Un saluto a tutti quanti hanno deciso ad avventurarsi a
leggere la mia fanfiction ispirata alla ormai famosa serie di Capitan Tsubasa.
Grazie ad Erika che mi ha permesso di pubblicare la mia
fanfiction sul suo bellissimo sito. Complimenti webmistress!!!
Un saluto e un ringraziamento particolare e specialissimo
a Sanychan, le cui storie e soprattutto la passione e la cura con cui le ha
scritte mi hanno fatto sognare e fantasticare una volta di più. Grazie per le
e-mails che mi hanno incoraggiata, per l’aiuto nella cura dei particolari e per
aver dedicato del tempo a leggere in anteprima questo flusso di idee strambe
che è promanato dalla mia mente in momenti in cui avevi tantissimo da fare.
Per questo e altri lavori sarò per sempre debitrice ad
Angela, Giacomo, Piero e Mariella: i miei angeli personali!!!
CAPITOLO I
“ Se un bel giorno passi di qua
lasciati amare e poi scordati
svelta di me
che quel giorno è già buono per
amare qualche d’un altro”
(L.L.)
Monaco - Germania, maggio 1999.
- Mi dispiace Herr Price...non abbiamo potuto fare nulla -
Non può essere successo.
- Mi chiamo Liesel Hauermann … anche tu sei un calciatore? -
Non può essere vero.
- La sua costituzione era troppo debilitata. I lunghi
digiuni hanno minato il suo fisico debilitato. Non era in grado di portare
avanti una gravidanza...non avrebbe dovuto cercare di avere un bambino... -
Il bambino.
- La bambina è sottopeso...adesso è nell’incubatrice. Vuole
vederla? -
La pioggia. Quanta pioggia.
Le sirene delle ambulanze.
Il cimitero.
I suoi compagni di squadra.
- ...se dovessi camminare in una valle oscura non temerei
alcun male... -
Il viso di lei era di un biancore innaturale e le mani
sottili e livide erano state ripiegate ed intrecciate sopra il ventre.
- Benji, sono incinta ... -
- ...le nostre condoglianze... -
Un gorgoglio gli salì alle labbra amaro come il fiele
producendo un basso suono gutturale.
- Aiutami Benji, ti prego … non so cosa fare … -
La cassa veniva calata lentamente nella fossa mentre la
pioggia torrenziale continuava a cadere inzuppando la terra, infradiciando i
fiori.
- Perdonami, ti
prego perdonami!….Lo so che ti ho ferito…-
- Che cosa farai Benji? -
- Neppure tu mi ami, vero Benji?....come vorrei che questo
bambino non mi facesse diventare brutta e grassa... -
Nessuno sapeva.
Era colpa sua? Lui l’aveva uccisa?
- Mi sentivo sola …forse volevo punirti… -
- ...la signora aveva un emorragia interna...le pareti
dell’esofago erano sottili come la carta velina...non è stato possibile fare
nulla... -
Non può essere successo.
- Perdonami Benji ...ti ho deluso… -
Il viso di Liesel era sempre più freddo e lontano.
Benjiamin
Price si svegliò con un sussulto nell’enorme letto matrimoniale in legno
intagliato che troneggiava al centro della camera da letto padronale della sua
villa a Monaco, in Germania. Si tirò a sedere e si passò una mano sulla fronte
umida di sudore, cercando di rallentare i battiti irregolari del suo cuore.
Ancora quel
sogno.
I cuscini
erano stati scagliati lontano e le lenzuola di lino bianco formavano con il
copriletto un groviglio spiegazzato, a testimoniare il suo sonno agitato. La
palpebre sbatterono più volte ed i suoi occhi si abituarono velocemente
all’oscurità mentre egli gettava via le coperte con un’imprecazione facendo
oscillare giù dal letto le lunghe gambe. Andò alla finestra, scostò i pesanti
tendaggi di velluto e aprì le imposte, lasciando che l’aria fresca di quella
notte di primavera asciugasse dal suo corpo nudo il sottile velo di sudore che
lo ricopriva.
Non poteva
andare avanti così, doveva fare qualcosa.
Si versò una
dose abbondante di brandy dalla caraffa che ormai teneva costantemente accanto
al letto e fece girare il liquore nel bicchiere, centellinandone in bocca il
ricco sapore.
Sul pavimento
accanto alla poltrona un fascio di giornali giaceva spiegazzato, dopo essere
stato sbattuto a terra con furia e, anche dal punto in cui si trovava, poteva
vedere il suo nome, scritto a caratteri cubitali, campeggiare contro il
biancore delle pagine, illuminato dalla fredda luce lunare. Piegò le labbra con
una smorfia di disgusto: aveva sempre difeso meticolosamente il proprio diritto
alla riservatezza dalle orde di giornalisti a caccia di scandali che cercavano
continuamente di intrufolarsi nella sua vita alla ricerca di qualche succulento
pettegolezzo ma neppure il suo proverbiale silenzio stampa era riuscito ad
arginare l’ondata di congetture, illazioni e accuse più o meno velate che erano
state gettate in pasto alla curiosità del pubblico.
Questa volta
la notizia era troppo ghiotta e sensazionale perché i giornali non vi si
gettassero a corpo morto, scandagliando con meticolosità maniacale ogni
particolare, tutti i più piccoli dettagli.
