I will fight like I always have!

di Phantom13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Situazioni ***
Capitolo 3: *** 2. Contrattacco! ***
Capitolo 4: *** 3. Ipotesi ***
Capitolo 5: *** 4. Intenti ***
Capitolo 6: *** 5. Dichiarazioni ***
Capitolo 7: *** 6. Azioni ***
Capitolo 8: *** 7. Teta567 ***
Capitolo 9: *** 8. Fazioni ***
Capitolo 10: *** 9. Assalto (parte 1) ***
Capitolo 11: *** 10. Assalto (parte 2) ***
Capitolo 12: *** 11. Dolore ***
Capitolo 13: *** 12. Rimonta ***
Capitolo 14: *** 13. Sangue ***
Capitolo 15: *** 14. Zeta587 ***
Capitolo 16: *** 15. Ricatto ***
Capitolo 17: *** 16. Condanna ***
Capitolo 18: *** 17. Disgrazia ***
Capitolo 19: *** 18. Svolta ***
Capitolo 20: *** 19. Tempo ***
Capitolo 21: *** 20. Showdown ***
Capitolo 22: *** 21. Spezzato ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Buongiorno a tutti! Porbabilmente non avete idea di chi io sia anche perchè da queste parti non mi sono mai fatta sentire prima d'ora. e non è un caso.  Vi dico fin da subito che io non sono espertissima in Sonic, quindi, abbiate pietà se faccio erroracci ^.^ anzi, vi prego di farmeli notare (conosco solo la serie animata Sonic X, i giochi alle Olimpiadi, e le cutscene di Sonic '06 viste in inglese su youtube).
Prima di cominciare però dovrei appunto dirvi tre cosucce:

1) come ho già detto sopra, nell'introduzione, QUESTA STORIA HA CONTENUTI CHE POTREBBERO URTARE LA SENSIBILITÀ DEL LETTORE. quindi, non è adatta a stomaci sensibili. Repetita iuvant! 
2) Prima d'ora non ho mai provato a scrivere nulla che assomigli a questo neanche lontanamente. Con tutta sincertità non so che ne salterà fuori. spero sia qualcosa di leggibile. Abbiate pazienza con gli aggiornamenti. 
3)Questa storia la dedico interamente a "greenblood", "Vicarious10" e "f9v5". Nel qual caso la storia risultasse una schifezza, tali persone non la prendando come un'offesa personale. Io farò sempre del mio meglio, e se poi "il mio meglio" faccia pietà ... beh, non è stata colpa mia. Io ci ho provato!

E ora la smetto di importunarvi e vi lascio alla lettura.
Enjoy! 

 


I will fight like I always have!

 

 






  “If the world chooses to become my enemy, I will fight like I always have!”
“Se il mondo sceglie di diventare mio nemico, io combatterò come ho sempre fatto!”

 

 

 
 
 

PROLOGO

La pallottola lo mancò di pochissimo. Shadow non vi badò, solo un impercettibile scatto dell’iride color rubino per controllare che l’avesse effettivamente schivata e nulla di più. Non poteva, del resto, dedicar più tempo di così ad un misero proiettile di piombo, anche se di proiettili ultimamente ne vedeva fin troppi.
Continuò a correre, facendo attenzione solo a dove andava e a tener d’occhio i robot muniti di artiglieria pesante che stavano inseguendo proprio lui in volo radente tra i palazzi. Quelli erano il vero “problema”, non i militari accampati qui e là nella vana speranza di riuscire a bloccarlo.
Svoltò a sinistra, rapidissimo, disorientando un gruppo di autopattuglie che tentava miseramente di stargli dietro. Illusi, ma che speravano di fare? Nel tentativo di seguire la scia del riccio, slittarono pateticamente sull’asfalto, urtandosi l’un l’altra mettendosi da sole fuori gioco.
Shadow continuò a correre. Diede un’occhiata ai robot, giusto per constatare se fossero ancora lì. Erano quattro. Quattro patetiche lattine volanti che avevano le pretese di catturare lui, la Forma di Vita Definitiva. Non aveva ancora deciso se sentirsi sollevato o oltraggiato che il governo per catturare lui impiegasse simili rottami.
Sbuffò.
Era stufo. Terribilmente stufo. E anche annoiato.
Lui, per una volta, non c’entrava niente in quella situazione. Non era colpa sua e nemmeno capiva il motivo di una caccia tanto assidua e persistente. La voglia di fare tutti a pezzi era forte, ma non gli andava di compiere un massacro. Abbattere robot volanti sì, deragliare le auto della polizia sì, uccidere tutti quanti no.
Era stanco di vedere sempre e solo sangue.
Era quasi riuscito ad ottenere una vita normale prima che a qualcuno venisse la brillante idea di farlo fuori. Per cosa, poi … Ci aveva riflettuto a lungo, da tre settimane ormai andava avanti questa storia. Non era riuscito a concludere nulla. Nè lui, né Rouge, che gli era rimasta affianco.
Una scarica di mitraglia lo costrinse a tornare al presente. Shadow balzò di lato, contro il muro di un palazzo schivando i proiettili che si conficcarono a terra, sgretolando l’asfalto. Presa la mira, il riccio spiccò un salto verso l’edificio dal lato opposto. Fece un secondo e un terzo balzo, passando da un palazzo all’altro, arrivando all’altezza del robot. Si appallottolò e si scagliò contro la macchina, perforandola da lato a lato. Richiamò a sé il potere degli smeraldi e usò il Chaos Control teletrasportandosi proprio sopra il secondo robot. Chaos Spear e l’ammasso metallico cadeva a terra in fiamme, uno Spin Dash e il terzo lo accompagnò a sfracellarsi a terra, diverse braccia più sotto. Al quarto non spettò destino differente, di nuovo Chaos Control e Spin Dash.
La gente, giù in strada, cominciò ad urlare. 




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Questo era il prologo, quindi non mi uccidete perchè è corto. È solo un assaggio di ciò che ci sarà più avanti nella storia. 
con la speranza di aver suscitato il vostro interesse,
un forte abbraccio

Phantom13

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Capitolo 2
*** 1. Situazioni ***


CAPITOLO 1
-SITUAZIONI-

 

Shell The Seagull si lasciò cadere sulla sedia girevole del suo ufficio, dando un’affranta occhiata alla tetra piramide di fogli che troneggiava sulla sua scrivania. Si sentì male. Tutto quel lavoro solo e soltanto per lei? Ma dov’era andata a finire la giustizia?
Le sue colleghe passavano le giornate a limarsi e laccarsi gli artigli mentre lei, povero pennuto di mare, si ritrovava sommersa di lavoro! Fece schioccare una volta il becco arancione con stizza. Ma che palle!
-Salve, gabbianella! Come te la passi?-
-Taci e crepa, Nut.-
Il furetto viola a strisce arancioni le sorrise. –Dolcissima come sempre.-
Le penne azzurro chiaro sulla sommità del cranio di Shell si rizzarono, battagliere. –Stai rischiando la coda, Nut.-
-Lo so!- rise lui. –Ma che gusto c’è senza un po’ di pericolo?-
-Parlate di meno e lavorate di più!- ruggì Jack, un umano dal pelo biondo e gli occhi azzurri.
Il furetto e la gabbiana si voltarono di scatto, tornando ognuno al proprio daffare.  Essere vicini di scrivania poteva essere un problema e nella redazione di una rivista, le scrivanie erano tutte appiccicate l’un l’altra. Quindi, il suo “ufficio” consisteva in uno spazio assai ristretto e rettangolare che a stento comprendeva l’area per la sedia. E insisteva a chiamarlo “ufficio” per auto illudersi di avere un’importanza, lì dentro.
Purtroppo il suo compito consisteva nell’impaginazione del giornale, quindi doveva decidere dove mettere il tale articolo e quanto spazio concedergli, poi il suo lavoro passava nelle zampe di qualcun altro e poi, dopo un ultima supervisione dei massimi capi, veniva pubblicato. Il suo sogno di giornalista si era bruscamente infranto, schiantato contro la freddezza del capo redattore, un umano dal pelo nero, che le aveva appioppato quell’incarico scomodo a tutti.
Ad impedirle di raggiungere la finestra e buttarsi di sotto (cosa inutile essendo lei provvista di ali) erano i suoi colleghi, che con la loro allegria, a volte eccessiva, le impedivano incontrollabili attacchi di frustrazione e ira. Nut The Ferret, Rosie The Panda, Joy The Cockatoo, Bob Tomson (umano), Natalie Lane (umana), Shon Drake (umano). Tutti loro (escludendo i vari fotografi e i cameraman), insieme ai due redattori Jack Games e Crimson The Barnowl davano vita al “MT News”, un giornale mensile a cavallo tra Mobius e la Terra, che ora erano collegati da un ponte spazio-temporale permanente, che permetteva alle due razze di convivere e viaggiare e stabilirsi in un pianeta o nell’altro. Come aveva fatto Shell.
Con tutti questi collaboratori al suo fianco, spaccarsi la schiena di lavoro era un piacere, specialmente quando l’aspirazione della tua intera vita era affidata tra le zampe di una deliziosa topolina color mandarino, il cui nome era appunto Orange (accuratamente tralasciata in precedenza dalla lista degli “alleati-amici”). Lei si occupava della cronaca nera, la struggente ossessione di Shell. Purtroppo, il seducente fondoschiena e la sinuosa coda del ratto avevano avuto la meglio su Crimson The Barnowl, un arruffato barbagianni bianco e rosso, screziato, che aveva scelto la roditrice come giornalista in tale ambito piuttosto che lei. Ironico, no, che un gufo si innamorasse della preda che Madre Natura gli aveva allegato come pietanza principale!
Ma, per quanto paradossale, così era andata e ora Shell si ritrovava a rodersi il fegato occupandosi di semplici decisioni estetiche. Pure Nut si occupava di articoli, nell’ambito politico, così come Joy di quelli sportivi e Rosie di quelli economici. Insomma, lei era una nullafacente pagata quando avrebbe invece pagato pur di andare là fuori a stanare notizie fresche fresche.
Il destino e l’universo erano contro di lei.
Era partita da una semplice rivista mensile per donne disperate, terrestri e non. Lì almeno aveva la possibilità di scrivere un qualche articolo, anche se di argomenti insignificanti come la miglior dieta da seguire per donne di mezza età, o quale abito aveva indossato tale modella a tale sfilata. Da quando l’avevano assunta al MT News si era sentita ad un passo dal cielo (cosa non improbabile, per un gabbiano). La sua gioia era stata disintegrata sul nascere dalla topolina color mandarino, ma Shell non si era mai arresa sebbene tutt’ora il suo futuro non dava ancora bagliori di risalta. Sarebbe stata destinata a rimanere nell’anonimato per sempre?
La risposta arrivò quel giorno, quando Crimson la chiamò nel suo ufficio.
Due parole che le stravolsero la vita.
-Sei licenziata.-
Il mondo le crollò addosso, il cielo si sgretolò come vetro infranto, il suo sogno venne ammazzato lì, con una bastonata sulla nuca.
-Cosa?- balbettò.
-Già.- il rapace notturno stirò il becco in un sorriso forzato. –Tra tre settimane voglio la tua scrivania sgombra.-
Un fulmine a ciel sereno, che aveva deciso di usare il suo cranio come pista di atterraggio. Shell non riusciva  parlare, né a far null’altro.
 
Rouge voltò la pagina della rivista. Una modella umana indossava una meravigliosa collana di diamanti e degli orecchini allegati mettendoli in risalto con una lieve torsione del collo. Gli occhi della pipistrella scintillarono raggiungendo lo stesso splendore della pietra. Voltò pagina. Collana e anelli incastonati di smeraldi. Nulla di comparabile a quelli del Chaos, comunque.
Una luce fin troppo famigliare si accese a mezz’aria, al centro della stanza, accompagnata da un lievissimo ronzio. Il Chaos Control le fece sbattere la palpebre con il suo bagliore improvviso, un lieve tonfo sul pavimento metallico l’avvisò che il suo compagno di squadra era appena tornato.
Rouge sorrise, mentre gli occhi rossi di Shadow si voltavano verso di lei. Ecco due rubini che non potrò mai avere, pensò la ladra.
-Ciao, tesoro!- lo salutò, accavallando le gambe. -Com’è andata?- chiese, chiudendo all’istante la rivista e lasciandola sul bracciolo della poltrona.
-Altri robot.- fu la risposta sbrigativa. Shadow le voltò la schiena, uscendo dalla stanza che aveva scelto come luogo terminale del teletrasporto, lasciando la pipistrella con un palmo di naso. Ma non prima che gli attenti occhi di Rouge non avessero scorto un lembo di ombra nello sguardo scarlatto del suo compagno.
Shadow era un enigma dalla punta degli aculei a quella dei piedi, incomprensibile per tutti. Tranne che per lei. Lui non era tipo da manifestare apertamente ciò che gli passasse per la mente, anzi, sembrava fare il perfetto opposto, seppellendo i suoi pensieri, o le sue emozioni, tanto in profondità dentro di sé da risultare irraggiungibili. Quindi, comunicare con lui era oltremodo complesso, impossibile per molti. Eppure, stando al suo fianco, lavorando con lui per anni, vivendo con lui, Rouge aveva imparato a decifrare l’intricato codice di Shadow, o almeno quanto bastava a farle intuire, se non capire, come si sentisse il riccio nero o cosa gli frullasse nel cervello senza che lui ne parlasse apertamente.
Già, vivere con lui, ora.
Attualmente si trovavano in una vecchia base abbandonata di Eggman, o forse dimenticata, la più piccola che lo scienziato avesse mai creato; munita di un solo hangar che al massimo poteva ospitare un aereo grande oppure due di piccole dimensioni; perduta sotto terra nei meandri di un bosco a cinque minuti di corsa dalla città (trenta minuti di volo per lei); attrezzata di tutti i sistemi di sicurezza immaginabili compresa l’immunità ai satelliti e ai radar. Piccola sì, ma troppo grande per due sole persone.
Inizialmente, Shadow vi era andato per sfuggire ad un gruppetto di robot (il primo che diede inizio alla sua persecuzione), poi Rouge aveva deciso di raggiungerlo quando un agente segreto in tuta mimetica notturna con mitra in mano si era introdotto in casa sua. La vicinanza con la Forma di Vita Perfetta, nonché l’essere più forte in circolazione, può aiutare se si è braccati dalle autorità.
Quindi, il loro rapporto era sempre al livello di mera collaborazione, nulla di più, nulla di meno. Tacito accordo, tacita fiducia.
Quando aveva scoperto che il suo compagno di squadra era messo peggio di lei in quanto a problemi, non ci aveva pensato due volte a stabilirsi definitivamente lì con lui. Una promessa le era tornata alla mente. Se il mondo intero si fosse messo contro di lui, lei gli sarebbe rimasta a fianco. E così intendeva fare, ma l’introspezione del riccio nero di certo non aiutava. Per quanto lei fosse diventata abile ad intuire i suoi pensieri e i suoi sentimenti, quando Shadow non voleva far trapelare qualcosa, crollasse il cielo nessuno avrebbe potuto capire cosa fosse quel qualcosa.
Rouge schizzò il piedi, seguendo a passo serrato le orme di Shadow. Superò la porta metallica ancora aperta e raggiunse il riccio, affiancandolo.
-Altri robot?- tentò di estorcere informazioni.
-Già.- non ottenne altro.
Rouge socchiude gli occhi. Sospirò. –E il problema allora qual è?- domandò.
-Cosa ti fa pensare che ci sia un problema?-
-Ti conosco.-
Shadow, che stava andando in camera sua, si fermò guardando la pipistrella bianca. –Non c’è nessun problema. Tranne il solito.-
Rouge abbassò gli occhi, senza sapere che altro dire.
-Preparo cena.- riuscì a dire la pipistrella dopo un interminabile silenzio. –Hai fame?-
-No.-
Un’altra cosa che Rouge aveva scoperto era che Shadow aveva necessità minori di cibo e riposo rispetto alle altre persone. Un magro pasto al giorno per lui era più che sufficiente, così come in tre ore di sonno si rigenerava completamente.
Sospirò di nuovo, guardandolo sparire dietro ad un’altra porta meccanica.
La luce al neon sul soffitto del corridoio lastricato di metallo lampeggiò.
 
Non appena Shell riuscì ad inserire e girare la chiave nella serratura, cosa non evidente visti i suoi occhi gonfi di lacrime, si slanciò dentro come un tornado andando dritta al divano del salotto. Là, come tutti i giorni l’aspettava il suo amore: Wind The Eagle.
-Ciao tes…- l’aquila reale non fece a tempo a salutare la sua futura moglie (nozze programmate per fine estate) che se la ritrovò al collo, piangente a fontana.
-Mi hanno licenziata!- strillava quella, con il viso affondato tra le sue piume. –Licenziata!-
Preso in contropiede, Wind fece l’unica cosa che il buonsenso gli suggerì: abbracciare la fidanzata e cercare di capire cosa fosse successo. Ma la disperata gabbianella non voleva sentir ragioni.
Mentre Shell sfogava su di lui tutte le lacrime a stento trattenute per tutta la giornata, i due finirono abbracciati e accoccolati l’un l’altro. Stesi sul divano. Piume bianco-azzurre finirono per mischiarsi a quelle marroni scuro, in un unico morbido arruffo.
Shell tirò su con il naso. Aveva passato il giorno intero a maledire nei modi più fantasiosi il barbagianni e la tua topolina (realizzando solo ora che se un gufo provava attrazione per i roditori, lei, gabbiano, si stava per sposare con un aquila). Scosse appena la testa, tralasciando il pensiero a ficcando la testa nell’incavo della spalla di lui, mentre lo abbracciava, avvolgendolo nelle sue ali. Lui faceva lo stesso.
-Ora me lo vuoi dire cos’è successo?- azzardò Wind, con tono dolce, donandole un bacino sulla fronte.
-Quello stronzo mi ha cacciata per fare posto ad una pantegana viola, con i tacchi da tredici e la minigonna! Una pantegana!- si voltò per guardare negli occhi il suo consorte. –Ma che cosa ci trova quel gufo pervertito nei ratti schifosi dalla coda viscida?-
Wind sogghignò. –Peggio per lui che non sa cosa significa essere affiancati da un magnifico gabbiano, re del mare e del cielo, limitandosi a roditori baffuti.- la baciò delicatamente. –Non ci pensare.-
Lei singhiozzò. –Lo odio.-
-Se lo odi tu, lo odio anch’io.-
Fuori si sentì il boato di un tuono. Cominciò a piovere.
-Perché non ti togli le scarpe, amore, mentre preparo qualcosa da mangiare?-
Shell annuì, sfilandosi i sandali e allargando le dita palmate facendole scrocchiare. Le scarpe  e le zampe da uccello non andavano d’accordo, specie se quest’ultime erano appunto palmate. L’aquila sorrise, scivolando via da lei e andando in cucina, anche lui a piedi nudi con gli artigli che picchiettavano sulle piastrelle.
-Ti va di guardare un film mentre mangiamo?- propose Shell, tirando su con il naso.
-Certo, mia cara. Quale preferiresti?-
-Uno pieno di sangue e massacri.-
L’aquila rise di nuovo. –Come vuoi, tesoro.-
Il menù prescelto fu pesce, una pietanza amata da entrambi.
Mentre lui portava i piatti sul tavolino davanti alla tv, lei afferrò il telecomando e accese. La faccia di un uomo presentò il telegiornale. Wind tornò in cucina per prendere posate e bicchieri. Shell guadava distratta le immagini sullo schermo, senza ascoltarne le parole.
Una rapina in banca le fece drizzare le antenne, mentre il suo martoriato spirito giornalistico si ridestava. Un certo Shadow The Hedgehog quel giorno aveva rapinato da solo una banca e fatto sparire quasi venti milioni di contanti. Un’immagine del furfante occupò lo schermo: un riccio nero a strisce rosse. Shell piegò la testa di lato.
-Caro, hai visto?- chiese al rapace appena arrivato dalla cucina con posate, bicchieri e tovaglioli. Lui alzò distrattamente lo sguardo.
 
A Sonic andò di traverso il succo d’arancia. Il povero riccio blu, mezzo strozzato, tossiva e sputacchiava a più non posso, mentre il suo volto asfissiato prendeva una buffa colorazione rossa e viola. Riassestato il sistema respiratorio con un ultimo colpo di diaframma, il ricco scattò in piedi, fissando ad occhi sgranati lo schermo della tv.
-Che cos’ha fatto Shadow?!- chiese a tutti e nessuno, sbalordito; sullo schermo la notizia della rapina.
Anche Tails aveva in viso la sua stessa espressione, Amy fece capolino dalla cucina.
-Cosa?- chiese.
Sonic continuava a guardare la televisione. –Non è possibile!- esclamò. –Non era passato definitivamente dalla nostra parte?!-
-Calma, Sonic.- disse piano Tails. –Qualcosa qui non quadra.-
-Ah, sì? Il nostro presunto alleato se ne va a spasso a svaligiare banche e tu mi dici che “qualcosa non quadra”?! Che arguzia. -
-Ascolta, hanno appena detto che è successo di mattina, no? Beh, Shadow quel giorno è stato con noi dall’alba fino a mezzo giorno, mentre eravamo alle prese con quel robot di Eggman lanciarazzi. Ed è rimasto con noi sempre. Non si è mai allontanato.-
Sonic cominciò a capire. -Ma allora …-
-Allora non è possibile che sia stato lui.- sentenziò il volpino, appoggiandosi i gomiti alle ginocchia. –Qualcuno non la racconta giusta.-
Ora sia riccio che volpino guardavano con più attenzione le immagini, mentre un vago senso di colpa per aver dubitato del riccio nero prendeva forma nel cuore di Sonic.
-Le telecamere non hanno ripreso nulla, dicono che sono state neutralizzate.- fece notare Tails. –Non si vede effettivamente Shadow che ruba. Hanno solo messo una sua foto alla fine.-
-Potrebbe essere stato chiunque.- mormorò Sonic. –Non faker di sicuro.- sospirò. –Ma cos’hanno bevuto i ragazzi della TM News?-
Tails gli scoccò un’occhiata, preoccupato.
Dalla cucina arrivò Amy, con aria inquieta. Aveva sentito tutto e la faccenda non le piaceva. Ma che cosa stava succedendo?
 
Rouge guardava dubbiosa il piccolo schermo posato su una credenza, nella piccola cucina della base di Eggman. Era un ambiente spoglio e freddo che però, lei e il suo tocco femminile si erano impegnate a rendere più accogliente, per quanto possibile. Una base militare abbandonata restava sempre e comunque una base militare abbandonata di freddo metallo polveroso.
-Shadow!- chiamò forte.
Ovviamente, non un suono venne emesso dal riccio, ma lei sapeva che lui stava ascoltando.
-Hai fatto per caso una visita ad una banca senza avermelo detto?- chiese.
Silenzio prolungato.
Shadow andò da lei.
-Cosa?- domandò, cupo.
-Alla tv dicono che ti sei intascato venti milioni.-
Shadow aggrottò la fronte.
Rouge lo guardò, capendo tutto. –Mentono?-
Shadow piegò la testa di lato, guardando con occhi indecifrabili lo schermo. –Mentono. Non sono mai stato là.-
Rouge sospirò.
 
QUELLO STESSO GIORNO – LUOGO SCONOSCIUTO – DA QUALCHE PARTE SULLA TERRA
Il suo mondo era tutto nero. Sapeva che aveva degli organi progettati per la vista, ma non riusciva ad usarli. Il suo mondo era buio. Tutto quello che poteva percepire dall’esterno erano i suoni. Il proprio cuore che batteva, lento, ritmato; il sangue che scorreva nelle vene; il proprio respiro, lento pure quello; il suono vagamente risucchiante dell’aria che tramite il tubo gli entrava in gola; il rumore delle bolle del liquido nel quale era immerso.  Il loro glu-glu, ad ogni suo respiro, ogni volta che uno dei tubi che gli entravano in corpo gli conduceva direttamente dentro le sostanze di cui necessitava; il soffice tocco dei grumi d’aria quando, casualmente, nella loro disperata risalita gli sfioravano la pelle. Avrebbe tanto voluto vedere, come fossero fatte queste bolle.
Il suo mondo era quello. Buio, suoni, bolle, dolore e voci, a volte.
Qualcuno parlava, suoni distanti, ovattati, esterni. Dicevano parole, parole di cui lui conosceva il significato ma che, per una qualche ragione a lui sconosciuta, non facevano presa sul suo cervello. Non aveva memoria. Aveva un’autonomia di meno di tre ore. Sapeva altrettanto bene che tra meno di un quarto d’ora, tutte le sue conoscenze sulle bolle, sul battito del cuore e sul suono dei tubi si sarebbero annullate e lui avrebbe ricominciato ad imparare tutto da zero. Quello lo sapeva, non era a conoscenza del come ma sapeva che qualcosa non funzionava nel suo sistema di database.
Suoni che aveva imparato a collegare alla presenza delle voci si avvicinarono al luogo chiuso nel quale si trovava lui. Si fermarono. Piccoli rumori intermittenti annunciarono che la voce stava facendo qualcosa.
Un altro suono metallico, sopra la sua testa, gli suggerì che qualcosa di importante stava per accadere.
Le voci aumentarono considerevolmente, fuori. La macchina, o meglio, il suo braccio meccanico, sopra di lui, si tuffò nel liquido nel quale era immerso. Moltissime bolle vennero create.
Qualcosa gli appuntito gli si conficcò nella nuca, entrandogli nel midollo spinale. Il suo cervello venne invaso dal segnale “dolore” mente tutti i suoi muscoli si contorcevano di botto, senza che lui potesse farci nulla. L’ago che aveva nel collo cominciò ad inviargli scariche elettriche. I suoi muscoli si contrassero di nuovo, incontrollabili. Il dolore aumentava, non riusciva a pensare ad altro.
Altri aghi penetrarono la sua cute, infilzandoglisi nella spina dorsale ad altezze e profondità diverse. Il dolore di quadruplicò.
Un impulso eletrico-magnetico prese il possesso di lui. I suoi sensori visivi si attivarono. Le palpebre vennero fatte alzare. Il risultato fu deludente.
Il mondo che tanto avrebbe voluto vedere, con le sue bolle e quelle misteriosi voci, era tutto una miriade di macchie in movimento. Guizzi di bianco, di grigio su uno sfondo di impenetrabile nero.
Una voce, poco più di una macchia sbiadita, disse. –Non va bene. Sistema visivo danneggiato. Signore, la creatura è cieca.-
Qualcuno emise aria con il classico significato di mostrare frustrazione. –Siamo sicuri?-
-Sì, signore. I suoi occhi non vedono. Il suo cervello non riceve gli impulsi. Il nervo ottico non pare funzionare correttamente.-
-È riparabile?-
-Non so signore. A livello celebrale, il soggetto aveva già mostrato carenze. Sia a livello percettivo, sia a livello mnemonico. Che facciamo, signore?-
-John! Hai cinque minuti, dimmi dove sta l’errore.-
Il silenzio cadde. Rimasero solo le bolle, il cuore, il respiro, gli schiocchi delle scariche elettriche e le macchie bianche e nere che gli ballavano davanti agli occhi.
-I neuroni, signore. Sono sconnessi. Hanno delle interferenze nell’assone, le sinapsi non funzionano bene come dovrebbero, gli impulsi non passano o vengono persi lungo il percorso. Diciamo pure che il suo cervello è da buttare.-
Silenzio.
-E allora buttatelo.-
L’elettricità tornò. Ma molto più forte. Una voce uscì anche dalla sua, di gola. Non sapeva di esserne capace, non sapeva di possedere una voce.  Questo fu il suo ultimo pensiero, mentre i suoi muscoli si contraevano tutti insieme, mentre i suoi arti andavano a cozzare contro i limiti della capsula di vetro e il suo cervello veniva bruciato.


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Ed ecco il primo cap!
Che ve ne pare?
Per ora non è successo nulla di eccezionale: solo una panoramica sui personaggi principali ^.^
Per l'azione vera e propria dovrete aspettare ancora un po' 
come vi ho già detto, non ho idea di come andare avanti quindi pregate tutti insieme che l'ispirazione resti con me (ammesso che volete vedere come va avanti, beninteso)
e con questo vi lascio!
come sempre, un commentino è più che gradito.
un salutone
vostra sempre
Phantom13

 
 

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Capitolo 3
*** 2. Contrattacco! ***


Salve a tutti! Phantom13 è tornata e prima del previsto,
anche grazie ai numerosi e immensamente incoraggianti commentti ^.^ con un pubblico come voi, aggiornare è un piacere e lo stimolo per farlo il più in fretta possibile c'è eccome:) sinceramente, non credevo di riuscire a farlo così presto (e lo sto facendo con il mio gatto in braccio, non vi dico la difficoltà per scrivere questa semplice nota usando una mano sola -.-') quindi vi devo proprio ringraziare di cuore per il sostegno <3
spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento ^.^ (questa volta, credo proprio di aver inventato di sana pianta una o due cosucce, non sapendo bene come funzionavano. Mi perdonate, vero?)

Enjoy!

 


Capitolo 2
-Contrattacco-




Shadow sospirò, osservando distrattamente i lampioni illuminati sulle strade di città ancora deserte, diverse decine di metri più sotto. Seduto sul parapetto dell’attico di un palazzo di centro città, con una gamba a penzoloni nel vertiginoso baratro che lo separava da terra, guardava ora le sporadiche auto che passavano in strada, ora le stelle che allo stesso modo infestavano il cielo, senza prestare troppa attenzione a nessuno dei due.
Era lì già da un bel po’ e non sapeva neanche perché. Vista la sua situazione, starsene tranquillamente appostato in città non sembrava una grande idea. Ma chiunque fossero i suoi persecutori, ora come ora non avevano speranza di metterlo in guai seri, mal che fosse andata avrebbe fatto saltare un qualche robot. Non aveva dunque un valido motivo per cambiare le proprie abitudini, se i rischi erano così scarsi.
Guardare il cielo gli era sempre piaciuto. Anche se ultimamente aveva assunto un significato un po’ diverso rispetto a prima. Sospirò di nuovo. Già, molto diverso. E non in senso negativo. Se possibile, forse, stava cominciando a trovare un suo equilibrio, per quanto riguardava Maria e tutta la faccenda dell’ARK. Purtroppo, stava accadendo nel momento sbagliato.
Un gruppo di giovani uscì da una discoteca, barcollando e ridendo sguaiatamente. Tre ragazzi con altrettante compagne  terrestri e due mobiani, uno lupo e l’altro tasso. Il riccio nero seguì con lo sguardo la loro rotta oscillante.
Aveva davvero troppi pensieri che gli vorticavano in testa senza che però riuscisse a concentrarsi su nessuno in particolare. Era frustrante. L’aria fresca della notte aiutava, a volte. Ma quel giorno pareva aver fatto un’eccezione. Sbuffò di nuovo, cambiando posizione.
Sì, avrebbe avuto tutte le ragioni per preoccuparsi ma paradossalmente negli ultimi tempi non si era mai sentito così calmo, così svuotato come in quel momento. Insomma, qualcuno di non identificato gli stava dando la caccia sfoderando una quantità non indifferente di robot di basso livello e qualcun altro sempre ignoto aveva cominciato a svaligiare banche a nome suo. Non era una bella situazione sebbene fosse sostenibile. Per ora. Aveva come il presentimento che quello era solo l’inizio, che non avrebbe potuto ancora per molto uscire illeso da quegli scontri con i robot, che tra l’altro diventavano pian piano sempre più resistenti.
Strinse i denti.
E lui ancora non aveva la più pallida idea di chi potesse essere il suo persecutore. O i suoi persecutori. I robot, di norma dovrebbero avere uno stemma di riconoscimento, da qualche parte, ma non quelli: erano anonimi.
Un sacco di ipotesi e nessuna certezza, come sempre. Aveva un paio di idee sul perché stesse succedendo tutto ciò proprio a lui, ma con Rouge non ne aveva ancora fatto parola. Chiuse gli occhi. Una di quelle idee in particolare gli era rimasta fissa nel cervello più delle altre, e la cosa lo spaventava parecchio. Sperava di sbagliarsi, e non gli andava di mettere in agitazione la sua collega.
Tornò a guardare il cielo, la luna. Da quelle parti, attorno al campo gravitazionale terrestre, nelle vicinanze del suo satellite naturale, una certa stazione spaziale galleggiava solitaria nel vuoto, racchiudendo ancora in sé il suo globo di segreti. 
Le stelle già stavano sbiadendo, mentre la notte cominciava a morire.
 
Shell, in un qualche modo tutt’ora a lei ignoto, trovò la forza di tirarsi fuori da sotto le coperte. Con tutte le penne arruffate, scoccò un’amara occhiata al suo futuro consorte prima di alzarsi definitivamente. Si passò una mano sulla fronte, togliendo di mezzo la frangia che, come ogni frangia che si rispetti, le cascava esattamente in un occhio. La sua immagine riflessa allo specchio per poco non le fece venire un infarto: era proprio uno straccio vivente. Anzi, uno scopettone anti-polvere, vista la quantità di piume che sbucavano dappertutto in ogni direzione. Si fece la linguaccia da sola prima di dirigersi all’armadio alla ricerca di vestiti.
Avere le ali poteva rivelarsi un problema non da poco per quanto riguardava l’abbigliamento. Stesso discorso valeva per aculei, code, squame, corna, creste, pinne e quant’altro. Per lei, la faccenda si risolveva con capi d’abbigliamento che lasciavano libere schiena e spalle, essendo le ali attaccate alle braccia, con lacci e affrancature quindi che includevano solo il collo e la vita. Per quanto riguardava la coda, beh, forbici alla mano e si modificavano le forme dei calzoni. Su Mobius c’erano tutte gamme d’abiti adatte ad ogni genere di specie e razza diversa, molti negozi fornivano vestiti su misura. Ma sulla Terra ci si doveva arrangiare, non essendo gli stilisti locali ancora preparati alle molteplici forme dei loro piccoli amici mobiani.
E venne il turno della toeletta. Lavoro titanico quello di riorganizzare ogni singola piuma rimettendola al suo posto preciso. Ma fu un’operazione sommato tutto piacevole: tutti gli uccelli amano prendersi cura delle proprie penne e il fatto che per riuscire a terminare e presentarsi puntuali al lavoro occorresse alzarsi all’alba, insieme al sole, non era un problema. Tutto incluso nel DNA dei volatili.
Ingoiò due sardine secche come colazione, si lavò la faccia e, con l’umore infilzato sotto ai tacchi, uscì di casa con un silente saluto all’aquila ancora addormentata. Sebbene fosse ufficialmente licenziata, aveva diritto ancora ad un mese di lavoro, quindi, oltre il danno anche la beffa.
La solita cacofonia di clacson, rombi di motore e chiasso pedonale la schiaffeggiarono appena mise piede fuor di casa. Aveva utilizzato le scale, quel giorno, evitando di prendere la finestra come d’abitudine e volar direttamente al lavoro. Abitare al quarantatreesimo piano era una rottura, ma le ali risolvevano tutto. Non quel giorno però. Si sentiva il cuore tanto pesante che era convinta che si sarebbe schiantata al suolo semmai avesse tentato di volare. Librarsi in aria con quel malumore? Assolutamente no. Meglio affrontare il caotico traffico terrestre, invece che le intossicate vie aeree cittadine, e confondersi con il grigiore generale.
I mezzi di trasporto avevano subito una metamorfosi radicale da quando gli ingegneri umani avevano fatto comunella con quelli mobiani. Niente più benzina nei motori, niente più inquinamento, anche se il tasso di anidride carbonica era comunque troppo elevato. Overcraft e overbord stavano invadendo sempre più le strade dei terrestri, mentre le auto sfrecciavano senza più nuvole di gas tossici alle spalle.
Non che ciò cambiasse di molto le cose: anche se migliorate parecchio, le città umane avevano ancora un tanfo non indifferente.
Strascicando i piedi, salì su per i gradini che troneggiavano alla base del palazzo che era la residenza del MT News. Prese l’ascensore e raggiunse il piano desiderato.
Le occhiate dei colleghi equivalevano a pugnalate. I loro sguardi tristi e affranti, gli stessi della giornata prima. Shell si costrinse a tenere la testa alta, raggiungendo la sua scrivania. Nut le rivolse un timido saluto con la mano. Lei ricambiò con lo stesso sconforto.
 
Knuckles si lasciò cadere pesantemente sul divano di casa Prower, ormai promossa ufficialmente a base operativa. Il muso imbronciato dell’echidna lasciava chiaramente presagire tempesta. Con un sorriso tirato, Amy depose sul piccolo tavolo al centro della stanza un piatto di biscotti alle uvette, Tails entrò in quel momento. –Sonic?- chiese il volpino, avvicinandosi a loro. Amy fece spallucce, mentre i denti di Knuckles scintillavano maligni.
-Oltre a farmi venire fin qui, quel puntaspilli vagante osa pure arrivare in ritardo.- ringhiò il guardiano di Angel Island. –Se uno ha il dono della super-velocità non dovrebbe aver problemi ad arrivare puntuale almeno un volta, no?-
Amy ridacchiò nervosamente. –Qui non si tratta di super-velocità, ma di Sonic. La velocità non può farci nulla se il suo detentore è un dormiglione.-
Knuckles fece per ribattere quando la porta d’entrata si spalancò di botto e con il solito turbine d’aria il riccio blu in questione fece il suo trionfale ingresso.
-Ehilà!- salutò, raggiante.
-Alla buon ora!- ricambiò l’echidna, mostrandogli le zanne.
-Ciao anche a te.- borbottò in risposta Sonic.
-“Ciao” un accidente! Hai una vaga idea di che ore sono?!- sbraitò Knuckles schizzando in piedi.
-Ho perso l’orologio strada facendo.-
-Sono le dieci e mezza! Le dieci e mezza! E tu mi hai fatto venire qui per le nove del mattino!-
-Ah, sì?- Sonic si grattò pigramente un orecchio.
Le nocche dell’echidna crocchiarono le une contro le altre proprio quando il volpino a due code intervenne prontamente, evitando il disastro e i conseguenti danni che avrebbero devastato la sua casetta.
-Ehm, calma ragazzi. Non c’è motivo di azzuffarsi (e se proprio non potete farne a meno, per lo meno combattete fuori). Non ci siamo ritrovati qui per giocare.-
-Dillo a questo buffone che neanche arriva puntuale!- ringhiò Knuckles additando inferocito Sonic, che in tutta risposta fece spallucce.
Amy rivolse gli occhi al cielo, esasperata. Possibile che l’unico con la testa sulle spalle, oltre a lei, fosse il più giovane del gruppo?
Il martello piko-piko le si materializzò in mano, ad un nulla dal naso di Knuckles. –Un’altra parola.- disse con tono tenebroso di minaccia. –E vi sfracello tutti e due contro un muro. Chiaro?!-
Con il tocco femminile della dolce Amy, tutti finalmente si accomodarono in silenzio nel salotto di casa Prower. L’imbarazzante momento in cui qualcuno avrebbe dovuto cominciare a parlare venne sorprendentemente sciolto dallo stesso Sonic, e non da Tails come accadeva solitamente.
-Ragazzi- esordì –abbiamo un bel problema da risolvere, questa volta.-
-Non l’avrei mai detto.- borbottò tra i denti Knuckles che ricevette in risposta un pronto calcio di Amy su una rotula, cosa che zittì una volta per tutte l’echidna.
-Un problema che riguarda il nostro Shadow.- continuò il riccio blu. –Ed è una faccenda piuttosto seria. Eggman per una volta non c’entra, o almeno credo.-
Sonic passò a spiegare brevemente gli ultimi avvenimenti che avevano reso necessario quell'incontro. Ora Knuckles, il vero destinatario del riassunto in corso siccome Amy e Tails già sapevano tutto, era in ascolto, concentrato sulle parole di Sonic. –Quindi- disse piano. –Tu mi stai dicendo che qualcuno si sta spacciando per Shadow, è così?-
-Questo è ciò che abbiamo pensato noi. Qualcuno imita faker.-
-E lui dov’è?-
Tail fece spallucce. –E chi lo sa? Se Shadow non si vuole far trovare, non lo si trova. Punto.-
-Avete già un piano?- chiese ancora l’echidna.
-No.- rispose schiettamente Amy.
-E io allora a che vi servo?- domandò ancora Knuckles, spazientito. L’ultima cosa che voleva era lasciar incustodito lo Smeraldo Gigante ben sapendo che certe ladre alate potevano tranquillamente andare a fargli visita mentre lui non c’era. E tutto ciò per un problema che riguardava Shadow, e non loro.
-Ad aiutarci a trovare l’impostore, ovviamente.- ribattè Sonic.
Knuckles si impose di non recar danno fisico al riccio. –E che vi fa pensare che io abbia tempo a sufficienza per dar la caccia ad un qualcuno tanto abile da non esser ancora stato intercettato da colui che sta imitando (e stiamo parlando di Shadow, non del primo scemo che passa)?-
-Ma come?- esclamò Amy, stupita. –Non ci vuoi aiutare?-
-Io vi ho sempre aiutato.- disse l’echidna con tono solenne. -Non vedo un motivo per fare un’eccezione oggi. Ma l’idea di lasciar da solo lo smeraldo …-
-Non ti preoccupare per questo.- disse piano Tails. –Ho la quasi certezza che Rouge ora sia con Shadow.-
-Quasi certezza, appunto.-
-E allora che fai, Knuck? Non dai una mano al mio faker?- disse Sonic, incrociando le gambe e guardando fisso l’echidna rosso.
Knuckles sospirò. –Quel tipo non mi piace, non mi è mai piaciuto e mai mi piacerà. Ma lo aiuto comunque.-
Espressioni di sollievo modellarono i volti di tutti.
-Dovete dirmi però da che parte avevate in mente di cominciare.- disse l’echidna.
Gli occhi di tutti si puntarono su Tails. –Beh- balbettò. –Potremmo, per esempio, dividerci in due gruppi. Uno cerca l’impostore, l’altro cerca Shadow.-
-Oh, due compiti sicuramente facilissimi.- commentò Knuckles. Poco dopo la sua fronte si aggrottò. –Ma quindi Shadow non sa che voi lo volete aiutare?- chiese tutto ad un tratto, preoccupato.
Gli altri scossero la testa. –No, non lo sa. Ecco perché riuscire a parlargli sarebbe un passo avanti.-
-E se lui non gradisse? Lo conoscete, sapete com’è fatto. Non è il tipo che accetta aiuto esterno (e credo che neanche gli serva, aiuto esterno), a meno che non sia con le spalle al muro.-
Sonic chiuse un attimo gli occhi. –Meglio aiutarlo prima che finisca effettivamente con le spalle al muro, no? Qui non stiamo parlando di due robot di Eggman che vanno a terra con un colpo. Ho il presentimento che è qualcosa di più grosso.-
Knuckles abbassò lo sguardo. –E come facciamo a trovare Shadow e la sua ombra? Di certo non passeggiando per il centro città sperando che un qualche riccio, nero e non, ci passi davanti per caso.-
 
Rouge finì di bere il caffè latte e gettò il bicchiere di plastica in un cassonetto giallo arrugginito. Attraverso gli occhiali da sole diede una rapida occhiata al maestoso edificio ornato da un scintillante colonnato che troneggiava su tutta la piazza. Central Bank, quella che Shadow avrebbe rapinato, a sentir la tv. Ancheggiando raggiunse la banca. La porta di vetro era piuttosto pesante, fatta a misura umana, non mobiana, ma lei riuscì comunque ad entrare. I suoi occhi osservatori non notarono né crepe né placche di vetro recentemente cambiate nelle finestre: tutte le vetrate riportavano i segni essiccati della pioggia avvenuta la serata scorsa.
All’interno tutto pareva normale. Si accigliò. Non sapeva esattamente come si organizzassero le banche in caso di furto (lei assaltava quasi esclusivamente musei con gioielli) ma si sarebbe aspettata magari un giorno o due di ferie per gli impiegati, o per lo meno un aumento delle guardie e della sicurezza, presenza di poliziotti, striscioni gialli per le indagini, giornalisti ovunque e una fila di gente che protestava per essersi ritrovata il conto svuotato. A parte le due guardie all’entrata e le ordinarie videocamere di sicurezza, tutto rientrava nella norma. Aggottò la fronte. Quella era davvero una banca che aveva appena subito una rapina da un violento criminale?
Osservò le signorine agli sportelli. Tutte sorridenti e allegre, che salutavano i clienti.
Qualcosa non quadrava.
Raggiunse un bancomat, prelevò un paio di banconote giusto per giustificare la sua presenza lì ed uscì.
Camminava in fretta, ora. Voleva assolutamente parlare con Shadow.
Nessuna rapina era avvenuta in quella banca, almeno non apparentemente. E se ciò si fosse rivelato esatto, non c’era allora nessun impostore a cui dare la caccia. Ma no, che andava a pensare! Certo che c’era stata, la rapina. Come poteva essere altrimenti? Magari semplicemente il riccio impostore era un tipo tranquillo, uno che per svaligiare una banca non la demoliva da cima a fondo, come invece avrebbe probabilmente fatto Shadow.
Eppure il suo istinto non si placava. Decise di andare fino in fondo con il suo piano originale: andare a controllare i nastri di quelle telecamere. Se i notiziari e i giornali avevano messo in giro informazioni fasulle, di certo le registrazioni video della banca avrebbero dovuto riportare la verità.
Svoltò a sinistra, in una strada laterale che ripiegava alle spalle dell’edificio. Forse non avrebbe trovato nulla, ma valeva la pena tentare. Del resto, quali altre piste potevano seguire? Chiunque ce l’avesse con Shadow, riccio impostore o organizzazioni più grandi, sapeva il fatto suo per quanto riguardava la cancellazione delle proprie tracce.
Il sole ormai era alto, quasi allo zenit. Mezzogiorno.
 
Shell si appoggiò allo schienale della sedia, con lo stomaco pieno. Il piatto di spaghetti al sugo aveva fatto il suo lavoro, poco ma sicuro. Un buon pasto aveva il potere di scacciare, almeno per un po’, i tormenti della giornata.
Osservò i suoi commensali. Nut the Ferret, Joy the Cockatoo e Rosie the Panda. Ridevano a crepapelle dopo una delle solite barzellette di Joy. Sorrise anche lei, ma con un velo di tristezza. Quelle erano le ultime battute del cacatua che aveva l’onore di sentire. Tre settimane e mezzo e tutti loro sarebbero usciti dalla sua vita. Certo, nulla le vietava di mantenere i contatti ma la faccenda era diversa. Il cuore le divenne più pesante tutto di colpo.
Il cameriere portò loro infine il dessert: tre boccali stracolmi di gelato innaffiato di cioccolato fondente, con tanto di ombrellini colorati.
I tre colleghi si scambiarono un’occhiata complice, che Shell non notò assolutamente. Afferrarono ognuno la propria coppa gelato e, alzandole in alto, esclamarono. –Brindisi a Shell!-
Lei cadde dalle nuvole, guardandoli stranita. –Che?- disse, mentre un angolino del suo cervello cercava di capire da quando i brindisi si facevano con il gelato.
-Festeggiamo te.- sussurrò Rosie, con la sua vocina abituale tremante.
-Già.- sorrise Nut, mostrandole i suoi trentadue denti aguzzi. –Sarai sempre la nostra preferita.-
-E- aggiunse Joy, con tono eloquente drizzando il ciuffo di piume che gli adornavano il capo. –Ti giuriamo solennemente che renderemo la vita della pantegana che ti ha soffiato il posto un vero inferno, parola di cacatua! Da questo momento e per sempre! Fino a quando non la rinchiuderanno in manicomio!-
Shell li guardò uno ad uno, con occhi sgranati. –Ragazzi…- riuscì a dire.
-In cambio vogliamo solo una cosa.- sorrise Rosie. –Devi smetterla di tenere il broncio. Noi ti vendicheremo, ma tu devi andartene a testa alta, d’accordo?-
Le lacrime le pizzicarono gli occhi. –Vi voglio bene, amici!- sbottò, scoppiando definitivamente a piangere.
Joy le fece l’occhiolino. –Ci mancherai. Ma ci terremo occupati in vari modi, vedrai: ci hai fornito un nuovo hobby, andandotene, sebbene sia un hobby un po’sadico. E quella roditrice sarà di scrivania vicina a Nut. Puoi immaginare come la conceremo.-
-Ben detto!- esclamò il furetto in questione.
-A Shell!- propose il cacatua.
-A Shell!- risposero gli altri, lanciandosi all’arrembaggio delle coppe gelato che ebbero miseramente la peggio.
Rimpinzati come non mai, con gli stomaci gonfi e soddisfatti, si concessero un po’ di riposto digestivo. Avevano ancora mezz’ora prima di dover tornare in ufficio. L’idea di inerpicarsi in cima al palazzo con quella zavorra nella pancia non era molto gradita.
Shell era felice, commossa come forse non lo era mai stata prima d’ora. Aveva degli amici stupendi, che le avevano promesso di combattere l’usurpatrice con puntine sulla sedia, gomme da masticare nei capelli, documenti sfasati, impaginazioni sbagliate, articoli sconclusionati, inchiostri burloni, stilografiche giocherellone e qualunque altro stratagemma che i loro ingegnosi cervelli sarebbero riusciti ad escogitare.
Sorridendo nell’anima, la gabbiana si ritrovò ad osservare distrattamente i passanti.
La maggior parte erano umani, ma c’erano anche dei mobiani che rallegravano con i loro colori le grigie strade urbane. Un cervo verdognolo, un leopardo azzurro, una scoiattola color oro, una farfalla arcobaleno, un camaleonte viola affiancato da un ape e da un mastodontico coccodrillo, una comitiva di tre cavalli sghignazzanti dal colore bluastro. Vide anche un’ancheggiante pipistrella bianca che camminava a passo spedito, allontanandosi rapidamente dalla piazza. Il suo passo flessuoso la rendeva piuttosto attraente, senza contare i fianchi e le sinuose curve del suo corpo. Chissà se la pantegana che le aveva fregato il posto fosse anche lei sexy a quel modo.
 
LUOGO SCONOSCIUTO – A QUELLA STESSA ORA
Un uomo in camice bianco finì di scrivere qualche annotazione sul suo taccuino. Diede un ultima occhiata alla bestia sotto osservazione che stava racchiusa nella capsula di vetro infrangibile proprio davanti a lui. Quella ricambiò lo sguardo, mostrandogli la doppia fila di denti taglienti come lame. Non fu difficile per lui sentire il ringhio che le risalì su per la gola. Per un attimo, l’uomo rimase ipnotizzato da quegli occhi verde-neon dalla pupilla verticale che lo stavano fissando. Scosse la testa, annotò un qualche altro dato sulla carta e fece per cliccare il pulsante che avrebbe oscurato la capsula con le placche d’acciaio, utili per calmare la creatura e farla dormire. Quando la sua mano fu sopra il pannello di controllo, gli artigli foderati di metallo e lunghi un buon quaranta centimetri dell’esperimento D55 cozzarono contro il vetro. La creatura ruggì, questa vola a pieni polmoni, la voce lievemente deformata dal liquido nel quale era immersa. Lo scienziato schizzò indietro, stringendosi al petto il blocco di appunti, come se fosse stato uno scudo. La creatura attaccò ancora e ancora la capsula. Ora il vetro si stava intaccando seriamente, graffiato dagli artigli della belva che continuava a ruggire, spalancando quelle sue fauci infernali.
Lo scienziato, esitante, si decise a muoversi verso il pannello e chiudere la capsula ermeticamente prima che quella cosa riuscisse a liberarsi. Sarebbe stato impossibile rompere un vetro che resisteva pure ai razzi di un carro armato, pensava lui. Ma aveva fatto male i conti.
Arrivato abbastanza vicino, fece per premere il bottone ma la zampa della bestia sfondò il vetro. Uno dei suoi quattro artigli gli si conficcò nel braccio. Lo scienziato urlò, balzando indietro, sanguinando copiosamente. La pressione del liquido contenuto nella capsula fece il resto: il vetro cominciò a creparsi. La belva sorrise, prima di assestare un ultimo colpo alla capsula che si ruppe una volta per tutte. Una luce rossa cominciò a lampeggiare per la stanza mentre una voce meccanica diceva. –Emergenza. Emergenza. Esperimento il libertà. Esperimento in libertà.-
D55 e scienziato di fissarono. La creatura, tutta gocciolante del liquido contenuto nella capsula, sfoderò e zanne e con un ruggito si slanciò all’attacco, tranciando come burro la carne dello scienziato. Le urla straziate dell’uomo sature di dolore puro raggiunsero le videocamere di sorveglianza, il sangue colava sul pavimento di lastre bianche.
I due uomini dall’altro lato dello schermo, oltre le telecamere, premettero senza esitazione il pulsante verde che fece scattare le saracinesche, spesse un metro e trenta, di puro metallo e piombo, rinchiudendo definitivamente il loro collega con D55. Gli urli dell’uomo di trentacinque anni, loro compagno di lavoro, con una figlia piccola e una moglie che lo aspettava a casa cominciavano a diminuire d’intensità fino a scemare del tutto.
Una figura più imponente della altre gli raggiunse da dietro, osservando con occhi seri D55 che consumava il suo pasto, che ancora un poco si muoveva.
-Il gas, presto!- ordinò.
I due addetti agli schermi eseguirono. Le nubi velenose cominciarono ad invadere la stanza senza che D55 se ne accorgesse.
-Signore.- disse uno dei due, deglutendo. –perché non abbiamo utilizzato i laser istantanei, come le altre volte? O i collari ad esplosione?-
-Perché la pelle di D55 era troppo dura anche per quelli.- fu la risposta.
La creatura cominciò a tossire e ruggire, staccandosi finalmente dalla sua vittima. I tre che stavano osservando la scena si sentirono lo stomaco rivoltarsi. Uno vomitò perfino, gli altri si limitarono a diventare verdi e bianchi. D55, ansante, crollò a terra, con la bava alla bocca impiastrata di sangue. Tossì un ultima volta e non si mosse più.
Il capo se ne andò, a passi pesanti.
I due rimasti, spensero le telecamere, troppo nauseati per continuare a vedere.
-Ecco cosa ci si guadagna.- disse il primo. –Se si lavora su creature senzienti non si ottiene nulla perché sono troppo complesse e il loro cervello non funziona. Se le si crea senza coscienza sono delle belve che uccidono sempre. Non c’è via di mezzo!-
L’altro rimase un attimo in silenzio, prima di parlare. Recitò ciò che il capo rispondeva ad ogni loro domanda. –Se vogliamo ottenere la Perfezione, bisogna mettere in conto dei sacrifici.-
Il collega gli scoccò un’occhiata. –Già, la Perfezione. Ma siamo sicuri che sia una buona idea?-
Il secondo fece spallucce, poi azionò il citofono e disse. –Mandate qualcuno nel reparto 7E a ripulire.-
 
Shadow e Rouge guardavano in silenzio la schermata nera bombardata di macchioline bianche intermittenti del computer di Eggman sul quale stavano osservando i risultati dell’innocente furtarello della pipistrella.
-Te lo sai spiegare?- chiese lei, annullando il volume, infastidita dal ronzio di fondo.
Shadow non rispose subito. –Hanno tagliato il pezzo di video sull’orario della rapina.- ipotizzò.
-L’ho pensato anch’io, tesoro. Mi ci vorrà un pochino, però, per studiare meglio il nastro e controllare che sia stato effettivamente tagliato. Magari le telecamere sono state semplicemente distrutte, come avevano detto alla tv. Dovrò controllare attentamente.- disse Rouge, ricordando al contempo che in banca non aveva visto tecnici alle prese con telecamere guaste e per rifare un intero sistema di sicurezza ci voleva diverso tempo, impossibile dunque che avessero già finito i lavori prima che lei arrivasse. Conclusione: le telecamere erano rimaste integre.
-Mi metto subito al lavoro.- disse lei, estraendo dal lettore le registrazioni della banca.
Shadow piegò la testa di lato, guardando fisso davanti a sè, immerso nei propri pensieri.
–Non sarebbe male- cominciò Rouge. -riuscire a mettere le zampe sul filmato integro: troveremo il colpevole, forse.- borbottò lei.
-No.- la voce di Shadow aveva un che di perentorio. –Troviamo il padrone dei robot e troviamo chi ha manomesso le notizie sui giornali e alla televisione.-
La pipistrella aggrottò la fronte, alzando lo sguardo sul riccio. –Come lo sai?-
Gli occhi di Shadow divennero cupi come la notte. –Istinto.- Incrociò le braccia e non spiccicò più parola. Rouge drizzò la schiena. Lui le stava nascondendo qualcosa, era ovvio. Lui sapeva qualcosa, ma non voleva dirlo. Fare pressioni non avrebbe portato risultati, tanto valeva assecondarlo e lasciargli la sua privacy. Estorcergli informazioni, del resto, era scientificamente impossibile. Avrebbe condiviso i suoi pensieri quando l’avrebbe ritenuto opportuno. La pipistrella sospirò, scoccando una rapida occhiata al riccio nero. Le dispiaceva, però, quando Shadow faceva così. Lavorare come una vera squadra, di tanto in tanto, non le sarebbe dispiaciuto.
-E come facciamo a trovare il mittente dei robot?-
Gli occhi rossi di Shadow fissarono Rouge. –Semplice: basta seguirli.-
 
QUELLA STESSA NOTTE
-Te lo chiedo ancora: sicuro che sia una buona idea?- la voce impregnata di dubbi di Rouge riecheggiò appena, sul tetto di un palazzo in centro. Aumentò la stretta sulla radiolina che teneva in mano.
-Ovvio.- fu la risposta dall’altro ricevitore.
Rouge sospirò pesantemente. Quando si nasce con la sicurezza di sé infusa … -Senti, Shadow. Siamo qui già da un ora e nessuno si è ancora fatto vivo. E se non vengono?-
-Verranno.-
La pipistrella sbuffò. Ecco, come non detto.
Mentre lei se ne stava lì, appostata, a sfregarsi le mani intorpidite dall’aria fredda della notte, diverse decine di metri più giù, per le strade cittadine già immerse nelle ombre, correva Shadow, senza una meta precisa con l’unica idea di farsi trovare.
Le vie erano praticamente deserte e questo era un bene. Avevano scelto di agire di notte proprio per evitare che qualche innocente rimanesse coinvolto. Shadow correva, lasciando che l’aria gli scompigliasse gli aculei, l’unico suono era quello dei suoi pattini a reazione, oltre di tanto in tanto la voce di Rouge. Solitamente se la sarebbe goduta una corsetta notturna tra i palazzi, ora invece ogni minuto che passava la sua impazienza cresceva. Ma che fine avevano fatto? Lo perseguitavano da settimane e quando lui aveva voglia di menar le mani quelli sparivano? Che logica c’era?
Finì il pensiero ed il primo rottame di latta fece la sua comparsa. Sbucò di colpo da una strada laterale, con i lanciarazzi già puntati. Shadow sorrise, proprio mentre il robot faceva fuoco. Non gli ci volle chissà quale sforzo per evitare il primo missile, che finì per colpire solo asfalto, sgretolandolo e rivelando le tubature, a qualche piede di profondità. Ovviamente, il metallo del sistema idraulico non resse il colpo e una fontana d’acqua di sorprendente potenza si levò verso il cielo velato di stelle.
Al primo robot se ne aggiunsero altri due, sempre arnesi volanti armati di lanciarazzi. Shadow si prese un bel respiro profondo, rigirandosi il microcip in mano. A quale dei tre doveva attaccarlo, ora? Ovviamente, aveva solo l’imbarazzo della scelta, bastava ricordarsi su quale l’avrebbe piazzato.
Gli stessi macchinari intervennero, costringendo il riccio ad agire d’impulso. I primi due gli vennero incontro, con i cannoncini fusi alle braccia che sparavano a più non posso. Shadow balzò indietro, spostandosi più in giù lungo la via correndo e facendosi inseguire al contempo. Voltandosi di schiena e continuando a pattinare al rovescio, lanciò due Chaos Spear contro i robot, colpendoli uno al petto l’altro ad uno dei due reattori che gli permetteva di volare. Entrambi cascarono al suolo in un nugolo di fiamme e schegge metalliche. Dal fumo sbucò il terzo, rimasto indietro. Sparò due missili, ingaggiando battaglia.
Shadow evitò il primo con un Chaos Control, il secondo venne deviato con un calcio, mandandolo a deragliare contro la strada. Un’altra esplosione, frammenti di catrame e ghiaia volavano ovunque. Il giorno seguente, il traffico sarebbe stato piuttosto difficoltoso, pensò distrattamente il riccio, ora fermo, preparandosi ad attaccare di nuovo il robot, ormai vicino.
La cavalleria robotica arrivò con tempismo ottimale alle spalle del riccio. Shadow esultò mentalmente. Ecco l’occasione perfetta. Rapidamente, attaccò il robot solitario. Prese la rincorsa e gli fu addosso, con un sonoro pugno lo fece barcollare, pugno che servì anche a mettergli addosso il microcip in questione. Poi con uno Spin Dash dall’alto verso il basso lo fece schiantare al suolo, mentre il riccio andava ad occuparsi dei nuovi venuti “non accorgendosi” che il macinino ammaccato a terra era ancora funzionante. Si allontanò dal rottame, correndo a tutta velocità lungo la strada, facendosi seguire dal tutti i nuovi venuti e allontanandosi al contempo dal robot ammaccato con il microcip appiccicato. La battaglia, ora si svolgeva in movimento, lungo la Super-Strada.
La cavalleria era composta da altri tre robot volanti più due di terra, che si spostavano su delle specie di ruote di gomma molto spesse. Assomigliavano vagamente a dei centauri, mezzi lanciarazzi e mezzi moto. Shadow non ne aveva mai visti di robot fatti a quel modo, ma probabilmente non erano molto differenti dagli altri. Cominciò ad occuparsi di quelli volanti, continuando a correre. Con un Chaos Spear fece saltare uno dei tre volanti, mentre i suoi compagni cominciavano a sparare i soliti missili, facilmente evitabili con salti, scatti, contorsioni varie e acrobatici balzi qui e là. Con sorpresa del riccio, però, i centauri robotici erano assai veloci, tanto che gli stavano alla pari senza problemi, premettendo che lui ora non stava correndo a velocità supersonica per permettere alle macchine volanti di seguirlo. Uno Chaos Control combinato con uno Spin Dash fece schiantare un altro dei robot volanti a terra, mentre il riccio nero balzava immediatamente addosso al supersite, che esplose a mezz’aria. Shadow atterrò alle spalle dei due robot-centauro, sempre correndo. Il busto umanoide dei due ruotò, andando a fissare il loro bersaglio pur viaggiando nella direzione opposta. Le loro braccia, notò solo ora Shadow, erano veri e propri mitra. Il riccio sbuffò, ricominciando a schivar proiettili, come di routine.
Accelerò notevolmente l’andatura (come solo lui e un altro riccio blu sapevano fare) avvicinandosi sempre più al centauro di destra per poi attaccarlo con uno Spin Dash. Il metallo si schiantò senza problemi ma un insolita nube di fumo vagamente violaceo invase la strada. Il riccio non vi badò più e fece lo stesso con il robot restante. Altro fumo viola. Shadow si permise un sospiro, rilassando appena i muscoli. Possibile che quei nuovi nemici si fossero rivelati un simile fiasco?
Un rombo di motore lo avvisò che si stava sbagliando.
Shadow si voltò di nuovo all’indietro, già pronto a dar ancora battaglia ai due quando si ritrovò davanti uno spettacolo imprevisto. Quattro piccoli robot che sfrecciavano ognuno su una singola ruota e ognuno con un singolo cannoncino si stavano dirigendo contro di lui in formazione. Shadow aggrottò la fronte riconoscendo in quelle piccole pesti meccaniche le parti dei due centauri più grandi. In pratica i due motociclisti ibridi si erano divisi ognuno in due, dando vita a quelle piccole macchine che continuavano a sparare come indemoniate.
Shadow sbuffò. I robot piccoli, a suo parere, erano peggio di quelli grandi poiché erano più agili e meno facili da colpire siccome offrivano un bersaglio più ristretto. La strada piegò a sinistra, costringendo il riccio a tornare a guardare dove andava. I monocicli dietro di lui sghignazzarono, lanciandosi all’inseguimento. Lo affiancarono in breve, sgommando, due ai lati, due dietro. Shadow provò con un Chaos Spear ma il bersaglio schivò con un notevole balzo fatto puramente sul quell’unica gomma a sua disposizione, che a quanto pareva era estremamente elastica. Saltavano davvero niente male, quei robotini, constatò i riccio, e sparavano altrettanto bene. La situazione stava diventando più problematica ora. Non di certo ad un livello allarmante, ma adesso Shadow si trovava in un bell’impiccio. Non riusciva a colpirli e loro erano vicinissimi al colpire lui.
Un’idea piuttosto insolita gli venne in mente. Con la coda dell’occhio controllò che le piccole pesti gli fossero effettivamente dietro, e lo erano. Poi smise per un attimo di accelerare, lasciandosi andar avanti per inerzia, riducendo la distanza tra lui e i monoruote.
Fu un attimo solo, il riccio si appallottolò, conficcando gli aculei a terra, come un ancora, e frenando di colpo. Da quattrocento all’ora stimati a zero nel giro di un mezzo secondo circa. I robotini non ebbero speranze. Uno dei due lo centrò in pieno, sfondandosi contro gli aculei e decollando subito dopo per il contraccolpo, andando fortunatamente ad esplodere ad un nulla da un suo compagno mecchanico. Shadow con un po’ di fatica si schiodò dall’asfalto mentre diverse decine di metri più in giù, slittando come sulla neve, i tre supersiti tentavano in tutti i modi di frenare, curvare e tornare indietro, continuando però per la spinta accumulata dalla velocità a procedere in avanti, nella direzione sbagliata.
Quello scherzetto non era stato gratuito per Shadow, che ora si trovava con la schiena piuttosto dolorante, ma nulla di serio. La difficoltà motorie dei robotini, gli permise di riprendersi dal colpo e tornare all’attacco, proprio quando i poveretti si erano finalmente fermati. Chaos Spear e uno di loro finì in fiamme. Gli altri si mossero per tempo, evitando uno Spin Dash di Shadow, che continuò semplicemente a correre, lasciandoseli dietro. Furibondi i due sopravvissuti gli furono dietro in breve. Shadow svoltò a destra, in una strada laterale, seguito a ruota dai due robotini che sparavano a più non posso, come spiritati. Shadow scoccò loro una mesta occhiata, sembravano quasi arrabbiati, quei due.
Quando tornò a guardare la strada, un ostacolo imprevisto gli si parò davanti. Quattro mobiani davanti ad un cinema, una gabbiana, un cacatua, un panda e un furetto.
In una frazione di secondo Shadow realizzò due cose.
Loro erano esattamente sulla sua strada.
Lui non poteva schivarli o sarebbe entrato nella traiettoria dei proiettili dei due monoruote.
Recentemente aveva scoperto che se manteneva costantemente il Chaos Control mezzo attivato, con la forza dello Smeraldo lui riusciva a percepire con precisione chirurgica tutto quello che gli stava attorno nel raggio di qualche metro. Cosa che si era rivelata immensamente utile in battaglia che gli permetteva di esser cosciente delle traiettorie di tutti i proiettili in circolazione a lui abbastanza vicini. Così ora sapeva che, se avesse schivato sterzando a sinistra il gruppo di giovani, sarebbe entrato in collisione con uno dei proiettili, che l’avrebbe preso probabilmente ad una spalla. Tutto questo, lui lo realizzò in una frazione di secondo e nella stessa frazione di secondo prese la sua decisione.
I ragazzi del gruppo lo videro. La gabbiana urlò mentre lui sterzava di lato. E il proiettile gli entrava nella spalla per poi uscire dall’altro lato.
 
Shell, fuori dal cinema rideva con i suoi compagni. Avevano appena visto un film d’azione durato sì e no tre ore e adesso, mezzi intontiti, parlottavano tra loro commentando le scene. L’idea di andare al cinema era stata presa subito dopo il lavoro. Così, finito di cenare ognuno a casa propria e dopo aver deciso il film in questione, si erano ritrovati verso le nove davanti al cinema. Un altro regalo per lei. Shell sorrideva.
-Mi è piaciuta la scena con il combattimento degli aerei.- disse piano Rosie. –Hanno fatto delle riprese sensazionali.-
-Verissimo.- concordò Nut. –Ho preferito però l’inseguimento sulla strada. Troppo figo!-
-Già. Peccato che di cose così non se ne vedono, nella vita reale.- borbottò Joy. –Non mi dispiacerebbe, sapete, vedere per davvero un qualcosa di simile.-
Rosie drizzò appena le orecchie, voltandosi. –Cos’è quello?-
Si voltarono tutti, verso lo strano oggetto in avvicinamento rapido con due strani affari che lo seguivano. Shell lo riconobbe per prima. Il respiro le si era mozzato di botto, il suo cuore pompava sangue come non mai. Sentì qualcuno urlare e realizzò vagamente che era stata lei. Tutto quello che riusciva a vedere erano gli occhi rosso fuoco di Shadow. Come al rallentatore, in una realtà assai improbabile vista la rapidità con cui tutto avvenne, riuscì ad incontrare ben distintamente lo sguardo del riccio, quando lui balzò di lato, passandole ad un nonnulla di distanza. Il suo spostamento d’aria le fece perdere l’equilibrio. Battè la testa a terra e al contempo sentì gemito soffocato alla sua sinistra che l’avvisò che qualcosa non andava con il riccio nero. Mezza stordita dal colpo, si rigirò, rimanendo sdraiata, a guardare la persona che mai si sarebbe aspettata di vedere, allontanarsi barcollando appena, con una mano premuta su una spalla con quei due affari che lo seguivano ancora.
Dalla via laterale che conduceva alla fabbrica di viti e bulloni lì vicino, un camion di mastodontica mole, uno dei tanti che lasciavano la fabbrica nelle ore notturne, finì per mettersi proprio nella traiettoria del riccio nero.
Shadow, con un agilità che aveva dell’incredibile, lo saltò via con la stessa facilità con la quale si salta via un marciapiede. Lo stesso non si poteva dire dei due inseguitori che si schiantarono contro il corpo ripieno di metallo del camion.
Loro quattro si ritrovarono con gli occhi sbarrati a guardare le fiamme dei robot lambire i fianchi dell’enorme rimorchio, mente un conducente, un uomo, usciva correndo. Poco oltre, più in giù lungo la strada, il riccio nero si era fermato. Voltato indietro, guardava ora il camion ora loro.
Ci fu un bagliore e Shadow era scomparso.
Lo sguardo di Shell si abbassò sull’asfalto dove, all’intermittente luce elettrica dei lampioni, scintillava un rosso schizzo di sangue.
 
Rouge risorse quando il bagliore del Chaos Control le accecò gli occhi stanchi.
-Alla buon ora!- lo accolse, ma tutta la sua spiritosaggine morì di botto non appena vide la striscia rossa, che nulla aveva a che fare con l’abituale colorazione del suo compagno, che dalla spalla gli arrivava fin sotto al petto. Balzò in piedi. –Sei ferito!- esclamò, andandogli subito vicina per controllarne la profondità.
L’espressione del riccio era piuttosto scocciata.
-Gli ho messo il cip.- comunicò, serio e sintetico come sempre.
Rouge non sembrò badargli, intenta solo a constatare che il proiettile fosse effettivamente uscito dalla ferita. Shadow scosse piano la testa, chiamando a sé nuovamente il potere di Chaos per teletrasportando entrambi a casa, dove, su uno schermo, un puntolino giallo si avviava fuori città, verso nord-ovest, puntando al deserto che regnava da quelle parti. 

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Capitolo 4
*** 3. Ipotesi ***


Salve, miei lettori! È un piacere risentirvi così presto, mai mi sarei immaginata di riuscire ad aggiornare con una tale velocità, dico davvero ^.^ ma non fateci troppo l'abitudine, tra pochissimo ricomincia la scuola e lo studio ruberà gran parte del mio tempo (Agrh!) quindi farò più fatica ad aggiornare :( ma finchè è ancora estate ci darò dentro ^.^ confido nella vostra comprensione futura ^^ 
e ora vi lascio alla lettura! spero che anche questo capitolo vi piaccia. Io, come sempre, ce l'ho messa tutta!
Enjoy! 


CAPITOLO 3
-IPOTESI- 




-Sembrerebbe tutto a posto, signorina.- aveva detto l’infermiera, con un dolce sorriso, finendo di bendarle la sbucciatura al gomito causata dalla caduta sull’asfalto. –Tranne qualche graffio, lei sta benissimo.- disse, affabile, prima di salutare e uscire dalla porta.
Shell non se n’era stupita affatto. L’aveva detto fin da subito che non era ferita, ma nessuno sembrava averle creduto, nemmeno i suoi amici. Risultato, aveva passato il resto della notte in ospedale per farsi fare tutti i controlli possibili immaginabili. Del resto, si contavano sulle dita di una mano coloro che avevano avuto (è il caso di dirlo) uno scontro frontale con il temibile Shadow The Hedgehog e che potevano vantarsi di aver subito solo una spellatura ad un gomito. Anche per questo motivo, tutti si erano messi in allerta, convinti che lui le avesse fatto una qualche sorta di “danno invisibile ad occhio nudo”. Tutti i suoi amici e il suo futuro consorte erano stati appostati appena fuori dalla porta per tutto il tempo e ad ogni andirivieni di infermiere e dottori, avevano sempre trovato il modo per infiltrarsi nella spoglia stanza d’ospedale. Ora però non sarebbero più rientrati, l’orario delle visite era finito.
Shell sbuffò. Aveva protestato con tutte le sue forze ma i dottori, i suoi famigliari e i suoi amici l’avevano praticamente obbligata con la forza a rimanere ancora un po’ in ospedale, per le ultime osservazioni. Possibile che nessuno capisse che Shadow non le aveva fatto assolutamente niente e che, anzi, quello ferito era lui?
L’aveva già detto sia alla polizia accorsa sul posto a controllare, sia ad un trio di giornalisti che le avevano posto qualche domanda sugli avvenimenti. Sbuffò di nuovo. Quasi fosse cascata la luna! Non era successo nulla di strano, no? Forse sì, ammise. Era la prima volta che incontrava faccia a faccia un personaggio famoso, sebbene non per meriti positivi.
Si lasciò ricadere sul letto, sprofondando nel cuscino rigonfio. Almeno, era comodo. La luce mattutina che osava infiltrarsi tra le tapparelle era stata spietatamente soppressa da queste ultime, in alleanza con le tende verde chiaro lasciando nella stanza una piacevole penombra. Pian piano le si chiusero gli occhi. Era tardissimo, o meglio, prestissimo, e lei moriva di sonno (aveva passato la notte tra cinema e controlli medici, ora era giorno e lei non aveva neppure chiuso occhio), ma ad addormentarsi non ci riusciva. Cadde piuttosto in uno stato di dormiveglia, nel quale i suoi pensieri continuavano a correre come impazziti nella sua testa, sbattendo da un lato all’altro del cranio causando non pochi problemi. Tra robot, ricci neri ed occhi rossi ne avrebbe avuto fino a notte!
Il cigolio della porta che si apriva le fece spalancare gli occhi; le palpebre si lamentarono, assonnate. Gli orari per le visite erano finite da un pezzo e le infermiere le avevano detto che non sarebbero tornate per un po’, lasciandola riposare. Ma allora chi …?
Una figura silenziosissima le si avvicinò rapidamente. Il cuore di Shell si rilassò appena quando si accorse che tale personaggio indossava un camice da dottore (si sarebbe tranquillamente aspettata di veder spuntare Shadow). Troppo stanca, non si accorse che tale camice non apparteneva all’ospedale nel quale era ricoverata. Si limitò a guardare il nuovo venuto con occhi vagamente sospettosi.
-E lei chi è?- domandò, passando dritto al sodo.
Una voce femminile, piuttosto tremolante, rispose. –Mi chiamo Meredith Lonney e mi perdoni per l’intrusione, ma dovevo proprio parlarle.- disse, rimanendo sempre nella penombra, a debita distanza per non farsi vedere in viso.
Un velo di sospetto si formò in Shell a quelle parole appena bisbigliate. Quella donna umana non le piaceva, visceralmente la metteva in allerta.
-E perché mi doveva parlare?- chiese ancora Shell, allungando il collo nella speranza di vedere in faccia la donna. –Lo sa che ore sono? Sono stanchissima, vorrei riposare.-
-Sì, sì. Lo so.- la donna si strinse le mani. –Ma io dovevo parlarle di persona.-
L’istinto animale che albergava in lei la mise ancor più in allerta. Quella Meredith proprio non le piaceva, sebbene non avesse fatto nulla di male, a parte parlarle con quel tono insicuro e tremante. Le metteva addosso angoscia, anche se capirne il motivo era attualmente fuori dalla sua portata.
-Questo l’ha già detto.- ringhiò Shell, facendo schioccare il becco, osservando la figura ingobbita e schiva della donna. –Ma io ancora non so che cosa vuole da me.-
-Solo farle quale domanda.- rispose prontamente, ripetendo la stessa solfa di prima, con un tono difensivo che fece preoccupare ancor più la gabbianella.
-E allora sputi il rospo e mi lasci dormire.- la spronò, desiderosa di togliersela di torno. L’aura che quella figura emanava non era … normale. Era maligna, in un qualche modo. Sbagliata.
Meredith parve rimanere scossa dal brusco tono di voce della mobiana pennuta. Si affrettò a rispondere. –Se non le è di troppo disturbo- cominciò –Volevo chiedere com’è stato il suo incontro con Shadow.-
Shell sbattè le palpebre. Quella non era la domanda che si sarebbe aspettata da un’infermiera. Gliel’avevano chiesto i poliziotti e i giornalisti ma non i medici.
Le piume sulla sua nuca le si drizzarono involontariamente. –Ma cosa significa questo? Non dovrebbe importare a lei tutto ciò. L’ho già detto alla polizia come sono andati i fatti.-
La donna scosse la testa, rimanendo sempre ferma a qualche passo di distanza. –Io non le ho chiesto dei fatti. Le ho chiesto com’era lui.-
Shell si tirò su a sedere, ora seriamente spaventata. –Intende Shadow?- 
-Chi altri, sennò?- la voce di Meredith era radicalmente mutata. Ora era aggressiva, prepotente. A Shell non piaceva.
-Io non le devo rispondere. Lei non dovrebbe essere qui.- tentò.
-Ma io devo sapere!- sbottò la donna, fendendo l’aria con le mani. –Devo sapere com’era lui!-
Shell tremò. –Se ne vada!- urlò.
-Prima mi deve rispondere! Mi dica tutto. Tutto! Mi descriva come si muoveva. Le sembravano movimenti naturali, i suoi? Cammina scioltamente? Aveva problemi di equilibrio? La sua postura era normale? Le sembrava una persona o qualcos’altro? La luce nei suoi occhi?-
Shell continuava a scuotere la testa. Non capiva. Non capiva!
-Lei è pazza!- gridò. E lo disse forte apposta, sfoderando le sue possenti corde vocali da pennuto, sperando che qualcuno la sentisse ed arrivasse a scacciare quella psicopatica.
-No, non sono pazza. Sono solo una ricercatrice.-
-Ricercatrice? Ricercatrice di cosa, santo Dio?- gridò Shell, scossa da violenti tremiti. Tremiti di cosa non lo sapeva, ma quella donna la faceva rabbrividire dentro.
Meredith fremette, come se si fosse pentita di aver parlato. I suoi occhi luccicarono per un attimo, nella penombra che la nascondeva dallo sguardo acuto della gabbianella che però la vide scuotere la testa. Sorprendentemente, la donna girò sui tacchi. Quasi correndo raggiunse la porta e se la filò per il corridoio. Due secondi dopo entrò il medico, sull’attenti. –Che è successo? L’ho sentita gridare. Chi era quella donna che ho visto uscire?-
-Fermatela! Fermate quella donna! Non so chi fosse ma non era benintenzionata. Mi ha fatto strane domande … ha detto di chiamarsi Meredith Lonney, ma era un nome falso, probabilmente.-
-Ma lei sta bene?- le chiese invece il medico, mentre un’infermiera partiva all’inseguimento.
-Sì, io sto bene.- rispose piano Shell, mentre la tensione si scioglieva e i muscoli cominciavano a rilassarsi.
Si strinse contro lo schienale del letto, tremando.
Shadow doveva davvero fare i conti con simili pazzoidi?
 
-Lo sai, vero, che quei ragazzi racconteranno a tutti di averti incontrato e che continueranno a vantarsene finchè campano, vero?- domandò Rouge, continuando a ricucire con il filo da sutura la spalla del riccio.
-Raccontino pure quel che vogliono. È il minore dei nostri problemi.- la secca risposta del compagno non la stupì.
Ricucire con fili di sutura le ferite di battaglia ormai non era più un problema per lei (aveva fatto apprendistato direttamente sul campo, per così dire) ma rattoppare i propri amici la metteva comunque a disagio. E a chi piacerebbe richiudere con ago e filo la spalla al proprio collega?
Shadow da parte sua non sembrava nemmeno accorgersene, troppo immerso nei suoi pensieri. Meglio così, pensò Rouge, del resto avevano finito gli anestetici. Si impose mentalmente di andare a comprarne al più presto degli altri, sebbene al riccio nero non sembravano servire.
Con un ultimo brivido, la pipistrella terminò il punto finale. Estrasse l’ago dalla schiena del riccio e tagliò il filo rimanente. –Ecco fatto!- proclamò.
Shadow parve riscuotersi. La prima cosa che fece fu, ovviamente, ruotare la spalla per saggiarne la mobilità, cosa che procurò non pochi brividi alla sua compagna.
-Ma che fai, cretino?!- sbraitò quella. –Non puoi! Aspetta almeno un po’, lascia il tempo alla ferita di rimarginarsi!-
Shadow sbuffò, sprezzante. –Questa notte andremo al punto nel quale si è fermato il robot, ferita rimarginata o no. E credo proprio che entro sera lo sarà.-
-Ferite del genere non si rimarginano in un giorno!- insistette Rouge, esasperata.
Shadow le scagliò un sorrisetto tagliente. –Tu dimentichi con chi stai parlando.-
Rouge sospirò. –Lascia riposare quella ferita, ti prego. Dai, almeno per qualche ora.- 
Il riccio nero piegò la testa di lato, osservando meglio la pipistrella bianca. –Sbaglio o sei più pallida del solito?-
-Zitto!- esclamò lei, ora arrossendo.
Shadow la guardò con l’aria di chi ha fatto una grande scoperta. –Non ti facevo così impressionabile.-
-Sai, con le tue ferite ci ho fatto l’abitudine ma ricucire la gente fa sempre un certo effetto!-
-Capisco.- il tono di Shadow avrebbe potuto sembrare il solito di sempre, ma a Rouge non sfuggì la vena ironica. Sbuffò arrabbiata, gonfiando le guance.
Rimasero un attimo in silenzio.
-Secondo te cosa troveremo laggiù, Shady?- domandò Rouge, indicando con un movimento della testa lo schermo con il puntino lampeggiante del cip sul robot, mentre riponeva ago e filo e cominciava a ripulire gli strumenti dal sangue.
-Non ne ho idea.- fu la schietta risposta.
Rouge socchiuse gli occhi. –Cosa ne pensi di tutta questa faccenda?- aveva voglia di scambiare idee con il suo compagno di squadra, condividere pensieri. Cosa assai difficile quando tale compagno era Shadow. A volte, però due teste sono meglio di una e dire le cose ad alta voce può essere più utile che tenersele tutte dentro. E il riccio nero sembrava d’accordo, per una volta. Ma non rispose subito.
–Penso che sia molto più pericolosa di quanto immaginiamo.- disse lentamente.
Rouge sospirò. –Secondo te davvero quella banca non è stata svaligiata?- era evidente che il riccio si fosse fatto le sue teorie in proposito, con un po’ di aiuto, forse le avrebbe condivise con lei. La fiducia non era il punto forte di Shadow, non lo era mai stato. Ma nessuno era meglio di lui in quanto ad intuito. Loro due facevano proprio una bella squadra.
-Sì, lo credo. Ne sono praticamente certo.-
Rouge lo guardò, con occhi preoccupati. –E se fosse stato davvero un ladro incredibilmente delicato?-
-No.- la voce autoritaria di Shadow la fece lievemente sobbalzare. –Non c’è stato nessun ladro. Loro vogliono dare la colpa a me.-
Uno strano silenzio cadde tra loro. Rouge tremò.
-Come mai pensi questo?- riuscì a chiedergli.
Shadow pensò un attimo, prima di rispondere, valutando accuratamente quali parole usare. –Dubito che per davvero un riccio nero a strisce rosse mai visto prima sia saltato fuori all’improvviso spacciandosi per me. Alla tv avevano detto che il ladro era “un riccio incredibilmente veloce”. Le probabilità di un impostore, dunque, crollano. Non ti sei chiesta allora come mai abbiano dato direttamente la colpa di tutto a me e non anche a Sonic? Visto che io e Sonic siamo molto simili e siamo entrambi “incredibilmente veloci”, perché accusare solo e soltanto me e non prendere minimamente in considerazione il riccio più famoso al mondo?- fece una pausa. –E se si pensa a “riccio incredibilmente veloce” il primo che dovrebbe balzare in testa sarebbe Sonic. È il più appariscente tra noi due, quello sempre sotto i riflettori. E allora perché non valutare nemmeno la possibilità che sia stato lui e invece puntare tutto su una pista evidentemente falsa che avrebbe condotto a me?-
-Forse non l’hanno accusato perché lui è l’eroe.- azzardò Rouge, mentre al contempo capiva sempre meglio il ragionamento di Shadow.
-La scusa dell’eroe non tiene. L’avevano accusato di un crimine simile, in passato, appena dopo che lui li aveva salvati tutti. Non hanno riconoscenza.-
-Vero.- concesse Rouge. –Quindi?-
-Quindi loro volevano dare la colpa a me. Era il loro obbiettivo. Se non si è sicuri, ci si pensa due volte prima di incolpare qualcuno di un atto simile. La loro è stata tutta una messa inscena per incolpare me. Niente ladro, niente furto. Solo un colpevole. -
-Ma a quale scopo?- chiese Rouge, lievemente confusa. Capiva il ragionamento di Shadow ed era d’accordo con lui, ma non capiva per quale fosse lo scopo finale di tutto ciò. Aveva solo ipotesi in mente, una meno bella dell’altra.
-Vogliono ottenere una scusa ufficiale per darmi la caccia apertamente, una caccia indiscriminata.- Shadow socchiuse gli occhi.
-E perché l’hanno fatto solo ora e non prima? È da tempo, ormai che ti stanno dietro.-
Shadow dovette pensarci un attimo, ma Rouge rispose da sola alla sua stessa domanda, battendolo sul tempo di pochi secondi. –Perché solo ora hanno cominciato a combattere con l’artiglieria pesante. Prima nascondere le tracce era ancora possibile, adesso non più. Questa è la prova del nove che non giocano pulito.-
Shadow sospirò, picchiettando con un piede contro la gamba del lettino.
-Però- cominciò piano Rouge. –Un semplice furto in banca non è sufficiente per giustificare una caccia tanto assidua.-
La risposta di Shadow la fece raggelare. –Ecco perché ho ragione di credere che da questo momento in avanti non faranno altro che addossarmi un crimine dopo l’altro. Dai furti passeranno senza problemi agli omicidi.-
Rouge trattenne involontariamente il fiato, gli occhi di Shadow erano puntati sul pavimento.
-Spero di sbagliarmi.- disse lui. –Ma ho come l’impressione che chiunque loro siano, non si faranno problemi a versare sangue che non c’entra nulla con tutta questa storia.- fece una pausa. –Dobbiamo andare laggiù questa notte, Rouge. Non abbiamo più tempo.-
La pipistrella annuì, seria, richiudendo la valigetta del pronto soccorso. Si decise solo in quel momento a porre la domanda che davvero le premeva di fare. –Ma perché dar la caccia proprio a te?-
Shadow si voltò a guardarla, socchiuse gli occhi. Esitò un attimo, prima di decidersi a parlare –Perché hanno paura.- uno strano silenzio attonito cadde tra i due. -È solo una congettura, ma questo potrebbe essere un motivo. Hanno paura di me e non mi vogliono più tra i piedi. Quindi stanno tentando di farmi fuori.-
Rouge fissò il riccio negli occhi, senza sapere che dire o che pensare. Di una cosa però era certa: quella di Shadow era stata una risposta ragionata. Aveva l’impressione che il riccio ci avesse meditato su a lungo. Abbassò la testa.
Come se lui non avesse ancora sofferto abbastanza! Pure questo, ora!
 
Sonic rimase interdetto. Sulla soglia di casa Prower stava un individuo stranissimo mai visto prima, ammantato in giacca e cravatta, occhiali da sole, cappello in testa e ventiquattro ore alla mano. Il tutto ovviamente di un tetro color nero.
-È lei il signor Sonic The Hedgehog?- chiese, con voce cupa.
-Ci sono forse altri ricci blu con questo nome?- la battuta prese in contropiede l’agente, il sopraciglio del quale tremò appena.
-Allora le devo assolutamente parlare.-
Sonic fendette l’aria con un colpo di coda. –A qual proposito?- domandò incrociando le braccia e appoggiandosi allo stipite della porta, impedendo volontariamente il passaggio per l’interno.
L’agente esitò un attimo. –Noi le vorremmo chiedere il vostro aiuto.-
Questo non le lo aspettava, confessò il roditore. –“Noi” chi?-
-Siamo un’associazione che non dovrebbe esistere. Non vi posso fornire informazioni in merito fino a quando non accetterà di collaborare con noi.-
Il fatto che il tizio in nero desse per scontato che lui gli avrebbe aiutati irritò non poco il riccio. –Passiamo oltre, allora. Vi serve il mio aiuto per cosa, esattamente?-
Qui l’agente si diede una rapida occhiata in torno. –Non sarebbe meglio parlare di questo all’interno?- domandò.
-Non sono solito portare in casa mia gente sconosciuta.- replicò il riccio, inglobando la casa di Tails a sua proprietà.
-D’accordo, allora.- l’agente tossicchiò. –Se proprio insistete … noi vorremmo il vostro aiuto per liberarci di una certa minaccia che potrebbe a breve scatenarsi sul nostro pianeta.-
-Tale minaccia ha un nome?- domandò ancora il riccio, stufo di dover estrarre da quel tale le informazioni una a una.
L’agente esitò di nuovo. –Si chiama Shadow, Shadow The Hedgehog.-
La tentazione di fracassare quel tizio con uno Spin Dash fu forte. –Sparisci da casa mia.- ringhiò il riccio. –Ora!-
-Ma…- tentò ancora quello.
Un’occhiata di Sonic bastò a farlo zittire e ritirare con tutta fretta.
-Casomai cambiasse idea.- tentò miseramente l’agente, già oltre il cancello in fondo al viale. –Ci può trovare all’indirizzo: River Street, 77.-
Con ancora il pelo ritto sulla schiena, Sonic rientrò in casa, sbattendosi la porta alle spalle. –Tails!- chiamò, andando dritto sparato al laboratorio del volpino, che emerse da dietro una scrivania annegata sotto pile di fogli, progetti, scatole di viti e bulloni.
-Sì?- rispose.
-Hai finito di potenziare il localizzatore di Smeraldi?-
-Finito proprio ora ma …- Sonic non lo lasciò finire.
-E hai trovato faker?-
-Sì, è qui.- disse il volpino, indicando tre puntini vicinissimi in leggero movimento nel bel mezzo del nulla. –Ma…-
Senza nemmeno il tempo di finire la frase, Tails si sentì strappare dalle mani l’aggeggio meccanico. Una forte corrente d’aria annunciò che il riccio era sparito. Il volpino sospirò, rassegnato. Quella di usare il localizzatore per trovare Shadow era stata una grande idea, avuta da niente popò di meno dell’insospettabile cervello di Knuckles.
Dopo l’ultimo tentativo da parte di Eggman di conquistare il mondo, Sonic e gli altri si erano accordati con il Team Dark per dividersi i sette Smeraldi e di tenerli in custodia, escludendo al contempo Robotnik dai giochi. Quattro erano ora nelle mani di Sonic e compagni, tre in quelle di Shadow e Rouge. Un buon sistema che permetteva loro di rimanere costantemente pronti ad ogni minaccia particolarmente ostile e di tenere le pericolose Gemme sott’occhio. Questa tattica, ovviamente, era basata sulla collaborazione instaurata tra i due ricci, collaborazione che prima non c’era mai stata. Quei tre puntini sullo schermo rappresentavano proprio i tre Smeraldi di Shadow e Sonic ora stava correndo dritto da lui.
 
LUOGO SCONOSCIUTO – CIRCA NELLO STESSO MOMENTO
Lucy tremava dalla testa ai piedi come una foglia, mentre passava l’aspirapolvere sul pavimento metallico. La sua attenzione però era concentrata su tutt’altro, non di certo sulle pulizie per le quali veniva pagata. I suoi occhi non riuscivano a staccarsi dalle capsule.
Erano dodici, disposte in due file parallele, piene di un liquido bluastro leggermente fosforescente. Ma era il contenuto delle capsule che la preoccupava spaventosamente.
Quella era la sala dove si conservavano quelle cose. Erano orribili, semplicemente orribili! E disgustose.
Odiava il lunedì perché doveva ripulire le sale operatorie e il sangue sui muri e sul pavimento non se ne andava facilmente. Odiava il martedì perché era il turno delle celle di contenimento, e lì non si sapeva mai cosa trovarci dentro. Odiava il mercoledì perché toccava alle capsule delle creature senzienti, ed era straziante vederle incapsulate, tutte terrorizzate per la loro sorte, alcune già morte o morenti. Detestava il giovedì, cioè quel giorno, poiché le toccava quella sala ripugnante nella quale erano conservate tutte le … parti delle creature. Era la sala dove venivano assemblate e purtroppo l’unico modo possibile era farlo a fasi, come in un macabro gioco di anatomia (lo sviluppo dei feti non aveva prodotto i risultati sperati, per una ragione ancora sconosciuta). I loro corpi in via di assembramento si trovavano proprio lì, in quelle dodici capsule. Quindi si partiva dallo scheletro e vi si attaccava tutto il resto, partendo dal sistema nervoso per poi aggiungere viscere, muscoli, pelle e tutto ciò che occorreva, coltivati ovviamente in luoghi separati. Era innaturale comporre a quella maniera esseri viventi, ma sembrava la maniera più efficace per renderli più forti e micidiali. Ed era più veloce, come sistema, ed anche più disumano.
Ma i loro occhi erano la cosa peggiore. Alcuni di questi obbrobri malformati erano già svegli! E la seguivano con gli occhi nel suo atto di pulire, mentre il loro corpo frammentato galleggiava in quel liquido senza peso! Le veniva da vomitare solo a guardarli. Possibile che, sventrati e malfatti come loro, non soffrissero? Possibile che non provassero dolore? Ma lei sentiva, nel loro sguardo, che il dolore c’era.
Ma provar pietà per loro non era fattibile perché sapeva fin troppo bene cosa sarebbero diventati, quegli ammassi di organi e muscoli fluttuanti. Quindi di pietà non ce n’era, solo ribrezzo e orrore.
Una cosa che non le era mai andata giù era il fatto che tutti quegli esperimenti viventi erano creature mobiane. Ovvio, no? Fare esperimenti su esseri umani era illegale, e allora avevano approfittato degli ospiti alieni, rubando loro il dna che si adattava a meraviglia con quello degli animali presenti sulla Terra, con la differenza di essere più intelligenti. Una qualche modifica a livello strutturale per renderli più grandi e forti e il gioco era fatto. “Serviranno per salvaguardare l’umanità” dicevano i capi. Sì, certo, e intanto macellavano la genetica mobiana! Viva l’ipocrisia!
Pensando agli orrori che avrebbe ancora dovuto vedere nei restanti giorni della settimana, si chiese per la milionesima volta per quale sciagurata ragione avesse accettato quel lavoro. Dopo aver visto ciò che aveva visto, di sicuro non l’avrebbero lasciata andar via. Sospirò, rassegnata. Sperava che per lo meno acciuffassero in fretta quel tale …
Senza accorgersene, sfiorò con un gomito il freddo vetro leggermente umido di una capsula. Lucy si irrigidì all’istante, lasciandosi sfuggire un gemito strozzato di paura. L’unico lato positivo di quella sala era il fatto che niente e nessuno avrebbe cercato di ucciderla, perché niente e nessuno era in grado di muoversi. Lentamente si voltò verso la creatura.
Avrebbe dovuto essere un topo mobiano (classica cavia da laboratorio) ma il suo corpo era ancora tanto disfatto che, se non fosse stato per le orecchie e la coda, capirlo sarebbe stato praticamente impossibile. Era composto per ora solo di scheletro, nervi e viscere, con qualche accenno di muscoli sulle braccia e sul volto. Niente pelle, tutto in bella mostra.
Gli occhi gialli del mobiano la fissavano, incuriositi. Lei, paralizzata dall’orrore non riusciva a muoversi. Il topo continuava a guardarla. Lucy tremò fin nell’anima quando realizzò che quella creatura stava pensando. Ragionava! C’erano emozioni in quegli occhi! Tutto un mondo di pensieri e osservazioni che non avrebbero mai importato a nessuno. Sapeva quale fine avrebbe fatto quel poveretto.
La cavia piegò leggermente la testa di lato, sorridendole con gli occhi. Lucy si lasciò sfuggire un altro gemito, ipnotizzata da quello sguardo innocente. Poi, successe la cosa che mai si sarebbe aspettata di vedere.
Lentamente, con insicurezza, il topo alzò piano un braccio (probabilmente era la prima volta che lo faceva) e mosse la mano facendole ciao.
Un timido e insicuro saluto, i suoi occhi sorridevano sempre.
Era troppo. Lucy crollò a terra, svenuta.
Un’ombra di preoccupazione passò nello sguardo del topolino mobiano, mentre si sporgeva in avanti, per quanto gli fosse possibile, sperando di vedere che fine avesse fatto la persona bruscamente sparita dal suo campo visivo.
Una telecamera, incastonata nel soffitto, aveva ripreso tutto.
 
