortasi che il giocatore non aveva alcuna intenzione di rispondere, Patty prese in mano le redini della situazione – Calma, Bruce. – intervenne cercando di chiarire – Clare lavora per Benji. E’ ovvio che si conoscano già. -

- Lavori per lui? – Bruce era in preda al più competo stupore.

Clare annuì – Sono la bambinaia di Martine. – spiegò semplicemente.

Bruce si lasciò sfuggire un sospiro deluso – E così vivi a casa del SGGK… tiranno com’è non ti lascerà neppure uscire a prendere una boccata d’aria. – mormorò affranto.

Benji lo fulminò con lo sguardo e dal momento che il suo cipiglio non faceva prevedere nulla di buono, Patty  iniziò a sospingere tutti quanti verso gli spogliatoi sotto lo sguardo confuso e divertito di Clare.

- Non posso credere che tu riesca a tenere testa a tutti. – affermò quando Patty ebbe esaurito il suo compito.

La ragazza rise – E’ solo esperienza mia cara. Dopo aver fatto da manager prima alla Newppy e poi alla New Team ho imparato ad occuparmi di loro e so come trattarli.-

- Ti vogliono tutti un gran bene.- disse Clare sorridendo.

Patty prese le mani dell’amica fra le sue – Sono persone speciali. Vedrai che vorranno bene anche a te.- la rassicurò.

Lo sguardo di Clare era colmo di felicità e di gratitudine – Non so che cosa farei senza di te, Patty.-

- Scherzi? – Patty la gratificò di un luminoso sorriso – Io ti ho solo aiutato a rinnovare il guardaroba. Adesso sei tu che devi liberarti dalle tue paure e scegliere gli impulsi da dare alla tua vita. -

Negli spogliatoi Benji si infilò sotto la doccia ignorando le domande sempre più insistenti di Bruce e lasciò che il potente getto d’acqua calda sciogliesse i muscoli indolenziti. Il pensiero di Clare si insinuò nella sua mente e si ritrovò ad ammettere con se stesso come il viso delicato di lei accompagnasse sempre più spesso le sue riflessioni. Era bella, certamente, ma non era solo questo.

Il suo carattere gentile e fermo, la sua dedizione a Martine e l’ostinazione con cui cercava in ogni modo di farlo partecipare alle esperienze e ai progressi della neonata lo spingevano a provare ammirazione per lei. Quando aveva visto Bruce trattenerle la mano più del necessario aveva provato il repentino impulso di allontanarli, di prenderla tra le braccia e lasciarsi avvolgere dal suo profumo.

Chiuse il rubinetto e uscì dalla doccia avvolgendosi un ampio asciugamano attorno ai fianchi stretti.

- Ehi Benji! – la voce di James Derrick lo apostrofò non appena ebbe messo piede nella stanza comune– Dove hai scovato quella bellezza? -

- Già – Patrick Everett – rincarò la dose – E’ davvero la bambinaia della tua pupilla? -

Benji non rispose e iniziò a vestirsi.

- Abbiamo sempre ammirato il tuo gusto in fatto di donne ma questa le supera davvero tutte! – Jason Derrick battè una manata sulla spalla del  SGGK, ricevendone un cambio un’occhiata torva.

- Solo il nostro portiere sarebbe riuscito a trovare una bambinaia con meno di quarant’anni e bella come una dea. – ridacchiò Clifford Huma

Holly vide lo sguardo del SGGK incupirsi e si affrettò ad intervenire prevedendo il peggio. Sapeva che l’amico aveva un carattere facilmente infiammabile e da come pulsava il muscolo sulla guancia abbronzata ritenne che per quel giorno i suoi compagni avessero tirato già troppo la corda.

- Ragazzi, ragazzi – Holly cercò di riportare la loro attenzione verso un argomento meno spinoso – Lasciamo perdere. E’ meglio che ci concentriamo sulla partita contro la Thailandia. -

Approfittando di quell’attimo di pausa, Benji finì di vestirsi e, senza aprire bocca, sotto lo sguardo divertito di Lenders, prese la borsa uscì dagli spogliatoi.

Il cielo era striato dalle rosse sfumature del tramonto e gli alti alberi a bordo del campo sportivo allungavano le loro ombre sulla terra battuta del sentiero. Scorse le due ragazze nel parcheggio, accanto all’auto di Patty, intente a chiacchierare. Patty sorrise non appena lo vide – Eccoti qui. Hai fatto presto. -

- Holly ha quasi finito.- disse lui aprendo il bagaglio della sua auto e scaraventandovi dentro la borsa.

Patty annuì – Senti Benji, volevo dirti una cosa. – iniziò a spiegare concisamente vedendolo irritato - Quando ritornerete dall’ultima partita del quadrangolare, avrete a disposizione quasi dieci giorni prima di rientrare presso le vostre rispettive squadre. Dal momento che tu, Holly, Tom e Mark dovrete partire per gli impegni di campionato ho parlato con Freddy Marshall e lui è stato d’accordo con me a concedere alla squadra alcuni giorni di vacanza. Niente di faticoso, solo un po’ di mare e tanto riposo. Ho già organizzato quasi tutto. Una villa sul mare, nella prefettura di Kanagawa, palestra, sauna, spiaggia privata e niente seccatori. Vorrei che venissi anche tu. Potresti portare anche Martine. Un po’ di mare le farebbe bene prima di ritornare in Germania. – aggiunse sperando di convincerlo.

- Ci penserò. – disse lui aprendo la portiera dell’auto. – Grazie, Patty. - Il suo sguardo si posò su Clare – Viene a casa signorina Miller? – chiese con noncuranza senza aspettare una risposta – Salga. Le do un passaggio. -

Clare fece un cenno d’assenso con il capo. – Si, sarà meglio che rientri. E’ quasi ora del pasto serale di Martine. –

Lui la fece accomodare in auto e Patty li salutò con un gesto della mano – Verrò a trovarti domani, Clare. -

La ragazza salutò l’amica e sedette impacciata sul comodo sedile in pelle.

Benji scivolò al posto di guida e la sua figura imponente sembrò riempire completamente l’abitacolo della vettura. Clare poteva percepire il profumo amarognolo della sua colonia e di sottecchi sbirciò il profilo dell’uomo concentrato sulla strada davanti a loro. Inconsciamente il suo cuore accelerò i battiti.

- Si è divertita oggi con Patty? – chiese lui dopo alcuni minuti di silenzio.

Il viso di Clare si illuminò di piacere – Oh, si! Moltissimo. Patty è così allegra. Mi ha trascinato tutto il pomeriggio in giro a fare spese – gli raccontò con entusiasmo.

Benji le gettò un’occhiata nello specchietto – Pensa che farebbe bene a Martine un po’ di mare? -  

La ragazza si battè leggermente l’indice sulle labbra, pensosa – Credo di sì ma sarebbe meglio sentire il parere del pediatra. Tra pochi giorni porto Martine alla visita di controllo e se lei vuole posso domandarglielo.– si offrì

Lui annuì – Decideremo una volta sentito il medico. –

Benji si concentrò alla guida, acutamente consapevole della giovane donna seduta al suo fianco. Quel pomeriggio l’aveva vista sorridere con i suoi compagni di squadra, parlare e scherzare.

Era affascinante. E lui, doveva ammetterlo con se stesso, la desiderava.

Strinse i denti cercando di riportare l’attenzione sulla strada. Era passato molto tempo da quando aveva goduto della compagnia di una donna e probabilmente era per questo motivo che si sentiva così irrequieto ed era così sensibile al fascino delicato di lei. Era una donna troppo bella per dare pace ai suoi sensi e non poteva fidarsi di se stesso con lei intorno.

Accelerò, cercando di ignorare la sua presenza, e fra di loro cadde un silenzio teso.

Benji non aveva idea di cosa Clare sapesse sugli uomini ma, visto il suo atteggiamento timido e la vita ritirata che aveva condotto al collegio, gli era facile immaginare che le sue conoscenze in quel campo fossero assai scarse. Era una donna-bambina dalla bellezza seducente e lui era bruscamente consapevole della propria brama di un appagamento carnale. Dal momento che non poteva portarsi a letto una propria dipendente, sembrava che l’unica decisione sensata fosse quella di cercarsi una donna compiacente per soddisfare i propri istinti lussuriosi.

Clare era solo una donna e le donne erano tutte uguali. Sarebbe certamente riuscito a scacciarla dalla sua mente. Non ne aveva mai conosciuto una con cui la cosa non gli fosse riuscita. 

Sarebbe bastato trovare una compagnia allegra e non impegnativa per dimenticare la brama che lo invadeva ogni volta che posava gli occhi su di lei. Avrebbe finalmente smesso di pensare costantemente a Clare e seguire con sguardo affamato ogni suo movimento.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Un saluto affettuoso a tutti e un grazie in particolare a coloro che mi hanno scritto.

Aspetto sempre con ansia critiche e consigli.

Ad maiora!

 

CAPITOLO VI

 

“A me pare uguale agli dei

chi siede a te davanti

e vicino, il dolce suono ascolta

mentre tu parli

e ridi amorosamente. Subito a me

il cuore si agita nel petto

solo che appena ti veda, e la voce

non esce e la lingua si spezza.

Un fuoco sottile sale rapido alla pelle

e gli occhi più non vedono

e rombano le orecchie.

E tutta in sudore e tremante

come erba patita scoloro:

e morte non pare lontana

a me rapita di mente”

( Saffo)

 

I giocatori della nazionale giapponese erano in volo da alcune ore verso l’aeroporto di Tokyo e già molti di loro avevano ceduto alla stanchezza, appisolandosi nelle comode poltrone della business class. La tensione per l’amichevole contro la Thailandia era ormai svanita e tutti erano rimasti molto soddisfatti della loro prestazione.

In particolare Freddy Marshall si era complimentato con la squadra per il gioco veloce e creativo che erano riusciti ad impostare, affermando di essersi proprio divertito. Benji aveva mantenuto inviolata la propria porta e Holly aveva generosamente creato due splendidi assist che puntualmente Mark Lenders e Tom Becker avevano trasformato in una rete ciascuno,  decidendo le sorti dell’incontro.

Benji era seduto in una delle ultime file, con un paio di occhiali dalle lenti scure, calato sugli occhi a celare il suo sguardo pensoso. L’immancabile berretto era posato sulle sue ginocchia e in mano stringeva un bicchiere in cui il ghiaccio si era sciolto lentamente senza che lui vi facesse caso.

Fuori dal finestrino la rossa sfera di fuoco del sole al tramonto sembrava sospesa sopra il candido e soffice letto di nuvole.

Amava quella sensazione al termine di ogni partita, quando l’adrenalina calava lentamente, scorrendo via piano piano, lasciando il corpo piacevolmente indolenzito: era la consapevolezza di fare al meglio il proprio lavoro, l’esultanza per i risultati raggiunti, l’orgoglio di poter affermare ancora una volta di essere il migliore.

Chiuse gli occhi per un istante e immediatamente il volto di Clare gli balenò davanti sorridente. Poteva quasi vederlo, stagliarsi contro il biancore delle nuvole: la carnagione di albastro, gli occhi d’ambra fumosa, la gloriosa capigliatura d’oro infiammata dai raggi del sole lucente, come un torrente di fili preziosi.

Ripensò a come gli era apparsa la mattina della sua partenza, ancora avvolta in una vestaglia pudicamente allacciata, i capelli sciolti sulle spalle. Si era alzata prima dell’alba e, con Martine in braccio, l’aveva accompagnato fino al portone di casa augurandogli buon viaggio. Nessuno l’aveva mai fatto prima e lui si era sentito invadere da una sensazione di calore domestico che non aveva mai provato. Contro ogni ragionevolezza e sotto lo sguardo meravigliato di lei aveva sollevato la mano per darle un delicato buffetto sulla guancia proseguendo poi a sfiorare il capo di Martine con una gentile carezza.

Il peso improvviso di un corpo sul sedile accanto al suo lo fece rimbalzare leggermente. Si voltò e vide Mark Lenders accomodarglisi accanto con un sorriso soddisfatto dipinto sul volto bruno e spigoloso.

- Price! Che ci fai qui tutto solo? Non mi dirai che snobbi la prima classe solo perché la devi dividere con noialtri poveri mortali! -

Benji sbuffò infastidito – E’ stato bello finché è durato. – borbottò scontroso.

- Già, ma la pacchia è finita, caro mio! – Mark si accomodò meglio sul proprio sedile sotto lo sguardo incredulo del portiere.

Benji cercò di mandarlo via con le buone - Senti Lenders, ci sono un mucchio di altri posti dove andarsi a sedere. Perché non vai a deliziare qualcun altro della tua compagnia? Anzi perché non torni da dove sei venuto e ci resti? – aggiunse vedendo che il compagno di squadra non sembrava minimamente disposto a cambiare posto.

Mark ridacchiò. Il goal segnato contro la Thailandia lo aveva messo di buonumore e si sentiva più che disposto a condividere un po’ della sua allegria con il tetro SGGK.

- Su, non ti agitare. – disse chiudendo gli occhi con un sospiro soddisfatto e appoggiando comodamente la testa alla poltrona - Vedrai che non ti disturberò affatto. -

Benji voltò il capo verso il finestrino infastidito, cercando di ignorarne l’ingombrante presenza, ma Mark non sembrava disposto ad addormentarsi con la stessa facilità di tutti gli altri – Abbiamo disputato una buona partita. – prese a dire ricevendo in tutta risposta un grugnito soddisfatto – Sono certo anche gli altri incontri andranno bene e poi finalmente un po’ di vacanza. Patty mi ha detto che ha affittato una villa al mare. Verrai anche tu prima di ritornare? – chiese indovinando già la risposta.

Benji annuì leggermente – Se il medico non farà obiezioni per via di Martine – tenne a precisare.

Mark lo guardò di sottecchi sogghignando divertito – Sai Price, se qualche anno fa qualcuno mi avesse detto che tu saresti diventato il tutore di una neonata e ti saresti preoccupato del suo benessere gli avrei riso in faccia. Dopotutto sono sempre stato io quello alle prese con fratellini e sorelline piccoli. Come ti trovi alle prese con pappine e pannolini? – scherzò prendendolo in giro.

Benji lo fulminò con un’occhiataccia dietro le lenti scure – E’ la signorina Miller ad occuparsi di Martine. – rispose seccamente.

- Ah, già. Clare… – Mark fece un sospiro esagerato – I privilegi della classe agiata. – sorrise divertito – Certo che è un gran bel pezzo di figliola. Mi chiedo dove tu l’abbia scovata. – mormorò come soprapensiero – Ma già, tu hai sempre avuto un talento naturale per queste cose. Mi meraviglio solo che un dongiovanni come te non ci abbia fatto su un pensierino – disse guardandolo intensamente.

Benji si tolse gli occhiali scuri e lo guardò irritato – Se hai finito con tutte queste ciance, vorrei dormire! –

- Ahh… - Il sorriso di Mark divenne più ampio – Allora un pensierino ce lo hai fatto! -

- Lenders… - il ringhio di Benji suonò come un avvertimento ma Mark non si scompose limitandosi a sbuffare sonoramente. Da che lo conosceva era venuto più volte alle mani con l’irascibile Benji Price e scatenare la sua ira, di fronte alla quale gli altri tremavano di sacrosanta paura, non lo spaventava più di tanto.

Rimasero in silenzio per alcuni istanti e il viso di Mark si fece stranamente serio – E’ una brava ragazza, Benji. L’ho vista al campo di allenamento. Non è una delle solite sgualdrinelle con cui sei abituato ad accompagnarti. Stai attento oppure la farai soffrire. – lo ammonì mentre ogni traccia di divertimento era scomparsa dalla sua voce.

Benji gli scoccò un’occhiata raggelante, stupito dall’interesse del cannoniere nei confronti di Clare - Guarda, guarda – sorrise sarcastico – L’integerrimo Mark Lenders che prende le difese della mia dipendente e mi da lezioni di comportamento. Da quando ti sei eletto paladino di ogni fanciulla indifesa? A quanto ne so io non ti sei mai neppure curato di essere discreto. – Scosse il capo con fare beffardo – Non ricordo bene… come si chiamava quell’attricetta con cui sei stato fotografato in Sardegna prima della fine del campionato? Alice? Alessandra? -

- Alessia. – lo corresse serafico l’attaccante, non preoccupandosi minimamente di negare il fatto – Ma come ti ho già detto Clare è diversa e anche un somaro come te dovrebbe accorgersene. – Mark ignorò lo sbuffo derisorio di Benji e si chinò leggermente verso il portiere.  La sua voce divenne poco più di un sussurro

- Per una volta nella tua dannatissima vita, ascoltami: Clare è una di quelle ragazze di cui ci si innamora per la vita. La devi lasciare stare oppure le spezzerai il cuore. -

Il volto del SGGK era duro come il granito - Non vedo come la cosa possa preoccuparti – replicò tagliente.

Mark si raddrizzò sulla propria poltrona e lo guardò duramente - Ho una sorella di pochi anni più giovane di Clare e ti assicuro che non mi piacerebbe proprio vederla insieme ad un bastardo patentato come te. -

 

La casa di Patty si trovava nella prima periferia della città e il piccolo giardino che la circondava era cintato da un muro di pietra corredato da un solido cancello. Preoccupato per la sua incolumità, Holly aveva cercato più volte di convincerla a trasferirsi in un appartamento in centro, magari dotato di portineria, ma lei si era sempre opposta, affermando l’assoluta necessità di avere un giardino tutto suo. In realtà non aveva molto tempo per occuparsi delle piante che affollavano il piccolo quadratino di terra davanti alla sua porta di casa ma amava la sensazione di pace e tranquillità che il giardino offriva. Il risultato era una macchia verdeggiante e confusa, punteggiata qua e la di fiori, che cresceva selvaggia nel più assoluto disordine.

Patty aprì la finestra della cucina e tolse il tegame dal forno facendo molta attenzione a non rompere la sottile crosta dorata dello sformato. Mise la teglia su un ripiano affinché si raffreddasse e si affrettò a terminare di tagliare le verdure. Le piaceva cucinare e, sebbene detestasse preparare per lei sola ricette molto elaborate, non mancava mai di mettere a frutto la sua abilità quando aveva ospiti a cena.

La nazionale giapponese era rientrata dall’ultima trasferta da alcuni giorni e lei ne aveva approfittato per invitare Holly a cena con la scusa di restare un po’ insieme prima degli ultimi impegni del quadrangolare. Riempì due calici di vino bianco e si diresse verso il soggiorno da cui provenivano i suoni del televisore acceso.

Ristette sulla soglia ammirando lo spettacolo di totale benessere maschile che le si presentava davanti. Oliver era mezzo sdraiato sul divano con le lunghe gambe, fasciate dai jeans scuri, distese e appoggiate sul basso tavolino davanti a se. La camicia azzurra, aperta sul collo, aveva le maniche arrotolate e gli lasciava scoperti gli avambracci muscolosi mentre le mani dalle dita forti erano intente ad accarezzare Momsie, il gatto persiano di Patty.

Alle pareti della stanza erano appese le splendide fotografie che avevano fatto durante il loro viaggio ad Hokkaido e lei teneva in particolare modo a quella scattata, attraverso i fitti rami di un pino, ad un prato ai piedi della montagna dove, in un impeto di rabbia e collera, avevano litigato furiosamente per poi fare l’amore con travolgente passione.

Holly sorrise appena la vide entrare e si affrettò a spegnere il televisore facendole cenno di sedersi vicino a lui.

- Sembri un sultano! – lo prese in giro Patty avvicinandosi al divano.

- Eccoti finalmente! - Holly rise divertito - Sono un sultano stanco e affamato. Stavo giusto chiedendomi se non fosse il caso di venirti a cercare. Sicura di non aver bisogno di aiuto per la cena? – le chiese mentre Momsie, accoccolata sul suo grembo si produceva in tutta una serie di fusa sonore.

- No. E’ tutto a posto. Lo sformato è pronto e bisogna solo aspettare che si raffreddi. Non sei stanco? - Patty gli tese il bicchiere di vino e Holly ne approfittò per imprigionare la mano di lei e farla scivolare al suo fianco sul divano

- Vieni qui un attimo. Conosco un elisir che mi fa sentire come se la giornata dovesse ancora incominciare. -mormorò facendole scivolare il braccio attorno alle spalle e attirandola a se.

Stettero in silenzio per alcuni istanti godendosi la reciproca vicinanza e Patty gli si strinse contro sentendo più volte le labbra di Holly sfiorarle teneramente i capelli e la fronte.

- Sai – disse lui dopo un po’ – E’ proprio così che immagino la nostra vita insieme. E’ così che la vorrei. -

Patty si irrigidì leggermente – Ne abbiamo già parlato molte volte … - iniziò a dire ma il dito di lui si posò con fermezza sulle sue labbra.

- Lo so. Non vuoi che io ti metta fretta e siamo d’accordo che tu mi darai la tua risposta dopo i Mondiali dell’anno prossimo. Questo però non significa che io smetta improvvisamente di desiderare che tu venga a vivere con me in Brasile o che non cerchi di convincerti. – le sussurrò sfiorandole la nuca in una lunga sensuale carezza.

Patty rabbrividì – Stai giocando slealmente. – lo accusò alzando il capo fino ad incontrare gli occhi caldi e ridenti di lui.

- Forse. – Holly accondiscese con una smorfia e bevve un sorso di vino – Ma non più di quanto abbiano fatto Julian o Philip per convincere Amy e Jenny a sposarli. -

Patty seguì con un dito il bracco di lui coperto da una leggera peluria - Così anche Jenny presto seguirà Philip e andrà via dal Giappone. Pensi che Manchester sia una bella città in cui vivere? – mormorò pensosamente.

Holly si strinse nelle spalle – Non lo so. Ma si amano e desiderano stare insieme. Non credo che per loro sia molto importante dove andranno a vivere. Philip ha firmato un contratto di cinque anni con il Manchester United e quindi è possibile che restino in Inghilterra molto a lungo. –

- Sai, Holly – Patty gli accarezzò leggermente il torace giocherellando con i bottoni della sua camicia – Chi mi preoccupa davvero è Benji … non l’ho mai visto così. -

Oliver sospirò stancamente – Già. Dopo la scenata negli spogliatoi il giorno del suo arrivo si è chiuso nel mutismo più assoluto. Arriva, si allena, dirige la difesa con precisione quasi maniacale, ma si rifiuta categoricamente di parlare di qualsiasi cosa non riguardi la squadra o la prossima partita. Lenders non fa che stuzzicarlo continuamente e Benji è sempre più vicino al punto di rottura. Prima o poi quei due se le daranno di santa ragione. – pronosticò con aria tetra.

Patty si sporse a guardarlo attentamente – Si può sapere perché Mark lo irrita così tanto? – chiese incuriosita.

- Mark vorrebbe che Benji reagisse alle accuse che gli hanno rivolto in Europa  ma… -

- Ma lui non lo farà mai. – concluse Patty 

- Già. – il viso di Holly era cupo – Niente potrebbe fargli cambiare idea. -

- Penso proprio di no. – Patty aveva l’aria rassegnata – Sai che brutto carattere lui abbia. Non è facile capire che cosa gli passi per la testa, meno che meno adesso che si trova a dover fare da tutore a Martine. - 

- A proposito…come sta la bambina? -

- Benissimo. – Patty sorrise raggiante – Quando è bel tempo Clare la porta a passeggio tutti i pomeriggi e il più delle volte anch’io mi unisco a loro. Martine è così adorabile. – concluse con un inconscio luccichio di desiderio negli occhi.

Holly le accarezzò il viso dolcemente pensando a quanto sarebbe stato bello avere dei figli da Patty – Mi sembra che Clare ti stia molto simpatica. Forse dovrei essere geloso di Benji dal momento che trascorri quasi più tempo a casa sua che con me – la canzonò mentre lei tornava a rannicchiarsi nel suo abbraccio.

- Si  – Patty si morse il labbro inferiore non volendo tradire le confidenze dell’amica – E’ una persona speciale e … ha avuto un’adolescenza difficile. -

- Benji lo sa? -  

Patty alzò la testa di scatto incontrando lo sguardo tranquillo di lui – Perché mi chiedi questo? – indagò sospettosa.

Holly fece scorrere le mani sulle braccia di lei lasciate scoperte dalla sottile camicetta di seta senza maniche – Perché ho il sospetto che in nostro SGGK non sia poi così insensibile al fascino della tua amica. – rispose senza smettere di accarezzarla.

- E’ molto bella…vero? – gli chiese senza aspettarsi una risposta, cercando di ignorare il piacere che le mani di lui stavano accendendo nel suo corpo - Che cosa ti fa pensare che Benji possa essere attratto da lei? – Holly l’afferrò per la vita sottile e la distese sopra di se. Il suo tocco si era fatto più audace e adesso le sue mani si curvavano attorno ai fianchi di lei, scivolando sotto il leggero tessuto della gonna

- In certi minuti la guarda proprio come io guardo te. -

Molto più tardi Patty riemerse dall’abisso di sensualità che avevano condiviso e sospirò beatamente crogiolandosi nel calore che l’alto corpo maschile irradiava dietro di se. Holly giaceva disteso su un fianco, un braccio ripiegato sotto il capo, mentre con l’altro le circondava la vita tenendola stretta. A metà della serata, borbottando qualcosa sulla scomodità del suo divano, l’aveva presa in braccio e l’aveva portata in camera da letto distendendola nel grande letto matrimoniale.

- Holly? – sussurrò lei – Stai dormendo? -  

- Uhm … forse. -

Patty sorrise nell’oscurità – Pensi davvero a quello che hai detto prima? -

Il capitano della nazionale la strinse a se facendo aderire il suo corpo a quello morbido e minuto di lei – Che cosa, manager? Che ti amo? Che ti desidero? Oppure che non mi stancherò mai di fare l’amore con te? – la stuzzicò mordicchiandole il lobo dell’orecchio mentre una grande mano le copriva il seno con gesto possessivo.

- No -  Patty gli diede un colpetto sul braccio - mi riferivo a quello che hai detto su Benji – lo corresse lei

- Ah … già, Benji. – Holly sospirò – Si lo penso veramente. – Fece una risatina – In realtà in questo momento penserei qualunque cosa tu volessi purché mi lasciassi fare l’amore con te -

- Holly! – Patty cercò di richiamarlo all’ordine voltandosi nel suo abbraccio per poterlo guardare in viso – Sii serio, per favore! -

Lui smise per un attimo di accarezzarla osservano il piccolo ovale del volto di lei. Tutto in Patty era così squisito: i capelli di seta, i caldi occhi nocciola, la sua perenne allegria. Provò un brivido al pensiero che era stato lì lì per perderla e mentalmente benedisse ancora una volta quel viaggio ad Hokkaido che aveva permesso loro di ritrovarsi. C’erano ancora molte cose da definire, non ultimo il fatto che lui volesse sposarla e andare a vivere insieme in Brasile, ma per buona pace di lei era disposto ad aspettare fino alla conclusione dei Mondiali di calcio dell’anno successivo.

- Okay, sono serio. – disse scrutando il suo viso perplesso – Credo che Benji provi una forte attrazione nei confronti di Clare, anche se forse non è disposto ad ammetterlo neppure con se stesso. Vedi … - iniziò a raccontare titubante, temendo le reazioni di lei – al termine delle partite è facile essere circondati a cena o in albergo da ammiratori e … da ammiratrici. Benji non si è mai fatto molto scrupolo ad accettare quelle attenzioni. E’ sempre stato molto…come dire, libero nel cercare la compagnia di belle ragazze. Anche storie di una sola notte. –

Fece una pausa sfiorandole con il pollice il labbro inferiore e il silenzio attento di Patty lo indusse a continuare - Durante l’ultima trasferta, in albergo c’erano parecchie ragazze e, in particolare, una brunetta piuttosto attraente ha trascorso la serata al tavolo con Benji.  Hanno bevuto assieme un bicchiere, forse due… si sono baciati. - disse incontrando lo sguardo sorpreso di Patty - Tutto lasciava supporre che la serata sarebbe finita in un certo modo in camera di Benji e infatti poco dopo Tom ed io li abbiamo visti salire al piano di sopra. Dopo neppure dieci minuti la ragazza è ridiscesa nella hall dell’albergo e poco dopo Benji ci ha raggiunto al bar, con un cipiglio che non lasciava presagire nulla di buono. Si è seduto e ha iniziato a bere senza fiatare ed è rimasto con noi fino a che non siamo andati a letto. – Holly fece una pausa per riflettere un istante – Forse mi sbaglio ma credo che in questo suo singolare comportamento centri una persona di nostra conoscenza. -   

Patty lo guardò con occhi accesi di speranza – Magari. Sarebbe davvero ora che quello scapestrato metta la testa a posto – borbottò convinta.

- Patty … - Holly le strinse una mano tra le sue – Non metterti in testa strane idee. Può darsi che io mi stia sbagliando. – l’ammonì

Lei scosse leggermente la testa intrecciando le snelle dita a quelle di lui – Credo… spero, tu abbia ragione. E’ insolitamente possessivo con Clare e più volte ho visto il suo sguardo seguire attento ogni suo movimento. – rifletté ad alta voce

- E Clare? Pensi che sia attratta da Benji? -

Lei si mordicchiò il labbro con fare pensoso – Vedi … è difficile dare una risposta precisa. Benji è un uomo molto affascinante ma Clare … non è mai stata innamorata – cercò di spiegare.

Holly la guardò sconcertato e Patty sospirò leggermente – Li ho invitati a trascorrere con noi le vacanze dopo l'ultima partita del quadrangolare. Subito dopo Benji deve ritornare in Germania e Clare è tuttora convinta di fare ritorno al collegio. Spero tanto che quella sia l’occasione giusta per fare cambiare idea… ad entrambi. - 

Holly ridacchiò divertito – Sei diabolica! Se mai ne verrà fuori qualcosa di buono ricordami di dire al SGGK che ci deve un enorme favore! -

Patty sorrise esitante – Vorrei tanto fare qualcosa per loro. Hanno bisogno di un po’ di felicità. -

Holly le accarezzò teneramente i capelli – Sei così dolce a preoccuparti sempre per gli altri – sussurrò -  Sei adorabile… Patty… amore… ti amo Patty… - Era dolcissimo e la passione fiorì ancora una volta, riducendo il sommesso ticchettio dell’orologio a muro ad un veloce bisbiglio che entrambi avrebbero voluto fermare.

 

Quella sera il salotto di villa Price risuonava di allegre risate e tutti i domestici non potevano fare altro che sorridere di fronte all’evidente ventata di buonumore che aveva invaso la casa. Molti di loro erano già al servizio della famiglia Price quando il padrone era ancora un ragazzino e la presenza della piccola Martine aveva fatto ricordare e rimpiangere gli anni in cui nella casa erano risuonate le urla e le risate di un bambino.

Giudicavano la nuova bambinaia una persona gentile e sensibile ma la sua eterea bellezza incuteva timore e, soprattutto Jameson il maggiordomo e i due giardinieri che si occupavano del parco attorno alla villa, tendevano a rivolgersi a lei più come ad un’ospite che non ad una semplice collega.

L’affetto incondizionato che la giovane donna nutriva per Martine faceva sorridere gli uomini e commuoveva le donne al pensiero di quella povera piccina senza madre. Clare trascorreva tutta la sua giornata in compagnia della bimba e inconsciamente aveva iniziato a forgiare un legame molto difficile da spezzare. Spesso la piccola non voleva stare in braccio ad altri se non a lei e per quanto Mrs. Bauer e gli altri domestici si offrissero di darle un’occhiata o di tenerla in braccio mentre lei era impegnata altrove, Martine faceva le bizze fino a quando non era sicura di restare in sua compagnia. Era una bambina tranquilla dal temperamento placido e Clare seguiva emozionata ogni suo progresso, ogni piccolo passo della sua crescita.

Adesso erano entrambe allungate sul folto tappeto del salotto e ogni tanto uno scoppio di risate attraversava le porte lasciate aperte inducendo al sorriso chiunque sbirciasse nella stanza per vedere il motivo di tanta allegria.

Clare era distesa a terra supina e i suoi lunghi capelli biondi si erano sciolti spargendosi sullo scuro tappeto persiano in un alone dorato. Teneva Martine a cavalcioni della sua vita snella e divertiva la bambina facendola rimbalzare sul suo addome piatto. Le sue risate erano intervallate dagli scoppi di risa della piccina e dai tentativi di quest’ultima di muovere i primi incerti passettini sul suo ventre, interamente sostenuta dalle braccia di Clare.

Benji era seduto in poltrona poco distante e, nonostante avesse sulle ginocchia un libro, non riusciva a concentrare la mente nella lettura. Troppo spesso la sua attenzione veniva distratta dalle loro risatine allegre e inconsapevolmente si ritrovava a sbirciarle di sottecchi, tanto che, alla fine, si risolse a mettere via il volume, smettendo di fingere un interesse che non provava. Stette comodamente seduto a bere e ad ammirare quel delizioso quadretto materno che si svolgeva proprio sotto i suoi occhi.

Martine affondò le manine dei capelli di Clare tirando le ciocche lucenti e Benji fu fortemente tentato di imitarla. Se solo avesse voluto gli sarebbe bastato allungare il braccio per sfiorare uno di quei riccioli dorati e toccare la morbidezza di quella pelle di porcellana.

La trasferta non gli aveva portato il sollievo sperato e con sua grande frustrazione il desiderio lo aveva riassalito non appena messo piede in casa sua. Il sorriso di benvenuto di Clare, il semplice vestito azzurro senza maniche e il suo inconfondibile profumo gli avevano mandato il sangue alla testa e aveva dovuto fingersi occupato dal suo bagaglio per dissimulare il suo evidente turbamento.

Clare aveva mantenuto un’aria così serena che Benji non aveva dubitato neppure per un istante che non si fosse minimamente accorta dell’effetto che la sua presenza aveva su di lui.

Il suo sguardo bramoso l’aveva percorsa rapidamente, spogliandola con lo sguardo, soffermandosi sulle curve disegnate dalla stoffa morbida e sfamandosi delle sue grazie come un affamato sull’orlo della morte per inedia. 

Adesso era seduta a pochi passi da lui, ignara del tormento che gli procurava, e aiutava Martine ad impilare dei grossi cubi di gomma. La bambina riusciva ormai a stare seduta correttamente senza un appoggio alle spalle e con le piccole mani afferrava le forme colorate. Nel tentativo di tirare verso di se un grosso cubo rosso si sbilanciò leggermente e oscillò all’indietro.

Prevedendo una zuccata, istintivamente Benji si chinò in avanti e sostenne la piccola schiena di Martine con la sua mano destra facendole riacquistare l’equilibrio, proprio mentre Clare si tendeva, riuscendo ad afferrare la manina della bimba.

Un lento sorriso giocò sulle labbra di Clare mentre lasciava la mano di Martine e alzava su di lui i liquidi occhi d’ambra – Perché non la prende in braccio? – gli suggerì con disarmante semplicità.

Il volto di Benji assunse un cipiglio severo – Non credo sia affatto una buona idea. – si limitò a rispondere raddrizzando bruscamente la schiena e smettendo di sorreggere Martine.

Clare aggrottò la fronte - Per Martine o per lei? – gli chiese calma.

Benji la guardò meravigliato della sua audacia – Per la verità non sono qui a discutere… -

- Io credo che invece debba iniziare a considerare il fatto che Martine non è una cosa che si può mettere da parte senza occuparsene. – lo interruppe scuotendo il capo con decisione.

Consapevole di avventurarsi in un terreno infido Clare tirò fiato e prese coraggio, cercando le parole per affrontare quell’argomento spinoso - Il fatto che lei sia semplicemente il suo tutore non la esime dal volerle bene e dall’occuparsene. Martine ha bisogno di sentirla vicino, ha bisogno del suo amore. Non vede come tende le braccine quando è in sua compagnia? Non capisce quanto adora stare con lei? Quanto le piacerebbe essere presa in braccio e coccolata? –

Di fronte al silenzio ostinato di lui gli occhi di Clare lampeggiarono e sul suo viso varie espressioni si susseguirono in un caleidoscopio di emozioni

- Io non so perché lei si ostini a rifiutare l’affetto di Martine e, forse, non dovrebbero essere neppure fatti miei su come intende educarla ma so per certo che un bambino ha bisogno di essere amato e di trovare calore e conforto nella casa in cui vive e tra le persone che gli sono vicine. Mi chiedo perché lei si ostini a rinchiudersi nella roccaforte del suo distacco e non riesca a dimostrare un po’ d’amore a questa bambina! –

Tacque bruscamente al termine della sua filippica, non riuscendo quasi a credere di aver osato tanto.

Ristette in silenzio distogliendo lo sguardo dal viso dell’uomo e attendendo con una punta di apprensione l’inevitabile scoppio di collera a cui sarebbe certamente seguito il suo licenziamento.

- Crede davvero che io sia felice di questa situazione? – il tono di lui era secco come una frusta e i suoi occhi lampeggiarono pericolosamente - Non ho chiesto io di essere il tutore di Martine. -

Clare sollevò lo sguardo indignata dimenticando ogni timore – Neppure Martine ha colpa per essere rimasta orfana. In ogni momento della sua vita le mancheranno la sua mamma e il suo papà. – replicò avvertendo una familiare stretta al cuore.

Lo sguardo di Benji divenne penetrante, acceso da una sottile scintilla di interesse - Parla per esperienza, signorina Miller? –

Clare non riuscì a distogliere gli occhi dallo sguardo indagatore dell’uomo – Si, parlo per esperienza. – ammise con un sussurro - Sono rimasta orfana di entrambi i  miei genitori all’età di otto anni. -

- Mi dispiace. Immagino sia un dispiacere immenso per qualsiasi bambino. -

Clare lo guardò incredula, temendo di essere derisa, ma la voce calma dell’uomo e l’espressione di comprensione del suo viso erano genuinamente sinceri.  – E lei Mr. Price? – chiese istintivamente, prima ancora di rendersi conto di quello che stava facendo – Non c’è mai stato qualche evento della sua vita che le ha procurato un dolore così grande? -

– Sicuramente non di questa portata. – rispose asciutto.

Clare scosse leggermente il capo – La bambina ha bisogno delle sue attenzioni, del suo amore. Sono certa che è a questo che la madre di Martine pensava, quando le ha affidato sua figlia. -

Il volto dell’uomo si irrigidì e riassunse immediatamente la sua imperturbabile espressione granitica – Dal momento che Liesel non è qui per dircelo temo che mi dovrò fidare del suo incredibile intuito. E’ tutto, signorina Miller? – ribatté sarcastico.

Clare alzò di scatto lo sguardo fino ad incontrare gli occhi scuri dell’uomo, gelidi e fieri

- No, non è tutto. – si trovò a replicare contro ogni logica e buonsenso, levandosi in piedi e incombendo su di lui come una solitaria dea vendicatrice – E’ questo quello che teme il grande Benjiamin Price? Di non riuscire a controllare ogni impulso da dare alla propria vita in modo da evitare qualsiasi coinvolgimento? Di mostrarsi vulnerabile? Non è umanamente possibile soffocare ogni istinto d’amore che nasce dentro di noi. E’ come una pianta che germoglia anche contro le condizioni avverse del tempo e non teme né l’arsura, né le abbondanti piogge o il gelo. Cresce incurante, sempre più solida, e mette radici profonde. L’amore per essere conservato deve essere donato e condiviso, altrimenti appassisce! Lei è uno sportivo famoso e un uomo potente e tutti quanti sono intimoriti dal suo cipiglio e temono la sua collera ma, fino a che non troverà nel suo cuore un po’ d’amore e non dividerà con gli altri ciò che conserva dentro di sé, rimarrà sempre un uomo molto solo. –

Senza attendere una risposta beffarda, che sarebbe certamente arrivata, Clare si chinò a prendere in braccio Martine e si affrettò ad uscire fuori dalla stanza, lasciando Benji a fissare muto e inquieto il posto vuoto accanto a se.   

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


CAPITOLO VII

CAPITOLO VII

 

Come comincerai la prossima lettera?

Questa cominciava con Fulvia splendore.

Davvero sono splendida?”

”No, non sei splendida.”

“Ah, non lo sono?”

“Sei tutto lo splendore. Non c’era splendore prima di te”.

(B. Fenoglio)

 

 

Un leggero fruscio sul tavolino accanto a se fece sollevare di scatto il capo di Clare dal biberon pomeridiano che Martine stava prontamente vuotando con incredibile voracità.

Benji Price era entrato nel salotto della villa, come al solito senza fare il minimo rumore, e stava in piedi accanto alla sua poltrona, vestito con un completo scuro e la cravatta a righe della nazionale perfettamente annodata attorno al collo robusto.

Stava uscendo per recarsi allo stadio e il borsone degli allenamenti era posato accanto ai suoi piedi.  

- Volevo salutarvi – disse con voce bassa indicando Martine che succhiava beata il suo latte – E volevo chiederle se le piacerebbe venire ad assistere alla partita, questa sera. -

Lo sguardo di Clare si posò sul biglietto filigranato dai colori vivaci che consentiva l’ingresso nel tribuna dei vip e che egli aveva posato sul ripiano di legno lucido. Rimase muta, meravigliata da quel gesto gentile.

Accortosi del suo silenzio Benji scalpitò leggermente – E’ un invito. Non è un obbligo. – tenne a precisare – Ho pensato che forse avrebbe potuto interessarle. Porto sempre qualche biglietto per gli amici e i conoscenti e questa sera anche Jameson verrà e potrà sicuramente accompagnarla se lo desidera. Inoltre ci sarà anche Patty. –

Clare ritrovò la voce – La ringrazio  Mr. Price, ma non posso lasciare Martine da sola. – si scusò.

Benji sedette sul bracciolo della poltrona e fece scivolare il braccio teso sullo schienale, appena sopra il capo di Clare.

Il cuore di lei perse un colpo e poi aumentò i battiti. Tutti i suoi sensi erano tesi a percepire la vicinanza dell’uomo: il profumo leggero della sua colonia e il braccio che la circondava, così vicino alla sua spalla. Poteva sentire il calore che il suo corpo emanava, attraverso il bianco cotone della camicia che spiccava tra i risvolti della giacca, lasciata aperta con noncuranza. Il respiro lieve di lui fluiva mollemente sui suoi capelli, mentre si chinava per dare un’occhiata alla bimba, e inconsciamente Clare si irrigidì.

Benji sbirciò Martine da sopra la sua spalla e poi si ritrasse un tantino

 – Per la verità all’inizio avevo pensato che avrebbe potuto portarla allo stadio ma poi ho pensato che forse questa partita in notturno non è proprio l’occasione ideale. E’ meglio aspettare che sia un po’ più grandicella e per una sera a Martine può pensare Mrs. Bauer – Guardò Clare fisso negli occhi e sul viso gli apparve un sorrisetto divertito – L’invito è per lei signorina Miller. Ho deciso di seguire il suo consiglio e sforzarmi di diventare un uomo più buono. Non vorrà frustrare questo mio primo tentativo. –

- Ma io veramente… - Clare annaspava nel cercare una scusa valida per rifiutare.

Lo sguardo di lui assunse una sfumatura ironica – Signorina Miller dovrebbe sapere che non può lanciarmi la sfida senza accettarne le conseguenze. Lei mi ha rimproverato per il mio comportamento, giudicandomi un uomo duro ed insensibile e forse ha ragione. Le sto offrendo la possibilità di appurare se le sue supposizioni siano esatte. Questa sera le farò vedere ciò a cui ho dedicato tutta la mia vita. Non vorrà farmi credere che ha paura di scoprire la verità. –

Clare sostenne nervosa il suo sguardo. Aveva la strana sensazione che Benjiamin Price stesse giocando ad un gioco di cui lei però ignorava le regole e, soprattutto, aveva il sospetto che si stesse divertendo un sacco. L’idea che si prendesse gioco di lei alle sue spalle la fece infuriare e rialzò il capo con sussiego degno di una regina

- Non credo che assistere ad una partita di calcio farà cambiare di una virgola ciò che penso di lei. – ribatté con calma sfidandolo apertamente.

Benji inarcò un sopracciglio, un poco sorpreso di fronte all’ostinazione di Clare, e le belle labbra si piegarono in un breve sorriso – E’ solo un inizio. Non è onesto esprimere un giudizio su qualcuno senza conoscerlo a fondo, signorina Miller. Mi aspettavo una maggiore consapevolezza. –

- Se questo è un modo per indurmi a cedere… -

- Lo è. – ammise lui con un sardonico sorriso – Perché sono certo che la sua integrità non le permetterebbe di mal giudicarmi senza darmi una piccola chance di riscatto. – Il suo indice batté sul biglietto – Si è sempre occupata di Martine con encomiabile zelo e un piccolo svago non le farà certo male. Mi permetto di insistere: spero che questa sera vorrà venire. -

Con un gesto fluido raccolse il borsone e si avviò alla porta lasciando sola Clare alle prese con quella difficile decisione. Pochi istanti dopo lo scricchiolio delle gomme dell’auto sulla ghiaia del vialetto le annunciò che il suo datore di lavoro si era già diretto allo stadio.

Rifletté per un breve istante mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore. Patty le aveva detto che doveva iniziare a prendere in mano le redini della sua vita e seguire l’istinto che madre natura le aveva dato.

Per la prima volta da parecchi anni a questa parte aveva avuto il coraggio di alzare il capo, abbandonando il suo atteggiamento pavido e tenere testa a qualcuno. E non già ad un uomo qualsiasi! Ma Benji Price che era noto per il suo caratteraccio.

Gli occhi di Clare brillarono di una luce intensa mentre sperimentava il desiderio di comportarsi come facevano le altre ragazze della sua età: uscire, vedere gli amici, assistere ad uno spettacolo o ad una manifestazione sportiva in piena autonomia. La sua neonata avidità di indipendenza stava facendosi strada a piccoli passi e lei si scopriva incredibilmente felice nel ritrovare scintille di quello spirito intrepido che aveva caratterizzato la sua vita di bambina fino alla morte dei suoi genitori.

Le mani sottili tremarono leggermente mentre prendeva in mano la cornetta del telefono e componeva rapidamente un numero – Pronto? Patty? Sono Clare… -

 

Lo stadio era gremito di folla fino all’inverosimile e fari potenti erano stati accesi e puntati sul terreno di gioco in modo da illuminare la partita e i vari settori occupati gli spettatori. Oltre i fasci di luce il cielo notturno era piacevolmente sereno, trapunto da una miriade di stelle e da una luna crescente che mostrava una falce luminosa corrispondente ad un quarto della sua interezza.

I tifoni avevano già iniziato ad inneggiare i loro beniamini con cori e striscioni beneauguranti, aiutandosi nel loro baccano con trombe e tamburi, quando Patty si fece strada fino ai loro posti in tribuna tenendo ben stretta la mano di Clare che la seguiva a fatica tra la ressa.

Una giovane donna dai capelli bruni salutò Patty con un cenno della mano indicando i posti vuoti vicino a se.

- E’ Jenny! – gridò Patty per superare il frastuono della folla, rispondendo al saluto – Andiamo! -

La brunetta si alzò in piedi a abbracciò Patty che ricambiò affettuosamente il gesto – Lei è Clare. – la presentò Patty sedendosi in mezzo alle due ragazze.

Jenny fece un vigoroso cenno di assenso con il capo – Io sono Jenny Kendall, la fidanzata di Philip Callaghan. Sei la bambinaia di Martine, vero? –

Clare sorrise conquistata dalla disarmante semplicità di quella giovane donna – Si, sono proprio io. –

- Finalmente questa sera avrai l’opportunità di vedere all’opera la nostra nazionale – Patty era giubilante – E’ sempre un’emozione vederli giocare. -

In quel momento lo stadio fu scosso da un’ovazione mentre le squadre facevano il loro ingresso in campo precedute dall’arbitro e dai guardialinee in maglia e calzoncini neri. Ogni giocatore entrò nel rettangolo verde tenendo per mano un bambino di circa sei anni, vestito con la maglia della squadra avversaria. Oliver Hutton e Ling Fao Sang, il capitano della squadra coreana stringevano tra le mani il gagliardetto della nazionale da scambiarsi reciprocamente prima dell’inizio della partita.

Le due squadre si disposero ordinatamente lungo un’immaginaria linea retta, rivolte verso la tribuna d’onore e separate dalla terna arbitrale, in attesa che suonassero entrambi gli inni nazionali.

Il Giappone, in testa alla classifica del quadrangolare, vestiva la maglia azzurro intenso con la bandiera nipponica ricamata sulla sinistra del petto mentre la Corea, al secondo posto della classifica, giocava in maglia bianca.

- Holly, Holly, dovete vincere! - Patty incitò entusiasta il capitano e indicò all’amica, seduta alla sua destra, il numero dodici della nazionale – Jenny, ecco Philip! –

La brunetta salutò entusiasta mentre Patty si sbracciava a fianco di Clare – Là c’è Benji! –

Clare annuì avendo già riconosciuto l’imponente figura del suo datore di lavoro sostare all’estremità della fila della propria squadra. Contrariamente ai compagni era interamente vestito di nero tranne che per il cappellino rosso fuoco che spiccava come una macchia di colore sulla divisa scura. Un grande numero uno campeggiava sul retro della sua maglia e un paio di robusti guanti erano già stati infilati sulle grandi mani abbronzate.

Patty lo guardò sorridendo e poi spostò la sua attenzione sulla bionda ragazza seduta accanto sé – Sai Clare, una volta pensavo che Benji fosse solo un arrogante pieno di boria. –

Clare la osservò con aria interrogativa stupita dal tono serio della considerazione – E adesso? – si ritrovò a chiedere

- Adesso penso che sia un uomo magnifico. – la voce di Patty era piena di ammirazione - Vedrai anche tu, nel suo lavoro è davvero il migliore. Non è tanto ciò che fa, è come lo fa. Quando entra tra i pali di una porta diventa soprannaturale. Sta lì, con lo sguardo a metà tra l’annoiato e il cinico come se non si curasse del fatto che alla fine vince sempre. Nessuno gli ha mai sentito rifiutare una sfida e raramente ne perde una. – Patty prese la mano dell’amica fra le sue – Forse questo non è il momento più adatto per dirti certe cose ma ho visto come ti guarda e mi chiedo se anche tu provi qualcosa per lui. -

Clare arrossì vistosamente – Ma io… -

L’amica scosse il capo – Scusami non volevo metterti in imbarazzo. So di essere la persona meno obiettiva per dirti certe cose, Clare, ma proprio perché voglio bene ad entrambi vorrei che provassi a guardare oltre quel concentrato di orgoglio e virilità che è Benjiamin Price. – sospirò leggermente - Ha il denaro, il potere, la fama, le donne. Tutte le donne che desidera, di qualunque livello e ceto sociale. Eppure adesso torna tutte le sere a casa. E torna da te. -

Clare scosse il capo confusa - Ma io sono solo la bambinaia che si occupa di Martine. –

Patty la guardò con aria saputa – Tu credi? – le sorrise gentilmente – Impara ad ascoltare il tuo cuore Clare. A volte l’occasione per incontrare la vera felicità ci passa davanti senza che noi quasi ce ne accorgiamo. Io per poco non l’ho persa. Fai attenzione a non fare anche tu lo stesso errore. – Patty le lasciò la mano e si voltò verso il campo da gioco iniziando ad incitare la nazionale con entusiasmo sotto la sguardo divertito di Jenny.

Clare seguì lo sguardo di Patty riportò l’attenzione sui giocatori con l’animo ancora turbato.

Cosa voleva dire Patty? Era possibile che lui Banji Price, il SGGK, fosse interessato a lei, una semplice educatrice?

Doveva guardare dentro al suo cuore…

Vide Benji discutere accanto al quarto uomo, il cappellino piegato in modo da nascondere gran parte del viso. L’arbitro era alto ma a confronto del SGGK  sembrava un nano. 

Si trovavano troppo distanti perché Clare fosse in grado di sapere se lui aveva notato la sua presenza in tribuna ma, al termine dell’inno nazionale, prima di scorrere di fronte agli avversari per la tradizionale stretta di mano, il SGGK si portò la mano alla fronte in quello che poteva sembrare un gesto per sistemarsi il cappellino… oppure un breve cenno di saluto.

Il cuore di Clare provò un piccolo fremito e uno strano e caldo piacere le si diffuse alla bocca dello stomaco al pensiero che quel gesto segreto fosse solo per lei. Sbirciò di sottecchi Patty ma l’amica, completamente intenta a parlare con Jenny non aveva fatto caso a quel movimento.

Il boato dei tifosi riportò la sua attenzione al campo dove era stato appena dato il calcio di inizio.

Benji era in porta alla sua sinistra, leggermente chino in avanti e totalmente concentrato sul gioco. Pareva ignorare completamente la presenza di tutti quei tifosi che inneggiavano il suo nome, quello del capitano Oliver Hutton e della “Tigre”, Mark Lenders.

Clare lo vide urlare qualcosa ad un difensore e osservò come il numero cinque prendesse posizione, seguendo le direttive ricevute senza discutere, con incrollabile fiducia.

Capì perché Patty gli avesse descritto Benjiamin Price come uno dei migliori portieri del mondo. Era dotato di uno straordinario istinto e la sua capacità di prevedere le manovre di attacco avversarie gli consentiva un’eccellente organizzazione della difesa.

Una buona parte del primo tempo trascorse caratterizzata da un gioco agile e veloce della nazionale nipponica che si rese pericolosa in diverse azioni prima che gli avversari riuscissero a fare un’incursione nella metà campo difesa da Benji e compagni.

Il pallone partì potente e preciso, diretto verso l’angolino in alto a destra dell’incrocio dei pali.

Benji era rimasto immobile fino a quando non aveva potuto vedere il piede dell’attaccante calciare la sfera a scacchi con quella particolare traiettoria. Si tuffò in avanti alla sua sinistra ad intercettarne il percorso con una spinta potente dei muscoli delle gambe e del dorso.

Clare trattenne il respiro mentre il fisico possente del portiere si elevava tendendosi fino ad afferrare il pallone con entrambe le mani in una presa sicura. Cadde rotolando su una spalla e quasi istantaneamente fu di nuovo in piedi, calciando con precisione il pallone in direzione del centrocampo.

Tom Becker ricevette il rinvio e non esitò un solo istante. L’altra metà della Golden Combi effettuò un veloce passaggio verso Philip Challagan, che a sua volta trovò libero Mark Lenders cogliendo in completo contropiede i centrocampisti avversari. La “Tigre” scartò con irruenza un difensore che aveva effettuato su di lui un’entrata in scivolata, prima di calciare uno splendido assist verso il capitano della nazionale. Era quello che Holly stava aspettando: stoppò il pallone di petto e caricò il tiro con il sinistro. La sfera partì rasoterra potentissima e a nulla valse il tuffo del portiere coreano. Goal!

Un boato scosse lo stadio dalle tribune alle gradinate. Patty, Jenny e Clare balzarono in piedi applaudendo e gridando fino a sgolarsi, emozionate dalla splendida azione che i giocatori avevano costruito e finalizzato.

- Bravissimo Holly! Sei sempre il migliore, capitano! – urlò Patty faticando a contenere la propria goia di fronte agli sguardi divertiti delle amiche.

Jenny diede di gomito a Clare, strizzandole l’occhio, mentre i giocatori in campo correvano ad abbracciare il loro capitano – Avresti dovuto vedere Patty qualche anno fa. – le gridò ridendo per sovrastare le urla eccitate dei tifosi – Era un ultras scatenatissima. Adesso si deve moderare perché è ufficialmente la fidanzata del capitano Hutton e non può fargli fare brutta figura ma, altrimenti, sarebbe già saltata sugli spalti sventolando la bandiera! -

Clare rise e il suo sguardo tornò inconsciamente verso l’estremità del campo alla sua sinistra dove Benji aveva già ripreso la sua posizione, non partecipando attivamente alla gioia dei compagni. Era appoggiato indolentemente ad uno dei pali e stava sistemandosi sugli occhi la visiera del berretto che gli era caduto, durante il volo della sua incredibile parata.

Nonostante la distanza Clare potè vedere, come una breve apparizione, il candore abbagliante dei suoi denti contro la carnagione scura, mentre sul viso gli appariva un largo sorriso compiaciuto. Era anche suo il merito per quella splendida azione che aveva fatto esultare l’intero stadio, chi per la gioia, altri per lo sconforto.

Sua la parata eccezionale.

Sua l’intuizione per quel passaggio che aveva preso in completo contropiede la squadra coreana.

Comprese quanto fosse meritato il soprannome di Super Great Goal Keeper e come non solo una minuziosa preparazione atletica ma soprattutto un grande talento fosse necessario per praticare il calcio ai livelli agonistici a cui stava assistendo.

Il pallone venne riposizionato al centro del campo e la squadra coreana ripartì all’attacco. Dietro diretta strategia di Freddy Marshall la nazionale nipponica continuò a giocare, per tutto il primo tempo, amministrando con oculatezza il vantaggio acquisito e mettendo alla prova gli automatismi dei passaggi. Quando i giocatori si diressero negli spogliatoi, alla fine dei primi quarantacinque minuti di gioco, il commissario tecnico della nazionale aveva verificato alcuni degli schemi principali ed era pronto a fare le sue osservazioni alla squadra e ad effettuare alcuni cambi tecnici.

Durante il secondo tempo la nazionale coreana partì aggressivamente all’attacco e Benji fu impegnato a salvare lo specchio della parta in due successive parate che accrebbero l’entusiasmo dei compagni. Dopo un preciso passaggio a Tom da parte di Philip, nella mischia di fronte alla porta avversaria, il numero undici della nazionale effettuò uno splendido pallonetto che ingannò completamente il portiere finendo nella rete alle sue spalle.

Patty schizzò in piedi, abbracciando Clare e Jenny urlò di gioia, mentre l’arbitro fischiava per la seconda volta con il braccio teso ad indicare la regolarità della rete.

Il risultato dell’incontro sembrò assestarsi definitivamente sul due a zero per la nazionale nipponica e mancavano soltanto una manciata di minuti alla conclusione dell’incontro quando la Corea, con uno scatto di orgoglio riprese il possesso di palla, insistendo tenacemente in un’ultima azione condotta dal suo capitano Ling Fao Sang.

Il giocatore saltò bruscamente l’ultimo difensore e spinse il pallone davanti a sé, costringendo Benji ad un’uscita per difendere la sua porta. Con collaudata esperienza l’attaccante cercò scavalcare il portiere prima di tentare il tiro ma Benji inseguì implacabilmente la sfera a scacchi, stendendo le braccia, incurante di Sang che si preparava al tiro. Sbilanciato dal suo stesso tentativo, il numero dieci coreano gli cadde addosso, proprio mentre il SGGK raggiungeva il pallone e lo allontanava, colpendolo con il pugno chiuso.

Un rauco grido di dolore gli spezzò la voce, quando gli affilati tacchetti della scarpa sinistra dell’attaccante lacerarono la stoffa della sua maglia ferendogli la spalla, mentre riceveva su di sé l’intero peso del corpo dell’avversario.

Clare scattò in piedi come una molla, premendo le nocche del pugno chiuso contro le labbra per impedirsi di urlare e, proprio in quel momento, il triplo fischio dell’arbitro segnò la fine dell’incontro, facendo esplodere la gioia dei tifosi.

Ling Fao Sang si alzò cautamente proprio mentre i difensori giapponesi, Paul Diamond e Ted Carter arrivavano per primi accanto a Benji. Il volto del SGGK era irrigidito dal dolore mentre si rialzava faticosamente in piedi, aiutato da Ted, tenendo la mano, ancora coperta dal guanto, a coprire la spalla ferita.

Rassicurati brevemente i compagni e scambiato uno sguardo d’intesa con un preoccupato Freddy, il portiere ristette in piedi, fermo all’estremità del campo, salutando con il braccio sano i tifosi esultanti, prima di dirigersi verso il tunnel dello spogliatoio.

Prima di rendersi conto di quello che stava facendo, Clare volò giù dalla tribuna, seguita da Patty e Jenny. Philip fu il primo ad emergere dal tunnel che conduceva agli spogliatoi e Jenny gli si gettò felice tra le braccia non appena lo vide, complimentandosi per la vittoria, mentre attorno a loro lampeggiavano i flash dei fotografi.

I giornalisti erano a conoscenza che il numero dodici della nazionale aveva appena firmato un ricco ingaggio con il Manchester United ed erano tutti curiosi di saper qualche particolare in più sulla recente notizia. Inoltre da tempo si favoleggiava di un matrimonio del calciatore con la bella Jennifer Kendall e la presenza di lei alla partita non faceva altro che alimentare quelle congetture da rotocalco scandalistico.

Benji cercò di aggirare la stampa senza essere notato ma il volto teso e preoccupato di Clare, che correva verso di lui seguita da Patty, lo fece fermare pochi passi dopo l’uscita del tunnel.

La spalla gli pulsava terribilmente e, nel punto dove i tacchetti di Sang avevano tagliato la stoffa, il sangue aveva iniziato ad uscire copioso dalla ferita, inzuppando la felpa pesante. Sentiva uno strano ronzio nelle orecchie e strizzò brevemente gli occhi per scacciare il velo che tendeva ad oscurargli la vista.

Gli occhi d’ambra di Clare lo scrutarono ansiosi di fronte all’orda di fotografi e i giornalisti che, accortisi di lui, stavano spintonandosi per raggiungerlo prima che il SGGK si dirigesse agli spogliatoi, ignorandoli come d’abitudine.

Clare aprì la bocca per parlare ma, prima che potesse fare una qualsiasi domanda, Benji allargò il braccio sano e lo fece scivolare attorno alla vita sottile di lei, agganciandola e sollevandola in alto sopra la sua testa – Abbiamo vinto! – esclamò esultante a beneficio degli astanti, davanti alla sua espressione attonita – Ha visto che ha fatto bene a venire. Non l’abbiamo delusa.-

Clare fu costretta a posare una mano sulla sua spalla sana per mantenersi in equilibrio e il suo volto assunse una sfumatura porpora per l’improvviso ed imbarazzante contatto con il corpo robusto di lui. Le sue gambe erano strette contro le cosce muscolose dell’uomo e il suo seno destro era pericolosamente vicino al bel volto bruno di lui che in quel momento sfoggiava un sorriso tirato.

- Mi lasci – alitò in preda al panico ma Benji allentò la stretta solo di poco, facendola scivolare contro di se fino a che il viso di Clare si trovò a pochi centimetri dal suo.

- La prego stia ferma. – l’alito caldo di lui le sfiorò l’orecchio ma il tono pressante della sua voce la costrinse ad obbedire. – Adesso la metto giù ma lei non si deve muovere – sussurrò aspettando un cenno di assenso da parte di Clare.

I fotografi si scatenarono a riprendere quello che sembrava essere un abbraccio davvero caloroso unito ad un intimo scambio di mormorii affettuosi e, non appena Benji ebbe lasciato scivolare Clare a terra, i lampi dei flash aumentarono di intensità.

Clare non si mosse, memore della raccomandazione di Benji, e del resto non avrebbe potuto allontanarsi di un solo passo perché la mano possessiva dell’uomo era posata sulla sua spalla inchiodandola dove si trovava. La tenne davanti a se e il capo biondo di Clare sfiorava a malapena il mento di lui.

Un giornalista mise un microfono davanti al viso del SGGK - Splendida partita, Benji, peccato per quell’ultima azione quando Sang ti è caduto addosso… -

- Fortunatamente non è successo niente di grave. – il tono di voce di Benji era calmo – Sono piccoli incidenti che possono capitare durante il gioco. -

- Hai fatto delle parate eccezionali oggi. E’ a questo che ci vuoi abituare? -

Il SGGK rise ma Clare si accorse che la sua era una risata senza allegria – Spero di abituarvi sempre a qualcosa di meglio. – rispose stringatamente, provocando l’ilarità dei presenti.

Una giornalista bruna dal volto sapientemente truccato gli sorrise con complicità – E lei chi è, Benji? – chiese con familiarità indicando Clare – Un nuovo amore? –

Malgrado il disagio di dover stare ferma sotto gli sguardi di falco degli esponenti della stampa e la mano implacabile del suo datore di lavoro posata con apparente noncuranza sulla sua spalla, Clare non poté fare a meno di provare un moto di ribellione davanti all’insinuazione gratuita della donna e alzò il capo, fulminandola con un’occhiataccia silenziosa.

Benji scosse la testa quasi divertito – Signorina Lewis, come lei ben sa non parlo mai della mia vita privata ma in questo caso posso rassicurare tutti: la signorina è solo un’amica. –

Martha Lewis ridacchiò incredula – Senti, senti… – bamboleggiò - Suvvia Benji non puoi mandarci via a bocca asciutta. Chi è? Da come mi sta guardando sembra proprio decisa a difenderti con le unghie e con i denti. -

Benji non raccolse la provocazione - Se ora volete scusarmi… forse vorrete fare qualche domanda al capitano Hutton… - suggerì indicando l’attaccante che stava sopraggiungendo. Martha Lewis storse la bocca di fronte all’implicito rifiuto del SGGK e i fotografi si rivolsero verso Holly e inondandolo di una nuova selva di flash.

Il diversivo consentì a Benji di allontanarsi a fatica sempre tenendo stretta a sé la sottile figura di Clare. Lei seguì irrigidita ogni suo movimento e, non appena ebbero girato l’angolo diretti agli spogliatoi, fu sorpresa nel sentire la mano del portiere gravare sulla sua spalla con maggior peso.

- Ma cosa… - iniziò a protestare, cercando di scansarsi dalla sua stretta tenace.

- Shh… - il sussurro dell’uomo era debole – Mi accompagni alla sala medica. Dopo potrà sgridarmi quanto vuole. -

In quel momento Clare si accorse del pallore innaturale sotto l’abbronzatura marcata. Gli occhi scuri sotto il cappellino sembravano aver perso la loro abituale lucentezza e il volto era irrigidito mentre lui digrignava i denti per resistere al dolore che saliva a ondate dalla spalla ferita.

- Ma lei sta male! – esclamò facendogli scivolare automaticamente un braccio attorno alla vita stretta per sostenerlo.

- Mi sono infortunato durante l’ultima azione. Freddy se ne è accorto. Mi sta aspettando. – mormorò lui quando raggiunsero la sala dell’infermeria.

Clare aprì la porta e non fu sorpresa nel trovare Freddy Marshall, il medico della nazionale il dottor Sommers, e un’infermiera pronti per l’occorrenza. Il commissario tecnico si affrettò ad aiutare Clare a sostenere Benji fino al lettino e si preoccupò di chiudere la porta a chiave alle loro spalle per impedire l’entrata a possibili curiosi.

Benji si lasciò cadere sul letto con un gemito e immediatamente il lenzuolo si macchiò di sangue mentre il dottore faceva segno all’infermiera di avvicinarsi con il vassoio dei ferri.

A Clare sfuggì un mormorio di sorpresa nel vedere attraverso la felpa strappata una ferita da cui continuava ad uscire il sangue che aveva già impregnato la stoffa della manica quasi fino al gomito.

- Come ti senti Benji?- Freddy era visibilmente preoccupato.

Il medico prese un paio di forbici e iniziò a tagliare il tessuto mettendo a nudo la spalla e parte del torace del campione.

- E’ come se qualcuno mi fosse passato con un tir sopra la spalla. – rispose lui a fatica cercando di resistere al dolore.

Clare si fece piccina piccina quando vide la lacerazione che correva dalla clavicola fino al primo rilevo del bicipite per una buona decina di centimetri e cercò di guadagnare silenziosamente la porta ma, non appena ebbe posato il palmo della mano sulla maniglia, la voce bassa del SGGK la fece sussultare

- Resti. -

Clare si voltò di scatto incontrando lo sguardo brillante dell’uomo al di sopra della spalla del medico. Si costrinse ad un riluttante segno di assenso con il capo e cercò una sedia il più lontano possibile da dove il dottore stava lavorando. Si passò la lingua sulle labbra aride e sedette nervosamente sulla punta della sedia,  morsicandosi il labbro inferiore e cercando di ignorare i movimenti del dottore che tastava e tirava.

- Ci vorranno dei punti. – sentenziò il medico facendo cenno all’infermiera per l’occorrente e continuando a palpare con più delicatezza l’ematoma violaceo che si stava gonfiando rapidamente attorno alla ferita – E’ un taglio netto che si trova nella parte carnosa della spalla e questo è il motivo per cui ha perso così tanto sangue. E‘ un punto irrorato da molti vasi sanguigni e l’ematoma così esteso è dovuto alla rottura di un gran numero di questi vasi. Non c’è nessun osso rotto ma la spalla avrà bisogno di cure e di riposo assoluti. E’ stato molto fortunato. – concluse finendo di disinfettare la ferita e iniziando a dare i punti.

Freddy era estremamente sollevato – Questa sì che è una bella notizia! – esclamò

Gli occhi di Benji lampeggiarono pericolosamente – Quanto tempo ci vorrà prima di ritornare a giocare? – chiese stringatamente, cercando di ignorare il vago senso di nausea provocato dalla sensazione del filo da sutura che scorreva dentro e fuori dalla sua carne.

Il medico interruppe per un istante il suo lavoro – Un mese, più o meno. – decretò con calma.

- Dannazione! – Il volto del SGGK  era più cupo che mai – Non ho intenzione di mancare alla partita contro la Cina. -

Il dottor Sommers riprese a cucire imperturbabile – Le conviene cercare di stare buono per un po’. – dichiarò dando gli ultimi punti – Le poteva andare molto peggio. Da come Fang le è caduto addosso pensavo di dover fare un gesso unico dal collo fino al polso. Il taglio non mi preoccupa ma la spalla ha ricevuto una sollecitazione molto forte a causa dell’urto e ci vorrà un po’ di tempo per non compromettere la guarigione. –

Freddy si affrettò a rassicurare il medico sotto lo sguardo torvo di Benji e il sanitario completò la sua medicazione spalmando una pomata antibiotica su tutta l’area infiammata e fasciando interamente la spalla facendo passare, con l’aiuto dell’infermiera, le lunghe bende attorno al torace muscoloso del portiere.

Tese a Benji due pastiglie con bicchiere d’acqua e gli mise fra le mani un flaconcino bruno – Sono analgesici. Servono a farle passare il dolore. –

Il SGGK  buttò giù le pastiglie senza fiatare e poi gettò un’occhiata alla felpa insanguinata ormai ridotta ad uno straccio – Avrò bisogno dei miei vestiti. Non posso gironzolare così davanti ai giornalisti. –

Il commissario tecnico annuì con decisione – Te li farò portare. Io devo andare in conferenza stampa e rispondere ad un bel po’ di domande. –

Benji lanciò uno sguardo di fuoco all’ex tutore – Non voglio che sappiano di questo piccolo problema. Me li ritroverei addosso come tanti cani che hanno fiutato l’osso. Dopotutto non è necessario informarli: ci sarò contro la Cina. –

Freddy riconobbe il caparbio atteggiamento della mascella e preferì non contrariarlo – D’accordo. Come vuoi. Se hai bisogno i qualcosa… -

Benji inclinò la testa verso Clare e un sorrisetto ironico gli piegò le belle labbra – Non preoccuparti Freddy. Qualunque cosa di cui abbia bisogno ci penserà la signorina Miller. Fammi avere solo i miei vestiti. –

L’uomo posò una mano sulla spalla sana del campione – Mi hai fatto preoccupare. – disse con voce da cui traspariva l’affetto profondo che li legava.

Benji sollevò lo sguardo meravigliato e annuì leggermente – Anche se cerco di convincerti del contrario, ho intenzione di arrivare ai Mondiali tutto intero – ribatté con un sorrisetto sbieco.

Freddy fece udire una risatina – Ci conto, lo sai. Non posso fare a meno del mio miglior portiere -

Con un ultimo saluto si diresse alla porta seguito dal dottor Sommers e dall’infermiera lasciando Clare sola nella stessa stanza insieme al suo datore di lavoro.

La ragazza si alzò dalla sedia con le gambe che tremavano leggermente e si avvicinò al lettino mettendosi di fronte al portiere che stava cercando di alzarsi a fatica.

- Forse è meglio che rimanga seduto. – gli consigliò, balbettando lievemente.

Benji si accorse del tremito della sua voce e le scoccò un’occhiata curiosa – Non si deve spaventare, signorina Miller. Non è la prima volta che rimango infortunato durante una partita. Non è nulla di grave. –

Clare alzò lo sguardo verso di lui e Benji fu meravigliato dalla splendida trasparenza di quegli occhi ambrati che frugavano dentro i suoi. Sembrava una bambina spaventata.

- Io… quando è caduto… ho avuto paura. – mormorò quasi vergognandosi di quella confessione riluttante.

Lo stupore screziò di castano gli occhi scuri dell’uomo mentre fissava il volto pallido e preoccupato di lei.

La sua mano si sollevò quasi con reverenza, come se una creatura rara si fosse trovata all’improvviso al suo fianco e le lunghe dita forti sfiorarono la tempia di Clare e una ciocca di capelli dorati, sfuggita alla pensante treccia. Il suo sguardo ardente, come la brace sotto la cenere, si allacciò intensamente a quello di lei in un silenzio denso di trepidazione.

Clare sentiva il sangue pulsare veloce nelle sue vene mentre il suo campo visivo veniva interamente occupato dai tratti marcati del volto di lui, bruno e bellissimo, chino sul suo viso.

Le labbra dell’uomo le sfiorarono la guancia morbida in una carezza lieve come una piuma

- Grazie. -

Lei non riuscì a replicare. Non poteva. Non davanti all’emozione indefinibile che vedeva riflessa negli occhi  scintillanti di lui.

Tutto un intero universo si riversò nell’animo di Clare, incapace di comprendere tutta quella profusione di sensazioni. Il suo cuore batteva troppo tumultuosamente e faceva fatica a respirare.