Si lasciò
cadere su una poltrona di fronte alla finestra mentre il calore del liquore gli
scivolava nelle membra scaldandole e regalandogli un piacevole senso di spossatezza.
Mancavano solo
due giornate alla fine del campionato e per la prima volta nella sua vita, lui,
Benji Price, il portiere paratutto, il grande SGGK della Bundesliga e della
nazionale giapponese, non ne era affatto dispiaciuto. Gli ultimi mesi erano stati
i peggiori della sua vita: sempre in fuga, sempre braccato dalla stampa. La
morte di Liesel era stato un evento doloroso e inaspettato e Benji avrebbe solo
desiderato essere lasciato in pace.
Liesel…
Il suo viso
gli apparve livido e segnato da profonde occhiaie, come quando lo aveva visto
composto sul tavolo dell’obitorio della clinica privata e riservatissima dove
lui l’aveva convinta a ricoverarsi.
Un tempo quel
volto era stato bellissimo, il nasino capriccioso, gli occhi azzurri pieni di
gioia di vivere. Liesel aveva solo ventiquattro anni quando era morta ed era
stata una delle modelle più fotografate di tutta la Germania.
La sua mente
prese a correre veloce allontanando ogni ombra di sonno ed egli lasciò i
ricordi fluire a briglie sciolte come a saggiarne il loro potere e la loro
forza.
Aveva
incontrato Liesel due anni prima ad una festa, una delle tante che la società e
gli sponsor davano durante l’anno per promuovere i campioni e i prodotti
commerciali a cui era legata la loro immagine. Karl Heinz Schneider, già suo
capitano nell’Amburgo, era appena stato acquistato dal Bayern Monaco. Una
transazione complicata e dispendiosa che aveva riempito le prime pagine dei
giornali e aveva tenuto con il fiato sospeso i tifosi, che vedevano finalmente
realizzarsi il loro desiderio di poter contare su quello che, a ragione, veniva
considerato il migliore attaccante della Bundesliga. Con un portiere come il
SGGK e un cannoniere del calibro di
Schneider, la società si aspettava grandi risultati dal campionato imminente.
Fece girare
lentamente il liquore nel largo bicchiere panciuto mentre ricordava con
stupefacente chiarezza la sera in cui aveva visto Liesel per la prima volta.
All’inizio non
l’aveva notata poiché era impegnato a difendersi dalle attenzioni di Erika
Langel, la figlia del presidente del Bayern Monaco. Non che Erika fosse una
brutta ragazza, tutt’altro. I lunghi capelli corvini e gli occhi verdi erano
una gioia per gli occhi ma Benji la giudicava troppo viziata e superficiale per
i suoi gusti. Il fatto, poi, che fosse la figlia di Edmund Langel, un uomo che
stimava per le sue indubbie capacità, lo faceva sentire a disagio. Conoscendo
la propria incapacità nell’instaurare relazioni stabili e per rispetto al padre
aveva preferito tenersi alla larga da Erika. Il fatto che la ragazza cercasse
cocciutamente, ad ogni occasione, di fargli cambiare idea, lo aveva convinto a
cercarsi un diversivo.
Liesel era in
piedi, accanto al tavolo dei rinfreschi, fasciata in uno scollatissimo abito
blu notte, quando lui, nel tentativo di sfuggire all’ennesima avance di Erika, l’aveva invitata a
ballare. Liesel gli era apparsa subito come era in realtà: attraente, sensuale,
spregiudicata. Sua madre era molta alcuni anni prima e lei, che non aveva mai
conosciuto suo padre. A soli quindici anni era andata via di casa,
trasferendosi a Berlino e aveva iniziato a sfruttare le indubbie doti che madre
natura le aveva regalato. Ben presto il suo volto era diventato il testimonial
in molte campagne pubblicitarie di rilievo e il bel mondo si era finalmente
accorto di Liesel Hauermann.
Quella sera,
quando lui l’aveva riaccompagnata a casa, Liesel lo aveva invitato a salire.
Ricordava ancora l’occhiata incendiaria che Erika aveva rivolto alla rivale
quando avevano lasciato la festa insieme ma poi, contrariamente ad ogni
aspettativa, la figlia di Edmund aveva messo da parte ogni acredine e nei mesi
successivi le due donne erano diventate ottime amiche.
Tuttavia
qualcosa non aveva funzionato. Quanto era durata? Sei mesi… forse meno.
Quando aveva
iniziato a stufarsi? Non lo ricordava.
Liesel invece
si era innamorata e, quando lui aveva iniziato ad essere sempre meno coinvolto,
lo aveva affrontato con la forza della disperazione
- Perché fai
così, Benji.? Mi tratti come un oggetto di cui ti vuoi liberare al più presto…
-
- Io non ti ho
mai promesso nulla, Liesel … -
- Lo so… ma io
… - aveva mormorato guardandolo speranzosa
- Mi dispiace…
- il tono di lui era stato piatto, privo di qualsiasi tipo di indecisione, e
Liesel lo aveva guardato con gli occhi azzurri pieni di lacrime.