 
Shadow se ne stava appollaiato su di un ramo, appena fuori dalla loro base. Le fronde verdeggianti schermavano piacevolmente il sole, lasciando l’aria sottostante fresca. Con una gamba a penzoloni nel vuoto (la sua posizione preferita), il riccio nero stava rilassato, a tre metri dal suolo, pensando con tutta calma ai soliti problemi che lo assillavano.
Si stupì parecchio quando un “Da quanto tempo non ci si vede” lo salutò dal basso. Ovviamente, non fece trapelare nulla, si limitò a ruotare gli occhi color rubino verso il riccio blu.
-A cosa devo l’onore?- chiese invece, freddamente.
L’espressione del riccio blu lo fece preoccupare.
-Un tizio è passato dieci minuti fa davanti a casa mia chiedendomi di aiutare la sua associazione a darti la caccia.-
Shadow sussultò impercettibilmente, metabolizzando in fretta le informazioni. Quindi loro volevano mettergli contro pure l’Eroe.
-E tu cos’hai risposto?- chiese.
-Ovviamente no!- il tono offeso del riccio lo fece sorridere.
-Ti ha detto il nome dell’associazione?-
-No!- la voce di Sonic ora era arrabbiata. –Ma si può sapere che caspita sta succedendo? Perché ce l’hanno così tanto con te?- quasi gridò.
Shadow appoggiò la testa contro il tronco dell’albero. –Non so cosa sta accadendo. So solo che è qualcosa di molto brutto. E pericoloso.-
Per qualche minuto non parlarono.
-Noi vogliamo aiutarti.- disse Sonic, tutto d’un colpo.
Shadow se l’aspettava un’affermazione simile. Se c’erano guai in vista, il riccio blu non sapeva proprio starne lontano, troppo egocentrico per rimanere in disparte. –Meno persone saranno coinvolte meglio sarà. La tua buona reputazione potrebbe non bastare a proteggerti, questa volta. Non stiamo più parlando di Eggman. Qui si fa sul serio.-
-Sapevo avresti risposto così.- ridacchiò Sonic. Shadow abbassò lo sguardo sul riccio. –Ma noi ti aiuteremo lo stesso. Come hai detto tu, è una brutta faccenda. Questa volta da solo non te la cavi, faker.-
Il riccio nero sbuffò. Egocentrico e testardo. Dovette impegnarsi davvero per pronunciare le successive parole e ricacciare al contempo il proprio orgoglio in fondo al cuore. –Forse hai ragione, Sonic. Ma se proprio vuoi aiutarmi, non devi farlo apertamente.- a terra, il riccio blu rimase basito. Shadow che accettava così? Ma da quando! E soprattutto: Shadow gli aveva appena dato ragione! Gli occhi rosso fuoco lo fissarono. –Hai capito? Non devi farti mai vedere insieme a me. Non deve sembrare che mi aiuti, o finiranno per attaccare anche te.-
Ora Sonic era perplesso. –Ma come…?-
Shadow sospirò. –Accetta la loro richiesta di aiutarli a combattermi.-
-Mai!- gridò Sonic.
-Accetta, invece. E osserva le loro mosse dall’interno, scopri chi sono e cosa vogliono.- il tono di voce del riccio nero era snervato, come se stesse parlando ad un bambino che non riusciva a seguire il discorso. –Né io né Rouge potremo mai sperare in una simile occasione. Tu puoi. E se vuoi davvero aiutarmi, questo è l’unica cosa utile che tu possa fare.-
Shadow guardava Sonic, valutando se le sue parole avevano avuto effetto. Per un simile vantaggio, era stato disposto a dar ragione a lui e dire addio al proprio orgoglio. Per un simile aiuto, questo e altro.
Sonic stava fissando intensamente l’erba, di colpo alzò gli occhi verde smeraldo ed esclamò. –Ok, Shadow. Andrò a dirgli che ho cambiato idea.-
Shadow sorrise, mostrandogli i denti aguzzi. –Vedi di inventare una scusa decente, almeno.-
Sonic tese il braccio, con il pollice rivolto verso l’alto. –Puoi scommetterci, faker! Conta su di me!-
In un lampo, la scheggia blu sparì in un turbinio d’aria, dileguandosi in una frazione di secondo. Shadow sospirò, portando la mano alla spalla che non aveva smesso di bruciare selvaggiamente neanche per un attimo.
Un alleato come Sonic questa volta gli sarebbe servito, aveva il dubbio.
Gli sarebbe servito eccome.
 

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Capitolo 5
*** 4. Intenti ***


Salve, miei lettori! Sono riuscita a tornare a farmi sentire prima dell'inizio della scuola (chi l'avrebbe mai detto?). Vi ho portato un nuovo capitolo pieno zeppo di rivelazioni, indizi e, soprattuto, contenene la vera scintilla che farà esplodere la bomba! Preparatevi, signori mei, perchè da qui si aprono per davvero le danze
Come sempre, ho tentato di fare del mio meglio, spero che anche questa nuova parte sia di vostro gradimento. vi avverto che non l'ho riletta, quindi non garantisco per errori di battitura o ripetizioni.
Un grazie speciale va a Polly98 ^.^
E ora vi lascio alla lettura!
Enjoy! 




CAPITOLO 4
-Intenti-


 
E giunse la sera. Come promesso, la spalla del riccio nero ora era in perfetta forma. Solo un lieve segno rossastro rimaneva a testimonianza del proiettile entrato e uscito solo la notte prima. Rouge guardava il riccio ad occhi sbarrati. Sapeva che il suo compagno non rientrava neanche lontanamente nella norma, ma una guarigione lampo come quella … sospirò. Per quanto tempo passasse con Shadow, a certe cose non riusciva proprio ad abituarsi.
Gli occhi rosso rubino della Forma di Vita Definitiva sostenevano il suo sguardo con una punta di invisibile soddisfazione. –Non ti dovresti sorprendere. Io l’avevo detto.- disse con la sua solita voce impassibile, muovendo qualche passo avanti.
Rouge fece per ribattere ma poi lasciò perdere. Con un altro sospiro chiuse la faccenda. –Piuttosto, dovremmo andare, ora.- disse, cambiano argomento.
Shadow la guardò, piegando la testa di lato. Il localizzatore che teneva in mano gli avrebbe condotti dritti al luogo dove il cip portato sul robot si era fermato. –Già. Dovremmo andare.- ripeté piano.
Shadow mosse qualche passo verso di lei, avvicinandosi. Le afferrò delicatamente un braccio, poco più sopra del polso. –Chaos Control!-
Rouge chiuse gli occhi, mentre l’energia dello Smeraldo l’avvolgeva, inglobandola da cima a fondo partendo dal punto nel quale il riccio la teneva. Ogni sua singola cellula fremette, trapassata dalla possente forza di Chaos incanalata in Shadow. Quella forza schioccò e l’odore della sabbia le riempì le narici.
Aprì lentamente gli occhi. Una distesa senza fine si apriva davanti a loro, una landa di sassi, rocce, sabbia e poco altro che si estendeva per tutto l’orizzonte. Un cielo nero come pochi opprimeva brutalmente quel già monotono paesaggio. Niente stelle, niente luna. Nero sopra, bruno sotto, una sottile linea là in mezzo, dove cielo e terra si sfioravano. Una folata di vento gli investì, fischiando. Shadow le lasciò la mano.
Dall’arido terreno proveniva ancora il calore solare raccolto durante il giorno, mentre le temperature notturne ne raffreddavano i bollori creando un curioso contrasto tra basso e alto sulla pelle dei due visitatori. Alle loro spalle, l’astro di fuoco sprofondava nell’altro emisfero.
-Siamo nel bel mezzo del nulla.- commentò Rouge, guardandosi attorno. –Oh, guarda. Là c’è una montagna!- esclamò, con sarcastico entusiasmo, puntando il dito contro il solitario sperone di roccia.
Shadow le scoccò un’occhiata infastidita. –Ho pensato che non era il caso di sbucare proprio sopra le loro teste. Credo che non avrebbero gradito. Meglio un approccio lento ma sicuro, visto che non sappiamo cosa troveremo laggiù.-
Rouge sbattè le lunghe ciglia un paio di volte. –E cosa ti aspetti di trovare, Shady?-
Lui la fulminò con quel suo sguardo di fuoco, irritato per l’odioso nomignolo che la pipistrella continuava a dargli. Ma rispose comunque. –Solo una vaga idea. Nulla di più.-
Rouge si fece interessata, ma non insistette . Si limitò ad un’alzata di spalle. –Come vuoi, Shady. Per scoprirlo basta andare là. E io sto morendo dalla curiosità.-
Gli occhi rossi del riccio lampeggiarono. –E allora andiamo.-
Rouge gli sorrise e prese il volo. Due colpi d’ala ed era staccata da terra, librata in aria a poco più di due metri da terra. Rimase sospesa, fluttuante, in attesa. In attesa che passasse Shadow. Il riccio le sfrecciò sotto a tutta velocità proprio in quel momento. Fu come se un invisibile gancio, la brusca corrente d’aria causata dal rapidissimo movimento di Shadow, l’avesse catturata e la stesse trascinando con sè. Rouge ora si ritrovava a voltare ad una velocità davvero fuori di testa, agganciata alla scia di Shadow senza dover fare molti sforzi eccetto il mantenimento di altezza e equilibrio. Certo, doveva rimanere bassa di quota ma il brivido di quella rapidità era esilarante! Da sola mai avrebbe potuto raggiungere quei livelli. Ecco un’altra ragione per la quale amava viaggiare con il riccio nero. E lui sembrava esserne a conoscenza.
Sotto i pattini infuocati di Shadow scorreva il deserto, allo stesso modo le ali di membrana del pipistrello fendevano l’aria. Non impiegarono più di cinque minuti ad individuare il loro bersaglio, l’unico rilievo nel paesaggio che fosse degno di nota.
La brusca frenata del riccio disorientò la corrente d’aria creatasi, cosa che sbilanciò pure la pipistrella ora costretta a sbattere furiosamente le ali per non venir sbalzata via. Riconquistata la calma, entrambi si accucciarono a terra, riparati dietro ad una manciata di provvidenziali massi proprio lì vicino.
Davanti a loro, nel bel mezzo del nulla, si distingueva stagliata contro il cielo nero la sagoma di un edificio. Ma non era un semplice edificio. Sembrava più una base militare, con tanto di mura di sicurezza, ramine elettrificate e fili spinati. Alcune torrette da cecchini, seminascoste nelle ombre notturne, si intravvedevano qui e là, tutt’attorno al periodo. Un massiccio cancello di metallo e cemento armato stava incastonato nel muro di cinta, ornato di fili ad alta tensione e guardie armate.
-Caspita!- commentò Rouge, ad occhi sbarrati. –Sembra proprio che non vogliano visitatori, eh?-
Shadow schioccò la lingua. –Oppure non vogliono che qualcosa esca.-
La pipistrella sbattè le palpebre. –A cosa ti riferisci?-
-Ancora non lo so, di preciso. Ma quei campi elettrici mi sembrano eccessivi per tener lontani i curiosi, non ti pare?-
-In effetti.- concordò Rouge. –Sarebbero bastati solo le mura alte tre metri, i cecchini, le guardie e i fili spinati.-
Rimasero in silenzio, in osservazione.
-Tu sospetti qualcosa, vero?- chiese prudentemente Rouge. –Ma non me lo vuoi dire.-
Shadow abbassò lo sguardo. Non disse nulla. Rouge stava quasi per perdere le speranze di una risposta quando il riccio parlò. –Se c’è qualcuno che improvvisamente mi vuole dare la caccia, mi vengono in mente solo due ragioni plausibili. Due cose che io ho e gli altri no.-
Rouge lo guardò interrogativa. –Cioè?-
Shadow si voltò verso di lei, uno sguardo eloquente abbastanza da far comprendere a Rouge che avrebbe dovuto arrivarci da sola. E la pipistrella non tardò a trovare la soluzione. Trattenne il fiato, sgranando gli occhi verde mare. –Vuoi dire …?-
Shadow annuì piano. –Potrebbe essere una possibilità.-
Lei scosse la testa. –Ma è assurdo!-
-Lo spero, Rouge.- 
Tornarono a guardare la base del tutto immersa nelle tenebre, non un fascio di luce, non una lampada nè una lanterna. Nulla di nulla. come se non volessero assolutamente farsi vedere dall’alto. Un’improbabile chiazza luminosa nel bel mezzo del deserto avrebbe potuto destare attenzioni indesiderate.
-Come facciamo ad entrare?- domandò Rouge, ora scalpitante all’idea di entrare là dentro.
-Abbiamo il Chaos Control.- gli fece notare lui. –Ma dobbiamo comunque fare attenzione. Devo sapere dove teletrasportarci. Quelle guardie avranno sicuramente dispositivi per la visione notturna, potrebbero vederci. E sicuramente ce ne sono anche dentro.-
-Credi che sono umani?- chiese Rouge.-
-Certo.- rispose il riccio, cupo.
-Stenderne un qualcuno?-
-Troppo rischioso. Potrebbe scattare l’allarme.-
-Teletrasportarci direttamente dentro l’edificio senza passare dal cortile?-
Shadow sospirò. –Possiamo provare, ma devo prima trovare un luogo appartato grande abbastanza per la fase finale del Chaos Control. E vorrei evitare di materializzarmi proprio sulla testa di qualche scienziato.-
Rouge deglutì. Scienziato …
Shadow estrasse lentamente lo Smeraldo rosso, lo strinse forte, chiuse gli occhi e si concentrò. Come sempre, lo spazio e il tempo attorno a lui sembrò dilatarsi. Riusciva a sentire tutto quello che gli stava attorno, tutto quanto ma in maniera sfumata e imprecisa. Si concentrò sull’edificio, scandagliando tutti i locali abbastanza grandi da ospitare loro due. Non poteva vedere chiaramente cosa ci fosse dentro, ovviamente, solo sentire dove sarebbe stato possibile “atterrare”. Era questo il problema del Chaos Control. Per teletrasportarsi in un posto che non si vedeva direttamente o che non si conosceva, bisognava fare attenzione, evitando accuratamente pareti, oggetti e persone. Ritrovarsi mezzo materializzato in un tavolo non sarebbe stato piacevole. Ecco perché solitamente si teletrasportava ad una certa altezza da terra, evitando accuratamente tutti i possibili oggetti che avrebbero potuto trovarsi lì.
Cosa diversa era per i luoghi già visti e ben conosciuti. Per quelli bastava concentrarsi sul ricordo di quel luogo per guidare il Chaos Control.
Riuscì infine a trovare quello che sembrava uno sgabuzzino adatto allo scopo. Era piccolo, e in diretto contatto con il sistema di aerazione. Le possibilità di trovarci dentro qualcuno erano ridotte.
Shadow riaprì lentamente gli occhi, delicatamente sfiorò una mano a Rouge e –Chaos Control!-
Il tipico bagliore dell’energia dello Smeraldo rilucette come una fiamma in quella notte nera, ma fu una luce tanto rapida che le guardie non ebbero nemmeno il tempo di accorgersene. Girata la testa, quel lucore non c’era già più.
Shadow realizzò in un secondo che quello non era uno sgabuzzino, ma una cella frigorifera. Sbuffò, mentre Rouge si guardava intorno preoccupata. –Ma perché hai scelto proprio questo posto, tra tutte le scelte?- chiese, rabbrividendo.
-Perché è in diretto collegamento con il sistema di aerazione.- rispose lui, a denti stretti.
Rouge si diede un’occhiata attorno. La cella era invasa di quella nebbiolina da ghiaccio spesso presente in luoghi freddissimi. Ma a parte la crosta gelata sul pavimento e sulle pareti, quel posto era completamente vuoto. –A cosa credi che serva questa stanza?- chiese.
-Evidentemente, qualunque cosa avrebbe dovuto trovarsi è già stata portata via. Oppure ancora non ci è stata portata.-
Rouge tremò violentemente. –Ti dispiacerebbe cominciare a cercare un modo per uscire da qui? Sto morendo di freddo!-
Shadow si diede una rapida occhiata intorno, individuando quasi subito la piccola grata incastonata nel muro.
Rouge si avvicinò all’apertura. –Secondo te a cosa serve?- chiese. –Non è da lì che arriva l’aria fredda.- osservò lei.
Shadow non le rispose, cominciò invece a studiare il sistema di bloccaggio della grata.
-Non che sia importante.- continuò Rouge. –In fondo, a noi importa solo sapere che da qui si può uscire.-
Non ci volle più di una manciata di secondi per scardinare quel piccolo rettangolo metallico, che di certo non poteva competere con due personaggi del calibro di Rouge e Shadow.
La pipistrella sorrise, estraendo da una tasca un piccolo palmare debito allo scoprire l’eventuale presente di infrarossi. L’apparecchio non ne trovò, quindi i due si infilarono nello stretto passaggio; il riccio davanti, la pipistrella dietro. Il metallo del condotto d’aria era gelido a dir poco, ma i due non ci fecero troppo caso. Rouge, con un’abile contorsionismo, riuscì a rimettere a posto la grata nel muro. Ovvio, non era più inchiodata come prima, ma con un’occhiata fugace nessuno avrebbe potuto sospettare che qualcuno fosse passato da lì.
*
Non seppero dire quanto tempo passarono a strisciare, già da un po’, però, il freddo del metallo se n’era andato lasciando posto ad una temperatura normale, ma comunque fresca. Erano riusciti a vedere fuori solo una volta, ottenendo una panoramica di un mini-esercito di robot, ovviamente gli stessi che davano la caccia al riccio, prova concreta che erano capitati nel posto giusto.
Ma ora, per la prima volta da quando si erano infilati là dentro incontrarono una diramazione con tanto di grata in basso, che rigettava nel macabro passaggio lame di luce abbagliante.
La visuale sottostante non era gran che. Un semplice corridoio.
Ma quello che videro passare li lasciò perplessi. Tre uomini in camice che stavano spingendo un carrello carico di boccette contenenti liquidi dai colori più variati.
-Non doveva essere una base militare, questa?- sussurrò Rouge, rigirandosi in mano il detector di infrarossi. –Quelli là sembrano usciti da un ospedale!-
Shadow non rispose subito. Il suo corpo era mimetizzato completamente nel buio completo nel quale si trovavano. Se non fosse stato per la grata, Rouge avrebbe faticato a vederlo. –Forse hanno combinato le due cose.- disse, cautamente.
-Intendi dire che hanno mischiato un ospedale con una base militare?- Rouge era confusa. -In effetti i tizi di poco fa avrebbero anche potuto essere chimici, o qualcosa del genere. Non mi sembravano in effetti persone che hanno consacrato la loro vita alla medicina, salvezza di altre vite. E se stessero sperimentando qui qualcosa di nuovo?-
Shadow rimase in silenzio. –Andiamo avanti.- disse poi.
Continuarono a procedere, prendendo però la svolta laterale che il condotto offriva. Non badavano troppo alla strada del ritorno, per quello avevano il Chaos Control.
La prossima grata che incontrarono li lasciò perplessi. Era una grande sala metallica, nella quale erano depositati una gran quantità di robot da guerra. Non fu di certo questo a stupide i due mobiani. Il fatto curioso era che tali robot erano immersi dentro a vasche di liquido fluorescente.
Rouge e Shadow si guardarono. –Idee?- chiese il riccio.
-Un sofisticato trattamento antiruggine?- propose Rouge, con una vena ironica.
-Hai notato che sembrano incompleti?- disse invece dopo un po’ Shadow.
Rouge aggrottò la fronte, sporgendosi a guardare meglio. in effetti, quelli più che robot fatti e finiti sembravano come esoscheletri in attesa di … di … di qualcosa che si incorporasse a loro. Parevano semplicemente un sostegno, uno scheletro d’acciaio per sostenere qualcos’altro. Erano tanto sottili di loro, tanto esili che c’era seriamente da dubitare della loro effettiva capacità di arrecar danno.
-Sembrano …- Rouge non riuscì a trovare la parola adatta. Shadow di certo non le diede una mano, il suo sguardo era interamente concentrato su quegli affari metallici immersi in quelle vasche. Il riccio pareva decisamente allarmato, cosa che di conseguenza mise sull’attenti pure lei. –Che stiano cercando di realizzare un nuovo tipo di armi?- propose Rouge, con voce esitante.
Shadow socchiuse gli occhi. –Probabile.- disse. –Ma queste armi qui sotto non hanno nulla a che fare con quelle che abbiamo sempre visto noi.-
Detto ciò, riprese a muoversi. Rouge sospirò, prima di imitarlo.
Strisciarono ancora per un tratto, quando il piccolo palmare fischiò. Un fischio molto debole, tanto sottile che solo l’udito sopraffino della pipistrella avrebbe potuto sentirlo. Una misura di sicurezza acquisita negli anni, quando anche un sospiro avrebbe fatto scattare l’allarme. Gli uomini non sono in gradi di sentire gli ultrasuoni, ed essendo loro le vittime abituali della pipistrella e del riccio, strumenti al di fuori della portata umana facevano comodo.
-Fermo!- disse Rouge afferrando una gamba di Shadow.
-Che c’è?- sbuffò il riccio voltandosi indietro.
-Laser. Proprio davanti a noi.-
-Perfetto. Vuol dire che ci stiamo avvicinando a qualcosa che loro vogliono proteggere.- fu la risposta.
-In effetti non aveva senso mettere laser o infrarossi nel condotto d’aria di una cella frigorifera.- commentò lei.
-Dove sono, esattamente?- chiese ancora Shadow.
-Quaranta centimetri davanti a te.- rispose con precisione lei.
-Ce ne sono altri, dopo?-
-No.-
Lui risolse il problema nel modo più semplice: Chaos Control. Usare le proprie forze per superare gli ostacoli era la strada preferita dal riccio, ma quando ci vuole ci vuole!
Si teletrasportarono tutti e due qualche metro più avanti lasciandosi la barriera invisibile alle spalle. Ripresero la marcia.
Un ruggito li fece bloccare entrambi. Non ebbero bisogno di consultarsi per scegliere che fare. Aumentarono entrambi l’andatura, avvicinandosi sempre più alla fonte del suono. Al bivio che si parò loro davanti svoltarono a destra. La grata che lì trovarono li lasciò decisamente di stucco.
Era una sala del tutto simile a quella precedente con l’unica differenza che, insieme ai robot in quelle vasche veniva coltivato anche quel “qualcos’altro” che nell’altro hangar mancava. Ammassi di materia organica si inglobava lentamente ai supporti metallici forniti, esattamente come l’edera fa con i tronchi degli alberi. Si potevano individuare organi già completi, lembi di pelle i via di sviluppo, muscoli, nervi. Insomma, tutto quello che occorreva ad un corpo per vivere.
Rouge si sentì male. –Ma cosa …?-
Shadow non riusciva a staccare lo sguardo.  
Degli uomini in camice entrarono proprio in quel momento accompagnati da due robot normali che spingevano una capsula mezza trasparente. Conteneva quello che sembrava il corpo mezzo disfatto di un topo mobiano che si guardava intorno con occhi terrorizzati. Shadow strinse le mani a pugno, continuando ad osservare come incantato. Con cura, la capsula venne sollevata sopra la vasca. Il topo ebbe un ultima occasione di guardarsi attorno prima che la parte passa della capsula venne aperta e lui scivolò fuori atterrando nella vasca del robot. Il liquido azzurro della capsula andò ad unirsi a quello giallo della vasca dando vita ad un disturbante color verde limone.
Il topo mobiano cominciò a scalciare, spaventato probabilmente dal cambio di residenza e dal robotico compagno. Da un macchinario appeso al soffitto scesero dei bracci meccanici che, con cura unirono quel corpo tremante ancora in via di sviluppo all’esoscheletro metallico. Il topo si dibattè ancora, in maniera incredibilmente debole, ma dovette poi arrendersi. Lui e il robot nero se ne stavano semplicemente vicini, ora, ma siccome il topo doveva ancora svilupparsi era facile intuire che la pelle e i muscoli avrebbero finito per inglobare le parti di metallo.
L’espressione di Shadow fece seriamente raggelare Rouge. Impossibile dire ora cosa stesse frullando per il cervello del riccio, forse rabbia, forse indignazione, forse semplicemente ricordi. Rouge abbassò mestamente la testa. Le sarebbe tanto piaciuto dirgli qualche cosa, ma non sapeva proprio cosa. Shadow continuava a guardare il topino terrorizzato che ora studiava stupito il suo nuovo compagno robotico che come un’armatura lo stava avvolgendo.
Il ruggito si ripetè, forte e chiaro, facendo sobbalzare i due intrusi che si spostarono, torcendo il collo per riuscire a vedere oltre la vasca con il topo, che ora stava provando a fare ciao con la mano al robot con il quale si sarebbe ben presto fuso. Nella vasca vicina, una dal liquido color rosso, qualcosa di incredibilmente furioso si dibatteva.
Alcuni assistenti meccanici accorsero a dar man forte, mentre gli scienziati che badavano al topolino alzavano sempre più spesso la testa verso la vicenda, ancora mezza nascosta agli occhi dei due osservatori indesiderati.
Un braccio, mezzo meccanico mezzo organico, afferrò con violenza il bordo della piccola piscina color lava, un altro terrificante ruggito riempì l’intera sala. Pure il topolino voltò indietro gli occhi per guardare.
L’esperimento ruggente saltò fuori dalla sua vasca con un ennesimo latrato. Ancora gocciolante di vischioso liquido rosso entrò nel campo visivo di Shadow e Rouge.
A quale genere di mobiano dovesse appartenere non era facile dirlo, ma una cosa era certa: aveva dei gran lunghi denti aguzzi. L’esoscheletro robotico gli sporgeva dalla schiena, continuando poi sulle braccia, fin sulle dita. Sulla testa, tra le orecchie, gli passava un’altra striscia di metallo con due lucine lampeggianti che, un po’ più sotto, inglobava entrambi gli occhi, accesi di un’inquietante rosso. Il pelo color ruggine di quell’essere fremette quando i muscoli si tesero, all’unisono con le controparti meccaniche.
Rouge trattenne uno squittio. –Che diavolo è quel coso?-
La voce di Shadow la sorprese. Un tono tanto flebile non s’era mai sentito in bocca a lui. –È come Biolozard.-
Il cuore della pipistrella mancò un colpo. Nello stesso istante, l’affare ringhiante sotto di loro alzò il muso sfigurato verso l’alto, annusando l’aria con fare indagatore. Gli occhi di Shadow però non sembravano vederlo. –Rouge.-  disse piano. –Dobbiamo distruggere questo posto. A qualunque costo.-
Le fauci della creatura si spalancarono di nuovo e un altro possente ruggito gli scaturì di gola. Le molle meccaniche e i muscoli rafforzati delle gambe lavorarono egregiamente quanto il cyborg saltò il alto, mirando esattamente al punto dove si trovavano loro. E Shadow ancora non sembrava essersene accorto!
Ma la Forma di Vita Definitiva non si lasciava fregare così. Le dita del riccio si strinsero attorno al polso di Rouge. Non ci fu neanche bisogno di dirlo, il Chaos Control si attivò al solo pensiero. Un secondo dopo gli artigli della bestia mezza metallica, coltelli lunghi cinquanta centimetri buoni spuntati non si sa da dove, tagliarono come butto il condotto d’aerazione ormai vuoto.
*
Si ritrovarono di nuovo fuori, nel deserto. L’unica differenza rispetto a prima era che adesso c’era il sole.
Davvero avevano passato l’intera notte in quel posto?
-Ma cos’era quello?- sbottò Rouge, crollando a terra con le ginocchia tremanti come gelatina, ormai incapaci di reggerla oltre.
Se lei era scossa, Shadow lo era molto di più. I suoi occhi erano come appannati, proiettati indietro di anni.
-Chi erano quegli uomini? Cosa volevano fare con quel coso? E perché?- Rouge continuava a far domande che ben sapeva non avrebbero ottenuto risposta, ma doveva dirle ad alta voce: tutte in testa non le stavano più. Sarebbe impazzita. Troppe cose le intasavano il cervello, si sentiva scoppiare la testa.
Continuava a passarsi freneticamente le mani sulle braccia, come a scaldarsi da un gelo che solo lei sentiva nel bel mezzo di un deserto arroventato.
Non erano molto distanti dalla base. Videro chiaramente i camion arrivare. E quando la guardia aprì il rimorchio per controllare videro chiaramente il carico di corpi mezzi sfatti incapsulati come sardine.
Nello stesso istante, Rouge comprese davvero cosa volevano quelle persone da Shadow. Tornò a guardare il riccio ma lui non la vedeva proprio.
 

Shell si buttò in picchiata dalla finestra godendosi appieno il vuoto allo stomaco provocato dalla caduta dal quarantatreesimo piano.  Spalancò le ali al momento giusto, un attimo prima di sfracellarsi al suolo, dilatò al massimo le penne timoniere di coda, rallentando all’inverosimile e sfrecciando via allo stesso tempo, ad un nulla dalla testa di un passante, che la guardò con occhi allucinati.  Libratasi di nuovo in aria, inforcò alla perfezione una corrente calda ascensionale che la sollevò delicatamente verso l’alto, facendo presa sulle sue soffici ali bianche e azzurre.
L’avevano rimessa dall’ospedale già il giorno prima, quindi aveva trascorso la notte a casa ed ora si accingeva ad andare al lavoro. E quale modo migliore per sgranchirsi le ossa se non una deliziosa volata mattutina?
Il traffico immobile sotto di lei rombava nel suo solito frastuono di clacson, ruggiti di motore e colpi di gas di scarico. Ma lei non vi badava. Due colpi d’ala e guadagnò quota, spalancando le sue penne timoniere di coda. Ovvio, lei era nata per cavalcare le correnti d’aria marine, non quelle intossicate di città, ma ci si adattava.
Spostò tutto il suo peso verso sinistra, sterzando di lato. Curvò attorno al grattacielo ed imboccò la nuova via, mandando bellamente al diavolo i tassisti imbottigliati, una dozzina di metri più sotto. Il palazzo della residenza del giornale la salutò con il suo grigiore opprimente, le rispose con un altro battito d’ali. La ventiquattrore le pesava un po’, ma non era grave. A portar pesi in volo ci aveva fatto l’abitudine.
Nut, che era sempre il primo ad arrivare in ufficio, apriva sempre la finestra permettendole di entrare direttamente nell’ufficio senza passare dall’ascensore o dalle scale. Ora bisognava riuscire ad infilarsi in quell’apertura minuscola senza farsi male.
Rimase più bassa rispetto al davanzale. Spostò il peso all’indietro solo quando si trovò veramente vicina al palazzo, alzandosi quindi di quota fino a perdere del tutto la forza della cinetica. Raggiunta dunque la finestra, tutto quello che dovette fare fu richiudere le ali e lasciarsi scivolare dentro. Dolcemente atterrò sul pavimento, ottenendo pure un applauso dal furetto viola.
Lei accennò un inchino, ridendo. Quando però Nut notò che la collega non si stava minimamente dirigendo verso la propria scrivania, bensì verso l’archivio le domandò. –Che fai?-
-Una ricerca!- fu la risposta, dall’altra parte della stanza.
-Su cosa?-
-Su Shadow.-
-COSA?! sei impazzita? Il capo non te lo lascerà mai fare!- esclamò Nit, preoccupatissimo.
-Che vada all’inferno! Io lavoro qui a rigor di logica, anche se per poco ancora. Quindi ho lo stesso diritto di tutti voi di consultare l’archivio.-
-Lo farai infuriare.- il tono di Nut ora non era di rimprovero, da di puro e semplice divertimento e palese sostegno.
-Puoi giurarci! E che ci provi, a fermarmi. Lo spenno io quel barbagianni!-
-E perché poi vuoi fare una ricerca su Shadow?- chiese Nut trotterellandole dietro ed entrando anche lui nella porta di legno rosso targata “archivio”.
 
 
Sonic sbuffò, alzando la testa al 77 di River Street. Da fuori sembrava un palazzo normalissimo, non aveva proprio nulla di speciale. Prese un bel respiro, osservando malevolmente i quattro gradini che separavano la porta d’ingresso dal marciapiede.
Stava per cacciarsi in qualcosa di assolutamente nuovo. E pericoloso. Ma se ciò avrebbe permesso di aiutare Shadow, l’avrebbe fatto volentieri. Aveva più di un debito aperto con il riccio nero. E non si stava parlando di cinque dollari prestati occasionalmente: si stava parlando di sacrifici veri e propri. Per ben due volte Shadow aveva dato la vita. Ora era giunto il momento di restituirgli almeno in parte il favore. Anche se riuscire a pareggiare i conti con uno che era morto non una ma ben due volte, era una missione ardua pure per lui, Sonic.
Riorganizzò mentalmente tutti i possibili discorsi che si era involontariamente ripetuto nella mente per tutta la giornata passata e tutta la notte. Fece per mettere il piede sul primo gradino quando sentì un giornalaio, un giovane ragazzino dai capelli color castagna, gridare a squarciagola. –Edizione straordinaria! Edizione straordinaria! Il riccio nero ha colpito ancora!-
Sonic non impiegò più di mezzo secondo a decidere di rimandare la salita dei fatidici quattro gradini di qualche minuto. Comprò il giornale senza pensarci due volte e, quando vide l’immagine sulla prima pagina si sentì male. Lesse il titolo ed impallidì anche di più.
Tremando, tanto da non riuscire quasi a distinguere la parole, cominciò a leggere. Non capì quasi niente tranne poche parole chiave.
Shadow The Hedgehog.
Crimine.
Attacco.
Senza un motivo apparente.
Villaggio.
Interamente bruciato.
Centoventidue morti. 


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Allora? Che ne pensate?
Le faccende si stanno complicanto di brutto, spercialmente per il nostro Shadow (e anche per la sottoscritta -.-'). Si può dichiarare ufficialmente che dal prossimo capitolo in avanti sarà guerra per davvero! Fin ora abbiamo solo giocato! Ma da adesso si fa sul serio! (sperando di riuscire nel mio intento :P)
Ne approfitto per esprimere le mie conosglianze a tutti gli studenti che tra pochissimo si ritroveranno incatenati ai banchi di scuola :D Io in primis. quindi abbiate pazienza con gli aggiornamenti, d'ora in avanti. 
Come sempre ringrazio di cuore i miei carissimi fan, che mi sostengono e mi incitano ad andare avanti, e ringrazio anche quelli che semplicemente passano e leggono. Insomma, ringrazio tutti! 
Allora, io mi dileguo!
Alla prossima!
 

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Capitolo 6
*** 5. Dichiarazioni ***


Buona sera, ciurma! 
sono reduce della prima settimana di scuola (qui da noi si comincia presto) ma sono sopravissuta, Circa.
behh, insomma, sono riuscita a ritagliare per voi lettori un po' di tempo per scribacchiare il nuovo capitolo. Vi avevo promesso che vi avrei dato, d'ora in avanti, guerra e azione, ma temo che dovremo rimandare di un capitol ^.^ perchè prima, bisogna fare la dichiarazione di guerra ;) 
vi confesso che ho fatto una fatica immane a scrivere questa nuova parte. in tutta sincerità non so come sia uscita, alla fin fine :/ spero che i dialoghi, in particolar modo, siano sensati (quelli che maggiormente mi hanno fatta penare >.<) ... ho deciso di postare ora il capitolo altrimenti sarei impazzita tra correzioni e altro!
ora vi lascio alla lettura, sperando che sarà di vostro gradimento. io come sempre ce l'ho messa tutta!
Enjoy!

 
Capitolo 5
-Dichiarazioni- 


Shadow si lasciò cadere sul divano malconcio nella piccola base dimenticata sotto il bosco. Piegò la testa indietro e chiuse per un attimo gli occhi permettendosi per la prima volta da ore un sospiro degno di questo nome.
Incredibile come gli fosse balzata in mente tutta di colpo l’intera vicenda dell’ARK, con tutte le sue capsule, i suoi esperimenti genetici, gli scienziati, Robotnik … e Maria. Il viso della sua dolce amica d’infanzia gli balenò davanti alle palpebre, rimanendovi come sospeso per qualche istante. Shadow strinse le mani a pugno. La cicatrice rimarginata già da qualche tempo che aveva marchiata sul cuore palpitò di nuovo, come a volte accadeva. Maria gli sorrise un’ultima volta, prima di scomparire.
Il passato di Shadow sembrava aver deciso di risorgere, dopo un periodo di calma, tornando con forza ma trasfigurato e reincarnato in una nuova forma, infinite volte più orribile, oscura e imbrattata di sangue, molto più di quanto non fosse stata l’ARK stessa. Una nuova forma, infinitamente più cruenta, che era riuscita a trovarsi un corpo fisico, ma questa volta indipendente da lui. Almeno fino ad un certo punto.
In un remoto angolino della sua coscienza, Shadow aveva sempre covato intimamente il sospetto che qualcuno, prima o poi, si mettesse in testa di tentare nuovamente di creare la vita artificiale, se non addirittura la Vita Perfetta.
Ma non così presto.
Non in quel modo.
Ciò che fu il nobile intento, almeno in origine, di Robotnik di sconfiggere la morte e dare un aiuto immortale all’umanità, in quel laboratorio nel deserto era stato brutalmente mutilato, ridotto a quel … quel …
Non riusciva proprio a togliersi dalla mente le immagini che parevano essergli rimaste appiccicate al cervello. Tutte quelle vasche, quei corpi … e per cosa? Per dei soldatini di carne? Qual’era il loro scopo? A suo tempo Robotnik ne aveva avuto uno ben preciso, ma questi pazzi a che cosa miravano? La conquista del mondo? Tipico ma probabile.
Il fatto che non si stessero limitando ad una creatura ma a molte creature lo inquietava non poco. Almeno ora aveva la conferma del perché lo cercavano. E ciò non era affatto rincuorante.
Shadow riaprì gli occhi, guardando ora il cupo soffitto. Anelavano a lui e al suo carico genetico non indifferente. Questo era certo, ormai.
Sapeva che era diverso da tutti gli altri, che niente e nessuno era simile a lui nell’intero universo e proprio per questo aveva già messo in conto che qualcuno prima o poi lo temesse, o ne fosse geloso. L’immortalità … un sogno che coltivava al suo interno la peggiore delle maledizioni. Come poteva l’umanità, con il suo scarso giudizio, non anelarvi? E guarda cos’era saltato fuori! A che punto si erano spinti per prolungare di qualche decennio la loro già misera vita!
I sentimenti di Shadow in quel momento?
Rabbia.
Rabbia cieca mista a qualcos’altro di più nero.
Le immagini di quelle creature gli tornavano alla mente. Erano vite instabili, una peggio dell’altra. Incontrollabili sotto tutti i punti di vista. Colme di quella debolezza tipica di chi non è saldo sulle proprie gambe. E non poteva essere altrimenti.
La chiave per la soluzione di quei problemi era lui stesso, Shadow. O meglio ciò che si portava nel sangue, nel DNA. Era questo ciò che quegli scienziati, o meglio quei macellai che giocavano a fare gli dei, volevano: quella chiave genetica. La bramavano. E per ottenerla gli davano la caccia, con il proposito ultimo di sputare direttamente in faccia alla vita e alla sua gemella nera. Speravano, catturando lui, di scoprire i più remoti segreti della biomeccanica e della genetica per rendere stabili e autonome quelle … cavie, che per ora rimanevano legate alle macchine per poter sopravvivere e continuare ad esistere. Già.
Quelli là, quei corpi di metallo, non erano certo corazze da combattimento. Non ne avevano né la forma, né la stazza, né la robustezza. Avevano tutta l’aria invece di essere dei sostegni per le vite di quei poveracci. Quando le ossa non reggevano, ci pensava il metallo; quando i muscoli non scattavano, ci pensavano i cuscinetti a sfera; quando il cervello non si metteva in moto, ci pensava il computer. Proprio com’era capitato alla Biolizard: instabile, era stata costretta a supportare la propria sopravvivenza con una macchina.
L’ARK stava risorgendo, ma nel peggiore dei modi, nel peggiore dei momenti, e con i peggiori intenti nelle mani dei peggiori scienziati immaginabili.
Quelle che creavano erano vite malferme di esseri che non avrebbero nemmeno dovuto esistere, programmate dall’uomo e non dalla Natura.
Parlare dunque di vita non era del tutto corretto.
La loro non era vita. Come a suo tempo, agli inizi,  non lo era stata la sua. Le loro erano esistenze. Pure e semplici esistenze, nate dall’unione di battiti cardiaci, attività celebrale, colpi di diaframma e nulla più. Non era concesso loro null’altro. E quel “null’altro” lui sapeva cos’era, quelle cavie no.
Shadow chiuse di nuovo gli occhi. L’unica vera cosa certa era che quei pazzi non dovevano per nessuna ragione al mondo mettere le mani sul suo DNA. Non dovevano scoprire quale fosse il segreto che separava la Forma di Vita Definitiva da quegli obbrobri informi.
Non dovevano assolutamente scoprire che nelle sue vene scorreva anche il sangue di Black Doom.
Non che rintracciare il padrone della Black Comet fosse possibile, ma comunque in tal proposito i brutti presentimenti del riccio nero non facevano altro che aumentare.
Non osò immaginare cosa sarebbe successo nel caso in cui il sangue di Black Doom fosse finito in mano loro. E l’unica dose ancora in circolazione e a portata di mano ce l’aveva addosso proprio Shadow.
Il riccio sbuffò.
Attualmente, le forze che quei pazzi stavano schierando in campo non erano neanche lontanamente degne di metterlo in difficoltà. Tuttavia, a giudicare dalla ferocia esplosiva di quella bestia-cyborg dal pelo rosso, forse, questo divario si sarebbe ben presto minimizzato. Ma mai abbastanza da poter competere faccia a faccia con lui, Shadow. Eppure, il riccio nero aveva il dubbio che i suoi avversari, questa volta, avessero in serbo molti più assi nella manica di quanti non ne mostrassero apertamente. Doveva fare attenzione.
Cambiò lentamente posizione.
 Prima di andarsene, lui e Rouge erano riusciti a vedere arrivare quel camion carico di nuovi corpi. Voleva dire che da qualche parte vi era un laboratorio più grande, la stazione base di tutti quegli atroci esperimenti.
Ma davvero quella gente ancora non aveva capito che stavano vivisezionando e sbudellando esseri senzienti?
Tutto parte della natura umana.
Un lievissimo ticchettio di passi annunciò che la sua collega era appena entrata. Shadow tirò su la testa, guardandola nello stesso modo in cui lei guardava lui. Lentamente Rouge andò a sistemarsi dall’altro lato del divano, il più lontano da Shadow senza però guardarlo direttamente, accoccolata contro il bracciolo. I suoi occhi erano persi in un angolo imprecisato della sala esageratamente grande per un divano e un televisore.
-Vogliono il tuo DNA.- non era una domanda, non era un’affermazione.
-Sì.- rispose comunque.
-Ti danno la caccia per questo.- di nuovo, non era una domanda.
-E non si arrenderanno.- concluse il riccio.
Rouge rabbrividì. –Che faremo?-
Sospirò. -Torniamo là, nel deserto, e facciamo saltare il laboratorio con tutto ciò che contiene. Se ne troviamo, distruggiamo anche altri eventuali laboratori. Poi andiamo a cercare la loro base centrale e anche lì facciamo piazza pulita.-
-Li distruggiamo prima che distruggano noi?-
-Esatto.-
 Rouge aggrottò la fronte. –Moriranno?-
-Muoiano.-
Rimasero in silenzio.
Shadow parlò, dopo qualche minuto. –Quello che stanno facendo non è accettabile, Rouge. Io non lo posso accettare. Dobbiamo eliminarli. O per lo meno ridurli all’impotenza.- fece una pausa. -Sarà dura.-
-Sarà dura.-
-Sarà guerra.-
-Sarà guerra.-
-Sei con me?-
-Sono con te.- sorrise. -Fino in fondo, qualunque cosa accada- Rouge si voltò verso il riccio per la prima volta da quando si era seduta. –Muoiano.-
 
Sonic incrociò le braccia, appoggiandosi contro la parete dell’ascensore, che era per altro di uno scintillante color rame lucidato a specchio. Si era deciso a salire quei maledetti gradini tra la porta d’entrata e il marciapiede, costringendo a forza tutto il suo essere a compiere quel piccolo spostamento. Il giornale gli si era accartocciato in mano, strategicamente buttato prima di entrare nel 77 di River Street.
Centoventidue morti!
Centoventidue!
Sonic chiuse gli occhi. L’ultima accusa, quella di rapina, si era rivelata una farsa. Anche questa lo sarà stato. No?
No?
Shadow non avrebbe mai fatto una cosa del genere, questo era accertato. Il punto era: quelle persone erano morte per davvero o tutto quanto era stato magistralmente architettato da qualche mente malata? Eppure le fotografie allegate sembravano così reali … raggelò.
La spia lumonosa dell’ascensore si spostò dal quindicesimo, al sedicesimo piano.
Giù a terra, una segretaria umana dall’aria indicibilmente avvizzita gli aveva detto che lo stavano aspettando al diciassettesimo piano. Non avendo trovato le scale, il riccio si era dovuto adattare all’ascensore.
Sonic si grattò un orecchio. Realizzò di essere spaventosamente nervoso, e furioso per la notizia letta sul giornale. Di nuovo, si ripetè mentalmente immaginari dialoghi, si impose certi comportamenti e ne cancellò altri. In particolare, si costrinse a non ammazzare all’istante lo stronzo a capo di tutta quella trappola infernale. O chiunque per lui si sarebbe fatto vedere.
La porta dell’ascensore si aprì, finalmente, e Sonic ne uscì con il suo solito passo spavaldo, mascherando alla perfezione l’agitazione interna.
Un mobiano dall’aria truce gli si parò davanti a braccia conserte. Era un cane, di un grigio scurissimo quasi nero, con le orecchie spaventosamente dritte e il muso affilato. Di stazza sembrava piuttosto robusto, sebbene fosse slanciato e palesemente agile, più alto del riccio di almeno dieci centimetri.
-Sei Sonic?- chiese con un ringhio.
-No. Sono Shadow!-
Il cane gli mostrò i canini affilati, assottigliando gli occhi, palesemente infastidito. –Seguimi, roditore.-
Detto questo girò sui tacchi, seguito dal riccio blu. Il pavimento di marmo screziato ticchettava ai suoi passi, stranamente il canide non faceva rumore alcuno. Passarono davanti alla scrivania incorniciata da piante in vaso della segretaria d’ufficio, umana pure lei. Le pareti bianche in unione con le grandi finestre velate di sottilissime tende turchesi davano allo spazio un’aria fresca e aperta, ma Sonic dentro si sentiva soffocare. Il corridoio passava proprio accanto alle vetrate, sfilando davanti alle scrivanie dei dipendenti e alle porte degli uffici dei capi, in legno rossiccio. Si fermarono di fronte a quella che recava la targa “direttore”.
Il cane ringhiò –Qui dentro.-
Sonic esitò. –Tu non vieni?-
-Il capo vuole parlare solo con te.-
-Oh, e tu resti fuori a fare la guardia, vero, cagnolino? Non temere, non scappo mica. E anche se lo facessi, di sicuro non saresti tu a riuscire a fermarmi, nemmeno a sfiorarmi, figurarsi catturarmi.-
Gli occhi gialli del cane si socchiusero. –Non farlo aspettare oltre.-
Sonic ridacchiò, mantenendo in apparenza la sua solita tempra mentre privatamente moriva dalla voglia di spedire quel rognoso tirapiedi fuori da una di quelle enormi finestre. Gli sarebbe bastato un solo Spinn Dash.
Sospirando aprì la porta ed entrò.
Libreria in legno massiccio sulla destra, cassettiera colma di documenti sulla sinistra, lampada elaborata di vetro e metallo pendente dal soffitto, tappeto spesso e lanoso, scrivania stagliata contro le finestre poste sull’altro lato del palazzo. Vicino al ciuffo verdeggiante di uno smilzo alberello da appartamento, stava un uomo voltato di schiena, intento a guardare fuori, giù in strada. Il rumore dei clacson riusciva a raggiungerli pure a quell’altezza.
-Benvenuto.- disse cerimoniosamente l’uomo, voltandosi non appena la porta si richiuse alle spalle del riccio.
Sonic piegò la testa di lato. –Benvenuto? E benvenuto dove, di preciso?- chiese, con una punta di iroinia, sottolineando il fatto che nessuno si era ancora remunerato di concedergli una qualunque informazione.
L’altro sorrise, un falsissimo sorriso d’occorrenza. –Ma alla nostra base operativa, ovviamente. Noto che lo spirito non vi manca, Sonic. Siete proprio come vi hanno descritto.-
-E come altro dovrei essere?- Il riccio roterò gli occhi, spostando il peso sulla gamba destra.
Il sorriso dell’altro persistette. –Sarà un piacere lavorare con voi. Apprezzo la vostra vivacità.-
-Frena, amico. Non ho mai detto di voler lavorare con te. Sono qui solo per sapere esattamente chi siete, cosa volete e perché avete bisogno di me. Fatto ciò, deciderò se stare dalla vostra oppure no.- sbottò il riccio, tralasciando volontariamente ogni traccia di formalità.
-Ma certamente.- disse l’uomo, indicandogli accondiscende la poltroncina di fronte alla sua scrivania. Il riccio osservò dubbioso il morbido sedile di pelle imbottito. Normalmente non avrebbe accettato ma … sicuri che quel tale stava invitando un riccio, colmo di aculei, a sedersi su una simile meraviglia? Trattenne a stento un sorriso di malcelata vendetta, accomodandosi con tutte le premure. Badando bene che ogni sua punta graffiasse almeno una volta quella splendida poltrona, senza ovviamente farlo notare al proprietario, che stava raggiungendo solennemente la sua cattedra.
Sonic si appoggiò di schiena (e con tutto ciò che tale manovra comportava), gettando un braccio oltre lo schienale. –Potrei almeno conoscere il nome del mio interlocutore?- chiese con indifferenza.
-Ma certamente.- lo assecondò l’altro. –Perdona la mia maleducazione. Io sono James Hennor e conoscerla di persona è un piacere.-
Sonic sorrise facendogli un cenno con il capo, incapace di rispondergli con il “piacere mio” di rito. Quel James gli faceva semplicemente orrore. Pensare a ciò che quell’uomo aveva fatto e aveva in progetto di fare lo rendeva a dir poco furioso. Ma questa volta non bastavano tre pugni e due calci a risolvere la situazione. No, si doveva stare fermi, buoni e tranquilli. Doveva raccogliere informazioni, punto e basta, nulla di diretto e aggressivo. Doveva giocare come avevano sempre fatto Rouge e Shadow, studiando da vicino il nemico, silenziosamente, e raccogliere informazioni. E per fare ciò non doveva assolutamente farsi scoprire. Era la prima volta che faceva il doppio gioco. Cosa che lo agitava oltremodo. Si sentiva le mani sudate, aveva appena raggiunto lo stato supremo di quello che comunemente viene chiamato “nervosismo”.
James parlò, riallacciandosi al discorso precedente. –Voi mi avevate chiesto chi siamo noi. Mi rincresce, ma io non posso proprio rispondervi. Il nostro agente avrebbe dovuto avvertirvi che non forniamo informazioni a chi non…- venne interrotto.
-Fossi in te la smetterei di essere così pignolo con l’unico che possa realmente darvi una mano.- ringhiò piano Sonic, fulminando James con lo sguardo. –Voi non avete proprio la più pallida idea di chi vi siete scelti come nemico, vero? No, certo che no. Come potreste altrimenti permettervi di dettare condizioni quando invece dovreste riverire chiunque sia in grado di fornirvi una qualunque sorta di aiuto. E ne avrete bisogno eccome, di aiuto. Dichiarare guerra a Shadow The Hedgehog non è uno scherzo, amico.- fece schioccare la lingua. –Si da il caso che abbiate scelto l’avversario più difficoltoso in circolazione e l’elenco dei vostri possibili alleati è ridotto ad una sola persona in grado di fare effettivamente qualcosa. Quindi, se volete davvero riuscire anche solo a sfiorare Shadow, dovreste almeno rispondere alle mie domande, non vi pare?- 
Lo sguardo del riccio s’era fatto d’acciaio. Attese, pazientemente, che Hennor si decidesse a parlare.
-Effettivamente.- concesse, misurando attentamente le parole. –L’unico in grado di tenere testa alla Forma Di Vita Definitiva attualmente siete voi.-
Due cose preoccuparono Sonic: il fatto che James avesse chiamato Shadow in quel modo, il che lasciava presagire tutto uno studio approfondito sull’ARK o comunque sulla vera natura del riccio nero (entrambe faccende che una persona normale non avrebbe dovuto conoscere); e la parola “attualmente”. Che diavolo intendeva dire?
Allo sguardo dell’uomo la confusione del riccio non passò sotto silenzio. –Solo voi, signor Sonic. Per ora.- ripetè, confermando al riccio che sì, aveva sentito giusto.  
Un brivido gelido gli percorse la spina dorsale. -Per ora?- si azzardò a chiedere, realizzando al contempo che abbassandosi a fare una domanda simile, aveva bellamente mandato al diavolo i suoi sforzi precedenti per condurre la conversazione. Avrebbe voluto mordersi la lingua. Ora era in ballo e doveva ballare. Quindi, continuò la domanda –Conoscete forse un qualche altro mobiano (umano non penso proprio) che riesca a correre a settecento all’ora o stare comunque al passo con Shadow o con me?-
I denti di James tornarono a splendere. –Non ancora. Ma tra poco, forse, se saremo fortunati.-
Tutti i sensi di Sonic erano tesi come corde di violino. Aveva fatto male i conti. Non si sarebbe mai e poi mai aspettato qualcosa di simile a quella rivelazione. A migliorare il tutto, non poteva neanche più giocare la carta della propria unicità come scusa, non poteva quindi più fare il prezioso. Quell’uomo era sempre un passo avanti. Non restava che arrendersi e sventolare bandiera bianca, chiedendo in ginocchio informazioni. –Che significa?- domandò infatti, inghiottendo l’orgoglio.
James Hennor si alzò dalla sedia, con aria trionfale, iniziando a passeggiare dietro la scrivania. –Sono spiacente di dover insistere, mi creda. Ma prima vorrei sapere definitivamente se voi siete dalla nostra parte oppure no.-
Sonic tornò ad appoggiarsi allo schienale della poltrona, senza distogliere lo sguardo da James. Non che ci fosse molto da fare, arrivati a questo punto. –Sto dalla vostra parte, solo perché non voglio stare dalla sua.- disse con voce fredda.
Gli occhi di James scintillarono, guardando il riccio. –Motivo di tale scelta?-
-Sei tirchio d’informazioni, non vedo perché io dovrei essere generoso di condividere i miei motivi. Ma se c’è qualcuno che va in giro a sterminare interi villaggi, credo che fermarlo sia d’obbligo.- sbuffò lui in risposta, incrociando le braccia e mantenendo fede al suo solito atteggiamento. –A qualunque costo.- aggiunse con tono cupo, fin troppo eloquente.
Fingere di bere ciò che i giornali dicevano gli era sembrata la scelta migliore per rassicurare James, ammesso che ci fosse lui dietro le false notizie alla tv. Avrebbe avuto la sua vendetta, bastava essere pazienti e sopportare in silenzio e giocare bene le proprie carte. In ogni caso, pronunciare ad alta voce quelle poche parole d’accusa rivolte all’amico gli era costata una fatica immensa. Lui e Shadow sarebbero finiti di nuovo sui due fronti opposti. In pubblico. Di nuovo in guerra.
L’uomo si permise una risatina, prendendo per buona la risposta del riccio. –Capisco. Il vostro dunque è un sì?-
-È un sì.- Tre parole, cinque lettere e due accenti. Sonic si sentì come se gli avessero appena messo le manette. Come se avesse appena stretto un patto con il diavolo.
James tornò a mostrargli i denti innaturalmente bianchi. –Magnifico. Una firmetta qui e saremo definitivamente soci.-
-Firma un accidente! Accontentati della mia parola, non otterrai altro da me.- ribattè Sonic, incrociando le braccia. Aveva una vaga idea di che genere di mostri fossero quelle persone, ragione per la quale piazzare la propria firma su un documento appartenente a loro equivaleva a mettersi in guai ben più che seri.
L’uomo mascherò bene il proprio disappunto, ma non abbastanza.
-Come desiderate. A noi basta che diate la caccia a Shadow, ascoltiate le nostre disposizioni e ci facciate rapporto di tanto in tanto.-
Sonic fece spallucce. –Te l’ho già detto che collaborerò. Solo, niente firme.-
James ridacchiò. –Per noi è sufficiente.-
 
 
Shell guardava sbigottita lo schermo del computer, incapace di credere ai propri occhi. Che diavolo significava “nessun risultato trovato”?
Ma che scemenza era mai quella?
Quel database occhi era uno dei più forniti tra quelli disponibili. E come diamine era possibile che non ci fosse neanche uno straccio di notizia sul riccio nero? Dopo il disastro della banca come minimo avrebbe dovuto esserci un’intera sezione su di lui. E invece niente! Schermata vuota!
La gabbiana schioccò il becco, irritata, abbandonandosi contro lo schienale della sedia girevole. In quel momento tornò Nut, con in mano due caffèlatte e un giornale.
-Colazione!- annunciò.
Shell si voltò per metà, afferrando uno delle due confezioni, senza degnare di un’occhiata il giornale.
-Nut, mustelide mio, sto diventando matta!-
-Perché?- chiese il furetto, piegandosi in avanti verso lo schermo.
-Perché Shadow non esiste, secondo questo database arrugginito!-
Nut aggrottò la fronte, facendo fremere le sue dolcissime orecchie tonde. –Un errore di avviamento?-
-Macché errore!- La gabbiana sbattè le ali. –Qui tutti stanno impazzendo!-
-Non ne dubito.- cominciò il furetto. –Ma credo proprio che dovresti dare un’occhiata al giornale di oggi.-
-Non ne ho il tempo!- Shell fu in piedi e furoreggiante marciava verso la porta, scostando la mano del furetto.
-Dove vai?- esclamò Nut, sventolando non visto il giornale incriminato.
-A consultare i dati cartacei raccolti nell’archivio!-
La porta le si richiuse sbattendo alle spalle della gabbiana, lasciando il furetto da solo nella sala computer con il giornale in mano proteso ancora verso l’amica. In prima pagina, un’immagine che mostrava un villaggio mezzo diroccato ancora fumante, con dei pompieri intenti a perlustrare la zona sparpagliati qui e là: ai loro piedi, i veli bianchi dei cadaveri.
Il nasino del furetto fremette, Nut si voltò verso il computer, la schermata ancora nera. Guardò il giornale. Guardò di nuovo il computer.
Possibile che un simile assassino non avesse mai avuto precedenti di alcun tipo negli ultimi decenni? Anche soltanto gli articoli usciti di quei giorni avrebbero dovuto essere inseriti nel database, eppure tutto era vuoto, come se fosse passato qualcuno a fare piazza pulita.
Sbuffò, girandosi per tornate alla sua scrivania, rassegnato. Se Shell non aveva il problema di dover preservare il suo posto di lavoro, per lui era ben diverso. E il barbagianni aveva gli occhi di un’aquila! Avrebbe fatto vedere dopo il giornale a Shell. Ed era quasi certo che leggere quella notizia le avrebbe fatto dispiacere.
 
-Voi sapere cos’è la biotecnica, signor Sonic?-
Il riccio sbattè le palpebre. La sua domanda di poco prima riguardava lo scopo ultimo di catturare Shadow e il significato dell’affermazione precedente, quando James aveva detto che forse Sonic non sarebbe rimasto ancora per molto l’unico essere vivente in grado di contrastarlo. Ma James aveva sviato il tutto con un’altra domanda. Parlare con quel tizio era altamente snervante e impegnativo!
Rassegnato, scosse la testa in segno di diniego in risposta a James. Attendere era l’unica cosa che poteva fare.
-Beh.- cominciò l’uomo, riprendendo a passeggiare avanti e indietro. –La biotecnica è una branchia della scienza nata da poco, grazie all’impressionante sviluppo tecnologico degli ultimi tempi.-
-Arriva al sodo.-
-Quanta impazienza! Lasciate che mi spieghi. La biotecnica, appunto, è nata recentemente e si occupa dello studio e dell’imitazione artificiale delle forme di vita partendo da zero. In pratica, una combinazione di biologia, meccanica, bionica e tecnologia.-
Un brivido di ghiaccio colò lungo la spina dorsale del porcospino. Cosa?
-Ci sono già stati dei tentativi simili in passato. Sia riguardante la creazione di cellule organiche in laboratorio, sia per quanto riguarda la clonazione. Ma questi sono esempi di faccende ben diverse, che non hanno nulla a che fare con la biotecnica o la bionica, sua diretta seconda.-
-E cosa c’entra tutto questo con Shadow?- si azzardò a chiedere il riccio, incrociando mentalmente le dita e sperando di non sentire ciò che sapeva che avrebbe sentito.
Il volto di James si rabbuiò per una frazione di secondo, prima di illuminarsi in un altro sorriso fasullo. -Lui ci serve per la continuazione delle nostre ricerche, poiché gli scienziati che stanno lavorando al progetto sono ad un punto morto.-
Le viscere di Sonic si aggrovigliarono di botto un una morsa dolorosa, ma lui fu bravo a rimanere impassibile. Il riccio rimase in silenzio, aspettando che l’uomo continuasse e dicesse le parole che Sonic temeva, conferma dei suoi dubbi più neri. James, dopo un’eterna pausa, di decise a proseguire il discorso. –Shadow ci serve come modello da studiare, essendo lui l’unica forma di vita artificiale stabile in circolazione.-
Sonic dovette concentrarsi per non chiudere gli occhi dalla disperazione e limitarsi a guardare innocentemente James. Loro sapevano! Sapevano! E volevano faker per i loro esperimenti!
-Ci serve il suo codice genetico.- disse ancora James, ora più infervorato, già che l’argomento pareva stargli a cuore. –Assolutamente. E al più presto. I soggetti creati precedentemente stanno manifestando problemi e disturbi sempre più pressanti. Dobbiamo fare presto.-
-Alt! Quali “esperimenti precedenti”? E perché si deve fare presto?- interruppe Sonic, non sicuro di voler apprendere la risposta.
Lo sguardo di James ruotò su di lui. –Attualmente, alla nostra base sono presenti ventidue esseri viventi artificiali completi, dei quali solo nove sono in grado di muoversi da soli, ma sette di questi hanno problemi o al sistema nervoso, o al sistema circolatorio o a quello intellettivo. Con l’ultima invenzione di unire i soggetti a supporti meccanici, incrementeremo senza problemi il numero di creature funzionanti e potremo procedere. La rapidità con la quale ci procureremo il codice genetico di Shadow the Hedgehog ci permetterà di incrementare le fabbricazioni e ridurre le perdite tra i soggetti. Ma senza Shadow non riusciremo mai nel nostro intento.-
Alla mente sconvolta e sbalordita di Sonic rimasero impresse in particolare tre parole e un numero: creature funzionanti; fabbricazione; ventidue. Gli venne la nausea
-Ma voi chi siete esattamente?- riuscì a chiedere. La stessa domanda posta all’inizio. –Cosa volete?-
James sfoderò un altro dei suoi sorrisi. –Noi vogliamo solo migliorare la vita delle persone, trovare se possibile un rimedio alle malattie o all’invecchiamento. Potremo risolvere innumerevoli problemi e abbattere praticamente tutte le frontiere della medicina.- si umettò le labbra. –Sappiamo che è possibile: il figlio dell’ARK ne è la prova.-
Sonic scosse la testa. Improvvisamente si sentiva soffocare. –Ma chi siete voi?- ancora, la stessa fatidica domanda.
-Noi siamo la BRC: Bionic Revolution Company. E voi, signor Sonic, siete il nostro più prezioso collaboratore. Il vostro compito sarà fornirci al più presto il DNA e il corpo completo della Forma di Vita Definitiva seguendo le nostre direttive.-
Sonic riuscì ad annuire e a trattenersi al contempo dall’ammazzare all’istante quel … quell’essere che gli stava di fonte. -C…come procederemo?- domandò invece, non riuscendo ad impedire alla propria voce di tremare.
James sorrise di nuovo. –Mettendo in campo le ultime “innovazioni” dei nostri scienziati, ovviamente. Vedremo fino a che punto può spingersi la Vita Definitva.-
Sonic deglutì, mentre il suo pensiero correva preoccupato dritto da Shadow. Dannazione!
-Agiremo tra due giorni, signor Sonic.- disse ancora James. –È ora di presentarvi il vostro compagno di squadra. Ci penserà lui a mostrarvi il resto dell’edificio, a fornirvi le attrezzature e ad illuminarvi sui nostri sistemi d’azione.-
Sonic si pietrificò. –Quale compagno di squadra?!-
James rise. –Non possiamo mandarla da solo allo sbaraglio, non vi pare?-
-Ma che sbaraglio e sbaraglio! A parte me nessuno può sperare di star dietro a Shadow!-
-Ma qualcuno dovrà pur coprirvi le spalle.-
-Coprirmi le spalle da cosa, di grazia?!-
James sorrise, enigmatico, tralasciando la domanda. Chiese invece. –Preferivate lavorare da solo, nevvero?-
-Ovvio che preferisco lavorare da solo!- sbottò Sonic.
-Eppure, tutte le vostre precedenti avventure sono state vissute insieme a fidati compagni. Shadow compreso, tempo fa.-
Sonic socchiuse gli occhi. Lamentarsi del compagno di squadra non era stata una bella mossa, ma proprio non lo voleva un pulcioso cane da guardia alle calcagna! Ovvio che quelli della BRC lo volessero tenere sotto controllo!
Il riccio non disse più nulla, si limitò a fissare in tralice l’uomo. Avrebbe dovuto sopportare, stare al loro gioco. Punto e basta. Non si trattava di Sonic questa volta, ma di Shadow. Era lui quello che stava rischiando pericolosamente la vita. Fallo per lui! Glielo devi! Lui ha subito ben di peggio! Dai!
Sonic compì in quel momento uno degli sforzi più ardui di sempre: si arrese, lasciando che loro gli mettessero definitivamente il guinzaglio. Per la prima volta nella sua vita. –Se lo ritenete assolutamente necessario, accetterò questo collega.- disse, buttando fuori a forza le parole.
-Magnifico.- sorrise James, invitando l’ospite ad entrare, che era ovviamente appostato davanti alla porta.
Quando il riccio aveva pensato al cane da guardia, mai si sarebbe sognato che gli affibbiassero per davvero un cane come compagno. Lo stesso odioso, rognoso mobiano di prima fece il suo ingresso, con la sua aria conserta.
-Lui è Anubis The Dog e farà squadra con voi, signor Sonic.-
 
 
Karl sbuffò.
Faceva parte dei pompieri da ben undici anni. Gli era già capitato di vedere palazzine bruciate, case incenerite, magazzini carbonizzati. Ma mai un intero villaggio!
Nel suo mestiere capitava, sciaguratamente, di vedere dei corpi dei poveretti che non erano riusciti a sfuggire dal fuoco o dal fumo. Era sempre una scena da voltastomaco. Vedere pelli annerite e mangiate dalle fiamme, osservare le ossa esposte tra i lembi di carbone, ammirare i denti scoperti da labbra ormai inesistenti, in un volto colato dal fuoco.
Ma i cadaveri di quella volta non erano minimamente intaccati da fuoco o fumo.
Erano semplicemente stati fatti a pezzi.
Lacerati.
Squarciati.
Decapitati.
Sventrati.
Sgozzati.
I pompieri erano stati chiamati per domare le fiamme che aggredivano pigramente le abitazioni, ma quando erano arrivati, i morti giacevano in strada, abbandonati scompostamente qui e là, come nell’atto di fuggire. Il motivo era già stato svelato: erano stati assassinati da un certo Shadow The Hedgehog. Quindi, che si fossero dati alla fuga era più che plausibile. Fuga finita male. 
Karl, mentre guardava alcuni agenti portare via l’ennesimo cadavere, una ragazza di diciassette anni, verso il furgone che avrebbe portato lei e gli altri all’obitorio.
Come si poteva compiere un simile atto?
Come aveva fatto Shadow a sterminare così, senza esitazione, tutta quella gente?
Quale demonio viveva in quell’assassino spregevole? Di cos’era fatto il suo animo? Pietra? No. Di animo quello non doveva avercene più.
Karl distolse lo sguardo, sentendosi male.
Se un individuo capace di ciò era in circolazione, giurò a sé stesso che ci avrebbe pensato due volte prima di uscire di casa la sera, o di far uscire sua moglie, o sua figlia.
Ecco cosa si guadagnava a lasciare libero accesso ai mobiani sulla Terra! Ecco cosa succedeva! Loro con quei poteri bislacchi, con i loro artigli o le loro zanne! 
Qualcuno lo chiamò. Karl alzò di scatto lo sguardo. Con un sospiro, si scostò dall’angolino appartato per dirigersi dal resto della truppa.
Non notò i numerosi fori di proiettile nei muri di legno, non notò i graffi paralleli che intaccavano quel muro laggiù e nemmeno i segni di pesanti pneumatici per terra, che non appartenevano alle autopompe.
Semplicemente, raggiunse i suoi compagni davanti alla distesa di centoventuno teli bianchi che coprivano i centoventuno cadaveri. Pian piano, venivano caricati e portati via. La ragazza diciassettenne era stata la prima.
Ben lontano da quella scena raccapricciante stavano i sopravvissuti, meno di una ventina, tutti raggruppati, tremanti, in fase di shock pesante. Molti non riuscivano nemmeno più a parlare. Non facevano altro che rabbrividire violentemente, guardare fisso davanti a loro senza vedere, sobbalzare puntualmente e gridare di spavento scattando in piedi o rannicchiandosi nel primo anfratto che trovavano, piangendo a dirotto.
Un branco di fantasmi vivi per sciagura.
Karl volse lo sguardo verso di loro. Riconobbe il bambino di dodici anni che aveva parlato per primo, che aveva detto che un essere rosso e nero li aveva attaccati all’improvviso e che li aveva uccisi tutti.
Il pompiere socchiuse gli occhi.
Dopo certi avvenimenti, vivere per quelle povere persone sarebbe stato semplicemente impossibile. Poiché, si sa, i ricordi non si possono dimenticare a comando.
 
 
-E così tu saresti Anubis?- chiese Sonic, di nuovo nell’ascensore, questa volta puntando al piano terra. A quanto pare, avrebbero effettuato uno spostamento. Dove, a Sonic non sembrava concesso sapere. Allora, aveva pensato di sfruttare l’occasione per fare conoscenza.
Il cane ringhiò in risposta, di tutt’altro avviso. –Solo perché dobbiamo collaborare non significa che dobbiamo fare amicizia.-
Sonic sbuffò. –Come vuoi botolo pulcioso. L’importante è che noi due catturiamo lui, no?-
Anubis si voltò rigidamente verso il riccio. –Non chiamarlo “lui”.-
Sonic rimase perplesso. –E perché no, scusa?-
-Perché non è una persona.- fu la sommessa risposta.
Il riccio blu sobbalzò, gelando dentro. –Cosa?!-
-Shadow non è una persona.- ripetè Anubis, voltandosi verso il compare. –Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-


 
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un'infinità di tempo fa, in commento al prologo di questa storia, Terry17 mi fece notare che mancavano riferimenti a Maria. Io risposi che gli avrei aggiunti in seguito, ma fin ora non ho mantenuto la promessa. Proprio perchè volevo aspettare questo momento per "far entrare in scena" l'ARK :) 
quindi, scusa per averti fatta aspettare, Terry!
d'ora in avanti mi farò perdonare!

un bacione a tutti!
vostra
Phantom13
 

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Capitolo 7
*** 6. Azioni ***


Buona sera, carissimi! Sono tornata da voi appena ho potuto, ma, si sa, la scuola tiene occupati i suoi schia... emh, studenti. Dunque, non posso far altro che chinare la testa alle forze maggiori che attualmente governano le mie giornate e sottostare al loro volere. Nonostatne tutto, sono riuscita a tirare assieme un capitolo sommato tutto leggibile (escludendo i soliti dubbi che mi attanagliano al momento di pubblicarlo).
Vi confesso però che nei miei piani originari in questa nuova parte avrebbe dovuto esserci molta più azione  ma, purtroppo, ho fatto male i conti e ho dovuto conceder a voi lettori qualche indizio e informazione in più per far quadrare il tutto, cosa che lascia spazio assai minore alle battaglie tanto attese. Ma niente panico! Per riscattarmi, vi confermo con sicurezza pari al 99% che TUTTO (o quasi) il prossimo capitolo (se l'ispirazione sarà con me) si silupperà in un unica battaglia, la prima vera battaglia degna di questo nome ^.^ ... ... aiut!! 
Come sempre, io ho fatto del mio meglio.
ora quindi vi lascio alla lettura!
Enjoy! 



 
CAPITOLO 6
-AZIONI_



Non aspettarono la notte. Decisero di agire subito.
Così, sotto il sole arroventato del deserto Gold, alla bellezza di cinquantotto gradi celsius, alle undici di mattina, i due si ritrovarono appostati dietro all’ammasso roccioso che già la notte precedente aveva offerto loro riparo. L’aria era torrida, tanto che respirala equivaleva a inalare fuoco.
Ai loro piedi, depositata sulla sabbia, giaceva la piccola ma micidiale bomba che avrebbe fatto saltare tutto l’intero laboratorio insieme a tutti gli orrori che conteneva. La pipistrella e il riccio avevano scelto con cura quale esplosivo usare, non doveva essere assolutamernte un tipo sensibile al calore altrimenti sotto quel sole i primi a dipartire sarebbero stati loro due.
Rouge ansimava in cerca d’aria, che le entrava troppo rovente nei polmoni, si sentiva la pelle bruciare come non mai e grondava di sudore. Si toccò ansante i capelli color argento e li trovò incandescenti. Ritrasse rapidamente la mano, scottata, riportando l’attenzione al presente, operazione non facile siccome il suo cervello stava praticamente bollendo.
Shadow era sporto oltre una roccia e osservava attentamente la base.
Eppure le attenzioni della sua compagna erano ben lungi dalla missione in corso: i pensieri della pipistrella erano interamente concentrati sull’approssimativa temperatura del corpo del riccio, nero come la pece, sotto a quel sole impietoso. Se lei, che aveva i capelli bianchi, soffriva a quel modo, figurarsi uno che aveva per colore il manto della notte! Giurò per un attimo di vedere l’aria tremare di calore attorno alla sagoma del riccio. Si sentì male per lui.
Shadow, ovviamente, non diede a vedere nulla. Rimase impassibile come sempre, anche se alla riccia non sfuggì il suo respiro lievemente rantolante. Mai più nel deserto di giorno, si ripromise solennemente la pipistrella. Mai più! Sia per lei che per lui.
Non si dissero una parola. Shadow prese cautamente il detonatore, scambiò un’occhiata d’intesa alla pipistrella e si teletrasportò dentro la base, lasciando Rouge a squagliarsi come gelato tra quei massi. La poveretta sospirò, rannicchiandosi di più nel misero cono d’ombra dei sassi che le facevano da scudo, badando bene però a non toccarli: erano anche più arroventati della sabbia.
Sospirando, implorò Shadow di fare presto.
Era stato proprio lui a volerla lontano da quella base. Le aveva chiesto di non accompagnarlo. Il motivo lei non l’aveva capito, ma aveva accettato senza fare domande rispettando la richiesta del compagno di squadra. Shadow a volte necessitava di momenti di solitudine e lei non gliene aveva mai fatto una colpa e mai aveva forzato le scelte del riccio. Ma ora se ne pentiva amaramente. Lì faceva troppo caldo!
Il sole bruciava più energicamente che mai in quel cielo bandito alle nuvole.
Il ricordo dell’accogliente cella frigorifera all’interno del laboratorio, nella quale si erano ritrovati l’ultima volta, era troppo straziante e irreale, ora come ora.
Registrò distrattamente la partenza di un camion dai cancelli corazzati della base. Si accorse appena del fatto che tale camion era accompagnato da una piccola scorta di robot-motociclisti e da alcune vetture blindate. Sentiva troppo dolore alla testa per poter concedere più attenzione di quella a quel convoglio metallico.
Pregò Shadow di sbrigarsi.
 
Non aveva impiegato più di un millesimo di secondo a scegliere la destinazione del Chaos Control. Il nebbioso quanto glaciale abbraccio della cella frigorifera lo salutò. Il gelo sulla pelle fece sospirare piacevolmente il riccio. Shadow si permise un attimo di ristoro, lasciando raffreddare la pelle provata dal sole. Ma non sprecò quella manciata di secondi solo per una ragione tanto futile quanto sostanzialmente inutile. I suoi occhi studiavano frenetici i nuovi coinquilini della cella: scaffali metallici che supportavano contenitori d’acciaio e vetro colmi di organi, viscere e quant’altro immersi in un liquido raffreddante.
La vista di una simile collezione lo disturbò parecchio. Fissò per un po’ quel macabro spettacolo, mentre i suoi ricordi tornavano indietro, sull’ARK. Scosse la testa, mantenendosi fermo al presente. Si impose di muoversi.
Raggiunse di nuovo la piccola grata nel muro, la scardinò senza badare di rimetterla a posto e si infilò nel condotto dell’aria. Il contatto con il metallo gelido gli bruciò quasi la pelle, ancora troppo calda. Ma lui non vi badò.
La carica esplosiva che teneva in mano era provvista anche di detonatore, quindi non c’era la necessità di trovare il deposito munizioni per far saltare tutto il laboratorio. Lui già sapeva esattamente dove piazzare la bomba: dove aveva visto quel topo e quell’altro essere furioso che l’aveva attaccato. Esattamente sopra le vasche di quelle povere creature.
 
 
Esperimento Eta556 fremeva di entusiasmo. Si guardava attorno raggiante, registrando ogni più piccolo particolare di quella sorta di scatola in movimento nella quale l’avevano infilato insieme agli altri. Faticava a rimanere fermo, i suoi occhi correvano da tutte le parti guardando con brama l’ambiente nuovo e rombante che di tanto in tanto sussultava e sobbalzava, facendo gemere le molle ammortizzarci che teneva fermi loro tre.
Lo avevano trasportato in capsula. Due possenti robot, uno per ogni estremità, l’avevano portato fuori dal laboratorio, che fino a pochi istanti prima era stato il solo universo a lui conosciuto. Per una manciata di secondi era riuscito a vedere la cosa più incredibile che i suoi ingenui occhi di topolino da laboratorio avevano mai osservato. Fuori, all’esterno, appena fuori dall’edificio vi era un … un qualcosa di indefinito e magnifico, di un colore tanto incredibile quanto reale: oltre il tetto della base ve n’era un altro ma di un colore tanto intenso che l’aveva stordito.
Un azzurro bello come quello i suoi occhi non l’avevano proprio mai visto.
Anche quella strana sostanza granulosa sparsa a terra era sconosciuta ma non impressionante quanto il tetto blu, infinitamente alto e senza pali di sostegno, per giunta! Una meraviglia assoluta.
Con un sorriso sulle labbra, aveva conservato gelosamente quelle immagini, sperando vivamente di poterle rivedere, un giorno o l’altro. Poi l’avevano infilato nel rimorchio del veicolo, lui aveva salutato con la mano i due automi che lo trasportavano e poi loro avevano chiuso tutto ed il tetto blu non si vedeva più.
Un acuto bip provenne dal suo compagno meccanico, all’altezza del collo. Eta556 lo ignorò. Quella era l’unica parola che lo strano corpo di metallo sapesse dire: bip. E la ripeteva con insistenza! Chissà cosa voleva mai significare …
Li avevano messi nella stessa vasca soltanto la notte prima, in brevissimo tempo si erano uniti insieme ed ora vivevano in simbiosi. Erano diventati amici. A quanto pareva, neanche il compagno meccanico riusciva a vivere da solo e aveva bisogno di lui. Insieme, a sentire gli scienziati, forse sarebbero riusciti a camminare. Secondo loro, lui imparava in fretta.
Sorrise guardando dritto in su, osservando la capsula dell’esperimento dal pelo rosso sospesa con le molle e la struttura d’acciaio che reggeva le tre capsule in trasporto. Il mastodontico corpo di Pelo Roso era una sagoma scura stagliata nel liquido vagamente luminescente. Sotto Eta556, invece, stava Occhi Viola e lui non riusciva a vederlo se non storcendo dolorosamente il collo.
Tutti e tre erano stati incapsulati e messi lì dentro, sospesi, in modo da subire meno gli scossoni del viaggio.
Si sentiva un po’ a disagio tra quei due, ad essere sincero. Erano entrambi molto violenti. Pelo Rosso anche più di Occhi Viola, ma lui, misero Eta556, non poteva assolutamente competere con quei due in quanto a forza e abilità combattiva. Loro avevano già fatto danni durante la permanenza nelle vasche con i compagni meccanici. Avevano tentato di scappare e Occhi Viola aveva addirittura ucciso tre persone mentre Pelo Rosso dopo aver addentato un tubo vuoto nel soffitto, era riuscito a distruggere due robot ed uscire all’esterno. Dove fosse andato, Eta556 non lo sapeva ma quando l’avevano riportato nella vasca era tutto imbrattato di una sostanza rossa e vischiosa.
Il topolino sospirò, incentrando le sue attenzioni sulle particelle di polvere vorticanti a mezz’aria, illuminate dai liquidi luminescenti delle tre capsule.
Gli scienziati dicevano che tra i tre era proprio lui il più promettente perché sapeva usare il cervello. Cosa fosse questo cervello di cui tanto parlavano era un mistero. Ma se lo dicevano loro, doveva essere vero.
E forse era proprio per quel motivo che lui era l’unico ad avere ancora gli occhi aperti: i due compagni di viaggio erano stati sedati. Dormivano. Mentre lui era sveglio e poteva guardarsi attorno. Il topolino sorrise di nuovo: magari, dopo avrebbe cercato di raccontagli di quello stranissimo tetto azzurro e di quei granuli per terra. Ammesso che i due non avessero tentato di farlo a pezzi.
Loro tre erano gli unici tra tutti gli altri fratelli ad essere ritenuti degni di trasferimento. Il motivo non lo sapeva e nemmeno se ne preoccupava. Per quanto lo riguardava, lui era felicissimo di aver visto il tetto azzurro e i granuli. Ne era valsa la pena. Tutte le punture, le scosse elettriche e la paura dello spostamento: lui era riuscito a vedere l’azzurro.
Il corpo meccanico disse di nuovo. –Bip! Bip!-
Lo faceva regolarmente. Prima un bip solo, e qualche attimo dopo altri due bip in rapida successione.
Il topolino lo accarezzò su una spalla, con fare amichevole. Forse, un giorno sarebbe riuscito a parlare anche con lui.
L’esplosione arrivò subito dopo. Un boato di una forza mai sentita dalle sue orecchie li investì brutalmente da dietro. L’onda d’urto arrivò di lì a breve, facendo sterzare bruscamente il camion e tutte le capsule che conteneva.
Eta556 si sentì schiacciare contro il vetro del suo contenitore. Vi sbattè dolorosamente la testa, ma il metallo del suo compagno gli impedì di farsi veramente male. Non così fu per Pelo Rosso che cozzò violentemente contro la sua capsula, tanto forte da incrinarne il vetro. Un ringhio gutturale gli risalì su per la gola, cosa che fece tremare il piccolo topolino. Pelo Rosso aprì gli occhi di scatto. Era sveglio. Con gli artigli attaccò la capsula già malmenata, senza però riuscire ad uscire, proprio mentre lo sportello del rimorchio del camion si apriva di botto e una moltitudine di scienziati entrò di corsa a controllare che loro tre non si fossero fatti male.
Gli occhi di Pelo Rosso scintillarono, mentre la cavia mostrava le zanne acuminate ai nuovi venuti. Eta556 li salutò con la mano, con l’intento di rassicurarli sul fatto che stesse bene e che fosse felice di rivederli. Una donna vestita di bianco ricambiò il sorriso e il saluto, avvicinandosi a lui e controllando che fosse per davvero tutto integro.
Pelo Rosso ruggì con più forza di prima, lottando contro gli scienziati che volevano sedarlo.
Occhi Viola continuava a dormire.
Ma Eta556 non vi badava. Il topolino era come ipnotizzato: oltre lo sportello aperto c’era il tetto blu!
Ma non era più solo blu. C’era anche una colonna nera e vaporosa che si innalzava portandosi dietro nuvole di scintille di fuoco.
Eta556 se ne spaventò.
Picchiettò con le nocche della mano contro la capsula attirando l’attenzione della scienziata che subito si voltò. Lui le indicò spaventato la minacciosa presenza di fumo per farle vedere che qualcosa non andava. Lei seguì il dito puntando, mezzo corazzato di metallo, e dopo guardò stupita Eta556.
Il topolino era soddisfatto: si era reso utile e le aveva fatto vedere il pericolo.
La scienziata parlò con qualcun altro, un uomo in camice bianco. Sempre confabulando, i due guardavano prima la colonna di fumo, poi il misero corpicino da roditore cyborg di Eta556.
Un frastuono di vetri infranti fece sobbalzare il piccolo topolino albino. Pelo Rosso aveva infranto la sua capsula. Con gli artigli lunghi quasi mezzo metro, potenziati con il metallo, si aprì furiosamente un varco e uscì definitivamente dalla prigione di vetro.
Ruggì di nuovo, spalancando le mascelle in modo tale da mostrare a tutti la quantità di zanne che vi stavano dentro. Gli scienziati indietreggiarono tutti, pallidi come le loro vesti, alcuni gridarono perfino.
Eta556 si rannicchiò ancor di più nella sua capsula, tirandosi indietro il più possibile. Mentre Pelo Rosso annusava l’aria, sospettoso, ritirando di qualche centimetro gli artigli, più simili a lame, che gli spuntavano dalle dita. Ringhiò a mezza voce, prima di slanciarsi verso l’esterno, correndo nel deserto a tutta velocità, come sulle tracce di qualcosa. O qualcuno.
Il panico si sparse definitivamente tra le file di scienziati. Pelo Rosso non poteva scappare di nuovo, concordò Eta556, non era corretto che lui aveva potuto correre sotto il tetto azzurro per ben due volte e lui nemmeno una. Sospirò. Avrebbe tanto voluto poter stare fuori anche lui. Ma non insieme a Pelo Rosso. Proprio no.
 
 
Anubis sollevò un sopraciglio guardando incredulo il suo compagno di squadra, nonché l’imbattibile eroe di Mobius, l’unico in grado di affrontare Shadow e di avere una mezza probabilità di uscirne vivo, azzannare con gusto un comunissimo chili-dog di misera stirpe.
La coda di Sonic ebbe involontariamente un movimento scodinzolante mentre il roditore blu si lasciava sfuggire uno squittio di pura gioia. –Delizioso!- esclamò. –Mai avrei pensato che in un semplice baldacchino da strada si potessero trovare chili-dog di simile bontà.-
Anubis sospirò, scegliendo di non commentare. A Sonic non sfuggì però l’esasperazione del compagno. –Cosa sarebbe quello sguardo sprezzante, eh?-
-Quale sguardo?- ringhiò tra i denti il cane grigio-nero, continuando a fissare immusonito un punto imprecisato dritto davanti a loro.
Sonic ghignò. –Non sei gran che a mentire, lo sai?-
Anubis gli mostrò le zanne, ma non replicò. Piuttosto si ritrovò a domandarsi per l’ennesima volta se quel frivolo quanto arrogante riccio blu fosse davvero la soluzione ai loro problemi. Era davvero in grado di tenere occupato Shadow abbastanza a lungo da permettere il compimento del piano? Aveva i suoi dubbi.
-Non giudicare le persone solo dalle loro passioni.- lo rimproverò ancora il riccio, storcendo il naso, indignato.
Anubis ruotò gli occhi d’ambra verso di lui. –E tu chiami quel “coso” una passione?-
Il lampo omicida che balenò negli occhi smeraldini di Sonic non passò sotto silenzio. –Ma chi ti credi di essere, eh?!- sbottò il riccio. –Come si può anche solo pensare di criticare un simile gioiello di gastronomia?-
-A ognuno i suoi problemi.- grugnì a mezza voce Anubis, senza che Sonic lo sentisse, troppo occupato com’era ad elogiare le mille doti di un chili-dog.
-… e poi tu saresti l’ultimo a dover parlare, dato che ti sei rifiutato di pranzare.- terminò con tono offeso il prode eroe mobiano.
Effettivamente, il cane nero non aveva mangiato nulla. –Io non ho bisogno rifornimenti alimentari tanto frequenti.- borbottò.
Sonic drizzò le orecchie mentre la sua sfrontatezza scivolava via. –A no?- si azzardò a chiedere, modellando il tono di voce in modo da renderla la più disinteressata possibile.
Un’ombra invase lo sguardo di Anubis. –Mi hanno addestrato anche a questo.-
Sonic registrò tutto, mentre esteriormente sembrava non averci fatto caso. Masticò lentamente un altro boccone di chili-dog. Si era chiesto fin dall’inizio perché gli avessero affiancato quel misterioso canide in una battaglia contro Shadow quando era risaputo che l’unico al mondo che poteva sperare di stare al suo passo era senz’altro lui, Sonic. E nessun altro. Che forse questo Anubis avesse un qualche potere strano?
-E ti hanno addestrato in cosa, esattamente?- chiese.
-Non sono affari tuoi.- fu la risposta secca.
-Ah, perdonami, eh, se volevo conoscere un po’ meglio il mio cosiddetto compagno di squadra!- sbottò Sonic.
Anubis carbonizzò il riccio con un’occhiata torva come poche.
-“Cosiddetto compagno”?- ripetè, minaccioso, invitando il riccio a spiegarsi meglio.
-I compagni di squadra dovrebbero essere utili.- ribattè Sonic. –E tu non lo sei se l’avversario sarà Shadow. Dovrò concentrarmi a salvare te, oltre che schivare i suoi attacchi e a cercare di colpirlo a mia volta.-
Anubis socchiude gli occhi, placando a fatica la rabbia che sentiva montargli nel petto. Davvero quel riccio era tanto sbadato da non aver ancora capito che lui era più di ciò che sembrava?
-Non avrai bisogno di affannarti tanto.- gli rispose. –So cavarmela da solo.-
-Sì, come no! Cavarsela da soli contro Shadow! Hai forse battuto la testa?-
-Io sono stato addestrato.- disse di nuovo Anubis incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo da Sonic.
Il riccio fece per ribattere quando una bambina, a passeggio con la madre, lo indicò di colpo gridando forte –È Sonic! È Sonic!-
Le persone sul marciapiede abbastanza vicine da sentire la voce squillante della bimba scoccarono al riccio diverse occhiate incuriosite mentre il diretto interessato salutò la ragazzina strillante che scoppiò a ridere, al colmo della gioia.
-Sei parecchio famoso.- commentò poco dopo il cane, quando si furono lasciati alle spalle la piccola e sua madre.
-Geloso, vero?- ribattè prontamente Sonic, facendogli l’occhiolino. –Ma non temere, botolo pulcioso, anche tu sarai sotto ai riflettori, se sopravvivrai al primo scontro con Shadow.-
Rimasero in silenzio, o meglio, Sonic concesse silenzio ad Anubis. Ma solo per qualche minuto.
-Dove stiamo andando, tra l’altro?-  domandò distrattamente.
-Alla base.- fu la stringata risposta.
-No, davvero?! Non l’avrei mai detto.- commentò sarcastico, mandando giù l’ultimo pezzetto di chili-dog e buttando la carta che lo avvolgeva nel primo cestino che gli capitò a tiro.
-Ci daranno istruzioni, informazioni ed equipaggiamento. Poi andremo a cercare Shadow.-
-Ancora non hai risposto.- gli ricordò il riccio.
Anubis digrignò le zanne. –Ad una delle basi secondarie sparse nella zona.- disse a malincuore.
-Quante ce ne sono?- si azzardò a chiedere il riccio, con l’unico intento di indagare.
-Non sono affari tuoi.- ringhiò il cane.
Sonic sospirò. –È un po’ difficile lavorare, così, se non so praticamente niente di voi.-
-Il tuo lavoro è combattere contro Shadow. Non ti è dato di sapere altro.-
-Non che mi invogliate a collaborare così, eh?-
Anubis gli scoccò un’occhiata tagliente. –Ti basti sapere che sono sparse in città, che coordinano le operazioni e forniscono assistenza medica.-
Sonic rallentò il passo. Incredibile!, pensò. Fare il prezioso funzionava ancora. Ma bene!
–Quindi sono lì per quando sarà davvero guerra aperta e ci aiuteranno a riattaccare insieme i nostri pezzi, giusto?- chiese di nuovo il riccio.
Anubis trattenne un brivido. Non gli piaceva il modo in cui Sonic parlava di Shadow. -Anche.- rispose. -Fungono principalmente da centralinisti per i laboratori.-
-Laboratori? Quelli per la biotecnica?-
-Quelli.-
Sonic sospirò. Sapere dove tali laboratori si trovavano sarebbe stato senz’altro utile, ma sapeva che loro non si fidavano ancora abbastanza di lui. Erano sì alleati, ora. Ma lui era stato anche alleato di Shadow e questo i ragazzi della BRC non se l’erano di certo scordato. Decise dunque di rimandare la domanda e fare una pausa con le “indagini”. Meglio non dar loro motivo di sospettare.
-Ci vuole ancora molto per arrivare a questa base secondaria?- chiese invece, grattandosi un orecchio.
-No, qualche minuto ancora e ci siamo.-
Uno squillo acuto provenne dalla tasca di Anubis. I due si arrestarono.
-Non credo sia lo zio che propone una gita in campagna, ho il dubbio.- disse piano Sonic.
-Lo zio no, ma credo che la gita ce la faremo lo stesso.- rispose lentamente Anubis, estraendo con gesti misurati, quasi sacrali, il piccolo ricetrasmittente dalla tasca.
-Allarme rosso. Allarme rosso. Soggetto Teta576 è in libertà. Ripeto: Teta576 è il libertà. Obbiettivo modificato. Priorità: rendere inoffensivo Teta576. Dalla base Gamma si è diretto verso sud-ovest. Intercettatelo al più presto .- la comunicazione morì così, con quelle parole ancora vibranti nell’aria.
Sonic scoccò un’occhiata interrogativa al compagno. Anubis, contro voglia, dovette concedergli informazioni.
-Teta576, una delle creature artificiali, è fuggita.- spiegò. -La più feroce di quelle già in grado di muoversi autonomamente e l’unica nella quale è già stato inserito il comando celebrale di catturare Shadow.-
Il cuore di Sonic mancò un colpo. –Cosa?! Volete usare quelle creature contro Shadow?!-
E poi, comando celebrale? Che cos’era mai quella nuova diavoleria?
Gli occhi di Anubis si fecero di ghiaccio. –Artificiale contro artificiale. Ma non è questo il punto. Teta576 è già fuggito una volta, dall’interno del laboratorio, il giorno dopo che gli impiantarono le informazione di targeting. Prima si era violentemente accanito contro un condotto dell’aria, poi, uccisi un paio di ricercatori è fuggito. E noi dobbiamo …-
L’aggeggio elettronico fischiò di nuovo, un trillo acuto e ripetitivo che sorprese entrambi. Anubis aggrottò la fronte, prima di premere nuovamente il pulsante.
-A tutti gli agenti in ascolto. A tutti gli agenti in ascolto. La base di ricerca Gamma è stata distrutta. Ripeto: la base di ricerca Gamma è stata distrutta. Tutti gli agenti non impegnati in missioni primarie facciano rientro alla base Alfa. Immediatamente. Gli agenti assegnati, si rechino al più presto sul luogo in questione e controllino che tutti gli esperimenti siano effettivamente morti o catturati. Non lasciatene scappare nessuno.-
Sonic e Anubis rimasero allibiti. Com’era successo? Cos’era successo?
-Noi siamo impegnati in missioni primarie, vero?- chiese piano il riccio.
Il cane annuì. –E dovremmo anche muoverci a catturate Teta576.-
Ma nessuno dei due si schiodò di lì.
La mente di Sonic aveva registrato un dettaglio, in particolare: la base Alfa. Si ripromise di investigare, in seguito.
Sonic fece un rapido calcolo mentale e, se volevano acchiappare Teta576 prima che facesse male a qualcuno … Il riccio sgranò di colpo gli occhi ricordandosi tutto ad un tratto l’articolo di giornale letto proprio quella mattina. Le centoventidue vittime. Gli si gelò il sangue nelle vene. Quei bastardi di ricercatori avevano addebitato a Shadow un errore che era stato tutto loro. Teta era scappato, aveva sterminato un intero villaggio, era stato catturato di nuovo e riportato in laboratorio. E la colpa era stata data a Shadow!
Sentì la rabbia esplodergli in petto come un vulcano ma tutto quello che potè fare fu limitarsi a stringere le mani a pugno. Chiuse un attimo gli occhi e si impose un attimo di calma.
Doveva dare peso prima alla priorità più imminente: una creatura assetata di sangue e priva di ragione era a piede libero da qualche parte a sud-ovest della base Gamma.
-Senti.- disse il riccio. –Io sono infinitamente più veloce di te. Raggiungo questo Teta e lo immobilizzo. Tu rimedia un veicolo a tua scelta e ci vediamo là.-
-Ma dobbiamo rimanere uniti!- ringhiò Anubis.- E poi la ricetrasmittente per le istruzioni ce l’ho io!-
-Non più!- la velocità leggendaria del riccio aveva colpito ancora. La radiolina aveva cambiato proprietario alla velocità del suono. –Dov’è la base Gamma, Anubis?- chiese Sonic.
Il cane socchiuse gli occhi. –Sono informazioni riservate.-
Sonic piegò la testa di lato. Se c’era una cosa che non riusciva proprio a sopportare erano i perditempo quando delle vite innocenti erano in pericolo. La voce del riccio divenne tutto di colpo fredda, priva della solita ironia che la caratterizzava. –Ascolta, sacco di pulci ambulante, da quello che ho capito quel mostro di Frankenstein è ben più che pericoloso. E io non permetterò che qualcuno ci rimanga secco perché un laboratorio si è lasciato sfuggire uno dei suoi orrori, capito?! Quindi, ora dimmi immediatamente dove si trova questa base Gamma. Ed io ti precederò.-
Anubis assottigliò gli occhi. In un attimo, dovette rivalutare l’immagine che si era fatto del riccio blu. La stoffa dell’eroe c’era, e si vedeva. Restava il fatto che lui aveva ricevuto ordini ben precisi, ma aveva come il sentore che Sonic questa volta non avrebbe lasciato perdere. Loro avrebbero finito per perdere lui, se si fossero ostinati ancora a tenerlo a freno a quel modo. E questo Anubis non lo poteva permettere.
-La base Gamma si trova nel deserto Gold.- disse piano.
-Perfetto!- esclamò Sonic, rimpossessandosi del suo solito registro spaccone. –Allora io vado. Ci si vede là!- dopo un rapido cenno con la mano, il riccio si slanciò lungo la strada sparendo alla vista, lasciandosi alle spalle una vaga scia di polvere e brusche correnti d’aria smossa.
 