Fu un attimo. Un momento in cui lei vide davanti a sé il vero Benjiamin Price. Non la fredda maschera di orgoglio e determinazione che egli indossava quotidianamente ma l’uomo vero.

Un rapido bussare alla porta le fece distogliere lo sguardo e l’incanto finì.

Gli occhi dell’uomo ripresero la loro naturale durezza adamantina e Clare si affrettò ad allontanarsi confusa ed incerta. Aprì la porta e, dopo aver preso il borsone sportivo dalle mani dell’inserviente incaricato da Freddy, la richiuse e si voltò incerta verso Benji, tendendogli la sacca con il solo desiderio di uscire al più presto da quella stanza e da quella situazione imbarazzante.

- Dove pensa di andare? -

Il tono sottilmente ironico di lui le gelò il sangue nelle vene e Clare si torse le mani in preda alla confusione

- Io uscirei, così lei può cambiarsi. – mormorò mentre il volto le si scuriva dal rossore.

Il SGGK sbuffò e sembrò non fare caso al suo evidente imbarazzo – Non dica stupidaggini come vuole che faccia a vestirmi con un braccio e una spalla fuori uso. Venga qui e mi aiuti. – ordinò, cercando di ignorare il capogiro che lo aveva colto non appena si era alzato.

Se possibile il volto di Clare divenne ancora più rosso – Forse potrei chiamare l’infermiera… - balbettò

Benji la fulminò con un’occhiataccia – Signorina Miller, non sto cercando una scusa per sedurla. Le sto solo chiedendo aiuto per infilarmi una camicia e andare via da qui. – ribatté con la voce grondante di sarcasmo.

Il sangue defluì improvvisamente dal volto di Clare e la giovane gli si accostò titubante, incontrando lo sguardo furioso dell’uomo. Estrasse una camicia pulita dal borsone e con attenzione fece scorrere il tessuto liscio sul braccio e la spalla fasciati, tenendo la camicia affinché Benji potesse infilarvi il braccio sano.

L’uomo si abbottono spazientito un polsino ma incontrò qualche difficoltà ad allacciare con una sola mano i bottoni dello sparato. Con il volto in fiamme Clare gli scostò gentilmente le mani e prese ad infilare con destrezza i bottoncini di madreperla nelle piccole asole, sotto lo sguardo bruciante di lui che osservò in silenzio l’intera operazione.

Quando afferrò dalla borsa un paio di pantaloni Clare non resistette e gli voltò le spalle con un gemito di vergogna provocando un risolino sarcastico. Sobbalzò quando Benji le toccò delicatamente una spalla.

- Sono pronto. -

Clare sbirciò cautamente da dietro la spalla e fu enormemente sollevata nel vedere che egli aveva indossato e allacciato i calzoni senza bisogno di aiuto. Lo aiutò ad infilarsi la giacca e lui si toccò la spalla con una smorfia nel sentire la fasciatura rigidamente ferma e tesa sotto il tessuto degli abiti.

Tolse le chiavi dell’auto dalla tasca interna della giacca e le porse a Clare – Dovrà portarmi a casa. Questa fasciatura non mi permette di guidare. Crede di farcela? – chiese ironico.

A quell’ennesima provocazione Clare rialzò il capo ed irrigidì il mento – Certo, signore. – rispose piccata dai suoi modi bruschi, afferrando la borsa sportiva con slancio dettato dall’orgoglio. Gli passò davanti ignorandolo, la schiena rigida, le spalle ben erette, e aprì la porta con foga prima di girarsi ad incontrare lo sguardo divertito di lui.

- Ha intenzione di rimanere lì ancora per molto? -

Benji spalancò gli occhi per quel tono di aperta sfida ma senza aspettare una risposta Clare uscì e il SGGK poté udire i suoi passi allontanarsi lungo il corridoio. Scosse la testa incredulo: lo aveva rimbeccato nello stesso modo in cui si riprende un bambino piccolo.

Ignorando il fastidio alla spalla fasciata, la seguì lungo il corridoio non potendo fare a meno di ammirare, nonostante l’irritazione, il leggero e sensuale ondeggiare dei fianchi di lei, che camminava precedendolo di alcuni metri senza mai voltarsi indietro.  

 

 

     

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Saluti cari a tutti i fedeli lettori della mia ff.

Grazie mille a chi la settimana scorsa ha lasciato un commento.

Questo è un capitolo che io amo molto e che ho sentito in modo particolare. Adesso aspetto di sapere cosa voi ne pensate.

Ad maiora!

 

CAPITOLO VIII

 

“ Si, mi struggo di te…

Perdutamente scivolo via dalle mie stesse mani

senza speranza alcuna

d’oppormi a ciò che da te mi proviene…

Lo senti amore?

Le mani sollevo

ed è nell’aria, lo senti, un fruscio.

(R.M. Rilke)

 

Il campanello del portone di ingresso squillò per la terza volta e Clare posò in fretta il cucchiaio, con il quale stava rimescolando il brodo, per andare ad aprire. Dopo aver gettato un rapido sguardo a Martine che, seduta sul seggiolino, giocava farfugliando con alcuni animali di pezza, uscì di corsa dalla cucina.

- Arrivo, arrivo. – borbottò, spingendo dietro le spalle una lunga ciocca di capelli dorati sfuggita al fermaglio che li tratteneva sulla nuca. Erano solo le quattro del pomeriggio ma per Clare, che si trovava in piedi dalle sei di quella mattina, la giornata aveva già assunto delle proporzioni spaventose. Dalla sera della partita, in cui il suo datore di lavoro si era infortunato, tutto a villa Price sembrava essere andato a rotoli.

Dopo aver assistito all’incontro Jamenson era rientrato a casa piuttosto tardi lamentando un forte mal di gola e il giorno dopo anche Mrs. Bauer era stata costretta a letto con la febbre a quaranta. Il medico chiamato d’urgenza aveva diagnosticato ad entrambi un’influenza con i fiocchi e Clare, insensibile alle loro lamentele, li aveva costretti a relegarsi nelle loro stanze per timore che Martine potesse essere infettata. 

Con il solo aiuto di Tessa, la cameriera che abitualmente si occupava delle pulizie ai piani superiori, Clare si era ritrovata improvvisamente sulle spalle la gestione dell’intera casa oltre a doversi occupare dei due domestici ammalati e di Martine. Come se non bastasse, durante la giornata, un’interminabile processione di amici e giocatori della nazionale, guidata da Freddy, andavano e venivano per avere notizie del SGGK.

Benji Price era di umore intrattabile.

Il riposo forzato per non compromettere la guarigione della spalla e l’impossibilità di uscire ad allenarsi lo rendevano nervoso e facilmente irritabile, tanto che Clare cercava di stargli alla larga il più possibile.

Il dottor Sommers che quotidianamente veniva a controllare la medicazione si era detto ottimista e dopo una settimana aveva pronosticato un recupero più veloce del previsto.

Clare aveva scorto un luccichio di diabolica soddisfazione negli occhi scuri del campione, una sorta di “te l’avevo detto”, e aveva capito che ormai il divieto di partecipare agli allenamenti aveva i giorni contati.

Nelle occasioni in cui aveva assistito il dottore durante la medicazione aveva potuto constatare la progressiva cicatrizzazione della ferita e la riduzione dell’ematoma. La pelle stava lentamente e  gradualmente ritornando al suo naturale colorito bronzeo e più di una volta Clare aveva sorpreso Benji a flettere con cautela i muscoli della spalla per poi ritrarre bruscamente il braccio come per una stilettata improvvisa. 

Il SGGK aveva smesso, quasi da subito, di prendere gli analgesici prescritti dal medico per calmare il dolore, sostituendo alle pastiglie antidolorifiche svariati bicchieri di brandy. Di fronte allo sguardo corrucciato di Clare posato sul suo bicchiere pieno, le aveva rivolto un’occhiata sfrontata spiegandole sarcasticamente che se avesse continuato a prendere gli analgesici non avrebbe potuto giocare la prossima partita a causa della sensibilità del test anti-doping a quel farmaco.

Clare non aveva replicato ma sguardo ostinato dell’uomo, mentre le dava quella spiegazione rabbiosa, le aveva fatto comprendere quanto le illazioni e le accuse che gli erano state mosse in Germania lo avessero amareggiato e offeso.

Anche adesso, quando non si trattava di ricevere gli amici e i compagni di squadra che venivano a trovarlo, si richiudeva nel suo studio occupandosi dei rendiconti delle sue società per lunghi solitari pomeriggi.

Da circa una settimana Clare non usciva più dalla villa poiché, dalla sera della partita contro la Corea, alcuni individui con in mano una macchina fotografica si erano aggirati saltuariamente attorno al cancello e questo aveva reso, se possibile, ancora più tetro l’umore già pessimo del suo datore di lavoro.

Bruscamente le aveva ordinato di tenere la bambina fuori dalla portata dei fotografi e si era rinchiuso nel suo studio. Attraverso lo spesso pannello di quercia della porta, Clare aveva udito la voce di lui tuonare al telefono e, poco dopo, era arrivata una pattuglia della polizia che aveva intimato alla stampa di sgomberare.

Il giorno seguente, due agenti di sicurezza assoldati da Benji avevano preso posto all’esterno della villa, pattugliando minuziosamente il giardino, per impedire a qualche reporter intraprendente di intrufolarsi all’interno dell’abitazione alla ricerca dello scoop. 

Il parco era diventato improvvisamente off limits a causa dei fotografi e Clare era stata costretta a trascorrere le sue giornate con Martine nel salotto a pianterreno oppure nella nursery. A causa della fasciatura alla spalla Benji Price non metteva piede fuori dal perimetro della villa ed era ormai diventata un’abitudine per Clare incontrarlo mentre gironzolava da una stanza all’altra.

Cercando di ignorare la presenza soffocante dell’uomo, si era gettata a capofitto nella cura della casa con ferrea determinazione ma, purtroppo, per quanto si impegnasse, non riusciva a distrarre la mente da quegli attimi in cui Benji Price l’aveva tenuta stretta e aveva avvicinato il volto al suo, sfiorandole la guancia con un bacio.

Quando i pensieri la tradivano poteva ancora sentire la pelle bruciare, dove le sue labbra l’avevano accarezzata, e il ricordo del suo profumo di quel giorno, l’amarognolo della colonia mescolato al sudore e all’odore dell’erba che macchiava la felpa, era impresso in maniera indelebile nei suoi sensi.

L’improvviso contatto con quel corpo robusto, reso duro dai lunghi anni di intensi allenamenti, era marchiato a fuoco nella sua mente e Clare non riusciva ad incrociare lo sguardo di lui senza ricordare l’emozione sconvolgente che aveva provato, quando l’aveva sollevata nel cerchio del suo abbraccio.

Lavava, lustrava, preparava i pasti e si occupava di Jamenson, Mrs. Bauer e Martine con un’intensità e un’abnegazione tali da farla crollare esausta alla fine di ogni giornata.

La tenacia con cui si gettava a capofitto in ogni lavoro, pur di non soffermarsi ad avvertire la presenza magnetica dell’uomo, non poté sfuggire allo sguardo attento di lui. Per Clare gli unici momenti di tregua erano le serate trascorse con Martine quando, sfinita, si sedeva a farla giocare prima di metterla a nanna.

Gli occhi di brace di Benjiamin Price non l’abbandonavano un solo istante al di la della lunga tavola, durante i pasti, e la sera, mentre lui sedeva in poltrona con l’immancabile bicchiere di brandy stretto fra le dita.

Dopo i primi periodi di tensione il disagio si era attenuato e Clare aveva imparato ad apprezzare la compagnia pressoché silenziosa che lui le faceva.

Si era accorta di come il SGGK si soffermasse a guardare Martine per lunghi istanti e una volta l’aveva sorpreso a tendere alla bambina un giocattolo di pezza che le era caduto a terra. Mormorando una scusa, l’aveva lasciato solo con Martine nella stessa stanza e lui, pur non toccando la bambina, aveva accettato implicitamente l’incarico di badare a lei durante la sua breve assenza. Erano solo piccoli progressi ma Clare era convinta che la corazza di indifferenza, che l’uomo aveva costruito nei confronti della piccina, avesse iniziato ad incrinarsi e lei era più che mai decisa a non lasciarsi sfuggire l’occasione per demolire il muro del suo stretto riserbo.

All’ennesimo squillo del campanello si affrettò verso la porta di ingresso e sbirciò dal video citofono lo spazio antistante il cancello. Leggermente sfuocati intravide la sagoma dell’auto di Patty, il suo viso sorridente e i volti famosi e altrettanto noti di Holly Hutton e di Mark Lenders. Azionò il meccanismo di apertura e la vettura scivolò lungo il vialetto fino ad arrestarsi di fronte al portone di ingresso.

Patty la strinse in un abbraccio affettuoso non appena messo piede nell’atrio della villa, seguita dai due attaccanti

- Allora dove sono i giornalisti? Pensavamo di dover oltrepassare una specie di posto di blocco fatto di fotografi prima di entrare. Dove si sono nascosti? – scherzò mentre i giocatori salutavano Clare.

Holly rise – Sono appostati come cacciatori in attesa della preda? Immagino che Benji sia su tutte le furie. –

Clare annuì facendoli accomodare in salotto – Se ne sono andati dopo l’arrivo delle guardie. – disse andando a prendere Martine in cucina.

Lenders scosse il capo contrariato - Hanno fiutato l’odore dell’esclusiva e non avrete pace fino a che non riusciranno ad ottenere una foto tua e del SGGK  - dichiarò allungandosi  sul divano.

Clare riapparve sulla porta con Martine in braccio – Una mia foto? – chiese in tono interrogativo, credendo di non aver capito bene.

Patty le prese Martine dalle braccia cullandola dolcemente sotto lo sguardo intenerito di Holly e Mark sgranò gli occhi stupito - Non lo sai? – domandò di fronte all’espressione sbigottita della ragazza – Tu e Benji siete finiti su tutti i rotocalchi. –

Clare si sedette sulla poltrona con un tonfo e prese meccanicamente il fascio di riviste che Patty aveva estratto dalla sua borsa. Su tutte le prime pagine campeggiava una fotografia scattata fuori dalla porta degli spogliatoi al termine della partita contro la Corea e la più gettonata sembrava essere quella che li ritraeva nel momento in cui Benji l’aveva sollevata davanti ai giornalisti per distrarre la loro attenzione dalla spalla ferita.

Sotto ogni immagine campeggiava un titolo allusivo e molte riviste già presentavano la ragazza sconosciuta come la nuova fiamma del SGGK.

- La prima rivista ad uscire con questa notizia è stato il periodico di Martha Lewis – spiegò Holly con calma – gli altri le sono andati semplicemente dietro. -

Clare osservava incredula le immagini patinate sfogliando quella montagna di insulsi pettegolezzi – Ma non è vero! – esclamò in preda all’ansia – E’ tutta una farsa. Mrs. Sommerson sarà su tutte le furie. Devo avvertire al più presto il collegio. –

Patty le posò gentilmente una mano sul braccio – Probabilmente lo sanno già. -

- Credi che Benji abbia già visto i giornali? – il tono di Holly era un tantino preoccupato ma Clare non riuscì a dargli una risposta, occupata come era a fissare attonita i giornali.

- Vado a dargli la bella notizia. – Mark si alzò in piedi di slancio con un ghigno sarcastico e sfilò una rivista a caso dal mucchio sul tavolino – Immagino che sua maestà sia rintanato nel suo regno. –

Lo studio si apriva lungo il corridoio sul lato sinistro della villa e Mark trovò Benji sulla porta, che si era già accorto del loro arrivo – Ah mi sembrava di aver sentito la tua voce. – borbottò scontroso omettendo ogni saluto – Dov’è la signorina Miller? -

Mark incrociò le braccia sull’ampio petto fronteggiandolo - Clare – sottolineò scandendone bene il nome - è in salotto con Patty e Holly che raccoglie i cocci della sua dignità. –

Benji gli scoccò un’occhiata interrogativa e Mark gli sventolò davanti la rivista – Non lo sapevi? Hai una nuova amante adesso. Martha Lewis ha fatto la scoperta del secolo. –

Benji dette appena uno sguardo al giornale e si lasciò sfuggire un’imprecazione violenta.

- Che cosa intendi fare? – Mark appariva inquieto.

Benji non si dette pena di rispondergli avviandosi a passo di carica verso il salotto, tallonato da Lenders.

La vide seduta, il capo biondo accostato a quello bruno di Patty e gli sembrò più bella e fragile che mai.

Clare sollevò il capo e Benji vide l’espressione ferita del suo viso.

- Mi dispiace. – mormorò fissando lo sguardo in quello ambrato di lei.

Non c’era nient’altro che potesse dire.

Mark Lenders fissò il portiere annichilito. Da che lo conosceva non aveva mai sentito l’arrogante e intransigente Benji Price scusarsi con chichessia e adesso vedeva il suo volto ombroso piegato in una smorfia di rammarico. 

Clare annuì lentamente – Devo andare al collegio. Devo spiegare tutto questo a Mrs. Sommerson. -

- Ti accompagno io. – Mark si offrì prontamente ma Benji lo fulminò con un’occhiataccia e scosse la testa deciso.

- Assolutamente no. -

- Stai scherzando, spero! – Mark lo guardò allibito.

- Affatto. – Benji fissò il suo sguardo in quello addolorato di Clare – Se qualcuno la vede uscire da quella porta non avrà più pace. Per tutti l’articolo di Martha Lewis diventerà sacrosanta verità. -

A malincuore Patty dovette dargli ragione.

- Telefona a Mrs. Sommerson e spiegale la situazione. – le disse spingendole in mano la cornetta del l’apparecchio – Ma per l’amor del cielo, Benji ha ragione. Non mettere assolutamente piede fuori di qui! -

Più tardi, dopo che ebbero cenato tutti insieme, facendo onore alle pietanze preparate da Clare, Holly, Patty e Mark se ne andarono, lasciando Benji solo a riflettere sulla situazione.

Clare passeggiava nel salotto, cullando Martine che piagnucolava irritata, rifiutando di addormentarsi, e Benji poteva vedere una ruga di preoccupazione solcare la bella fronte di lei.

La telefonata a Mrs. Sommerson era stata più difficile del previsto. La direttrice era già a conoscenza degli articoli apparsi sulle riviste e aveva proibito a Clare di fare ritorno al collegio fino a che la vicenda non fosse stata dimenticata. Quando la direttrice aveva categoricamente imposto quel divieto, un’ansia a malapena soffocata le si era dipinta sul volto e Benji non capiva perché quella temporanea impossibilità le procurasse tanta angoscia.

C’era qualcosa che gli sfuggiva nel suo comportamento schivo, qualcosa di indefinibile che andava oltre la semplice timidezza e non gli riusciva ancora di afferrare.

Osservò il viso delicato di Clare, la mano sottile che scostava una ciocca di capelli dalla guancia pallida e provò l’irrefrenabile impulso di stringerla a sé per cancellare ogni timore dal suo sguardo ambrato.

Quella giovane donna gli evocava un bisogno soffocante di proteggerla, di impedire che qualcuno o qualcosa le facesse del male o la facesse soffrire e Benji lottava ostinatamente con quell’intrico confuso di emozioni che minacciavano sempre più di sopraffarlo. 

In quel momento Clare gli venne incontro con Martine in bracco e si girò in modo che lui potesse vedere il placido volto della bambina disteso nel sonno.

- Si è addormentata. – sussurrò tenendola stretta al petto.

Lui osservò il visetto da cherubino, le folte ciglia scure posate sulla guancia rotonda e i soffici capelli bruni che già si arricciavano delicatamente.

- Non posso dire alla stampa che lei è la bambinaia di Martine. – Benji espresse quella considerazione senza alcun preavviso, andando diritto al punto, senza inutili giri di parole.

Incrociò per un istante lo sguardo di lei per poi perdersi lontano, in un punto indefinito alle sue spalle

– Mi rendo conto di chiederle un sacrificio ma i giornalisti non sanno che io sono il tutore della figlia di Liesel Hauermann. – Il tono della sua voce si fece secco e duro – Tra due mesi ci sarà l’udienza definitiva e i giornalisti si scatenerebbero se intuissero qualcosa. Non voglio che Martine abbia mai a soffrire per quello che la gente direbbe o che è già stato detto su sua madre o su di me. - 

Clare tenne stretta la bambina fra le braccia osservandone incantata l’espressione angelica del visino – Non ha importanza. - la sua voce era poco più di un basso bisbiglio – Adesso capisco perché vuole tenere Martine lontano dai riflettori. I giornalisti scrivono qualunque cosa possa fare notizia senza preoccuparsi delle conseguenze – Alzò fieramente il capo a guardare il profilo severo di lui e a Benji parve che i suoi occhi luccicassero di lacrime - Io sono sola. Non c’è nessuno che si preoccupi della mia reputazione. Forse è proprio questo il motivo per cui Mrs. Sommerson ha mandato me ad occuparmi della bambina. Questa vicenda non cambia quello che sono e, quando quegli articoli saranno dimenticati, tornerò ad essere una ragazza qualunque che ha vissuto solo un breve istante di notorietà e niente di più. –

Benji si passò una mano fra i corti capelli scuri meravigliato del suo atteggiamento composto.

Clare stava anteponendo ad ogni suo interesse il benessere di Martine. Gli offriva il suo appoggio incondizionato, semplicemente, e non chiedeva nulla in cambio.

Eppure lui sapeva, lo aveva visto sul suo viso, quanto quelle illazioni l’avessero ferita!

Desiderò non doverle chiedere quella rinuncia.

In quel momento Clare era al suo fianco e gli stava sorridendo, sfiorando con un dito la morbida guancia di Martine  - Guardi – sussurrò piano – si è addormentata con il pugnetto in bocca. Non è adorabile? -

Benji riportò lo sguardo su quella piccola creatura che gli aveva sconvolto la vita e annuì lentamente.

- Non le neghi il suo amore. Ha solo lei. –

La sua voce era un basso mormorio tenero e Benji abbassò lo sguardo su quella giovane donna che teneva racchiusa in sé tutta la saggezza dei sentimenti. Nell’incontrare i suoi occhi, splendenti come l’ambra preziosa, si sentì perso.

- No, non ha solo me. – Il viso dell’uomo era una maschera indecifrabile ma le iridi traslucide brillarono stranamente - Sarebbe un disastro se avesse solo me. Martine è fortunata perché ha lei. -

 

Erika scagliò la rivista sul pavimento con un’imprecazione non proprio da signora che fece inarcare il sopracciglio dell’uomo biondo disteso nel letto alle sue spalle. Gli sfuggì una risatina: la fotografia che campeggiava sulla prima pagina del giornale scandalistico era stata scattata al termine della partita Giappone- Corea e era bastava una sola occhiata alla rivista a mandarla su tutte le furie.

Si voltò di scatto, il volto stravolto in una smorfia di rabbia

- Non so cosa hai da ridere come uno scemo! – lo aggredì armeggiando con l’accendino e le sigarette.

Jordan Steiner, giornalista del Der Spiegel, smise di ridere e si alzò nudo dal letto sfatto, mentre un sorrisetto divertito aleggiava ancora sulle belle labbra – Rido, ma belle, perché per una volta le cose non sembrano andare come vuoi tu. –

Prese dalle mani di lei il pesante accendino d’argento ammirandone la squisita fattura e le porse il fuoco. La punta della sigaretta si arrossò brevemente mentre Erika aspirava rapide boccate nervose.

- Non dovresti prendertela così a cuore. Per quello che ne sai potrebbe anche essere un’invenzione pubblicitaria.-

Erika lo guardò in malomodo, agitando la mano che reggeva la sigaretta – No, non è una trovata pubblicitaria. Benji Price non ha mai fatto uso di questi mezzucci. Non ne ha bisogno. Il suo nome campeggia fin troppo sulle pagine dei giornali. -

Un guizzo diabolico attraversò lo sguardo di Jordan - Forse davvero ha trovato l’anima gemella. – si divertì a stuzzicarla.

Erika lo fulminò con un’occhiataccia - Tu non capisci – Sedette nervosamente davanti alla specchiera intarsiata della camera da letto, incrociando le lunghe gambe. La vestaglia di seta blu scivolò di lato, mettendo in mostra le cosce snelle e leggermente abbronzate. – Benji Price, è mio. -

Jordan la guardò con un briciolo di compatimento negli occhi azzurri – Capisco fin troppo ma evidentemente lui non pensa la stessa cosa. – si limitò a commentare.

Erika continuò a fumare come se non lo avesse sentito - Voglio sapere chi è. -

Jordan alzò gli occhi al cielo – Non cambierebbe niente Erika e lo sai. -

- Voglio sapere chi è quella donna. – insistette con voce petulante.

Jordan si allontanò recuperando i suoi pantaloni che erano stati gettati a terra nella foga. La sua maschia nudità, il fisico alto e asciutto catturarono immediatamente l’attenzione di Erika.

- Mi chiedo perché ti ostini nel volere un uomo che non è minimamente interessato a te. – Il suo sguardo percorse sfrontato le curve generose a malapena coperte dalla vestaglia – Dopotutto neppure tu mi sembri pazzamente innamorata di lui, altrimenti non saresti qui con me a rotolarti in un letto. -

Erika liquidò quell’affermazione con un gesto della mano – Questo non centra niente. Lui è perfetto. E’ famoso, è l’erede di un impero. Saremmo una coppia fantastica. -

Le labbra di Jordan presero una piega dura – Così è solo spirito di emulazione. Lo vuoi per la sua fama, il suo successo. –

- Anche. – Erika aspirò un’ultima volta dalla sigaretta prima di spegnerla con un gesto secco nel posacenere di cristallo – Ho aspettato tutti questi anni, mentre Benji passava da una relazione all’altra con la stessa leggerezza con cui un altro si sarebbe cambiato i calzini. Poi c’è stata morte di Liesel e il viaggio in Giappone. Al suo ritorno lui dovrà scegliersi una moglie e non permetterò ad una ragazzetta venuta da chissà dove di vanificare tutti i miei sforzi. - 

- Una moglie? – quella frase catturò immediatamente l’interesse di Jordan. Era sinceramente affezionato ad Erika, alla sua natura spregiudicata e un po’ folle, ma era anche un giornalista e le parole ambigue di lei avevano risvegliato la sua curiosità – E perché dovrebbe decidere di sposare qualcuna? -

Erika sorrise con aria saputa – Non qualcuna, mio caro – replicò, alzandosi in piedi e mettendo mano alla cintura della sua vestaglia.

Le mani di lei si posarono sul suo petto spingendolo a sedersi sul bordo del letto, giocando a fargli una carezza audace sull’addome. Lo sguardo di Jordan fu imprigionato dai movimenti sinuosi di quel corpo appena velato dalla seta sottile. Era una strana donna e lui la adorava. Adorava il gusto di lei per la vita, le sue stramberie, il suo modo disinibito di usare il sesso e goderne, separandolo completamente dai sentimenti. Erano molto simili: entrambi prendevano dagli altri ciò che poteva tornare loro utile.

Sollevò la mano sul suo seno e la vestaglia cadde.

- Sposerà me. -

 

Benji si rigirò nel letto incapace di prendere sonno. La sua camera da letto era spaziosa e di taglio virile con un letto massiccio che proveniva dall’Inghilterra. Una coppia di poltrone ed un basso tavolino erano stati collocati di fronte alla finestra che dava sul giardino e alle pareti erano appese stampe che rappresentavano scorci del Giappone.

La spalla era ormai guarita più che bene e da alcuni giorni aveva ripreso gli allenamenti sotto la supervisione di Freddy che lo teneva costantemente sotto controllo perché non si affaticasse. Di comune accordo avevano deciso che Benji avrebbe giocato solo un tempo dell’ultima partita del quadrangolare in modo da non compromettere il perfetto recupero prima dell’inizio del campionato e mancavano solo una manciata di giorni a quell’ultima trasferta.

Da alcune notti Martine si svegliava piangendo e lui si era tranquillizzato solo dopo che Clare gli aveva assicurato che era una cosa normalissima e che forse la bimba era solo un pò inquieta per via del primo dentino. Spesso veniva svegliato dal pianto della bimba nella camera di fronte alla propria, dall’altro lato del corridoio, ma di solito questo cessava dopo alcuni minuti. Ciò significava che Clare si era alzata, e aveva preso in braccio la piccina offrendole il ciuccio o più semplicemente un po’ di affetto e di coccole.

Si stava quasi assopendo quando udì un gemito. Tese l’orecchio e ascoltò meglio. Il pianto di Martine giungeva soffocato e sommesso attraverso lo spesso pannello di legno della porta e sembrava non voler cessare.

Gli venne il sospetto che Clare non avesse udito o che peggio si fosse sentita male o fosse caduta magari con la bambina in braccio…

Come ebbe formulato questo pensiero la mente di Benji fu sgombra e con un gesto brusco scostò le coperte. Afferrò una vestaglia che giaceva abbandonata ai piedi del letto e la indossò precipitandosi a passo di carica fuori dalla sua stanza.

Spinse la maniglia della camera della bambina e trovò la stanza immersa nell’oscurità. Solo una piccola lucina elettrica a forma di angioletto brillava vicino alla culla. Non riusciva a distinguere i contorni dei mobili, confusi nelle ombre fitte, e perciò si mosse con cautela. Il pianto della bambina giungeva più forte alle sue orecchie. Si avvicinò alla culla e la vide distesa, supina, con il visino congestionato dal pianto.

Incapace come sempre di destreggiarsi di fronte alle lacrime, la prese in braccio goffamente per la prima volta  - Su piccolina…non è niente – sussurrò.

Ricordava che Clare aveva spiegato che la testa era la parte più delicata di un bambino e perciò mise una delle sue enormi mani dietro al piccolo cranio di Martine. Rimase lì, accanto alla culla, con una mano che reggeva la testa e l’altra saldamente piazzata sotto il sederino della piccina, incapace di muovere un solo passo.

Il pianto della bambina si era acquietato e adesso il corpicino era scosso dagli ultimi fremiti. Benji sentiva tra le sue mani quella piccola vita, ancora incerto se rifiutarla.

Il suo abbandono era così totale. Talmente pieno di fiducia.

Come poteva essere così, quando lui non le aveva promesso alcunché?

L’emozione che lo assalì fu del tutto inaspettata. Era come se avesse desiderato ardentemente quel momento da sempre, senza nemmeno saperlo. Non importava più se le circostanze della sua nascita erano state poco chiare. Sembrava tutto così lontano, così privo di significato. Sentiva come se, da quel momento, Martine appartenesse a lui solo.

Uno strano calore gli crebbe piano piano nel petto…

Nascosta tra le ombre della stanza, Clare aveva assistito alla scena con gli occhi umidi dalla commozione. Vide il campione posare un bacio lieve sulla testolina della bimba e dirigersi con passo risoluto verso la propria stanza con Martine in braccio.

Benji aveva acceso la luce della sua camera da letto e si era appena seduto in poltrona quando vide un’ombra passare sulla propria testa. Alzò lo sguardo di scatto e vide Clare, in piedi, immobile di fronte a se, con gli occhi d’ambra brillanti di luce e calore. Capì immediatamente.

Un sorriso luminoso era disegnato sul volto di lei mentre veniva ad inginocchiarsi ai suoi piedi afferrandogli il braccio muscoloso con entrambe le mani e piegandolo fino a formare un comodo arco.

- Ecco – disse aiutandolo a sistemare il capo della bambina – Fatele appoggiare la testa sulla spalla, così… con la mano sostenetele le gambe -

Benji ubbidì trattenendo il fiato e lasciandosi guidare dal suo tocco lieve. Clare era inginocchiata di fronte a lui, avvolta in una vestaglia pudicamente allacciata fino al collo. Vedeva le soffici curve del suo corpo flessuoso disegnate dalla stoffa: i seni alti e pieni, la vita sottile che avrebbe potuto stringere in una mano, la morbida curva dei fianchi. I capelli dorati di lei erano sciolti sulle spalle e formavano un tumultuoso torrente.

Era bella da togliere il fiato.

Martine sbadigliò comunicando loro che la posizione era sufficientemente comoda e che gradiva tutte quelle attenzioni. I suoi enormi occhi scuri si fissarono per un attimo sull’uomo, che la teneva fra le braccia e sulla donna che gli era accanto. Poi si chiusero lentamente nel sonno.

- Mi ha guardato! – mormorò Benji meravigliato.

- Sicuro. – la voce di Clare era dolcissima.

- Io… - il grande SGGK faticava a trovare le parole – Io non so se ne sarò capace… non so se sarò degno della sua fiducia…-

- L’amore per lei sarà sempre la cosa più importante – affermò con convinzione

- Come farò Clare? – il tono di lui aveva una vaga nota di timore tanto da non accorgersi di averla chiamata per nome. Se ne accorse lei. – Non so come mi devo comportare con lei.-

La sua incertezza toccò profondamente l’animo di Clare. Per la prima volta vedeva quell’uomo arrogante e sicuro di sé, esternare le proprie incertezze come un qualsiasi novello padre. Non lo aveva mai visto insicuro.

Beniiamin Price era un uomo strano. Era severo, taciturno, intransigente e determinato. Si era chiesta spesso che cosa celasse dietro quegli enigmatici occhi scuri ma non era mai riuscita a darsi una risposta definitiva. Quando le sembrava di essere riuscita a percepire qualcosa dell’intricata natura del suo carattere giungeva sempre un evento inaspettato che la portava a rivedere la sua opinione su di lui.

Era così indecifrabile… un mistero che sfuggiva ad ogni suo tentativo di comprensione.

Istintivamente gli posò una mano sul braccio solido come la roccia in un gesto di affettuoso incoraggiamento e sorrise quando incontrò lo sguardo incerto di lui - Martine sarà la migliore insegnante che potrà desiderare. - lo rassicurò.

Poi rendendosi conto di averlo toccato con una familiarità quasi da moglie arrossì violentemente e ritrasse la mano. Mormorò una scusa intelligibile e si affrettò a uscire velocemente dalla stanza augurandogli la buonanotte.

Benji rimaste sconcertato dal suo atteggiamento. La pelle del braccio dove lei l’aveva toccato sembrava bruciare attraverso la stoffa della vestaglia. Lì, seduto in poltrona con Martine in braccio, percepiva una sensazione di pace che gli era ignota eppure quando Clare aveva lasciato la stanza aveva avvertito come un vuoto. Lei era molto giovane e molto bella ma non erano questi particolari importanti. Lo affascinava la grazia gentile e l’estrema sensibilità con cui lei faceva ogni cosa.

Aveva frequentato donne bellissime, certamente molto più sofisticate di quella ragazzina, ma erano state solo una piacevole compagnia, un modo per riempire le sue notti.

Non aveva mai amato veramente una donna e si meravigliava di fronte a uomini come Julian Ross, all’amore e alla devozione che l’amico nutriva per la sua Amy. Si erano sposati l’anno prima, con una splendida cerimonia a Tokyo, e durante tutto il tempo che li aveva visti insieme i loro sguardi non si erano mai lasciati e le loro mani si erano allacciate strettamente. Benji aveva avvertito il loro legame come qualcosa di palpabile.

Per lui non era mai stato così e nel suo intimo dubitava di poter provare un simile sentimento. Non era un santo e aveva sempre vissuto le sue relazioni in modo spregiudicato, senza coinvolgimenti emotivi.

Tutto funzionava regolarmente, come uno schema di gioco ben collaudato in cui le regole erano chiare fin dal principio. Lui era il SGGK. Il campione famoso. L’idolo dei tifosi. A volte erano proprio la sua fama e il suo successo a portare quelle donne sulla sua strada ma per lui erano solo dei corpi morbidi a cui dare piacere e da cui ricevere in cambio un po’ di oblio, scacciando la solitudine, senza il pericolo di dover mettere in gioco qualcosa di sé.

Nessuna era riuscita a penetrare il muro del suo stretto riserbo e raggiungere il vero Benjiamin Price, l’uomo.

Per Liesel questo insuccesso era stato motivo di profonda frustrazione e la causa di molte scelte sbagliate e, forse, anche della sua morte. La sua relazione con lei era iniziata come tante altre e la stampa si era scatenata come al solito: lei una modella che conquistava le copertine delle più note riviste, lui l’SGGK, al centro di una sfolgorante carriera. Erano una coppia splendida.

Poi qualcosa non aveva funzionato: Liesel si era innamorata e aveva sofferto nel vederlo così insensibile alla loro relazione. Quando era andata via Benji non aveva fatto una piega di fronte a quello che aveva ritenuto un atteggiamento infantile e si era sentito attanagliare dalla colpa quando lei era morta senza che lui avesse potuto fare niente per aiutarla.

Benji guardò il volto di Martine addormentata fra le sue braccia e per la prima volta nella sua vita sentì dei fili invisibili scivolare attorno al suo cuore e legarlo strettamente. Sentiva il respiro lieve della bambina e poteva vedere la sua minuscola cassa toracica alzarsi ed abbassarsi al ritmo tranquillo del sonno. Non aveva mai sperimentato una sensazione di abbandono così appagante.

Improvvisamente il passato non aveva più importanza: d’ora in avanti sarebbe stata sua figlia.

Baciò teneramente la testolina di Martine e sedette a lungo, consapevole dell’impegno che si stava assumendo e godendo appieno questo strano sentimento che sentiva crescere il lui.

Sapeva che adesso non avrebbe più potuto temporeggiare. L’ovvio passo successivo sarebbe stato quello di cercare una madre adeguata per la bambina in modo da ottenere l’affidamento definitivo e si sentì un po’ sgomento al pensiero di avere poco tempo per fare una scelta così importante. Pensò a Clare e il volto della giovane donna prese forma nella sua mente, i tratti gentili e delicati. Sembrava un fragile fiore da proteggere ma dietro a quello sguardo ambrato possedeva una determinazione insospettabile.

Si affrettò a scacciare quella dilagante tenerezza nei confronti di quella donna così particolare e assopì leggermente, tenendo stretta fra le braccia la figlioletta addormentata. Il profumo di Clare aleggiava ancora nell’aria, un delicato profumo di rose bianche misto ad un pulito sentore di donna.

Non avrebbe mai più guardato una rosa senza pensare a lei.

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


CAPITOLO IX

 

“ La fiamma consiste

di una splendida chiarezza,

di un insito vigore, di un igneo ardore.

Ma la splendida chiarezza

La possiede perché riluca

e l’igneo ardore affichè bruci.”

(S. Ildegarda) 

 

 

Clare era seduta in salotto e osservava con rimpianto il giardino e, in lontananza sotto il gazebo, la sua panchina preferita.

Quando quella mattina era scesa per preparare la colazione si era guardata intorno ansiosamente quasi si aspettasse di trovare Benji Price in agguato, pronto a rimproverarla per quanto aveva fatto la sera prima.

Gli inconsueti rumori provenienti dalla cucina le avevano quasi fatto credere di vedere realizzarsi i suoi timori ma dopo aver sbirciato dalla porta semiaperta si era tranquillizzata nel riconoscere la sagoma familiare di Mrs. Bauer, che armeggiava in cucina intenta a sfornare i cornetti alla crema.

Il risultato quelle fatiche era stata una celestiale combinazione di sapori esotici di cui non ormai non rimaneva più traccia nel suo piatto accuratamente vuoto.

Era rimasta stupita nel trovare la governante impegnata a trafficare così di buon mattino, soprattutto considerando la brutta influenza che aveva passato, ma Mrs. Bauer l’aveva accolta con la sua solita energia

- Buongiorno, Clare – l’aveva salutata, mentre era intenta a rimescolare un impasto che profumava di vaniglia – Ben alzata. -

Clare aveva ricambiato il saluto aspirando il meraviglioso aroma che proveniva dal forno – Che profumino, Anne! E’ già in piedi? Il dottore le ha raccomandato di non affaticarsi –

La governante aveva un sorriso contagioso - Ora sto benissimo, grazie. Come sta la piccola Martine? Ero così preoccupata che potesse venire contagiata. -

- Dorme ancora ma sta benissimo. – Clare aveva indicato la cucina - E’ certa di non volersi riposare ancora per qualche giorno Anne? - Quando Mrs. Bauer si metteva ai fornelli la stanza sembrava assumere l’aspetto della fabbrica delle meraviglie in cui la donna regnava come un’incontrastata regina – Ha avuto la febbre piuttosto alta. -

Mrs. Bauer aveva scosso il capo con aria decisa – Sei gentile a preoccuparti cara, ma è giusto che riprenda il mio posto in questa casa. Ti sei dovuta occupare di tutto già per troppo tempo. – Si era chinata a controllare la cottura dei dolci mentre Clare versava il tè nelle due tazze posate sopra il bancone e si sedeva su un alto sgabello

- Non ero sola. C’era Tessa che mi aiutava. –

Mrs. Bauer aveva accettato grata la tazza che le porgeva

- Si… - aveva riso divertita – Tessa ti aiutava e il padrone ti ostacolava. -

Di fronte allo sguardo stupito di Clare il sorriso della donna si era fatto ancora più largo – Lavoro per questa famiglia da che il padrone portava i calzoni corti e già allora aveva un bel caratterino. Non è cambiato per nulla in tutti questi anni. La ferita alla spalla gli deve aver dato parecchio fastidio e se lo conosco bene si sarà aggirato per casa come un orso con il mal di testa. -

Clare non aveva potuto fare a meno di ridere di fronte all’immagine del SGGK  immusonito – Più o meno. -

Dopo aver controllato la sottile crosticina dorata che aveva iniziato a formarsi sui cornetti messi in forno, Mrs. Bauer aveva preso un piatto. Con cura e pazienza aveva staccato le brioche fragranti da una teglia posta a raffreddare e le dopo averle riempite di crema aveva ficcato il piatto pieno in mano a Clare, spingendola verso il salotto.

- Qui me ne occupo io.  Vai a fare colazione come si deve, bambina. -

Clare si era seduta e aveva apprezzato fino in fondo quel piccolo lusso. La dolce bontà delle brioche appena sfornate, il loro incredibile aroma le fecero riacquistare il buonumore.

Dopo la sua poppata mattutina, Martine si era beatamente addormentata nel passeggino e la ragazza ne approfittò per sedersi vicino alla finestra, circondata dalla luce brillante del sole, e riprendere in mano il blocco da disegno. La sua mano scorreva veloce, con una rapidità di esecuzione impressionante, mentre i suoi occhi correvano ripetutamente al viso addormentato della bambina e il delicato ritratto a pastelli prendeva forma sotto le sue abili dita.

La notte prima aveva lasciato Martine fra le braccia di Benjiamin Price ed era uscita fuori dalla stanza con il cuore in tumulto. Erano così belli quei due, così commovente vederli finalmente abbracciati, entrambi così bruni, potevano davvero sembrare padre e figlia.

E lei era fuggita via… sconvolta dall’inaspettato desiderio che le era nato nel cuore.

Sì… perché per un istante, per un solo minuscolo istante, lei, Clare Miller, aveva desiderato fare parte di quel rapporto così esclusivo che aveva contribuito a creare. Avrebbe voluto che il cerchio delle braccia di Benji Price si allargasse fino ad avvolgerla, tenendola stretta a sé proprio come aveva fatto con Martine.

In un incredibile momento aveva capito che a quell’uomo sarebbe bastato un solo gesto perché lei gli concedesse libero accesso alla sua anima e riversasse su di lui tutto l’amore che aveva dentro.

Sapeva che ciò era impossibile e si era ritratta spaventata.

Adorava Martine e non riusciva a pensare al momento in cui, al termine del suo incarico, avrebbe dovuto dirle addio, senza che il suo cuore venisse stretto in una morsa soffocante.

Tuttavia Benji Price era davvero un altro paio di maniche. Comprendere che avrebbe pazzescamente sofferto quando lui se ne fosse andato l’aveva gettata nel panico e aveva cercato di soffocare gli impulsi dolorosi del cuore.

Non poteva succedere così! Non tra un respiro e uno sguardo!

Presto entrambi avrebbero fatto ritorno in Germania e lei sarebbe ritornata alla sua vita solitaria al collegio. Dopo aver conosciuto la gioia di fare da mamma seppure “in affitto” a Martine la sua vita le sarebbe apparsa ancora più grigia e isolata.

Nonostante i medici non avessero mai accennato nulla in proposito intuiva che, a causa del trauma che aveva subito da ragazzina, l’opportunità di crearsi una famiglia tutta sua sarebbe stata paragonabile ad un bellissimo sogno e aveva sempre trovato naturale riversare tutto il suo amore nei bambini che venivano affidati alle sue cure.

Quei bambini però avevano una famiglia, una madre, mentre Martine…

Un’ombra oscurò il foglio su cui stava schizzando il dettaglio di una delle piccole mani della bambina e lei sussultò leggermente. Chiuse di scatto il blocco e si voltò a guardare la figura che improvvisamente era apparsa alle sue spalle, riconoscendo immediatamente, contro il chiarore abbagliante proveniente dalla finestra, l’ampio profilo squadrato delle spalle del suo datore di lavoro.

- Buongiorno – la salutò Benji con la voce venata da un pizzico di divertimento – Sembra sempre che io debba spaventarti ogni volta che mi avvicino. –

Era vestito informalmente, con una tuta blu scuro con il logo della nazionale giapponese e reggeva in mano il borsone degli allenamenti. La visiera del cappellino era abbassata sulla fronte impedendole di vedere lo sguardo intenso e magnetico di quegli occhi scuri che lo sapeva, lo sentiva, la stavano scrutando attentamente. 

Clare arrossì leggermente – Non l’ho sentita arrivare. Sbuca sempre alle spalle della gente così all’improvviso? – gli chiese imbarazzata e leggermente irritata dall’apparirgli così pavida.

Benji sorrise apertamente – Di solito non è mia abitudine.  Posso? – chiese accennando al divano su cui lei era seduta.

- Certamente. – Clare si affrettò a mettere via il blocco da disegno e a fargli spazio mentre la sua mente registrava sbalordita il sorriso dell’uomo, caldo e cordiale, il primo vero sorriso che gli vedeva fare.

Lui calò il corpo alto e statuario accanto al suo e si chinò in avanti per posare un bacio sulla morbida manina di Martine, accarezzandola leggermente con la punta di un dito - Mi dispiace non poter passare più tempo con te in questo momento, piccolina – mormorò rivolto alla bimba - Ma quando ritornerò andremo tutti quanti al mare. – promise.

Si raddrizzò appoggiandosi allo schienale imbottito e alzò leggermente la tesa del berretto per incontrare lo sguardo timido e felice di Clare. Il tenero gesto di Benji le aveva acceso lo sguardo di calore e i suoi occhi d’ambra splendevano di luce mentre andavano a posarsi sul volto del SGGK.  

Benjiamin Price era così oscuro certe volte. Così stupefacentemente aperto e affascinante, in altri momenti. Era incredibilmente attraente e i battiti il cuore di Clare aumentò mentre scopriva a non riuscire a distogliere lo sguardo dal volto bello e aspro dell’uomo. Tutto in lui era sconvolgente, dominante, magnetico e non riusciva a spiegarsi il motivo per cui il suo cuore le facesse le capriole nel petto in sua presenza.

- Vedo che è in tuo onore che Mrs. Bauer ci ha elargito la possibilità di assaporare le sue divine brioches. – disse indicando il piatto vuoto di Clare su cui restavano solo poche briciole.

Lei lo guardò con aria interrogativa  – In mio onore? -

Un sorriso furbesco gli si disegno sul volto facendolo apparire come un adolescente – Solo alle persone che reputa degne della sua stima consente un viaggio nel segreto regno delle sue specialità culinarie. – Si chinò leggermente sul viso di Clare cercando con occhi attenti i segni della fatica – E’ il suo modo per ringraziarti di quello che hai fatto per tutti noi in questi giorni. - 

Clare arrossì leggermente al complimento – Non ho fatto nulla di speciale. - mormorò

Benji liquidò quell’affermazione con un gesto della mano – Non è vero ma, comunque, non sono qui per parlare di questo. Io ho un motivo in più per ringraziarti. Per quello che hai fatto per Martine da che sei arrivata in questa casa e non ultimo per ciò che è successo ieri notte. – Allungò davanti a se le gambe potenti, incrociando le caviglie e sostenne fermo il suo sguardo – So perfettamente di non essere mai stato vicino alla bambina e ho capito di aver sbagliato. Da adesso in poi ho intenzione di rimediare e spero tu voglia aiutarmi. -

Un sorriso felice sbocciò sul volto di Clare illuminandola tutta – Certamente. - rispose annuendo con vigore – Sono a sua disposizione per qualsiasi cosa lei voglia sapere. Le darò tutto l’aiuto di cui avrà bisogno. -

Benji piegò le labbra in un sorrisetto –Mi sembra che la questa decisione incontri la tua totale approvazione. – commentò prendendola in giro.

La ragazza sembrò non avvertire il tono ironico della sua voce – Mi chiedevo quando si sarebbe deciso. – gli confessò candidamente, mentre un raggio di sole illuminava infiammandolo l’oro dei suoi capelli – Martine ha tanto bisogno del suo affetto. E’ una bimba dolcissima, ne sarà presto conquistato –

Lui la guardò, incapace di distogliere lo sguardo dal suo viso sorridente e soffuso dalla luce del mattino. Cercò di valutarla con freddezza, senza concederle nulla, e dovette ammettere con riluttanza di trovarsi di fronte ad una giovane donna incredibilmente bella. I lunghi capelli biondi avevano mille sfumature attorno all’ovale del viso. I lineamenti erano raffinati, il naso diritto e dall’ossatura delicata. La bocca aveva una curva gentile, rosea e seducentemente morbida. Quella mattina indossava dei semplici pantaloni neri e un golfino di cotone azzurro che mettevano in risalto le morbide curve della figura snella e gli risultavano incredibilmente più provocanti di un abbigliamento discinto.

Sedeva accanto a lui, fiduciosa e ignara del tumulto che aveva scatenato, promettendogli tutto l’aiuto e l’appoggio di cui poteva avere bisogno, mentre lui avrebbe voluto solo dare libero sfogo ai suoi istinti e porre fine alla brama che lo tormentava.

Ripensò alla trasferta in Thailandia e alla sua ferma intenzione di trovarsi una compagnia disponibile che asciugasse il desiderio che lo torturava e gli regalasse un po’ di oblio.

Sebbene la brunetta che aveva incontrato in albergo fosse bella e decisamente ci sapesse fare, l’aveva lasciato, per così dire, privo di ispirazione. Benji era pienamente consapevole del risultato che la vicinanza di Clare stava producendo sul suo corpo affamato e gli sembrava impossibile che quella ragazzina, con la sua sola presenza, riuscisse ad avere su di lui un effetto che una donna molto più esperta non riusciva neppure a sfiorare.

Si incupì e immediatamente apparve il leggero tic sulla sua guancia.

Si alzò in piedi bruscamente, irato con se stesso per la sua mancanza di autocontrollo, e raccolse il borsone sotto lo sguardo stupito di lei per quel suo improvviso cambiamento di umore.

- Adesso devo andare. – disse con voce più aspra di quello che avrebbe voluto – Tornerò questa sera in tempo per definire i dettagli della mia assenza prima della mia partenza di dopodomani. Così saprai come regolarti. –

Clare sorrise esitante di fronte a quel tono severo – Va bene Mr. Price. -

Il tono remissivo di lei e il suo viso calmo lo fecero infuriare. Gli occhi scuri dell’uomo saettarono

- Per quanto riguarda iniziative come quella della notte scorsa ti avverto: ti sono grato per quello che hai fatto ma non credere di potermi manovrare come un burattino e poter fare come ti aggrada solo perché questa volta non ho preso provvedimenti nei tuoi confronti. Non sono un uomo paziente e non sopporto le intromissioni nelle mie decisioni e la prossima volta non esiterò a licenziarti in tronco. Così ritieniti avvisata. – Con un gesto irritato si calcò il cappello in testa –  Vorrei anche che la smettessi di chiamarmi Mr. Price e di darmi del lei – aggiunse con tono polemico – Trovo queste formalità del tutto inutili e fuori luogo dal momento che vivi nella mia casa, mangi alla mia tavola e ti occupi di Martine. Puoi chiamarmi Benjiamin oppure Benji, come fanno i miei amici, a te la scelta. In ogni caso la smetterai di trattarmi come un estraneo.-

Clare era rimasta ammutolita dal tono duro con il quale si era congedato e solo quando lo vide allontanarsi si rese conto di aver trattenuto il fiato fin dall’inizio del suo rimprovero. Ingobbì leggermente le spalle e il buonumore svanì.

Era felice della decisione di Benji Price di occuparsi maggiormente di Martine ma le dure parole che le aveva rivolto le avevano fatto ricordare il carattere brusco e intransigente dell’uomo. Si era detto dispiaciuto per averla messa in quell’imbarazzante situazione di fronte alla stampa e l’aveva ringraziata per l’ingegnoso stratagemma con il quale lo aveva costretto ad avvicinarsi alla bambina ma il suo tono di poco prima era volto a rammentarle quale fosse la sua posizione.

L’aveva rimessa al suo posto come una serva.

Sentì le lacrime che pungevano le ciglia e si asciugò gli occhi con uno scatto nervoso della mano, irritata con se stessa per quella incontrollabile debolezza.

Non sapeva perché le parole di lui l’avessero ferita così tanto eppure era come se un groppo di dispiacere le si fosse annodato attorno al cuore.

Un raggio di luce proveniente dalla finestra illuminò il capo di Martine e Clare guardò con amore il volto innocente della bambina che era la sua gioia più grande.  

 

Un colpo secco. Poi un leggero strascicare. Un altro colpetto, questa volta più attutito.

La tempesta si era placata da un pezzo ma da tetto della villa l’acqua piovana aveva continuato a gocciolare nelle gronde producendo un suono quasi musicale.

Di nuovo quel rumore.

Clare non riusciva a comprendere che cosa di preciso l’avesse svegliata ma in un attimo fu ben desta e con i sensi all’erta. Accese la luce e guardò l’ora: le due di notte!

Prese il microfono da sopra il comodino e ascoltò attentamente il respiro regolare di Martine che dormiva nella nursery. Tutto era tranquillo e la bambina non sembrava essersi svegliata. Inquieta si alzò e indossò una vestaglia sopra la leggera camicia da notte.

Eccettuati gli altri domestici e Mrs. Bauer che dormivano sul retro dell’edificio era sola nella villa. Benji e Freddy erano partiti quattro giorni prima per l’ultima partita del quadrangolare e lei aveva seguito l’incontro in televisione con Patty.

La fidanzata di Oliver Hutton era ormai di casa a villa Price e ultimamente sembrava si fosse intestardita nel dimostrare a Clare che splendido uomo fosse Benji Price. Clare si divertiva moltissimo in sua compagnia e una settimana prima erano state insieme dal pediatra per la visita di controllo di Martine.

Il medico aveva rassicurato entrambe: Martine cresceva regolarmente e alcuni giorni di mare sarebbero stati estremamente salutari, in vista del lungo e freddo inverno tedesco, a patto che evitassero l’esposizione ai raggi del sole nelle ore più calde. Nonostante Clare avesse accolto la notizia con tiepido interesse, Patty si era dimostrata subito molto entusiasta – Che bello così potrete venire al mare anche voi! – aveva esclamato felice.

Clare l’aveva guardata un po’ interdetta – Ma io non credo di potere … -

- Certo che puoi! – Patty era ormai partita in quarta con l’organizzazione – Tu non puoi ancora tornare al collegio e Benji non può venire da solo con Martine. Non è capace di occuparsene a tempo pieno e inoltre ha bisogno di riposo per via della spalla. - aveva dichiarato recisamente mettendo fine a qualsiasi obiezione e a Clare non era rimasto altro che acconsentire. 

Patty aveva fissato il giorno della partenza subito dopo il ritorno della squadra dall’ultima partita del quadrangolare e aveva esteso l’invito anche agli altri membri della nazionale. Molti di loro avevano accettato con entusiasmo e Mark Lenders aveva addirittura annunciato che avrebbe condotto con se anche la sorella minore, reduce da una brutta tonsillite.

La villa era grande e con l’aiuto di una governante che sarebbe occupata delle faccende più urgenti, Patty era convinta di aver trovato una soluzione pienamente soddisfacente per tutti. Chiedeva consiglio a Clare per definire i particolari del loro soggiorno, chiacchierando instancabilmente, mentre lei continuava a dipingere il suo ritratto un pomeriggio dopo l’altro.

Adesso la tela, finalmente completata e avvolta in un panno protettivo, era appoggiata contro la parete della sua stanza e Clare vi passò davanti per andare ad aprire la porta della sua camera.

Il corridoio era immerso nel buio e la ragazza innervosita, strinse il microfono di Martine fra mani.

I suoi piedi, calzati solo da un paio di pianelle, si mossero silenziosi fino alle scale dalla cui tromba proveniva una debole luce.

Il rumore le arrivò più nitido dall’atrio. C’era qualcuno!

Scese lentamente le scale cercando di non fare il minimo rumore. Il cuore le batteva così forte che temeva potesse essere udito dalla figura sconosciuta che le voltava le spalle. Indossava un impermeabile scuro ed era china a terra, al centro dell’atrio di ingresso, intenta ad armeggiare con qualcosa. Una grossa borsa sportiva e un trolley di modeste dimensioni giacevano completamente bagnati vicino al portone d’entrata.

Improvvisamente lo sconosciuto si tirò in piedi e si voltò scollandosi dalle ampie spalle l’indumento zuppo. Clare sussultò riconoscendo l’imponente figura e lineamenti di Benjiamin Price illuminati dalla luce dell’unica lampada accesa.

Lui dovette avvertire il suo movimento brusco perché si voltò di scatto verso di lei scandagliando l’oscurità che avvolgeva le scale.  Individuò la figuretta snella di Clare ritta in piedi sul terzo gradino. I lunghi capelli di lei erano sparsi sulle spalle in uno scompigliato disordine e la vestaglia candida l’avvolgeva come una nuvola facendola apparire una creatura surreale e fantastica.

- Sei tu! - alitò la giovane donna scendendo gli ultimi gradini e avvicinandosi allo specchio di luce.

Benji corrugò leggermente la fronte mentre si chinava per sciogliere i lacci delle scarpe inzuppate d’acqua, ricordando il pallido sorriso con cui lei lo aveva gratificato il giorno della sua partenza. Si era tenuta stretta a Martine mentre lui aveva sfiorato con un bacio la testolina della bambina e aveva rifiutato di incrociare i suoi occhi, nonostante lui cercasse ostinatamente il suo sguardo. Sapeva di averla offesa con il suo scatto di ira ed era pienamente consapevole di aver scaricato su di lei tutto il suo malumore quando invece avrebbe dovuto prendersela solo con se stesso.

- Mi dispiace di averti svegliato, Clare.  - 

Lei scrollo leggermente il capo e i riccioli dorati ondeggiarono lucenti - Pensavo fosse un ladro. – replicò semplicemente

Benji le lanciò un’occhiata divertita – E come avevi intenzione di affrontarlo? A mani nude, forse? -

- Prima dovevo controllare, poi avrei chiamato aiuto. – la voce di lei calda e morbida era poco più di un sussurro – Non aspettavamo che arrivassi questa notte, altrimenti non mi sarei spaventata. -

- Abbiamo anticipato il rientro a causa degli scioperi che avevano annunciato. – spiegò lui gettando a terra il berretto fradicio di pioggia e facendole cenno di seguirlo in salotto. Era distrutto ma la presenza di Clare aveva un effetto rasserenante sui suoi nervi tesi. Si versò una dose generosa di liquore in un bicchiere panciuto.

Lei scivolò nell’ampia poltrona accanto al camino spento - Avete fatto buon viaggio? -

Benji annuì mentre il calore del liquore gli si diffondeva nelle vene scacciando il gelo. Sentì i rivoli d’acqua che gli colavano lungo il collo e rabbrividì – Il temporale ci ha presi in pieno mentre scendevamo dall’aereo. Ci siamo inzuppati fino alle ossa. -

Clare osservò i suoi indumenti bagnati – Se vuoi andare a cambiarti posso prepararti un the caldo. – si offrì.

Lui la guardò meravigliato - Lo faresti davvero? -

- Si. - sul volto di lei sbocciò un timido sorriso – Oppure posso prepararti qualcosa da mangiare. Non credo ci voglia molto a rimediare qualcosa, purché tu non abbia troppe pretese. -

I tratti del viso di Benji si addolcirono mentre un sorriso lento e abbagliante gli illuminò il viso con un effetto sensazionale – In effetti è da questa mattina che non metto qualcosa sotto i denti. Detesto i pasti che servono sugli aerei. Ti sarei molto grato se facessi questo per me. -

Clare lo guardò, stupita, di fronte a quel sorriso disarmante. Un sorriso vero, reale… e raro. Non quei sorrisetti sarcastici che indirizzava alla gente e che avevano lo straordinario potere di rimettere in riga il malcapitato di turno ma un sorriso caldo che mise in mostra i denti candidi e perfetti.

Fece un cenno di assenso con il capo – Ti aspetto in cucina, allora. - disse dirigendosi verso la porta.

Benji seguì con lo sguardo il sinuoso movimento delle anche di lei, appena delineate dalla morbida stoffa della vestaglia. Clare aveva il dono di calmare il suo animo inquieto. Il suo corpo e i suoi movimenti non avevano nulla della sensualità smaccata di altre donne che aveva conosciuto e ogni suo gesto possedeva una tale grazia che non era possibile non rimanerne affascinati.

Ma gli occhi… oh gli occhi!

Avevano il colore dell’ambra più pura, dorati come quelli di un felino, così profondi, così dolci. Eppure in fondo a quello sguardo era come se vi fosse una nota di dolore che ne velasse la limpidezza.

Riscuotendosi dai suoi pensieri salì a piedi nudi le scale con il bicchiere ancora mezzo pieno in mano. Si spogliò e si infilò sotto la doccia aprendo del tutto il rubinetto dell’acqua calda, lasciando le lavasse via la sensazione di freddo e la stanchezza.

Al piano di sotto Clare aveva posato il microfono di Martine su un ripiano della cucina e si era data da fare, riscaldando della minestra che aveva trovato nel frigorifero e preparando un tè forte e dolce. Stava terminando di apparecchiare sulla penisola della modernissima cucina quando Benji fece il suo ingresso nella stanza con addosso i jeans e una vecchia felpa grigia che recava sul petto lo stemma dell’Amburgo. Aveva ancora i capelli umidi per la doccia e il lieve sentore amarognolo della sua colonia arrivò ormai caldo e familiare alle narici di Clare.

- Che profumo! - esclamò sedendosi a tavola – Non credevo di essere così affamato. -

- Mrs. Bauer ha lasciato un po’ di minestra. – disse lei servendogli il piatto e affettando una forma di pane tedesco fatto in casa con i pinoli e il sesamo.     

Benji iniziò a mangiare e le fece cenno di sedersi – Non mangi? – chiese.

Il profumo di lei, quella fragranza di rose bianche che ossessionava le sue notti, gli aleggiava attorno da quando Clare si era chinata alle sue spalle, porgendogli il piatto colmo.

Clare strinse la cintura della vestaglia – Ti ringrazio ma io ho già cenato. –

- Prendi una tazza di tè. – insistette – Tienimi compagnia. -

Clare ubbidì e versò il liquido scuro e fumante nelle tazze. Si andò a sedere sullo sgabello di fronte a lui e per un po’ rimasero in silenzio. Benji era acutamente consapevole della presenza di lei, dei grandi occhi d’ambra che lo fissavano e delle mani sottili che giocherellavano con il manico della tazza da tè.

- Come sta Martine? – chiese dopo le prime cucchiaiate di minestra

- Bene. Si è addormentata subito dopo il temporale e a quanto pare continua indisturbata. - rispose indicando il microfono che aveva posato accanto a se.

Benji osservò incuriosito lo strano oggetto e al suo sguardo interrogativo lei si affrettò a spiegare – E’ un apparecchio che mi consente di ascoltare che cosa sta facendo Martine anche quando non sono nella stessa stanza con lei. Vedi… - disse ruotando una piccola manopola – Se alzo il volume posso accorgermi quando si sveglia oppure sentire se sta piangendo. –

La stanza si riempì del respiro tranquillo della bambina e Benji sorrise – Direi che sta dormendo della grossa. – affermò.

- E’ stanca. Oggi ha avuto visite e quando viene Patty non riesco mai a farla addormentare. Adora giocare con lei. -  

- Patty è stata qui anche oggi? – chiese lui stupito – Pensavo fosse a casa incollata di fronte alla televisione. So che non si perderebbe una partita di Holly per niente al mondo. -

- Infatti. – Clare sorrise – Congratulazioni per la vittoria. –

Lui accettò con garbo il complimento – Hai visto l’incontro in televisione? – chiese interessato.

- Si . – il sorriso di lei si fece più ampio e luminoso - Patty ha preteso di vedere la partita, urlando e incitandovi ad ogni azione. Quando poi quel difensore ha fatto quella brutta entrata su Holly, avrebbe voluto la sua testa. -

Benji rise e Clare si fermò a guardarlo meravigliata per la seconda volta in quella serata.

Non lo aveva mai visto ridere, avere quell’espressione così serena sul volto. Sembrava molto più giovane dei suoi ventisette anni. Benché la vita e le esperienze avessero contribuito a farlo diventare un uomo più serio e severo dei suoi coetanei c’era in lui come un sottile tocco adolescenziale che non mancava mai di farle accelerare il battito cardiaco. Le sembrò di aver scoperto qualcosa di raro e prezioso.

- E’ sempre stata innamorata di Holly. – affermò lui allontanando il piatto ormai vuoto e forbendosi le labbra con il tovagliolo – Ma molti credevano che non sarebbe mai riuscita a farlo capitolare -

- E’ una persona splendida. – gli occhi di Clare brillavano mentre parlava dell’amica acquisita da così poco tempo – Non vedo come qualcuno non possa volerle bene. -

Benji non rispose, abbagliato com’era dal suo sorriso raggiante. Anche durante quell’ultima trasferta il ricordo del viso di lei lo aveva accompagnato in ogni momento in cui la sua mente non era stata occupata da questioni più urgenti. Aveva riempito i suoi pensieri e le sue notti e alla fine si era dovuto arrendere al fatto di essere irresistibilmente ed innegabilmente attratto da quella donna. Un’attrazione strana alla quale non poteva o non voleva più resistere

- Clare … -

Era tutto così naturale. Lei era lì, di fronte a lui, e inconsciamente metteva a nudo il groviglio di emozioni che erano annodate in fondo al suo cuore. La sua mano si mosse come spinta da una volontà propria e si protese attraverso il tavolo fino a sfiorarle una guancia in una carezza lieve. I suoi occhi frugarono quelli di Clare e affondarono senza esitazioni nelle profondità dorate.

Con un mormorio imbarazzato lei fece per alzarsi ma le lunghe dita abbronzate si strinsero attorno al suo polso imprigionandolo in una stretta delicata ma salda. Si trovò in piedi, di fronte a lui mentre i suoi occhi non riuscivano ad abbandonare il volto bruno dell’uomo chino su di lei.

Benji affondò le mani nei suoi capelli apprezzandone la serica consistenza, sfiorandole il volto delicato come il marmo, contro la rozza grana delle sue mani, rovinate dai lunghi anni di allenamenti.

Era così bella. Il delicato profumo di lei gli andò alla testa.

Clare era paralizzata dal suo gesto, dal contatto delle mani di lui sul suo volto. Sentiva il proprio cuore battere impazzito e non riusciva a distogliere lo sguardo da quello intenso e magnetico dell’uomo. Non aveva mai provato nulla di simile. Rabbrividì.

Benji sorrise leggermente e, lentamente per non spaventarla, posò delicatamente le labbra su quelle appena dischiuse di lei. Il contatto fu esplosivo e una scarica elettrica gli attraversò il corpo incendiandogli il sangue.

Le labbra di lei erano morbide e innocenti, cedevoli sotto le proprie, lievemente umide come se fossero bagnate di rugiada. Tremava.

Benji capì che sarebbe impazzito se non avesse assaggiato il suo sapore e con ferma determinazione separò le labbra di lei, sfiorando, stuzzicando, saggiando con brevi e morbidi colpi della sua lingua.

La bocca di Clare aveva il sapore di mille estati e accarezzava la sua con dolcezza. Travolto dal desiderio, la spinse implacabilmente a condividere l’ardore che teneva racchiuso dentro.

Una sottile scintilla si accese dentro di lei, bruciando veloce dal nucleo del suo essere, infiammandole il corpo di un tenero e sconosciuto desiderio. Istintivamente gli rese il bacio, plasmando le proprie labbra contro quelle di lui, persa nei lenti e meravigliosi impulsi che la bocca di Benji stava suscitando in lei.

Lui attirò a se con un unico gesto, facendo aderire il suo corpo morbido al proprio, duro e irrigidito dalla passione. I suoi baci divennero torridi, sensuali, squisitamente eccitanti. Giocò con le sue labbra, seducente e tentatore, fino a che lei non gli si abbandonò, completamente soggiogata.

Braccia come fasci d’acciaio la circondarono spingendola contro un torace muscoloso, mentre la mano di lui si curvava sul suo fondoschiena in un’audace carezza, sollevandola e forzandola a sentire le vibrazioni del suo desiderio scatenato.

Quel tocco così particolare, così tipico di un uomo, scosse Clare fin nel profondo e un terrore senza nome emerse dalla sua coscienza e la attraversò tutta.

- No! – esclamò orripilata puntando le mani contro il petto di lui e facendo leva – Lasciami! - 

Aveva gli occhi spiritati e Benji vide l’orrore annidato nelle profondità dorate. Sgomento, allentò immediatamente la stretta del suo abbraccio e Clare fece un balzo indietro come se fosse stata scottata. Sotto il suo sguardo incredulo e inorridito la giovane volò letteralmente fuori dalla stanza e pochi istanti dopo Benji sentì sbattere la porta della sua camera al piano di sopra.

Ancora stupito dalla reazione di lei salì lentamente le scale e si soffermò davanti alla sua porta. Dietro il spesso pannello di quercia gli giungevano i singhiozzi soffocati di Clare. Consapevole di essere la causa di quel pianto disperato ma non riuscendone a comprendere appieno motivo provò ad abbassare la maniglia della porta ma la trovò inequivocabilmente sbarrata.

Tentò una seconda e poi una terza volta. Infine si costrinse ad avviarsi verso la propria stanza.

Clare aveva risposto ai suoi baci con ingenua avidità, manifestando una passione che lui non credeva possibile in quello scricciolo di ragazzina. Il turbamento, per quella che era evidentemente un’esperienza del tutto nuova e sconvolgente per lei, doveva essere la ragione per la sua brusca reazione di quella sera e per quel pianto irrefrenabile.

Si passò una mano fra i corti capelli scuri riflettendo sulla propria reazione: se voleva essere onesto doveva ammettere che neppure le sue precedenti esperienze lo avevano preparato alla tempesta dei sensi che lo aveva travolto quando l’aveva stretta tra le braccia. Poteva solo immaginare quanto, le medesime sensazioni, avessero sconvolto l’animo innocente di lei. Possedeva una sensualità innata, priva di affettazioni, che la rendeva molto eccitante e desiderabile.

E lui la voleva.

Si gettò sul letto completamente vestito consapevole che, nonostante la stanchezza, non sarebbe riuscito a chiudere occhio. Tra due settimane sarebbe ritornato in Germania e trovava insopportabile il pensiero di partire senza di lei. Aveva sempre affrontato la sua vita in maniera disincantata e disillusa ma improvvisamene si ritrovava a volere Clare al suo fianco.

In fondo ai suoi pensieri la sua preoccupazione per l’affidamento di Martine si agitava senza sosta ricordandogli la necessità, per lui urgente, di trovarsi una moglie.

La sua mente si mise a lavorare velocemente pianificando e modificando i dettagli come un preciso schema di gioco. Aveva deciso quale sarebbe stato il suo scopo e come sempre non si sarebbe fermato fino a che non avesse ottenuto quello che desiderava.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Buona settimana a tutti e grazie mille per le mails e le recensioni che mi avete inviato.

Sono molto felice che Scent of hearts continui a piacervi e vi appassioni e comunque aspetto sempre commenti e critiche.

A seguito di alcune recensioni in cui mi veniva chiesto di “scrivere più veloce” ho riflettuto e deciso che la pubblicazione della mia ff proseguirà con un capitolo a settimana, possibilmente postato puntuale il giovedì sera, proprio come sto facendo ora.

Un bacione a tutti e ad maiora!

Julie

 

 

CAPITOLO X

 

“Ci sarà la luna stanotte”si disse Hero.

Il giardino sarebbe stato d’argento come quell’altra notte.

E per centinaia di notti a venire.

Falene nelle ombre e il profumo di fiori esotici;

il mormorio della risacca sulla spiaggia candida.

“Insegnami ad udire il canto delle sirene”

Non riusciva a pensare chiaramente. Doveva udire qualcosa.

Doveva dirgli immediatamente che era impossibile

che non aveva intenzione di andare con lui.

Che era un insulto anche solo l’averlo pensato.

Che acqua e fuoco non…

Ma la vita non sarebbe mai stata monotona o meschina con Rory

e il mondo non sarebbe mai stato piccolo.

Ci sarebbero sempre stati ampi orizzonti spazzati dal vento.

E sole e pioggia e acqua salata…

(M.M.Kaye)

 

La grande villa al mare vicino a Kanagawa, era proprio come Patty l’aveva descritta nei suoi entusiastici racconti. Era una moderna costruzione, dai muri intonacati di fresco, progettata secondo i moderni criteri antisismici e arricchita di un lungo patio che correva lungo tutta la facciata principale, consentendo una veduta superba dell’oceano. Le camere erano ampie, arredate con essenzialità e dotate di servizi privati.