- Come fai ad
essere così insensibile, Benji? – gli aveva chiesto schiacciata dall’evidenza
che lui non l’amava – Come puoi controllare i tuoi sentimenti al punto di non
lasciarti mai coinvolgere da nessuno, di non provare nessuna emozione? -
Lui non aveva
risposto ma Liesel aveva potuto scorgere il dispiacere annidato in quei
profondi occhi scuri. La sua compassione l’aveva fatta montare su tutte le
furie e, in preda alla collera, aveva perso completamente le staffe, tirandogli
dietro un pesante posacenere di cristallo – Sei un bastardo! – aveva urlato furibonda mentre l’oggetto
andava a frantumarsi contro la parete del salotto – Non so che farmene della
tua pietà! – schiumava letteralmente di rabbia e Benji non ricordava di averla
mai vista così fuori di sé - Altri prima di te hanno usato il mio corpo ma tu
hai preso il mio cuore e la mia dignità e me li hai sbattuti in faccia! Sei un
mostro Benji! Sei duro e freddo come il ghiaccio. Credi che non mi sia accorta
di cosa fai? Ti rinchiudi nel tuo guscio protetto perché hai paura di
dimostrare quello che provi. Anche quando fai l’amore con me… quando mi sfiori
con passione… credi che non abbia capito che vuoi semplicemente annegare la tua
solitudine? –
Lui era arrossito
e Liesel gli si era avvicinata cercando con lo sguardo i suoi occhi – Pensavo
saresti cambiato… - aveva mormorato – Pensavo che il mio amore sarebbe bastato
per entrambi ma non è così… –
Di fronte al
suo ostinato silenzio la sua ira era tornata a divampare – Sei umano Benji? O
sei solo come ti descrivono i giornali, il grande SGGK, il portiere
imbattibile? – Aveva alzato una mano e lo aveva schiaffeggiato violentemente –
Sussulti quando vieni colpito? – gli aveva urlato quasi in preda all’isteria.
Benji era
rimasto immobile mentre un segno livido iniziava a farsi evidente sullo zigomo
abbronzato ma i suoi occhi avevano scintillato pericolosamente e Liesel,
impotente e frustrata dalla sua mancanza di reazione si era arresa e aveva
iniziato a raccogliere le sue cose - Dio solo sa, se vorrei non averti mai
incontrato! – gli aveva urlato sbattendo la porta.
Per parecchio
tempo lui non aveva più rivista o avuto notizie. Tutto questo fino a quattro
mesi prima.
Una sera,
mentre era appena rientrato da una trasferta all’estero con la squadra, Liesel
gli aveva telefonato piangendo. Si erano incontrati in un bar poco frequentato
e Benji aveva stentato a riconoscere, in quella ragazza poco curata e
spaventosamente magra, la diva delle passerelle, la donna sexy e provocante, il
sogno proibito di molti ammiratori.
Era incinta e
lui impietosito le aveva promesso un aiuto. Poi era successo l’irreparabile.
Liesel era stata ricoverata improvvisamente a causa di un malore e lui le era
rimasto accanto.
I giornali
avevano immediatamente dato in pasto al pubblico la succulente notizia e alcuni
di loro erano riusciti a procurarsi delle fotografie della giovane donna. Il
suo aspetto profondamente cambiato e l’abbandono dello scintillante mondo dello
spettacolo avevano dato il via ad una serie di pettegolezzi e di illazioni fra
cui quello più gettonato risultò essere che Liesel Hauermann frequentasse
compagnie poco raccomandabili e facesse uso di sostanze stupefacenti o di
psicofarmaci. La sua morte improvvisa sembrò confermare tragicamente
quell’ipotesi assurda.
Benji posò con
forza il bicchiere sul basso tavolino accanto a sé, imprecando
sommessamente.
Il suo nome
era stato legato a quello di lei e la stampa era arrivata ad ipotizzare che lui
stesso facesse uso di sostanze illecite per falsare le proprie prestazioni e
raggiungere certi risultati di gioco. Anche se la polizia non aveva trovato
prove che la giovane modella assumesse droghe e nessun indizio lo collegasse
all’improvvisa morte della ragazza, restava inconfutabile il fatto che lui la
conoscesse bene e che, a suo tempo, avesse avuto con lei una relazione
piuttosto chiacchierata.
Si affrettò a
scacciare quell’immagine dalla sua mente, cercando di venire a patti con i
sensi di colpa che lo attanagliavano. Se solo si fosse accorto in tempo della
malattia che Liesel si ostinava fermamente a voler negare, forse avrebbe potuto
fare qualcosa, avrebbe potuto costringerla a curarsi.
Sospirò
pesantemente: la prova delle sue colpe era di là, oltre la porta della sua
stanza, oltre il corridoio, piccola, innocente ed ignara di quello che la sua
nascita aveva provocato.
Martine. Un
nome bello e forte per una bambina che fin dall’inizio si era fatta strada con
determinazione affacciandosi alla vita contro ogni previsione. Era stata Liesel
a sceglierlo, pronunciandolo in uno dei pochi momenti in cui aveva ripreso
conoscenza dopo il parto e aveva stretto a sé la minuscola figlioletta.
Non sapeva chi
fosse il padre della bambina: Liesel si era sempre rifiutata di pronunciarne il
nome – Mi dispiace solo che non sei tu. – gli aveva detto una volta con un
sorriso triste – Quando stavamo ancora insieme avevo pensato che, forse, se
fossi rimasta incinta, mi avresti amata e tenuta con te, perché sei troppo
gentiluomo per abbandonare tuo figlio. – aveva confessato arrossendo
leggermente – Ma poi ho pensato che non potevo farti una carognata simile.