 
Il sonoro sbadiglio di Knuckles invase la cucina quando l’echidna di sganasciò in una palese quanto evidente dimostrazione di noia. Era appoggiato con un gomito sul tavolo mentre si reggeva pesantemente la testa con la mano, lasciando penzolare l’altra nel vuoto.
In salotto, stravaccato sul divano, c’era Tails in una posizione del tutto simile in quanto a degrado della postura. L’unica che sembrava vispa e indaffarata era Amy che stava energicamente scodellando tra pentole e padelle cercando di dar vita ad un pasto commestibile.
Anche Cream e Cheese sembravano spenti della loro solita e vitale energia. Seduti a terra, l’uno in braccio all’altra, osservavano con sguardo annebbiato le mosse di Amy, che si spostava da un fornello all’altro.
-Mi sento inutile.- disse ad un tratto Tails dal salotto, con la testa reclinata all’indietro, esprimendo ad alta voce il pensiero di tutti i presenti.
-Potevo tranquillamente rimanermene ad Angel Island.- borbottò piano Knuckles, arricciando il naso, sdegnato. A dir la verità nessuno lo costringeva a rimanere a casa Prower, quindi le sue lamentele erano pienamente infondate. Eppure, nonostante gli sbuffi, le imprecazioni e i ringhi sommessi, anche l’imperscrutabile guardiano del Master Emerald non riusciva ad allontanarsi da quella situazione allucinante che due ricci di loro conoscenza stavano vivendo in prima persona.
E loro cinque, semplici aiutanti occasionali e qualche volta protagonisti, volevano partecipare, aiutare in un qualche modo. Ma tutto quello che potevano fare realmente era starsene in disparte e aspettare che Sonic tornasse a casa o che alla radio o alla tv dessero una qualche notizia. Erano stati esclusi dai giochi, quella volta.
Amy smise per un attimo di rimestare il contenuto di una delle tre padelle sul fuoco. Lentamente si voltò. –Per una volta.- disse tristemente. –Non possiamo proprio aiutare Sonic. Né tantomeno Shadow. Dobbiamo lasciare che se la sbrighino loro due. Far diversamente non si può.-
Tails sospirò. –Sì, ma siamo proprio sicuri che non c’è assolutamente nulla che possiamo fare?-
Knuckles digrignò i denti. –Almeno daremo un senso a questa giornata.-
Un pastoso silenzio riempì l’aria, smossa di tanto in tanto da un qualche sospiro affranto.
Fu proprio a causa di quella placidità collettiva che lo scatto di Tails fece sobbalzare tutti.
Con una furia imprevista, il volpino schizzò in piedi con la stessa foga che avrebbe utilizzato se uno scorpione gli avesse punto il sottocoda. Knuckles raddrizzò di colpo la schiena, Amy si voltò di scatto con il mestolo grondante di salsa non identificata e Cream insieme a Cheese si lasciò sfuggire un gemito sorpreso.
-Per tutti gli smeraldi! Tails!- ruggì l’echidna color brace. –Si può sapere che ti prende ora?-
Lo sguardo infervorato della volpe ruotò sui quattro paia di occhi che lo stavano studiando ansiosi, incuriositi o soltanto preoccupati.
-E se provassi a infiltrarmi dei computer di questa misteriosa associazione che perseguita Shadow?-
I quattro paia di occhi che gli fungevano da pubblico si sgranarono al limite del rotolamento fuori dalle loro orbite.
-Che cosa?!- esclamò Amy, facendo mezzo passo indietro quando una grossa e pesante goccia di salsa cadde a terra.
-Già!- Tails sembrava scintillare da tanto che era entusiasta. –Così potremo ottenere informazioni utili al caso!-
Knuckles aggrottò la fronte. –E pensi di riuscirci senza nemmeno sapere il nome di questi nemici invisibili? Voglio dire, Sonic è partito questa mattina. Dovremo aspettare che torni, così da chiedergli un qualche indizio in più, non pensi?-
Il volpino di sgonfiò, crollando di nuovo sul divano. Non si poteva violare un computer se nemmeno si sapeva a chi appartenesse. –Vero.- concesse, ma con un tono di voce tanto straziante che mosse quasi a commozione l’echidna.
Knuckles si permise un mezzo sorrisetto. –Almeno.- disse. –Sappiamo che da questa sera, quando Mister Velocità tornerà all’ovile in cerca di cibo, avremo finalmente qualcosa da fare, grazie al nostro bi-code qui presente.-
Le orecchie di Tails fremettero d’emozione mentre il volpino si voltava verso di loro, con il fuoco nello sguardo.
Si vedeva lontano un miglio che il suo cervellino stava già lavorando frenetico alla ricerca di mille e un modi per fare a pezzi il firewall di un database protetto con altrettante maniere diverse.
 
 
Shell era seppellita fino al collo sotto a pile e pile di documenti, articoli di giornali e qualunque altro pezzo di carta che avesse un qualche valore di registrazione dati. Era immersa in quell’inferno d’inchiostri vecchi anche di anni già da due ore e mezza ma il nome del riccio nero non si era ancora visto. A pari passo con le carte sparpagliate ovunque, aumentava anche il volume della sua frustrazione e della sua rabbia. Un garrito furioso le scaturì dalla gola, quando l’ennesima traccia si rivelò una mera perdita di tempo.
Ma possibile che quel dannato riccio non esistesse proprio?
Una voce, nascosta dietro alla marea di scaffali la sorprese. –Scusami, figliola.- disse. –Ma cosa stai cercando esattamente?-
La mobiana sospirò, voltando indietro la testa da sopra una spalla, incontrando lo sguardo tremolante della guardiana dell’archivio, una donna umana sui sessant’anni, dai capelli brizzolati raccolti a crocchia. Si chiamava Emma, Emma Lownn.
-Shadow The Hedgehog.- disse con un sospiro. Tre parole che illuminarono gli appannati occhi della veterana segretaria.
-Shadow?- ripetè quella con voce tremante, azzardando qualche passo in avanti, come attratta da una calamita. Una luce mai vista in lei le si accese nello sguardo con una forza fin quasi eccessiva per un corpo esile come il suo. Era una creatura assai fragile, questa Emma, fragile quanto le impolverate carte che custodiva da una vita intera. Lentamente, si avvicinò alla tavola con quella sua andatura aggobbita. L’età non era stata clemente con lei.
Con un dito sfiorò appena uno dei numerosi fogli sradicati dalla loro abituale ubicazione. Dietro agli occhiali, lo sguardo della signora sorrise. –Non troverai mai nulla, se cerchi documenti così recenti.- disse con voce lievemente arrochita.
La gabbiana sbuffò. –Che intendi dire?-
Non che non le piacesse la signora Emma, ma la sua flemma finiva sempre per irritarle i nervi.
-O forse- disse ancora la segretaria, continuando come se non l’avesse nemmeno udita. –Non troveresti nulla comunque. Loro sono venuti quasi una settimana fa e hanno cercato, proprio come ora fai tu, documenti e informazioni su Shadow.- fece una pausa. -Indossavano divise del governo, ma non sono certa che lo fossero davvero.-
Shell fissò in viso la donna. –Come?- chiese, dubbiosa di aver sentito male. Qualcuno stava sequestrando le informazioni riguardanti Shadow?
Emma sorrise. –In ogni caso, come ho già detto prima, se vuoi indagare sul passato della Forma di Vita Definitiva, devi cercare documenti molto più vecchi di quelli risalenti a qualche anno fa.-
La gabbiana aggrottò la fronte. –Non mi interessa niente di questa Forma di Vita di cui parli. Io voglio Shadow!-
La donna rise. –Stai dando la caccia all’ombra per eccellenza, figliola. O meglio, all’ombra di questa ombra. E le ombre non si possono raccogliere a mani nude. Men che meno, le ombre delle ombre.-
Ora Shell si stava innervosendo. Le era anche venuto mal di testa. –Smettila di parlare per enigmi! Sii chiara, una volta tanto!-
Emma rise di nuovo. –Seguimi, mia cara. Ti mostrerò ciò che loro non sono riusciti a prendere.-
Shell si ritrovò in piedi a seguire la donna, mentre questa ancora parlava. –Ti permetterò solo di leggere, però. Non puoi portare via nulla poiché ciò che ti mostrerò ora è il mio piccolo tesoro segreto.-
Attraversarono tutto l’archivio e raggiunsero la sala d’ingresso. Dietro alla scrivania della segretaria vi era una porta con la targhetta che recitava “privato”. Emma pose la mano raggrinzita sulla maniglia, che si aprì senza sforzo. Non era chiusa a chiave.
Al di là era tutto buio, ma spinto un interruttore, la luce elettrica tornò a correre nelle vecchie lampade al neon sopra alla scala che si inabissava verso il basso, in cantina.
Con una lentezza degna di una lumaca, Emma discese con infinita calma quei pochi gradini seguita dalla scalpitante mobiana.
Raggiunsero uno scaffale particolarmente isolato tra le casse di vecchi documenti, troppo vecchi per potere dimorare insieme agli altri nell’archivio più “attuale”.
Su quello scaffale arrugginito, tra pile e pile di vecchi giornali, stava una piccola cassa di legno munita di lucchetto d’ottone. La segretaria vi infilò una chiave dello stesso metallo e con uno stridulo lamento la scatoletta di aprì.
Emma portò il piccolo contenitore ligneo su di un tavolo, sul quale depose l’oggetto con cautela quasi sacrale. Shell si avvicinò, con il cuore che le batteva in gola.
Articoli.
Di giornale.
Emma sorrise. –Ho vissuto di persona alcune esperienze collegabili direttamente a Shadow, qualche anno fa, quando ancora Mobius e la Terra non erano collegate. Aggiungi poi lo sbalzo temporale che divide ancor più i nostri due pianeti ed ecco spiegati i quasi quattro anni di distacco tra questi eventi e il presente, anche se per voi mobiani non ne sono trascorsi più di due.- il suo sguardo divenne trasognato. –Se esistiamo ancora- disse piano –Lo dobbiamo a lui, a Shadow. E a nessun’altro.-
Gli occhi pallidi di Emma andarono a scontrarsi con quelli di Shell. –Ecco perché non credo ad una sola parola di ciò che dicono i giornali e la televisione. Non è vero che Shadow ha fatto quelle terribili atrocità! Io l’ho visto morire, capisci? Con questi miei occhi, con le telecamere di tutto il mondo puntate sull’ARK, io l’ho visto morire! Poi hanno distribuito il merito anche a Sonic The Hedgehog e non nego che anche lui sia un eroe alla pari con Shadow. Ma, se non ci fosse stato il riccio nero, Sonic da solo non ce l’avrebbe fatta a salvare la Terra dalla distruzione.-
Shell in quel momento era la personificazione dell’incomprensione.
Emma riprese, incurante. –Hanno detto molte e molte volte che lui cambiava fazione così come il vento muta direzione. Hanno detto che sarebbe potuto succedere che lui tornasse a cercare vendetta contro di noi e se l’avesse fatto per noi non ci sarebbe stato scampo alcuno. Ma io non credo che Shadow si sia pentito dell’atto altruista compiuto quattro anni or sono. Molti però lo credono.- fece una pausa. –La gente è stupida, figliola. Ricordalo. Stupida e smemorata. Metti in pericolo la loro routine e le loro famiglie e sono pronti a rivoltarsi contro chiunque, dimenticando tutti i meriti. Anche contro colui al quale devono le loro esistenze. Non c’è gratitudine, quando la sopravvivenza entra in campo. Sono stati manipolati abilmente, gli hanno lentamente fatto cambiare opinione, facendogli scordare pian piano la vera tragedia dell’ARK scaricando sempre più il merito su Sonic. Sempre su di lui e tralasciando sempre più il vero artefice. Mentre tutti i riflettori, ovviamente pilotati da quegli individui, si puntavano su Sonic, Shadow scivolava via, nell’ombra.-
Lo sguardo di Emma ora era acceso di fervore. –Loro sono arrivati a dire che l’atto che Shadow compì era stato un semplice incidente, che la sua morte era stata un errore imprevisto. Capisci?! Hanno traslato il protagonista dietro le quinte! E la gente l’ha bevuta. In quattro anni si possono fare miracoli, se si prende potere sui media. E loro l’hanno fatto, le masse gli hanno dato fiducia. Ora si apprestano ad eliminare il più grande miracolo vivente che la Natura abbia mai ideato.-
Shell fece per confessare rabbiosamente di non aver capito nulla, che la donna riprese. –Leggi, mia cara, leggi. E dopo dimmi ciò che pensi. Ne riparleremo. Ora, devi prima apprendere la vera storia dell’ARK, figliola. Quella storia che è cominciata cinquant’anni fa.-
 
 
Teta576 (ovverosia Pelo Rosso) correva e correva, non si fermava. Una piccola parte della sua coscienza gli ricordava che a rigor di logica avrebbe dovuto crollare a terra esausto già da un’ora almeno, ma sembrava che la fatica non fosse nemico che lui dovesse affrontare. I suoi muscoli non si stancavano né mai l’avrebbero fatto. Certo, il suo ritmo di corsa non poteva neanche lontanamente competere con quello del suo bersaglio, ma era comunque assai più rapido della quasi totalità delle persone comuni.
Ma a lui queste puntigliosità non interessavano: nella lista delle imminenti priorità, esisteva solo e soltanto Shadow.
Così, con la sua andatura che puntava tutto sulla resistenza e sul fatto che gli scienziati si fossero scordati di inserire in lui l’elemento chiamato “fatica”, seguiva come un segugio il suo obbiettivo, che si trovava a sole tre miglia e mezzo da lì.
Il suo radar personale impiantatogli direttamente nell’occhio sinistro gli trasmise l’allarme: qualcuno lo stava seguendo.
Ruotò appena la testa, scoprendo le zanne acuminate. Un ringhio gli risalì su per la gola, quando vide l’elicottero e cinque robot appiedati che lo stavano seguendo. Il mirino bianco nel suo campo visivo prodotto da occhi artificiali si accese di colpo, agganciando i sei bersagli, segnale inequivocabile che era pronto allo scontro.
Abbassò lo sguardo sulle proprie braccia, coperte per metà larghezza dalla controparte meccanica i cui cavi permettevano agli impulsi elettrici del suo cervello a raggiungere in maniera adeguata le membra. Mentre il suo ringhio si trasformava in ghigno, cinque mostruosi artigli spuntarono dalle dita della mano destra e altri cinque nella sinistra. Lame retrattili rinforzate di metallo, lunghe quasi mezzo metro.
Sfoderate le armi, rallentò un poco l’andatura, invertendo poi di botto la direzione di marcia e trovandosi così a correre dritto contro gli inseguitori che si trovarono inizialmente spiazzati.
Lo sbalordimento durò infatti pochi istanti.
Pochi istanti che furono sufficienti.
I robot aprirono il fuoco mezzo secondo dopo dell’elicottero trivellasse il suolo di proiettili. Teta ringhiò, scartando rapidamente di lato per evitare l’attacco dell’elicottero, il più massiccio, che sparava in doppia scia, una per fiancata. Continuò a correre, passando sotto alla macchina volante, mentre le prime pallottole dei robot gli sfrecciavano accanto attivando spie sonore di allarme che gli fischiavano direttamente nel cervello, avvertendolo sulla direzione degli oggetti contundenti in avvicinamento rapido. Non aveva difatti bisogno di vedere direttamente il nemico per sapere dove si trovasse, anche se fosse stato alle sue spalle, grazie al sistema di targeting. Ma per i proiettili scagliati il radar si limitava ad un’area di qualche metro attorno a lui, quanto bastava per evitare i colpi. Ammesso e non concesso che il loro numero fosse relativamente ridotto. Cosa che in quel momento non si stava verificando.
Balzi, scatti e capriole non bastavano più a schivare tutte quelle pallottole vaganti. Ne parò tre con la propria corazza metallica. Il piombo dei mitra schizzò via, descrivendo improbabili traiettorie tra la polvere del deserto e le volute d’aria aizzate dall’elicottero.
Teta ghignò di nuovo, mentre quella sensazione eccitante tornava a dominare in lui. Gli era mancata, quella sensazione. Del resto, era stato creato per quello. E anche per eliminare la Forma di Vita Definitiva.
Ghignò di nuovo, con le membra pervase da un insopportabile prurito, la voglia di assaggiare di nuovo il sangue.
L’elicottero armato, qualche decina di metri più in là, faceva manovra per invertire la rotta e tornare così all'attacco, ma per le unità di terra la lotta per la sopravvivenza era già iniziata. La distanza, diminuita esponenzialmente da ambo le parti, era stata azzerata allo scontrarsi delle fazioni in gioco. E ad avere la peggio non fu di certo il cyborg.
Gli artigli di Teta affondarono nel corpo metallico del primo dei cinque robot, squartandolo come se fosse stato burro. La lega speciale di quei suoi artigli diabolici permise ciò, essendo ben più dura del comune acciaio.
Il mastodontico ammasso di ferro rimase in equilibrio ancora per qualche istante, giusto quel che bastava per permettere a Teta di usarlo come pedana di lancio per attaccare il secondo robot. Lo colpì, ma di lato, a causa di un’improvvisa schivata da parte dell’automa.
Teta cozzò pesantemente contro il suolo, conficcando le proprie lame nel terreno arido a mo’ di freno per poi ruotare su sè stesso e scagliarsi di nuovo all’attacco per finire l’avversario che, danneggiato dal colpo infertogli, non fece in tempo a schivare. Cadde a terra con un tonfo, sollevando sabbia dalla terra secca.
Il terzo robot fece fuoco, costringendo la cavia da laboratorio ad un rapido balzo, spiccato in verticale. La sabbia esplose quando i proiettili vi si conficcarono. La piccola nube creatasi non infastidì minimamente lo svolgersi della battaglia poiché nessuno dei combattenti utilizzava sensori visivi biologici. Certo, la vista meccanica aveva dei limiti, se si trattava di localizzazione a calore, a infrarossi o a magnetismo in un turbine di sabbia rovente, ma loro non fecero nemmeno finta di rallentare il ritmo di battaglia.
Teta saltò addosso al primo robot che gli capitò a tiro, colpendolo con precisione chirurgica al fascio di cavi che collegava il sistema operativo dell’automa al generatore energetico. Il colosso si bloccò a metà movimento, come per incanto, per venir abbattuto subito dopo da un poderoso calcio dal suo piccolo avversario per metà costituito da carne che non esitò un attimo a balzare addosso ad uno dei due sopravvissuti in avvicinamento. Fece per colpirlo quando la nube si disperse di colpo accompagnata dal rombo delle eliche del veicolo volante che faceva piazza pulita della sabbia, avvicinandosi all’obbiettivo. Teta ruggì, sbilanciato nel suo salto dalla corrente d’aria. Ripiombò al suolo, scoccando un’occhiata furente all’elicottero.
Certo, il loro compito era quello di bloccalo, ma farlo senza necessariamente ucciderlo era un’impresa particolarmente ardua. Non per questo i tre attaccanti rinunciarono.
I due robot aprirono il fuoco di colpo, simultaneamente. Teta spiccò di nuovo un poderoso salto verso l’altro, mirano sorprendentemente all’elicottero. L’uomo posizionato dietro al mitra sinistro venne ridotto a fette, insieme alla fiancata della libellula di ferro: Teta era dentro. Pilota, copilota e l’altro artigliere finirono come il loro compagno. A poco servirono i disperati colpi di pistola che qualcuno riuscì a sparare.
Un ultimo colpo alla coda della macchina voltante e l’intero elicottero si schiantò rovinosamente a terra, sollevando ben più di una nube di sabbia e travolgendo nell’esplosione anche uno dei due robot supersiti. L’ultimo rimasto fece fuoco verso  il corpo di Teta, saggiamente balzato via dal veicolo in collisione ed ora sospeso, a metà salto, sulla colonna di fumo e fiamme delle due macchine brucianti. Teta576 si avvitò su se stesso, evitando con una miracolosa contorsione le pallottole sparate contro di lui. Atterrò pesantemente subito dopo, spaccando lievemente il suolo, già screpolato dal sole, per poi subito scattare verso il sopravvissuto che aprì nuovamente il fuoco sfruttando entrambe le braccia. Non gli servì.
Stridio di metallo contro metallo e il suo corpo finì a terra, aperto come una lattina di sardine.
Teta si concesse un respiro, con tutti i muscoli frementi d’eccitazione.
Si guardò in torno per controllare l’effettiva disfatta dei nemici. Il suo computer incorporato confermò la vittoria, non percependo segnali elettrici dai robot. Per i tre umani a bordo dell’elicottero non c’era nemmeno da porsi il dubbio.
Teta576 lentamente si voltò, tornando a focalizzare la propria attenzione al suo bersaglio primo. Una spia gli si accese nel campo visivo dell’occhio destro, indicandogli la direzione da prendere. Un ultimo ringhio e Teta riprese la corsa, puntando dritto al riccio nero. 

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Capitolo 8
*** 7. Teta567 ***


Una vita e mezza passò dall'ultima volta che aggiornai. Ma ora, finalmente, ce l'ho fatta! l'ispirazione è tornata. Mi son seduta al pc oggi alle tre di pomeriggio e m sono alzaata alle sette e mezza di sera. 
Come sempre, io mi sono impegnata al massimo e spero di esser riuscita a creare una battaglia avvincente (gente! 11 pagine word di scontro! mai fatta una cosa del genere!).
Come sempre, dalla foga di vedere se il mio lavoro vi è piaciuto o no, ho pubblicato senza rileggere (parliamoci chiaro: non ne ho la forza). dunque, se ci saranno ripetizioni datemi tranquillamente la colpa. Se ci saranno errori di battitura, la colpa è del nuovo pc ricevuto a natale ^v^
Già che ci siamo, Buon Anno a tutti!

ora vi lascio alla lettura!
Enjoy!

 
-Capitolo 7-
-Teta567



 
 
Shadow si voltò di nuovo. Quella volta ne era certo, non l’aveva immaginato: lo scricchiolio c’era stato davvero.
Socchiuse gli occhi color rubino e si immobilizzò, fermo sotto agli alberi, concentrato su quel sottilissimo suono di un rametto spezzato. Fortunatamente per lui – e sfortunatamente per quell’idiota che lo stava seguendo – il suo udito era più che raffinato. Se ci fosse stato Sonic o qualcun altro al suo posto, probabilmente non si sarebbe accorto di esser seguito. Eccezion fatta forse per Rouge, la cui natura di pipistrello le aveva donato addirittura gli ultrasuoni.
Ma qui si stava parlando di Shadow, e le creature viventi, meccaniche o meno, in grado di prenderlo di sorpresa erano pochissime, per non dire inesistenti. E quello là dietro non faceva eccezione.
Shadow sbuffò appena, richiamando a sé una scintilla del potere di Chaos, che gli frizzò tra le dita, pronto a scattare non appena quell’altro si fosse mosso.
L’inseguitore non tardò a slanciarsi fuori dal suo nascondiglio, con un ringhio schiumante che gli risaliva con rabbia la gola. Per una frazione di secondo, gli occhi di Shadow incontrarono del misterioso pedinatore.
Lo riconobbe.
Per quanto il riccio nero fosse pronto alla battaglia, non era minimamente preparato alla vista di un simile avversario. Mai si sarebbe immaginato un nemico del genere, specialmente non dopo la distruzione del laboratorio di ricerca. E, soprattutto non lui, quello che già una volta aveva provato ad attaccarlo, nel condotto d’aria del laboratorio ormai distrutto.  
Un guizzo di preoccupazione (già, preoccupazione) gli montò in petto: come aveva fatto a trovarlo con tanta facilità in mezzo al nulla? E com’era sopravvissuto all’esplosione?
Ma per le domande non c’era tempo.
Gli artigli di Teta tagliarono l’aria, nel punto esatto in cui mezzo secondo prima stava il riccio nero. Shadow si spostò di lato, giusto quella manciata di centimetri per non venir colpito e per non dover spendere energie a parare il colpo.
Chaos crepitò, e lo Spear si abbatté in tutta la sua scintillante forza contro Teta, ad una distanza praticamente nulla, con i conseguenti e ancor più devastanti danni. La cavia da laboratorio ululò, piegando indietro la testa. Per un attimo oscillò, stordita dal colpo subito di notevole potenza, tuttavia non perse l’equilibrio. Riuscì in un qualche modo a rimanere in piedi, scoprendo l’aguzza dentatura –troppo simile a quella di un lupo- in una smorfia di dolore.
Shadow non perse tempo. Gli sferrò un calcio – forte come solo una gamba abituata a correre alla velocità del suono riuscirebbe a sferrare – esattamente nello stesso punto in cui il Chaos Spear aveva colpito. Teta crollò al suolo qualche metro più in là. Ansimando, il cyborg voltò a fatica la testa verso il suo nemico, mantenendo il contatto visivo, indispensabile in qualunque scontro, ancor più in quello. Shadow e Teta trassero quasi all’unisono un profondo respiro, forse il primo da quando era scattata la lotta.
Vista l’ingente quantità di sangue che stava lentamente ma inesorabilmente inzuppando il fianco di quel bizzarro mix di metallo e carne, Shadow non si sarebbe stupito se Teta avesse impiegato almeno un paio di minuti per riprendersi dallo Spear e dal calcio. Si sorprese abbastanza, dunque, quando lo vide rimettersi in piedi nel giro di qualche secondo.
Il riccio sollevò un sopraciglio.
Resistenza davvero notevole. Fin troppo.
Teta era esitante ad attaccare di nuovo, valutava la situazione, e il riccio ebbe tutto il tempo di studiare l’avversario.
Era alto. Più di lui. E anche più massiccio, poco slanciato ma ugualmente rapido. Aveva il pelo rosso, di media lunghezza, eccezzion fatta ovviamente per le parti meccaniche. Il metallo, difatti, gli ricopriva parte delle gambe (probabilmente, pensò il riccio, per sostenere il peso del corpo), quasi per intero le braccia, sulle quale c’era inciso il nome “Teta567”, e parte del cranio. Una striscia d’acciaio gli correva tra le orecchie aguzze, come quelle di un lupo, arrivando fin in mezzo agli occhi, che erano interamente meccanici. Due telecamere, insomma. Forse, attraverso quegli occhi, qualcuno in quel momento li stava osservando da dietro un monitor.
Shadow ringraziò mentalmente il proprio carattere solitario che l’aveva portato ad allontanarsi da Rouge per una breve passeggiata, incontrando così quell’avversario in un luogo ben lontano dalla pipistrella e dalla base, cioè in un boschetto a qualche chilometro di distanza. Se davvero qualcuno stava guardando attraverso gli occhi di quell’essere, non avrebbe mai potuto capire dove ora si trovassero loro due ora.
E Rouge sarebbe rimasta al sicuro, fuori dalla portata di quella creatura straripante di intenti omicidi.
Infatti, l’intera concentrazione di quell’essere, tutta la sua attenzione, pure il suo corpo pareva interamente votato al nemico spinato che si trovava ora davanti a lui. L’essenza stessa di Teta era riversata per intero su Shadow, con il primordiale istinto di farlo a pezzi. Niente mezze misure. Uccidere.
Era follia. No, peggio. Assenza di ragione.
Teta ululò, fendendo l’aria con i suoi otto artigli, lunghi almeno un mezzo metro buono. Balzò all’attacco.
Mentre Teta si slanciava verso di lui, e il riccio si metteva in posizione di difesa, Shadow notò un dettaglio piuttosto raccapricciante. Anzi, si stupì di non essersene accorto prima. Gli artigli di Teta grondavano di sangue fresco.
E non poteva appartenere a Shadow, non essendo lui stato colpito. E non poteva arrivare nemmeno dallo squarcio al fianco di Teta, la posizione e la direzione degli schizzi escludeva questa possibilità. Era sicuramente di qualcun altro.
La frazione di secondo impiegata per formulare quel pensiero passò, e il ruggito di Teta riportò alla realtà il riccio che con un altro balzo evitò nuovamente l’assalto diretto del cyber-lupo, che però proseguì l’attacco nonostante la schivata, balzando all’inseguimento del  riccio qualche metro più in là. Sfoderò una velocità notevole, molto di più rispetto a prima, inaspettata in un corpo di quella mole. Shadow sbuffò. Schivare non poteva più, nemico troppo vicino. Teletrasportarsi … spreco di energia.
Pose con decisione il proprio braccio tra se e il muso furioso di quella belva. Gli artigli di Teta cozzarono contro l’anello inibitore di Shadow, metallo contro metallo, senza fare danni al corpo del riccio.
Gli occhi del semi-lupo scintillarono di furore, frustrazione e incomprensione.
Erano in stallo, anche se per poco, ad una distanza praticamente nulla. Teta mostrò nuovamente al riccio le proprie zanne, mentre invece gli occhi di quest’ultimo caddero sulla ferita al fianco della cavia da laboratorio, magari con il remoto pensiero di eseguire nuovamente lo stesso stratagemma di poco prima. Pelle stracciata e in parte bruciacchiata sui bordi, carne viva e slabbrata che riversava sangue, poteva quasi vedere i muscoli veri e propri tendersi allo sforzo di Teta per contrastare la sua resistenza. Forse, quel biancore era una costola. No, era uno scintillio di metallo.
Quella creatura aveva le ossa di metallo.
Non che Shadow fosse una cima in empatia, ma quella ferita aveva proprio l’aria di fare male. Ma Teta non pareva nemmeno accorgersene, il suo sguardo rimaneva infisso su Shadow.
Resistenza fuori dal comune. Soglia del dolore ben oltre la normalità.
Al riccio scappò un ghigno.
Loro due, almeno sotto quell’aspetto, erano uguali.
 
 
Sonic aveva le ali ai piedi. E se era lui a dirlo, voleva dire che stava davvero toccando velocità sfiorate ben raramente pure da lui.  
Stava bruciando in quei chilometri tutta la tensione, la rabbia, la frustrazione e l’incommensurabile voglia di prendere a pugni un paio di persone di sua conoscenza che aveva accumulato negli ultimi tempi. Era stato fermo e buono troppo a lungo, si era trattenuto troppo, facendosi quasi del male fisico per riuscirci.
Ed ora la libertà gli accarezzava nuovamente gli aculei sottoforma del solito vento che andava a crearsi mentre lui si lasciava alle spalle miglia e miglia di terra.
Davvero! Gli sembrava di essere rinato.
Era stato uno sforzo più grande di quanto avesse immaginato, fare il doppiogiochista. Rimanere calmo e paziente non faceva per lui. Ma lui lo faceva per qualcuno.
Un riccio, proprio uguale a lui, che aveva avuto però la sfortuna di incappare nei piani di vendetta di persone dallo squallore indescrivibile soltanto perché era nato in una maniera un po’ particolare. E se un amico – un fratello, quasi - era nei guai, lui aveva il sacrosanto dovere di aiutarlo. Se poi quel qualcuno era il famigerato riccio nero, Sonic si sentiva in obbligo di triplicare gli sforzi.
Il debito che aveva verso di lui era troppo grande per essere colmato. E la speranza di riuscire a riempire anche solo un po’ quell’abisso era l’unico motivo che riusciva ancora ad impedirgli di dar di matto e suonarle di santa ragione a quel rognoso cane che gli avevano piazzato alle calcagna.
Un ombra di tristezza gli velò lo sguardo.
La ricetrasmittente che teneva in mano emise un altro di quegli odiosi bip-bip attirando l’attenzione del roditore blu. Sonic diede una rapida occhiata al piccolo schermo e, consultati i due  puntolini lampeggianti che avrebbero dovuto rappresentare lui e la cavia da laboratorio, modificò appena la rotta, aggiustando la direzione.
Aveva sulla coscienza ben due morti da parte di Shadow. E per quella volta – l’unica volta – che quell’insopportabile e irritante riccio nero aveva bisogno di un aiuto, anche se piccolo e non in prima fila nell’azione, come poteva dirgli di no?
Shadow aveva dato tutto. Due volte.
E lui, Sonic, cosa stava facendo, in quei momenti, mentre il suo miglior nemico crepava al posto suo?
Abbassò lo sguardo. Lui era rimasto fermo a guardarlo morire.
Purtroppo per il nostro Sonic, abbassare lo sguardo non fu una grande idea, specialmente poi se si è soliti macinare una qualche decina di chilometri in pochi secondi. Sta di fatto che, preso nei suoi pensieri, Sonic non vide minimamente verso cosa si stava muovendo. E quando se ne accorse, per poco non gli venne un infarto. Frenò giusto a tempo, trovandosi però nel bel mezzo.
Sangue. Per terra. Quattro corpi. Due dei quali decisamente troppo piccoli.
Una tovaglia da pic-nic a quadretti bianchi e rossi. Due zaini da montagna. Un pallone da calcio. Una bambola con un vestito rosa. Un paniere con dentro una torta. Quattro piatti disposti a cerchio. Una piccola scatola di plastica contenente dei mirtilli. Due bastoni da trecking. Sangue, carne, ossa, membra, organi sparsi un po’ tutto attorno.
Il chili-dog risalì dallo stomaco del riccio.
 
L’esoscheletro di metallo scuro di Pelo Rosso cigolò pericolosamente al calcio sferrato dal riccio nero, ma la lega rinforzata resistette alla forza della Forma di Vita Suprema. Teta però venne scagliato indietro dalla potenza dell’urto, mezzo secondo di sbilanciamento fu più che sufficiente per permettere a Shadow di tornare all’attacco. Il Chaos Spear si abbatté contro la cavia da laboratorio, filtrando poi crudelmente nelle componenti meccaniche del corpo di Pelo Rosso, attecchendo ancor più di quanto sarebbe successo normalmente.
Teta crollò a terra di nuovo, con i residui dell’attacco elettrico che ancora correvano su e giù per le sue membra metalliche. Rantolava, e i suoi sensori di vista erano per metà oscurati e per l’altra metà invasi da sfarfallii bianchi e neri. Insomma quell’attacco diretto esattamente alla sua schiena, centro di quell’esoscheletro, a sentir quei pazzi di scienziati, avrebbe dovuto proteggerlo da Shadow, anziché condannarlo a patire il doppio di quanto sarebbe stato senza quella specie di sostegno per il suo corpo. Teta digrignò i denti, rialzandosi di nuovo, mentre ogni singola cellula gli mandava ripetutamente segnali di danni e pericolo di rottura, in pratica ciò che veniva comunemente inteso come dolore. Ma non c’era posto nella sua mente per simili pensieri.
Shadow. Solo Shadow. Shadow morto.
Balzò di nuovo all’attacco, mentre un flebile e intermittente mirino di target si materializzava nel suo campo visivo, sulla sua retina, inquadrando la figura di Shadow. Il riccio spostò il peso su una gamba e poi sparì.
L’aveva fatto già innumerevoli volte, durante quello scontro. E continuava a farlo. Sparire così, di punto in bianco era un bel problema per il radar personale di Teta.
Pelo Rosso distorse la bocca in un ghigno. Ma quella volta, il riccio non l’avrebbe fregato più.
Era troppo veloce per venir colpito, o anche solo visto. Era troppo rapido, spariva a mezz’aria e ricompariva dove più gli aggradava e fin ora non aveva mancato un colpo.
Creava fulmini, correva sulle fiamme, lo spazio si piegava per lui e il tempo rallentava ad un suo gesto.
Il nemico peggiore che si potesse immaginare.
Gli scienziati del laboratorio non avevano fatto un buon lavoro. Lui, Teta, non aveva speranze di sconfiggerlo e compiere la missione che loro stessi gli avevano dato. La velocità d’azione che gli era stata concessa, la sua forza e la sua resistenza, avevano perfettamente funzionato contro il manipolo di robot venuto a riacciuffarlo. Ma soltanto perché loro erano meno rapidi di lui. Contro un avversario come Shadow, infinitamente più veloce e subdolo di quei robot, le sue tecniche di battaglia si stavano rilevando inutili.
Una missione impossibile già di partenza, la sua. Ma non importava.
La missione prima di tutto, sempre e comunque la missione. La missione. Doveva catturare Shadow. Uccidere Shadow. Fare a pezzi Shadow.
Il crepitio di tuono del Chaos Control era un preavviso troppo flebile per poter permettere a Teta di schivare il fulmineo attacco di Shadow.
Si ritrovò dunque a terra per l’ennesima volta, mentre quella furia che sentiva montargli in petto crebbe ancora di volume raggiungendo quasi la soglia critica. Lentamente, si rimise in piedi.
Una piccolo sensore avvertì Teta proprio in quel momento che la quantità di sangue che gli rimaneva in corpo era troppo poca. Principale fonte di perdita liquidi: l’orrida ferita al fianco, la prima che gli era stata inferta. Un’altra fitta di “allarme-danno” lo invase, insieme ad una sensazione completamente nuova di spossatezza. Le ossa gli cigolarono, insieme alle controparti meccaniche, in particolare dove Shadow lo aveva precedentemente attaccato, specialmente sui punti vitali. Ci aveva provato, il riccio, a farla finita subito, ma il corpo di Teta era corazzato.
Shadow balzò all’attacco di nuovo ma, questa volta, Pelo Rosso percepì qualcosa di nuovo.          
Mentre il riccio sterzava di lato per attaccarlo da dietro, la mente di Teta colse un particolare che prima non aveva notato. Sentì, senza capire esattamente come, l’elettricità residua che ancora avvolgeva il corpo del nemico. Con tutti i Chaos Spear che Shadow aveva lanciato, irrimediabilmente aveva resto piuttosto elettrica l’aria, specialmente intorno a sé. Teta sbattè un paio di volte le palpebre meccaniche. Se si concentrava, riusciva a sentire l’elettricità di Shadow cozzare contro la superficie metallica del proprio corpo.
Il metallo, ottimo conduttore, lo avvertiva tramite micro scosse elettriche dei movimenti del riccio, anche se i suoi sensori visivi non riuscivano ad inquadrarlo.
Così, quando Shadow gli fu dietro per sferrare il suo colpo, Teta schivò l’attacco, afferrando al contempo il braccio del riccio, che sgranò appena gli occhi.
Per la prima volta, Teta riuscì a toccare Shadow. Gli sferrò una ginocchiata a piena forza sul ventre. Sentì quasi l’onda del proprio urto invadere gli interni del riccio, che si lasciò sfuggire un gemito, piegandosi a metà. Sfoggiando una forza sorprendente per un misero essere d’ossa, sangue e carne, Shadow balzò indietro, strattonando via il proprio braccio dalla presa di Pelo Rosso.
-Cominciavo quasi a credere che sapessi attaccare solo frontalmente.- commentò il riccio, tenendosi una mano sulla pancia ancora dolorante.
Teta, in tutta risposta, gli mostrò le zanne.
Ruggì a pieni polmoni scagliandosi subito dopo all’attacco. Fece una finta, che però non riuscì nell’intento. Il riccio ignorò il fasullo attacco da destra, per concentrarsi su quello reale, proveniente da sinistra. Shadow afferrò il braccio di Teta, bloccandogli il movimento, per poi ricambiare la ginocchiata al cyborg. Che sortì però un effetto praticamente nullo. Teta ghignò piano, scrollandosi via di dosso il riccio.
 
Shadow atterrò poco più in là, assottigliando lo sguardo. Resistente, davvero troppo. Forse quasi più di lui.
Teta balzò di nuovo in avanti. Shadow chiamò a sé il potere di Chaos e si teletrasportò via, lasciando che gli artigli retrattili del suo avversario fendessero solo aria. Gli si materializzò alle spalle, colpendogli con un calcio il dietro delle ginocchia, facendolo crollare a terra per poi colpirlo con più agio alla schiena, svuotandogli i polmoni per il contraccolpo.
Fin ora, quella cavia da laboratorio non aveva fatto altro che attaccare sempre frontalmente. Stava solo ora imparando a fare finte o attacchi indiretti ma, a parte la disumana resistenza e tolleranza al dolore e la sorprendente forza bruta, non aveva nulla di particolare. Era veloce, sì, ma nulla di paragonabile alle movenze di Shadow, o di Sonic. Aveva una buona potenza muscolare, forse poco più di Knuckles. L’unico suo punto forte indiscutibile era la resistenza. Ne aveva già incassati tanti, ma tanti, di colpi, anche in punti vitali. Eppure era ancora in piedi e schiumante d’energia per combattere. L’esoscheletro metallico era un problema, forse la spiegazione a quell’insolita resistenza.
Non era metallo normale, quello, poco ma sicuro. Ne aveva già abbattuti a dozzine di robot forgiati di purissimo acciaio senza alcun problema, ma, per una qualche strana ragione, la cavia da laboratorio pareva inaffondabile. Non importava quanto forte venisse colpita, quella corazza resisteva.
Teta non era un avversario poi così formidabile, nulla che minacciasse direttamente la vita di Shadow. Eppure, l’istinto del riccio continuava a suggerire che ci fosse dell’altro, che non poteva essere tutta lì l’arma di distruzione di quegli scienziati che giocavano a fare gli dèi. Forse, quella creatura che ora aveva di fronte, non era ancora completa del tutto?
Forse non era stata mandata da lui, forse era semplicemente evasa.
Teta fece per rialzarsi e Shadow attivò il Chaos Control, mettendoci però più energia rispetto alle altre volte e, invece che teletrasportarsi, congelò il tempo. La cavia da laboratorio si bloccò a metà dell’atto di rialzarsi dalla posizione genuflessa, con gli artigli destri poggiati a terra per mantener saldo l’equilibrio.
Shadow si prese un attimo per osservare con più attenzione un misterioso fascio di cavi che sbucava dalla nuca del cyborg per poi andare a conficcarsi di nuovo nel suo corpo qualche centimetro più sotto, nella schiena. Non li aveva visti, prima.
Si chiese distrattamente se, tagliando quelli, la vita del cyborg, o almeno i suoi movimenti, sarebbero stati interrotti.  Li sfiorò con un dito, sentendo il Chaos Control che premeva per venir rilasciato. Non poteva fermare il tempo per sempre.
Ma, sull’atto di strapparli, si fermò. Uno strano suono …
L’albero dietro di lui si schiantò di colpo, seguito a ruota da altri quatto, tutti in differenti posizioni.
L’inconfondibile sfrigolio di congiunture meccaniche e cuscinetti a sfera gli diedero la conferma. Svelto, affibbiò un calcio a piena forza sul cranio di Teta, rilasciando al contempo il Chaos Control e facendo così schiantare il poveretto a terra. Mentre il cyborg giaceva, chiedendosi cosa accidenti fosse successo, Shadow era già voltato verso i nuovi venuti, con due scintillanti Chaos Spear nelle mani, pronto alla battaglia.
Cinque, enormi robot, che in altezza gareggiavano ad armi pari con gli alberi, si stavano avvicinando, accerchiando lui e la cavia da laboratorio che, finalmente, stava cominciando a dare segni di cedimento.
Erano unità da guerra, d’assalto pesante, muniti di armi da fuoco a grosso calibro installati un po’ ovunque. Lanciarazzi sulla schiena, due per robot per un totale di dieci. Quindi, tra mitra, cannoni e lanciarazzi ce n’era proprio per tutti i gusti.
Ovviamente, tutte quelle bocche da fuoco erano rivolte ai due residui da laboratorio al centro dello spiazzo d’alberi abbattuti.
Shadow maledì mentalmente sé stesso per non essersene accorto prima, impegnato com’era a vedersela con Pelo Rosso, che si stava lentamente tirando in piedi. Ma quei robot, si chiese il riccio, erano venuti per lui o per quella cavia?
Valutò di usare la via rapida di fuga e andarsene ma, si disse, il nemico che non si sconfigge oggi è quello che si dovrà affrontare domani. E dei bestioni come quelli era meglio toglierseli di torno subito.
Scattò verso quello che gli stava di fronte, scagliandogli contro i due Chaos Spear contemporaneamente. Il robot alzò le braccia, come per difendersi, parando così l’attacco elettrico che si propagò però per il resto del suo corpo metallico. Shadow si sarebbe aspettato almeno un attimo di paralisi in una macchina, se colpita da un simile attacco, ma il robot, a parte due nerastre bruciature sulle braccia, non parve accusare danni. Gomma, intuì il riccio, avevano foderato quell’ammasso d’acciaio di gomma, salvaguardando cavi, giunture e motori interni da scosse elettriche esterne. Gomma, o qualcos’altro di simile e di isolante.
No, si disse Shadow, quei robot erano venuti per lui e lui soltanto, non per Teta. Erano attrezzati a dovere per vedersela con lui senza andare subito al tappeto.
Tutti questi ragionamenti in una frazione di secondo, mentre il riccio era slanciato in corsa verso quel robot, e mentre tutti gli altri aprivano il fuoco, scaricando grappoli di proiettili di varia forma e natura contro di lui, coinvolgendo anche Teta. Evidentemente, era un pezzo sacrificabile. O semplicemente di minor importanza se paragonato al premio finale, la Forma di Vita Definitiva.
Shadow balzò, incrementando ancora la propria velocità, appallottolandosi ed eseguendo uno Spin Dash contro il robot, che intanto non faceva altro che sparare con ogni mezzo che aveva, senza pero riuscire nell’intento.
Il pensiero che, forse, anche l’acciaio di quel robot avrebbe potuto essere rinforzato come il metallo di Teta, attraversò troppo tardi la mente del riccio, che ormai entrò in collisione con il corpo meccanico del nemico. Fortunatamente per le ossa di Shadow, quella lega metallica, seppur più dura del solito, si piegò ugualmente al suo attacco, permettendogli come sempre di attraversare per intero il robot, disintegrandolo. L’esplosione e l’ondata d fiamme che seguirono, accompagnarono l’atterraggio del riccio che, sfruttando il tronco di un albero miracolosamente ancora in piedi, sfruttò il proprio slancio per tornare subito nuovamente in azione.
Se, per una sola frazione di secondo, Shadow aveva immaginato che Teta avrebbe combattuto contro i robot per salvarsi la pelle, si era sbagliato di grosso.
La cavia da laboratorio gli saltò addosso, in corsa, sbilanciandolo e costringendolo ad una capriola al suolo per evitare di schiantarsi. Proprio, il cybrg non aveva il senso della priorità!
Due dei cinque robot stava sparando a lui, e cosa faceva Teta? Ancora tentava di ammazzare Shadow.
Teta sventolò la parvenza di coda che aveva attaccata al fondo della schiena e ruggì, mentre una raffica di proiettili gli si abbatteva tutt’intorno, sollevando terriccio e lembi d’erba.
Shadow non sprecò più tempo di quello per la cavia. Tornò subito all’attacco, mirando al secondo robot. Attivò a metà il Chaos Control, tenendo sott’occhio tutto lo spazio circostante. Proiettili vaganti strappavano zolle alla terra, sollevandone schizzi ovunque, oppure scheggiavano gli alberi che esplodevano in nugoli di corteccia e legno, sparando frammenti lignei ovunque. Due razzi vennero lanciati dal robot più distante, entrambi si diressero automaticamente verso Shadow, puntando dritti a lui.
Pattinando, non fu difficile evitare il primo, che si schiantò a terra, dilagando fiamme ovunque. Al già tormentoso ambiente, si aggiunsero dunque alberi in fiamme, rami incandescenti che cadevano al suolo e foglie svolazzanti incendiate.
Shadow si voltò appena verso i residui dell’esplosione, concentrandosi sul secondo missile, che aveva sterzato ad un nulla dal suolo e che ora stava proprio dietro di lui. Ritornando all’idea originale, il riccio puntò ad uno dei robot, sperando di far fare al missile tutto il lavoro di abbattimento.
Il robot in questione cominciò a sparare all’impazzata contro il nemico in rapidissimo avvicinamento, che, pattinando a zig zag non ebbe problemi a schivare i proiettili (sempre con il missile dietro), per altro non particolarmente precisi. Shadow dunque teneva contemporaneamente d’occhio il razzo dietro le sue spalle, Teta che ancora lo inseguiva, le pallottole esplosive dei suo bersaglio e tutte le altre sparate dai robot restanti, alle quali si aggiunsero quattro nuovi missili.
Corse veloce come il suono verso il benedetto robot, arrampicandocisi sopra, accelerando sempre più l’andatura e staccando di qualche metro il missile, quanto gli bastava per scavalcare le spalle della macchina e piazzarcisi dietro e facendo così cambiar rotta al razzo che scelse la via più breve per il suo obbiettivo, schiantandosi contro il petto del robot che esplose. Chaos Control e il riccio si tolse di mezzo per tempo, evitando la seconda ondata di fiamme che travolse altri alberi, ora accesi come torce.
I quattro missili in volo ebbero un attimo di smarrimento alla scomparsa del loro bersaglio ma ebbero quasi subito il cuore in pace quando questi riapparve addosso ad un terzo robot.
Tutti e quattro i razzi si slanciarono in picchiata contro il riccio che alzò la testa a controllare che davvero si stessero dirigendo verso di lui, distruggendo così un altro robot. Ma Teta intervenne.
Spiccò un unico salto, portandosi all’altezza di Shadow, sulla spalla della macchina. Artigli sfoderati, menò un fendente, mirando alla testa, ma il riccio si abbassò per tempo evitando il colpo. Teta con l’altro braccio lo attaccò nuovamente, chiudendolo quasi in trappola in quello spazio ristretto. Gli artigli del cyborg erano ad un nulla dalla pelle nera come la notte del riccio, quando questi fece scattare definitivamente il Chaos Control, sparendo e lasciando Teta con quattro missili incendiari sulla testa.
Le onde d’urto combinate che seguirono sconvolsero le chiome degli alberi di tutta la zona circostante, in un raggio di quattro chilometri, sbattendo a terra il robot restante più vicino, avvolgendolo pure nelle fiamme, e destabilizzando l’equilibrio dell’altro superstite.
Shadow si materializzò a qualche metro da lì, osservando i due robot che ancora si muovevano. Il primo immerso nelle fiamme, ma sembrava esserne immune, come l’altro si era rivelato esserlo con l’elettricità. Il secondo che lentamente ricominciava ad avanzare verso il riccio.
Gli occhi della Forma di Vita Definitiva si volsero verso il cratere annerito che ora deturpava il volto della foresta. Ad un botto del genere, Teta sicuramente non era sopravvissuto.
Due nemici ancora in piedi. Gioco facile.
Una piccola spia luminosa ci accese sulla fronte del robot camminante. –Rinforzi in arrivo. Tempo d’attesa rimanente: un minuto e due secondi.-
Come non detto. Meglio sbrigare lì la faccenda e farla finita.
Partì a corsa verso il robot più vicino, che prese a sparargli contro, come di routine. Ma, quegli schioppi, se paragonati al fragore della quadrupla esplosione erano niente. Le orecchie di Shadow ancora fischiavano. Uno strano silenzio avvolgeva ora la radura creata artificialmente dai combattenti.
Shadow sterzò rapidamente a sinistra, evitando la doppia scia di proiettili. Aumentò l’andatura e pattinando sul fuoco si gettò contro il robot con uno Spin Dash che, per un motivo o per l’altro, mancò il bersaglio completo, limitandosi a disintegrare una spalla al nemico meccanico. Il grosso braccio cascò a terra come una mela matura.
Teneva mentalmente il conto: cinquantanove secondi all’arrivo. Aveva un senso innato del tempo, se si trattava di tener il conto dei secondi, dei minuti, delle ore che passavano.
Atterrò oltre il robot, in scivolata. Piantò una mano a terra e fece inversione totale, tornando indietro contro il nemico sfruttando il proprio slancio, ma qualcosa lo colpì da dietro, sbilanciandolo e sbattendolo a terra.
Atterrò malamente, ma, rotolando, si ritrovò subito in piedi, Chaos Spear in mano, Chaos Control pronto a schioccare, e una buona dose di aggressività nel sangue, pronto a fare a pezzi qualunque cosa si muovesse. Ma quello che vide lo lasciò basito.
Sonic the Hedgehog in persona stava in piedi, a guardarlo, con un mezzo sorrisetto stampato sulle labbra e una specie di ricetrasmittente in mano.
-Sto seguendo questo macinino arrugginito da parecchio tempo, faker.- cominciò, dando un colpetto alla radiolina. -Ma l’esplosione di poco fa mi ha aiutato davvero molto a trovare questo luogo. Non capisco però perché ci sei tu, qui. E non l’esperimento fuggito che stavo cercando.- Sonic fece spallucce. –Ero curioso di vederlo, vabbe’. Anche le vecchie conoscenze non sono disprezzabili, dopo tutto. Anche se si tratta di te.-
Shadow lasciò sfumare via i due Chaos Spear, guardando stordito Sonic.
-Ne hai fatti di casini, faker.- disse piano il ricci blu, guardandosi attorno. Un manto di cenere e foglie carbonizzate, talvolta ancora accese, cominciò a scendere sulla pianura. Una nevicata grigia, che nulla aveva di pulito e candido.
Gli occhi di smeraldo di Sonic scattarono appena oltre Shadow, sui due enormi robot.
-Wow.- commentò Sonic, piatto. –Stai giocando pesante, questa volta, amico.-
Shadow ancora non aveva detto una parola. Continuava a guardare Sonic, cercando freneticamente di capire cosa ci fosse che non andava nel suo … collega d’avventure. Perché c’era qualcosa di strano, in lui.
Stessa postura di sempre. Stessi modi di fare. Stessa parlata. Stesso irritante sorrisetto. Stessa lingua ironica.
Gli occhi, concluse Shadow. C’era un’ombra nello sguardo verde del riccio blu. Un’ombra che Shadow conosceva bene ma che stonava brutalmente con l’essenza di Sonic.
Furia, rabbia nera. Voglia di vendetta.
Per cosa, Shadow non lo sapeva, ma pareva davvero che Sonic avesse appena visto un fantasma, un qualcosa di tanto orribile da annebbiare lo sguardo solare e ridente che lo caratterizzava e che sempre lo aveva accompagnato.
Non osò immaginare cosa fosse, quel qualcosa.
-Ti vedo un po’ cupo, Sonic.- disse, cautamente.
Il riccio blu volse stancamente la testa verso Shadow. –Non è per me che dovresti preoccuparti.- rispose pacatamente Sonic. Fece un gesto con la testa, ad indicare i due robot là dietro, che parevano indecisi sul da farsi, forse confusi dall’improvviso arrivo del riccio blu, loro alleato.
Sonic diede loro le spalle, facendo in modo che soltanto Shadow potesse vedere l’occhiolino che seguì. –Ti sei ficcato in un grosso, grossissimo pasticcio, faker.- disse, calcando particolarmente la parola “grossissimo”.
Shadow piegò la testa di lato, cominciando ad intuire.
-Già- riprese Sonic, mettendo molta enfasi nel parlare, pronunciando lentamente le parole. –Non importa quanti nemici ammazzi, vero?- fece un gesto con le mani, indicando il bosco devastato. –Ne arrivano sempre altri. E altri ancora, tutti da posti diversi. Hanno però l’unico obbiettivo di catturarti, faker. Ne fai a pezzi uno, ne arriva subito un altro, che lo rimpiazza in abilità e copre al suo posto quello stesso compito comune.-
Shadow chiuse un attimo gli occhi. D’accordo, aveva capito. Sonic gli stava forse dicendo che distruggere la base nel deserto –perché lui sapeva della base- era stato un atto pressoché inutile, perché i nemici erano tanti, arrivati da “posti diversi”, suddivisi in più basi, ognuna con una specialità differente, sempre e comunque determinate a catturarlo. Gli aveva detto che il nemico contro cui combattevano era più organizzato ed esteso del previsto. Gli aveva detto che c’erano molte basi e moltissimi nemici, pronti a rimpiazzarsi. Non c’era la paura del numero in diminuzione. 
Buona parte di ciò che aveva ipotizzato lui, dunque, era corretto. Il riccio blu era la conferma.
-Proprio non hai idea di chi tu ti sia inimicato, questa volta, faker.- continuò Sonic.
Lo stava avvisando dicendogli che quello che aveva scoperto Shadow fin ora erano elementi insufficienti, che Sonic ne sapeva di più, che aveva altre informazioni. Al contempo, indirettamente, gli aveva detto che qualcuno gli stava osservando. Telecamere. Non avrebbe mai parlato a quel modo, sennò.
-Quelli che erano tuoi amici non lo sono più.- il riccio blu prese fiato. –Siamo di nuovo sui due fronti opposti, faker. Combatti!-
Sonic si mise in posizione d’attacco, gamba destra leggermente in avanti, pronto a correre, mani strette a pugno, pronto a colpire.
Era stato costretto, si disse Shadow. Del resto, gli aveva chiesto lui di fare la spia. Era giunto il momento di pagarne il prezzo.
Come se stessero aspettando solo quello, i due robot dietro i ricci scattarono. Aprirono il fuoco. Sonic scattò in avanti, Shadow partì a correre scartando a sinistra, piegando verso uno dei due robot, seguito a ruota dal riccio blu.
Se prima aveva dovuto correre con dietro un missile tenendolo a distanza, ora si trovava con Sonic sulla scia, e il riccio blu era mille volte peggio del missile. Più veloce e dotato di libero arbitrio.
Erano osservati, Sonic non si sarebbe trattenuto, non poteva. Dunque, dovevano combattere sul serio. O quasi. Il riccio blu avrebbe impedito a tutti i costi a quello nero di raggiungere i robot e distruggerli.
Tutto era lecito, tranne uccidersi davvero.
I due robot non smisero un attimo di fare fuoco. Sparavano come impazziti sui due ricci, mirando a Shadow, ovviamente, ma non potendo fare a meno di coinvolgere anche Sonic.
Sonic scattò in avanti, affiancandosi per una frazione di secondo a Shadow. Lo attaccò con un calcio, ma il riccio nero spiccò un salto, ruotando di qualche grado a destra il busto, per evitare due proiettili sparati da uno dei robot. Sonic dovette allontanarsi anche lui di qualche passo per non essere colpito da altre due pallottole.
E intanto la distanza tra loro e il robot mutilato di un braccio diminuiva. Sonic, in Spin Dash, tornò all’assalto. Shadow deviò la sua rotta con un calcio, mandando il riccio blu a sbattere contro un albero,  che si spezzò, cadendo fragorosamente al suolo.
Chaos Control e Shadow si materializzò sopra al robot, che lentamente sollevava l’unico braccio, nonché sua arma, per tentare di sparargli. Mentre Sonic si rialzava e ripartiva a correre verso il riccio nero, Shadow eseguì uno Spin Dash in verticale, trapassando da lato a lato la macchina. Come le altre volte quella esplose, ma il Chaos Control era più veloce e portò via, in salvo, il riccio nero.
La Forma di Vita Definitiva si materializzò a terra, a non troppa distanza dall’ultimo robot. Tempo di apparire e Sonic gli era praticamente già addosso, mentre il robot sparava altri due razzi, oltre alla pioggia di mitra.
Shadow saltò per evitare la scia di proiettili, facendo guadagnar preziosissimo terreno al riccio blu, già con il pugno pronto. Dovette teletrasportarsi di nuovo per evitarlo, riapparendo alle spalle del mastodontico robot, lontano dai proiettili vaganti.
Lo sguardo frustrato di Sonic non sfuggì a Shadow, ma lui non vi fece troppo caso. Preparò lo Spin Dash per far a pezzi quell’ultimo nemico prima dell’arrivo dei rinforzi, ormai imminente, quando un ringhio a lui fin troppo famigliare lo immobilizzò. Voltò lentamente la testa verso il cratere dei quattro missili, ancora fiammeggiante.
Uno dei razzi sparati dal robot rimanente gli arrivò praticamente addosso, seguito in coda dal secondo. Tenendo sempre lo sguardo fisso al fuoco del cratere, con un sangue freddo che aveva dell’invidiabile si teletrasportò due volte, apparendo e scomparendo, sempre nello stesso posto e nella stessa posizione, nella frazione di secondo prima del contatto con ognuno dei due missili, che continuarono la loro corsa solo per andare a schiantarsi tra gli alberi. Due botti, due onde d’urto, due fiammate.
Gli occhi di rubino di Shadow non si erano schiodate per un sol attimo dal cratere, le orecchie tese.
Sonic sbuffò. –E poi dicono che sono io l’esibizionista. Guarda lui! Arrivano due missili e lui cosa fa? Due Chaos Control e puf! Nemmeno si è girato! Tanto, sono solo missili. Mai sprecarsi, vero?-
Quando si accorse che Shadow non l’aveva nemmeno ascoltato, si volte pure lui a guardare la fossa di fiamme e cenere. –Cos’hai da guardare così attentamente, eh, faker?-
Con un ruggito che sembrava provenire direttamente dalle fauci dell’inferno, una figura completamente avvolta dal fuoco si scagliò fuori dalla fossa, mirando a Shadow, che schizzò indietro, fulmineo.
Gli artigli di Teta sbriciolarono il terreno su cui un attimo prima stava il riccio.
Alzò il muso, fissando negli occhi Shadow, che, dal canto suo, rabbrividì.
La pelle di Teta era ridotta ad un ammasso di carbone, uno strato nero informe che gli avvolgeva il corpo come cartavelina. Era stracciata, lacera, sfaldata, strato dopo strato, solo cenere rigata di sangue. Del bel pelo rosso rame non v’era più traccia, così come delle orecchie, della coda, del naso e delle labbra. Le guance erano come bucate, lascando sottili filamenti di carne a coprire le zanne.
Restavano solo quei residui di materia organica e l’esoscheletro di metallo, aggrappato a quelle poche fibre muscolari che ancora resistevano.
Ma, se l’aspetto era quello di un cadavere, pelle che incartocciava ossa e poco più, le movenze erano quelle di un vivo. Shadow stava a guardare con occhi sgranati quel macabro spettacolo. Teta si mosse avanti, camminando con tutta la saldezza nelle gambe che aveva prima.
Poi, Shadow capì.
Quando un lembo di pelle di staccò di netto da una spalla, sbriciolandosi, rivelò il segreto di Teta. Il secondo strato di pelle, situato sotto a quello organico, era di ferro. Piccole, lucide, minuscole scaglie di ferro avvolgevano per intero il corpo di Teta, come una cotta di maglia, tenendo al sicuro da fuoco o altro gli organi interni e i muscoli.
In pratica, Teta aveva la struttura di una cipolla. Prima esoscheletro di metallo per rimanere dritto in piedi, poi pelle e una parte di muscoli, poi cotta di maglia nonché corazza interna, ed infine muscoli veri, organi, ossa e così via. Metallo, carne, metallo, carne.
Ovviamente, tolto il primo strato di muscoli e pelle, la figura di Teta risultava molto più esile di quanto non fosse prima.
Se Shadow era rimasto turbato a tale vista, Sonic era sull’orlo del vomito.   
-Ch…che diavolo è quello?!- esclamò, il riccio ormai verde, anziché blu.
-Colui che stavi cercando, prima di incappare in me.-
-L’esperimento fuggito?- Sonic pareva incredulo.
-Proprio lui.-
-Ma cosa caspita gli è successo?!-
-Colpa mia.-
Teta spostò lo sguardo da Shadow a Sonic. Ebbe un attimo di smarrimento ma poi parve riscuotersi. Ritrovò tutta la sua violenza bestiale e si scagliò, schiumando di rabbia contro Shadow, con gli artigli protratti in avanti.
Era più veloce, rispetto a prima, come se si fosse liberato di un fardello inutile. Mentre il riccio nero saltava, evitando Teta e i suoi artigli, notò che Sonic era rimasto immobile, pugni stretti, a fissar nel vuoto dritto davanti a sé.
Sembra combattuto, pensò Shadow. Non ebbe il tempo di divulgarsi in ragionamenti vari, Teta invertì bruscamente la rotta di marcia, tornando ad attaccare il riccio nero che gli sferrò in risposta un sonoro calcio, mirando alla testa. Tutta una striscia di pelle carbonizzata si staccò di netto. Un poco di sangue colò sul volto di Teta. Non molto, solo quello non coagulato dal fuoco che restava in quei pochi centimetri di pelle prima del metallo.
Ai limitari dello spiazzo degli alberi bruciati o spezzati dai proiettili, delle figure avanzavano.
Robot.
Undici.
Armati di brutto.
Pronti a combattere e uccidere.
Shadow sbuffò.
Difendere il suo DNA stava diventando sempre più complicato.
Teta ululò, slanciandosi di nuovo all’assalto. Con la coda dell’occhio vide Sonic portarsi la ricetrasmittente all’orecchio, forse parlava con qualcuno.
Dovette balzare indietro, mentre il ringhiante mostro nato dal fuoco continuava ad inseguirlo, fendendo l’aria infiocchettata di cenere con gli artigli.
Dai margini della radura cominciarono a sparare. Essendo essi disposti a cerchio, i proiettili giunsero con precisione geometrica ovunque, invadendo tutta l’area in questione, falciando le oche pianticelle del sottobosco che erano sopravvissute.
L’unico posto che rimaneva, dunque, era il cielo. Shadow si teletrasportò su. Sonic balzò, un balzo dei suoi, vertiginosamente alto, evitando l’onda circolare di colpi. Che si abbatterono tutti, o quasi, sul povero Teta. Le pallottole gli rimbalzarono addosso, come se fossero fatti di gomma, anziché di piombo. La pelle metallica funzionava a meraviglia come protezione.
Dall’altezza cui si trovava, Shadow si slanciò in Spin Dash contro i robot appostati sotto gli ultimi alberi. Un attacco a catena che ne stese quattro prima che Sonic intervenisse. Appallottolato pure lui, colpì in pieno Shadow, scagliandolo lontano, sotto le fronde.
Nel volo, abbattè un albero e andò a fermarsi contro una quercia. Scosse la testa un paio di volte, riprendendosi dal colpo giusto quando Sonic gli arrivò addosso. Sempre in Spin Dash, lo colpì in pieno, schiacciandolo contro il solido tronco dell’albero, mozzando il respiro a Shadow.
Faceva male. Nulla da ridire.
Oltre la sfera rotante che era Sonic, il riccio nero registrò mentalmente che gli altri robot erano tutti quanti concentrati su teta. I sei rimasti in piedi stavano combattendo furiosamente contro di lui, che invece faceva di tutto per tornare da Shadow.
Davvero, non respirava più.
E nemmeno riusciva a togliersi di dosso la palla spinosa che era Sonic. Gli venne in mente una sola cosa, anche se esitò un attimo, prima di metterla in atto. In fondo, quella non era una battaglia del tutto vera. Evocò un Chaos Spear e diede la scossa al riccio blu, che si accasciò a terra, stordito dal dolore. Shadow con un salto di allontanò dalla quercia. Un filo di sangue gli scese dall’angolo della bocca. Se lo asciugò con una mano.
Il suo sosia blu gli aveva dato una gran brutta strapazzata agli organi interni, poco ma sicuro.
Mentre entrambi si riprendevano dai rispettivi colpi subiti, il suono delle eliche di un velivolo li raggiunse. Rinforzi pure dall’alto. E questi, scommise Shadow, non erano qui per riacciuffare il fuggiasco. Erano lì per lui.
Sonic era in piedi, occhi fissi su di lui, conscio anche lui del velivolo in avvicinamento. E non era detto che fosse solo uno. Molto probabilmente erano una flotta.
Sonic fu il primo ad attaccare.
Quello che seguì, fu un susseguirsi di scintilli blu o rispettivamente neri, troppo rapidi per poter esser colti ad occhio nudo.
I due ricci cominciarono a darsele di santa ragione, alla maniera loro. Scatti, corse, teletrasporti, calci, pugni. Un vicendevole scambio equo di botta e risposta ma che, sommato tutto, non fece grandi danni.
Spin Dash, Chaos Spear, Chaos Control, colpi alla vecchia maniera.
Il tutto sotto una pioggia di mitra o missili da parte delle forze aeree, che per lo più mietevano vittime tra gli alberi, più che tra i ricci.
Shadow correva, sfrecciando sotto le fronde. Aveva perso di vista Sonic per una frazione di secondo e quello era scomparsi.
Non passò molto che ritrovò il suo sosia. Il riccio blu, in accelerata rapida, lo colpì alla schiena, appallottolato. Shadow cadde, una capriola e tornò in piedi. Sonic attaccò di nuovo, dall’alto. Shadow se ne accorse, schivò il colpo e poi menò al riccio blu un pugno in faccia. Sonic rotolò via, si rimise in piedi e si slanciò contro il ricco nero ma, mezzo secondo prima di colpirlo sterzò di lato, schizzandogli dietro, facendogli credere di volerlo colpire di nuovo alla schiena. Shadow si girò e Sonic, fatto un altro giro, lo colpì al fianco destro. Chaos Spear e Sonic finì a terra un’altra volta, tutto dolorante.
Shadow non gli concesse tregua e si appallottolò. Sonic si alzò in tempo e schivò, saltò su un ramo che, flettendosi, gli diede una rinnovata spinta per tornate all’attacco. Ma la Forma di Vita Definitiva si teletrasportò, mandando in pezzi le speranze del riccio blu. Un missile mandò in frantumi un vecchio pino che viveva lì vicino. Le schegge investirono i due ricci. Sonic ne uscì incolume. Shadow aveva un pezzo di legno acuminato lungo una spanna conficcato in una spalla. Lo estrasse e la lotta riprese.
Pallottole e foglie strappate piovevano dal tetto di rami.
Più quella lotta continuava, più Shadow prendeva coscienza del fatto che, per Sonic, quel momento era uno sfogo. Ci metteva più impegno del solito (talvolta, difatti, combattevano così, per allenarsi). Ma sotto quegli alberi, Shadow, studiando i movimenti del suo amico (sì! Amico!), capì che fare il doppio gioco con gente simile era un po’ troppo per i nervi del riccio blu. Lo registrò nella mente, in seguito avrebbe pensato ad una soluzione.
A suon di calci, pugni, Spin Dash, fughe strategiche e altro, Sonic spingeva Shadow sempre più lontano da Teta. Il riccio nero sospettava che fosse stato quello l’ordine che aveva ricevuto tramite la radiolina, prima. Impegnare Shadow fino a quando Teta non fosse stato sedato.
Tempo di scambiarsi un qualche altro cazzotto e la ricetrasmittente di Sonic si fece sentire di nuovo.
-Rientrare alla base. Missione completata.-
Sonic si fermò un attimo, guardò Shadow, guardò gli alberi e poi sussurrò. –Casa di Cream, cinque giorni.-
Poi si girò e sparì, una scia azzurra nel verde martoriato della foresta.
Shadow piegò la testa di lato, guardandolo sfrecciar via.
Si accorse solo in quel momento che aveva il fiatone.
 
 
-Ma è magnifico!- urlò l’uomo in camice, in piedi davanti allo schermo. –Funziona! Ci siamo riusciti!-
L’immagine sullo schermo era un tagliato dei dati raccolti quel pomeriggio, durante la furiosa battaglia contro la Perfezione.
Uno degli scienziati davanti ai computers si voltò e sorrise. –Congratulazioni vivissime, signore. Ce l’avete fatta.-
L’uomo in camice, ghignò. –Ho donato al capo una creatura capace di resistere pure a Shadow! Capace di sopravvivere, magari, anche al suo Chaos Blast!- come colto da un’improvvisa frenesia, corse spasmodicamente davanti al monitor, additando le immagini della battaglia, viste con gli occhi del soggetto Teta567. –Ora basta incrementare le sue capacità di attacco e ci siamo!- strillò. –Solo con gli artigli non andremo da nessuna parte, ma questo era già nei piani. Armi da fuoco, armi chimiche. Sì! 567 è fuggito prima del tempo, ma, Shadow se ne accorgerà, la prossima volta che si incontreranno non andrà a finire così!- urlò, alzando le braccia al soffitto con teatralità.
La donna entrò ancheggiando dalla porta di vetro automatica. Sembrava tranquilla ma il suono dei suoi tacchi a spillo contro le lastre del pavimento tradiva furia repressa.
-Non esaltarti tanto, pazzoide che non sei altro.- sibilò tra i denti. –Non è stato questo gran successo. Se non fosse stato per il prezioso aiuto di Sonic e delle forze aggiuntive sopraggiunte, di Teta 567 non rimarrebbe nemmeno la cenere.-
L’uomo in camice si voltò, aggiustandosi gli occhiali sul naso, inquadrando la vipera umana che si trovava ora davanti. –È sopravvissuto a quattro missili. Quattro! Reggerà anche il Chaos Blast.-
-Ma, mio idiotissimo genio, il Chaos Blast  non è fuoco, come quei missili. È molto di più.- il tono di voce della donna si saturò di ammirazione e dolcezza al tempo stesso, come se stesse contemplando un gradissimo tesoro. –Quindi, spera bene che quel tuo ammasso di sangue e metallo regga al potere di Chaos oppure finirai male.-
-Sei più acida di un limone, mia megera. Basterà rifare la pelle di 567, impiantargli le armi e saremo a cavallo!-
-Non si è mai a cavallo se il nemico è lui.- disse lei, con voce annoiata, indicando mollemente lo schermo e il riccio nero raffigurato.
L’uomo sbuffò. Tramite una vetrata guardò giù, nella sala sottostante, con le capsule di contenimento. Tre, una occupata. Il corpo sedato di Teta567 risiedeva lì.
-E gli altri due?- domandò la donna.
-Vanno perfezionati.- fu la risposta. –Ma manca poco.-
-Bene. Il capo è impaziente. Vuole il DNA di Shadow.-
-Sì, sì, lo so.-
-Ricomponi quel disgraziato laggiù, e vedi di insegnargli una volta per tutte le buon maniere. Ha ammazzato altre quattro persone, oltre le cento e qualcosa dell’altra volta.-
-Già. Ho confrontato le ferite dei nuovi corpi e di quello prelevato a quel villaggio. Teta567 si sta perfezionando, è sempre più violento. Questa volta non si è limitato a squartare: ha anche smembrato, dissezionato e mangiato.-
-Mangiato?!- la scienziata sobbalzò. –Oh, che bello. Stai allevando un mostro amante della tortura che mangia il suo lavoro quando ha finito. Geniale.-
-Appunto, è da perfezionare anche lui.-
-Lo credo bene! In ogni caso, il tempo stringe. Devi preparare anche gli altri due, e anche quelli nuovi.-
-Lo so! Lo so!-
-Ci servono tutti e tre, quelli iniziali, per neutralizzare ogni attacco di Shadow.-
-Lo so, donna, lo so!-
 
A casa di Tails si era respirato un clima di tensione e attesa per tutto il giorno. Giunti a sera, i nervi di tutti erano sul punto di spezzarsi.
Aspettavano con ansia che Sonic tornasse così da scoprire quegli indizi in più per permettere al magico cervello di Tails di filtrare nei computer di quella misteriosa associazione che perseguitava Shadow.
Avevano atteso e atteso, avevano aspettato e atteso ancora, tra le chiacchiere insensate di Amy, le sfuriate di Knuckles sull’inutilità del riccio blu e i ragionamenti riconcilianti di Tails.
Quando, infine, la porta di casa Prower si aprì e il diretto interessato di tutte quelle ansie fece il suo ingresso, a tutti passò la voglia di fargli domande. O meglio, la curiosità c’era, sì, ma riguardante tutt’altro rispetto al loro piano originale.
Sonic aveva in volto un tale sguardo assassino che nessuno osò aprir bocca. Un atteggiamento che nulla aveva a che vedere con l’indole del riccio. Nessuno di loro, nemmeno Tails, il fratellino di latte di Sonic, l’aveva mai visto così alterato.
Il riccio blu entrò in casa, attraversò il salotto, zoppicando appena, raggiunse il divano e vi si sdraiò, mettendosi un braccio sugli occhi.
Amy, Knuckles e Tails (Cream e Cheese erano tornati a casa per la cena) si guardarono, perplessi.
Quando Tails, il prescelto per l’ardua missione, osò pigolare –Cosa è successo, Sonic?-
Lui ridacchiò appena, ma, anziché sollevare il morale, fece raggelare tutti.
-Quella creatura ha ammazzato un’intera famiglia a sangue freddo e io l’ho anche dovuta salvare da Shadow. Quelle persone, no, quei mostri stanno dando vita ad un orrore dietro l’altro e io li devo aiutare.-
Tails si voltò, incrociando gli sguardi angosciati di Amy e Knuckles.
-Non ancora per molto.- disse ottimisticamente il volpino. –Se lavoriamo tutti insieme, gliela faremo pagare.-
-A tal proposito.- si introdusse Amy. –Noi abbiamo un piano.-
Sonic aprì gli occhi e si tirò su a sedere. Aveva l’aria di uno zerbino calpestato ma una scintilla gli si accese negli occhi smeraldini alla parola “piano”.
 –Racconta.-
 
Rouge non impiegò più di un secondo a capire che era successo qualcosa, durante la passeggiata di Shadow.
La sua postura, il suo modo di muoversi, i suoi occhi …
-Shady, che cos’è successo?- chiese, deponendo all’istante il diamante scintillante che aveva rubato qualche mese prima.
Il riccio nero tirò dritto, senza voltarsi né rispondere. Rouge volò da lui. –Ma non siamo compagni di squadra, noi due?- sbottò.
-Te lo racconto dopo cena, va bene?-
La domanda, espressa a quel modo, lasciò stupita Rouge, che bisbigliò un tenue “va bene”, guardando il riccio nero entrare in camera sua e chiudersi la porta alle spalle.
 

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Capitolo 9
*** 8. Fazioni ***


 
CAPITOLO 8
– Fazioni - 
 


Quella mattina, Shell aveva spiegato le ali di buon ora, aveva trangugiato la colazione, aveva scritto un bigliettino per avvisare il suo fidanzato che usciva, aveva aperto la finestra ed era volata via, a fare il suo jogging aereo. Le era sempre piaciuto volare, ovviamente. Coglieva dunque volentieri l’occasione di passeggiare per i cieli, cavalcando i venti, non appena il lavoro le concedeva tregua, quindi nei week end. Quel giorno non era però né sabato né domenica. Sapendo che comunque aveva il tempo contato alla redazione del giornale, aveva semplicemente smesso di andarci. Aveva più tempo per sé.
Specialmente sulla Terra si divertiva davvero tanto a vagare qui e là, esplorando le distese di quel meraviglioso pianeta, forse solo un pochetto intossicato con gas di scarico e cemento.
Ma quel giorno aprì le ali e balzò dalla finestra non per godersi quelle due o tre orette di esplorazione.
Aveva bisogno di silenzio e solitudine, per riflettere in tutta pace.
Dunque, niente campi, villaggi o foreste sconosciuti, quel giorno. Si diresse all’elemento che Madre Natura le aveva allegato. Andò al mare.
Non era troppo distante da dove abitavano lei e Wind, giusto una mezz’ora di volata. Non era un mare caldo, quello che bagnava le coste della città. Era freddo, nordico, increspato da schiumanti onde nere, che si schiantavano melodicamente su una grigia spiaggia di ghiaia e scogli.
Insomma, non esattamente una bianca spiaggia caraibica e soleggiata, con palme da cocco e conchiglie. Ma, tra tutti, quello era il tipo di mare che lei amava di più. Un mare selvaggio e ringhiante, che non offriva divertimento alle masse. Quello era il tipo di mare che si doveva osservare e basta; uno di quelli che, a guardarlo, si finiva per vedere i propri pensieri navigare via; uno di quei mari che impone rispetto per la propria forza, per l’impeto dei suoi venti, per il fragore delle sue onde scure e della sua spuma bianca.
Un mare da gabbiani.
Anche se in quel giorno il cielo era coperto, sulla spiaggia spoglia c’erano delle persone. Anime solitarie, che bramavano sgranchire le gambe lontano dal cemento della città e riposare le orecchie dai clacson dei taxi, solo per sostituire quei rumori con i fischi del vento e i ruggiti delle onde.
Il mare chiama a sé i viventi, sia terrestri che alati, sia di habitat che non.
Lei, ora, si trovava a quasi cento piedi dalla superficie d’acqua. Dietro, i palazzi. Davanti, l’infinito.
Onde, onde, onde, onde, onde, finché la rotondità del pianeta non ne nascondeva le distese. Onde increspate di bianco, le ombre dei pesci sotto il pelo dell’acqua blu notte. 
Un antico istinto fece capolino in lei. Un tuffo e li avrebbe presi senza difficoltà, quei pesci luccicanti.
Sorrise, battendo le lunghe ali bianche e inforcando una corrente ascensionale, che la soffiò di qualche metro ancora più su.
Ecco, era arrivata da cinque minuti e il mare aveva già completamente eroso via dalla sua mente la vera ragione per cui aveva deciso di andare lì. Incredibile, come l’acqua avesse il potere di calmarla nell’anima.
Erano passati cinque giorni. E di Shadow non s’era più vista nemmeno l’ombra.
Grazie alla vecchia Emma aveva appreso la verità, che per altro l’aveva lasciata davvero sgomenta. La sua prima reazione? Si era vergognata. Vergognata di aver creduto alle marce menzogne di quei luridi della televisione. Poi, la rabbia verso sé stessa si era rivolta verso i veri artefici di quella messa in scena. O era l’intero genere umano che faceva patologicamente schifo, oppure quelle creature davano alla luce di tanto in tanto per loro natura alcuni individui specifici invasi da una sorta di innata cattiveria, risparmiando geneticamente al resto della popolazione una tale decadenza d’animo, compensata con sorda cecità. Erano le uniche due spiegazioni logiche.
La gente non sapeva, perché altra gente della stessa razza le aveva proibito di sapere.
Cose da non credere! La più grande catastrofe che avesse mai colpito il loro pianeta era stata evitata per un soffio e loro che facevano? Si scordavano di essere stati salvati a costo della vita di un riccio che non aveva nulla da spartire con loro, al contrario aveva tutte le ragioni per esigere vendetta. E non solo! Si erano anche rivoltati verso di lui, dandogli la caccia con quella furia indiavolata!
Le si stringeva il petto, quando ci pensava.
La vecchia Emma non le aveva potuto dare tutti i dettagli della faccenda, specialmente quelli riguardanti l’ARK - citata sfuggevolmente negli articoli, estranea pure alla memoria della segretaria e quindi ancora immersa nel mistero - ma Shell aveva appreso abbastanza da poter affermare con convinzione che si sarebbe schierata dalla parte del riccio. E senza pensarci due volte.
Ed ecco il motivo per cui era venuta al mare.
Doveva ragionare, scegliere le proprie mosse e contromosse. E trovare un sistema per tener Wind ben lontano da tutto quel casino. Lui era al corrente del suo interesse per Shadow, ma non conosceva tutti i particolari. E così avrebbe dovuto rimanere.
Il primo passo che aveva fatto era stato smettere di andare al lavoro, con le conseguenti scuse date a Nut e al resto della banda. Sentiva, dentro di sé, che se avesse contribuito anche solo per un altro istante ad aiutare a diffondere quelle frottole sarebbe impazzita. Il suo tempo là era limitato comunque, indipendentemente da come lei gestiva interiormente la faccenda della verità assassinata.
Il secondo passo era stato trovare una nuova fonte di mezzi di sussistenza, ovverosia un nuovo lavoro. Sua sorella le aveva promesso che, forse, sarebbe riuscita a procurarle un posto nella sua bottega da fiorista. Ma si doveva ancora attendere per una conferma.
Il terzo passo era ancora da mettere in atto: trovare una ragione valida per mettersi davvero in tutto quel casino. Insomma, chi era lei per dover aiutare – quindi sperando di essere utile - ad un tizio che era riuscito a fermare una colonia spaziale in rotta di collisione con la Terra? Ancora, non v’era stata risposta. Solo, una vaga possibilità, una pallida idea, di scrivere cose su internet. Lei, a scrivere, era brava. L’unica cosa che sapesse fare. Dunque, diffondere la verità su internet, scrivere articoli, cose così …
Quindi, lunga vita alla verità!
Il quarto passo … beh, era ancora da stabilire con esattezza. Ma l’idea di base era quella di trovare qualcun altro che la pensasse circa come lei; qualcuno che, come la signora Emma, sentisse puzza di bruciato. Qualcuno intenzionato a ribellarsi come lei: meglio combattere in compagnia, se si può. Ma non aveva idea di come cominciare a “reclutare”. Il nome di Shadow provocava brividi nelle colonne vertebrali di tutti, fare domande era scomodo almeno tanto quanto rispondere. Dunque, innanzi tutto, doveva riuscire a trovare qualcuno più bravo di lei a scovare le informazioni giuste che permettessero di contattare le persone giuste.
Perché? Perché l’unione fa la forza e un annuncio dall’apparenza rivoluzionaria, se pronunciato da più bocche, forse, sarebbe stata ascoltato da più orecchie. Una sola gabbianella che gracchiava storie sul più spietato serial killer del secolo e sulla sua segreta identità di eroe? Bah.
Dunque, restata da trovare il cercatore di informazioni. Aveva perfino pensato di andare a parlare direttamente con Sonic (non ci voleva molto a scoprire dove abitasse). Ma girava voce che lui stesse aiutando le forze dell’ordine a catturare Shadow.
Inizialmente si era sentita disgustata da lui. Come poteva voltar le spalle così ad un amico dopo tutto quello che avevano passato insieme?
Poi aveva valutato l’idea che, forse, Shadow era diventato cattivo davvero e che Sonic era nel giusto. Si era sentita disgustata da sé stessa.
Al che, non sapeva più cosa pensare. Ed era aumentata la necessità di trovare un buon cercatore di informazioni, uno che fosse a conoscenza delle persone come Emma, che tenevano nascosti articoli di giornale, dunque che avesse a disposizione più informazioni rispetto a lei. Qualcuno che magari capisse meglio cosa stesse succedendo tra i due ricci.
Forse, stavano collaborando, in un qualche modo?
Bah.
E gli omicidi, o meglio, i massacri di cui Shadow era accusato? Erano finzioni o la gente stava morendo davvero? E il furto in banca?
E il cercatore di informazioni avrebbe dovuto essere qualcuno di discreto, di sconosciuto alle autorità. Qualcuno di invisibile, come un fantasma, e forse anche di più. Tremava all’idea di dover andare a cercare un personaggio così tenebroso, qualcuno di sfuggevole all’attenzione, dal profilo sconosciuto alla polizia o ai manipolatori dei media che perseguitavano Shadow.
Dove? Chi?
Immersa nei suoi pensieri, Shell non si accorse che qualcun altro volava, sopra di lei. Con le penne delle ali che fremevano al vento salmastro, con l’aria che le sibilava attorno, tenendola sollevata, non s’accorse del silenzioso approccio aereo.   
Semplicemente si trovò catturata prima di poter dire o fare qualunque altra cosa. Qualcosa la afferrò per le spalle, bloccandole di conseguenza braccia e ali.
Le scappò un grido mentre il suo aggressore scoppiò a ridere.
-Ti ho presa di sorpresa ancora, gabbianella. Dovresti essere più cauta, quando voli in cielo aperto. Ci sono le aquile che possono mangiarti.-
-Wind!- ruggì Shell. –Disgraziato, mi hai fatto prendere un colpo!-
L’aquila schiuse la presa, lasciando andare la consorte, badando bene a non farle male con gli artigli. La gabbianella, dalle penne tutte arruffate, spiegò di nuovo le ali, qualche metro più sotto, riconquistando autonomia ed equilibrio.
-Scusami, cara. Mi sono svegliato e tu non c’eri. Ho pensato di venire a farti una sorpresa.-
-Come sapevi dove trovarmi?- borbottò lei.
-Ti conosco assai bene, oh mio sole.- ridacchiò lui, scoccandole al contempo un’occhiata di giocoso rimprovero.
Wind provò ad affiancarla, abbassandosi di quota, ma Shell richiuse interamente le ali e si lasciò cadere in picchiata, per puro dispetto, facendo la linguaccia all’aquila che, colta la sfida, si gettò all’inseguimento.
L’aria fischiava loro nelle orecchie, la superficie schiumante del mare diveniva sempre più vicina. Il gabbiano sterzò bruscamente, ad un nulla dal pelo dell’acqua, svicolando in un avvallamento tra due onde particolarmente profondo. L’aquila dovette rallentare prima, per paura di bagnare il proprio piumaggio e perdere temporaneamente la capacità di volare a causa del peso dell’acqua che avrebbe inzuppato le sue piume. Si inseguivano, a folle velocità, sulla superficie, zigzagando tra le onde e i venti, salendo e scendendo, tra picchiate in verticale e avvitamenti.
Sulla spiaggia, un bimbo a passeggio che stava raccogliendo conchiglie indicò ridendo alla madre le peripezie aeree dei due.
Per quanto la gabbianella sbattesse forte le ali, non poteva reggere il confronto con un’aquila reale. Wind la raggiunse e tentò di afferrarla di nuovo con gli artigli; lei, per evitarlo, si abbassò di qualche centimetro di troppo, e un’onda di qualche centimetro troppo alta le afferrò la pancia e la punta di un’ala, trascinandola in acqua e sollevando una nuvola di spruzzi.
Wind la superò in volo, facendo subito dopo inversione di rotta e tornando indietro.
Shell, immersa nell’acqua gelida, galleggiava a pancia in su. Rideva.
-Non mi aspettavo di certo di fare così la doccia, questa mattina.-
Wind cominciò a volteggiarle attorno, a cerchio. –Sei scappata nell’acqua! Vigliacca! Avevo vinto io di nuovo! Ti avevo presa!-
Risero tutti e due.
Shell rimase a mollo ancora per qualche secondo. Poi si riscosse, con tre poderosi colpi d’ala si staccò dalla superficie del mare per tornare a librarsi nel cielo. Gocciolava. E faceva freddo, ma non tanto. Le sue piume isolavano bene dall’acqua e dal freddo. Due in uno.
Wind la aspettava a cavalcioni su una corrente tiepida, che aleggiava a metà tra la superficie e il cielo alto, ottima se si voleva rimanete sollevati da terra senza dover battere fastidiosamente le ali. E le aquile erano maestre nel solcare i venti a quel modo, a risparmio-energetico. Così come i gabbiani domavano i venti ringhianti e salati degli oceani.
Si mossero entrambi verso la spiaggia, sorvolando il bimbo che prima gli aveva indicati. Lì, sfruttando il calore accumulato da un gruppo di rocce e la conseguente corrente calda, risalirono di quota.
Volteggiarono in silenzio, per un po’.
-Ti sei persa il telegiornale, stamattina.- le disse Wind, con un’insolita voce pacata. –E hanno parlato di Shadow.- aggiunse.
-Davvero?- Shell si illuminò.
Wind, all’opposto, si oscurò. –Hai in mente quella famiglia scomparsa cinque giorni fa? Ecco, l’hanno ritrovata sminuzzata in un prato, tutt’attorno ad una coperta da pic nic. È stato Shadow.-
-Non è stato lui.- si lasciò scappare la gabbianella, prima di riuscire a frenarsi.
-Loro dicono di sì.- Wind la guardò in tralice.
-Ma mentono.-
-Come lo sai con certezza?- la voce dell’aquila tradiva irritazione repressa, cosa assolutamente insolita in lui. Lei lo guardò. Soffriva, glielo leggeva negli occhi. Fremeva dalla voglia di sapere su cosa la sua futura moglie stesse indagando, e quali fossero i rischi reali che ciò comportava. Shell abbassò gli occhi sulla spiaggia. Almeno una qualche informazione gliela doveva. Si erano fatti la promessa di non mentirsi mai.
Mentre Shell cercava un modo semplice per spiegarglielo e tenerlo al contempo fuori dai guai, lui riprese la parola.
Wind ridacchiò. –Sto quasi cominciando a sentirmi geloso. Pensi sempre a quel riccio e mai a me.- il tono dell’aquila era tornato quello di sempre, come se la tensione di poco prima non ci fosse mai stata. Allegro e scherzoso.
-Ma dai!- lo rimbeccò lei. Wind lo faceva spesso: era il suo modo di tirarsi indietro quando capiva che quello che aveva detto avrebbe potuto portare ad un litigio con una persona amata, in questo caso lei. Se c’era una cosa che Wind odiava era arrabbiarsi con le persone che amava. Odiava provocare dolore in loro, e odiava ancor più lasciarsi sfuggire qualche parola cattiva, capace di ferire. Dunque, evitava con ogni cura i litigi.
-Già. È frustrante!- insistette ancora lui.
Cadde di nuovo il silenzio.
-Promettimi solo una cosa.- scherzi a parte, ciò che voleva dire Wind era serio. Shell lo ascoltava. –Per me puoi fantasticare quanto vuoi su Shadow. Voglio ed esigo, però, che mi prometti una cosa sola: e cioè che non ti metterai nei guai.-
Shell guardò Wind. –Ovvio che te lo prometto.-
-Giurami che non farai mai niente di stupido, che non andrai a inimicarti gente pericolosa soltanto nel nome della verità. Giurami che non ti intrometterai nella guerra di quel riccio. E soprattutto, giurami che non tenterai mai di contattarlo, di incontrarlo o di anche solo parlare con lui.- Wind fece una pausa, guardando in giù, verso le onde scure. –Lo so che tu credi alla sua innocenza. E io starò sempre dalla tua parte, e lo sai. Quindi ti credo. Ma non cambia il fatto che non mi fido di lui e mai mi fiderò. Ha comunque qualcosa di strano, questo Shadow. E io non voglio che lui sappia che noi esistiamo.- ora voltò lo sguardo per incontrare quello di Shell, e non c’è nulla di più penetrante degli occhi di un’aquila –Ammesso che lui sia innocente e che non faccia del male alla gente, chi gli sta dando la caccia al contrario non si fa problemi ad accoppar le persone. Se tu ti avvicini a Shadow, se ti inserisci nella sua causa e nella sua guerra, attirerai la loro attenzione su di noi. E ci uccideranno.-
Con quei suoi occhi di rapace, lui aveva scorto nelle pieghe più nascoste della sua anima, sviscerando con inquietante precisione ciò che gli angoli più reconditi della mente della gabbianella avevano escogitato, senza che nemmeno lei stessa ne prendesse davvero coscienza. Lui la vedeva come nessun’altro poteva: lui, quando guardava una persona, non si fermava all’aspetto. Scrutava fin nell’anima.
Shell crollò dentro, nel profondo. Wind aveva semplicemente troppa ragione, su tutta la linea.
Loro due o Shadow.
-Quindi.- riprese lui. –Ti prego, restane fuori. Segui pure le vicende di questa storia, ma non prenderne parte. Se questo Shadow è tanto in gamba come dici, allora saprà cavarsela anche senza il tuo aiuto.-
Wind ancora la guardava, in attesa di risposte o reazioni.
-Ho freddo.- disse piano Shell. –Torniamo a casa, ti va?-
Quando negli occhi di Wind corse la delusione, lei parlò di nuovo. –Voglio raccontarti una cosa, quando arriviamo. Qualcosa che gli altri hanno dimenticato.-
 
 
James Herron deglutì, nervoso. C’erano attualmente due punti principali che minavano alla base la sua tranquillità emotiva: primo, il fatto che si trovasse in uno dei laboratori di ricerca, ambiente ad alto rischio nonché squallido e poco accogliente, con tutti  quei freddi macchinari rumorosi e quel pungente odore di sostanze chimiche e sangue; secondo, il fatto che con lui vi fosse il capo.
Il capo. Colui che stava finanziando baracca e burattini, il primo che aveva pensato ad ottenere l’immortalità per la razza umana tramite il DNA di un certo riccio nero, che si era rivelato più tenace e spinoso del previsto.
James rimase completamente in silenzio, occhi a terra, seguendo come un cane fedele l’uomo che camminava davanti a lui, che faceva ticchettare le scarpe lucidate sulle lastre metalliche del pavimento ad ogni passo. Quel suono ritmico non tranquillizzava di certo, né tanto meno lo era il cipiglio burrascoso che dominava il viso scolpito del capo.
La luce al neon che illuminava l’intera struttura tremolò.
-Quando hai detto che è successo?- chiese con voce piatta l’uomo.
-Cinque giorni fa, signore.- rispose subito James.
-Un laboratorio e una creatura persi in un solo giorno … questo lascia pensare parecchio.- il sibilo da serpe irritata fece tremare il midollo della spina dorsale di James, che preferì tacere.
Giunsero davanti allo specchio-finestra unilaterale (che, a rigor di logica, avrebbe permesso di osservare senza venir a propria volta visti) che dava sulla stanza di contenimento del soggetto 567. Ciò che rimaneva di Teta era conservato in una capsula. Le cellule staminali e il liquido speciale in cui la creatura era immersa stavano facendo miracoli. Metà della cute di Teta era stata ripristinata quasi completamente, nonostante in alcuni punti i tessuti carbonizzati dall’esplosione davano ancora mostra di sé, come per esempio alcuni muscoli su di un fianco e su una gamba. La ricomposizione cellulare non era un affare semplice, ma stava procedendo bene. Per le ossa rotte la faccenda necessitava di margini temporali più ampi, sebbene ugualmente in avanzata rapida.
Le pupille del capo di assottigliarono.
-Ripetimi di nuovo: com’è successo questo disastro?-
La voce di James tremò appena. –Quando Shadow attaccò e distrusse la base Gamma, venne danneggiato il furgone sul quale stavamo trasferendo i soggetti. Teta567 ebbe così l’occasione di fuggire e, siccome avevamo già inserito nel suo sistema celebrale le informazioni riguardando Shadow e gli ordini di targeting, è partito subito alla sua ricerca. Il soggetto Teta567 nutre uno smodato desiderio di lotta e sangue, signore, già verificato in più circostanze. È stato questo suo istinto che l’ha portato a fuggire e a scontrarsi con il soggetto S.-
Il capo serrò le mascelle. –Dovreste essere voi scienziati a comandare, non loro.- se possibile, la sua voce divenne anche più minacciosa, pur mantenendosi piatta. –Lo stesso vale per Shadow, ovviamente. Non dovrebbe essere quell’essere a giostrare gli eventi, bensì voi, che vi fate chiamare scienziati. La scusa dell’aggressività da parte delle vostre creazioni dunque non regge. Non mi serve a nulla un soldato che uccide e non obbedisce. Io voglio pedine, non calamità ambulati che trinciano qualunque cosa semovente che passi loro davanti.-
James si sentì pietrificare le viscere.
Pelo Rosso aprì gli occhi, tenendo le orecchie nuove ben ritte. Snudò i denti in direzione dello specchio-finestra. Lui non poteva vedere chi vi fosse dietro, ma pareva riuscire ad udirli. Ululò, alzando di botto le braccia e sbattendole contro le pareti della capsula. I ricercatori lì a fianco sussultarono, balzando indietro.
-Ci può vedere?- chiese dubbioso il capo.
-No, signore. Sente le nostre voci. Ha un ottimo udito.-
-Non sono blindate, la camera e la capsula?-
-Certo, lo sono, signore. Ma, vede, l’udito di Teta567 è davvero oltre la norma.-
Il capo si avvicinò al vetro, assottigliando lo sguardo. Teta ruggì di nuovo, attaccando ancora la capsula, che resse. –Ma non l’avevate sedato, prima di cominciare le operazioni di restaurazione?-
James rabbrividì. –È sedato, signore. Quel vetro altrimenti sarebbe già fracassato.-
Il sopracciglio sinistro dell’uomo si sollevò. –Ah.- disse semplicemente, con fare lievemente ammirato.
-Ha una resistenza notevole, signore.- si sentì in dovere di aggiungere James.
-Lo vedo.- sussurrò l’altro. –Questo mi fa piacere.- disse, sebbene il suo tono non cambiò la sfumatura impassibile e minacciosa. –Tuttavia, se non siete capaci di tenere addormentato questo- fece un gesto verso il vetro –non vedo come riuscirete a tenere fermo Shadow, quando giungerà il momento.-
James esitò. –I ricercatori sono all’opera da tempo, hanno praticamente ottenuto una soluzione chimica adatta. Funzionerà quasi sicuramente su Shadow, ma non può essere utilizzato con altri. Il problema è che non siamo sicuri dei danni che potrebbe arrecare al cerebro di Teta567: è piuttosto fragile.-
Senza commenti, l’uomo riprese a camminare, seguito a ruota da James.
Raggiunsero la seconda finestra, dieci passi più in giù. Dentro vi era una stanza interamente bianca, la porta incastonata nella parete opposta a loro. Al centro del pavimento c’era un gancio al quale stava affrancata una catena, alla qual avrebbe dovuto essere legato il soggetto Zeta587, il terzo elemento dei tre esseri viventi artificiali nati in quei laboratori. Ma, stranamente, la catena era tesa verso l’altro, come se l’imprigionato fosse attaccato al soffitto, quindi al di fuori dal campo visivo degli osservatori, limitato dalla ristrettezza della finestra-specchio.
La fronte del capo si corrugò. –Dunque?- chiese.
James roteò i bulbi oculari verso la catena, bizzarramente retta. –Il soggetto Zeta587 ha l’abitudine di stare appeso al soffitto praticamente tutto il giorno.-
-C’è un motivo particolare?- domandò, lasciando trapelare la propria indignazione.
-I ricercatori ritengono che questo comportamento sia ricollegabile in parte alla natura che compone il settanta per cento del DNA di Zeta587. Altri invece ricollegano questo comportamento ad una sorta di primitivo senso della ripicca.-
Il sopraciglio destro del capo si sollevò, e James si sentì in obbligo di spiegare meglio.
–Fino a poco tempo fa non v’erano mai stati incidenti con il soggetto Zeta587, essendo esso meno violento di Teta567. Per questo motivo non è mai stato necessario provvedere a mezzi di alta restrizione, come catene e museruole. Recentemente, però, ha cominciato a tendere agguati ai ricercatori, appostandosi sopra agli stipiti della porta di questa cella. Così, alla terza uccisione, si è ricorsi a legare al guinzaglio il soggetto che ha dunque cominciato ad arrampicarsi sul soffitto e mettere di conseguenza in difficoltà gli scienziati. Come arrivi lassù era inizialmente un mistero, poiché la catena non è lunga a sufficienza per permettere alla creatura di raggiungere i muri e salire così sul soffitto. Le telecamere hanno confermato che Zeta587 spicca balzi in verticale per raggiungere tale posizione.-
-Ingegnoso.- disse piano il capo.
-Molto, signore. Ha lo spirito di un cacciatore.-
La porta doppiamente blindata della cella si aprì, rivelando l’angusto spazio tra quella e la seconda porta che dava sul corridoio, blindata anche quella. Due porte, doppia sicurezza. La catena che puntava al soffitto tremò, e si udì un sibilo gutturale.
Una ricercatrice, vestita con una sorta di veste di piombo (come quella degli operai delle centrali nucleari) entrò a lenti passi nella stanza, occhi puntati in alto. Lasciò per terra una ciotola colma di carne fresca e sanguinolenta. Zeta587 uggiolò, ma non si mosse. La donna uscì, ma la cavia ancora non si mosse.
-Aspetta che ce ne andiamo, signore.- disse piano James, alludendo allo strano comportamento della cavia.
-Perché?- chiese il capo. –Pure Zeta587 è in grado di vederci?-
-Esattamente, signore. I suoi occhi captano i raggi infrarossi, dunque vede il calore. Anche noi, quindi. Pure attraverso il muro.-
-A questo punto ci si potrebbe domandare a cosa servono gli specchi ad un solo lato.-
Il capo incrociò le braccia dietro la schiena, cambiando argomento. –Come se la cava in battaglia?-
-Il programma di combattimenti d’allenamento dell’arena è appena iniziato, signore. Le rilevazioni non sono state molte. Ma i pochi dati raccolti promettono bene. Non è impulsivo come Teta567, è più calcolatore. Come un predatore in natura, che tende agguati alle prede. Non conta solo sulla forza bruta. Ma è prevedibile. Agisce come un animale, non ragiona attentamente sulle mosse da fare, usa attacchi semplici. Ha dimostrato di possedere intelletto, sebbene ridotto ad istinto predatore. Riesce a compiere ragionamenti, ma tutti di livello sostanzialmente semplice, sebbene molto più elevati rispetto a quelli di Teta567. -
Ripresero a camminare, raggiungendo l’ultima cella.
Più si avvicinavano alla finestra-specchio, più la gola di James si seccava. Non osava nemmeno immaginare quale sarebbe stata la reazione del capo alla vista dell’ultima cavia.
Lo spettacolo che si parò loro davanti oltre il vetro di protezione fu infinitamente diverso rispetto agli altri due, che promettevano ferocia e battaglie. Accovacciato, con le ginocchia stette al petto, il roditore semi-metallico stava incantato davanti ad una piccola tv, completamente catturato dalle immagini che scorrevano sullo schermo. A giudicare dagli occhi sgranati dello spettatore, il documentario in onda sulla vita degli opossum argentini doveva essere appassionante come il più frenetico dei film d’azione. Il piccolo cyborg era tutto preso dalla visione, la sua sottile coda rosea si muoveva sinuosa nell’aria, mentre il suo nasino fremeva, annusando di continuo nella direzione della tv, come se da essa potessero trapelare gli odori del bosco ripreso dalle telecamere.
Il silenzio prolungato da parte del capo fu sufficiente a far sfiorare al muscolo cardiaco di James l’infarto.
-Spiegami.- ringhiò.
James tentò di ritrovare la voce, non ci riuscì.
-Spiegami perché diavolo una delle mie macchine di morte sta guardando uno stupidissimo documentario della BBC sugli opossum!- per la prima volta dall’inizio della visita, il capo urlò.
James mosse le mascelle a vuoto un paio di volte, prima di riuscire definitivamente a parlare. –P…perché- cominciò –i ricercatori hanno dedotto che insegnando una volta per tutte al soggetto Eta566 com’è fatto il mondo, il livello della sua concentrazione sarebbe aumentato.-
Lo sguardo del capo di fece caustico.
James si affrettò a continuare. –Il soggetto Eta566 ha dimostrato un notevole tasso di curiosità nei confronti di ogni singola cosa che entri nel suo campo visivo. Finchè non riesce a capire perfettamente cosa lo circonda, in qualunque situazione, non si può sperare di ottenere un grammo d’attenzione da parte sua. Ha un concetto differente delle priorità, Eta566.-
Il silenzio di ghiaccio che seguì congelò James fin nell’anima.
-E, di grazia, come siete arrivati a capire che la soluzione del problema erano i documentari della BBC sugli opossum?- il veleno nella voce del capo corrose per poco gli sporadici barlumi di lucidità di James.
-L…la soluzione non sono stati i documentari, s…signore. Sono semplicemente la conclusione del processo di apprendimento di Eta566.-
Gli occhi roventi del capo ruotarono verso di lui.
Deglutendo, James riprese. –Vede, signore, i libri sulla destra? Ecco, quelli erano la prima parte del processo di apprendimento. Ma, siccome a Eta566 le parole e le illustrazioni non bastavano più, siamo passati a mostrargli filmati. Non potendo portarlo noi fuori personalmente, abbiamo portato l’esterno da lui, qui dentro.-
Il capo voltò lo sguardo verso destra. Effettivamente, c’erano volumi cartacei. –Ma quelli laggiù- disse lentamente. –Non sono libri, signor James. Sono enciclopedie, e dizionari.-
-Sono ventisette enciclopedie differenti, signore, alcune illustrate, altre no. Forse, signore, le farebbe piacere sapere che il soggetto Eta566 le ha lette tutte quante in sole ventiquattro ore.-
Lo sbalordimento trapelò dall’espressione sul viso del capo, sebbene il palese sforzo di quest’ultimo di camuffarlo. –Non credevo fosse possibile.-
James stiracchiò le labbra in un sorrisetto nervoso. Almeno un punto a favore c’era.
La scena alla televisione mutò. Fece la sua entrata in scena un felino maculato (del quale sinceramente James non conosceva il nome) che decise di prendersi come cena l’opossum protagonista del documentario. Le riprese si alternavano tra l’avanzamento rapido del felino e il musetto ignaro del marsupiale in questione.
Il grido terrorizzato di Eta fece sobbalzare i due uomini in osservazione. Sgomenti, videro il loro piccolo roditore cyborg da laboratorio schizzare in piedi con foga quasi febbrile, scagliarsi verso il televisore e urlare a squarciagola con una vocetta stridula –Attento! Scappa! Ti mangia! Scappa!-
Il sangue di James gelò. Ecco. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto dire il “piccolo problemino caratteriale” di Eta566 al capo. Ma, onestamente, non ne aveva ancora avuto il coraggio. Come poteva, lui, andare a dire al grande capo: senti, la tua micidiale bestia assassina in realtà resta incantata a guardare le nuvole in cielo e saluta qualunque cosa che si muova.
La vena pulsante sulla tempia del capo, non era un buon segno.
Ma, se il felino alla tv aveva intenzione di riempirsi lo stomaco con il marsupiale, l’opossum era di tutt’altro avviso. L’affarino peloso, infatti, sfoderò l’arma illusionistica che l’aveva reso tanto famoso nel mondo. L’opossum si irrigidì tutto, crollò a terra, con la bocca dentuta mezza aperta, fingendosi morto.
Lo sguardo incredulo e smarrito di Eta566 avrebbe senz’altro strappato un sorriso intenerito ad un osservatore esterno. Sfortunatamente, il ringhio di furia a stento repressa del capo fece sfumare ogni ilarità possibile per James.
Per tutto il periodo in cui il felino analizzò il corpo in tanatosi dell’opossum, Eta566 rimase incollato allo schermo, con le lacrimucce agli occhi dalla preoccupazione. Quando però il cronista rivelò il trucco messo in atto dal marsupiale, un sorriso di sincero sollievo illuminò il musetto grigio pallido di Eta566.
Che dire, forse, il piccoletto si stava immedesimando un po’ troppo con qualunque cosa avesse orecchie rotonde in cima al cranio e una coda sottile attaccata in fondo alla schiena.
Il felino se ne andò, e qualche tempo dopo l’opossum tornò alla vita.
E quella di James rischiò seriamente di finire.
O forse, quella di Eta566 rischiò anche di più.
Gli occhi del capo si assottigliarono, un sibilo da serpe gli sfuggì dalle labbra.
 