Al centro dell’abitazione, un enorme soggiorno circolare era stato arredato con divani confortevoli per invogliare al riposo e favorire la conversazione mentre una cucina ultra moderna era stata messa a disposizione degli ospiti, rifornita di ogni prelibatezza.

La villa si ergeva su un piccolo terrapieno sullo spuntone di una scogliera e un ripido sentiero tra le rocce, tagliato in grossi gradini di pietra, consentiva l’accesso diretto ad una piccola spiaggetta privata, che si apriva tra gli scogli come un angolo di solitario ed incontaminato paradiso.

Dopo aver visto le fotografie del luogo, perfino Benji, solitamente parco di elogi, aveva riconosciuto che Patty aveva davvero fatto un ottima scelta.

Viste le dimensioni dell’abitazione, l’offerta di Patty era stata estesa a tutti i membri della squadra e coloro che non avevano preso altri precedenti impegni avevano accettato con entusiasmo.

Amy, Julian, Philip e Jenny non si erano fatti pregare e avevano accolto immediatamente l’idea della vacanza, felici di poter trascorrere ancora un po’ di tempo tutti insieme soprattutto in vista della lunga separazione.

Tom invece era ripartito immediatamente per la Francia, preferendo utilizzare gli ultimi giorni di libertà prima dell’inizio del campionato per andare a trovare suo padre e così pure Ed Warner, Clifford Huma e Danny Mellow avevano declinato l’invito.

Mark Lenders era stato uno dei primi ad arrivare accompagnato dalla sua sorellina Mary, una ragazzina di quattordici anni dai capelli scuri come quelli del fratello. A causa di una brutta tonsillite il medico le aveva consigliato un cambiamento d'aria e il cannoniere aveva preso al volo l’offerta di Patty convinto che un po’ di mare avrebbe sicuramente giovato alla sorella.

Dal momento che la casa non disponeva di una nursery, Clare aveva deciso di dormire con Martine e Patty le aveva assegnato, a sua insaputa e con intento, la stanza accanto a quella di Benji. Le due camere erano separate da un bagno al quale si poteva accedere da entrambe le parti, tramite due porte comunicanti, e la fidanzata di Holly sperava che quella potesse essere una sistemazione adatta a favorire l’evolversi del loro rapporto.

Patty perse parecchia della sua baldanza quando vide l’auto del portiere imboccare il vialetto d’accesso alla villa e scenderne un Benji più cupo che mai.

Il portiere scaricò senza fiatare i bagagli, il lettino pieghevole e il passeggino di Martine mentre una Clare, dal viso pallido e abbattuto, si avviava verso il portone d’ingresso con la bambina in braccio. Aveva gli occhi cerchiati di scuro e rispose senza la consueta allegria al saluto di Patty – Mi dispiace ma ho dormito poco la notte scorsa… c’è stata la tempesta. – minimizzò in risposta alla sua occhiata interrogativa

Patty osservò per un istante Holly aiutare Benji con i bagagli e, scrutando l’espressione tesa dell’SGGK, decise che c’era qualcosa che non andava. Prese Martine dalle braccia di Clare e la sospinse verso il soggiorno iniziando a chiacchierare a ruota libera.

- Sono così felice che siate arrivati, ero un po’ preoccupata perché mancavate solo voi. In casa ci siamo solo Holly ed io perché gli altri sono già qui da un pezzo e sono scesi tutti in spiaggia. Ho appena fatto il tè e sono certa che vorrete berne una tazza e riposarvi un attimo –

Clare la guardò, grata per la comprensione che l’amica mostrava, e fece un tremulo sorriso – Mi sembra una splendida idea. –

Patty osservò attentamente il suo volto pallido – Forse dovresti andare di sopra a stenderti per un po’. Non hai l’aria di stare troppo bene. -

Al piano di sopra i due calciatori depositarono le valigie nelle stanze e Holly si lasciò andare ad un sospiro di soddisfazione – Ecco fatto! Adesso non dobbiamo fare altro che goderci al vacanza. –

Benji annuì distrattamente ma acconsentì a scendere in spiaggia con il compagno di squadra e i due uscirono velocemente dopo un breve saluto.

Benji passò di fronte a Clare senza neppure degnarla di uno sguardo, il volto incupito dall’ira.

La ragazza si sentì trafitta dal suo disprezzo e dovette ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di sgorgare. Non appena udì chiudersi al porta alle loro spalle si alzò in piedi e prese Martine in braccio. Mormorando una debole scusa con Patty salì al piano di sopra lasciando in soggiorno l’amica sola e sconcertata.

Al piano superiore vide le porte aperte delle camere da letto e i bagagli suoi e di Benji posati a terra nelle stanze assegnate. Aprì il lettino pieghevole nella sua stanza e mise Martine sul passeggino mentre prendeva  a disfare le valigie.

Appese i suoi abiti nell’armadio e superando l’indecisione si affrettò a riporre anche gli indumenti di Benji.

Le camicie perfettamente stirate e inamidate erano cucite su misura e portavano ricamate sul lato sinistro all’altezza del cuore le iniziali del campione: B.W.P. Si soffermò un istante ad accarezzare il morbido cotone dei maglioni di lui. Dai suoi vestiti si sprigionava il lieve sentore amarognolo della sua colonia e il suo cuore accelerò i battiti.

La notte prima aveva pianto, incapace di sostenere quella valanga di emozioni a cui non era minimamente abituata. Poteva essere incredibile ma quello era stato il suo primo bacio ed era rimasta sconcertata dal piacere inatteso che aveva provato stretta tra le braccia di Benji.

Avere suscitato il desiderio di un uomo come Benji Price la riempiva di gioia e di stupita meraviglia ma la ragione delle sue lacrime risiedeva nell’aver constatato di non essere ancora riuscita a superare completamente l’orrendo episodio di sette anni prima.

Quella mattina quando lei era scesa a colazione con gli occhi arrossati per la notte insonne aveva trovato un Benji pensoso e distratto, pronto per partire. In modo cortese ma distaccato si era informato se erano pronti i bagagli e poi se ne era andato ad occuparsi della sistemazione sulla sua auto del seggiolino di Martine.

Sembrava che qualunque cosa fosse successa la notte precedente non rivestisse per lui la benché minima importanza, mentre Clare si sentiva ancora travolta dai suoi baci e dal suo ardore.

Era stata preda di emozioni nuove e sconvolgenti. Con suo immenso stupore aveva notato che una parte di sé era felice di essere baciata da un uomo e che era in grado di ricambiare quel bacio con insospettato trasporto.

Anzi, un misterioso e segreto istinto l’aveva spinta a volere di più, molto di più.

Da quando aveva conosciuto Benjiamin Price, sembrava che una nuova creatura fosse affiorata dalle profondità del suo essere.  Aveva scoperto una nuova Clare e la scoperta era tale da sconvolgere tutto il suo universo. Chi era questa nuova donna che si era risvegliata in lei?

Era ancora troppo confusa per capire esattamente cosa fosse successo. Certo, lui la voleva, la desiderava, questo l’aveva capito. Ciò che non aveva mai immaginato era che lei desiderasse Benji!

Ma era davvero solo desiderio?

Perché si trovava ad ammirare di sottecchi le piccole rughe che si formavano a lato degli occhi durante uno dei suoi rari sorrisi? Perché provava un’altalenante e confuso piacere nell’osservare il gioco di ossa e muscoli che si rincorrevano su quelle grandi mani dalle dita snelle, ricordando l’incanto delle sue carezze su di sé?

Cercò di calmarsi ma le emozioni più disparate le si affastellarono nel cuore senza darle pace.

Quella mattina, quando aveva cercato di aiutarlo con le valigie, le loro dita si erano sfiorate e il loro inaspettato contatto, unito all’imbarazzo per quanto era successo la notte precedente, era stato come una scarica elettrica che l’aveva colta di sorpresa.

Aveva ritratto le mani, mormorando una scusa, e il volto di lui si era indurito alla vista della sua evidente timidezza. Durante tutto il tragitto Benji aveva risposto con un ostinato silenzio ai suoi deboli tentativi di conversazione, con il muscolo che fremeva sulla sua guancia abbronzata.

Sapeva di averlo ferito con il suo gesto brusco ma per lei era tutto così incredibilmente nuovo… così desiderabile. Non era stata in grado di fare fronte ai sentimenti che l’avevano invasa e sconvolta.

Amareggiata e confusa Clare si sedette di fronte a Martine che gorgogliava tutta contenta stringendo tra le piccole dita un sonaglio colorato – Oh, piccolina – la voce di Clare era poco più di un sussurro – Cosa devo fare? E’ tutto così difficile… -

Rimase lì a lungo, non sapendo come affrontare la sua collera e temendola. Accanto a Benji, per la prima volta nella sua vita, aveva desiderato qualcosa che le era sconosciuto e aveva avuto paura dei palpiti che improvvisamente le erano nati nel cuore.

Più tardi, rendendosi conto di non poter rimanere per sempre nella sua stanza, Clare scese in soggiorno, portando con se Martine.

Era ormai pomeriggio inoltrato e, con sorpresa, trovò tutta la compagnia seduta sui comodi divani. Venne accolta da grandi sorrisi e Oliver, che stava servendo le bibite alle ragazze, le porse un bicchiere di succo di frutta invitandola ad accomodarsi assieme a loro.

Clare fece scorrere lo sguardo sui presenti e constatando con sollievo l’assenza di Benji accettò con un sorriso. Non era preparata ad incontrarlo e a scontrarsi con il suo cipiglio carico di rimprovero. Considerando che la sua sola magnetica presenza nella stessa stanza la mandava in subbuglio preferiva rimandare il loro incontro ad un momento in cui avesse fatto più chiarezza nel suo animo incerto.

Conosceva già i giocatori per averli incontrati al campo di allenamento e Jenny la salutò con un abbraccio affettuoso.

Le ragazze la circondarono con la loro allegria, facendola partecipe dei loro racconti e delle loro risate e Patty le presentò gentilmente Amy, la moglie di Julian Ross e Mary la sorella di Mark.

La neo signora Ross si dimostrò subito interessatissima a Martine e si offrì di tenerla in braccio per un po’, mentre Clare sorseggiava il suo bicchiere. Sotto lo sguardo colmo d’amore di Julian strinse la bambina al petto, passeggiando per la stanza e indicandole il moto del mare che era possibile scorgere dalle vetrate del patio.

- Attento Julian – la voce di Philip Callaghan era venata di umorismo – A quanto vedo Amy ha intenzione di ingrandire la vostra piccola famigliola al più presto! -

Il “principe del calcio”, come erano soliti chiamarlo ai tempi in cui giocavano tutti insieme nella nazionale Under 21, rise divertito, accettando lo scherzo – In effetti è un po’ che ci stiamo pensando seriamente. – ammise.

Amy non fu gentile come il marito e fece una linguaccia a Philip – Attento a te, Philip Callaghan! – lo mise in guardia puntandogli il dito contro – Proprio l’altro giorno Jenny mi stava raccontando di quanto è felice che voi finalmente vi sposiate. Mi ha anche confidato di essere molto emozionata al pensiero di avere dei bambini da te: parlava di almeno cinque o sei! –

Risero tutti e Jenny arrossì visibilmente – Amy, cosa stai dicendo! -

Philip rise ancora di più di fronte all’evidente imbarazzo della fidanzata – Touché. – disse rivolto all’amica.

Clare si avvicinò a Mark e Mary seduti a gambe incrociate sul pavimento davanti ad una scacchiera – Allora chi sta vincendo? – chiese sbirciando la disposizione dei pezzi.

Mary Lenders era una ragazzina di quattordici anni che assomigliava moltissimo al bruno ed irruente fratello, tranne che per il carattere dolce e mansueto. Riconoscendo la sua timidezza come la propria, Clare l’aveva presa immediatamente in simpatia.

Mary le sorrise con complicità – Ho paura di avere messo Mark in seria difficoltà – ridacchiò, mentre il fratello rivolgeva uno sguardo corrucciato alla propria regina.

Clare sorrise a sua volta – Vediamo… - disse concentrandosi per alcuni istanti – Già, è vero. Se non ti sbrighi a bloccarla ti farà a pezzetti. – predisse rivolgendosi al cannoniere sconsolato.

- Potresti aiutarmi allora – cercò di convincerla lui – Sono certo che a Mary non dispiacerà che tu prenda il mio posto. Non sono comunque un avversario degno della mia sorellina. -

Clare accettò subito e nella mezz’ora successiva si impegnò a cercare di rimediare allo scempio che lui aveva prodotto. L’atmosfera era così rilassata che ben presto si trovò a ridere e scherzare spensieratamente come non aveva mai fatto, incoraggiata dalla calda amicizia e dall’affiatamento che si respiravano nella stanza.

Fu così che Benji la vide, rientrando dal patio, il capo biondo chino sulla scacchiera, un ricciolo dorato che distrattamente sfiorava la spalla massiccia del bruno attaccante. Il sorriso di lei era così luminoso da rendere bellissimo il suo volto delicato, gli occhi d’ambra scintillavano e le guance erano accese dalla gioia della sfida. 

Trattenne il fiato e un subitaneo moto di rabbia lo invase nel vedere quanto Lenders le sedesse vicino con familiarità, appoggiando una mano sul pavimento dietro la schiena di Clare, vicinissima ai suoi fianchi snelli.

Il muscolo iniziò a fremere sulla sua guancia e gli occhi ebbero un bagliore pericoloso.

- Eccoti qui, Benji! – la voce di Patty li fece voltare tutti verso le portefinestre – Ci chiedevamo dove fossi finito. -

Lui entrò nel soggiorno con il suo lungo passo sciolto e si diresse verso il mobile bar – Buonasera a tutti. – salutò un tantino rigido gettando un’occhiata in tralice a Clare che sedeva ancora sul pavimento. Si versò da bere da una caraffa di cristallo colma di brandy e scolò d’un sorso il contenuto, riempiendosi di nuovo il largo bicchiere panciuto. 

- E’ tutto per te, Benji? - domandò Philip ironico – O consentirai anche a noi di beneficiarne? -

Il portiere annuì leggermente e riempì il bicchiere del compagno di squadra. Ristette in piedi, le larghe spalle appoggiate al muro con noncuranza, senza partecipare alla conversazione che animava la stanza. Accigliato guardò Clare suggerire a Mark una mossa con l’alfiere e ridere allegramente di fronte alla espressione sconsolata del giocatore. Fondamentalmente lo crucciava la vicinanza di Mark alla ragazza e questo accrebbe sensibilmente il suo consumo di alcool.

Il cuore di Clare aveva preso a battere come un tamburo non appena Benji ebbe messo piede nell’ampio soggiorno. La stanza si era come improvvisamente riempita della sua presenza carismatica e lei poteva sentire lo sguardo magnetico di quegli occhi scuri scorrerle sulla pelle come una lunga e insistente carezza. Si avvide della tensione del SGGK che la osservava con aria torva, partecipando alla conversazione solo se costretto, e rispondendo monosillabi.

La collera di Benji sembrava ridestarsi per tutto ciò che Mark Lenders faceva o diceva ma Clare non riusciva a darsene una ragione. Liquidò l’idea della gelosia: Benjiamin Price era un magnifico esemplare maschile, un uomo di successo e certamente non aveva bisogno di invidiare al compagno di squadra bellezza e talento.

Confusa dai suoi modi bruschi e dalle sue occhiate penetranti si affrettò a scusarsi e, alzandosi in piedi,  prese Martine dalle braccia di Amy – Vado a cambiarla e a darle da mangiare. – spiegò con un sorriso avviandosi verso le scale e sentendo sulla schiena lo sguardo bruciante di un paio di occhi scuri seguirla fino alla tromba delle scale. 

 

La rossa sfera di fuoco del sole stava ormai calando rapidamente quando Clare scese di nuovo al piano di sotto, dopo aver fatto addormentare Martine. Aveva indossato per comodità uno dei suoi vestiti informi e i capelli erano annodati in un pesante chignon alla base della nuca. Lo stomaco le rodeva dalla fame visto che non aveva messo niente sotto i denti dalla mattina e sperava ardentemente che gli altri le avessero lasciato qualcosa.

Entrò in cucina e con sua somma sorpresa trovò tutte le ragazze ancora intente a preparare la cena.

- Oh Clare, finalmente! - Patty l’accolse con un largo sorriso – Hai già fatto addormentare Martine? -

Clare posò il microfono su un pensile – Si adesso dorme. Vi serve aiuto? – chiese sbirciando il lavello colmo di verdure da pulire.

Jenny la guardò con riconoscenza – Certamente. Ci siamo messi a chiacchierare e il tempo è volato. Nessuna di noi – aggiunse ridendo – Si è ricordata che qualcuno avrebbe dovuto preparare qualcosa da mettere sotto i denti. –

Clare prese un largo tovagliolo e se lo annodò attorno alla vita sottile, procedendo poi a rimescolare il contenuto di una pentola, secondo le istruzioni ricevute.

- Ho telefonato a Mrs. Jenkins, la governante della villa, e mi ha detto che domani verrà sicuramente a preparaci qualcosa di pronto. – le informò Patty accendendo il forno – Ma per questa sera dovremo cavarcela secondo le nostre possibilità. - 

- Meno male che almeno la dispensa era ben fornita. Quelli là sono come lupi affamati adesso che non devono seguire nessuna dieta speciale per via degli allenamenti. – rise Jenny accennando ai giocatori seduti in soggiorno.

- Ho quasi finito. – disse Amy dando gli ultimi ritocchi alla torta di mele che aveva appena finito di decorare – Spero tanto sia buona. E’ la preferita di Julian. -

Patty le strizzò l’occhio – Lo sarà, lo sarà. Dopotutto non l’hai fatta con tutto il tuo amore? –

Amy rise allegramente – Io non ci conterei troppo. I primi tempi del nostro matrimonio era una tale frana in cucina che spesso eravamo costretti a ordinare qualcosa di pronto per rimediare ai miei disastri culinari. Una volta Julian ha avuto il coraggio di mangiare dei biscotti che avevo fatto: ha avuto il mal di stomaco per una settimana! –

Di fronte a quattro paia d’occhi sospettosi puntati sul suo dolce scoppiò a ridere nuovamente – No, no, non preoccupatevi! Adesso ho imparato. Forse non verrà tutto perfetto ma nessuno è mai più stato male dopo aver assaggiato la mia cucina. –

Ridacchiando Patty prese una pentola e la riempì d’acqua – Così tu e Philip vi sposate. – prese a dire rivolta a Jenny

L’amica la guardò con aria sognante – Si, e non mi sembra vero. – rispose colma di giubilo – Ci sposeremo qui in Giappone ma dopo andremo a vivere in Inghilterra. -

Patty la guardò incerta mordicchiandosi la punta di un dito – Ma non ti dispiace lasciare il tuo lavoro per seguirlo e dover rinunciare alle tue aspirazioni? –

- No. – la risposta di Jenny arrivò senza tentennamenti – L’unica cosa che desidero è poter stare finalmente con lui. Dopo che sono ritornata dagli Stati Uniti mi sono ripromessa che se mai, in futuro, avessi avuto un’occasione del genere non me la sarei lasciata sfuggire. Philip è troppo importante per me. Inoltre – aggiunse con decisione – Se dovessi annoiarmi a casa potrei sempre cercarmi un lavoro come interprete per qualche azienda. -

- E tu Clare? – Amy cercò gentilmente di introdurla nella loro conversazione – Cosa farai quando Martine ritornerà in Germania con Benji? -

Clare si strinse leggermente nelle spalle – Riprenderò il mio lavoro al collegio. Questo incarico è stata solamente una situazione temporanea, anche se sono sicura che Martine mi mancherà moltissimo. -

- Hai una famiglia tua? Un fidanzato? – le chiese Jenny 

- No. – Clare sbirciò Patty di sottecchi – Non sono sposata. Io vivo nel collegio dove insegno. -

- Ma avrai qualcuno che ti fa la corte. – insistette Jenny.

Clare smise di rimescolare e spense la fiamma sotto la pentola – No. Per la verità non ho mai avuto molto tempo per queste cose. – rispose con un mezzo sorriso.

- Allora bisogna trovarti un fidanzato al più presto. – affermò Jenny con convinzione – Non deve essere una cosa difficile. Sono certa che faranno la fila per uscire con te. Inoltre, dal momento che io sono strepitosamente felice e innamorata lo devono essere anche tutti coloro che mi sono accanto. – dichiarò la futura sposina.

Clare arrossì leggermente, implorando con lo sguardo l’aiuto di Patty che prontamente attirò l’attenzione del gruppo – Su, su ragazze, cerchiamo di impegnarci altrimenti questa cena non sarà mai pronta. – esclamò richiamandole all’ordine.

Jenny spalancò gli occhi e Amy scoppiò in una risata – L’ha detto… come lui! - esclamò

- Già è proprio vero… – Jenny si unì alle risa dell’amica mentre Patty e Clare le guardavano sconcertate - l’intonazione era la stessa! -

Tra una risata e l’altra Amy si asciugò gli occhi – L’hai detto proprio come Holly, quando incita gli altri durante una partita! – spiegò senza riuscire a frenare le risate.

Patty guardò Clare meravigliata e poi, rendendosi conto che era proprio vero, scoppiarono a ridere entrambe.

L’atmosfera nella cucina era calda e rilassata e anche Mary, la sorella minore di Mark, prendeva parte all’allegria generale, mentre si occupava di scovare tutto l’occorrente per apparecchiare la tavola.

La loro cordialità mise immediatamente Clare a proprio agio e presto si trovò a scherzare e a rispondere senza imbarazzo alle loro domande.

- Sai, - le confidò Amy mentre disponevano le pietanze sul vassoio – Siamo rimasti tutti molto stupiti nell’apprendere che Benji dovesse occuparsi da solo di una bimba piccola come Martine. Soprattutto dal momento che lui non è mai stato, per così dire, molto… casalingo. – spiegò con un sorriso - Quando abbiamo saputo che aveva assunto una persona che badasse alla bambina ci immaginavamo una severa istitutrice. Nessuno di noi credeva che tu potessi essere tanto giovane. -

- E’ stata la direttrice del collegio dove insegno a suggerire il mio nome. – confermò Clare – Forse perché nessuna delle altri insegnanti era disponibile per questo incarico. Sono tutte molto più vecchie di me e molte di loro sono sposate e vivono fuori dall’istituto. – disse portando in tavola il vassoio.

Immediatamente tutti gli occupanti del soggiorno si precipitarono attorno al tavolo.

- Finalmente! – Mark gettò uno sguardo soddisfatto ai piatti di portata – Non ne potevo più dalla fame! -

- Ce ne avete messo di tempo. – Julian spiegò il tovagliolo in grembo – Non mi direte che la mia mogliettina ha combinato uno dei suoi soliti disastri. – disse canzonandola.

Per tutta risposta Amy gli sottrasse il piatto che aveva davanti a se – Non sei costretto a mangiare i miei “disastri”! – replicò provocando una risata generale.

Patty si guardò intorno - Dov’è Benji? – chiese a Oliver indicando il suo posto vuoto. L’attaccante scosse la testa come a dire che non lo sapeva e si sedette a tavola tendendo le mani verso il vassoio che Julian gli porgeva.

Philip fece le spallucce riempendosi il piatto – Ha detto che andava a fare un giro giù alla spiaggia. Vedrai che quando gli verrà fame si presenterà. –

- Già. – Mark riempì il bicchiere della sorella di succo di frutta – Quando è andato via era di pessimo umore. -   

Ignorando lo sguardo divertito di Holly, Patty si rivolse a Clare che stava aiutando Jenny a disporre le verdure nei piatti – Qui posso finire io. – le disse con un bel sorriso - Per favore vai giù alla spiaggia a vedere se Benji vuole che gli lasciamo qualcosa da parte. Terremo in caldo anche il tuo piatto. -

Clare cercò di protestare – Ma Martine… -

- Non ti preoccupare. – Patty la sospinse gentilmente verso la porta finestra – Terrò il microfono accanto a me e se mai si dovesse svegliare salirò a prenderla. Fai presto. – le raccomandò, guardandola avviasi verso la scaletta fra le rocce.

 

Benji ristette in piedi con le mani piantate saldamente sui fianchi a scrutare la scia rossa del sole al tramonto percorrere l’ultimo tratto di orizzonte. La marea si stava alzando e un vento caldo aveva iniziato a soffiare increspando la superficie piatta del mare.

Aveva lasciato la villa in preda alla frustrazione e, per quanto ormai fossero alcune ore che si trovava lì, non riusciva a risolversi di farvi ritorno. Respirò profondamente l’aria salmastra e infilò le mani nelle tasche dei pantaloni. Non riusciva a stare accanto a Clare senza desiderarla e lei lo guardava come se fosse un mostro con tanto di artigli pronto a farle del male. Strinse i pugni e il muscolo sulla sua guancia prese a pulsare spasmodicamente.

Gli sfuggì un risolino sarcastico: aveva chiesto alle donne più altezzose di allargare le cosce e queste si erano affrettate a compiacerlo come se facesse loro un grande favore. Clare, invece, dopo averlo baciato con una passione che gli aveva acceso il sangue, era fuggita di fronte a lui e sembrava non riuscire a sopportare neppure il minimo contatto fisico.

Quella mattina, quando le loro mani si erano sfiorate per un breve istante, lei aveva reagito facendo un balzo indietro e arrossendo vistosamente. Poi una volta saliti in auto aveva fatto molta attenzione a tenersi a debita distanza, come se lui potesse in qualche modo aggredirla.

Quella reazione esagerata aveva scatenato la sua ira: quella ragazzina giocava a fare la riottosa e lui si sentiva dilaniare le carni!

Che cosa aveva di speciale Clare per farlo reagire così? Perché non riusciva a scacciarla dalla sua mente?  

Con la coda dell’occhio scorse un piccolo movimento alle sue spalle e si voltò di scatto: l’oggetto delle sue considerazioni era lì, in piedi dietro di lui, e indossava uno di quei vestiti a fiori, dal taglio a campana, che costituivano parte del suo monotono guardaroba. Aveva i capelli raccolti in un largo nodo sulla nuca e i rossi raggi del tramonto sembravano infiammarne i fili dorati, creando un’aureola luminosa attorno al suo capo.

I felini occhi d’ambra lo scrutavano quietamente come se si aspettassero da lui una reazione improvvisa e badassero a coglierne il minimo movimento. Sembrava una visione surreale ma il viso pallido e serio, senza l’ombra di un sorriso, la faceva assomigliare moltissimo alla Clare Miller di alcuni mesi prima.

- Mi dispiace averti disturbato. – la voce di lei era poco più di un basso mormorio – La cena è pronta e Patty mi ha mandato a cercati. Si chiedeva se dovevamo aspettarti o se preferivi cenare più tardi da solo. -

Sembrava in imbarazzo per trovarsi da sola con lui e le sue mani cincischiarono il tessuto di cotone del suo abito. Il vestito la copriva interamente, mascherando agli occhi di Benji le sue forme femminili.

Invece di sentirsi confortato da questo suo cambiamento, l’atteggiamento dimesso di lei lo irritò ancora di più e il suo sguardo si indurì.

- Eccoti qui! La dolce e timida Clare! – le parole gli sfuggirono di bocca aspre e beffarde – Dimmi signorinella, perché sei venuta tu a cercarmi? Di solito tremi di paura quando mi avvicino a te. Cosa ti ha fatto cambiare idea? –

In preda ad una collera inspiegabile Benji le si avvicinò con l’andatura sciolta di un predatore in caccia, inchiodandola con il suo sguardo bruciante – Così hai deciso di smetterla di atteggiarti a verginella e sei venuta per provare nuove emozioni. – la incalzò insultante - Forse la notte scorsa non ti è spiaciuta più di tanto. Posso continuare se vuoi, posso farti provare molto di più. – mormorò crudele alzando una mano e affondandola nell’oro dei suoi capelli – Cosa c’è mia cara? Mi hai fatto assaggiare le briciole in modo che mi rodessi nell’angoscia fino a prometterti qualunque cosa pur di averti? -

Un torrente di seta dorata gli si riversò fra le mani spargendosi sulle spalle e sul petto di Clare che ansimò per la sorpresa. Non si aspettava di essere investita dalla sua rabbia e non era preparata alla reazione adirata dell’uomo.

Il profumo delicato di lei lo avvolse mescolandosi al vento e all’aria di mare e Clare vide la fiamma del desiderio accendersi e divampare nel fondo di quegli occhi scuri.

- No… ti prego – il cuore le batteva nel petto come un tamburo – Non è come credi…

- Ah no? E cosa dovrei credere, secondo te? – la voce di Benji aveva una nota ferale – Non mi piacciono i tuoi giochetti. Ieri notte ti sei abbandonata tra le mie braccia e questa mattina hai evitato ogni contatto con me. Adesso mi vieni a cercare sola e in un luogo appartato. Non devo forse pensare che tu stia cercando un incontro… ben più intimo di quello che vorresti ammettere? -

L’arroganza dell’uomo unita al timore che aveva di lui la infiammarono di un improvviso e incontenibile furore. Si strappò da lui ignorando il fatto che le dita di Benji fossero rimaste dolorosamente impigliate nella sua capigliatura e lo affrontò con un’audacia che neppure credeva di possedere

- Come osi! – gridò - Come osi pensare che dopo il modo in cui mi hai trattata io sia venuta qui per indurti ad un convegno amoroso! Sei l’essere più arrogante e borioso che io conosca! Sono venuta qui non di mia volontà ma perché Patty mi ha chiesto per favore di venirti a cercare. Che tu lo creda o no il sole non sorge e tramonta solo per Benjiamin Price! - 

Gli volse le spalle come una furia, decisa ad abbandonarlo lì da solo con il suo malumore e inavvertitamente una ciocca di capelli dorati gli frustò il viso.

La mano di lui afferrò il suo polso sottile, impedendole di allontanarsi  – Aspetta! -  

Impaurita Clare cercò di strapparsi via alla sua presa tenace ma, per quanti sforzi e torsioni facesse, non riuscì a spezzarne la stretta. Le lunghe dita dell’uomo si erano chiuse attorno alla fragile struttura ossea del suo polso in una catena delicata ma salda e, pur non procurandole alcun dolore, le impedivano di allontanarsi come avrebbe voluto. Lottò in silenzio per alcuni istanti fino a che la voce imperiosa di lui non la costrinse a smettere di contorcersi  - Stai ferma! -  

- No! - Clare levò su di lui uno sguardo implorante, mentre le pupille dei suoi occhi dorati si dilatavano a tal punto da scurire quasi completamente l’iride. Temette di svenire e lacrime di paura le spuntarono tra le ciglia

- Ti prego… - esclamò terrorizzata – Ti prego, non farmi del male. -

Benji aggrottò la fronte stupito di fronte al volto sconvolto di lei – Calmati. – disse con uno scuro cipiglio, facendola sedere su una roccia piatta, profondamente irritato con se stesso per averla fatta piangere.

- Per quanto le tue parole possano provocare la mia collera, ti assicuro che non ho mai avuto intenzione di farti del male. Non ho mai picchiato una donna in vita mia. – cercò di rassicurarla, cupo in volto, vedendo le spalle sottili scosse da un tremito incontrollabile. Si frugò nelle tasche alla ricerca di un fazzoletto e trovatolo le asciugò gli occhi come ad una bambina. - Va meglio ora? – le chiese più gentilmente.

Clare annuì debolmente e tirò su con il naso. – Grazie. – mormorò imbarazzata.

Un po’ barcollante rimise in piedi in piedi ma Benji la afferrò per i polsi e la costrinse a sedersi nuovamente. Le sollevò il mento con un dito fino ad incontrare quelle liquide profondità ambrate. Gli occhi di Clare erano arrossati e leggermente gonfi e le lunghe ciglia nere portavano impigliate minuscole lacrime simili a tanti piccoli diamanti.

- Clare Miller – cominciò in un modo che non lasciava presagire niente di buono – Non andrai da nessuna parte finché non mi avrai detto perché hai paura degli uomini, o se questo è un trattamento che riservi a solo a me in particolare. – chiese calmo, con una voce che non ammetteva bugie.

Il viso di Clare divenne terreo – Io… veramente… -

Cercò affannosamente di elaborare qualche scusa, qualche spiegazione che potesse soddisfarlo ma sapeva che sarebbe stato un compito molto arduo. Benji aveva capito che il fatto di trovarsi tra le braccia di un uomo la terrorizzava oltre ogni limite e sarebbe stato difficile convincerlo del contrario. Si rese conto che, se la sua risposta non gli forse apparsa plausibile, sarebbe stato capace di riprenderla fra le braccia per indurla ad essere sincera.

Non riuscì a sostenere il suo sguardo e il cipiglio di Benji si accentuò – Smettila! – replicò seccamente – Non accetto fandonie. Voglio la verità. –

Clare strinse i pugni. L’arroganza di quell’uomo non conosceva limiti. Una scintilla di coraggio esplose in un impeto di rabbia e di rivolta – Và al diavolo! Io non ti devo dire proprio niente! Non hai il diritto… -

- E invece si! – esclamò lui interrompendola – Ne ho tutto il diritto. – Prese fiato cercando di addolcire un poco il tono asciutto della sua voce - Ho il diritto di sapere perché la mia futura moglie trema ogni volta che mi avvicino a lei e perché mi teme a tal punto da pensare che io possa farle del male. -

Clare lo fissò raggelata, gli occhi sbarrati. Credette di aver capito male – La tua futura moglie? – si azzardò a chiedere guardandolo come se fosse impazzito.

- Si certo. – Benji ristette di fronte a lei le mani affondate nelle tasche dei pantaloni – In realtà non avevo intenzione di dirtelo in questo modo brusco, avrei aspettato la fine della settimana. Ti avrei invitata a cena fuori e ti avrei fatto la mia proposta in modo più adeguato ma il tuo comportamento di oggi mi ha costretto ad accelerare un po’ i tempi. -

Clare lo guardò incredula – Intendi dire che vorresti sposarmi? – gli chiese ancora incapace di assimilare la notizia.

Benji si lasciò sfuggire una risatina divertita – Tutto questo entusiasmo ferisce non poco il mio amor proprio. – ironizzò – Ma in effetti è proprio così. Vorrei che tu diventassi mia moglie, Clare. –

Di fronte allo sguardo strabiliato di lei, Benji continuò imperterrito – Ho visto che con Martine hai sviluppato un’intesa fortissima e sembra quasi che siate davvero madre e figlia. In questo modo lo diventeresti veramente. Come mia moglie non avresti problemi economici di nessun tipo, potresti dedicarti completamente alla pittura, scegliere di continuare a studiare, oppure non fare nulla dalla mattina alla sera. Non importa. Posso permettermi di soddisfare qualsiasi desiderio più o meno stravagante tu possa avere, anche se – disse, scoccando un’occhiata disgustata al vestito a fiori che indossava – dubito che tu sia il tipo da assillarmi con richieste impossibili. –

Clare arrossì sotto lo sguardo scrutatore dell’uomo – Perché? – ritrovò a chiedere contro ogni dettame che buonsenso forniva – Perché proprio io? Tu non mi ami… potresti chiederlo a qualunque altra donna… perché io? –

- Già… - Benji la squadrò con un’occhiata che sembrò spogliarla di ogni indumento – Ma non ne voglio un’altra, Clare. Né come madre per Martine… né come moglie. Non voglio nessun’altra. Voglio te sola. –

La fissò intensamente imprimendosi bene nella mente ogni dettaglio di quel volto che lo ossessionava - Ti desidero. – mormorò piano, quasi con riluttanza, mentre i suoi occhi attenti registravano il brivido che scosse il corpo di Clare – Più di quanto abbia mai voluto qualsiasi altra donna. -

La mente di Clare turbinava – No, è impossibile. – riuscì a dire mentre il mondo prendeva a vorticare.

- Niente è impossibile, mia cara. – Il tono di voce di Benji era calmo come se stesse discutendo con lei cosa ordinare per cena al ristorante - Ti prego di considerare attentamente la tua condizione: sei sola la mondo. Non hai né amici, né parenti fuori dalle mura del collegio. Credi che Mrs. Sommerson accetterà di nuovo di prenderti come insegnante dopo quello che è successo con i giornalisti? Quella donna tiene al decoro del suo collegio più di ogni altra cosa e non esiterà un solo istante a sbatterti in mezzo ad una strada. - incrociò le braccia con noncuranza - Ti resto solo io, Clare. Ti sto offrendo la possibilità di essere mia moglie, di prenderti cura di Martine, di dividere la mia casa e la mia tavola. -

Clare scosse il capo completamente disorientata – Non posso fare quello che mi hai chiesto. –

L’espressione di lui parve addolcirsi un poco. Si rese conto che lei era molto giovane e che tutto quello che stava accadendo doveva sembrarle assolutamente incomprensibile. Le sorrise.

- Mi rendo conto di averti sconvolta con questa mia proposta. Come ti ho già detto, avrei voluto che le cose fossero andate diversamente. – il suo tono di voce divenne gentile – Non puoi negare che fra noi ci sia qualcosa. Il modo in cui mi guardi... - la sua mano salì ad allontanarle un ricciolo dalla guancia pallida e il tono di voce si abbassò ad un intimo mormorio – La notte scorsa hai risposto ai miei baci, ti sei abbandonata fra le mie braccia e ho sentito che mi desideravi proprio come io desidero te. -

Lei tremava come se fosse stata investita da un uragano e lentamente le braccia di lui si sollevarono cingendola e facendole appoggiare il capo sul proprio petto. Le sfiorò la fronte con le labbra – Di cosa hai paura, bambina? Perché tremi? -

La voce di lui aveva un timbro rassicurante e possedeva una tenerezza che non aveva mai udito. Non riuscì a rispondergli ma il calore del suo abbraccio protettivo le infuse una certa fiducia e riuscì a smettere si tremare.

- Non avere paura. – le disse Benji – non voglio farti del male, ma… - Alzò su di lei uno sguardo incredibilmente dolce – Devi permettermi di aiutarti. -

Clare non riusciva a pensare. – Ho bisogno di tempo. – riuscì a dire – Ho bisogno di un po’ di tempo per riflettere. –

Un guizzo di pena gli attraversò i tratti abbronzati del viso di fronte all’evidente confusione di lei – Purtroppo il tempo è l’unica cosa che non posso offrirti, Clare. Dopo questa vacanza io ritornerò in Germania e farò di tutto per convincerti a venire con me. –

La rimise in piedi incapace di dargli una risposta e Benji le cinse la vita sottile con il braccio robusto, sostenendone la figura snella  – Adesso andiamo, non facciamo preoccupare gli altri. – disse sospingendola verso i gradini in pietra.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Buona settimana a tutti e un saluto affettuoso ai lettori della mia ff.

Non avete idea di quanto sia felice che Scent of hearts vi piaccia e ringrazio davvero di cuore tutti coloro che con mails e recensioni hanno espresso il loro parere. Sono sempre più convinta che sapere che cosa vi abbia colpito sia un incentivo eccezionale a scrivere e a cercare di farlo al meglio.

Dunque, un cordiale benvenuto a critiche e consigli!

Annuncio già fin d’ora che è possibile che giovedì prossimo non riesca ad aggiornare il capitolo per questioni personali. Cercherò di farlo al più presto non appena tornata alla base.

Per intanto un abbraccio a tutti, buona lettura e ad maiora!

Julie

 

 

CAPITOLO XI

 

“Incontrarsi fu trovarsi, nel momento in cui le loro

 due mani misteriosamente si toccarono,

 si congiunsero.

Quando quelle due anime si scorsero

si riconobbero, come se l’una

fosse ciò che necessitava all’altra,

e si abbracciarono strettamente.”

 

“Le avevano sempre parlato dell’anima,

 mai dell’amore;

quasi come chi parlasse del tizzone,

mai della fiamma” 

 

(V. Hugo)

 

 

La cena di quella sera era stata un vero e proprio tormento per Clare e neppure la genuina allegria della compagnia era stata in grado di distoglierla dal suo mutismo.

La proposta di Benji le risuonava ancora nelle orecchie in tutta la sua stupefacente e incredibile portata e la consapevolezza che lo sguardo adamantino dell’uomo non l’aveva abbandonata un solo istante, per tutta la durata del pasto, l’aveva inchiodata alla sedia incapace di partecipare alla conversazione.

Quando gli altri erano usciti sul patio per godere della frescura portata dalla marea si era scusata ed era rientrata a preparare l’ultimo biberon della giornata per Martine, riuscendo a sfuggire a quegli occhi di brace che sembravano incenerire gli indumenti che indossava.

Era uno scontro di volontà: la sua contrapposta a quella incrollabile dell’uomo.

Più tardi aveva messo a letto la bambina e poi si era spogliata e aveva fatto una lunga doccia. Seduta al centro del letto con le gambe incrociate e una salvietta saldamente stretta sopra il seno, si era dedicata a sciogliere i nodi dai lunghi capelli pettinandoli fino ad asciugarli completamente.

Aveva cercato per tutta la sera di scacciare dalla mente il pensiero della Germania e l’incontenibile impulso che aveva provato di accettare così, quasi ad occhi chiusi, quell’offerta che l’aveva lasciata senza fiato: Martine, una casa e soprattutto lui come marito.

Prima che Benji entrasse nella sua vita era stata felice della vita ritirata che aveva condotto, del lavoro gratificante che svolgeva al collegio, ma da alcuni mesi era stata catapultata in quel meraviglioso mondo fatto di amicizia e di affetti, di Martine e di… Benji.

Sì… perché era attorno a lui che adesso si muovevano le sue giornate… attorno al ricordo dei suoi baci…dei suoi rari sorrisi… della sua dominante presenza accanto a sé. Era un uomo magnetico e possedeva una disarmante capacità di piegare gli altri ai propri desideri.

Clare rabbrividì leggermente. Era stato chiarissimo quella sera: la voleva.

La voleva come madre di Martine e come moglie nel suo letto e sapeva che non si sarebbe fermato fino a quando non avesse ottenuto la sua resa più totale.

Ma cosa sarebbe accaduto se l’avesse vista di nuovo ritrarsi impaurita davanti al suo tocco, come era già successo? Se Benji si fosse arrabbiato, forse, avrebbe potuto decidere di fare le cose a modo suo…

Scivolò tra le lenzuola e si rannicchiò su un lato del grande letto cercando di calmare il turbine di pensieri e sentimenti che le si agitavano nella mente, lasciando che piano piano le braccia di Morfeo l’avvolgessero.

L’ultimo suo pensiero coerente da sveglia fu rivolto ad un paio di occhi scuri, ardenti come tizzoni, che guardavano dentro i suoi.

 

Era come se vedesse tutto alla fine di un lungo tunnel buio.

Casa.

Poteva guardare come una spettatrice la ragazzina dai lunghi capelli dorati intenta a risolvere un difficile problema di matematica… oppure era lei stessa la ragazzina seduta?

Vedeva le dita sottili maneggiare con cura un compasso e tracciare un cerchio perfetto sulla pagina bianca.

Sapeva che qualcosa sarebbe successo.

Era ansia quella che sentiva crescere in se? Ansia per la bionda ragazzina?

Era qualcosa di terribile.

Alzati! Scappa!

I suoi piedi erano come radicati al suolo e non riusciva a muovere neppure un muscolo.

Un rumore alla porta la fece sobbalzare.

Poteva vedere distintamente il volto dell’uomo, inquadrato nel vano della porta, aprirsi in un sorriso di compiacimento. Era entrato nella stanza con passo malfermo e il cuore prese a batterle forsennatamente nel petto non appena si accorse che lui era di nuovo ubriaco.

Il suo passo barcollante lo portò vicino a lei e il volto arrossato dall’alcool era deformato in un ghigno. L’odore di liquore misto a sudore era talmente forte da farle storcere il naso per il disgusto.

- Ciao zio… - aveva mormorato la ragazzina con voce tremante sperando che lui uscisse dalla sua stanza – Zia Sarah è andata dalla signora Brown. Ha detto che ritornava subito. -

il sorriso dell’uomo si era allargato, deformandogli il volto in una maschera di compiacimento e la sua mano si era posata pesantemente sulla sua spalla costringendola a voltarsi verso di lui e ad alzarsi dalla sedia.

Un campanello d’allarme le era squillato nella testa e aveva cercato di guadagnare la porta con una scusa, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra lei e l’uomo ubriaco.

Lui l’aveva afferrata con violenza gettandola sul letto e imprigionandole i polsi con il suo peso.

Aveva urlato.

Non c’era pietà nello sguardo vacuo che lui le aveva rivolto, nessuna comprensione per le sue urla disperate. I suoi occhi avevano brillato di cupidigia e aveva sentito le sue labbra umide posarsi con forza pelle serica del collo mentre le sue mani avide le strappavano la stoffa della camicetta, affondando nella carne tenera dei seni, palpando le curve ancora acerbe.

Si era dibattuta con tutta la forza che aveva cercando di sgusciare da sotto il suo corpo che le premeva pesantemente addosso, cercando di sottrarsi a quel tocco disgustoso.

I suoi frenetici movimenti le sue urla o avevano fatto infuriare. Le aveva mollato due potenti ceffoni e un’esplosione di dolore le era scoppiata in testa oscurandole la vista.

Un rivolo di sangue era colato dall’angolo della sua bocca.

Il sapore del sangue.

Quel sapore salato e metallico era esploso nella sua mente come un bagliore accecante. Lo sentiva tra le labbra, caldo e vischioso, come se la sua stessa vita stesse scorrendo via.

Il peso dell’uomo la inchiodava al letto per impedirle i movimenti ma lei aveva continuato ad urlare contorcendosi disperatamente per impedirgli di sfilarle i jeans, mentre le dita tozze strappavano il cotone delle mutandine.

Aveva urlato… urlato… urlato…

 

La porta di comunicazione si aprì improvvisamente e Benji accese la luce mentre si precipitava nella stanza infilandosi una vestaglia. La vide seduta al centro del letto con le mani premute sulle tempie, gli occhi accesi da uno sguardo folle e terrorizzato.

- Clare! -

La prese fra le braccia e lei lo afferrò strettamente, affondando le mani nelle fasce muscolari delle sue braccia con una forza sorprendente. I singhiozzi squassavano il suo corpo snello e Benji la sentì tremare in maniera incontenibile.

Le accarezzò teneramente i capelli – Shh … calmati dolcezza, hai fatto solo un brutto sogno …- bisbigliò cercando di tranquillizzarla.

Clare soffocò i singhiozzi contro la spalla massiccia di lui. Le sue lacrime inzupparono il sottile tessuto della vestaglia e gli bruciarono il cuore.

- Oh, Benji … - la voce di lei era un sussurro disperato – Mi perseguita sempre … non finirà mai … -

Lui la strinse ancora di più a sé – Chi è, Clare? - domandò pressante – Dimmi chi ti spaventa tanto. -

Le lacrime colavano inarrestabili dai bellissimi occhi di lei e a Benji si strinse il cuore quando la vide fremere cercando di controllarsi. Le sfiorò i capelli con le labbra scostandole i riccioli umidi dalla fronte – Va tutto bene, adesso. Sei al sicuro qui. Nessuno ti farà del male. – cercò di confortarla – Ma io devo sapere. Voglio aiutarti. Fidati di me. –

Era così rassicurante stare tra le sue braccia, così protettivo…

La sua mente piena di terrore rivisse l’aggressione attimo dopo attimo, dall’inizio alla fine.

Le parole uscirono spezzate e la sua voce soffocata si interrompeva a tratti, mentre i singhiozzi che non riusciva a frenare la scuotevano, facendola tremare come una foglia. Riviveva quei attimi con insopportabile chiarezza, rivedendo ogni scena, ripercorrendo i suoi pensieri di ragazzina. Non voleva proseguire con il racconto, non voleva rivivere quei particolari momenti. Si voltò verso Benji per supplicarlo di lasciarla in pace.

- Va avanti, Clare – la incoraggiò lui in tono gentile, incurante del fatto le affusolate dita di lei gli stessero spasmodicamente martoriando le mani.

Le sue braccia si strinsero attorno a lei come una barriera protettiva, infondendole una calma forza, dandole il coraggio di continuare, come un approdo sicuro in mezzo alla furiosa tempesta delle sue emozioni.

Al termine del suo racconto Clare tacque in preda alla vergogna, temendo che lui si sarebbe ritratto pieno di repulsione.

Benji l’abbracciò mentre il suo corpo si irrigidiva e il volto si faceva mortalmente pallido. Mormorò qualcosa in tedesco. Qualcosa di potente e di terribile che lei non capì. La strinse a sé con più forza, facendole appoggiare il capo sulla sua spalla, cullandola come una bambina spaventata.

- Ti ha violentata, Clare? – si costrinse a chiederle mentre la rabbia lo invadeva come un acido facendogli quasi perdere il controllo di sé.

Lei  lo guardò come se non capisse e poi si abbandonò al suo abbraccio mentre le lacrime scorrevano liberamente – No… zia Sarah è arrivata in tempo… io sono riuscita a scappare… -

Tormentato dalla sua angoscia, Benji la tenne stretta sfregando la sua guancia ruvida contro la sua tempia e carezzandole la schiena e le spalle tremanti, cercando di confortarla. – Ti prego, dolcezza, non piangere più. – la supplicò con voce roca – Ti prego. –

Lei lo strinse più forte, piangendo con la gota appoggiata al suo petto. Le sue parole le erano di grande conforto ma le lacrime continuarono a sgorgare dai suoi occhi. Clare gli si aggrappava come se temesse che lui potesse improvvisamente svanire e lasciarla sola nell’oscurità.

- Non è stata colpa mia – balbettò tra i singhiozzi – Non… non ho potuto evitarlo -

Benji la strinse gentilmente a sé ma Clare si ribellò. Voleva vederlo in viso. Doveva guardarlo negli occhi. Doveva sapere che cosa pensava di lei.

- Non è stata colpa mia! – esclamò con il volto contratto e innondato di lacrime.

Benji accigliò – E di cosa dovevi avere colpa, Clare? – domandò in tono gentile rendendosi conto che qualcosa la turbava profondamente.

- Io… io ti ho disgustato… quanto ti ho raccontato… quello… quello che mi è successo… Penserai che sia stata colpa mia. Ma non è così! -

Gli occhi di Benji erano colmi di sincera apprensione – Dolcezza - cominciò costernato – Non ho mai pensato che fosse colpa tua. Santo cielo, Clare! Eri una bambina, solo un pervertito potrebbe pensare una cosa simile! -  Le mise una mano sulla nuca, affondandola nella seta dei suoi capelli, tenendole il viso contro il proprio petto, sfiorandole i capelli con le labbra – Calmati, non fare così. –

- Capisci ora… - Clare si divincolò leggermente dal suo abbraccio – Capisci perché non posso sposarti? – Cercò di asciugarsi gli occhi con un angolo del lenzuolo ma le lacrime tornarono a rigarle il volto pallido – Quello che mi è successo… non credo che riuscirò mai ad essere tua moglie… non nel senso che tu hai sempre inteso. – mormorò ferita e umiliata.

Benji le sfiorò la fronte con le labbra facendole di nuovo appoggiare il capo sulla spalla – Non pensarci adesso. – disse aspirando il delicato profumo dei suoi capelli – Cerca di stare tranquilla. -

Clare accettò il conforto del suo abbraccio e non obiettò quando lui la fece stendere tra i cuscini, tendendo fra le sue dita la mano sottile di lei.

La sua vicinanza era quanto di più confortante Clare avesse mai provato. La ferma e solida certezza della sua presenza sembrava scacciare ogni timore e bandire ogni demonio che fosse venuto a torturarla. Vicino a Benji niente poteva farle del male.

Lui si mosse leggermente spostando il peso del corpo sul materasso e Clare gli strinse la mano per trattenerlo - Resterai con me questa notte? – gli chiese con voce che tremava leggermente, alzando su di lui uno sguardo che gli sembrò quello di una bambina impaurita – Ti prego non mi lasciare sola. -

Un breve sorriso gli apparve fugacemente sul viso, mentre aggirava il letto e gettava uno sguardo al lettino dove Martine continuava a dormire indisturbata. Si distese al suo fianco sopra le coperte – Non ti lascerò. – le promise facendo scorrere una mano fra i capelli di lei, lisciandoli sul cuscino – Sono qui, se hai bisogno di me -

Clare annuì fiduciosa e chiuse gli occhi. La stretta calda della sua mano era viva e reale, profondamente rassicurante e, quasi senza accorgersene, scivolò piano piano in un sonno senza sogni. 

 

Sottili lame di luce filtravano, attraverso le tende premurosamente accostate, fino al letto le cui lenzuola spiccavano di abbagliante candore nel punto in cui i raggi toccavano il tessuto. Clare aprì lentamente gli occhi un po’ assonnata e fece scorrere la mano sul posto vuoto e freddo vicino al suo.

Benji era già andato via. Sarebbe stato tutto così irreale, come un sogno, se non fosse stato che, sul cuscino accanto al suo, spiccava nettamente l’impronta del capo di lui.

La federa di lino bianco racchiudeva ancora il vago aroma amarognolo della sua colonia e Clare vi affondò il viso.

Era stato così gentile con lei. Così paziente.

Nessuna accusa. Nessuna richiesta di spiegazioni. Solo il saldo e silenzioso conforto di quella stretta di fronte alla cui forza tutto, anche le sue paure, sembravano ridursi a proporzioni minuscole.

Si stiracchiò felice scostando una ciocca di capelli dal viso. Dopo un incubo come quello della notte precedente non era mai riuscita a riprendere sonno e, di solito, trascorreva la notte in preda a fremiti di paura incontrollabili.

Il racconto di quella terribile esperienza sembrava essere stato esorcizzato dalle braccia forti dell’uomo e dalla sua stretta tenace che prometteva di non lasciarla ma Clare era fin troppo consapevole di quello che la sua confessione avrebbe comportato: Benji avrebbe ritirato l’offerta di sposarla.

Dopotutto chi avrebbe potuto dargli torto? Chi si sarebbe accontentato di una… donna a metà?

Si meritava una donna che potesse stargli accanto, essere la sua compagna, dargli dei figli…

Il pensiero di un’altra fra le sue braccia le provocò un improvviso e soffocante nodo allo stomaco che fece scemare tutta la sua gioia. 

Martine non era più nel suo lettino e Clare mise in fretta e furia un paio di jeans e una camicetta azzurra a mezze maniche. Scese dabbasso in preda all’ansia ed entrò in cucina di corsa. Fu stupita nel trovarla seduta sul seggiolone accanto a Benji che, con lo sguardo perso nel vuoto, era intento a rimestare con un cucchiaino il fondo di una tazza vuota di caffè.

Era andato a correre all’alba e portava ancora una felpa grigia di cotone con il cappuccio, macchiata di sudore in più punti.

- Buongiorno. – Clare lo salutò timidamente, respirando di sollievo nel vedere che la bambina era con lui.

Egli parve riscuotersi un tantino, quasi sorpreso di trovarsi di fronte, in carne e ossa, l’oggetto delle sue silenziose considerazioni.

La confessione di Clare aveva stravolto l’ordine programmato che aveva assegnato alle cose. Improvvisamente tutto era cambiato ed era rimasto sconcertato nel realizzare come quella terribile esperienza di violenza avesse potuto dare origine ad una così delicata gentilezza. Eppure Clare sembrava essere una sorta di donatore universale di buoni sentimenti e metteva a nudo le sue debolezze con incredibile facilità.

Lui, che per carattere non dava mai niente di sé, che non aveva mai trascorso un’intera notte nel letto di una donna per evitare qualsiasi tipo di coinvolgimento, non aveva abbandonato un solo istante, nelle lunghe ore buie, la mano sottile di lei.

Aveva osservato il suo volto pallido e addormentato, annebbiando la mente nel tepore di quel corpo disteso così vicino al suo, eppure così lontano. Si era stordito del profumo di rose bianche che emanava quella pelle di porcellana serica al tatto e l’aveva tenuta stretta a sé, non come un amante, ma con un affetto simile a quello che provava per la piccola Martine, quando la sentiva abbandonarsi con fiducia fra le sue braccia.

Le sue difese, la sua impassibilità, il suo proverbiale sangue freddo si erano disciolti come il ghiaccio a contatto con il fuoco che lo scalda.

Benji era pienamente consapevole che se la sera prima avesse avuto fra le mani Gedeon Dawson avrebbe potuto ucciderlo. E non per una forma di gelosia o di possesso ma più semplicemente perché aveva osato calpestare un’anima che egli si sentiva in grado a malapena di sfiorare.

Clare gli si era affidata interamente, generando in lui quello bizzarro istinto di protezione, che aveva per lui uno strano sapore, dolce e del tutto nuovo.

Per quanti sforzi facesse, non riusciva ad allontanarsi da quell’incredibile donna.

Appena aveva visto tingersi di rosa il blu scuro della notte si era alzato silenziosamente dal letto ed era andato a correre, sperando che l’aria del mattino gli schiarisse le idee e mettesse fine a quell’emozione che sentiva nascere dentro, inarrestabile come la marea. Non era mai stato un tipo particolarmente ansioso ma un’inquietudine simile non l’aveva mai sperimentata neppure prima delle partite più importanti.

Piano piano nella sua mente aveva iniziato a farsi strada un pensiero che si era affrettato a negare. Stava forse iniziando ad innamorarsi di lei? Assurdità, si era detto con fermezza.

Si trovava nel pieno della passione, del desiderio, della concupiscenza, certo, ma pensare all’amore? Mai!

Aveva corso per ore, sfiancando il corpo, ma non era riuscito a mettere a tacere la sua coscienza che lo guardava, divertita e scanzonata, alle prese con quei sentimenti così nuovi.

– Buon pomeriggio a te, Clare. Dormito bene? –

Stupita gettò uno sguardo all’orologio appeso al muro e un gemito sgomento le sfuggì dalle labbra - Le due!  Come ho fatto a dormire così tanto! –

Un lieve rossore le imporporò le guance al pensiero della sua spavalda richiesta della notte precedente ma quando incrociò lo sguardo con quello dell’uomo sul suo viso non c’era alcuna traccia di imbarazzo.

Benji ridacchiò – Già, dormivi così bene che ho pensato fosse meglio lasciarti riposare. Neppure quando sono venuto a prendere Martine ti sei svegliata. Così io e la mia principessa abbiamo pensato che potevamo cavarcela benissimo anche da soli. –

Clare lo guardò incredula – Ti sei occupato di lei per tutta la mattina? -

Lui annuì – Sì e non è stato difficile. Avevi ragione tu: è una bambina molto buona. -

- Gli altri dove sono? -

- Sono scesi in spiaggia. Parlavano di andare ad affittare una barca da qualche pescatore e vedere di fare un’uscita in mare. -

Clare lo sbirciò di sottecchi – Se volevi andare con loro potevi svegliarmi – disse mettendo l’acqua nel bollitore per fare il tè. Gli versò il caffè nella tazza vuota, mentre Benji si chinava ad accarezzare teneramente la guancia di Martine. Lo sguardo dell’uomo percorse Clare da capo a piedi, soffermandosi sui suoi capelli dorati che scendevano sciolti sulle spalle in un luminoso torrente. Nella fretta di scendere a cercare Martine non li aveva raccolti.

- Non vedo perché sarei dovuto andare. Ho tutto quello che desidero proprio qui, davanti a me. -

Le guance le si soffusero di un lieve rossore all’inaspettato complimento e un mezzo sorrisetto divertito piegò le belle labbra di lui nel notare quella reazione – Hai dormito bene anche accanto a me? – scherzò impudente - Non credevo che mi avresti mai invitato a trascorrere la notte nel tuo letto. –

Il colorito di Clare si fece più intenso. Mortificata alzò il capo rifiutandosi di apparirgli come una scolaretta

- Ti ringrazio moltissimo di esserti preso cura di me – replicò con garbo, faticando a sostenere lo sguardo travolgente di lui - Tuttavia, ora che sai la verità, penso che vorrai rivedere i termini della tua proposta di ieri sera. Come ti ho spiegato… -

Benji la interruppe, alzandosi bruscamente da tavola – Non vedo perché dobbiamo parlare di questo proprio adesso. Sbrigati a dare da mangiare a Martine, così possiamo scendere in spiaggia e raggiungere gli altri. – disse uscendo sul patio con la tazza di caffè in mano.

Con ostinazione dettata dall’ansia Clare non si dette per vinta e lo seguì – Ma io veramente volevo dirti che non ti devi sentire obbligato da quello che mi hai detto ieri sera. – sbottò, mentre i suoi occhi si rifiutavano di incontrare quelli dell’uomo. Fissò un punto in lontananza, oltre le ampie spalle di lui, cercando le parole giuste – Non mi sono fatta illusioni sulla tua proposta perché sapevo che non avrei mai potuto accettare. Quando mi hai chiesto di sposarti… non sapevi. – bisbigliò cercando di soffocare l’amarezza.

Le dita brune di lui scivolarono sotto il suo mento e la costrinsero a sollevare il volto fino ad incontrare il suo

- Tu sei quanto di meglio potessi trovare come madre per Martine e quello che ti è successo non cambia questo dato di fatto. – affermò con convinzione. Fece scorrere un dito lungo la guancia di lei, inclinando il capo di lato, e un sorrisetto sbieco gli piegò le belle labbra – Inoltre potresti anche prendere in considerazione che l’idea di essere mia moglie non sia, dopotutto, una cosa tanto terribile. –

Di fronte al silenzio addolorato di lei le lasciò il viso tornando a volgere il capo verso l’orizzonte – Adesso vai a prepararti che gli altri sono già andati in spiaggia da un pezzo. -

 

Mezz’ora dopo aver dato da mangiare a Martine, Clare e Benji scesero attraverso il sentiero alla piccola spiaggia privata. Il sottile lembo di sabbia era completamente deserto e, se non fosse stato per alcuni asciugamani stesi e un ombrellone aperto, non vi sarebbe stato traccia del passaggio degli altri occupanti della villa che, evidentemente, erano ancora fuori in barca.

Il sole aveva già iniziato a mitigare la potenza dei suoi raggi ma Clare aveva cosparso Martine di crema protettiva e spiegò un morbido telo di spugna sulla sabbia fine proprio sotto l’ombrellone.

Nel suo piccolo costumino rosa con disegnati sopra degli orsacchiotti ballerini e un berrettino di cotone a proteggerle il visino delicato, Martine era davvero adorabile.

Clare si tolse i sandali e si lasciò cadere sull’asciugamano accanto alla bimba. Il vestito di cotone a campana le si allargò attorno come un tappeto di fiori bianchi e azzurri.

Con un umico movimento fluido Benji fece volare la polo sopra la testa e Clare ammirò con l’occhio dell’artista la perfezione del torace muscoloso che si assottigliava fino alla vita stretta. Il corpo di lui era un armonioso gioco di muscoli, tendini e piccole convessità, completamente rivestito dal raso scuro della pelle.

Quando egli mise la mano alla cinta dei calzoni per sfilarseli distolse lo sguardo imbarazzata. 

La risata un tantino beffarda di lui le fece rialzare il capo e si trovò davanti Benji con indosso solo un paio di calzoncini da bagno neri.

- Non devi preoccuparti – motteggiò ironico – Non faccio spesso il bagno nudo quando ci sono delle signore nelle vicinanze. – osservò in tono canzonatorio.

Un’ondata di calore le salì alle guance e cincischiò nervosamente l’orlo del vestito.

Vedendola così impacciata Benji non ebbe cuore di infierire - Vado a fare una nuotata. – disse rendendosi conto del suo cocente imbarazzo all’idea di spogliarsi di fronte a lui –  Potrai raggiungermi quando sei pronta. –

Senza voltarsi indietro si avviò lungo il bagnasciuga e per alcuni minuti Clare rimase seduta, seguendo con lo sguardo l’alta figura dell’uomo attorno al quale ruotavano tutti i suoi pensieri. Egli avanzò fino a che l’acqua non gli giunse alla vita e poi si tuffò, con una spinta dei potenti muscoli delle gambe, sparendo sott’acqua per poi riemergere alcuni metri più avanti.

Iniziò a nuotare con lunghe e possenti bracciate, allontanandosi dalla riva e lasciandole tutta l’intimità di cui aveva bisogno.

Dunque lui non faceva spesso il bagno nudo quando c’erano delle signore, ricordò, mentre le sue dita correvano ai ganci sulla schiena e sbottonavano il vestito. La frase di lui le frullava nella mente: ciò significava che qualche volta doveva averlo fatto! E visto il tipo non c’era proprio da sorprendersi!

La stupiva, invece, lo strano risentimento che scopriva in sé quando considerava che, per arrivare a tanto, il rapporto di Benji con questa o quella signora doveva avere avuto una natura molto intima.

Si affrettò a scivolare fuori dall’ampio vestito a fiori e sistemò con cura le spalline nere del costume guardandosi attorno con un filo di imbarazzo, quasi per accertarsi di essere sola.

Il costume da bagno intero che Patty l’aveva quasi costretta a comperare aderiva perfettamente al suo corpo snello ed era quanto di più esiguo avesse mai indossato da parecchi anni a questa parte. Pur non essendo particolarmente ridotto o provocante, la lycra sottile modellava perfettamente il seno tondo, mettendo il risalto le lunghe gambe slanciate e la vita sottile.

Avanzò lentamente fino al mare turchino e riempì di acqua il secchiello di Martine. Le sedette accanto sotto l’ombrellone lasciando che la bambina pasticciasse con la sabbia umida, guardandola con tenerezza buttare nell’acqua pesciolini di plastica colorata e smuovere un poco di sabbia con una piccola paletta gialla.

Era così intenta ad osservare Martine che giocava contenta da non accorgersi del ritorno di Benji.

Sussultò quando un’ombra alla sua destra oscurò per un attimo la luce del sole e, suo malgrado, i suoi occhi si posarono ammirati sul corpo scultoreo dell’uomo su cui erano rimaste impigliate minuscole goccioline d’acqua simili a tanti piccoli gioielli. 

Benji si passò una mano nei capelli cercando di riordinarli e si lasciò cadere nella sabbia calda accanto a lei. Chiuse gli occhi, lasciando che il sole lo asciugasse, cercando di rallentare i tonfi sordi del proprio cuore.

Non era preparato all’effetto che il corpo scarsamente velato di Clare avrebbe avuto sui suoi sensi già messi a dura prova e se non voleva spaventarla avrebbe dovuto soffocare l’impellente istinto di prenderla fra le braccia e accarezzare quei capelli di seta. Strinse i denti cercando di riguadagnare un minimo di controllo.

Rimasero a lungo vicini senza che il silenzio venisse interrotto se non dal tenero farfugliare di Martine e dal ritmico e continuo sciabordio delle onde sulla riva.

Clare osservò attentamente il viso di lui disteso nel riposo, imprimendosi nella mente le fattezze asciutte del volto, la curva aristocratica del naso, la linea ferma della mascella.

La ferita alla spalla era guarita completamente e solo una sottile striscia di carne più chiara e leggermente in rilievo rimaneva a testimonianza del recente infortunio. Sembrava che dormisse e per una volta le belle labbra non erano piegate in una smorfia ironica. Gli occhi erano chiusi e le lunghe ciglia nere formavano una mezzaluna sulla guancia abbronzata mentre il respiro lento e regolare faceva alzare ed abbassare il petto possente. Sembrava godersi il sole bruciante sulla pelle e il calore intenso della sabbia e la perenne e uniforme abbronzatura faceva intuire quanto amasse starsene fermo a crogiolarsi al sole come una lucertola.

Si distese cautamente al suo fianco, girandosi in modo da tenere d’occhio Martine che continuava a pasticciare tutta contenta, bagnandole i piedini con l’acqua fresca del secchiello.

Benji avvertì i movimenti di lei e sbirciò da sotto le palpebre abbassate. Per poco non si lasciò sfuggire un gemito.

Clare era stesa vicino a lui, dandogli la schiena, il braccio destro ripiegato sotto la testa a formare un cuscino,  i lunghi capelli biondi raccolti sulla nuca a lasciare scoperta la splendida schiena.

Sarebbe bastato sollevare la mano per poter accarezzare quelle spalle d’avorio e, come se non bastasse, la lycra nera del costume modellava perfettamente il più squisito derrière che gli fosse mai capitato di vedere.

Il desiderio di far scorrere le dita su quella pelle di seta gli bruciava nelle vene come lava incandescente e, se fosse andato avanti così, avrebbe ben presto rasentato la frustrazione.

Si alzò di scatto facendola sobbalzare e con un sorriso un po’ tirato si chinò a prendere in braccio Martine. La bambina rise di gioia per il piacere di trovarsi fra le sue braccia e Benji tese la mano a Clare per aiutarla ad alzarsi in piedi – Direi che potremmo provare a vedere se a Martine piace il mare. -

Clare accettò con un sorriso la sua mano tesa e non fu sorpresa di trovare tanta forza in quelle dita magre.  Benji trasudava di virilità, era innegabile, e lei si sentiva sempre più attratta e indifesa di fronte alle sue lusinghe. Una volta in piedi egli trattenne la mano nella sua e Clare non trovò motivo per sottrarsi a quel contatto così piacevole che le faceva nascere uno strano calore nel cuore.

Mano nella mano si avvicinarono alla riva e Benji sedette dove le onde gli bagnavano i fianchi, formando una comoda poltrona per Martine.

La bambina rise felice, agitando i piccoli pugni e colpendo l’acqua quando l’onda arrivava a bagnarle le gambe e l’orlo del costumino. Contrariamente ad altri bambini non sembrava affatto spaventata dall’acqua e gorgogliava felice quando la schiuma bianca le faceva il solletico sulla pelle nuda.

Clare si muoveva aggraziata nell’acqua bassa, giocando con le onde, mentre i capelli d’oro raccolti sul capo formavano una sorta di corona dorata attorno al suo volto. Avrebbe tanto voluto saper nuotare, come aveva visto fare a Benji poco prima, e immaginava che dovesse essere bellissimo riuscire a galleggiare nell’acqua, sperimentando quell’incredibile sensazione di libertà.

Fu così che Patty, Holly, Mark, Amy, Mary, Jenny, Philip e Julian li videro, quando scavalcarono il costone di roccia all’estremità della spiaggia, di ritorno dalla loro gita in barca.

Holly li salutò con un gesto del braccio e si affrettò a scendere dalle rocce tendendo le mani a Patty che non sembrava essere troppo ferma sulle proprie gambe.

Ben presto i tre furono circondati e sommersi dai racconti entusiasti della gita

- L’unica che sembra non aver apprezzato l’uscita in barca è Patty. – esclamò Jenny indicando l’amica che era andata a sedersi, stranamente taciturna, sotto l’ombrellone.

Benji le rivolse un’occhiata stupita - Che ti succede Gatsby? Non mi dirai che una donna in carriera come te soffre il mal di mare! – la prese in giro.

- Stupido – la replica di Patty fu solo un lamentoso borbottio – non ho mai sofferto il mare in vita mia. Devo solo aver preso troppo sole oggi – concluse, cercando di rassicurare con lo sguardo Holly che osservava preoccupato il suo volto pallido.

Il capitano le scostò i capelli umidi dal collo – Hai lavorato troppo e hai giocato troppo. Devi riposare di più. – mormorò premuroso.

Patty sorrise annuì – Hai ragione. – disse abbassando la voce fino ad un sommesso mormorio che solo lui poteva udire – Ma la notte scorsa ho dormito poco perché un certo capitano mi ha tenuta sveglia facendo l’amore con me. -

Oliver le sorrise di rimando, prendendole la mano e allungandosi vicino a lei – Ti dispiace? – mormorò sfiorandole le labbra con un bacio.

- Oh no! – Patty rispose al suo bacio con trasporto – Solo non lasciarmi mai! -

Vicino alla riva Mark roteò gli occhi di fronte alla scenetta idilliaca mentre Philip ridacchiava divertito

- Non avrei mai creduto di poter vedere Holly Hutton così preso da una donna e da Patty soprattutto! – esclamò il cannoniere.

- Ammettilo Mark – il sorriso di Philip divenne più largo – In realtà invidi un po’ il nostro capitano. -

L’attaccante sbuffò – Io ho chiuso con le donne. – Il gesto brusco della mano spazzò l’aria davanti a sé - Niente mogli, fidanzate o storie serie. L’unica che ho avuto mi ha bruciato talmente tanto che non ho minimamente intenzione di ripetere l’esperienza. - 

- Parli di Maki? – Philip lo guardò interessato. Mark non aveva mai accennato al motivo della sua brusca rottura con la bella giocatrice di softball.

L’ex  capitano della Toho annuì – Già, amico. Proprio lei. –

- Ma è cosa vecchia! Sono passati anni da quando vi siete lasciati. Addirittura da prima che tu partissi per andare in Italia a giocare nella Juventus. – Philip scosse la testa – Eravate ancora dei ragazzi. -

Mark lo squadrò con aria di sufficienza – Anche tu e Jenny eravate poco più che ragazzini quando lei è partita per gli Stati Uniti, tuttavia questo non vi ha impedito di continuare a volervi bene. – lo rimbeccò.

- Hai ragione. – riconobbe l’altro – Eppure tu e Maki sembravate stare così bene insieme. -

Mark gettò uno sguardo oltre la spalla di Philip – Forse non eravamo le persone giuste al momento giusto. – replicò un tantino rigido.

- Sei ancora innamorato di lei? -

- No. – la risposta di Mark fu repentina e senza esitazioni – Ho smesso di amarla molto tempo fa. -

Philip fece per ribattere qualcosa ma poi si fermò e sorrise – Allora spero che prima o poi tu possa incontrare qualcuna che ti faccia cambiare idea. -

La Tigre sbuffò contrariata – Non voglio diventare un rimbambito con il mal d’amore come te, Ross e quello sdolcinato di Hutton. -

Philip rise e cercò con lo sguardo Jenny che era intenta a vezzeggiare Martine, che si trovava in quel momento in braccio ad Amy.