Questo bambino è solo mio. – aveva concluso fermamente guardandolo negli occhi
– Solo da me avrà l’amore che gli sarà necessario per crescere. –
Ma così non
era stato.
Liesel era
morta due giorni dopo il parto per complicazioni intervenute a causa del suo
già precario stato di salute, lasciandogli l’impegno di occuparsi della bambina
appena nata.
Un brivido gli
corse lungo la schiena al solo pensiero. Lui era un solitario, era uno scapolo
incallito, non sapeva nulla di cosa si dovesse fare per allevare un bambino ma
non aveva potuto e voluto sottrarsi alle ultime volontà di Liesel.
Non avrebbe
mai saputo perché la giovane donna avesse fatto testamento nominandolo tutore
di Martine e la notizia lo aveva colto di sorpresa come una doccia gelata.
Le motivazioni
che Liesel aveva dato al notaio erano state squisitamente di natura pratica:
lei era orfana, decisamente a corto di mezzi e, tranne una zia ottantenne che
viveva in un piccolo paesino della Baviera, non aveva altri parenti. Benji
aveva una posizione economica agiata e avrebbe consentito a Martine una vita
priva di preoccupazioni.
Vedendolo
perplesso il notaio Briegel gli aveva spiegato che, mancando un legame
giuridico o di sangue con la madre, lui avrebbe potuto rifiutare di prendersi
cura di Martine. In tal caso il Tribunale dei Minori avrebbe messo la bambina
in orfanatrofio oppure l’avrebbe affidata ad una famiglia in attesa di
adozione. Se invece lui avesse deciso di presentare istanza per affidamento
della bambina avrebbe avuto ottime probabilità che il giudice si pronunciasse
in suo favore, tenendo debitamente conto delle ultime volontà della defunta.
A sentir
parlare di orfanatrofi Benji era inorridito.
La sua
infanzia non era certo stata delle più felici: era spesso rimasto da solo e
raramente aveva potuto godere dell’affetto e della compagnia dei suoi genitori
perennemente in giro per il mondo. Tuttavia lui aveva potuto vivere di una
bella casa, godere di un certo privilegio e aveva avuto la fortuna di avere
accanto un uomo come Freddy Marshall.
Non era
riuscito a trovare il coraggio di negare tutto questo alla figlia di Liesel. Il
fatto poi che continuasse ad essere tormentato dai sensi di colpa per non aver
potuto fare nulla per la giovane donna aveva contribuito a fargli prendere
quella che gli appariva sempre di più come una folle decisione.
L’istanza per
l’affidamento provvisorio era stata accolta dal Tribunale la settimana prima e
adesso ufficialmente la piccola Martine Hauermann era sotto la sua tutela per i
prossimi sei mesi.
Il giudice
Anita Leumann aveva storto leggermente il naso di fronte al fatto che lui non
fosse un parente della piccola e aveva iniziato a tartassarlo di domande sulla
sua vita privata e sulle sue frequentazioni con la stessa insistenza di un
giornalista molesto.
– Così lei era
solo un amico della defunta signora Hauermann? – gli aveva chiesto sfogliando i
documenti contenuti nel fascicolo di Martine – Nessuna parentela con la
bambina? – aveva indagato sospettosamente
- No. – il
volto di Benji era stato accuratamente inespressivo – Sono certo che lei è al
corrente del fatto che io abbia avuto una relazione con Liesel Hauermann più di
un anno fa – aveva commentato asciutto - Ultimamente eravamo solo amici e credo
che sia per questo che abbia pensato a me come eventuale tutore della figlia. -
Il giudice Leumann lo aveva guardato intensamente quasi
volesse soppesarne le intenzioni – Lei però non è sposato. – aveva obiettato in
tono pratico – Inoltre fa un mestiere non proprio convenzionale che la porta a
viaggiare molto. Forse la bambina starebbe meglio in una famiglia adottiva: una
famiglia composta da una coppia di genitori – aveva specificato.
Di fronte allo sguardo meravigliato dell’avvocato Kraser,
il legale della famiglia Price, che lo conosceva fin da ragazzino, Benji aveva
sfoderato un sorriso che avrebbe commosso un sasso. Si era chinato leggermente
verso la scrivania di Anita Leumann e, quasi volesse fare solo a lei una
confidenza privata, aveva mormorato – Potrei decidere di sposarmi al più
presto, giudice. Effettivamente ci stavo pensando da tempo e inoltre sarebbe
più opportuno che Martine potesse beneficiare di una figura femminile, di una
nuova mamma, per così dire. La necessità di assumere il mio ruolo di tutore
della bambina affretterebbe solo un po’ i tempi di questa mia decisione. –
L’attempato avvocato, che era perfettamente al corrente
dell’idiosincrasia di Benji Price per il
matrimonio lo aveva guardato allibito, incapace di credere alla sue
orecchie. Per fortuna il giudice Anita Leumann aveva continuato a guardare
Benji, incantata dal sorriso convincente e dal fascino magnetico dell’uomo – In
questo caso… forse… - aveva iniziato a cedere
Al piccolo tentennamento del giudice l’avvocato Kraser si
era ripreso, recuperando il suo ruolo di legale e affrettandosi a cogliere i
vantaggi di quella piccola indecisione – Giudice Leumann, se posso permettermi,
potrei suggerirle un affidamento temporaneo in attesa che maturino gli eventi.