 
Vanilla ripose l’ultimo piatto nella lavastoviglie e richiuse lo sportello, accendendo la macchina. Sospirando, si voltò verso la banda quasi al completo accampata in salotto.
Sonic faceva finta di essere interessato al programma che stava andando in onda alla TV. Knuckles stava selvaggiamente combattendo per tenere le palpebre aperte. Amy osservava confusa Tails, intento ad installare in salotto quello che pareva un completo apparato spionistico. Chilometri di cavi correvano tra divani, sedie e tavolini, collegando vari apparecchi di cui sinceramente Vanilla non conosceva né l’uso né il nome. Uno di quelli, però, pareva vagamente un computer.
Cream era di sopra, in camera sua, che giocava.
-Sonic!- gridò di colpo Knuckles, facendo sobbalzare tutti gli altri, troppo assuefatti dal pesante silenzio che regnava nella stanza. –Ma sei sicuro che Shadow abbia capito cosa gli hai detto?- ringhiò.
Il riccio blu si voltò a guardarlo. Sospirò, stufo di ripetere nuovamente la risposta.
Knuckles riprese. –No, sai, perché sono le due del pomeriggio e lui ancora non s’è fatto vedere.-
Sonic sbuffò di nuovo. –Va bene. D’accordo. Ho dimenticato di dirgli a che ora. E con ciò?-
-“E con ciò” siamo qui ad aspettarlo da quasi quattro ore!- l’isteria dell’echidna toccò il culmine.
Una pericolosa lampadina si accese nel cervello di Sonic, un improvviso ghigno si distese in faccia al riccio blu. –Siamo nervosi, eh?- cominciò, il sorriso si espanse. –Davvero sei così ansioso di rivedere Rouge? Credevo che voi due non…-
Il riccio fu brutalmente costretto a tacere per evitare il cazzotto spinato che l’echidna gli scagliò contro.
-Crepa!-
Ma se Sonic aveva sperato che schivare il primo colpo sarebbe stato sufficiente a far crollare i propositi dell’echidna, si stava sbagliando di grosso. Vanilla sospirò affranta. Aveva fatto bene a togliere dal salotto ogni tipo di oggetto fragile, quali vasi o porcellane varie, in previsione del loro arrivo.
Ora, certo, il tavolino al centro della stanza aveva un aria decisamente spoglia, ma il cuore di mamma coniglio si rallegrò ugualmente. L’indicibile groviglio di braccia e gambe rosse e blu che si rotolava sul divano rese la padrona di casa incredibilmente lieta della scelta presa.
Purtroppo, non altrettanto poteva dire Tails, che in un atroce attimo vide nella propria mente tutti i complicati circuiti di cavi e prolunghe accuratamente studiati spazzati via dai due combattenti. Si gettò protettivo contro quello che Vanilla aveva chiamato “computer”. –Ehi, voi due! Piantatela!- gridò il volpino, tentando disperatamente di salvare il suo minuzioso lavoro durato ore.
La matassa scalciante diminuì un poco la foga di rotolamento, comunque lasciando i due combattenti strettamente avvinghiati l’un l’altro.
Amy affiancò Vanilla, reggendo con una mano il vassoio che qualche ora prima aveva contenuto l’aperitivo. –Cresceranno mai?- chiese retoricamente la riccia.
Vanilla ridacchiò. –Oh, cara.- disse piano.
Amy sospirò. –Già, già. “Lasciate ogni speranza”, vero?-
La coniglietta annuì, con un caldo sorriso sul muso. –Tempo, cara. Tempo e pazienza.-
Il quel preciso istante, la stanza si illuminò di colpo di una luce molto più intensa e concentrata di quella naturale che filtrava dalle finestre.
Il Chaos Control schioccò a mezz’aria. Due figure presero vagamente forma, nel cuore di quel bagliore, e con uno schianto secco, atterrarono sul tavolino al centro del salotto (Vanilla lodò mentalmente di nuovo il proprio intuito a spostare da lì i vasi con i fiori).
Shadow abbassò lo sguardo verso il mobile. –Non ricordavo che ci fosse un tavolo, qui.- mormorò.
Rouge, dietro di lui, perse per un attimo l’equilibrio, troppo vicina al bordo del tavolino. Il suo innato senso dell’equilibrio le permise di non cadere a terra. Con un lieve colpo d’ali, si posò sul tappeto, atterrando perfettamente in piedi. Shadow la raggiunse, qualche attimo dopo.
-Il tavolino infatti è nuovo. Comprato una settimana fa.- disse timidamente Cream, facendo capolino dalla rampa di scale che conduceva di sopra.
Lo sguardo scarlatto di Shadow trovò il riccio blu, ancora alle prese con la furia di Knuckles, ora però sfumata come per magia. Gli occhi smeraldini di Sonic incrociarono quelli di fuoco del riccio nero.
-Ciao a tutti, ragazzi!- salutò Rouge con enfasi. –Che bello rivedervi.-
Tails si tirò su in piedi, raggiante. –Siete arrivati, finalmente!- li salutò.
Rouge sorrise. –Non sapevamo esattamente a che ora dovevamo venire. Abbiamo dunque scelto un orario nel quale sicuramente qualcuno si trovava a casa.- spiegò.
Amy li raggiunse. –Potevate venire un po’ prima, così avremmo pranzato assieme.-
-No.- la voce di Shadow suonò anche più fredda del solito. –Rimanere troppo a lungo è pericoloso.-
Uno strano silenzio seguì le parole di Shadow. Rouge si affrettò a limitare i “danni”. –Effettivamente, non possiamo trattenerci per molto. Spiegateci il motivo per cui ci avete chiamato.- propose poi, con voce invitante.
-Certamente- disse Tails. –Venite qui.- propose, invitandoli a posizionarsi più vicini allo schermo.
Vanilla mosse qualche passo avanti, avvicinandosi un po’ di più. No, non si era sbagliata. Il corpo del riccio nero era più magro rispetto all’ultima volta che l’aveva visto. Non di molto, ma un poco sì.
Un moto di preoccupazione attraversò il cuore di mamma coniglio.
Era grave a tal punto la situazione?
Osservò anche Rouge. Lei non sembrava cambiata molto. Vanilla scommise però che sotto al trucco, particolarmente abbondante quel giorno, la pipistrella avesse nascosto delle occhiaie. Del resto, la postura di Rouge, per quanto lei si sforzasse di mascherarlo, tradiva stanchezza. Il modo in cui lei muoveva le braccia, una lieve arcuatura nella schiena …
Shadow invece non lasciava trapelare alcuno sfinimento. Era sempre stato un maestro, lui, a nascondere il suo reale stato d’animo. Anche se fosse stato sul punto di morte, Vanilla scommise che nessuno se ne sarebbe accorto se lui non voleva darlo a vedere. Effettivamente, né Sonic, né Amy, né Tails, né Knucles avevano minimamente notato il lieve cambiamento nella postura dei due nuovi arrivati.
Eppure, gli occhi della Forma di Vita Definitiva continuavano a controllare le finestre, scattavano di continuo verso la porta. Vanilla si stupì di come il riccio nero scovasse sempre l’attimo di distrazione in cui gli occhi degli altri non erano rivolti a lui per controllare le finestre. Shadow era teso, visibilmente teso. Forse troppo inquieto per riuscire a mascherarlo?
Muscoli e nervi pronti a scattare. Lo sguardo di chi si aspetta di venir attaccato da un momento all’altro, di chi non si aspetta più una tregua.
Il cuore di Vanilla pulsò dolorosamente, sia di preoccupazione che di tristezza. C’era qualcosa di profondamente sbagliato, e qualcosa di profondamente cattivo all’opera.
Cercò freneticamente qualcosa che lei, misera casalinga, potesse fare per aiutare quei due.
Tornò rapidamente in cucina e afferrò una teglia di biscotti che aveva preparato in mattinata. La portò di là e con un sorriso smagliante chiese se qualcuno aveva fame.
I primi a muovere gli occhi verso la teglia furono, come Vanilla aveva immaginato, Rouge e Shadow. Sonic e gli altri, del resto, erano ancora alle prese con lo smaltimento del sontuoso pasto appena consumato.
La pipistrella ne prese uno, ringraziando caldamente. Shadow, invece, rimase zitto e immobile, tornando a guardare lo schermo di Tails in via d’accensione. Rouge gli fiorò impercettibilmente un braccio, facendogli alzare di nuovo lo sguardo. Rouge indicò i biscotti. Shadow socchiuse gli occhi. Lei incrociò lo sguardo con lui, come se le rispettive occhiate fossero state spade. Il silenzioso e rapidissimo scontro trovò la sua conclusione prima che chiunque degli altri se ne fosse nemmeno accorto. Shadow allungò una mano e prese un biscotto, mugugnando un “grazie” a mezza voce.
Vanilla depositò il vassoio lì vicino, a portata di mano, tornando in cucina.
A cosa aveva appena assistito?
Rouge aveva vinto, costringendo in un qualche modo il compagno a mangiare.
Ciò voleva dire che inizialmente Shadow aveva rifiutato soltanto in nome del suo particolare codice d’onore, oppure per un'altra motivazione più nebulosa?
E Rouge era riuscita a costringerlo a cambiare idea.
Vanilla guardò di nuovo il riccio nero. Si sorprese quando si trovò a sua volta fissata dai due occhi rosso sangue di Shadow. La coniglietta si sentì raggelare, come sempre le capitava quando incontrava il gelo di quello sguardo. Ma, questa volta, sotto allo strato di fuoco, nello sguardo di Shadow regnava anche un’ombra oscura.
Vanilla si portò una mano al petto, distogliendo immediatamente lo sguardo.
Sì, la situazione era più grave del previsto.
E gli effetti sui due protagonisti erano peggiori di quanto immaginasse. Era preoccupata, e molto. Non solo per ciò che aveva visto, ma anche perché sapeva di essere stata l’unica ad averlo notato.
Sonic e gli altri erano ciechi come talpe.
-Ecco!- annunciò Tails, quando il pc si accese. –Ascoltate bene- disse poi, rivolto a Shadow e Rouge. –Noi avevamo pensato che …-
 
 
Inizialmente, Eta566 aveva doverosamente salutato il robot alto più di due metri, armato pesantemente.
Superato lo shock per la mancata risposta da parte della macchina, il piccolo roditore cyborg si era fatto coraggio ed aveva mosso qualche passo in avanti, tentando nuovamente di salutare il robot.
Poi, lo scontro era iniziato, e già da dieci minuti James e il capo dovevano stare a sentire gli squittii di terrore del povero Eta566 che saltava e correva dappertutto tentando disperatamente di schivare i colpi sparati dal robot.
Non che Eta566 si fosse fatto male, il robot non era ancora riuscito a ferirlo. Ma gli urli di paura del topolino erano difficili da sopportare. Almeno per James. Il capo ancora non aveva battuto ciglio, stava a guardare le schivate del topolino, le cui grida riecheggiavano ormai in tutta l’arena.
Arena, un semplice spiazzo contenuto tra quattro mura e un soffitto, nel quale si potevano osservare i comportamenti dei soggetti posti in situazione di pericolo.
Su un monitor poco distante, nella loro stessa cabina d’osservazione, c’erano i valori sanguinei di Eta566. Il tasso di adrenalina e di ossitocina erano alle stelle.
Una delle scienziate che prendeva nota degli eventi registrate di azzardò a dire. –Signore- cominciò –Credo potremmo andare avanti anche tutto il giorno, ma Eta566 non reagirà mai. Non ha intenzione di attaccare.-
-Lo vedo- ringhiò il capo.
I gridi di paura di Eta566 riempirono l’aria per qualche minuto ancora, intercalati dalle esplosioni dei colpi del robot.
-Herron.- disse il capo.
-Sì?- rispose prontamente James.
-Non mi importa come. Pretendo che troviate il modo di far combattere quella cosa. Alla mia prossima visita mi aspetto di trovare risultati soddisfacenti.-
James abbassò la testa, deglutendo.
Cadde di nuovo il silenzio, costellato dagli urli di Eta, che sempre più assomigliavano a preghiere d’aiuto.
-E Sonic?- la voce del capo riscosse James. –Ha già fatto la sua mossa?-
Herron sospirò. –Ancora no, signore. Fin ora ha assecondato ogni nostra parola, senza mostrare segno di stare effettivamente dalla parte di Shadow, né di tentare di passargli informazioni.-
-Gli avete concesso la pass per i nostri computer?- chiese ancora il capo.
-Tre giorni fa, signore.-
-E le reazioni?-
-Non ci sono state, signore.- James deglutì. –Sonic the Hedgehog ha fatto accesso ad un computer nella nostra base una sola volta, signore, in seguito ad una lite con Miles Prower Tails. Il riccio ha installato sul nostro pc un videogioco chiamato Race 4 e ci ha giocato per un ora e mezza. Poi ha spento tutto ed è tornato a casa. Il giorno dopo, ci ha avvisato di aver installato il videogioco sul computer del nostro ufficio poiché a casa sua, Miles Prower aveva monopolizzato quello di Sonic e così, per riuscire a giocare, il riccio è venuto da noi.-
La fronte del capo si increspò. –Tutto qua? Niente tentativo di sottrarre informazioni?-
-Parrebbe di no, signore. Abbiamo indagato a fondo il file videoludico ma non vi abbiamo trovato tracce nemiche, né sistemi di spie. Lo abbiamo ugualmente rimosso per sicurezza. Sembrerebbe che Sonic non abbia tentato di sottrarre informazioni e di passarle a Shadow.-
Il cipiglio del capo divenne ancora più temporalesco. –Possibile?- disse tra sé e sé. –Eppure avrei giurato che quei due ...- si ricompose in fretta e più ad alta voce proclamò –Tre giorni non sono poi molti. È possibile che deciderà di agire in futuro, aspettando l’occasione più propizia.-
-E se non lo facesse?- pigolò James.
-Lo farà!- era imperativo, nessun obbiezione accettata. Gli occhi del capo si tinsero del colore del Tartaro. –Non riesce a resistere, è più forte di lui, aiutare gli amici in difficoltà fa parte della sua natura, Herron. Lo è. E non riuscirà mai ad abbandonare Shadow al suo destino. Interverrà in suo aiuto e quando lo farà il nostro piano potrà finalmente cominciare a prendere corpo.- si voltò a guardare James. –Quel martire ci serve, e lo avremo. Con o senza il trucco delle informazioni sottratte. Tenete d’occhio i server, nel frattempo. E continuate a cercare Shadow.-
Le pupille del capo si assottigliarono, come quelle di una serpe. –Shadow è inespugnabile, intoccabile. Invincibile, si direbbe. Ma un punto debole ce l’ha.- un ghigno gli si espanse sulle labbra. –E gli costerà caro.-
Lo strillo di dolore di Eta li distrasse. Il robot era riuscito a colpirlo con un proiettile e poi ad atterrarlo con un possente pugno. Il piccolo Eta giaceva a terra, tenendosi il braccio rotto, mentre il sangue fluiva lento dalla ferita al fianco. Tremando come una foglia, il topolino strisciava lentamente indietro, tenendo la coda raccolta attorno al corpo. Gli occhioni terrorizzati e annebbiati dal dolore erano fissi sul suo avversario, ancora incapaci di comprendere appieno il motivo dell’assalto e del perché il robot gli avesse voluto fare male. Chiedevano disperatamente pietà e aiuto.
James pigiò un pulsante che inviò alla macchina l’ordine di cessare l’attacco. Il combattimento era ormai finito.
Il capo sibilò. –E vedi di insegnare a quell’inutile ratto come si fa ad uccidere. Non me ne faccio nulla di lui, altrimenti. E tanto varrebbe aver speso tutti quei milioni per costruirlo.-
Un flebile “sì, signore” venne sospirato dalle labbra tese di James mentre il capo gli voltava la schiena e se ne andava a grandi passi.
 
 
Amy si strinse una mano al petto. Il piano elaborato da Tails aveva avuto successo: il volpino stava giusto finendo di estrarre le ultime informazioni dal “file fantasma” (così l’aveva chiamato lui) che aveva installato direttamente nel loro sistema tramite il videogioco Race 4; e tutti già stavano parlando di come penetrare nei vari laboratori e di come distruggerli. Valutavano tattiche, strategie, piani, ogni genere di idea che potesse servire allo scopo..
Vedeva quell’inquietante scintilla negli occhi di Sonic, la stessa che si rifletteva in Knuckles e addirittura in Tails. Tutti fremevano dalla voglia di farla pagare a quei maledetti.
Eppure, l’unica sensazione che riusciva a provare Amy era freddo, un gelido freddo metallico che pareva avvolgerle in cuore. Era l’unica che si era posta il problema di cosa avrebbero trovato laggiù, in quegli infernali laboratori? L’unica che si era domandata cosa avrebbero visto, quali atrocità?
Di lei si poteva dire tutto tranne che fosse una codarda ma, ora, la riccia rosa aveva paura.  Non era sicura di voler sapere. Di voler vedere. E ricordare.
Senza quasi accorgersene, il suo sguardo si spostò verso Shadow.
Quanto sarebbero stati simili, quei laboratori, all’ARK? Molto, aveva il dubbio. Quindi non osò nemmeno immaginare come dovesse sentirti il riccio nero al riguardo, o come si sarebbe sentito una volta giunti là.
Forse, si disse, era per quello che nei due componenti del Team Dark non si scorgeva nemmeno l’ombra di impazienza ed entusiasmo per la vicina resa dei conti. Una calma innaturale pareva aver preso possesso di Shadow e Rouge. Ad essere sincera, Amy nemmeno era tanto convinta che ai due facesse davvero piacere avere loro tra i piedi. Del resto, Sonic e gli altri non avevano ponderato la possibilità che loro non volessero aiuto per questo. Come sempre, si erano semplicemente intromessi in quel titanico problema che rischiava di compromettere le sorti del mondo. Ma non avevano chiesto a Shadow o a Rouge se a loro andava bene ricevere aiuto.
Certo, Shadow prima si era già rivolto a Sonic chiedendogli di spiare la BRC dall’interno ma … il riccio nero pareva ora molto più contrariato rispetto a prima. Tutto di Shadow lasciava trapelare la sua volontà di risolvere quel problema da solo. Chiedere informazioni era un conto, ritrovarsi poi un’intera squadra pronta all’attacco era tutt’altra cosa. Né lui né Rouge erano stati informati che, venendo lì a casa di Cream quel giorno, si sarebbero trovati invischiati in un vero e proprio consiglio di guerra.
-Dunque!- esclamò Sonic. –Ci divideremo in gruppi e attaccheremo ognuno un laboratorio diverso, così da tenerli occupati su più fronti contemporaneamente.-
Amy guardò di nuovo Shadow. Perché stava zitto? Perché non diceva nulla? Era evidente che non approvava.
-Obbiezioni?- chiese Sonic.
Shadow rimase in silenzio.
Amy sentì montare la rabbia. Ma che gli prendeva, eh?
-Credo che tu sia prendendo la faccenda dal lato sbagliato.- disse piano il riccio nero. Finalmente!, pensò Amy.
Sonic ruotò lo sguardo verso di lui. –Perché?- chiese.
Shadow sospirò. –Perché, ora che l’ubicazione dei laboratori non è più un problema, credo sarebbe meglio cercare prima la loro base. L’hai detto pure tu, no, che loro hanno una base principale, distaccata dai laboratori. E di quella, Tails non è riuscito a trovare nessun informazione.-
Sonic aggrottò la fronte. –Ma, scusa, non sarebbe meglio prima distruggere le loro forze armate e poi concentrarci sul resto?-
Gli occhi di Shadow si adombrarono. –Quelli che state andando a distruggere, nei laboratori, non sono “forze armate”, faker.- disse piano, con voce tanto cupa da imporre automaticamente il silenzio su chiunque ascoltasse. Shadow chiuse un attimo gli occhi, lasciando sull’attenti tutti i presenti. –E se per caso tu dovessi davvero incontrare anche solo un “soldato”, non credo che ne usciresti indenne.- riaprì gli occhi. –Ci sono riuscito a malapena io. Figuriamoci tu.-
Uno strano silenzio ricadde nella stanza. Cosa?
-E quella creatura nemmeno era completa, credo.- aggiunse ancora Shadow, giusto per dare il colpo di grazia a qualunque speranza di gloria rimasta. Fece una pausa. –Credo che andare a distruggere i laboratori ora sarebbe come aizzare un vespaio. Ci staranno addosso, sguinzagliandoci dietro tutti i loro …- esitò -… segugi.- guardò dritto negli occhi Sonic, eloquente. –E trovare la loro base sarà molto, ma molto, più difficile così.-
Le parole di Shadow rimbalzarono ancora un po’ in quel silenzio innaturale. Se era la Forma di Vita Definitiva a consigliare prudenza, contro quali mostri stavano per ingaggiare battaglia?
Amy abbassò gli occhi. Sapeva che tirarsi indietro non era un’opzione ma, se doveva essere sincera fino in fondo, non avrebbe voluto combattere quella battaglia.
Sonic era sempre stato il centro indiscusso -cuore e anima- del loro gruppo. Ma vedere ora Shadow esitare, fece chiaramente comprendere ad Amy quanto la presenza del riccio nero fosse diventata rilevante, per loro. E di quanto le sue parole potessero influenzare l’esito di una decisione, molto più di quanto potessero fare quelle di Sonic.
-Quindi tu ci staresti chiedendo di rimanere qui, fermi e buoni, a guardare, mentre quelli continuano ad ammazzare la gente per sbaglio tentando di catturare te, giusto?-
-Giusto.-
Sonic si alzò in piedi. –Non credo di riuscire a farlo, sinceramente.-
Shadow socchiuse gli occhi. –Bene.- disse. –Allora ricordati che, se farai una qualunque scemenza, a pagarne le conseguenze non sarai solo tu.- pausa ad effetto. –Ma tutti quanti loro.- indicò con un cenno del capo la stanza, poi gli occhi di Shadow si spostarono su Vanilla, che stava svuotando la lavastoviglie. –Anche quelli che solitamente non combattono.- aggiunse in un sussurro. Sonic abbassò lo sguardo, e il riccio nero riprese. –Questa non è una battaglia da campo aperto, Sonic. Questa è una guerra di ombre, nascosta, che va combattuta in silenzio.- Shadow fece un’altra pausa, valutando le parole da usare. –Non stiamo più parlando di qualche manciata di robot di Eggman, qui la posta in gioco è più alta. E non sarà solo la tua reputazione a farne le spese, questa volta, se farai mosse avventate.- pausa di nuovo. –Si sa come reagisci quando persone a te care vengono messe in pericolo. Non dar loro questo vantaggio. Non aspettano altro.-
Incredibile quanto Shadow fosse bravo ad instillare inquietudine nel cuore delle persone.
Tails parlò, cambiando argomento. –Ma dove pensate di trovare le informazioni riguardo la loro base principale? Nei server che ho analizzato io non c’è niente.-
Rouge gli rispose. –Anche le informazioni, mio caro volpino, possono rientrare nelle possibili refurtive di un ladro.- sorrise. –Ci pensiamo noi, a quello.-
Knuckles ringhiò. –Dunque, la sostanza di questa chiacchierata è: non ci possiamo muovere fino a quando voi non troverete quelle informazioni. Giusto?-
-Giusto, tesoro.- ammiccò Rouge. –A meno che tu non abbia idee migliori.-
L’echidna schioccò la lingua, risentito.
Sonic sospirò, evidentemente deluso di non poter chiudere subito tutti i conti con quelli là. –Dovrò ancora rimanere dalla loro parte, allora?- chiese in un sussurro.
Ecco, si disse Amy. Quello che veramente avrebbe voluto discutere. La situazione che il riccio blu era costretto a vivere doveva finite, nel nome della sua sanità mentale. Vedere uno sguardo tanto triste e abbattuto in faccia a Sonic era … era semplicemente sbagliato. Pareva come essere prigioniero e lui, incarnazione della libertà, non tollerava quella condizione. Troppo contro la sua natura.
Ciò che però vide Amy sul viso del suo amato non era la sofferenza rassegnata a dover continuare, bensì la determinazione di rendersi utile a tutti i costi. Questo la spaventò, non poco.
Fortunatamente, anche Shadow doveva aver notato il cambiamento.
-No.- disse. –Sciogliti da loro. Torna indipendente e renditi rintracciabile in caso di battaglia.- la sua solita freddezza che non ammetteva repliche stroncò del tutto ogni possibile replica. Sonic aggrottò la fronte, aprì la bocca per ribattere ma l’occhiataccia rovente che ricevette dal riccio nero lo zittì.
-Ci sentiremo ancora, dunque- disse Tails.
Rouge sorrise. –Facciamo tra quattro giorni?-
Più o meno tutti annuirono.
Rimasero un attimo in silenzio, tutti in cerca di eventuali domande.
-Torniamo a casa.- disse piano Shadow, muovendo mezzo passo verso Rouge.
-Così in fretta?- si lasciò scappare Amy.
-Siamo già rimasti troppo a lungo. Indugiare ancora può essere pericoloso.- spiegò la pipistrella.
Shadow già stava attivando il Chaos Control. Un ultima occhiata in tralice con faker e sparirono.
Sonic ridacchiò, con l’aria di aver capito chissà cosa. –Ma guarda tu che faccia tosta!- esclamò tra sé e sè, a metà tra il contrariato e il divertito.
Knuckles, da dietro commentò. –E ancora nessuno ha pensato di mettersi d’accordo sull’orario.-
 
 
Il tetro ambiente metallico della piccola base abbandonata sotto al boschetto si materializzò tutto attorno a loro. Come d’abitudine, Shadow incentrò il punto di teletrasporto ad un mezzo metro da terra, così, le lastre metalliche del pavimento rimbombarono quando loro due atterrarono.
-Dicevi sul serio, prima, quando hai detto che non faremo nulla fino a quando non troveremo la loro base principale?- chiese Rouge, incapace di trattenersi oltre.
Shadow si voltò appena a guardarla. –Tu che pensi?-
Rouge sorrise. –Hai mentito.-
Shadow annuì appena. –Questa notte andiamo a fare a pezzi la prima delle quattro basi che restano. Se per te va bene.-
Rouge spostò il peso su di una gamba sola. –Ma perché non li hai voluti con noi?-
Il riccio nero mosse qualche passo verso la porta, sguardo fisso a terra. Non rispose subito.
Si voltò, guardò dritta negli occhi Rouge e, quando fece per parlare, accadde.
Lo schianto metallico riecheggiò per tutta la piccola base, come in una campana.
Un boato, poi silenzio.
Lo stomaco di Rouge era ghiacciato. Un Chaos Spear frizzava attorno al bracco di Shadow, occhi fissi verso la porta.
-Veniva dall’hangar?- chiese in un sibilo il riccio.
Rouge annuì. Chi poteva essere stato a fare quel rumore? Avevano scoperto il loro nascondiglio? Gli avevano trovati? Dovevano fuggire? Dove sarebbero andati? Che fare?
Shadow si mosse verso la porta, Rouge lo seguì, lasciandosi alle spalle quello che poteva venir definito come “salotto” , divano, tavolino, tv. La porta a scorrimento si attivò automaticamente, furono nel corridoio. Le varie porte delle stanze si affacciavano su quel tetro tunnel che le collegava tutte, all’estremità di destra c’era l’hangar.
Silenziosi come soltanto loro due potevano essere, sgusciarono fino alla porta. Cautamente, Shadow sfiorò la mano di Rouge, agganciandola per il Chaos Control. Si ritrovarono appena oltre la porta, ancora chiusa e silenziosa, nascosti dietro ad una piccola piramide di casse di legno contenenti per lo più cibarie e armi.
Silenziosamente, con il cuore che le batteva in petto, Rouge sbirciò oltre il bordo di una cassa.
Vide inizialmente soltanto la propria navicella, quella che aveva usato durante l’avventura dei Metarex. Poi scorse la sagoma.
Una grande figura umanoide, immersa nella penombra, appena dietro l’ala del velivolo.
Si voltò verso Shadow. Anche lui stava guardando ma, a differenza di Rouge, stava sorridendo.
Due fanali rossi si accesero a mezz’aria, sulla testa dell’intruso.
-Ne è passato di tempo, dall’ultima volta.- disse Shadow.
 
 





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Phantom è tornata!!
Ho esitato molto prima di decidermi a pubblicare questo capitolo. Non mi convinceva molto l'ultima parte (che è stata infernale da scrivere). Spero vada bene :/ sinceramente non sapevo come altro fare.
...
Come avrete comunque notato, non s'è concluso molto in questo capitolo.  Capirete anche che era però indispensabile per il resto della trama. Credetemi, ho provato seriamente a tentare di inserire un qualche "finale", sia per quanto riguarda Shell che Eta. Ma la faccenda diveniva troppo lunga, e un capitolo di trenta pagine sarebbe stato davvero troppo indigesto. 
dunque, ho spezzato tutto e alla prossima puntata vedremo le soluzioni adottate un po' da tutti i personaggi u.u 
Sia Shell, che forse dovrà contattare qualcuno (chissà chi sarà mai? XD).
Sia Eta, che si ritroverà in una situazione a dir poco incresciosa. 
Sia Shadow e Sonic.
Ma ora la smetto e mi zittisco. A voi crogiolarvi nei dubbi! Muahahah! 
^.^ 
come sempre, mi sono impegnata al massimo!
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento, sebbene la poca sostanza effettiva ^.^' 
a presto!

vostra, 
Phantom 
 

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Capitolo 10
*** 9. Assalto (parte 1) ***




 
Capitolo 9
-Assalto-
(parte 1)
 
-Quindi, cosa facciamo?- chiese piano Tails, dopo un interminabile attimo di silenzio. Gli occhi di Sonic, ancora fissi nel punto in cui Shadow e Rouge erano spariti, luccicarono.
-Che domande.- sbottò. –Andiamo a distruggere uno dei laboratori.-
Un’onda di “cosa”, “che” e “come” travolse il riccio blu. Sonic schioccò la lingua. –Non avrete mica creduto alla storiella della precauzione, vero?-
-Ma- Intervenne Amy, gli occhi sgranati. –Il loro ragionamento aveva senso! Sarebbe meglio trovare innanzitutto la loro base principale, con calma, prima della battaglia finale.-
-Battaglia finale…- ripetè piano Knuckles, facendosi scrocchiare le nocche. –Non sarà un giochetto, temo.-
Sonic li guardò esasperato. –Ma davvero non l’avete visto lo sguardo di Shadow?- ai visi smarriti dei compagni, si spalmò una mano sulla faccia. –Beh, allora ve lo dico io. Gli occhi di faker comunicavano una sola parola: massacro! Voi credete davvero che Shadow rimarrà buono e tranquillo nonostante quello che loro hanno intenzione di fare?-
Amy disse piano –In effetti, ho avuto l’impressione che Shadow stesse prendendo questa faccenda un po’ tanto sul personale.- Non ebbe la forza di immaginare in che modo, però.
Sonic si voltò verso di lei, accigliato. Ecco, pensò il riccio, quello non l’aveva notato. Si era fermato alla constatazione della furia a stento repressa del suo doppione, non aveva indagato oltre. Gli era bastato capire che le intenzioni di Shadow erano tutto meno che pacifiste.
Se si trattava di faker, un solo punto di vista era insufficiente per un’interpretazione accurata di ciò che gli frullasse nel cranio. Amy aveva visto una sfumatura, lui un’altra. Soltanto ragionando assieme, circa, si poteva sperare di creare un quadro completo della situazione. Shadow era un enigma dalla punta delle orecchie a quella delle scarpe, sicuro!
Ma su un punto specifico il riccio nero non s’era minimamente scoperto: il perché di tutto ciò. Perché tenerli fuori da tutta quella situazione? Perché non accettare il loro aiuto?
Ovviamente, non c’era risposta. L’unica stava radicata nel cervello del diretto interessato e, a meno che non si fosse telepatici, capire quale essa fosse era impresa impossibile. Tutti sapevano qual era il carattere del loro solitario amico spinato ma, pure da uno come lui, quello scatto improvviso d’antisocialismo non aveva ragion d’essere. Non in quel momento. Cosa stava macchiando davvero Shadow? Impossibile da dire.
-Beh- commentò Sonic, continuando il pensiero di Amy  -L’ultima volta che Shadow ha preso qualcosa sul personale ha quasi disintegrato un pianeta intero … forse è il caso di stare attenti.-
Rimasero per un attimo tutti in silenzio.
-Quindi? Che si fa?- chiese Knuckles in un ringhio.
-Andiamo nei laboratori!- esclamò di botto Tails, facendo sobbalzare tutti per l’improvviso cambio di idea. Tre paia di occhi, due verdi e uno viola, si voltarono verso di lui.
Il volpino passò a spiegare. –Voglio dire, se andassimo in uno dei loro laboratori e se riuscissimo ad intrufolarci nel loro sistema, riusciremmo a trovare quelle informazioni che ci servono. Le coordinate della loro base principale. E distruggendo l’edificio alla fine, riusciremo ad aiutare doppiamente Shadow.-
Fu come se un raggio di luce divina avesse illuminato i neuroni di tutta la banda. Sorrisi si distesero, occhi brillarono, cuori si innalzarono.
Avevano un piano valido e soddisfacente!
Tails continuò. –Per di più, non mi verrebbe in mente dove altro cercare per le informazioni, se non nei laboratori.- ridacchiò –E Rouge ce l’ha anche detto, che le avrebbero cercate loro, ma...-
- …ma senza specificare che l’avrebbero fatto direttamente a casa dei nemici: le avrebbero cercate nei laboratori.- concluse per lui Knuckles.
-Ha senso, in effetti- sussurrò piano Amy, più a sé stessa che ad altri. Forse, che magari Rouge avesse dato loro di proposito una traccia per invitarli a seguirli? Impossibile, non avrebbero fatto tutto quel discorso prima, altrimenti.
-Quindi si va! Questa notte.- dichiarò Sonic, raggiante, scambiando uno sguardo d’intesa con Tails. Il volpino si sentì arrossire quando lesse ammirazione profonda nelle iridi smeraldine del suo fratellone di latte. Mosse le due code, avvolgendosele attorno alle gambe, un po’ in imbarazzo come sempre gli accadeva quando si ritrovava improvvisamente al centro dell’attenzione per un’idea improvvisa.
-In quale delle quattro basi di ricerca, però?-
La domanda rimase sospesa nell’aria.
Avrebbero anche potuto incontrare Shadow, là, se il riccio nero avesse scelto la loro stessa meta.
 
 
Est. Correvano verso est. Il sole stava sfiorando la superficie rugosa della terra alle loro spalle. Là il cielo bruciava, nuvole infiammate lampeggiavano come carboni ardenti. Davanti a loro, invece era già tutto adombrato dall’avanzata della notte, qualche timida stella faceva capolino, qui e là, sopra quel paesaggio collinare che si stendeva tutto attorno a loro per un raggio di diversi chilometri.
Rouge battè le ali, riguadagnando qualche metro di quota. Lo spostamento d’aria di Shadow la trascinava in avanti, a notevole velocità, facilitandole di molto il volo.
Le ali membranose della pipistrella vibrarono ad una corrente trasversale che la investì da sinistra. Due battiti e Rouge riguadagnò l’equilibrio, perdendo però la scia di Shadow. In compenso, si ritrovò a cavallo dello spostamento d’aria del compagno extra che aveva deciso, con tempismo magistrale, di passare a trovarli proprio quel giorno.
Il suono dei suoi motori a reazione era assordante, sì, ma era comunque un rumore rassicurante per lei. Da quando Shadow le aveva chiaramente detto che non intendeva portarsi dietro Sonic e gli altri, Rouge aveva cominciato a preoccuparsi. Forse, si disse, non era stata una decisione brillante. Ma Shadow su certe cose era inamovibile e non stava di certo a lei contestarlo, né tantomeno poteva fargli cambiare idea.
Quindi, in quel momento, era ben felice di avere a disposizione un paio di braccia in più, specialmente se grandi e robuste come quelle di E123Omega.
Le colline tra le quali loro si muovevano zigzagando già da una mezz’ora abbondante cominciarono ad inasprirsi, diventando piccole montagne arrotondate, ricoperte di conifere e pini.  
Il trasmettitore con le coordinate esatte era in mano a Shadow. Il riccio controllò nuovamente la direzione, e scartò bruscamente a sinistra. Omega perse un poco di terreno, meno agile del riccio.
Si infilarono in una stretta valletta incassata tra due colline, particolarmente vicine tra loro, quasi fuse insieme, alla base, tagliata solo da un esile corso d’acqua che scivolava sinuoso in mezzo alle rocce, scavandole.
Shadow lo accostò, correndogli affianco, con Omega e Rouge sempre dietro.
Gli alberi si chiudevano sempre più su di loro, da entrambi i lati, coprendo il cielo con le loro braccia grondanti d’aghi. L’odore di resina e legno era egemone. Cominciarono i problemi per Rouge quando le fronde si strinsero ancor di più sul misero ruscello, diminuendo drasticamente lo spazio rimasto. Quasi quasi, la pipistrella non aveva più nemmeno lo spazio per aprire interamente le ali.
Shadow parve notarlo e rallentò un poco l’andatura, quel tanto da permettere a Rouge di calibrare con più agio il proprio volo. Anche Omega riscontrava problemi non indifferenti, a causa della sua voluminosa figura. Spense i motori a reazione, procedendo così a corsa. Le orecchie incredibilmente fini di Rouge gioirono spudoratamente: niente più frastuono di sottofondo! Solo i suoni del bosco e i profondi passi metallici di Omega che affondavano nello strato di aghi secchi che faceva da tappeto a tutto il bosco, fungendo al contempo da silenziatore naturale. Di tanto in tanto, il crepitio di una pigna schiacciata che crocchiava sotto il peso o del robot o del riccio.
Rouge stava cominciando a chiedersi con frequenza allarmante dove accidenti fosse quel laboratorio e quanta strada ancora ci fosse da fare. Insomma, erano nel bel mezzo del nulla, in un luogo praticamente irraggiungibile! Di chi era stata l’idea di creare lì un laboratorio?
Pure la faccia inespressiva di Omega pareva tradire impazienza. L’unico che non mostrava cedimenti di alcun tipo era Shadow, che procedeva in piena sicurezza, ben conscio di quale fosse la distanza ancora da compiere.
Rouge battè le ali, rischiando di disarcionare uno scoiattolo dal ramo sul quale era appollaiato.
-‘Cidenti, Shadow! Quando manca?- sbottò lei, trapassando una ragnatela dal mostruoso diametro. Rabbrividì d’orrore, agitando le braccia per levarsi di dosso lo spiacevole filamento.
-Non molto- fu la risposta stringata che ricevette dal riccio nero.
Omega per poco non si schiantò a terra, incespicando in una tana di coniglio. –Lo spero.- mugugnò, con la sua voce metallizzata.
Shadow rallentò ancora l’andatura, guardando ora lo schermo ora il paesaggio che gli stava davanti, come comparando la cartina digitale alla realtà. Poco dopo, il riccio nero si arrestò del tutto. –Attenti, adesso. Siamo molto vicini.-
Farsi scoprire, sarebbe stato un bel problema.
Avanzavano ora con estrema cautela, con tutti i sensi a loro disposizione tesi, in particolare il radar di Omega per rintracciare microcamere o altri sistemi d’allarme.
Scovarono di tanto in tanto dei sensori di movimento o di calore. Non erano gran che, come sistema d’allarme, ma in un bosco un qualunque leprotto o cervo avrebbe potuto attivare trappole più complesse. Un semplice ago caduto da un pino avrebbe potuto innescare tranelli anti-intruso.
Non c’era perciò da stupirsi.
Lo era invece il fatto che la foresta taceva. Niente più canti di uccellini, niente più foglie o legnetti smossi da musetti affamati. Solo il fruscio del vento e dell’acqua. Rouge si guardò intorno, preoccupata.
Omega si bloccò. –Telecamera.- annunciò, scovando l’oggetto grazie al suo personale radar. Diede le coordinate e l’ostacolo venne aggirato. Non distrutto, avrebbe attirato attenzioni indesiderate.
Procedettero così, schivando ora telecamere, ora altri sensori di varia natura. Più procedevano, più ne trovavano. Si stavano avvicinando.
Nessuno dei tre parlava, tranne Omega, per annunciare nuove scoperte. Sapevano tutti e tre cosa dovevano fare, i dialoghi erano superflui. L’affiatamento creato nel corso di decine e decine di missioni. Il piano l’avevano già strutturato, salvo soprese ognuno sapeva esattamente cosa fare e dove andare. Non era necessario spendere altre parole al riguardo.
E poi Shadow la vide.
La porta metallica e blindata del laboratorio. Incassata nella roccia che chiudeva quell’angusta valle. Dove le due colline si fondevano definitivamente insieme.
La base di ricerca, dunque, era sotto terra.
 
 
Nord. Scelsero la base a nord. Non avevano preso in considerazione chissà quali motivazioni, semplicemente Sonica aveva puntato il dito sulla cartina esclamando “Là! Il più lontano possibile dal mare!”.
Uno dei laboratori si trovava effettivamente in mezzo all’acqua, su un’isola, sperabilmente. E già solo quella vista era bastata a far venire il latte alle ginocchia al prode eroe.
In ogni caso, se inizialmente una scelta pareva valere un’altra, ora Tails aveva modo di ricredersi.
Ogni singolo pelo sulla sua colonna vertebrale, dal collo fino alla schiena, era ritto come mai lo era stato prima. Le mani non reggevano semplicemente il volante del Tornado X, vi erano praticamente aggrappate, come se quella fosse stata l’unica àncora di salvezza che avesse.
Pure la faccia di Amy aveva un che di spettrale. Loro due, dentro la cabina di pilotaggio dell’aereo stavano ancora, sommato tutto bene.
Sonic e Knuckles, là fuori, aggrappati alle ali del velivolo, non potevano dire altrettanto. Certo, ancora non pioveva, ma l’acqua non avrebbe tardato a cadere, reclamando al riccio blu quel tributo che egli s’era rifiutato di versare al mare, dirigendosi invece in montagna: la coda dell’eroe di Mobius si sarebbe infradiciata comunque.
In tutta la carriera di pilota di Tails, il volpino mai aveva visto un cielo nero come quello. Non c’entrava nulla il fatto che fosse notte.
Un addensamento di nubi senza precedenti soffocava interamente la volta del cielo. Strati su strati di nero, tempestoso, materiale vaporoso si avviluppava e aggrovigliava in sé stesso, caricandosi sempre di più d’acqua ed elettricità. Di tanto in tanto uno tuono scoppiava, sebbene non una saetta né una goccia di pioggia si fossero ancora fatti vedere. Alcuni scintillii non molto rassicuranti illuminavano, di tanto in tanto quella massa informe che ora era il cielo, dando ancor più corpo a quella cupa minaccia che incombeva su di loro.
Il fatto poi che stessero volando, rendeva il titanico fenomeno atmosferico ancor più vertiginosamente vicino. Alzando una mano, forse, avrebbero anche davvero potuto toccare quelle nubi.
Le correnti d’aria parevano impazzite. Si muovevano sibilando in tutte le direzioni, ora salendo, ora scendendo, aggrovigliandosi senza nessun tipo di controllo o regola, rendendo il volo dieci volte più difficile di quello che già normalmente era. E il temporale che prometteva guerra era ancora in fase preparatoria.
Il pilota non osò immaginare cosa sarebbe successo se la tempesta si fosse davvero scatenata, con loro ancora in volo. Frittelle di Tornado X per tutti!
A migliorar la cosa, Tails non solo doveva guidare l’aereo con quella mostruosità sopra la testa, in mezzo a quei venti instabili e ringhianti, ma doveva farlo volando nel mezzo delle montagne più aguzze e ostili che gli era mai capitato di vedere.
Lame di roccia, denti di pietra, sottili come pugnali, snudati dalla vegetazione e dagli alberi, si innalzavano come artigli verso quel cielo furoreggiante. Spuntoni d’ogni forma e dimensione si diramavano dalle vette, come guglie, protendendosi a graffiare le nubi, senza tuttavia riuscire a toccarle. Non erano montagne corpose e massicce, quelle, erano come spade di pietra, esili e perforanti. Predatrici. Fitte come i denti di uno squalo. Roccia nera e scheggiata, glabra, rifletteva il colore e il temperamento del cielo.
Nero sopra, nero sotto. Un aereo in mezzo.
Tails tremava, con gelide gocce di sudore che gli scivolavano giù per il collo.
-Ma come diavolo hanno costruito un laboratorio in un posto del genere?- squittì Amy, guardando di sotto con occhi angosciati. Fuori, sulle ali, i due che si arresero a procedere a piedi si sforzavano violentemente per fare l’opposto, cioè non guardare giù. Loro, da là, probabilmente, avrebbero visto direttamente il fondo della valle che stavano risalendo. Fondo che si trovava quasi tremila metri più in basso. Troppo anche per loro.
-Non lo so come hanno fatto, Amy. Ora però abbiamo la prova del nove che quei tali sono tutti completamente pazzi.-
-Ci pensi? Come hanno fatto a portare fin quassù il materiale per costruire un intero laboratorio?-
-Di sicuro è un posto a prova d’intruso.-
Sonic allungò di colpo una mano, indicando qualcosa. Tails non sentì ciò che il riccio diceva, il vento rapì la sua voce. Seguì però il dito puntato dell’amico, vedendo una vaga sagoma scura, aggrappata su uno spuntone roccioso della montagna difronte a loro. Posizione allucinante sotto ogni punto di vista.
-Trovati!- gioì Amy.
-Già.- deglutì Tails. –E io dove dovrei fare atterrare il Tornado X?-
 
 
Che ci credesse o no, ancora non era riuscito a trovare una spiegazione logica per il nervosismo che si sentiva in corpo. E la cosa gli dava oltremodo fastidio. Uno spiacevolissimo sentimento, forse parente dell’Angoscia, ma non poteva esserne certo.
In ogni caso, il fatto di non capire come si sentisse né tantomeno il perché, lo stava logorando. Magari stando da solo sarebbe riuscito a sbrogliare la faccenda, ragionandoci su con calma. Ma, guarda caso, a migliorare il tutto, Rouge s’era impuntata, insistendo a volerlo seguire, all’interno del laboratorio, stando insieme.
Shadow aveva ribattuto che sarebbe stato meglio dividersi, per trovare più in fretta il database e il generatore elettrico. Ma lei l’aveva guardato fisso negli occhi e aveva detto “no”.
Ed ecco un altro “perché” irrisolto da aggiungere alla lista.
Come mai da quando erano partiti Rouge pareva essere più apprensiva del solito nei suoi confronti?
Forse lei aveva paura … nah, impossibile. Non era di certo una semplice missione d’infiltrazione che metteva timore a Rouge The Bat. Shadow aveva la scomoda sensazione che lei volesse rimanergli accanto come se lui avesse bisogno di sostegno. Inutile dire come ciò lo irritasse.
Aggrottò la fronte, avanzando ancora un po’ nel condotto d’aria. Di nuovo, inscatolati tutti e due in quei tubi asfissianti. Ma quella era una delle regole principali del gioco, niente obbiezioni, dunque.
Omega era rimasto fuori, a fare la guardia. Un robot grande a quel modo non era adatto ad una delicata intrusione come quella.
Si muovevano rapidi, nel condotto d’aria, seguendo i fasci di cavi elettrici, che, sicuramente, li avrebbero condotti da qualche parte, magari ai generatori elettrici o ai database.
Invece, trovarono la sala di controllo.
-Che botta di fortuna!- sibilò Rouge, osservando con occhioni lucidi le schermate con le riprese delle telecamere di sicurezza. Sfondando una delle grate del condotto, piombarono entrambi nella sala, stendendo la solitaria guardia che sedeva pigramente davanti ai monitor. Riposizionarono il corpo privo di sensi in una posa un poco più naturale, come se si fosse addormentato.
Né Shadow né Rouge erano ai livelli di Tails con l’elettronica, ma un paio di giochetti utili li conoscevano anche loro. Come per esempio impostare le telecamere in modo tale che sullo schermo dell’ufficio in questione si vedesse sempre il solito filmato che passava e ripassava, ininterrottamente, mostrando sempre la stessa immagine e lasciando così libero il passaggio a degli eventuali intrusi. O come per esempio, scovare una mappa dell’intero edificio e impiantarla sul loro piccolo palmare di fiducia.
Mentre Rouge finiva di sistemare le telecamere, Shadow studiava la mappa, cercando un percorso adatto.
La prima cosa che il riccio notò fu che non tutte le disposizioni di corridoi e stanze seguivano schemi geometrici precisi, come invece fin ora era sempre stato in qualunque edificio. Molti erano ricurvi, o senza alcuna forma, a volte vagavano, facendo giri e volute del tutto inutili, con porte impiantate in luoghi improbabili collegate invece a passaggi dritti, senza mezza ondulazione, che conducevano a stanze che, secondo la logica, avrebbero dovuto stare vicine e che invece si trovavano a distanza notevole. La maggior parte dei locali non era rettangolare o quadrato, almeno le più grandi, avevano forme indefinite e indefinibili. Shadow impiegò un attimo a capire.
Tutto il laboratorio era stato impiantato in un sistema di grotte naturali già esistenti prima che gli scienziati venissero lì. Cunicoli e caverne erano in parte già presenti. L’uomo vi si era semplicemente inserito, installando ora qui ora là i macchinare e le stanze necessarie per un sofisticato laboratorio di ricerca. Erano stati aggiunti nuovi corridoi, nuovi passaggi e nuove aree aperte dove necessario, quelle che sulla cartina avevano indubbia forma geometrica. Tutto il resto era stato scavato da madre natura.
Per concludere, quel laboratorio era un ammasso di corridoi e stanze aggrovigliati tra loro in un’area tridimensionale che ricordava vagamente una patata, una tremolante e irregolare forma ovoidale, con un’estremità verso la fiancata della collina e l’altro rivolto verso il centro del monte.
Non impiegò molto ad individuare la loro posizione e quella dei loro due obiettivi. E il morale gli crollò sotto ai tacchi.
Loro attualmente erano nella sala controlli, situata sul versante più “esterno” del laboratorio, quello più vicino al fianco della montagna e ai boschi.
Il generatore era abbastanza lontano da dove si trovavano loro ora, ed era nel centro della zona di ricerca, tra le capsule e le celle di contenimento, situate nel lato “interno” del laboratorio, quello più verso il cuore della montagna. Incontrare i frutti degli esperimenti biologici di quel laboratorio dunque non sarebbe stata una scelta facoltativa, dovendo loro, per raggiungerlo, attraversare il laboratorio e la zona di ricerca per tutta la sua estensione.
Il database invece si trovava relativamente più vicino, solo a diversi piani più in basso. Se di “piani” si poteva parlare.
Per di più, se già il tutto aveva un’aria dannatamente arruffata, i condotti d’aria lo erano tre volte tanto. Escluse quindi, anche viste certe dimensioni ristrette di alcuni passaggi, di spostarsi unicamente tramite il sistema di ventilazione, per l’eccessiva complicatezza e l’elevato rischio di perdersi o rimanere incastrati. Dovevano per forza di cose usufruire anche dei corridoi, zigzagando tra un sistema d’allarme e l’altro, in piena vista.
Il riccio sbuffò, grattandosi un orecchio. Avrebbero impiegato tutta la notte per raggiungere prima il database e poi il generatore.
Visto il tempo che avevano impiegato per percorrere la distanza fino alla sala controllo, Shadow calcolò che la lunghezza totale di quel laboratorio era ragguardevole. E procedere con il Chaos Control non sembrava molto prudente, quel posto era sicuramente pieno di trappole, sensori e laser.
A meno che …
-Rouge.- chiamò.
-Mh?- fece lei, alle prese con il pc.
-Non è che si può disinnescare il generatore da qui, vero?-
-Ci avevo pensato anch’io, caro, ma per sicurezza i cervelloni non hanno previsto questa possibilità. Lo spegnimento può essere attuato solo ed esclusivamente manualmente.-
-Lo temevo.-
Rouge si voltò un attimo verso di lui. –Qual è il problema?- chiese.
-Non possiamo muoverci assieme e sperare di finire questa faccenda in fretta. Dobbiamo dividerci, oppure qui facciamo giorno.- fu la risposta.
Le dita della pipistrella esitarono sulla tastiera, per poi riprendere subito il lavoro. Non ci volle molto a Shadow per capire che l’idea non le era piaciuta. Ma lui non poteva farcene molto.
Le espose il piano. -Tu vai al database e prendi le informazioni. Quando avrai finito di cercare le informazioni che ci servono, io avrò raggiunto il generatore e, quando mi darai l’ok, io verrò a prenderti e farò saltare tutto. Va bene?-
Rouge sospirò. –Non vedo altre opzioni.-
Due bip-bip consecutivi annunciarono che la pipistrella aveva finito di taroccare le telecamere. –Fatto.- disse, alzandosi dalla sedia mentre Shadow armeggiava con il picco schermo portatile di Rouge, immettendo in esso una copia della mappa con due puntini luminosi che rappresentavano loro due. Glielo porse, completata l’operazione. Lei lo prese, tenendo gli occhi fissi in quelli di lui. V’era disappunto in essi.
Shadow si voltò, mosse qualche passo. –Andiamo.- disse. Né una domanda, né un’affermazione, né un ordine.
-Aspetta.- disse piano Rouge. Lui si fermò, voltandole sempre la schiena.
Lei continuò, esitando. –Se c’è qualcosa che non va, qualunque cosa, chiamami.-
Shadow aggrottò la fronte. Ma quello lui non lo faceva già di solito?
-E non sto parlando solo delle situazioni di vita o di morte.- aggiunse lei. –Chiamami anche se … se vedi qualcosa di … molto spiacevole.-
La mascella di Shadow si serrò di scatto, mentre un luccichio di rabbia si accendeva nel suo sguardo, sempre di schiena. Ma che diav…?
Riuscì in un qualche modo a non dire niente. Tenne a freno la lingua e riprese a camminare, spiccò un salto sparendo nel condotto d’aria. Per un pezzo di strada poteva ancora riuscire a seguire quel percorso nel sistema d’aerazione.
Rouge, dietro di lui, sospirò, abbassando gli occhi a terra. Sapeva che quello era un “Sì, ma non dovevi dirlo”. Sospirò di nuovo.
Non rimase lì ancora molto, saltò anche lei nel condotto, prendendosi un attimo per studiare la mappa e scegliere che percorso prendere.
 
 
Il problema dell’atterraggio si rivelò insormontabile. In mezzo a quelle montagne aguzze non si sarebbe trovata un posticino per il Tornado neanche a costruirlo a suon di picconate. Dunque, si risolse la questione lasciando il volpino alla guida, con il compito di tenere in aria il Tornado X per tutto il tempo dell’infiltrazione della banda di mobiani. Sorse così automaticamente una seconda problematica di notevole spessore: il carburante. Il Tornado X aveva abbastanza benzina per un massimo di due ore, due ore e mezza di volo. Quindi, Sonic e gli altri avevano un tempo limite per rimanere nel laboratorio scaduto il quale avevano l’obbligo di uscire e imbarcarsi sull’aereo al più presto.
Così, dopo una discussione durata dieci minuti buoni, che vide come partecipi Tails, Amy, il vento e i gesti disperati di Sonic e Knucles, ancora aggrappati sulle ali dell’aereo e ben fuori dalla portata uditiva di un comune orecchio, i tre prescelti per la missione tirarono all’unisono un sonoro sospiro di sollievo quando toccarono il tetto del laboratorio.
Peccato per loro che avessero davvero poco di cui rallegrarsi.
-Sapete?- cominciò l’echidna, guardando con occhio critico il cielo scoppiettante di saette. –Dubito davvero che Tails abbia addirittura due ore e mezza. Secondo me ne avremo al massimo una, forse anche solo mezza, prima che tutta quella roba lassù ci caschi addosso. E allora ciao ciao Tornado X e pilota.-
La doppia occhiataccia che ricevette lo fece irritare. –Insomma, ragazzi. Ciò che è vero è vero. Dovremmo fare in fretta.-
-Knuckster ha ragione.- ammise Sonic, adocchiando quello che sembrava lo sbocco del sistema d’aerazione di tutto quanto l’edificio. –Entriamo da là?- chiese.
Nessuno obbiettò, tutti d’accordo. Si avviarono.
-Domanda: qualcuno di voi sa da che parte dobbiamo andare, una volta là dentro?- domandò Amy.
Gli altri due le fecero spallucce.
 
 
Shadow si teletrasportò in avanti di qualche metro, evitando un’intricata rete di raggi laser. Si trovò ad un bivio, seguì il corridoio di destra. Si mosse rapido, silenzioso, stando accostato alla parete, occhi fissi sulle telecamere messe fuori uso da Rouge, orecchie tese, pronte a cogliere ogni genere di suono. Fin ora non aveva trovato particolari difficoltà. Solo, si doveva fare attenzione con le persone. Farsi vedere da uno scienziato o da un militare sarebbe stato imperdonabile. Militari. Già. Erano ovunque. E la cosa preoccupava Shadow non poco. Ma il riccio nero non aveva avuto il tempo di soffermarsi troppo sulla questione. Aveva solo una marea di dubbi e ipotesi, una peggiore dell’altra.
Svoltò a destra, fece rapidamente marcia indietro, acquattandosi dietro un angolo per lasciar passare una coppia di ricercatori. Poi, si mosse di nuovo, soltanto per trovarsi davanti una massiccia porta blindata, con una serie di sbarre di ferro e lastre d’acciaio ad incastro come sigillo.
La mappa diceva che oltre quell’immenso portone vi era la sezione “esperimenti”, che lui doveva attraversare per raggiungere il generatore.
Shadow scandì lo spazio con il potere di Chaos, cercando un punto adatto per il teletrasporto. Evitò di atterrare nel mezzo del corridoio, magari proprio difronte ad un ricercatore. Optò quindi per una meta più modesta. Impiegò un attimo a calcolare con esattezza il punto d’arrivo del teletrasporto, ma riuscì a materializzarsi in un condotto d’aria, largo quel tanto che gli bastava per non rimanere incastrato a metà.
Sbirciò da una grata e non potè fare altro che rallegrarsi della scelta presa.
Erano cinque le persone lì presenti. Due in divisa militare, tre con il camice bianco.
I due soldati erano di guardia alla porta blindata, i ricercatori invece stavano armeggiando con una serratura di una porta laterale, di metallo pure quella. Il resto del corridoio era vuoto, illuminato da strisce di lampade al neon.
C’era un silenzio innaturale, lì.
Forse su anche per quello che il riccio sobbalzò vivamente, quando la voce di Rouge lo raggiunse attraverso il microcip che aveva vicino all’orecchio.
-Ehi, Shady. Tutto ok?-
Il riccio si permise un sospiro, prima di rispondere. Chissà per quale ottusa ragione la pipistrella s’era impuntata a voler tenere la comunicazione sempre attiva. Ogni due, tre minuti difatti contattava Shadow.
Valutò sinceramente se risponderle o meno. –Tu, piuttosto?- brontolò in risposta.
Silenzio dall’altro lato del ricevitore, solo una mezza risatina di Rouge. Shadow cominciò ad avanzare strisciando. Le due guardie non sentirono né notarono nulla.
Con tutta la silenziosità di cui disponeva, il riccio procedeva, curando ogni singolo movimento con attenzione estrema. Tanta, troppa esperienza l’aveva reso particolarmente abile in quel genere di azioni.
Grazie ad un apposito apparecchio che gli permetteva di vedere i raggi infrarossi tramite una lente speciale posta su di un occhio del riccio, Shadow si bloccò giusto in tempo quando vide gli insidiosi fasci luminosi rossi disposti a rete all’interno del condotto d’aria. Imprecò mentalmente.
Da lì non si poteva di certo passare.
Si mosse all’indietro, fino a raggiungere una piccola grata che aveva superato non troppo tempo prima.
Giù nel corridoio tutto pareva calmo e tranquillo. Nessuna persona. Solo le telecamere messe fuori uso da Rouge.
Si materializzò sul pavimento, contro la parete. Rimase un attimo in ascolto, per accertarsi di nuovo che non ci fosse anima viva o morta. Visto da basso, quel corridoio era anche più inquietante di quanto non lo fosse dal condotto d’aria.
Gelide lastre, forse di metallo, tappezzavano pavimento e pareti, lasciando solo sul soffitto la roccia naturale della montagna, striata dai cavi elettrici, brutalmente legati al soffitto da cinturini di plastica affrancati alla pietra tramite chiodi, per mantenere accese le luci e i sistemi di sicurezza. Segno che, tra l’altro, Shadow si stava muovendo nella direzione giusta.
Quello era un corridoio dritto come pochi. Forse il più regolare che il riccio aveva visto da quando era entrato là dentro. Niente curve dovute alla forma della grotta, niente deviazioni causate dalla friabilità della roccia che talvolta non permetteva di scavarci dentro, niente bozze di pietra sopravvissute agli attrezzi di scavo per la loro eccessiva durezza, che sporgevano invadenti dai muri. Un perfetto corridoio rettangolare.
Vi erano quattro grandi finestre, che si affacciavano sul passaggio in cui ora stava Shadow. Cosa ci fosse oltre i vetri, dalla sua posizione attuale, il riccio non poteva dirlo. Ma la sensazione che aveva in corpo era tutta meno che rassicurante.
Il silenzio che regnava in quel posto era opprimente, soffocante. Non un singolo suono, eccezion fatta per il respiro di Shadow.
Avanzò piano, fremendo ogni volta che le sue scarpe si posavano sul suolo. L’assoluta mancanza di rumori, rendeva infatti quel quasi impercettibile ticchettio un frastuono spaventoso. Così, quando Shadow raggiunse la prima delle tre finestre, una decina di passi più avanti, aveva già in corpo una tale tensione che se Rouge l’avesse chiamato a sorpresa in quel momento, avrebbe davvero rischiato di rilasciare involontariamente un Chaos Blast. E non era solo il fatto di sentirsi dannatamente esposto, lì, in mezzo al corridoio, in tutto quel silenzio. Percepiva qualcos’altro di non ancora decifrato, che prometteva sofferenza.
Raggiunta la prima finestra, intuì da dove arrivasse quella strana sensazione.
Era in tutto e per tutto una cella, ovviamente blindata, di un accecante color bianco vivo. Un piccolo televisore rotto giaceva in un angolo, con lo schermo sfondato, in compagnia di alcuni libri più o meno malconci. E poi Shadow individuò il proprietario di quella cella.
Era accovacciato su sé stesso, in un angolo della stanza, faccia rivolta al muro, con le ginocchia strette al petto, coda sottile avvolta tutto attorno, orecchie rotonde piegate indietro, sul capo nascosto tra le gambe. Dal modo in cui il braccio destro pendeva inerme al fianco della cavia da laboratorio, Shadow intuì che fosse rotto. Il rigonfiamento del gomito, e un altro a metà dell’avambraccio fu la conferma. Doppia frattura.
I tremiti che di tanto in tanto scuotevano quell’essere lasciavano trapelare che stesse piangendo. A giudicare dalle condizioni del braccio, e degli altri lividi, aveva tutte le ragioni per farlo.
Pelliccia grigio-bianca, chiazzata di metallo, sulla spina dorsale e sugli arti. Non sulla testa. Il tutto, ovviamente, rigato da rosse scie di sangue, quasi interamente secco.
Gli occhi di Shadow si assottigliarono, mentre il suo cervello elaborava quell’immagine, in cerca di tutte le possibili spiegazioni.
Quel poveretto aveva combattuto, e le aveva prese di santa ragione. Contro chi? Shadow non s’era scontrato con lui, quindi doveva essere stato qualcun altro. La creatura era forse fuggita dal laboratorio? Oppure aveva dovuto combattere contro … qualcos’altro? Che gli scienziati stesser insegnando alle loro creazioni a lottare? O era “solo” una punizione?
Non potè fare a meno di provare dispiacere per quell’essere, là dentro. Non doveva essere facile.
Ancora per poco, dai. Poi farò saltare tutto e non soffrirai più.
Avanzò ancora, mentre un fastidioso mal di testa cominciava a trapanargli il cranio. Shadow inizialmente non ci fece molto caso. E, in seguito, se ne pentì.
Nella seconda cella una bizzarra catena, puntata verso il soffitto contro tutte le leggi di gravità, si muoveva freneticamente in cerchio, in senso orario, a notevole velocità.
Shadow rimase perplesso, a quella vista, chiedendosi che razza di creatura potesse essere mai quella. Quando si avvicinò al vetro, il moto della catena si immobilizzò all’istante, rimanendo ferma il più vicino possibile alla finestra-specchio, come in attesa, come se stesse studiando chi fosse quel tizio di fuori.
Una cosa era certa: qualunque cosa fosse quella legata all’altro capo di quella catena, aveva dei sensi spaventosi.
Un piccolo altoparlante situato a fianco del vetro, che prima Shadow non aveva proprio notato, impostato sulla modalità ON, riprodusse il fischio viscido e gutturale della cavia attaccata al soffitto. Un ringhio minaccioso che, sebbene disarticolato, non faticava a trasmettere il suo messaggio di minaccia.
E il mal di testa di Shadow aumentò di diversi gradi, tanto da fargli stringere i denti.
Lo conosceva, quel dolore. Lo aveva già provato molte, molte volte, specialmente negli ultimi tempi: era il dolore causato da un ricordo che lottava per riemergere.
Piano piano, in tutti gli anni passati con Sonic e gli altri, circa i due terzi dei suoi ricordi risalenti all’ARK era tornato (anche grazie a Black Doom, per quanto gli dispiacesse ammetterlo). Quindi, ora, poteva affermare di avere un quadro piuttosto completo ed esauriente del suo passato, almeno per ciò che riguardava le parti più rilevanti. C’erano ancora macchie oscure, di amnesia, qui e là, e di tanto in tanto, qui e là spuntavano nuove sorprese, come quella.
Si diede del cretino per non aver riconosciuto prima quel dolore alla testa. E, ovviamente, proprio lì, in quel posto e in quel momento, la sua memoria doveva comunicargli nuove scoperte! Digrignò i denti, ignorando caparbiamente il pulsare pungente che gli tuonava tra le tempie.
Controllò la mappa. Il generatore non era più così distante. In fondo a quel corridoio, poi a sinistra, a destra, dritto per un tratto e a sinistra di nuovo.
Guardando lo schermo, intravvide con la coda dell’occhio una minuscola lucina rossa risplendere sopra all’altoparlante di quella terza cella di contenimento, impostata sull’OFF. Alzò piano gli occhi, e ciò che vide oltre la finestra unilaterale gli riaccese in tutta la sua forza il mal di testa che era appena riuscito ad ignorare.
La stanza era d’un bianco abbagliante, come le altre due, ma, in questo c’era anche un grosso e robusto tavolo, con una capsula colma di liquido viola appena dietro. Furono principalmente tre le cose che Shadow notò.
Il rosso del sangue sotto ai piedi dei chirurghi all’opera.
Le scintille causate dal metallo sotto lavorazione accanita.
Le mani della vittima, strette a pungo, che tiravano con forza mostruosa i lacci che tenevano il corpo legato al tavolo operatorio.
Giusto appena Shadow incrociò gli occhi grondanti di dolore di Teta. Giusto appena notò le sue mascelle spalancate in un grido muto, soffocato all’isolazione sonica di quella stanza.
Sentì la propria mente catapultata all’indietro, nel suo oblio personale. Percepì la coscienza del proprio corpo ben lontana dalla sua possibilità di controllo, sentì l’equilibrio venire a mancare. Provò lo sbilanciamento, la sensazione di stare per cadere, ma non potè fare nulla per rimediare. Come se qualcuno avesse tagliato i cavi che connettevano la sua mente al resto del suo corpo. Ebbe tutto il tempo per formulare una lunga e variopinta imprecazione. Ma ora deveva succedere?
Mentre si sentiva cadere di lato, contro il muro, la sua mente per definitivamente contatto con il resto di sé, e i suoi occhi si misero a guardare una scena già vista, cinquant’anni prima.
 
La mano di Gerald Robotnik sulla sua spalla era pesante. Camminava, e sapeva verso dove.
Dietro, i passetti slanciati in corsa di Maria li stavano raggiungendo. –Nonno!- gridò. –Non puoi farlo! Non è giusto!-
Il sospiro dell’uomo lasciò chiaramente intendere tutto un dolore non espresso. Non si fermò, però rallentò l’andatura. –Lo so che è una cosa brutta, tesoro mio.- disse, a voce bassa. –Ma va fatto.-
-No!- gridò invece Maria, gettandosi sul braccio del nonno, separandolo da Shadow. –Gli farà male!-
Gerald socchiuse gli occhi. –Temo sia inevitabile, piccola mia.-
Lo sguardo color primavera di Maria si tinse di lacrime. –No!- gridò ancora, insistendo. Indietreggiò, allontanando ancora un po’ Shadow dal nonno.
Lo scienziato sospirò, piegandosi sulle ginocchia fino a scendere all’altezza di Maria. La guardò negli occhi. –
-Ci sono …- cominciò lui- …dei controlli che dobbiamo fare. Per vedere se va tutto bene.-
Lo sguardo di Maria si fece ostile. –L’altra volta hai detto che lo volevate studiare, invece!-
Gerald non mosse un muscolo facciale. –Lo dobbiamo studiare per vedere se va tutto bene in lui.- disse lo scienziato.
Agitazione, Shadow provava agitazione. Preoccupazione, nel vedere Maria così spaventata.
Che gli esperimenti fossero una cosa cattiva s’era già capito. Ma vedere Maria così alterata … gli dava quasi le vertigini, si sentiva nello stomaco la sua paura. Deglutì, spostando lo sguardo da uno all’altro. Voleva che la smettessero.
Maria scuoteva la testa. –È una persona, sai? Non puoi fargli questo.-
Il nonno esitò, prima di parlare, con voce solenne e profondamente sincera. –Credimi, tesoro mio, lo so. Lo so quanto voi due siete legati. E so anche che lui è una persona, sebbene non umana. Devi fidarti, se ti dico che non lo farei se non fosse più che necessario. Va bene?-
Maria si mordicchiò un labbro. Spostò lo sguardo su Shadow. –Prometti, nonno- disse invece lei. –Prometti che questa sarà l’ultima volta.-
La bocca dello scienziato si stiracchiò in un triste sorriso. –Sarà l’ultima volta, hai la mia parola.- strinse la manina candida della nipote. –Promessa solenne.- concesse.
L’espressione di Maria però non si rilassò, giusto un mezzo sorriso come ringraziamento, accompagnato da una lunga, intensa occhiata, di quelle irresistibili che solo lei sapeva dare. Poi si voltò verso Shadow. –Ha detto che questa è l’ultima volta.- gli disse.
Il riccio continuava a guardarla, cercando di capire bene cosa stesse succedendo. Per lui, quel mondo, quelle persone, funzionavano ancora troppo rapidamente. Doveva ancora impratichirsi un po’.
Maria, senza preavviso, l’abbracciò. –Poi, quando sarà tutto finito, ti leggerò una storia, va bene? Sì, leggeremo una storia e guarderemo alcuni bei libri con delle grandi immagini. Tu, in cambio, devi resistere ancora quest’ultima volta, va bene?-
Shadow annuì piano. Ovvio che avrebbe resistito, sapeva di poter sopportare ben altro senza alcun problema. Solo, a rimanerci male era lei, non lui.
Si separarono. Shadow e Gerald da una parte, Maria ferma in mezzo al corridoio, lasciata fuori dalla porta, davanti alle lunghe finestre, nelle quali la via lattea scintillava in tutto il suo gelido bagliore.
In tutta sincerità, Shadow dovette confessare che quella stanza cominciava davvero a stargli antipatica. Lì lo osservavano, lo studiavano e tal volta …
 
Shadow ritornò nel proprio corpo, ritrovandosi in ginocchio, senza sapere esattamente come c’era arrivato in quella posizione. Riconquistati muscoli e membra, riuscì in un qualche modo a tirarsi su in piedi, appoggiandosi poi contro la parete. Rimase in quella posizione, schiena al muro, respiro ansante, con in petto ancora il dolore vivo di ciò che era seguito subito dopo l’interruzione del ricordo. Gli era già capitato altre volte, di rivedere alcuni esperimenti che l’avevano avuto come protagonista. Ma non aveva mai notato il fatto che a Maria la cosa mettesse una tale angoscia.
Ecco, oltre la testa, che faceva male per il ricordo riesumato, gli doleva pure la pelle, in ricordo di quei bei momenti passati in laboratorio, e il cuore, per aver rivisto di nuovo quegli occhi troppo limpidi.
Rimase ancora un po’ lì, badando bene a non voltare la testa verso il nemico della sua ultima battaglia, intento a pagare il prezzo delle ferite subìte.
-Shadow!- l’urlo di Rouge per poco non gli divelse un timpano. Sobbalzando, rispose alla chiamata.
-Sì?-
-Che accidenti stavi facendo?! T’ho chiamato due volte! Ma tu non mi rispondevi!-
Il riccio sospirò. Che dirle? Optò per rimanere sul vago. –Non era il momento adatto per poter parlare.-
Intanto, all’interno della cella, il muso di Teta, sotto i ferri, si voltava un po’ troppe volte verso il vetro, il naso fremente, le orecchie puntate, oltre i suoi aguzzini.
-Va tutto bene?- chiese di nuovo Rouge, la voce preoccupata.
-Sì!- ringhiò in risposta Shadow. Realizzò solo dopo che il tono che aveva usato era forse un po’ troppo brusco per la situazione.
Il silenzio indignato della pipistrella lo costrinse a non chiudere lì la conversazione. –Ti stai avvicinando al database?-
-Ci sono quasi.- confermò lei. –Tu?-
-Anche. Manca poco.-
Un rumore di passi mise Shadow in allerta. –Arriva qualcuno. Chiudo.- spense la conversazione. Guardandosi attorno. La testa ancora non gli funzionava bene del tutto, e l’equilibrio ancora non era ottimale. E i passi si avvicinavano dal corridoio che si univa a quello, poco più avanti, oltre la quarta finestra. Shadow si chiese, per un istante, chi mai ci fosse là dentro. Ma non ebbe il tempo materiale per elaborare quell’informazione. Il presente esigeva maggiori e più urgenti attenzioni.
La verità era che lui si trovava completamente esposto, al centro di un corridoio, con la testa in fase ancora disastrata, e con dei passi in avvicinamento rapido. In tutta onestà, dubitò anche di potersi mettere semplicemente in piedi senza il muro di sostegno.
Perfetto, ringhiò. Immobilizzato, in piena vista, senza potersi muovere. Per un attimo pensò anche di usare il Chaos Control e andare a nascondersi, per un attimo, nella cella del primo individuo, quello più malconcio, che, tanto, di sicuro non poteva rappresentare una minaccia, anche se lui era in stato confusionale.
I passi erano sempre più vicini, e l’idea abbozzata era sempre più allettante, quando il ricordo di prima riemerse di nuovo, allagando completamente le facoltà del riccio, che scivolò via di nuovo da sé stesso.
Si sentì accasciarsi contro il muro, e il flash back gli invase il campo visivo e quello percettivo.
La bruciante fretta della situazione presente, andò a cozzare brutalmente contro la tranquillità e la dolcezza del passato. E Shadow dovette arrendersi e lasciare che accadesse ciò che doveva accadere, sperando solo che il ricordo finisse velocemente.
 
Gli faceva male tutto, ogni singola cellula, ogni fibra. Maria l’aveva aspettato davanti alla porta del laboratorio per tutto il tempo. Non era riuscita ad allontanarsi, come se dovesse stargli il più vicino possibile, condividere con lui la brutta avventura e sostenerlo appena terminata. Erano andati in stanza sua.
Ed ora Shadow si trovava seduto sul letto di Maria, con lei seduta affianco, avvolti entrambi dal soffice piumone. Un grande libro illustrato era depositato sulle ginocchia della ragazzina.
Si sentiva bene, nonostante il dolore che andava e veniva. Con Maria accanto non si poteva non stare bene. Shadow, più che sul libro, era concentrato sulla presenza di lei, la sua rincuorante, rassicurante presenza. Si accoccolava al suo calore, rilassandosi completamente, lasciando scivolare via il calore. Solo lei, solo Maria. Nient’altro.
-Vedi?- disse la ragazzina, con gentilezza, puntando il dito sulla pagina. –Questa qui è una zebra. C’è scritto che vive in Africa. Quel continente a forma di triangolo che vediamo sempre dalla finestra ogni pomeriggio, l’hai in mente?- Shadow annuì stancamente. Il manto assurdo di quell’animale lo confondeva, come se non lo fosse già abbastanza di suo. E perché diamine un cavallo doveva avere quel colore improponibile?
-Non è bellissimo?- esclamò invece Maria, tutta affascinata.
Shadow la guardò, interrogativo. Le piaceva davvero?
-A te non sembra?- chiese lei, stupita. –Io lo trovo simpatico. Voglio dire, non sarebbe divertente essere a strisce, così?-
-Io delle strisce bianche non le vorrei …- disse piano Shadow.
Maria rise. –In effetti, il rosso di dona di più. Non ti ci vedrei in bianco.-
-Neppure io.-
La pagina venne voltata, e le zebre sparirono. Solo per venire sostituite da un animale che, invece del codice a barre, aveva sul manto il più pazzesco manto a pallini che Shadow avesse mai visto.
-Leopardo, si chiama.- spiegò Maria, sorridendo.
Sorrise anche lui, lasciando che la stanchezza gli facesse appoggiare la testa sulla spalla di lei. Gli occhi cominciarono a chiudersi, mentre la voce di Maria raccontava vita, morte e miracoli di quel gatto troppo cresciuto dal pelo dipinto.
 
Il ricordo finì, Shadow si riprese. Sempre schiena contro il muro, si portò una mano alla testa. Questa volta, aveva fatto male davvero, anche per i suoi canoni. Alzò lo sguardo, ricordandosi che qualcuno si stava avvicinando e che lui doveva sbrigarsi ad andarsene.
Purtroppo, era rimasto nel suo limbo personale troppo a lungo.
Il largo sorriso di James Herron lo salutò.
-Ma guarda- ghignò l’uomo. –Non pensavo proprio che avremmo avuto un ospite. Te meno degli altri.-
Shadow lo fissò, imponendosi di staccarsi dal muro.
Non disse nulla, rimase semplicemente in silenzio a guardare i due nuovi venuti.
Erano in due. Quell’uomo, che pareva atteggiarsi a gran capo, e una donna, completamente fuori posto in quell’ambiente. Aveva due occhioni terrorizzati, puntati su di lui come se le fosse apparso il Diavolo in persona. Aveva un che di innocente. Dalla targhetta che aveva appuntata sul petto, come quelle degli inservienti, scoprì che si chiamava Lucy Kann.
Shadow imprecò mentalmente, valutando il modo più rapido e silenzioso per togliere di mezzo quei due.
 
 
La faccia di Amy era di un colorito spaventosamente verdognolo, ed era ostinatamente rivolta verso destra, mentre quegli altri due idioti che erano venuti là con lei guardavano affascinati il contenuto organico di quella specie di provetta gigante, conficcata tra il pavimento e il soffitto, una delle molte decine che c’erano nella sala, tutte con lo stesso ripugnante contenuto.
Forse, con molta fantasia, avrebbero potuto assomigliare delle persone, ma si doveva fare lo sforzo di immaginare un essere vivente senza pelle, senza muscoli e senza ossa.
Ed Amy si era già pentita cento volte di essere venuta.
Insomma, un cervello, con nervi vaganti sparsi ovunque, situato in cima a dei polmoni, allo stomaco, al fegato, all’intestino, il tutto avvolto da migliaia di sottilissimi tubicini rossi, detti comunemente vene o arterie, non era un bello spettacolo. Era rivoltante, specialmente se si calcolava che gli occhi, incastonati subito davanti al cervello, fissavano Sonic e Knuckles ricambiando la stessa curiosità.
-Non sapevo che lo stomaco avesse quel colore.- commentò acido Knuckles.
Sonic distolse lo sguardo, raggiunto il proprio limite. –Neppure io.-
-In ogni caso, dove accidenti siamo finiti?- sbottò Amy, sguardo fisso a terra per non vedere cose che le sarebbero sicuramente rimaste impresse a vita.
-Nella casa del creatore di Frankenstein.- le rispose Sonic.
Ecco, come suo solito, quando la situazione era insostenibile, Sonic attivava questa sorta di sua “autodifesa”, cioè l’ironia. Ridere per non piangere, insomma. Sdrammatizzare lo sdrammatizzabile, e non badare troppo alla cruda realtà. Cioè che si trovavano in una vera e propria fabbrica di mostri. O almeno, quella pareva essere una delle prime tappe della catena di montaggio: l’assemblaggio dei singoli organi in un sistema più ampio capace di sopportare la vita.
-È un esercito!- commentò Knuckles.
-Ma James mi aveva detto che soltanto tre di tutte le creature sviluppate sono effettivamente sopravvissute.- disse Sonic.
-Vuol dire che tutte queste decine di … ehm … organismi viventi moriranno?- domandò Amy. Le facevano pena, molta, meri giocattoli nelle mani di gente che si atteggiava a divinità.
-Probabile.- le rispose Sonic.
-È sicuro.- lo corresse Knuckles. -
Cadde uno strano silenzio, interrotto solo dai suoni liquidi provenienti dalle varie capsule, ognuno immerso nei propri pensieri.
Uno strano ragionamento attraversò la mente di Amy. Non aveva potuto fare a meno di notare la poca somiglianza che c’era tra l’ARK e quel posto. Quindi, Shadow non era stato creato a quel modo, giusto?
Ripresero a muoversi, verso dove non ne erano sicuri, ma stare fermi era peggio. Specialmente lì.
Improvvisamente, il passo di Sonic si fece più teso.
Knuckles non tardò a fare lo stesso.
Amy, dopo un primo attimo di confusione, aguzzò pure lei i sensi, ma non percepì nulla. –Ragazzi?- chiese, tenendosi pronta ad evocare il suo fidato martello.
Sonic incrociò lo sguardo con lei. –Qualcuno ci segue.- bisbigliò.
Amy, sapendo ora cosa cercare, si concentrò sul suono dei passi. Loro erano in tre, ma quattro erano le paia che si sentivano, ascoltando bene.
-Sta’ calma.- le sussurrò di nuovo Sonic, notando che la riccia rosa era quasi sull’orlo del panico.
-Ma chi ci potrebbe mai seguire in un posto del genere, eh?- la sua vocetta era particolarmente stridula.
-Farankenstein, appunto.-
-Sono seria.-
-Anch’io.-
La ricetrasmittente che li teneva in contatto con Tails sfrigolò, in cerca di campo.
-Ehi, ragazzi? Vi manca ancora molto? Sapete, io, qui, avrei un problemino …-




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Non so voi, ma a me capita che, scrivendo una storia, più si procede con i capitoli più la stesura diventa semplice. Si prende famigliarità con i personaggi, con l'ambiente, con la trama stessa. Sciaguratamente per me, in questa fic accade l'esatto opposto. Più si procede, più diventa impossibile da scrivere. Mai patito così tanto per una sola, semplice fic!
E pensare che avevo tutt'altri piani per questo capitolo! Ma la realtà effettuale della cosa s'è rivelata dannatamente diversa :/
Dunque, non solo ho dovuto cambiare la mia idea originale e rimandare buona parte degli eventi di un intero capitolo (come per esempio l'indagine di Shell, o la sventura di Eta, già accennati alla fine dello scorso capitolo), ma pure ho dovuto spezzare in due parti ciò che in origine avrebbe dovuto strare tutto insieme in un unico blocco! Diventava troppo lungo, sennò. 
Insomma, ci sono rimasta un po' male ^_^' Ma succede sempre così, quando la realtà finisce per non combaciare con le proprie idee ... vabbè, vorrà dire che a voi toccherà sorbirvi un capitolo in più, e attendere ancora un po' per conoscere il seguito delle vicende di Eta e Shell. 
Chiedo scusa, ma più di questo non ho potuto fare.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto comunque.
Spero anche di riuscire a farvi avere entro breve la seconda parte, ma non prometto nulla. L'ultimo anno di liceo esige il suo tributo di sangue, per gli esami di maturità, e mi tocca davvero mettermi a studiare :/
dunque, abbiate pazienza (e pietà) per la sottoscritta ^.^' 
alla prossima!
 
 

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Capitolo 11
*** 10. Assalto (parte 2) ***



Dopo quello che parve un secolo, dalle ceneri riemerse Phantom!!
Chiedo davvero scusa per il mostruoso ritardo ma gli esami di maturità di fine liceo hanno assobito ogni grammo della mia concentrazione e dunque, per ovvi motivi, non ho potuto aggiornare. Vi chiedo davvero scusa. 
Ma per farmi perdonare (o odiare ancora di più) questo capitolo è venuto fuori lungo la bellezza di 20 pagine word! Una cosa mai vista O.O! Il capitolo più lungo di questa fic, insomma! Ed ecco anche spiegato perchè ho impiegato così tanto a scriverlo.
Avrei anche una specie di annuncio da fare: con questo capitolo, abbiamo finalmente superato le 100 pagine! (per la precisione siamo a 118 pagine O.O)
Di per se, questo è un dettaglio irrilevante, ma mi andava di dirvelo u.u
Ed ora la pianto con le ciance e vi lascio alla lettura!
Come sempre io ce l'ho messa tutta!
Enjoy!