La moglie di Julian era riuscita a prendere Martine dalle braccia di Benji e adesso se la portava spasso lungo il bagnasciuga, mentre la sua fidanzata le teneva compagnia chiacchierando allegramente.

La sera prima era rimasto stupito nel sentire Julian affermare apertamente di desiderare un figlio e di come, anzi, lui ed Amy stessero cercando di metterlo in cantiere al più presto. Per la prima volta aveva avuto sentore dello scorrere del tempo e di quanto tutti loro fossero diversi da quei ragazzini che erano cresciuti giocando a calcio, sostenuti prima dall’amicizia e poi dall’amore delle loro ex managers.

Presto tutti quanti, lui compreso, avrebbero costruito una famiglia e anche Mark e Benji, che pure sembravano così refrattari al matrimonio, avrebbero trovato una compagna.

Anzi… proprio il SGGK, così taciturno ed introverso, aveva iniziato dove gli altri di solito andavano a parare, ritrovandosi a fare da tutore ad una bambina così piccola.

Onestamente Philip riconobbe di non sapere se, nelle medesime condizioni, sarebbe riuscito a fare altrettanto. Naturalmente anche lui desiderava dei figli da Jenny, ed era emozionato all’idea di un esserino tutto loro che le crescesse in grembo, ma erano rimasti separati così a lungo che forse avrebbe preferito aspettare un altro po’.

- Sembra che Benji sia più rilassato da quando siamo arrivati qui. – mormorò come sopra pensiero osservando il SGGK che si era tuffato di nuovo e si stava allontanando da riva con poche potenti bracciate – Direi che con Martine si è addolcito parecchio. - 

Sul volto di Mark apparve un sorrisetto ironico – Già, ma chissà perché, scommetterei tutto il mio ingaggio alla Juventus che questa sorta di miracolo della natura si chiami Clare Miller -

Si scambiarono un’occhiata saputa e poi scoppiarono a ridere forte entrambi.

 

Benji mise piede a riva e si scrollò l’acqua dai capelli come un cane, passandovi poi le dita per riordinarli e si avvicinò a Clare che era rimasta seduta sul bagnasciuga.

- Perché non vai a fare un bagno? – chiese indicando con un gesto del capo Amy e Jenny intente a coccolare Martine – Si occupano loro della bambina per un po’. -

Clare fece un debole sorriso – Veramente io non so nuotare. – confessò con una punta di imbarazzo.

Per la seconda volta in quel pomeriggio lui le tese la mano – Non è mai troppo tardi per imparare. – dichiarò lui – Sta per cominciare la tua prima lezione di nuoto. -

- Tu mi insegnerai a nuotare? – Clare lo guardave esterefatta, mentre dentro di se il desiderio di migliorarsi vinceva ogni timore – Davvero? – chiese eccitata mentre accettava il suo aiuto a rimettersi in piedi

Benji si lasciò sfuggire un risolino e annuì osservando il viso di lei acceso di entusiasmo – Vedremo quello che si può fare. –

Senza paura Clare si lasciò guidare fino ad un punto in cui l’acqua le arrivava appena sotto il seno ma quando Benji allargò le braccia spiegandole di posargli le mani sulle spalle fu assalita da un certo nervosismo. Non sapeva se le farfalle che improvvisamente le sia agitavano nello stomaco fossero a causa della sua prima lezione di nuoto o perché aveva per maestro un uomo dall’incredibile fascino.

- Benji, io… ho cambiato idea – dichiarò muovendo un passo per tornare a riva.

Due mani l’afferrarono gentilmente per le spalle impedendole di procedere – Non hai motivo di temere, Clare. Fidati di me – esclamò Benji con un bagliore divertito negli occhi scuri – Ti prometto che non ti annegherò. Non ti piacerebbe saper nuotare? -

Gli occhidi Clare si illuminarono – Si, certo che mi piacerebbe! – Il pensiero, un giorno, di poter godere di qeulla meravigliosa sensazione di libertà la sciolse da ogni dubbio.

Con dolcezza Benji la costrinse a voltarsi – E allora fai la brava. Ti giuro che i miei allievi sono sempre tornati a riva sani e salvi. -

La lezione inizò e Clare obbedì fiduciosa quando egli si immerse fino al collo facendola avanzare nell’acqua. Le braccia di lui si tesero sotto le sue, scivolando sulla superficie dell’acqua fino a formare un solido ancoraggio, e lei appoggiò il capo nella nicchia del suo collo. Seguendo le sue istruzioni diede una piccola spinta con i piedi e con sua grande meraviglia il suo corpo venne facilmente a galla sostenuto dall’acqua.

Rise sentendosi incredibilmente leggera – E’ meraviglioso! –

- In questo modo sai che in qualunque momento ti dovessi trovare in difficoltà ti basterà galleggiare. -

Lentamente Benji tolse prima un punto di appoggio e poi l’altro insegnandole a muovere prima i piedi e poi le braccia. Le dava istruzioni precise, spiegandole come dovesse muoversi, correggendola e incitandola a migliorare. Continuando a sostenerle la schiena con una mano, scivolò via da sotto il suo capo e Clare si trovò adagiata completamente nell'acqua.

Continuarono così per un po’ e Clare neppure si accorse che Amy aveva fatto cenno a Benji che sarebbero rientrati alla villa portando Martine con loro.

Era così felice di imparare a nuotare che non badava affatto che le mani di Benji la toccassero dappertutto, correggendo ora il movimento di una gamba, ora la posizione del braccio e della spalla. Perfettamente tranquilla accettò l’intimo tocco della sua mano sul fondoschiena mentre lui le mostrava come il suo corpo dovesse restare inarcato nell’acqua senza afflosciarsi.   

Le sembrava di aver iniziato da pochi minuti quando Benji scrutò il sole, ormai basso all’orizzonte, e le fece segno di uscire dall’acqua – Basta così per oggi. Come prima lezione è più che sufficiente. -

Contrariata Clare fece un movimento inconsulto e finì con la testa sott’acqua. Benji fu subito pronto a sollevarla e le sue braccia la circondarono immediatamente rimettendola in piedi. Lei riemerse tossendo, accecata e spaventata, aggrappandosi alle solide spalle di lui.

Conscio che in realtà non aveva mai corso un reale pericolo, ridacchiò divertito, mentre le passava un braccio sotto le ginocchia e la sollevava senza sforzo contro il suo petto, uscendo dall’acqua – Non vorrai per caso affogare alla tua prima lezione di nuoto? –

Clare non riuscì a rispondergli, lottando contro gli irrefrenabili colpi di tosse per tornare a respirare normalmente. Lui la rimise in piedi e le avvolse un asciugamano attorno alle spalle, fregandole per aiutarla ad asciugarsi.

- Sei stata molto brava. – si complimentò - Te l’avevo detto che non ti avrei lasciata annegare – aggiunse prendendo un asciugamano e passandoselo sul volto – Dovresti avere più fiducia in me. -

Clare si raggomitolò nella spugna morbida e trovò del tutto naturale appoggiarsi leggermente a lui, lasciando che continuasse a circondarla di premure.

Sollevò uno sguardo riconoscente – Grazie per la lezione di oggi. – sussurrò dolcemente. Poi istintivamente, in un gesto affettuoso, posò le labbra sulla guancia di lui, leggermente ruvida per via della barba.

Il soffice contatto della sue labbra contro la propria guancia, la leggera pressione di quel corpo snello e scarsamente vestito ebbero un effetto devastante. La mente di Benji rotolò come un masso che viene giù da una collina e le sue braccia avvolsero il corpo sottile di lei avvicinandolo al proprio. Le sue labbra scesero affamate su quelle di Clare, sfiorando seducenti l’angolo della bocca, la morbida pienezza del labbro inferiore e sollecitando una risposta.

Tenendo stretti fra i pugni i lembi dell’asciugamano, Clare si abbandonò a quel bacio travolgente e rabbrividì di piacere quando sentì le labbra di Benji sfiorarle la fronte, le palpebre, il naso in una miriade di piccole carezze.

Le mani di lui scivolarono sotto l’asciugamano stringendosi attorno al vitino da vespa, scorrendole sulla schiena in una lunga e sensuale carezza che le fece serpeggiare brividi in tutto il corpo.

Con un mormorio intelligibile Clare fece per scostarsi ma lui la trattenne – Resta vicina – mormorò rauco, mentre il suo alito caldo le sfiorava l’orecchio e i denti scendevano a mordicchiarle il tenero lobo – Altrimenti metto in imbarazzo entrambi. Non posso rientrare davanti agli altri in queste condizioni. –

Di fronte allo sguardo confuso di lei gli sfuggì una risatina quasi dolorosa mentre spiegava - Se non vuoi che la tua sensibilità resti offesa - sussurrò facendole scorrere una mano sulla guancia arrossata – ti consiglio di rimanere ferma dove sei. Se ti allontani lo fai a tuo rischio e pericolo. -

La comprensione si fece strada nella mente di Clare che con un gemito di vergogna affondò il viso nell’incavo della spalla di lui. Sentì le labbra dell’uomo sfiorarle il capo, mentre Benji cercava di dominare il suo corpo, soddisfatto che lei avesse accettato di rimanere fra le sue braccia senza timore.

Rimasero abbracciati per un po’, godendo della reciproca vicinanza, restii a spezzare l’incanto del momento, mentre il sole assumeva sfumature di fuoco, bagnandoli della rosata luce del tramonto.

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Buonasera a tutti i lettori della mia ff.

Sono felice di licenziare il dodicesimo capitolo e ringrazio moltissimo per le mail affettuose e le recensioni che ho trovato al mio arrivo. Come sempre sono un incentivo per migliorare e prometto che risponderò a più presto!

Spero che nonostante il ritardo siate felici per me. Ho finalmente potuto prendermi una piccola vacanza per seguire e dedicare un po’ di tempo al mio amore. Adesso sono di nuovo pronta per continuare.

Buona lettura e ad maiora!

 

 

CAPITOLO XII

 

Ash non riusciva a rammarricarsi di averla incontrata, di averla conosciuta e amata.

La sofferenza per averla perduta e la prospettiva dei lunghie vuoti anni a venire diminuivano

e rendevano, almeno in parte, meno meraviglios quanto era accaduto.

Se non avesse avuto altro nel futuro, per cui valesse la pena di vivere, il ricordo di aver amato

 e di essere stato riamato da Juli, gli avrebbe reso accettabile l’esistenza.

Gli occhi di Juli sembravano enormi sopra l’orlo del sari e non frugarono tra il mare di facce sotto

di lei ma si diressero senza esitazioni verso Ash, quasi il suo sguardo fosse guidato da un impulso

tanto forte da dirle esattamente dove lui si trovava.

Per un lunghissimo istante Ash e Juli rimasero a fissarsi con lo sgaurdo pieno d’amore e di desiderio,

senza dolore, mentre cercavano di dirsi con gli occhi ciò che già sapevano:

- Ti amo… ti amerò sempre…Non dimenticarmi! -

E nello sguardo di Juli c’erano anche quelle parole che gli aveva rivolto tanti anni prima in una notte di plenillunio

- Dio sia con te. –“ 

(M.M.Kaye)

 

 

 

I giorni di vacanza a Kanagawa, si susseguirono con un ritmo lento e ben definito, ritagliando un prezioso spazio al di fuori del tempo per tutti gli occupanti della villa. Non c’era stato nessun battibecco a turbare la quiete che si respirava fra i muri bianchi e intonacati di fresco e persino i due caratteri facilmente infiammabili di Mark e Benji sembravano aver firmato un armistizio di fronte alla pace della natura e al suo supremo splendore. Il movimento del sole che attraversava la volta del cielo fino a tuffarsi nel mare ogni sera definiva gloriosamente la fine di ogni giornata e l’approssimarsi di quella successiva.

Martine aveva smesso di essere noiosa dopo aver dato alla luce un bel dentino, bianco come un chicco di riso, e sembrava aver trovato nell’acqua il suo elemento naturale. Adorava i bagni di mare e si era legata in modo incredibilmente veloce a Benji che condivideva con lei quel piacere.

Sotto lo sguardo meravigliato dei suoi amici, il SGGK sembrava essersi trasformato in un tutore modello e trascorreva gran parte del suo tempo libero in compagnia della bimba. Quando non andava a correre o non si allenava con Holly e gli altri nella palestra dietro la villa, scendeva in spiaggia portando Martine con sé, trascorrendo con la piccina lunghi e solitari pomeriggi.

Dopo le loro prime silenziose sparizioni, che avevano fatto venire quasi un infarto a Clare, il SGGK aveva imparato ad avvisarla quando usciva in compagnia della bambina e ormai era diventata un’abitudine vedere come dove fosse l’una, l’altro non potesse essere troppo distante.

Quasi senza rendersene conto Clare si era ritrovata ad avere molto più tempo libero e, affascinata dagli stupendi colori della baia, aveva ripreso a dipingere. Con l’aiuto di Mary, la sorella di Mark, aveva fissato il cavalletto sul patio e trascorreva le ore calde del pomeriggio a riprodurre sulla tela le forme geometriche e la luce abbagliante del mare che si increspava sugli scogli. La ragazzina aveva manifestato timidamente il proprio interesse per il disegno e dopo qualche insistenza aveva acconsentito a mostrare a Clare qualche esempio del suo lavoro. Il suo interesse per le forme e le dimensioni aveva indotto Mary a modificare oggetti comuni stravolgendoli in soluzioni fantasiose e innovative. I disegni accurati, la creatività dello stile e dei colori avevano riscosso immediatamente l’entusiasmo di Clare, che l’aveva caldamente esortata a continuare.  

Un pomeriggio, subito dopo pranzo, aveva consegnato il ritratto finito a Patty e l’amica era rimasta incredibilmente entusiasta del suo lavoro

- Ma sono davvero così? – aveva chiesto sincera, la voce priva di qualsiasi civetteria

Clare aveva annuito con convinzione – Si, certo. E’ così che tutti noi ti vediamo. Sei bellissima. -

Patty aveva osservato con meraviglia la delicata descrizione del suo animo che sembrava sollevarsi vivo dalla tela e Holly le aveva cinto la vita con un braccio – E’ un regalo meraviglioso, cara. Lo appenderò nel soggiorno del mio appartamento di San Paolo e sarà un po’ come averti sempre accanto. –

Mark aveva scrutato attentamente il dipinto e sul suo volto era apparso un largo sorriso

- Sei davvero brava, Clare – si era complimentato – Questo non è solo il ritratto di Patty. Tu hai dipinto il suo carattere travolgente: avrei quasi paura ad appendermelo in casa – aveva scherzato rivolgendosi ad Holly – Attento Hutton, sembra quasi che possa sgridarti anche dalla tela! -

Erano scoppiati a ridere e tutti avevano concordato sull’eccellente qualità del suo lavoro. Da quel momento Clare aveva ricevuto un numero incredibile di richieste. Era estremamente piacevole pensare che quelle persone, che erano state così gentili con lei, potessero conservare un ricordo della vacanza a Kanagawa.

Distribuiva generosamente la maggior parte del suo lavoro tenendo per se solo alcuni schizzi, quelli che componeva nell’intimità della sua stanza, oppure sul patio, quando nessuno osservava quale fosse il soggetto dei suoi disegni.

Era quasi sicura di possedere la più grande collezione di ritratti di Benjiamin Price dal vero che esistesse sulla faccia della terra e ogni giorno ne aggiungeva sempre di nuovi.

Benji aveva ammirato in silenzio il ritratto di Patty, meravigliato dall’eccezionale abilità di Clare. Ricordava che Mrs. Sommerson gli aveva detto qualcosa a proposito del talento della ragazza ma non avrebbe mai pensato che lei possedesse capacità tali da far impallidire artisti di fama.

Non aveva mai visto tra gli altri neppure un suo ritratto ma a volte la coglieva a scrutarlo con aria intenta, per poi osservare il suo sguardo ritornare velocemente al foglio che aveva davanti.

Le mani affusolate scorrevano veloci e abili mentre quegli occhi d’ambra guizzavano concentrati ma, non appena si avvicinava per vedere a cosa stesse lavorando, lei, con una destrezza che avrebbe fatto invidia ad un prestigiatore, modificava l’ordine dei disegni che aveva davanti, cosicché quando lui riusciva a sbirciare oltre le sue spalle, altri occhi e un altro viso lo guardavano sorridenti dal foglio. 

Clare dal canto suo viveva quei giorni come una sorta di dono del destino. Uno dopo l’altro.

La situazione con Benji era tutt’altro che chiara e il carattere introverso dell’uomo non contribuiva certo a sbrogliare la matassa confusa delle emozioni che entrambi provavano.

Tuttavia, qualcosa nell’atteggiamento di lui era cambiato: una trasformazione sottile che Clare non aveva mancato di avvertire. C’era fra loro una tensione palpabile, un desiderio cocente e troppe parole mai pronunciate.

A volte lo sorprendeva a fissarla intensamente, quasi stesse cercando la soluzione ad un quesito inespresso, e più di una volta era stata colta alla sprovvista, non sentendolo avvicinandosi.

La desiderava. Lo aveva visto nei suoi occhi, sentito nelle sue mani quando l’avevano accarezzata.

Era stato esplicito in proposito: Martine non era il solo motivo per cui le aveva chiesto di sposarlo. Pazzescamente Clare si era lasciata cullare dallo splendido sogno in cui immaginava che lui fosse veramente innamorato.

Poi aveva rispolverato la ragione e messo da parte il cuore.

Il desiderio non era amore, né lo sarebbe mai diventato. E lei aveva già conosciuto la parte più bestiale  della brama che consumava.

Doveva avere cura di sé. Cosa ne sarebbe stato di lei quando Benji si fosse stancato di aspettare e avrebbe cercato un’altra donna da amare… una donna che gli potesse dare tutto quello che lei non riusciva ad offrirgli?

L’avrebbe perduto per sempre… e per lei sarebbe stato come morire.

Aveva capito… il perché di tanta trepidazione, quel languore alla bocca dello stomaco, le capriole del suo cuore impazzito ogni volta che i suoi occhi incrociavano le oscure profondità di quelli di lui, il tremore alle mani che non era più dovuto alla paura.

Lui… Benji. Era il primo uomo che l’avesse baciata, il primo ad averle fatto conoscere il fuoco che le bruciava dentro, il primo ad aver accettato la tragedia della sua vita…

E lei lo amava.

Con tutta la profondità e il fervore del suo animo.

Come la mitica Galatea era stata trasformata in donna dalle mani di un uomo che aveva plasmato il gelido marmo con tutta l’intensità e la passione di cui era capace. E adesso scopriva di non poter fare a meno di lui.

Quell’amore le si era insinuato silenzioso sotto la pelle e lei cercava con determinazione di soffocarlo, giorno dopo giorno, con ostinazione. Per lui averla sarebbe stato solo il momentaneo appagamento di un capriccio, per Clare equivaleva ad affidargli tutta la sua vita.

Si sedette davanti al cavalletto sotto il patio e prese a stendere accuratamente i colori del paesaggio sulla tela che aveva davanti. Martine giocava con cubi di plastica morbida, seduta su un materassino di gomma ai suoi piedi e Mary alternava i suoi schizzi a momenti in cui si distraeva per giocare con la bimba o ridere delle sue faccine buffe. 

Alla villa erano rimaste solo loro tre e Patty che si ostinava ad affaccendarsi in cucina in previsione della cena di quella sera. Dal giorno della gita in barca sembrava aver perso la sua abituale vivacità, preferendo rimanere tranquillamente in compagnia di Clare e Martine piuttosto che unirsi agli altri che si dedicavano alle escursioni o alle gite nei villaggi vicini. Quel pomeriggio in particolare erano tutti partiti per fare immersioni lungo la costa a sud e Patty aveva promesso di preparare tutto l’occorrente per imbandire una cena luculliana con il pescato che avrebbero riportato.

Clare la vide uscire sotto il patio per un attimo e cercare di respirare profondamente l’aria di mare, il volto sbiancato e contratto in una smorfia.

Con una scusa soffocata si precipitò di nuovo dentro casa e Clare si affrettò a seguirla preoccupata, pregando Mary di badare a Martine per un po’. Salì al piano di sopra e potè udire distintamente dei rumori attraverso la porta socchiusa del bagno.

Patty era china sulla tazza del water, il corpo minuto scosso da violenti conati di vomito. I crampi allo stomaco erano così violenti che le sembrava spezzarsi in due dal dolore degli spasmi. Sentì un mano sottile premerle contro la fronte e i lunghi e pesanti capelli castani le furono scostati dal viso. Sollevò lo sguardo per un istante e non fu sorpresa nell’incontrare gli occhi d’ambra di Clare pieni di comprensione. Non riuscì ad emettere alcun suono perché di nuovo il suo stomaco si ribellò.

Clare le passò un braccio attorno alla vita, sostenendola e aiutandola a chinarsi sulla tazza, lasciando che la natura seguisse il suo corso, rincuorando l’amica con parole gentili. Patty fremette e ansimando si accasciò a terra esausta. Le sembrava di essere svuotata di tutta la sua energia. Chiuse gli occhi.

Una pezzuola bagnata le bagnò la fronte e iniziò a scorrerle sul viso e sul collo in una carezza rinfrescante. Gli occhi color cioccolato si aprirono riconoscenti.

- Va meglio adesso? -  

Al suo cenno d’assenso Clare l’aiutò a rialzarsi e, sospingendola verso il lavabo le porse un asciugamano pulito.

- Non credo di essere mai stata tanto male – ammise Patty, con un sospiro tremulo, scostando con la mano una lunga ciocca di capelli umidi dalla fronte. Fece scorrere l’acqua e prese il tubetto di dentifricio e lo spazzolino.

Gli occhi delle due giovani donne si incrociarono nello specchio

- Quando pensi di dirlo ad Holly? -

La domanda di Clare arrivò inaspettata come una doccia gelata. Patty smise di lavarsi i denti e si scacquò la bocca

- Non lo so. – rispose asciugandosi il volto e non riuscendo a sostenere lo sguardo dell’amica – Per la verità non riesco quasi ad ammetterlo neppure con me stessa – borbottò – e comunque non ho ancora deciso se dirglielo oppure no. -

- Stai scherzando spero! -

Di fronte alla sua espressione allibita Patty aggrottò la fronte e scosse la mano davanti a sé quasi come ad allontanare un insetto molesto – Si… insomma. Magari ad Holly non interessa. -

- Ma cosa stai dicendo? Sei forse impazzita? – Clare la prese per le spalle costringendola ad incontrare il suo sguardo – Holly ti adora, sarebbe pazzo di gioia se sapesse del bambino. Come fai a dire che non gli interesserebbe sapere che sta per diventare padre? -

Gli occhi di Patty si riempirono di lacrime – Oh, Clare è tutto così difficile. – sussurrò confusa, in preda all’ansia, torcendosi le mani – Questo… questo bambino non era programmato. Holly vive in un altro continente e l’anno prossimo ci sono i Mondiali… -

Clare la guardò severamente – Sono tutte scuse. In realtà tu stai facendo solo dei capricci. -

Patty sgranò gli occhi, stupita per quel tono così rigoroso. L’amica era il ritratto della gentilezza personificata ma in quel momento la stava rimproverando con una pacata determinazione alla quale non riusciva ad opporre alcuna valida scusante.

- La verità è che tu hai paura di non essere più padrona della tua vita e delle tue scelte. – la voce di Clare aveva un tono inflessibile e non ammetteva repliche – Tu stessa mi hai raccontato di esserti innamorata di Holly quando eravate soltanto dei ragazzini e di quanto hai sofferto quando lui se ne andò in Brasile per seguire il suo sogno. – Prese le mani di Patty fra le sue e la strinse con decisione - Adesso sei una donna forte e indipendente e quello di cui hai paura è ritrovarti nella stessa condizione di allora. Di ritornare a dipendere completamente da lui, dalle sue scelte. Ecco perché questo bambino ti spaventa tanto. -

- Ma io… veramente – piagnucolò 

Clare la interruppe con un gesto deciso - Non mentire a te stessa. Stai facendo lo stesso errore che ha commesso lui quando partì per il Brasile al termine dei Mondiali Juniores e, quello che è peggio, stai agendo da codarda. Tu non vuoi dire ad Holly del bambino perché hai paura del potere che lui potrebbe avere su di te. Hai paura che ti chieda di seguirlo in Brasile. –

- E anche se fosse? – Patty la guardò ombrosa – Qui ho la mia famiglia, gli amici, la mia professione. E’ stato grazie a loro che sono riuscita a trovare una mia dimensione che non fosse all’ombra del grande Oliver Hutton. Come posso rinunciare a tutto questo? -

Clare addolcì il tono di voce – Non più tardi di alcune settimane fa mi hai detto di imparare a guardare nel mio cuore e di afferrare la felicità quando ci passa davanti. – le ricordò - Non lasciare che i tuoi timori rovinino il rapporto che hai con Holly. Credi davvero che la tua indipendenza abbia così tanto valore se lui non ti è accanto? Holly ti ama, farebbe di tutto per te, e tu dovresti essere orgogliosa e fiera di portare il suo bambino. - 

- Lo sono, infatti – affermò Patty cercando ansiosamente lo sguardo di Clare – Io desidero questo bambino più d’ogni altra cosa, solo che… la nostra attuale situazione… -

Clare porse un fazzoletto all’amica perché si asciugasse gli occhi – Si sistemerà tutto, vedrai. Dovete solo parlarne. Vedrai che per amor suo troverete senz’altro una soluzione – disse sorridendo dolcemente - Adesso basta essere tristi. Lascia perdere la cena di stasera e corri a farti bella. Hai una splendida notizia da dare al tuo capitano e un’occasione del genere merita di essere festeggiata senz’altro una cenetta romantica, voi due soli. - 

Patty fece un debole sorriso – Vorrei solo non stare così male. -

- Fa parte della condizione femminile. – la consolò dandole una leggera stretta - Ti vado a preparare una tazza di the con qualche crackers e vedrai che presto andrà meglio. Pensa solo che fra qualche mese potrai stringere un fagottino come Martine fra le braccia. -

Patty si lasciò andare, finalmente sollevata, ad una risatina che le fece brillare gli occhi – Lo spero proprio – le confidò emozionata - Ma ricordati che, ovunque tu sia, dovrai venire da me per tenermi la mano. -

 

Il sole era ormai tramontato da un pezzo quando Clare mise il bollitore sul fuoco e si voltò verso il mobile per prendere la confezione della farina lattea e un cucchiaio.

Patty era uscita a cena con Holly, fasciata in uno strepitoso abito di seta rosa che aveva fatto strabuzzare gli occhi al campione, quando l’aveva vista scendere le scale vestita di tutto punto. Il colore acceso dell’abito metteva mirabilmente in luce la leggera abbronzatura delle spalle nude e la profonda scollatura, resa ancor più provocante dalle forme un tantino più piene della ragazza, aveva immediatamente catturato l’attenzione del capitano della nazionale giapponese.

In memoria dei tempi in cui era soltanto un ragazzino imbranato alle prese con il primo amore si era guardato intorno smarrito

- Non può essere tutto qui – aveva borbottato – Deve esserci per forza una giacca o uno scialle da mettere sopra. -

Patty aveva riso deliziata – Sono sicura di aver messo tutto. – aveva ribattuto maliziosa, carezzandogli gentilmente la guancia ben rasata

Oliver aveva tirato un sospiro esagerato

- Questo significa che dovrò prepararmi a fare a botte con qualcuno per te questa sera. Sei semplicemente splendida. – aveva ribattuto con un luccichio di desiderio degli occhi, baciandole la nuca profumata – Quasi quasi manderei a monte la nostra cena per una serata ben più romantica. Sono curioso di scoprire quanto tempo ci metterò a sciogliere l’incredibile intreccio di quelle spalline. –

- Buffone! – Patty gli aveva dato un colpetto sulla spalla – Andiamo, siamo già in ritardo. -

Dopo aver salutato si erano eclissati velocemente e Patty le aveva strizzato l’occhiolino prima di sparire oltre il patio, seguita da Holly.

Clare si fermò di colpo, sollevò la testa e ascoltò attentamente. Martine gorgogliava fra le sue braccia e alle sue spalle poté udire solo un lieve fruscio, il familiare suono delle onde e della risacca, al punto che doveva concentrarsi per accorgersene.

Eppure non poteva negare la strana sensazione che la stava invadendo. Rimase all’erta con il cuore che batteva all’impazzata e le dita che stringevano il cucchiaio di metallo fino a farsi male. Un attimo prima che la porta della cucina si aprisse sapeva già chi c’era dietro il pannello di legno chiaro: l’unico uomo in quella casa in grado si camminare o scendere le scale senza fare alcun rumore.

L’alta ed imponente figura di Benji si stagliò nel vano della porta e i suoi occhi la percorsero velocemente con un’espressione indecifrabile, soffermandosi sul suo volto incerto.

- Si può sapere perché non fai rumore come tutti gli altri quando ti avvicini? – sospirò nervosamente

Benji ridacchio divertito – Dovrei forse inciampare nei miei passi? -

Scosse il capo con disapprovazione - Desideri qualcosa? – chiese cercando di dare un tono calmo alla sua voce. La sola presenza dell’uomo nella stanza contribuiva a farle battere freneticamente in cuore.

Te. Lui non rispose ma consapevolezza di desiderarla con tutto se stesso gli bruciava negli occhi ed era marchiata a fuoco nella sua mente, mentre le si avvicinava fino a sovrastarla. La testolina bionda di Clare gli sfiorava appena il mento e lui poteva sentire quell’incredibile profumo di rose bianche emanare dai suoi capelli biondi, sciolti sulle spalle ad incorniciarne il volto perfetto.

Le prese Martine dalle braccia – La tengo io mentre prepari il biberon. –

Clare annuì mentre il SGGK appoggiava al tavolo da cucina i fianchi stretti sfiorando con un dito il pancino della bimba facendole il solletico. La bassa e calda risata dell’uomo si unì ai gridolini gioiosi di Martine, toccando le corde del cuore di Clare. Li guardò di sottecchi mentre mescolava la farina, il bel viso bruno di lui chinato sul volto paffuto di Martine. Un sorriso gli addolciva i lineamenti severi e Clare si trovò a trattenere il fiato di fronte alla bruna avvenenza del suo volto. Era un uomo magnifico e nonostante tutti i suoi timori desiderava ancora che lui la prendesse fra le braccia e la baciasse come già era accaduto.

Si avvicinò, titubante, con il biberon in mano, e Benji alzò il capo incontrando lo sguardo timido di lei – Posso darglielo io? – le chiese mentre Martine batteva le manine producendo dei lievi schiocchi.

- Sicuro. -

Clare gli tese la bottiglietta e le loro mani si sfiorarono per un lungo istante. Benji trattenne tra le sue le dita sottili di lei, mentre insieme inclinavano il biberon, avvicinandolo alla bocca della bambina. Martine prese a succhiare con vigoroso appetito e Clare si lasciò sfuggire un risolino. Incontrò lo sguardo caldo e ridente dell’uomo e i suoi occhi affondarono nelle scure profondità. Poi Benji riportò lo sguardo sulla bambina che poppava soddisfatta. Stettero insieme in silenzio godendosi quella particolare intimità fino a che Martine non ebbe terminato il suo pasto serale.

Dopo che ebbe messo a posto la cucina, Clare si scusò e salì al piano di sopra per addormentare la bimba.

Aveva già messo mano ai bottoni della camicia per spogliarsi e andare a letto quando un discreto bussare alla porta le fece interrompere l’operazione.    

Benjiamin Price era appoggiato contro lo stipite della porta in tutta la sua torreggiante altezza, le braccia robuste incrociate sul petto muscoloso

- E’ ancora presto per andare a dormire e mi chiedevo se non volevi scendere a bere una tazza di tè sotto il patio -

Clare gettò una sguardo alla bimba addormentata ma Benji aveva già in mano il microfono che lei utilizzava di solito – Alzeremo il volume al massimo così, se sentiremo Martine piangere, potrai salire. – disse sospingendola fuori dalla stanza.

In men che non si dica si ritrovò seduta su una delle poltroncine sotto il portico, con in mano una tazza fumante di liquido scuro e aromatico, ad ammirare lo stupefacente chiarore della luna che si specchiava nel mare in un lungo e luccicante nastro argenteo.

Posò tazza e piattino su di un basso tavolo in vimini e si avvicinò alla balaustra, scrutando la scura distesa del mare sotto di sé che si frangeva schiumoso contro gli scogli. Era acutamente consapevole dell’alta figura maschile che la osservava alle sue spalle e si era avvicinata, posando sul corrimano un largo bicchiere panciuto contenente una dose generosa di brandy.

Le forti braccia di Benji la circondarono, appoggiandosi alla ringhiera, e Clare poté udire il respiro rauco di lui fluire fra i suoi capelli mentre il cuore prendeva a tracciarle una scia di battiti impazziti in mezzo al petto.

- Verrai con me in Germania, vero Clare? -

La sua voce era poco più di un basso mormorio e le sue labbra sfiorarono delicatamente l’angolo sinistro della sua bocca, in una struggente carezza che le fece trattenere il respiro. Delicate ed implacabili le sue mani la fecero voltare contro di sé, fino a che Clare non si trovò intrappolata tra la balaustra ed il corpo robusto dell’uomo che, pur non premendole addosso, non le lasciava alcuna via di fuga.

Percepiva il sentore amarognolo della sua colonia e poteva vedere il forte battito del suo cuore sul collo abbronzato sopra il colletto slacciato della camicia. Era troppo vicino!

Prudentemente piazzò una mano su quella salda e bianca distesa ma i suoi sensi non erano minimamente preparati a quel contatto esplosivo. La pelle bronzea emanava un calore incredibile attraverso il sottile cotone della camicia e il cuore di lui pulsava in tonfi rapidi e pesanti sotto il palmo della sua mano, leggermente appoggiata alla solidità del torace.

Benji rilasciò lentamente il respiro al contatto della piccola mano posata sul suo petto e chinò il capo lentamente, intrecciando lo sguardo con quello ambrato di lei e ammirando le perfezione di quel volto dalla struttura delicata.

I suoi baci caddero rapidi, come brevi assaggi erotici, sulle labbra dischiuse di Clare e avevano il caldo e inebriante sapore del brandy che aveva appena bevuto. La stordirono con il loro ardore, infiammandole i sensi, seducenti, impetuosi, ipnotici. Esigente ed esperto la baciò stimolando la sua passionalità di donna, reclamando una risposta, annullando ogni rifiuto.

La mente di Clare sbandò, frastornata dalla magia delle sue labbra, ma quando lei si alzò sulla punta dei piedi per ricambiare i suoi baci, Benji allontanò il volto

- Rispondimi, Clare. – sussurrò, con il respiro spezzato dal desiderio – Tutto questo non ha senso se non verrai con me. -

Lei lo guardò implorante, lo sguardo velato di incertezze.

- Vuoi che sia un’altra donna a fare da madre a Martine? – la provocò con voce dura – Vuoi che sia un’altra a dividere la sua vita e le sue scelte? -

- No! – il suo diniego le sfuggì dalle labbra con veemenza prima che potesse riflettere – Io… io voglio fare parte della sua vita… solo…  -

- Solo non vuoi fare parte della mia. -

Le parole di Benji rimasero sospese nel vuoto e per un attimo le sembrò che tutto, anche il cuore di lui sotto le sue dita, si fosse fermato.

Distolse lo sguardo e voltò il viso di lato – Forse…potrei seguirti come bambinaia. Non è necessario che mi sposi. -

- No! – il tono di voce di Benji era secco e brusco e il suo volto si ritrasse un poco scrutandola intensamente dalla sua dominante altezza – Non puoi vivere nella mia casa ed essere una mia dipendente. Ci saranno sempre giornalisti come Martha Lewis pronti ad equivocare e non è certo questo l’esempio che voglio dare a Martine. – Le sue parole erano imbevute di ironia, mentre un lampo attraversava fugace l’oscura profondità dei suoi occhi – Posso anche non essere uno stinco di santo ma mia figlia non dovrà mai vergognarsi di me.-

Clare arrossì violentemente per il significato implicito delle sue parole e Benji abbasso la voce a poco più di un sussurro - Ci sposeremo perché così ti legherò a me e io ti conosco, Clare: tu non infrangeresti mai una promessa. - Un sorriso amaro gli piegò le belle labbra - L’offerta prevede il pacchetto completo: non puoi avere l’una senza l’altro. -

Clare si morsicò il labbro inferiore in preda all’incertezza

- Un giorno potresti incontrare una donna che desidererai sposare veramente. Come farai se ci sarò io? -

A Benji sfuggì una risata sarcastica

- Dubito che questo possa succedere dal momento che l’essere sposato con te mi fornirà un adeguato riparo da tutte quelle donne ansiose, in caccia di un buon partito. Comunque, se la cosa può rassicurarti, stipuleremo un contratto prematrimoniale in cui mi impegno a fornirti un sostanzioso assegno di mantenimento, nel malaugurato caso dovessimo divorziare – replicò tagliente - Ti assicuro che una moglie mi è più che sufficiente, visti i problemi che mi sta dando nel convincerla. Non ho intenzione di mettere su un harem. -

Clare sobbalzò, ferita dall’asprezza delle sue parole, e alzò il capo con dignità

- Non voglio i tuoi soldi. – ribatté, piccata dall’asprezza venale delle sue considerazioni.

Lui fece una smorfia e valutò brevemente la sua risposta  - Va bene, non intendevo offenderti. -

Clare prese un profondo respiro e strinse con forza le mani a pugno, fino a sentire le unghie premere nel palmo

- Se… se accetto, prometti di non obbligarmi a… a fare niente che io non voglia? – sparò tutto d’un fiato arrossendo fino alla radice dei capelli.

Benji inclino leggermente il capo di lato e la squadrò in silenzio, con una luce indecifrabile negli occhi di brace.

La ragazza si agitò a disagio sotto quello sguardo accigliato - Allora? – mormorò nervosamente

- Come vuoi. – la voce di lui era bassa ma le parole tagliavano l’aria come tante lame – Se non vuoi dividere il mio letto, né come mia amante né come mia moglie, ti basterà starmi lontana e limitarti a farle da madre a Martine. Ti assicuro che non mi taglierò le vene per questo. – esclamò beffardo.

Si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e si voltò, rientrando in casa, lasciando Clare a fissare addolorata il vuoto della sua assenza.

 

La palestra sul retro della villa era attrezzata con tutti i macchinari necessari per raggiungere e mantenere una perfetta forma fisica. I calciatori vi trascorrevano un minima parte della giornata, preferendo la spiaggia e le lunghe nuotate al luogo dove, per necessità professionale, dovevano curare continuamente la loro preparazione atletica. Dopo un’intensa seduta mattutina la sessione torture, come veniva scherzosamente definita dalle ragazze, aveva termine e nessuno metteva più piede nella parte posteriore della casa.

Erano quasi le undici di sera e, tranne Holly e Patty che non erano ancora rientrati, tutti gli occupanti della villa si erano già ritirati nelle loro stanze.

Con addosso solo un paio di jeans consunti Mark si stava aggirando pensieroso in cucina, non riuscendo a spiegarsi il motivo di quell’insonnia improvvisa. Si sentiva stranamente inquieto e forse la sua ansia era dovuta al fatto che sarebbe presto rientrato in Italia per iniziare una nuova stagione. Giocare in quello che veniva considerato, a torto o a ragione, uno dei più bei campionati del mondo era sicuramente gratificante dal punto di vista professionale ma anche estremamente faticoso e Mark si era sempre impegnato al massimo. Un sorrisetto sbieco gli sfiorò le labbra mentre ripensava al primo giorno in cui aveva iniziato ad allenarsi in prima squadra alla Juventus, alla diffidenza che aveva incontrato e dovuto superare.

Nessuno di quelli che ora erano i suoi compagni avrebbe scommesso un soldo su di lui: era solo un ragazzo, per di più giapponese, e non sarebbe stato in grado di reggere i ritmi a cui era abituato il calcio europeo. Sfoderando la grinta per cui era famoso, li aveva stupiti tutti.

E di questo doveva essere grato a Jeff Turner e ai suoi massacranti allenamenti. Ricordava ancora quei terribili pesanti palloni con cui il mister della Toho lo costringeva ad allenarsi. Anche se Turner era solo un ubriacone e un violento era stato lui a risvegliare la furia che si portava dentro e ad insegnargli ad incanalarla nella giusta direzione. Era merito suo se adesso era diventato un calciatore professionista.

- Sei un Tigre, Mark! – gli ripeteva convinto – E le Tigri non hanno mai paura! -

Eppure lui aveva avuto paura. Paura di non riuscire, paura di deludere sua madre e i suoi fratelli.

Ripensò a quello che aveva detto a Philip alcuni giorni prima: Maki era stata davvero l’unica donna importante della sua vita e la delusione che aveva patito quando si erano lasciati era stata più che sufficiente a fargli rifiutare l’idea di andarsi ad impegnare in storie serie. Il calcio adesso era l’unica ragione della sua vita e quell’impegno lo assorbiva completamente.

Stava per salire in camera con un bicchiere di acqua ghiacciata in mano quando si stupì nel sentire dei rumori provenire dal retro. Si incamminò lungo il corridoio buio, l’oscurità spezzata solo da un debole chiarore che filtrava da sotto la porta della palestra accuratamente chiusa.

Tonfi secchi e ritmati uno, due… uno, due, tre si ripetevano ad intervalli regolari.

Incuriosito spinse la maniglia e venne innodato da un fascio di luce al neon che gli fece socchiudere gli occhi un istante per poi spalancarli meravigliato.

Benji si trovava al centro della stanza ed era girato di spalle alla porta, non dando segni di averlo udito entrare. Era a dorso nudo e la parte superiore della tuta era stata gettata con noncuranza su una panca. Indossava i guantoni da boxe e si stava accanendo sul sacco appeso al soffitto, che oscillava leggermente ad ogni serie di colpi. Rivoli di sudore gli scendevano sulle tempie e imperlavano le spalle abbronzate facendogli luccicare la pelle come se fosse stata strofinata con l’olio. I muscoli delle braccia e delle spalle si flettevano ben delineati in un armonioso intrico ad ogni suo movimento ed il respiro gli usciva sibilante dalla mascella serrata, ogni volta che scarivava sul sacco i pugni potenti e precisi.

Boxava teso e feroce in quello che non sembrava affatto un semplice allenamento.

Mark si fermò al suo fianco - Non ti sembra un po’ tardi per prendere a pugni quel coso? -

Benji smise fermando con entrambi i guantoni il sacco e asciugandosi con l’avambraccio il sudore che gli colava dalla fronte

- Vuoi provare? -

Mark fece un sorrisetto sarcastico – Non sarebbe altrettanto gratificante come prendere a pugni te. Credo che aspetterò un’occasione migliore. -

Il SGGK non replicò e si diresse verso il lavandino all’estremità della palestra. Infilò la testa sotto il cannello dell’acqua, facendola scorrere sul viso e sul collo, e scrollando poi il capo per far andare via dai capelli l’acqua in eccesso.

 - Non sapevo che praticassi il pugilato. –

La voce di Mark gli giunse alle sue spalle e quando si voltò vide il cannoniere comodamente seduto su una panca. Fece una smorfia

- Ho iniziato a tirare di boxe alcuni anni fa, dopo un infortunio in cui mi ero spezzato entrambi i polsi, cercando di parare il fire shot di Schneider. – Sorrise beffardo al ricordo – Il pugilato è stata un’idea di Freddy. Probabilmente doveva aver parlato con Jeff Turner per tirare fuori un tipo di riabilitazione così assurda. -

- Però ha funzionato. -

- Già. – Benji si lasciò cadere sulla panca accanto a Mark e si gettò un asciugamano sul volto accigliato.

L’attaccante inarcò un sopracciglio, meravigliato dal suo umore rabbioso e osservò il portiere con preoccupazione. Paradossalmente, nonostante il pessimo carattere, Benji era sempre stato quello che in squadra non aveva mai creato problemi. Nulla sembrava poterlo scalfire e la sua arroganza non aveva limiti. In passato Mark si era dovuto preoccupare dell’insicurezza di Danny, della gelosia di Ed per Benji e aveva riflettuto sui punti deboli di Oliver, sulla salute di Julian, sull’ostinazione di Philip.

Con Benji si era sempre e solo limitato a fare a botte, considerando quella l’unica forma di dialogo possibile fra di loro, ma aveva sempre avuto la certezza che il SGGK, al pari di una colonna portante, non sarebbe mai cambiato.

Vederlo così inquieto lo metteva a disagio. Da quando era ritornato dalla Germania si era ferocemente gettato a capofitto in qualunque attività fosse in grado di tenerlo occupato, beveva in un modo che Mark giudicava del tutto anormale e adesso lo scopriva ad allenarsi fino a tardi, quasi dovesse scaricare una tensione intollerabile, trattando il pugilato alla stregua di un forte balsamo capace di scacciare gli spiriti maligni.

Era certo che, se quella sera avesse accettato di boxare con lui, il SGGK lo avrebbe massacrato.

- Fra parentesi, Benji, direi che il fare da tutore a Martine non ti si addice proprio – commentò lentamente – Ti ho visto meno agitato prima di una partita importante e onestamente non vedo proprio quale sia il tuo problema. O meglio, forse so qual’è il problema: Clare. La osservi, seguendo con sguardo adorante ogni suo movimento, eppure non fai nulla per rivendicarla come tua. Si direbbe che tu abbia paura di toccarla ma in passato ti ho visto strapazzare ragazze deliziose. – Vide il SGGK trasalire e l’asciugamano gli cadde dal volto ombroso che si chiudeva in un ostinato silenzio. Mark iniziò ad arrabbiarsi  – Ti sei rincretinito tutt’a un tratto? Clare è maledettamente bella, è gentile, adora Martine, ha un’incredibile capacità di amare. E’ tutto ciò che un uomo potrebbe sperare. A prescindere dal fatto che non capisco che cosa ci veda in uno come te, per lei sei come un cavaliere in armatura scintillante. Non sei il SGGK, non è affascinata dalla fama e dal successo ma da Benji Price. Per qualche strana ragione che ancora non riesco ad afferrare a volte la tratti come se non potessi vedertela davanti. Perché ti torturi fino a questo punto? -

- Lasciami in pace, Mark – sbottò Benji – Non sono affari tuoi. -

L’attaccante scosse la testa esasperato

- Chissà per quale stupefacente colpo di fortuna è stata messa sulla tua strada una donna che vale davvero la pena di afferrare e tenersi stretta e questo mi sconcerta parecchio, dal momento che hai sempre avuto la tendenza a preferire donne superficiali e facili da dimenticare, non le ragazze dolci come Clare. Se sarai così stupido da lasciarla andare, perderai qualcosa di molto più importante di quanto tu possa credere. –

Esasperato dalla paternale Benji si alzò in piedi e lo investì con furia – Non provocare la mia collera! Chiudi quella maledetta bocca! Lo so da me quello che devo fare, non ho bisogno dei consigli derivanti dai tuoi repressi istinti materni! -

Lo sguardo della Tigre divenne duro – Dal mio punto di vista hai bisogno di qualcuno che ti dica che stai facendo la più grossa cretinata della tua vita. -

Benji levò una mano spazientito – E’ la mia vita dopotutto. -

- Infatti. – Mark bevve un sorso d’acqua dal suo bicchiere e si avviò verso la porta – Me ne starò a vedere come riesci a risolvere i tuoi problemi. -

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Innanzitutto esordisco con l’augurio per una S. Pasqua piena di gioia a tutti voi.

Un ringraziamento di cuore ai fedeli recensori… non sapete quanto mi fa piacere avere la vostra costante e aggiornata opinione sulla mia ff e un grazie in particolare ad Erika che tra le miriadi di cose da fare trova anche il tempo di leggere il mio lavoro. Sono onorata webmistress!

Alla cara Sanychan un pubblico e sentito ringraziamento per essere sempre il mio editor e per leggere pazientemente tutto quello che scrivo.

Adesso buona lettura.

Un abbraccio affettuoso e ad maiora!

 

CAPITOLO XIII

 

 

Ho ritrovato qui le aiuole

verdi, i grandi alberi e

l’acqua che fluisce, come

quando sono partito…

Non dobbiamo pensare né all’avvenire

Né a noi, né a niente.

Pensare è soffrire.

Abbandoniamoci al vento del

nostro cuore, finché esso

gonfierà la vela, lasciamo

che ci finga e ci spinga

dove vorrà,

quanto agli scogli… vedremo “ 

(G. Flaubert)

 

 

Gli ultimi due giorni di vacanza a Kanagawa erano volati in un soffio, sull’onda dell’entusiasmo che aveva coinvolto tutti gli occupanti della villa alla notizia della gravidanza di Patty.

Oliver era incredibilmente emozionato e seguiva ogni movimento di Patty con la stessa tenacia con cui mamma oca segue i suoi piccoli, impedendole di affaticarsi e reggere in mano niente di più pesante di una tazza da tè.

Dopo quarantott’ore la fidanzata stava meditando di strangolarlo.

Mark e Benji lo prendevano spietatamente in giro ma nulla sembrava scalfire il perenne buonumore del capitano della nazionale. Sembrava che la passione, che aveva sempre manifestato per il calcio, fosse adesso divisa equamente tra Patty ed il pensiero della minuscola creatura che le cresceva nel grembo.

Gli sembrava incredibile che lui e Patty avessero potuto dare origine a qualcosa di così meraviglioso e, ogni volta che le sfiorava il ventre piatto, si stupiva a pensare che lì sotto ci fosse il suo bambino e che fra poco più di sette mesi avrebbe potuto tenerlo fra le braccia.

Avevano dato l’annuncio la mattina a colazione e subito la ragazza era stata soffocata dagli abbracci affettuosi delle sue amiche e dai loro gridolini commossi, mentre i giocatori seguivano la scena con occhi paternamente benevoli e scambiavano con Holly cameratesche pacche sulla spalla.

- Abbiamo deciso di sposarci qui in Giappone il prima possibile, così andrò con Holly in Brasile per l’inizio del campionato. – Patty diede la notizia a tutta la tavolata riunita ma i suoi occhi cercarono, silenziosi e riconoscenti, quelli di Clare – La famiglia che vogliamo costruire ha la priorità su tutto. - 

- Che meraviglia! – Jenny l’abbracciò giubilante – Così presto ci sarà quasi un doppio matrimonio! -

- Ecco la ragione di tutti quegli strani malesseri – riconobbe Amy stringendo affettuosamente le mani all’amica - Quando l’avete saputo? -

Holly rise felice cingendo la vita della fidanzata – Patty me lo ha detto ieri sera al ristorante. Per la sorpresa quasi cadevo dalla sedia! -

Risero tutti e Benji si affrettò a tirare fuori lo champagne – Lo tenevamo in serbo per l’ultima cena della vacanza ma una notizia del  genere merita un brindisi. – esclamò stappando le bottiglie.

Patty rise allegramente – Caspita, champagne a colazione! Saremo tutti ubriachi prima di pranzo. -

- E io che pensavo che sarei stato il primo. – il sorriso di Julian gli arrivava fino alle orecchie – A quanto pare mi hai battuto un’altra volta. – affermò congratulandosi.

Philip rincarò la dose – Questo è il goal più bello della tua vita, capitano. –

- Lo avete già detto a Tom? – chiese Benji, mentre Julian distribuiva i calici pieni – Bruce ci rimarrà malissimo di non essere stato presente nel momento dell’annuncio. -

- No, gli telefoneremo domani, quando rientreremo a casa – Patty si accarezzò il ventre piatto con un gesto tenero – Per la verità neppure i nostri genitori sanno nulla. Voi siete i primi a cui abbiamo dato la notizia. -

Mark ridacchiò – Chissà come piagnucolerà Harper per non aver condiviso questo momento con te. Già me lo immagino: “Holly, Holly perché non sono stato il primo a saperlo?” -

Risero tutti a quell’imitazione riuscita e Clare abbracciò Patty, mentre l’amica le sussurrava nell’orecchio un timido - Grazie! - e Martine, seduta sul seggiolone, batteva le manine, eccitata per tutta quella confusione.

- Ci avete colti tutti alla sprovvista – Julian sorrise sornione – Da voi due una notizia del genere non ce l’aspettavamo proprio. -

- Già. Ben fatto Hutton! – la pacca che Mark gli diede sulla spalla quasi lo spedì in braccio a Patty – Ecco come tenere calma quella furia scatenata. Un bel bambino in pancia ci voleva! -

- Mark! – Mary era stupita dal commento grossolano del fratello – Chiedi scusa! -

- No – Patty la interruppe sorridendo – Mark ha ragione. Era ora che mettessi la testa a posto e facessi ordine nella mia vita. E’ un bel complimento, invece, perché significa che pensa che io sarò una buona madre. -

La Tigre sorrise soddisfatta – La migliore! – affermò senza esitare. E gli altri non poterono che essere d’accordo.

Con un piccolo sospiro di rimpianto Patty chiuse a chiave il portone di ingresso e raggiunse Holly che, in piedi vicino all’auto aveva già terminato di caricare i bagagli. Avevano deciso di lasciare la villa tutti insieme, stabilendo che quello sarebbe stato l’ultimo saluto prima di partire ognuno per le rispettive destinazioni.

Mark aveva appena il tempo di riportare a casa Mary e salutare la sua famiglia prima di prendere il volo per Torino e così pure Benji doveva partire al più presto per la Germania per ottemperare agli impegni presi con il Bayern Monaco.

Jenny e Philip sarebbero ritornati ad Hokkaido per terminare i preparativi per le loro nozze e anche Patty ed Holly avrebbero dovuto dare la doppia bella notizia alle loro famiglie non appena rientrati a Fujisawa. Tuttavia entrambe le coppie si sarebbero riviste ai rispettivi matrimoni e così pure Amy e Julian che restavano in Giappone, vi avrebbero partecipato.

- Né tu né Tom sarete presenti. – Oliver era sinceramente dispiaciuto mentre salutava l’amico di sempre.

Benji gli batté una pacca sulla spalla mentre con l’altra mano reggeva il sederino di Martine accoccolata contro il suo petto – Sono certo che Bruce sarà un ottimo testimone e ti sosterrà adeguatamente fino all’altare. – scherzò con un pizzico di ironia.

- Già. – Patty abbracciò Clare con affetto – Sempre se non combinerà prima qualche disastro. – affermò convinta. Risero e Patty tenne fra le sue le mani dell’amica – Il mio bouquet dovevi prenderlo tu. – disse con un po’ di malinconia.

Clare arrossì leggermente sbirciando di sottecchi il volto impassibile del SGGK, mentre Holly gli assicurava che avrebbero spedito le fotografie del matrimonio.

- Posso dire a Patty di stare tranquilla per quanto riguarda Clare? –

La domanda del capitano della nazionale, appena sussurrata in modo che le ragazze non udissero, lo colse di sorpresa, facendogli gettare uno sguardo di sfuggita a Clare.

In quel momento era impegnata in una serie di raccomandazioni a Patty per quanto riguardava la gravidanza e i suoi capelli dorati le scendevano sulle spalle come una matassa di puro oro filato. Non riuscì a mentire a Holly  - Verrà con me in Germania – rispose un tantino a disagio.

- Vuoi dire che… - Holly appariva davvero stupito.

- Ci sposiamo non appena saranno pronti i documenti. L’udienza per l’adozione definitiva di Martine è fissata  per la fine di ottobre. – ribatté pacatamente.

Oliver lo scrutò interdetto – La sposi per Martine? -

Benji sbuffò irritato

- Diciamo che il nostro sarà quello che viene chiamato un “matrimonio di convenienza”. Puoi tranquillamente dire a Patty che finalmente ho trovato la donna che cercavo. Clare sarà un’ottima madre per Martine, godrà di una posizione privilegiata e, dal momento che, non è decisamente il tipo da accampare delle pretese, può star sicura che la nostra convivenza sarà del tutto pacifica. Ho trovato quello che cercavo e francamente non potrei essere più soddisfatto. -

- Fai sembrare tutto molto pratico. -

- Lo è. -

- E lei cosa ne pensa di questa storia? – Holly era titubante – Sa che la sposi per la bambina? -

Un luccichio diabolico sfrecciò nello sguardo di Benji

- Ti assicuro che Martine è l’unico motivo per cui lei sposa me. – replicò rigido.

- Ne sei sicuro? - Holly lo fissò costernato – Non credo che a Patty piacerà questa storia – pronosticò – e per la verità piace molto poco anche a me. Ti conosco Benji e, onestamente per buona pace di tutti, preferisco non sapere come hai fatto a convincerla. -

Il portiere scalpitò – Non sono un corruttore di minorenni! -

- No – Oliver lo guardò severamente - ma sei abbastanza smaliziato per conoscere perfettamente l’effetto che hai sulle donne e soprattutto su una ragazza ingenua come Clare. -

Un sorriso beffardo apparve sulle labbra del SGGK

- Non so proprio cosa vi è preso. Prima Mark, adesso tu, siete tutti preoccupati a difendere quello scricciolo di ragazzina. – commentò sarcastico.

Il capitano della nazionale lo guardò storto - Se non fossi così impegnato a convincerti che non provi nulla per Clare, forse riusciresti ad ammettere che anche tu ti preoccupi per lei. -

Benji sbuffò sonoramente ma Holly non si arrese - Sei sicuro di fare la cosa giusta? -

Benji squadrò la sottile figura di Clare che in quel momento gli stava dando le spalle

- Sicuramente lo è per Martine. – rispose schietto.

Il capitano della nazionale annuì lentamente – Mi auguro che nessuno debba soffrire per questa situazione. -

- Stai tranquillo. Ho intenzione di far funzionare questa famiglia, per quanto disastrata possa sembrare. -

Le ragazze si erano allontanate di qualche passo e, per quanto si impegnasse, Patty non riusciva a nascondere all’amica le sue perplessità

- Che cosa succederà adesso? Lascerai che Benji torni da solo in Germania con Martine? – le chiese titubante

Clare scostò una ciocca di capelli dalla tempia – Andrò con loro. Ho deciso di seguire il tuo consiglio. -

- Ma è meraviglioso! – Patty sorrise entusiasta – Hai fatto la scelta giusta. Quei due – disse sottolineando per bene il numero – hanno entrambi bisogno di te. -

- C’è di più. – Clare arrossì vistosamente – In Germania ci sposeremo. - le confidò di botto.

Patty rimase letteralmente a bocca aperta

- Vuoi dire che Benji… -

- No, no assolutamente. – Clare scosse il capo con decisione e fissò Patty con lo sguardo velato da una punta di dolore – Lui… sa tutto. Alcune notti fa ho avuto uno dei miei soliti incubi e Benji… mi ha consolata. Semplicemente ha bisogno di una madre per Martine. Mi ha chiesto di sposarlo ed io ho accettato. Il matrimonio è solo una facciata, tutto andrà avanti come adesso. – guardò l’amica seriamente - Capisci? Questa per me potrebbe essere l’occasione di avere finalmente una famiglia. -

Patty la scrutò attentamente quasi a volerle leggere dentro – Ma sarai felice? -

Clare fece un coraggioso sorriso – Si, certamente, non ti devi preoccupare. Martine è la cosa più bella che mi sia mai capitata ed io desidero veramente essere sua madre, vederla crescere. Cosa altro potrei volere? -

La brunetta la guardò intensamente, specchiandosi nelle fumose iridi ambrate

- Magari potresti volere che Benji ti sposasse per amore – replicò con aria mesta.

Gli occhi di Clare fissarono quelli color cioccolato – Forse – concesse con una serenità che in realtà era ben lontana da provare – ma entrambe sappiamo che questo non rientra nel regno del possibile. –

- Riuscirai a sopportarlo? –

Patty era davvero preoccupata e Clare trasse un profondo respiro – Fino a qualche mese fa non sapevo neppure che potesse esistere una vita al di fuori dal collegio. Poi ho incontrato te, Benji, Martine e tutti gli altri. Avete riempito il mio mondo e adesso non posso più tornare indietro. -

- E a Benji? A lui non hai pensato? –

Un piccolo nodo di ansia le strinse il petto e Clare cercò di ignorarlo – Siamo d’accordo che lui continuerà la sua vita, così come ha sempre fatto. – rispose non riuscendo a guardarla in volto.

Patty l’abbraccio forte sentendosi impotente di fronte al dispiacere dell’amica. Era chiaro come il sole che Clare era innamorata di Benji ma i suoi timori e le sue paure le impedivano di affrontare serenamente quel sentimento con tutte le conseguenze che esso comportava. Non c’erano consigli che poteva darle, solo esserle vicina con tutto il suo affetto  – Vedrai che prima o poi troverete un punto di incontro. -

Clare annuì grata e poi si sciolse dall’abbraccio accarezzando teneramente la pancia piatta dell’amica – Mi raccomando non ti affaticare. Porti un piccolo campione qui dentro. -

Patty annuì – Ricordati che mi hai promesso che verrai a tenermi la mano quando sarà l’ora del parto. -

- Farò il possibile. Arrivederci Patty. -

Patty sorrise vedendola allontanarsi e salire in auto accanto a Benji che aveva già acceso il motore e posizionato Martine sul suo seggiolino.

Inspiegabilmente si sentiva fiduciosa per il futuro. Lì a Kanagawa erano successe un sacco di cose belle: aveva scoperto di aspettare un bambino e Clare e Benji avevano deciso di sposarsi. Certo il loro non era proprio un matrimonio convenzionale ma forse era un inizio.

E Patty aveva sempre guardato piena di speranza ad ogni nuovo inizio.

 

L’aereo proveniente da Tokyo atterrò in perfetto orario con un leggero tonfo e proseguì lentamente lungo la pista di atterraggio fino ad arrestarsi completamente all’imboccatura del tunnel per la discesa dei passeggeri.

L’aria era ferma ma grossi nuvoloni neri si stavano addensando sopra la città di Monaco, facendo presagire lo scoppio di un violento temporale autunnale.

I passeggeri del volo intercontinentale scesero ordinatamente e si incamminarono lungo il corridoio d’uscita per andare a recuperare il proprio bagaglio. Erano all’incirca un centinaio, per la maggior parte turisti, allegri, chiassosi, colorati, in vacanza in Europa, e alcuni uomini d’affari dall’aria annoiata che non appena messo piede fuori dall’aereo si affrettarono ad accendere il cellulare, scrutando impazienti l’orologio.

Un uomo alto, dal fisico asciutto ed imponente fu uno degli ultimi passeggeri a lasciare con calma l'aereo seguito dagli sguardi sognanti delle due hostess. Non capitava tutti i giorni di avere a bordo come passeggero un personaggio del calibro del  SGGK e le due ragazze avevano trascorso l’intero volo cercando di compiacerlo in ogni modo, inconsapevoli del crescente malumore del portiere.

Benji si era portato appresso una valigetta colma di documenti con l’intento di utilizzare le lunghe ore di forzata inattività per lavorare. La seccante e costante presenza delle due ragazze alle sue spalle gli aveva impedito di trovare la concentrazione adatta e al contempo di discutere con Clare i dettagli del matrimonio, facendogli raggiungere un livello di irritazione pericolosamente vicino al punto di rottura.

La sua futura moglie, al contrario, sembrava fare estremamente attenzione a non disturbarlo in alcun modo, muovendosi il meno possibile e gettandogli qualche occhiata di sfuggita. I suoi tentativi di evitare ogni contatto e i suoi movimenti furtivi avevano alimentato la sua collera in modo crescente.

Esasperato e fortemente combattuto all’idea di una bella scenata era rinchiuso in un furibondo silenzio e avrebbe volentieri spazzato dalla terra tutto il genere femminile.

Clare aveva osservato con crescente preoccupazione il rapido guizzare del muscolo sulla sua guancia abbronzata, segno della collera che lo pervadeva e non riuscendo a darsene una ragione si era limitata a tenersi alla larga dalle sue ire aspettando che sbollisse da sé. Le moine delle due giovani hostess erano state per lei solo una prova ulteriore di quanto egli fosse famoso e non solo per le sue prestazioni sportive.

Apparteneva ad una delle famiglie più ricche e potenti di tutto il Giappone ma, per Clare, lui era solo un’atleta eccezionale e, da qualche settimana, un padre affettuoso. Non si era mai resa conto dell’influenza del nome dei Price fino a quando non si era vista recapitare, in soli due giorni dal loro rientro a Fujisawa, un passaporto nuovo di zecca e il visto di soggiorno per la Germania. A Benji era parsa una cosa del tutto naturale ma Clare, abituata alle code e ai tempi degli uffici pubblici, non era riuscita a credere ai propri occhi.   

Per tutto il volo era rimasta seduta tranquillamente accanto a Martine, occupandosi delle necessità della bambina, cercando di riposare durante le lunghe ore di immobilità e chiacchierando con Mrs. Bauer che tentava di introdurla dettagliatamente nei meandri della cucina tedesca.

Da alcuni giorni aveva iniziato a ripassare le sue nozioni di tedesco e le lezioni del padre, che era stato professore di liceo, le erano tornate alla mente come se fluissero da un’ignota fonte. Con Benji avevano stabilito di lasciar perdere il giapponese, in modo che per lei fosse più facile abituarsi velocemente al nuovo idioma e lui era rimasto sorpreso dalla rapidità con cui Clare imparava nuovi termini e ricordava la grammatica.

All’incirca a metà del percorso le luci si erano abbassate e le hostess avevano invitato i passeggeri a reclinare i sedili. Con un dito stretto nel piccolo pugno di Martine, Clare si era addormentata, cullata dal ritmico ronzio dei motori dell’aereo.

Benji non aveva chiuso occhio.

Le parole di Holly gli avevano ronzato fastidiosamente nelle orecchie e più volte si era scoperto ad osservare il viso di Clare disteso nella tranquillità del sonno. Gli era sembrata fragile e indifesa e, per un attimo, si era sentito profondamente in colpa per il modo in cui l’aveva convinta ad andare con lui. Aveva fatto leva sui sentimenti che provava per Martine, cercato di sedurla sul piano fisico e  tormentata su quello psicologico.

E adesso stava per fare anche di peggio.

L’avrebbe legata a sé, perché, a dispetto di qualunque tipo di sentimentalismo, aveva bisogno di lei.

E non solo come madre per Martine.

Con un solo sguardo Clare riusciva a placarlo, ad infondergli tranquillità con la parsimoniosa armonia dei suoi gesti. Sapeva di essere egoista ma non l’avrebbe lasciata andare. La voleva e, a dispetto di quello che le aveva detto per convincerla, avrebbe fatto di tutto per averla.

Non aveva mai conosciuto incertezze nella sua vita e in quell’occasione non vi sarebbero state eccezioni. Aveva fatto una scelta ed era deciso a portarla fino in fondo.

Qunado Benji scese dall’aereo percorse con lo sguardo la sala d’aspetto antistante la dogana, nonostante non si aspettasse alcun comitato di benvenuto ad accoglierlo. Nessuno sapeva del suo rientro dal Giappone e lui non aveva avvisato né i suoi compagni di squadra del Bayern Monaco, né Schneider.

Alcuni passeggeri lo riconobbero

-  Ehi! Ma quello è Benji Price! -

- Si è proprio lui! E’ il portiere del Bayern Monaco! -

- E’ il SGGK! E’ il campione! -

- E’ tornato! -

Presto l’uomo fu circondato dai suoi tifosi in cerca di autografi. Egli salutò, freddo e cortese, scribacchiando veloce la sua firma sui foglietti che gli venivano tesi.

Indossava pantaloni scuri e una polo crema sotto il giaccone sportivo e il suo inseparabile berretto era calato sulla fronte spaziosa a nascondere gli occhi che  seguivano costantemente i movimenti delle due donne che si tenevano prudentemente a distanza dall’orda dei suoi tifosi.

Nessuno aveva notato la signora di mezz’età i cui capelli sale e pepe, tagliati a caschetto, scendevano ad incorniciare un viso dall’aria tranquilla. Il suo abbigliamento pratico e austero passava del tutto inosservato e i suoi occhi di un azzurro chiaro dividevano equamente la loro attenzione tra la bambina che aveva in braccio e la giovane donna che era la sua compagna di viaggio.

Clare strinse saldamente in pugno le maniglie delle loro valigie, facendo cenno a Mrs. Bauer di avviarsi tranquillamente verso l’uscita con Martine. Gettò di sfuggita un sguardo verso Benji e lo vide attorniato dai suoi tifosi e da un nutrito gruppo di ammiratrici che potevano avere all’incirca la sua età. Erano tutte molto graziose nei loro giacchini alla moda e nelle loro minigonne colorate e per la prima volta si rese conto della propria inadeguatezza e al contempo della grande popolarità di cui lui godeva. Era un calciatore famoso e le donne dovevano fare la fila per scaldargli il letto.

Incerta si morse leggermente il labbro inferiore e iniziò a tirare le due pesanti valigie verso l’uscita. Una berlina scura era in attesa con il motore acceso appena fuori dal terminal dell’aeroporto e un uomo di circa una settantina d’anni vestito con un elegante completo scuro, che Mrs. Bauer le presentò come Herbert Wiesel, l’autista della famiglia Price, l’aiutò a caricare nel baule il bagaglio che si era trascinata dietro.

- Benvenuta a Monaco, signorina Miller – la salutò cordiale – L’aspettavamo tanto, lei e la bambina. -

- Grazie, Herbert – Clare non si meravigliò di quel benvenuto caloroso. Anche in Giappone aveva potuto constatare come, nonostante il suo carattere scontroso, tutti coloro che lavoravano per Benji Price gli obbedissero con cieca fiducia e arrivassero a nutrire per lui un sentimento di lealtà che sconfinava spesso nell’adorazione.

Poco prima di atterrare Benji aveva risposto pazientemente alle sue domande sull’Europa e su Monaco in particolare ma si era rifiutato di descriverle, anche se in minima parte, la casa dove avrebbero vissuto.

- E’ un bel posto? – aveva chiesto Clare cercando di immaginarsi una versione tedesca della villa in Giappone.

- E’ solo una casa. – aveva ribattuto lui con indifferenza tirandosi il cappello sugli occhi – Giudicherai da te quando saremo arrivati. - 

E adesso era arrivata.

Clare rabbrividì, stringendosi nella leggera giacca di jeans per difendersi dall’aria pungente, mentre grosse gocce iniziavano a cadere, e si affrettò a salire in auto. Non riusciva quasi a credere di trovarsi in Germania. Per lei, che non era mai uscita dal Giappone, quel viaggio aveva un che di incredibile. Guardò Martine che rideva contenta, posando le manine sui vetri rigati di pioggia mentre l’auto scivolava per le via di Monaco intasate dal traffico.

- E’ solo un acquazzone. – Mrs. Bauer sbirciò il cielo con competenza – Presto cesserà. -

Benji firmò l’ultimo autografo e fece un rapido cenno ad un facchino di occuparsi del suo bagaglio. Con un breve saluto ai suoi tifosi si diresse fuori dall’affollata sala d’aspetto dell’aeroporto e salì su un taxi dandogli l’indirizzo di casa. Avevano concordato con Clare di raggiungere la villa separatamente, per sviare ogni eventuale curioso ed evitare l’imbarazzante scatto di qualche fotografo o tifoso appassionato di scandali, ma adesso era impaziente di essere a casa prima dell’arrivo della ragazza.

Dopo un violento rovescio d’acqua durato alcune decine di minuti il cielo si stava schiarendo e un pallido e dorato sole autunnale stava facendo capolino tra i banchi di nuvole, facendo luccicare l’asfalto.

Quando la berlina scura fece il suo ingresso dal cancello della villa aveva completamente smesso di piovere e un venticello leggero si era alzato a scuotere le cime dei sempreverdi che costeggiavano il viale che conduceva all’entrata dell’edificio.

La villa di Monaco della famiglia Price era un tipico esempio di architettura dell’Europa centrale di inizio secolo e si ergeva alta e maestosa al centro di un grande parco alberato. Dal corpo centrale della casa scendeva una larga scalinata di marmo grigio sulla quale si apriva un pesante e massiccio portone nero. Il tetto di mattoni scuri terminava in tre guglie, sormontate da altrettanti pinnacoli, che raggiungevano l’altezza delle grandi querce secolari che fiancheggiavano l’edificio.

Benji era ritto ai piedi della scalinata d’ingresso e aiutò Clare a scendere dall’auto, mentre Mrs. Bauer si affrettava ad entrare in casa con Martine in braccio, lasciando al padrone l’opportunità di mostrare in tutta tranquillità la casa alla fidanzata.

- Benvenuta a Ville Rose – la salutò lui – 

- Una piccola dimora davvero. – commentò Clare, incrociando le braccia sul petto e battendo per terra il piedino con disappunto – Penso proprio che tu abbia voluto prenderti gioco di me. –

Un lento sorriso giocò sulle labbra di Benji mentre circondava la vita di lei con un braccio sospingendola verso l’entrata – Non devi farti impressionare, è pur sempre una casa. -

- Sì e io sono la regina d’Inghilterra – borbottò Clare, cercando di ignorare il piacere del suo tocco. Non aveva ancora messo piede sul primo scalino che un enorme cane nero, quasi più grosso di un puledro, sbucò dalla parte posteriore della villa, dirigendosi con foga verso di lei a tutta velocità. Clare sgranò gli occhi spaventata e con circospezione si affrettò a mettersi dietro Benji, frapponendo, tra lei e il cane, il corpo alto e robusto dell’uomo, che sembrava non avere il minimo timore di fronte a quel colosso.

Il portiere fece udire una risatina, perfettamente conscio delle sue manovre, e un fischio acuto e sottile gli usci dalle labbra – Guerriero! -

Nell’udire il suo nome il cane si immobilizzò immediatamente e avanzando con più calma venne a porsi a fianco del SGGK. Clare trasalì per la sorpresa e senza volerlo fece un passo indietro.