In questo modo non disattenderebbe alle ultime volontà della signora Hauermann
che designavano Herr Price quale tutore della piccola Martine.
Contemporaneamente il mio cliente avrebbe modo di dimostrare, a questa Illustre
Corte, la sua indubbia volontà di voler creare, nell’interesse della bambina,
un ambiente familiare adatto. –
- Va bene. – Anita Leumann che era indubbiamente una
persona pratica, aveva capitolato, procedendo a firmare il provvedimento –
Concederò l’affidamento provvisorio per sei mesi al termine dei quali deciderò
definitivamente, soprattutto alla luce dei cambiamenti che dovrebbero avvenire
prossimamente. – aveva dichiarato guardando significativamente il portiere.
Nei prossimi mesi…
Se la situazione non fosse stata tragica, Benji avrebbe
riso a quell’assurdità. Lui non era in procinto di sposare nessuna fantomatica
fidanzata e neppure aveva mai pensato seriamente al matrimonio.
Il fatto che il giudice Leumann avrebbe praticamente
basato la sua decisione sulla possibilità o meno che lui si presentasse, fra
sei mesi in Tribunale, con una moglie al braccio era il lato più paradossale
dell’intera faccenda. Inoltre, come se tutto questo non bastasse continuava ad
avere i giornalisti alle calcagna. La stampa si era estremamente risentita con
il campione per una sua mancata replica alle accuse che gli venivano mosse e
non gli aveva dato tregua, sperando di stimolare una sua qualche reazione.
L’intera vicenda giudiziale per l’affidamento di Martine
era stata condotta nel mezzo di quel pandemonio con il più stretto riserbo ma
Benji sapeva per esperienza che sarebbe bastato solo un piccolo accenno per
scatenare l’interesse di tutti su quel succoso pettegolezzo. L’ultima cosa che
desiderava era vedere Martine sbattuta in prima pagina per quella che lui
riteneva una faccenda delicata e strettamente privata.
Si versò di nuovo da bere.
Fortunatamente tra pochi giorni sarebbe ritornato in
Giappone per ottemperare ai suoi impegni con la nazionale e avrebbe condotto
con sé la bambina. Non aveva la minima idea di cosa avrebbe fatto una volta
arrivato ma sperava che, per quando fosse rientrato in Germania in autunno, la
stampa avrebbe smesso di dargli la caccia.
Sorrise sarcasticamente di se stesso. Era riuscito
tenacemente, per ventisette anni, ad evitare il collare del matrimonio con la
medesima cura con cui le persone normali evitano di venire contagiati da una
terribile malattia. Adesso, se voleva evitare che gli venisse tolto
l’affidamento di Martine, avrebbe dovuto cercare una moglie e soprattutto una
madre adeguata per la bambina in un tempo da record.
Aveva tempo solo sei mesi.
Alle dieci di
ogni martedì mattina l’ufficio di Edmund Langel rimaneva deserto per circa
un’ora, giusto il tempo che il suo proprietario tenesse, nella sala delle
conferenze al piano di sotto, la riunione settimanale con gli alti vertici
della società a cui spesso partecipavano anche alcuni suoi giocatori.
Il presidente
del Bayern Monaco era un corpulento uomo di mezza età e possedeva un innato
amore per la buona tavola e i vini di pregio, come poteva testimoniare la sua
ricca enoteca da intenditore e le numerose bottiglie pregiate che teneva sugli
scaffali dell’ufficio, in attesa di essere degustate alla conclusione di
qualche importante affare.
Si vantava di
saper mantenere con i suoi campioni un rapporto professionale sereno e corretto
e aveva fama di essere un uomo dal carattere serio e determinato.
Per una forma
di inconfessata scaramanzia, nonostante fosse da molti anni alla presidenza del
Bayern Monaco, aveva lasciato immutato l’arredamento dell’ufficio presidenziale
scelto dal suo predecessore, limitandosi ad aggiungere i suoi effetti personali
a quell’ambiente severo e maschile, fatto di pesanti mobili in noce, divani e
poltrone di pelle lievemente consunti e folti tappeti orientali. La sua
ostinazione nel non procedere ad alcun cambiamento era stata fonte di numerose
discussioni con la figlia.
Erika Langel
tamburellò nervosamente con l’unghia curata sul ripiano di marmo nero della
lussuosa sala da bagno dell’ufficio paterno. Con occhio critico scrutò la sua
immagine nell’ampio specchio dalla cornice intarsiata, cercando qualche difetto
nel viso sapientemente truccato. Si passò un filo di rossetto porpora sulle
labbra generose con gesto esperto e lisciò meticolosamente una ciocca dei
lunghi capelli neri perfettamente acconciati. Era di poco più alta della media
ma le scarpe a tacco alto ne allungavano la statura di almeno una decina
centimetri, mentre gonna cortissima lasciva abbondantemente scoperte le gambe
affusolate di cui andava molto fiera. Sapeva di essere bella ed era soddisfatta
del suo aspetto fisico: la carnagione ambrata, il corpo tonico modellato dalla
palestra, il seno generoso e gli occhi di un bel verde smeraldo.
Allisciò una
piega sul fianco tornito e sistemò con cura i risvolti della giacca del
tailleur color crema. Raramente si presentava negli uffici della società
paterna prima del pomeriggio ma quella mattina si era alzata prestissimo e in
fibrillazione perché sapeva che finalmente l’avrebbe rivisto. Lui. Benji Price.