 
Capitolo 10
-Assalto-

(parte 2)

 
 
Incredibile come, in una manciata di minuti, la situazione climatica era precipitata. Il cielo ora rombava, borbottava e schioccava come una pentola di popcorn. Le nuvole d’inchiostro di raggrumavano sempre di più, arruffandosi le une con le altre, mentre le scariche elettriche illuminavano sempre più spesso quegli assembramenti di vapore acqueo, tanto voluminoso da filtrare quasi le saette in via di formazione dietro a strati e strati di veli di nubi.
Un tuono fragoroso come pochi esplose proprio sulla testa di Tails, scuotendo il cielo intero con il suo possente boato. Il cuoricino del volpino gli fece una capriola nel petto.
Deglutì, e, ironicamente, ora che stava per scatenarsi quella che pareva essere l’apocalisse, a lui non gliene importava neanche più. I suoi occhi si muovevano, nervosi, perlustrando ovunque, alla disperata ricerca di quello scintillio argenteo che gli era sfrecciato affianco un attimo prima.
Tails aveva buoni indizi per presumere che quello era un drone di pattuglia. E il fatto che qualcuno avrebbe potuto scoprire che lui era lì, che loro erano dentro, era cento volte peggio che affrontare il temporale.
Un secondo tuono ruggì. Il cielo si riversò sul Tornado X tutto d’un colpo. Fu come se tutti quei nuvoloni avessero risposto ad un unico segnale, l’acqua cominciò a cadere tutta insieme, con forza torrenziale e dannatamente preoccupante.
Il Tornado X perse quota, per un attimo, ma Tails gliela fece riguadagnare.
Se già prima l’ambiente era scuro, ora che pioveva vedere dove si andava era dieci volte più difficile. L’acqua inondava il parabrezza dell’aereo con flusso continuo, troppo per poter venir gestito da semplici tergicristallo: riconoscere qualunque cosa oltre al vetro era impossibile. Figurarsi poi ritrovare quel drone, sempre ammesso che un drone fosse.
Tails si accorse di avere freddo. Aveva le dita quasi interamente intorpidite, ma non osò nemmeno pensare di staccarle dal volante per strofinarle. Il respiro gli tremava, e non solo per il gelo. Provò di nuovo a contattare Sonic e gli altri, sua unica speranza. Non sapeva che altro fare. L’unica idea che il suo geniale cervello era riuscito a tirare insieme era quella di cercare aiuto.
-Ragazzi? Ci siete? Riuscite a sentirmi?-
Nessuna risposa. –Sonic!- chiamò di nuovo.
Un fulmine a tre code si scagliò giù dal cielo, ringhiando. Si schiantò oltre la vetta che si trovava davanti a Tails, ma il volpino rimase comunque accecato. Non dall’improvviso bagliore del fulmine, bensì dalla luce da esso scaturita che si rifletté sulla roccia lucida di pioggia, aggrappandosi a quei rivoli d’acqua come se fossero fatte di metallo. Il cielo venne tagliato in due dalla saetta, le montagne attorno di accesero come torce, riflettendosi tra loro quel flash, il cui eco rimase impresso nella roccia fradicia per diversi secondi dopo lo schiocco della folgore, che rimase come impigliata nei rivoli di pioggia tra le pietre dei monti, colando fino a valle. Tradotto in termini biologici, per Tails divenne un fastidiosissimo maculamento rossastro ad intermittenza nelle pupille a forma di fulmine capovolto, quello stampato sulla roccia a seconda di quale strada avesse scelto la pioggia per colare fino a valle, seguendo il pendio.
Strofinandosi gli occhi con una mano, tenendo con l’altra la rotta del Tornado, ricordò tristemente il nome di quelle montagne: Mirror Mountains, i Monti Specchio.
Quella roccia nera particolare, unita all’acqua e ai fulmini, creava quella situazione, apparentemente. Bene, si disse il volpino, un mistero della vita svelato.
Fece virare il Tornado, infilandosi tra due vette, imboccando così la valle parallela a quella che stava seguendo prima, ricominciando il giro in tondo che aveva seguito per gli ultimi minuti. E fu proprio a metà della virata, quando superò le lame di roccia, che scandivano il limite tra una valle e l’altra, che lo vide.
Il tempo parve rallentare, le gocce di pioggia che scandivano lo spazio quasi immobili, e il volpino realizzò di essersi sbagliato su due cose.
Sulla tipologia di macchina volante che aveva visto. E sul suo numero.
Erano tre, e solo due di quelli erano droni. Uno era … qualcos’altro. Qualcosa che aveva tutta l’aria d’esser fatto di metallo ma che sbatteva le ali per volare. E in tutta la sua carriera di meccanico, Tails non aveva mai visto una macchina volante che per rimanere sospesa sbatteva le ali. C’erano eliche, ali fisse come gli aerei, motori a reazione, alianti, di tutto. Ma non ali che sbattevano, come gli uccelli.
E lui stava ancora virando, il Tornado X vertiginosamente inclinato. Mollare ora il volante per premere i comandi d’attacco avrebbe equivalso a schiantarsi.
Deglutì, cercando disperatamente di ricacciare indietro il panico, mentre la macchina alata, o qualunque cosa fosse, saliva rapidamente di quota, fendendo i frammenti d’acqua in caduta libera.
-Sonic?- chiamò di nuovo, la voce tagliata dal panio. –Per favore, Sonic, rispondi!-
E il riccio rispose. Il morale del volpino resuscitò.
-Ora non posso, Tails.-
Il panico, prima a stento represso, montò in tutta la sua furia, risalendogli fino alla gola.
-Cosa?!- riuscì a balbettare.
Un rumore indefinibile, ma piuttosto fragoroso, provenne dal trasmettitore. La comunicazione crollò con un tenue eco della voce di Amy che urlava. Tails deglutì. Loro non sarebbero venuti, non potevano venire.
Quella battaglia era tutta sua, soltanto sua.
Doveva combattere da solo.
E la macchina volante sconosciuta gli fu addosso. Tails strattonò il Tornado X, imponendogli una curvatura di rotta da far venire la pelle d’oca, scartando l’attacco avversario. Quasi in picchiata, l’aereo perse vertiginosamente quota. Con le viscere serrate nella morsa del vuoto d’aria creatasi, con il sangue che defluiva spostato tutto da un lato dalla forza centrifuga, Tails livellò la discesa della sua creazione preferita, ripristinando il volo in orizzontale. Sopra, la macchina alata voltò la testa verso di lui che ora si trovava dannatamente più in basso. Un bagliore preoccupante gli accese gli occhi.
 
 
Era bastato un attimo, una singola frazione di secondo, e avevano perso la sua presenza. Chiunque li stesse seguendo, ora non c’era più. O meglio, loro non riuscivano più a percepirlo. Il che era molto peggio.
-Se n’è andato?- chiese Knuckles.
-Figurati.- rispose Sonic.
Amy si rigirò in mano il martello Piko-piko. Il borbottio delle bolle nelle capsule attorno a loro era l’unico suono, oltre i loro respiri.
Quando la radiolina riprodusse la voce di Tails saltarono tutti in aria. –Per favore, Sonic, rispondi!-
Dalla voce del volpino trapelava paura e tensione. Era nei guai. E loro non avevano più tempo. Non erano nemmeno riusciti a trovare l’ombra di un generatore. Che avevano sperato di fare, andando là dentro, praticamente alla cieca? Aiutare Shadow? Ma va! Avevano solo trovato un nuovo avversario.
Il turbamento sul volto di Sonic non passò inosservato, e nemmeno il dolore che seguì le parole che disse. –Ora non posso, Tails.-
Tutti i sensi di Sonic, compreso il sesto, erano incentrati sulla ricerca frenetica della posizione del loro nemico. Era sicuro che fosse ancora lì, e abbassare la guardia ora poteva costare caro, davvero caro.
-Cosa?!- il mezzo grido di Tails strinse il cuore a tutti.
E fu nel momento esatto in cui Sonic fece per rispondergli e spiegargli la situazione che il loro nemico attaccò.
Sbucò da dietro una capsula e prima che chiunque di loro potesse reagire affibbiò un calcio in pancia a Knuckls, spedendolo contro una delle capsule, frantumandola. Sonic si beccò un pugno sulla spina dorsale, che lo stese a terra. E Amy, con l’altro pugno, subì sorte simile a quella di Knuckles.
L’echidna si rimise in piedi subito, solo per realizzare di trovarsi nel bel mezzo del sistema digerente dell’esperimento la cui capsula era andata in frantumi. Schizzò via, reprimendo un singulto nauseato.
Gli occhi di Amy invece vedevano una cosa soltanto l’argento del corpo del loro nemico. Sonic si rigirò a fatica su sé stesso, e si ritrovò a fare lo stesso.
Capì anche perché avevano faticato a vederlo, prima.
Ma non era proprio definibile “persona”.
Tutto il suo corpo, dalla testa ai piedi, era un insieme di componenti metalliche scorrevoli le une sulle altre, intercalate da incastri di cuscinetti a sfera, biglie di rotazione e ingranaggi di varie forme e dimensioni. Era un robot in tutto e per tutto, ma composto da parti così minute che la sua flessibilità ed elasticità complessiva erano del tutto simili a quella di un corpo organico. E ne aveva anche l’aspetto. Ogni minino dettaglio era curato, si potevano pure intravvedere le sagome dei muscoli ben torniti, ovviamente costituiti da fasci metallici e cavi, coperti dalla pelle composta da minuscole placche a scorrimento, simili a squame, come se avessero ricreato un intero organismo con tutte le doverose parti in metallo. Pure il viso della macchina in questione era talmente raffinato che, volendo, il robot avrebbe potuto aprire la bocca e articolare parole con la lingua e non con trasmettitori vocali digitali. Avrebbe anche potuto muovere i muscoli facciali e le labbra, come una persona normale. A confronto, uno dei robot di Eggman poteva sembrare un rozzo pezzo di latta grezzo e completamente privo di lavorazioni. Ma quando Sonic notò in che modo gli avevano fatto gli occhi, il suo stomaco rischiò seriamente di ribaltarsi, e la battuta che stava per fare gli morì in gola.
L’urlo d’orrore di Amy rispecchiò i pensieri del riccio e dell’echidna, quando realizzarono, nello stesso istante, quale abominio mostruoso si celava oltre quella scorza metallica nonché gioiello di micro-meccanica che avrebbe senza ombra di dubbio fatto impazzire all’istante Tails.
Gli occhi del robot erano organici.
Occhi normali, pupilla nera, iride blu, cerchiata di bianco con lievi venuzze rosate. Niente palpebre, perennemente aperti, incassati in ruvide orbite di metallo, così dannatamente sbagliate e stonate. Pareva che qualcuno avesse cavato gli occhi ad un mobiano solo per incassarli in quel cranio artificiale.
Sonic si accorse di stare trattenendo il fiato, fissando sconcertato lo sguardo biologico di quel robot, di quella persona di metallo, che stava ricambiando lo sguardo con la stessa curiosità mista a stupore.
L’imprecazione di Knuckles non venne quasi nemmeno recepita. –Ma … è uno dei loro esperimenti-. Se quella detta dall’echidna fosse una domanda, un’osservazione o una conclusione rimase un mistero.
Sonic strisciò in dietro, rialzandosi. L’obbrobrio ne seguì il movimento con  quegli occhi rivoltanti, così inappropriati, sempre spalancati, privi di palpebre, piegando la testa di lato.
-Ti piace, Hedgehog?- li soprese una voce proveniente dall’altro lato della stanza. –Questo qui è uno dei prototipi, uno di quei corpi creati come test iniziali, prima che si passasse all’uso vero e proprio di carne, ossa e vene. Insomma, era una verifica per allenare gli scienziati a gestire le funzioni vitali di un corpo intero; un ferro vecchio, per riassumere. Ora ha solo la funzione di sentinella.-
Sonic, ignorando il brivido ghiacciato che gli aveva fatto rizzare i peli lungo la spina dorsale si voltò di scatto verso la fonte di quell’odiata voce. Intravvide la rigida sagoma nero-grigiastra del tizio che aveva sciaguratamente imparato a conoscere negli ultimi tempi.
-Insomma, è un cane da guardia, proprio come te.-
Gli occhi gialli di Anubis scintillarono in risposta. La porta dal quale il leccapiedi dei ricercatori era entrato si serrò con un pesante schianto. Fuor di dubbio che non si sarebbe riaperta.
Un qualche paio di bulbi oculari sospesi nelle capsule rotearono per guardare la scena.
-Inutile dire che dopo aver visto ciò che avete potuto ammirare- fece un gesto ampio, indiando la sala e gli esperimenti -non uscirete da qui.- borbottò il cane. –Né vivi, né morti.- si sprecò ad aggiungere con un mezzo sogghigno.
Sonic e gli altri avrebbero potuto chiedere ad Anubis cosa ci facesse lì. E lui avrebbe potuto chiedere a loro perché fossero venuti. Ma tutti già conoscevano le rispettive risposte: Anubis lavorava in quel posto, e Sonic era venuto per fare ciò che tutti si aspettavano che facesse fin dall’inizio. Dunque, domandare non fu necessario.
Anubis schioccò le dita e la macchina-persona si scagliò all’attacco.
Attaccò il più vicino, cioè Sonic.
Il riccio blu schizzò indietro mentre il pugno d’acciaio dell’esperimento da laboratorio fendeva l’aria. Il riccio fece giusto in tempo ad atterrare, qualche metro indietro, dovette subito flettersi per schivare un secondo colpo. Quel “ferro vecchio” era dannatamente veloce, pensò l’eroe di Mobius balzando via, e di sicuro non era arrugginito.
Gli occhi da morto della macchina seguirono lo spostamento del bersaglio. Puntò un braccio nella direzione di Sonic e fece fuoco. Il riccio non capì nemmeno da dove partì la pallottola, si ritrovò semplicemente a scattare bruscamente a sinistra, sentendo lo spostamento d’aria del proiettile dannatamente vicino che gli scostava il pelo del fianco destro. Rabbrividì profondamente.
Il grido di guerra di Knuckles gli fece alzare gli occhi giusto in tempo per vedere il possente cazzotto dell’echidna rosso andare ad abbattersi con forza prorompente sul cranio del “ferro vecchio”. In tutta risposta, la sentinella meccanica piegò appena la testa in seguito al mostruoso urto. Mentre Knuckles perdeva qualche grado di colore, sgomento nel vedere il tenue effetto che la sua forza muscolare non indifferente aveva prodotto, venne brutalmente respinto da una gomitata in pancia.
Sonic si ritrovò a deglutire. Di cos’accidenti era fatto quel burattino d’acciaio per poter resistere ad un attacco frontale di Knuckles? Possibile che l’echidna avesse completamente calibrato male il proprio colpo, non immaginando che il loro avversario fosse così robusto?
La martellata che Amy schiantò sulla colonna vertebrale del robot ebbe più o meno l’effetto di una campana. Uno strano suono vuoto rimbombò dall’esperimento di biomeccanica che, a parte un lievissimo smarrimento dell’equilibrio, non subì danno. Anche Amy era incappata in un simile destino, stima sbagliata. La macchina si voltò prontamente per attaccare la riccia rosa.
Sonic non glielo permise. Gli fu addosso in un lampo, stampandogli in faccia un doppio calcio, caricato da uno dei suoi supersonici scatti di corsa. Aveva sperato, in questo modo, di immettere più forza nel proprio colpo e riuscire dove i suoi due amici avevano fallito. Ma, per quanto fosse preparato all’urto con un robot dalla densità e dal peso maggiori del solito, non potè immaginarsi quello. Finì spiazzato pure lui. Il contraccolpo riuscì effettivamente a far barcollare la macchina, che indietreggiò di qualche passo, tenendosi una mano sul volto offeso, ma le ossa dei piedi di Sonic crocchiarono in risposta. Il riccio venne sbalzato via, atterrando qualche metro in là, lasciando involontariamente il tempo al nemico di riprendersi dalla botta. Il robot tolse la mano dal proprio viso, un filo di sangue gli colava dal naso.
Sonic si sentì gelare.
Di robot ne aveva demoliti a centinaia, se non a migliaia, ma vederne uno sanguinare… era così radicalmente sbagliato! Rimase come imbambolato a guardare quelle gocce di sangue intrappolarsi nei ruvidi anfratti metallici di quel corpo artificiale. Improvvisamente, Eggman gli parve quasi un angioletto, se paragonato a quei mostri che avevano creato quel poveraccio laggiù, e che avevano al contempo violato non solo l’essenza gli esseri viventi, ma anche quella dei robot.
Per non parlare poi della forza necessaria per smuovere quella massa d’acciaio. Per risolvere, bastava alzare il tiro e aumentare la potenza. Ma in quel modo la battaglia sarebbe durata decisamente troppo poco, avevano energie troppo limitate. Sonic digrignò i denti.
Anubis ghignò. –Il ferro vecchio vi sta mettendo in difficoltà? Ma come? Tutto qui quello che sapete dare? Delta091 non vale nemmeno la metà di una delle creature di nuova generazione, quelle sulle tracce di Shadow, per intenderci. Cosa speravate di ottenere, venendo qua, se nemmeno riuscite a stendere uno dei macinini di scorta?-
Nella mente del riccio blu comparve l’immagine del corpo martoriato di Teta dopo lo scontro avuto con Shadow. Se quell’essere era davvero così tanto superiore rispetto a Ferro Vecchio, come accidenti aveva fatto Shadow a conciarlo a quel modo?
Non ebbe il tempo materiale per permettersi ragionamenti astrusi. Ferro Vecchio stava caricando un’altra volta. E Sonic rispose allo stesso modo. Nell’istante in cui il riccio si trovò a portata del pugno di Delta, scartò in scivolata, passando sotto al colpo, ritrovandosi direttamente alle spalle del nemico, che seguì il suo spostamento con quei suoi occhi spettrali.
Sonic si diede una spinta verso l’altro, trovandosi così sopra al nemico. Uno Spind Dash in verticale fu la mossa che eseguì, mettendoci molta, ma molta più spinta rispetto a prima . Ferro Vecchio, questa volta, venne colpito in pieno, rovinando a terra con fragore assordante. Fece per rialzargli ma gli venne impedito.
Knuckles gli li fu addosso in un lampo, sferrandogli un pugno sulla mascella, facendolo volare all’indietro. Un gorgoglio metallico risalì la gola del robot, mentre un secondo pugno spinato lo colpiva alla pancia. Un terzo cazzotto di nuovo alla bocca dello stomaco, e il cybog si ritrovò a terra. Evidentemente, anche Knuckles aveva capito come affrontate nel modo giusto quell’insolito avversario. Ma avere un corpo d’acciaio e di chissà quale altra lega speciale offriva però dei vantaggi non indifferenti, oltre la resistenza disumana: una totale assenza di dolore.
Mentre Knuckles si ritrovò con le mani doloranti e i muscoli tremanti dallo sforzo dei tre considerevoli attacchi consecutivi che aveva compiuto, Delta si rimise in piedi del tutto impassibile, come se non fosse successo niente.
Si mosse in avanti, per attaccare Knuckles. Ma un altro raccapricciante dettaglio scosse l’anima dei due ricci che si erano scagliati all’attacco per coprire il loro amico rosso. A metà dei rispettivi balzi, Amy e Sonic, così come Knuckles, notarono con sconcerto i rivoli di sangue che filtravano dalle scanalature metalliche del corpo di Ferro Vecchio. Dov’era stato colpito con tale forza, qualcosa doveva essere andato peggio di quanto il robot non lasciasse esteriormente vedere. Che la forza d’urto dei colpi di Sonic e di Knuckles avesse avuto effetto, finalmente?
La resistenza di quell’essere, allora, non era infinita!
Ma, di conseguenza, da dove proveniva quel sangue? Forse, che all’interno, sotto la pelle e i muscoli meccanici, si trovassero comuni organi fatti di carne? Magari come quelli depositati nelle capsule tutt’attorno a loro?
Un brivido d’orrore e dubbio scosse i tre mobiani, senza che però nessuno dei tre attacchi e contrattacchi in corso venisse ostacolato. Il pugno di Knuckles si interpose alla traiettoria in avanti della pseudo-macchina scagliata all’attacco, cazzotto che non riuscì a frenarne la corsa pur andando a segno. Ferro Vecchio venne sì colpito, ma lo fu anche Knuckles. Mentre la sua mascella di semplice, misero osso, scrocchiava, il martello Piko-Piko fece nuovamente conoscenza con il corpo metallico avversario, spedendolo qualche metro in là, giusto contro Spin Dash di Sonic.
Ferro Vecchio ruzzolò rovinosamente a terra, fermandosi con uno schianto contro la base cementata di una delle capsule. Gli occhietti della creatura in fabbricazione in essa contenuta tremarono, spalancando le pupille.
Sforzi considerevoli da parte dei tre mobiani, ma il robot fu in piedi in mezzo secondo, accorciando nuovamente le distanze con loro, come se non fosse successo nulla, pronto ad un nuovo scontro
Una gola rossa, una blu e una rosa deglutirono. –Ragazzi, qui si mette male.- ruminò Knuckles, massaggiandosi la mascella offesa.
-Per stendere questo qui ci vuole il triplo della forza necessaria per uno solo dei robot di Eggman.- commentò Sonic. –Era davvero un così scarso meccanico, il nostro uovo ambulante preferito?-
Amy non disse nulla, pensava semplicemente, cercando in ogni modo una strategia valente.
Quel robot era un “ferro vecchio”? Perché? Come mai s’era meritato quel titolo, se, a quanto pareva, funzionava a meraviglia?
Sonic portò indietro un piede, pronto a slanciarsi nuovamente in corsa. –Sembra quasi di combattere contro Shadow, un altro brutto ceffo che non finisce volentieri al tappeto.- commentò distrattamente, con un mezzo sorriso sulle labbra.
Gli occhi di Amy si spalancarono d’illuminazione nell’esatto istante in cui una scia rossa e una blu si scontravano frontalmente con Ferro Vecchio. Il nuovo attacco non andò a lieto fine come quello precedente. Sonic venne rispedito indietro a velocità preoccupante. Knuckles incassò un calcio ma resistette, affibbiando un sonoro destro sulla guancia del robot, staccandogli di dosso un paio di minuscole schegge di metallo. Se quello fosse stato un avversario solo di carne ed ossa, in quel momento si sarebbe ritrovato con uno zigomo sanguinante. Ma quello non era un avversario del genere, e il sangue non affiorò, quando normalmente avrebbe dovuto. Che la testa fosse più corazzata del resto?
-Ragazzi!- li chiamò Amy, che non aveva partecipato all’ultimo attacco. –Ho capito!- urlò.
Knuckles si voltò verso di lei, balzando a distanza di sicurezza dal robot. Sonic, massaggiandosi una natica dolorante per il pessimo atterraggio, si avvicinò. –Cosa c’è?- chiese. –Terminator non aspetta.- disse, indicando il robot che già si muoveva verso di loro pronto a menar le mani di nuovo.
Dovettero schivare quell’attacco, sparpagliandosi e poi riunendosi più distante. Amy non voleva parlare ad alta voce, tenendo bene a mente il fatto che ci fosse anche Anubis dall’altro lato della sala che li osservava compiaciuto. E mettere a conoscenza pure lui della sua idea non le andava.
-Prima, Sonic, hai detto che quel robot ti ricorda Shadow, no?- cominciò Amy. –Ecco … mi sono chiesta, per quale scopo sono stati costruiti, questi guerrieri artificiali?-
-Per combattere!- rispose subito Knuckles, senza pensarci troppo.
-Per combattere chi?- chiese enigmatica Amy. –Chi è l’obbiettivo finale di questa banda di farabutti?-
-Shadow!- esclamò Sonic, comprendendo anche lui.
Amy sorrise. –Esatto!-
-E questo che c’entra?- domandò, confuso, Knuckles, tenendo d’occhio i movimenti del loro avversario.
-Questo c’entra eccome, se tieni presente che l’obbiettivo finale è Shadow, poiché quando Anubis ha detto che questo tipo di robot non era sufficientemente forte, intendeva dire che non era adatto allo scopo di catturare Shadow.-
Knuckles si oscurò.- E…?-
-E vuol dire che per Shadow battere questo tizio qui non sarebbe affatto difficile!- concluse Amy, trionfante.
-Ma lui non c’è!- sbottò l’echidna.
-Oh, dai, Knuckster!- lo rimbeccò Sonic. –Amy sta dicendo che la chiave per sconfiggere Ferro Vecchio sta nelle abilità combattive di Shadow: il nostro faker sa fare qualcosa che potrebbe stendere senza fatica questa lattina troppo cresciuta.-
L’echidna cominciò ad illuminarsi. –Non i calci, non i pugni, non gli Spin Dash …-
-… ma il Chaos Spear!- concluse per lui il riccio blu, annuendo.
-Metallo ed elettricità non vanno d’accordo.- sorrise felice Amy.
-Ottima pensata, confetto!- ridacchiò Knuckles, facendo ovviamente irritare la riccia per il nomignolo affibbiatole. –Ma qui nessuno di noi sa scagliare Chaos Spear, e non mi va di chiamare Shadow e farlo venire solo per fulminare quel tizio laggiù.- Avevano anche loro, del resto, onore da proteggere, e pelle da proteggere.
Dovettero interrompersi e ritirarsi indietro ancora una volta, per evitare un secondo attacco di Ferro Vecchio.
-A volte mi sorprendi davvero con la tua ottusità, amico.- ridacchiò Sonic, mettendogli un braccio sulle spalle. –Siamo in un laboratorio, ci saranno una qualche tonnellata di cavi elettrici nei muri e nei pavimenti, basta scavare e andare a tirarli fuori.-
I tre si scambiarono un’occhiata eloquente, sorridendo.
-Allora.- cominciò Sonic. –Knuckles, rivolterai pareti e pavimenti in cerca di cavi. E tu, Amy, stammi vicina e distraiamo Ferro Vecchio.-
Dicendo quelle parole, ebbe come la spiacevole sensazione che Amy avrebbe preso un po’ troppo alla lettera le direttive. Sperò solo di riuscire a riconquistare le distanze, dopo.
Il sorriso a trentadue denti di Amy, però, prometteva l’esatto opposto. Mai le era capitato di dover fare qualcosa di più amabile … purtroppo per Sonic.
Il riccio blu sentì un brivido gelido invadergli la spina dorsale, ma non vi badò. Un ultimo cenno di intesa con i due compagni, e si scagliò all’attacco, con Amy dietro a ruota.
I pugni spinati di Knuckles cominciarono a tritare il pavimento, rivoltandolo da dentro a fuori. Sonic si scagliò contro Ferro Vecchio in Spin Dash, spingendolo indietro di qualche metro. Destabilizzato, lo pseudo-robot non ebbe il tempo di realizzare il secondo attacco in arrivo. Il Martello Piko-Piko centrò con infallibile precisione l’obbiettivo, spedendo via il robot, che atterrò rumorosamente di schiena, danneggiando le lastre del pavimento.
Sonic si preparò a sferrare un altro colpo sull’avversario che quello s’era di già messo in piedi, portando in avanti le mani, pronto ad attaccare nuovamente. Sonic fece giusto in tempo a notare la bocca della canna da fuoco posta sotto ai polsi del robot, che questi fece fuoco. Lo scoppio e il breve lampo che seguì furono un indizio più che sufficiente a fargli comprendere che era giunto il momento di spostarsi di lì. Scartò bruscamente a sinistra, mentre il proiettile fischiava, sfrecciandogli affianco. Amy, si rigirò in mano il martello nervosamente. Lei avrebbe senz’altro avuto più difficoltà ad evitare le pallottole.
Una mezza imprecazione da parte dell’echidna esplose dietro di loro. –‘Cidenti!- ringhiò Knuckles che, impegnato nello sventramento delle dure lastre che coprivano il pavimento, non aveva avuto il tempo d’accorgersi del proiettile sparato e che, fortunatamente per lui, era andato a conficcarsi al suolo ad metro da lui.
-Tieni gli occhi aperti, Knuckles!- sorrise Sonic. –O potresti finire bucherellato come formaggio.-
-Oh, non me n’ero accorto! Grazie, amico!- ruggì in risposta, furioso, lasciando trapelare tutto il sarcasmo di cui era capace.
L’agghiacciante risata di Anubis li interruppe. –Dunque avete trovato una strategia, voi tre, finalmente? Era ora.- si mosse avanti, camminando. Attraversò in breve tutta la sala, giusto per fermarsi accanto a Ferro Vecchio. –Ma- riprese –Se pensate che sarà così semplice, vi sbagliate di grosso.- Un altro ghigno raccapricciante gli distorse la faccia. –Sapete, mi sono stufato di rimanere fermo a guardare.-
-Bene!- esclamò Sonic, senza tradire nervosismo alcuno, nonostante fosse agitato. –Più si è, meglio è, no?-
Il sorriso di Anubis cambiò di afumatura divenendo, se possibile, ancora più perfido di quanto già non fosse. –Ma ora- sibilò –Non resta più molto tempo. Avete giocato abbastanza, ora si fa sul serio.-
Sonic non fece in tempo a controbattere che si ritrovò addosso Anubis. Era piuttosto veloce, dovette ammettere Sonic. Certo, nulla di comparabile alle velocità raggiunte da Sonic, ma comunque non era niente male, il cane da guardia. Specialmente sui brevi scatti.
Il riccio dovette flettersi all’indietro, schivando così il taglio di mano da parte del cane. Il calcio di Anubis lo sorprese. Incassando il colpo al ginocchio, Sonic si mosse di qualche passo indietro, cercando ancora di capire come avesse fatto a farsi colpire così. Ma se sperava di ottenere un qualche secondo per racimolare le proprie idee, Anubis era di tutt’altro avviso. Gli fu addosso di nuovo, bersagliandolo con una serie di pugni. Sonic, sempre retrocedendo, lo schivò. E, in quell’esatto momento, realizzò cosa ci fosse di così temibile nell’atteggiamento e negli attacchi di Anubis: lui sapeva esattamente come combattere.
Non era come nessuno del loro gruppo. Sia Sonic, che Amy, che Knuckles, e, sì, perfino Shadow, combattevano come capitava, calci e pugni, Spindash e martellate varie. Attacchi dettati dall’esperienza e dall’istinto. Anubis, al contrario, utilizzava mosse molto più precise e mirate, nate da anni e anni di allenamento. In sostanza, era un maestro nell’arte del combattimento corpo a corpo, delle arti marziali.
Non che questo, di per se, rappresentasse un grave problema, ma nel momento in cui Sonic si ritrovò le nocche di Anubis conficcate in un fianco, dovette ricredersi fortemente. Quel tizio sapeva come e dove colpire.
Indietreggiò ancora, barcollando, una mano premuta sulla parte offesa. Anubis ghignò, tornando subito all’attacco. Sonic, questa volta, non si lasciò prendere in contropiede. Rispose agli attacchi di Anubis, e la velocità del riccio ottenne i risultati sperati, cioè un paio di botte incassate dal canide grigio scuro.
Almeno, fino a quando Ferro Vecchio non lo aggredì da dietro. Sonic volò in avanti, atterrando bruscamente a terra. Con una capriola si ritirò in piedi, giusto in tempo per vedere arrivare un calcio da parte di Anubis. Lo schivò, balzando di lato. Vide con la coda dell’occhio Amy che si rialzava da terra, dolorante, evidentemente stesa da Ferro Vecchio. In sostanza, entrambi i nemici avevano come bersaglio primario proprio lui.
Il ritmico fracasso prodotto dai pugni di Knuckles contro il pavimento fu l’unico suono che riempì l’aria per un lunghissimo istante. Dall’espressione tesa dell’echidna, si vedeva chiaramente come egli stesse fremendo dalla voglia di unirsi alla mischia. Amy intanto si affiancò a Sonic, il martello Piko Piko in mano.
-Tutto bene?- gli chiese lei.
Lui le rispose con un occhiolino. –Tu?-
-Anche.-
Appurato che entrambi non erano aggravati da ferite serie, voltarono lo sguardo contro i due opponenti.
-Strategia?- domandò la riccia rosa.
-Tenerli d’occhio e colpirli.- fu la risposta.
Amy sospirò. Aveva evidentemente sperato in qualcosa di più elaborato, ma Sonic, in quel momento non poteva darle altro. Almeno, fino a quando quei maledetti cavi sarebbero spuntati dal pavimento d’acciaio sotto lavorazione di Knuckles.
Anubis si mosse in avanti. –Delta091- chiamò. Ferro Vecchio ruotò la testa verso di lui. –Piano A in attivo, ora.-
Gli occhi immobili del robot scintillarono, stranamente lucidi.
Anubis tornò a fissare il riccio. –Sai, le tue scorrazzate su e giù infastidiscono parecchio i miei superiori. Mi hanno chiesto di rimediare.-
Sonic sorrise, beffardo.
In quel modo finì la brevissima tregua. Anubis e Ferro Vecchio scattarono in avanti contemporaneamente. Amy brandì il Martello, Sonic portò la gamba destra in avanti, pronto a scattare.
Si scontrarono un quarto di secondo dopo. Il martello di Amy finì contro il mento di Ferro Vecchio, il pugno di Anubis sfiorò Sonic, mentre il calcio del riccio colpì il bersaglio. Seguì un rapidissimo scambio a quattro di colpi di varia natura, tra calci, pugni, martellate e proiettili si creò un vero e proprio guazzabuglio di braccia e gambe rosa, blu, grigie e argento metallico.
Ma, non passò molto tempo prima che Sonic cominciasse a notare qualcosa. Sia Ferro Vecchio che il cane da guarda miravano quasi esclusivamente a lui, cedendo ad Amy qualche attenzione soltanto per schivare i suoi colpi o ad affibbiarne, nel qual caso lei si facesse troppo vicina. Il dubbio cominciò a serpeggiare nella mente del riccio, ma non riuscì a capire in tempo.
Ferro Vecchio lo colpì da dietro, deviando un’attacco che pareva stranamente diretto ad Amy. L’urlo della riccia lo assordò quasi, mentre le robuste braccia metalliche gli si stringevano attorno al petto, passando da sotto le braccia. Immobilizzato. –Ma che…?-
Non fece in tempo a terminare la frase che Anubis attaccò. E non mirò, come inizialmente Sonic s’era immaginato, al ventre. Il calcio di Anubis si schiantò con forza micidiale sul ginocchio destro del riccio.
Le ossa scricchiolarono, l’articolazione minacciò di piegarsi dalla parte inversa rispetto a quella usuale.
Sonic urlò, l’ondata di dolore gli invase il cervello. Insieme alla paura.
Le gambe? Perché le gambe?
Per un atroce istante si vide con le ginocchia spezzate, incapace di camminare, o di correre, costretto a zoppicare per il resto dei suoi giorni. Il suo intero corpo parve contrarsi, mentre il panico s’espandeva in ogni sua singola cellula. Vide con atroce lentezza Anubis che caricava nuovamente il colpo, un secondo calcio che avrebbe sicuramente avuto effetto a differenza del primo. Ogni suo muscolo era irrigidito, la spina dorsale pareva essersi fatta di ghiaccio. Il cuore gli galoppava in petto, battendo all’impazzata. E gli occhi di Sonic non si staccavano dal calcio di Anubis.
E l’aveva anche detto, prima, che il suo obbiettivo era quello di non farmi correre più!
Il martello di Amy compì il miracolo. Colpì Anubis nell’esatto istante in cui egli si trovò con tutto il peso spostato sulla gamba sinistra, la destra già sollevata da terra per il colpo indirizzato al ginocchio di Sonic. La forza della rabbia di Amy e il precario equilibrio del suo bersaglio, ebbero l’effetto di far volare Anubis per una ragguardevole distanza.
Amy, il martello ancora impregnato della spinta del colpo, portò in avanti un piede e ruotando il bacino, deviò la rotta della propria arma, ruotandone la direzione, affinchè il martello andasse ad incontrare il cranio di Ferro Vecchio, che decollò all’istante andando a far compagnia al canide.
Sonic crollò a terra subito dopo, tenendosi il ginocchio.
Un’immensa gratitudine verso Amy lo colmò, sentimento secondo soltanto al gelo del terrore che ancora lo paralizzava.
Forse per la prima volta in vita sua, Sonic aveva davvero paura. E non per le sorti del mondo o dei suoi amici. Era un terrore ancora più infido, e che non riguardava soltanto la propria salute, ma l’inconcepibile fatto di non poter più correre. Non era nemmeno lontanamente pensabile che, lui, avrebbe rischiato di rimanere incapacitato di slanciarsi a tutta velocità per il resto della sua vita, se quella situazione fosse finita male. Il solo pensiero lo congelò da dentro.
Nemmeno Eggman aveva mai provato a distruggergli le gambe … mai!
Anubis si mise seduto, la faccia gonfia. –Ah, che bell’espressione, Hedgehog!- Si rialzò in piedi, barcollando appena. –Ho degli ordini, e li porterò a termine.-
Ferro Vecchio si tirò dritto con un solo movimento.
Sonic tentò di fare altrettanto, ma un lampo di dolore lo costrinse a tornare accucciato a terra.
Amy gli balzò davanti, fendendo l’aria con il martello, pronta a fare l’impossibile per difenderlo, anche se era palesemente provata dallo sforzo dell’attacco appena compiuto. I due nemici avanzavano, lenti, quello dotato di anima stava ghignando, l’altro era inespressivo come solo il metallo può esserlo.
Un improvviso schiocco elettrico seguito da un mezzo grido annunciò che Knuckles aveva trovato i cavi.
I due ricci si voltarono subito verso di lui, soltanto per vedere l’echidna illuminato come una lampadina. L’elettricità l’aveva sicuramente trovata, anzi, diciamo che quei cavi li aveva trapassati. Sfortunatamente per lui. In un qualche modo, l’echidna ricadde in schiena, interrompendo il contatto e quindi la scossa.
Knuckles non impiegò più di qualche secondo per riaversi, aveva la pellaccia dura, del resto. Ma quel breve lasso di tempo fu sufficiente per far comprendere ai nemici che, se Knuckles si fosse unito alla festa, il loro compito sarebbe stato assai più arduo da compiere.
Anubis fece segno, Ferro Vecchio obbedì e aprì fuoco. La pallottola attraversò la stanza e si conficcò nella spalla dell’echidna. Knuckles non riuscì a trattenere il grido di dolore, finendo nuovamente disteso.
Anubis sogghignò, voltandosi di nuovo verso Sonic che, nonostante la paura e la sofferenza, alla vista dell’amico ferito, s’era tirato in piedi, poggiando però il proprio peso soltanto sulla gamba sana. Alla vista di ciò che era capitato a Knuckles, la nebbia che aveva paralizzato la mente di Sonic s’era dissolta, lasciando campo libero al suo spirito protettivo e battagliero. Nessuno più di lui si scaldava se gli veniva toccato chi gli stava a cuore.
-Questa non te la perdonerò mai!-  esclamò Sonic, puntando il dito contro il canide. –Mai, hai capito?! Mai!-
Anubis ruotò gli occhi verso di lui. –Cos’è? Una minaccia, riccio?-
-È una promessa!- ringhiò di rimando Sonic. L’espressione strafottente di Anubis evaporò.
C’era due sole cose capaci di far perdere completamente il controllo a Sonic. La prima erano i Chili dog. La seconda era vedere i propri amici in difficoltà.
Un grugnito da parte di Knuckles distolse l’attenzione di Sonic dagli occhi giallo magnetici del canide.
-Stai bene, amico?- gli domandò.
L’echidna si tirò su a sedere con una colorita imprecazione. –M’ha preso di striscio! Ora però li faccio a strisce io!- ruggì, scattando in piedi, con una luce ben più che pericolosa nello sguardo.
In tutta risposta, Anubis scambiò un occhiata con Ferro Vecchio. –La nostra priorità resta sempre la stessa: immobilizzare Sonic.-
Non passò più di un secondo.
Tutti e cinque si scontrarono furiosamente. Rabbiosi scambi di calci, pugni e quant’altro imperversò nella sala, attacchi e contrattacchi così rapidi da renderne difficile l’osservazione ad occhio nudo.
Sonic si scagliò contro Anubis, sferrandogli un cazzotto sul mento. L’altro rispose con un calcio. Ferro Vecchio risuonò come una campana alla martellata di Amy, che venne però scagliata via da un colpo inferto proprio dal suo bersaglio, che non aveva risentito troppo della botta incassata. Il pungo spinato di Knuckles invece lo destabilizzò quasi completamente. Lo Spin Dash di Sonic tagliò la strada all’echidna, mentre il riccio si scagliava nuovamente addosso al canide che piegandosi in avanti schivò l’attacco, ma venne colpito da dietro dalla riccia rosa. Uno Spin Dash rosso investì nel frattempo Ferro Vecchio che venne spinto indietro, minacciando di schiacciare Sonic tornato alla carica. Il riccio si piegò di lato, evitandolo e mantenendo comunque la riconrsa accumulata. Un doppio calcio andò a stamparsi sul grugno di Anubis, che decollò da terra. Il colpo caricato da Amy finì così nel vuoto, ma ottenne comunque l’effetto di colpire Ferro Vecchio. Un calcio ad ascia da parte di Knuckles ridusse in ginocchio Anubis, ma non lo stordì abbastanza da evitare all’echidna di beccarsi un taglio di mano esattamente sulla ferita. L’echidna urlò, crollando a terra, un pronto Spin Dash con rimbalzo da parte di Sonic gli evitò un secondo colpo, a danno di Anubis che si ritrovò con una sfera di spine roteante sul petto. Si liberò malamente di Sonic con un pugno, spedendolo sulla traiettoria si un colpo caricato da Ferro Vecchio destinato però ad Amy. La riccia gridò mentre Sonic crollava al suolo, stordito. Anubis si scagliò verso di lui per sferrare il colpo di grazia ma un possente destro di Knuckles lo fece desistere. Ferro Vecchio perseguì l’azione iniziata dal suo superiore. Si diresse contro Sonic e, con un sorprendete scarto a sinistra, evitò un’ennesima martellata da parte della riccia rosa. Raggiunse dunque Sonic, che si stava ancora rimettendo in piedi e lo colpì duramente sulla gamba già ferita. Una torsione in extremis da parte del riccio gli evitò di incassare la botta nella sua interezza, ma una buona fetta di danno venne ugualmente recepita dal riccio. Anubis tornò alla carica. Knuckles tentò di fermarlo, ma venne steso. Ferro Vecchio colpì Amy da dietro. Sonic colpì Ferro Vecchio. Anubis calciò Sonic. Knuckles sferrò un pungo ad Anubis. Amy fece lo stesso. Sonic le ricevette indietro da Ferro Vecchio.
Andarono avanti per un bel pezzo a quella maniera, fino a quando Knuckles, che aveva sventrato mezza sala per trovare quei maledetti cavi, ebbe la brillante idea di provare a spingere Ferro Vecchio in una trappola. Cominciò dunque ad incalzare maggiormente lo pseudo-robot, spingendolo sempre più verso i cavi scoperti. Peccato che a Ferro Vecchio importasse solo di Sonic e che facesse di tutto per raggiungerlo e combattere contro di lui. Doppiamente peccato, il riccio blu era così impegnato nella battaglia contro Anubis che s’era altamente scordato dei cavi. Amy, invece si accorse delle intenzioni di Knuckles e si occupò di rinfrescare la memoria al riccio con un’eloquente gomitata nelle costole e uno sguardo d’acciaio che, a pensarci bene, sarebbe stato più consono a Ferro Vecchio.
In ogni caso, Sonic capì le intenzioni dell’echidna, che guerreggiava furiosamente con Ferro Vecchio, sempre impegnato a spingerlo verso i cavi, e si aggregò a lui nel compito. Sciaguratamente, anche Anubis se ne accorse e si interpose alle loro intenzioni, ingaggiando maggiormente Sonic, spingendolo lontano dai cavi e trascinandosi dietro di conseguenza Ferro Vecchio.
Gli occhi spaesati delle creature incapsulate seguivano silenziosamente quella specie di tornado di braccia e gambe che si dimenava tra le loro capsule. Alcune pupille si sgranavano di terrore quando la furia della lotta si avvicinava troppo ad uno dei loro vetri. In ogni caso, ad osservarli attentamente, cosa che i combattenti non poterono ovviamente fare, si sarebbe quasi potuto dire che provassero apprensione per le sorti di Sonic e compagni, che parteggiassero dunque per lui.
Erano più o meno in stallo, le due parti in scontro. Due contro tre, ma comunque pari. Unica sciagura: alla squadra blu-rosa-rossa stavano cominciando a mancare le forze. E le mani cominciavano a dolere per le troppe scazzottate scambiate con un perfetto pezzo d’acciaio. La squadra grigio-metallo sembrò notarlo, ed aumentò gli forzi.
Un’interruzione inaspettata pose fine alla situazione d’equilibrio precario che c’era in campo. Sbilanciando definitivamente le sorti della battaglia verso uno dei due fronti.
Un improvviso urto, preannunciato da un possente boato, gli investì dall’alto. La parete alla loro sinistra e gran parte del soffitto esplose in lingue di fuoco e grandine di cemento, mattoni e pezzi di ferro. Si levò un polverone denso e colloso che si appiccicò su nasi, gole e polmoni, mentre una cortina di detriti franò su combattenti e capsule.
Rimasero tutti accecati dalla polvere. Nessuno di loro seppe dire per quanto tempo rimasero a terra, storditi, accecati dal polverone del crollo.
Amy sentì un lieve rumore di pietrisco che scivolava alla sua sinistra, nonostante le orecchie le fischiassero impazzite, e udì anche un colpo di tosse che però non assomigliava né a quello di Sonic né a quello di Knuckles. Tossì anche lei, portandosi lentamente una mano al volto solo per scoprire che ogni singola fibra del suo corpo le doleva da impazzire. Qualcosa di freddo e liquido le gocciolò sulla faccia. Inizialmente fu come ricevere una stilettata di ghiaccio, ma poi, pian piano, cominciò ad apprezzare quel gocciolio che ridava vita alla sua pelle. Forse fu anche per quello che la polvere sollevata cominciò a diradarsi.
E ciò che vide la lasciò atterrita.
La prima cosa che notò fu che non esisteva più una buona metà di stanza. La lunga parete che costeggiava la sala delle capsule era sparita, sostituita da qualche sporadico rudere di muro. Ma oltre a quei miracolosi resti, non c’era nulla. E con nulla, Amy intendeva dire il vuoto. C’erano le montagne, il baratro della valle sulla quale loro stavano quasi interamente sospesi e il temporale che versava su di lei secchiate di gelida pioggia. Con un brivido di vertigini, Amy distolse lo sguardo dal baratro della valle, incapace di pensare a cosa sarebbe successo se fosse crollato anche il pavimento.
Voltando dunque la testa, potè constatare altri dettagli che la scagliarono nel panico più completo.
Vide Anubis tossire, seduto in ginocchio, del tutto incolume fatta eccezione per un livido su un fianco. Vide anche Ferro Vecchio steso a terra che si stava liberando da una fetta di soffitto che gli era finita quasi addosso, ma non sembrava ferito grave. Al contrario delle altre due persone presenti nella stanza oltre a lei. Sonic era a terra, un filo di sangue che gli colava dalla fronte, completamente immobile e non intenzionato ad alzarsi. Di Knuckles, invece, si poteva solo vedere un braccio, il resto era interamente sepolto.
Il gelido panico azzannò la riccia rosa alla gola. Lei fece per alzarsi e correre dal suo Sonic, ma non riuscì a muovere le gambe. Al panico si aggiunse anche la bruciante preoccupazione. Se Sonic fosse … se lui … se …
Si trascinò in avanti con i gomiti.
Dietro di lei, udì Ferro Vecchio liberarsi dai detriti e rimettersi in piedi con un sonoro cigolio metallico. Le lacrime le pizzicavano gli occhi, strisciò avanti. La pioggia le colò negli occhi, ma la pelle secca del volto incrostato di polvere pareva quasi gioire di quell’umidità. Panico e preoccupazione l’assordavano.
Sentì Anubis muovere qualche tremolante passo.
Amy avanzò ancora, riuscendo questa volta a muovere un ginocchio. Le facevano male le ossa. Sonic era vicino.
Anubis, dietro di lei, imprecò sonoramente.
Le dita screpolate della riccia si strinsero infine sul braccio del suo amato Sonic. Ora le lacrime le allagavano del tutto la vista. Con le viscere strette dalla tensione fino quasi a farle male, Amy tirò un pochetto il corpo del riccio, voltandogli la testa verso di lei. Con una gioia incontenibile, Amy notò che stava respirando. Sonic respirava.
Voleva controllare anche Knuckles ora.
Fuori, il frastuono dei motori del Tornado X le fece alzare gli occhi verso il cielo. Vide la scheggia voltante che era l’aereo di Tails tagliare il cielo, in mezzo ai fulmini. Il volpino fece fuoco, sparando missili contro un bersaglio che lei non riusciva a vedere. Non le fu difficile, nonostante il dolore pulsante nella sua testa, capire che qualcosa non andava nel volo del Tornado. Uno dei missili di Tails si scontrò contro il fianco di una montagna. Il flash di luce, poi il boato. Amy fece due più due e capì come aveva fatto il laboratorio ad esplodere per metà.
I passi dei suoi nemici la distrassero da quei ragionamenti. La paura tornò a morderla al petto. Lei era l’unica che ancora si muoveva. E combattere non era un’opzione.
Trattenendo i singhiozzi disperati, serrò gli occhi inondati di lacrime cercando freneticamente di spremere le proprie meningi in cerca di un gocciolo di idea. Qualunque cosa!
Le venne in mente un’unica opzione, per quanto disonorevole le potesse sembrare. Afferrò decisa la radiolina appesa al fianco di Sonic. Pigiò un pulsante e si portò la piccola macchina all’orecchio, sperando che rispondesse alla sua richiesta d’aiuto.
 
 
Era ufficiale: ora poteva dichiarare di non vederci più una mazza! Tails aveva i denti talmente serrati che quasi li facevano male.
No, non bastava la pioggia. No, non bastava quell’oscurità così pazzesca. No, non bastavano le montagne ad occupare spazio con coltelli di roccia. Ci si mettevano anche i fulmini, saette e lampi!
Aveva gli occhi infestati di macchie di luci verdi e rosse intermittenti. Il bagliore dei lampi era semplicemente troppo in contrasto con l’oscurità circostante, rimanere accecati non era una scelta opzionale.
In tutto quell’inferno di acqua, vento, roccia e fulmini, riuscire a scovare minuscoli robot volanti di metallo era come cercare un determinato granello di sabbia sul fondo del mare.
Peggio, non riusciva nemmeno a capire da dove quei tre attaccassero. Sentiva solo le scosse che attraversavano l’aereo in seguito ad un urto. Fortunatamente, i loro attacchi non erano poi così forti. Almeno, quelli dei droni. Non si poteva dire altrimenti della terza macchina, quella alata.
Tails deglutì di nuovo, mentre sul monitor brillava ad intermittenza la spia rossa che gli segnalava con urgenza un grave danno al motore destro. Il risultato dell’ultimo assalto sferrato. L’ennesima batosta che non era riuscito a respingere.
Sgranò gli occhi di colpo, gli era sembrato di distinguere un bagliore argenteo che volala laggiù. Caricò nuovamente il lancia-missili e piegò all’ingiù il Tornado, lasciandosi scivolare in discesa. Ed infatti era là.
Ancora incredulo della propria fortuna, Tails fece fuoco. Il missile partì, agganciò la scia del bersaglio e partì all’inseguimento.
Il robot alato si esibì in una serie di capriole aeree per cercare di disperdere il missile e toglierselo di torno. Ma di successo non ne ebbe molto. Tails non lo lasciò riposare di certo. Aprì il fuoco su di lui, scagliandogli contro una pioggia di proiettili. La macchina alata indietreggiò, tuffandosi poi in picchiata, con il missile sempre alle costole. Strezò bruscamente, sfrecciando ad un nulla dalla fiancata del laboratorio. Ma, quella manovra fu così secca e asciutta che il missile non fece attempo a curvare con eguale bruschezza. La sua curva finì per allargarsi di qualche metro di troppo, sospinto dalla forza centrifuga, e terminò la corsa contro la murata dell’edificio.
Tails gridò d’orrore.
C’erano i suoi amici là dentro! E lui li aveva appena colpiti!
Ma no, non aveva di certo fatto esplodere proprio la sala in cui erano loro. Vero?
Quel posto laggiù sembrava davvero immenso, quante probabilità c’erano?
Anche se non li aveva colpiti, ora di sicuro la loro presenza era stata smascherata …
Un moto d’angoscia gli montava in petto.
E aveva pure perso la posizione della macchina alata! Serrò ancora di più i denti, prendendosela con sé stesso.
Risalì la valle nella sua interezza, e quando essa si chiuse a V, fece retro-front e tornò indietro, passano nuovamente davanti al laboratorio, ormai sventrato. Aguzzò la vista ma ovviamente non riuscì a scorgere nulla laggiù.
Però riuscì a distinguere tra le ombre le sagome dei due droni, poco più avanti. Aprì nuovamente il fuoco verso di loro. Uno dei missili finì contro la roccia. Un altro venne inghiottito dalla valle.
Il Tornado X perse di colpo un due metri di quota, facendo rabbrividire il suo pilota. Scuotendo la testa per liberarsi degli effetti del vuoto allo stomaco appena provato, controllò il monitor. I danni al motore si stavano aggravando ancora.
In preda ai dubbi, cercava disperatamente una soluzione, quando la radiolina per comunicare con Sonic squillò. La voce di Amy ruppe il silenzio che regnava nella cabina di pilotaggio.
-Tails! Tails!-
Stava singhiozzando, Amy stava singhiozzando. Il cervello del volpino gli spiattellò davanti agli occhi l’immagine del laboratorio sventrato. Lui scosse la testa, impuntandosi ad ignorarla. Non poteva aver davvero …
-Amy! Cosa succede?- chiese subito, senza perdere tempo, sebbene i dubbi lo stessero torturando senza tregua.
-Noi … abbiamo bisogno … di aiuto. Immediato. Ora! Subito!- la voce della riccia venne interrotta da qualcosa. –O qui finisce male sul serio! Ti prego! Aiutaci!-
-Ma io…?- cosa dirle! Non era nelle condizioni di aiutarli in alcun modo. Gli venne quasi da piangere per la rabbia.
-Chiama qualcuno, allora! Ma fallo subito! Presto!-
La chiamata crollò in quel momento, mentre Amy tratteneva il fiato come presa da un mostruoso spavento.
Chiamare … qualcuno?
Chi?
Chiamare qualcuno in grado di aiutarli subito! E capace di attraversarsi mezzo Paese in questione di secondi.
Gli venne in mente un solo nome ma l’orgoglio si oppose. Erano venuti lì contro la volontà di Shadow, con che faccia gli chiedevano ora aiuto? Erano venuti loro lì, s’erano loro ficcati in quella posizione, quando Shadow li aveva chiaramente avvertiti che non ci sarebbero dovuti venire.
Non osò immaginare la reazione che avrebbe avuto il riccio nero.
Scosse forte la testa. Gli amici prima! Erano in estrema necessità, e lui avrebbe fatto l’impossibile per aiutarli, anche affrontare l’ira di Shadow!
Afferrò risoluto la radiolina, solo per ricordare che non aveva idea di come contattare il riccio nero.
Il morale gli sprofondò.
Aspetta! Invece lui aveva il contatto con Rouge! Durante alcune loro avventure, era capitato che Rouge li chiamasse e lui aveva salvato i dati di quella chiamata.
Dovette trafficare un attimo con il sistema radio del Tornado ma ci riuscì. Si mise in contatto con la pipistrella. Trovare lei, equivaleva a trovare Shadow.
 
 
Rouge picchiettava freneticamente un’unghia sul bordo del tavolo. Alle sue spalle giacevano tre guardie prive di sensi. Di fronte a lei stavano i computer contenenti i database di tutta quella schifosa base di ricerca. Download al 93% ! Ringhiò. Era lento come un lombrico quel trabiccolo arrugginito!
Sobbalzò quando ricevette una chiamata.
Shadow?
-Rouge, sono io, Tails!-
Ovviamente no. Ma, Tails? Come aveva trovato, lui, la sua frequenza?
-Oh, ma che piacere sentirti, mio caro! Come stai?- gli chiese, amabile. Un miracolo, 94%!
-Rouge, non ho tempo di spiegare! Devo parlare con Shadow ora!-
Che?!
-Non per deluderti, mio sofficissimo amico peloso. Ma penso che sia problematico, ora come ora.-
Già, e chissà dov’era Shadow! Non le parlava più da un tempo troppo lungo.
-Ma io ho bisogno di mettermi in contatto con lui!- l’urgenza nel timbro di voce del volpino le fece capire che la questione era seria.
95%!
Rouge riflettè un attimo. Se lui aveva trovato la sua frequenza, voleva dire che s’era collegato alla sua personale via di comunicazione, non, dunque, a quella di Shadow. La cosa era complicata. –Senti, tesoro, ora come ora non saprei come fare a collegarti con lui. Senza calcolare che ho ben altri problemi a cui badare, ora. Ma se dici a me qual è la cosa che gli devi dire, lo riferirò all’istante.-
Sentì Tails esitare.
96%! Assurdo, quel vecchio pc ammuffito stava facendo lo sprint finale di fine download.
-Allora va bene.- disse lui. –Dì a Shadow che deve venire qui, questione di vita o di morte. Abbiamo bisogno di aiuto immediato!- il terrore nella voce di Tails era più che evidente!
Speriamo solo che gli scienziati non captino questa conversazione, del resto, non è coperta dalle mie misure di sicurezza.
-“Qui” dove, tesoro?- gli chiese. 96%!
-Al laboratorio Nord, le coordinate sono queste.- Rouge si impresse nella memoria quei dati.
-Al laboratorio Nord?!- sbottò. –Ma perché diavolo siete al laboratorio Nord!-
-Non ho tempo per spiegare!- la voce del volpino si ruppe. –Venite subito, vi prego!-
97%.
-Appena riusciamo a liberarci, amore. Siamo … emh … impegnati.-
-Cosa?!-
-Questione di pochi minuti, non temere. Arriviamo.-
-Grazie.-
La comunicazione si chiuse.
Rouge chiuse gli occhi. Chissà la reazione di Shadow alla bella notizia! Sbuffò. 98%
Fissò un attimo lo schermo, prima di mettersi di nuovo in contatto con il suo compagno di squadra spinato.
 
 
Il suo primo istinto? Staccare il cranio dal collo di quel tizio.
Sul fatto che ricoprisse un ruolo importante all’interno dell’organizzazione dei ricercatori era fuor di dubbio. Si capiva chiaramente, sia dal vestiario, sia dall’atteggiamento arrogante.
Per non parlare poi del modo con cui lo guardava. Dal primo istante in cui s’erano visti, negli occhi di quell’uomo brillava una luce simile a quella che animano gli sguardi dei bambini posti difronte ad un pacco regalo, frementi dalla voglia di vedere la sorpresa contenuta in esso. Solo, era una luce infinitamente meno candida e innocente. Mai in vita sua s’era sentito trattare a quel modo, proprio come se fosse un oggetto e nulla più. Nessuno. Mai.
Shadow assottigliò lo sguardo, senza distogliere la sua attenzione dall’uomo. Non aveva impiegato molto a concludere che la donna che lo accompagnava non rappresentava alcun tipo di problema, e, dal modo in cui era vestita, nemmeno sembrava avere un ruolo importante nella gerarchia che regnava su quel posto. Cosa ci facessero insieme non era affar suo, dunque non si pose nemmeno il problema.
Il sorriso sul volto dell’uomo si allargò. –Davvero una bella sorpresa averti qui, Shadow The Hedgehog. Posso conoscere il motivo della tua visita.-
Silenzio. Insulto a stento trattenuto.
-Beh, spero per lo meno che il giretto panoramico ti sia piaciuto. Impressionante, vero, come laboratorio?-
Una scintilla di rabbia si unì al resto del groviglio rovente che il riccio aveva in petto. Non sopportava proprio l’atteggiamento di quel James.
-Probabilmente non hai ancora fatto a tempo a vedere tutto quanto. È immenso questo posto. Ma non temere, tra non molto avrai modo di poter ammirare ogni dettaglio con cura e calma. Quando sarai nostro ospite permanente.-
Shadow gli mostrò i denti, in risposta. La sua rabbia interna aumentò di un grado ancora.  
-Ma non ora, ovviamente. Verremo a prenderti noi, quando verrà il momento. E quel giorno l’umanità potrà finalmente godere delle meraviglie di microbiologia contenute nel tuo corpo!-
Il cazzotto si abbattè sulla faccia di James un quarto di secondo dopo che l’ultima parola ebbe lasciato le sue corde vocali. La mascella crocchiò sonoramente, quando l’osso si crepò. E il ginocchio del riccio fu lieto di far conoscenza con lo stomaco del Capo Operativo. James volò all’indietro nel corridoio, atterrando scompostamente, come un pupazzo.
Shadow voltò le orecchie indietro, limitandosi a fissare con astio il nemico atterrato. La donna, urlò, schiacciandosi contro la parete, terrorizzata, tentando di allontanarsi il più possibile da quell’essere che le era piombato così vicino in così poco tempo.
James impiegò una buona dose di minuti per riuscire a rimettersi circa in piedi, tenendosi convulsamente le parti offese.
Oltre i vetri, l’operazione chirurgica su Teta567 continuava.
Shadow avanzò, con passo tranquillo, gli occhi di fuoco. L’ombra del terrore passò per un attimo negli occhi di James, ma fu abile a ricacciarla subito indietro.
-Mica era necessario reagire così.- biascicò l’uomo, pronunciando a fatica le parole. Evidentemente, la mascella s’era rotta. –Voglio dire, è normale pensare che l’umanità possa finalmente gioire dei frutti di ciò che l’umanità stessa ha creato.-
Stava quasi pe raggiungere il limite. Il Chaos Spear crepitò attorno alle braccia del riccio.
James tentò malamente di sorridere. –E avremo ciò che è nostro, stanne certo! Non hai alcun diritto su ciò che il rinomato scienziato Gerald Robotnik ha messo in te: sei solo un’arma, in fondo!-
Ed il limite era quello.
James fece per dire qualche parola in un piccolo cip vocale che aveva attaccato al polso, ma, ovviamente, aveva fatto male i conti. L’osso del naso si spezzò in due in un battito di palpebre, e James si ritrovò a volare nuovamente, fulminato. Urlò dal dolore, sfogando anche quello della mascella rotta di poco prima, che era riuscito più o meno a trattenere. Riprese le distanze dal riccio tramite l’involontario decollo, riuscì finalmente a dire quelle parole nel cip.
Shadow corrugò la fronte quando gli sentì dire: -Teta567! Sbranalo! Ora!-
Il riccio voltò la testa verso la finestra della cella di contenimento che ora gli stava alle spalle. Anche se se l’era aspettato, sobbalzò lievemente quando vide il getto rosso spruzzare il vetro-specchio. La cella era isolata fonicamente, ma immaginare gli urli non era così difficile. Anche perché la donna che accompagnava James urlava in abbondanza, abbastanza da ricreare anche là nel corridoio l’atmosfera che doveva esserci dentro la cella. Lui, quell’uomo, aveva aizzato la belva sapendo benissimo che c’era anche gente, colleghi, nella cella.
Varie tonalità di rosso e mutevoli parti organiche finirono contro il vetro, per poi colare a terra. Gli artigli di Teta raggiunsero il vetro subito dopo. Le fauci spalancate della belva appannarono il vetro. E Teta fece il primo tentativo di uscire. Gli artigli cozzarono contro la finestra, che però resse egregiamente all’assalto.
La voce di Rouge distolse Shadow dall’osservare. –Tesoro? Io qui ho finito di scaricare i dati, non ho avuto problemi. Tu hai trovato il generatore?-
-Quasi.-
-Perfetto! Però ci sarebbe una cosuccia.- Rouge esitò. -Ha appena chiamato Tails. Dice che Sonic e gli altri hanno bisogno di soccorso immediato.-
-E…?-
-E noi dovremmo andare da loro ad aiutarli.-
Teta colpì il vetro di nuovo, ruggendo, i denti bianchi striati di rosso.
-Dove sono?-.
-Qui sta il punto: sono alla base di ricerca Nord.-
I denti di Shadow si serrarono, i suoi occhi si incupirono ancora di più, se mai fosse stato possibile. –Cosa?!- sibilò.
Sentì Rouge tentennare di nuovo –Che ci vuoi fare? Lo sapevi che sarebbe andata a finire così.-
Shadow grugnì. –Arrivo a prenderti, tu resta lì.-
Teta567 fece fuoco. Con cosa, Shadow non lo sapeva. Restò innegabile il fatto che il vetro di contenimento esplose scagliando detriti ovunque. La donna, Lucy, venne scagliata indietro.
Shadow sospirò. Sonic era nei guai, guai molto grossi per ridurlo a dover chiedere aiuto. E lui lì aveva la possibilità di chiudere non uno ma ben due conti in sospeso!
Dovette fare uno sforzo oltremodo notevole per lasciarsi dietro un arcinemico e il capo di quell’arcinemico. Teta567, intanto, gli mostrò con un ruggito la sua nuova artiglieria. Armi da fuoco impiantate su entrambe le braccia. Sparò contro Shadow quelli che sembravano due missili.
Il riccio nero ringhiò tra sé e sé, facendo quasi violenza contro sé stesso per attivare il Chaos Control e andarsene da lì. Quando avrebbe voluto fare a pezzi quell’uomo! Probabilmente l’avrebbe ammazzato Teta, oppure l’esplosione che sarebbe seguita quando lui avrebbe raggiunto il generatore. Ma prenderlo a pugni era tutt’altra questione!
Sonic gliel’avrebbe pagata cara, questa. Assicurato!
Ma, per poterlo fare, il pidocchio blu doveva rimanere vivo, e per farlo rimanere vivo, Shadow doveva andare a salvargli il sottocoda. Insultandolo mentalmente con tutta la sua fantasia, Shadow piazzò il punto d’atterraggio del Chaos Control direttamente davanti al generatore. Ormai, se ne sbatteva altamente di venir visto. Già che tutti lì sapevano di lui. Dal momento che la discussione con James era durata diversi minuti, era logico pensare che gli scienziati avessero avuto tutto il tempo di evacuare alcune di quelle loro cavie da laboratorio.
Diversi paia di occhi spalancati ruotarono verso il riccio. Tutti gli ingegneri del generatore fissavano ora Shadow.
Con tutta la rabbia accumulata negli ultimi minuti non fu affatto difficile attivare il Chaos Blast. L’onda rossa lo avvolse interamente per poi espandersi tutt’attorno. Ma Shadow la bloccò prima che toccasse il corpo principale del generatore. Chaos Control che ingloba il Chaos Blast.
Combinazioni come quella erano piuttosto insolite, e costavano anche maggiormente in quantitativi energetici da parte sua, ma, talvolta, erano dannatamente comode. Ignorando le grida di terrore delle cinque persone lì presenti, Shadow si teletrasportò via per andare a prendere Rouge.
La sua percezione dello spazio si dilatò nuovamente, abbastanza da permettergli di identificare alcune capsule d’emergenza in rapidissimo movimento. Erano come super-ascensori orizzontali che funzionavamo come treni d’evacuazione in caso di gravi disastri. Ogni laboratorio degno di questo nome, del resto, aveva una via segreta per far fuggire il proprio personale o i propri esperimenti. Anche l’ARK aveva le sue capsule per la fuga. Il ricordo di Maria a terra scombussolò l’equilibrio interno di Shadow. Corrugando la fronte, pose fine a quel lunghissimo attimo, dilatato nel tempo, che prevedeva ogni utilizzo del Chaos Control. Ultimo suo pensiero, sulla mappa di quel laboratorio non erano stati marcati quei mezzi d’evacuazione.
Lo spazio gli curvò attorno a lui, e Shadow si ritrovò davanti a Rouge, seduta su di una sedia di fronte all’intero sistema di archiviazione dati, giochettando con il piccolo disco contenente i risultati del furto d’informazioni. Gli sorrise.
Shadow non le disse niente, non le spiegò niente. L’agguantò con il potere di Chaos e la portò fuori, rilasciando al contempo il Chaos Control di blocco temporale che aveva rallentato fino a quel momento il Chaos Blast.
Si teletrasportarono fuori, da Omega, proprio mente l’esplosione raggiungeva il generatore, espandendosi all’istante in tutto il resto del laboratorio.
Si girarono a guardare la piccola montagna franare su sé stessa, facendo tremare il suolo nei dintorni. Diversi alberi vennero giù dai fianchi boscosi del pendio, scivolando insieme alla terra, mentre gli uccelli si levavano tutti in volo.
Shadow prese giusto un respiro e poi attivò nuovamente il Chaos Control, mettendoci una dose maggiore d’energia, mirando alle Mirror Mountains.
Trovò le montagne, ma per trovare il laboratorio fu un pochetto più complicato. Ma, una volta individuato il Tornado X, non fu un problema frugare tutta l’area circostante. Da lì ad un attimo scovò il volume del laboratorio, scandagliò rapidamente gli spazi contenuti all’interno e prese come riferimento la sagoma puntuta di un certo riccio blu che gli aveva impedito di prendere a calci il più grande bastardo che avesse osato strisciargli davanti negli ultimi tempi.
Così, lui, Rouge ed Omega apparvero nella stanza delle capsule, e bastò loro non più di un’occhiata per capire che avevano spaccato il secondo, in quanti a tempismo. Un mobiano di tipo cane teneva immobilizzata un’Amy piangente e strillante che si protendeva in tutti i modi verso il corpo svenuto di Sonic, sul quale stava chino una specie di robot mostruosamente dettagliato che aveva sul braccio destro la canna di un fucile puntata sulla gamba sinistra del riccio blu.
Il Chaos Spear partì all’istante, schiantandosi in mille scintille contro il dorso metallico del robot, che crollò a terra, in preda agli spasmi. Nello stesso istante, un calcio sferrato di tacco colpì in piena fronte il canide grigio scuro.
Amy emise un vero strano, mai sentito prima, a metà tra una risata e un singhiozzo, che a sentirlo pareva come un singulto di un automobile rimasta a secco di benzina. Shadow non la guardò nemmeno, andò dritto sparato da Sonic, lo afferrò per la collottola e lo tirò in piedi a forza, affibbiandoli in faccia un sonoro man rovescio (sebben non eccessivamente forte). –Deficiente!- lo apostrofò, rabbioso. –Mai una volta che tu ti decida ad usare il cervello prima di correre a testa bassa contro ostacoli troppo duri da fracassare con il tuo misero cranio! Giuro, la prossima volta scordati che vengo a pigliarti dopo un’altra delle tue scemenze!-
Il riccio blu schiuse lentamente le palpebre.
-Ma devi fare proprio tutto questo chiasso?- ruminò. –Ciao Faker.-
Shadow lo lasciò cadere a terra, ringhiando. –Idiota! Hai una vaga idea di cosa mi sia costato precipitarmi qui in fretta e furia?! Questa me la paghi, sicuro!-
Sonic tossì. E con lieve ritardo, Shadow notò i lividi, per altro perfettamente mimetizzati, che coronavano il corpo del riccio blu. Non che si pentì del trattamento riservato al suo doppione, tutt’altro.
-Cioè, fammi capire, sei venuto qui in pompa magna sperando di fare a pezzi chissà quali orde di nemici, ed invece le hai prese di santa ragione?!-
Sonic fece spallucce. –La fortuna gira.- sorrise. –Che ci vuoi fare?-
Un secondo Chaos Blast stava emergendo dentro a Shadow, ma riuscì a ricacciarlo indietro in un qualche modo. Decise di rimandare la ramanzina soltanto perché il robot si stava rialzando.
Un brivido gelido percorse la schiena di Shadow quando il riccio nero si ritrovò a fissare gli occhi biologici della macchina. Non fece commenti. Riprese al contrario il controllo di sé stesso e della situazione circostante.
Lo pseudo-robot fece fuoco con il proiettile che aveva in canna per Sonic. Shadow si limitò a piegare di lato la testa per schivare la pallottola.
-Usa i Chaos Spear contro di lui.- borbottò Sonic. –Dovresti atterrarlo in breve, così.-
-Non è forse quello che faccio tutte le singole volte?- lo rimbeccò Shadow, a metà tra l’esasperato e l’annoiato.
-Promemoria.- commentò Sonic.
La macchina si scagliò in avanti per rinnovare l’attacco. Shadow non gli permise di arrivare vicino abbastanza. Due Chaos Spear contemporanei colpirono il robot. Con un gemito acutissimo e gorgogliante, Ferro Vecchio cadde in avanti, tutto il suo metallo percorso dalle scariche elettriche roventi. Tentò ancora di muoversi, strisciò in avanti, allungò una mano verso Shadow e non si mosse più. Una macchia scura si allargò sotto al corpo di metallo.
Un pallidissimo senso di tristezza attraversò la mente di Shadow, così come quella degli altri.
Tutto qua?, pensò il riccio nero. Non disse nulla, però.
Si voltò verso il secondo avversario che c’era nella stanza, Anubis, tenuto sotto scacco dai tacchi a spillo di Rouge e dal mitra di Omega.
-Manca quell’impiastro di echidna.- osservò la pipistrella.
Amy, che intanto era accorsa vicino a Sonic, ancora incredula che quell’orribile situazione fosse finita in una maniera impensabilmente positiva, indicò rabbuiandosi il cumulo di macerie sotto le quali stava Knuckles. Rouge spalancò gli occhi. –Come ha fatto quel pezzo d’idiota a finire là sotto?- esplose, andando ad iniziare le operazioni archeologiche per cavarlo da là.
-Ci sarebbe anche qualcun altro che avrebbe bisogno di una mano.- Disse Sonic, rivolo a Shadow. L’occhiata del riccio nero avrebbe potuto forare una lastra d’acciaio.
-Non fare quella faccia! Già che hai fatto trenta, fai anche trentuno!- lo apostrofò Sonic. –Tails, là fuori sembrava essere nei guai.-
Shadow ringhiò. –Una cosa alla volta…-
Agganciò i corpi di tutti i presenti con Chaos, eccetto ovviamente Anubis e Ferro Vecchio, e li teletrasportò tutti fuori. Oltre i tuoni del cielo, si potè udire tutta una cacofonia di suoni quando i già malconci mobiani atterrarono più o meno malamente sulla nuda roccia delle vette, dove Shadow gli aveva assai poco finemente trasportati, sotto l’acqua battente, ad un nulla dal bozzolo di nubi e fulmini che aveva ingollato il cielo. A causa della pendenza, il corpo privo di sensi dell’echidna rotolò un poco ma si fermò di testa contro un macigno. Rouge sospirò, grata, in fondo, di non dover scavare per tirarlo fuori.
Sonic si tirò su in piedi, o per lo meno ci provò. Il ginocchio maltrattato cedette di nuovo e il riccio perse interamente l’equilibrio, rischiando seriamente di tramutarsi in polpette di riccio sul fondo valle. Per sua fortuna, Shadow non si trovava troppo distante e il riccio blu riuscì ad afferrargli un braccio rimanendo in piedi. L’iniziale occhiataccia di Shadow, scoccata per esser stato toccato senza permesso, si tramutò in qualcos’altro che avrebbe anche potuto sembrare a strafottente compassione. Non scacciò via la presa del riccio blu. –Nemmeno riesci a stare in piedi?- commentò invece, acido.
Sonic fece un gesto disinvolto con la mano, come a dire che non era nulla. –Tails.- disse invece. –Ti prego, aiuta Tails, adesso.-
Un’ombra strana passò nello sguardo di Shadow, come se lui non si capacitasse del fatto che Sonic lo stesse apertamente supplicando. –Dov’è?- domandò.
-In giro con il Tornado X-
Shadow abbassò lo sguardo verso il laboratorio. –Non so ancora volare. Quando passerà di qui, potrò fare qualcosa, non prima.-
-Cosa guardi?- domandò Sonic, seguendo lo sguardo del riccio nero.
Shadow si teletrasportò via e la mano di Sonic rimase appesa al nulla. Rischiò di cadere, ma riuscì a recuperare abbastanza in fretta l’equilibrio.
Shadow si ritrovò sul tetto dell’edificio. Chiuse gli occhi e attinse agli smeraldi. Il calore dell’energia dell’attacco che stava per attivare l’attacco che aveva intenzione di utilizzare lo avvolse. Sentì il proprio corpo scaldarsi da dentro. Il Chaos Blast lo inglobò di nuovo. Shadow racimolò le energie necessarie, ed impiegò un attimo, per trovarle. Aveva usato davvero tante volte Chaos, in quegli ultimi minuti. Se ne fregò e, mentre la propria pelle si accendeva di rosso, quando arrivò l’attimo giusto, rilasciò di colpo tutta quell’energia. Sentì il cemento sotto ai suoi piedi sgretolarsi atomo per atomo, come quelli dell’aria inclusa nel raggio d’azione dell’esplosione. Tutto lo spazio prima occupato da solide pareti, da stanze, da muri, divenne improvvisamente vuoto. La roccia sotto l’edificio venne erosa allo stesso modo. Dove prima esisteva tutto un modo, ora non c’era più nulla. L’energia correva fuori dal corpo di Shadow e, come ogni volta, si sentì immensamente leggero.
Quando fu tutto finito, si lasciò cadere sullo sperone di roccia ora monco che, fino ad un attimo prima aveva ospitato la presenza del laboratorio. Riprese un attimo fiato, lasciando che la pioggia fredda gli scivolasse sulla pelle, gocciolandogli lungo gli aculei e sulle braccia, fin sulle dita, per poi gocciolare a terra. Si lasciò accarezzare dalla fredda pioggia per qualche attimo, regolarizzando il proprio respiro lievemente affannato, l’aria fredda giù nella gola fino ai polmoni. Rimase un attimo ad occhi chiusi, ascoltando. Il cielo schioccava e rombava senza sosta, l’oscurità spezzata dai fulmini e dai lampi.
Recuperata un minimo d’energia, si teletrasportò un’altra volta fin su in cima, dagli altri.
Tutti, compreso Omega, guardavano il tetro spiazzo creatosi con in Chaos Blast, tacito ricordo di ciò che un tempo si ergeva lì, su quello spuntone di pietra. Sonic, con la radiolina in mano in contatto con Tails. Amy, seduta affianco al riccio blu. Knuckles che stava riprendendo conoscenza a suon di sberle da parte di Rouge. Omega, in un rigido silenzio.
Cosa stessero pensando, con quelle facce lunghe, Shadow non lo seppe dire.
-E se ne sono andati così.- commentò Amy, semplicemente.
-Così pare.-
Con la luce intermittente dei fulmini, quel luogo sembrava ancora più desolato di quello che era. La cresta della montagna, il luogo d’incontro delle due facciate. Lì si trovavano, precipizio davanti, precipizio dietro, appollaiati su quella misera striscia di sassi a metà tra il tutto e il niente, sotto al cielo, sopra al resto della terra, circondati da vuoto perpetuo, con l’acqua sulla testa.
Il rombo del Tornado X li riscosse. Stava arrivando Tails. Sonic si sbracciò in un gesto di saluto.
Ma il volpino non sembrò nemmeno notarli, anzi, fece fuoco. Non contro di loro, beninteso, ma contro una scheggia argentea che filava a notevole velocità davanti al muso dell’aereo. –È sotto attacco!- esclamò Sonic. –Ma che cos’è quello?-
-Sono tre.- lo corresse Shadow. –Uno davanti, due dietro.-
Il Tornado X aumentò di quota, curvò, tornò indietro e sfrecciò sulle teste dei mobiani appollaiati in cima alla montagna. Ebbero così modo di vedere che il Tornado era danneggiato, e che i nemici del volpino erano ben intenzionati a non lasciarlo andare.
Sonic era in piedi, le mani stette a pugno, denti serrati, l’acqua negli occhi.
Un improvviso lampo, che nulla aveva a che fare con il temporale in corso, fece sobbalzare tutti (tranne Shadow). Si voltarono verso Omega, che aveva aperto il fuoco contro uno degli inseguitori di Tails. Uno dei due droni barcollò a mezz’aria, si cappottò in volo e, arrancando e sbuffando fumo come una locomotiva, si girò e tornò indietro. Armi puntate, ovviamente.
Sonic sospirò. –Un’altra battaglia, eh?-
Omega si piazzò davanti al gruppetto stremato di mobiano, affianco a Shadow e Rouge. –A questa ci pensiamo noi, tranquilli.-
Il Team Dark scattò in avanti, correndo sulla cresta della montagna, tra i fulmini e le gocce di pioggia, sotto al cielo color inchiostro, diretti contro il drone sospeso in volo ad un paio di piedi dalle rocce nere, vagamente assomigliante ad un insetto gigante, armato giustamente di mitra e lanciarazzi.
Il primo ad arrivare al bersaglio fu Shadow. Paralizzò a mezz’aria due dei proiettili sparati dal coleottero di ferro, congelandoli nel tempo insieme a tutte le gocce d’acqua che si trovavano attorno. Mentre altri due proiettili entravano in canna, Shadow fu addosso al drone. Un buon pugno accerchiato dalle scariche elettriche dello Spear si conficcò sulla fronte della macchina guardiana che, barcollò indietro dall’urto. Shadow lo scavalcò atterrandogli dietro e lasciando campo libero ai due compagni. Rouge, slanciata in corsa, attraversò la fetta di pioggia che Shadow aveva immobilizzato, evitando i proiettili. Le gocce che lei toccava si spezzavano, come vetro, liberando ovunque frammenti liquidi che rispecchiavano tutte le luci di quella notte da spettri: si illuminavano di fulmini, di polvere da sparo e di Spears. Le gocce di pioggia esplodevano al passaggio di Rouge, scintillando come torce in quell’oscurità senza fine, e la pipistrella assegnò al drone un calcio avvitato che lo fece cadere a terra. Anche lei badò bene a togliersi subito di mezzo, sterzando di lato e lasciandosi scivolare per qualche metro sul versante destro della montagna. Si girò giusto in tempo per vedere il missile di Omega lasciare il braccio-arma del robot, tagliare il cielo con la coda di fuoco del proiettile e centrare il bersaglio, scagliando ovunque schegge d’acciaio e lingue di fiamma che, in parte vennero ancora intrappolate insieme alla pioggia del Chaos Control di Shadow, che ormai però si stava spegnendo. Il drone si disintegrò in mille pezzi, frammenti incandescenti e fumanti che rotolarono in parte a destra e in parte a sinistra del pendio, dipingendo scie di rosse scintille sui vari percorsi presi.
Tails tornò indietro, probabilmente chiamato da Sonic tramite la radiolina. Omega prese la mira e richiamò le attenzioni dell’ultimo drone. Al contempo, Shadow si teletrasportò contro la strana macchina alata in punta al Tornado, riportandola con sé a terra forzatamente.
Rouge accolse il drone con un doppio calcio avvitato, scagliato in volo. Omega mitragliò il drone, sparandogli poi contro uno di quei suoi missili capaci di trapassare anche un carrarmato. Il macinino volante, però, non si schiantò così in fretta. Rispose all’attacco aprendo il fuoco contro Rouge che fu costretta ad una serie di piroette aeree per schivare. Omega non si disturbò nemmeno a scansarsi, lasciandosi colpire per poi osservare i proiettili schizzare via. Un secondo calcio e un secondo missile mandarono a rotoloni il drone giù per la valle insieme al primo.
Shadow studiava con circospezione lo strano essere che ora gli stava di fronte. Aveva un becco, ali, coda e penne ovunque, fatte interamente di metallo ma con una tale quantità di dettagli che era possibile distinguere quasi ogni singola sfrangia di ogni singola piuma. Aveva occhi organici, esattamente come il suo simile ora sepolto ai piedi del monte insieme al resto del laboratorio. A giudicare dalla quantità l’acqua che gli scorreva sul corpo, e visti i fulmini in cielo, Shadow scommise che quella macchina era sicuramente stata costruita apposta per resistere a quel tipo di opposizioni naturali. Poco male, c’era sempre la vecchia maniera.
Si appallottolò e si scagliò con uno Spin Dash verso la macchina. Quello, in tutta risposta, sporse in avanti gli artigli d’aquila che aveva attaccati alle mani. Accolse il colpo di Shadow, scivolando indietro, ma impuntandosi riuscì a spedire il riccio indietro. Shadow scivolò lungo la fiancata sinistra della montagna, atterrando bruscamente su di uno spuntone. Su di esso ottenne la spinta per tornare all’attacco e scagliarsi contro quel bizzarro robot che non fu più fortunato come la prima volta. Non riuscì a schivare i possenti pugni di Shadow. Barcollò dunque indietro, stordito. Il riccio non tardò a rinnovare l’attacco, constatando tra sé e sé la notevole resistenza di quel misero pezzo d’acciaio. Ma, quando lo fece, l’uccello d’acciaio fece qualcosa di inaspettato, spalancò il becco e lanciò contro Shadow quello che aveva tutta l’aria di essere un raggio laser. Il riccio balzò via senza problemi, ma la roccia su cui stava si sgretolò. Si staccò dal corpo della montagna e precipitò di sotto. Sciaguratamente, si abbattè su di un altro spuntone di roccia che, dal colpo, si staccò pure quello. Così i massi in rotolamento erano due, e non ci volle molto per far sì che divennero quattro. E poi sedici.
Dietro, sentì Sonic e gli altri urlare, quando la montagna intera tremò dalla vetta alle radici. Un polverone spaventoso si levò dalla fiancata martoriata, un frastuono non da meno dei rombi del cielo si levò a far compagnia ai tuoni. Shadow rimase immobile, con l’acqua che gli gocciolava dagli aculei, valutando cosa fare. La pausa tecnica non durò a molto. Con una ricorsa notevole, Shadow assaltò il robot, gli sferrò un pugno e poi lo teletrasportò via insieme a sé stesso. Si materializzò diverse centinaia di metri più sotto, dove la frana infuriava nella sua massima potenza. Lì, esattamente sotto un macigno grande almeno quanto il Tornado X lasciò la macchina uccello, riportando invece sé stesso su in cima. Avrebbe in effetti potuto sfogarsi un pochetto di più con quella macchina, togliersi di dosso le frustrazioni di giornata. Ma, in fin dei conti, era già abbastanza stufo così di robot stravaganti e con le rotelle svitate. Ritornò su dagli altri, facendosi gli ultimi passi a piedi.
Sonic lo salutò con un caldo sorriso, indicandogli il Tornado X atterrato sullo spiazzo lasciato libero dal laboratorio, sul lato della montagna che non era franato. –Voi Team Dark siete peggio di terminator.-
Shadow sogghignò.
In quell’esatto momento in cui Sonic zoppicava verso di lui, mentre Amy si alzava per venire incontro a lui e a Rouge ora affiancati, mentre Omega riponeva le armi e Knuckles si massaggiava la testa borbottando, un orribile brivido risalì la spina dorsale di Shadow, gelandolo. Corrugò la fronte, senza capire cosa stesse succedendo.
Fu per caso che voltò la testa perso Rouge, e fu un caso che il suo sguardo cascò più in basso, oltre la pipistrella, dietro le rocce, appiattiti a terra. Due occhi gialli, saturi di dolore e odio e stanchezza, scintillarono tra le ombre, appena dietro lo scintillio di metallo della canna di pistola. Ma lo scoppio era già avvenuto, il proiettile già volava. E Shadow non reagì in tempo.
Rouge si accasciò a terra, come una marionetta dai fini recisi, un grido che Shadow non sentì le uscì dalle labbra mentre cadeva davanti al riccio nero, occhi spalancati di sorpresa che fissavano lui.
Anubis ghignò. E quello Shadow lo sentì benissimo. Ma tutto il resto, comprese le voci di Sonic e degli altri sparirono dal suo universo. Lui, ora vedeva soltanto una scena già vista, di una persona già amata che gli moriva davanti.
Dentro di lui, ogni singolo organo era contratto fino allo spasmo, ogni muscolo, ogni fibra colmi di quell’oblio già visto e di quell’agonia già provata. Non fu cosciente di quello che fece. Si vide piegarsi in avanti su Rouge. Sentì sé stesso provare a chiamarla, senza che la sua voce gli uscisse di gola. Mentre il suo campo visivo pareva quasi oscurarsi, vide le proprie mani avvolgere il corpo di Rouge e sentì l’energia frizzante del Chaos Control che si attivava da solo.
Una frazione di secondo dopo, al loro posto rimasero solo pietre bagnate e gocce di pioggia.
 