- Seduto! -  

Osservò stupita l’enorme alano nero sedere obbediente sui posteriori al comando del padrone, mentre le fauci si aprivano in quello che sembrava quasi un feroce sorriso, mettendo in mostra i denti bianchi ed affilati.

- Lui è Guerriero – lo presentò con un sorriso sbieco sul bel volto bruno.

Le mani forti del portiere si tesero ad accarezzare e grattare l’ispido pelo e, ben presto, fu evidente come il cane gradisse tutte quelle attenzioni. Una grossa lingua rosa penzolò dalle fauci, mentre l’alano si sporgeva a leccare la mano del padrone.

Clare incontrò lo sguardo ridente di Benji mentre si accorgeva che la grossa testa del cane le arrivava comodamente oltre la vita.

- Non c’è pericolo, vero? – domandò guardinga – Voglio dire… non morde le persone? -

- Metti la mano davanti al suo muso e lasciati annusare – la istruì gentilmente continuando ad accarezzare il testone dell’animale – Coraggio, non avere paura, è assolutamente innocuo. Avanti Guerriero, saluta la signora. -

Lei esitò ancora per un istante poi chiuse gli occhi e tese la mano in avanti. L’umida sensazione del tocco della lingua rasposa sul proprio palmo le fece aprire di scatto le palpebre, ritrovandosi a fissare gli occhi gialli del cane, curiosamente fissi su di lei. La tensione si sciolse e Clare gli posò affettuosamente la mano sulla testa, iniziando a grattarlo dietro le orecchie. – E’ splendido! – esclamò ridendo compiaciuta.

Benji la guardò stranamente – Non esattamente. – commentò, dando un’ultima pacca affettuosa al cane, che si allontanò per andare ad ispezionare l’automobile – Comunque Guerriero è con me da quattro anni e quando io sono qui ha il permesso di andare e venire a suo piacimento. Capisco però che tu possa non volerlo in casa e in tal caso lo terrò giù nella foresteria. -

Clare scosse il capo con decisione – Non c’è nessun problema. Solo, per i primi tempi, bisognerà fare attenzione a Martine e farli incontrare in maniera graduale. -

Il portiere annuì poi le fece cenno di entrare, limitandosi a seguirla in silenzio.

Il volto di Clare era attraversato da una miriade di espressioni di attonita ammirazione mentre osservava l’ampio vestibolo di marmo grigio e nero sul quale si aprivano le porte che conducevano ai saloni e al salotto del pianterreno. Una larga scala di legno si snodava con eleganti modanature, curvando su se stessa, fino al primo piano dal cui soffitto pendeva un lampadario di cristallo a gocce del diametro di almeno un metro e mezzo. 

Abituata all’ambiente spartano del collegio Clare rimase a dir poco strabiliata dal lusso occidentale della villa e, vedendo il suo palese interesse, Benji decise di fare una piccola deviazione verso i saloni.

Le splendide ampie vetrate che davano sul giardino erano ornate da magnifici vetri cattedratici che rappresentavano una luminosa ed esotica serra. Orchidee bianche erano mescolate a gigli purpurei e a ninfee dai petali rosati appoggiate su foglie verde scuro. Piccoli fiori dorati erano disposti a ghirlanda sul bordo sinistro dei vetri e scendevano a coprire parzialmente la nudità di una piccola ninfa, mollemente adagiata vicino ad un ruscello, mentre una profusione di uccellini dallo spendido piumaggio turchese e acquamarina sbucava tra la spessa vegetazione, pavoneggiandosi tra i luminosi ibischi color arancio.

Clare era estasiata e il suo occhio d’artista era febbrilmente impegnato a catturare ogni linea preziosa, tutte le più piccole sfumature e la calda pastosità dei colori che pur nella loro pienezza lasciavano filtrare i raggi luminosi

- E’ magnifico – mormorò reverente ammirando il bagno di colore che inondava le pareti color avorio del salone, duplicando l’effetto cromatico dei vetri sulle pareti – Per cosa usate queste stanze? -

Benji si strinse nelle spalle – Sono i saloni delle feste. Mia madre era solita dare qui i suoi ricevimenti quando lei e mio padre si trovavano in Germania. Da quando io abito qui, sono sempre rimasti inutilizzati. -

Clare sospirò sognante – E’ un peccato. Sembra che interpretino la luce. – mormorò e Benji si rese conto che non si riferiva al lusso dei mobili o alla bellezza degli arredi.

Come lui immaginava, la sua incredibile fidanzata era rimasta letteralmente folgorata dallo splendore delle vetrate e rimaneva lì, sospesa in quello spazio senza tempo, tra luce e colore, come un’evanescente divinità ultraterrena.  

- Ho parlato con il mio avvocato - La rauca voce dell’uomo la distolse dalla sua contemplazione e Clare si girò verso di lui, mentre la luce che entrava a fiotti colorava di caldo rame l’oro dei suoi capelli. – Ci vorrà poco più di una settimana per preparare i documenti e sbrigare le formalità del caso. Se tu sei d’accordo potremo già sposarci per metà mese. -

Un brivido attraversò il corpo di Clare e improvvisamente le sembrò che i colori diventassero più opachi - Così presto? – si lasciò sfuggire in un sussurro.

- Non c’è motivo per rimandare – Benji incrociò le braccia sul torace muscoloso – La settimana prossima inizierà il campionato e poi ci saranno i mercoledì di coppa che mi porteranno spesso lontano. Non avremo più molto tempo. –

- Va bene. – la voce di Clare era poco più di un mormorio – Come vuoi. –

Le lunghe e magre dita di lui le sfiorarono il mento in una carezza gentile, affondando nei suoi capelli scaldati dal sole, mentre le sue labbra scendevano ad incontrare la morbidezza di quelle di lei. Sfiorarono audaci il calore della sua bocca, allontanando le sue paure, risvegliando in lei i ricordi dei baci passati, il tempestoso splendore del loro amoreggiare.

Le mani di lui scivolarono attorno alla vita sottile di Clare, avvicinando il corpo flessuoso di lei al suo, irrigidito dal desiderio, appoggiandolo contro il proprio fino a sentire i contorni di quelle forme delicate che premevano contro i profili spigolosi della sua muscolatura.

- Davvero, Clare? Sarà davvero come voglio io? – la voce di lui era solo un denso bisbiglio – Io posso solo fare in modo che tu non desideri nient’altro che essere fra le mie braccia. Tu cosa vuoi veramente?  -

Lei emerse lentamente dalla struggente intensità dei suoi baci e sbatté più volte le palpebre per mettere a fuoco il volto bruno chino sul suo. Le parole di Benji le risvegliarono la piena consapevolezza della sua situazione e Clare ansimò per la sorpresa.

Lei lo voleva! Agognava i suoi baci e spasimava dal desiderio di sentirsi circondata dal suo abbraccio!

Era proprio come lui l’aveva descritta: soggiogata, incantata, incredibilmente innamorata. E perduta.

Spinse appena contro il solido torace dell’uomo e immediatamente egli la lasciò andare.

- Non… posso. Lo sai. -

- Concediti a me, Clare – la sua voce era poco più di un rauco sussurro ma l’intensità delle sue parole la fece sussultare per la sorpresa.

Gli occhi di lui, neri e profondi affondarono nelle iridi dorate circondandola con la loro traslucida intensità. C’era desiderio, passione e… qualcosa di indefinito e sfuggente che non riusciva a decifrare e che brillava incontrollato. Poteva vedere il muscolo della sua guancia guizzare impazzito sotto la pelle abbronzata – Sarò gentile con te, dolcezza. –  

Lei indietreggiò lentamente di un passo e poi fuggì fuori dalla stanza, spaventata dall’amore che provava per lui e dal terribile e intenso desiderio di dirgli di sì.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Eccomi con un nuovo capitolo della mia ff.

Mi scuso per il ritardo ma purtroppo sto vivendo un periodo un po’ frenetico, con molti impegni, parecchie scadenze e il tempo per scrivere si è un po’ ridotto.

Ringrazio sempre tutti coloro che mi scrivono e recensiscono “Scent of Hearts”. Il vostro appoggio, la vostra collaborazione, i consigli e gli incoraggiamenti sono un carburante eccezionale e un incentivo a fare sempre meglio.

Auguro a tutti un buon 1° maggio e buona lettura.

Un saluto affettuoso e ad  maiora!

 

CAPITOLO XIV

 

“A cui devo la gioia palpitante

che tiene desti i miei sensi nella veglia

e il ritmo che governa il riposo del sonno

Il respiro comune

di due che si amano

che profumano l’uno dell’altro

che pensano uguali pensieri

e non hanno bisogno di parole

e si sussurrano uguali parole

che non hanno bisogno di significato.

L’irritabile vento d’inverno

non potrà gelare

il rude sole del tropico

non potrà mai disseccare le rose

di quel giardino che è nostro e nostro soltanto.

Ma questa dedica

è scritta

affinché altri la leggano.

Sono parole private che io

ti dedico in pubblico.

(T.H. Eliot)

 

 

Il campo di allenamento del Bayern Monaco era una moderna e attrezzata struttura all’interno della quale tutta la squadra poteva dedicarsi tranquillamente ad una scrupolosa preparazione atletica senza timore di essere disturbata da curiosi e giornalisti.

Erika Langel sedette sulla panchina al bordo del campo soddisfatta di essere arrivata appena in tempo. L’allenamento in previsione della prima partita di campionato stava per terminare e lei aveva potuto di nuovo ammirare le splendide prestazioni di Benji Price.

Le ricerche di Jordan non avevano dato i risultati sperati e sembrava davvero che quella ragazza bionda, che era stata fotografata tra le braccia di Benji dopo la partita con la Corea, fosse comparsa dal nulla e nel nulla fosse ritornata.

Nessun nome, nessun’altra fotografia, neppure il più piccolo trafiletto che sciogliesse il mistero sull’identità di quella giovane donna.

Erika aveva sospirato di sollievo. Se nessuno la conosceva e non faceva parte del bel mondo poteva essere tranquillamente ricompresa nel novero di donne che erano transitate nella vita di Benji Price: belle, più o meno famose e dimenticate nell’arco di una giornata.

Non valeva la pena affannarsi quella che sembrava, al pari di molte altre, una scappatella senza importanza.

Il SGGK era tornato più in forma che mai e anche durante quel semplice allenamento aveva messo in serie difficoltà le punte del Bayern che non riuscivano a trovare una breccia nella sua inespugnabile difesa.

In quel momento il portiere era impegnato all’estremità del campo in una sessione speciale con Schneider, che tirava un rigore dietro l’altro con la precisione di una macchina da guerra. Solo dopo una discreta serie di tentativi l’attaccante riuscì a superare la difesa del portiere, centrando un bellissimo goal alle sue spalle

- Dannazione, Price! - il Kaiser ansimò pesantemente al termine dell’azione – Guarda cosa mi tocca fare per far entrare un pallone in quella maledetta rete. -

Benji si rialzò da terra sistemandosi la visiera del cappello e abbandonando per un istante la sua proverbiale concentrazione. Immediatamente il volto di Clare gli si affacciò alla mente, fissato indelebilmente nella sua memoria e ancora una volta si stupì nel constatare come il pensiero di lei non lo abbandonasse un solo istante.

Clare era rimasta entusiasta di Monaco e si era ambientata con facilità nella nuova città. Spesso usciva con Martine a passeggio, andava a fare la spesa per impratichirsi nella lingua e gli aveva raccontato di aver visto l’annuncio di un vernissage di Andrew Binder, uno dei suoi pittori preferiti, presso una galleria del centro.

Adorava Ville Rose, il salone delle feste con i suoi magnifici vetri cattedratici, e trascorreva moltissimo tempo in giardino in compagnia di Martine e di Guerriero. Benji era rimasto stupito nel vedere come l’alano, di solito piuttosto diffidente, seguisse Martine e Clare come un’ombra protettiva durante il loro girovagare per i prati.

L’unico momento di imbarazzo era stato quando la sua riluttante fidanzata, dopo essere stata accompagnata nella camera padronale, aveva spiegato a Mrs. Bauer che avrebbe preferito avere una stanza tutta per sé. Sotto lo sguardo impassibile di Benji la governante aveva osservato con una punta di sconcerto che, con il matrimonio di lì a pochi giorni, quella sarebbe diventata la sua stanza ma Clare aveva insistito ostinata, il volto soffuso di rossore.

Era stato lui a troncare bruscamente la conversazione ordinando alla governante di preparare la camera da letto accanto alla sua, vicino alla nursery, e Clare aveva sospirato di sollievo rivolgendogli un pallido sorriso di ringraziamento.

Gli allenamenti erano iniziati con regolarità e i momenti da trascorrere in compagnia della sua futura moglie si erano ridotti a brevi e serene parentesi che entrambi dedicavano tacitamente a Martine come una qualsiasi coppia di genitori. Erano quelle le occasioni in cui Benji imparava a poco a poco a fare il padre e Clare partecipava marginalmente, lasciandogli spazio, osservando il legame sempre più saldo che andava a forgiarsi tra il campione e la figlioletta di pochi mesi. In quei momenti Clare abbassava la guardia, lasciandogli scorgere il lato gioioso del suo carattere, la sua timida esuberanza, e osava prenderlo in giro, scherzando dolcemente. 

La mattina quando si alzava presto per andare al campo di allenamento trovava Clare già in piedi, intenta a fare il bagnetto a Martine o a darle da mangiare e, a volte, complice l’atmosfera di intimità e la presenza della bambina, si scambiavano affettuosità senza un perché. L’umore facile all’ira di Benji era stemperato da quei piccoli gesti quotidiani e il luminoso sorriso di Clare gli faceva sembrare la giornata appena iniziata un po’ più luminosa.

Non vedeva più la paura annidata in fondo a quegli occhi di ambra splendente, quando gli permetteva di stringerla tra le braccia, ma era come se lei lo tenesse a distanza… come se in qualche modo avesse ancora paura di lui.

Ogni volta doveva riprendere ad attaccare le sue difese daccapo, per poi vederla abbandonarsi con il desiderio negli occhi ed infine strapparsi dalle sue braccia negandogli quella passione, quell’assoluzione che lui desiderava disperatamente.

A tarda sera sentiva i movimenti di lei nella stanza, mentre passeggiava per addormentare Martine o si preparava per andare a letto. 

Quante notti era rimasto sveglio al buio ascoltando il lieve mormorio della voce di lei che intonava una ninnananna attraverso lo spesso pannello del muro?

Più di una volta si era ritrovato a vagare per la casa in piena notte, ossessionato dal ricordo dei suoi baci, incapace di prendere sonno. La notte precedente, alla fine del suo vagabondare, si era ritrovato ai piedi del letto di lei a guardarla dormire e improvvisamente la consapevolezza di quello che stava facendo lo aveva attraversato come una scossa elettrica.

Si era catapultato fuori dalla stanza e aveva afferrato una giacca e le chiavi dell’auto

- Sto impazzendo. – aveva borbottato tra sé e sé mettendo in moto – Tutta questa storia mi sta facendo uscire fuori di testa. -

Aveva guidato in città per buona parte della notte, cercando di dare un senso al confuso groviglio dei suoi pensieri e poi era venuto direttamente al campo di allenamento, iniziando con cura meticolosa gli esercizi, cercando di stremare il corpo, annebbiando la mente.

Il calcio era sempre stato la sua valvola di sfogo, la sua carriera, l’unica cosa che non lo avrebbe tradito mai e a cui aveva dedicato tutta la sua vita, ma da un po’ di tempo sembrava non essere più sufficiente.

Non aveva mai pensato di poter provare un trasporto simile per una donna. Clare… così dolce, forte, fiera… così dannatamente attraente… così fragile…

Nel suoi baci c’era stato desiderio, un desiderio così bruciante e totale che gli aveva attraversato l’anima come una saetta e lo aveva sconcertato profondamente. Avrebbe voluto tenerla fra le braccia e affondare il volto nei suoi capelli, dare sfogo al bisogno che aveva di lei. Clare era entrata sotto la pelle, come un nemico sconosciuto e silenzioso, e aveva attaccato le sue difese demolendole una ad una, rompendo il preciso equilibrio a cui era improntata tutta la sua esistenza. Non era mai stato un uomo dalle emozioni facili e non era abituato a perdere il controllo di sé, ma quando le si trovava accanto non riusciva a dominare le sensazioni che gli nascevano dentro.

Aveva scombinato la sua vita in modo imprevedibile, aprendogli nuove prospettive, regalandogli Martine. Lo rendeva del tutto simile agli altri uomini, lo costringeva a confrontarsi con i suoi tormenti, con una coscienza che non sapeva neppure di possedere… lo faceva sentire bene. Ma in quella nuova dimensione aveva capito che avrebbe dovuto dare qualcosa di sé… che le regole del gioco e Clare stessa non gli avrebbero consentito di trattenere le emozioni, di non lasciarsi coinvolgere.

Avrebbe dato qualunque cosa per leggere negli occhi di lei quello che più desiderava… che non era soltanto un’illusione e, al contempo, avrebbe voluto allontanarla per sempre.

Essere amato da quella giovane donna stava diventando la sua ossessione, l’unica cosa importante della sua vita…

Lui, il SGGK, che aveva affrontato con noncuranza una sfida dietro l’altra e non era mai indietreggiato di fronte a nulla e nessuno, si era ritratto spaventato perché temeva che non sarebbe mai riuscito a farsi amare da lei.

Aveva paura… lui che non aveva mai avuto paura.

Già… perché per orgoglio non poteva permettersi di giocarsi il cuore.

- Per la miseria! – ringhiò a voce alta dando un potente calcio al pallone che schizzò lontano facendo voltare i compagni che si stavano allenando. Si scambiarono tutti uno sguardo un po’ stranito, temendo di trovarsi di fronte ad una delle sue leggendarie esplosioni di collera e Schneider lo fissò stupito, i penetranti occhi azzurri fissi sul portiere

- Non è il caso che te la prendi in quel modo – ribatté mentre il SGGK gli voltava le spalle – Era solo un goal… o forse non è per quello che sei così nervoso… –

Benji sussultò ma rimase in silenzio non sapendo cosa rispondere e Karl gli si avvicinò – E’ per Martine? – chiese abbassando la voce – Sai quando è prevista l’udienza per l’affidamento definitivo? -

Il SGGK lo fissò con uno sguardo penetrante – Ho risolto il problema. – affermò calmo – L’avvocato Kraser ha mandato per potare avanti le procedure per l’adozione. -

- Adozione? – Karl spalancò la bocca per la sorpresa – Vuoi dire che adotti la figlia di Liesel? -

Il volto del portiere era una maschera indecifrabile. Un secco cenno d’assenso.

Karl fissò l’espressione granitica dell’uomo e non poté frenare la domanda che gli premeva sulle labbra

- Sposi Erika? -

Un’occhiata fulminante lo trapassò da parte a parte e il Kaiser si rimangiò subito quelle parole affrettate

- Ok…chi è la fortunata, allora? -

- Non la conosci. -

Karl lo guardò perplesso, ormai abituato ai suoi modi imperscrutabili. Non aveva mai visto Benji Price preoccupato per una donna. Decise che doveva essere qualcosa di davvero importante.

- Va bene. Aspetterò di vederla con i miei occhi… quando? – chiese cercando di soffocare la curiosità.

- Giovedì pomeriggio. In Comune. Sii puntuale. -

La risposta brusca del portiere lo prese alla sprovvista e Karl si lasciò sfuggire dalle labbra un fischio stonato – Caspita, se avete fretta. – Poi vedendo l’occhiataccia di Benji cercò di rimediare – Non volevo dire che ci fosse niente di male – tenne a precisare – solo mi sembri parecchio nervoso. -

- Non è per quello. – Benji si asciugò il sudore dalla fronte, calcandosi in testa il cappello e nascondendo il viso al suo sguardo attento.

La comprensione si fece strada nella mente di Karl come un faro acceso all’improvviso

- Ah… allora non hai calcolato l’imprevisto. - Il tono di voce del Kaiser era calmo come se facesse una semplice constatazione ma i suoi occhi azzurri scintillarono divertiti – Non prendertela, sei un essere umano anche tu dopotutto. –

Benji lo fissò furibondo ma prima che potesse replicare il capitano del Bayern Monaco gli voltò le spalle e si allontanò dirigendosi al dischetto dei rigori

- Aspetterò di conoscerla per giudicare – gli urlò da dietro le spalle – Ma ora vediamo di darci una mossa, ho intenzione di perfezionare ancora il mio fire shot. -

A bordo del campo Edmund Langel si affiancò alla figlia nell’osservare l’allenamento e sospirò soddisfatto

- Sono certo che quest’anno faremo un ottimo campionato! – commentò 

Erika sbirciò il padre di sottecchi – Veramente pensavo che la tua ambizione per questa stagione fosse quella di vincere la Champions League. –

Il presidente del Bayern Monaco ridacchiò – Non ne parlo per scaramanzia, lo sai! – esclamò

- Già. – scosse la testa con leggera disapprovazione – Ma so anche che hai messo su una squadra che è davvero incontenibile. -

Edmund fissò la figlia – Si, Price e Schneider sono davvero quanto di meglio possa offrire la Bundesliga e i risultati con loro sono praticamente assicurati. Non vorrei mai che uno dei due decidesse di lasciare la squadra per passare alla concorrenza. –

- Si, infatti. – il tono di Erika divenne impaziente – Senti papà, sai qualcosa di come procede la pratica per l’affidamento di Martine Hauermann? Perché io… -

Lui sollevò una mano per interrompere il discorso – Questa vicenda ti sta molto a cuore. – osservò con tono sospettoso - Continui a volere che io mi interessi della faccenda ma, come ti ho già detto, questo è un problema che deve risolvere Price. Vorrei sapere perché la cosa ti interessa tanto. -

Il viso di Erika si stese in un sorriso compiaciuto mentre fissava lo sguardo sul SGGK impegnato in una parata

- Prima che Benji partisse per il Giappone abbiamo parlato di Martine e io gli ho detto che l’avrei sposato. -

Edmund Langel fissò la figlia come se le fossero improvvisamente spuntate due teste

- Si può sapere che cosa ti sei messa in  testa? -

- Voglio sposare Benji Price prima della fine dell’anno. – dichiarò calma – E tu mi aiuterai. -

Il viso del presidente del Bayern Monaco scosse il capo – Stai scherzando, vero? – poi rendendosi conto della determinazione della figlia divenne improvvisamente severo - Sai benissimo che non mi intrometto nella vita privata dei miei giocatori. -

Erika sospirò pesantemente - Si ma in questo caso non significherebbe proprio intromettersi. – spiegò cercando di persuaderlo -  Potresti solo aiutarmi a convincerlo che questa è la soluzione migliore. -

- No, è impossibile. -

Erika sgranò gli occhi verdi meravigliata dal suo tono duro. Suo padre che non le aveva mai negato nulla… proprio su questa cosa così importante faceva tanto il difficile!

- Non vedo perché… - iniziò seccata

Edmund la interruppe nuovamente con un gesto secco della mano – Devi smetterla di correre dietro a Price – chiarì seccamente evidando inutili giri di parole – Questo è solo un altro dei tuoi capricci. Non possiamo permetterci di perdere quel portiere per questo grillo che ti sei messa in testa. –

Erika raddrizzò la schiena offesa e sbirciò il padre imbronciata – Io non corro proprio dietro a nessuno. Lui ha bisogno di una moglie per ottenere l’affidamento di quella bambina e io… -

- Senti, Erika, il problema non si pone neppure. Price mi ha già annunciato che si sposerà presto con una ragazza che è venuta con lui dal Giappone. -

Erika boccheggiò sbarrando gli occhi - Si sposerà? – gracidò mentre il sangue le defluiva dal viso.

Il padre annuì lentamente – Me lo ha annunciato questa mattina assicurandomi che non ci saranno problemi per il campionato. – La guardò preoccupato – E’ uno dei nostri azionisti di minoranza e uno dei pilastri del Bayern e io non ho intenzione di rinunciare al miglior portiere che la squadra abbia mai avuto per i tuoi capricci. -

Lei scosse la testa ancora incredula. Benji Price aveva trovato una moglie! In Giappone per di più!

In quel momento Herr Browswer fischiò la fine dell’allenamento e fece un cenno di saluto al presidente del Bayern Monaco, il quale voltò le spalle al campo mentre i giocatori si dirigevano verso gli spogliatoi.

- Non angustiarti – le disse comprensivo, guardando il volto pietrificato della sua bella figlia – Benji Price è un uomo estremamente corretto, un grande campione, ma non è l’uomo giusto per te. Non è interessato a te e io vorrei che la mia bambina trovasse invece un uomo in grado di farla felice. Quando stamattina è venuto ad annunciarmi la sua intenzione di sposarsi mi ha riferito della conversazione che avete avuto prima che lui partisse per il Giappone. Era dispiaciuto che tu potessi aver in qualche modo frainteso le sue intenzioni. -

Erika distose lo sguardo dal viso del padre, incapace di emettere alcun suono. Quella notizia le era precipitata addosso all’improvviso e ancora stentava a razionalizzarne l’incredibile portata.

Suo padre le mise una mano sulla spalla costringendola a sollevare lo sguardo

- Non posso convincerlo a sposarti. E’ una scelta che spetta solo a lui. Se mi avesse chiesto la tua mano non avrei avuto nulla in contrario… ma così… -

Il volto di Erika da pallido si fece paonazzo.

Annuì lentamente e il volto del padre si fece più disteso.

- Brava la mia bambina. Sapevo che avresti capito. – Le diede un affettuoso buffetto sulla guancia e si avviò verso l’uscita del complesso sportivo – Ci vediamo questa sera a cena. -  

Erika non rispose e si voltò a guardare il campo da calcio deserto.

Una moglie! Giapponese per di più!

Non poteva essere…

Lei non poteva arrendersi in quel modo! Doveva parlare a Benji farlo ragionare!

Si avviò ansiosamente verso gli spogliatoi, i tacchi sottili delle sue scarpe che picchiettavano sul pavimento piastrellato del corridoio. La porta era socchiusa e oltre il pannello di formica le giungeva attutito il vociare dei calciatori sotto le docce. La stanza comune era deserta e il suo sguardo fu attratto immediatamente dall’armadietto aperto del SGGK. Si avvicinò silenziosamente osservando gli indumenti riposti con cura e con una mano sfiorò il sottile tessuto di cotone delle camicie di lui, impilate ordinatamente su di un ripiano.

Chi poteva essere la donna che lo aveva convinto a sposarla? Dove l’aveva incontrata?

La mente di Erika brulicava di interrogativi senza risposta e per un attimo sentì montare dentro una collera talmente grande da spaccare ogni cosa.

Cercò di calmarsi e prese a riflettere velocemente: non poteva affrontare Benji così su due piedi e chiedergli il resoconto dell sue scelte. Doveva prepararsi… studiare con attenzione la situazione. 

L’immagine di quella giovane ragazza bionda fotografata fra le sue braccia al termine della partita con la Corea le balenò alla mente come un lampo accecante. Era lei la misteriosa promessa sposa?

I rumori oltre il muro che separava la stanza dalle docce si fecero più vicini ed Erika si accorse che alcuni dei giocatori avevano terminato di fare la doccia e di stavano dirigendo verso i loro armadietti. Afferrò velocemente una camicia dell’uomo e si precipitò fuori dalla stanza, incurante dello sbattere della porta.

Doveva scoprire chi fosse la candidata a diventare la moglie di Benji Price o non avrebbe potuto fare niente per impedire quel matrimonio.

 

Il suono cristallino di una risata femminile penetrò attraverso le portefinestre aperte del salotto e per Erika quella fu l’ulteriore conferma della presenza di una donna a casa di Benji Price.

Del resto, quando quella mattina si era presentata alla villa, ad un’ora sufficientemente tarda perché il padrone di casa fosse già uscito, si era preparata all’incontro con la donna che, facendo uso di chissà quali arti femminili, aveva convinto Benji Price al matrimonio.

Mrs. Bauer l’aveva fatta accomodare senza esitazioni, invitandola a raggiugere la signorina Clare e Martine in giardino ed Erika aveva potuto osservare con un moto di stizza l’evidente contentezza della governante.

Le faceva rabbia pensare che quella donna, che Benji aveva cara e stimava, fosse così entusiasta della futura moglie del SGGK, quando a lei non aveva mai riservato niente di più di una tiepida accoglienza e del dovuto rispetto.

Facendosi schermo con una mano al sole brillante uscì sotto il porticato posteriore, ammirando il prato falciato di fresco e le aiuole ben curate della villa in cui era già stata ospite, assieme al padre, parecchie volte.

Fece un profondo respiro e raddrizzò per bene la schiena: aveva il vantaggio della sorpresa e sapeva che l’avrebbe colta del tutto impreparata.

Il suono di quella risata si ripeté, mescolato all’abbaiare felice di un cane e finalmente Erika poté vedere l’oggetto di tutte le sue considerazioni in piedi al centro del prato, voltata di spalle, con in braccio quella che doveva essere sicuramente la figlia di Liesel Hauermann.

Rimase colpita. Si era aspettata di trovarsi di fronte una giapponesina bruna e sofisticata ma i lunghi capelli biondi, raccolti in una semplice coda di cavallo, avevano sfumature tali che nessun parrucchiere al mondo sarebbe riuscito ad eguagliare. Era piuttosto alta e il fisico snello e flessuoso era vestito semplicemente con un paio di jeans e un largo maglione di cotone azzurro cielo.

Lanciò il bastone di gomma a Guerriero e l’alano scattò in avanti, stendendo i muscoli potenti. Il cane afferrò l’oggetto al volo e ritornò indietro caracollando, per poi posarlo ai piedi della donna che lo lodò generosamente.

Accortosi della presenza di un estraneo sotto il portico, Guerriero abbassò le orecchie ed emise un basso ringhio facendo voltare Clare per la sorpresa. 

Vide una bellissima donna bruna, abbigliata suntuosamente con un tailleur verde bottiglia bordato di pelliccia, in piedi, davanti alla portafinestra aperta.

- Buono, Guerriero. A cuccia. – Al suono morbido di quella voce dall’accento straniero l’alano si mise a sedere obbediente, mentre la giovane si avvicinava.

- Buongiorno – la salutò salendo le scale del portico con Martine in braccio.

Lo sguardo di Erika era incollato sul volto della donna che aveva di fronte, i biondi capelli leggermente arruffati, le guance un po’ arrossate dalla fretta che facevano apparire più chiari e trasparenti gli occhi dorati.

Era giovane, molto più giovane di quanto si sarebbe aspettata e, chiaramente, non era giapponese!

Per un attimo ristette in piedi impietrita, del tutto impreparata a quella vista, perché Clare era ciò che Erika più temeva: una giovane donna incredibilmente bella, dal fascino garbato e discreto. Le bastò una sola occhiata a Clare Miller per comprendere il motivo di quel matrimonio, la possibile infatuazione di Benji e ciò che poteva affascinarlo. La cosa la spaventò terribilmente.

Gli occhi dorati di lei la stavano osservando con aria interrogativa e sotto quello sguardo così diretto Erika ritrovò la voce – Sono Erika Langel – disse, continuando a scrutare attentamente la rivale – la figlia del Presidente del Bayern Monaco. –

Clare sorrise – Sono lieta di conoscerla, signorina Langel. Io sono Clare Miller. – si presentò tendendo la mano che l’altra afferrò meccanicamente – Mi dispiace ma, se voleva parlare con Benji, è già uscito per andare al centro sportivo. L’aereo per Amburgo parte alle dieci. -

Erika guardò esitante l’espressione di scusa sul viso della ragazza cercando di riacquistare un po’ di sangue freddo

- Per la verità signorina Miller sono venuta a conoscerla di persona. -

- Me? – Clare era genuinamente stupita ma fece cenno ad Erika di rientrare ed accomodarsi in salotto.

- Si proprio lei. – Erika sedette posando accanto a sé la borsetta e un pacchetto avvolto in carta marrone. Si spazzolò con aria assente il posino di visone della giacca, togliendo un invisibile peluzzo.

Clare le sedette di fronte sistemandosi in braccio Martine, che rideva agitando le manine, e ringraziò con un sorriso Mrs. Bauer che si era preoccupata di servire il tè alla loro ospite.

Erika accettò volentieri una tazza dell’infuso bollente ma la posò nervosamente sul tavolino con un leggero tintinnio, non appena la governante uscì con il vassoio.

Incontrò lo sguardo calmo della giovane donna e per un istante ebbe un’inspiegabile moto di indecisione nel leggere la fermezza presente nelle profondità dorate.

- Ero molto curiosa. – ammise.

- Davvero? – Clare notò meravigliata l’occhiata di valutazione della donna - Posso chiederle il perché? - 

Erika si strinse nelle spalle – Volevo vedere la donna che sembra essere riuscita a mettere il laccio al collo di Benji Price. –

Sentire definire in quel modo il suo rapporto con Benji la infastidì ma Clare le sorrise con gentilezza

- Riscontro la sua approvazione, signorina Langel? – chiese

Erika rise ma la sua era una risata priva di allegria – Non essere così formale, mia cara. - replicò un po’ incerta sul modo di procedere – Sei molto bella. – aggiunse quasi con riluttanza.

Clare la fissò, incerta su come interpretare la lusinga - Posso ricambiare il complimento? -

Erika annuì leggermente e si chinò a solleticare il mento di Martine – Ed ecco qui la figlioletta di Liesel – tubò con un sorriso – Certo che sei cresciuta, piccolina. Quando Benji ed io ti abbiamo portata a casa eri solo un frugolino. -

Clare non replicò ed Erika si ritrasse un tantino infastidita. Si batté l’indice contro il mento

 - Clare… Hai detto che ti chiami così, vero? Puoi chiamarmi Erika, dopotutto io sono un’amica di Benji da parecchio tempo. Almeno quattro anni, mi pare. -

La frase, che poteva essere banale e del tutto innocente per chiunque avesse ascoltato, suonò stonata e piena di doppi sensi alle orecchie di Clare

- Sono certa che allora continueremo a frequentarci – si costrinse a dire, evitando di guardarla in volto e mettendo fra le mani di Martine un animaletto di pezza. Di colpo si pentì di non aver indossato un abito più formale e di non aver curato di più l’acconciatura limitandosi ad una semplice coda. I capelli dell’altra erano acconciati alla perfezione, l’abito tagliato in maniera sapiente metteva in risalto il corpo proporzionato e procace. Disperata, Clare si sforzò di soffocare l’apprensione che l’aveva invasa non appena quella donna aveva iniziato a parlare.

Erika si accorse immediatamente dell’incertezza della ragazza e approfittò del vantaggio - Oh, sicuro. – gorgheggiò, chinandosi leggermente verso di lei – Dopotutto tu conosci Benji da così poco tempo… avrai bisogno di qualcuno che ti consigli, che ti illumini su quello che non gli va a genio e… - fece una pausa ad effetto - … sui suoi piaceri, anche. – Sorrise con sicurezza, incoraggiata dal silenzio della ragazza - Lo dicevo proprio ieri a Benji che questo matrimonio non cambierà nulla nei nostri rapporti. -

Clare la fissò, stringendo Martine e cercando di mantenere un’espressione serena, nonostante le sembrasse che una fredda lama le avesse appena trapassato il petto – Perché sei venuta a dirmi queste cose? – chiese con voce soffocata.

Erika rimase spiazzata dalla domanda – Non ho intenzione di rinunciare a Benji. -

Clare si sforzò di arginare il panico che l’aveva colta e guardò Martine che sedeva tranquilla rigirando il pupazzo tra le piccole dita. Alzò lo sguardo ad incontrare quello sicuro dell’altra, fingendo una sicurezza che in realtà non provava

- Allora non sei tanto diversa da me. Perché vedi… anch’io lo amo. -

Erika la fissò esasperata - Ma come puoi se lo conosci appena? -

La giovane si strinse nelle spalle – E’ successo. -

Erika si rimproverò di non essere più risoluta in quella faccenda e strinse il mento caparbiamente – Almeno abbiamo messo in chiaro le cose tra di noi. Per quanto mi riguarda questo matrimonio è una farsa e la tua presenza non cambia nulla. Presto se ne accorgerà anche lui e per allora mia cara farai meglio a trovarti un’altra sistemazione. – disse prendendo in mano la borsetta

Di fronte al suo sguardo sbalordito, si alzò in piedi di scatto e tese a Clare l’involucro marrone

- Per la verità sono passata anche per chiederti di restituire questa a Benji – aggiunse, lacerando la carta e mettendo in mostra una delle camicie dell’uomo, con il monogramma ricamato all’altezza del petto – L’ha dimenticata ieri e, insomma… - Erika finse un po’ di turbamento – Un simile indumento potrebbe essere molto compromettente considerando che adesso sta per sposarsi… -  

Clare prese meccanicamente il pacchetto, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla camicia e cercando di ignorare i pugnali che le stavano devastando il cuore

- Grazie – replicò cercando si simulare un po’ d’allegria – Sei stata molto gentile. Sono certa che Benji ti sarà grato. E’ stata una sbadataggine imperdonabile da parte sua. –

Erika annuì lentamente, stupita dalla fredda calma della ragazza e si avviò alla porta.

- Ci rivedremo presto. -

Pochi istanti dopo Clare udì il rumore dell’auto che sia allontanava nel vialetto ma rimase seduta sul divano, con Martine in braccio, immersa in mille pensieri che affollarono la sua mente creandovi un caos indescrivibile.

Non aveva mai neppure lontanamente immaginato che avrebbe dovuto affrontare una situazione simile… che Benji e quella donna potessero essere amanti. Non c’era da meravigliarsi perché Erika fosse tanto irritata dalla sua presenza e dal loro matrimonio, dopotutto era pur sempre lei l’estranea, non Erika.

Benji non le aveva forse detto che limitarsi a fare da madre a Martine sarebbe stato più che sufficiente?

Il matrimonio era solo un mero scrupolo per salvare le apparenze e tutto sarebbe andato avanti come prima.

Al colmo dell’infelicità sentì come se un peso incredibile le fosse gravato addosso e cercò di ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di traboccare. Con mano malferma accarezzò la testolina bruna di Martine e posò un bacio sulla piccola fronte, cercando di convincersi che non era importante, che non avrebbe mai dovuto aspettarsi nulla da qual matrimonio.

Tuttavia la gelosia è un verde mostro che divora l’anima e scoprire l’amore le aveva fatto conoscere anche il suo aspetto più doloroso.

Quando mezz’ora dopo Mrs. Bauer ripassò davanti alla porta aperta del salotto, Clare si trovava nella stessa posizione e alla governante bastò un’occhiata di sfuggita alla camicia spiegata sul tavolino per capire che doveva essere successo qualcosa.

Non era sua abitudine ficcare il naso nelle faccende dei padroni ma quella ragazza era così giovane e amava così tanto Martine. Si poteva ben capire perché il padrone se ne fosse infatuato e avesse deciso di sposarla, così, su due piedi, senza quasi sapere come si chiamasse. Eppure qualcosa fra loro sembrava non funzionare per il verso giusto.

Anne Bauer non si riteneva una persona dall’animo spregiudicato ma le sembrava strano che Clare avesse chiesto una camera tutta per sé a pochi giorni dalle nozze. Non solo… i due fidanzati non dormivano insieme e nei loro sguardi era del tutto assente quella felicità, quella trepidazione che accompagna un uomo e una donna che presto sarebbero diventati marito e moglie.    

Bussò alla porta del salotto e vide Clare sollevare da terra uno sguardo smarrito e pieno di dolore

- E’ arrivato questo. – disse tendendole un voluminoso pacco e facendo forza su se stessa per non intromettersi e consolarla. Sapeva che, qualunque problema lei e Benji Price avessero avuto, avrebbero dovuto risolverlo da soli.

Clare la guardò incerta – E’ per me? – chiese dubbiosa cercando di fare un pallido sorriso – Non sono sicura 

di volerlo aprire adesso. Ho già avuto abbastanza sorprese per oggi. -

Mrs. Bauer le sorrise comprensiva – Viene dal Giappone. E’ della signorina Gatsby. –

- E’ di Patty? – Clare tese Martine alla governante e si accinse ad aprire la scatola voluminosa alla quale era accluso un biglietto affettuoso.

Una decina di fotografie si sparpagliarono sul basso tavolino e una Patty e un Oliver raggianti le sorrisero felici, splendidi nei loro abiti da cerimonia.

La neo signora Hutton si diceva molto dispiaciuta che non avessero potuto assistere alla cerimonia nuziale e inviava a Clare un regalo per il suo imminente matrimonio, certa che prima o poi ne avrebbe fatto buon uso. Il tono del biglietto era così scherzoso e pieno di brio tanto che a Clare sembrò di avere Patty vicina e per un attimo provò un’acuta nostalgia dell’amica.

Dalla velina in cui era avvolta emerse una nuvola di impalpabile pizzo color avorio, e Clare trattenne il fiato di fronte alla camicia da notte più bella che avesse mai visto.

La tenne sospesa davanti a sé, mentre Anne si profondeva in esclamazioni di meraviglia, e vide che era talmente lunga da arrivarle quasi fino alle caviglie. Le maniche che si allargavano a campana erano fermate al gomito da nastri di seta, mentre la parte inferiore della camicia si apriva in morbide pieghe, tagliata appena sotto l’anca in uno spacco che avrebbe lasciato intravedere la linea della gamba. La scollatura intagliata terminava a punta, appena sotto il seno, ed era quanto di più audace e provocante potesse immaginare.

Era una camicia da notte concepita per una moglie, per una sposa, e come tale era studiata per accendere il desiderio di un uomo.

Nel suo biglietto Patty le consigliava di indossarla in una serata speciale, assicurandole che sarebbe piaciuta moltissimo a Benji la notte delle nozze.

A Clare sembrò quasi uno scherzo del destino ricevere in quel momento un simile dono e le lacrime traboccarono improvvisamente, senza che riuscisse a frenarle. Sotto gli occhi sconcertati di Anne Bauer ripose con cura la camicia nella sua carta protettiva, ora più che mai incerta del futuro.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Buona settimana a tutti voi!

Grazie mille per le recensioni e la costanza con la quale seguite Scent of hearts.

Io, Benji e Clare vi siamo molto, molto grati!

Aspetto tante recensioni per questo nuovo capitolo… vedo quasi la fine della storia… è un puntino luminoso, là in fondo al buio più totale… aiutatemi a non perderlo di vista!!!

Aspetto sempre critiche e consigli.

Un ringraziamento di cuore a Sanychan che anche in mezzo alle bufere dei suoi impegni riesce a seguire anche i miei deliri incoraggiandomi come solo lei sa fare.

Un abbraccio affettuoso

Julie

 

CAPITOLO XV

 

 

Cos’è l’amore?

Domandate a chi vive

cos’è la vita?

Domandate a chi adora

chi è Dio?”

(P.B. Shelley)

 

“La vita differisce da un dramma

solo perché non ha trama, tutto

è vago e incerto, sconnesso

finché non cala il sipario.

E il mistero rimane mistero.

( E.G.Bulwer- Lytton)

 

 

IL vernissage di Andrew Klaus Binder si teneva in una delle gallerie più prestigiose di Monaco e, vista la grande fama dell’artista, la sala delle esposizioni era gremita di gente.

Sembrava che tutto il mondo artistico della città si fosse dato appuntamento lì e, tra il pubblico che sorseggiava cocktails e si guardava attorno con aria annoiata, Clare poté scorgere critici famosi come Anne Gaunter e Frederick Sperner e artisti del calibro di Vassili Kresnac e Hans Brisk.

Aveva deciso di visitare la mostra la domenica pomeriggio e, approfittando del sonnellino pomeridiano di Martine, aveva lasciato la bimba in custodia ad Anne Bauer con la promessa che sarebbe rientrata presto.

Il tailleur blu scuro con i risvolti bianchi attorno al collo e ai polsi, che Patty l’aveva convinta ad acquistare quando ancora si trovava in Giappone, era perfetto per l’occasione e Clare aveva raccolto i lunghi capelli biondi in uno chignon, lasciando libere alcune ciocche ad incorniciarle il volto. Un tocco di mascara e un velo di lucidalabbra avevano completato magistralmente l’opera, tanto che quasi non riusciva a riconoscere, in quella giovane donna elegante, la piccola Clare Miller che aveva lasciato il Giappone solo una settimana prima.

Aveva preso la metropolitana, incurante degli sguardi di ammirazione che riceveva e si era recata alla mostra, cercando di dimenticare la visita di Erika del giorno prima. Era rimasta sconvolta dall’apprendere che Benji aveva un’amante lì a Monaco e ancora di più nel sapere che la donna in questione era la figlia del presidente del Bayern Monaco. Bellissima, sofisticata… come avrebbe potuto competere con una come lei?

In principio non era riuscita a spiegarsi perché Benji avesse deciso di sposare lei anziché Erika ma la risposta era giunta automatica: Erika non sarebbe mai stata una moglie accondiscendente e difficilmente si sarebbe occupata volentieri Martine e Benji in realtà non desiderava sposarsi… con nessuna!

essere sposato con te mi fornirà un adeguato riparo da tutte quelle donne ansiose, in caccia di un buon partito “ aveva detto a Kanagawa ed ecco il risultato di quel folle accordo: con quel matrimonio aveva comperato una madre per Martine e niente guai. La sua vita sarebbe proseguita come prima e questo comprendeva continuare a circondarsi delle donne che aveva sempre frequentato.

Ma lei… sarebbe riuscita a sopportare quell’assurda situazione?

Benji era partito per disputare un incontro di campionato con l’Amburgo e, nell’impossibilità di un confronto immediato e diretto, Clare si era rigirata nel letto per tutta la notte.

La mattina seguente aveva deciso che se non fosse uscita per qualche ora da villa Price sarebbe impazzita e il vernissage di Binder le era sembrata l’occasione adatta.

Aggirò la ressa attorno al tavolo dei rinfreschi e decise di iniziare a visitare la mostra dal fondo della sala, dove l’afflusso delle persone sembrava essere diminuito un po’. I colori che Binder usava per i suoi quadri erano uno spettacolare miscuglio cromatico che delineava forme e dimensioni in maniera incredibilmente surreale, facendo pulsare di vita la tela. Le sue modelle erano calde, erotiche, i visi che riflettevano lo stato d’animo, ora imbronciato ora ridente. Passò estasiata da un quadro all’altro, cercando di assorbire le immagini, lasciandole scorrere dentro di sé per evocare le emozioni che le trasmettevano.

- Le piacciono? -

Clare si voltò di scatto e si trovò davanti un alto uomo biondo, dalla corporatura snella, vestito elegantemente con una giacca di velluto e un paio di pantaloni scuri.

Annuì esitante – Sono molto belli. –

L’uomo le sorrise e le tese la mano – Jordan Steiner - si presentò

Clare si irrigidì un tantino e guardò la mano tesa con diffidenza poi gli strinse brevemente la mano

- Clare Miller – disse, spostando immediatamente lo sguardo sul dipinto che aveva di fronte.

Jordan non si perse d’animo di fronte all’apparente freddezza di lei e con un gesto del bicchiere indicò un quadro raffigurante un nudo di donna. I fiammeggianti capelli rossi dell’avvenente modella erano sparsi nell’erba e creavano un piacevole contrasto – Davvero notevole – commentò

Clare non rispose, sperando ardentemente che quel seccatore smettesse di importunarla e passò ad ammirare il quadro successivo.

I vivaci occhi azzurri di Jordan si soffermarono sulle fattezze della ragazza, ammirando in silenzio i lineamenti perfetti di quel profilo delicato e scorrendo sul corpo squisitamente delineato dal tailleur.

Era una vera bellezza e lui era certo di non averla mai incontrata a nessuno degli avvenimenti mondani che era solito frequentare eppure…

Aggrottò la fronte, scandagliando nella sua memoria… c’era in lei qualcosa di stranamente familiare che non riusciva a definire e Jordan non dimenticava mai un viso. Le si avvicinò di nuovo, cercando di ricordare

- Lei è una gallerista? – domandò dubbioso

Clare si voltò e Jordan non poté che osservare affascinato il bagliore dorato dei suoi occhi

- Herr Steiner, - la voce di lei benché gentile aveva un tono inflessibile e modulava le parole con un musicale accento straniero - Sono mortificata se le ho dato questa impressione ma non cerco compagnia. Sono venuta solo per ammirare la mostra. -

Detto questo Clare si voltò e si allontanò di alcuni passi fra la folla lasciando Jordan a fissare la sua schiena inebetito. Non gli era mai capitato di incontrare una donna che lo apostrofasse con una tale disarmante franchezza. L’urto involontario del gomito di una signora sulla sua schiena lo riportò alla realtà e si affrettò a farsi largo fra i visitatori

- Aspetti! Signorina Miller! -

Con un balzo superò il passo sostenuto di lei e le si mise di fronte – Aspetti, mi scusi – iniziò con un sorriso titubante – Non volevo essere importuno. -

Clare annuì lentamente e fece per oltrepassarlo ma Jordan la precedette – Mi permetta di farmi perdonare. – si scusò con un’espressione contrita sul bel volto, toccando con una mano la spalla di un uomo accanto a sé – Signorina Miller le voglio presentare Andrew Binder. -

L’uomo si voltò verso di lei e Clare si trovò a guardare il volto inconfondibile, dai tratti marcati, e dai penetranti occhi grigi del settantenne Andrew Klaus Binder

- Jordan sei sempre il solito spudorato dongiovanni. – il volto del maestro si aprì in un largo sorriso – Lascia in pace la signorina. – lo rimproverò bonariamente.

Jordan si fece da parte e gli attenti occhi grigi dell’artista si posarono sul volto di Clare, tendendole gentilmente la mano – Sono Andrew Binder, mia cara, e sono davvero molto lieto di fare la sua conoscenza.-

Clare gli strinse la mano rugosa e fu sorpresa dalla stretta sorprendentemente decisa

- Sono io ad essere onorata, maestro – mormorò emozionata

Andrew Binder osservò attentamente con l’occhio dell’artista i lineamenti raffinati della giovane donna e non vi trovò segni di adulazione o piaggeria nell’espressione entusiasta del suo volto

- Le piacciono i miei quadri? – domandò interessato

- Oh, si – gli occhi di Clare brillarono di piacere e sia il pittore che Jordan trattennero il fiato, storditi di fronte alla luminosità di quel sorriso – Sono bellissimi. Così pieni di vita, così incredibilmente palpitanti. -

Il maestro la scrutò attentamente - Sono molto contento che i miei dipinti incontrino il suo gusto, signorina Miller. Si intende di pittura? –

Clare arrossì leggermente – Veramente dipingo… un po’. – confessò quasi riluttante

- Benissimo - Andrew Binder era visibilmente compiaciuto mentre, passando di fronte ad un esterefatto Jordan, la pilotò con una mano sotto il gomito verso un lato estremo della sala – Allora forse potrà darmi una sua opinione di questi qui. -

Il maestro la condusse accanto ad una piccola parete dove una decina di quadri di medie dimensioni erano stati appesi senza alcun ordine apparente

- Ho sempre avuto l’abitudine durante le mie mostre di presentare un certo numero di quadri non miei, quadri di artisti sconosciuti che mi hanno colpito particolarmente. – iniziò Binder con un ampio gesto della mano – Guardi questo qui, ed esempio. – disse, indicando una tavola ad olio che ritraeva una bambina seduta, intenta ad avvolgere la lana di un gomitolo – Mi è stato prestato da un amico che l’ha acquistato ad una mostra durante un viaggio in Giappone. Appena l’ho visto ne sono rimasto folgorato. Guardi la purezza della linea, il tratto morbido… - le batté delicatamente il polso con un gesto un tantino paterno – è un quadro splendido ma non mi è stato possibile rintracciare l’autore… questo Millerc, così si firma, sembra che sia completamente fuori dal grande giro dei ritrattisti di fama eppure… -

Clare aveva osservato obbediente il dipinto indicatole me le era bastato uno sguardo per irrigidirsi impietrita. Non udì quasi i complimenti del maestro, né le lodi di Jordan.

Continuava a fissare in quadro, senza riuscire a distogliere lo sguardo.

Davanti a lei c’era uno dei ritratti che aveva venduto in Giappone ad una galleria alcuni mesi prima, quando ancora viveva al collegio di Mrs. Sommerson. Non sapeva chi lo avesse acquistato e adesso era appeso lì, in Germania, alla mostra di Andrew Binder! Non riusciva a crederci.

- Che cosa ne pensa, mia cara? – il pittore si era voltato sollecito verso di lei e si preoccupò immediatamente del suo pallore improvviso – Si sente poco bene, forse… - 

Clare scosse il capo– Sto benissimo. - mormorò ancora stupita. Poi sorrise, cercando di dissipare i timori del maestro – Non mi aspettavo di vedere uno dei miei quadri appeso in una mostra importante come la sua. – confessò ancora piena di meraviglia

- Vuole dire… - Jordan era rimasto folgorato – Lei è il pittore Millerc? -

Clare annuì – Ho iniziato ad usare questo pseudonimo perché è molto più facile vendere i dipinti se i galleristi ti credono un uomo. Non volevo ingannare nessuno. – spiegò con un sorriso di scusa.

Andrew Binder le prese entrambe la mani fra le sue – Ma è meraviglioso! – esclamò – Questo sì che è un segno del destino. Deve promettermi che tornerà a trovarmi, mia cara, e soprattutto che mi consentirà di esporre altri suoi quadri. -

- Certamente - Clare sorrise entusiasta - Sarà un grande onore per me. -

Il maestro si sostituì a Jordan in qualità di anfitrione e le illustrò le sue opere chiedendole un giudizio, commentando insieme la tecnica, e presentandola ai critici come l’autrice del Millarc che lo aveva tanto affascinato. A Jordan non restò altro che seguire la scia di quella incredibile donna che era apparsa dal nulla e sembrava aver stregato il celebre artista. Non aveva mai visto Andrew Binder tanto eccitato.

Un’ora dopo Clare si rese conto di quanto si era fatto tardi e si scusò con il maestro. Andrew Binder non volle sentire ragioni e dopo essersi fatto promettere che si sarebbero rivisti prima della fine della settimana le offrì la propria automobile per accompagnarla a casa, consentendo a Jordan di scortarla fino alla vettura.

- La aspetto presto – le disse stringendole la mano sottile in segno di saluto – Abbiamo molte cose di cui parlare. -

L’incontro con il famoso pittore era stata una sorpresa alla quale Clare non riusciva ancora a credere e acconsentì docilmente – Sarà un grande piacere per me venirla a trovare, maestro – 

Jordan la accompagnò fuori dalla galleria dove l’automobile di Binder la stava aspettando

- Non era così che immaginavo sarebbe finito il pomeriggio. – ammise tenendole aperto lo sportello

Lei sedette sul sedile posteriore della vettura con un pallido sorriso

- Non avrebbe potuto finire diversamente, Herr Steiner – ribatté seria – Comunque le sono molto grata per avermi presentato Andrew Binder. -

- Ahh… - le labbra di Jordan si allargarono in un sorriso – Allora ammette di essermi debitrice - le disse attraverso il finestrino aperto non appena lei si fu accomodata – Perché non acconsente a contraccambiare tenendomi compagnia questa sera a cena? - 

Clare scosse il capo con fermezza – Per sdebitarmi le regalerò un quadro. – disse con un bel sorriso – Lo lascerò alla galleria del maestro e lei potrà venire a ritirarlo. -

Jordan fece una smorfia – Non era proprio quello che volevo… - tenne a precisare

- Temo che si dovrà accontentare. -

- Lei è una donna molto egoista, signorina Miller – replicò lui con un sogghigno

Clare lo fissò con uno sguardo a metà tra il divertito e l’esasperato – E lei è un uomo davvero troppo insistente, Herr Steiner -

Jordan si raddrizzò tenendo una mano ancora posata sul bordo del finestrino

- Ci rivedremo? -

Lei scosse lentamente il capo – Credo proprio di no. Le auguro una buona serata –

Si chinò leggermente in avanti e diede l’indirizzo di casa all’autista. Jordan tolse la mano dal finestrino e osservò pensoso il profilo di Clare scomparire dietro il vetro azzurrato del finestrino della berlina. La sua mente fu attraversata da un’immagine folgorante e improvvisamente tutti i pezzi del mosaico si incastrarono perfettamente a comporre un’immagine definita.

Quel viso… osservò la vettura allontanarsi nel traffico. Meno di un mese prima aveva potuto ammirare quelle stesse delicate fattezze sulle pagine di una rivista scandalistica, mentre Erika andava su e giù per la sua stanza da letto farneticando dietro alla sua assurda infatuazione per quel portiere.

Clare Miller era… era Millerc, il pittore senza volto.

Poteva aver sentito male? No… certamente no.

Tutti conoscevano quel quartiere elegante, dove sorgevano le ville degli industriali, dei politici e delle personalità più in vista di tutta Monaco, ma Ville Rose era una delle dimore più belle, circondata da uno splendido parco, ed era inequivocabilmente l’abitazione di Benjiamin Price, il portiere del Bayern Monaco.

 

Quando Clare mise piede nel vestibolo erano quasi le sette di sera e l’oscurità era ormai calata da un pezzo ma la ragazza era ancora avvolta dalla nuvola di felicità che l’incontro con Andrew Binder le aveva regalato. Incontrò Mrs. Bauer in fondo alle scale, mentre si accingeva a salire per andare nella nursery da Martine, ma la governante la salutò appena, prendendole di mano la borsetta e sospingendola verso lo studio con un sospiro di sollievo

- Per fortuna siete arrivata, il padrone era molto preoccupato. -

Clare si impuntò un attimo, sorpresa dal tono preoccupato della governante – E’ successo qualcosa? Martine? – chiese mentre una morsa gelida di paura le stringeva il cuore.

Anne Bauer si fermò all’istante e sorrise per dissipare l’angoscia sul volto della ragazza

- Ma no! Assolutamente! La bambina sta benissimo. – Le strizzò l’occhio con fare complice – Solo… il padrone era in ansia perché non vi ha trovata qui al suo rientro dalla trasferta. Su, da brava, andate a tranquillizzarlo. – la invitò, riprendendo a sospingerla verso lo studio –- Salirete dopo a vedere Martine. -

In men che non si dica venne trascinata e lasciata sola di fronte al massiccio pannello di quercia che costituiva la porta dello studio. Si mordicchiò il labbro inferiore incerta.

Ammobiliata con pesanti mobili in noce intagliato, completamente rivestita di pannelli di legno e imponenti scaffalature quella stanza era l’unica, a Ville Rose, a rispecchiare perfettamente la personalità di Benji: oscura, dominante, impenetrabile. Era il suo rifugio prediletto, la tana del lupo, il suo sancta sanctorum personale.

Batté due colpetti in rapida successione e una voce dal tono irato tuonò un “avanti” da far gelare il sangue nelle vene. Scivolò silenziosamente all’interno della stanza illuminata fiocamente dalla luce di un’unica lampada e Guerriero, disteso a terra accanto al camino spento, alzò l’enorme testa in allerta.

Clare sussultò quando una sagoma imponente si alzò di scatto dalla poltrona, e si avvicinò a lei con lunghi passi adirati. Benji era ancora vestito con il completo scuro con lo stemma del Bayern Monaco ricamato sulla giacca, le larghe spalle squadrate che tendevano il tessuto della giacca.

Dopo averlo visto con addosso solo il costume da bagno, Clare sapeva che l’ampiezza delle spalle del SGGK non era frutto di alcun artificio e che le giacche gli venivano confezionare su misura, senza bisogno di alcuna imbottitura. In quel momento non riuscì a capire se fosse solo uno scherzo del suo cervello a farglielo apparire ancora più alto ed robusto.

Venne verso di lei, incombendo sulla sua figura minuta e riempendo velocemente il suo campo visivo, il volto quasi nascosto dalla tesa del cappello tirato sugli occhi. Dalla tensione dei muscoli delle spalle e dalla guancia, che fremeva furiosamente, Clare comprese che era furibondo e, per un istante infinitesimale, pensò irrazionalmente che l’avrebbe colpita.

Indietreggiò di un passo ma lui la afferrò poco gentilmente per un gomito e la sospinse al centro della stanza, costringendola sedersi su una poltrona, torreggiando su di lei

- Piccola sciocca – ringhiò, sovrastandola con tutta la sua furia - Si può sapere dove sei stata? -

Clare lo fissò fronteggiandolo, pallida e irrigidita, non riuscendo a comprendere il motivo della sua ira. Si  impose di smettere di tremare e trasse un profondo respiro

- Buonasera a te, Benji – lo provocò cercando di soffocare il tremito della voce – Come è andata la partita? Avete vinto? -

- Vinto un corno! – la collera di lui esplose come un vulcano e Clare sobbalzò, diventando se possibile ancora più pallida – Ti ho appena fatto una domanda ed esigo una risposta. Voglio sapere dove sei stata fino adesso! – urlò fuori di sé.

Rifiutando di farsi vedere spaventata, intrecciò le mani in grembo per nasconderne il tremito e fissò un punto lontano, oltre le spalle di lui

- Sono andata ad una mostra. – rispose compunta, cercando di apparire tranquilla e alzando il nasino per aria in un caparbio atteggiamento.

Benji si tirò indietro di scatto, ancora furibondo.

Osava sfidarlo! Quello scricciolo!

Un luccichio diabolico gli illuminò gli occhi, mentre l’attirava a sé con un unico gesto, il corpo asciutto e forte, enorme e minaccioso per le forme fragili della ragazza. Le diede una rapida stretta che le mozzò il respiro e rischiò letteralmente di stritolarla

- Sta bene attenta, bellezza – mormorò lui quasi dolcemente, il viso bruno chino sul suo -  Qui non si tratta di giocare a chi sia il più forte tra noi due. Anche se vorrei che tu non avessi dubbi sul risultato di una nostra eventuale sfida, ti ricordo che stiamo parlando della tua incolumità e ritengo in proposito di sapere assolutamente che cosa sia meglio per te. -

Bloccata da quella ferrea morsa, Clare gemette e pensò che quelle braccia come fasci d’acciaio avrebbero potuto frantumarla, se solo lui avesse intensificato di poco la stretta. Non riusciva quasi a respirare e poteva sentire il respiro bruciante di lui sul suo volto. Il contatto dei loro due corpi, delle solide cosce dell’uomo contro le proprie gambe tremanti era qualcosa di sconvolgente, eccitante e… pericoloso.

Meravigliata dal tradimento improvviso del suo corpo, stava per abbandonarsi a quelle sensazioni, quando l’immagine di Erika le balenò davanti agli occhi come un flash. Fu come una frustata in pieno viso che la fece rinsavire all’istante. Era diventata proprio come tutte le altre donne! Una delle tante ammiratrici che lo assedivano urlanti, che imploravano un briciolo della sua attenzione, lasciandogli speranzose il loro numero di telefono. Bastava un suo gesto, un solo cenno di quella testa orgogliosa, che lei era lì, pronta e disponibile. No… non poteva andare così… non poteva permettergli di maltrattarla e poi abbandonarsi fra le sue braccia! Doveva lottare contro qull’insano e divorante desiderio. Non voleva essere solo una delle tante!

Capitolò immediatamente, pur di mettere fine a quell’abbraccio soffocante.

- Non credevo di essere prigioniera in questa casa. – alitò, voltando il viso di lato per sfuggire al suo sguardo profondo, cercando di ignorare il piacere del suo corpo premuto contro quello di lui, solido come la roccia.

Benji scrutò attento il profilo delicato, stupito di quelle rapida resa. Aveva sentito il corpo di lei, prima morbido fra le sue braccia, irrigidirsi improvvisamente

- Non lo sei, infatti - ribatté allentando la stretta - ma questa non è Fujisawa. Qui siamo a Monaco e non è prudente per una donna andare in giro per le strade di notte e da sola. Potevi essere aggredita… o peggio. –La lasciò andare, consentendole di allontanarsi di qualche passo e ricomporre le sue straripanti emozioni. Nella mente dell’uomo si susseguirono le immagini angoscianti che lo avevano tormentato nelle ultime ore e la sua voce si ammorbidì un poco, mentre seguiva i gesti armoniosi di lei che lisciavano il tessuto gualcito dalla giacca - Promettimi che non farai mai più una sciocchezza simile. Ovunque tu voglia andare dirai ad Herbert di accompagnarti. -

Clare si rilassò un tantino e annuì leggermente, comprendendo finalmente la preoccupazione di lui

- Non lo farò più. – accondiscese, cercando di mettere insieme un sorriso. Il labbro inferiore le tremò un poco e Benji sorrise a quel debole tentativo

- La prendo come una promessa. – replicò, chinandosi ad accarezzare la grossa testa di Guerriero che stava seduto nervosamente sui posteriori, avvertendo l’umore teso del padrone.

Clare annuì - Comunque non ti devi preoccupare, avrei preso un taxi se Andrew Binder non mi avesse fatto accompagnare a casa con la sua automobile. -

Benji si voltò improvvisamente interessato – Binder? Il pittore? -

Clare annuì, stupita che anche lui lo conoscesse. – Si, come fai a saperlo? -

Lui le voltò la schiena, andando a versarsi una dose di liquore da una caraffa di cristallo - E’ famoso. – ribatté stringatamente.

Un lieve sorriso distese i lineamenti del volto di Clare, mentre si concedeva di ammirare non vista l’ampia struttura delle spalle di lui che si assottigliavano fino alla vita stretta. Era davvero un magnifico uomo e presto sarebbe stato suo… suo marito! E forse… forse con il tempo avrebbe iniziato ad amarla…

Si riscosse da quei sogni impossibili rimproverandosi mentalmente per quel desiderio irrealizzabile ma i suoi occhi rimasero accesi di una brillante emozione

- Sai una cosa? – mormorò sommessamente – Andrew Binder ha presentato alla sua mostra uno dei miei quadri e vorrebbe che gli consentissi di esporne altri. Non ho idea da chi si sia procurato il dipinto della bambina con il gomitolo. L’avevo venduto ad una galleria di Fujisawa mesi fa. -

Benji non replicò e si voltò verso di lei con il bicchiere di brandy in mano

- E tu cosa hai risposto? – chiese, facendo girare il liquore con un piccolo movimento del polso.

Clare rimase leggermente interdetta da quella domanda. Non riusciva a vedere lo sguardo di lui da sotto la tesa del cappello ma sentiva lo scorrere di quegli occhi scuri sul suo corpo come un’insistente carezza.

Si mordicchiò il labbro incerta - Ho accettato di incontrarlo di nuovo –- gli confidò un tantino imbarazzata – Anche se in realtà temo di non essere abbastanza brava da esporre con un artista del calibro di Andrew Binder -

- Lo sei. -

Il fondo timbro baritonale della sua voce le trasmise un brivido lungo la schiena e un caldo piacere le si diffuse attorno al cuore a quella lode inattesa.

Benji posò il bicchiere su un basso tavolino e si allentò la cravatta slacciando i primi due bottoni della camicia e passandosi stancamente la mano sul collo. In quel gesto Clare poté leggere la tensione che lo aveva tormentato e la fatica che adesso gli gravava improvvisamente sulle spalle. Era davvero un uomo enigmatico e Clare non riusciva ancora a capire cosa si celasse dietro quei suoi atteggiamenti di collera silenziosa, i suoi mutismi assoluti e gli sguardi imperscrutabili o, come poco prima, dietro quella furia incontrollabile.

Anche adesso, anche dopo aver permesso a Martine di entrare a fare parte della sua vita e avere iniziato ad occuparsene con una tenerezza che la lasciava stupefatta, non aveva mai abbandonato la gelida corazza sotto cui teneva sepolte gelosamente le sue emozioni più profonde e più vere.

Lo vedeva rinchiudersi volontariamente in una gabbia, fatta di orgoglio e solitudine… e rabbia.

Non ne conosceva il motivo ma una cosa era certa… Benjiamin Price aveva un cuore pieno di rabbia.

Si alzò dalla poltrona e si avvicinò a lui e, prima che egli potesse fermarla, alzò il braccio e con un gesto improvvisò gli sfiorò la fronte, facendo volare il cappello sulla poltrona.

Incontrò lo sguardo stupito di Benji e le traslucide iridi scure le bruciarono il volto con la loro intensità, prive, i quel momento, della difesa del cappello, calato a nascondere i pensieri di lui.

Prima che egli potesse alzare la sua maschera di impenetrabile indifferenza scorse tenerezza e preoccupazione nei suoi occhi e, annidato nelle oscure profondità, il desiderio.

Leggere la passione sul volto dell’uomo la inondò di una sconosciuta sensazione di potere e per un attimo la visita di Erika del giorno prima, le sue parole cattive e insultanti divennero solo un pallido episodio, sbiadito e superato dalla miriade di sensazioni che provava i quel momento.

Come poteva pensare a quello che le aveva detto Erika quando Benji la guardava in quel modo, con un desiderio incandescente acceso negli occhi scuri?  

Solo una settimana prima si sarebbe ritratta impaurita di fronte a quello sguardo di brace ma adesso, davanti al suo essere virilmente uomo, riusciva solo a sperare di diventare donna abbastanza da corrispondere l’ardore di lui.

La gelosia aveva affondato i suoi artigli e l’aveva aiutata a comprendere l’immensa portata dei suoi sentimenti. Lo amava e non avrebbe permesso ad Erika o a chiunque altra di portarglielo via.

Con un pizzico di sorpresa e di compiacimento si rese conto che stava crescendo, e molto in fretta.

Sotto lo sguardo meravigliato di Benji gli posò una mano sottile sul bavero della giacca, in un timido gesto confidenziale. Era la prima volta che lo toccava di sua spontanea volontà e sotto le sue dita le ampie fasce muscolari si contrassero al suo tocco e poté udire i forti battiti del cuore di lui farsi più rapidi.

La sorpresa giocò sul viso di Clare e un sorriso abbagliante distese i lineamenti di Benji, mentre la sua grande mano copriva quella di lei, trattenendola contro l’ampia distesa del suo torace come se volesse fonderla in esso.

Il portiere fece scorrere lo sguardo sul suo volto, soffermandosi sulle labbra morbide e leggermente dischiuse, e Clare lo stupì ancora una volta, alzandosi in punta di piedi, fino a sfiorargli le labbra con un rapido bacio.

- Grazie. La tua opinione è la più importante di tutte per me. – mormorò, facendogli scivolare la mano sulla mascella scolpita in una leggera carezza.

Bastò un attimo. Un breve attimo in cui il profumo di lei gli inondò i sensi, avvolgendolo tra le sue spirali, mentre il desiderio di prenderla fra le braccia gli faceva quasi piegare le ginocchia. Sentiva le labbra bruciare nel punto in cui quelle di lei lo avevano sfiorato e cercando di mantenere un minimo di controllo le posò entrambe le mani sulle spalle in una stretta delicata ma salda.

Clare lo aveva baciato spontaneamente e il piacere inatteso di quel gesto gli aveva acceso i carboni ardenti nelle vene. La voleva disperatamente ma voleva che anche lei lo desiderasse.

Di più. Voleva che lei lo amasse. Voleva vedere quegli occhi d’ambra pieni di pagliuzze dorate accendersi del fuoco dell’amore. Per lui. Solo per lui.

Le sfiorò la guancia con una mano, cercando di non perdersi negli abissi di quelle profondità, e tese il braccio oltre le spalle di lei verso un alto ripiano della libreria. Prima che Clare potesse dire qualcosa mise davanti ai suoi occhi un largo astuccio piatto di palissandro.

- Mancano solo quattro giorni al matrimonio e volevo che tu avessi questi. – disse rauco, facendo scattare il fermaglio.

Clare fissò in preda alla più completa confusione il filo di grosse perle, tutte perfettamente uguali, annidato in un letto di velluto blu scuro. La chiusura della collana consisteva in una perla scaramazza di un delicato color rosa, circondata da brillanti e, al centro del cofanetto, una coppia di perle, identiche a quelle della collana, erano montate su un supporto di platino e diamanti a formare un paio di orecchini.

Era nell’insieme quanto di più bello e prezioso Clare avesse mai visto

- Un regalo di nozze? Per me? – riuscì a chiedere, alzando lo sguardo fino ad incontrare quello di lui

Lo sguardo di Benji si addolcì di fronte all’incredulità di lei - E per chi altri acquisterei un simile dono, se non per mia moglie? – disse prendendo il prezioso girocollo e posando l’astuccio sul tavolo. La fissò intensamente, gli occhi scuri che scandagliavano irriverenti quelli dorati di lei – Ho pensato che le perle avrebbero avuto lo stesso bagliore della tua pelle – mormorò con voce arrochita

Le guance di Clare si tinsero di una sfumatura rosata al complimento e lo guardò mortificata – Io non ho nulla per te. -

Benji sganciò il fermaglio e fece dondolare la collana, liquidando con un breve gesto l’affermazione di lei – Sarai una madre meravigliosa per Martine e la più affascinante signora Price che si sia mai vista. -

Lei gli sorrise con un po’ di incertezza – Spero davvero per il bene di Martine che quello che stiamo per fare non si riveli un errore colossale. – mormorò cercando di soffocare l’apprensione

Lui non rispose e ristette davanti a lei in attesa. Clare capì che stava aspettando il suo permesso per aiutarla ad indossare la collana. Gli voltò le spalle e trattenne il respiro quando sentì le braccia dell’uomo circondarla per un istante e le sue mani calde sfiorarle la gola. Sentì il freddo delle perle contro la pelle e Benji armeggiò alle sue spalle con il fermaglio

- Riesci a chiuderlo? – bisbigliò lei, mentre un brivido di piacere le serpeggiava lungo la schiena al contatto delle dita di lui sulla nuca.

- Quasi – la voce di Benji aveva un tono divertito – Chiudere uno di questi affari è più complicato che parare un tiro di Schneider. -

Clare ridacchiò e inclinò il capo, sfiorandogli il mento con i suoi capelli. Il profumo di rose bianche lo circondò ancora una volta e una sferzata di desiderio gli incendiò i lombi.