Il SGGK, come
veniva chiamato dai tifosi, il portiere della squadra, uno dei migliori
giocatori della Bundesliga. Quella mattina avrebbe sicuramente partecipato alla
riunione per approvazione del bilancio provvisorio assieme a Karl Heinz
Schneider e Richard Voegl quali azionisti di minoranza del Bayern Monaco.
Il suo cuore
accelerò i battiti e le sfuggì dalle labbra un lieve sospiro. Era rimasta
colpita dal fascino di quell’uomo fin dalla prima volta che l’aveva visto
durante un allenamento. Il fisico potente e atletico, il bel viso bruno dai
lineamenti virili facevano di lui un esemplare maschile piuttosto notevole ma
ciò che più l’aveva affascinata era l’aura di magnetismo che lo avvolgeva.
Benjiamin Price aveva il potere di riempire una stanza con la sua sola presenza
ed Erika, che era una donna fino in fondo, si era sentita soggiogata dal suo
prepotente carisma.
Quando Benji
aveva stretto, per la prima volta, la mano nella sua, in segno di saluto, aveva
sentito le ginocchia diventare molli per l’emozione e si era sentita arrossire
come una scolaretta al primo appuntamento.
A parte la
violenta attrazione di quegli occhi scuri e ardenti come due tizzoni, Benji
Price emanava ondate di puro fascino maschile con la stessa fatica con la quale
gli altri uomini respiravano.
Il fatto che
fosse famoso, strepitosamente ricco, e l’unico erede di una delle famiglie più
in vista di tutto il Giappone lo avevano reso una preda estremamente appetibile
nella cosiddetta buona società ed Erika era sufficientemente esperta e navigata
da accorgersi di quanto lui fosse corteggiato.
L’atteggiamento
di distaccato rispetto e il blando interesse che aveva sempre dimostrato nei
suoi confronti non aveva fatto altro che pungolare il suo amor proprio e
all’improvviso lei, Erika Langel, si era trovata a inseguire un uomo come mai
le era capitato prima. Viziata oltremodo dal padre, aveva sempre ottenuto tutto
ciò che voleva dal compiacente genitore e, facendo molta attenzione a mantenere
una dignitosa reputazione, aveva sempre accettato la corte di uomini
affascinanti, facendosi accompagnare nei locali più alla moda di Monaco e
conducendo una vita lussuosa e sofisticata.
Tuttavia,
aveva immediatamente compreso che a Benji Price quelle cose non interessavano.
Né il denaro, né il potere sembravano aver mai esercitato alcuna attrattiva su
di lui ed, in principio, Erika si era sentita spiazzata dal suo comportamento,
incapace di elaborare un a vera e propria strategia per conquistarlo.
La relazione
del portiere con Liesel Hauermann l’aveva colmata di risentimento verso la
bella modella ma, prima e dopo di lei, altre donne erano transitate nella vita
del campione, senza lasciare una traccia duratura. Erika non aveva battuto
ciglio, aspettando il momento buono, sapendo che, prima o poi lui avrebbe avuto
bisogno di lei.
Sistemò il
pesante collier d’oro e brillanti in modo che il pendente fosse perfettamente
posato sulla prima curva del petto florido: adesso sentiva che quel momento era
arrivato.
Contrariamente
alla stampa lei sapeva dell’”eredità” che Liesel aveva lasciato a Benji. Suo
padre, quale presidente del Bayern Monaco aveva chiesto giustificazioni al SGGK
riguardo alle illazioni che circolavano sul suo conto e il portiere aveva
succintamente spiegato i motivi per cui non intendeva rispondere alle
provocazioni dei giornalisti. Edmund Langel si era mostrato estremamente
comprensivo e, in ragione della vicenda giudiziaria della piccola Martine, si
era dichiarato d’accordo a mantenere la notizia riservata per un po’ di tempo.
Erika aveva
visto la neonata solo una volta e non ne aveva ricavato un’impressione
particolare. Intuiva che Benji si sentisse in obbligo ad accudire la piccola e
sapeva che l’affidamento definitivo di Martine era subordinato alla condizione
che Benji si presentasse davanti al Giudice con una madre adeguata per la
bambina.
Sorrise
segretamente: non le importava affatto di fare da madre a quella piccola peste
urlante ma Martine poteva essere il mezzo per avvicinarsi a quell’uomo tanto
bello quanto enigmatico.
Avvertì un
fremito di piacere nel ricordare le larghe spalle, il torace muscoloso, i
fianchi stretti e il ventre saldo e piatto. Lo voleva. Lo voleva disperatamente
e avrebbe fatto qualsiasi cosa per riuscire a portarsi a letto quel maschio
arrogante e dotato.
Si mise dietro
le orecchie alcune gocce del suo profumo preferito e gettò un’ultima occhiata
compiaciuta alla sua immagine riflessa prima di uscire fuori dall’ufficio.
La sala delle
conferenze era un ampio salone circolare sui cui lati si aprivano numerose
porte che conducevano agli uffici privati dei dirigenti. Al centro troneggiava
un enorme tavolo rettangolare di palissandro e un numero imprecisato di comode
poltrone in pelle era disposto tutto attorno ai lati. La stanza prendeva luce
dalle grandi vetrate poste sulla parete meridionale e dalle finestre era
possibile ammirare una superba vista della città.