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Capitolo 12
*** 11. Dolore ***


 



Capitolo 11
- Dolore-

 
 
Tra ossa dolenti, muscoli straziati, articolazioni scricchiolanti, gambe zoppicanti e morale sotto i tacchi, avevano impiegato una cosa come tre ore e mezza per scendere da quella maledettissima montagna e raggiungere nuovamente il Tornado X, parcheggiato sullo spiazzo creato dal Chaos Blast di Shadow.
Non s’erano decisi subito a scendere, erano rimasti per un bel po’ immobili sotto l’acqua a fissare il vuoto lasciato dai corpi del riccio nero e della pipistrella, con tutti i gradi possibili di dolore e angoscia nei cuori.
Knuckles aveva urlato, scagliandosi in avanti, disperato come mai lo era stato prima. Le sue dita avevano toccato la pozza rossa viscosa, annacquata di pioggia, tutto ciò che rimaneva di Rouge. In ginocchio, sotto l’acqua battente, era rimasto lì.
Amy s’era portata le mani al viso, soffocando a forza un grido, lasciandosi crollare in ginocchio.
Sonic era rimasto come imbambolato, a fissare il nulla. Il primo a reagire era stato Omega, che aveva caricato di nuovo le sue armi e aveva fatto fuoco sull’assassino che aveva sparato Rouge nello stomaco. Le pallottole incendiarie del terzo membro del Team Dark avevano mancato in parte il bersaglio. Quel cane aveva avuto tutto il tempo necessario per allontanarsi, approfittando del dolore e della sorpresa di tutti. Ma era stato ugualmente colpito di striscio da Omega.
S’erano dunque visti fuggire anche la possibilità di una vendetta. Sonic aveva provato ad alzarsi ed inseguirlo ma le sue gambe non ne avevano voluto sapere. Aveva dovuto dunque rimanere immobile, contro la sua volontà, a guardare il suo amico disperarsi a terra.
Tutti avevano visto la pallottola sparata da Anubis, tutti l’avevano vista colpire Rouge in pieno ventre. E tutti sapevano che con una pallottola conficcata nello stomaco, non c’erano possibilità di sopravvivenza.
Tutti lo sapevano, ma nessuno riusciva ancora a crederci. Erano rimasti fermi, sotto l’acqua battente, a fissare il vuoto e a sentire quello stesso vuoto morderli da dentro, dilaniarli, senza che loro avevano avuto il coraggio di ammettere almeno a loro stessi che in quel momento avevano dovuto dirle addio.
E se l’espressione d’orrore di Knuckles aveva colpito così a fondo Sonic, quella di Shadow non aveva avuto paragone. Quello dipintosi sul volto del riccio nero andava oltre il dolore o l’orrore: era puro oblio.
Sonic tutti questi pensieri li aveva formulati solo in seguito, sul momento, non era riuscito a pensare a nulla, cosa che l’aveva fatto sentire anche peggio, nei confronti di Rouge.
Erano rimasti immobili sotto l’acqua gelida, come a sperare che riuscisse a ghiacciare anche i loro cuori, fino a quando Tails li raggiunse, risalito in volo il fianco della montagna dal Tornado X fino a loro. Quella che gli si era parata davanti era stata senz’altro una scena insolita, e, soprattutto, inaspettata.
In particolare Knuckles. Non erano riusciti a toglierlo da lì fino a quando lui stesso non era crollato dallo stremo, forse per le ferite.
Avevano avuto però tutto il tempo di guardarlo disperarsi, testa china, per quella sua odiata ladruncola che da sempre lo aveva stuzzicato e che lui aveva sempre detestato, ora uccisa con un proiettile nello stomaco. S’erano detestati da sempre ma, forse, in fin dei conti, il duro cuore dell’echidna s’era affezionato all’idea divere sempre Rouge pronta ai tentativi di furto durante le lunghe veglie. Niente più Rouge.
Gli altri però si erano stupiti solo fino ad un certo punto della reazione del loro amico, troppo intenti a vedersela con i loro, di sentimenti. Niente più Rouge …
L’unico che non emise suono di alcun tipo fu Omega, compagno che Shadow non aveva esitato a lasciarsi dietro. Probabilmente, s’era del tutto scordato di lui visto l’accaduto.
Nessuno di loro avrebbe saputo dire per quanto tempo erano rimasti là in cima, con quel cielo sempre nero era impossibile stabilire lo scorrere del tempo.
S’erano però infine decisi a muoversi, dopo quella che era parsa un eternità racchiusa in soli pochi attimi, comunque schifosamente troppo pochi e troppo ignobili per la memoria della loro amica-nemica. In un qualche modo, erano riusciti ad allontanarsi da lì e si erano incamminati, scendendo al Tornado X, per tornare a casa. Anche solo il fatto di poterci tornare, era sembrato ai loro occhi un privilegio che non si erano meritati. Loro, che avevano perso contro il nemico, tornavano a casa; lei, che aveva vinto e che li aveva salvati, era sparita con lui nel nulla, insieme a morte e sangue. Il premio per l’aiuto che aveva portato.
Con questi stati d’animo, erano tornati al Tornado X, sentendosi quasi in colpa per poter ancora camminare, a differenza di lei. O meglio, di poter zoppicare, chi più chi meno.
Omega li aveva lasciati in quel momento, borbottando che doveva farsi tutto il ritorno a piedi fino alla base, già che Shadow non lo aveva portato con sé e visto che lui, robot enorme, non poteva di certo entrare nel Tornado X.
Erano decollati così. Tails, occhi sul cielo per pilotare. Amy, sguardo fisso sulle proprie ginocchia. Knuckles occhi serrati e annacquati, forse di pioggia o forse di un altro improbabile tipo di gocce che mai s’erano viste prima sul suo viso. Sonic, sguardo puntato sul passo pesante di Omega che si allontanava, scivolando di tanto in tanto sull’infido pietrisco di montagna.
I giorni che erano seguiti s’erano svolti come nella nebbia, senza inizio e senza fine. Azioni, pensieri, movimenti s’erano susseguiti impastati dalla viscosa fuliggine del dolore, che aveva mischiato tutto in un’unica massa indistinguibile.
C’erano state cure mediche, bende, pastiglie da bere, disinfettanti brucianti, stecche a gambe e braccia, ore ed ore passate nell’immobilità più tremenda, a vedersela con le propria ossa dolenti, e portando dentro l’odiosa sensazione di vergognarsi quasi di doversi preoccupare solo di qualche graffio o di qualche taglio, mentre un’altra di loro s’era ingiustamente presa ben di peggio.
Erano dovuti rimanere immobili, costretti dalle ferite riportate a non potersi muovere né sfogare in alcun modo cioè che sentivano dentro, proprio quando ne avevano avuto maggior bisogno. Niente corse liberatorie per Sonic, dalle rotule malconce. Niente passeggiate rilassanti per Amy, ossa indebolite dai colpi e dalla frana di macerie. Niente pugni scagliati al muro per Knuckles, che a stento riusciva a muovere un dito. L’unico ancora più o meno intero era Tails, investito dunque del ruolo d’infermiere insieme a Vanilla e alla piccola Cream.
Nessuno fece particolari sforzi per mangiare. Tutti gli stomaci erano ben serrati. E Tails fu costretto ad aprire a forza mandibole e mascelle per far scivolare nelle gole minestrine e brodaglie varie per aiutare le rispettive guarigioni. Lui, almeno, aveva un gran daffare. Poteva distrarsi, lui.
Sonic s’era sentito prudere le gambe dalla voglia di correre fino allo sfinimento e di fuggire da tutto quello, magari lasciandosi alle spalle momentaneamente anche i brutti pensieri, ma la massima distanza che poteva percorrere era il tragitto tra il letto e il bagno ed era sempre compiuta zoppicando, ad una velocità, dunque, paragonabile a quella di un lombrico (anche se gli diveniva sempre più facile camminare, segno che le ferite stavano guarendo). Costretto ad affrontare giorno e notte  la consapevolezza e il senso di colpa, senza sfoghi, era come impazzito.
Lui aveva deciso di ignorare le parole di Shadow, lui aveva deciso di muoversi all’attacco, lui non era stato in grado di affrontare il nemico, lui aveva avuto bisogno di aiuto. Aveva sbagliato di brutto, e l’avevano pagata cara. Loro tutti, Rouge di più ancora.
Un’odiosa vocina remota nella sua testa continuava a chiedere come avrebbe fatto a guardare di nuovo negli occhi Faker … aveva ignorato il suo consiglio, tutto il Team Sonic aveva rischiato di lasciarci la pelle, e Rouge ce l’aveva lasciata sul serio soltanto perché lui non era stato capace di difendere i suoi amici a dovere e aveva avuto bisogno di aiuto.
Anche il suo inguaribile ottimismo, quella volta, non pareva servire a molto. Come capo aveva fallito portando quasi al massacro i suoi amici. E aveva trascinato nel baratro anche i suoi alleati accorsi per loro.
Sdraiato nel proprio letto disgustosamente comodo, ad occhi rigorosamente chiusi, cercava un …. Cercava qualcosa che potesse alleviare il peso che provava dentro. Ma non riusciva a trovare nulla. Colpa mia …. Tutta mia.
Aveva ascoltato il pianto ininterrotto di Amy, nella stanza accanto, in pena per le sorti della pipistrella e forse anche un senso di colpa simile a quello che rodeva Sonic. Era stata lei ad aver avuto l’idea di chiedere aiuto al Team Dark. Aveva chiesto a Rouge di venire … ma era stato Sonic a decidere di andare all’attacco del laboratorio.
Da Knuckles non era stato emesso suono alcuno. Dal momento in cui erano tornati, l’echidna aveva smesso di parlare, di bere, di mangiare, di battere le palpebre, di camminare. Era rimasto steso sul letto, come in catalessi, da allora. E nessuno era ancora riuscito a smuovere una singola reazione in lui. Forse, la gravità delle ferite era solo parte del problema.
L’echidna era stato ricoverato insieme a loro, ormai più nessuno minacciava di rubare il Master Emerald da Angel Island.
Eppure, ancora, nei recessi dei loro neuroni, una pigolante vocina continuava a suggerire che forse la pipistrella non era …
Una minuscola, insignificante speranza, che però, per quanto minuta, continuava a ribattere colpo su colpo la perdita e il vuoto. Perché?
Perché erano passati tre giorni.
Shadow non s’era più visto. E con lui erano sparite tutte le possibili notizie riguardanti Rouge, ovviamente. Il dubbio era diecimila volte peggio di una certezza.
Il dubbio che forse il riccio nero era riuscito a compiere il miracolo, perché, altrimenti, non esisteva una ragione valida per l’assenza di manifestazioni di dolore o di vendetta da parte di Shadow, l’unico capace di portare il concetto di vendetta ad un livello tutto nuovo, con massimo effetto distruttivo. Ed era sicuro come il sole che la prima mossa di Shadow sarebbe stata andare a farla pagare ad Anubis.
Con una pallottola nello stomaco, però, non c’erano possibilità di sopravvivere. Proprio nessuna. Non era un medico, ma sapeva che il dissanguamento e i succhi gastrici garantivano una morte lenta e dolorosa … e inevitabile. Ma Shadow, l’unico ad avere notizie di Rouge, non s’era fatto vivo per riscattare la sua vendetta. Niente esplosioni, niente scomparse misteriosi di cani mobiani, niente di niente. Calma piatta.
Sonic voltò piano la testa verso la sveglia sul comodino di fianco al letto. Erano le tre del pomeriggio del terzo giorno.
Chiuse di nuovo gli occhi, senza osare immaginare che razza di sentimenti avesse in corpo il riccio nero in quel momento. Per la seconda volta, una persona che gli stava a cuore era stata sparata di fronte ai suoi occhi.
E l’ultima volta, Shadow aveva quasi disintegrato un pianeta come reazione a quella perdita.
Sonic si tirò su a sedere, aprendo il cassetto e tirando fuori dal comodino il radar per gli Smeraldi del Chaos, dallo schermo desolatamente vuoto.
Aveva la certezza matematica che Shadow non avrebbe tardato a tornare in pista, anche solo per il fatto che là fuori da qualche parte c’era ancora Anubis a piede libero e impunito. E se Sonic conosceva bene Shadow, sapeva esattamente quale sarebbe stata la prossima mossa del riccio. Dunque, non restava altro da fare che aspettare che sul radar tornassero a scintillare i tre Smeraldi di Shadow nel momento in cui egli si fosse deciso a venire lì a prendere Anubis. Sonic s’era sorpreso a desiderare intimamente di riuscire a guarire abbastanza in fretta da poter tenere il passo con Faker, per poter contribuire a prendere a calci il canide.
Ma a questo punto, pensò, osservando il radar, sorgeva un altro dubbio, lo stesso che da tre giorni assillava lui e tutti gli altri, ricoverati ed infermieri.
Dove erano finiti gli Smeraldi di Shadow?
Quel radar copriva un’area sufficientemente grande, quasi globale, ma dei tre Smeraldi non c’era neanche l’ombra. Allora, di nuovo, dov’era sparito Shadow? Dove aveva portato Rouge?
Pareva che fossero scomparsi dalla faccia della Terra …
 
 
Shell controllò di nuovo il pezzetto di carta che teneva in mano con scritto l’indirizzo. Poi sollevò lo sguardo sull’edificio che le stava di fronte. Lesse di nuovo il foglietto. Chiuse gli occhi e scosse la testa. Doveva per forza esserci un errore, non poteva essere quello il posto. Eppure era tutto corretto! La via, il numero civico, la città … pure l’insegna sul muro era quella giusta!
Con la fronte corrugata osservò di nuovo la casetta che le stava davanti. Già, una casa! In centro città! Grattacieli a destra, palazzi a sinistra, grattacieli ovunque, e una casupola da due piani neanche che pareva caduta giù direttamente dalle nuvole tant’era fuori posto!
Si spalmò una mano sulla faccia, reprimendo un altro sospiro desolato.
Va bene, d’accordo. L’aveva scelta lei una compagnia investigativa di basso profilo che potesse aiutarla a cercare informazioni, ma non si sarebbe mai potuta aspettare qualcosa di neanche lontanamente simile a quello!
Basso profilo, bassa casetta, con tetto di tegole e architettura campagnola mobiana. Bah!
Si infilò rabbiosamente il pezzo di carta in tasca, decidendo cosa fare.
Tornare indietro a mani vuote? Neanche da pensare.
Provare ad entrare là dentro? Mai giudicare un libro dalla copertina, le diceva sempre sua madre. Magari quei tre potevano essere davvero ottimi detective, che si mascheravano in una così misera base per poter agire indisturbati, lontani dagli occhi avidi del governo. Sospirò di nuovo, dubitando seriamente di quella possibilità. Ma racimolando tutto il proprio ottimismo, non potè fare altro che aggrapparsi a quell’unica speranza e varcare quella porta.
Non si sarebbe mai potuto dire che Shell The Seagull era tornata a casa senza prima aver tentato!
Camminando con una circospezione che mai aveva avuto, la gabbianella si avvicinò alla porta, un semplicissimo uscio di legno con finestrella, con campanello vecchio stile, maniglia di ottone e zerbino davanti. Suonò il campanello e da dentro si udì un frastuono tremendo, come se qualcosa o qualcuno fosse caduto a terra, seguìto a ruota da una mezza imprecazione. Dal contraccolpo per poco l’insegna inchiodata sopra alla porta non cascò, tre chiodi su quattro cedettero e Shell balzò indietro reprimendo un grido ed una maledizione. Si accorse che, per una qualche misteriosa ragione l’ultimo chiodo era stato conficcato nel muro con una forza assurda, tanto che la testa del chiodo era quasi interamente sparita dentro al legno.
Decise che non era il caso di porsi troppe domande. Attese.
Da dentro, persistevano i rumori d’agitazione. Voci si chiamavano ripetutamente, passi correvano su e giù impazziti e si poteva udire anche un misterioso ronzio di fondo.
Shell spostò il peso sull’altra gamba, sempre in attesa e sempre fuori dall’area di caduta dell’insegna pericolante.
Finalmente, qualcuno si degnò di aprire la porta.
La verde visione di un immenso coccodrillo mobiano l’accolse con un sorriso da sessantadue denti. –Buon giorno, signora cliente! Ben venuta nell’agenzia investigativa Chaotix. Come possiamo esserle utile?-
Shell rimase un attimo interdetta, sia per l’improvvisa apparizione del rettile sia per il suo entusiasmo che rasentava la venerazione. –Emh.- si lasciò sfuggire incautamente.
La reazione del coccodrillo fu immediata. Sgranò gli occhi, la mascella gli si spalancò e le pupille si dilatarono al limite del pianto. –Non sei una cliente, vero?! Ecco! Lo sapevo! La fortuna ancora non si volta verso di noi! Charmy! È tutta colpa tua!- era passato da un timbro di voce triste ad un vero e proprio ruggito.
Una piccola ape uscì volando dalla porta. –E io che c’entro?- borbottò, irritato. Il coccodrillo serrò i pugni e fece per saltare addosso al bimbo-ape quando Shell riuscì a recuperare la parola e a parlare.
-Io sono una potenziale cliente.- si presentò. –Sono venuta per discutere con voi e proporvi un lavoro.-
Il silenzio fu questione di istanti. Il coccodrillo si pietrificò e gli occhioni dell’ape si riempirono di gratitudine profonda per aver evitato di venir sbranato dal rettile. –Possiamo entrare a discuterne?- propose Shell, lievemente in imbarazzo, vista la completa mancanza di reazione da parte dei due.
Una voce sconosciuta, calma e profonda si fece udire dalla porta. –Ignorate i modi dei miei due compagni, signorina. Entrate pure e accomodatevi.- Un camaleonte violaceo dall’aria mortalmente irritata, appostato contro lo stipite della porta, parve materializzarsi dal nulla.
-Ehi!- resuscitò il coccodrillo. –Come ti permetti di rivolgerti a me così?! Sono io il capo!-
-Ovviamente.- ruminò il camaleonte, facendo cenno alla gabbianella di seguirlo all’interno.
Shell ora dovette confessarlo: aveva la certezza che quei tre non erano il team investigativo che aveva sperato di trovare. Erano solo un trio di disgraziati. Ma, invischiata fino a quel punto, tornarsene a casa non era più un’opzione praticabile. A malincuore dovette seguire il camaleonte dentro la piccola casetta, mentre alle sue spalle il coccodrillo e l’ape finivano di azzuffarsi.
-Ti chiedo di perdonare Vector e Charmy. È un periodo duro, niente lavoro, i loro nervi sono a pezzi. Finiscono per sfogarsi così, purtroppo per i nostri affari.- impossibile dire se il camaleonte dicesse sul serio oppure no. Nella sua voce si poteva udire una vaga sfumatura di sottile divertimento celato.
-Capisco.- sorrise Shell, giusto per dire qualcosa.
Venne condotta in un piccolo salottino dall’unico dei tre che pareva avere la testa sulle spalle. Sembrava una stanza adibita all’unico scopo di parlare e discutere con i clienti. Certo, non aveva un aspetto particolarmente formale, ma sapeva dannatamente di casa. Era enormemente confortante stare lì.
Il camaleonte le indicò una sedia, oltre il tavolo, mentre lui le si accomodò di fronte, su una panca. Coccodrillo e ape seguirono, sedendosi separati, con il povero camaleonte in mezzo che fungeva da divisione.
-Allora…- cominciò il camaleonte.
-Spiegaci quale lavoro volevi proporci.- intervenne il coccodrillo, dal nome di Vector, tagliando la voce al camaleonte e troncandogli la frase a metà.
-… perché non ci presentiamo, prima di tutto?- concluse il mobiano viola.
Shell si ritrovò a ridacchiare nervosamente. -Io sono Shell The Seagull e…-
-Piacere!- intervenne l’ape. –Io sono Charmy The Bee, lui è Espio The Chameleon, e l’antipatico è Vector The Crocodile.-
L’ultimo interpellato ringhiò, ma riuscì miracolosamente a mantenere le staffe, limitandosi a mollare all’ape uno scappellotto sulla nuca, oltre il povero Espio che stava a metà tra i due.
-E quale lavoro avevi in mente, quando sei giunta qui?- domandò con improvvisa serietà il coccodrillo, che evidentemente si stava sforzando di apparire serio, dopo lo shock iniziale.
Shell prese un profondo respiro, preparandosi a spiegare tutto quanto, sebbene di quei tre non si fidasse affatto. Piena di dubbi, iniziò a spiegare, con molta calma, ben sapendo quanto fosse delicato l’argomento che voleva esporre loro.
-Io sono venuta qui per proporvi un compito molto arduo e non privo di pericoli, che, una volta portato a termine, farà risplendere il nome della verità e della giustizia.-
Gli occhi dei tre si illuminarono. Non interruppero, per grazia superiore.
-Io sono una giornalista, ed è mio dovere ricercare sempre la verità e diffonderla. Purtroppo, di questi tempi, una menzogna di mostruose dimensioni dilaga nelle vie di questa città e del mondo intero. – gli sguardi dei tre si oscurarono, ma non di esitazione, bensì di un bizzarro e malformato senso di intuizione. -È mia intenzione fermarla. Ma da sola non ho possibilità. Per questo mi sono rivolta a voi, detective. Mi dovrete aiutare a cercare informazioni veritiere, a racimolare gente che la potrebbe pensare come noi e a dare alla vera realtà una voce che possa essere udita ovunque.-
Sulla faccia dell’ape si dipinse una domanda. Espio prevenne. –Non una voce nel senso stretto del termine, Charmy. Sta parlando metaforicamente.-
La mandibola del piccolo Charmy si richiuse, sebbene non avesse idea di cosa mai potesse essere una metafora. Una seconda domanda venne espressa, questa volta ad alta voce. –E quale sarebbe questa colossale bugia di cui parli?- domandò Vector.
Shell sorrise mestamente. –Qui sta il punto, signori. La parte pericolosa del piano.- si interruppe un attimo, cercando il modo migliore di spiegare.
-I rischi non ci spaventano!- dichiarò orgoglioso il coccodrillo.
-Nemmeno se riguardano Shadow The Hedgehog?- fu la risposta che gli diede la gabbiana.
I sei paia di occhi che le stavano di fronte si spalancarono. –Shadow?!- esclamarono più o meno tutti insieme, visibilmente sorpresi.
All’insaputa di Shell, i tre erano perfettamente a conoscenza degli eventi di quei giorni, ma mai si sarebbero potuti aspettare che qualcuno di esterno si sarebbe intromessa in quella che era parsa la segreta guerra privata dei loro amici. Per questo motivo i loro occhi si sgranarono e le loro bocce si spalancarono. La gabbianella giornalista, ovviamente, mal interpretò tutto quello sconcerto.
-So ciò che la televisione e la radio dicono di questo riccio, ma ho le prove che quelle affermazioni sono false.- proseguì.
Piegando la testa di lato, attese una qualche reazione da parte dei tre.
-E come aveva intenzione di agire?- riuscì a formulare Espio, tenendosi sul vago.
Ora fu il turno di Shell di rimanere sorpresa. Possibile che quei tre non avessero null’altro da contestare? Insomma, si stava parlando di Shadow!
-Io avevo intenzione di raccogliere il maggior numero di informazioni possibili, di cercare consensi fra i cittadini e di pubblicare le informazioni. O qualcosa di simile.- rispose.
Charmy balbettò. –Ho come il dubbio che a Shadow potrebbe non piacere un’idea del genere.-
Shell sbattè le palpebre, aggrottando la fronte. Che…?
-Mi ritrovo d’accordo con te, stranamente.- borbottò Espio. –L’ultima volta che ci siamo messi in mezzo non è finita poi così bene. Anche se siamo sopravvissuti. Se lui ha un piano, è meglio lasciarlo fare.-
Shell era esterrefatta. Doveva per forza aver capito male. Quei tre…?
-Dunque.- proclamò Vector. –Noi siamo ben disposti ad aiutarla, Shell. Siamo decisamente stufi di rimanere fermi, mentre loro combattono rischiando la vita.-
-Cos…?- riuscì a sussurrare la gabbianella.
-L’aiuteremo.- riprese Vector con tono solenne. –Ma ad una sola condizione: chiederemo prima il permesso a Shadow. Non mi farò prendere a calci da lui una seconda volta per interferenze non richieste. È già stata traumatica la prima, una seconda è fuori discussione.-
Shell ricadde contro lo schienale della sedia, svuotata come un palloncino bucato. Loro …
-Voi … voi conoscete Shadow The Hedgehog? Quel Shadow The Hedgehog?- pigolò lei.
-L’unico e il solo, signorina.- ridacchiò Charmy. –Grazie a Chaos! Immagina che disastro sarebbe se ce ne fossero stati due!- aggiunse più a bassa voce.
Shell sbattè le palpebre, cercando disperatamente di riordinare i propri pensieri, con ben miseri risultati.
Non è possibile, concluse. Non può essere! Lei aveva trovato gli unici tre che lo conoscevano. Loro … lui … Non era possibile!
-Lo conosciamo eccome!- sorrise Vector, annuendo. –Ed anche abbastanza bene da poter dire con certezza che se faremo anche una sola mossa sbagliata lui ce la farà pagare cara con tanto di interessi. Mai mettersi sulla strada di Shadow The Hedgehog.-
L’unica domanda che Shell riuscì a pronunciare fu la più stupida di tutte quelle che avrebbe voluto porre. –Come lo contatteremo?- domandò con un filo di voce.
-Espio, hai ancora il suo numero di telefono?-
 
 
Lividi e graffi ovunque per la lotta. Due costole incrinate per il calcio di quella vanitosa sgualdrina, dolori dappertutto a muscoli, ossa, legamenti. Un braccio appeso al collo grazie all’ultimo tentativo d’assalto del terzo inaspettato alleato robotico del riccio nero
Anubis strinse i denti. Sì, poteva dichiararsi senza rimorso in uno stato pietoso. Credeva di essere messo male, ma quando giunse nella stanza di James, il capo operativo, dovette ricredersi.
Lui era quello messo male.
Anubis era stato chiamato nella cabina d’osservazione affacciata sull’arena d’allenamento numero due, nel cuore della Base Alpha. Lì aveva trovato James.
Seduto su una sedia a rotelle, interamente avvolto da bende, il particolare la faccia. L’umano ruotò la testa verso di lui, e il mobiano potè ammirare gli effetti che una mandibola spaccata poteva creare su un volto. Era fuori discussione che la deformazione dell’osso avrebbe lasciato un segno indelebile sulla faccia di James, e quel gonfiore rosso violaceo lo faceva assomigliare ad un melone. Come se non bastasse, gli artigli di Teta avevano donato il loro contributo. Tre squarci sul lato destro del volto, ventisei punti di sutura in totale, un labbro tagliato e un’orbita vuota che s’era portata via metà del campo visivo di James.
Distolse lo sguardo. Non che ad Anubis importasse, ma da vedere era davvero orribile, tra il gonfiore dell’osso rotto e i tre squarci ricuciti.  
L’uomo emise un gorgoglio di gola. –Amico.- biascicò a fatica, evidentemente la bocca gli dava ancora problemi. –Ti trovo bene.-
-Non mi sento di poter dire altrettanto per voi, purtroppo.- borbottò in risposta il canide, aggiungendo il “purtroppo” solo per pietà.
James si guardò le gambe. –I medici dicono che gli effetti della scarica elettrica del Chaos Spear dovrebbero passare a breve. Potrei ricominciare a camminare in un paio di giorni.-
Anubis si chiese perché glielo stesse raccontando. Tra loro due non c’era mai stato uno straccio di rapporto, ed ora tutto ad un tratto James si metteva a chiacchierare.
-Credo.- continuò l’uomo, lentamente, sempre a fatica. –Che la parte peggiore sia la faccia. La faccia e il braccio.- si corresse con un ringhio, sollevando il moncherino di ciò che rimaneva del suo arto superiore sinistro, tranciato di netto da un morso di Teta.
Anubis dovette ammetterlo: era davvero uno spettacolo pietoso, visto nell’insieme complessivo, e se a dirlo era lui, che andava ben famoso per la sua scarsa sensibilità, voleva dire che la situazione era assai grave.
Non conosceva i dettagli, ma pareva che James avesse avuto uno scontro diretto con Shadow (cosa che faceva sentire Anubis enormemente fortunato di essersela cavata con sole due costole incrinate). Subito dopo, quando il riccio se n’era misteriosamente andato, James s’era ritrovato da solo con un assai furoreggiante Teta578 che s’era appena visto svanire davanti il suo prediletto bersaglio nero a strisce rosse. Qualcuno aveva dovuto pagare per la sua frustrazione. Aveva scelto James come candidato. Da quell’istante fino all’arrivo delle forze di sicurezza erano trascorsi solo pochi secondi, ma erano stati più che sufficienti. James le aveva prese di santa ragione, al contrario la donna che stava con lui ne era uscita interamente incolume, solo leggermente traumatizzata
Poi, sedata la belva, erano fuggiti via, prevedendo l’esplosione che sapevano sarebbe seguita di lì a poco. Il moribondo James, la donna che era con lui, metà degli scienziati e i tre esperimenti, di cui uno narcotizzato.
-Non è andata esattamente benissimo su al laboratorio Nord.- disse ad un tratto James. Non era una domanda, e nemmeno un’osservazione.
Anubis deglutì. –Erano tre contro due. Poi sei contro due.- si giustificò.
Gli occhi, anzi l’occhio di James si fece di fuoco. –E si può sapere per quale maledetta ragione hai sparato a Rouge The Bat?-
Anubis voltò di scatto la testa verso l’uomo. –Perché da quando Shadow ha cominciato a contrattaccate le abbiamo prese una dietro l’altra, senza possibilità d’appello! Ogni volta che lui si muove, noi ci ritroviamo a doverci leccare le ferite! Ora un’unità di attacco annientata, ora uno dei nostri esperimenti massacrato, ora un intero centro di ricerca polverizzato. E lo fa con una tale naturalezza! Come a dirci che non valiamo nemmeno la sua attenzione completa!- Anubis digrignò i denti. –Volevo ricordargli che noi non stiamo giocando. Che farebbe meglio a fare attenzione.-
-Deficiente!- L’urlo di James lasciò Anubis per un attimo sorpreso. –Pensi davvero di aver semplificato le cose?!-
-Di sicuro gli ho inferto una bella botta.-
-Hai solo gettato benzina sul fuoco!- la voce arrochita di James si spezzò, cominciò a tossire violentemente. Dalla smorfia sul suo viso, non doveva essere stato un passaggio indolore.
Anubis rimase rigido, in silenzio.
-Almeno.- riprese James. –Sonic si è scoperto, ha preso posizione. Potremo finalmente avere il nostro martire.- Sospirò, ancora provato dallo sforzo causatogli dalla tosse. –Una cosa è sicura: da soli, con le nostre forze ridotte, non ce la facciamo a tenere testa a Shadow. È ora di riscattare l’aiuto esterno, molto più massiccio.-
Anubis si rallegrò. Finalmente una bella notizia. La prima di giornata.
-Abbiamo bisogno di altri fondi economici, però.- grugnì James. –Ti nomino capo delle operazioni. Trovatevi un’altra banca e svuotatela, come già abbiamo fatto in passato. La colpa se la prenderà la Forma di Vita Definitiva, come al solito.-
Il cane mobiano annuì.
-Poi- sussurrò James. –Torna a fare rapporto, ed organizzeremo le nostre prossime mosse quando il Capo verrà qui.-
Si accesero le luci nell’arena. I due spostarono lo sguardo verso la vetrata blindata che mostrava lo spazio sottostante. Stava per cominciare.
-Oggi costringeremo una volta per tutte quel sorcio da provetta a combattere.- sussurrò James.
Anubis gli scoccò un’occhiata. –Hai portato quella donna per questo?-
James annuì. –Si è instaurato uno strano legame tra quel ratto e la donna nelle pulizie. Come una sorta di imprinting, fenomeno presente nel regno animale che lega un cucciolo al primo essere vivente che vede.-
La curiosità di Anubis crebbe. Come avrebbe utilizzato James quella donna?
Dal fondo dell’arena si aprì una sezione del muro di protezione. Un mastodontico robot fece il suo ingresso. Una macchina da combattimento umanoide, due braccia e due gambe, lanciarazzi sulla schiena, mitra sugli arti superiori.
Dal pavimento si aprirono due botole circolari e altrettante piattaforme vennero fatte risalire da sotto fino in superficie. Su quelle specie di ascensori vi erano due piccole figure. Una donna e il topo, completamente guarito dai risultati dell’ultimo allenamento non andato esattamente a buon fine.
Eta si guardò attorno con circospezione, annusando l’aria. Notò il robot e un gemito di terrore si udì chiaramente fino a dove erano posizionati James e Anubis. Un suono molto simile venne emesso dalla povera Lucy, lì affianco.
Il cane mobiano scosse piano la testa, sorridendo. Cosa c’era di meglio per spronare qualcuno a combattere se non offrirgli una ragione più che valida per farlo? Certo che usare come esca una civile innocente era proprio una cattiveria. Il suo ghigno si ampliò. Sarebbe stato un bello spettacolo in ogni caso.
Non appena si udì quella voce, Eta sgranò gli occhi. Voltò di colpo la testa verso di lei, incredulo. Lacrimucce di gioia gli affiorarono agli occhi. Aprì le braccia e si slanciò in corsa verso la donna, che vedendosi venire in contro una specie di abominio della natura, mezzo metallizzato e mezzo peloso, lanciò un grido, facendo per scappare. Eta la raggiunse in un baleno e l’abbracciò da dietro, bloccandone la fuga. Frinendo di felicità, appoggiò il muso sulla schiena di lei.
Finalmente, la memoria della donna delle pulizie sembrò restituirle l’immagine dei pezzi primordiali di Eta incapsulati di qualche settimana prima, e riconobbe il topo che ora le stava appiccicato. –Sei cresciuto parecchio.- le sentirono dire. –Sei molto meglio così, sai? Guardati. Hai anche il pelo! E una coda bellissima.-
La suddetta appendice del corpo di Eta scodinzolò, fendendo l’aria, come a mostrare ancor di più quanto quella lunga e sinuosa coda fosse bella.
Eta ridacchiò, tutto contento, stringendo ancor di più l’abbraccio e affondando il muso nelle pieghe del vestito di lei. Lentamente, Lucy riuscì infine a voltarsi restituendo l’abbraccio all’emozionatissima cavia da laboratorio.
Nella postazione d’osservazione, la pazienza giunse al limite. Il giusto legame era stato formato, era ora di iniziare la lezione.
James schioccò le dita con l’unica mano che gli rimaneva. Due sinistre luci si accesero nei sensori visivi del robot. L’inconfondibile rumore di armi da fuoco caricate si espanse per tutta l’arena, oltre gli squittii di felicità del piccolo topo-cyborg. La cavia da laboratorio si paralizzò sul posto, occhi spalancati di terrore.
Nella mente del piccolo Eta si riaccesero all’istante i ricordi delle ultime sue esperienze trascorse in luoghi simili, in presenza di robot assolutamente uguali a quello che ora si stava avvicinando a lui.
A lui e a Lucy.
Squittì d’orrore, afferrando la mano della donna per trascinarla via. Corsero, ma dovettero fermarsi all’altro lato dell’arena, spalle al muro.
-Ora comincia il bello.- biascicò James, sporgendosi per guardare meglio.
Il robot fece fuoco. Eta e Lucy urlarono, piegandosi, mani sulla testa.
La raffica di proiettili durò poco, come era stato ordinato. I due ebbero dunque il tempo di riorganizzare le idee.
Il robot continuava ad avanzare, a passo lento, sparando ad intervalli regolari sui due, che correvano solo avanti e indietro contro il limitare dell’arena. Ebbero fortuna, nessuno dei due venne ferito, anche perché nel robot era stata appositamente installata una pessima mira. Ma, fuggendo a destra e a manca, i secondi scorrevano e il robot aveva ormai ridotto la distanza che gli separava inizialmente. Era circa a metà della lunghezza dell’arena. Non molto più tempo rimaneva a disposizione, e nemmeno molto spazio in cui muoversi; il panico del piccolo topo si traduceva in termini di rigidezza muscolare e difficoltà a correre. Nessuno dei due osservatori esterni si degnò di guardare cosa stesse facendo Lucy. Era solo una figura d’intralcio, enormemente spaventata, rigida e che urlava per ogni singola pallottola, avendo buone ragioni di credere che la fine non fosse affatto lontana. Le loro attenzioni erano interamente rivolte al topolino
-Guarda!- sogghignò James puntando il dito. Eta stava lentamente cominciando a caricare le proprie armi da fuoco, quelle installate sulle braccia. James rise. –È già un successo solo questo! Mai accaduto prima d’ora che quel ratto caricasse le armi.-
Anubis potè solo provare ad immaginare che tipo di tensione dovesse ora avere in corpo il piccolo cyborg, per costringerlo ad adottare per la prima volta in vita sua un comportamento che prometteva violenza.
Altre due scariche di proiettili, solo un quarto della distanza complessiva rimaneva a dividerli. Eta strillò di nuovo, sentendosi ormai l’acqua alla gola, spingendo ancora più contro il muro la sua protetta. Lei. Fosse stato per lui, i proiettili non erano un problema, aveva già capito da tempo che per gli scienziati era facile rimetterlo in sesto dopo praticamente ogni tipo di ferita. Ma lei. Lei non sarebbe sopravvissuta nemmeno ad una sola di quelle pallottole!
Altra scarica di piombo, questa volta, a distanza davvero ravvicinata. La donna venne colpita di striscio ad una gamba, gridò crollando a terra.
Urlò pure Eta, con la stessa intensità, come se fosse stato colpito anche lui. Ma la sua era paura, non dolore. Si voltò verso di lei, occhi sgranati di terrore, muscoli tesi al massimo. Aveva dato la schiena al robot, che aveva dimezzato ancora la già misera distanza che li separava, tutte le sue attenzioni interamente ripiegate sulla figura di Lucy.
Eta mosse indietro le orecchie quando udì il suono del caricatore del robot, il ticchettio dei bossoli vuoti sganciati per terra, lo sfregamento metallico di quelli nuovi messi in canna. Suoni che volevano dire una sola cosa: tempo finito per loro, tempo finito per lei. Morte sopra di lei. Consapevolezza, dolorosa consapevolezza di ciò che ne sarebbe seguito. Serrò i denti. Paura, inevitabilità. Morte di Lucy. Niente vie di fuga, il predatore aveva vinto. Morte di Lucy.
O forse no.
Anubis e James videro chiaramente Eta chiudere gli occhi e prendere un bel respiro, proprio davanti a Lucy, accasciata a terra contro la parete, le mani premute sulla coscia ferita.
In una frazione di secondo, le armi di Eta furono pronte, una luce bluastra scintillò dal fondo delle due canne da fuoco. Il topino si voltò di scatto contro il robot e fece fuoco. I proiettili volarono, colpirono il bersaglio ed esplosero.
Due cerchi di fuoco divamparono nell’aria dai due punti d’impatto, aprendo il robot in due come una lattina. Della mostruosa macchina da massacro non rimaneva che un cartoccio mezzo fuso di metallo arroventato.
Eta crollò in ginocchio. Lacrime agli occhi, fissi sui resti del nemico.
-Scusa.- gli sentirono dire. –Scusami davvero tanto, collega di ferro.- le lacrime gli rigarono le guance.
Lucy aveva lo sguardo ancora fisso sulle macerie di quella che le era sembrata essere la sua morte fino a due secondi prima. Era sollevata, innegabile, e al contempo confusa per la reazione del suo compagno di disavventura. Corrugò la fronte, occhi rattristiti.
James e Anubis si guardarono, soddisfatti. –Visto?! Lo dicevo, io, che quel topo e’ capace a fare il suo lavoro, quando ci si mette!-
Sotto, alcune bocchette per il gas fecero uscire un sonnifero che spedì tra le braccia di Morfeo umana e cyborg, quest’ultimo con ancora dipinta sul viso l’espressione d’orrore per l’azione appena compiuta.
Caddero uno sopra l’altro, addormentandosi in una posizione che ricordava molto un abbraccio.
 
 
Sentì le proprie palpebre chiudersi, inesorabilmente. Lasciò che la temporanea oscurità lo cullasse per qualche secondo, prima di riaprire gli occhi.
Le iridi color rubino ruotarono ancora una volta verso il corpo steso al suo fianco. Shadow cambiò lentamente posizione, mettendosi seduto in maniera un po’ più dritta, ginocchia al petto. Rilasciò un respiro più profondo degli altri, che avrebbe quasi potuto venir chiamato sospiro.
Era lì da quasi quattro giorni. Non s’era smosso da lì neanche una volta. E non aveva osato dormire.
Il suo mondo si era ridotto al muro metallico al quale stava appoggiato, al pavimento sotto di sè, alla penombra della stanza, e al rantolio del respiro frammentato di Rouge distesa sulla prima branda che Shadow aveva trovato. Nient’altro.
Sentiva vagamente le ore scorrere via, senza che ciò gli importasse molto. Non era cosa che lo riguardasse. Appoggiò la testa al muro, lasciando che la sua concentrazione andasse di nuovo ad abbracciare l’unico suono che le sue orecchie avessero sentito nelle ultime settantadue ore, cioè il lieve respirare della pipistrella.
Forse, Shadow avrebbe potuto udire anche il battito del proprio cuore, ma quello non era un suono importante, in fin dei conti.
Si voltò per l’ennesima volta verso Rouge, percorrendo con lo sguardo i suoi lineamenti disegnati soltanto dal misero spiraglio di luce che filtrava dal corridoio, oltre la porta. Era immobile, nella stessa identica posizione in cui lui l’aveva sistemata tre giorni prima. Sotto il sottile lenzuolo, l’unico movimento visibile era quello del suo diaframma, intento a respirare.
Gli occhi di Shadow tornarono a fissare nuovamente il braccio di lei, l’unica parte di lei oltre al viso scoperta dal lenzuolo. Era adagiato lungo il fianco della pipistrella in una posizione rilassata, avambraccio girato verso l’altro, esattamente come l’aveva lasciato lui l’ultima volta che aveva toccato Rouge, tre giorni e mezzo prima.
Il riccio distolse lo sguardo, chiudendo per un attimo gli occhi. Si poteva ancora vagamente intravvedere, sulla pelle di lei, nell’incavo del gomito, il segno dell’ago. Shadow serrò i denti, la fronte lievemente corrugata.
Per la milionesima volta si chiese se l’avesse davvero salvata, o se l’avesse soltanto uccisa.
 
-Maria è malata gravemente?!- Sgomento profondo.
-Esattamente.- il tono di voce di Gerald era mesto. –Sindrome da Neuro-Immuno Deficienza. In sostanza, il suo corpo non è in grado di produrre anticorpi di alcun genere. Il che la espone a qualunque tipo di malattia, virus o batterio immaginabile. Anche un semplicissimo raffreddore potrebbe avere conseguenze disastrose- una pausa. –E questa sindrome è incurabile.-
Vuoto. Nulla. Baratro. Disperazione cieca.
-O così, si pensava prima che arrivassi tu.- Gerald lo fissava negli occhi. –Il tuo sistema immunitario è tra i più forti che si siano mai visti. Forse, dopo diversi test, potremo riuscire a trovare una cura per lei, tramite te.-
Una scintilla di speranza che perfora la nera coltre di disperazione.
-Una cura.- riprese lo scienziato. –Se riuscissimo a far combaciare il tuo sistema immunitario con il suo. O addirittura sostituirlo, magari. Lasciare che i tuoi anticorpi lavorino per lei e….-

 
Lentamente la Forma di Vita Definitiva aprì gli occhi.
Rouge sarebbe morta in ogni caso. Anche senza che lui tentasse di fare qualcosa.
Non sapeva che effetti avrebbe potuto avere il suo sangue nel corpo di lei. Ma, forse, …
Gli si strinse lo stomaco.
Shadow appoggiò la fronte al ginocchio, chiudendo per un attimo gli occhi.
O l’avrebbe salvata, o l’avrebbe uccisa. Non c’erano stati indizi negli ultimi giorni su quale delle due soluzioni si stesse avverando.
In ogni caso, l’idea che il sangue di (dovette concentrarsi anche solo per forumulare quel nome) Black Doom ora stesse anche dentro a Rouge lo fece quasi stare male. Nausea.
Raddrizzò la testa, guardò di nuovo la pipistrella.
Sarebbe morta in ogni caso, con o senza il suo intervento, si ripetè un’altra volta. Per di più era mezza morta dissanguata, un po’ di sangue in più nelle vene era necessario. Ma il suo? Avrebbe potuto essere veleno. Proveniva da un’altra razza, un altro mondo. Come poteva essere compatibile con Rouge?
L’antidoto per la malattia di Maria non s’era mai trovato, il DNA di Shadow non aveva aiutato. Perché avrebbe dovuto invece salvare Rouge, che nemmeno era malata?
Sistema immunitario … lo stesso che combatte malattie e che risana le ferite. Magari, solo magari, per un qualche miracolo, il suo sistema immunitario rafforzato avrebbe potuto risanare la ferita per Rouge più in fretta di quanto lei avrebbe fatto normalmente, salvandole la vita.
O avvelenando ciò che rimaneva del suo sangue, intossicando tutto il suo organismo.
L’unica, assurda idea che Shadow era riuscito a tirare insieme, quando s’era ritrovato tra le braccia la pipistrella in fin di vita. In un limbo tra flash back e presente, aveva portato Rouge su quel lettino, aveva recuperato una siringa e aveva fatto ciò che aveva fatto: aveva iniettato nella sua compagna di squadra parte del suo sangue.
Shadow strinse i denti, piegando la testa indietro.
Da qualche parte, una vocina gli ricordò di avere fame. La mandò beatamente a quel paese.
Sperare che magari il fatto che lui e lei fossero entrambi mobiani avrebbe potuto aiutare l’adattamento del sangue di Shadow nel corpo di Rouge. Anche se di per se non c’entrava molto, già che il sangue in questione veniva direttamente da un alieno cavalcatore di comete.
Mobiano … ma Shadow era davvero definibile mobiano, anche con quel DNA distorto che si ritrovava?
Deglutì, la gola riarsa non gli concesse il lusso di chissà quali liquidi. Era da giorni che non beveva.
Guardò di nuovo Rouge, sperando che accadesse qualcosa di qualunque tipo. Niente. Lei rimase perfettamente immobile.
Shadow sospirò, ricordandosi perché rimanere da solo con se’ stesso per troppo tempo era un’azione pericolosa.
Lasciò vagare lo sguardo tra le ombre della stanza. Fuori dalla finestra brillavano le stelle.
Sotto quello stesso cielo, da qualche parte, proprio in quel momento, stava anche Anubis.
Sentì il proprio sangue ribollire, riaccendendo la fiamma che Shadow s’era impegnato a seppellire. Per il momento. Fino a quando Rouge avrebbe riaperto gli occhi o smesso di respirare.
Negli ultimi quattro giorni, aveva avuto tutto il tempo desiderabile per pianificare con cura cosa fare di preciso a quel f……….. pezzo di ….. .
E la sola idea di cosa gli avrebbe fatto subire riusciva a calmarlo abbastanza da costringere sé stesso a rimanere seduto lì, vicino a Rouge. Perché, in fin dei conti, Anubis non era che un cadavere che ancora non sapeva di essere morto.
Un suono nuovo lo fece sobbalzare.
Un fruscio, quasi inudibile.
Voltò di scatto la testa, occhi spalancati. Era da quattro giorni che osservava Rouge senza pause, impiegò neanche un quarto di secondo a capire cosa era cambiato.
Le dita di lei ora erano serrate a pugno, stringendo il lenzuolo.
Un’ondata di gioia lo investì da capo a piedi. Subito prima che la sua razionalità gli fece notare che quel gesto avrebbe benissimo potuto essere uno spasmo di dolore, un gesto inconscio di una sofferenza interna. Magari il suo sangue le stava causando problemi e…
Rouge ruotò la testa verso di lui. Aggrottò le sopracciglia.
I dubbi del riccio si zittirono di colpo. Il suo cuore divenne immensamente leggero. Gli occhi di lei si schiusero lentamente. Le iridi cristalline si guardarono intorno per qualche secondo, confuse, prima di posarsi sul riccio.
-Ehi.- la salutò Shadow, sorridendole. Sì, sorridendole.
Il volto di Rouge si illuminò. –Ehi.- rispose, ricambiando stancamente il sorriso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** 12. Rimonta ***


Phantom è tornata! Nuovo capitolo, tutto per voi. 
Avrei due cose da dire, rapidamente, prima di lasciarvi alla lettura.
Primo: non posso che ringraziarvi dal profondo del cuore del sostegno che mi avete dato fino a questo capitolo. Le vostre recensioni, i vostri commenti, sono stata l'unica cosa che mi ha permesso di arrivare così lontano, fino al capitolo 12, forse definibile come metà (non ho idea di quanti capitoli impiegherò per far accadere le scene che ho in mente, ma questo capitolo potrebbe essere considerato la metà della fic). Grazie davvero, a tutti. Arrivati a questo punto, vi garantisco che arriverò fino in fondo, non importa quante decine di ore dovrò passare davanti al pc. State sicuri, avrete il vostro finale. Io, già di mio, non sono solita abbandonare fic a metà, sia per rispetto dei lettori, sia per rispetto della storia stessa. Di nuovo, grazie infinite del vostro sostegno!
Secondo: in questo capitolo ci saranno delle scene particolarmente violente, in questo e nel prossimo (e voi sapete di cosa sto parlando :3). Sono scene a metà tra il rating arancione e quello rosso, per essere sicuri. Non credo che ciò sia un problema per voi, che siete arrivati fino a questo capitolo, ma lo dico lo stesso. 
E con questo ho concluso!
vi lascio alla lettura, come sempre io ce l'ho messa tutta!
Enjoy!
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Capitolo 12
- Rimonta-


 
 
A parte il fatto che aveva un mal di testa atroce e che si sentiva le membra foderate di piombo, poteva affermare di sentirsi sommato tutto bene.
Rouge provò lentamente a tirarsi su a sedere. Si accorse così, per la prima volta, che qualcosa non andava. Nessun muscolo rispose al suo appello. Tanto che Shadow nemmeno si accorse che lei aveva provato a tirarsi su.
L’unico risultato fu che il ventre le dolette atrocemente. In un punto specifico. E, crollasse il mondo, non riusciva a ricordare perché. La sua memoria le fornì soltanto immagini frammentate di una tempesta furiosa tra le montagne, lampi e tuoni, robot come nemici e poi dolore.
Guardò Shadow. Nei suoi occhi di rubino lesse sì sollievo, ma anche un’ombra di … preoccupazione repressa, magari?
–Cos’è successo?- domandò Rouge con un filo di voce, intenta a voler scoprire gli eventi che l’avevano ridotta in quello stato. La prima cosa che imparò fu di aveva la gola secchissima.
-Ti hanno sparata.- fu la schietta risposta del riccio, niente mezzi termini. –Hai perso molto sangue.-
Ecco spiegato il mal di testa e il dolore al ventre, era lì che era stata colpita. I frammentati ricordi cominciarono a fondersi insieme, fino ad ottenere un quadro completo. Ma il momento in cui era stata sparata proprio pareva essere assente.
-Quanto ho dormito?- si azzardò a chiedere, pur temendo la risposta.
-Quasi quattro giorni.-
Quattro?! Rouge chiuse un attimo gli occhi, cercando di metabolizzare l’informazione. Diamine, imprecò mentalmente.
Cercò di nuovo gli occhi scarlatti del riccio nero. Lui … non era possibile che le fosse rimasto accanto per quattro giorni di fila, vero? Shadow ricambiò l’occhiata, e, di nuovo, Rouge scorse quell’ombra nel suo sguardo, senza ancora riuscire a catalogarla.
La pipistrella cercò di deglutire, per porre rimedio a quel tremendo bruciore che le disseccava la gola, ma non ci riuscì. –Non … non ci sarebbe un po’ d’acqua?- domandò.
Shadow si alzò lentamente. –Vado a prenderla.-
Si teletrasportò via.
Rouge rimase sola, la fronte lievemente aggrottata. D’accordo che era Shadow ma … era davvero possibile che avesse spicciato soltanto quelle poche, sintetiche parole, per di più tirate fuori a forza di domande? Certo, non si sarebbe aspettata baci e abbracci, ma, insomma, giusto un minimo di bentornato.
E poi, il modo in cui lui aveva continuato a fissarla per tutto il tempo … come se non si aspettasse di vederla attiva di nuovo. O come se si aspettasse … che accadesse qualcos’altro. Forse, lui s’era spaventato per lei più di quanto avesse immaginato all’inizio … oppure … era qualcos’altro.
Decise di provare nuovamente a muovere le braccia. Nulla di nulla.
Concentrò gli sforzi su un unico dito, partendo così per gradi. Il panico già minacciava di sommergerla, quando ecco che il dito indice della mano destra si mosse leggermente verso l’alto. Provò con un altro dito. Il pollice rispose pigramente all’appello, dopo una buona dose di fatiche.
La confusione della pipistrella aumentò di grado, mentre concentrava gli sforzi sul dito medio. Era già stata ferita gravemente, in passato, ma non le era mai accaduta una cosa del genere!
Pareva che dovesse riconquistare il proprio corpo pezzo dopo pezzo. Come se le sue stesse membra non la riconoscessero più, come se si fossero dimenticate di lei. O come se qualcos’altro fosse subentrato al suo posto, nel frattempo.
Il dito anulare si mosse piano, inarcandosi, irrigidito. Per il mignolo, Rouge dovette impegnarsi parecchio. Le pareva quasi di stare sollevando un intero bilanciere da palestra, altro che un misero dito, che per altro era sempre stato ubbidientemente attaccato là! Ottenuta infine la mobilità di tutte e cinque le dita, provò a muoverle insieme. Le costò un dispendo d’energia enorme, ma riuscì a distendere e stringere le dita a pugno.
Che sensazione strana, pensò ripetendo il movimento un’altra volta, pareva quasi che qualcuno le avesse iniettato nelle vene del piombo, da tanto che si sentiva la mano pesante e irrigidita. Forse, si disse, era l’effetto della dormita da quattro giorni che s’era fatta.
Si decise a provare ad alzare il braccio prima che Shadow tornasse. Doveva pur riuscire ad afferrare il bicchiere d’acqua che il riccio le avrebbe portato, no? L’alternativa sarebbe stata semplicemente troppo imbarazzante.
Far piegare il gomito fu un’impresa titanica. Far contrarre i muscoli dell’avambraccio lo fu dieci volte di più. E solo per riuscire ad alzare il braccio di un qualche centimetro dal bordo del letto. Ogni movimento pareva compiuto al rallentatore, e con un che di pesante, rigido ed … avverso, che pareva intralciare ogni tipo di movenze.
Il braccio le ricadde inerte sul bordo del letto. Provò ancora, ostinata, e finalmente le cose parvero andare meglio. Riuscì a raggiungere in breve tempo la posizione che aveva ottenuto prima con grande fatica. Aumentare ancora l’altezza del braccio fu ancora come lottare contro fili invisibili.
Rouge si ritrovò ben presto con i denti serrati dallo sforzo, e la fronte imperlata di sudore. Poi, accadde. Quella specie di qualcosa che pareva impedirle di riprendere possesso del proprio braccio si spezzò di colpo, lasciandole interamente libero il braccio.
Rouge reclinò indietro la testa, ansante, sollevando verso il soffitto il proprio arto, faticosamente riconquistato. Chiuse un attimo gli occhi. Fece giusto in tempo a tremare all’idea di doversi riprendere a quel modo tutto il suo intero corpo, che Shadow ricomparve con l’acqua.
Gliela porse. Lei allungò la mano e bevve con gusto, lasciandosi sfuggire alla fine un beato gemito di sollievo.
-Come ti senti?- le chiese Shadow. Dal modo in cui distolse lo sguardo subito dopo aver parlato, Rouge intuì che quella era la domanda che il riccio voleva davvero porre. L’unica, per altro.
Rouge dovette decidere in fretta se dirgli tutto oppure limitargli le preoccupazioni. L’espressione tirata del riccio lasciava presagire che nemmeno lui aveva passato quattro giorni rilassanti.
Il solo fatto che lei avesse esitato per un qualche secondo, fece rabbuiare il riccio in un modo spaventoso. La luce rossastra negli occhi di Shadow parve quasi divenire nera.
-Sto bene.- si affrettò a dire Rouge, mascherando il proprio sconcerto alla reazione del compagno, fingendo di non aver notato nulla. –Solo un po’ di mal di testa.-
Se sperava così di distrarre l’attenzione di Shadow, o di fargli magari abbassare un po’ la guardia, si sbagliò. Gli occhi del riccio non si schiodarono d’un millimetro dalle pupille di lei. –Sicura?- chiese di nuovo.
Rouge non potè impedire alla propria agitazione di aumentare esponenzialmente di volume. Shadow preoccupato? Che accidenti stava succedendo? Anzi, cos’era successo di preciso mentre lei era incosciente?
-Sì, sicura. Mi sento un po’ intontita, tutto qua. Credo sia normale, dopo essermi beccata una pallottola, no?-
Shadow rimase in silenzio, sempre fissando Rouge.
Fu la pipistrella a distogliere lo sguardo da lui, profondamente a disagio. C’era ormai abituata agli strani modi di fare del riccio, ma solo fino ad un certo punto.
Forse per la prima volta da quando aveva riaperto gli occhi, Rouge osservò con più attenzione l’ambiente in cui si trovava. Avrebbe potuto sembrare la loro base, per via di tutto quel metallo, ma la stanza era più piccola, c’era una specie finestra chiusa da tende e tapparelle (che, ad essere sinceri, assomigliava più ad un oblò che ad una finestra, se non fosse stato per la forma rettangolare e non rotonda) e, per di più, erano anche assenti i suoi oggetti personali. Faceva anche un freddo polare. Dunque, dovette dedurre che non erano a casa, nella piccola base abbandonata sotto al bosco.
-Dove siamo?- domandò con un filo di voce.
Lo stomaco della pipstrella s’intromise nella discussione con un possente ululato di protesta. Mentre le guance di Rouge si colorarono, Shadow sospirò. –Vado a prenderti qualcosa da mangiare?- propose.
E Rouge si ritrovò con un dubbio indistricabile: Shadow stava di proposito cambiando argomento, o era sinceramente interessato al benessere di Rouge? Vista la situazione, entrambe le ipotesi erano più che plausibili.
Rouge non potè far altro che annuire. Recuperare le forze era una priorità inaffondabile.
Shadow si mosse. Ma non verso la porta. Bensì verso la finestra. Levò rapidamente tende e tapparelle, un cielo stellato di incredibile nitidezza fece capolino dall’esterno. Rouge si accorse di aver lievemente trattenuto il fiato. Sia per la bellezza del cielo, mai aveva visto così tante stelle tutte insieme, sia perché, chissà per quale ragione, non s’era aspettata che fosse notte.
Shadow, mentre lei contemplava il cielo, aveva attraversato di nuovo la stanza, raggiungendo la porta. –Per tua informazione.- disse. –Sono le tre del pomeriggio.-
E si teletrasportò via, lasciando Rouge con un palmo di naso. Cosa?
Le tre del pomeriggio? Ma fuori c’erano le stelle!
In che razza di posto era?
Mentre la sorpresa inziale cominciava a sfumare via, i neuroni di Rouge ripresero a lavorare. Che quella frase, apparentemente detta a caso dal riccio, fosse invece una risposta alla precedente domanda di Rouge?
Lui dunque non aveva cambiato argomento? Le aveva risposto, in una stramba via traversa. Ma perché allora lasciarla con una risposta che non era una risposta? Perché non dire direttamente il nome del …
E Rouge capì.
Esisteva un solo luogo in cui le stele brillavano costantemente notte e giorno, e in cui Shadow si sarebbe rifugiato all’istante in caso di estremo pericolo.
Rouge si ritrovò a sorridere, i suoi occhi tornarono al cielo. Quello là fuori dalla finestra non era di sicuro lo stesso cielo che si vedeva dalla Terra.
-L’ARK.- sussurrò piano.
Shadow l’aveva vista ferita assai gravemente. Con nemici spietati ovunque,  che li avrebbero inseguiti e braccati, esisteva un posto ben oltre la loro portata, che garantiva sicurezza e solitudine, per poter dare ad un ferito tutto il tempo necessario per guarire.
Shadow, in un momento di pericolo estremo, l’aveva portata a casa sua, sull’ARK.
Il sorriso di Rouge si allargò, una calda sensazione in petto.
Le stelle continuavano a scintillare, come mille gemme preziose. A guardare quello splendore, si rilassò interamente.
Ma la sua mente analitica riprese a porre indesiderate domande. In un lampo, tutta quella temporanea e dolcissima tranquillità svanì. Rouge si ritrovò a maledire sé stessa e la sua mania di scavare sempre fino in fondo.
Shadow che tornava sull’ARK? Doveva essere successo qualcosa di dannatamente tremendo per farlo pensare ad un rimedio tanto drastico. L’ARK era come l’ultima difesa, la fortezza perfetta, irraggiungibile. Tenendo presente ciò che quel luogo rappresentava per lui, e tenendo presente la sofferenza che quella base spaziale racchiudeva, doveva essere successa una tragedia vera e propria per spingere Shadow a tornarci così e a ritornare nel teatro del suo passato, nonostante il prezzo di memorie e dolore che c’era da pagare per entrare là.
Doveva aver pensato che i loro nemici erano tanto forti da potersi spingere fino nella loro piccola base sotto al bosco? Che la loro casa provvisoria là non fosse più sicura? Che le abilità degli oppositori fossero cresciute a tal punto, tanto da poterlo braccare ed inseguire fino nella loro base, impedendogli di guadagnare abbastanza tempo per permettere a lei di riprendersi dalle ferite? Che l’unico luogo davvero sicuro per rifugiarsi con Rouge fosse lo spazio?
Oppure … No. Rouge scosse la testa. Quell’ipotesi … era troppo sentimentale per poter essere quella veritiera. Oppure lui s’era spaventato a tal punto da agire solo d’istinto, teletrasportando sé stesso e Rouge nel luogo per antonomasia che per lui significava sicurezza?
Non esisteva però nulla di abbastanza potente da costringere Shadow a reagire in quel modo. O per lo meno ad impedirgli di pensare e farlo agire così brutalmente d’istinto. Oppure un orrore così tagliente da sconfiggere la rossa cortina di dolore dei ricordi tormentati dell’ARK e di Maria.
In ogni caso, Rouge aveva la certezza che il riccio nero non le avesse raccontato tutta la storia. O che avesse tralasciato una buona dose di verità.
Rouge aveva ora la fronte corrugata, immersa nei propri pensieri, gli occhi che navigavano smarriti tra le stelle, muoveva piano le dita della mano sinistra, riattivandone faticosamente i movimenti. Quando braccio e mano furono d nuovo abili, si rilassò.
Senza pensarci, si posò una mano sul ventre, nella posizione che lei spesso prendeva quando era stesa a letto. Una fitta di dolore le ricordò che era ferita proprio là.
Sospirando tolse il braccio. Di nuovo, per istino o forse per altro, la sua mente le pose di nuovo una fatidica domanda. E la curiosità di vedere la propria ferita la invase interamente.
Lentamente, con fatica, scostò via la coperta che l’avvolgeva.
Notò con un misto di divertimento, sollievo e delusione che indossava ancora gli stessi vestiti del giorno in cui era stata ferita.
Divertimento, per il fatto che Shadow non aveva osato svestirla e rivestirla.
Sollevata, per il fatto che il suo compagno di squadra aveva mantenuto le adeguate distanze e precauzioni, senza prendersi alcun tipo di libertà.
Delusione, perché l’idea di avere addosso gli stessi vestiti di quattro giorni prima la disgustava abbastanza.
Non v’era traccia di sangue sul tessuto, attorno allo strappo. Dunque Shadow doveva averlo tolto in un qualche modo.
Sotto alla stoffa della maglia, si intravvedevano le bende. Rouge sollevò piano il bordo inferiore della maglietta, scoprendo la fasciatura che le avvolgeva il ventre.
Non era un lavoro particolarmente accurato. Pareva anzi essere stato fatto con una certa fretta. Cosa per altro normale. Già che comunque la bendatura era da rifare, pensò che non fosse grave se l’avesse levata lei.
Vedere le proprie ferite non era mai bello. Anzi, era forse una delle cose più disarmanti che Rouge conoscesse. Nonostante ciò, era necessario farlo. Deformazione professionale, istinto o soltanto spirito di conservazione, le imponeva sempre di verificare in che stato fosse il suo corpo.
Con una mano sola cominciò a slegare le bende. Non si accorse del riccio che le era apparso di fianco. Continuò il suo lavoro fino a quando non vide la bruna pelle del suo ventre.
E quando identificò il punto in cui il proiettile era entrato, un’ondata di sconcerto la immerse interamente.
Per il fatto che era quasi interamente guarito e rimarginato, rimaneva infatti solo un lieve legno rosso di pelle appena rigenerata.
E per il fatto che non si trovava nella posizione che lei s’era immaginata. Era esattamente al centro della pancia, sullo stomaco. Non in una posizione più laterale, che avrebbe ammesso la sopravvivenza.
Rouge deglutì. Era stata sparata nello stomaco!
Allora come accidenti faceva ad essere ancora viva?!
Shadow appoggiò la ciotola dal contenuto fumante sul tavolino di fianco al letto, facendo sobbalzare la pipistrella.
Gli occhi spaesati di lei cercarono le iridi taglienti del riccio. –Come?- chiese semplicemente.
Shadow non rispose.
-Devi dirmelo.- supplicò lei. –Devi. E magari, già che ci sei, spiegami come ci sono finita sull’ARK.-
Il profondo respiro del riccio, aumentò la preoccupazione di Rouge. Shadow non voleva parlare? Che…?!
Nell’esatto istante in cui Shadow si decise a risponderle, il cervello di Rouge cominciò a collegare i pezzi.
…Nulla di abbastanza potente da costringere Shadow a reagire in quel modo.
Rouge trattenne il fiato. Un orrore così tagliente … assistere alla morte di qualcuno. Per la seconda volta!
-Anubis The Dog ti ha sparata allo stomaco.- cominciò Shadow, il tono completamente incolore del riccio fece tremare la pipistrella. –Io …- lui esitò. -… Non sapevo cosa fare. Ti ho portata nel posto più lontano che conoscevo, dove loro non sarebbero potuti arrivare. E …- esitò per la seconda volta. Rouge ora era davvero spaventata. Cosa aveva fatto Shadow di tanto terribile da non riuscire nemmeno a dirlo? Shadow che faceva giri di parole? Cosa mai vista. -… e tu stavi morendo.- Un brivido attraversò Rouge. -Ho fatto l’unica cosa che avrebbe potuto darti una possibilità di sopravvivere.- La preoccupazione della pipistrella salì di un grado. Se non sapesse già l’esito della vicenda, la sua agitazione attuale avrebbe benissimo potuto venir chiamata terrore. Ora veniva il punto focale di tutto il discorso. La parte difficile. E vedere Shadow così dubbioso e indeciso, era una cosa dannatamente disorientante.
Qualunque cosa avesse fatto il riccio, era palese lo sforzo che gli costava parlarne. E lo fece alla maniera sua, senza mezzi termini, afferrando il toro per le corna. Alzò lo sguardo su Rouge, e la fissò negli occhi. –Ti ho iniettato nelle vene parte del mio sangue.-
Inizialmente, il cervello di Rouge non capì subito cosa ci fosse di così terribile. Ma la comprensione non tardò ad arrivare. Shadow … Black Doom … alieno … sangue … incompatibilità … veleno … morte … salvezza … effetti collaterali.
-Cosa?!- si sentì dire.
-Saresti morta anche senza il mio intervento.- disse piano Shadow. –Ho pensato che anche una sola speranza fosse sufficiente per provare.- Distolse un attimo lo sguardo. –Non ti potevo lasciar morire.-
Il nuovo aspetto che la semi-paralisi di Rouge aveva assunto, finì per passare lievemente in secondo piano. Sostituito dall’ultima frase del riccio. S’era spaventato davvero, allora, Shadow …
Con i pensieri che si arruffavano e accavallavano tra loro imbizzarriti, Rouge si sentì chiedere. –Ma com’è possibile che sono guarita così?-
Shadow passò alle spiegazioni. –Uno dei motivi che spinsero il dottor Gerald Robotnik a crearmi fu la necessità di trovare una cura per la malattia di Maria, un morbo che neutralizza le difese corporee naturali. Inizialmente il dottore non credeva fosse possibile curarla, ma avendo me davanti agli occhi capì che forse una possibilità c’era. Rese il mio sistema immunitario molto forte. E lo modificò in parte per far sì che potesse curare anche le ferite d’altri. In particolare, adattò i miei anticorpi per far sì che potessero curare il sistema immunitario di Maria. Non avvenne mai, però. Maria guariva dalle malattie normali che la colpivano grazie ai mie anticorpi che toglievano di mezzo i virus al posto suo, ma da sola lei non ci riuscì mai.-
Shadow fece una piccola pausa per controllare se Rouge stesse seguendo o meno. –Dunque, i miei anticorpi possono guarire effettivamente gli altri. Compresa la tua ferita.-
Rouge faticò un attimo a capire. Era anche sorpresa della naturalezza con cui Shadow aveva spiegato tutto ciò. Era forse la prima volta che parlava di Maria con spontaneità. –Ma dunque il sangue di Black Doom era in Maria?-
Un mezzo sorriso attraversò il viso del riccio. –Figurati se Gerald avrebbe mai permesso che quell’alieno contaminasse la sua amata Maria. Il suo sangue non la toccò mai. Da me prendevano solo e soltanto gli anticorpi, mai i globuli rossi o altre cellule.- la sua espressione si oscurò. –Tu sei la prima, oltre a me, ad avere in corpo il sangue completo di Black Doom.- Shadow serrò i denti. -Non sapevo cosa sarebbe potuto succedere. Sapevo che con i globuli bianchi ti avrei potuta salvare, ma con quelli rossi saresti potuta morire. E in una maniera orribile.-
Rouge lo fissò in volto. Non riusciva neanche ad immaginare il senso di responsabilità che il riccio s’era portato dentro in quegli ultimi quattro giorni. Ben conoscendo l’odio cieco che lui provava verso Black Doom, lo sforzo che gli era dovuto costare utilizzare quel sangue per salvare lei … pareva qualcosa di disumano! “Contaminare” Rouge, in cambio di evitarne la morte.
Dovette confessare ora di sentirsi in qualche modo sporca dentro, ma si sforzò di ricacciare indietro quello sgradevole sentimento. Era viva. Ed era tutto ciò che importava. Era viva, era sopravvissuta, grazie a Shadow. Avrebbe coraggiosamente affrontato ogni genere di effetto collaterale, come la semi-paralisi di prima. Shadow aveva fatto tutto quello per lei, il minimo che poteva fare per dimostrargli quanto aveva apprezzato quel gesto era sopravvivere. Sarebbe andata avanti. Come sempre. 
-Per ora è andato tutto bene.- si sentì dire la pipistrella. –Sto bene, e sono viva.- si sforzò si sembrare allegra. –Ti ringrazio dal profondo del cuore.- Gli sorrise.
Gli occhi della Forma di Vita Definitiva si puntarono invece sul pavimento, privi di ogni traccia di allegria. -Ma ora hai in te il suo sporco sangue.- Sussurrò Shadow tra i denti, voce tremante di rabbia. Si sentiva in colpa, spezzato a metà tra la felicità d’averla salvata e il disgusto per il modo in cui c’era riuscito.
Improvvisamente, alla pipistrella tutto sembrò semplice. Come aveva fatto a non pensarci subito all’inizio? Rouge sorrise, mentre la soluzione le si presentò da sola.
–Non il suo sangue, Shady. Ma il tuo!- ridacchiò. –E non ho problemi a convivere con il tuo sangue.-
Lo sguardo lievemente confuso e incredulo del riccio la incontrò di nuovo.
Rouge allungò una mano verso la ciotola che Shadow aveva portato, conteneva una specie di poltiglia dal sospetto color marroncino scuro. Ingoiando la repulsione, disse. –Non ti fa niente se mangio? O qui rischio di morire di fame, e tutti i tuoi sforzi saranno vanificati.-
Shadow era ancora ammutolito. Non spiccicò parola.
Lei, allora, non fece complimenti e cominciò a mangiare. Era meno disgustoso di quanto il suo aspetto lasciasse intendere. Sapeva quasi … di stufato. –Cos’è?- domandò, dopo aver mandato giù il primo boccone.
-Era nella mensa, cibo in scatola.- fu la disadorna risposta.
In sostanza, nemmeno Shadow sapeva cos’era. L’unica nozione in suo possesso era l’effettiva commestibilità di quel cibo.
Rouge sobbalzò quando realizzò di star mangiando cibo in scatola vecchio di cinquant’anni.
-Sei sicuro che non sia andato a male?- chiese con un filo di voce, mentre la presa sul cucchiaio diminuiva di forza.
-Sicuro.- le rispose. –Quelle scatolette durano anche per decenni. Venti o trent’anni non sono un problema.-
Rouge si sentì morire. Mollò la posata che teneva in mano all’istante. –Ma cinquanta non sono un po’ troppi, allora!-
Gli occhi di Shadow si abbassarono di nuovo verso il pavimento, parzialmente colpevoli. –A questo punto, dovrei dirti un’altra cosa.- cominciò.
-Cosa?- tono inquisitorio, questione di mangiare o non mangiare, importanza vitale.
Shadow scelse con cura le parole. –Non siamo esattamente a cinquant’anni dopo la creazione dell’ARK.-
Rouge rimase allibita. –Che?!-
Il riccio spiegò meglio. –Ora siamo a circa venticinque anni dopo la chiusura della stazione spaziale, cioè quando avvenne … l’incidente.- Gli occhi di Rouge si sgranarono. –Ti ho portata indietro nel tempo di venticinque anni.-
Dopo la questione del sangue di Black Doom, un misero viaggio nel tempo non era assolutamente nulla.
-Oh.- disse, riprendendo a mangiare, seppur senza riuscire ad impedire al proprio polso di tremare. –Potrei chiederti perché? Non sarebbe bastata l’ARK del presente?-
Un’altra volta, Shadow si oscurò, e Rouge capì di aver toccato un altro tasto dolente, in un qualche modo.
Il riccio si appoggiò di schiena contro la parete.
-Gli hai visti anche tu i macchinari di ricerca di quei laboratori, vero?-
Tutta la massa di eventi che avevano caratterizzato gli ultimi giorni crollò addosso a Rouge tutto d’un colpo. S’era quasi dimenticata dell’organizzazione di scienziati, delle bioarmi e dei cyborg.
-Sì, li ho visti.- confermò.
Shadow riprese. –Sono davvero molto simili a quelli che ci sono qui, sull’ARK. Per non dire che sono identici.-
-Davvero?- Rouge non riuscì a trattenere la propria sorpresa. –Dici che li hanno copiati?-
-È sicuro che l’hanno fatto. La vera domanda è “come”. Se fossero riusciti a rubare i file riservati riguardanti questo posto da Prison Island, non sarebbe poi così strano. Peccato che non ricordo che tra quei documenti vi fossero anche le spiegazioni sul funzionamento o sulle tecniche di costruzione delle macchine di ricerca. Dunque, un’altra ipotesi è che sono venuti quassù per studiare la tecnologia dell’ARK. Il che lascerebbe molte questioni in sospeso, come il mezzo con cui sono arrivati qui. Un razzo non è cosa da poco, e sarebbe ben difficile riuscire ad arrivare qui senza farsi notare dalle autorità. Siccome non mi sembra esattamente un’organizzazione legale ci sarebbe da domandarsi come sia possibile che nessuna nazione confinante si sia domandata chi accidenti fossero quei tizi volati nello spazio.-
-Ma se invece se ne fossero accorti e non avessero detto nulla di proposito?- si azzardò a chiedere lei.
-Quello che ho pensato anch’io. Siccome è improbabile che siano riusciti a ricreare l’ARK sulla terra tramite quei documenti, devono per forza esser venuti qui a studiarla direttamente. Ed è per questo ti ho portata nell’ARK del passato: per evitare di incontrare le loro sonde, o i loro esploratori. Non sono andato a controllare effettivamente se sia così, non ne ho avuto il tempo.-
Rouge scosse la testa. Ora la questione della linea temporale in cui si trovavano le pareva il minore dei problemi. Quei bastardi avevano violato l’ARK! Avevano strappato via da quel luogo quella pace così duramente conquistata, a così caro prezzo!
Scacciando dalla mente l’impensabile immagine di avidi ricercatori sulla stazione spaziale dopo cinquant’anni di vuoto, intenti a frugare tra gli oggetti di gente spentasi decadi prima e a tentare di estrarre di nuovo informazioni da macchine o dati, chiese –Intendi dire che le autorità potrebbero essere a conoscenza di quest’organizzazione?-
Shadow incontrò il suo sguardo. –È probabile. Se non certo.-
-Ma com’è possibile?- sbottò Rouge.
-Forse quella gente ha detto che stavano compiendo ricerche in nome del progresso scientifico e medico, facendo abboccare le autorità. Forse si sono promessi collaborazione, forse invece hanno accordato di ignorarsi a vicenda, lasciandosi reciprocamente campo libero. Lo stato chiude gli occhi, loro fanno ciò che vogliono, in cambio condividono le scoperte mediche e militari con le autorità.-
-Vuol dire che il governo sta dalla loro parte?!- Gelido brivido d’orrore.
-Forse.-
-Ma sono pazzi?!-
-Tra le due parti, non so chi sia messo peggio. Il governo o gli scienziati.-
Rouge chiuse gli occhi. –Non … non li stanno anche finanziando, secondo te, vero?-
Il silenzio di Shadow fu peggio di una pugnalata. –Non saprei dirlo.- disse con semplicità.
Rimasero in silenzio, Rouge che finiva il suo pasto.
Svuotato il piatto dal suo contenuto, la pipistrella si sentì improvvisamente svuotata d’ogni energia. La conversazione, le preoccupazioni, le scoperte e tutto il resto l’avevano sfinita molto più di quanto non avesse realizzato.
Chiuse per qualche secondo gli occhi.
-Qualcosa che non va?- chiese subito Shadow. –O hai solo bisogno di riposo?-
Rouge sorrise. Ancora non era abituata a tutte quelle attenzioni da parte della Forma di Vita Definitiva. –Uno potrebbe pensare che quattro giorni siano stati sufficienti, ma parrebbe che così non è.-
Shadow non replicò. Rimasero un attimo in silenzio.
-E forse dovresti dormire anche tu.- gli consigliò Rouge. –Hai l’aria stanca almeno quanto me.-
Shadow ancora rimase in silenzio, lei lo guardò. –Beh? Che c’è?-
Il riccio fissava il pavimento. –Ci sarebbe ancora una cosa che vorrei chiederti. Ma non c’è fretta. Il riposo è più importante, ora.-
La dolce nebbia di Morfeo si diradò alla curiosità di Rouge. Shadow non chiedeva quasi mai nulla, e quando lo faceva aveva sempre i suoi buoni motivi.
-Cosa c’è?- chiese, realizzando che non gli aveva chiesto come stesse lui. Non che si sarebbe aspettata una risposta, ma, insomma, era stata una battaglia abbastanza accanita, forse Shadow era rimasto ferito o aveva dei problemi.
Quando lui roteò lo sguardo verso Rouge, capì che il problema in questione era tutt’altro. –Anubis The Dog.- disse semplicemente. –Vuoi prenderlo a calci tu, o ci penso io?-
A Rouge scappò da ridere. S’era ovviamente preoccupata per nulla. Che tipi di problemi avrebbe mai potuto avere Shadow?
Vendicarsi di quel vigliacco era una dolce idea, innegabile. Ma, onestamente, se si doveva far pentire qualcuno di una qualsiasi azione, il modo migliore era spedirgli contro Shadow. E poi non se la sentiva proprio a rivedere quel muso da canide.
Lo stomaco le si strinse al solo pensiero. Il ricordo della ferita e della morte scampata era ancora troppo fresco nella sua memoria. Per di più non aveva la forza fisica per affrontare subito il suo assalitore. Ed aspettare era una soluzione ancora più scomoda.
Lasciar fare a Shadow, o affrontare il proprio trauma? Far pagare indirettamente Anubis tramite il riccio o andare lei stessa a farlo pentire?
Uno strano pensiero le balzò alla mente.
Sicurezza.
In quel momento, lei cercava solo sicurezza. La vendetta era qualcosa di ancora lontano nella linea del suo orizzonte. Guarire, salvarsi, rimettersi in sesto, affrontare l’eredità del sangue di Black Doom. Guardando Shadow, in piedi accanto a lei, si sentiva stranamente protetta.
Sapeva che lui avrebbe fatto qualunque cosa per difenderla, sapeva che su di lui poteva contare. E poter contare sulla Forma di Vita Definitiva equivaleva a stare in una cassaforte, in quanto a protezione.
Mandare lui a riscuotere il giusto pagamento per il trattamento subito? O farlo lei, pareggiando i conti una volta per tutte?
Forse si sarebbe pentita in seguito della scelta presa. Forse avrebbe dovuto andare lei, affrontare il proprio trauma facendola pagare cara a quel cane, sconfiggendo la propria paura e il dolore subìto: chiudere in faccia alla morte scampata quella faccenda con le sue stesse mani, sciogliendosi per sempre dalle catene della paura che Anubis le aveva sparato in pancia insieme al piombo. O forse avrebbe potuto chiedere a Shadow di farlo: eliminare dalla faccia della Terra e di Mobius quella persona, non rivedere mai più quella faccia, quel ghigno.
L’idea che in quel momento Anubis era laggù, sulla superficie, a camminare tranquillamente, a condurre la sua vita come se nulla fosse successo, la fece arrabbiare. Lo stomaco le si strinse di nuovo, la spina dorsale parve ghiacciarsi. Aspettare … era regalare a quel bastardo tempo che non meritava.
Forse, aveva paura di rivedere quegli occhi gialli di Anubis. Forse aveva paura di trovarselo davanti e di perdere. Rouge non era il tipo da paralizzarsi dal terrore, e probabilmente non sarebbe successo nemmeno quella volta, ma proprio il suo cervello non riusciva a digerire l’idea di rivedere quella faccia, quell’essere che aveva voluto toglierle la vita. E che c’era praticamente riuscito.
Rouge chiuse gli occhi, e prese la sua decisione. –Vai- disse. -Togli di mezzo quel mobiano. Non voglio mai più averlo davanti agli occhi.-
Shadow la guardò. –Sicura?-
Rouge annuì. –L’idea di rivedere la sua faccia mi disgusta. L’idea di poterlo rincontrare anche di più. E potrebbe anche uccidere qualcun altro, mentre noi indugiamo qui. Vai, ora, in questo preciso momento, e impediscigli di fare ad altri ciò che ha fatto a me. Non voglio rivedere i suoi occhi.-
Shadow sorrise. –Quando rimetterai piede sulla Terra, non esisterà più nessun Anubis the Dog: s’è giocato il diritto di esistere nel tuo stesso mondo.-
Il sonno calò di nuovo la sua cortina sugli occhi di Rouge, con più prepotenza di prima. Rouge aveva finito le batterie, niente più autonomia.
Si sentì quasi crudele a dire la frase successiva, ma era necessaria. –Mi raccomando, Shady: devi farlo pentire.- Era più un ordine, che una richiesta. In entrambi i casi, era una condanna ad una morte orribile. Lo sapeva, e non le dispiaceva. Avrebbe dovuto vergognarsi di essere così meschina, ma nessun sentimento del genere le passò nel cuore. Voleva solo liberarsi da Anubis.
Il riccio sorrise di nuovo. –Non sarà affatto un problema.-
Gli occhi di Rouge si stavano chiudendo, ma sentì comunque le ultime parole di Shadow The Hedgehog.
-Te lo prometto.-
 
 
Shadow aspettò ancora qualche minuto, fino a quando Rouge non fu interamente addormentata. Sperando che le sue condizioni mediche non precipitassero in sua assenza, la Forma di Vita Definitiva si preparò a tornare sulla Terra. 
Era un tipo di Chaos Control molto particolare, quello, poiché impiegava sia il luogo che il tempo. Doppio dispendio d’energia.
Utilizzò tutti e tre gli Smeraldi in suo possesso, tornando in avanti di venticinque anni e spostandosi dallo spazio alla superficie del pianeta.
L’energia di Chaos frizzò, scoppiettando in tutta la stanza ed inondandola di una luce vagamente blu.
Shadow si smaterializzò.
Stava già pensando a come trovare il suo bersaglio, e tener fede alla richiesta di Rouge.
Voleva vendetta, e l’avrebbe avuta. Una vendetta con la V maiuscola.
 
 
Sonic per poco non cadde dal letto quando tre puntini luminosi che rappresentavano gli Smeraldi di Shadow apparvero sul monitor. Ed erano a meno di un’ora da dove si trovava lui in quel momento. Doveva solo tirarsi in piedi e correre, correre come il vento e raggiungerlo.
A costo di arrivare là zoppicando, avrebbe incontrato Shadow.
Lentamente, con cautela, poggiò le gambe a terra, rimanendo seduto sul bordo del letto. S’era esercitato a camminare, quella mattina e il pomeriggio del giorno prima, e più o meno, a parte le ossa doloranti, aveva scoperto che riusciva a stare in piedi … circa.
In quel momento, le sue giunture cigolanti erano il minore dei problemi. Doveva andare da Shadow, correre abbastanza in fretta da stargli dietro, raggiungerlo, domandargli di Rouge, e chiedergli scusa!
Si tirò in piedi. Strinse i denti alla protesta da parte delle ginocchia, la ricacciò in dietro e fece un passo.
Ne fece un altro.
Raggiunse la porta, l’aprì e fu nel corridoio del primo piano. Le scale furono ardue opponenti, ma riuscì a superare anche quelle, rischiando anche di arrivarci in fondo a rotoloni.
Stava per raggiungere la porta principale, che l’avrebbe fatto uscire da lì, quando incontrò Tails.
-Sonic!- esclamò il volpino, sorpreso e preoccupato. –Cosa ci fai in piedi? E dove stai andando?-
Il riccio blu valutò cosa rispondergli. Optò per la semplice verità, sperando che l’amico capisse e lo lasciasse andare. Shadow si stava spostando rapidamente verso est. Se voleva prenderlo, doveva partire subito.
Un bel respiro e …. –Shadow è apparso sul monitor. Vado ad intercettarlo e a parlargli.-
-Cosa?! Shadow?-
-Sì, e si sta anche allontanando, non c’è tempo da perdere, Tails. Volete scoprire o no cos’è accaduto a Rouge?-
-Certo che lo vogliamo ma … tu non sei ancora guarito!-
Buona argomentazione, ma non reggeva a sufficienza. Lui doveva capire cos’era successo a Rouge, doveva sapere se aveva causato o no la morte di una loro amica.
-Non importa, Tails. Io devo andare.-
Il volpino lo fissò negli occhi, una lunga silente conversazione tra loro due soli. Infine, Tails abbassò la testa. –Ho capito. Vai, se devi.-
Sonic sorrise, pollice verso l’alto. –Grazie.-
Tails ricambiò tristemente il sorriso, mentre Sonic apriva la porta e cominciava a correre. Lo fece con un’insolita prudenza, partendo con calma, come a controllare che le gambe lo reggessero davvero, aumentando gradualmente velocità.
Andò a velocità moderata per tutto il tempo in cui si trovò in zona abitata. Le gambe parevano reggere, anche se ad ogni passo pareva che gli venisse piantato un chiodo nelle ginocchia. Denti serrati, Sonic proseguì.
Ben presto, le case si diradarono, davanti a lui si aprì la campagna, una distesa d’erba attraversata da una strada sterrata.
Ignorando beatamente tale viuzza, Sonic si slanciò a piena velocità dritto in avanti. Del paesaggio non rimase altro che un miscuglio di colori fusi tra loro, mentre la scheggia blu che era il riccio vi volava attraverso, poco più di una raffica di vento. L’aria tra gli aculei e nelle orecchie fu ben presto tutto ciò che il riccio sentì, oltre ovviamente alle sonore proteste delle gambe maltrattate.
Controllò il monitor. Shadow non aveva cambiato direzione, correva dritto come una freccia, puntando deciso ad un bersaglio solo. Forse poteva sbagliarsi, ma a Sonic parve che faker stesse rallentando l’andatura.
Meglio così. Sfrecciò a tutta velocità, tagliando per i prati. Dovette schivare ad un certo punto una macchia d’alberi che gli si parò davanti all’improvviso. A parte quel piccolo ostacolo legnoso, ad intasare la sua corsa si interposero una siepe, un gregge di pecore, una staccionata, un placido ruscello infossato nel terreno che per poco non gli costò l’osso del collo, ed un vecchio muretto di pietra mezzo diroccato.
Sempre a denti serrati, Sonic aumentò ancora l’andatura. Sterzò per evitare un altro gruppo di arbusti e il terreno divenne in salita. Raggiunse in una frazione di secondo la cima della collina. Davanti ai suoi occhi si srotolò la serie di gobbe ammantate d’erba ed alberi che occupavano tutto l’orizzonte. Il riccio non rallentò nemmeno, si gettò a testa bassa nell’avvallamento e riprese la sua corsa.
Shadow non distava più molto.
Il ginocchio destro di Sonic cedette all’improvviso. Il riccio si sentì staccare dal terreno, vorticò le braccia e più con la sola forza di volontà che con altro, impose ai muscoli della gamba di portare in avanti quel piede traditore. Lo strappo muscolare che ne seguì lo fece quasi gridare dal dolore, ma riuscì a non schiantarsi a più di trecento all’ora contro il tronco di un rugoso ulivo. Rimase in piedi, schivò l’albero e la corsa riprese. Per precauzione, Sonic rallentò un po’ l’andatura, anche perché ora la gamba faceva un male assurdo.
Molto probabilmente, la sua ferita era peggiorata.
Si stava già commiserando, quando raggiunse senza quasi accorgersi la sommità di un altro colle, e per poco non andò a sbattere contro un certo riccio nero che passava da quelle parti.
Shadow piantò una stincata epocale, frenando interamente la sua corsa, cioè da un buon quattrocento all’ora a zero, nella manciata di un secondo neanche e in uno spazio di manovra mostruosamente ridotto. Sonic inciampò e finì a ruzzoloni, sentendo solo vagamente l’insulto di faker. Il riccio blu atterrò a capriola e si rimise subito in piedi, senza danni.
Ma i danni non tardarono ad arrivare per conto loro. –Che diavolo stai facendo?!- il ringhio di Shadow aveva un che di furioso che avrebbe atterrito sul posto chiunque.
Sonic si grattò un orecchio. –Ti ho visto sul monitor.- gli mostrò l’apparecchio in questione. –Volevo parlarti.-
-E per parlarmi hai pensato bene di schiantarti contro di me?-
 -Non ti avevo visto.-
-E io non ho mai visto te correre senza guardare.- il tono di Shadow lasciava chiaramente intendere che non era felice di averlo incontrato, senza che c’entrasse molto la maniera con cui l’incontro era avvenuto, e Sonic ebbe la sensazione di stare interrompendo qualcosa che il suo gemello non biologico stava per fare.
Un fatto positivo c’era. Shadow pareva arrabbiato, ma non sconvolto. Dunque, Rouge non doveva essere morta, o l’umore del riccio sarebbe stato molto, ma molto peggio, rasentante il demoniaco.
-Rouge come sta?- chiese, per sicurezza.
-Viva.- fu la risposta.
Sonic non potè impedirsi di rilasciare un sospiro di sollievo. Afferrò il coraggio a due mani e pose la seconda domanda. –E tu come stai?-
Gli occhi di Shadow si fecero di fuoco. Non rispose, si limitò ad carbonizzare Sonic con lo sguardo.
-Se non hai nulla di serio da chiedere, togliti di mezzo.-
E guardandolo, Sonic capì due cose: Shadow era arrabbiato proprio con lui, non per altri motivi suoi; e Shadow stava andando a fare qualcosa, quando lui l’aveva raggiunto, la fretta del riccio nero ne era la prova.
Non era mai stato bravo con le parole, Sonic. Deglutì e parlò. –Mi dispiace. Mi dispiace davvero di non averti ascoltato e di essere andato comunque in quel laboratorio.-
Dall’espressione del riccio nero, Sonic intuì che non s’era aspettato una simile dichiarazione.
Quando parlò, il suo tono di voce era completamente piatto, anche se la rabbia repressa si notava comunque. -Non mi aspettavo certo che tu mi dessi retta, ma mi sarei aspettato da te un po’ più di riguardo nei confronti delle vite dei tuoi compagni. E dei tuoi alleati.-
L’ultima frase era un’accusa bella e buona.
Sonic chiuse gli occhi, abbassando la testa. –Io…- non seppe più cosa dire, per una volta nella sua vita. –Mi dispiace.- disse solo.
-Dovresti essere grato che lei non è morta, oppure ti avrei fatto passare un brutto quarto d’ora.- ringhiò il riccio nero.
E Sonic ebbe la sensazione che l’aggressività nell’aria fosse aumentata di un grado.
Rimasero in silenzio, e stranamente fu Shadow a parlare. –Giusto per fartelo sapere, io ti ritengo responsabile almeno quanto colui che ha premuto il grilletto.- fu come una pugnalata. -L’unica differenza è che tu non avevi cattive intenzioni, e se uno nasce con intelletto ridotto non è certo colpa sua.-
Sonic sgranò gli occhi a quella specie di insulto. –Nel senso?-
-Nel senso che lo sanno tutti che tu non sei capace a pensare, agisci d’istinto e basta. Anche se uno viene a dirti chiaramente che in questa guerra a pagare il prezzo potresti non essere tu ma le persone che ti stanno accanto.-
Una scintilla si accese nel petto di Sonic. Alzò la testa e fissò negli occhi Shadow. –Non puoi chiederci di rimanere in disparte mentre tu affronti da solo un esercito intero! Non funziona così!-
-E far ammazzare i tuoi amici o i tuoi alleati pensi sia il modo? Se ti dico che non devi interferire nei miei affari, ti conviene ascoltare.-
-Se un amico è nei guai, io non ascolto nessuno! Vado dritto ad aiutarlo!- Sonic realizzò solo dopo di aver urlato.
Lo sguardo di Shadow era di fuoco. –E per salvarne uno, che per altro non necessitava di alcuna manforte, credi sia giusto far rischiare la pelle a tutti gli altri, eh?-
-Tra amici funziona così.-
Sonic non si sarebbe aspettato quella reazione da parte di faker. Si ritrovò schiena a terra, con il ginocchio di Shadow conficcato nello stomaco. La voce di faker, quando parlò, era talmente cupa che pareva uscita direttamente dall’inferno. –Ascolta, stupido riccio che non sei altro. Qui non si sta parlando di amicizia. Qui si sta parlando di venir ammazzati o meno. Chi pensi che sarà il loro prossimo bersaglio? Io, magari? Hanno troppa paura per venir a prendere me. Rouge? No, lei è morta secondo loro. Tu? Sei ancora una minaccia troppo grande anche se ti hanno quasi azzoppato. Chi pensi che sia, eh, riccio? Non lo sai?- Non gli diede il tempo di rispondere. –Sanno perfettamente che uno scontro frontale con me o con te non porterebbe ad alcun risultato positivo per loro. E come si fa a sconfiggere qualcuno che sembra imbattibile? Dandogli una botta psicologica tanto forte da lasciarlo inerme. Allora chi pensi che attaccheranno, eh? Chi sarà la prossima vittima? Rouge è fuori dal giro. Chi resta?-
Gli occhi di Sonic si sgranarono. Shadow rispose per lui. –Tails, magari. Una piccola volpe, così legata a te. O forse Amy, lo sanno anche i sassi che ci tieni a lei. Knuckles? Troppo duro da masticare per i loro denti. Chi resta ancora? Ah, già. Cream e Vanilla. Vorresti vedere tutti loro morti o mutilati solo perché tu sei un avversario troppo difficoltoso per i tuoi nemici, eh? Certo che no. Ma è quello che è successo. Esattamente quello che è successo. E non solo tu gli hai offerto questa possibilità su un vassoio d’argento, ma gli hai anche servito direttamente in bocca tutta la tua squadra, e anche la mia!-
Shadow si alzò, lasciando andare Sonic. Gli diede le spalle. –E non venirmi a dire che non te l’avevo detto. I bersagli siamo io e te, ma non ci possono attaccare frontalmente, lo faranno per vie traverse: mirando a coloro che ci stanno vicini.-
Sonic rimase a terra, sdraiato ed imbambolato. –Gli ho dato la carta che gli permetterà di vincere?-
-Non è detto. Ma ora sono in netto vantaggio. Restano soltanto due laboratori. L’effetto sorpresa è finito. Ora ci aspettano. E puoi star certo di trovare ogni genere di imboscata, laggiù.-
Sonic non si mosse da dove si trovava. Usare i suoi amici per colpire lui?  Sentì lo stomaco stringersi. Chiuse gli occhi, imprecando mentalmente.
Sentì i passi di Shadow allontanarsi. Si tirò su a sedere. –Dove vai?-
-A caccia. Tu torna a casa e prega che vi lasceranno il tempo di rimettervi tutti in sesto.-
Sonic piegò la testa a di lato. –A caccia?-
-Vado a trovare un certo tizio.- disse ancora Shadow. Sonic sorrise appena quando capì a chi si riferiva Shadow. Chiedere di accompagnarlo, gli sembrava davvero inappropriato, in quel momento. Non ne aveva il diritto. Così rimase zitto.
Shadow s’era già allontanato di un paio di metri.
-Tu e Rouge dove siete, di base, ora?- chiese Sonic, all’ultimo.
-Molto lontano da qui.- Non avrebbe ottenuto altre informazioni, sospirò.
-Vi serve qualcosa? Medicine, cibo?- domandò ancora.
Shadow si fermò, senza però voltarsi. –Cibo. Ci farebbe comodo.-
Sonic puntò il pollice verso l’altro, anche se faker era voltato di schiena. –Lo avrai!- Era il minimo per provare a sdebitarsi, no? –Quando hai fatto con Anubis, passa a casa di Vanilla: ti daremo tutte le provviste che vuoi.-
Shadow alzò una mano, segno che aveva sentito. Partì poi a correre, e sparì dietro una collina in una manciata di secondi.
 
 
 
Anubis sospirò. Era stata una giornata mortalmente lunga. Eseguire gli ordini del capo era stato più massacrante del previsto. E le ferite gli facevano male da impazzire, aveva i muscoli a pezzi e gli stava anche venendo un mal di testa tremendo.
Borbottando tra sé e sé afferrò il primo pacco di pasta che vide dalla mensola del piccolo negozio di alimentari in cui era venuto a prendersi la cena. Sempre di pessimo umore, raggiunse la cassa. Fortunatamente non c’era fila da fare, almeno quello! Posò malamente la magra spesa sul bancone, armeggiando con la tasca per tirare fuori i soldi.
Il cassiere, un vecchio stambecco dalle lunghe corna ricurve, alzò lentamente lo sguardo. –Buongiorno.- disse, prendendo il pacco di pasta.
Anubis ringhiò in risposta. Quella giornata era tutto meno che buona.
Lo stambecco gli comunicò il prezzo e il cane allungò una mano per passargli la moneta.
Fu allora che accadde, e fu allora che Anubis capì che quella giornata sarebbe finita in un disastro completo.
A mezz’aria, sopra il bancone della cassa, apparve una luce folgorante. Il povero cassiere fece giusto in tempo a gridare che dal nulla si materializzò una figura.
Anubis non fece in tempo a tirarsi indietro. La scarpa di Shadow The Hedgehog gli si piazzò sulla mano, inchiodandola al banco. Il cane dovette serrare i denti per non gridare dal dolore, quando sentì diverse ossa troncarsi a metà sotto il peso del riccio.
Lo stambecco cadde in schiena, strisciando a ritroso contro la parete, gli occhi sgranati dal terrore.
Anubis afferrò con la mano rimanente la caviglia del riccio, tentando inutilmente di smuoverlo da lì. Shadow non fece una piega, non disse una parola. Ruotò la gamba mettendoci tutto il suo peso. Anubis questa volta gridò, mentre la scarpa del riccio gli fracassava praticamente tutte le ossa della mano destra.
Da sotto la suola di quella specie di mostro di ingegneria genetica cominciò quasi immediatamente a colare fuori il sangue. Si espanse lentamente sul bancone, gocciolando fino a terra.
Anubis, tutti i muscoli contratti dal cocente dolore, alzò finalmente gli occhi sul suo avversario.
Non appena le sue pupille dorate incrociarono quelle color d’inferno del riccio, scattò il calcio.
A piena forza, attingendo da tutta la potenza dei suoi muscoli capaci di sforzi più che notevoli, Shadow affibbiò un calcio micidiale in piena faccia al canide, tenendogli sempre ancorata al banco la mano.
Mentre il cranio di Anubis rintronava dal colpo, si sentì decollare all’indietro, con tanta violenza che si staccò da terra. Con il braccio sempre ancorato sotto l’altra gamba del riccio, lo strappo che ne seguì lo avrebbe fatto urlare, se non si fosse ritrovato la mascella fuori posto. Come se il tempo avesse rallentato, sentì le proprie ossa superiori del braccio staccarsi dalla scapola, potè chiaramente percepire i propri muscoli allungarsi, al limite della rottura, la pelle stirata come non mai. E fu allora che il dolore gli esplose nel collo, ruotato all’indietro in maniera innaturale dalla potenza del calcio sferrato. Non più solo la mascella, ma proprio il vertice della colonna vertebrale cominciava a dare segni di grave cedimento. Spezzarsi il collo sarebbe stato assai più grave. La mano, fortunatamente, scivolò fuori da sotto il piede del riccio, ridotta ormai a poco più di un ammasso di carne sanguinolenta con spuntoni d’osso. Libero dall’ostacolo che lo tratteneva, Anubis decollò sul serio.
Ma se prima il rallentamento temporale era stato solo una sua percezione, causata dall’estremo dolore, ora ebbe la certezza che il tempo si fermò davvero. Shadow lo lasciò volare fino all’altro lato del negozio, prima di congelare l’attimo di volo, poco prima che il bersaglio si schiantasse contro uno dei ripiani del negozio.
Anubis sentì il proprio corpo bloccarsi a mezz’aria, sebbene i suoi pensieri fossero ancora liberi di correre. Osservò con sgomento alcune goccioline di sangue, lievemente allungate, che gli vorticavano davanti al naso, sospese nel vuoto pure loro.
Dietro, Shadow scese dal bancone con un unico movimento, un lieve balzo e fu a terra. –Mi scusi se le ho sporcato il bancone.- gli sentì dire, rivolto al povero commesso mezzo morto dalla paura. –Ora ce ne andiamo, non si preoccupi.-
Con orrore crescente, Anubis sentì i passi di Shadow avvicinarsi lentamente, con calma, senza fretta. Tanto, Shadow sapeva che il suo avversario non sarebbe potuto scappare da nessuna parte. E quella stessa certezza stava facendo impazzire Anubis dalla voglia di scappare, o di fare un qualunque movimento per la propria difesa.
Dopo un intervallo che gli parve eterno, il riccio attraversò il locale raggiungendo finalmente il cane. Shadow gli si posizionò davanti e gli afferrò la mano rotta, spezzandogli così anche l’ultimo osso del palmo che rimaneva più o meno intero. In quel mentre, quando altre gocce di sangue andavano ad unirsi in uno schizzo in slow-motion a quelle che già galleggiavano in aria, Anubis si ritrovò a fissare le iridi scarlatte del riccio.
Vi guardò dentro e vi vide una tenebra ed un fuoco che non aveva mai immaginato potesse esistere né in quel mondo, né in altri. In una frazione di secondo, realizzò quale calamità si fosse tirato addosso. La paura gli artigliò selvaggiamente le viscere: non poteva sottrarsi, non poteva fuggire da quell’essere.
Stava vedendo in quel momento quale mostro fosse il riccio nero. E mentre il suo sguardo dorato si smarriva tra le tenebre di Shadow, Anubis realizzò tutto ciò che era capitato e ciò che sarebbe seguito. E si pentì. Con tutta l’anima, con tutto il cuore si pentì. In un solo istante la sua mente pregò, sperò con ogni singolo neurone di poter tornare indietro e cambiare quel fatto accaduto: di non premere quel grilletto contro la pipistrella. Ma il passato era stato scritto, e non sarebbe mai cambiato.
Shadow serrò la presa sulla sua mano e mentre il cervello del cane veniva invaso dalla nuova ondata di dolore arroventato, si sentì avvolgere da un’energia frizzante, quasi elettrica. Ogni sua singola cellula venne risucchiata e poi sputata fuori di nuovo.
Al soffitto di cemento del negozio si sostituì un cielo azzurro, completamente glabro di nuvole. Shadow gli lasciò andare la mano, e il tempo riprese il suo corso, allo stesso modo Anubis riprese il suo volo.
La parabola che compì durò ancora un bel pezzo e quando colpì finalmente il suolo, sentì chiaramente un ginocchio piegarsi nella via inversa a quella usuale, e l’anca cigolò brutalmente all’impatto.
Tempo di prendere un respiro che tutto il dolore gli balzò addosso affondandogli nel cuore e nel cervello le sue zanne roventi come acciaio fuso, troppo intenso per poter urlare. Ogni pensiero si estinse sul posto. Con un vuoto da vertigine, Anubis rimase steso a terra, il calore del suo stesso sangue gli bagnava la pelle.
Shadow camminava, accorciando di nuovo con tutta calma la distanza creatasi dal volo di Anubis. E mentre quei passi si avvicinavano una seconda volta, realizzò che Shadow non aveva nemmeno ancora iniziato, e lui già era in agonia.
Tentò debolmente di muovere un dito della mano integra. Non si mosse nulla. Niente.
Shadow gli era ora accanto.
-Perché?- sputò Anubis, il sangue quasi lo soffocò. La mascella inerme, e rabbiosamente pulsante, non aiutava. –Per lei?-
Le pupille del riccio si assottigliarono. –La mano, la faccia, la gamba e il collo per lei.- disse semplicemente, la voce incolore, profonda come il vuoto che aleggiava nella mente del cane. –Questo, invece, è per Sonic.-
Shadow sollevò un piede e lo abbatté sull’altro ginocchio di Anubis. La rotula andò in frantumi come un vaso di cristallo.
L’urlo che ne seguì si espanse per tutta l’area circostante. Si alzò il vento, e la sabbia del deserto invase occhi e bocca del malcapitato che aveva osato interporsi alla via di Shadow The Hedgehog, che aveva osato tentare di ammazzare una sua compagna e azzoppare il suo alleato-rivale numero uno.
Anubis si stupì di come il suo corpo non si scosse a quel tremendo dolore. Avrebbe dovuto inarcare la schiena, contorcersi.
-Se ti stai chiedendo perché non riesci a muoverti, la risposta è semplice: hai il collo rotto. Non in punti vitali ma rotto comunque. Non muoverai più un solo muscolo da qui alla misera fine della tua esistenza.- una piccola pausa, un tagliente sorrisetto. –Che per altro non tarderà ad arrivare.-
-Cosa…?- biascicò malamente Anubis.
-Cosa voglio farti? Semplice: ti ridarò pan per focaccia tutto quello che hai fatto a me, a Sonic e la sua banda, a Rouge, e alle cavie che vi divertite a fare a pezzi. Hai più di duecento ossa nel tuo corpo, cane. Ci divertiremo, non temere.-
E mentre la scarica elettrica andava a formarsi attorno al braccio del riccio, Anubis serrò gli occhi.
 
 
 
Sonic impiegò parecchio tempo per tornare a casa. Lo fece con calma, anche perché ora la gamba gli doleva abbastanza. Sospirando, abbassò la maniglia e aprì la porta.
La rossa presenza di Knuckles gli si piantò davanti. Era bendato come una mummia, stava in piedi per miracolo, ma aveva in volto un’espressione tale che avrebbe fatto indietreggiare comunque anche il più prode dei guerrieri. –Rouge?- chiese. Una domanda, una speranza.
Sonic gli sorrise. –Viva, ha detto Shadow.-
Le mani di Knuckles gli si serrarono sulle spalle e il riccio si ritrovò sbatacchiato come un pupazzo. –Come sta? Si è ripresa? La ferita avrà conseguenze irriparabili? Dimmi!-
Vedere Knuckles di nuovo attivo, parlante e scalciante come sempre, era una cosa meravigliosa, degna di rallegramenti. Se non fosse stato per il fatto che Sonic non aveva una risposta per quelle domande. –Emh …-  cominciò.
Gli sbatacchiamenti si intensificarono di frequenza. Le scarpe di Sonic si staccarono quasi dal pavimento. –Imbecille patentato! Possibile che non gliel’hai chiesto a Shadow, eh?! Che sei andato a fare da lui, allora, si può sapere?!-
Tails fece capolino dal salotto e, accortosi con orrore della malsana sfumatura viola del volto del suo amico, si gettò al salvataggio, liberandolo dalla presa dell’echidna disperato.
-Knuckles! Non fare così! Anche Sonic è ferito, sai? Già non avrebbe dovuto uscire, figurati anche se lo strapazzi così!-
L’echidna mollò il collo del riccio, di malavoglia. Borbottando, si allontanò zoppicando, immerso di nuovo nei suoi pensieri.
-Dunque?- chiese Tails, mentre Sonic respirava avidamente, riprendendosi dalla non volontaria apnea.
-Dunque, Shadow sta andando a massacrare Anubis. Mi ha detto che Rouge è viva, senza aggiungere dettagli di alcun genere, tipo il luogo o la gravità della ferita subita, né tanto meno come abbia fatto a salvarsi. E ha anche detto che non dobbiamo muoverci mai più senza il suo consenso.- una pausa. –Beh, questo non l’ha esattamente detto, ma l’ha fatto capire.-
Tails sorrise. –Beh, magari gli farà piacere sapere che abbiamo qui una sorpresa inaspettata che potrebbe ribaltare le sorti della nostra situazione.-
Sonic drizzò le orecchie. –Che sorpresa?-
Dei passi leggeri si avvicinarono dal salotto. –Ne è passato di tempo dall’ultima volta, eh?- Era una voce famigliare, candida come la neve, che non apparteneva a nessuno che abitasse nelle strette vicinanze ma che era ugualmente famigliare.
-Quanto tempo eccome!- esclamò Sonic, mentre il nuovo arrivato lo salutava scuotendo la mano guantata, avvolta da quella frastagliata luminescenza azzurra che da sempre l’aveva accompagnato.
Si sorrisero, avvicinandosi l’un l’altro. Con un forte abbraccio si salutarono nella maniera che conveniva a due compagni d’avventura, ridendo. 