- Fatto. -

Clare si voltò verso di lui con una piroetta - Come mi sta? – chiese scherzosa, inclinando leggermente il capo.

Benji la fissò: il sorriso di lei era così abbagliante che guardò appena la collana

- Benissimo. –

La castigata scollatura del tailleur era completamente inadatta al gioiello ma la vicinanza di Clare, il suo profumo e il suo dolce sorriso gli fecero affiorare alla mente provocanti immagini del suo splendido corpo, rivestito della sola collana e della sua gloriosa capigliatura.

Di colpo stare vicino a lei divenne insostenibile.

Fece schioccare le dita seccamente e subito Guerriero fu in piedi al suo fianco – Esco a fare due passi. Forse vorrai salire a vedere Martine prima che si addormenti. – borbottò senza guardarla in viso

Di fronte al suo sguardo sconcertato per il suo brusco cambiamento d’umore, le passò davanti senza attendere una risposta, chiedendosi per la milionesima volta come avrebbe fatto a resistere a quel matrimonio mantenendo intatta la sua sanità mentale.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Buonasera a tutti… eccomi qui con un nuovo capitolo, sentendomi immensamente buona perché sono leggermente in anticipo e perché ha deciso di aggiornare oggi dal momento che giovedì non mi sarà possibile.

Un saluto particolare a Luxy che ha scritto la sessantesima recensione a “Scent of hearts”.  Grazie mille!

Un ringraziamento anche a tutti coloro che oltre e lasciare una recensione sul sito di Erika mi incoraggiano con le loro mail piene di affetto e mi danno la carica giusta per continuare.

Un saluto affettuoso, un buon fine settimana e ad maiora!

Julie

 

 

CAPITOLO XVI

 

“ Sono giorni e notti

che la cerco

La sabbia è stanca delle mie impronte

Amore mio! Amore mio!

Disperato e solo grido, grido.

Grido sopra le pietre

Dai muri rotti del castello sul mare.”

( R. Alberti)

 

Solo pochissime persone erano state invitate a partecipare alla riservatissima cerimonia che si sarebbe svolta nel Comune di Monaco davanti all’ufficiale di stato civile. Uno di questi, Karl Heinz Schneider, aveva assunto un’espressione compiaciuta fin da quando il suo compagno di squadra gli aveva chiesto di essere il suo testimone alle nozze ed era estremamente curioso di conoscere la donna che sembrava mettere tanto in agitazione il SGGK.

Nella loro prima trasferta di inizio campionato era rimasto molto stupito dall’atteggiamento di Benji e aveva iniziato a provare una nuova forma di rispetto per il portiere. Al termine della partita, dopo aver cenato con i compagni per festeggiare la vittoria, aveva salito le scale, diretto in camera sua, ignorando volutamente la splendida rossa che gli si era letteralmente buttata fra le braccia.

- C’è proprio cascato questa volta. – Karl sorrise, adocchiandone il volto tirato – Questa Clare deve averlo stregato, senza che neppure lui se ne accorgesse. - 

Benji gli scoccò un’occhiataccia e si passò nervosamente una mano sulla fronte prima di ricordarsi indispettito, per l’ennesima volta, che quel giorno non indossava il suo inseparabile cappello. Gli era servito tutto il suo autocontrollo per impedirsi di cancellargli, a suon di pugni, quel sorrisetto ebete dal volto e il capitano tedesco aveva continuato indisturbato a gironzolare nella sala delle cerimonie del Comune in attesa della sposa, con l’aria compiaciuta del gatto di fronte ad una ciotola di panna.

Con una mossa degna di un grande stratega, l’avvocato Kraser si era premurato di estendere l’invito al matrimonio del SGGK anche al giudice Leumann e, non appena il magistrato era giunto in Municipio, si era appartato in sua compagnia vicino alla finestra, in attesa della sposa. Anita Leumann era rimasta piacevolmente sorpresa dell’invito e si era detta molto felice di poter conoscere in anteprima la neo-signora Price, in un occasione che non fosse l’udienza per l’affidamento definitivo della piccola Martine. Entrambi  i cultori di legge sapevano che la prima impressione che Clare avesse fatto avrebbe sicuramente contribuito a formare la decisione dell’illustre giudice in favore dell’adozione definitiva.

In un angolo Mrs. Bauer teneva in braccio la piccola Martine, abbigliata in un delizioso vestitino di lana bianco e rosa. La piccina avvertiva la trepidazione del momento e ogni tanto si lasciava sfuggire qualche gridolino emozionato, agitando i piccoli pugni e sorridendo felice all’espressione corrucciata dell’alto uomo bruno in piedi accanto alla finestra.

Mark Lenders era il testimone della sposa.

Aveva ricevuto la telefonata di Benji dalla Germania mentre si trovava in ritiro con la Juventus, a Torino, in attesa di partire per la Gemania per disputare una partita di Champions League con il Bayern Leverkusen e, all’inizio, non aveva capito molto bene chi si trovasse dall’altra parte del filo - Price?! – aveva mormorato incredulo.

- In carne ed ossa, Mark, scusa se ti ho disturbato ma è piuttosto urgente. – aveva replicato stringato il portiere.

- Cosa diavolo vuoi, per telefonarmi addirittura qui? – Lenders era rimasto scioccato dalla telefonata – E’ successo qualcosa? – chiese preoccupato. La risposta negativa di Benji lo rassicurò – Allora spicciati, dimmi perché mi hai chiamato. Devo ancora finire gli allenamenti e domattina devo prendere un maledetto aereo! -

- Ho bisogno che tu mi faccia un favore quando verrai in Germania per la partita. -

- Sicuro. – sul viso di Lenders era apparso un ghigno ironico – Sono qui per questo. -

- Sposo Clare, giovedì pomeriggio, nel Comune di Monaco e lei bisogno di un testimone. -

Lenders era caduto dalle nuvole.

- Mark? -

- Un testimone? Perché proprio io? – aveva mormorato stordito.

Dall’altro capo del filo aveva sentito Price sbuffare sonoramente – Perché a lei farebbe sicuramente piacere e perché sei l’unico in questa maledetta parte di mondo che detesti la stampa e i fotografi più di me e quindi so per certo che terrai la bocca chiusa! – era stata la replica esasperata prima che riattaccasse.

Mark era scoppiato a ridere mentre abbassava incredulo la cornetta del telefono.

A pensarci bene gli scappava da ridere anche adesso nel vedere il grande SGGK lanciare uno sguardo impaziente all’orologio che portava al polso.

Al contrario di Schneider, però, si teneva a debita distanza dal portiere, limitandosi a scoccargli ogni tanto un’occhiata compiaciuta. Non credeva che Benji avrebbe raccolto i suoi suggerimenti in così breve tempo ma era pienamente convinto che l’amico stesse facendo la cosa più giusta.

Benji controllò per l’ennesima volta l’ora e si lasciò sfuggire un sospiro.

- Ansia da sposo novello?- Schneider gli era giunto alle spalle di soppiatto e lo guardava gongolante con le mani dietro la schiena.

- No. - Benji avrebbe voluto strozzarlo – Sto solo constatando che è in ritardo. - disse cercando di mantenersi calmo – Ho mandato l’auto a prenderla più di un’ora fa. -

Mark li raggiunse e Karl strizzò l’occhio allo sposo – Non essere impaziente, avrai tutta la vita davanti per stare con lei. – ridacchiò, mentre anche sul volto della Tigre si apriva un largo sorriso.

Benji stava rimpiangendo amaramente la scelta dei due testimoni, cercando con lo sguardo una buca dove infilarli entrambi, quando lo sguardo di Schneider si perse oltre le sue spalle in direzione della porta e sul volto gli apparve un’espressione di completo stupore.

- Santo Cielo, Price… - riuscì a mormorare.

Benji si voltò di scatto e gli ci volle tutto il suo autocontrollo per non rimanere poco elegantemente a bocca aperta. Clare era entrata in quel momento nella sala e aveva subito un’altra delle sue imprevedibili e mirabolanti trasformazioni. Al posto della ragazzina, in jeans e maglione, che aveva visto quella mattina giocare nel prato davanti casa con Guerriero e dare il biberon a Martine, seduta attorno al tavolo della sua cucina, vi era una giovane donna bionda, con i capelli perfettamente acconciati, abbigliata con sobria eleganza. 

L’abito a maniche lunghe, di lana color crema, le arrivava appena sopra il ginocchio e disegnava perfettamente il suo corpo snello, scoprendo un paio di gambe da capogiro. Una cintura di roselline di seta sottolineava il vitino da vespa e i medesimi fiori le erano stati infilati tra i capelli, che Mrs. Bauer aveva raccolto e intrecciato in un elegante chignon. Le scarpe di raso a tacco alto avevano lunghi nastri intrecciati attorno alle caviglie sottili e uno scialle di lana, ricamato in tinta, era appoggiato sulle sue spalle. Tra le mani reggeva un piccolo bouquet di orchidee purpuree che Benji le aveva fatto recapitare quella mattina assieme al vassoio della colazione, in omaggio alla tradizione che i fiori non potessero mai mancare ad un matrimonio.

Era talmente bella da togliere il fiato.

- Scusate per il ritardo, c’era un po’ di traffico... – La voce era bassa, poco più di un sussurro, e il suo viso era soffuso dal rossore dell’emozione, ma nei felini occhi d’ambra Benji poté leggere chiaramente la paura. Quando si avvicinò e prese la mano sottile di lei fra le sue, si accorse che tremava.

Clare trasse un profondo respiro, cercando di tenere a bada l’ansia che le lievitava dentro. Il volto di Erika le balenò nella mente, doloroso come una stilettata, e lei lo respinse con forza, cercando di concentrarsi sulla mano che copriva le sue dita gelide. Avrebbe voluto girarsi e scappare, dichiarare il proprio rifiuto a quella che chiaramente era una farsa ma i suoi piedi sembravano aver messo radici. Le sue dita erano imprigionate nella mano grande e calda di lui, in una stretta che non tradiva incertezze. Cercò con lo sguardo il volto placido e sereno di Martine e si convinse che stava facendo la cosa più giusta per la bambina ma, ciò nonostante, non riuscì a scrollarsi di dosso i timori per quell’unione.

Il celebrante guardò entrambi con aria interrogativa e Benji annuì

- Procediamo. -

Giurarono, nella sala delle cerimonie del Comune di Monaco, di essere marito e moglie.

A Clare tremava leggermente la voce per l’emozione mentre Benji pronunciò la formula di rito con voce ferma e chiara. Si chiese se fosse il frutto della sua immaginazione, o se mano di Benji era veramente scossa da un lieve tremito, mentre le infilava all’anulare della mano sinistra una sottile vera d’oro bianco tempestata di diamanti. Lui aveva scelto di non portare anelli.

Udì appena la solenne dichiarazione finale dell’ufficiale di stato civile e Benji le sfiorò la guancia per attirare la sua attenzione – E’ finita, Clare. –

Clare sentì la fascia preziosa pesare al suo dito come una catena che le era impossibile spezzare ed improvvisamente realizzò l’enormità del passo che aveva compiuto.

Era sua. Era la moglie di Benjiamin Price.

- Finita? – chiese come stordita.

- Si, certo. La parte noiosa, per lo meno. -

- Vuole baciare la sposa? – chiese il sindaco sorridendo.

Schneider, Lenders e gli altri presenti applaudirono ma il sorriso di Benji era asciutto e privo di qualunque scintilla di allegria – Adesso comincia la parte interessante. –

Al ricevimento di nozze erano presenti poco più di dieci persone e, a poco a poco, con l’avanzare della serata gli invitati lasciarono Ville Rose per consentire ai novelli sposi di godersi un po’ di intimità.

A causa degli impegni di campionato e dell’udienza per l’adozione, Benji e Clare avevano deciso di rinunciare, di comune accordo, a qualsiasi viaggio di nozze fittizio ma Mrs. Bauer si era impegnata perché la cena del loro matrimonio, per quanto intima e riservata, fosse un’occasione di festeggiamenti all’altezza di qualunque raffinata aspettativa. Il salmone in crosta, accompagnato da verdure al burro, era così tenero che si scioglieva in bocca. C’erano le crudités e non mancavano neppure gli uccelli ripieni di mele e uva passa e guarniti con il cerfoglio. Lo champagne era stato servito come aperitivo per il brindisi di rito e le cameriere avevano avuto l’ordine di tenere sempre pieni i bicchieri degli ospiti.

Nessuno aveva pensato a procurare una vera e propria torta nuziale ma al termine della cena era stata servita come dessert una deliziosa creme brulé e anche Martine aveva gradito un assaggio della morbida crema che Clare le aveva pazientemente imboccato.

Il giudice Anita Leumann era rimasta letteralmente conquistata dalla giovane sposina, lasciandosi andare a complimenti sommamente lusinghieri. Il giudice del Tribunale dei Minori aveva deciso che Clare Miller Price era una madre decisamente più che affidabile per la piccola Martine Hauermann e una splendida moglie per un uomo come Benjiamin Price. Erano una coppia di una bellezza impressionante: lui così alto, bruno e muscoloso, lei flessuosa e dorata come un’antica dea nordica ed entrambi sembravano legatissimi alla piccina.

Anita Leumann ricordava perfettamente il suo primo incontro con Benji Price alcuni mesi prima e, da come il campione aveva messo ordine nella sua vita, doveva riconoscere che si era attenuto scrupolosamente a quelli che erano stati i patti dell’affidamento temporaneo. Si era sposato, aveva creato una situazione sentimentale stabile e adesso mancava solo la sua decisione in merito a quella vicenda.

Ormai l’udienza di adozione della bambina sembrava diventata solo una mera formalità. Erano già una famiglia a tutti gli effetti.

- Anche se è contrario alle regole, mi sembra che questa sia l’occasione ideale per comunicarvi che ormai ho preso la mia decisione in merito all’adozione di Martine – aveva commentato il giudice accomiatandosi dalla coppia – E ritengo che voi due possiate davvero la famiglia di cui questa bambina ha bisogno. Congratulazioni signori Price, state per diventare genitori a tutti gli effetti. -

Clare aveva accolto con immensa gioia la notizia, stringendo le mani del giudice fra le sue, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime di gratitudine, dimostrando al magistrato, seppur ce ne fosse ancora bisogno, quanto Martine fosse importante in quell’unione. Benji aveva ringraziato il giudice per la bella notizia e aveva stretto la mano all’avvocato Kraser, pienamente soddisfatto per la conclusione dell’intera vicenda.

Mark Lenders era ripartito per l’Italia subito dopo la cerimonia, non potendo trattenersi più a lungo a causa degli impegni di campionato, ma prima di salire sul taxi diretto all’aeroporto aveva omaggiato Benji di un discorsetto che aveva lasciato il SGGK senza parole.

- Non so se ti meriti un simile tesoro – aveva affermato la Tigre, in piedi, di fronte all’automobile che lo attendeva con il motore acceso – Ma poiché Clare non ha parenti e sono stato praticamente io a suggerirti di sposarla mi sento in dovere di dirti che se la farai soffrire dovrai vedertela con me. E’ una donna speciale. Vedi di meritartela. -

Benji sorrise brevemente nell’oscurità del suo salotto facendo girare il ghiaccio che aveva nel bicchiere, pieno per metà di liquore. La casa era ormai silenziosa e solo brevi rumori soffocati gli giungevano dal piano di sopra dove Clare era salita per addormentare Martine. Lo aveva lasciato di stucco vedere un uomo privo di sentimentalismi come Mark Lenders prendere le difese di Clare come avrebbe dovuto fare un fratello maggiore.

La gentilezza di lei e la sua apparente fragilità risvegliavano l’istinto di protezione degli uomini e anche la Tigre non era rimasta immune dal suo fascino discreto.

Adesso la sua “moglie speciale” era di sopra insieme a quella che era diventata da poche ore la loro figlia a tutti gli effetti, mentre lui si trovava da solo a pianterreno.

Sorrise amaramente di se stesso.

Avrebbe dovuto essere soddisfatto, aveva raggiunto il suo scopo: una madre per Martine, una moglie e niente guai.

Eppure in tutta quella faccenda c’era qualcosa che non quadrava, un’inquietudine interiore che non lo lasciava completamente tranquillo. Posò il bicchiere panciuto sulla mensola del caminetto del salotto e si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, cercando di scacciare quella strana sensazione.

Niente della sua vita sarebbe cambiato… doveva solo andare avanti come prima, concentrandosi sulle sue mete. Aveva dato un nome e una madre a Martine ed era più di quanto Liesel gli aveva chiesto, più di quanto lui stesso potesse sperare di trovare in un così breve tempo.

Tuttavia…

Sapeva che niente sarebbe stato davvero come prima. Perché a prescindere da tutti i buoni propositi e dalla sua proverbiale impassibilità si era infatuato della sua giovane moglie come uno scolaretto di dieci anni che quasi non ha l’età per andare da solo da casa a scuola.

Non potendo più tergiversare, salì al piano di sopra, pienamente consapevole di andare a distendersi, di fronte alla sua ritrosa mogliettina, in quel letto di spine che lui stesso si era tanto accuratamente preparato con le sue mani.

La porta della nursery era aperta e Benji vide la ragazza china sul lettino di Martine, intenta a rimboccarle le coperte. Indossava ancora l’abito nuziale ma aveva sciolto i capelli che ora le ricadevano sulla schiena come un manto di seta dorata. Clare percepì la sua presenza e si voltò con un sorriso, facendogli cenno di avvicinarsi

- Si è addormentata di botto – sussurrò piano, mettendosi un dito sulle labbra per raccomandargli di parlare a bassa voce – E’ stata una giornata molto intensa anche per lei -

Benji osservò il visino da angioletto della bimba e le sfiorò la testolina bruna con una leggera carezza

- Non è da tutti assistere al matrimonio dei propri genitori. -

A Clare sfuggì una risatina – E’ vero. – concordò, continuando a guardare Martine addormentata – Mi sento così fortunata ad avere lei... – gli confidò con un sorriso, lisciando la copertina di lana bianca e rosa.

Benji si voltò a sbirciarla di sottecchi, quasi a soppesare la verità contenuta nelle sue parole, e si irrigidì trattenendo il fiato. Sui lineamenti di Clare c’era un’espressione d’amore materno così intenso che quasi gli sembrava che il sentimento fosse divenuto palpabile. Si rifletteva nella piega appena accennata delle sue labbra leggermente dischiuse, nel luccichio dei suoi occhi, nella curva della sua guancia levigata e illuminata dalla morbida luce della lampada.

Non poteva credere che lei fingesse. Lui non aveva mai conosciuto uno sguardo simile negli occhi di una donna. Non aveva mai visto gli occhi di sua madre accendersi di quella luce.

- Sei felice, Clare? -

Lei sollevò su di lui i fumosi occhi ambrati e annuì impercettibilmente – Martine è la gioia più grande della mia vita e ti sarò sempre grata per avermi permesso di essere sua madre. -

Il volto di lui era cupo - Anche se questo significa essere sposata con me? – le parole gli sfuggirono dalle labbra e a Clare sembrò che fossero velate da una profonda amarezza. 

Trasse un profondo respiro, mentre sentiva le sue guance imporporarsi per l’emozione e il cuore farle le capriole nel petto. Capì l’importanza di quella risposta: era il momento per gettare le basi del loro futuro insieme.

Non poteva esitare, non adesso. Chiamò a raccolta tutto il suo coraggio.

- Non vorrei essere sposata con nessun altro, Benji. – mormorò sommessamente, pregando fervidamente che lui non riuscisse a sentire i battiti tumultuosi del suo cuore, che capisse cosa significava per lei aver pronunciato quelle parole.

Attese una sua replica. Invano. Alla fine non riuscendo più a resistere sbirciò il viso di lui e per un attimo vide un’espressione di intensa sofferenza sul bel volto bruno. Una sofferenza antica, come qualcosa di mai dimenticato.

Quando lui, sentendo il suo sguardo, voltò il capo, sul suo volto non c’era nessun sorriso… solo quella maschera impenetrabile.

Clare si sentì trafiggere il cuore come una stilettata e il batticuore di poco prima divenne un tonfo pesante  e doloroso proprio al centro del petto.

Perché aveva quello sguardo così distante?

Che cosa aveva detto di sbagliato?

Essere sposato con te mi fornirà un adeguato riparo da tutte quelle donne ansiose, in caccia di un buon partito “.

Benji non voleva una moglie che lo tediasse con inutili discorsi sull’amore e sulla devozione!

E lei con quella frase aveva supposto che fra loro potesse nascere un’intesa sentimentale che lui non voleva, né cercava! Non voleva il suo amore, la voleva come donna nel suo letto, senza complicazioni e senza la certezza di un domani insieme.

Con la morte nel cuore e gli occhi bassi per la mortificazione Clare si scostò da lui e gli voltò le spalle allontanandosi.

Suo malgrado gli occhi dell’uomo vennero attirati dal lieve ondeggiare dei fianchi di lei sotto la morbida stoffa di lana del vestito. Seguì affascinato il movimento e la fiamma del desiderio si accese immediatamente nei suoi occhi scuri. Il muscolo iniziò a fremere sulla guancia abbronzata e Benji si affrettò ad uscire dalla stanza ben sapendo che se fosse rimasto nulla avrebbe potuto fermarlo da prenderla fra le braccia.

Riscuotendosi dal suo torpore Clare andò a frugare nel mobile vicino alla finestra. Aveva ancora un compito da portare a termine quella sera, poi avrebbe potuto ritirarsi nella sua stanza e dare libero sfogo al nodo di dispiacere annidato in fondo ala suo cuore. Aprì l’ultimo tiretto di un basso cassettone e per un attimo fece scorrere la punta delle dita sul tessuto damascato giallo con il quale aveva rifasciato l’album dalle sottili pagine pergamenate. Raddrizzò la schiena e si voltò, tenendo stretto al petto il volume, scoprendo che Benji aveva abbandonato la nursery in silenzio e si era ritirato nella propria stanza da letto.

Senza pensarci troppo a lungo spinse la maniglia della porta e lo seguì, varcando la soglia con il suo dono in mano.

Non era mai entrata prima di allora nella camera da letto dell’uomo e con l’occhio d’artista ne ammirò la superba combinazione cromatica, unita al sapiente uso della pelle e del legno. Era arredata con massicci mobili in mogano scuro, nei colori del blu e del grigio e nell’insieme era imponente e seria come l’uomo che la occupava. Un enorme letto era stato posto contro la parete occidentale, rivestito di un pesante copriletto damascato blu scuro, sul quale spiccava il biancore delle lenzuola di lino smerlato, ripiegate in maniera invitante. Alle pareti erano appesi quadri rappresentanti bellissimi paesaggi nordici ma il posto d’onore, sopra un settimanale francese dallo splendido pianale in marmo nero e azzurro, era stranamente vuoto. Un chiodo era stato accuratamente piantato nel muro e la sagoma di una tela di modeste dimensioni scuriva leggermente la tappezzeria grigia.

Doveva essere una tela che a Benji piaceva particolarmente, vista la posizione che le aveva riservato e, aggrottando leggermente la fronte, Clare si chiese il motivo di quella mancanza. Mrs. Bauer dirigeva la casa del SGGK con scrupolosa precisione e forse il quadro era stato rimosso semplicemente per essere ripulito.

Si mordicchiò il labbro inferiore in preda all’incertezza. Non sapeva come fare a vincere l’atteggiamento scostante di lui che, in quel momento, era in piedi, accanto alla finestra, con le mani dietro la schiena quasi si trovasse in equilibrio sul ponte di una nave. Non le era mai le era apparso così freddo e distante. 

Si era liberato di giacca, cravatta e panciotto e aveva gettato tutto alla rinfusa su una sedia accanto al letto, rimanendo in maniche di camicia. Le ampie spalle muscolose tendevano il tessuto candido, facendo risaltare la struttura imponente del suo fisico scultoreo, mentre osservava il giardino immerso nel buio.

Sarebbe stato molto più semplice optare per una saggia ritirata ma Clare strinse caparbiamente la mascella: non poteva rinchiudersi in quei suoi terribili silenzi ogniqualvolta sentiva minacciata la propria indipendenza! Si sedette sul bordo del letto e attese pazientemente che lui si voltasse, ignara del conflitto che si agitava nella mente dell’uomo. Passarono lentamente i minuti e finalmente Benji si decise a lasciare la sua posizione accanto alla finestra.

Si voltò e il sorriso dolce e un po’ esitante di Clare lo colpì allo stomaco come un pugno.

- Io… volevo darti il mio regalo di nozze. – gli disse tutto d’un fiato tendendogli l’album voluminoso che lui non aveva neppure notato – Spero che ti piaccia. -

Lui tese il braccio e prese meccanicamente il dono, mentre il sorriso che lei gli offriva in quel momento era in grado di sgelare i ghiacci e condurre alla perdizione anche l’uomo più morigerato.

- Grazie. – mormorò guardando appena l’oggetto che aveva fra le mani – Non era necessario. -

Lo sguardo di Clare si accese da una luce birichina – Ma non lo guardi neppure? – chiese indicando il pacchetto che lui continuava a rigirare tra le mani.

Benji sedette accanto a lei sul letto e il materasso si affossò sotto il peso della sua mole imponente. Il profumo di Clare era talmente delicato e sfuggente da essere appena percepibile e lui dovette fare uno sforzo enorme per non voltarsi e tendere le mani verso quel volto di porcellana e affondarle nel  torrente di seta dei suoi capelli.

L’album rivestito di damasco giallo oro era un poco più grande del normale ma i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa quando iniziò a scorrere il contenuto delle sottili pagine di pergamena.

Al posto delle fotografie erano stati inseriti splendidi ritratti di Martine, fatti al carboncino oppure con i pastelli ad olio. Il viso della bimba era stato riprodotto con precisione assoluta da una miriade di angolazioni diverse, ora sorridente, ora addormentata, ora mentre agitava le manine strette a pugno o cercava di afferrare un dito che le veniva offerto. Martine in braccio a Patty sulla spiaggia, al mare, nella casa di Kanagawa, a Mrs. Bauer nella nursery della villa in Giappone, a lui stesso mentre giocavano con un piccolo animale di pezza. Martine che sorrideva orgogliosa mostrando il primo dentino, che tendeva il braccino paffuto verso l’enorme muso di Guerriero, sul seggiolone alle prese con le prime pappe, distesa prona sul tappeto a tentare di muoversi a gattoni. Martine a tre, quattro, sei, otto mesi.

In uno degli ultimi ritratti Clare aveva disegnato se stessa, il suo volto accostato a quello sorridente della bimba. Con una sensibilità e un talento eccezionali aveva riportato sulla carta, come tante istantanee, immagini della bambina e delle persone che le erano state accanto in quei mesi.

- E’ bellissimo. – il tono di Benji era di reverente ammirazione mentre sfogliava lentamente i ritratti.

Le guance di Clare si colorarono leggermente per il piacere del complimento – Davvero ti piace? – chiese.

Benji annuì – E’ uno splendido regalo. – affermò con convinzione – E sarà anche un meraviglioso ricordo per Martine, quando sarà cresciuta. -

Lei sorrise contenta – Sono molto felice. – gli disse guardandolo in volto.

Benji si sentì perso nelle profondità ambrate degli occhi di lei – Posso ringraziarti? – le chiese in un sussurro.

Il cuore di Clare prese a battere furiosamente e istintivamente si irrigidì mentre gli dava il suo consenso con un leggero cenno del capo.

Il viso di Benji si chinò a pochi centimetri dal suo e lei poté percepire distintamente l’aroma amarognolo della colonia di lui. Chiuse gli occhi e i suo corpo fu attraversato da un lieve tremito quando la guancia dell’uomo, leggermente ruvida per via della barba, sfiorò la sua e le sue labbra si posarono sulla sua pelle per un lungo interminabile attimo. Le sfuggì un lieve gemito.

A Benji si era stretto il cuore nel vederla irrigidirsi in attesa del suo bacio e, facendo molta attenzione, le si era accostato, attento a toccare il suo viso solo con le labbra. Il lieve gemito di lei lo colse di sorpresa. Staccò un poco il suo volto da quello di Clare e la vide sorridere leggermente con gli occhi chiusi, il respiro irregolare.

Si fermò a guardare emozionato la squisita bellezza dei lineamenti di lei e incoraggiato da fatto che non si fosse ritratta o non avesse mostrato disgusto le fece scorrere le labbra lungo la linea della mandibola, fino ad arrivare all’angolo della morbida bocca teneramente dischiusa. Le labbra di Clare fremettero al contatto con quelle calde e ferme di lui mentre il calore che aveva già provato accanto Benji le sbocciava nel petto come una rosa rossa dai petali scuri. Nella sua mente una vocina la metteva in guardia a fare molta attenzione a scatenare le oscure passioni dell’uomo ma la sensazione delle labbra di lui sulle proprie era talmente inebriante da farle gettare al vento ogni precauzione. Mosse istintivamente le labbra contro quelle di lui e Benji dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non cedere ai propri impulsi e spingerla giù sul letto. Le sue mani affondarono nella massa dorata dei capelli apprezzandone la ricca consistenza mentre le sue labbra accarezzavano sensualmente il tepore di quelle di lei. La sua timida risposta gli accese il sangue e con tenera fermezza esplorò languidamente la calda cavità della sua bocca, l’aroma della menta e del rosmarino del suo dentifricio, la sua incredibile dolcezza. La sua lingua si mosse stuzzicando, lusingando, stimolando la sua passionalità di donna e Clare gli si abbandonò, rispondendogli istintivamente, travolta dal desiderio che lui aveva saputo scatenare.

Con un sospiro rotto Benji si ritrasse e la vista di lei con le labbra umide e lievemente dischiuse, il respiro affannoso e lo sguardo pieno di completa meraviglia fu quasi troppo per lui.

Il suo corpo reclamava a gran voce quello di lei ma voleva che anche Clare arrivasse a desiderarlo con la sua stessa intensità. Fece scorrere di nuovo le mani nei suoi capelli in una lunga carezza rassicurante

- Mettimi il braccio intorno al collo. – la istruì con voce rauca mentre le sue mani scivolavano dietro la schiena di lei.

Clare obbedì e le sue dita si infilarono tra i capelli neri dell’uomo accarezzandogli gentilmente la nuca. Benji abbassò nuovamente il capo e le prese le labbra in un bacio pieno di squisite promesse e di una brama selvaggia. Si lasciò cadere sul letto trascinandola con se e le sue braccia cinsero nodose lo snello corpo di lei avvicinandolo e plasmandolo contro il proprio, duro e irrigidito dal desiderio. Vide un lampo di paura sfrecciare negli occhi di Clare quando l’enorme mole del suo corpo la sovrastò per un attimo e il tempo rimase sospeso fra loro, mentre faceva scorrere lo sguardo sul bellissimo volto di lei acceso dal desiderio. Con il respiro spezzato si rovesciò sulla schiena, tenendola stretta fra le braccia, in modo che fosse quasi completamente distesa sopra di lui come una calda coperta.

Il contatto con le soffici curve del suo corpo fu esplosivo. Staccò le labbra da quelle di lei e affondò il volto nei suoi capelli aspirandone il profumo di rose bianche che lo ossessionava, cercando di riguadagnare un minimo di controllo.

Clare ansò per la sorpresa ma ben presto iniziò ad apprezzare il contatto con quel corpo potente appoggiato contro il proprio. Aprì gli occhi e fece scorrere leggermente le mani sulle ampie spalle dell’uomo, sentendo ammirata, sotto le proprie dita, le ampie fasce muscolari che si contraevano al suo timido tocco. Benji trattenne il fiato al leggero contatto delle dita di lei che lo sfioravano e le sue mani si mossero sulla sua schiena in lunghe e sensuali carezze, facendo scorrere verso il basso la cerniera lampo del vestito.

Le sue carezze si insinuarono tra il lembi aperti della stoffa, accarezzando la liscia levigatezza della schiena, facendole scivolare l’abito giù dalle spalle, curvandosi attorno alla vita sottile. La sua bocca prese quella di lei in un bacio fiero e divorante, che bruciò ogni difesa e annullò ogni resistenza, esigendo una risposta, trascinandola nel baratro della passione che lui stesso aveva alimentato.

Le accarezzò i fianchi snelli, scivolando ai lati del seno con un tocco indugiante, sfiorando quella pelle serica coperta solo dalla  lieve pellicola di seta della sottoveste.

La giovane tentatrice tra le sue braccia lo assecondò, esercitando una gentile pressione sulla sua nuca, impedendogli di ritrarsi, andandogli incontro, rispondendo ad ogni suo bacio con fervore appassionato.

Facendo appello ad un ultimo brandello di autoconservazione Benji staccò le labbra da quelle di Clare e la tenne stretta, cercando di ignorare il battito frenetico del proprio cuore ed il corpo morbido che teneva tra le braccia. – Dobbiamo smettere. – sussurrò con voce sofferta facendole appoggiare il capo contro la propria spalla – Se non vuoi dividere il mio letto, Clare, dobbiamo smettere, qui e subito. -

Completamente persa e vinta dai suoi baci, Clare giaceva con la mano posata sul petto muscoloso dell’uomo, incapace di comprendere che cosa fosse successo. Sotto il suo palmo poteva sentire il folle battito del cuore di lui mentre il suo respiro le fluiva sui capelli. Non sapeva cosa dire.

I suoi timori erano svaniti, spazzati via dalla passione e dal desiderio che Benji aveva saputo suscitare, e lei non poté fare altro che contemplare piena di meraviglia quelle emozioni e quei sentimenti che aveva appena iniziato ad assaporare.   

- Perché? – la sua voce era poco più di un bisbiglio.

Benji capì che si stava riferendo a quello che era successo tra loro ed emise una risatina che suonò come un sigulto. Già…perché? Perché quell’esplosione di sensi appena la sfiorava? Che cosa aveva di speciale quella ragazzina da ridurlo in quello stato: pieno di brama e di desiderio di lei, soltanto di lei?

Fin dal giorno in cui l’aveva conosciuta aveva saputo che Clare era speciale: coraggiosa, sensibile, dolcissima … Ora era lì, tra le sue braccia, abbandonata come un’innocente dea dorata.

Che cosa poteva dirle? Che era la donna giusta al momento giusto?

- Non lo so. – il suo tono era aspro e sofferto – A volte succede. -

Lei sospirò leggermente, accettando la risposta di lui come un dato inconfutabile e poi sollevò lo sguardo fino ad incontrare le traslucide profondità. Benji lesse nei suoi occhi l’emozione, lo stupore e il turbamento della sua risposta appassionata e dovette fare un terribile sforzo per costringersi a scioglierla dal suo abbraccio. Scostò a fatica le mani dal corpo di lei e si alzò in piedi stringendo i pugni nelle tasche dei pantaloni e voltandole le spalle per nascondere ai suoi occhi le prove evidenti del suo desiderio scatenato.

- Vai a dormire, Clare. – la sua voce era un rauco sussurro – Vai nella tua stanza, fino a che sono ancora sotto controllo. -

Lei si alzò con le gambe tremanti dall’emozione e tese la mano verso di lui sfiorandogli il braccio

– Benji , io … -

L’uomo sussultò al suo tocco e Clare poté vedere il suo volto, bello e severo, irrigidito nel tentativo di controllarsi. – Vai via! – le ordinò aspramente – Se rimani, un semplice no potrebbe non essere più sufficiente. –

Con il volto soffuso dal rossore Clare raccolse i lembi del suo vestito abbassato fino ai fianchi e i piedini calzati nelle raffinate scarpine di raso volarono leggeri attraverso la stanza chiudendosi la porta alle sue spalle con un tonfo. Si rifugiò nella quiete della sua camera da letto, il respiro irregolare e il corpo acceso dai baci e dalle carezze ma anche dopo che si fu appoggiata con le gambe tremanti allo stipite della porta le parve di udire una risata da ragazzaccio, un po’ sguaiata, provenire attraverso lo spesso pannello di quercia.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


Buonasera a tutti i lettori della mia ff.

Mi scuso per il piccolo ritardo nell’aggiornamento e spero che anche questo capitolo incontri il vostro gradimento.

Ci stiamo avviando al termine della mia ff… ancora pochi capitoli. Devo dire che mi sono affezionata tantissimo a questi Benji e Clare e che probabilmente mi mancheranno un po’.

Quello che era iniziato come un semplice esperimento che si sarebbe dovuto concludere più velocemente si è invece sviluppato praticamente da solo grazie anche ai contributi e ai consigli di tutti coloro che mi hanno sempre scritto e recensito. Vi sono molto, molto grata.

Come sempre debitrice a Sanychan per la sua infinita pazienza.

Un saluto affettuoso a tutti

Julie

 

 

CAPITOLO XVII

 

Ti dirò uguale ad un giorno d’estate?

Più temperanza tu hai: più dolcezza:

i molli bocci sferza il vento al maggio

e l’estate ha scadenze troppo brevi.

Talor l’occhio del cielo a dismisura

arde, e si vela il dorato sembiante,

e per sorte o mutevole natura

pur inclina ogni cosa bella e cade.

Ma la tua estate eterna non scolora

e non si priverà di tua bellezza,

non ha vanto su di te la morte, l’ombra,

quando al tempo tu cresci in versi eterni.

Finché l’uomo avrà occhi, avrà respiro,

vive la mia parola e in lei sei viva.”

(W.Shakespeare)

 

 

Clare scostò un ricciolo ribelle dalla guancia e sollevò con una certa fatica la tela pesante posizionandola sul cavalletto al centro del salotto.

Era sposata con Benji da quasi tre settimane e, dopo quello che era successo la notte delle nozze, si era come stabilita fra loro una specie di tregua temporanea, dettata dalla necessità incombente dei pressanti impegni professionali di lui.

Tra partite di campionato, ritiri, trasferte e l’inizio della Champions League si erano visti poco o niente e, quando lui era a casa, Clare lo vedeva dirigersi immancabilmente verso la nursery e prendere fra le braccia Martine, ricolmandola di attenzioni. Intuiva che in lui albergasse il timore di non riuscire ad essere abbastanza presente nella vita della bambina a causa del suo lavoro che lo portava spesso lontano. Osservava con il cuore gonfio di tenerezza i momenti che il campione trascorreva con la figlioletta pur non riuscendo a trovare il momento adatto per rassicurarlo e approfondire quell’aspetto della loro vita.

Benji era tornato a casa per poche ore per partecipare all’udienza per l’adozione definitiva di Martine e come già preannunciato dal giudice Leumann, la sentenza si era rivelata una mera formalità e, da quel momento, Martine poteva forgiarsi ad ogni buon diritto del nome dei Price ed era diventata la loro figlia a tutti gli effetti.

Clare seguiva i successi del portiere attraverso lo schermo televisivo e, quando le telecamere dei commentatori si spostavano ad inquadrare il volto bruno del SGGK, provava una calda sensazione di piacere sapendo che lui era suo marito e che, forse, in un futuro non lontano avrebbero formato una vera famiglia.

Si era già resa conto da molto tempo che, quando Benjiamin Price si cacciava in testa l’idea di ottenere qualcosa, non era facile dissuaderlo. In effetti si dimostrava di una perseveranza ostinata, non venendo mai meno al fine che si era proposto, fino ad ottenere ciò che si era prefissato attraverso un’incrollabile fermezza. Quando Clare scoprì che adesso era lei, la sua spontanea e volontaria risposta, la cosa che Benji si era proposto di ottenere, comprese di camminare ogni giorno sempre di più sul filo della resa totale.

Lui era lì, in attesa che lei varcasse la soglia della sua stanza, che gli donasse tutta se stessa.

Benji non si era mai impegnato verbalmente a rassicurarla che non l’avrebbe usata come un semplice capriccio e Clare restava sempre piuttosto incerta e riluttante a fidarsi delle sue attenzioni amorose. Aveva già sperimentato quanto il desiderio ardente di lui fosse in grado di farle gettare al vento ogni prudenza, riducendo al sua volontà ad un mucchietto di cenere inconsistente, e i tentativi di Benji di sedurla si facevano sempre più ardenti e decisi. L’uomo non tentava neppure di dissimulare il fatto che voleva portarsela a letto o che considerava sua moglie al pari di una sua proprietà che poteva toccare con noncuranza a suo piacimento. Entrava e usciva dalla sua stanza indipendentemente che fosse vestita di tutto punto o completamente spogliata e rideva spudoratamente dei suoi tentativi di coprirsi. I loro incontri erano colmi di una tensione sottile, di un desiderio serpeggiante così intenso che Clare temeva, prima o poi, che sarebbero giunti ad un punto di rottura.

A volte, di notte, si svegliava di soprassalto, riconoscendo una lunga ombra accanto al suo letto, e quelle che si delineavano sullo sfondo delle finestre illuminate dalla luna erano inequivocabilmente le larghe spalle nude di Benji.

La mattina della sua partenza per il ritiro Clare era scesa in vestaglia prima dell’alba per auguragli buon viaggio e lui l’aveva stretta tra le braccia e aveva chinato l’orgogliosa testa bruna per baciarla con bruciante desiderio, facendole scorrere velocemente il sangue nelle vene

- Ci sarà un ricevimento della società, venerdì prossimo – aveva mormorato rauco con il volto affondato nei suoi capelli – Vorrei che tu mi accompagnassi. -

Clare aveva annuito con il respiro corto dal piacere del suo abbraccio e, quando Benji si era staccato chinandosi a raccogliere da terra la borsa sportiva, aveva sentito le braccia dolenti e vuote. Con amore aveva percorso le ampie spalle, il capo protetto dall’immancabile berretto e la nuca di lui coperta da arruffati riccioli scuri.

Lo sguardo ardente dell’uomo l’aveva percorsa un’ultima volta, facendola fremere

- Ci vediamo direttamente alla festa, allora. -     

Gli occhi dorati di Clare gli avevano sfiorato il viso come una carezza – Fa buon viaggio. -

Lui l’aveva fissata brevemente, come per dire qualcosa, poi si era voltato era salito sulla Jaguar nera parcheggiata ai piedi della scalinata.

Clare era rimasta a seguire con lo sguardo l’automobile che si allontanava lungo il vialetto e si era stretta le braccia attorno al corpo, avvertendo l’incredibile immediata sensazione della sua assenza.

Clare tese la mano e con occhio esperto raddrizzò la tela esponendola ad una luce migliore. Alcuni giorni prima era ritornata alla galleria portando con sé uno dei suoi ritratti e Andrew Binder si era detto profondamente entusiasta all’idea di arricchire la mostra. Il maestro aveva insistito per vedere un numero maggiore di quadri, in modo da poter selezionare insieme quelli che Clare sarebbe stata disposta a vendere. Visti gli impegni del famoso artista la neo sposina lo aveva invitato a Ville Rose per il tè e, sapendo quanto lui fosse sbadato, si era accordata con la segretaria perché ricordasse al maestro quell’impegno.

Aveva appena terminato di sistemare il quadro quando Andrew Binder entrò nel salotto accompagnato da una Anne Bauer particolarmente sorridente.

- Dia pure a me, maestro –

La governante prese il soprabito dal braccio dell’uomo trattandolo con una familiarità alla quale il pittore sembrava abituato.

- Grazie, Anne – ringraziò cortese facendole l’occhiolino – Vedo che viaggiare le dona parecchio. Siete sempre più affascinante. –

Le guance della governante si colorarono di un rosa inteso al complimento

- E voi siete sempre un adulatore, Herr Binder. – replicò sorridendogli con complicità – Adesso vedo di portare a lei e a questa bella signora una tazza della mia migliore cioccolata. – disse sparendo in un lampo, diretta in cucina.

Il maestro si voltò verso Clare ed entrò nel salotto salutandola con un ampio gesto del braccio

- Ecco qui la mia piccola, Clare! Come stai cara? – disse schioccandole sulle guance due sonori baci. La ragazza venne letteralmente travolta dall’entusiasmo dell’uomo, mentre lui le metteva un dito sotto il mento e si protendeva a scrutarle il viso con finta intensità

- Sto bene, Andrew – replicò lei ridendo e sottoponendosi alla sua minuziosa ispezione

- Direi che il matrimonio ti giova decisamente – affermò con gravità il maestro, sedendosi sul divano – Sei sempre più bella. Ma dimmi, dov’è tuo marito? -

Clare alzò leggermente le spalle - Benji è in trasferta per una partita di Coppa e credo che rientrerà per la fine della settimana. Domenica prossima il Bayern gioca in casa, qui a Monaco. –

Andrew Binder annuì soddisfatto e Clare lo guardò con aria interrogativa

- Non sapevo che lei conoscesse mio marito, Andrei. - 

Il maestro la guardò con attenzione – Sono stato ospite in questa casa parecchie volte. – replicò gentilmente

- E’ un amico di famiglia? -

- Se così si può dire… - Andrew Binder venne interrotto da una sorridente Mrs. Bauer con il vassoio del tè e solo dopo che la governante uscì dalla stanza riprese il discorso - Conosco la famiglia Price da molto tempo, addirittura da prima che Benji nascesse. Sua madre, Catherine, è una grande esperta d’arte. -

Clare aguzzò le orecchie a sentire parlare per la prima volta della famiglia del marito e stette in silenzio, quasi aspettando che l’artista continuasse, ma già l’attenzione del maestro si era spostata sulla tela che lei aveva posizionato sul cavalletto

- E’ bellissimo mia cara. – disse ammirando il prato verde in cui dei bambini giocavano spensierati – E’ solare, allegro, pieno di vita. –

Clare accettò con garbo il complimento ma non era disposta a lasciare perdere quell’argomento. Il mucchio di interrogativi che le affollavano mente avevano bisogno di ordine e, se possibile, di una risposta sincera.

- Mi dica, Andrew, dove si trova adesso la madre di mio marito? Vive qui a Monaco? -  

I penetranti occhi grigi dell’uomo la fissarono al di sopra dell’orlo della tazza – Sono parecchi anni che Catherine e suo marito William, vivono a Londra. Benji non ti ha mai parlato di loro? -

Clare scosse lentamente il capo – Solo un breve accenno. All’inizio credevo che non avesse più i genitori… come me. -

Andrew la guardò stranamente serio – Non sono mai andati molto d’accordo, per qualcosa che è successo molto tempo fa, quando Benji era solo un ragazzino. Freddy Marshall è sempre stato il suo tutore, prima in Giappone e poi quando è venuto a giocare qui in Germania. – spiegò.

- Vuole dire che Benji non ha mai vissuto con i suoi genitori? – chiese incredula

L’artista posò la tazza sul basso tavolino e intrecciò le mani sul ventre prominente – Non che io sappia. Comunque dubito che ti capiterà mai di incontrarli. Benji li evita come la peste e, conoscendolo, non credo neppure che li abbia informati del vostro matrimonio. -

Clare si mordicchiò il labbro inferiore incerta – Mi chiedo come prenderanno la notizia.– replicò un tantino sgomenta

Andrew le batté gentilmente il polso – Fossi in te non mi preoccuperei troppo, mia cara. Catherine sarà felicissima nel sapere che il suo scapestrato figliolo ha finalmente messo la testa a posto e non vedo come William potrebbe lagnarsi di una nuora come te. Per quanto i loro rapporti con Benji siano molto deteriorati ti assicuro che sono due persone deliziose. -

- Pensa che sappiano di Martine? -

Andrew Binder inarcò un sopracciglio cespuglioso, provocando lo sconcerto di Clare – Tu cosa ne dici? -

- Non posso credere che Benji si rifiuti di parlare con i propri genitori – mormorò stupita – Io ho perso i miei in un incidente, quando ero molto piccola e darei qualsiasi cosa per poterli riabbracciare. Non riesco a spiegarmi il motivo di un atteggiamento così cinico.

II maestro le sorrise gentilmente – Forse riuscirai a fargli cambiare idea, mia cara. - 

Fu il turno di Clare di inarcare le sopracciglia bionde, provocando la scrosciante risata del famoso pittore

- Lo so, lo so. Benji non ha quello che comunemente si può definire un buon carattere ma è un uomo di solidi principi e credo che tu abbia un forte ascendente su di lui. -

Vedendola incerta si protese a stringerle gentilmente la mano – Che ne dici di dare un’occhiata ai tuoi quadri? -

Clare annuì e passarono la mezz’ora seguente ad ammirare le tele scegliendo quelle che avrebbe voluto vendere e scartandone altre. Al termine della selezione Andrew osservò soddisfatto la dozzina di quadri di svariate dimensioni che avrebbe provveduto a far trasportare nella galleria.

Clare accarezzò l’orlo di una cornice di un grande ritratto quasi a togliere un invisibile granello di polvere

- Vorrei chiederle una cosa, Andrew, se per lei non è un problema. -

Il maestro si distrasse dalla contemplazione ammirata di un dipinto ovale, raffigurante una coppia di gattini che dormivano su di un davanzale, e le sorrise gioviale

- Puoi chiedermi tutto quello che vuoi, mia cara. –

Clare tentennò leggermente – Ecco… io vorrei sapere come è entrato in possesso del quadro della bambina con il gomitolo. -

La fronte del pittore si corrugò un tantino – Come mai ti è venuta questa curiosità? –

Clare si strinse nelle spalle – Non credevo fosse qui in Europa - rispose con disarmante semplicità – L’avevo venduto solo alcuni mesi fa ad una galleria di Fujisawa e pensavo fosse stato comperato da un acquirente giapponese. -

- In effetti è stato proprio così -

Di fronte alla confusione provocata dalle sue parole si affrettò a spiegare – Per la verità il quadro non è mio. – confessò candidamente – Mi è stato dato temporaneamente solo per la mostra. –

Clare sorrise felice - Volete dire che conoscete il proprietario? -

Un sorriso furbo giocò all’angolo delle labbra del maestro – Oh, si! Certamente. E ho dovuto penare parecchio perché quello zuccone acconsentisse a prestarmelo. –

Lei rise - Mi piacerebbe molto conoscere l’acquirente di uno dei miei quadri – affermò scuotendo leggermente la testa e facendo ondeggiare una ciocca di lucenti capelli dorati sfuggita alla treccia che le penzolava sulla schiena - Davvero non riesco a pensare a nessuno così innamorato di un mio dipinto da non riuscire a staccarsene neppure per il breve tempo di una mostra. –

Andrew la guardò con i vivaci occhi grigi brillanti di malizia

- Ti sottovaluti, Clare. Sei un’artista molto brava e riesci a cogliere i tuoi soggetti con splendida intensità. -

La giovane donna lo guardò con gentile fermezza non lasciandosi sviare dal complimento

- Non mi volete dire proprio niente in proposito? -

Il maestro fece un lungo sospiro e poi sorrise di fronte alla sua completa assenza di civetteria

- Sei davvero ostinata, ragazzina, ma dopotutto non è certo un segreto. Ho visto il quadro proprio qui, in questa casa alcune settimane fa. E’ stato tuo marito a mostrarmelo e solo dopo molto insistere si è convinto ad affidarmelo per il periodo della mostra. E’ suo il quadro della bambina con il gomitolo. -

Clare sgranò gli occhi impietrita.

Fu come se un fulmine fosse esploso nel cervello creando un bagliore accecante. I pensieri le turbinarono nella mente come tante farfalle impazzite in preda ad una folle agitazione.

- Il quadro della bambina con il gomitolo appartiene a Benji? – riuscì a chiedere disorientata

Andrew annuì - E deve piacergli davvero molto dal momento che, quando io ho potuto ammirarlo, era appeso ad una parete della sua camera da letto. – commentò.

L’immagine del muro sgombro e del segno scuro sulla tappezzeria grigia attraversò la mente di Clare come un istantanea.

Il quadro! Benji aveva comperato uno dei suoi quadri quando ancora si trovavano in Giappone!

Seguì distrattamente il chiacchiericcio ciarliero del maestro, perduta nelle sue considerazioni.

Perché aveva fatto questo?

Possibile che quel concentrato di virilità e freddezza che era suo marito nutrisse nel suo intimo una particolare tenerezza nei suoi confronti?

Già in passato Clare si era accorta che Benjiamin Price non ricalcava affatto lo stereotipo dello sportivo tutto muscoli. Dietro i suoi modi bruschi si nascondeva una vivace intelligenza e durante il suo infortunio in Giappone era rimasta stupita dall’ampiezza dei suoi interessi e dalla varietà delle sue letture. Aveva forse comperato il quadro per soddisfare il personale piacere di possedere una cosa bella? Le aveva detto di ritenerla in grado di esporre alla mostra di Andrew Binder…

Era come se dietro la spessa scorza di crudele impassibilità si celassero due personalità del tutto complementari: il SGGK, il campione imbattibile che la spaventava con i suoi crudeli silenzi e l’uomo che la stringeva fra le braccia baciandola con passione, che era stato uno splendido compagno a Kanagawa ed era un padre affettuoso per Martine.

Non riuscì a soffocare la calda sensazione di gioia che la invase, inebriante come un forte liquore, al pensiero che il quadro della bambina con il gomitolo fosse rimasto appeso nella sua stanza per tutte quelle settimane. Anche dopo che  Andrew Binder se ne fu andato, Clare non riuscì a sciogliere il confuso nodo di piacere e di speranza che le avviluppava il cuore.

Quella sera quando tutte le luci della casa si spensero e Martine dormiva placidamente nel suo lettino, Clare entrò nella camera da letto di Benji e si distese sul pesante copriletto damascato, osservando la parete vuota dove egli aveva appeso il suo quadro. Fece scorrere leggermente la mano sul posto vuoto accanto al suo, ricordando perfettamente la sensazione dei suoi baci e delle sue carezze brucianti, la freschezza del tessuto liscio contro la pelle nuda e soprattutto la magia del desiderio che l’uomo aveva abilmente intessuto attorno ad entrambi.

Affondò il volto nel cuscino e avvertì il leggero sentore amarognolo della colonia di lui che impregnava la stoffa e immediatamente il suo cuore accelerò i battiti.

Le sue incertezze erano state spazzate via: aveva sentito il bisogno di un gesto, di un segno che lei per Benji contava davvero qualcosa. Che non era solo una delle tante.

Forse quello non era amore ma il suo quadro, appeso nella stanza di lui, era la più bella e silenziosa dichiarazione che avrebbe potuto farle.  

Nei giorni che seguirono si tenne occupata con faccende di maggiore o minore importanza. Solo di notte, quando si stendeva da sola nel letto di lui, senza riuscire a prendere sonno, circondata dal suo lieve profumo, si concedeva il lusso di pensare quanto fosse vuota Ville Rose senza di lui.

 

Qualcuno bussò piano alla porta e Benji fu costretto a sollevare lo sguardo dall’apparecchio telefonico che stava ormai osservando da cinque minuti buoni. Si trovava in una lussuosa quanto anonima camera d’albergo e aveva appena finito di telefonare a Clare. La voce della giovane donna gli era apparsa stranamente calda e confortante mentre lo rassicurava su Martine e gli prometteva che avrebbe visto la partita di Coppa in televisione la sera dopo. Ricordava le loro prime telefonate: uno sconcertante miscuglio di imbarazzo e un saluto brusco al termine di una conversazione che verteva solo ed esclusivamente su Martine.

Quella sera Clare gli aveva raccontato della sua giornata, della visita di Andrew Binder e si era detta molto felice di partecipare con lui al ricevimento. La sua voce morbida e piena di tenera allegria gli aveva scaldato il cuore, facendogli desiderare di essere a casa, con la sua famiglia. La sua famiglia!

Gli era sembrato strano pensare a Clare e a Martine in quei termini ma aveva dovuto riconoscere con se stesso che adesso era proprio così. Era rimasto seduto, immerso in profonde riflessioni, cercando di analizzare se quell’impressione fosse solo il frutto dei suoi desideri o se davvero Clare stesse iniziando a non avere più paura di lui.

Il bussare alla porta si ripeté un po’ più forte e Benji si alzò e si stiracchiò per sciogliere il nodo che gli si era formato tra le scapole. Gettò uno sguardo all’orologio sul comodino e si accorse che erano da poco passate le undici. Aggrottò la fronte domandandosi cosa lo aspettasse fuori da quella porta e fu molto peggio di quanto credesse.

Erika era sfacciatamente abbigliata in un abito da sera semitrasparente con una profonda scollatura. Il tessuto finissimo non nascondeva nulla al suo sguardo, teso come una diafana tela sul suo corpo nudo. I capelli neri le ricadevano sulle spalle come un oscuro torrente e quando entrò nella stanza i sensi di Benji furono assaliti da un profumo pesante e generosamente sparso. Con un sorriso malizioso Erika chiuse la porta e vi si appoggiò contro spingendo in fuori il seno generoso fino quasi a farlo traboccare dalla scollatura.

I suoi occhi lo invitavano ad avvicinarsi, a prendere ciò che lei gli offriva. Dal momento che lui non ci provava in alcun modo, Erika gli si accostò con un movimento lento e ondulatorio che lo costrinse a ritrarsi di fronte alla minaccia imminente del contatto.

- Cosa ci fai qui? – Benji era genuinamente sorpreso – Erika questo è un ritiro. – le ricordò, rabbuiandosi immediatamente

- Ciao Benji, ho pensato che potessi avere bisogno di un po’ di compagnia. -

Osservando la donna che aveva di fronte Benji contrasse le sopracciglia e poi disse – Credo proprio che ti stia sbagliando, Erika -

- Nessuno sbaglio, Benji – Le labbra rosse, sapientemente truccate, si aprirono in un sorriso seducente, mentre lasciava che la spallina del vestito le scivolasse giù, mettendo in pericolo l’equilibrio dell’abito – Mi sono stancata di rincorrerti mentre passi da una donna all’altra, attraverso storielle senza importanza e adesso attraverso questo matrimonio. Credi che non sappia che hai sposato Clare solo per Martine?Non te faccio una colpa e sono venuta ad offrirmi a te perché tu sappia con certezza ciò che ho da darti. Nessun’altra donna può soddisfare i tuoi bisogni e i tuoi desideri come posso farlo io… -

Benji scosse la testa confuso dalla sua ostinazione. Se in passato avesse cercato Erika in un momento di ardente passione avrebbe potuto capire la sua insistenza – Erika, mi dispiace, ma io non sono l’uomo adatto a te e, anche se lo fossi non sarei libero di accettare la tua offerta. -

La donna gli si fece più vicina e fece scorrere le unghie ben curate sul torace nudo e muscoloso di lui

- Sei sempre stato uno spirito libero, Benji. Non vorrai farmi credere che quella farsa di matrimonio che hai messo in piedi ti abbia messo le catene ai polsi? -

Negli occhi scuri di lui sfrecciò un lampo – Clare è mia moglie e questo matrimonio per me è una cosa serissima. – ribatté ostinato ma Erika non diede segno di aver udito e gli si accostò. 

- Sei così bello – sussurrò lei ammirata. La sua mano sulla spalla dell’uomo incontrò un spesso rilievo e incuriosita osservo la recente cicatrice lunga una decina di centimetri che correva dalla clavicola fino al primo rilievo del bicipite – Questa ferita è recente – mormorò osservando la striscia di carne più chiara in contrasto con il colorito bronzeo della pelle.

Benji si scostò da lei bruscamente e recuperò una camicia ai piedi del letto e la indossò. Dopo aver respirato lentamente cercò di addolcire il tono asciutto delle sue parole – Ascolta, Erika. Penso che adesso sia meglio che tu vada. –

Erika lo guardò, il volto piegato in un grazioso broncio che la faceva assomigliare ad una gattina

- Pensavo che prima avremmo potuto divertirci un po’. Dopotutto tu sei un uomo e hai bisogno di una vera donna, non di quella ragazzina che hai sposato e che sembra essere solo il prototipo della bambinaia modello. Non sono forse più bella io? Non sono forse più donna io? -

La risata che sfuggì a Benji aveva una nota sarcastica – Ti assicuro, Erika, che quella ragazzina, come la chiami tu, potrebbe tenere lezioni sull’arte di essere donna. – commentò tagliente – E comunque, in ogni caso, non sono interessato alla tua offerta. -

Erika lo guardò, gli occhi verdi improvvisamente duri come gli smeraldi – Credo che tu non sappia quello che stai dicendo. -

Benji la osservò per un attimo, come disorientato da quel suo strano ragionamento; poi un maschera di impassibilità calò sul suo volto e improvvisamente Erika si trovò davanti il SGGK, impenetrabile, impassibile… così poco umano.

Un brivido di paura le corse irragionevolmente lungo la schiena e incredibilmente la eccitò ancora di più.

Quell’uomo era la quintessenza del potere, della virilità e sedurlo era diventata una sfida irresistibile. Cercò i avvicinarsi di più ma venne fermata una un gesto brusco della sua mano

- Ti sbagli, Erika. So perfettamente quello che sto dicendo. – Fece un lento respiro – Io amo mia moglie. – Lasciò che il sorriso seducente di Erika le svanisse lentamente dal volto e deliberatamente scandì le parole successive – Io amo Clare. - 

La potenza della sua affermazione la colpì in pieno petto e la metamorfosi giunse rapidamente sul volto di Erika. Il sorriso accattivante si tramutò repentinamente in una smorfia di rabbia e le occhi scintillarono furiosi. Dalla gola le uscì una sorta di grugnito mentre tirava bruscamente su la spallina del suo vestito con un movimento rapido e adirato. Con voce stridula e acuta diede libero sfogo ad una serie di epiteti da strada. Benji fu quasi divertito nell’ascoltare quell’ampia dissertazione sui suoi parenti, sulla sua nascita e sulle sue inclinazioni sessuali, fino a quando Erika non giunse al suo recente passato.

- Non credere che ti permetta di andartela a godere con quella sgualdrina da quattro soldi che hai sposato, parlerò con mio padre e lui ti caccerà dalla squadra e… - 

- Fallo. -

Erika interruppe la sua filippica e lo guardò come stranita – Come hai detto? -

 - Ho detto: fallo. – Il volto di Benji era duro come la pietra e gli occhi fiammeggiavano di rabbia repressa – Credi di potermi ricattare con queste minacce da quattro soldi, Erika? – il tono di lui era basso e beffardo – Pensi che io non possa trovare un ingaggio altrettanto buono in Europa? -

Le parole di lui la colpirono come tante staffilate vergate senza pietà e, in quel momento, lei realizzò di aver perso la partita.

Non avrebbe potuto averlo. Mai.

Con le labbra smorte per la mortificazione afferrò violentemente la maniglia della porta spalancandola e la sbatté violentemente con fare vendicativo alle sue spalle. Un attimo più tardi Benji sentì un’altra porta nel corridoio chiudersi con un tonfo secco, definitivamente.

 

Il venerdì sera alle dieci il salone dei ricevimenti del Bayerischer Hof a Monaco era stato riempito di fiori in modo da assomigliare ad una lussuosa e sofisticata serra. Splendide composizioni di frutta e fiori ricadevano sulle tavole imbandite del ricco buffet e un pergolato di bouganville lilla era stato allestito in un angolo della sala da ballo per ospitare il palco con l’orchestra. L’importanza dell’imminente serata era sottolineata dal frenetico andirivieni dei camerieri impeccabilmente diretti dal maitre di sala e dalla presenza del direttore che affiancava Karl Heinz Schneider nella supervisione della serata.

Gli sponsor del Bayern Monaco non avevano badato a spese per organizzare quello che era stao definito dalla stampa uno degli eventi mondani della stagione ed erano stati invitati, oltre che la squadra al completo, anche politici, personaggi dello spettacolo, imprenditori e giornalisti.

Quella sera i giocatori avevano motivo di festeggiare anche la prima vittoria in Champions League della stagione. La squadra capitanata da Schneider aveva battuto senza difficoltà la Dinamo Bucarest e un clima di euforia pervadeva i giocatori che erano appena rientrati dalla trasferta.

Le moglie e le fidanzate dei giocatori erano arrivate alla spicciolata, congratulandosi per la vittoria e dopo circa un’ora anche Edmund Langel aveva fatto la sua apparizione accompagnato dalla figlia Erika.

Nonostante Benji avesse cercato di evitarla per amore del quieto vivere non poté fare a meno di incrociare lo sguardo furioso che la donna gli lanciò da sopra il bicchiere. Le sue minacce senza senso non lo impensierivano minimamente e comunque Erika non sembrava davvero troppo dispiaciuta dal momento che al suo fianco c’era un alto uomo biondo che Benji era sicuro fosse un giornalista.

Era impaziente di rivedere Clare e di appurare con i suoi occhi se il calore che aveva udito nella sua voce, al telefono, fosse salito anche agli occhi della sua splendida e giovanissima moglie.

Vide Karl in piedi, davanti al buffet, e il capitano del Bayern sollevò il calice di champagne nella sua direzione in un brindisi silenzioso.

Tutt’a un tratto tra gli invitati ai piedi della scala calò il silenzio e lentamente si scostarono, facendo ala dinnanzi a lui in direzione dell’ingresso. Clare era ritta sulla soglia e il silenzio che era calato attorno a lei denotava più che altro una sorta di stupore reverenziale.

Benji alzò lo sguardo verso lo scalone e, al pari degli altri ospiti presenti, avvertì il peso della sua bellezza e rimase ad ammirare, senza distogliere lo sguardo, la splendida visione che gli si parava davanti.

Clare stava scendendo con grazia i gradini, abbigliata in un abito da sera di seta pesante color granato che le lasciava scoperte le splendide spalle. Il vestito ricadeva attorno al suo corpo snello, modellando il profilo del seno tondo e la morbida curva dei fianchi. Ad ogni suo passo la gonna sembrava aprirsi come la corolla di un fiore in un movimento ipnotico e seducente. Il candore della sua pelle riluceva con la perfezione dell’alabastro contro il ricco colore dell’abito e i lunghi capelli dorati erano stati pettinati all’indietro, semplicemente scostati dal viso con l’aiuto di alcune forcine, lasciando che i lunghi riccioli ricadessero sulla schiena in un manto di seta. Alle orecchie e attorno alla gola portava le perle e brillanti che lui le aveva regalato e sembrava un’antica divinità nordica, decisa a scendere fra i comuni mortali.

La piccola e timida Clare si era incredibilmente trasformata in una creatura ammaliante al punto che lui stesso stentava a riconoscerla. La ragazzina timida che era partita con lui dal Giappone aveva lasciato il posto ad una giovane donna dal portamento sicuro come quello di una regina e dalla bellezza stupefacente. 

Vide Schneider raggiungerla ai piedi della scala e salutarla con un galante bacio posato sulla piccola mano bianca e vide lei rispondere con un sorriso e una replica garbata alle parole del giocatore.

Molti dei suoi compagni di squadra erano venuti accompagnati da mogli o fidanzate e, credendo che la giovane fosse la nuova fiamma del Kaiser, le si fecero tutti intorno in attesa di essere presentati.

Karl si calò perfettamente nel ruolo di anfitrione e, rifiutandosi di soddisfare la loro curiosità, salutò i suoi ospiti tenendo Clare al suo fianco. Erano una splendida coppia quei due, entrambi così biondi e dorati, tanto da sembrare quasi fratello e sorella.

Con un subitaneo moto di possesso, Benji poté vedere donnaioli impenitenti come Voegl e Brauner adocchiare con famelica insistenza la luminescente morbidezza di quelle spalle d’avorio e gettare sguardi rapaci verso la pienezza nascosta nel corpino dell’abito. Il muscolo sulla guancia abbronzata cominciò a pulsare e il bicchiere di champagne venne sbattuto con forza su di un tavolino, mentre si faceva strada tra gli invitati cercando di raggiungerla. 

Adocchiando il volto cupo del SGGK ad di sopra della selva di teste che li circondavano, Karl si chinò sulla spalla di Clare ridacchiando sotto i baffi – Benji è stizzito come un calabrone. – commentò offrendole una coppa di champagne – Sei davvero splendida questa sera. –

Leo lo ringraziò con un sorriso ma i suoi occhi cercarono tra la folla il bel volto bruno familiare, mentre Karl con cortese premura faceva in modo di evitare che corteggiatori troppo zelanti trattenessero più a lungo del dovuto la mano di Clare nel salutarla o si soffermassero a sbirciare con troppa insistenza le morbide curve di quella pelle di raso.

Vide Benji avvicinarsi al folto capannello con un’espressione severa sul bel volto bruno e rimase stupito da quell’insolito atteggiamento protettivo. Comprendeva perfettamente lo stato d’animo del compagno di squadra: se Clare fosse appartenuta a lui probabilmente l’avrebbe chiusa a chiave nel suo appartamento!

Clare cercò il viso di Benji tra i volti più o meno conosciuti dei presenti quando lo vide fu come se la sala si illuminasse dallo splendore radioso del suo sorriso.

La gioia e l’emozione che trasparivano dal suo volto lo investirono in tutta la loro portata stordendolo. Clare aveva sorriso a tutti coloro che le erano stati presentati ma il calore prezioso che illuminava i suoi occhi d’ambra liquida era rivolto solo a lui ed egli ne cercò il conforto come un assiderato si avvicina al fuoco in grado di scaldarlo.

Benji si trovò a riflettere su come proprio a lui, fra tutti gli uomini presenti, fosse toccata la fortuna di avere il diritto di reclamarla come sua.

- Buonasera, Benji - lo salutò lei con voce morbida, cercando immediatamente la sua mano grande e forte e stringendola nella sua più piccola e sottile. – Dove eri finito? Ti aspettavo. -

Benji intrecciò le dite a quelle di lei e le sorrise – Veramente sei tu ad essere in ritardo. Mi stavo chiedendo se Herbert non avesse sbagliato strada. -

La risata di Clare fu come il tintinnio di tanti campanelli – Non gli avrei mai permesso di sbagliare strada questa sera. Questa festa è davvero splendida. – commentò guardandosi intorno con gli occhi luccicanti per la meraviglia

Karl fece un inchino – Sono onoratissimo dal complimento – scherzò – E se adesso vuoi accompagnarmi sarò felice di farti fare un giro e presentarti alcuni ospiti importanti… -

- No. -

Karl e Clare si voltarono entrambi verso Benji e quasi scappò loro da ridere alla vista del SGGK accigliato

- Non penserai che ti lasci in compagnia di Clare per tutta le sera. – commentò acido

Karl fece una smorfia – Sei sempre il solito egoista. Non consenti mai a noi poveri mortali di lustrarci un po’ la vista – replicò, battendogli una manata amichevole sulla spalla – Direi che la festa è diventata sicuramente più interessante da quando Clare è arrivata. Tutti gli uomini della sala fremono dal desiderio di essere presentati e le donne hanno messo in moto le loro lingue perfide. -  

- Stai esagerando, Karl! – Clare rise – Ci sono altre signore che hanno abiti molto più eleganti del mio. -

Il Kaiser la guardò incredulo – Ma è proprio vera, Benji? – chiese incredulo.

Il SGGK sorrise e tese l’indice sotto il mento del suo capitano quasi a fare il gesto di chiudergli la bocca

- Calmati Karl. Forse, se ti guardi un po’ intorno, troverai anche tu una ragazza che ti lasci a bocca aperta. –

Karl gli scoccò un’occhiata tra l’offeso e il divertito ma poi, cogliendo l’allusione contenuta nella frase nei suoi freddi occhi azzurri brillò una scintilla di allegria – Era la cosa migliore che potessi fare, Benji. – disse facendo l’occhiolino a Clare – Sono davvero molto felice per voi due. – augurò loro, sollevando leggermente il bicchiere di champagne.

Clare scoccò un occhiata interrogativa al suo imperturbabile marito ma Benji si limitò a farle scivolare una mano sulla schiena sotto il biondo torrente di seta dei suoi capelli – Se adesso vuoi scusarci, Karl, approfitto della festa e della presenza della squadra per fare un annuncio pubblico - disse attirandola leggermente a sé. Rivolto agli ospiti la presentò, immensamente fiero di poter pronunciare quelle parole

- Signore e signori – la sua voce risuonò forte e chiara e fece cessare immediatamente il brusio di sottofondo della sala – Mia moglie, Clare -

Subito un mormorio crescente si sollevò dagli invitati e gli ospiti si accalcarono entusiasti a formulare gli auguri di rito alla coppia di sposi novelli e a stringere la mano di Clare in segno di amicizia. Erano corse molte voci riguardo il presunto e improvviso matrimonio di Benjiamin Price ma nessuna aveva ottenuto una conferma ufficiale. Quelle stesse voci avevano malignato sui tempi straordinariamente brevi di quell’unione, insinuando il dubbio che il SGGK, fosse rimasto intrappolato da qualche ragazzina scaltra. La moglie di Benjiamin Price era stata descritta per lo più come una donnetta scialba e gli invitati non erano per nulla preparati a quella visione. Se si fosse dato credito alle dicerie, Benjiamin Price aveva sposato una donna incredibilmente bella.

I nomi risuonarono all’orecchio di Clare in una sorta di confuso guazzabuglio, mentre Benji le presentava i suoi compagni di squadra del Bayern Monaco. Il SGGK continuava a cingerle la vista, come a indicare che lei era una sua proprietà privata, mentre conversava e scambiava battute con colleghi e conoscenti.

Quando la calca si diradò un tantino Clare guardò di sottecchi il marito, mentre lui prendeva due coppe di champagne dal vassoio di un cameriere e gliene porgeva una

- Non sei stato un po’ sgarbato con Karl? Ci siamo allontanati da lui in tutta fretta.– commentò sorseggiando il suo bicchiere

Benji non rispose e sfiorò con una mano un lucente ricciolo dorato - Sei bellissima. - mormorò reverente mentre il delicato profumo di lei gli giungeva alle nari

Lei ridacchiò del complimento e gli fece scorrere con gesto affettuoso la mano sull’avambraccio muscoloso rivestito di fine tessuto nero - Anche tu non sei niente male - ammise con uno scintillio negli occhi - Di certo molto più di quanto non possa sopportare una ragazza semplice. –

Lui rise divertito, mentre prendeva la mano bianca di lei mettendosela nell’incavo del braccio e stringendola affettuosamente – Di certo non lo sei questa sera. – Si guardò intorno e, notando le occhiate curiose degli altri invitati, l’attirò leggermente a sé – Sembrano tutti affascinati dalla tua presenza – commentò, fulminando con lo sguardo un ammiratore che sembrava non voler staccare o sguardo dalla scollatura dell’abito di Clare.