Quando Erika
fece il suo ingresso la riunione non era ancora iniziata e molti dei più
stretti collaboratori di suo padre si affrettarono a salutarla con deferenza.
Come una calamita i suoi occhi cercarono e trovarono l’uomo che sedeva
all’estremità più lontana del tavolo, lo sguardo intento a scorrere una serie
di tabulati e di cifre.
Erika
trattenne il respiro alla vista della maschia bellezza di lui, il profilo
scolpito, le guance asciutte e perfettamente rasate. I capelli neri erano
tagliati corti e si arricciavano leggermente sopra il colletto della camicia
candida. Indossava un completo grigio antracite e una cravatta regimental a
righe blu e grigie era annodata perfettamente attorno al collo abbronzato.
Erika sentì
l’ormai familiare nodo allo stomaco farsi ancora più intenso e dovette
ammettere con se stessa che, qualunque cosa Benji Price indossasse, appariva
sempre splendidamente.
Si diresse
verso di lui con passo sicuro, ancheggiando leggermente e distribuendo cenni di
saluto a coloro che erano già seduti.
Si fermò
accanto al posto vuoto vicino alla sedia dell’uomo - Buongiorno, Benji. E’
libero questo posto? – gli chiese indicando la sedia vuota
Gli occhi
scuri di lui si alzarono immediatamente ad incontrare lo sguardo interrogativo
della donna e il portiere si alzò in piedi cortesemente – Buongiorno Erika,
come stai? – la salutò facendole cenno di accomodarsi.
La ragazza
sedette sulla poltrona vuota, aspirando il lieve sentore amarognolo della
colonia di lui e sentendo i battiti del proprio cuore farsi più veloci – Io sto
molto bene, grazie. – rispose con un sorriso – E’ il nuovo bilancio di
previsione? – chiese, chinandosi leggermente sui fascicoli che Benji aveva
aperto davanti a se e consentendogli una piena ed ampia visione del suo seno,
attraverso la scollatura della giacca.
Lo sguardo di
Benji non vacillò un istante e si alzò ad incontrare, al di là del tavolo,
quello ironico e divertito del suo biondo capitano. Karl Hainz Schneider sedeva
rilassato all’estremità opposta, giocherellando distrattamente con una
stilografica d’oro. Un rapido bagliore nei chiari occhi azzurri fece intuire al
SGGK quanto lui si stesse divertendo per l’imbarazzante situazione.
Benji era un
uomo leale e Karl comprendeva benissimo come la sua integrità gli impedisse di
approfittarsi della figlia del loro presidente se non avesse avuto intenzioni
più che serie nei suoi confronti. Si conoscevano da parecchi anni e in più di
un’occasione era stato testimone di come le donne, di qualunque levatura
fossero, dimenticassero ogni pudore e si gettassero tra le braccia del SGGK,
prive di qualsiasi inibizione.
Nonostante il
suo carattere taciturno e scontroso, Benji Price attirava le donne come una
calamita e Karl si era sempre chiesto se il portiere fosse pienamente
consapevole dell’incredibile ascendente che aveva sulle rappresentanti del
gentil sesso.
Dopo aver
giocato insieme nell’Amburgo per diversi anni, le loro strade si erano di nuovo
incrociate al Bayern Monaco e, a causa del carattere introverso e silenzioso di
Benji, era sicuro che la loro amicizia fosse il rapporto più stretto e profondo che il SGGK avesse instaurato con
un compagno di squadra. Karl era il solo, ad eccezione di Edmund Langel, ad
essere a conoscenza dell’esistenza di Martine e francamente non riusciva a
spiegarsi perché un uomo così solitario come Benji Price avesse accettato di
diventare il tutore di una bimba di pochi mesi. Karl aveva conosciuto la madre
di Martine ma il SGGK non aveva mai mostrato una particolare tenerezza nei
confronti della bella modella. Non riusciva proprio a capire perché il compagno
di squadra avesse deciso di tenere con se la bambina, di cui, gli aveva
confidato, era certo di non essere il padre.
Vide Erika
chinarsi verso Benji strusciando il seno scarsamente coperto sul braccio del
portiere e il Kaiser sogghignò di fronte al suo approccio diretto. La ragazza
si era decisamente infatuata del bruno portiere del Bayern Monaco ed era
partita all’attacco, sfoderando tutto il suo arsenale di seduzione per tentare
di conquistarlo.
Un sorrisetto
sprezzante piegò le labbra del Kaiser: al pari di molte altre donne, Erika non
era riuscita ad intuire la complessità di quell’uomo. Benji non teneva in
alcuna considerazione le facili vittorie e le conquiste senza sforzo. Preferiva
di gran lunga una caccia difficile, un torneo vinto a fatica, una partita in
cui doveva mettere alla prova tutta la sua abilità. Nella vita, come nel
calcio, amava la sfida, il gusto dell’inseguimento, la glorificazione di una
resa finalmente ottenuta.
Karl osservò
il cipiglio insofferente con il quale ascoltava le chiacchiere inarrestabili di
Erika e provò un briciolo di compassione per la ragazza. Se le sue intenzioni
erano quelle di fare capitolare il SGGK aveva decisamente sbagliato tattica!