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Capitolo 14
*** 13. Sangue ***





Capitolo 13
– Sangue –
 

Forse, qualcuno avrebbe potuto obbiettare dicendo che stava spingendo la questione un po’ troppo oltre, che stava esagerando. Specialmente tenendo presente il fatto che il suo “avversario” non era in grado di difendersi … non che qualcun altro ne sarebbe stato in grado, dunque nulla da ridire pensandoci bene.
Il femore di Anubis si spezzò a metà.
Colpa sua. Se l’era cercata. Non avrebbe mai e poi mai dovuto provare ad uccidere Rouge. Stava solo ricevendo indietro quello che aveva distribuito: dolore.
Calcio alla bocca dello stomaco. Sputo di sangue.
Aveva sparato Rouge ed ora, come conseguenza, lei aveva in corpo la linfa vitale del più disgustoso essere di quell’universo.
Gomito piegato al rovescio. Taglio di mano sulla nuca.
Rouge … un’amica …. l’unica … in pericolo, solo per essergli stata accanto. Di nuovo. Quel cane: aveva sparato. La voleva uccidere. Di nuovo.
Chaos Spear doppio dritto sul petto, seguito da un possente calcio.
Aveva anche provato a tranciare la facoltà di correre all’incarnazione della velocità. Nessuno poteva venir perdonato, dopo quello. Con chi altri avrebbe dovuto correre, lui, se non quella peste cobalto di riccio?
La gamba sinistra crocchiò atrocemente, il ginocchio si slogò.
Le capsule, con dentro i corpi. Chi si credevano di essere per giocare così con la vita? Non avevano capito che stavano smontando e ricomponendo esseri senzienti? Sperabile di no. L’alternativa sarebbe stata inconcepibile. Anche se, probabilmente, era proprio quella la realtà.
Spalla ruotata all’indietro, slogata pure quella.
E il passato tornò. Ancora una volta, capsule, test, esperimenti, misurazioni, scosse elettriche, iniezioni. Capsule. Tu sei un’arma. Cinquant’anni in neanche due metri quadrati.
Doppio montante con Chaos Spear.
Ma che cosa stavano pensando, eh? Che lui si sarebbe fatto prendere? Potevano sparargli contro tutti i proiettili che volevano, schierare tutti i robot del mondo, lui non si sarebbe piegato. Era stato creato così, del resto. Gliel’avrebbe fatta vedere lui, alla maniera sua. Per una volta, comportarsi da arma vivente non sarebbe stato affatto un problema. Li avrebbe fatti a pezzi. Tutti!
Spin Dash in pieno ventre, volo di dieci metri. Un braccio e una costola incrinati.
Volevano metterlo di nuovo in un laboratorio, in una capsula, esaminandolo e creando chissà quale forza militare? Sarebbe cascata la luna prima che ci sarebbero riusciti, parola di riccio!
Serie di calci e pugni. Quattro costole sbriciolate.
Volevano la guerra? L’avevano avuta. Volevano alzare il tiro? Se ne sarebbero pentiti di brutto, parola di Forma di Vita Definitiva.
Chaos Control in alto, calcio in verticale, pugno d’accompagnamento, e Spin Dash per finale.
E se avessero osato anche solo pensare di fare male di nuovo a qualcun altro oltre che a lui, gli avrebbe fatto sputare anche l’anima a suon di calci, parola di Shadow The Hedgehog!
 
 
Pensare era divenuta un’attività mostruosamente difficile. Lo sforzo di racimolare un intero ragionamento era decisamente troppo grande per le sue capacità in quel momento. La sua mente era volata via.
Aveva lo sguardo spento, da cadavere, sebbene il suo cuore battesse ancora. Ascoltando il suono del proprio respiro spezzato, con la testa voltata di lato, l’orecchio premuto contro la terra, osservava con occhi vuoti lo schizzo di sangue per terra, tempo di battere una palpebra e trascorreva tutta un’eternità. La liquidità viscosa di quella sostanza tanto importante luccicava al sole implacabile della landa desolata in cui era stato portato per morire, lontano da orecchie ed occhi indesiderati. Osservava la luce riflettersi in quel rosso, che si anneriva sempre più. L’aridità della terra screpolata assorbiva rapidamente quelle gocce inaspettate, l’aria torrida, al limite del respirabile, asciugava la superficie del sangue, coagulandolo rapidamente in quell’ammasso scuro e solido, simile in tutto e per tutto a quella stessa terra, se non fosse stato per il colore.
Era giusto vagamente cosciente del fatto che quello non era l’unico schizzo di sangue nella zona. Ne era circondato. Ma quello che aveva davanti agli occhi, era sicuramente quello più recentemente versato.
Il suo corpo non lo sentiva praticamente più, non percepiva più le proprie membra, il proprio ventre, la propria testa. Esisteva solo il martellante fuoco rosso del dolore.
Con l’orecchio appuntito appoggiato a terra, sentì i passi avvicinarsi. Non ebbe la forza, né il coraggio, di ruotare la testa verso il riccio dietro di lui.
Anubis, le iridi gialle puntate sullo schizzo di sangue, sospirò tornando a concentrarsi sul proprio respiro, cercando di ignorare la minacciosa presenza dietro di lui, ben sapendo che non poteva farci nulla. Nonostante il sole sulla pelle, dentro di sé sentiva un freddo gelido, mai provato prima.
Aveva davvero perso tanto sangue.
Si aspettava che arrivasse altro dolore insieme a quei passi. Invece arrivarono solo quelli, solo i passi. Il riccio si era fermato, e nessun dolore era giunto con lui. Anubis rimase in attesa. Ma nulla accadde.
Forse, era una pausa. Gli stava concedendo riposo?
Sarebbe stata la prima volta dall’inizio. Ma … quanto tempo era passato? Dieci minuti, un’ora, un giorno?
Senza che altro dolore arrivasse a sospingere via la mente del canide, la sua coscienza cominciò lentamente a tornare all’interno di quel corpo assai malmesso. I danni erano troppi per poter venir analizzati, sia interni che esterni. Troppe ossa rotte, troppi lividi, troppi tagli, e l’elettricità che ancora gli scorreva nelle vene rendeva impossibile fare un conteggio dei danni.
Anubis chiuse un attimo gli occhi, li sentì bruciare, asciugati dall’aria calda e dal bagliore della luce.
Uno, due, tre, cinquanta respiri, prima che Shadow si muovesse di nuovo verso di lui. Beh, non l’avrebbe mai lasciato crepare prima del tempo, no? Come sarebbe stato bello, se fosse invece successo.
Il calcio lo colpì sotto le costole, di lato. Anubis volò e atterrò brutalmente, qualche metro più in là. La sua gola ebbe un singulto, un altro fiotto di sangue gli venne alla bocca. Sputò, e altro liquido rosso andò ad annaffiare l’arida radura.
Probabilmente, una delle costole rotte s’era conficcata ancor di più nel polmone. Dentro di lui, era tutto un dolore unico, più o meno rabbioso a dipendenza dei punti. Non aveva voglia, però, di analizzare quali fossero, questi punti.
Ora, grazie al volo e all’atterraggio, Anubis aveva la testa voltata verso Shadow. Lo vide avanzare, vide l’espressione che aveva in viso. E non riuscì a pensare a niente.
La gola, ora un po’ umidificata dall’ultimo rigetto di sangue, riuscì a parlare, senza che la mente potesse farcene qualcosa. La mascella slogata dal primo calcio di Shadow era tornata al suo posto dopo una brutta caduta al suolo, qualche tempo prima. Ironicamente, poteva parlare grazie a quello.
-Chissà- cominciò, debolmente. –Come devi sentirti a vedere qualcuno morire, sapendo che a te non accadrà mai.-
Il riccio si oscurò se possibile ancora di più. Il Chaos Spear seguente parve essere più carico dei precedenti.
Anubis tossì, quando gli spasmi elettrici abbandonarono finalmente il rudere del suo corpo.
-Chissà- disse ancora. –Come devono sentirsi i tuoi amici, quando ti guardano, sapendo che loro moriranno e tu invece no. Che li vedrai spegnersi, come candele, uno ad uno.-
I Chaos Spear arrivarono in due, questa volta. La carica elettrica fece letteralmente saltare Anubis in verticale. La botta che prese alla schiena atterrando gli infranse una delle costole incrinate da una dei colpi precedenti. Il canide chiuse gli occhi, incassando il colpo, e lasciando che il dolore lo travolgesse ancora una volta.
-Chissà se sono arrabbiati con te, i tuoi amici. Forse sono gelosi. Magari, vorrebbero essere immortali come te. Ma tu non darai mai loro questo privilegio, vero?-
Il calcio che seguì quella frase centrò Anubis dritto sulla spina dorsale. Sentì le vertebre spostarsi, ed un dolore dieci volte più forte di tutto il resto lo impalò sul posto, trafiggendogli la mente. Sapeva, da qualche parte nella sua mente, che il riccio sapeva dove l’aveva colpito, e sapeva dunque che lui non sarebbe morto.
Il respiro gli si spezzò, mentre i muscoli gli tremavano tutti, trapassati da quel dolore allucinante. Dovette sforzarsi di respirare nonostante tutto, e l’effetto fu che i polmoni vennero come trafitti da una pioggia di chiodi.
A parlare, fece una fatica enorme. –Chissà cosa vedono, loro, quando ti guardano in faccia. Vedranno una macchina, un’arma, uno scherzo della biotica? Non di certo un mobiano, eh, che dici? Sicuramente, non qualcuno simile a loro.-
Shadow non aveva emesso un singolo suono da quando aveva cominciato, e il grugnito di rabbia che gli sfuggì fu un brutto segno. Molto brutto.
Di nuovo alla schiena. Calcio alla massima potenza, seguito da due Chaos Spear. Uno in pancia, l’altro in faccia.
Anubis non udì il proprio grido, ormai non si sentiva più da tanto tempo. Ma percepì chiaramente gli occhi sfrigolare alla scossa elettrica. Il suo cervello rintronò dal colpo, ma in un qualche modo resse. Scommise che quel Chaos Spear era meno forte degli altri, o del suo cervello non sarebbe rimasto che poltiglia.
-Una macchina, un robot di sangue e carne.- si sentì dire, continuando a parlare. –È così che il mondo ti vede. Che loro ti vedono.-
La mano di Shadow gli si serrò sulla gola, premendo esattamente sulle vertebre spezzate. Anubis gorgogliò mezzo soffocato, guardando con occhi per metà acciecati la luce nera che brillava furente nello sguardo del riccio. Non ebbe nemmeno l’energia per provare paura, ormai aveva appena sperimentato di tutto. C’era ben poco che potesse ancora causargli paura. Guardando quegli occhi (per il semplice fatto che non riusciva a piegare la testa) riuscì ad ansimare. –Un’arma. Non una persona.-
Il pugno che ricevette nello stomaco lo fece sussultare tutto, i suoi muscoli ormai si muovevano per conto proprio, il collo spezzato aveva isolato il controllo della sua mente.
-Chissà cosa ha pensato Rouge, quando s’è trovata il proiettile nello stomaco, sapendo che lei sarebbe morta, mentre tu, con quella stessa ferita, non avresti quasi nemmeno sentito dolore.-
Anubis avvertì il rapidissimo spostamento come una vertiginosa sensazione di vuoto nelle viscere. Shadow l’aveva schiantato a terra, tenendolo sempre ben serrato per il collo.
Il canide sentì la terra piegarsi, sopraffatta dal peso gravato all’improvviso con quell’accelerazione pazzesca.
Il respiro gli si spezzò di nuovo per il contraccolpo, mentre il collo già malmesso lo accecò dal dolore, spegnendo addirittura la sua residua capacità di pensare.
Mentre l’agognata incoscienza cominciava a calare su di lui, sentì la propria bocca sorridere, e sentì la propria voce dire. –Tu non sei mobiano. Oh, no.-
Shadow assottigliò lo sguardo, i suoi occhi si oscurarono ancor di più. E parlò. –Chaos Control.-
Anubis non ebbe nemmeno il tempo di sorprendersi a quella novità che sentì le proprie cellule risucchiate dal vortice spazio-temporale creato dal riccio. Si sentì sprofondare e poi guadagnare di nuovo sostanza. Ma la sostanza non era più solo sua.
Shadow l’aveva teletrasportato ancor più verso il basso, lui, che già era steso a terra. L’aveva teletrasportato dentro il suolo.
Solo la testa e parte delle spalle emergevano ancora dal terreno, tutto il resto era sotto.
La bocca di Anubis era spalancata in un grido di dolore, troppo intenso però per poter trovare sbocco nella voce. Il suo volto paralizzato in un atroce espressione d’orrore.
Sentiva le proprie cellule invase da particelle di terra, le poteva quasi udire sfaldarsi, soffocate da quella grezza e ruvida massa imprevista. Sentì lo stomaco fondersi con le pietre, le pareti del fegato squarciarsi. Sentì le ossa incresparsi, incorporate ora con sassi ed altro. I polmoni parvero scoppiare, forati come palloncini, terra e sassi integrati con tessuti e cellule, l’interno delle sacche d’aria interamente otturato di terriccio. Percepì i propri muscoli ribellarsi ai corpi estranei che li avevano spezzati. Percepì la terra assorbire i suoi liquidi, i succhi gastrici evadere e corrodere tutto, sassi e cellule.
Udì le vene e le arterie strapparsi, interrotte dalle minuscole scaglie di pietra, grandi in proporzione come macigni. Sentì tutto il sangue del suo corpo vagare in luoghi dove non avrebbe dovuto andare.
E il cuore arrestò il suo battito, con un sasso conficcato di traverso, e terra mischiata ai vasi capillari che alimentavano l’origine della vita di quel suo corpo.
Corpo ormai violato, invaso. Fossilizzato contro natura.
La mente di Anubis, ormai completamente incapace di pensare, non recepì nemmeno l’immagine agghiacciante della chiazza di sangue che si allargava nel terreno attorno a lui. Non memorizzò la figura del riccio, accovacciata accanto a lui, che lo guardava con freddezza.
La sua mente scivolò via. La sua vita si spense come una candela.
Finalmente!
 
 
Shadow si tirò in piedi, muovendo qualche passo indietro, spostando le scarpe dalla rotta della macchia rossa che si espandeva come olio.
Non aveva mai fatto nulla del genere a nessun nemico che aveva incontrato.
L’aveva sempre ritenuta una mossa immorale, troppo violenta anche per i suoi canoni.
Osservò il corpo ingoiato dalla terra. Rivide il corpo di Rouge piegato a metà dalla pallottola.
Da qualche parte, sentì una vocina che gli ricordò di avere appena fatto una cosa a dir poco orribile. Scosse la testa e la scacciò.
Quello era il minimo per qualcuno che aveva ucciso Rouge, che l’aveva costretto a ricorrere al sangue di Black Doom, che aveva tentato di azzoppare Sonic The Hedgehog, e che aveva giocato a fare il dio con la vita di esseri che non c’entravano niente.
Il minimo …
Mosse un altro passo indietro e si voltò, andandosene.
Restava ancora l’altro, il capo operativo, James. E poi colui dal quale prendeva ordini, il capo effettuale.
Ma ora non gli importava neanche.
Stava ancora pensando a Rouge, a quello che aveva rischiato. Il sorriso di Maria si sovrappose per un istante a quello di Rouge.
Continuò a camminare. Già che doveva andare da quell’impiastro di Sonic, doveva per prima cosa calmarsi o avrebbe rischiato di prendere per il collo pure lui. Per non parlare di Knuckles. Aveva una mezza idea di quale sarebbe stata la reazione dell’echidna. E davvero non voleva fargli male solo per l’adrenalina residua che aveva in corpo.
Cercando di ignorare il calore rovente del sole che si appicciava prepotente alla sua pelle nera, scacciò dalla mente ogni pensiero, regolarizzando a forza il proprio respiro.
Avrebbe camminato ancora un po’, decise, prima di rivedere Sonic, e dopo Rouge.
Alle sue spalle, la bizzarra tomba di Anubis diventava sempre più piccola.
In cielo, alcuni avvoltoi volavano maestosi, in cerchio, sempre più bassi.
 
 
Era venuto lì con l’intento di rivedere i suoi amici, compagni di quell’avventura che aveva stravolto la sua vita e la sua realtà. E, magari, venendo indietro in quell’epoca, avrebbe anche potuto trovare un po’ di tranquillità e staccare la mente da tutti quegli sfibranti lavori di sistemazione che avevano occupato ogni suo secondo da quando era tornato a casa, nel futuro. Casa che … era diventata mostruosamente vuota, senza di lei.
Dovevano ricostruire, imparare tutto d’accapo, scoprire come coltivare le piante, come cucinarle, come accudirle, dunque s’era tenuto occupato, aveva distratto i propri pensieri. Ma la verità è che si sentiva solo, là. La sua unica amica era …
Il cielo azzurro che per la prima volta da sempre brillava nella volta del futuro era un incentivo come non se n’erano mai visti. Tutti si impegnavano al massimo, osservando sempre con meraviglia il manto erboso che per la primissima volta cominciava a coprire la terra e i residui di roccia lavica. Ma lui, continuava a pensare al passato, in tutti i sensi.
Dopo una caccia di due settimane, aveva recuperato Smeraldi a sufficienza ed aveva intrapreso il viaggio all’indietro nel tempo. Arrivando a casa di Sonic, non aveva affatto tardato a scoprire che là, nel passato, c’erano invece non pochi problemi, e non poche preoccupazioni.
Avevano appena terminato di raccontagli quale incresciosa situazione si stava avverando. Le conseguenze, le poteva vedere anche da solo.
Bende, stecche, cerotti e lividi, musi lunghi e tirati, stanchezza palpabile. Sonic specialmente: vederlo zoppicare era … semplicemente sbagliato. Come vedere l’acqua bruciare. Non era concepibile.
Non erano solo le gambe ad averlo messo in allarme, erano anche l’atteggiamento del riccio ad essere cambiato. Il sorrisetto di scherno era sempre al suo posto, l’atteggiamento spavaldo era rimasto invariato, le movenze erano sempre quelle. Ma una luce nuova, più tempestosa, brillava ora negli occhi verdi di Sonic.
Era preoccupato, evidente. E forse anche intimorito da qualcosa. In ogni caso, era sicuro che aveva la sua matassa da sbrogliare, l’eroe di Mobius.
Dopo ciò che aveva sentito nel racconto riassuntivo, aveva le sue buone ipotesi su cosa stesse frullando nel cervello del riccio, specialmente dopo una batosta come quella appena subìta. Una battaglia semplicemente disastrosa, grazie al cielo Rouge stava bene, sembrava.
La sua precedente idea si rafforzò: era arrivato nel momento perfetto, proprio quando occorreva aiuto.
-Non serve dire che combatterò con voi, vero?- commentò, guardando il riccio blu.
rispose Sonic, pollice verso l’alto. –Una mano in più non guasta, se poi sono due anche meglio. E se sono anche magiche, come le tue, non si potrebbe proprio desiderare altro!- rispose Sonic, pollice puntato verso l’alto. Tails, seduto lì accanto, annuì. –Grazie davvero.- aggiunse.
Silver sorrise. –Non era comunque una questione da discutere. Vi avrei aiutati anche se voi non aveste voluto.-
Sonic sospirò, massaggiandosi un orecchio. –Beh, Faker questo concetto proprio non riesce a capirlo, pare. Il tuo è stato il discorso perfettamente opposto al suo.-
Il riccio argenteo si voltò verso di lui, la fronte aggrottata. Con “Faker” Sonic si riferiva senz’altro a Shadow, quel misterioso e solitario individuo con cui e contro il quale aveva combattuto. Non sapeva quasi nulla di lui, ma non gli ci era voluto molto per comprendere che era meglio non importunare un tipo del genere.
Da quello che gli aveva detto Tails, era proprio Shadow il protagonista delle scomode vicende di quelle ultime settimane. Silver strinse le mani, era difficile immaginare che qualcuno, o qualcosa, potesse mettere così in difficoltà il riccio nero.
-Non è mai stato il tipo da accettare volentieri una mano, vero?- domandò piano Silver.
-Proprio no!- confermò con enfasi Sonic.
La porta si aprì in quel mentre, Amy e Vanilla fecero il loro ingresso, cariche di borse della spesa e fagotti. Sonic aveva riferito loro l’unica richiesta di Shadow: cibo. E le due si erano subito precipitate a comprarlo, lasciando così il tempo a Tails e Sonic l’occasione di raccontare nei dettagli a Silver tutto quello che era capitato.
Scambiati i saluti, la riccia rosa chiese subito, guardandosi in giro –Shadow non è ancora tornato?-
Sonic scosse la testa. –Credo abbia voluto fare le cose con calma.-
Un brivido attraversò la spina dorsale di Silver. Aveva solo potuto intuire cosa fosse andato a fare Shadow, s’era rifiutato di chiedere i dettagli.
Knuckles, seduto ai margini del salotto, alzò lo sguardo senza particolare interesse verso Amy, che si avvicinava a loro, mentre Vanilla andava in cucina, con le sacche della spesa. Silver osservò l’echidna rosso. Lui, tra tutti, era quello più preoccupante. E non solo per le ferite. Aveva uno sguardo che incuteva angoscia. Probabilmente, c’entrava Rouge.
E Silver ora poteva capire con molta più facilità quello che doveva provare Knuckles, nell’incertezza della sorte di un’amica. E capiva anche cosa aveva dovuto provare Shadow sull’ARK. Sonic gliel’aveva raccontato sbrigativamente prima che lui ripartisse per il futuro, nell’ultima sua visita.
Sospirando, osservò Knuckles, e lo guardò con occhi diversi. Aveva provato su pelle la sua stessa sensazione, anzi, anche peggiore. Non lo stesso poteva dire di Shadow … un orrore così profondo lui non l’aveva ancora visto, anche se c’era andato vicino.
Se Blaze  …. se ne fosse andata nella stessa maniera di Maria … era sicuro che la sua mente non avrebbe retto: sarebbe impazzito senz’altro. Non poteva che provare rispetto per il riccio nero.
-Parlando del diavolo…- La risatina di Sonic lo distolse dai suoi pensieri.
Lo schiocco di Chaos che tagliò a metà il temporaneo silenzio che regnava sulla stanza fece vivamente sobbalzare Silver, la luce lo abbagliò, ed una figura nera si materializzò a mezz’aria. Sonic sorrise, Shadow rischiò di inciampare nel tavolino del salotto di Tails, masticò un imprecazione e fece qualche passo indietro borbottando qualcosa che suonava come un “È già la seconda volta…”.
Silver si ritrovò a fissare la schiena di Shadow, che ancora non l’aveva visto. Doveva ammettere che non era cambiato di una virgola, era rimasto esattamente lo stesso, a differenza degli altri. Certo, le variazioni in Sonic e compagni erano state minime, ma c’erano state. Aculei di qualche centimetro più lunghi per Amy, qualche millimetro in più d’altezza per Tails, muscoli magai un po’ più accentuati negli amici rossi e blu. Ma Shadow era rimasto completamente invariato.
Il nero senza fondo catturò lo sguardo di Silver. Non ricordava Shadow così scuro. Ovviamente, sapeva benissimo che il suo colore era il nero, ma a differenza di altri mobiani che aveva conosciuto in quegli ultimi mesi che vantavano la stessa colorazione corporea del riccio, la pelle di Shadow sembrava ingoiare la luce. Nessun riflesso, anche minimo. Nessuna tonalità d’ombra più scura. Nulla di nulla. Solo puro nero uniforme. Quasi innaturale.
-Hai fatto?- gli chiese Sonic.
Un secco cenno del capo da parte di Shadow fu la sola risposta che ottenne. Ovviamente, niente dettagli.
-È da un bel po’ che non ci si vede, eh?- lo salutò Silver, facendogli un cenno con la mano.
Il riccio nero si voltò. –Silver-. Una constatazione, o un saluto? Impossibile dirlo. Se Shadow era rimasto sorpreso dalla sua presenza, lo mascherò bene.
Il mobiano argenteo sorrise comunque, ben felice. Quando incrociò lo sguardo del riccio si accorse che effettivamente qualcosa in lui era cambiato. Aveva un’aggressività negli occhi che prima non c’era.
-Come stai?- gli chiese Silver, scacciando l’impulso di alzarsi e stringergli almeno la mano, rimanendo seduto. La scossa elettrica che avrebbe ricevuto in risposta non gli sarebbe di certo piaciuta. Sentiva ora come mai prima che aveva un saldo punto in comune con il tenebroso riccio. E sorridendogli si sentì come al cospetto di qualcuno con un’esperienza infinitamente maggiore della sua. Silver non aveva ancora superato … Shadow invece sì.
-Al solito.- fu la stringata risposta. La seguente domanda sorprese Silver. –E tu?-
 
Quando Silver sobbalzò alla domanda, un lieve strato d’irritazione sobbollì in lui. Perché quella reazione?
Shadow piegò leggermente la testa di lato, attendendo la risposta. Se uno aveva in faccia una tale espressione depressa era normale chiedere, no?
-Sto abbastanza bene, grazie.- fu la tenue risposta.
Shadow fissò ancora Silver, controllando di nuovo, anche se non si era affatto sbagliato. Gli occhi d’oro fuso di Argento erano sicuramente più spenti dall’ultima volta che l’aveva visto. Non erano più di quel morbido giallo, scintillante di curiosità e speranza. Non v’era più traccia ne di una ne dell’altra. L’oro liquido s’era indurito, solidificato. Anche la sua postura era diversa, più rigida, il suo corpo s’era fatto più secco e più nervoso. Il scintillio argenteo non era svanito dalla sua pelle madreperlacea, ma i guizzi di luce azzurra avevano movenze più scattanti e meno armoniose.
Non era affatto difficile scovare i segni del suo dolore, se si sapeva cosa cercare.
Niente più ingenuità nello sguardo di Silver. Solo un’opaca rassegnazione, lo spettro di una maturazione piombatagli addosso troppo in fretta, cicatrici di solitudine e abbandono. Niente più pace nella sua mente.
Blaze … aveva lasciato il suo segno.
E Shadow capiva particolarmente bene questa cosa. Anche per quello aveva chiesto.
Con la stessa certezza, sapeva che Silver non stava bene. Non che ci fosse molto da fare, al riguardo.
Per quanto riguardava l’impiastro color mirtillo che gli stava seduto accanto, sembrava assorto nei suoi pensieri, il che sarebbe stato la prima volta, e pareva anche serio, sebbene tentasse di nasconderlo a suon di sorrisi e battute. Shadow si rallegrò, badando bene a non mostrarlo: Sonic aveva capito il messaggio, per una volta, il suo discorsetto di qualche ora prima era stato produttivo. Poteva star sicuro che Sonic non avrebbe più commesso la stessa sciocchezza. Aveva compreso cosa aveva comportato il suo agire avventato. Se una cosa davvero importante per lui c’era, erano senz’altro i suoi amici. Vederli tutti in pericolo in una volta sola, aveva avuto il suo buon effetto.
Un ringhio furente fece voltare Shadow. Un’echidna alquanto alterato sbuffava nella sua direzione.
Più rapidamente di quanto una persona in quelle condizioni, con quella quantità di bende addosso, avrebbe mai potuto muoversi, Knuckles si piazzò esattamente davanti a Shadow, fronteggiandolo apertamente.
-Dov’è Rouge? Sta bene?-
Niente mezze misure per l’echidna. Quando mai c’erano state? Comunque, Shadow se l’era aspettato. Notò solo allora il silenzio che era calato sulla stanza, tutti guardavano ora lui, ora l’echidna.
-È viva.- disse solo.
Knuckles strinse le mani a pugno. –Sta bene?- ripetè di nuovo, a voce più alta, incalzante.
Shadow esitò una frazione di secondo. La verità? Non lo sapeva nemmeno lui.
-La ferita è rimarginata, è sveglia e ha anche parlato. Mi sembra sia tutto a posto.- disse, sperando che bastasse.
Gli occhi di Knuckles si fecero sospettosi, ma la spiegazione sembrò bastargli. Era un tipo che si accontentava di poco, lui. Il silenzio si fece ancora più pesante.
L’accusa seguente fece crollare la speranza che l’echidna la smettesse in fretta. –Dove l’hai portata, si può sapere, eh? Perché non è in ospedale da dei medici competenti?-
-Non era sicuro, là. Avrebbero potuto venire a cercarla e finire il lavoro.-
Il brivido che trapassò l’echidna fu quasi visibile ad occhio nudo. Tails mosse qualche passo verso Knuckles, sfiorandogli il braccio come a volerlo riportare indietro ad una distanza meno ostile. –Andiamo, Kncukles, non è necessario far…- L’echidna se lo scosse via di dosso, agitando il braccio.
 –E come accidenti ha fatto a guarire, eh?- ruggì subito dopo. -Dove l’hai portata? Che cosa le hai fatto?-
Era un’accusa, la sua. Quasi un insulto. La rabbia di Knuckles si incendiò ancor di più.
-L’ho portata in un luogo sicuro, irraggiungibile, molto lontano da qui. Ed ho fatto solo il necessario per non lasciarla morire.- disse, rimanendo di nuovo sul vago. La sua calma si stava incrinando.
Le pupille di Knuckles erano tanto ristrette da sembrare quasi feline, o serpentine. –Dove. Hai. Portato. Rouge!-
Shadow assottigliò lo sguardo, quando notò il guizzo che aveva percorso le braccia di Knuckles. Avrebbe anche potuto attaccare, ma non avrebbe mai osato. Le iridi color sangue di Shadow scintillarono, piegò la testa di lato, e qualcosa scattò in lui. Le immagini di quello che era accaduto mezz’ora prima gli tornarono a balenare davanti agli occhi, come se non fossero passati neanche due minuti. Non era proprio giornata per giocare al tira-molla con lui. Proprio no.
Sospirando, fece un passo in avanti, occhi fissi in quelli di Knuckles. L’echidna impallidì impercettibilmente, e si spostò indietro.
-L’ho portata sull’ARK. Un posto sicuro. Irraggiungibile.- sibilò, sempre mantenendo il contatto visivo diretto con il mobiano rosso. –Dunque se speravi di andare a visitare la tua donzella te lo puoi anche scordare. Rouge scenderà dall’ARK e tornerà qui nel presente solo e soltanto quando lo vorrò io. Anche volando, non la potresti raggiungere.-
Il silenzio ora s’era fatto di tomba, tanto denso da poter esser tagliato con il coltello, o forse era più adeguata una motosega. Non osavano quasi neanche più respirare, né il pubblico né l’echidna.
Gli occhi di Knuckles erano fissi sul pavimento già prima che Shadow finisse di parlare. Era visibilmente sorpreso e anche frustrato, la rabbia bolliva in lui, ma non si sarebbe mai permesso di prendersela con lui. Non dopo aver ridimensionato le posizioni così efficacemente.
-Ho capito. D’accordo.- borbottò, arretrando ancora e tornando dove si trovava prima. –Ma … lei sta bene sul serio, vero?- domandò ancora alla fine.
Shadow calmò a forza la propria espressione, sperando di sembrare meno minaccioso, ricordandosi che Knuckles era sinceramente in pena per le sorti della componente del Team Dark. –Sì, credo stia bene. Anche se sono assente da un po’. Forse e’ peggiorata nelle ultime ore, non saprei dirlo.-
-Dunque, ora torni sull’ARK?- pigolò Tails, l’espressione ancora allibita, forse sperava di cambiare argomento.
-Tra poco.- confermò Shadow, voltandosi verso di lui.
Sonic indicò la cucina. –Avete bisogno cibo, no? Ne abbiamo un po’.-
Non finì nemmeno la frase che Amy era già schizzata ad aiutare Vanilla a portare le borse da Shadow.
Non lo volevano far camminare, pareva.
Si permise un lungo sospiro. Quella, non era proprio giornata.
-Le prossime mosse?- domandò Sonic, piegandosi in avanti sulle ginocchia, sempre seduto.
-Aspettare che Rouge si riprenda. Poi vedremo.-
-Mi piace!- ridacchiò Sonic. –Per una volta, siamo d’accordo! In ogni caso, pure da queste parti è necessario del riposo. Tornare immediatamente in azione non sarebbe possibile.-
L’atmosfera si stava tranquillizzando, la tensione si scioglieva pian piano.
-Attento, però. Potreste ricevere visite non desiderate. Sarebbe possibile che vengano a cercarvi ora che siete malmessi. Con Silver, però, non credo avrete problemi, anche se siete tutti malconci.-
Sonic annuì, anche se gli lanciò un’occhiataccia per avergli detto di essere inutile.
-Già che non siete capaci a rimanere fermi.- aggiunse Shadow. –Ci sarebbe anche questo.-
Estrasse un dischetto e lo consegnò a Tails.
-Cos’è?-
-Una copia delle informazioni che io e Rouge abbiamo preso dal laboratorio che abbiamo distrutto.- Evitò accuratamente di segnalare il motivo per cui avevano davvero rischiato di non poterle scaricare tutte, quelle informazioni.
Gli occhi del volpino sprizzavano scintille. –Oh, analizzerò ogni singolo bit!-
-Ultima cosa.- aggiunse Shadow. –Non fate una singola mossa fino a quando non si sarà ripresa Rouge. Se vi cacciate nei guai, non verrò a salvarvi. E questa volta vedete di ricordarvelo-
Sonic stiracchiò un sorriso tremolante. –Non usciremo da qui, promesso!-
Shadow si spostò verso le borse con le provviste. –Non un solo passo.- disse ancora.
Sonic piegò la testa indietro, contro il divano. –La lezione l’ho capita, se era questo il problema.- E non stava sorridendo, mentre parlava.
Il riccio nero lo guardò ancora un attimo. –Forse tra tre giorni ci sentiremo ancora.-
-Solo tre giorni?- Starnazzò Knuckles. –In tre giorni non si guarisce da un colpo di pistola!-
Shadow lo ignorò, attinse agli Smeraldi e preparò il teletrasporto, selezionando con cura luogo e linea temporale. Non poteva dire loro del sangue di Black Moon … semplicemente, non poteva.
Sperando che loro rimanessero effettivamente lì, buoni e fermi, si teletrasportò via, diretto da Rouge.
Con Silver, però, le forze in campo si erano ristabilite. Anche con uno scontro diretto, forse, ce l’avrebbero potuta fare.
Ottimo tempismo, Argento!
 
 
Rouge era in piedi. Ansimava.
Costringere le gambe a reggerla era stato più complicato del previsto, e più faticoso del previsto. Ma ora era in piedi, accanto alla finestra e guardava fuori. Stranamente, la pancia non le doleva, nemmeno nel punto in cui era stata colpita.
Pensava distrattamente, osservando le stelle, nitide più che mai.
Lo scoppiettare elettrico del Chaos Control annunciò l’arrivo di Shadow, e con lui apparvero anche tre borse cariche di cibo, specialmente alimenti facili da conservare.
-In piedi?- osservò il riccio.
-Sentivo il bisogno di stiracchiarmi un po’. Ho dormito troppo.- sorrise.
Calò un attimo il silenzio.
-Anubis ha pagato.- disse. –Lentamente.- aggiunse.
Rouge si voltò verso Shadow. Sorrise tristemente. –Bene.- Guardò il pavimento. –Grazie. Di averlo fatto, intendo.-
-Credimi, è stato un piacere.- sogghignò.
Indicando le borse, la pipistrella chiese. –Notizie da Sonic?-
Shadow spostò il peso su di una gamba. –Silver è tornato. Knuckles è in pena per te. Gli altri sono abbastanza malconci, ma non in modo permanente. Torneranno ad essere in breve la solita banda di scapestrati.-
-Silver?- Rouge era sinceramente sorpresa. –Come mai?-
-Non gliel’ho chiesto. Ma credo si senta solo, senza Blaze.-
-Ah.- Immaginava fin troppo bene.
-Tu? Come ti senti?- le chiese Shadow. –Qualcosa … di particolare?-
Lei scosse la testa. –Nulla di notevole.- Ed era vero, a parte la paralisi ormai debellata e l’improvvisa ondata di energia che l’aveva travolta. –Mi sento molto bene, ad essere onesta.- aggiunse, sorridendo al riccio, per rassicurarlo. Dire se funzionò era ben difficile.
-Porto queste di là.- Annunciò il riccio, sparendo con le borse per poi riapparire solo. Spostamento assai rapido. Rimpianse i viaggi che doveva fare lei per trasferire la spesa dall’ingresso alla cucina.
Abbassò lo sguardo al pavimento, senza incontrare gli occhi del riccio. Si tenne un braccio con una mano.
Rouge deglutì. Doveva chiedergli qualcosa, ed era urgente. Ma non ne aveva il coraggio.
-Shadow, ascolta.- cominciò. Non dovette controllare per sapere di avere la sua completa e incondizionata attenzione. –Tu prima hai detto che i macchinari in quei laboratori sono uguali a quelli dell’ARK, giusto?-
-Sì.-
-Questo …- esitò -… questo significa che hanno fatto anche a te quelle cose che hanno fatto subire a quelle povere creature, vero?-
Silenzio.
Shadow non rispose.
Il che era una conferma. Rouge si sentì sprofondare. –Mentre andavo al database del centro di ricerca … ho visto … molte cose.- Sentì Shadow sospirare. Alzò lo sguardo su di lui, preoccupata.
Lo trovò voltato di schiena.
-Non avresti dovuto nemmeno entrare in quei laboratori.- disse, voce piatta, incolore.
-Ma ci sono entrata.- disse. –Ed ho visto.- esitò. –Anche tu hai …?- lasciò cadere la frase, ma lui aveva di sicuro capito.
-Sì. Anche a me.- una pausa. –Che tu ci creda o no, è una cosa normale. Era una cosa normale, per me. Ma non pensare che l’ARK e quei laboratori siano simili. Non c’è paragone tra il modo in cui gli esperimenti vengono svolti laggiù su quelli che venivano effettuati qui, su di me.- altra pausa. –Sull’ARK si cercava una cura, che era nel mio corpo. Dovevano analizzarmi. E per curare Maria, questo e altro. Non erano affatto un problema per me, quei test.- un’altra pausa. Rouhe si pentì di averlo chiesto, stava riportando Shadow troppo indietro nel passato. Sapeva di avergli fatto male. Lui riprese, con lo stesso tono di voce incolore. –Ma i ricercatori dell’ARK lavoravano nel rispetto della vita, e nel rispetto mio. Cercavano di non sforzare mai troppo. Cercavano di ridurre al minimo il dolore. Non come i laboratori delle bioarmi di quella gente senza moralità. Questo tienilo bene a mente.-
Shadow cercò il suo sguardo e lo trovò. Rouge aveva la gola serrata. –Scusa. Non avrei duvuto chiedere.-
-Non fa niente.-
Rimasero qualche istante in silenzio, finendo entrambi a guardare di nuovo le stelle.
-Ti dispiace se vado a dormire? Hai ancora bisogno di qualcosa?- domandò Shadow.
-Non devi mica chiedere il permesso!- sbottò Rouge. Si accorse poi con sgomento di non ricordare quand’era l’ultima volta che aveva visto il riccio dormire. E la cosa la spaventò non poco. Forma di Vita Perfetta o meno, dormire era più che necessario anche per lui.  –Va’ pure. Anzi, va’ subito! Hai bisogno di riposo più di me.-
E poi da quando Shadow chiedeva una pausa? Doveva proprio essere esausto. Una giornata eterna.
Lui la scrutò ancora qualche attimo prima di decidersi. –Vado, allora.-
Si avviò verso la porta, camminando.
Prima che uscisse, però, Rouge si ricordò una cosa. –Aspetta un attimo. Sai per caso dove potrei fare una doccia? Ne avrei davvero bisogno.-
Shadow ci pensò un attimo. –Corridoio a destra. Terza porta a sinistra. Tutto dritto e poi a sinistra di nuovo.-
Rouge lo ringraziò, e si congratulò con sé stessa per aver ricordato di chiederglielo. Avrebbe anche potuto vagare tutta la notte per l’ARK prima di trovare i bagni. E non voleva proprio capitare per caso in quella stanza. Le sarebbe sembrata una violazione nei confronti di Shadow.
Si avviò, dunque, del riccio già non si vedeva più l’ombra. A passo titubante seguì le indicazioni. Fortunatamente aveva una buona memoria e non tardò a trovare le docce. Non aveva idea di che ora fosse, ma la pelle appiccicaticcia esigeva acqua.
Sperando che funzionassero ancora, aprì la porta ed entrò. Era una stanza con sei cubicoli, ognuno contenente doccia e mensole per asciugamani, balsami e vestiti di ricambio. Recuperò da un armadio un asciugamano, confidando nel livello di pulizia dell’ARK, e si diresse verso una delle docce.
Si liberò rapidamente dei vestiti e regolò l’acqua. Per miracolo, il sistema di riscaldamento funzionava ancora, e l’acqua calda era un’opzione praticabile.
Sorridendo si lasciò massaggiare dal getto della doccia. La pelle si rilassava, i muscoli si distendevano, e una pace immane cominciò a pervaderla. Mentre si scaldava grazie al calore dell’acqua, tutta avvolta nel vapore, cominciò a sciacquarsi i capelli.
Portandosi dunque le mani oltre il viso, inorridì quando notò un dettaglio. Lasciò perdere l’operazione e si afferrò un polso.
La cicatrice era sparita.
Una vecchissima scottatura che fin da bambina le aveva marchiato per qualche centimetro la pelle era svanita nel nulla. Toccò incredula il punto in questione, la pelle elastica, perfettamente immacolata, era soffice al tatto.
Deglutì.
Possibile … che il sangue di Shadow la stesse curando oltre il necessario?
Controllò freneticamente altri punti in cui sapeva avere cicatrici. Sulla spalla, su di un braccio, su un polpaccio, sul di un fianco. Piccole cicatrici, residui di una vita da ladra, erano svanite. Anche quella nuovissima, dello sparo subìto quattro giorni prima non restava neanche una singola traccia.
Con i vestiti addosso, non l’aveva notato prima.
Non sapeva cosa pensare.
Da un lato era ben felice di riavere indietro la sua liscissima pelle immacolata. Dall’altro, era atterrita all’idea che il sangue di Shadow stesse invadendo con tanta prepotenza il suo corpo.
Chissà perché non s’era aspettata che tra gli effetti collaterali vi fosse una revisione intera del suo corpo.
Rimase sotto l’acqua ancora un po’, godendosi ancora il getto caldo.
Quando ebbe finito, si infagottò nell’asciugamano, levandosi di dosso tutte le gocce residue. Si infilò di nuovo nei vestiti e raggiunse uno specchio. La condensa del vapore l’aveva annebbiato, ma con un gesto della mano lo ripulì.
Si osservò il viso da ogni angolatura, da molto vicino.
Ed esultò selvaggiamente di gioia. Quelle odiose, minuscole e minacciose rughe agli angoli degli occhi e sull’arcuatura del naso, che lei aveva nascosto con chili di fondotinta e di cui aveva il terrore anche solo a pensarci, erano sparite. Sparite! Esattamente come le cicatrici di battaglia.
Saltellò per tutto il bagno ancora per diversi minuti in preda alla felicità, accarezzandosi senza sosta la pelle morbida e perfetta come quella di un bambino.
Il primo effetto collaterale del sangue di Shadow era stato un successo! Assolutamente un successo!
 
 
 
-Ci restano solo due laboratori, Signore.- deglutì James. –Quello ad Ovest, e quello sul mare.-
-L’ultima volta che abbiamo parlato erano quattro.-
James esitò. –Sono … emh … sono successe alcune cose.-
Ringhio.
James si affrettò a fornire dettagli. –Shadow e Sonic hanno attaccato in simultanea due dei nostri laboratori.-
-Dunque, ora abbiamo la via libera per togliere di mezzo il puntaspilli blu.-
-Così parrebbe, signore.- Non gli disse di Rouge, dello stringato rapporto di Anubis The Dog e della sua prevedibile scomparsa. Meglio non far sapere al capo che Shadow era a dir poco furente.
-Prepara una controffensiva degna di venir chiamata tale, in tutte e tre le basi rimaste. I due laboratori e poi Alpha. Rafforzare tutte le misure di sicurezza di quest’ultima, e mandare pesanti forze armate nei centri di ricerca, più in particolare su quello di terra. Sonic non andrà mai in una base subacquea. Dunque, lo troveremo senza dubbio sulla terra ferma.-
-Sì, Signore. Ricevuto, Signore.-
-E le nostre bioarmi a che punto sono?-
-Teta567 ha completato con successo l’operazione d’inserimento di armi da fuoco e armi chimiche. Zeta 587 riporta ancora problemi a rispondere ai comandi, continua a fare di testa sua. È stato trasferito nel laboratorio nel mare per accertamenti. Eta566 …- esitò, alzando lo sguardo e guardando oltre il vetro protettivo. –Lui ha finalmente capito come si combatte. Non credo di esagerare affermando che tra i tre, lui è il più micidiale.-
-L’unica cosa che avresti potuto comunicarmi se ci tenevi alla pelle. Passo e chiudo.-
La comunicazione si interruppe, James sospirò di sollievo.
Mosse qualche passo verso la finestra d’osservazione. La gamba metallica cigolava, ed era mostruosamente pesante, ma riusciva ugualmente a camminarci sopra, anche nonostante il dolore dell’operazione.
Incrociò le braccia, ora nuovamente due, mentre guardava distrattamente il combattimento che si svolgeva al piano di sotto.
I robot d’assalto erano quattro, ma la scheggia metallica che correva tra di loro, rapida come il vento, aveva senz’altro la meglio. Il topolino spiccò un balzo atterrando sulla testa della macchina più vicina, caricò il colpo al plasma nella canna posta sul braccio sinistro e fece fuoco. L’onda d’urto lo spedì in aria, ma con una capovolta atterrò con leggerezza. Un altro colpo già caricato. Il massiccio corpo del robot, ormai fuso nella parte superiore, crollò a terra. Il botto che seguì sollevò una notevole coltre di polvere e terriccio. I sensori dei tre rimanenti robot vennero oscurati. Il flash bianco del colpo al plasma esplose, accecando temporaneamente lo sguardo del solitario spettatore. Un altro robot finì a terra. Eta caricò di nuovo l’arma e sparò un colpo incendiario contro il nemico a terra. Mirando esattamente al generatore d’energia.
L’esplosione fece tremare i vetri della cabina d’osservazione di James.
Un altro robot era stato sfaldato dall’onda dell’esplosione. Il metallo mezzo colato gocciolò a terra. Eta balzò sulla testa della macchina, che gli fece da trampolino, balzando così in aria, esattamente sopra all’ultimo nemico rimasto. Dall’alto fece fuoco, in verticale il bersaglio non ebbe la possibilità né di vederlo né di schivarlo.
Terza esplosione, il cui spostamento d’aria investì in pieno il piccolo cyborg, che non si fece cogliere impreparato. Come prima, atterrò dolcemente, a debita distanza dalle fiamme, come se nulla fosse successo.
James sorrise, sinceramente soddisfatto, mentre il piccolo Eta abbassava la testa, chiudendo forte gli occhi, denti serrati.
Era incredibile il cambiamento che c’era stato. Era bastato dire al piccolo gioiello di genetica e biomeccanica che, se non avesse combattuto ancora, la sua cara Lucy se la sarebbe vista brutta. Eta non aveva neanche preso in considerazione l’opzione di una menzogna, aveva annuito e da quel giorno nell’arena c’era una strage ogni volta che lui entrava in campo.
Era così bello vedere finalmente un esperimento combattere usando il cervello!
Forse, sarebbe stato proprio lui quello che avrebbe potuto tener testa alla Perfezione.
Una campanella suonò, indicando la fine dello scontro. E dell’allenamento, anche. Quella giornata era finita.
Eta si avviò a passo mogio verso la porta, James fece altrettanto. Voleva raggiungerlo e parlargli.
Avevano scoperto che poche parole di incoraggiamento facevano miracoli sul cervellino del piccolo topo.
L’ascensore lo portò al piano di sotto. Raggiunse il combattente, già accerchiato da scienziati che ne controllavano le pulsazioni e i valori.
-Sei stato davvero bravo, Eta.-
-Grazie, James.- il topino provò a sorridere, ma era evidentemente triste.
-Se continui così, riavrai sicuramente indietro la tua Lucy prima che tu te ne accorga.- disse ancora l’uomo, mettendo una mano sulla spalla del topolino.
Eta aggrottò la fronte, forse non comprendendo appieno la frase del capo organizzativo della base. Sospirò, affranto, ma una luce fiduciosa gli brillava negli occhi.
-Stavo pensando, James.- cominciò. –E se Shadow mi taglierà la coda quando andremo da lui a riprendere Lucy?-
James sgranò gli occhi. –La coda?- ripetè. –Perché dovrebbe farlo?- Incredibile come fosse distorta la lista delle priorità del piccolo topino.
Eta fece spallucce. –Mi piace tanto la mia coda. Non vorrei perderla, se possibile.-
James si spalmò una mano sulla faccia. A quel muso supplichevole non si poteva resistere, e poi non era rilevante cosa indossasse il topo sulla coda. L’importante era che combattesse al massimo delle sue capacità senza distrazioni. –E va bene!- esclamò. –Avrai la tua corazza per coda, va bene?-
Gli occhioni dell’esperimento si illuminarono come lampadine. –Davvero?- squittì.
-Sì, davvero.- ripetè James, sprecandosi anche a fargli un sorriso.
I ricercatori accompagnarono via il topino raggiante di gioia, che si teneva in mano la lunga appendice di fine schiena alla quale tanto teneva. James lo guardò andarsene a riposare, prima di fermare uno degli scienziati.
-Inventati una corazza funzionale per la coda di quel ratto. Magari falla anche affilata e tagliente, così da non renderla proprio del tutto inutile.-
-Sì, signore.-





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Ecco, finito! Nuovo capitolo, finito!
Non immaginate la complicazione, specialmente nella parte iniziale. Spero tanto di aver concluso qualcosa di decente (e appagante :3) da leggere.
Abbiamo visto che Silver è tornato, che Sonic ha capito la lezione, che Rouge ha cominciato a notare i primi segni di effetti collaterali, che James sta guarendo e complottando, e che Eta ... beh ... è stato costretto a diventare l'arma che è nato per essere. 
In sostanza, questo era uno degli ultimi capitoli di calma. Dal prossimo, ricominceranno le sparatorie, se tutto va bene. 
Se qualcuno di voi si sta chiedendo che fine ha fatto Shell .... la risposta è che in questo capitolo non ci stava ^.^"  Chiedo venia. La rivedremo alla prossima puntata!

R.I.P. Anubis


Saluti a tutti,
Phantom

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Capitolo 15
*** 14. Zeta587 ***


Se un autore o un autrice porta nel nome il famigerato numero tredici, ci si aspetta che arrivati al tredicesimo capitolo (cioè quello precedente a questo), capiti qualcosa di spiacevole. Io non sono il tipo che crede a cose del genere, ma è capitato davvero ^.^
Lo scorso capitolo, mi hanno fatto notare da dietro le quinte che nella serie di Sonic, a dispetto di quello che credevo io, Blaze non è mai morta.
Ora, io vi avevo avvisato all'inizio di questa fic che le mie conoscenze in ambino sonicchiano erano ridotte e che un qualche erroraccio poteva scapparmi. E mi è scappato esattamente al capitolo 13. Mi credete se vi dico che io ero sinceramente convinta che Blaze fosse morta per sigillare Iblis? ^.^" Sono più sbadata del previsto, pare. Ne ho fatta un'altra delle mie, e in una maniera davvero imbarazzante, e priva di rimedio.
Chiedo scusa a tutti per l'inconveniente, e vi chiedo anche di chiudere un occhio, o magari tutte e due, se potete. Anche perchè il fatto che Blaze sia morta rientrava nei miei piani per questa fic, all'inizio (avevo un paio di progetti per Silver). E avevo in mente una o due scene che la riguardano ... potrei eliminarle ma penso che sarebbe un peccato. 
Dunque, la mia domanda è: Potete per favore chiudere un occhio sul pasticcio che ho combinato? 
Spero tanto di sì.

Ora la smetto di annoiarvi e vi lascio a leggere. 
Dal titolo, potete capire che succederà qualcosa di brutto, ma ora mi cucio la bocca e la smetto davvero!
Come sempre, io ce l'ho messa tutta.
Vi chiedo ancora scusa.

Enjoy! 
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Capitolo 14
–Zeta587-

 
 
Era mattina, nemmeno era spuntato il sole, e già il telefono suonava. James ruggì, scalciando via la coperta. Svegliare lui a quell’ora!
Qualcuno avrebbe pagato con atroci sofferenze!
Sradicò la cornetta dal telefono e urlò. –Chi accidenti è l’idiota che mi chiama alle cinque e un quarto del mattino?!-
Un pigolio strozzato appena udibile dall’altro lato del telefono fece drizzare le orecchie al rudere d’uomo svegliato nel suo placido sonno. –Squadra Analisi, signore. Faccio rapporto, signore.-
Squadra Analisi? Che accidenti era?
Ricordò vagamente di aver dato l’autorizzazione per una spedizione al fine di studiare i resti dei due laboratori distrutti per cercare di capire le mosse compiute dai nemici.
-‘Mbè?-
L’altro esitò. –Abbiamo ritrovato i resti del database della base di ricerca Est, sotto la roccia, signore. Il firewall è stato violato, hanno i nostri dati, signore. Gli intrusi non si sono preoccupati di nascondere le tracce, visto quello che sarebbe successo dopo. O forse non ne hanno avuto il tempo, signore.-
James impiegò un qualche istante a realizzare. –Quei mobiani hanno i nostri dati?!- un’assurda vocetta stridula gli uscì di gola. –Dobbiamo riprenderli!- gridò, prima di ricordarsi con chi stava parlando. –Altri dettagli?- domandò.
-Il computer è praticamente disintegrato, in parte dall’esplosione, in parte dalla frana. Ma il soffitto e le pareti rafforzate hanno fatto la loro parte, signore. A fatica abbiamo capito che c’era stato un furto d’informazioni.-
James attaccò il telefono, compose un numero e un’altra anima venne strappata con violenza al sonno. –Tu!- sbraitò, pur non ricordandosi il nome del generale a capo delle manovre militari. –Organizza una spedizione ORA per andare a riprendere i dati trafugati dal laboratorio Est.-
Uno sbadiglio. –Cosa? Ah, è lei signor James. Buon giorno, signore. Che ora è?-
-Datti una svegliata, imbecille! I dati devono averceli o Shadow o Sonic. Valli a prendere! E prega che ce li abbia Sonic!-
 
 
 
Shadow era in piedi, guardava fuori da una delle molte, grandi finestre della stazione spaziale ARK. Osservava la superficie del pianeta, senza però vederlo davvero.
Una delle porte a scorrimento dietro di lui si aprì, una scompigliata Rouge ne venne fuori, strascinando i piedi.
-Già sveglio?- gli chiese. –Sono passate solo tre ore.-
-Potrei dirti la stessa cosa.-
Rouge stiracchiò schiena e braccia. –Strano. Non sono per niente stanca. Non mi fa male nulla e mi sento carica di energia.-
Shadow la guardò con la coda dell’occhio. Tirò ad indovinare, era un altro effetto collaterale. La resistenza, come la sua.
-Che fai qui in piedi tutto solo?-
Shadow tornò a guardare il panorama, non rispose.
Rouge lo affiancò, appoggiando le mani al vetro. –A cosa pensi?- Provare non nuoceva, no? Al massimo, avrebbe ottenuto una risposta.
Il riccio sospirò. –Perché Sonic e gli altri si sono messi in mezzo? Non ci avrebbero guadagnato niente, non era nemmeno un problema loro. un intervento non era nemmeno necessario. Avrei potuto risolvere tutto senza il minimo problema. Ma si sono intromessi, e a momenti sono crepati tutti e quattro.-
Rouge sorrise, lievemente sorpresa. Tra tutti i pensieri, non si aspettava di certo che Shadow stesse facendo i conti con il senso di responsabilità.
–Perché non vogliono lasciare un amico da solo a combattere.- rispose. -È un sentimento piuttosto comune nelle persone, sai? Magari non hai ancora avuto modo di notarlo …-
Gli occhi di Shadow si assottigliarono. –Ma è una cosa stupida. Io non rischiavo niente allora, così come non rischio mai niente. Hanno messo in gioco le loro vite per nulla di fatto. Hanno una sola morte a disposizione. È stupido. Perché immischiarsi in una questione che non li riguardava, e che aveva visibilmente un prezzo da pagare troppo alto, per una causa inutile?-
Stava assistendo ad uno dei rarissimi momenti di estroversione del riccio nero, e si sentiva onorata che lui condividesse qualcosa di così personale con lei. Vedere Shadow preoccupato per Sonic … era davvero insolito, ma in un modo piacevole. A volte si scordava che il riccio blu non era l’unico leader a bazzicare da quelle parti. Forse, la consapevolezza di essere più forte degli altri, acuiva il senso di responsabilità del riccio nero. A differenza di Sonic, Shadow non era ancora molto pratico a fare i conti con i propri stati d’animo. Sarà stato il suo passato, saranno stati i cinquant’anni in isolamento, o sarà stata la sua natura artificiale, ma riuscire a leggere il proprio animo, per la Forma di Vita Definitiva non era semplice. Nessun istinto lo aiutava.
Rouge si prese il suo tempo, valutando con cura le parole. –Se pensi che la tua vita e le tue azioni appartengono solo e soltanto a te, ti sbagli.- Cercò le parole adatte. –È il gruppo: le azioni del singolo non riguardano più soltanto lui. Ci si preoccupa per gli altri, ci si aiuta a vicenda, sempre e comunque, specialmente se il pericolo è grande.- sospirò. –È egoistico pensare che ciò che ti accadrà riguarderà solo te. Una riuscita o una sconfitta non farebbero la differenza soltanto per te. Sempre, ci sono altri in ansia che osservano trepidanti, con cuore sospeso, che soffrirebbero se tu finissi ferito o peggio. È il gruppo, ciò che accade ad uno interessa anche gli altri.- Rouge sorrise, continuando a parlare. –E Sonic ha deciso che tu sei suo amico e che fai parte del suo gruppo. Del resto, tu gli hai dato corda. Ti aiuterà, proverà a combattere insieme a te, e correrà sempre in tuo soccorso, anche se non necessario. E quando corre lui, sai che non lo ferma nessuno. Non puoi tirarti indietro, non è più solo la tua volontà a contare, Shadow: c’è anche lui, e il suo volere è anche più ferreo del tuo.-
Sbirciò nella direzione del riccio nero.
-Io non gli ho mai chiesto di rischiare di morire per me.- disse seccamente. Impossibile dedurre se il discorso aveva fatto presa o meno.
Il sorriso della pipistrella si schiuse di nuovo. –Ma tu l’hai fatto per lui. Due volte. E non gliel’hai chiesto in nessuno dei casi.- guardò la finestra. -Non hai nessun diritto di dirgli “non farlo”. Vuole solo provare a rendersi utile e pareggiare i conti.-
Lo sguardo del riccio nero divenne tagliente. –Dunque dovrei lasciarlo andare in un altro laboratorio pur sapendo che ha buone probabilità di lasciarci la pelle, sua o dei suoi amici, soltanto perché vuole provare ad aiutarmi anche se non ce n’è bisogno?-
Rouge sospirò. -Questa non è una decisione che spetta a te. Se lui sceglie di andare, non puoi far niente per fermarlo. E poi c’è Silver con lui.-
-Silver non è una garanzia.-
Rouge sospirò. –Dovresti davvero cominciare ad imparare a dare un minimo di fiducia alle capacità altrui, sai? Sonic non sarà la Forma di Vita Definitiva, ma è comunque in gamba. Molto in gamba, letteralmente. È uscito vivo da situazioni ben peggiori. Ha tenuto testa pure a te. Ed oltre a riportare a casa la propria pelle ha fatto in modo che anche i suoi compagni potessero fare altrettanto. Silver uguale.-
Cadde il silenzio per qualche istante. Shadow, silenzioso come sempre, immerso nei suoi pensieri. Rouge, che si chiedeva se era riuscita ad aiutarlo. I minuti sgocciolavano con calma.
-Te la senti di tornare sulla superficie, o preferisci rimanere qui ancora un po’, in tranquillità? Per me non sarebbe affatto un problema risolvere la faccenda da solo, senza che tu corra di nuovo alcun rischio.-
La domanda del riccio la sorprese. Forse era quello il punto di tutta la faccenda? La domanda di prima serviva solo a tastare il terreno? Il vero dilemma che preoccupava Shadow riguardava lei, allora. Se lasciarla al sicuro, lì, oppure no. Quale fosse la sua idea in merito, e cosa volesse lei davvero. Un ampio giro di parole, senza dubbio. –Credo che la mia risposta sia molto simile a quella che ha spinto Sonic a rischiare così tanto nell’ultima battaglia: vorrei davvero aiutarti, se possibile.- rispose, con prudenza.
-Ma staresti più sicura qui.- insistette lui, anche se sapevano entrambi quale sarebbe stato l’esito di quella proposta. Lei gli aveva già risposto un attimo prima.
Rouge sospirò. –“Anche se crederai che chiunque nel mondo sarà contro di te, sappi che io rimarrò sempre dalla tua parte.”- disse, recitando la promessa che gli aveva fatto. -E non ho intenzione di cambiare idea.- aggiunse, giusto per mettere in chiaro la questione.
Un mesto sorriso spuntò sul volto di Shadow. Il suo sguardo andò a cercare quello della pipistrella. –Dovevo provarci in ogni caso. Tanto valeva tentare.-
Rouge piegò la testa di lato. –A parte il fatto che senza la tua effettiva collaborazione non sarei in grado di lasciare la stazione spaziale dislocata temporalmente di venticinque anni, credo sia proprio ora di tornare in scena, che dici? Abbiamo lasciato in pace i nostri nemici per troppo tempo: è ora di smuovere le acque.- la sensazione di freddo però non se ne andò. Era la prima volta da quando conosceva Shadow che lui valutava apertamente di farle interrompere una missione e di lasciarla indietro per precauzione.
-Abbiamo abbandonato Omega per cinque giorni.- osservò il riccio. -L’abbiamo lasciato dopo il trambusto successo sulle montagne. Forse, dovremo andare da lui, solo se tu ti senti abbastanza bene.-
-Beh, per me va benissimo, e mi sento anche benissimo. Tanto, se mi accadrà qualcosa di male qui mi accadrà anche se starò nella nostra vecchia tana. E avere attorno qualcuno mi tranquillizza di più che non rimanere sola su una stazione spaziale abbandonata, dunque la possibilità che tu te ne vada per  i fatti tuoi lasciandomi qui non mi sarebbe affatto gradita. Sono sufficientemente in forma da non temere di dover combattere in caso di nemici. Credo che dovremmo anche fare visita a Sonic e gli altri.- una breve pausa. -Per quanto mi riguarda, possiamo anche andare. Prima, però, ti va di fare colazione?-
 
 
 
Shell guardò con faccia stralunata il musetto di pelo viola e verde che le sorrideva sulla soglia di casa.
La gabbianella si stropicciò gli occhi, cercando di mettere a fuoco. –Nut?- biascicò. E quando realizzò finalmente che il suo intramontabile amico furetto le era davanti, spalancò gli occhi e gridò. –Nut!- Si slanciò in avanti e abbracciò con forza il mustelide violaceo.
La coda pelosa cerchiata di verde scodinzolò, fendendo l’aria. –Ehi, MangiaSardine! Come te la passi, eh? Speravi di poter stare in pace per qualche giorno senza di me, vero?-
-Certo non mi aspettavo di vederti spuntare alle sei e mezza di mattina, Nut! Palla di pelo malriuscita! Mi sei mancato.-
Venne trascinato all’interno dell’appartamento e condotto in salotto. Shell si ricordò di stare indossando ancora il pigiama e di non avere una sola piuma in ordine in tutto il corpo. L’occhiata che il furetto le lanciò tradiva divertimento, anzi, forse nemmeno s’era preoccupato di mascherarlo. –Rasserenati, anima in pena: giungo da te con notizie, che ti faranno piacere. E non riguardano solo la pantegana che ti ha soffiato il posto di lavoro.-
Shell sbadigliò, il cervello che cominciava a scongelarsi, riprendendo a ragionare. –Nel senso…?-
-Nel senso che la pantegana, che tra l’altro si chiama Betty, è sull’orlo di una crisi nervosa, ovviamente grazie al sottoscritto e al mio esercito di puntine; e Shadow The Hedgehog ne ha fatta un’altra delle sue.-
Shell sobbalzò. –Davvero? Dimmi tutto!-
-Beh, ho cominciato con il piazzare puntine sulla sedia, ma dopo tre o quattro giorni se n’è accorta. Sono poi dovuto passare alla bombolette d’inchiostro e…-
-Non la pantegana! Il riccio!-
Lo sguardo di Nut si fece furbetto. –Vuoi dire che non ti interessano i miei atti di eroismo per vendicare la tua memoria?- si portò una mano al petto, con fare giocosamente teatrale. Sapeva benissimo che la pantegana non interessava a Shell, se si citava il riccio nero. E sapeva che Shell sapeva che lui gliel’avrebbe fatta pesare, spillando informazioni goccia a goccia.
-Il mio eroe è soltanto l’aquila che sposerò tra tre settimane. Tu puoi fargli da zerbino, al massimo.-
Nut scoppiò a ridere. –È così che mi ringrazi? Ingrata gallina di mare!-
Prendersi ad insulti era il loro passatempo preferito, e sfoggiare nuove frecciate originali, dopo ben cinque anni di fuoco incrociato, stava diventando sempre più difficile.
Shell schioccò il becco. –E cerca di fare meno rumore, l’aquila in questione è ancora a letto.-
-Ero a letto.- la corresse il diretto interessato, facendo il suo ingresso nel salotto con un sonoro sbadiglio. –Infestazioni di furetti di nuovo?- borbottò.
Nut spalancò le braccia. –La congiura degli alati, contro un misero mustelide!-
-In sostanza, non hai speranze.- sorrise stancamente Wind. –A cosa dobbiamo l’intrusione mattutina?- chiese poi, reprimendo uno secondo sbadiglio.
-Stavo giusto per svelarlo, alla tua collega, qui.-
-Ha detto di avere notizie di Shadow.- confermò lei.
-E anche della pantegana!- il furetto sospirò. –Ma il punto vero non riguarda, a dir la verità, nè l’uno né l’altra. Il vero fatto ecclatante è che le informazioni che ho ora nella mia tasca sono arrivate questa mattina in un pacchetto, spedito da un negoziante mobiano che diceva di aver assistito al rapimento di un tizio da parte di Shadow. E aveva anche le prove: un video ripreso con le telecamere di sicurezza.- Due becchi si spalancarono per rovesciargli addosso valanghe di domande, ma lui fece gesto di lasciarlo proseguire. –Nella lettera allegata al pacco, il tizio affermava di aver spedito lo stesso pacchetto alla polizia, nella speranza di poter ritrovare la vittima aggredita da Shadow. Immaginerai com’era esaltato quel vecchio barbagianni del Capo! Neanche finito di vedere il filmato e già s’era slanciato ad elaborare scoop ed articoli.- L’espressione del furetto divenne più seria. –E poi sono arrivati loro. Tre umani ed un mobiano.- tremò. –Hanno preso il capo da parte, gli hanno mostrato dei distintivi, e gli hanno detto che le informazioni recapitate quella mattina era materiale riservato. Hanno prelevato il nastro con il filmato, hanno ripulito i nostri pc e hanno eliminato le prime bozze degli articoli. Con la frase “Vi consiglio caldamente di dimenticare ciò che avete visto quest’oggi” se ne sono andati. Ovviamente, io avevo fatto una copia dei dati per te nell’istante in cui il capo mi ha messo tra le zampe quel nastro.- lo estrasse dalla tasca e lo mostrò alla coppia allibita. –Il capo ha starnazzato per un’ora, io ho fatto qualche telefonata. La polizia ha effettivamente ricevuto un pacco che corrispondeva all’aspetto di quello spedito a noi, ma non hanno fatto a tempo ad aprirlo: era già sparito. Ho provato a telefonare al negoziante che ha assistito alla scena, ma nessuno ha risposto al telefono, né al negozio né a casa.-
Uno strano silenzio cadde nel salotto. Quel nastro ora sembrava bruciare come fuoco.
-Perché l’hai portato da noi?- riuscì a chiedere Wind.
-Perché lasciarlo in ufficio non potevo. Dovrei essere alla mia scrivania, ora, tra l’altro. Darlo alla polizia non so se sarebbe servito. In sostanza, non sapevo cosa fare. Sapevo, poi, che a Shell sarebbe piaciuto vederlo, già che sta investigando sull’argomento.-
Gli occhi di Wind si fecero taglienti, quelli di Shell erano smarriti chissà dove.
-Che cos’è successo al pacco spedito alla polizia, e al negoziante?-
Nut si strinse nelle spalle. –O sono stati gli stessi tizi venuti da noi a prelevare il pacco e il negoziante. Oppure Shadow gli ha preceduti.-
Di nuovo silenzio. Il respiro di Nut tremò. –Shell, io ti invito caldamente a guardare il filmano, così ti farai un’idea su chi esattamente stai investigando. Perché, in tutta sincerità, ritengo davvero troppo ottimistica la speranza del negoziante di poter ritrovare vivo il mobiano aggredito.- Scosse la testa. –Magari Shadow sarà innocente, ma non è assolutamente un tipo innocuo. Né lui, né quelli che lo inseguono.-
La mano di Wind si strinse attorno a quella di Shell. L’occhiata che scambiò con lei diceva “Io te l’avevo detto”. Ma non c’erano sentimenti negativi, di paura o di disprezzo, solo triste rassegnazione, e determinazione ad accettare qualunque scelta che la gabbianella avesse preso.
Riuscire a capire cosa pensare in quel momento era più difficile del previsto. Troppe ipotesi, troppi pensieri e dubbi formulati a metà.
-Guardiamo il filmato?- propose con voce stridula.
Wind assottigliò lo sguardo. –E se poi vengono a cercare anche noi solo per averlo guardato?-
-Non sanno che abbiamo il video.- osservò Nut.
-E se invece lo sapessero?-
Calò nuovamente il silenzio. I tre si scambiavano occhiate, decidendo il da farsi e cercando consensi negli altri due.
-Tu l’hai già visto, il video?- chiese Shell a Nut. Lui annuì.
Wind e Shell si guardarono di nuovo. –Va bene?- chiese lei.
-Va bene.- rispose lui.
Armeggiarono con la tv e la registrazione della telecamera di sicurezza occupò lo schermo.
-È un po’ violento, devo avvisarvi.-
-L’avevamo capito, Nut.-
Tutto sembrava tranquillo. Il commesso stambecco era accomodato dietro al banco, una ragazza umana era appena uscita dalla porta. Un secondo cliente fece il suo ingresso: un mobiano di tipo cane, dalla colorazione scura. Presi gli alimenti che intendeva comprare, si era avvicinato alla cassa. Quando allungò la mano per pagare la luce improvvisa invase lo schermo. Tutti e tre, compreso Nut che già sapeva cosa sarebbe successo, sobbalzarono. Il riccio era apparso dal nulla, e a giudicare dall’espressione del suo volto era come minimo infuriato. Lo stambecco schizzò indietro, il cane si contorse, la mano intrappolata sotto il piede del riccio. Grugnì di dolore. Il riccio fece forza contro il bancone, ruotò la caviglia, e il cane urlò alle ossa spezzate.
Shell aveva tutti i muscoli tesi, gli occhi incollati allo schermo, e il becco serrato tanto da fare male.
Il cane nero alzò lentamente lo sguardo. Nell’esatto istante in cui i suoi occhi incrociarono quelli del riccio, scattò il calcio.
Video il riccio caricare il calcio, ruotando il bacino per sferrare il colpo, mettendoci tutta la sua forza. Sobbalzarono di nuovo tutti e tre, alla mostruosa inclinazione subita dalla spina vertebrale del canide. Il cranio schizzò indietro, tutta la schiena si inarcò e la spinta del calcio lo fece decollare a velocità folle. Poi, l’immagine si fermò.
-Perché hai messo in paura?- chiese Shell, la mente svuotata, gli occhi rapiti da quella violenza.
-Non è in pausa.- disse piano Nut, facendo cenno con la testa di continuare a guardare.
Ripresero la visione, con maggiore attenzione. In effetti, Shadow e il commesso si muovevano ancora, solo il cane era immobile, sospeso a mezz’aria. Il riccio scese dal bancone, avviandosi verso il canide. –Mi scusi se le ho sporcato il bancone.- disse Shadow. –Ora ce ne andiamo, non si preoccupi.-
Attraversò con calma la stanza, raggiunse il cane, lo afferrò per la mano rotta e sparirono entrambi, nella stessa maniera in cui il riccio era arrivato.
Nel salotto di Shell regnava il silenzio.
-Non ho capito bene cos’è successo.- commentò dopo un po’ Wind.
E non era affatto l’unico.
 
 
Omega alzò lo sguardo quando il Chaos Control gli si accese davanti. Shadow e Rouge apparvero.
Finalmente si erano ricordati di lui, oppure Rouge era guarita.
A giudicare dal modo in cui lei si reggeva in piedi, optò per la seconda opzione. Era guarita.
Sapeva benissimo quanto Shadow ci tenesse a lei, dunque non avrebbe dovuto rimanere sorpreso quando Shadow l’aveva lasciato indietro. Ma non era mai venuto a trovarlo in tutto il periodo in cui Rouge era stata male.
-Bentornati.- disse.
Entrambi alzarono lo sguardo verso di lui. –Omega, carissimo!- sorrise Rouge. –Non sai che bello rivederti! Essere tornata a casa …- lasciò cadere la frase.
-La ferita ti causa ancora dolore?- si informò il robot.
-No, grazie a Shadow.-
Il riccio ruotò gli occhi da un'altra parte. –Io non ho fatto niente.- sibilò.
Omega si chiese cosa fosse effettivamente successo. –In che modo Shadow ha contribuito a farti guarire?- chiese ancora alla pipistrella.
Lei esitò un attimo, ma decise di condividere il segreto della sua guarigione con il terzo componente del loro Team. Terminata la spiegazione, il silenzio del robot suonò quasi inquietante.
-Ho compreso.- disse semplicemente. Non aggiunse altro. Forse non sapeva cosa dire in quella circostanza.
Cadde il silenzio.
-E tu, Omega? Come stai?- chiese Rouge. –Ci dispiace tanto di averti lasciato qui.-
Il robot annuì. –Io sto bene. Come sempre. Grazie Rouge.- alzò un poco le braccia. –Ma non capisco cosa stesse pensando Shadow quando tu sei stata sparata. Perché non mi ha portato con voi?-
Lo sguardo del riccio si fece ancora più torno. –Non stavo pensando.- rispose, a denti stretti.
Omega non fu sicuro di aver recepito come fosse possibile agire senza prima che il cervello (o i microprocessori) non avessero dato l’ordine. Ebbe il buon senso di non chiedere nulla, gli bastava vedere che Shadow era abbastanza dispiaciuto.
-Direte anche a Sonic che Rouge ha in corpo il sangue di Black Doom?- domandò, scandendo le parole con quella sua geometrica voce digitale. –Credo potrebbe essere un informazione che ha buone probabilità di alterare le funzioni emotive di Sonic o degli altri.-
Shadow e Rouge si guardarono. –Dipende da lei, da cosa sceglie lei.- disse seccamente il riccio.
-A proposito di Sonic.- intervenne la pipistrella cambiando argomento. –Temo che dobbiamo separarci da te per qualche ora. Andiamo da Mister Velocità ad organizzare le prossime mosse, così sapremo dove e quando entreremo in azione la prossima volta. Per te va bene?-
Era ben felice di non dover più rimanere immobile. Era altamente frustrante per un robot. –Affermativo.- confermò.
Rouge sorrise. –Perfetto! Allora andiamo subito, così poi torniamo e restiamo con te in modo da raccontarti bene cos’è successo negli ultimi giorni.-
Omega annuì. Aveva aspettato per giorni, una qualche ora non avrebbe cambiato niente. –Affermativo. Ricerca nuova missione attivata.-
-Torniamo subito.- lo rassicurò ancora Shadow.
-Lo so.- disse Omega, rammaricato di non poter esprimere senso di ironia con la sua voce incolore.
 
 
 
Amy occhieggiò oltre la tenda del salotto della casa di Tails. Fuori le nuvole si stavano raggrumando minacciosamente, della tenera luce del mattino non era rimasta traccia. Solo una cupa oscurità che prometteva tuoni e fulmini.
Amareggiata, sospirò, tirandosi indietro di qualche passo, sfregandosi le mani sulle braccia: era fresco, per essere quella stagione. Pareva che fosse ancora notte, altro che le dieci di mattina!
Sospirando, tornò in cucina, per preparare la colazione alla banda di lupi famelici che si sarebbe svegliata di lì a qualche attimo. Banda, che per altro comprendeva tre soli elementi, già che l’unico tra loro dotato d’intelletto oltre a Silver era sveglio già da tre ore ad armeggiare nel garage, studiando i dati trafugati da Rouge e Shadow. Lei aveva già mangiato.
Si mise a preparare lo spuntino mattutino per il suo amato, per l’ospite d’argento e per l’echidna, preparando anche qualcosa d’aggiuntivo nel qual caso Shadow e Rouge sarebbero venuti a fare loro visita, come avevano promesso. Il tempo era passato, forse quel giorno li avrebbero visti. A che ora, però, era impossibile dirlo.
Il legno delle scale scricchiolò, i passi si avvicinarono e Silver fece il suo ingresso. Sbadigliò, stiracchiandosi la schiena, ma in volto aveva un gioioso sorriso. –Buongiorno, Amy.- la salutò.
Il primo tuono esplose di fuori, e la pioggia martellante cominciò a scrosciare contro il vetro.
Silver si sedette al tavolo, accettando con un educato cenno del capo la tazza di caffè che la riccia gli porse, insieme ad una fetta di pane tostato. Non c’era colazione migliore di quella, se fuori imperversava un tempo come quello. –Hai dormito bene?- domandò il riccio, dopo il primo sorso.
Amy sorrise a sua volta. Quante insolite premure! Magari Sonic avesse fatto altrettanto almeno una volta! –Ho dormito divinamente, grazie.- rispose.
-Mi fa piacere saperlo.- Bevve un altro po’. –Che bevanda strana. Cos’è?-
-Caffè. Non ti piace, per caso? Posso darti qualcos’altro, se lo desideri.-
-Oh, no!- si affrettò a dire il riccio. –Mi piace. Solo mi chiedevo che cosa fosse.-
-Un estratto dei semi di una pianta che cresce nei Paesi caldi, credo.-
Silver ridacchiò. –È buono, anche se un po’ amaro.- Poi parve ricordarsi una cosa. –Ah, prima quando sono sceso ho visto che Sonic e Knuckles si stavano svegliando.-
Amy si illuminò all’idea che il suo amato stesse per scendere. La pioggia frustava i vetri con più insistenza di prima, fuori. Il vento s’era alzato, e ululava selvaggio. Un fulmine saettò lontano, la luce invase la cucina, il tuono seguì di lì a breve.
Quello che scese dalle scale, però, pareva più un bufalo che un riccio, anche se ad essere del tutto onesti era in verità una semplice echidna. Knuckles entrò in cucina ringhiando. Rapì la prima tazza di caffè che incontrò, la svuotò in un colpo solo sbattendola per finire sul tavolo, ed ignorando apertamente la fetta di pane allegata, si diresse come un treno in salotto, borbottando qualcosa del tipo “…e farà meglio a portare qui anche Rouge”.
Silver ed Amy si scambiarono un’occhiata in tralice. –Secondo te come mai Knuckles è così nervoso con Shadow?- domandò il riccio, finendo l’ultimo sorso di caffè. –È da giorni che non lo si riconosce quasi più.-
-È per via di Rouge, credo.- sospirò lei. –Speriamo solo che se decida di prendere a pugni Shadow lo faccia di fuori.-
Uno sbadiglio magistrale annunciò che la personificazione della velocità aveva fatto il suo ingresso. Sonic crollò sulla sedia più vicina, per poi sdraiarsi di faccia sul tavolo. –Cibo. Caffè… Urgente!-
Silver lo guardò con occhi perplessi prima di scoppiare a ridere. –Che entrata trionfale, eroe!- lo apostrofò.
Il riccio blu, singhiozzò comicamente. –Uh! Un intera notte senza caffè! Tu non sai cosa significa!-
-Oggi è stata la prima volta che ho assaggiato tale bevanda in tutta la mia vita, a dire il vero…-
L’osservazione venne ignorata all’apparire della tazza di caffè. Il riccio vi si fiondò sopra come se fosse stata la sua unica ancora di salvezza. Lo bevve avidamente, a lunghi sorsi. –Grazie, tesoro.- sospirò alla fine. –Me ne fai un'altra, dolcezza dell’anima mia?-
Fuori rombò un tuono, Amy carbonizzò il riccio con lo sguardo. –Com’è che diventi così docile soltanto in assenza di caffeina, eh? Lurido approfittatore!- gli preparò un’altra tazza, continuando a brontolare, e considerando vivacemente l’idea di lasciare appositamente il suo amato a corto di caffè, solo per poter godere di altri teneri appellativi come quelli appena ricevuti. Caffè e Chili Dog … l’unico modo per tenere al guinzaglio la furia ambulante che era Sonic!
Lo sfrigolio elettrico del Chaos Control fece guizzare tutte le orecchie, tutti gli occhi si sgranarono e tutte le teste si voltarono.
-Oh!- Sonic alzò la tazza di caffè, come a fare un brindisi. –Faker è tornato dal regno dei morti! Quanto tempo!-
Lo sguardo di fuoco del diretto interessato ruotò verso di lui. Era uno sguardo di sufficienza che parlava da solo, Shadow non disse una parola. La figura femminile alle sue spalle, però, non fece altrettanto.
-Mi potrei anche sorprendere da sola ma, confesso, mi siete mancati, ragazzi.-
Rouge sorrise, tutti gli altri (a parte ovviamente Shadow) rimasero a bocca aperta. –Rouge!- esclamarono più o meno tutti insieme.
Il primo a riprendersi fu l’unico che non aveva assistito alla tremenda scena della sparatoria. –È un piacere vedere che sei tornata in forma.- sorrise Silver.
-Grazie, tesoro.- rispose la pipistrella, ammiccando all’indirizzo del riccio argenteo.
Amy rimase imbambolata a guardare quel gesto tanto famigliare della componente femminile del Team Dark. Non poteva certo dire che lei e Rouge fossero amiche, ma le lunghe avventure e disavventure avevano insegnato loro a conoscersi. E, Amy scoprì con sgomento, non aveva affatto creduto di poter rivedere di nuovo Rouge. Sentì le lacrime salirle agli occhi, e rispondendo ad un impulso puramente spontaneo, si slanciò verso la pipistrella e l’abbracciò. –Rouge! Ci hai fatti preoccupare tutti tantissimo, lo sai?-
La pipistrella rimase di stucco. Evidentemente non si aspettava addirittura un abbraccio. Accarezzò imbarazzata la schiena di Amy, che le singhiozzava su una spalla. –Credimi, mi sono preoccupata anch’io.-
Lentamente, l’abbraccio di Amy si schiuse, proprio quando le ossa della malcapitata cominciavano a chiedere pietà.
-E come si stente, dunque, la nostra ladra preferita? Un po’ meglio, direi.- ridacchiò Sonic, ringraziando mentalmente Chaos che per una volta l’abbraccio spacca-ossa non se l’era beccato lui.
Rouge incontrò il suo sguardo. –Come nuova.- sorrise. –Proprio come nuova.-
L’occhiata che Shadow stava riservando al pavimento divenne anche più intensa e più cupa, c’era da stupirsi che i miseri listelli di legno in questione non avessero preso fuoco.
Ma nessuno lo notò, Knuckles si mosse avanti, ancora zoppicando. –E in che modo, se si può chiedere?-
La sua voce aveva qualcosa di insolitamente diverso rispetto al solito, un particolare miscuglio di preoccupazione e incredulità. Gli occhi turchesi di lei guizzarono verso Shadow per una frazione di secondo, lui non la guardò. –Beh, diciamo che sull’ARK si possono trovare molte cose interessanti, e molto più efficaci di medicine o dottori.-
Knuckles mosse ancora qualche passo in avanti, un fremito gli attraversò le braccia. Pareva proprio stravolto. –Vuoi …. Vuoi dire che in un ospedale non avresti potuto trovare una cura simile?-
Rouge si strinse nelle spalle. –Mi sa di no.-
Uno strano silenzio cadde nella sala, solo la pioggia e il vento facevano da sottofondo, più o meno tutti gli occhi scattavano tra Shadow e Rouge, soffermandosi in particolare sul riccio. L’echidna deglutì. –Dunque, ti ha salvata lui portandoti lassù?-
Rouge annuì di nuovo. –Mi sa di sì.-
Amy piegò la testa di lato, osservando con attenzione l’atteggiamento di Knuckles. Aveva le mani serrate a pungo, i muscoli delle braccia in tensione, la mascella irrigidita. Non ricordava di aver mai visto Knuckles in quello stato prima d’ora … e tutto per Rouge.
A passi rigidi si mosse verso Shadow. Il riccio drizzò le orecchie quando si ritrovò difronte l’echidna. Mosse impercettibilmente le mani in avanti, come per prepararsi a difendersi in caso di attacco. Bizzarra reazione … che temesse qualcosa? O che avesse fatto qualcosa di cui era incerto?
Knuckles drizzò la testa, guardando dritto negli occhi Shadow. La postura del riccio si fece ancora più guardinga, sebbene Shadow non avesse mosso un solo muscolo.
La parola pronunciata in seguito da Knuckles venne fuori dalla sua bocca piuttosto malconcia, mezza masticata. –‘Azie.- Poi si voltò e si allontanò, sempre a passi rigidi.
-Prego.- rispose Shadow, rilassandosi un poco, socchiudendo gli occhi.
Uno strano sconcerto continuò ad aleggiare nell’aria.
Con un certo imbarazzo, Rouge si schiarì la gola. –Avete avuto il tempo di analizzare i dati del laboratorio?-
Sonic si illuminò. Fece per rispondere quando la luce andò via, il buio più totale li avvolse. Rimase solo la tempesta e la tenebra più inviolabile.
-È … è stato Tails che ha combinato un altro dei suoi casini?- suggerì con voce tremante Amy, cercando inutilmente di distinguere qualcosa, qualunque cosa, in quelle ombre uniformi. Mentre la paura le serpeggiava nelle viscere.
Fuori un altro tuono squassò il cielo.
-No.- rispose cupo Shadow, alla sua destra. –Non è stato Tails.-
E la paura divenne panico.
 
 
Quando la luce si spense di colpo e lo schermo del computer gli si oscurò davanti agli occhi, Tails maledì gli elettricisti e i temporali, che davano vita ai blackout nei momenti meno opportuni. Dimenticando appositamente il fatto che lui stesso ne aveva accidentalmente creati, e più di un qualcuno, cercò a tastoni la propria torcia. Le uniche luci nel suo garage erano quelle dei pulsanti luminosi attaccati a macchinari autonomamente alimentati, come lo era per esempio il Tornado X.
Sfiorò il manico della torcia, una chiave inglese cadde a terra. Dall’altro lato della stanza.
Il volpino si immobilizzò. Il sangue gelido gli correva nelle vene troppo in fretta, il suo respire era l’unico rumore. –Ehilà?- provò a chiamare.
Nessuna risposta ovviamente. –Sonic?- provò di nuovo.
Il silenzio di tomba che seguì lo fece raggelare.
Freneticamente, raccolse la torcia e la tastò, per cercare di trovare alla cieca il pulsante di accensione. Da qualche parte, qualcuno inciampò in uno dei secchi di Tails, riempiti solitamente con chiodi, bulloni o pezzi di ricambio. Il rumore metallico si aquietò dopo qualche attimo, ma Tails aveva impiegano meno di mezzo secondo a capire che la distanza era mezza rispetto alla caduta della chiave inglese.
E l’istinto gli stava urlando che non era Sonic.  
Aveva il respiro affannoso, le dita irrigidite dalla paura. La mente lavorava malamente, a difficoltà: continuava a calcolare la distanza di avvicinamento dell’entità che era con lui nella stanza. E il risultato era sempre più mostruoso.
Qualche secondo, solo qualche secondo era ciò che lo separava dall’intruso.
Con i denti serrati dalla paura, con la pioggia che schioccava all’esterno, con un gemito in gola che premeva per uscire, trovò finalmente il bottone d’accensione della torcia.
Puntò verso quella che riteneva essere la posizione del nemico e premette.
Nulla accadde.
Batterie scariche.
Giurò che il cuore gli si sarebbe fermato.
Qualcun altro contribuì a far avverare quel pensiero.
Il respiro di Tails si fermò quando la lama lo penetrò in pieno petto.
Cadde all’indietro, contro il proprio tavolo da lavoro.
 
 
 
Il rumore di ferraglia rovesciata proveniente dal garage-laboratorio di Tails era forte e chiaro.
-Tails?- chiamò Sonic, da un qualche punto lontano a sinistra. Nessuna risposta. Provò di nuovo. Niente ancora.
-Cosa accidenti…?- cominciò Knuckles, perso nel buio più a destra, ben distante dalla cucina.
Il cigolio di una porta che si apriva lentamente fece venire la pelle d’ora a tutti. Si zittirono tutti quanti, dal primo all’ultimo, in ascolto. Qualcuno che non era Tails era appena entrato dalla stanza esperimenti di quest’ultimo. Possibilità che si trattasse di uno scherzo: remote.
Amy aveva il respiro accelerato, sentiva il proprio cuore battere all’impazzata, la paura le gelava il sangue e la schiena. I suoi occhi … inutili. Non c’era uno straccio di luce in quella stanza, e nemmeno fuori. Anche i fulmini parevano aver smesso di cadere. Continuava a muovere la testa in tutte le direzioni ma niente cambiava: sempre il solito infinito nero senza profondità. L’intruso … poteva essere ovunque! Anche dietro di lei, oppure esattamente di fronte! Proprio in quel momento!
I denti le facevano male da tanto che erano serrati.
Non si vedeva nulla, di nulla. No, non era vero. Le mani di Silver si vedevano benissimo. E il riccio le muoveva, a disagio, forse consapevole di essere un bersaglio lampante, nel senso più letterale del termine.
Le lacrime minacciarono di spuntarle agli occhi. Si sentiva … neutralizzata, incapace di reagire. Evocò tremando il martello Piko Piko, guardandosi ancora inutilmente attorno. La sagoma famigliare del manico e l’inconfondibile peso della sua arma la confortarono un pochino. Non che servisse a molto avere un martello in mano se non poteva né vedere, né udire il nemico. Ma, almeno, si sentiva meno vulnerabile.
Percepiva il panico azzannarle la gola, serrarle il respiro e giacchiarle i muscoli. Era sola, sola. Nessuno attorno a lei, e se qualcuno invece ci fosse stato, non se ne sarebbe neanche accorta. Gemette. Aveva paura … voleva Sonic, aveva bisogno di avere Sonic accanto. Invece, lui era ben distante. Si sentiva le ginocchia molli. Indifesa …
Sentì qualcuno muoversi, dietro di lei.
Il cuore le fece un salto nel petto. Qualcuno respirava, dietro di lei. Tentò di deglutire. Migliorò la presa sul martello Piko Piko. Lentamente, si voltò, con le gambe che tremavano, pronta a sferrare un colpo al primo segno di movimento.
Vide solo un’oscurità ancora più profonda di quella che le era stata davanti qualche attimo prima. Le venne un dubbio.
Cercò di ricordare le posizioni degli altri, ma erano tutti in doveroso silenzio, ben lungi dal voler divenire bersagli facili. A parte il povero Silver, ormai rassegnato.
Ricordava a fatica che in effetti qualcuno le era rimasto accanto, prima.
-Shadow?- sussurrò, ma la sua voce, anche se ridotta ad un sibilo, parve avere la potenza di una cannonata. Si sentì come rimpicciolire.
-Sì.- la voce del riccio in quel momento le sembrò la più bella del mondo. –Sono io.- confermò ancora lui.
Il cuore della riccia parve levitare. Non era del tutto separata dagli altri, c’era Shadow vicino a lei! E in caso di necessità, lui era un alleato tutto meno che disprezzabile.
Lentamente, si mosse con cautela verso di lui. Lo sentì trattenere il respiro per qualche istante, prima di udire i suoi impercettibili passi fare lo stesso verso di lei. Certo che lui sapeva spostarsi silenziosamente, quando voleva. Ma, accidenti, in quel momento avere accanto una presenza alleata un po’ più tangibile non le avrebbe fatto schifo, ma il riccio non si scoprì più di quello che già aveva fatto per farle capire di non essere un nemico.
Nessun altro suono da lui. Oltre il respiro, ora vicinissimo a lei.
Forse, pensò Amy, anche Shadow era in caccia, in ascolto. Alla ricerca dell’intruso.
Si avvicinò ancora e sobbalzò quando sentì il contatto tiepido con la pelle di lui, forse un braccio, forse la schiena. Si tirò immediatamente indietro, arrossendo scioccamente nel buio. L’ultima volta che aveva toccato Shadow era stato quando gli era saltata al collo in un abbraccio, dopo averlo confuso con il suo amato Sonic. E non le sarebbe mai venuto in mente di avvicinarsi di nuovo tanto ad un tipo come lui!
Prese le adeguate distanze, cioè qualche centimetro, si girò in modo da dare la schiena a Shadow e fronteggiare l’ignoto. Ombre davanti, Ombra dietro. Sorrise da sola.
Sentiva ora chiaramente il respiro del riccio, poteva quasi percepire la sua intera figura, il suo corpo, come se l’assenza di luce avesse acuito gli altri sensi di Amy.
Ed era immensamente grata di avere qualcuno vicino. Specialmente qualcuno di valido come lui, anche se Sonic sarebbe stato meglio, più rincuorante.
Ma ora? Che fare?
Le sue pupille si stavano lentamente abituando all’oscurità, ora cominciava a distinguere vare sfumature di nero, identificava lentamente sagome come il divano o l’armadio. Nulla di più, però. Oltre Silver, ovviamente.
 