Lei gli rivolse un luminoso sorriso – Mi basta affascinare te. – replicò tranquilla, arrossendo leggermente della sua neonata audacia.

Gli occhi di Benji brillarono di piacere mentre faceva scorrere lo sguardo bramoso sulla curva piena del seno di lei, valorizzato dallo splendido abito - Davvero, signora, se è solo questo che desideri ti posso assicurare che mi hai già affascinato a sufficienza. – le avvicinò le labbra all’orecchio spedendole una serie di deliziosi brividi giù per la schiena e la sua voce divenne un basso e roco mormorio – Non hai idea di quando pagherei per essere in questo momento in un altro posto, solo con te. -

Con sua grande sorpresa, Clare sollevò su di lui i lucenti occhi ambrati e annuì vigorosamente trovandosi perfettamente d’accordo con lui – Anch’io. –

Lo volto di Benji si incupì per un istante scrutando l’espressione felice di Clare sondando la verità nei luminosi occhi ambrati – Uhm… sarà meglio che andiamo a ballare, altrimenti potrei dimenticare i buoni propositi e domani ci troveremmo nell’imbarazzo di dover spiegare a Karl perché abbiamo abbandonato così presto la festa. –

Clare lo seguì ubbidiente sulla pista e, non appena Benji la strinse tra le braccia, appoggiò la mano sinistra sulla spalla vigorosa di lui mentre la mano destra dell’uomo si intrecciava alla sua, avvolgendola in una salda stretta. Si abbandonò al protettivo cerchio del suo abbraccio lasciandosi guidare dalla melodia, bandendo dalla sua mente tormentanti immagini di lepri braccate e di lupi in caccia.

Il cuore di Clare batteva allo stesso ritmo di quella musica fantastica che sembrava sospingerla sempre di più tra le braccia di Benji. I suoi occhi si allacciarono strettamente allo sguardo torrido dell’uomo, lasciando trapelare senza più timori l’incredibile devastante amore che provava per lui. 

Sentì le labbra di Benji sfiorarle i capelli e rimase toccata dalla bellezza di quel semplice gesto. Nonostante fosse vissuto in un ambiente severo e prettamente maschile fin da ragazzino, il suo carattere non era privo di un lato gentile che si manifestava, con lei o con Martine, in gesti pieni di una squisita tenerezza che non mancava mai di toccare le corde del suo cuore.

Gli invitati fermi ali lati della sala da ballo si fermarono a guardare la coppia che volteggiava sulla pista, osservando ammirati la loro splendida esibizione. Erano una coppia notevole: lui alto e bruno, lei così bionda e femminile, tanto che l’avvenenza di ciascuno dei due cresceva in contrasto con la bellezza dell’altro.

Solo alcuni fra i presenti notarono come il braccio possente del SGGK circondasse possessivamente la vita sottile della giovane moglie e come la mano di Clare si fosse mossa leggera dalla spalla fino al bavero del colletto della camicia candida di lui e lì fosse rimasta, indugiando in una timida carezza.   

Lui la abbracciò più strettamente e Clare poté sentire il forte battito del cuore dell’uomo contro il suo seno. I suoi occhi dorati affondarono i quelli traslucidi di lui, rispondendo silenziosamente senza più timori alla sua muta domanda. L’ineluttabilità della presa decisione le infuse una certa calma.

Sarebbe stata sua moglie, la sua donna, perché entrambi sapevano che il momento era giunto e che nulla avrebbe potuto cambiare ciò che erano l’uno per altra. Non c’era fretta, solo una piena e comune consapevolezza che, quando la notte avesse lasciato il posto alla luce del giorno, tra loro sarebbe cambiato tutto.

E quella notte era solo per loro. 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


Buonasera a tutti!

Eccomi in anticipo di ben una giornata con il nuovo capitolo. Vi chiedo tante, tante recensioni perché sto concludendo la fanfiction e ho molto bisogno di incentivi e soprattutto di sapere cosa vi piace e cosa vorreste sentire raccontato.

Questo è stato un capitolo un po’ difficile da scrivere… tanti sentimenti contrapposti e troppe cose in sospeso… fatemi sapere.

Un abbraccio affettuoso a tutti e ad maiora!

Julie

 

CAPITOLO XVIII

Ti do me stessa,

le mie notti insonni,

i lunghi sorsi

di cielo e stelle – bevuti

sulle montagne,

 la brezza dei mai percorsi

verso albe remote.

Ti do me stessa,

il sole vergine dei miei mattini

su favolose rive

 tra superstiti colonne

e ulivi e spighe.

Ti do me stessa,

i meriggi

sul ciglio delle cascate,

i tramonti

ai piedi delle statue, sulle colline

fra tronchi di cipressi animati

di nidi –

E tu accogli la mia meraviglia

di creatura,

il mio tremito di stelo

vivo nel cerchio

degli orizzonti,

 piegato dal vento

limpido – della bellezza;

e tu lascia che io guardi questi occhi

che Dio ti ha dati,

così densi di cielo –

profondi come secoli di luce

inabissati al di là

delle vette –

(A. Pozzi, 4 dicembre 1934)

 

 

L’unica persona che guardava senza ammirazione la coppia ballare era Erika. 

Soffocava di rabbia al braccio di Jordan nel vedere quella piccola cagnetta bionda danzare, al centro dell’attenzione di tutti, circondata dal braccio protettivo Benjiamin Price.

L’annuncio dell’avvenuto matrimonio del SGGK aveva percorso la sala come un fulmine ed Erika impazziva di gelosia al pensiero di non essere considerata la più bella della festa, la donna da invidiare e da desiderare, colei per la quale batteva il cuore del tenebroso portiere del Bayern Monaco.

Quei due sembravano il prototipo della coppia modello: tanto perfetti da risultare quasi disgustosi.

Gli occhi degli ospiti erano appuntati pieni di ammirazione sulla coppia che ballava al centro della sala ed Erika aveva colto i mormorii di approvazione e meraviglia dei presenti, gli sguardi colmi di desiderio degli uomini, le occhiate piene di invidia delle donne. Eppure quella sciocca ragazzina, persa com’era nell’abbraccio del SGGK, neppure si accorgeva della sua crescente popolarità. 

Erika osservò le ampie spalle del SGGK stagliarsi in mezzo alla pista e, per una volta, non ne ammirò la maschia struttura fisica. Benji l’aveva umiliata dicendole, senza mezzi termini, di essere innamorato di quella donnina insulsa, di quella Clare, e l’aveva rifiutata, scacciandola come avrebbe fatto con una creatura molesta, come se lei fosse stata una sgualdrina che implorava i suoi favori.

Strinse così forte il braccio del suo accompagnatore che Jordan si voltò a guardarla stupito. Seguì lo sguardo carico di odio della donna e vide Clare ballare fra le braccia del marito.

A differenza degli altri presenti non era rimasto stupito dalla notizia, riconoscendo nella giovane donna bionda, che adesso era al centro dei mormorii della cosiddetta buona società, la giovane pittrice incontrata al vernissage di Andrew Binder e tanto apprezzata dal famoso maestro. Aveva cercato di mettere in guardia Erika nella sua battaglia contro i mulini a vento ma quell’irragionevole, testarda donna non aveva voluto dargli retta.

Jordan era convinto che l’atteggiamento di Erika non fosse dettato da una genuina passione per Benji Price ma piuttosto fosse frutto di un capriccio, dell’incomprensibile ed insoffocabile desiderio della donna di essere sempre al centro dell’attenzione di tutti, ammirata e invidiata. Il SGGK rappresentava per lei solamente un altro trofeo da esibire e, al pari di un costoso gioiello o di una macchina sportiva, costituiva il soddisfacimento di un desiderio bizzarro. Erika era l’essere più viziato e prepotente che Jordan avesse mai conosciuto e, proprio per questo, per le sue disinibite sfrenatezze, il suo straordinario entusiasmo nel godere tutti gli aspetti della via, lui la trovava adorabile.  

Non riuscì a trattenersi dallo stuzzicarla un po’

- Mi sembra, ma belle, che il lupo abbia finalmente trovato la sua compagna – scherzò ridendo

Erika lo incenerì con un’occhiataccia

- Taci! – sibilò strattonandolo - Se tu avessi un po’ di sale in zucca, invece di comportarti da quello smidollato che sei, avresti già fatto qualcosa. -

Jordan scoppiò in una scrosciante risata che fece voltare parecchie teste nella loro direzione

- E cosa dovrei fare, scusa? Cercare di sedurre Clare davanti agli occhi del suo terribile marito? – chiese sarcastico

Si pentì immediatamente non appena ebbe pronunciata quella provocazione, perché gli occhi verdi di Erika si illuminarono di maligna soddisfazione

- Uhm… potrebbe essere un’idea. – mormorò pensosa – Però dobbiamo essere sicuri che quella piccola sgualdrina sia ben disposta ad accettare le tue attenzioni. Con un po’ di fortuna all’annuncio di questo disgraziato matrimonio seguirà ben presto la notizia del divorzio. – concluse, allungando il collo.

Clare si trovava in piedi, ai lati della pista da ballo, in compagnia di Karl e Benji, e proprio in quel momento si allontanò con un sorriso, slacciandosi dalla stretta tenace del marito, per lasciarlo solo in compagnia del suo capitano. Erika li vide sorridere entrambi, mentre osservavano la figuretta vestita di rosso fendere la calca per dirigersi verso i bagni delle signore. Con un sorriso di intesa lasciò immediatamente il braccio di Jordan, dirigendosi verso la ragazza con la determinazione di un falco che ha avvistato la preda. Si fece largo tra gli ospiti, incurante di calpestare lo strascico di qualche signora, nel tentativo di raggiungerla.

Lungo il percorso Clare venne fermata e salutata da parecchie persone che desideravano felicitarsi per il recente matrimonio e questo diede modo ad Erika di accorciare la distanza fra loro.

Quando riuscì a mettere piede nel locale del bagno delle signore la stanza era deserta, fatta ad eccezione per loro due.

Il tonfo secco della porta che si chiudeva fece voltare Clare che, china sullo specchio sopra il lavabo, stava sistemando con rapidi tocchi un ricciolo sfuggito ad una forcina. Si raddrizzò, sorpresa nel vedere Erika. La donna indossava uno splendido abito di tessuto impalpabile guarnito di luccicanti cristalli e generosamente scollato ad esibire un seno procace. Un pesante collier d’oro e brillanti scintillava suntuoso attorno al suo collo, accompagnato da due larghi bracciali a fascia che cingevano entrambi i polsi. Era bella, sofisticata e sicura di sé, mentre si avvicinava allo specchio, iniziando ad applicare il rossetto, e Clare si sentì oltremodo vulnerabile in sua  presenza.

Con un mormorio di scusa la salutò e fece per oltrepassarla, cercando di uscire da quell’ambiente che all’improvviso era diventato soffocante, ma le parole di Erika la immobilizzarono

- Non serve a nulla fuggire dalla realtà. -

Clare si voltò, incontrando nello specchio lo sguardo smeraldino, freddamente fisso su di lei

- E per quale motivo credi che io stia scappando? -

Erika le sorrise ma il suo era un sorriso senza traccia di allegria

- Penso che tu ti stia facendo solo delle illusioni. – affermò con  sicurezza. Di fronte allo sguardo sbalordito della rivale decise di affondare il colpo – Insomma, ti strusci contro Benji come una gatta in calore, reciti la parte della mogliettina innamorata. Cosa speri di ottenere? – chiese alzando leggermente la voce

Clare la guardò in viso perfettamente calma

- Io non cerco di ottenere nulla, Erika. Benji è già mio marito. -

Erika accusò la risposta ma fu svelta a rimediare

- Ancora per poco, mia cara. – ribatté con sicurezza - Tra poco lui si accorgerà di aver commesso un terribile errore e ti troverai in mezzo ad una strada in men che non si dica. -

Gli occhi di Clare divennero come ghiaccio dorato, mentre rifiutava di farsi intimorire

- E chi lo aiuterà ad accorgersene? Tu? -

Un sorrisetto di scherno apparve sul volto perfettamente truccato dell’altra

- Non occorre che io mi affatichi più di tanto. Lui sa già che io sono la donna più adatta, che in me può trovare tutte quelle soddisfazioni che, evidentemente… - disse, calcando la voce e squadrando con derisione la snella figura di Clare – … gli mancano fra le pareti di casa sua. -

Clare scosse la testa fronteggiandola

- Smettila con i tuoi giochetti. Ogni minuto al di fuori dagli allenamenti o dai ritiri con la squadra Benji lo ha trascorso a casa, con Martine e con me, e se pensi che… -

- Benji si è infortunato in Giappone. – le voce di Erika la interruppe con la forza di una staffilata in pieno viso  - La sua ultima cicatrice… -

Clare sgranò gli occhi, mentre la sua mente andava automaticamente alla più recente ferita riportata dal portiere, durante la partita contro la Corea, e della quale erano a conoscenza solo lei, Freddy Marshall e alcuni giocatori della nazionale.

Sentì un ronzio fastidioso nelle orecchie e cercò smarrita sul volto della donna un qualunque segno che ella stava mentendo ma gli occhi verdi di Erika affondarono nei suoi senza pietà.

- Non significa nulla… - riuscì a mormorare, facendo appello alla cieca fiducia che la forza dell’amore le dava.

La fredda sarcastica risata dell’altra le gelò il sangue nelle vene

- Non significa nulla, dici? – Erika fece un gesto come a sottolineare la sua perseverante stupidità – I ritiri, mia cara, non sono quei periodi di solitario isolamento che i giocatori vorrebbero far credere a tutti.  - ribatté con voce grondante di veleno – Quando la squadra è partita per il ritiro in previsione dell’incontro con la Dinamo Bucarest, tre giorni fa, li ho raggiunti nel loro albergo. – Fece una pausa puntando le mani sui fianchi e poi si chinò leggermente in direzione di Clare, scandendo le parole, in modo che le si imprimessero bene nella mente – Benji ed io abbiamo trascorso la notte insieme. -

Fu come se un fulmine avesse attraversato Clare con tutta la sua potente scarica elettrica. Il silenzio nel bagno delle signore era rotto soltanto dal breve e affannoso respiro di Erika e dalla musica e dai rumori della festa che si udivano attraverso lo spesso pannello imbottito di raso della porta.

Clare tese una mano, come a trovare un appoggio, verso il freddo ripiano di marmo del lavandino, lo sguardo perso nel vuoto. Non poteva essere vero!

Sentendo la vittoria a portata di mano Erika raddrizzò la schiena e il suo volto assunse un’espressione gelida

- Benji è mio e puoi stare certa, piccola intrigante, che presto sarai fuori dalle nostre vite per sempre ed io riprenderò il posto che mi spetta. -

Con un gesto rapido afferrò la borsetta da sera e passò davanti ad una Clare ammutolita. Aprì la porta e, per un attimo, il fracasso della musica e della festa riempì la stanza, per poi lasciare il posto ad una quiete benedetta quanto fragile.

Nella solitudine del bagno Clare osservò allo specchio il suo volto spaventosamente pallido, i grandi occhi dorati che sembravano immensi nell’ovale del volto minuto. Automaticamente sollevò le dita gelide e si pizzicò le guance per ridargli un po’ di colore. Si accorse che le tremavano le mani.

Era tutta un’illusiione!

Quegli sguardi colmi di tenero ardore che lei credeva unicamente per lei! Le parole appassionate, gli istanti che avevano condiviso! Dopo che Erika le aveva restituito la camicia di Benji si era torturata con dubbi atroci ma le attenzioni di lui non erano mai mancate e il suo fervore era così intenso che…

Tre giorni prima lei aveva scoperto che Benji aveva acquistato il suo ritratto quando ancora si trovavano in Giappone. Tre giorni prima lui ed Erika avevano trascorso la notte insieme.

Si era già illusa troppo. Doveva arrendersi all’evidenza.

 “Se non vuoi dividere il mio letto, né come mia amante né come mia moglie, ti basterà starmi lontana e limitarti a farle da madre a Martine. Ti assicuro che non mi taglierò le vene per questo”, le aveva detto a Kanagawa, quando aveva accettato di sposarlo.

E infatti aveva prontamente cercato un’altra donna per scaldarsi il letto!

Le lacrime le traboccarono dalle ciglia e il nodo che le si era formato all’altezza del cuore minacciò di sciogliersi inondandola di disperazione. Vide allo specchio il suo volto stravolto e ripensò che solo poche ore prima aveva deciso di provare a superare le sue paure e diventare veramente la moglie che egli desiderava.

Quanto dovevano essersi divertiti alle sue spalle! Quanto dovevano avere riso di lei!

Sentì di avere toccato il fondo e al colmo dell’infelicità trovò la forza di reagire e di sollevare il capo, rifiutando di essere schiacciata a quel modo.

Respirò profondamente, il cuore spaccato dai fendenti acuminati che Erika aveva vibrato senza pietà. Si asciugò le guance furiosamente e irrigidì caparbiamente la mascella.

Quel pomposo, arrogante pensava di fare i propri comodi con lei dopo che si manteneva un’amante proprio sotto i suoi occhi!

- Non mi taglierò le vene per questo. – ripeté alla sua immagine riflessa, utilizzando le stesse parole che lui aveva usato - Dannazione, Benji Price! Non ti permetto di farmi questo! -

Uscì dal bagno come un turbine e nella foga andò quasi a sbattere nel SGGK che la aspettava vicino alla porta.

La sua mente registrò per un attimo il breve sorriso che gli addolciva i tratti del volto bruno, prima di ritrarsi come se fosse venuta a contatto con l’olio bollente.

Benji vide il pallore innaturale sul volto della moglie, mentre gli occhi dorati luccicavano di rabbia e di lacrime trattenute. Il sorriso gli scomparve dal viso e una ruga di preoccupazione gli attraversò la fronte

- Clare, cosa… -

Lei gli voltò le spalle come uno spiritello e, fatti alcuni passi, trovò faccia a faccia con Jordan Steiner

- Mia carissima signorina Miller! – Prima che lei potesse ritrarsi, il giornalista prese fra le sue la mano sottile e affusolata di Clare, chinandovisi sopra per quello che a suo marito parve un momento indebitamente lungo – Che piacere incontrarla in mezzo a tutta questa gente! –

Clare gli sorrise debolmente, cercando una scusa per sottrarsi alle attenzioni di entrambi gli uomini

- Buonasera, Herr Steiner -

Il viso dell’uomo si aprì in un largo sorriso baldanzoso – Sono onorato che si ricordi di me – disse con lo sguardo colmo di ammirazione fisso sul seno di Clare – Lei è davvero incantevole, mia cara, e la sua stupefacente bellezza fa palpitare questo mio povero cuore -

- Steiner. – la voce di Benji alle sue spalle le arrivò secca e glaciale

- Benjiamin Price! – Il giornalista non sembrò affatto sorpreso di incontrarlo – E’ un piacere rivederti. -

Benji sbuffò valutandolo freddamente – Non si può dire altrettanto di te. -

- Oh, sei ancora arrabbiato per quella sciocchezza! – Jordan rise, prendendo un bicchiere di champagne dal vassoio di un cameriere e scolandolo in un colpo – Era solo un articolo! -

Benji non replicò e si limitò a prendere Clare per il gomito

- Se vuoi scusarci. -

Clare si divincolò come se avesse trovato repellente il suo tocco e questo diede a Jordan la scusa che cercava - Oh, no. Non così in fretta, amico mio. – il giornalista trattenne la mano di Clare fra le sue – La signorina sembra assolutamente intenzionata a godersi la festa. Anzi, speravo tanto che fosse così gentile da regalarmi il piacere di un ballo. -

Benji scrutò preoccupato  il volto pallido di Clare, stupito dalla sua violenta reazione. Voleva parlare da solo con lei e mal sopportava l’intromissione inopportuna di quel damerino. Rise beffardo – Lei è la signora… -

- Accetto. -

Lo sguardo di Benji saettò sul volto delicato di lei ma i lineamenti di Clare erano privi di espressione. Non lo guardò neppure.

Prima che potesse chiederle se qualcosa non andava, Jordan gli fece l’occhiolino e si allontanò con la sua dama al braccio. Dal canto suo Clare avrebbe ballato con il diavolo in persona, se questo le avesse evitato un confronto diretto con Benji, e seguì Jordan docilmente.

I due presero a danzare al centro della pista ma Clare era talmente rigida da sembrare un pezzo di legno e i suoi movimenti non avevano nulla della grazia che l’aveva contraddistinta mentre ballava con Benji. Non era possibile abbandonarsi alla danza con le braccia di Jordan che la stringevano con tanta familiarità e Clare lo respinse per costringerlo a tenere le mani a posto. Avrebbe finito col fare infuriare Benji ballando a quel modo e le sue mani dovettero volare per proteggere la sua modestia dagli attacchi decisamente lascivi di Jordan Steiner. Si sentiva soffocare da quelle attenzioni sgradite e mentalmente non poté fare altro che biasimare se stessa per essersi cacciata in quella situazione.

Stava per scusarsi e piantare il giornalista da solo in mezzo alla pista quando lanciò un’occhiata in direzione di Benji e lo vide tra le grinfie di Erika. La donna rideva e gli si appoggiava contro offrendogli ogni occasione di godere dell’ampia scollatura che, Clare ne era certa, la mostrava nuda da capo a piedi.

Benji non accennò neppure a scostarsi e la donna prese a carezzargli l’orecchio con l’unghia lunga e curatissima, cercando la sua attenzione.

Uno spasmo di dolore che le serrò lo stomaco nell’osservare la sofisticata brunetta strusciarsi contro il braccio del SGGK, consentendogli un’ampia visione del suo seno.

Clare irrigidì la schiena in preda ad un’irragionevole fitta di gelosia.

In quel momento Jordan la abbracciò con più foga e alla ragazza bastò un’occhiata a Benji per comprendere quanto suo marito fosse furibondo per l’affronto. 

Stava in piedi, al limite del perimetro della pista da ballo, in tutta la sua torreggiante altezza, le braccia conserte sull’ampio petto, con in mano un bicchiere nel quale aveva versato una dose più che abbondante di brandy. Gli occhi neri come la brace la seguivano, fiammeggiati di ira repressa, non perdendo un solo movimento. L’espressione del suo volto era talmente cupa da non lasciare alcun dubbio sulla bontà del suo umore e il muscolo sulla guancia abbronzata guizzava impazzito sotto la pelle tesa.

Come la musica finì, Jordan la trattenne in attesa che l’orchestra riprendesse a suonare ma Clare si sciolse con decisione dalla sua stretta.

- Mi scusi, sono un po’ stanca – disse abbandonandolo sulla pista e allontanandosi velocemente tra la folla.

Si fece largo tra la gente assiepata al bordo della sala, cercando con lo sguardo Karl Schneider. In quel momento desiderava solo lasciarsi alle spalle quella terribile festa e, più di ogni altra cosa, non voleva assolutamente affrontare Benji. Finalmente scovò il capitano del Bayern Monaco, seduto su un divano, intento a corteggiare un’avvenente brunetta, e si diresse con passo deciso verso di lui.

Il Kaiser sollevò immediatamente lo sguardo su di lei, interrompendo il discorso a metà

- Clare! -

Il volto di lei era terribilmente pallido, tanto che Karl si allarmò – Ti senti bene? -

- Voglio andare a casa, Karl. – lo pregò sommessamente - Potresti procurarmi un auto, per favore? -

- Ma si, certo. – gli occhi azzurri del capitano la scrutarono intensamente – Sei sicura di stare bene? Forse è meglio che vada a chiamare Benji… -

- No! – il diniego di lei giunse immediato con una nota di disperazione nella voce. Poi Clare cercò di controllarsi  – No, ti prego. – ribatté con più calma - Sono davvero molto stanca. -

Lui annuì poco convinto e, scusandosi con la ragazza seduta, prese Clare sottobraccio, conducendola all’estremità della sala. Gli occhi azzurri del fuoriclasse del Bayern Monaco la scrutarono con attenzione,  e presa una coppa di champagne dal vassoi di un cameriere gliela spinse fra le mani

- Sei certa di volere andare via? – le chiese gentilmente dopo che la bevanda inebriante sembrò averla calmata un tantino

Clare annuì – Non so cosa ci faccio qui – gli confidò – Erika sta facendo di tutto per sedurre Benji e a lui la cosa sembra non dispiacere più di tanto. -

Guardando oltre le spalle di lei Karl rise piano – Non amareggiarti se quella donna corteggia tuo marito. E’ da un bel pezzo che ci prova con lui ma ti assicuro che non era lei che Benji ha tenuto d’occhio tutta la sera mentre ballava con qualcun altro. -

Clare sorrise leggermente un po’ rincuorata dalla battuta scherzosa - Grazie Karl, sei davvero un buon amico ma ora vorrei davvero andare via. -

Il Kaiser le strizzò un occhio con fare complice –- Se prometti di stare qui buona buona vado a cercarti una carrozza, principessa. –

Lei sorrise – Va bene – disse indicando una sedia poco distante – Ti aspetto qui. -

Karl si soffermò ancora un attimo quasi titubante – Sai Clare, a volte ad un uomo fa paura non riuscire a dominare i propri sentimenti. – le disse serio – E’ sconcertante vedere come dall’oggi al domani una ragazzina sia in grado di turbare così a fondo i tuoi pensieri. –

- E’ questo quello che faccio io, Karl? – domandò Clare sottovoce

Lui le sorrise malizioso – Come ti ho già detto, Clare, non era Erika che Benji guardava quando ballava con un altro. – la rassicurò prima di allontanarsi.

Turbata stette a guardare il capo biondo di Karl sparire tra la folla e, un attimo dopo, si voltò e vide Benji farsi largo tra gli ospiti cercandola. In preda al panico si guardò attorno cercando una via di fuga. La terrazza!

Un attempato signore si scostò di lato per lasciarla passare ed Clare poté sgattaiolare agilmente fuori attraverso le portafinestra. Rabbrividì leggermente nel suo abito scollato all’aria frizzante della sera, incapace di contenere il turbinio di emozioni che la scuotevano. La musica che proveniva dall’interno giungeva sommessa al suo orecchio e le faceva sembrare ancora più piacevole la quieta tranquillità di quel posto, il silenzio rotto solo dal rumore del passaggio di qualche auto solitaria. Passeggiò lentamente fino al limitare della terrazza e i tacchi delle sue scarpine produssero un lento picchiettio. Si appoggiò con gli avambracci alla balaustra di marmo, osservando le luci della città, la mente svuotata da ogni pensiero.

I puntini luminosi brillavano in lontananza e lei si sentì incredibilmente sola.

Improvvisamente un braccio robusto la imprigionò costringendola a voltarsi, togliendole il respiro per la sorpresa.

- Steiner! Ma cosa… - Un paio di occhi azzurri la scrutarono con sguardo vacuo e Clare tentò di divincolarsi bruscamente – Lasciatemi subito! – ordinò perentoria

In risposta Jordan la attirò ancora di più contro la sua alta figura.– Sei così bella… - mormorò, passando al tu più confidenziale e affondando lo sguardo nell’ambra liquida dei suoi occhi – Quasi mi dispiace doverti fare questo… - borbottò

L’odore del liquore che egli aveva bevuto era così forte che il terrore invase Clare, scuotendola nel profondo, mentre i suoi occhi si dilatavano per la paura – No! – urlò puntando i gomiti contro il petto dell’uomo – Lasciatemi! Benji… –

Jordan parve non udire la sua supplica disperata e, dopo averle imprigionato i polsi in una stretta brutale che la fece gemere di dolore, chinò il volto su quello di lei.

- Shh… dolce Clare. Non vorrai che tutti si accorgano del nostro convegno amoroso! – mormorò con voce impastata, protendendo le labbra ad incontrare quelle di lei.

Il suo peso gravava quasi interamente sul corpo della ragazza, rischiando di spezzarle la schiena, ma con un brusco movimento del capo Clare distolse il viso, evitando il bacio e cercando di divincolarsi selvaggiamente da quell’abbraccio soffocante. Udì una risatina derisoria e rabbrividì dal disgusto quando le labbra umide dell’uomo si posarono sulla snella colonna della gola, percorrendone la serica morbidezza.

Improvvisamente Jordan Steiner venne afferrato per le spalle da un paio di robuste mani che lo strapparono via da Clare, sollevandolo quasi di peso, uggiolante per la paura. Il volto di Benji era stravolto dalla rabbia e  riempì interamente il loro campo visivo prima che con un ringhio scagliasse Jordan contro la balaustra. Aveva udito quanto bastava perché la sua mente si infiammasse e ora non vedeva che quell’uomo dinnanzi a se, tutto il resto cancellato da una nebbia rossastra.

Finalmente libera Clare si appoggiò al marmo freddo, respirando affannosamente, sentendo le gambe improvvisamente molli per la paura. Non aveva mai visto Benji tanto furioso.

- Tieni giù le mani da mia moglie! – gli occhi del SGGK mandavano lampi feroci, mentre si avvicinava all’uomo disteso a terra

Jordan cercò di mettersi faticosamente in piedi e gli rivolse un sorriso sbieco

- Perdonami amico ma lei mi ha invitato ed io… -

Non riuscì a finire la frase che il destro di Benji lo colpì in pieno stomaco con una violenza tale da mandarlo a sbattere contro la parete esterna dell’albergo. Un filo di sangue iniziò a scendere dal labbro inferiore del giornalista, macchiandogli il candore della camicia da sera. Si fece piccolo piccolo nel tentativo di sfuggire alla furia che aveva scatenato.

Il volto del SGGK era contratto dalla rabbia e con ferma determinazione allungò il braccio per agguantarlo, ben deciso a non lasciarselo sfuggire.

- No! Ti prego! – Clare gli afferrò il braccio – Basta, ti prego! – esclamò con voce malferma – Non è successo niente. Sto bene. -

Lo sguardo traslucido del portiere si posò su di lei e Clare si sentì trafitta dall’occhiata furibonda che lui le lanciò. Per un attimo si dimenticarono di Jordan e  il giornalista ne approfittò per strisciare lentamente lungo il muro, premendosi un fazzoletto contro l’angolo della bocca ferita. Raggiunse una delle portafinestra poste all’estremità della sala e si affrettò a rientrare, lasciandoli soli sulla terrazza buia.

Clare lasciò lentamente il braccio del marito, distogliendo lo sguardo da quello duro e accusatorio di lui, ma subito fu costretta a tornare a guardarlo perché Benji le afferrò poco gentilmente il braccio    

- Adesso mi spiegherai perché hai accettato l’invito di quel verme. – scandì adirato con un tono lento che le fece gelare il sangue nelle vene – Tu sei mia Clare, nessuno ti avrà all’infuori di me. -

Clare cercò di distogliere di nuovo il volto ma Benji non glielo permise inchiodandola con una stretta implacabile

- Maledizione, Clare! – sbraitò - Mia moglie si comporta in modo da non dare adito a chiacchiere e da onorare il nome che porta! – affermò con voce terribile – Il tuo comportamento di stasera con Steiner è inqualificabile. Ti piace forse farti palpare e coccolare da qualcuno che non sia tuo marito? – Scosse la testa furioso - Dimmi perché lo hai incoraggiato – continuò tagliente, cercando una risposta nel bel volto di lei – dal momento che non ti mancano certo le attenzioni. -

I suoi nervi scossi e l’insulto contenuto nelle sue parole crudeli la infiammarono di un furore pari a quello dell’uomo

- Le attenzioni! – Clare si strappò con una smorfia di dolore alla stretta di lui e tenne davanti a sé i polsi, mostrandoglieli – Ecco un assaggio delle attenzioni che ho ricevuto! Guarda! – urlò, con la voce incrinata dal pianto – Graffiati! Tutti e due! Non sei meglio di quell’altro! -

- Clare… - Benji le tese una mano, l’espressione del volto rabbuiata alla vista delle lacrime che le rigavano le guance.

- No! – il braccio di lei spazzò l’aria davanti a sé – Non ti avvicinare! Tu dici che io ho incoraggiato quell’uomo? Come osi! – la voce di lei tremava per l’effetto nervoso e per la collera – Come ti permetti di giudicarmi, tu che passi il tuo tempo tra le braccia di Erika Langel! Credi che non abbia visto come quella ti si strusciava addosso, senza che tu facessi niente per impedirlo? – Scosse il capo e i lunghi riccioli dorati danzarono selvaggiamente sulle spalle nude – Onore? Quale onore! Non merito rispetto, io? Pensi che io approvi questo tuo comportamento e sia solo blandamente sorpresa quando vedo quella donna che accampa dei diritti su di te? - 

L’ira di Benji sbollì di fronte all’impeto delle sue affermazioni – Questa non è sorpresa. – Aggiunse dolcemente – Gelosia? –

Clare sentì la collera montarle agli occhi - Devo essere solo un giocattolo a disposizione per soddisfare le tue voglie? – esclamò mentre le lacrime colavano dai bellissimi occhi - Tu riempi le mie orecchie di lusinghe perché io divida il tuo letto e nel frattempo te la spassi con Erika! -

Gli occhi di lui si strinsero mentre la guardava - Erika? Ma cosa… -

Clare lo interruppe con un gesto della mano come ad indicare che era inutile mentire

- Alcune settimane fa la tua amante si è preoccupata di riportarti una delle tue preziosissime camicie! -

L’espressione di Benji era genuinamente stupita – Non so di cosa tu stia parlando – riuscì a dire, ma Clare lo investì con una furia che non sapeva neppure lei di possedere

- Immagino che tu non sappia neppure di essere andato a letto con lei durante il ritiro! – replicò con violenza, mentre gli occhi dorati mandavano lampi tali da incenerirlo – Perché da lei  – disse, scimmiottando il tono affettato di Erika – hai tutte quelle soddisfazioni che ti mancano fra le pareti di casa tua! -

Le ultime parole furono quasi urlate ed entrambi rimasero a guardarsi per un istante in silenzio. Con il corpo fremente nello sforzo di trattenere le lacrime Clare si chinò a raccogliere lo strascico dell’ampia gonna, ormai svuotata di ogni energia. Sembrava una bambola di pezza alla quale fossero stati tagliati i fili e Benji si impietosì nel vedere il peso della sua infelicità gravarle sulle spalle.

- Aspetta. – le toccò leggermente una spalla e, quando gli occhi dorati si sollevarono ad incontrare i suoi, vide che la collera era scomparsa lasciando il posto ad un devastante dolore che gli bruciò il cuore come un acido – Dobbiamo parlare. Non puoi rientrare davanti a tutta quella gente in queste condizioni. Andiamo a casa. -

Clare esitò, lo sguardo impaurito come quello di una preda braccata. Poi annuì.

Benji fece per offrirle il braccio ma lei si scostò bruscamente, passandogli davanti, guardando la sua mano tesa con la stessa espressione che avrebbe usato per osservare una bestia immonda, e lui fu costretto a seguirla in silenzio. Camminarono lungo il perimetro della terrazza fino ad una portafinestra che dava su di un’uscita secondaria e scesero fino al garage dell’albergo. Pochi minuti dopo, la Jaguar nera del portiere si immise in strada, diretta verso casa.

Nel comodo abitacolo rivestito in pelle il silenzio sembrava avere una consistenza palpabile e nessuno dei due occupanti era minimamente incline a rompere quella tregua lievissima.

L’attenzione di Benji sembrava essere completamente catturata dalla strada ma, quando la luce dei lampioni illuminava ad intermittenza l’abitacolo, egli poteva vedere le esili spalle della giovane moglie sussultare in un pianto silenzioso.

Si maledì per non averle parlato prima. Clare doveva aver saputo dello spiacevole episodio del ritiro e se era stata Erika a parlargliene aveva sicuramente infiorettato il racconto di dettagli completamente falsi e soprattutto doveva aver dato una versione completamente inventata del finale della serata.

Strinse i denti, pensando al dolore che aveva letto nello sguardo di Clare. La ragazza era rannicchiata sul sedile accanto al suo, lo sguardo perso nel buio della notte.

Poche ore prima l’aveva tenuta tra le braccia morbida e arrendevole, gli occhi pieni di un tenero calore, e adesso gli sembrava più distante che mai. Pregò che non fosse troppo tardi per colmare quell’abisso che li divideva.

Frenò di fronte al portone di Ville Rose e prima che potesse scendere e aprirle la portiera, Clare aveva già sbattuto lo sportello e si era diretta verso casa come se fosse inseguita da una muta di cani selvatici.

Imprecando tra i denti Benji la seguì, indicandole le porte aperte del salotto a pianterreno. Clare le varcò senza dire una parola e neppure obiettò quando Benji le richiuse dietro di se.

Stava lì, in mezzo alla stanza, i biondi capelli sciolti sulle spalle e intorno al corpo come fluente luce lunare e a Benji non era apparsa mai tanto bella come in quel momento.

- Ora – cominciò con voce bassa che non ammetteva repliche – Mi dirai esattamente che cosa ti ha detto Erika ma prima ti posso assicurare che, da quando ti ho conosciuta, non ho mai cercato altrove… alcuna soddisfazione – Tacque un istante, intrecciando il suo sguardo con quello dorato di lei, per poi scandire con fermezza le parole successive – Né con Erika, né con nessun’altra. -    

Clare non smise di guardarlo per un solo istante, il volto pallido percorso da una vena di incredulità

- La cicatrice sulla tua spalla – sussurrò – Mi ha parlato della cicatrice -

Benji sospirò pesantemente – Durante l’ultimo ritiro, prima della partita contro la Dinamo Bucarest, Erika è venuta nella mia stanza. Avevo appena finito di telefonarti e stavo per andare a letto. Le ho aperto, pensando fosse Karl o un altro compagno di squadra. – Fissò lo sguardo ambrato di lei senza incertezze – E’ stata in  quell’occasione che ha visto la mia cicatrice. –

- La camicia… - Clare cercò febbrilmente nella mente – Il giorno che tu sei partito per Amburgo Erika è venuta qui a restituirmi una camicia da uomo. Era tua. Aveva le iniziali ricamate sul petto. -

Lui si strinse nelle spalle – Non so come abbia fatto a procurarsela ma ti assicuro – replicò, mentre gli occhi gli si accendevano di un luccichio malizioso – che in passato non mi sono mai lasciato dietro degli indumenti quando corteggiavo una signora. -

Clare scosse il capo confusa, incerta se credergli o meno. Improvvisamente le accuse di Erika sembravano essersi ridotte ad un cumulo di sporche bugie… oppure era il suo amore per lui che non le consentiva di vedere chiaramente a situazione per quello che era? 

Improvvisamene si sentì distrutta, il peso di quella serata sembrò gravarle sulle spalle - Che cosa vuoi da me, Benji? – gli chiese stancamente  

Lui la fissò per un istante in silenzio, gli occhi scuri brillanti come torce

- Voglio che tu mi appartenga. -

Clare lo guardò disperata, il cuore colmo di incertezze

- E’ per questo che hai comprato il quadro della bambina con il gomitolo? -

Benji sussultò e sul suo volto passò un lampo di sorpresa, poi l’uomo distolse lo sguardo e fissò un punto indefinito della stanza

- Molto tempo fa ho imparato che è impossibile cercare di trattenere qualcuno. – mormorò - Tutti finiscono con l’andarsene e allora è meglio andare via per primi e non voltarsi mai indietro, trattenendo solo un bel ricordo. Era quello che intendevo fare con te ma è accaduto qualcosa. Tu mi hai toccato… e trattenuto. – Sorrise in maniera quasi impercettibile, gli occhi brillanti di ironia – Ti assicuro che ho combattuto contro questa attrazione con tutte le mie forze. -

Quell’espressione durò solo un istante prima che egli la guardasse, ancora una volta emanando l’irresistibile fascino che sembrava avvolgerlo come un mantello scintillante. Si avvicinò a Clare e la sua mano si sollevò lentamente, accarezzando lo zigomo delicato. Si piegò leggermente su di lei mentre le lacrime gli bagnavano le dita e il suo profumo gli permeava i sensi stordendolo

- Credi davvero che possa aver trascorso la notte con Erika quando il pensiero di te mi brucia nella mente? – sussurrò con voce a malapena udibile.

Le lacrime avevano lasciato una scia argentata sulle sue guance e gli occhi d’ambra liquida si persero nello sguardo profondo di lui. Gli sfiorò le labbra con la punta delle dita, desiderando credergli con tutta se stessa.

Il rumore della porta che si apriva alla spalle di Benji li fece voltare entrambi.

Nel vano della porta apparve una coppia abbigliata in vestaglia e pantofole che li guardava con profonda curiosità. La donna, piccolina e di costituzione minuta, doveva avere all’incirca quarant’anni ma il volto dalla pelle di porcellana sembrava essere senza età. Teneva la mano sottile appoggiata sull’avambraccio dell’uomo al suo fianco, sicuramente più vecchio di lei di almeno dieci anni e con una costituzione imponente quanto quella di Benji. Quando Clare ne osservò i lineamenti trattenne il fiato, trovandosi di fronte ad una copia invecchiata del volto di Benji. Suo marito si irrigidì non appena li vide e sul suo volto comparve immediatamente la stessa granitica maschera di impassibilità che Clare gli aveva visto indossare tante volte.

- Scusateci – la donna parlò in giapponese e la sua voce aveva un tono basso e melodioso – Non volevamo disturbarvi ma Anne ci aveva detto che eravate fuori e quando vi abbiamo sentito rientrare non abbiamo resistito alla tentazione di scendere a salutarvi. -

- Buonasera Benji – l’uomo aveva una voce profonda e i suoi occhi di brace, leggermente appannati per via dell’età scrutarono attentamente il volto distaccato del SGGK.

- Cathy, Will – il tono di Benji era freddo come se parlasse a degli estranei e Clare avvertì la tensione del suo corpo – Come mai da queste parti? -

La donna avanzò di qualche passo, tendendo la mano in un gesto affettuoso ma, di fronte all’atteggiamento rigido di lui, la riabbassò con un sospiro.

L’uomo al suo fianco le coprì la mano con la propria ben più grande in una stretta di incoraggiamento e si rivolse con calma al portiere - Freddy ci ha detto che ti sei sposato. – spiegò - Siamo venuti per farti le nostre congratulazioni e conoscere tua moglie. -

Benji sbuffò con fare derisorio – Chissà come mai intuisco che c’è dell’altro – commentò ironico – Comunque dal momento che siete qui eccovi accontentati. – Pose una mano dietro le spalle di Clare sospingendola avanti – Lei è mia moglie Clare. – la presentò senza tante cerimonie, mentre il suo sguardo saettava dal volto sorpreso di lei a quello della coppia che gli stava di fronte – Dolcezza, loro sono Catherine e William Price, i miei genitori. – Il suo viso cupo assunse un’espressione grondante di sarcasmo – Per quanto difettosi sono tutto quello che ho. -  

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


Buonasera a tutti i lettori di “Scent of Hearts” e grazie mille per le recensioni e le mail che mi avete inviato e che mi hanno aiutato moltissimo a scrivere.

Un po’ di premesse per il penultimo capitolo della mia ff.

Questo capitolo oltre ad essere un po’ più lungo del solito è diviso in due parti, separato da una splendida poesia di Pablo Neruda, una delle più belle e sensuali poesie d’amore che io abbia mai letto: a volte ci si accorge di quanto un poeta sia grande per la sua immediata e magnifica capacità di parlare per immagini e sensazioni.

Il motivo della suddivisione è essenzialmente quello del Rating da me scelto per la ff e cioè (R). Le ultime pagine forse non sono proprio da classificare in questo Rating ma non ho ritenuto necessario cambiarlo, considerando la ff nell’economia del suo insieme. Avevo già espresso la mia opinione nel forum per quanto riguarda la discrezionalità che ognuno di noi possiede nel scegliere le proprie letture e non mi dilungherò certo in proposito. Diciamo che questo è solo un avvertimento: quanto scritto dopo la poesia potrebbe turbare animi eccessivamente delicati e pertanto se ne sconsiglia la lettura ad un pubblico non adulto ( e con questo non intendo i minori di anni 18!).

Chiedendo nella premessa allo scorso capitolo indicazioni sulla conclusione della ff qualcuno (eh, Bonny? Meringa? Dico a voi…! ^____^ ) mi ha detto “sesso sfrenato” e “finale con il botto”. Diciamo che parzialmente siete stati accontentati perché, se è vero che la scena può risultare erotica, è anche vero che io non intendevo descrivere un mero rapporto sessuale.

Sarò anche un’inguaribile romantica ma penso che condividere un simile momento con la persona che si ama sia una delle esperienze più belle ed esaltanti della vita.

Piuttosto ( e spero tanto di esserci riuscita) avrei voluto “far sentire” i sentimenti, le emozioni e le sensazioni provate dai due protagonisti.

Non l’amore… perché raccontare l’amore non è possibile, si può solo mostrarlo.

 

Un abbraccio affettuoso e ad maiora!

Julie

 

 

 

 

CAPITOLO XIX

 

“Due rosse lingue di fuoco

che allo stesso tronco avvinte

si avvicinano, e baciandosi

formano una sola fiamma;

due note che dal liuto

a un tempo strappa la mano

e nello spazio s’incontrano

e armoniose s’abbracciano;

due onde che insieme giungono

per morire sulla spiaggia,

e al rompersi s’incontrano

d’una aureola argentata;

due brandelli di vapore

che dal lago si sollevano

e all’unirsi là nel cielo

formano una nuvola bianca;

due idee che all’unisono sbocciano,

due baci che ad un tempo schioccano;

due echi che si confondono…

tutto ciò sono le nostre due anime.

(G.A. Bécquer)

 

 

 

- Benji! – il tono di William era profondamente offeso – Chiedi scusa a tua madre! -

Il portiere fissò il padre per un istante prima di annuire brevemente – Ti chiedo scusa Cathy – disse con un’espressione impenetrabile sul bel volto bruno – Vorrei potervi dire che non lo pensavo ma non mi sembra il caso di mentire fra noi –

Clare fissò incredula la figura torreggiante del marito, non riuscendo a credere che quello fosse lo stesso uomo che fino a pochi istanti prima l’aveva guardata con tanta intensità. Il viso di Benji si era tramutato in una maschera di gelida indifferenza che aveva annullato in un solo istante qualunque punto di contatto vi fosse fra loro. Era come se con un gesto deciso l’avesse allontanata, ritirandosi nella sua solitudine fatta di silenzi inaccessibili, di una rabbia feroce e divorante.

Senza aspettare alcuna replica Benji proseguì sferzante, ignorandola completamente, rivolgendosi ai suoi genitori - Vi ringrazio di essere venuti a sincerarvi della mia situazione familiare ma come vedete funziona tutto perfettamente. –

Sul suo volto apparve un sorrisetto sarcastico che lo fece assomigliare moltissimo all’uomo freddo e distante che aveva incontrato a Fujisawa - Purtroppo è molto tardi e domani ho gli allenamenti. – disse con un tono di sfida, mentre si avviava verso la porta, lasciandoli tutti quanti sbalorditi - Vi lascio alle cure della mia deliziosa moglie. Sono certo che vi farete buona compagnia. – commentò acido chiudendosi la porta alle spalle.

Un incredibile silenzio calò nella stanza dopo l’uscita di scena di Benji. Clare era letteralmente ammutolita dal comportamento scortese del marito, non riuscendo a comprendere il motivo di tanto astio. Fu Catherine a spezzare la tensione tendendole la mano sottile in un gesto di saluto

- Nonostante la presentazione poco ortodossa è un vero piacere conoscerti, mia cara. -

Clare ricambiò la stretta e il sorriso, mentre il saluto di William fu un po’ più formale.

- Mi dispiace non avervi accolto come si deve – la giovane donna si scusò gentilmente – Non sapevo del vostro arrivo. -

La madre di Benji le sorrise calorosamente, emanando un fascino molto simile a quello del figlio – Neppure Benji sapeva che saremmo arrivati. E’stata una sorpresa anche per lui. -

- Già – William incrociò le braccia sul petto – Nostro figlio sembra avere la speciale inclinazione a scomparire non appena fiuta la nostra presenza. -

Clare non replicò, ricordando le parole di Andrew Binder ma fu Catherine che ancora una volta stemperò la tensione che si era creata

- Sono così felice che Benji si sia sposato – trillò allegra - Freddy ci ha anche detto che avete adottato una bambina – esclamò con gli occhi luccicanti di desiderio – Sono così emozionata all’idea di essere nonna! -

Clare annuì – Benji era stato nominato tutore di Martine e solo alcune settimane fa c’è stata l’udienza per l’adozione. Adesso starà sicuramente dormendo ma potrete vedere la bambina domattina. -

William circondò con affetto le fragili spalle della moglie – Ben fatto! Questa è davvero una scelta che vi fa onore ma spero proprio che questa non sarà l’unica nipotina che vorrete regalarci! – disse strizzandole l’occhio.

Clare arrossì violentemente.

- William! – Catherine lo rimproverò bonariamente – Non mettere tua nuora in imbarazzo. Clare è così giovane: sono certa che lei e Benji avranno tutto il tempo per mettere al mondo uno stuolo di bambini deliziosi. -

Clare si sentì soffocare.

- Mrs. Bauer vi ha già mostrato le vostre stanze? – chiese al colmo dell’imbarazzo, conducendoli fuori dal salotto. Il discorso stava prendendo una piega oltremodo pericolosa e, il fatto che lei e Benji non fossero la coppia di sposini innamorati che Catherine immaginava, rendeva la situazione ancora più imbarazzante.

Se solo Benji non si fosse così rapidamente eclissato, lasciandola sola in compagnia dei suoi genitori!

Catherine colse al volo il suo disagio ma, non riuscendo ad attribuirvi un motivo, lo addebitò alla timidezza della giovane donna

- Si, naturalmente. Anne è stata gentile ed efficiente come al solito. Quando mi trovavo in Inghilterra ero molto più tranquilla nel sapere che era lei ad occuparsi di Benji. – Sospinse il marito davanti a sé – Comunque Benji aveva ragione: si è fatto davvero molto tardi e anch’io sono stanca. Buonanotte Clare, a domattina. -

Clare vide la coppia di coniugi salire le scale e Catherine si voltò a farle un ultimo gesto di saluto prima scomparire nel corridoio alla sua sinistra.

I genitori di Benji le erano apparsi molto gentili e affabili e onestamente non riusciva a giustificare l’incredibile risentimento che lui sembrava nutrire nei loro confronti. Aveva visto il dispiacere balenare come un lampo sui lineamenti di Catherine quando Benji aveva rifiutato il suo gesto affettuoso eppure sembrava quasi che la donna se lo aspettasse. Come se sopportare quel comportamento freddo e distante fosse il prezzo da pagare per godere della compagnia del figlio.

Scuotendo il capo raccolse la gonna dell’abito da sera e iniziò a salire le scale, ripensando a quanto era stata felice ed emozionata di partecipare al ricevimento. La seta del vestito frusciava dolcemente nel silenzio del corridoio e per un attimo lei si fermò davanti alla porta della camera da letto di Benji. Posò una mano sul solido pannello di quercia, ripensando a quante speranze aveva riposto in quel ricevimento, al desiderio di apparire al meglio perché Benji fosse orgoglioso di lei.

La serata era stata un completo disastro e l’arrivo dei genitori di lui sembrava aver scavato fra loro un solco ancora più profondo di quello costruito dalle sue incertezze e dalle sue paure.

Nella sua mente le parole di Erika si accavallarono alle frasi pronunciate da Benji combattendo una dura battaglia con i sentimenti che aveva nel cuore. Troppe cose dovevano ancora essere chiarite e l’atteggiamento oltraggioso di lui non aiutava di certo..

Si riscosse. Riabbassò la mano e proseguì verso la propria stanza. Voleva dare un’occhiata a Martine per accertarsi che stesse bene prima di andare a letto.   

 

La luce pomeridiana di quella splendida giornata autunnale illuminava il salotto di Ville Rose mentre Clare era intenta a prendere il tè con la suocera.

Martine era seduta in braccio a Catherine e faceva tutta una serie di versetti strani che inducevano al riso le due donne, mentre la nonna le imboccava con sollecitudine la crema di mele.

Benji e suo padre si erano rinchiusi nello studio dal alcune ore e Clare aveva approfittato per approfondire la conoscenza della madre di Benji, che si era rivelata una persona estremamente socievole. Dopo che Catherine ebbe scoperto che lei dipingeva, Clare dovette mostrarle alcuni dei suoi quadri, che la suocera valutò con occhio esperto.

- Sono bellissimi, mia cara. – La voce di Catherine era colma di entusiasmo, mentre ammirava uno splendido ritratto. Poi con un lampo diabolico negli occhi si protese leggermente verso di lei – E adesso che lo so devi promettermi al più presto un ritratto di Benji e di Martine. Così potrò avere sempre sotto gli occhi i miei tesori, anche quando sarò lontana. - 

Clare aprì una cartellina e ne vennero fuori una decina di disegni di entrambi, gli ultimi che aveva completato - Li può tenere tutti – disse mettendoglieli in mano

Catherine sollevò gli occhi stupita per il dono – Ma sei sicura che a te non dispiacerà non averli? – chiese titubante

Il viso di Clare si addolcì in un sorriso – Oh, no! Dopotutto io ho sempre vicini gli originali e comunque ne posso fare altri per me. -

La madre di Benji accettò i disegni con gratitudine – Quando Freddy ci ha comunicato che Benji si era sposato ti confesso che mi sono preoccupata un po’. – le confidò quasi con pudore - Un matrimonio così affrettato… capisci cosa intendo. Saprai anche tu che mio figlio non è mai stato uno stinco di santo e temevo che avesse commesso un terribile errore. – Guardò Clare con aria compiaciuta -  porto'lla nuca, e si sistemo'Sono davvero felice di constatare che ha scelto così bene. Sono molto orgogliosa di averti come nuora. -

Clare arrossì leggermente – Grazie, signora Price. Anch’io sono felice di fare parte di questa famiglia. – disse intenerita.

Catherine rise e si sporse a posare una mano sottile su quella della giovane donna – Oh, mia cara! Non chiamarmi signora Price, altrimenti faremo solo una grande confusione. Chiamami Catherine… oppure Cathy, come fa Benji. – Sospirò leggermente, osservando il volto placido di Martine – Mio figlio a volte sa essere davvero ostinato quando ci si mette. -

Clare pulì la bocca di Martine con un tovagliolo e stava per chiederle qualcosa di più sullo strano comportamento di Benji quando udì delle voci irate provenire dall’atrio e la porta dello studio sbattere con violenza.

Vide suo marito passare sfrecciando di fronte alla porta aperta del salotto mentre William lo seguiva quasi con fatica – Aspetta Benji, dobbiamo ancora finire di parlare! -

Il figlio si girò per affrontarlo, un lampo di furia negli occhi scuri – Ho detto quanto avevo da dire, Will. Se speri che cambi idea stai perdendo il tuo tempo. -

- Ma non capisci… - William tese un braccio cercando di fermarlo. Aveva il volto pallido, leggermente sudato e le labbra sottili erano circondate da un alone di sofferenza.

Le due donne si alzarono di scatto dal divano seguendoli nel vestibolo e Clare poté vedere la guancia di Benji pulsare violentemente per la rabbia repressa. Si rivolse al padre parlandogli come se dovesse spiegare una cosa ad un bambino ostinato - Sei tu che non capisci. Tre anni fa ho accettato di occuparmi di alcune delle tue società con l’impegno che avrei gestito il tuo impero economico solo quando avessi smesso di giocare a calcio. – lo guardò fisso negli occhi scandendo bene le parole – Quel momento Will non è ancora arrivato. -

William scosse il capo - Tuttavia questa è una situazione particolare. La Price Corporated è il colosso di famiglia e ha bisogno di una guida salda. -

Gli occhi di Benji scintillarono pericolosamente – Eravamo d’accordo che non mi avresti più seccato con questa richiesta. – gli ricordò – Hai un team di collaboratori espertissimi: usali. -

William si passò la mano sulla fronte: improvvisamente il braccio gli faceva davvero molto male.

- Hai delle responsabilità, Benji ed io vorrei che fossi tu ad occuparti di tutto.-

Il figlio lo guardò con il viso stravolto - Io non ho responsabilità nei vostri confronti – esclamò ormai al colmo della rabbia – Così come voi, più di vent’anni fa, avete messo in chiaro di non avere responsabilità nei miei confronti! -

- Hai dimostrato delle capacità oltre ogni mia aspettativa nel gestire il pacchetto di società che ti avevo affidato. – riuscì dire William, cercando di ignorare il dolore che saliva ad ondate, serrandogli quasi la gola - Sei mio figlio, è giusto che sia così. - 

La risata di scherno di Benji lo sorprese come se provenisse attraverso un lungo tunnel

– Ah, davvero? A quanto pare ti ricordi che sono tuo figlio solo quando ti interessa. – Gli occhi del SGGK si fecero freddi e duri – Questa volta ti è andata male, Will. Trovati qualcun altro che gestisca la tua preziosa compagnia. -

L’uomo fece per ribattere qualcosa ma non vi riuscì il volto stravolto da una smorfia di dolore.

- William! – Catherine scattò in avanti a sorreggerlo ma già Benji aveva fatto scivolare un braccio attorno al corpo del padre, la fronte segnata da una ruga di preoccupazione

- Chiama un’ambulanza! – urlò rivolto a Clare – Sta male! –

Con l’aiuto della madre aiutò William a distendersi sul divano mentre Clare volava al telefono. Come l’ebbero adagiato parve, per un attimo, che stesse meglio.

Catherine era terrorizzata e non riusciva a staccarsi dal fianco del marito, seguendo con preoccupazione il respiro affaticato di lui e tenendogli fra le sue una delle sue grandi mani – William, come ti senti? -

Il marito le fece un debole sorriso ma lo sforzo gli procurò un’ulteriore smorfia di dolore. Non riuscì a risponderle. Vide i volti preoccupati di sua moglie e di suo figlio diventare sfuocati ed impallidire come se improvvisamente tra lui e loro fosse calata una fitta nebbia. Provò una fitta di paura al pensiero di non rivederli e si sforzò a chiamare il nome di Catherine ma dalle labbra non riuscì ad emettere alcun suono.

Udì la voce di Benji che lo chiamava e lentamente si sentì trascinare nell’incoscienza. C’erano delle persone attorno a lui… le udiva parlare e affannarsi ma, nonostante i suoi sforzi, non riuscì a metterle a fuoco.

La luce nella stanza divenne prima un puntino luminoso e poi sparì. Il buio calò di lui come una calda e confortante coperta di bruma che tutto avvolge e consuma.

 

La sala di attesa della “Klaus Hoofer Klinik”, appena fuori dall’unità di terapia intensiva, era stata arredata con confortevoli divani in pelle rossa e bassi tavolini in cristallo a formare un ambiente caldo e accogliente. Tuttavia né Clare, né Catherine avevano minimamente fatto attenzione alle comodità. Il caffè, che un’infermiera aveva gentilmente portato nei bicchierini di polistirolo, era diventato freddo sopra il tavolo, senza che nessuna delle due donne avesse accennato a berne un sorso. 

Erano passate parecchie ore da quando William era stato ricoverato d’urgenza e ancora non avevano avuto notizia che avesse superato la crisi e fosse finalmente fuori pericolo. I medici gli avevano diagnosticato un attacco di ischemia piuttosto forte e Benji aveva saltato gli allenamenti, rimanendo al capezzale del padre.

Clare non l’aveva mai visto così freddo e lontano. Sembrava che una maschera di pietra gli fosse calata sul volto, ombreggiato dalla tesa dell’immancabile cappello.

Non aveva pronunciato una sola parola da quando  erano arrivati alla clinica. Era entrato in terapia intensiva e si era seduto in silenzio accanto al letto. Era dentro da ore.

Clare osservò il volto disfatto della suocera, seduta sul divano accanto al suo.

- Wiliam sapeva di stare male? -

Catherine alzò lo sguardo ad incontrare quello di Clare e poi crollò il capo di lato in un muto cenno di assenso – Ha avuto già un attacco in Inghilterra. I medici gli hanno detto che il suo cuore è molto affaticato. -

Clare scosse il capo, profondamente dispiaciuta. Entrambi, madre e figlio, soffrivano ed erano in ansia per colui che era marito e padre eppure, invece di farsi forza a vicenda erano lì, seduti in due stanze diverse, ognuno perso nel proprio personale dolore.

Non capiva perché Benji detestasse così tanto Catherine ma ancor meno riusciva a comprendere perché lei non trovasse il coraggio di riavvicinarsi al figlio.  

- Perché Benji sembra odiarla tanto? -

Le parole le sfuggirono dalle labbra prima che riuscisse a trattenerle. Vide Catherine sussultare a quella domanda improvvisa e i suoi occhi scuri, così simili a quelli del figlio, si riempirono di tristezza.

- Suppongo per quello che io gli ho fatto molto tempo fa. – rispose sincera, il volto attraversato dal rimorso – Vedi, Clare, mi vergogno ad ammetterlo, ma non sono stata una buona madre. - Sollevò lo sguardo ad incrociare quello ambrato della nuora cercandovi comprensione e poi confessò - Ho abbandonato mio figlio quando aveva solo cinque anni. -

Clare la fissò incredula.

- Non è possibile… -

- Oh si! – Il volto di Catherine era sinceramente addolorato – Ti sembrerà una cosa orribile… ma non sempre ho voluto bene a mio figlio. - Trasse un profondo respiro, lo sguardo colmo di angoscia – Ero giovane, viziata ed egoista e William mi adorava. Non volevo occuparmi di un bambino piccolo. – 

Di fronte allo sguardo sconvolto di Clare iniziò a raccontare – Dopo la nascita di Benjiamin i medici mi avevano sconsigliato di avere altri figli. Non avevo un fisico adatto alle maternità e, inoltre la posizione e il lavoro di William mi imponevano di partecipare ad una vita sociale piuttosto intensa. Andavo a cavallo, in barca a vela, partecipavo a tutte le feste e le riunioni mondane della stagione. Tuttavia, quando Benji aveva all’incirca quattro anni rimasi di nuovo incinta. Sconsideratamente continuai la vita frenetica che avevo sempre fatto, senza curarmi dei consigli dei medici che mi avevano imposto di riposare. – Gli occhi di Catherine si riempirono di lacrime – Il risultato fu che la mia bambina nacque troppo presto. I dottori mi dissero che… i polmoni non erano ancora formati – mormorò con voce incrinata.

Clare scivolò sul divano accanto alla suocera cingendole con un braccio le esili spalle, gli occhi colmi di pena

- Oh, Catherine, deve essere stato terribile! –

La donna si aggrappò a quell’abbraccio con forza sorprendente – Sono stata così egoista! – confessò in preda al senso di colpa – E quel che è peggio ho fatto così tanto male a Benji! –

Si passò una mano tremante sul viso ad asciugare le lacrime che le avevano bagnato le guance – Dopo la morte della mia bambina caddi in preda ad una forte depressione. Ero tormentata dai sensi di colpa e, quello che era accaduto, era davvero colpa mia. Non volevo vedere nessuno, neppure mio figlio. – Catherine si scostò da Clare guardandola in volto, cercando il coraggio per continuare – Nonostante fosse addolorato nel vedermi in quello stato William non mi rimproverò mai nulla e mi stette accanto con una dedizione di cui non lo credevo assolutamente capace. Mi portò in Europa, mi fece vedere dai migliori specialisti ma nessuno trovò il modo di strapparmi al tunnel depressivo nel quale ero caduta. – Fece un profondo respiro per calmarsi – Un anno dopo tentai il suicidio. Mi salvarono per miracolo. Quell’episodio convinse William che avevo bisogno di cure e attenzioni continue e mi costrinse ad ricoverarmi in una clinica psichiatrica. –

Tese la mano che tremava verso il bicchiere d’acqua posato sul tavolo e lo portò alle labbra improvvisamente aride, inghiottendo qualche sorso. Clare le prese il calice e lo posò sul tavolo mentre Catherine intrecciava le mani in grembo

- Fu una decisione coraggiosa, che incontrò molte critiche, ma quella sua scelta mi salvò la vita. Iniziai una terapia e quando lasciai la clinica, dopo più di due anni, riuscivo a convivere con il mio dolore. Ritornai in Giappone. Erano passati quasi quattro anni da quando avevo visto mio figlio e smaniavo dall’impazienza di riabbracciarlo. – Gli occhi di Catherine brillarono al ricordo - Durante quel periodo William, a causa del lavoro che lo portava spesso lontano aveva affidato Benji a Freddy Marshall, un nostro caro amico. Freddy aveva scoperto che Benji aveva un talento eccezionale nel giocare a calcio nel ruolo di portiere e aveva iniziato ad allenarlo con il consenso di mio marito. – 

I suoi occhi si accesero di una tenerezza incredibile mentre con la mente andava indietro di quasi vent’anni, ricordando l’incontro con il figlio. Con la voce che le tremava, Catherine continuò il suo racconto davanti ad una Clare completamente muta e stupefatta

- Quando al mio ritorno lo vidi si stava allenando nel campo dietro la villa, più alto di qualsiasi altro bambino della sua età, più forte… a nove anni già un piccolo uomo. – Si asciugò una lacrima, la voce velata di commozione – Ricordo che mi fissò, uno sguardo talmente profondo da trapassarmi da parte a parte. Poi se ne andò. Non disse nulla. Rientrò in casa. –

Catherine fece una pausa e prese a tormentare il fazzoletto che aveva tra le mani - Tentai di seguirlo, di spiegargli. Non ci fu verso. Era una furia, non avevo mai visto un bambino in preda ad una rabbia così profonda. Neppure Freddy riuscì a calmarlo. Mi fermai un mese, cercando di ravvicinarmi a lui, senza successo. Mi ignorava e quando proprio non poteva farne a meno mi fissava con una tale cieca furia… - Catherine fissò Clare angosciata – Non ho mai visto tanta rabbia e tanto dolore negli occhi di un bambino.  – confessò amareggiata - Alla fine del mese ripartii e Benji non venne neppure a salutarmi. – Sospirò – Forse avrò sbagliato, non dovevo lasciarlo, ma non sopportavo di essere rifiutata da mio figlio, preferivo stare altrove ed immaginare che lui attendesse con ansia il mio ritorno. –

Si asciugò le lacrime che le bagnavano le guance e cercò di sorridere debolmente a Clare ma fallì miseramente il tentativo – Con il tempo la sua rabbia si è stemperata. Lui è cresciuto, ha realizzato i suoi sogni con una determinazione incredibile. E’ diventato un uomo di successo, un calciatore famoso, e non solo per il cognome che porta. Ma il suo odio nei confronti miei e di William non è cambiato di una virgola. Lo vedo da come mi guarda… come se non riuscisse a sopportare di avermi di fronte. – la sua voce aveva un tono disperato - Non ci perdonerà mai per averlo abbandonato. –

Tacque schiacciata dalle sue stesse colpe e Clare posò una mano su quelle della suocera strettamente intrecciate – Deve tentare di nuovo. – la incoraggiò – Non può arrendersi in questo modo. - 

- Mi vergogno così tanto – Catherine si portò una mano al viso profondamente umiliata – Come posso confessare a mio figlio quello che ho fatto… il tentativo di suicidio, gli anni in clinica. Mi disprezza così profondamente! - 

La stretta di Clare si fece più salda, gli occhi dorati pieni di una soffocante commozione – Dategli una possibilità, Catherine. Io non posso prevedere come lui reagirà ma dovete parlargli. Dovete spiegargli e cercare di riconquistare il suo affetto e la sua fiducia. – Trasse un profondo respiro, gli occhi pieni di lacrime pietose – Non negatevi l’assoluzione. Anche Benji ha bisogno dell’appoggio della sua famiglia. -

La donna guardò Clare colma di profonda gratitudine – Non credevo che mi avresti capita. – mormorò commossa.

Clare le sorrise gentilmente, sciogliendosi dal suo abbraccio

 - Forse è arrivato per voi il momento di chiarirvi. -

Di fronte ai tentativi di diniego della suocera le strinse le mani fra le sue – Non abbia paura, Catherine. Gli parli con il cuore. Sono certa che Benji ascolterà quello che ha da dire. -

Incapace di trattenerla la donna osservò Clare alzarsi e dirigersi verso la camera di terapia intensiva dove William stava lottando per la vita. La giovane si soffermò un attimo, la mano sulla maniglia della porta, cercando di dare un ordine ai suoi pensieri e alle confuse emozioni che quelle rivelazioni avevano provocato. Poi raddrizzò le spalle ed entrò.

Sbatté le palpebre un paio di volte per abituare gli occhi alla penombra della stanza. Un forte odore di disinfettante le raggiunse le narici mentre metteva a fuoco la sagoma di William, coperta da un leggero lenzuolo, immobile nel letto. Degli elettrodi erano fissato sul petto nudo dell’uomo, collegati ad uno strano macchinario che ne monitorava il battito cardiaco, e da entrambe le braccia partivano i tubicini delle flebo collegati alle sacche appese sopra il letto. Aveva gli occhi chiusi e il volto era nascosto quasi completamente dalla mascherina dell’ossigeno. Il silenzio della stanza era rotto dal rumore dei macchinari che producevano deboli suoni e dal respiro che usciva secco e metallico dalle labbra dell’infermo.

Benji era seduto su di una sedia di metallo accanto al letto, le spalle rigide per la tensione. Chissà come era riuscito a fasi portare una bottiglia di qualcosa di forte dal medico di turno, ma dopo un solo sorso aveva allontanato il liquore disgustato, posando il bicchiere sul comodino accanto al letto. Clare gli si avvicinò lentamente e gli posò una mano sulla spalla fino a che lui non sollevò lo sguardo ad incontrare quello dolce e ambrato di lei.

Attraverso la maschera calata sul suo volto a celare la profondità dei suoi pensieri Clare lesse l’angoscia, annidata negli occhi scuri di lui. La mano grande e bruna di suo marito si posò sulla sua, quasi nell’impellente bisogno di un contatto. 

Non disse una parola, solo una muta stretta che lei contraccambiò, come a rassicurarlo della sua presenza.

- Resto io con lui per un po’ – sussurrò piano, costringendolo ad alzarsi – Vai da tua madre, ha bisogno di parlarti. –

Lo sospinse gentilmente fuori dalla stanza e quando la porta si fu richiusa alle sue spalle andò a sedersi accanto al letto, preparandosi ad una lunga attesa.

 

Le ombre della sera si allungarono oltre la cima degli alti sempreverdi che costeggiavano il muro di cinta del parco e velocemente sparirono consumandosi in quella breve serata d’autunno. La densa oscurità avvolse il giardino silenzioso di Ville Rose illuminato solo dalla chiara luce dei lampioni alogeni.

Clare prese la spazzola dalla pettiniera e iniziò a farla scorrere nei capelli con le guance illuminate di emozione.

Dopo aver trascorso alcune ore al capezzale di William era ritornata a casa per occuparsi di Martine, costringendo Catherine a fare altrettanto. La donna era visibilmente distrutta ma i suoi occhi scintillavano di gioia dopo il suo confronto con il figlio. La conversazione fra i due si era risolta nel modo che Clare aveva tanto sperato e, nonostante la diffidenza di Benji, sembrava davvero che lui avesse iniziato a mettere da parte il rancore, cercando di costruire qualcosa di buono tra loro. Non aveva detto una sola parola in merito alla lunga discussione che aveva avuto con sua madre, ma gli occhi di Clare si erano riempiti di lacrime di commozione quando li aveva visti entrare insieme in terapia intensiva, Catherine sostenuta gentilmente dal braccio premuroso di lui.

Verso metà della mattinata Benji le aveva telefonato, comunicandole che William si era finalmente ripreso e che i medici avevano confermato che era definitivamente fuori pericolo. Catherine si era precipitata in clinica, lasciando, insieme a Martine, una Clare confusa e felice.

Quel pomeriggio Benji aveva raggiunto i compagni di squadra allo stadio di Monaco per giocare una partita di campionato e, sebbene la sua mente fosse certamente lontana mille miglia dalla partita che stava disputando, la sua prestazione era stata impeccabile come al solito. Cullando Martine fra le braccia, Clare aveva acceso il televisore per avere qualche notizia dell’esito dell’incontro, indicando alla bambina il SGGK ogni volta che l’operatore si soffermava a riprenderne l’imponente figura. La piccina riconosceva nelle immagini a video il volto dell’uomo che spesso la prendeva in braccio con tanta tenerezza e, per tutta da durata dell’incontro, il salotto risuonò dei suoi gridolini di gioia.

Al termine della partita era seguita la conferenza stampa di rito e il cuore di Clare aveva preso a battere un ritmo forsennato, riconoscendo tra le miriadi di facce, il volto bruno e bellissimo del marito.

Aveva un’aria tra l’annoiato e il distaccato, quasi non vedesse l’ora di trovarsi altrove e Clare ben sapeva quanto fremesse dal desiderio di abbandonare la stanza per recarsi in clinica al capezzale del padre appena ristabilito.