La ragazza era
talmente assorbita dai suoi tentativi di seduzione da non accorgersi del cupo
cipiglio che scuriva il volto di Benji. Si guardò attorno per un attimo, a
sincerarsi che nessuno li stesse ad ascoltare e poi si chinò verso la sua
spalla, appoggiandogli famigliarmente la mano sulla coscia muscolosa – Come va
con Martine?- chiese con un basso mormorio, disinteressandosi completamente del
bilancio.
Benji le
scoccò un’occhiata interrogativa, meravigliato dal tono da cospiratrice con il
quale aveva accompagnato la domanda e dal gesto intimo – Va tutto bene. -
rispose con noncuranza – Perché me lo chiedi? -
Erika non
rispose subito e accavallò le gambe abbronzate lisciando la gonna chiara – Papà
mi ha detto che il Giudice ti ha concesso l’affidamento temporaneo, - spiegò
lentamente – e mi piacerebbe sapere che cosa hai intenzione di fare? -
Benji inarcò
un sopracciglio e si appoggiò allo schienale della poltrona – Per la verità –
disse tentando di dominare l’irritazione per quell’ingerenza – Non vedo come
questo ti possa interessare. -
Erika gli
sorrise sicura sbattendo le lunghe ciglia scurite dal mascara – Te lo chiedo
perché mi preoccupo per Martine. Dopotutto Liesel era una mia amica e io ho a
cuore il bene di sua figlia. -
Benji le scoccò un’occhiata perplessa e preferì
rimanere in silenzio in attesa che continuasse.
- Quello che
intendo dire, - riprese lei un tantino sconcertata dalla sua mancanza di
partecipazione – E’ che sono molto preoccupata per Martine. Dopotutto è sempre
sola, in quella grande casa, sempre in compagnia unicamente dei domestici. So
che non hai assunto neppure una bambinaia e che della bambina se ne occupa Mrs.
Bauer. Il giudice non ti darà mai l’affidamento definitivo se non dimostri di
poter offrire a Martine una famiglia normale. Quella povera bambina rischia di
finire in un orfanatrofio. – lo ammonì scrutandolo ansiosamente. Prese fiato
per un attimo e poi sparò – Mi rendo conto che forse la mia offerta è un po’
azzardata ma penso che io potrei occuparmi di lei. Insieme potremmo offrire a
Martine una famiglia e un futuro. -
Benji la
guardò, letteralmente stupito dalle incredibili macchinazioni di quella donna –
In realtà, Erika non ci avevo ancora pensato e, inoltre – disse abbracciando la
stanza con lo sguardo – credevo di essere qui per discutere del bilancio della
squadra e non della mia vita privata. –
La ragazza si
raddrizzò, un tantino piccata dall’atteggiamento rigido dell’uomo – Forse hai
ragione, non è questo il luogo più adatto. Però potremmo discuterne più
dettagliatamente dopo. Magari questa sera, a cena. – buttò lì trattenendo il
fiato in attesa della risposta.
Gli occhi neri
dell’uomo si fissarono sul suo volto e la trapassarono con durezza adamantina –
No. – Benji cercò di scandire bene le parole perché le si imprimessero bene in
mente – Non discuteremo di questo argomento questa sera a cena. Domani rientro
in Giappone e ho ritardato la mia partenza solo per presenziare a questa
riunione con tuo padre. –
Erika,
irrigidì la mascella in un testardo atteggiamento – Non puoi fuggire, Benji. Se
vuoi ottenere l’affidamento di Martine dovrai sposarti al più presto e, in
questo caso, perché non io? – bisbigliò con fare suadente.
Di fronte al
silenzio dell’uomo Erika proseguì ancora più caparbiamente – Ti struggi per
qualcuno che non c’è più Benji? Liesel è morta ma io sono qui e insieme potremo
crescere Martine. Le vorrò bene e la crescerò come se fosse davvero mia figlia.
– gli assicurò posandogli una mano sull’avambraccio muscoloso sotto il fine
tessuto della giacca – Oh caro, potremmo essere così felice se solo tu volessi!
-
Benji la
guardò in viso e poi scostò la sua mano dal proprio braccio alzandosi in piedi
– Come ti ho già detto Erika, ci devo pensare. Comunque prenderò una decisione
al mio ritorno dal Giappone. – Afferrò il fascicolo del bilancio – Ora, se vuoi
scusarmi, devo parlare con tuo padre di queste cifre prima dell’inizio della riunione.
– disse avviandosi verso la porta dell’ufficio di Edmund.
Erika fissò
rapita l’ampia distesa della schiena di lui e mentalmente fece un bilancio
della loro conversazione. Non si poteva certo dire che Benji fosse entusiasta
all’idea ma con un altro paio di mosse ben assestate sarebbe riuscita a
convincerlo che sposarla era senz’altro la soluzione migliore. Per un attimo
pensò a cosa avrebbe potuto fare se non fosse riuscita a convincerlo ma si
affrettò a scacciare quel pensiero importuno e riprendere sicurezza – Ci
penserà papà. – rifletté con soddisfazione.
Si alzò in
piedi e con passo allegro abbandonò la sala delle conferenze, prima ancora
dell’inizio della riunione, dimenticandosi completamente il motivo della sua
presenza lì. Aveva già raggiunto il suo scopo e adesso doveva solo pensare a
come organizzare la sua vita come moglie di Benjiamin Price.