Il volto di Martha Lewis era apparso sullo schermo, tra quelli dei suoi colleghi, come pervaso da maligna soddisfazione. Incurante dell’esito della partita e dei tecnicismi sui quali si era soffermato volentieri l’allenatore, era ritornata all’attacco con le sue insinuazioni cariche di sospetto, rivolgendosi direttamente al SGGK e chiedendogli come mai due sere prima. alla festa al Bayerischer Hof, fosse apparso di così pessimo umore di fronte ai giornalisti

- Possiamo addebitare il suo malumore ai recenti cambiamenti intervenuti nella sua vita? – aveva chiesto con voce piena di veleno – Ci sono dissapori in famiglia? Forse il suo recente matrimonio è già in crisi? -  

Prima che Benji potesse parlare era stato Schneider a rispondere alla curiosità morbosa della donna, scoppiando in una fragorosa risata che aveva fatto voltare verso di lui tutti i giornalisti presenti

- Per la verità stava cercando di evitare che altri uomini adocchiassero con troppa insistenza sua moglie! -

La sala stampa ammutolita si era poi unita alla risata contagiosa del fuoriclasse ma la giornalista era apparsa poco convinta  e aveva insistito – Davvero, Benji, sei diventato così geloso? -

Lui aveva scoccato un’occhiata malevola a Karl che stava facendo fatica a controllarsi – Per quanto riguarda mia moglie lo sono, Fraulein Lewis – aveva ammesso.

Martha aveva sgranato gli occhi pesantemente truccati - Vuoi dire che lei te ne da motivo? – aveva chiesto con aria falsamente innocente e lo sguardo pericoloso quanto quello di un cobra.

Tutti i presenti avevano teso le orecchie in attesa della risposta del campione.

Benji l’aveva fissata con aria sfrontata, il volto bruno percorso da un sorriso di scherno – Voglio dire – aveva detto, scandendo bene le parole come se parlasse ad una persona lenta di comprendonio – Che evidentemente lei non conosce la signora Price, per fare una domanda tanto stupida. -  

Lo stupore per quell’improvvisa dichiarazione aveva lasciato tutti attoniti per un istante poi era scoppiato il pandemonio. La sala stampa era stata percorsa da una risata scrosciante e il volto di Marta Lewis si era fatto paonazzo sotto il pesante strato di trucco.

Hans Müller giornalista accreditato della televisione di stato si era asciugato gli occhi con una mano prima di concordare pienamente con il portiere – Fate bene difendere la signora, Price! Ho conosciuto vostra moglie l’altra sera alla festa ed è una creatura assolutamente incantevole. Fossi in voi la farei girare solo se avvolta in un pesante burka! -

La conferenza stampa si era poi sciolta in un clima di totale euforia e Clare aveva spento il televisore.

Aveva messo Martine a nanna e si era preparata per andare a letto come un automa.

La confessione di Catherine, le parole pronunciate alla conferenza stampa, i suoi sentimenti, le si erano accavallati nella mente gli uni sull’altri, costringendo le sue emozioni a venire a galla.

Non era più il tempo di nascondersi dietro alle sue paure. Non era più il momento di esitare.

Doveva osare. Sperando, pregando che il suo amore per lui fosse la spinta sufficiente.

Perché sapeva… sentiva che unico modo per arrivare a toccare il cuore di Benjiamin Price passava per la via più rischiosa, per il percorso più duro.

Doveva dare.

Senza aspettarsi nulla in cambio. Senza alcuna certezza, perché lui non gliel’avrebbe mai data.

Aveva osservato con attenzione la sottile vera d’oro che portava al dito e i diamanti scintillarono luminosi alla luce della lampada: il legame più solido che avesse mai avuto.

Tu mi hai toccato… e trattenuto.

Non valeva forse la pena rischiare per qualcosa di così prezioso?

Benji aveva passato tutta la sua vita arroccato nella sua solitudine, abbandonato dai suoi genitori. Questa lontananza, la scarsità di punti di riferimento, lo avevano reso un uomo duro, cinico, poco espansivo, incapace di dimostrare i propri sentimenti. Per un certo tempo aveva persino dubitato che lui avesse un cuore.

Poi era accaduto il miracolo: Martine, così piccola e innocente, era penetrata attraverso la spessa corazza del suo riserbo e Clare aveva potuto scorgere l’uomo affettuoso e paziente che si nascondeva dietro quella gelida maschera di freddezza. Il racconto di Catherine l’aveva costretta  misurarsi con una realtà che non conosceva e che, era certa, fosse un mistero per molti. Non sapeva che cosa lui avesse chiuso in fondo al suo cuore, quali fossero i suoi pensieri e suoi sentimenti più veri. Il dolore feroce per l’abbandono di allora lo aveva segnato profondamente, convincendolo a chiudersi in se stesso, a rifiutare ogni contatto che creasse una qualche dimostrazione di affetto, per timore di essere, un giorno, di nuovo respinto.

Tutti finiscono con l’andarsene e allora è meglio andare via per primi e non voltarsi mai indietro.

Era quello che lui aveva sempre fatto. Era quello che aveva provato a fare anche con lei.

Con trepidazione si era alzata in piedi di scatto e si era affrettata a prepararsi per timore che egli arrivasse all’improvviso. Adesso era lì, vestita, o meglio, svestita della camicia che Patty le aveva regalato, senza sapere bene cosa avrebbe fatto.

Un rumore soffocato nella stanza da letto di lui la strappò alle sue considerazioni. Si avvicinò silenziosamente alla porta socchiusa e vide Benji in piedi che stava togliendosi la giacca.

Dava le spalle alla porta di comunicazione ma dovette udire un fruscio dietro di sé e avvertire la sua presenza perché la testa bruna si sollevò di scatto

- Sei ancora sveglia? – mormorò sfilandosi la cravatta senza neppure voltarsi – Vai pure a dormire e non preoccuparti. William adesso sta bene e Cathy ha deciso di fermarsi a dormire in clinica. Ha detto che voleva restare con lui. -

Non ricevendo risposta si girò, sbottonandosi il polsino della camicia, e i suoi occhi corsero alla porta di comunicazione e la videro aperta

- Clare… -

- Sono qui, Benji. – la voce morbida di lei gli fece volgere lo sguardo al centro della stanza fino ad incontrare la figura sottile e flessuosa della moglie ritta ai piedi del letto. Il corpo nudo di Clare, coperto solo della sottile camicia da notte baluginava nella penombra facendola assomigliare ad una figura evanescente. Si impietrì.

- Clare, cosa… -

Le guance di Clare si illuminarono un lieve rossore mentre lo guardava in volto, incrociando lo sguardo con quello di lui - Sono qui per restare, Benji – mormorò piano. Trasse un profondo respiro, cercando di rallentare i battiti impazziti del suo cuore - …e sono tua… se mi vuoi. -

Lui tirò indietro la testa di scatto, stupito dalle sue parole, ma Clare fece un passo avanti e la morbida luce della lampada illuminò lo splendore marmoreo del suo viso

- Amami – mormorò con gli occhi dorati scintillanti che percorrevano il viso fiero e orgoglioso di lui.

 

 

“ Vorrei fare con te

ciò che la primavera

fa

con i ciliegi”

(P. Neruda)

 

 

A Benji si spezzò il fiato di fronte alla delicata bellezza di lei, svelata dal luccicante tessuto della camicia da notte. Il leggero pizzo color avorio era un’esile ragnatela intagliata sul suo corpo snello, modellando il profilo tondo del seno abbondantemente rivelato dall’audace scollatura, la vita sottile, la linea agile delle lunghe gambe perfette. Una vampata di desiderio ruggì negli occhi scuri dell’uomo mentre ammirava emozionato lo splendido corpo della moglie.

Imbarazzata nella sua camicia semi trasparente, Clare strinse le mani attorno alla spazzola, prendendo rapidamente nota dell’abbigliamento di lui, i pantaloni neri, la fine camicia bianca, alla quale erano state rimboccate le maniche, aperta sul collo forte e abbronzato.

Posò la spazzola sul ripiano del mobile accanto al letto e gli si avvicinò nervosamente, quasi per sottrarsi al suo sguardo fiammeggiante.

- Clare – il tono di Benji era basso e intimo e le spedì un brivido lungo la spina dorsale – Non si può tornare indietro… -

Lei annuì e, mettendo a tacere le sue paure, si accostò al ruvido calore del suo corpo. Avvertì il braccio muscoloso dell’uomo avvolgerla, al pari del caldo sentore amarognolo della sua colonia. Rimase lì, tesa e rigida.

- Ho… un po’ di paura – gli confidò in un sussurro, cercando di soffocare i suoi timori negli occhi di Benji, così profondi e densi da circondarla con tutta la loro intensità. Fece un tremulo sospiro – Io… so solo che fa male – ammise riluttante.

L’altro braccio di lui si unì al primo nel circondarla con incredibile tenerezza, mentre gli occhi dell’uomo scandagliavano il volto bellissimo di lei, perdendosi negli abissi dorati – Soltanto se si vuole fare male – mormorò con voce rotta.

Clare sollevò lo sguardo sul volto aspro di lui e sgranò gli occhi per la sorpresa.

Qualcosa scattò improvvisamente, sciogliendosi nel suo intimo. La sua voce, quella profonda voce baritonale che faceva vibrare ogni corda del suo essere, e il tormento che leggeva nel suo sguardo agirono come un balsamo nell’animo turbato di lei, avvolgendola di calore.

Nelle traslucide iridi scure c’era una dolcezza infinita e preoccupazione e… e sì, un sentimento indecifrabile e smisurato

- Non devi mai pensare che io possa farti del male - la voce di Benji era rauca e sofferta – Non avere paura di me, Clare… il resto è al di là di tutto. -

La mano di Clare andò a posarsi su quella dell’uomo ben più grande e bruna incrociando la passione bruciante del suo sguardo magnetico. Si affidò alla sua forza, sperando di non deluderlo mai. Gli credeva.

- Lo so -

Benji si chinò leggermente, sollevandola fra le sue braccia, raccogliendola contro la solidità suo petto. Sentì il bellissimo corpo di sua moglie premere contro il proprio, mentre gli occhi ambrati di lei si intrecciavano ai suoi, profondi, intensamente dorati, pieni di una folle emozione.

La distese sul letto, tra le fresche lenzuola di lino accuratamente ripiegate, e la massa pesante dei capelli di lei venne sollevata e sparsa sul cuscino in una nuvola di seta dorata. Ammirò emozionato lo splendore di quel volto dalla pelle di alabastro e le sue labbra calde e ferme incontravano quelle morbide di Clare, cariche di silenziose promesse e di un desiderio selvaggio.

Polpastrelli maschili seguirono lievi la curva della spalla di lei, sfiorando reverenti la pelle serica del seno svelata dal tessuto prezioso, disegnando intricati simboli sul ventre soffice.

Non aveva mai accarezzato una donna con tanta intensità e tanto abbandono.

Clare sentiva la pelle infiammarsi dove le dita di lui tracciavano una scia sensuale e le sue braccia scivolarono accoglienti come raso liquido attorno al collo robusto, accarezzandone gentilmente la nuca, sfiorandogli la linea della mascella con la punta delle dita e rispondendo ai suoi baci con esitante audacia.

La consapevolezza dell’abbandono di lei fra le sue braccia, la sua tenera ed ingenua risposta, unite al suo profumo incredibilmente dolce gli fecero quasi perdere la testa. Si liberò rapidamente dei propri indumenti e vide Clare distogliere lo sguardo imbarazzata. Trattenne un sorriso. La sua timida, coraggiosa moglie non riusciva ancora a posare gli occhi su di lui anche adesso che stavano per entrare nel regno dell’intimità coniugale. Era una caratteristica di lei che gli piaceva moltissimo e ancora di più gli sarebbe piaciuto in seguito insegnarle a superare quei momenti di imbarazzo.

Le si accostò piano, appoggiandosi leggermente, prendendo una mano sottile di lei, rovesciandola e posando un caldo bacio sul palmo soffice. L’emozione le fece brillare gli occhi di luce e, quando le labbra di Benji presero con ardore le sue, incontrarono una risposta dolce e appassionata.

I suoi baci crebbero di intensità, torcendo e divorando, bruciando con passione ogni timore e annullando ogni resistenza.

Clare sentiva il suo corpo, come dotato di una propria volontà, sollevarsi inarcandosi contro quello di lui, duro ed irrigidito da desiderio, ed era meravigliosamente consapevole dei fuochi che il tocco d’amante di Benji evocava. Lentamente l’uomo le fece scivolare la camicia da notte giù dalle spalle e, ben presto, il leggero mucchietto di pizzo cadde dimenticato ai piedi del letto, mentre egli la stringeva a sé. Il corpo di lei era liscio e morbido, abbandonato contro il suo, e la pelle aveva uno splendore luminescente come se fosse cosparsa di polvere di perle.

Clare provò un senso di smarrimento, quando il suo corpo nudo venne a contatto con quello bruciante di lui e il suo respiro accelerò quando la bocca dell’uomo si staccò dalla sua e prese a scendere lungo la serica colonna della sua gola, mormorando parole intelligibili, toccando le corde di un desiderio sconosciuto.

Le mani di Benji, abili e riverenti, si curvarono deliberatamente lente attorno alla liscia setosità dei fianchi di lei, accostandola al suo ruvido desiderio e stringendo i denti per l’aspro piacere che gli attraversò il corpo come una scossa.

I suoi baci caddero, fieri d’amore e di passione, come una collana infuocata sul primo morbido rilievo del petto facendole trattenere il fiato per la sorpresa e, quando le sue labbra si posarono sul suo seno, stuzzicandone la morbida sommità, il fuoco che ardeva dentro di lei eruppe in un incendio.

Clare gemette il suo nome, e le sue mani si contrassero sulle sue spalle abbronzate, mentre la mano di Benji si racchiudeva attorno a quella sottile di lei, facendogliela posare sul proprio petto abbronzato.

Il contrasto fra i loro corpi era meravigliosamente eccitante, lui così possente e bruno, lei così candida e fragile. Sembrava quasi che un oscuro demonio stesse facendo l’amore con un angelo.

Clare osservò la propria mano bianca posata sul torace bronzeo e muscoloso, coperto da una lieve peluria che andava assottigliandosi fino ai fianchi stretti, e osservò stupita la brusca reazione di lui alle sue carezze. Sentiva i tonfi pesanti del cuore di lui sotto il suo palmo e il battito farsi più rapido quando lei mosse la mano, allargando la punta delle dita sul suo petto. Era incredibilmente bello e Clare fece scorrere con ammirazione le mani sui muscoli solidi e rivestiti del raso scuro della sua pelle, sfiorando con caldi baci i luoghi appena accarezzati dalle sue dita, meravigliata del loro contrarsi non appena erano sfiorati dal suo tocco inesperto.

Benji chiuse gli occhi, trattenendo convulsamente il respiro, mentre il suo corpo, quasi famelico per l’ondata d’amore che lo travolgeva, veniva scosso da un desiderio così intenso che lo faceva tremare.

Bramava spingerla sotto di sé per stendersi su di lei e trovare l’appagamento che cercava e desiderava disperatamente ma, più di ogni altra cosa, voleva darle infinito piacere.

Le sue mani si mossero in una tenera ricerca, accarezzando il liscio splendore dei suoi glutei, costringendo il corpo di lei ad una risposta appassionata.

Gli occhi di Clare erano lucidi e splendenti quando egli l’attirò a sé in un fiero abbraccio possessivo, sfiorando con il bacino la sua intimità, attenuando con lente carezze lo sconvolgimento della penetrazione.

Sentiva una pressione incredibile crescere dentro il suo corpo mentre si stringeva a lui, travolta dalle sue stesse sensazioni. Provò una fitta di breve dolore che la fece ansimare, prima di accogliere dentro di sé il suo calore e la sua forza.

Il viso di Benji sopra il suo era duro e cupo nella passione, nel tentativo di arginare la brama che lo sconvolgeva, ma quello stesso sguardo irraggiava altrettanta tenerezza che desiderio. Con completa fiducia gli fece scivolare le lunghe gambe attorno ai fianchi stretti proprio nel momento in cui egli abbassò la bocca a frugarle le labbra in un lungo bacio.

Aggrappata a lui e consapevole del proprio amore Clare gli si abbandonò completamente mentre, travolta dalla passione di lui, mormorava incoerentemente con voce rotta

- Ti amo -

Fu come se quell’istante fosse rimasto nell’aria, sospeso.

Benji alzò leggermente il capo e il suo sguardo bruciante le percorse il volto cercando la verità nascosta in quegli occhi d‘ambra densi di desiderio. Non disse una parola ma con incrollabile determinazione plasmò il corpo di lei contro il proprio, spingendolo verso le alte vette del piacere. Esigente e appassionato sollevò il corpo di Clare in un ritmo palpitante ed ella, generosa come al solito, non gli negò nulla.

Erano fuoco e seta bollente, febbrile desiderio e selvaggia frenesia, perduti nell’impulso della ricerca.

Un miliardo di luci esplosero nella mente di Clare e il suo corpo fu scosso da tremiti violenti quando l’estasi sbocciò calda e pulsante, travolgendola con l’impeto inarrestabile delle onde del mare.

Benji si spinse un’ultima volta nella morbidezza di lei, mentre il suo nome mormorato da quelle labbra gonfie per i troppi baci gli toccava il cuore, inconsapevole che, nel momento in cui il violento flusso di piacere gli attraversò il corpo, gemeva forte.

Trattenendo il proprio peso sugli avambracci possenti affondò il capo contro la gola bianca tra i morbidi riccioli arruffati, sussultando convulsamente e respirando con profondi ansiti, con il cuore che batteva freneticamente, circondato quell’inebriante profumo di rose bianche che era parte di lei, ancora intimamente legato a lei.

Per un attimo si sentì debole e indifeso nel suo abbraccio.

Non era mai stato debole, non era mai stato indifeso, eppure in quel momento aveva un disperato bisogno di lei.

Non aveva mai conosciuto un piacere così profondo e appagante, un tale abbandono, un coinvolgimento così totale.

Con una mano che tremava leggermente scostò una ciocca dorata dalla guancia liscia di lei ancora arrossata dal godimento. Per la prima volta da molti mesi si sentiva prosciugato di ogni energia ed in pace con se stesso. Cercò lo sguardo ambrato e fu meravigliato nel leggervi un adorante e abbagliato stupore e una dolcezza infinita. Incapace di pronunciare una sola parola si rovesciò sulla schiena, attirando Clare sul proprio petto e avvolgendola teneramente fra le braccia. Le sfiorò il capo biondo con un bacio e la sentì sospirare di felicità mentre la sua mano sottile si posava sul suo petto proprio all’altezza del cuore che batteva in tonfi pesanti.

Se il mondo gli fosse passato davanti in quel momento Benjiamin Price dubitava che sarebbe stato in grado di alzare un dito.

Le braccia di Clare lo circondarono stringendosi a lui, crogiolandosi nel calore del suo corpo.

Non voleva pensare all’indomani.

Benji la teneva con una tenerezza tale che avrebbe potuto fingere che l’amasse davvero e che quella passione fosse solo per lei. E che esistesse un amore che durasse in eterno.

Al di là di ogni cosa.

v

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Capitolo 20
*** Capitolo XX ed epilogo ***


Ed eccomi finalmente arrivata all’ultimo capitolo di “Scent of hearts”.

Ho deciso di pubblicarlo contemporaneamente all’epilogo per una sorta di continuità di pensiero.

Confesso che sono un po’ dispiaciuta di dover smettere di scrivere ma, come in ogni storia che si rispetti, è giusto ad un certo punto calare il sipario sugli eventi e fare rimanere il mistero. In questi mesi mi sono affezionata tantissimo a Clare, Benji e Martine, che sono cresciuti un po’ da soli sotto la mia benevola supervisione, lasciandomi a volte sconcertata della loro capacità di esprimersi e di evolversi autonomamente quasi io fossi una spettatrice delle loro vicende. Mi hanno dato davvero tanto… spero che abbiano lasciato qualcosa anche a voi.

 

Ringrazio tutti quanti mi hanno accompagnato nell’avventura di scrivere questa ff, coloro che mi hanno incoraggiata e consigliata splendidamente. Grazie a tutte le persone che, lasciando una loro recensione o inviandomi una mail, mi hanno trasmesso le loro emozioni. Non credevo foste così in tanti a seguire la mia ff: mi avete davvero commosso!

 

Alla divina (e non scherzo!) Sanychan vanno i miei ringraziamenti più affettuosi perché senza di lei non avrei mai trovato il coraggio di pubblicare. Il suo appoggio, le sue splendide fanfiction e la sua perenne gentilezza sono stati la polvere magica che mi hanno ispirato e incentivato a scrivere.

 

I personaggi di Capitan Tsubasa non sono miei ma di Yoichi Takahashi e Shueisha e Star Comics, tuttavia Clare, Martine, Mrs. Bauer e gli altri personaggi minori mi appartengono e come tali non possono essere utilizzati senza la mia preventiva autorizzazione.

 

La poesia del presente capitolo è stata scritta esclusivamente per me e ogni diritto è, e rimane, del suo autore che mi ha gentilmente concesso l’esclusiva. Suo è il pezzo di blues per pianoforte che mi ha fatto scrivere queste ultime pagine, sua è la frase di Benji al termine di questo capitolo.

Diciamo che gli devo davvero moltissimo.

 

Vi sarò molto grata se vorrete farmi sapere se vi è piaciuta la conclusione di questa ff e buona estate a tutti!

Un saluto affettuoso.

Buona lettura e ad maiora!

Julie

 

 

CAPITOLO XX

 

“Quando noi voliamo insieme

nei liberi cieli delle possibilità

non chiedermi di chiudere le ali

per perdermi nel buio del dubbio.

Accetta di volare con me

senza chiedermi quale sia la rotta.

Non la conosco.

 

Quello che so è che amo

volare insieme a te.

Quello che so è

che amo te.

 

Ma ora so che

sono io ad aver chiuso le ali.

Sono io ad essermi perso nel dubbio.

Sono io che ho smarrito la rotta.

Io ho smesso di volare.

 

Ma ora so

che sempre di più

ti amo.

 

Ti prego

stringi forte la mia mano

Insegnami di nuovo a volare”.

(A.C.F.P.)®©

 

 

Raggi di luce sciolti come lame sottili forarono il debole baluardo opposto dalle tende di mussola leggera  rincorrendosi uniti per poi separarsi fino ai piedi dell’enorme letto, scaldando le lenzuola di lino sbiancate dal sole. Un raggio impudente percorse un polpaccio affusolato che emergeva da quella spumosa nuvola bianca e accarezzò la serica pelle di un braccio ripiegato a formare un arco sopra morbidi riccioli scomposti.

Clare aprì lentamente gli occhi e si guardò attorno confusa scostandosi una ciocca di capelli dal viso, cercando di mettere a fuoco gli arredi poco familiari.

Si trovava da sola, nella camera da letto di Benji… nel suo letto! 

Il rumore di una porta sbattuta sullo stesso piano la fece balzare in piedi di colpo, per poi accorgersi di aver dormito completamente nuda. Un gemito di vergogna le sfuggì dalle labbra e si affrettò a strappare il lenzuolo dal letto avvolgendoselo attorno al corpo, paludandosi come un’antica divinità greca.

Respirò di sollievo quando udì la porta richiudersi più gentilmente e dei passi allontanarsi lungo il corridoio in direzione delle scale. Sebbene fosse del tutto naturale che in qualità di moglie dividesse la camera e il letto del padrone, si sentiva in fortissimo imbarazzo ad affrontare i domestici in un abbigliamento così discinto.    

Scostò le tende dalla finestra e il chiarore abbagliante di quel mattino inondò la stanza di luce.

Sulla sua pelle lattea spiccavano i segni della notte appena trascorsa, dove Benji l’aveva stretta e baciata con passione, e gli occhi di Clare furono attratti dalle piccole macchioline di sangue che deturpavano il candore immacolato del materasso. Un improvviso violento rossore le salì alle guance imporporandole, diffondendosi al di sopra del rosa tenero dei suoi seni. Trattenendo saldamente il suo abito improvvisato tese la mano a tirare via il lenzuolo, con l’intenzione di farlo sparire prima che Mrs. Bauer o una delle cameriere potessero vederlo.

Fu così che Benji la vide, immersa nel fulgore glorioso della luce del mattino, la pelle candida che riluceva come l’alabastro più pregiato, i biondi riccioli arruffati, in cui solo poche ore prima aveva fatto scorrere le mani, sparsi sulla schiena in un tumultuoso torrente.

Il rumore della porta che si apriva alle sue spalle fece sobbalzare Clare che si svoltò di scatto ritrovandosi di fronte all’uomo che aveva stravolto tutta la sua vita. Benji era vestito di tutto punto con un paio di pantaloni scuri e una giacca sportiva sopra una camicia candida a righe sottili che esaltava la bruna avvenenza del volto. Incombeva su di lei, imponente per forza e volontà, e sembrava perfettamente a suo agio nel trovarla seminuda nella sua camera da letto, mentre Clare avrebbe dato qualsiasi cosa per scomparire il più velocemente possibile.

Si raddrizzò di scatto, stringendosi al petto il suo abito improvvisato, e il lenzuolo che aveva fra le mani cadde ai suoi piedi in un mucchio disordinato

- Bu… buongiorno… - balbettò nervosamente scandagliando l’espressione imperscrutabile dell’uomo, cercando di trovarvi un accenno della tenerezza della notte scorsa.

Il volto di lui era ombreggiato dalla tesa del suo inseparabile cappello e sulle labbra finemente cesellate non c’era neppure l’accenno di un sorriso. Le sembrò avere di fronte un estraneo, impeccabile e distante, non l’uomo che l’aveva stretta fra le braccia e amata con tanta passione. Seguì lo sguardo fermo di lui rivolto ai suoi piedi e vide che la sua attenzione era stata catturata dal lenzuolo macchiato e spiegazzato che aveva strappato dal materasso.

Un improvviso e violento rossore colorò  le guance di Clare che distolse lo sguardo in preda alla vergogna, stringendosi le braccia attorno al corpo snello, ancora arrossato dai suoi baci.

Benji le si avvicinò ammirandone il volto delicato soffuso di imbarazzo, il corpo giovane e flessuoso che lei cercava disperatamente di celare al suo sguardo affamato.

- Buongiorno, dolcezza – la salutò. Nella sua voce c’era una leggera traccia di divertimento e il portiere fece scivolare il dito sotto il mento di lei a sollevarle il volto per incontrare il suo sguardo incerto – Dormito bene? -

Clare incontrò quello sguardo di brace e se possibile il suo volto si fece ancora più rosso – Si… io, ecco… si… -

Benji inclinò leggermente il capo, mentre le scostava un ricciolo dorato dalla guancia, facendole aumentare i battiti del cuore. Non riusciva a staccare lo sguardo dal volto di lei, dal punto in cui il lenzuolo si apriva consentendogli un’invitante visione delle prime morbide curve del seno. La pelle di Clare aveva il serico tepore delle rose scaldate dal sole e gli ci volle uno sforzo di volontà per non trascinarla di nuovo sul letto.

Quando quella mattina si era alzato, sciogliendosi dal groviglio dorato dei suoi capelli e da quel corpo che premeva affettuosamente contro il suo, si era reso conto che non avrebbe mai permesso a nulla e nessuno di strappargliela dalle braccia. Si era allontanato prima che si svegliasse, cercando di ricomporre le proprie confuse emozioni, prima di rivederla… prima di scoprire negli occhi dorati di lei chissà che cosa…

Era possibile che Clare gli avesse mentito? Alla luce del giorno non riusciva neppure a concepire un simile sospetto perché, quando Clare lo guardava come in quel momento, con tutta l’anima negli occhi, gli sembrava addirittura osceno, eppure… 

Quel “ti amo” pronunciato la notte precedente non contava nulla, lo sapeva benissimo.

Sapeva di averle fatto conoscere la piena portata della sua femminilità e che quelle erano state parole dette in un momento in cui la passione e il desiderio avevano annullato ogni altra volontà.

Non c’era stato orgoglio quella notte, né distacco, né possibilità di tirarsi indietro.

Le aveva dato tutto se stesso, come mai gli era capitato di fare prima, annegando nel suo calore, trasportato dal suo profumo, nella pace che solo lei sembrava in grado di donargli. Quella mattina aveva dovuto allontanarsi prima che si svegliasse perché, per quel suo maledetto orgoglio, non avrebbe sopportato di leggere negli occhi di lei un rifiuto.

Eppure quelle due brevi parole, pronunciate tra un respiro e l’altro, gli avevano acceso una strana speranza nel cuore.

Accennò al lenzuolo ai suoi piedi – Non devi sentirti a disagio – mormorò, sfiorandole le labbra con la punta del dito – Mi dispiace solo se sono stato poco delicato. -

Clare non riusciva a respirare sotto il lieve tocco di lui. Non poteva dirgli che stava benissimo, che il solo fatto di averlo così vicino le faceva battere freneticamente il cuore, che avrebbe voluto che lui la prendesse di nuovo fra le braccia.

Quelle sarebbero state le parole che avrebbe pronunciato una donna innamorata.

Ma la notte era finita e quello era il mattino.

- Se non ti dispiace vorrei vestirmi. – mormorò con voce tanto bassa che lui stentò ad udirla

Benji fece un passo indietro e negli occhi scuri passò un lampo di sgomento che lei non vide – Si, certo. Ti aspetto di sotto. – Esitò un istante - Oggi non ho gli allenamenti e avrei un impegno ma prima pensavo che potessimo andare in clinica insieme. -

Clare annuì, stringendosi convulsamente il lenzuolo al petto e chiedendosi febbrilmente quale fosse la natura di quell’impegno… se in quell’impegno c’entrasse una brunetta di loro conoscenza – Va bene. -

Non appena udì la porta chiudersi alle spalle del portiere si precipitò in bagno e si affrettò ad infilarsi sotto la doccia, cercando di lavare via, sotto il forte getto d’acqua, il sottile senso di angoscia che le aveva trafitto il cuore. Si preparò a tempo di record e quando scese le scale di corsa trovò Benji ad attenderla in sala da pranzo in compagnia di Martine.

La bambina stava cercando di muovere i primi incerti passettini completamente sostenuta da Benji che la sorreggeva per le piccole mani. Faceva tenerezza vedere il corpo alto e atletico di lui premurosamente chino sulla piccina. Il sorriso del campione era abbagliante, mentre guidava i passi insicuri di Martine e, quando scorse Clare in piedi sulla porta, fece voltare verso di lei la bambina

-  Guarda Martine, ecco la mamma. Non vuoi farle vedere quanto sei brava? – la esortò affettuoso

Con gli occhi colmi di commozione Clare osservò la bimba venire verso di lei ridendo e farfugliando parole incomprensibili. Si chinò ad accoglierla fra le braccia e come fu a pochi passi da lei la strinse a se, alzandosi in piedi, riempiendole il visino di baci e strappandole un’altra risatina.

La nuova posizione consentì a Martine di godere di una visuale più ampia e come vide Benji, accanto a Clare, tese le braccine. Lui la accontentò, prendendola in braccio e facendole il solletico sul pancino, facendo sorridere anche Clare agli strilli gioiosi della bambina.

Qualunque fossero le difficoltà fra di loro sembrava che ogni divergenza o incertezza si appianasse quando si trattava di occuparsi di Martine. Non c’era spazio per gli egoismi o i dubbi davanti alla bambina ed entrambi si lasciavano guidare dall’istinto e dall’amore che nutrivano per la figlioletta.

Mentre Benji giocava con Martine, Clare fece finta di fare colazione ma aveva lo stomaco talmente chiuso da non riuscire a mandare giù niente di più di una tazza di tè. Si alzò con sollievo da tavola quando Mrs. Bauer venne a prendere la bambina dalle braccia del padre e seguì docilmente Benji fuori da Ville Rose.

Quella mattina di tardo autunno aveva regalato a Monaco un tempo splendido e un sole luminoso brillava oltre le cime dei sempreverdi che delimitavano il giardino.

Benji osservò la luce riflettersi sui capelli biondi della moglie, illuminandoli di una miriade di sfumature, prima che lei salisse sulla Jaguar. Gli era apparsa estremamente fragile quella mattina, vestita di un corto abitino nero ravvivato da un foulard di un bel verde brillante e, nonostante fosse sempre bellissima, aveva notato un ombra velare di dispiacere le profondità ambrate dei suoi occhi.

La notte appena trascorsa li aveva avvicinati incredibilmente, regalando loro un’intimità alla quale nessuno dei due era abituato. Eppure, quando lui aveva accennato a ciò che era successo, Clare gli era parsa imbarazzata e più che desiderosa di lasciarsi quei momenti alle spalle, quasi volesse dimenticare.

Lui, il SGGK, che non si lasciva mai travolgere da alcuna emozione, né sui campi da calcio e neppure nella vita, non avrebbe mai potuto dimenticare il sapore della sua pelle, la serica consistenza che aveva avuto sotto le sue dita, il suo liscio tepore. Quello che aveva detto ad Erika, la sera prima della partita contro la Dinamo Bucarest, gli era apparso quella mattina straordinariamente vero e colmo di significato. Non riusciva più negare il sentimento che gli era nato nel cuore, il senso che Clare aveva finalmente dato alla sua vita.

Quello scricciolo di ragazzina, all’apparenza così fragile, piano piano gli si era insinuata nel cuore e adesso toccava a lei… poteva regalargli il Paradiso o farlo sprofondare nell’Inferno più cupo… a sua scelta. Non gli restava altro che aspettare.

Il tragitto da Ville Rose alla clinica si svolse nel più completo silenzio ma, come Benji arrestò la Jaguar vicino all’entrata, una giornalista con in mano un microfono, inseguita da un operatore con la telecamera in spalla, e da un paio di fotografi sbucarono da dietro l’angolo dell’edificio circondando la vettura.

- Maledizione! – Benji sbatté la portiera dell’auto e circondò la vita sottile di Clare attirandola a se, proprio mentre Martha Lewis gli ficcava il microfono sotto il mento e i fotografi si davano da fare a scattare alcune immagini.  

- Benji, ci è stato detto che tuo padre si trova ricoverato qui per un infarto, ci confermi la notizia? – chiese la donna con la grazia di un barracuda.

Il SGGK la fulminò con un’occhiataccia e, senza rispondere, prese a salire le scale della clinica, sostenendo Clare fino quasi a sollevarla da terra. Spinse il portone di ingresso ed entrò nell’atrio, fulminando con un’occhiataccia una giovane infermiera che senza volerlo ne aveva intralciato il passo deciso. Passò davanti al bancone delle accettazioni tallonato dalla giornalista che continuò a tempestarlo di domande

- Mi confermi che in questa stessa clinica è stata ricoverata circa nove mesi fa la modella Liesel Hauermann con la quale hai avuto una relazione? – Il volto del SGGK era una maschera di pietra ma pur non ricevendo alcuna risposta Martha Lewis continuò implacabile - E’ qui che la signorina Hauermann è poi morta per aver fatto uso di sostanze stupefacenti? – gli chiese 

Benji si arrestò di botto e Clare sentì il corpo del marito irrigidirsi proprio mentre la Lewis sparava l’ultima bordata del suo fornitissimo repertorio – E non è forse vero che hai adottato la figlia ancora in fasce della Hauermann? -

Benji divenne livido di rabbia - Non so chi abbia… - ringhiò, cercando di strapparle di mano il registratore acceso, ma una risata alle sue spalle li costrinse a voltarsi tutti in direzione del banco di accettazione.

Erika Langel avanzò in mezzo all’atrio con un incedere volutamente provocatorio, tra gli sguardi stupiti del personale sanitario accorso per fermare quella baraonda

- Rispondi, Benji – disse apostrofando il campione con insolenza – Dopotutto Martha ti sta facendo solo delle semplicissime domande. -

Il portiere la fissò sprezzante, alzando leggermente la tesa del cappello – Dovevo immaginarlo che c’eri tu dietro tutto questo. – si limitò a dire con raggelante semplicità.

Erika rise – Io mi sono solo limitata a passare a Martha alcune informazioni. Io resto lo hai fatto tutto da solo, mio caro. -

Un giovane medico intervenne cercando di rispedire fuori tutta quell’orda di gente – Signora, la prego, abbassi la voce! Questo è un ospedale…  -

Erika gli rise in faccia – Non mi interessa. – replicò beffarda – Devo finire di chiarire alcune cose con quell‘uomo laggiù e non ho alcuna intenzione di andarmene. -

Nonostante il viso impassibile, dal pericoloso scintillio degli occhi scuri Clare comprese Benji era furibondo

- Quello che hanno scritto – prese a dire freddamente – sono solo un mucchio di invenzioni che tu hai alimentato con le tue sporche bugie. - 

Erika avanzò fino a fermarsi di fronte al SGGK, sfidandolo – Invenzioni, dici? Non è forse vero cha hai adottato la figlia di Liesel e che per farlo ti sei sposato con questa sgualdrinella da quattro soldi? – Erika allargò le braccia in una posa teatrale – Ti sei comprato una moglie e, non una qualunque, badate bene, una bambinaia, niente di meno! Vuoi forse che il mondo non sappia quanto è caduto in basso il SGGK?

Benji scosse il capo inferocito – Smettila Erika, la tua è solo rabbia nei confronti di Clare. -

- Oh… si! La piccola Clare! – Erika si rivolse alla giovane donna scuotendo il capo e bamboleggiando – Come ci si sente mia cara nel sapere che il proprio marito va a letto con un’altra donna? – chiese insultante, gli occhi verdi che sputavano veleno – Non ne sapevi nulla, vero? Tuo marito è l’essere più bastardo che io conosca. Chiedigli quante donne gli hanno scaldato il letto! Anche Liesel… era solo una delle tante. - Scosse il dito indice davanti al volto del campione, il volto stravolto da una smorfia di rabbia – Credi forse che ti ami? No! Ti metterà da parte come ha fatto con lei… come ha fatto con me. –

- Erika smettila! Sai benissimo che fra noi non c’è mai stato nulla! – la pazienza del SGGK sembrava essersi esaurita

- Non ti sei accorto che Liesel era anoressica! – lo accusò ormai in preda all’isteria 

Il capo bruno di Benji scattò all’indietro – Come fai a saperlo? – urlò, serrando le mani attorno alle braccia della donna. Scosse il capo come per schiarirsi le idee – I medici mi hanno detto che Liesel soffriva di questa malattia, solo dopo la nascita di Martine… - La comprensione si fece strada nella sua mente come un bagliore accecante – Lo sapevi! – esclamò furioso – Sapevi che Liesel era anoressica e non l’hai aiutata! – La scosse rabbioso – Perché non me lo hai detto? - 

- E perché avrei dovuto! – Erika schiumava di rabbia, cercando di divincolarsi dalla sua stretta ferrea – Cosa aveva fatto lei per me? –

Benji la lasciò andare disgustato ed Erika si rivolse a Clare, che era rimasta in silenzio fino a quel momento, scioccata dal comportamento dell’altra – Sai che Benji ti ha sposata solo per dare una madre alla bambina? Tu non conti nulla per lui! -

Si voltò verso Benji ma il SGGK la guardava come se fosse una creatura repellente. Per Erika fu come una frustata in pieno viso. La vergogna e l’umiliazione la fecero reagire forse nel modo peggiore

- Cosa penseranno la stampa e la tua preziosa mogliettina nel sapere che il portiere del Bayern Monaco, il famoso SGGK è un drogato e ha fatto morire la madre di quella piccola bastarda che si è portato a casa? -

Ciaff!

Benji, i fotografi, l’operatore e la stessa Martha Lewis rimasero di stucco nel vedere la mano sottile e affusolata di Clare scattare e abbattersi sulla guancia della donna senza un attimo di indecisione.

Sembrava una furia e per un attimo anche Erika, ebbe paura. Tenendosi con un mano la guancia colpita arretrò di un passo mentre Clare stava lì, di fronte a lei, le braccia tese lungo i fianchi e i pugni stretti come se fosse pronta a colpire di nuovo.

- Adesso stammi a sentire bene, signorina Langel – esclamò con gli occhi dorati che mandavano lampi - Gli insulti rivolti a me li sopporto perché sono una persona adulta ma – disse, scandendo bene le parole – indipendentemente da chi l’ha partorita Martine è mia figlia e se oserai ancora associare il suo nome alle calunnie che vai spargendo in giro ti converrà trovarti un posto dove nasconderti per bene perché io ti farò a pezzi! Mi hai sentita? –

Le ultime parole quasi le urlò e tutti i presenti si trovarono a trattenere il fiato fino a che Erika, finalmente ridotta al silenzio, non fece un piccolo cenno d’assenso col capo.

Senza rivolgere la parola a nessuno Clare girò sui tacchi e si avviò lungo il corridoio della clinica lasciandoli ammutoliti alle sue spalle. 

Non riusciva a credere di aver schiaffeggiato quella donna. E sotto gli occhi di Benji per di più!  

Gemette dentro di sé e fece per spingere la pesante porta a vetri che dava nel cavedio della clinica. Voleva stare sola e aveva bisogno di un attimo per ricomporsi, prima di affrontare Benji e i suoi genitori. Aveva i nervi a fior di pelle e si sentiva pericolosamente vicina al punto di rottura. Le insicurezze e le angosce che avevano seguito quell’incredibile notte le si scaricarono addosso come un fiume in piena, travolgendola.

Una grande mano bruna coprì la sua e la trattenne.

Clare alzò lo sguardo sul volto bello e impassibile del marito e sentì sciogliere dentro di sé tutta l’ansia e le emozioni che la scuotevano. Lacrime le spuntarono fra le ciglia imperlandole come tanti piccoli gioielli

- Aspetta – la voce di lui bassa e calda la trattenne – Usciamo un attimo. -

Clare annuì, troppo sconvolta per ribattere, e lo seguì all’esterno nel giardino della clinica, dove un roseto spoglio sembrava non poter resistere ai rigori del freddo inverno che l’attendeva. Disperata e piena di dolore Clare confondeva il proprio destino con quello del giardino disadorno.

Benji si chinò su di lei, prendendole il volto fra le mani e affondando quel suo sguardo fiero e orgoglioso nelle iridi dorate. Lacrime a lungo trattenute le rigarono il volto, bagnandogli le mani. La vide tremare al suo tocco.

- Stai bene? – chiese preoccupato, scandagliando il viso della moglie

Lei fece un debole cenno con il capo. Non poteva andare avanti in quel modo. Non poteva vivere giorno dopo giorno quell’altalena di sentimenti e contraddizioni. Come resistere alle cattiverie di Erika e della gente quando non aveva alcuna certezza sui sentimenti di lui? Che cosa fare, quando rimaneva rinchiuso nel suo solitario e assoluto mutismo escludendola dalla propria vita e dai propri pensieri?

Benji non le consentiva di avvicinarsi al suo cuore e l’incertezza era peggio che un esplicito rifiuto.

- Voglio andare via. – Le parole di lei furono solo un debole sussurro ma Benji le udì e vide l’espressione sconvolta dei suoi lineamenti. Comprensivo le fece scivolare un braccio attorno alla vita, sorreggendola leggermente

- Va bene, non preoccuparti. Ti porto a casa. Tornerò in clinica più tardi. -

- No. – il sussurro di Clare si fece più deciso e la ragazza alzò gli occhi, ad incontrare lo sguardo denso e profondo dell’uomo, come se volesse imprimersi nella mente le fattezze asciutte del suo volto.

Le sarebbe quasi venuto da ridere se non fosse stato per l’assurda tragicità della situazione: era irrimediabilmente e follemente innamorata di suo marito, Benjiamin Price, il Super Great Goal Keeper della Bundesliga e della nazionale giapponese e lui le stava lacerando il cuore come se fosse fatto di fragile velina.

Pregò di avere coraggio… per una volta sola nella vita.

- Voglio andare via da te. -

Le sue parole lo colpirono peggio di un pugno sul viso. Trattenne il fiato, il volto impietrito. Le braccia si tesero lungo il corpo irrigidito, le mani spasmodicamente serrate a pugno, fino a farsi sbiancare le nocche.

Ma Benjiamin Price era abituato a parare i colpi più imprevedibili… anche quelli della vita.

Tutti finiscono con l’andarsene e allora è meglio andare via per primi e non voltarsi mai indietro.

Anche lei se ne stava andando…

E lui aveva bisogno di lei.

Quel pensiero lo scosse fino in fondo all’anima come una scarica elettrica.

Si sentì smarrito ma il suo orgoglio gli fece ricacciare indietro quella sensazione di fastidio che per un attimo gli aveva punto gli angoli degli occhi. Gli sembrava che un macigno gli si fosse posato pesantemente sul cuore. Non poteva lasciarsi andare… scoprirsi… rendersi vulnerabile.

Annuì seccamente, il volto accuratamente inespressivo dietro una maschera di gelida indifferenza.

Clare ingobbì bruscamente le spalle, schiacciata dalla sua freddezza. Sedette sul sedile della Jaguar come imbambolata. Non vedeva nulla di fronte a sé: era come se un velo nero le fosse calato improvvisamente sugli occhi. Sentiva freddo.

Era finito. Il loro matrimonio… ogni possibilità. Era davvero finito tutto.

Non si accorse neppure che Benji era salito in auto e guidava alla volta di Ville Rose.

Scesero dall’auto senza neppure sfiorarsi, come due estranei. Il salotto a pianterreno era illuminato da quella stessa tersa luce che brillava all’esterno, immerso in un silenzio irreale.

Clare si sentiva svuotata di ogni energia, come una bambola di pezza che, priva di un sostegno, si affloscia miseramente a terra priva di un’anima. Gli voltò le spalle e fece per avvicinarsi alle scale e salire al piano di sopra. Non sapeva cosa avrebbe fatto, dove sarebbe andata…

Stava andando via…

- Mi hai detto che mi amavi. -

Le parole gli uscirono da sole dalle labbra, senza che Benji fosse riuscito a trattenerle.

Clare si voltò e lo guardò scioccata – Non è vero! -

- Lo hai detto – ribatté lui implacabile – la scorsa notte, quando hai fatto l’amore con me. -

Clare lo guardò per un istante, sentendosi sconfitta e umiliata – Si, ti ho detto che ti amavo e sta pur certo che quella è stata la prima e ultima volta. – Cercò di sostenere lo sguardo inflessibile dell’uomo - Era il mio regalo d’addio. -

- Non puoi andare via. -

Clare lo fissò incredula – Pensi che un ordine come questo possa bastare? – Scosse la testa sconfitta, mentre il peso di quell’amore sconsiderato le gravava addosso in tutta la sua devastante portata - Io non posso restare… Ho dato quello che avevo da dare. -

Lui rimase in silenzio come se cercasse le parole

– Ti amo – disse infine con voce esitante.

Lei provò un immenso fremito di gioia. Era un miracolo, un dono incredibile. Lei voleva…

Era incredibile.

Una profonda fitta di dolore la dilaniò quando si rese conto di quanto era stata ingenua a credere a quella semplice risposta. Deglutì – Come è conveniente. –

Benji imprecò sottovoce - Conveniente? Non ho mai detto “ti amo” a nessuna donna prima d’ora. Conveniente? Non è conveniente. – Fece un profondo respiro cercando di riacquistare un minimo di lucidità ma le parole gli uscirono disordinate dalle labbra – Credevo di poter controllare tutto, che le emozioni semplici non fossero da me. Mi ritenevo superiore agli altri quando li vedevo così persi dietro ad una donna. Julian, Philip… perfino Holly. – Fece una pausa e scosse il capo come per riordinare le idee - Da quando sei entrata nella mia vita hai completamente stravolto ogni schema che mi ero prefissato, facendo apparire banali le mete che mi ero proposto di raggiungere. Improvvisamente il calcio non occupava più ogni mio pensiero, ogni energia. Nessuna vittoria, nessun successo sono importanti se posso dividerli con te. Hai portato troppe cose: Martine, la riappacificazione con i miei genitori, l’allegria, la tua dolcezza. Mi hai regalato emozioni e fatto scoprire tesori che neppure sapevo di possedere e mi hai convinto a condividere quel poco che avevo da dare. – Affondò lo sguardo negli occhi dorati di lei senza esitazioni - Non posso pensare di passare la mia vita lontano da te. -

Tacque e tenne lo sguardo fisso su di lei, come se fosse l’unico legame ad impedirle di andare via.

Aveva capito ormai da tempo che Clare era il catalizzatore delle sue giornate. Lui, che si era sempre arroccato in posizione di difesa, ritraendosi di fronte ad ogni coinvolgimento, aveva un bisogno disperato di lei, del suo appoggio, del suo sostegno… del suo amore.

Clare non riusciva a credere alle sue parole… le aveva desiderate per troppo tempo! Ma la luce negli occhi di Benji era reale, sincera e piena di una folle emozione. Abbassò lo sguardo, non potendo a sostenere l’intensità di quelle iridi traslucide che sembravano leggerle nel cuore… non riuscendo a controllare tutto l’amore che aveva dentro e che minacciava di traboccare.

Per Benji fu come un rifiuto.

Irrigidì la mascella e le passò accanto, il volto livido, sfiorandole appena il braccio, nella fretta di mettere quanta più distanza possibile tra lui e quella donna che gli stava devastando il cuore.

Fu quel lieve tocco a scuotere Clare.  

Lui le aveva mostrato tenerezza, collera, comprensione, asprezza e la promessa di un’eterna sopportazione. Si voltò di slancio e fissò le ampie spalle dell’uomo sentendosi sconcertata e gioiosa… e cominciando a sperare.

I suoi passi si mossero veloci dietro di lui, le sue braccia si sollevarono e le dita affusolate di lei si posarono sulla schiena rigida del campione costringendolo a fermarsi. Benji trattenne il fiato e si irrigidì al quel tocco lieve, mentre sentiva quelle stesse mani cingergli i fianchi stretti, circondarlo e posarsi sul suo torace proprio all’altezza del cuore, mentre la fronte e il seno di lei venivano a contatto con la sua schiena nel più intimo degli abbracci. Sentì il corpo flessuoso di Clare aderire al suo completamente e le sue labbra posargli un bacio tra le scapole.

Gemette e si voltò immediatamente fra le sue braccia, chinandosi e cingendola impetuosamente in una stretta che le mozzò il respiro, affondando il volto nell’oro dei suoi capelli

- Clare… Clare… -

Lei sospirò, mentre le lacrime le scorrevano libere sulle guance bagnando il viso di lui.

- Dimmelo ancora… - sussurrò sfiorandogli la nuca in una carezza, il viso rischiarato da un sorriso

I profondi occhi neri sempre così sicuri e fieri erano ora illuminati da quella luce che solo Benjiamin Price da sempre possedeva - Resta, Clare. – mormorò sollevandola e stringendola forte a sé – Guarda… - disse fissandola in volto – Sono pazzo di te. -  

Lei si strinse contro il suo corpo possente, cingendogli le mani dietro la nuca, e la sua bocca morbida sfiorò le labbra di lui per un breve e delizioso istante – Dovrai passare la tua vita a ripetermelo – fremette, piena di felicità.

- Oh, lo farò. – Benji si chinò leggermente facendole passare un braccio sotto le ginocchia, tenendola stretta a sé, e impedendole di toccare terra con la punta dei piedi. Le sfiorò l’orecchio con le labbra, mordicchiandole leggermente il lobo delicato e spedendole una serie di brividi lungo la schiena – Lo farò ogni notte… e ogni giorno, fino a che non mi dirai di smettere. -

Lei rise tra le lacrime, nascondendo il volto contro il suo collo robusto e giocando a fargli il solletico con il naso, mentre Benji si avviava lungo il corridoio che portava all’estremità della villa. Entrò nel salone da ballo con la moglie in braccio, chiudendo con una spallata la porta. Prese a girare su se stesso, mentre la risata di Clare scioglieva la tensione e i timori che li avevano attanagliati lasciando il posto ad una serenità benedetta. La luce meravigliosa che attraversava i vetri cattedratici formava una morbida scia di colori, bagnandoli di un lieve tepore. Erano due creature ultraterrene, perdute nel loro incantesimo personale e nessun bacio o abbraccio appassionato avrebbe potuto evocare l’amore con altrettanta eloquenza come la mano bianca di Clare fiduciosamente intrecciata alla stretta tenace di lui. 

Le dita di entrambi scivolarono sui bottoni e le cerniere degli abiti, che cedettero sotto le loro mani formando un mucchio disordinato ai loro piedi, mentre i colori scorrevano sui loro corpi in un caleidoscopio, illuminando ogni morbida curva, ogni convessità, ogni solida distesa.

I capelli di Clare fluirono come un rosso torrente infuocato tra le mani di Benji, sprigionando il profumo di rose bianche che lo avvolse come un sogno ormai ricorrente. Era lei, l’aveva tra le braccia, e sarebbe rimasta per sempre parte sé. Le sue mani si colorarono delle sfumature della pelle di Clare, mentre i loro corpi si cercavano e si accoglievano, come due splendidi esseri divini, rilucenti di oro, porpora e avorio, uniti dal chiarore abbagliante in una pozza di luce.

Non c’era esitazione nei loro gesti, né rimorso, né solitudine… solo un infinito, travolgente desiderio.

Come avevano potuto esistere fino ad allora separati? Il loro cuore aveva fatto una scelta…

Fili di luce sciolti, brillanti in luminose spirali si avvolsero intrecciandosi, per poi separarsi e sciogliersi nell’ombra, confondendosi fra parole intelligibili e sussurri acquiescenti, per poi tornare ad erompere sfolgoranti, perforando le tenebre, tra frasi d’amore appena mormorate.

Era l’estasi. Il dolce fondersi di due respiri, il confondersi di due profumi.

L’abbandono e la rinascita.

Che cosa succede quando il destino incrocia due vite così diverse mescolandole? Quando due strade, fino ad un certo punto distinte, per qualche incomprensibile disegno si sfiorano e, toccandosi, diventano una sola?

Si arriva a percepire la reale profondità di noi stessi e seguendo le invisibili tracce del cuore ci si trova inspiegabilmente ad amare… così tra un respiro e l’altro.

Al di la di ogni cosa.

- Ti amo! Ti amo tanto! – mormorò Clare contro il suo viso, facendo scorrere le dita lievi sui tratti abbronzati del volto del marito.

Benji si aggrappò come un naufrago al bagliore splendente che vedeva nelle iridi ambrate di lei, rese dense dal desiderio, mentre le sfiorava velocemente le labbra quasi ad assaporare e trattenere quelle poche preziose parole. Scoprì che il mondo era davvero più bello visto attraverso quegli occhi dorati che scintillavano di gioia riflettendosi nei suoi.

Si sentì umile e beato di fronte al dono di lei.

- Ti amo Clare. Non so se sarà sufficiente… ma ti amo di tutto l’amore che posso. -

 

 

 

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EPILOGO

 

Barcellona – Spagna,  maggio 2002

 

- Maledizione, sono dentro da più di tre ore! -

Oliver Hutton, giunto da pochi mesi in Europa e neo-promosso capitano del Barcellona, stava scalpitando di fronte alla porta della sala parto della clinica dove Patty era stata ricoverata. Lanciò uno sguardo all’amico, comodamente seduto su uno dei divanetti della sala d’attesa, ricevendone in cambio uno sguardo comprensivo. Sbuffò e riprese ad andare impazientemente avanti e indietro per poi fermarsi di nuovo di fronte alla porta ed emettere un lungo sospiro rassegnato.

Una mano grande e forte gli si posò sulla spalla in un gesto consolatorio.

- Vieni a sederti. Non è andando avanti e indietro che lo farai nascere prima. -

Holly sollevò lo sguardo ad incontrare quello scuro e penetrante di Benji Price sotto la visiera del suo immancabile cappello e per un attimo invidiò all’amico la sua calma olimpica e il suo proverbiale sangue freddo.

- Non saresti così calmo se la dentro ci fosse Clare e tu ti trovassi nei miei panni – borbottò nervosamente, seguendo il portiere a malincuore e andandosi a sedere accanto a lui.

Benji spinse indietro la visiera del cappello appoggiandosi comodamente allo schienale del divano e stendendo davanti a sé le lunghe gambe – Probabilmente non riuscirei a stare fermo dall’agitazione – ammise con un sorrisetto ironico dipinto sul bel volto abbronzato. Poi vedendo il volto di Holly farsi cupo cercò di rassicurarlo – Vedrai che andrà tutto bene. Se ci fossero stati dei problemi Clare sarebbe venuta a chiamarti. -

Il capitano annuì sconsolato e per un po’ rimasero in silenzio ad ascoltare i rumori indaffarati nel personale della clinica che si affaccendava per i corridoi.

Benji guardò fuori dalla finestra il piccolo parco fiorito sul retro dell’edificio, riflettendo sui doni che la vita gli aveva portato in quell’ultimo anno.

Lui e Clare erano partiti per Barcellona tre giorni prima, dopo che Patty aveva telefonato all’amica verso la metà di aprile, ricordandole la promessa che le aveva strappato quando ancora si trovavano a Kanagawa.

Avevano prenotato i biglietti dopo che il Bayern Monaco si era matematicamente assicurato la vittoria del campionato con ben due settimane di anticipo dalla fine e Benji era rimasto piacevolmente sorpreso nello scoprire che suo padre, ormai ristabilito, era venuto ad assistere alla partita in compagnia di Clare. Con orgoglio paterno William si era congratulato con il figlio, sotto lo sguardo fiducioso di Clare, e lo aveva abbracciato fuori dagli spogliatoi al termine dell’incontro.

I flash dei fotografi avevano lampeggiato selvaggiamente, quando Benji aveva sollevato la moglie sopra di sé, condividendo con lei la gioia per la vittoria, mentre entrambi ricordavano divertiti un abbraccio simile e ben più imbarazzato al termine della partita con la Thailandia, quasi un anno prima.

Erano una coppia molto ammirata e, dopo l’episodio della clinica, i giornali di gossip, compreso quello di Martha Lewis, avevano passato al setaccio le loro vite. Tuttavia l’atteggiamento pacato di Clare di fronte a quelle intrusioni invadenti, l’amore per Martine e la sua cieca fiducia nel marito avevano creato una sorta di scudo protettivo contro i pettegolezzi e alla fine anche coloro che si erano dimostrati più pervicaci si erano dovuti arrendere all’evidenza: il SGGK, la sua giovane moglie e la figlioletta non avevano alcun tenebroso segreto da nascondere ed erano una famiglia felice a tutti gli effetti.

Quando il Bayern Monaco aveva vinto la finale di Champions League e lui aveva sollevato al cielo la “coppa dalle grandi orecchie” in una delle vittorie più importanti della sua carriera di calciatore si era sentito colmare il cuore di un’intensa soddisfazione vedendo la sua splendida moglie applaudirlo in piedi dalla tribuna. L’incontro si era concluso ai rigori dopo due faticosissimi tempi supplementari e, aver parato i tiri avversari facendo esplodere l’entusiasmo dei tifosi, lo aveva consacrato nell’olimpo dei portieri. Era il miglior portiere d’Europa e la vittoria del campionato in Bundesliga era stato solo il coronamento di un anno d’oro.

- Sono stati fatti sicuramente tanti errori in passato – gli aveva detto Clare, la sera in cui avevano festeggiato la vittoria della coppa dei campioni – Ma adesso è il tempo di rimediare. Non vuoi dare ai tuoi genitori solo una possibilità? – gli aveva chiesto speranzosa, mentre egli la teneva fra le braccia dopo aver fatto l’amore.

Quel discorso lo seccava a morte, e Clare l’aveva capito da come aveva alzato gli occhi al cielo, ma con testarda tenacia lo aveva convinto alla fine ad accogliere il suo suggerimento.

Ancora dubbioso era rimasto molto sorpreso, quando Catherine si era offerta immediatamente di occuparsi di Martine durante il loro viaggio in Spagna. I suoi genitori si erano installati a Ville Rose il giorno prima della loro partenza e li avevano riempiti di raccomandazioni, come una qualsiasi coppia di nonni apprensivi. A lui era parso un po’ strano essere oggetto di tali preoccupazioni dopo essere stato abituato a badare a se stesso fin da quando era ragazzino ma lo sguardo sollecito e adorante di Clare gli aveva fatto rimangiare la battuta ironica che gli era salita alle labbra.  

Prima di partire avevano festeggiato, in concomitanza con la sua vittoria, il primo compleanno di Martine e la bambina, che ormai trotterellava sicura per casa, aveva mandato in visibilio Clare chiamandola mamma per la prima volta.

Dopo l’episodio della clinica Erika aveva smesso di tormentarli e il presidente del Bayern Monaco, venuto a conoscenza del comportamento inqualificabile della figlia l’aveva convinta a lasciare la Germania per un po’ e a fare un lungo viaggio.

A febbraio Clare aveva esposto insieme a Andrew Binder una ventina dei suoi quadri, riscuotendo un ampio consenso di critica e a tutt’oggi, tra la casa, Martine e le mostre a cui partecipava, poteva davvero dirsi una donna molto impegnata.

Il ritratto della “Bambina con il gomitolo” era ritornato al suo posto, sopra il settimanale della loro camera da letto, dove entrambi potevano ammirarlo nelle lunghe mattinate di lunedì, quando rimanevano a letto più a lungo del solito, godendosi un po’ di riposo. Dopo avergli sciorinato davanti una serie incredibile di suoi ritratti e averlo costretto a posare immobile, Clare era riuscita anche a penetrare anche nel sancta sanctorum del suo studio e adesso un dipinto, quasi a grandezza naturale, che lo vedeva impegnato in una delle sue spettacolari parate, campeggiava sopra il caminetto, di fronte alla vetrina ricolma di trofei.

E tra poco più di un mese ci sarebbero stati i Mondiali…

Benji guardò il volto del capitano della nazionale giapponese e si rese conto che mai come in quel momento la mente di Holly si trovava lontano mille miglia dal calcio, tutta concentrata su quella creatura al di la della porta, che lottava e si affaticava per dare alla luce suo figlio.

Patty e Clare avevano pianto di gioia quando finalmente avevano potuto riabbracciarsi al terminal dell’aeroporto invaso dai turisti e Patty gli era apparsa raggiante nel largo pre-maman azzurro cielo.

Lo aveva salutato con un sorriso allegro e si era battuta un leggero colpetto sul ventre teso – Siete arrivati appena in tempo. Il dottore ha detto che il mio campione potrebbe nascere da un momento all’altro. -

E mai delle parole erano state più profetiche.

Mentre la futura mammina riposava sotto lo sguardo apprensivo di Holly, lui e Clare avevano giocato a fare i turisti, sfruttando l’occasione del soggiorno a Barcellona per fare quella luna di miele che avevano a lungo rimandato. Clare era rimasta estasiata di fronte alla Sagrada Famìlia, la splendida opera incompiuta di Gaudì e aveva ammirato la meravigliosa Cattedrale in gotico catalano, sorta sul punto più alto della città vecchia. Ma la pacchia era durata poco perché prima dell’alba del terzo giorno un Oliver agitatissimo li aveva svegliati in albergo, comunicando loro che Patty era entrata in travaglio. 

Si erano precipitati in clinica e Clare non aveva più lasciato per un solo istante la mano dell’amica.

Erano dentro da un sacco di tempo e anche Benji iniziò ad avvertire un sottile inquietudine. Scoccò un’occhiata furtiva all’orologio a muro appeso, mentre Holly gli stava seduto accanto immobile, i gomiti sulle ginocchia e la testa bruna fra le mani. 

Improvvisamente la porta si aprì con una spinta e Clare, infagottata in un camice di cotone verde, uscì togliendosi la mascherina, con un’espressione raggiante sul volto.

Holly si alzò in piedi di scatto seguito da Benji, catapultandosi verso di lei, le gambe improvvisamente deboli per l’emozione

- Clare… -

- E’ nato! – Il sorriso di lei era radioso – E’ un maschietto e pesa più di tre chili! -

Oliver le afferrò le mani tra le sue, l’espressione del viso stravolta dall’euforia – Ma… ma è meraviglioso! Io… lui…Patty… -

- Patty sta bene, vai da lei! – lo rassicurò al colmo della gioia

Holly si precipitò dentro la sala dove un’infermiera con l’aria di una virago lo bloccò, costringendolo ad indossare camice e mascherina, prima di potersi avvicinare alla moglie e al figlioletto urlante.

Sentendo il braccio del marito cingerle le spalle sostenendola, Clare lo abbracciò felice, circondandogli la vita stretta, e strofinando il viso contro il suo petto possente. Sentì Benji ridere dell’espressione frastornata e stupefatta del compagno di squadra.

- E’ proprio impazzito – commentò aiutandola a togliersi la cuffia e a slacciare i nodi sul retro del camice – Non l’ho mai visto così stralunato. -

Clare ridacchiò battendogli un leggero colpetto sul braccio muscoloso – Non ha un’espressione molto diversa dalla tua quando tieni Martine in braccio. – lo prese in giro.

Benji assunse una finta aria offesa – Non è vero! – negò decisamente. Poi addolcì il tono e strizzò l’occhio alla moglie – O forse, sì. -

Clare rise e poi, mano nella mano, si avvicinarono al vetro della nursery, dove un’infermiera mostrò loro il neonato, cercando di tenere a bada un Oliver che si sbracciava  eccitato e fuori di sé dalla gioia.

Osservarono emozionati quell’esserino tutto rugoso che strillava, paonazzo in volto, e Benji fece una smorfia

- Certo che se continua così… povero Holly! -

Rimasero per alcuni istanti in silenziosa adorazione di quella piccola creatura e poi andarono a salutare Patty. La neo–mamma era aveva il volto affaticato ma sui suoi lineamenti splendeva una tale gioia che pareva rischiarare l’intera stanza 

- Avete visto il mio campione? – chiese non appena ebbero messo piede nella stanza – Non è un amore? -

Benji annuì e le strinse affettuosamente la mano, mentre Clare baciava la guancia dell’amica – Sei stata bravissima. Hai fatto un bambino bellissimo. – sorrise dolcemente - Holly è fuori di sé dalla gioia, adesso è di là a fare impazzire le infermiere -

Patty roteò gli occhi con un espressione buffa sul volto minuto

- Mandatemi qui quello scapestrato e poi andate a riposarvi. Sarete stanchi. -

Si salutarono e uscirono ma, quando Clare fece per richiudere la porta alle sue spalle, la voce di Patty la trattenne ancora un istante

- Adesso tocca a te. – le disse con un sorriso salutandola con la mano – Dai a mio figlio un compagno con il quale possa giocare a calcio. -

Clare sorrise a sua volta con un piccolo cenno d’assenso, chiudendo la porta e portando già un prezioso segreto sepolto nel cuore.

 

Benji uscì dal bagno con addosso solo un accappatoio di spugna bianco, i capelli umidi per la doccia, il petto leggermente bagnato. Quando erano usciti dalla clinica, con la promessa di ritornare il giorno dopo, avevano lasciato il capitano della nazionale nipponica in adorante contemplazione della moglie e del neonato.

Dopo aver girovagato un pochino avevano pranzato in un delizioso ristorante, il “Butafumeiro”, dove avevano assaggiato i mariscos i crostacei cucinati secondo le ricette tradizionali e la famosa crema catalana, e alla fine Clare aveva insistito per fare una passeggiata nel parco non lontano dal Ritz, il lussuoso e riservato albergo in stile Regency che avevano scelto per il loro soggiorno spagnolo.

Si erano seduti su una delle tante panchine, come una qualsiasi coppia di innamorati, godendosi il sole in tutta tranquillità, e avevano trascorso il resto del pomeriggio immersi in una idilliaca serenità.

Adesso la luce rosata del tramonto illuminava morbidamente la stanza e Clare, seduta a gambe incrociate al centro del letto matrimoniale della loro suite, era intenta a fare scorrere la spazzola nei lunghi capelli biondi, districando i nodi e lisciando i riccioli. La camicia da notte senza maniche formava una nuvola stuzzicante attorno alla sua figura e Benji si trovò ad ammirare il sottile gioco di trasparenze che arricchiva il tessuto, svelando lo splendido corpo della moglie. Si lasciò cadere alle sue spalle, sfiorandole la spalla nuda con un bacio e aspirando l’inconfondibile profumo di rose bianche della sua pelle.

Clare sorrise e mise da parte la spazzola, scuotendo leggermente i lunghi capelli biondi. Si girò fra le sue braccia e posò il capo sulla spalla massiccia, accarezzandogli una tempia. Stettero in silenzio a godersi la gloriosa luce di quel tramonto spagnolo, mentre la mano di Benji le lisciava gentilmente un braccio e le sue labbra le sfioravano la fronte in baci lievi.

Clare sorrise serena. Quell’ultimo anno aveva portato così tanti cambiamenti nella sua vita: Martine e Benji. La sua famiglia. Sembrava quasi che il destino, seguendo i suoi misteriosi disegni, le avesse imposto di andare lontano per trovare coloro che amava. Tutte le incomprensioni che erano nate fra loro nei primi tempi del matrimonio avevano piano piano lasciato il posto ad un amore smisurato che era andato rafforzandosi sempre di più.

Benjiamin Price era un uomo complesso, ostile a volte, e vivere con lui non era affatto semplice. L’amava infinitamente senza alcuna incertezza, collocando lei e Martine al primo posto nei suoi pensieri, colmandola di attenzioni, e Clare era immensamente grata al destino per aver messo sulla sua strada quell’uomo a volte silenzioso e impenetrabile, capace, tuttavia, di illuminare la sua anima con la stessa limpida chiarezza di una torcia accesa nell’oscurità.

Il suo atteggiamento ombroso si era gradatamente smussato mano a mano che Clare aveva riversato allegria e amore nelle loro vite ma capitava ancora che la giovane moglie lo scoprisse a guardarla intensamente, con una vena di sofferenza nei brillanti occhi scuri, quasi temesse che lei potesse andarsene da un momento all’altro, lasciandolo solo. Accadeva che, a volte, la notte, lui la cercasse nel loro grande letto matrimoniale e la prendesse con un’urgenza e una passione nate da un tormento mai sopito, mosso dal bisogno di un contatto, della serenità che solo lei sembrava in grado di trasmettergli.

Intrecciò le dita a quelle di lui e come sempre si stupì della diversità della loro carnagione, mentre sollevava lo sguardo ad incontrare quegli occhi neri e magnetici che tanto amava

- Devo dirti una cosa… - iniziò annegando lo sguardo in quelle liquide profondità, mentre un sorriso giocoso le illuminava l’angolo degli occhi. Al cenno di assenso di lui, gli sfiorò le labbra con un bacio

- Aspetto un bambino… -

Lo sentì irrigidirsi contro di sé e vide il suo volto cambiare espressione, gli occhi illuminarsi di una gioia profonda. Si sollevò a sedere prendendole il viso fra le mani – Mio Dio… Clare… - mormorò con voce spezzata. La strinse fra le braccia come se fosse fatta di fragile porcellana e le fece scivolare una mano sul ventre piatto, sfiorandolo reverente, gli occhi umidi di commozione – Sei sicura? Come ti senti? – la interrogò con foga  

Lei annuì piena di gioia – Mi hanno dato i risultati delle analisi a Monaco cinque giorni fa e sto benissimo. – disse rassicurandolo.

Benji aggrottò la fronte – Perché non me lo hai detto prima? -

Il volto della moglie si aprì in un largo sorriso birichino – Perché, tiranno come sei, mi avresti impedito di partire e di essere al fianco di Patty come le avevo promesso. -

Il SGGK sbuffò – Tiranno… Ma senti un po’! – Il suo viso assunse un fiero cipiglio – So io quello che è meglio e d’ora in avanti, signorina, farai in modo di avere cura di te stessa. -

Lei gli lanciò un occhiata obliqua – Vedi… e poi dici di non essere un despota. -

Lui la attirò nuovamente fra le braccia affondando il volto trai morbidi capelli di lei – Se potessi ti terrei sotto una campana di vetro - le disse piano chinandosi a baciarla.

Clare rise e scosse il capo – Oh, no! Niente campane di vetro. Io voglio vivere con te, starti accanto. Sono piuttosto resistente, sai? – disse strofinandosi sensualmente contro di lui.

Benji gemette, accarezzandole la schiena nuda - Sei una piccola strega, lo sai, vero? – mormorò con un luccichio malizioso negli occhi scuri

Lei sopirò felice - Sarà bello dare a Martine un fratellino o una sorellina – continuò con aria sognante – ma devi promettermi che, anche quando avrò il pancione, mi dirai che sono sempre il tuo amore. - 

Lui le prese le labbra in dolci baci indugianti - Grazie – mormorò piano contro le sue labbra – Grazie per il figlio che mi darai. -

Clare gli sorrise, gli occhi d’ambra preziosa colmi di luce. Gli posò una mano sulla guancia ben rasata incontrando il suo sguardo

- Ti amerò per tutta la vita. -

Ci fu un silenzio e poi lui chiese - Tutto qui? –

Lei si scostò di scatto a guardarlo indignata a le braccia di lui la avvolsero improvvisamente e la tennero stretta.

- Lasciami andare – protestò lottando – Sei il più arrogante, borioso… -

- Ssst – sussurrò lui teneramente – Stavo scherzando. -

- Non è un argomento su cui scherzare. – ribatté lei placata, facendogli scivolare le braccia attorno al collo

- Non sapevo cosa dire… e quindi io… - si interruppe e l’attirò più vicina – Non sapevo cosa dire. -

Clare lo guardò con gli occhi colmi d’amore. Quando Benji si confondeva o si emozionava lo nascondeva dietro quella maschera che lei ormai conosceva così bene

- Devi dire “ Ti ringrazio, Clare. Mi rendo conto che sono un vero mascalzone, arrogante e pieno di sé ma ti prometto che farò del mio meglio per contraccambiare”. -

Si aspettava che lui si mettesse a ridere ma Benji era incredibilmente serio quando le sfiorò le labbra con un bacio. Intrecciò lo sguardo a quello incredibilmente dorato di lei, sapendo di avere tra le braccia la cosa più importante per lui: la sua stella del destino, la sua adorata Clare.

Pensò ai due bimbi lontani: l’una in Germania, che avrebbero presto riabbracciato, e l’altro ancora i viaggio e sentì una profonda serenità invadergli l’anima e il cuore.

La strinse a sé baciandole le labbra sorridenti e teneramente dischiuse

- Non ci sarà mai un momento della mia vita in cui io non ti amerò. -

 

 

FINE

 

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