 
Tutti i sensi di Shadow erano aguzzati al massimo, tesi nello sforzo di percepire qualunque cosa. Si era abituato all’oscurità già da un bel po’, era un adattamento che gli veniva sempre straordinariamente veloce, ma la situazione non era cambiata. Non riusciva a scorgere l’intruso, l’oscurità era troppo fitta oppure lui sapeva come nascondersi.
All’inizio, quando la porta si era aperta aveva chiaramente sentito dei passi, lievissimi e scricchiolanti, che si erano zittiti non appena loro erano stati individuati. Da quel momento, non un solo suono era stato emesso dalla misteriosa entità.
Tails non poteva essere: lui quando camminava faceva rumore per cinque. Non poteva essere lui, anche perché quando Sonic l’aveva chiamato non aveva risposto.
L’unica soluzione che gli era venuta alla mente era l’eventualità di una sortita nemica, cioè una visitina da parte di un altro dei sicari dei ricercatori di biomeccanica.
Se fosse un altro agente simile ad Anubis, oppure una delle loro cavie era impossibile dirlo. Anche se la sua mente continuava a riportarlo alle tre celle di contenimento che aveva scorto nell’ultima intrusione in campo nemico.
Teta PeloRosso? Forse. Ma non ricordava che sapesse muoversi così silenziosamente.
Forse, più probabilmente, era uno degli altri due. Il topolino ferito, oppure la catena diretta verso il soffitto. Se colui nella stanza ora si sarebbe rivelato essere davvero l’esperimento che era attaccato al soffitto l’ultima volta nella base sotto la collina, avevano ora un gran bel problema da risolvere, molto più ostico del previsto. Il che lasciava però intendere un altro punto. Possibile che fossero sopravvissuti tutti e tre al suo Chaos Blast?
Ma la sua vera preoccupazione principale era un'altra, molto più immediata che cercare di dedurre l’identità dell’intruso.
Rouge.
Dove accidenti era?
Ricordava di averla vista più verso destra, quando Knuckles aveva finito di farle domande. Probabilmente, da qualche parte attorno a Silver.
Le mani del riccio argenteo oscillarono di nuovo. Shadow dovette confessare di non invidiare la situazione dell’ospite del futuro. Non avrebbe sopportato di essere così visibile ed esposto. Molto, ma molto, meglio mischiarsi alla tenebra circostante senza farsi vedere.
Il suo pensiero tornò di nuovo a Rouge, come una calamita al metallo. E lo stesso ragionamento di poco prima gli distrasse la mente. E se … e se fossero venuti lì per finire il lavoro? Se fossero venuti per eliminare Rouge una volta per tutte?
Deglutì. Fuori, un altro tuono fece tremare i vetri.
Era possibile, molto probabile. Se non fosse stato per il fatto che loro erano arrivati da neanche dieci minuti. Come avevano fatto ad individuarli così velocemente e a mandare un agente da loro? Possibile che li avessero lasciato addosso dei cip e lui non se n’era accorto?
Ma nell’ultimo scontro non se n’era verificata occasione.
Dunque, era forse più probabile pensare che fossero venuti per Sonic e compagni, e che lui e Rouge avevano scelto il momento peggiore. O migliore, a dipendenza dei punti di vista. Seguendo lo stesso ragionamento, lui e Rouge non avrebbero dovuto far parte dei piani nemici.
I bersagli più probabili erano Sonic, Tails, Amy o Knuckles.
Tails … non aveva risposto. Forse aveva già dovuto vedersela con il suo destino. E l’idea era stranamente gelida anche solo da pensare. Chi rimaneva? Amy e Knuckles e Sonic.
Probabilmente, se aveva capito giusto un attimo come ragionavano i loro nemici, il bersaglio principale era Sonic. Ma non lo avrebbero attaccato direttamente, volevano prima renderlo inoffensivo. Come? Ferendo o addirittura uccidendo le persone che gli stavano più vicino.
Tails, Amy o Knuckles.
Pensò anche a Cream e Vanilla. Ma per loro non c’era molto che potesse fare. Il vero punto della questione è che una delle potenziali vittime stava tremando esattamente dietro di lui. Si sentiva più o meno come se fosse seduto su di una bomba, ma serrò i denti e si concentrò ancor di più per provare a localizzare il nemico.
Se l’intruso sperava di prendere Amy senza sforzo, se ne sarebbe pentito di brutto! Shadow aveva i riflessi abbastanza veloci da poter pensare di riuscire a stendere il nemico anche al buio. L’altro simile a lui era Sonic, ma intuì che avesse il suo buon ragionare, in quegli ultimi attimi. Non ricevere risposta dal piccolo Tails doveva essere stata una botta psicologica non indifferente. E lui non poteva assolutamente aiutarlo, da dove si trovava lui.
Il dubbio che però, vista Rouge, ai nemici venisse voglia di chiudere definitivamente i conti era praticamente insopportabile. Shadow si sorprese quando si accorse di avere i denti serrati.
Rouge … avrebbe dovuto essere più o meno a metà strada tra Knuckles e Silver, mentre Shadow non poteva proprio spostarsi da lì, con Amy a rischio d’infarto dietro di lui.
Senza contare il fatto che tutti in quella stanza erano pronti ad attaccare al minimo indizio di movimento. Aveva ancora il dubbio di aver realmente rischiato di beccarsi una martellata in testa poco prima se non avesse parlato alla riccia rosa. Dunque, era più saggio rimanere fermi, in modo da poter captare meglio i suoni dell’intruso. Anche se così, immobili, si rendevano tutti bersagli facili.
Non poteva perciò andare dalla pipistrella a controllare che stesse bene. O a proteggerla.
Si sentì vagamente sollevato all’idea che Rouge fosse vicina a due tipi come il riccio argenteo e l’echidna, e non isolata come lo era Sonic. Rosso e argento erano entrambi abbastanza abili da poter respingere un repentino attacco a sorpresa. Forse.
In ogni caso, il fatto di dover contare sull’abilità altrui, in particolare quella di Knuckles, per confidare nella salvezza di Rouge gli dava oltremodo sui nervi. Avrebbe potuto chiamarla e chiedere conferma che stesse bene. Ma aveva il timore di esporsi troppo, e di esporre lei all’attenzione nemica. Ricordando distrattamente che Rouge era un pipistrello, realizzò con notevole ritardo che probabilmente lei era l’unica in quel momento ad avere un chiaro quadro della situazione, vedendoci lei perfettamente al buio grazie agli ultrasuoni. L’unica che non si sarebbe fatta sorprendere in nessun caso. Era un bel sollievo!
L’idea che però lei fosse vicino ad una lampadina ambulante come Silver, al contrario, non lo rallegrò un gran che. Molto probabilmente, Silver era un altro ospite inatteso nel programma dell’intruso, che probabilmente non aveva idea di chi fosse quel tizio vagamente luminescente. Quindi, gli era andata bene, al riccio argenteo, di non essere sulla lista nera dei loro nemici. O per lui sarebbero stati guai seri, in quel frangente, al buio.
La luminescenza di Silver era abbastanza strana, pallida. Non illuminava nulla oltre le mani, le braccia e i fianchi del riccio. Perché non aumentava un po’ la potenza per stanare l’avversario? Ne era capace senz’altro, ma perché non lo faceva? Aveva forse paura di spaventare il nemico e costringerlo ad un’azione avventata? Attendeva forse di essere sicuro di dove fosse?
Strinse i denti, se solo avessero potuto comunicare tra loro senza farsi ascoltare dall’intruso.
Amy, dietro di lui, trattenne un singhiozzo, riportandolo al presente.
Farsi domande non era necessario, ora come ora doveva solo badare a stendere chiunque si fosse avvicinato a lui o ad Amy. Sperò di nuovo che Knuckles e Silver facessero altrettanto con Rouge.
Quello messo psicologicamente più a dura prova, però, doveva essere Sonic.
Era isolato, completamente da solo, verso la cucina, con nessun alleato accanto. E con la consapevolezza che Tails non aveva risposto. Non invidiò nemmeno lui.
 
 
Mai avrebbe immaginato di potersi ritrovare in una situazione così imbarazzante. Non gli avevano esattamente disegnato sul petto un bersaglio rosso, ma poco ci mancava.
Era frustrante e altamente logorante.
Si guardò tristemente le mani fluorescenti.
Oltre il fatto che tutti, ma proprio tutti, potevano vedere lui, lui al contrario non poteva vedere un accidente di niente all’infuori di sé stesso. Con quel bagliore addosso, i suoi occhi non facevano nemmeno lo sforzo di adattarsi alle tenebre.
Sospirò, ed invidiò apertamente Shadow, che in quell’oscurità doveva sentirti perfettamente a suo agio.
Lui, Silver The Hedgehog, era tra tutti quello nella situazione più scomoda. Se anche il nemico gli stesse scodinzolando proprio di fronte in quel preciso momento non se ne sarebbe nemmeno accorto. E avrebbe reagito in ritardo a qualunque segno di movimento estraneo.
Era lì da pochissimo, pochissimi giorni, e già era stato risucchiato nel vortice che teneva occupati i suoi amici da diverse settimane. Azione sfrenata.
Immaginava sarebbe arrivato il momento di scendere in battaglia, ma non si sarebbe immaginato che sarebbe accaduto proprio in casa e in quel modo insolito.
Era vagamente cosciente delle due presenze dalla sua sinistra, Rouge e Knuckles. Li aveva uditi avvicinarsi l’un l’altro, lentamente, poco prima. Forse, ora erano piazzati schiena contro schiena, pronti a difendersi e combattere l’uno con l’altra.
Avrebbe tanto voluto andare con loro, raggiungerli. Ma non aveva osato. Da un bersaglio luminoso, sarebbero divenuti tre bersagli luminosi. L’ultima cosa che voleva era mettere in pericolo i suoi compagni.
Dunque, era rimasto solo e zitto, a circa tre passi di distanza dalla coppia.
Continuava ripetutamente a rimuginare su una cosa.
La luce. E se avesse provato ad illuminare tutto con il suo potere?
Cosa sarebbe successo?
Forse avrebbe scovato il nemico, ma avrebbe lasciato tutti gli amici accecati per diversi secondi, il che equivaleva a lasciarli al buio. E magari, la loro vista si stava anche adattando all’oscurità e ora ci vedevano discretamente bene. Era come giocare a mosca cieca, solo al contrario.
E se avesse provato ad illuminare gradualmente una sfera d’energia, in modo che la stanza si illuminasse non in un solo colpo?
Forse avrebbe funzionato, ma l’intruso avrebbe avuto il tempo di fuggire a nascondersi, oppure sferrare il suo attacco in anticipo. Non avrebbe dunque avuto senso dare luce agli altri, se non per conforto.
Se fosse riuscito ad individuare con sicurezza la posizione dell’avversario, lo avrebbe illuminato. Ma solo lui, solo quando si fosse esposto, avvicinandosi abbastanza ad uno dei compagni, in modo da poter venir colpito una volta smascherato.
Una specie di trappola, insomma. Lasciare che il nemico si avvicinasse abbastanza prima di accecarlo e attaccarlo.
Gli sembrava un piano assai debole, ma era l’unica cosa che la sua mente in iperattività da panico era riuscita a pensare.
 
 
Rouge deglutì, i passi nemici erano fermi a meno di due metri da Sonic. Ma non parevano aver intenzione di muoversi verso il riccio. Erano semplicemente fermi, come a valutare la situazione.
Il fatto che poi i nemici erano due l’angustiava abbastanza.
Aveva udito distintamente due paia di passi, che però erano rimasti vicinissimi l’uno all’altro, per tutta la durata della camminata, come se i sicari fossero uno immediatamente dietro all’altro. Bizzarro comportamento, il bello di lavorare in coppia era di potersi dividere e coprire il doppio dell’area in metà tempo.
Un altro fatto che l’aveva sorpresa era che quei due si muovevano più silenziosamente di lei e di Shadow. Il che era tutto dire. Doveva concentrarsi al massimo per riuscire a distinguere quei minuscoli rumori.
Al contrario, distingueva alla perfezione tutti gli altri. Sapeva esattamente dov’erano, e a giudicare dal loro respiro poteva anche dedurre in che stato d’animo fossero.
Knuckles era accanto a lei. Continuava a guardare a destra e sinistra, Rouge udiva i suoi lunghi aculei frusciare. Il respiro era profondo e deciso, quello di chi è pronto a combattere e a vedere cara la pelle. Poteva addirittura udire il battito forsennato del suo cuore. Knuckles era decisamente nervoso. Il sospetto che siccome lei gli fosse praticamente addosso stesse influendo e alimentando la sua agitazione era diventato certezza. Era diventato teso come una corda di violino nell’esatto istante in cui aveva realizzato di essere il solo accanto a Rouge, dunque il solo che la poteva proteggere. Anche se probabilmente sarebbe successo il contrario, già che lei era la sola a poter chiaramente individuare i nemici. E poi lui era ancora in via di guarigione.
Silver era palesemente a disagio, continuava a girarsi, a spostare il peso da una gamba all’altra e a sospirare. Essere una specie di lampadina doveva essere abbastanza scomoda, come realtà, in quella spiacevole situazione. Sperare di poter udire il suo battito cardiaco era un po’ troppo per lei, vista la distanza, anche se lo immaginava lievemente accelerato.
Si era abbastanza sorpresa quando aveva sentito Shadow ed Amy mettersi schiena contro schiena. E aveva sorriso quando lei aveva erroneamente sfiorato il riccio ed era schizzata via, imbarazzatissima. Forse pensava che a toccare Shadow si restava fulminati. Divertimento a parte, il respiro affannoso di Amy lasciava intendere un profondo senso di panico. Continuava a deglutire, e ansimava, rigirandosi il martello tra le mani. Il fatto che Shadow non avesse dato segni di fastidio per tutti quei rumori era la prova che Amy era più silenziosa di quanto non sembrasse a Rouge.
Per quanto riguardava il suo collega di Team, Shadow non dava alcun indizio che potesse farle capire come si sentisse. Ma se lo conosceva appena un po’, era facile intuire che stesse perfettamente calmo, intento ad analizzare le sue possibilità, mosse e contromosse, e a tentare di scovare la posizione nemica, senza nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi che si potesse anche collaborare per riuscirci.
L’unico che sembrava davvero distrutto era Sonic. In ginocchio, a terra. Respiro mostruosamente accelerato. Probabilmente, si stava immaginando in mille e uno modi che cosa avesse impedito a Tails di rispondere quando lui l’aveva chiamato. I nemici gli avevano già fatto attorno due larghi giri, prima di stabilirsi nella posizione che stavano mantenendo tutt’ora. Le ipotesi erano due. O Sonic non prestava minimamente attenzione, cosa oltremodo pericolosa, oppure erano davvero mostruosamente più silenziosi di lei o di Shadow, oppure di entrambi messi insieme.
Uno dei nemici spostò avanti un piede, il pavimento di legno produsse un finissimo scricchiolio. La testa di Shadow si drizzò all’istante, i due erano esattamente ai margini del raggio d’azione uditiva a livello fine del riccio. A giudicare dal lamento sussurrato delle assi del pavimento, il riccio doveva aver spostato indietro il proprio peso. E il frusciare dell’aria lasciò intendere che aveva anche sollevato le braccia, pronto ad un attacco. Amy, alle sue spalle, avvertito il movimento del riccio, trattenne il fiato.
I due nemici si immobilizzarono all’istante, forse guardando nella direzione di Shadow. E qui sorse un dubbio nella mente di Rouge. Che loro potessero vedere al buio? Escluse fin dal principio la possibilità che Shadow avesse fatto un rumore udibile a quella distanza da un orecchio normale, quando aveva cambiato posizione. Dunque, o uno dei due sicari era un pipistrello come lei, oppure erano entrambi dotato di visori ad infrarossi, in modo che fosse stato lo spostamento di Shadow a determinare l’allarme tra i due nemici. Vedere Shadow al buio senza uno di quei marchingegni era scientificamente impossibile. Dunque, o avevano un udito sopraffino come il suo, oppure avevano gli infrarossi.
Deglutì.
 
 
Sonic continuava a pensare agli avvertimenti di Shadow.
Non avrebbero provato ad affrontare direttamente lui, sarebbero andati a prendere i suoi amici. E Tails aveva dovuto pagare. Un senso di colpa indicibile gli stava rodendo il fegato, con doloroso zelo.
Perché non aveva risposto? Possibile che fosse già…? No, no! E allora perché non aveva risposto?
Avrebbe voluto fiondarsi di là a corsa, immediatamente, e soccorrere il volpino. Ma con quel tizio che gli girava attorno non poteva muoversi nemmeno di mezzo millimetro. Ora era fermo, ma sapeva che non aveva abbassato la guardia. Gli sembrava che l’intruso ragionasse in modo simile a Faker. Prima valutava la situazione, e si muoveva solo ed esclusivamente quando era sicuro di ciò che faceva: attaccava solo se era sicuro di colpire l’obbiettivo. Ecco perché erano tutti ancora vivi, tranne forse …
Scosse la testa. Perché non li aveva già aggrediti? Cosa aspettava? Chi cercava? Stava solo rubando loro tempo per evitare che soccorressero il volpino?
Al pensiero del suo fratellino non biologico probabilmente steso a terra in una pozza di sangue il cuore e la gola gli si serrarono di nuovo. Ne erano passati di anni dall’ultima volta che si era sentito così. Aveva provato a ragionare ottimisticamente, o ironicamente, come faceva tutte le volte. Ma, per la prima volta in vita, sua non era servito a niente. L’ansia aveva vinto.
Forse perché aveva già visto cosa accadeva a chi si imbatteva sulla strada di quei tizi. Aveva visto i corpi nei laboratori, le cavie, Rouge … E Tails era stato il successivo.
Il tutto solo perché non aveva dato retta a Shadow, Tails ora era…! O forse perché era nei piani di quei ricercatori fin dall’inizio, che finisse a quel modo, e la sua ultima bravata nel laboratorio delle montagne non era il perno portante di tutta quella situazione. Subito si erano presentati a casa sua per cercare di coinvolgerlo, ben prima che Shadow proponesse collaborazione. Possibile che … avessero già pianificato tutto dall’inizio, che i suoi amici erano già condannati prima che tutta quella specie di guerra scoppiasse?
Per colpa sua, Tails era nei guai, e lui non poteva muoversi con quella presenza dietro di lui.
Se gli avevano torto anche un solo capello … Gliel’avrebbe fatta pagare di persona a quei luridi maledetti!
Un pensiero se possibile ancora più agghiacciante gli invase la mente. Il cuore che già pulsava dolorosamente gli mandò un’altra fitta.
Tails … non era l’unico. Da qualche parte là, in quella stanza, nel buio, doveva esserci anche Amy! E Knuckles! Bersagli ideali! Probabilmente i prossimi in linea di successione nei piani del sicario!
Era più probabile che il sicario cercasse Amy, prima di Knuckles. L’echidna era troppo ostico da stendere.
Amy! Dov’era Amy?
Avvertì un pallido spostamento d’aria. Si sta muovendo.
Va da Amy! Realizzò con un tuffo al cuore. Cerco di radunare le sue idee. Dove aveva visto Amy l’ultima volta prima che la luce si spegnesse? Vicino al muro, accanto a… Shadow! Un sollievo immane lo travolse. Ecco perché non aveva ancora attaccato, l’intruso! Stava tentando di trovare un modo per superare la guardia della Forma di Vita Definitiva!
Sorrise. Povero illuso!
Sentì un peso levarglisi dal petto, l’angoscia diminuì di qualche grado. Il pensiero di Amy e Shadow gli stava ridando lucidità. Avrebbe sospirato di sollievo, se quel gesto non facesse tanto rumore.
E se anche il sicario fosse riuscito ad avvicinarsi ad Amy superando Faker, cosa praticamente impossibile, c’era Rouge là, da qualche parte nel buio, in ascolto, che avrebbe potuto avvisare Shadow, oppure Sonic direttamente, sull’effettiva posizione del nemico.
Anche Silver poi era un aiuto niente male nell’oscurità. Ancora non aveva agito, il riccio argenteo, forse per paura di far fare una mossa avventata al nemico. Un attacco frettoloso o una fuga altrettanto rapida. E loro non volevano certo lasciarlo fuggire.  Dopo essere stati accecati per bene dalla luce, sarebbe però stato difficile impedirlo.
Realizzò di essere voltato di schiena e di avere nemico e amici tutti alle spalle. Già, aveva tentato di raggiungere Tails, prima, ma ci aveva ripensato ed era rimasto fermo non appena si era accorto che era entrato qualcuno. Lentamente si tirò in piedi e fece per girarsi. Avvertì un fruscio dal nemico.
Si era parlato di luce improvvisa, prima. Un fulmine fece quello che Silver s’era astenuto dal compiere.
Un bagliore accecante invase tutto, esterno ed interno.
Tutti, compreso l’intruso, sobbalzarono. Sentì la voce di Amy trattenere un grido di sorpresa. Probabilmente tutti avevano provato a vedere chi fosse il sicario, ma l’abbaglio era tale che nessuno lo vide. Gli occhi abituati alle ombre non accolsero bene l’improvviso bagliore, e restarono tutti accecati per quei pochi attimi. Tutti tranne Sonic.
Stranamente, il suo sguardo era puntato sul pavimento, ed essendo lui voltato di schiena, la luce non gli investì direttamente la faccia. Strizzò le palpebre all’intensa luce, ma riuscì a vedere ugualmente l’ombra del nemico stagliata contro la parete opposta alle finestre.
E ci rimase malissimo, per non dire altro.
Era un ombra davvero arruffata, che scomparve in un attimo, questione di mezzo secondo, insieme alla vita del fulmine. La fugacità della luce non permise di riuscire a distinguere i dettagli. Ma due particolarità erano impossibili da non notare.
C’era un intrico mostruoso di gambe e braccia. Riflettendoci in seguito, basandosi sull’immagine stampatagli quasi a fuoco nella retina grazie al fulmine, Sonic contò almeno dieci zampe in totale. Otto c’era di sicuro, ma gli era parso che ce ne fossero altre due.
E poi c’era una coda arcuata.
Dieci zampe e una coda!
Rimase un attimo imbambolato dalla scoperta. Che razza di mobiano era?
Lo sfrigolio acutissimo emesso da quella che sicuramente era una cavia da laboratorio gli trapanò un timpano. Sentì un violento spostamento d’aria e seppe d’istinto che il sicario si stava spostando a velocità notevole, ma non verso Amy, bensì verso il muro sul quale era stagliata l’ombra fino a poco prima.
Realizzò in una frazione di secondo che Shadow non avrebbe reagito, stordito pure lui dal flash inaspettato del fulmine.
Inaspettato? Era sicuro? Che il sicario avesse aspettato quel momento per riuscire a superare la guardia di Shadow?
Dunque, dovette ringraziare la mente o l’istinto di Silver che non avevano acceso le luci prima.
Comunque, il tizio doveva essersi confuso parecchio per scattare contro il muro, in direzione completamente opposta.
Tutto questo ragionamento in neanche un quarto di secondo. Sonic partì a corsa dietro alla creatura.
Da qualche parte, in lontananza verso destra, sentì Rouge urlare, mezza soffocata dal rombo del tuono che aveva seguito la scarica elettrica. –Il soffitto!-
Sonic battè le palpebre, alzò la testa, e sentì l’aria curvare all’indietro seguendo il moto di qualcuno che si era attaccato alla parete e che stava correndo a testa in giù aggrappato al soffitto.
Non fece nemmeno in tempo a stupirsi che, a dispetto di quanto s’era immaginato, la reazione di Shadow fu fulminea. Quella di Silver anche: non appena il fulmine si spense, scagliò una sfera luminosa nella direzione della creatura, mantenendo la luce costante, benchè minore rispetto a quella della saetta, più bieca e meno dolorosa agli occhi.
Shadow probabilmente aveva già capito la situazione ben prima che Rouge lo dicesse. Era già scattato verso Amy, l’aveva poco finemente sbattuta a terra e aveva afferrato al volo la coda della creatura che era scattata verso la riccia rosa, con l’intento di trafiggerla. Dal soffitto si udì uno stridio furioso.
La coda ornata di pungiglione, ora ad un nulla dal petto di Shadow, provò di nuovo a colpire, ma il riccio la trattenne. Con uno strattone, la coda venne tirata verso l’alto e il proprietario fu libero. Prima che chiunque potesse distinguere qualcosa di più oltre uno screziato scintillio metallico sul corpo intricato del loro aggressore, la creatura era sparita sfondando una finestra, appena dietro Amy e Shadow, sempre attaccata alla parete era sparita verso l’altro, verso il tetto.
Un’echidna ruggente si scagliò all’inseguimento, sbriciolando ciò che rimaneva della finestra. Silver si librò in volo e fece altrettanto, dando man forte all’echidna.
Shadow rimase fermo, con una strana espressione sorpresa in viso. Forse ancora mezzo acciecato al fulmine e dalla sfera di luce di Silver.
Cercò con gli occhi Rouge per controllare di nuovo che stesse bene. –Cos’era quella cosa?- Strillò lei, pallida come un fantasma. –Quante zampe c’erano?-
Sonic si era fiondato nel garage del piccolo bicode, non appena scambiò un sorriso rincuorante con la riccia rosa, che si era tirata in piedi, con un mezzo gemito. Di nuovo, lui non aveva fatto niente. Era rimasto a guardare, e Shadow aveva fatto tutto. Cosa accidenti gli stava succedendo? A denti stretti, superò la soglia del regno della volpe.
Raggiunse Tails in una frazione di secondo. Si accovacciò accanto al corpo del volpino, per metà coperto da ferraglia che era venuta giù con lui dalla sua scrivania, quando era caduto in schiena contro il tavolo da lavoro.
Il respiro di Sonic si fermò, quando vide il taglio sanguinante che il suo più caro amico aveva in mezzo al petto.
Smise di ragionare.
No…!
Controllò meglio. Si accorse che il petto di Tails si alzava e si abbassava, in respirazione lenta e irregolare. Ma bizzarri fremiti percorrevano i muscoli sottopelle, spasmi tanto violenti che pareva che qualcosa stesse strisciando sotto il pelo chiaro della volpe. Le palpebre del fratellino non biologico di Sonic fremevano, e degli strani gorgoglii gli risalivano la gola. C’era un po’ di schiuma al bordo della sua bocca.
Dei passi giunsero da dietro, erano Rouge ed Amy. L’entusiasmo della riccia rosa morì all’istante non appena vide il volpino a terra, privo di sensi, con la ferita grondante.
Rouge si sporse a guardare. –Non sembra tanto profondo, come taglio.-
-È vivo.- riuscì a dire Sonic, con un sollievo talmente intenso da non riuscire quasi a contenerlo. –Ma non sta bene. Non capisco...-     
In quel momento rientrarono Knuckles e Silver.
-L’abbiamo perso.- annunciò mogiamente il riccio argenteo.
-Ma abbiamo trovato questa.- proclamò l’echidna sventolando una lettera. –Era inchiodata alla porta.- aggiunse.
-Cosa c’è scritto?- chiese Amy.
-“Abbiamo noi l’antidoto. Vieni a prenderlo, se lo vuoi. Hai ventiquattro ore di tempo prima che i tuoi amici muoiano”.- lesse Knuckles, in tono grave. –Sonic, hanno avvelenato Tails.
-E avevano in programma di colpire non solo lui, pare. Hanno parlato al plurale, di amici.- aggiunse Silver, occhi bassi.
-Per sicurezza, telefono a Vanilla.- deglutì Amy, componendo rapida il numero al cellulare.
Sonic si sentiva svuotato, poteva quasi sentire l’eco rimbombare nel suo cranio.
Tails … Tails avvelenato!



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Allora, che ve ne pare?
Sono successe un paio di cose.
C'è stato un allarme nel quartier generale dei Cattivi, con pronta risposta. 
Shell ha scoperto qualcosa di nuovo e di preoccupante.
Abbiamo incontrato Omega (che ho lasciato decisamente in disparte negli ultimi capitoli).
E finalmente si è vista, o meglio, intravista la terza forma di vita artificiale sviluppata da quei pazzi di scienziati: il famigerato Zeta alias OcchiViola!
Un animale con forse otto o forse dieci zampe, con una coda acuminata. Che cosa sarà mai Zeta, in termini mobiani? Vediamo se indovinate :3
Tenete le dita incrociate per Tails!

Alla prossima!
bye bye
Phantom

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Capitolo 16
*** 15. Ricatto ***


Buongiorno! Phantom torna alla carica!
Chiedo scusa a tutti per il mostruoso ritardo, dovuto per altro all'inizio dell'università, cosa che, potete immaginare, mi ha rubato ogni briciolo d'energia. Per questa ragione, nell'arco di tre settimane non sono riuscita a scrivere neanche mezza riga. E pensare che il capitolo l'avevo praticamente finito, mi mancava solo l'ultima parte! Chiedo ancora scusa per il ritardo.
Devo però avvisare che il seguente capitolo sarà un po' lunghetto (so che qualcuno mi ha fatto notare che i miei capitoli sono troppo lunghi). Spero che non si riveli essere troppo noioso, ho fatto del mio meglio per accorciare ma più di così proprio non ho potuto fare. 
Dovrei anche dire che ho rimandato al prossimo capitolo la continuazione delle vicende di Shell (altrimenti questo capitolo qua sarebbe stato davvero troppo chilometrico).
Io, come sempre, ce l'ho messa tutta!
Enjoy!
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Capitolo 15
– Ricatto –
 
 
“Abbiamo noi l’antidoto.
Vieni a prenderlo, se lo vuoi.
Hai ventiquattro ore di tempo prima che i tuoi amici muoiano”
 
Avevano portato Tails nella sua stanza, lasciarlo steso in garage o in salotto era fuori discussione. Si trovavano perciò tutti radunati nella stanza da letto del volpino. Amy e Sonic accucciati vicino al dormiente, Shadow e Rouge in piedi contro il muro, Knuckles seduto per terra, Silver seduto a mezz’aria. Le lettere d’inchiostro scritte su quel biglietto trovato alla fine dell’estenuante scontro parevano scintillare alla luce dell’elettricità, ripristinata per cause sconosciute.
-Innanzitutto, che accidenti era quella cosa?- inveì Amy, distogliendo l’attenzione di tutti dalla lettera posizionata sul pavimento al centro della stanza.
Rouge continuava a scuotere la testa, immersa nei suoi ragionamenti. –Ora capisco. Ora capisco.- continuava a ripetere. –Sentivo due paia di passi, credevo fossero due persone. Ma era semplicemente quel tipo ad avere più gambe del normale. Capisco. Almeno quattro zampe…-
Sonic, continuava a fissare il vuoto. Era seduto accanto al letto di Tails, afflitto da febbre e spasmi in tutto il corpo. I primi sintomi del pesante avvelenamento che l’aveva colpito.
-Un ragno?- propose Silver, quasi all’unisono con Knuckles.
-Io ho contato dieci zampe.- commentò distrattamente il riccio blu, sempre con lo sguardo spento.
-No.- il suo doppione nero pareva essere piuttosto sicuro del fatto suo. –Le zampe erano otto, più due chele, per un totale di dieci. E aveva una coda con un pungiglione.- Nessuno meglio di Shadow aveva potuto vedere con chiarezza, già che aveva tentato di farlo fuori, anzi, di colpire Amy che era dietro di lui.
-Dunque…- ragionò ad alta voce la riccia rosa. -…Uno scorpione?!-
Tails perciò era stato pugnalato dalla coda di uno scorpione, non da un semplice coltello. Suonava anche peggio, così. L’ipotesi di una guarigione in ospedale era fuori discussione, ora, già che si parlava di uno scorpione gigante geneticamente modificato.
Silver annuì. –Avevo pensato la stessa cosa, anche se non sapevo ci fossero mobiani con tutte quelle zampe. Anche in caso di mobiani insetti, gli arti sono comunque quattro di solito.-
-Charmy, in effetti, non ha sei zampe anche se è un’ape.- constatò Knuckles. –Ma credo ci siano casi limite. Tipo i mobiani serpente, centopiedi, foche, cetacei o aracnidi. Ma non ho mai incontrato nessuno appartenente a queste tipologie.-
-Anche gli uccelli mobiani hanno le braccia, cosa che le loro controparti animali non avrebbero in natura. Per un totale di quattro arti, sempre e comunque.- osservò Rouge.
-La prossima volta che vediamo Charmy glielo chiediamo.- propose Amy, la sua voce tradiva ugualmente nervosismo. Il gelo della paura era ancora ben radicato in lei, così come in tutti gli altri. Parlare, aiutava a distrarsi. –Lui magari sa qualcosa in più, o forse ha incontrato un mobiano ragno o scorpione da qualche parte.- fece spallucce.
-Probabilmente, gliene hanno aggiunte sei così, tanto per renderlo ancora più micidiale di quanto già non sia normalmente. Non sarebbe strano da parte loro modificare la struttura normale di un mobiano.- L’osservazione di Rouge pareva fin troppo plausibile. –Come se avessero fuso insieme uno scorpione animale con uno scorpione mobiano.-
Shadow non aveva più parlato, aveva la fronte leggermente corrucciata. Probabilmente stava escogitando un modo per riuscire a battere un nemico ben più grande di lui, con dieci potenziali punti d’attacco, più stilettata gratuita in fondo alla coda, il tutto coperto da un solido carapace, probabilmente foderato di metallo. Oppure stava pensando al messaggio di ricatto appena ricevuto. Come tutti, del resto.
-Sinceramente, l’identità di quel tipo non credo sia la priorità.- scattò Sonic. –Dobbiamo pensare a Tails ora! Non abbiamo più tempo. Cosa ci facciamo ancora qui? Dovremmo già essere a cercare la cura!- l’urgenza nella sua voce, fece zittire tutti.
Ovviamente, aveva ragione. Ma la faccenda non era affatto così semplice.
-E dove proporresti di andare?- chiese Shadow, secco.
-Da loro!- sbottò Sonic, quasi urlando. –Hanno detto di avere la cura! Andiamo! Non ci sono altre opzioni! L’unico antidoto ce l’hanno loro!-
-Sarà una trappola senza dubbio.- ragionò ad alta voce Silver. –Ma di alternative non ne abbiamo.-
Shadow scosse la testa. –Non è quello il problema principale.- ruotò lo sguardo verso Sonic. –Dove pensavi di cercarlo, di preciso, quell’antidoto?-
Sonic si ritrovò in piedi senza quasi accorgersene sbalordito. Con un dito puntò la porta. –Da loro!- ripetè di nuovo, esasperato, fissando negli occhi Shadow.
Lui assottigliò lo sguardo, in risposta. –Da loro dove?- chiese di nuovo. Bastò il suo tono di voce a far capire che in effetti c’era un problema di non indifferente portata. Shadow sbuffò, come se stesse parlando ad un idiota. –Hanno ancora due laboratori. Più la loro base operative principale, che non sappiamo dove sia. Tre luoghi: in quale di questi c’è l’antidoto?- chiese semplicemente, con tono piatto. -E forse hanno anche ripulito il pc di Tails, mentre noi eravamo occupati con l’aracnide in modo da non lasciarci indizio alcuno sulle coordinate del loro quartier generale.- sussurrò tra i denti.
Tutte le sicurezze della banda crollarono come vetro infranto. Non potevano permettersi di perlustrare tre aree o aprire un indagine per scoprire dove fosse posizionata la terza. Non ne avevano il tempo materiale.
-Cosa facciamo allora?- chiese inutilmente Silver.
Il silenzio fu l’unico a rispondergli.
-Nei due laboratori rimasti. Cerchiamo là.- disse all’improvviso Rouge, scambiano uno sguardo d’intesa con Shadow. –Il biglietto lascia chiaramente presagire un ricatto, più che una sfida. Non ci avrebbero detto dov’è l’antidoto, altrimenti, e non ci avrebbero dato un ultimatum di tempo. Vogliono che andiamo a prenderlo, e magari accettare le loro condizioni per riuscirci. È un ricatto svolto a puntino, secondo me. Dunque, devono prevedere un luogo da noi raggiungibile. Scarterei dunque l’ipotesi che tengano l’antidoto nella loro base operativa principale.-
Silver ragionò ad alta voce. –Se fossi in loro, non vorrei che i miei nemici si precipitino di tutta fretta come un branco di bisonti nella mia base principale, alla frenetica ricerca di una cura, con l’urgenza del tempo scarseggiante. Sarebbe come tirarsi la zappa sui piedi.-
Diverse teste annuirono.
-E se invece ci stessero sfidando a trovare il loro nido prima dello scadere delle ventiquattro ore di tempo?- propose Knuckles. –Una sfida a tempo. Con una vita in ballo, e la costrizione da parte nostra ad agire avventatamente.-
Rouge scosse la testa. –L’esperienza mi dice che è un ricatto. Dimenticate che loro hanno un obbiettivo ben preciso.- guardò Shadow, in modo fin troppo eloquente. –Con la forza non hanno ottenuto nulla fin ora. Magari hanno deciso di provare in un altro modo: con l’inganno. Un ricatto sarebbe il modo migliore: ti do l’antidoto per il tuo amico, se tu fai questo per me.- fece spallucce. –Io almeno farei così.-
-Un ricatto…- sussurrò Sonic, guardando Tails. Il riccio aveva le mani strette a pungo, la mascella serrata.
-Quale sia la natura del loro messaggio non è molto rilevante, secondo me, ora come ora.- intervenne Amy. –Il punto è che Tails sta malissimo! E forse sappiamo dov’è la cura. Non importa stare qui a discutere, dobbiamo andare a prenderlo e basta!-
-Come sarebbe a dire “forse sappiamo dov’è la cura”?- sibilò Sonic, voltandosi verso di lei. –Noi sappiamo dov’è la cura.-
-In effetti, non sappiamo se questa cura ce l’hanno davvero o no.- lo corresse Silver. –Ma non abbiamo tempo per escogitare altre opzioni, o altri antidoti. Io dico di andare nei laboratori e sperare che quei tizi abbiano detto la verità.-
Più o meno tutti annuirono.
-Dove sono situati i laboratori rimanenti?- domandò Amy.
-Uno è ad Ovest, l’altro è sul mare. Le coordinate sono scritte qui, su questo foglietto di Tails.- fu la risposta.
-Ci dividiamo in due gruppi?- propose Silver.
Rouge indicò Shadow. –Noi siamo in tre. Con anche Omega non avremo problemi. L’infiltrazione silenziosa non serve, questa volta. Loro tanto già ci aspettano.-
Amy guardò l’echidna e i due ricci rimanenti. –Noi andiamo nell’altra base?- chiese.
-L’ultima volta la divisione Team Dark e Team Sonic non ha funzionato un gran che.- osservò Silver. –Da quello che ho capito, almeno.- si affrettò ad aggiungere. –E se mischiassimo i gruppi?-
-Beh, con te insieme a noi dovrebbe funzionare.- borbottò Knuckles.
-Ma io non sono esperto di infiltrazioni in edifici altamente sorvegliati. E se anche essere cauti non servirebbe, già che sanno che arriviamo, serve ugualmente qualcuno abile nel cercare qualcosa di piccolo e ben protetto o finiremo per girare a vuoto per ore intere, sotto il fuoco nemico per di più.- ribattè Silver. –Loro due sono esperti in entrambi gli ambiti.- fece un gesto verso Rouge e Shadow.
Non aveva tutti i torti.
L’occhiata di pieno disaccordo che il riccio nero scagliò alla pipistrella venne però notata solo dall’echidna. Qualunque cosa avesse da ridire Shadow, dovette ritenerla una motivazione non valida a sufficienza per venire espressa, secondo i suoi personalissimi canoni. Oppure il motivo alla base della sua scontrosità era qualcosa da tenere segreto. E Knuckles ebbe l’impressione che non si trattava solo di semplice preoccupazione.
-Quindi…?- cominciò Amy. Ma nessuno pareva volersi prendere la responsabilità di scegliere  due gruppi, o di acconsentire definitivamente a disfare e riformare due squadre che potevano contare di un’intesa solidificata da anni di esperienza.
Le occhiate si diressero verso Shadow ma lui non diede segno di voler condividere i propri pensieri. Dunque, quegli stessi sguardi finirono per rivolgersi a Sonic. Ovviamente.
Il riccio sospirò, massaggiandosi un orecchio. –Perché sempre io?-
-Sei il leader.- gli ricordò ridendo Silver. –Io sono il nuovo arrivato, non pretenderai che mi metta a prendere decisioni così importanti fin da subito, eh?-
Tutti annuirono. E Sonic, rassegnato, sospirò di nuovo. –Ci dividiamo, allora? Formiamo gruppi nuovi?-
Nessuno disse niente, alcuni annuirono. L’eroe di Mobius lo prese come un assenso. –Perfetto, allora.- fu costretto a fare un’altra pausa. Ora veniva la parte difficile: scegliere chi andava con chi senza offendere né mandare in disperazione nessuno.
–Io provo con dei nomi, va bene? Se non vi va bene, si può sempre cambiare. Allora … Con me verranno Silver, Knuckles e Rouge. Con Shadow andranno Omega ed Amy. Va bene o ci sono obbiezioni?-
La faccia di Amy lasciava chiaramente intendere che aveva obbiezioni. Ma riuscì a ragionare prima di parlare e comprese le motivazioni del suo amato, che, a dispetto della apparenze, non aveva approfittato della situazione per metterla semplicemente da parte, lontano da lui.
Il problema principale, pensò lei, erano Shadow e Rouge, che andavano separati per forza di cose al fine di guidare i due gruppi nell’infiltrazione in area ad alta riservatezza. Però, Rouge era stata ferita gravemente da poco, e, immaginò Amy, l’idea di averla lontana fuori dalla sua supervisione doveva logorare non poco il riccio nero, cosa che avrebbe giustificato il suo umore da tempesta. Però, il fatto di dividere loro due era l’unica variabile che non andava messa in disussione. Shadow avrebbe dovuto metterci una pietra sopra e fidarsi degli altri. Forse proprio per quello, Sonic aveva scelto di portare con sé due membri abbastanza potenti, in grado di proteggere Rouge bene almeno quanto avrebbe fatto Shadow: Silver e Knuckles erano la scelta perfetta. In pratica, riccio blu, riccio argenteo ed echidna rosso sommati insieme riuscivano forse a bilanciare Shadow. Tre contro uno. E forse quell’uno vinceva ancora.
La pipistrella, per altro, aveva buone ragioni di temere di finire di nuovo nel mirino di quegli scienziati: come per Sonic c’era Tails, per Shadow c’era lei. E le probabilità che volpe e pipistrello condividessero la stessa sciagurata sorte era alta. Era dunque necessario proteggere Rouge.
Inoltre, un’altra certezza nonché passo obbligato era il fatto che Silver e Sonic dovessero rimanere fianco a fianco, come s’era già capito nell’ultima battaglia quando era stato palese che le sole forze di Knuckles e del riccio blu, insieme a quelle di Amy, non erano bastate per tener fronte a Ferro Vecchio. Rouge probabilmente non aveva una potenza d’attacco tanto superiore a quella di Amy, per di più ora era anche ferita. Dunque, per non ricadere nella stessa formula, si doveva unire anche qualcuno che aggiungesse valore al gruppo, aggiungendo un po’ di pepe al minestrone.
Per non lasciare Shadow completamente da solo, era bene affiancargli un compagno ben conosciuto per lui, che era Omega. E ad Amy spettava di tappare l’unico buco che mancava, cioè nella squadra di Shadow.
Sebbene comprendesse la scelta presa da Sonic, si sentiva comunque trattata come l’ultima ruota del carro.
E la cosa la rattristava abbastanza. Inoltre, detto proprio schiettamente, passare una missione in compagnia di Shadow e Omega … che allegria!
-Va bene a tutti?- chiese di nuovo Sonic.
Amy notò solo allora che il riccio stava guardando proprio lei, e che la domanda in pratica era rivolta solo alla riccia rosa. La luce parzialmente colpevole negli occhi del suo amato riccio la fece sorridere. –Per me è perfetto.-
-Divisione di tre da una parte e quattro dall’altra…- borbottò Knuckles, alzando gli occhi su Rouge. –Sicura di sentirti abbastanza in forma per una battaglia?-
Rouge ancheggiò. –Non sono io quella rimasta schiacciata sotto una frana. Come ti senti tu, piuttosto?-
L’echidna fece già per ribattere, forse menzionando il fatto che una pallottola era ben peggio di qualche sasso, ma Rouge voltò la testa dall’altra parte, segno che la questione era chiusa.
Lo sguardo preoccupato che scambiò con Shadow, però, lasciò perplesso l’echidna, di nuovo. Cosa stavano nascondendo quei due?
Gli occhi smeraldini di Amy si posarono sul volpino. –Qualcuno resterà qui con Tails? Nel caso peggiorasse, o se tornasse lo scorpione per … per fargli altro male.-
La sorpresa di Sonic venne immediatamente sostituita da un senso di rabbia e colpa verso sé stesso per non averci pensato prima.
Era possibile, in effetti. Loro tutti alla ricerca della cura, e il ferito in balia di chicchessia. Sarebbe stato davvero un tiro mancino senza precedenti attaccare qualcuno già steso, ma conoscendo le persone con cui avevano a che fare non si facevano più illusioni.
Si scambiarono tutti un’occhiata. Chi restava? Ogni singolo paio di braccia era più che necessario per espugnare quei laboratori, l’avevano già capito molto bene la scorsa avventura. E, soprattutto, c’era un luogo davvero sicuro per Tails?
La risposta venne nella maniera più semplice. –Lo portiamo sull’ARK.- disse Shadow. –Come ho fatto con Rouge. Là non verrà mai nessuno.-
La soluzione suscitò non pochi sospiri di sollievo.
-E chi resterà a sorvegliare Tails? Non per difesa, a questo punto, ma nel qual caso succedesse qualcosa, un peggioramento magari.- disse Sonic, occhi bassi verso il corpo dell’amico.
-Deve essere qualcuno che se ne intenda di malattie.- ricordò Knuckles.
-Vanilla…?- la voce incerta di Amy attirò su di sé tutte le attenzioni. –Ci ha già aiutati altre volte in caso di ferite.- si giustificò la riccia. –Potrebbe accettare anche questa volta: controllare che Tails non peggiori mentre noi siamo via. Per qualche ora.-
A Sonic scappò un sorriso, il primo sincero da quando Tails era rimasto ferito. –Vanilla sull’ARK! Ecco una scenetta insolita!-
-Verrà anche Cream, immagino.- sospirò Knuckles. –Quelle due non si separano mai.-
-Ma non dovrebbe avere scuola lei?- si informò Amy.
Rouge fece spallucce. –Vedere l’universo di persona è molto più istruttivo di tutte quelle lezioni senza inizio e senza fine, no?-
Sonic annuì. –Chiederemo a Vanilla, allora. E Shadow le darà un passaggio sull’ARK.-
Le espressioni dei volti dei mobiani parevano molto più rilassate, ora che avevano stabilito come agire. Senza la confusione e il disordine, si sentivano tutti più sicuri. Pure Sonic stesso si sentiva più tranquillo, ora che il piano per salvare il suo fratellino non biologico aveva preso forma. La guarigione di Tails gli sembrava già più vicina.
-Bene!- proclamò il riccio. –Ora possiamo anche andar…-
-Aspetta.- la voce di Shadow gli impose il silenzio. Lui non parlava spesso, e quando lo faceva aveva il dono di stravolgere interamente una conversazione. –Dobbiamo ancora decidere chi andrà in quale base.-
Un brivido gelido corse giù per la spina dorsale di Sonic. Cominciò a sudare freddo. –Ma non era ovvio? Io e la mia squadra andremo nella base ad Ovest, tu invece ti dirigerai a quella su mare con il tuo gruppo…-
L’espressione dura di Shadow smorzò ogni possibilità di speranza per il riccio blu, lasciando intendere l’esatto opposto alla proposta di Sonic.
-Non… non mi vuoi mandare davvero nell’acqua, vero?- balbettò Sonic, con un principio di panico che gli si snodava nello stomaco.
-È esattamente quello che intendevo.- disse invece Shadow. Il riccio blu si sentì sprofondare, come se già stesse annegando.
-Perché?- ansimò, senza voce.
La noncuranza con cui Shadow parlò lo fece sentire male. –Ovviamente, perché loro non si aspettano di ricevere te come ospite in un laboratorio edificato sul mare. O più probabilmente sotto.-
Il riccio impallidì, da blu divenne azzurro. –N…non scherzare, Shadow.-
L’occhiataccia che ricevette gli fece capire di aver sbagliato verbo. Shadow che scherzava? Ma quando!
-Tu andrai in quel laboratorio.- replicò il riccio nero, con tono perentorio.
Il suo era un ordine, punto e basta. Quel “dobbiamo decidere” di poco prima era pura retorica, risultato malformato della distorta concezione di educazione di Shadow. Sonic non aveva scelta fin dall’inizio.
-Crudele!- gli venne quasi da piangere. –Spietato!-
E intanto la logica gli suggeriva che Shadow aveva ragione.
Era una certezza che nei due laboratori li stessero aspettando con massicce forze d’attacco. L’unica arma valida che potevano avere loro era la sorpresa. Ma non la sorpresa di un entrata in scena inattesa giacchè erano costretti a presentarsi in tempi assai brevi: la sorpresa di essere l’avversario sbagliato per le tattiche preparate dai nemici, in modo da disorientarli.
Tutti raggiunsero la stessa conclusione. Quella di Shadow era stata una gran bella pensata!
-E se loro avessero preso in considerazione l’idea che noi avessimo pensato che loro avessero capito che Shadow avrebbe spedito Sonic sott’acqua?- chiese Silver con un sogghigno, ben sapendo quale sarebbe stata la reazione generale.
Un sospiro d’esasperazione comune. Da quel genere di scherzetti in stile loop non se ne usciva mai sani di mente.
La questione venne deposta, e si decise di spedire il Team di Sonic sott’acqua, e quello di Shadow sulla terra ferma.
-Finalmente, siamo pronti!- esclamò Amy, in conclusione–Si va!-
Sonic ammiccò, ricacciando indietro il terrore. –In due minuti tutti davanti al Tornado X. La mia squadra, almeno. Ci sposteremo con quello.- Già che sull’acqua non si può correre, avrebbe voluto aggiungere, ma non ebbe la forza di pronunciare quelle parole inconcepibili. Già aveva il mal di mare!
-Vado a telefonare a Vanilla.- squittì Amy, fiondandosi di sotto.
Uscirono tutti, uno dopo l’altro.
Sonic rimase ancora qualche attimo insieme a Tails. Non ti preoccupare, fratello! Ti porterò quell’antidoto!
Si alzò e si avviò, solo per trovarsi faccia a faccia con Shadow.
Sobbalzò vivamente. Non s’era accorto che era il riccio nero rimasto fermo e che non era sceso di sotto insieme agli altri. Inghiottendo lo spavento e l’imbarazzo, gli sorrise. –Grazie per prima, a proposito, quando hai protetto Amy al posto mio da quello scorpione.-
Lo sguardo del riccio nero si ammorbidì di qualche grado, il suo tacito modo di dire che non era stato affatto un problema.
Ma l’atmosfera si congelò subito dopo, quando i due si ritrovarono a fissarsi in silenzio, senza che il riccio nero facesse alcuno sforzo per iniziare a parlare. –Volevi parlarmi di qualcosa, immagino.- lo incoraggiò Sonic, già che Shadow da solo non sembrava capace di cominciare un discorso. –Sputa il rospo, Faker.-
La serietà che regnava incontrastata gli occhi di Shadow lasciava presagire profondi problemi interni. Finalmente, fissando dritto in faccia Sonic, Shadow parlò. -Qualunque cosa succeda, tu devi prendere quell’antidoto. Hai capito?-
Sonic si accigliò. Tutto lì? Era l’unico punto dell’intero piano su cui nessuno aveva alcun dubbio.
-Ovvio che lo farò.- sorrise rassicurante, senza capire dove faker volesse andare a parare.
Fece per uscire dalla porta. Fremette quando la mano di Shadow lo afferrò per un polso, bloccandolo. –Indipendentemente da quello che dovrai o non dovrai fare, tu prenderai quell’antidoto.-
Ora Sonic era davvero confuso. Nemmeno era una domanda, quella di Shadow!
Guardò l’amico, e l’agitazione che lesse nei suoi occhi di fuoco lo rese nervoso. C’era qualcosa che non andava? Cosa c’era di tanto atroce da riuscire a mettere in tensione uno come Shadow? E, soprattutto, perché lui si stava impuntando sull’unica ovvietà di tutta quella pazzesca situazione?
-Prometto.- disse, senza più sorridere, guardando Shadow dritto in faccia, sperando di riuscire a rassicurarlo. –Prenderò quell’antidoto, costi quel che costi.-
Lo sguardo di Faker si fece più intenso, il disagio di Sonic crebbe. –Costi quel che costi.- ripetè Shadow, come a suggellare un qualche tipo di patto comprensibile solo a lui.
Poi si voltò e scese di sotto a passo serrato, lasciando Sonic da solo con un palmo di naso.
E quello che accidenti era?
Il fatto che Shadow avesse dei problemi da risolvere era sicuro come il sole, specialmente dopo quella chiacchierata amichevole senza senso. Ma … problemi riguardo cosa?
Forse Shadow aveva previsto delle particolari difficoltà nei luoghi in cui stavano andando? O forse … era preoccupato per Rouge? In entrambi i casi, c’era qualcosa che Shadow non aveva detto.
Sai che novità!
Scese di sotto anche lui e venne accolto dallo strillo di Amy. –Vanilla ha detto di sì. Si occuperà di Tails. Verrà qui in due minuti.-
Fece giusto in tempo a finire la frase che il telefono riprese a squillare, la riccia rispose.
-Ah, Vector! Che piacere sentirti!- lo salutò Amy.
Sonic aggrottò la fronte. Tempismo impeccabile, il coccodrillo!
Sentì Amy esitare. –Emh … Sì … Shadow è qui, perché chiedi?- Il viso della riccia si oscurò. –Una gabbianella? Non capisco … In ogni caso, ora non possiamo. Abbiamo molto da fare. Questione di vita o di morte. Sì … Certo. Appunto, devo andare ora. Ti telefono più tardi. No!- urlò. –Aspetta un secondo invece. Puoi chiedere a Charmy se ha mai incontrato un mobiano scorpione o ragno?- una lunga pausa. –L’ha incontrato? Perfetto! Quante zampe aveva? Grazie mille! Non ti importa sapere perché l’ho chiesto. Te lo racconto appena torniamo. A dopo!-
-Quanti arti ha uno scorpione mobiano, dunque?- chiese Silver.
Amy appoggiò la cornetta del telefono. –Charmy ha detto che nella sua classe all’asilo c’era uno scorpione. E aveva quattro arti, i due superiori erano chele.-
Espressioni corrucciate attraversarono i volti dei presenti. –Allora hanno commesso davvero un’atrocità su quel mobiano di prima.- sussurrò Sonic. –Impiantare altre sei zampe! È … innaturale!-
Cadde il silenzio, l’opinione generale riguardante il misterioso sicario aracnide cambiò lievemente di sfumatura. In fin dei conti, anche il loro nuovo amico multizampe era solo un’altra vittima di quella gente pazza.
-A proposito, che voleva Vector da Shadow?- borbottò Knuckles, ricordando la parte iniziale della conversazione. Forse il riccio in questione avrebbe dovuto interessarsi di suo, ma ovviamente non aveva detto niente.
-Non ho capito bene nemmeno io.- confessò Amy. Fece spallucce. –Ora non è importante. Lo richiameremo più tardi.-
Sonic si sentì osservato, ne cercò la fonte ed individuò di nuovo l’inquietante figura di Shadow. Faker lo guardava fissamente, e pareva quasi chiedergli con gli occhi “Te la senti di combattere questa nuova battaglia? Credi di riuscirci?”
Sonic si pose la domanda. Ne era in grado?
Doveva, se voleva riavere indietro Tails. Avrebbe fatto qualunque cosa per riuscirci. Nessuno poteva permettersi di avvelenare Tails e passarla liscia. Due, otto o dieci zampe … non importava. Nessuno!
Annuì a Shadow, e lo vide distogliere lo sguardo, forse finalmente soddisfatto.
Nei minuti successivi giunse Vanilla, insieme alla dolcissima figlia. Le due squadre si divisero davanti all’hangar del Tornado X. Shadow, Amy e le due ospiti da una parte; Sonic, Knuckles, Rouge e Silver dall’altra.
-Andiamo a prendere Omega, portiamo Vanilla e Cream sull’ARK insieme a Tails e poi ci dirigiamo al laboratorio Ovest.- sorrise Amy, ricapitolando le loro prossime mosse.  
Sonic era tornato ad essere pallido come un fantasma. L’ora del bagnetto era vicina! Una scintilla di determinazione spezzò l’uniformità del suo panico: Tails, forse, stava compiendo il miracolo di spedire Sonic dritto nel mare! Con una “lieve” spintarella da parte di Shadow.
-Faker! Se vedi quello scorpione, non lo toccare, capito? Lui è mio!- esclamò Sonic, all’indirizzo del suo doppione.
Shadow annuì, sprecandosi anche con un mezzo sorriso.
 
 
Più si avvicinavano al mare, più il nervosismo di Sonic aumentava. Lo si intuiva dalla parlantina ridotta, dal broncio sempre più cupo, e dalle virate più secche durante le manovre di volo. In effetti, i tre compagni del riccio blu avevano capito all’istante che, forse e solo forse, affidare la guida ad un Sonic così teso poteva non essere stata un’idea definibile geniale. Ma, del resto, era l’unico capace di pilotare decentemente il Tornado X.
Rouge accavallò le gambe, sbuffando. –Quanto manca ancora, giusto per avere un’idea?-
Le dita di Sonic si serrarono ancora di più sul volante dell’aereo. –Perché chiedi?- domandò, sviando la richiesta.
Rouge sbattè le palpebre. –Come perché? Sono seduta qui dietro da quasi un’ora e mezza e il mare non s’è neanche visto. Sei sicuro che stiamo andando dalla parte giusta, o che tu non stai volontariamente allungando il giro?-
Sonic schioccò la lingua, risentito. –Come potrei allungare di proposito il percorso, sapendo che il mio migliore amico ha un piede nella fossa?-
La pipistrella fece spallucce. –E allora quanto manca?-
Sonic deglutì, costretto a guardare finalmente la previsione delle tempistiche di volo. –Dieci minuti.- disse, con lo stesso tono di voce di chi ha capito che la propria vita stava per raggiungere la fine. Quando avrebbe voluto non guardare quel maledetto orologio di bordo!
Rouge sogghignò. –Fattene una ragione al più presto, eroe. Il mal di mare non sarà una scusa per i nostri nemici: attaccheranno con la stessa potenza di tutti i giorni, e tu faresti meglio ad essere pronto.-
Sonic si avvilì, senza pudore di nasconderlo. Non replicò, continuò semplicemente a volare, seguendo la rotta tracciata dal navigatore incorporato.
-Come se la passano gli altri due?- domandò il riccio blu, forse per cambiare argomento.
Rouge diede un’occhiata a sinistra. Knuckles era ancora attaccato all’ala dell’aereo, esattamente dove l’avevano lasciato l’ultima volta. Con l’unica differenza che agli occhi dell’echidna vi erano due scie di lacrime: l’insistenza dell’aria in faccia aveva visibilmente irritato i bulbi oculari del povero Knuckles.
Rouge ruotò poi la testa a sinistra. Silver volava a pancia in su, con un beato sorriso stampato in faccia. Aveva gli occhi chiusi e le braccia spalancate in una chiara posizione di relax.
-Stanno a meraviglia entrambi.- sorrise la pipistrella.
-Bene.-
Sonic non riusciva a non notare che la voce di Tails prima di una missione gli mancava tremendamente. Non se n’era reso conto, ma aveva fatto l’abitudine alla presenza del piccolo volpino. Si sentiva … come se gli avessero tolto un pezzo.
Da Tails, il suo pensiero passò ad Amy, altra presenza sempre immancabile (purtroppo per lui), ma il cui silenzio ora pesava anche troppo. Mischiare i gruppi … doveva ancora decidere se come idea gli piacesse oppure no.
Un piacevole cambiamento, quello sì. Sperava solo che fosse altrettanto efficace. Con un sogghigno, si chiese come se la stesse cavando il suo confetto parlante preferito insieme a Faker (espresse mentalmente le condoglianze alla sua controparte nera).
E fu allora che il mare apparve loro, in tutta la sua mostruosa immensità. Sonic boccheggiò, e siccome la forza parve abbandonare le sue braccia, la presa sul sistema di controllo dell’aereo s’indebolì al quanto. Un violento scossone fece tremare l’intero Tornado X che perse nel giro di un secondo diversi metri di quota. Rouge sobbalzò al vuoto di stomaco, fuori Knuckles imprecò. Silver con una giravolta scese d’altitudine, piazzandosi di nuovo parallelo all’aereo. –Che è success?- chiese Silver nel microfono, sistema di comunicazione che li avrebbe tenuti tutti e quattro in contatto.
-Maledizione!- inveì Knuckles. –Fa’ attenzione!-
Rouge sorrise. –Il nostro pilota è diventato verde: hai già il mal di mare, tesoro?-
Il fatto che angustiava davvero Sonic era che davanti a loro c’era soltanto acqua. Ma quel dannato navigatore automatico continuava ad insistere che la loro meta era a neanche quattro miglia di distanza. Ma da quell’altezza avrebbero dovuto chiaramente vedere se c’era terra, più avanti. E la terra ferma non c’era!
Sonic cominciò a sudare freddo. Sinceramente, non … non poteva essere subacqueo quel laboratorio, vero? Doveva esserci terra, da qualche parte.
Vedendo il povero pilota rigido come un blocco di cemento, Rouge intuì il problema. –Silver?- chiamò. –Non ti dispiace scendere a controllare più da vicino se magari c’è una piccola isola da qualche parte giù là?-
Il riccio argenteo annuì. Si stiracchiò una spalla e sorrise.
A mezz’aria si impennò, tirandosi in verticale, prima di annullare del tutto l’aura azzurra attorno al suo corpo lasciandosi così cadere liberamente nel vuoto. Il suo grido emozionato di puro brivido giunse chiaramente alle loro orecchie, mentre il riccio annullava nella maniera più economica il dislivello tra aereo e superficie.
Compiuti i duemila metri di caduta, Silver evocò di nuovo la propria aura riprendendo il volo. Sfruttando la spinta della caduta schizzò in avanti a velocità mostruosa, convertendo la forza peso in energia cinetica. Sfrecciò sull’acqua lasciandosi alle spalle la baia della manciata di pochi attimi di secondo.
Sonic sospirò, nostalgico. Gli veniva voglia di correre, quando vedeva certe cose.
I tre rimasti seguirono con gli occhi la scia luminescente del riccio che tagliava a metà la fetta di mare davanti a loro. Nulla accadde per un po’, fino a quando Silver non si ritrovò al largo della baia, più o meno nella zona indicata dal navigatore. Qualcosa dovette attrarre la sua attenzione poiché fece bruscamente inversione, compiendo un’ampia curva. Fece due giri attorno all’oggetto del suo interesse, per segnalare a loro che qualcosa effettivamente c’era. Infine, si abbassò ancora di quota e la luce della sua scia sparì, segno che aveva smesso di volare.
Sonic esultò selvaggiamente. –La terrà c’è! La terrà c’è! Un’isola!-
Rouge non fece in tempo a dirgli di calmarsi. Il riccio puntò in avanti la manopola di guida dell’aereo, slanciando il Tornado X in una picchiata da togliere il respiro. Si era decisamente esaltato troppo vedendo Silver.
Ma i due passeggieri non ebbero modo di esporre le loro lamentele, nemmeno Rouge che a volare era abituata. Gridarono come folli tutti e tre, in preda al tremendo vuoto allo stomaco che la caduta aveva causato, rimestando senza pietà i loro organi interni.
E se a Rouge vennero in mente un paio di insulti, a Knuckles vennero in mente appellativi ben peggiori, già che si trovava all’estero appeso a pura forza di braccia ad un’ala di un aereo da combattimento in piena discesa.
Quando il suolo fu sufficientemente vicino, Sonic impartì un altro strattone e il Tornado X scattò il posizione orizzontale. La spinta della gravità e la mostruosa forza G creatasi con quella manovra pazzesca rischiò seriamente di fare perdere i sensi all’echidna e alla pipistrella. Sentirono entrambi l’enorme pressione schiacciarli tanto da far defluire il sangue verso il basso con terrificante inevitabilità. Anche respirare divenne un problema.
La sensazione durò pochi secondi, ma fu sufficiente a far oscurare un attimo la vista a Rouge. Guardò immediatamente fuori: Knuckles era ancora là, attaccato con gli spuntoni delle mani all’ala metallica, ed aveva in volto un’espressione “lievemente” furiosa.
La faccia di Sonic, al contrario, comunicava solo entusiasmo. Lui era abituato a sopportare pressioni gravitazionali e forze G ben più marcate di quella. Sfortunatamente, i due passeggeri non potevano dire altrettanto.
I motori del Tornado X rombarono, facendogli schizzare tutti e tre raso acqua a una velocità mozzafiato. Un osservatore esterno avrebbe potuto udire il frastuono del motore, e avrebbe potuto notare il disco bianco di vapore che andò a formarsi sulla coda dell’aereo, la zona di decompressione dell’urto sonico, segni inequivocabili che stavano raggiungendo i fatidici trecentotrenta metri al secondo circa, che erano la velocità abituale di un certo riccio pazzo che qualcuno aveva messo alla guida.
Tails sicuramente non aveva mai fatto una cosa del genere, né ai suoi passeggeri, né al suo aereo. Per lo meno, Sonic si degnò di rallentare in maniera decente, per poi virare dolcemente e atterrare sullo sputo di terra sorto dal nulla in mezzo al nulla, sul quale li stava aspettando Silver.
La risata del riccio bianco li accolse. –Pazzo, Sonic! Non dovevi fare come me, tu con tutto l’aereo! Hai dei passeggeri, vergognati.-
Il riccio saltò giù dal Tornado X con un solo sciolto movimento. –Ma è stato fantastico!- sorrise, ben contento di avere terra, solida terra sotto i piedi e non infida acqua.
Qualcuno ebbe ovviamente qualcosa da ridire all’affermazione del riccio. Knuckles scivolò a terra come un grumo di gelatina. –Tu….! Tu….!- si premette una mano sulla bocca, in preda alla nausea. –Tu sei da rinchiudere!-
-E lo scopri solo adesso?- ghignò Sonic.
Rouge scese anche lei dall’aereo, aveva le ginocchia tremolanti. –Al ritorno, guido io.- E la sua non era una proposta. Era un’inequivocabile verità.
Un’altra bruciante realtà li colse tutti, tranne Silver che aveva già avuto tempo di constatare.
Quell’isola era minuscola. Piatta come una tavola da surf. Lunga quattro volte il Tornado X. E priva di qualunque edificio.
Era una semplice distesa erbosa, neanche tanto uniforme, bensì piuttosto spelacchiata, irta di rocce, buchi e fosse, con qualche temerario arbusto arso dal sale marino.
Fine.
Un prato cresciuto su di uno scoglio, che aveva l’aspetto di un formaggio forato andato a male.
-E…il laboratorio?- pigolò Sonic.
Silver fece spallucce. –Nessun idea, amico. Solo, fa attenzione a dove metti I piedi.-
Non fecero nemmeno in tempo a chiedergli il perché che dal centro del prato, da una delle buche, esplose una colonna di gas. Un’esalazione verdognola e lievemente violacea venne eruttata dal terreno, seguita da un inquietante gorgoglio malsano.
Tutti e quattro erano fermi come statue. –Cos’era quello?- Rouge diede voce al pensiero di tutti gli altri.
Cautamente, tastando con cura l’erba prima di posarci il proprio peso, Sonic camminò in avanti, fino a raggiungere una di quelle misteriose buche. Sobbalzò quando vi guardò dentro e vi vide una pozza di liquido verde, dall’aria insolitamente viscosa. Non era acqua di sicuro.
Come colto da un’improvvisa (quanto rara) illuminazione, raccolse un sassolino e lo gettò dentro. Si udì uno sfrigolio simile a quello dell’olio in ebollizione solo più viscido. Il sassolino si disfò sotto agli occhi increduli del riccio.
-È acido!- esclamò, indicando l’acqua.
Silver annuì. –Questo posto, dalle mie parti, viene chiamato Morte Verde. Una terra altamente tossica, che sanguina acido, appunto.-
Knuckles lo guardò storto. –E come fai tu a conoscere questo posto, scusa?-
Silver sorrise. –Quest’isola è presente anche nel mio futuro, solo senza piante.-
-Guardate qui!- chiamò Rouge, allarmata, era in pedi davanti ad un’altra fossa. Tutti accorsero. Dentro, sulla riva c’erano delle ossa. Piccole ossa, forse di topo, interamente spolpate dall’acido e per metà corrose.
Silver aggrottò la fronte. –E senza animali, anche.- aggiunse.
-Vuol dire che l’acido è qui da poco, per far sì che vi siano tracce di forme di vita?- propose Knuckles.
-Probabile.- rispose Silver, osservando con tristezza i resti del corpicino. Non doveva essere stata una fine indolore.
-Dunque, i gesti di questi folli hanno avuto conseguenze su scala così vasta…- commentò a mezza voce Rouge. –Sono riusciti a perpetrare danni fino all’epoca di Silver.-
Sonic era voltato dall’altra parte, osservava preoccupato il punto in cui aveva parcheggiato l’aereo. Fortunatamente, l’impalco di sostegno del Tornado X, le ruote, poggiavano su solida terra, non su pozze di acido corrosivo. Una fossa velenosa stava proprio sotto il muso della macchina, un’altra sotto l’ala sinistra. La destra sporgeva nel mare.
-E se un’altra di quelle esalazioni gassose spuntasse proprio sotto al Tornado X e ci sciogliesse l’aereo?-
Silver scosse la testa. –Il gas esce solo dal centro.- indicò il punto.
-Come mai?- domandò l’echidna.
-Perché magari là sotto c’è qualcosa che fa uscire le scorie tossiche.- propose Rouge. –Tipo una base di ricerca chimica con un tubo di scarico?-
Tutti si illuminarono. –Il laboratorio dunque è sotto?-
La pipistrella annuì. -Ci sono buone probabilità.-
-E come entriamo?-
La domanda di Knuckles rimase sospesa nell’aria.
Tre paia di occhi si voltarono verso Silver. Il riccio alzò le mani in segno di resa. –Nel futuro qui si riesce a rimanere solo pochi minuti prima di venir corrosi, l’aria è altamente tossica. Non ho idea di dove si possa trovare un’entrata, mai avuto occasione di indagare dunque niente indizi utili, spiacente.-
I venti minuti successivi furono spesi a setacciare la superficie, che per altro non offriva chissà quale punto d’interesse. Scoprirono solo i resti fusi del tronco di un albero ormai sfaldato, due resti di uccelli marini morti nell’acido e un banco di pesci stecchiti che venivano sbattuti ritmicamente contro gli scogli dalla risacca delle onde. Ma nessuna porta, nessuna botola, nessuna scala.
-Ma possibile che per arrivare qui debbano atterrare con elicotteri o aerei su un terreno così accidentato?- ragionò Rouge. –Deve esserci un modo più facile per entrare.-
L’aria, intanto, diventava sempre più pesante da respirare. –Dobbiamo muoverci, ragazzi.- disse Sonic, tossendo.
Silver era immobile, sguardo fisso sull’acqua, la fronte corrugata. –E se si potesse entrare da sotto? Dal mare? Sarebbe un buon modo per entrare e uscire senza rischiare di danneggiare un elicottero. E nessuno dalle città costiere noterebbe i movimenti in questa zona.-
Sonic inorridì. –Non dire scemenze!-
-Secondo me ha ragione.- ghignò Knuckles, con una lieve sfumatura di sadismo nella voce. –Andiamo a controllare?-
-Io non vorrei fare la fine di quei pesci là.- commentò Rouge, dando indirettamente ragione all’echidna.
-Abbiamo Silver! Può farci uno scudo!- L’entusiasmo di Knuckles fece sprofondare Sonic.
-Non … non direte sul serio, vero, amici?- supplicò.
Un minuto dopo si ritrovava sott’acqua, avvolto da una bolla di luce, piena d’aria all’interno. Ce n’erano altre tre uguali a poca distanza: davanti a loro si spalancava una nera voragine nella roccia che formava la parte sommersa dell’isola, che s’era rivelata essere molto più grande di quanto non affiorasse in superficie, solo una minuscola percentuale della massa complessiva di quel posto.
Così, senza che l’eroe di Mobius dovesse bagnarsi la coda, entrarono senza problemi nella base di ricerca incastonata nel cuore dell’isola.
Una grotta irta di stalattiti li accolse.
Per metà era immersa dall’acqua, nell’altra metà c’era aria. Sonic si fiondò sulla riva non appena Silver lo liberò dallo scudo. Il riccio si inginocchiò a terra, accarezzando gli scogli come se fossero il più bel tesoro del mondo.
Anche gli altri lo raggiunsero. –T’è andata bene, riccio!- ringhiò Knuckles.
-Tutto a posto, Silver?- la domanda di Rouge fece voltare gli altri due.
Il diretto interessato ansimava, piegato a metà dallo sforzo. –Sì, sto bene. Semplicemente ci vuole molta energia per premere sott’acqua una simile massa d’aria, quella contenuta degli scudi. E, comunque, quell’acqua era strana. Sottraeva forza, come se tentasse di distruggere le mie barriere.-
-Forse è l’inquinamento tossico.- ipotizzò Knuckles.
I riflessi geometrici e mobili dell’acqua erano proiettati sul soffitto a volta, spigoloso di stalattiti. In una delle estremità della piccola spiaggia sotterranea vi era un’imboccatura. Sembrava naturale, a vedersi, coronata di stalagmiti e stalattiti uniti gli uni agli altri.
-Di là, suppongo.- fece Silver, avviandosi, e dimostrando al contempo di sentirsi bene. Gli altri lo seguirono, con circospezione. Erano ufficialmente in territorio nemico.
Camminarono per un tratto, in quello stretto corridoio buio. Quando udirono dei passi più in là, oltre al punto in cui si trovavano loro si immobilizzarono, in ascolto. Silver si accarezzò le mani, bendate di stoffa abbastanza spessa da non lasciare filtrare neanche un po’ di luce. L’ultima spiacevole esperienza aveva insegnato qualcosa.
Si schiacciarono tutti contro i muri, nel tentativo di rendersi meno visibili.
-È una sola persona.- disse Rouge. –Un solo paio di passi. Cammina avanti e indietro, come se aspettasse qualcuno.-
Sonic mosse avanti un piede. –Vado e lo stendo.-
Rouge annuì. –Dritto avanti, tra circa sei metri.- aggiunse lei. Sonic sorrise, era comodo avere attorno un pipistrello, se si trattava di muoversi silenziosamente e non visti.
Partì a corsa, mirando dritto alla probabile sentinella, pronto con uno spin Dash. Quella però lo sentì arrivare e fece una cosa che Sonic non si sarebbe aspettato.
Cacciò un grido e crollò in ginocchio, coprendosi la testa con le mani.
Sonic frenò all’istante, annullando l’attacco. Che quella non fosse una guardia? Che non fosse un nemico?
Per riuscire ad arrestare la corsa, finì per superare l’individuo accucciato. Si voltò immediatamente a controllare meglio, magari per cercare di capire chi effettivamente fosse prima che si rivelasse essere invece una minaccia.
Quello che vide gli fece stringere lo stomaco. Il suo corpo era per metà fatto di metallo! Era un nemico, allora! Certo, aveva un bizzarro comportamento, ma non importava.
Spostò una gamba in avanti, pronto a scattare all’attacco, ma il piccolo cyborg non mosse un muscolo. Continuò a tremare, appallottolato.
Sonic si sentiva disarmato. Che cosa fare davanti ad un nemico del genere? Non gli era mai capitato, in tutta la sua carriera. In dubbio sul da farsi, fece spallucce alle tre facce curiose che spuntavano poco oltre l’angolo del corridoio.
Si azzardò ad avanzare di qualche passo. –Chi sei?- chiese Sonic, giusto perché sentiva di dover fare qualcosa.
Un pigolio terrorizzato fu la risposta.
-Che hai detto?- provò di nuovo.
Un musetto peloso, con due enormi occhioni lucidi di paura, ornato da un paio di orecchie rotonde, sbucò da dietro le braccia serrate a protezione attorno alla testa. Il nasino rosato fremette, ad annusare l’aria. –Eta.- fu la risposta.
Sonic, anche se aveva posto la domanda, non s’era aspettato che uno degli esperimenti di quella gente potesse effettivamente parlare. Allora, pensò, non erano tutte belve assassine, le creature forgiate in quei laboratori. Ma era meglio non trarre giudizi affrettati.
-Eta, eh? Piacere di conoscerti.-
Il topolino azzardò un sorriso. Fece ciao con la mano. Sonic, ora lievemente imbarazzato, rispose al saluto.
Oltre le spalle del cyborg atterrito, vedeva Knuckles fare segno di no con la testa.
-Tu…. Tu sei Sonic?- chiese il cyborg, tirando su con il naso. –Non Shadow?-
Sonic si accigliò. Cosa c’entrava Faker? Possibile che il riccio nero ci avesse visto giusto e che l’idea di spedire lui sott’acqua avesse sul serio destabilizzato i piani nemici?
-Certo che sono Sonic! Conosci altri ricci blu che siano fighi come me?-
Lo sguardo smarrito della cavia da laboratorio gli fece capire che le battute non funzionavano gran che, non facevano presa. Un lampadina gli si accese nella mente. Possibile che tutte le forme di vita artificiale non avessero senso dell’umorismo? Forse, aveva appena risolto un grande mistero riguardante Shadow.
Sghignazzò al pensiero.
-Non sei Shadow, allora.- pareva triste, Eta. Ragionò un attimo e sembrò trovare la soluzione ad un logorante problema interno. Si illuminò tutto, ed esclamò –Perfetto, allora, Sonic!-
Schizzò in piedi in modo straordinariamente veloce. Silver, Rouge e Knuckles balzarono fuori, pronti all’attacco. Sonic aveva mosso istintivamente un passo indietro.
L’espressione di Eta si fece confusa. Si guardò intorno, senza capire perché ci fosse stata quella reazione.
-Io non ti attacco.- proclamò, con il tono di chi riteneva quel fatto più che scontato.
-Ah, no?- ironizzò il riccio.
-No.- ripetè il topino. –Perché tanto tu adesso vieni con me.-
Aveva uno strano modo di parlare, come se non fosse ben sicuro di come si pronunciassero le parole. Sembrava un bambino insperto.
–E cosa ti fa pensare che io ti seguirò?- domandò di nuovo Sonic.
Il topolino lo guardò dritto negli occhi. Era interamente grigio, sia il pelo, sia il metallo, sia gli occhi.
-Perché io ti devo portare dall’antidoto.- disse semplicemente.
Quattro paia di occhi mobiani si spalancarono increduli.
-Cioè, voi ci porterete dall’antidoto? E basta? Non dobbiamo combattere per averlo?-
Il topino piegò la testa di lato. –No, non combattere.-
Erano tutti basiti. Nessun attacco? Un semplice invito? Che storia era mai quella?
-Venite o no?- li incitò Eta.
-È una trappola.- ringhiò Knuckles.
A Rouge venne un’idea. Si avvicinò lentamente al topino. –Ascolta, piccolo. Non è che qualcuno, un tuo superiore magari, ti ha detto di farci venire con te per poi aggredirci, vero?- La pipistrella aveva parlato in modo straordinariamente lento e dolce, proprio come se si stesse rivolgendo ad un bimbo.
L’effetto fu immediato. Gli occhioni di Eta divennero ancora più teneri. –Sì. Mi ha detto di portarvi là, così che voi rimaneste bloccati e lui potesse parlare con Shadow. Ma Shadow non c’è … dunque dovrò portare Sonic.-
 
 
-A proposito, grazie per avermi salvata, prima, da quello scorpione.-
Quello di Amy fu un blando tentativo di riempire uno degli incolmabili e disagianti silenzi di Shadow, e togliersi al contempo dal cuore il peso della riconoscenza non espressa. Il riccio in questione non cambiò andatura, e non fece nemmeno finta di voltarsi. Emise solo una specie di mugugnato, segno che aveva sentito. Tutta l’intesa creatasi fra loro nell’ultima terribile battagli al buio pareva essersi dissolta, sostituita dalla solita freddezza che coinvolgeva chiunque fosse nelle vicinanze del riccio nero.
La riccia rosa sospirò, affranta. C’era da chiedersi chi dei due, tra Shadow e Omega, fosse più rigido. Per poco non inciampò in una roccia sporgente.
Vorticando le braccia riuscì a rimanere in piedi. L’idea di finire addosso a Shadow per sbaglio era improponibile. Il riccio, che camminava davanti, non diede segni di aver notato l’accaduto anche se, vista la portata dei suoi sensi, era praticamente accertato che se ne fosse accorto. Semplicemente, non gliene importava.
-Va tutto bene?- la voce metallica di Omega sorprese Amy.
Possibile che un robot avesse più cuore della Forma di Vita Definitiva?
Amy sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori. –Grazie mille, Omega. Sto benissimo, sono solo inciampata.-
Imbronciata, riprese a camminare. Altri sassi minarono il suo equilibrio, fino a convincerla a prestare definitivamente attenzione al terreno invece che ai suoi pensieri.
Era una sassaia unica. Un ammasso di roccia nera, dall’aspetto tagliente, ma alquanto bizzarro. Morbide curve modellavano la struttura di quei sassi, le cui aguzze creste frastagliate erano però in netto contrasto.
Con la voce lievemente rotta dalla fatica della salita, Amy sospirò. –Che pietre strane.-
Shadow non fece una piega, come al solito.
Omega, di nuovo, ovviò alla mancanza di vitalità del doppione di Sonic. –Sono pietre magmatiche.- disse, scandendo rigidamente le parole. –Potrei analizzarne le proprietà chimiche, se necessario.-
-Magma? Dunque questa specie di montagna solitaria che stiamo scalando sarebbe un vulcano?- Amy sentì un brivido gelido percorrerle la schiena, nonostante il caldo torrido che regnava su quella desolata brughiera.
-Probabilità che sia effettivamente così: 98%- confermò Omega.
Shadow rimase in silenzio, sempre un passo avanti ad Amy, sempre voltandole la schiena. Lei, dunque, non potè vedere che lui aveva i denti serrati.
Era altamente improbabile che Shadow concedesse una risposta, ma lei sentì di dover provare comunque, in fin dei conti era il suo compagno di squadra, no?
-Shadow? Va tutto bene?-
Lui continuò a camminare, come se non l’avesse sentita, un atteggiamento troppo indifferente anche per i canoni di Shadow. Amy si accigliò.
Prese coraggio e si mosse rapidamente in avanti, afferrando il braccio del riccio. Lo tirò indietro e costrinse il sosia del suo amato a fermarsi. Avrebbe potuto tranquillamente rischiare di rimanere fulminata, per aver toccato Shadow senza permesso. Lui si voltò con uno scatto tale da far sobbalzare la riccia rosa, che però mantenne coraggiosamente la presa. Nello sguardo di Shadow c’era una certa confusione, non si aspettava di venir toccato, probabilmente.
-Va tutto bene?- ripetè lei.
Shadow impiegò un attimo a focalizzare. Piegò lievemente la testa di lato. –Sto bene.- disse infine.
-A me non sembra.- lo punzecchiò Amy. –Sei troppo silenzioso. Dimmi cosa c’è.-
Lui assottigliò lo sguardo, e la riccia rosa intuì che lui stesse effettivamente valutano se dirle qualcosa oppure no. Optò per la seconda opzione, strattonò via il braccio e riprese a camminare.
Amy s’impuntò. –È Rouge, vero?- sparò a caso, puntando tutto sull’unica pista possibile. E fece centro perfetto.
Shadow s’irrigidì e si fermò. Tenne però gli occhi bassi, fissi sul terreno. –Dobbiamo muoverci, non abbiamo molto tempo.- disse invece.
Il tentativo di cambiare argomento equivaleva ad una conferma. Amy gongolava, ma non lo diede a vedere. Continuò a camminare, superando il riccio. –Vedrai che starà bene.- gli disse. –Era piuttosto in forma, mi è sembrato. La ferita è guarita bene e con lei ci sono Sonic, Silver e Knuckles. Non le succederà nulla.-
Stava davvero consolando Shadow? Si sentì strana, stupidamente un sorriso premette per spuntarle alle labbra.
-Non è quello il problema.- ringhiò tra i denti il riccio, tanto lievemente che Amy non potè essere certa di averlo realmente sentito oppure di esserselo solo immaginato.
-Quale, allora?-
-Unità nemiche a duecento metri.- annunciò Omega, preparando i proiettili in canna.
-Tenetevi pronti.- replicò Shadow, distogliendo interamente l’attenzione da Amy e focalizzandosi su ciò che li aspettava in cima alla brughiera di rocce laviche.
Avanzarono lentamente, cauti, muovendosi furtivamente tra un masso e l’altro, nascosti. Le unità nemiche si rivelarono essere tre robot di pattuglia, semplici macchine armate e con un sistema di individuazione. Chaos Spear, martellata e proiettile incendiario ridussero al silenzio le tre sentinelle meccaniche, alle spalle delle quali, incastonata nella parete di pietra, stava una massiccia porta di metallo.
Raggiunsero tutti e tre una serie di massi accalcati, ottimo nascondiglio, grande abbastanza da schermare pure la stazza di Omega.
-Ci siamo.- sussurrò Amy, ricacciando indietro la preoccupazione per il bizzarro comportamento di Shadow. Il momento della battaglia era arrivato e il riccio avrebbe fatto meglio a cominciare a concentrarsi.
Gli occhi scarlatti di Shadow scrutavano con attenzione i dintorni della porta, ma nessuna minaccia palese si manifestò.
-Bene.- disse. –Entriamo.-
-Con il Chaos Control?- domandò Amy.
Una scintilla di malsana euforia luccicava nello sguardo di Faker. –Omega.- chiamò. –Solita vecchia maniera.-
-Ricevuto.- Il robot da combattimento caricò i due lanciarazzi incorporati sulle braccia, prese la mira e fece fuoco. La porta decollò, piegandosi come un foglio di latta. Frammenti di sassi, schegge metalliche, cardini e placche volarono ovunque, dilagandosi insieme alle fiamme. Una sirena cominciò a suonare dall’interno, evidentemente l’allarme era scattato.
Amy sobbalzò vivamente al botto inatteso. Quella era la “solita vecchia maniera”? Che razza di modi! Avevano fatto saltare la porta? Così? Niente effetto sorpresa?
Interdetta, rimase in attesa dell’ordine di attaccare e di precipitarsi verso l’apertura, che però non arrivava.
Shadow era in silenzio, immobile, di fiano a lei. Anche lui era sporto oltre la roccia, a controllare la situazione. Amy lo poteva sentire respirare.
Unità robotiche di ricognizione e di combattimento si stavano ammassando all’entrata, già schierandosi in posizione di battaglia, armi cariche e pronte a far fuoco, proprio come le api di un alveare stuzzicato. Ma Shadow ancora non mosse un solo muscolo. Perfettamente mimetizzato con le ombre che in quel momento li celavano, restava in attesa.
Amy cominciò ad innervosirsi. Ormai la quantità di robot e soldati davanti all’unica entrata era tanto ingente da rendere praticamente impossibile l’avvicinamento. Si erano chiusi fuori da soli.
-Cosa stiamo aspettando ad entrare? Se restiamo qui ne arriveranno troppi e rimarremo chiusi fuori.-
Shadow la ignorò, ma parlò ugualmente. –Hai notato che reazione fulminea hanno avuto? Avevano già tutte le truppe pronte. Ci stavano proprio aspettando.-
Il tempo gocciolava lento, e finalmente, proprio quando le sentinelle cominciavano a guardarsi attorno con più insistenza alla ricerca di tracce nemiche, dopo aver constatato che il fuoco nemico era interrotto, Shadow fece la sua mossa.
-Chaos Control.-
Si teletrasportarono dentro, mentre tutte le squadre si dirigevano fuori, convinte che il nemico si trovasse all’esterno.
Lo spazio si curvò attorno ad Amy, avvolgendola fin quasi ad inghiottirla. Si sentì risucchiare, per poi venir sputata fuori di nuovo. L’aria invase di nuovo i suoi polmoni e l’ambiente attorno a lei prese istantaneamente forma.
Una grande sala, ingombra di computer, con le pareti di pietra. Enormi tubi sfrigolanti che perdevano vapore collegavano soffitto e pavimento, attraversando per l’intera altezza la grotta in questione. La luce era stranamente rossa e la temperatura era proibitiva. Se già fuori faceva caldo, là dentro di bolliva letteralmente.
Una qualche decina di caricatori vennero azionati simultaneamente e puntati contro i tre individui spuntati dal nulla. L’elettricità frizzò attorno alle braccia di Shadow.
E quello fu il segnale. La battaglia iniziò così, con una pioggia di proiettili che rimasero ovviamente impigliati del blocco temporale di Shadow, seguita dalla pronta risposta composta da ampio uso di mitra e Chaos Spear, con doverose martellate agli sfortunati che si ritrovavano troppo vicino ai tre.
Nessun proiettile nemico attraversò il rallentamento temporale del Chaos Control.
 
-Signore.- la nullità appena entrata dalla porta osò rivolgersi a lui direttamente.
Il Capo scoprì i denti, indignato. Espirò, il fumo della sigaretta riempì l’aria. Lentamente alzò gli occhi verso il poveretto pallido e tremante che gli era di fronte. –Sono arrivati gli ospiti, signore.- disse ancora.
-Sonic?- chiese lui, facendosi un altro tiro.
Il messaggero deglutì. –No, signore. Shadow, signore.-
Quello cambiava tutto.
-Dove?-
-Nella sala comando, signore. Si stanno spostando dritti verso di noi, signore.-
 
 
Con un poderoso calcio spiccò la testa dal collo del robot. Non si preoccupò di attendere che l’enorme massa cadesse a terra. Semplicemente balzò addosso alla macchina successiva per riservarle lo stesso trattamento. Ruotò indietro lo sguardo solo per assicurarsi che Amy fosse ancora lì dove l’aveva lasciata, incolume ed intatta.
Sfondò il robot successivo con uno Spinn Dash. Ci mise un po’ troppa energia, e la traiettoria spinosa del riccio trapassò anche il drone dopo.
Il frastuono dei colpi sparati da Omega come loro copertura erano per lui ormai una costante, nemmeno li sentiva più. E visto lo scarso impegno dei loro opponenti, poteva anche permettersi di spaziare con i ragionamenti.
Era stato uno stupido. Uno stupido senza scusanti.
Rouge era da sola, ben lontana dall’unico che sapesse esattamente cosa le era accaduto e che avrebbe potuto provare a fare qualcosa di efficace per aiutarla. Nessuno degli altri poteva sospettare verso che cosa Rouge avrebbe potuto imbattersi per colpa del suo sporto sangue. E se si fosse sentita male durante una battaglia? Se fosse …morta per colpa sua? E se lui non ci fosse stato?
Un Chaos Spear di insolita potenza deflagrò nello stretto corridoio, massacrando tre robot in un colpo solo. L’onda d’urto imprigionata in quello spazio ristretto si era rivelata anche più micidiale del solito.
Controllò di nuovo Amy. Stese per lei un robot particolarmente zelante e fece saltare un braccio ad un altro drone svolazzante.
Continuavano a spostarsi. Dovevano fare in fretta.
Così poteva tornare da Rouge.
Per quanto si impegnasse, non riusciva a distrarre la propria attenzione dall’idea che Rouge potesse stare male proprio mentre erano separati. Aveva i denti tanto stretti che quasi gli facevano male.
Magra consolazione, aveva fatto bene a spedire Sonic nell’altra base. In quel laboratorio c’era tutto un reggimento di robot. Che erano stati piazzati lì per quell’impiastro blu, sicuro. Sperava solo che nell’altra base di ricerca la situazione non fosse peggiore.
Scandagliò di nuovo lo spazio con il potere di Chaos. Poco più avanti c’era un’altra sala, dalla forma strana, che avrebbe potuto promettere buone cose.
Si mosse di qualche passo indietro, posizionandosi tra Omega ed Amy. Chaos Control e li portò tutti e due direttamente a meta, lasciando il manipolo di robot d’inseguimento con un palmo di naso.
Si stava muovendo semplicemente ad istinto, teletrasportandosi da un punto all’altro del laboratorio setacciando ogni stanza e badando bene a far saltare ogni condotto elettrico ed ogni generatore che incontravano sulla loro strada.
Non avevano impiegato molto a capire perché avevano scelto un vulcano come base attiva: avevano una fonte d’energia gratuita e inesauribile. Utilizzavano lo stesso principio di una centrale a carbone, sfruttando però il calore del magma.
Una nuova sala si parò loro davanti. La solita sirena riprese a suonare, per indicare alle truppe d’inseguimento la nuova posizione degli intrusi. Giro qualche minuto e li avrebbero avuto addosso tutti un’altra volta. Ma quella volta non si sarebbero più spostati, era certo.
Una squadra d’assalto era già lì, in posizione, ad attenderli. In prima fila c’era quel cyborg scatenato e rabbioso dal pelo rosso, Teta. Alle spalle della piccola unità c’era una bizzarra struttura in vetro infrangibile a forma di cubi concentrici, come una grande matrioska trasparente al centro della quale stava una piccola fiala.
Nessun dubbio che quello fosse il loro antidoto.
Una voce dall’altro parlò. –Non ti aspettavamo.-
Shadow, che si era messo davanti ad Amy, alzò lo sguardo. Un piccolo balcone troneggiava la parte superiore della parete di sinistra. Un uomo di mezza età vi stava affacciato. Era stato lui a parlare.
Già solo per il ghigno che aveva stampato sul grugno era palese che quel tizio fosse tutto meno che un buon samaritano.
-Benvenuti al mio laboratorio di ricerca.- disse ancora. –Io mi chiamo Amber Newgate, il finanziatore dell’intero progetto.-
Shadow piegò la testa di lato, facendo crocchiare il collo. Dunque, quell’individuo era il Grande Boss? Che colpo di fortuna!
-Come vedi.- disse ancora l’uomo. –Davanti a te si trova l’antidoto di cui hai bisogno. Ma è protetto con ogni riguardo, spezzare quei cinque scudi cubici non è possibile nemmeno per la tua smisurata forza. Se vuoi che io apra quella cassaforte trasparente, dovrai accettare una nostra condizione.-
Shadow chiuse gli occhi.
Se l’era aspettato. Ma ciò non significava che la cosa non gli desse ugualmente fastidio.
-Va’ all’inferno!-
 
 
Sonic, Silver, Knuckles e Rouge rimasero imbambolati a guardare quell’odiato grugno di James. In particolare, era la sua espressione sfinita, le cicatrici e la protesi metallica che sostituiva una mano ad attirare la curiosità dei quattro mobiani.
Eta stava attraversando la distanza che separava loro quattro dal suo capo, a passi leggeri, con la lunga coda trascinata per terra come se fosse stata una scopa. Il motivo di ciò non era deducibile. Paura, forse?
-Sonic! Benvenuto, anche se non eri tu il nostro ospite designato.-
-James, quanto tempo! Vedo che hai perso un paio di pezzi per strada.- sorrise, alludendo alla protesi. –Direi … che hai chiacchierato con Shadow durante l’ultimo scontro, vero?-
Il sorriso dell’uomo di congelò, la luce nei suoi occhi si incattivì. Fece per parlare, quando Eta, il viso palesemente riluttante, afferrò con due dita la manica di James, dando una lieve tirata per ottenere la sua attenzione. James ruotò gli occhi verso di lui, l’irritazione che trapelava da ogni sua cellula. –Sì?- ringhiò.
Il piccolo topolino mosse un passo indietro, congiungendo le mani con fare intimidito, occhi puntati a terra. –Ehm, io …- cominciò, balbettando. –La ringrazio molto della bella armatura che ha fatto fare per la mia coda.- indicò con un dito l’appendice corazzata. –Ma… non sto dicendo che non mi piace però è un po’ troppo pesante, non riesco ad alzarla da terra.- Provò a sorridere, timidamente, sempre torturandosi le mani, orecchie schiacciate all’indietro in segno di sottomissione.
Lo sguardo di James era incredulo. –Tutto qua? E non potevi aspettare e dirmelo dopo?-
Eta abbassò ancora di più la testa. –Scusiiiiiii.- squittì.
James sospirò, decidendo di ignorare la bizzarra richiesta della sua arma biologica di distruzione di massa.
Sonic stava sorridendo, Knuckles aveva la fronte aggrottata, gli occhi di Rouge e Silver scintillavano. –Ma quant’è dolce quel coso?- sussurrò la pipistrella.
-Di sicuro non sembra una delle loro creature assassine…- osservò Knuckles.
-Forse hanno sbagliato qualcosa nei loro calcoli?- pensò ad alta voce Silver.
Sonic non ce la fece più e scoppiò a ridere. –Pensate se fosse stato Robotnik ha fare un errore simile e se ora fosse il nostro Shadow ad essere così tenero?-
Aveva parlato a bassa voce, dunque James non sentì ma notò perfettamente l’attacco di risate collettive che travolse il gruppo di mobiani.
-Se Shadow scoprirà di questa tua battuta, sappi che non ho intenzione di combattere al tuo fianco per aiutarti a salvarti la pelle.- sussurrò Silver, mezzo strozzato.
-Prega che non venga mai a scoprirlo.- rise Rouge, forse quasi tentata di riferire il messaggio solo per vedere l’espressione del suo compagno di squadra.
James decise che aveva pazientato a sufficienza. –Sei piuttosto allegro, Sonic, considerando che il tuo migliore amico è in agonia.-
Le risate si spensero all’istante. James aveva di nuovo tutta l’attenzione del gruppo. Sorrise. –L’unico antidoto esistente ce l’abbiamo noi.-
Sonic fece due passi in avanti. –Dove?-
James, sempre ghignando, infilò una mano in tasca, estraendo una piccola fiala contenente un liquido verde pallido. –Proprio qui, Hedgehog.-
Sonic scattò in avanti. Era solo un umano con riflessi limitati tipici della loro specie, strappargli di mano quella boccetta non sarebbe stato difficile. Ma qualcosa lo colpì in pieno stomaco, spedendolo gambe all’aria.
Il resto della sua squadra sobbalzò, facendo come per muoversi in avanti.
Sonic, atterrato qualche metro più indietro, lentamente si ritirò in piedi, palesando a tutti di stare bene. Senza più neanche l’ombra di divertimento, guardò il topolino l’autore di quell’attacco a sorpresa. –Bel colpo, amico. Non l’ho nemmeno visto arrivare.-
-Grazie.- squittì Eta in risposta.
-Calma, Sonic.- sorrise James, conciliante. –Non occorre essere così precipitosi.-
Si sentì chiaramente lo scatto del meccanismo, ma comunque nessuno di loro riuscì a fare nulla riguardo ciò che accadde dopo. Dal pavimento si sollevarono due lastre trasparenti, spesse un buon trenta centimetri, che isolarono Sonic davanti e dietro, tagliando in tre parti uguali la sala.
Rouge, Knuckles e Silver erano bloccati nella prima sezione.
James con la fiala nell’ultima.
Sonic ed Eta in quella centrale.
La porta dalla quale erano entrati prima venne sbarrata da una pesante saracinesca metallica, ma non prima che una ventina abbondante di robot pesantemente armati fecero la loro comparsa, andando a far compagnia ai tre mobiani. Silver eresse uno scudo difensivo preparandosi al contempo a sferrare uno dei suoi colpi, Knuckles portò in avanti i pugni serrati e Rouge si preparò a balzare.
-No!- Sonic si scagliò indietro, attaccando con uno Spin Dash lo scudo trasparente che l’aveva isolato dai compagni. Doveva tornare da loro! Subito!
-Non c’è motivo che tu ti preoccupi, ora.- disse James, trattenendo malamente il proprio entusiasmo. Nonostante la triplice barriera, non fu affatto difficile capire cosa egli stesse dicendo. Il suono veniva di fatti trasmesso da appositi autoparlanti.
-Ah, no?- ringhiò il riccio blu, le mani stretta a pungo. Eta lo osservava, in silenzio, con la coda sempre atterrata.
-No.- il sorriso di James si fece morbido. –Io sono disposto a darti questa fiala d’antidoto. Proprio ora. Senza necessità che qualcuno si faccia male.-
-A quale condizione?- recitò Sonic. Non si otteneva mai niente per niente, specialmente con quel tipo di persone.
Il sorriso di James si tramutò, divenne perfido. –Alla condizione che tu ti arrenda e ti consegni a noi senza fare storie.-
Un senso di vertigine azzannò Sonic allo stomaco. Non riuscì a capire subito il motivo di quella strana richiesta. Che si arrendesse? Perché lui? A quale scopo?
-Per aiutarti a scegliere…- James schioccò le dita. I robot alle sue spalle caricarono le armi, puntate verso Rouge, Knuckles e Silver.
James sospirò. –Anche se, in tutta onestà, vista la drammatica situazione presente, non penso proprio che tu abbia chissà quale possibilità di scelta.-
E aveva dannatamente ragione. Sonic strinse i denti, sudando freddo.
Rouge, senza che nessuno avesse fatto nulla, collassò a terra. Eta spostò gli occhi verso di lei, la fronte aggrottata. 





 

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Capitolo 17
*** 16. Condanna ***




Capitolo 16
-Condanna-
 


Shell nelle ore successive non aveva fatto altro che pensare a quel filmato. Subito dopo la visione, Nut era dovuto tornare in ufficio. Ma lei e Wind avevano parlato a lungo della cosa.
La violenza di Shadow e la sua nonchalance le erano ovviamente rimaste impresse. Ma sia lei che il suo futuro consorte avevano avuto dei dubbi riguardo il tipo di potere manifestato dal riccio.
Non era cosa rara che alcuni mobiani nascessero con poteri particolari. C’era chi poteva controllare alcuni elementi, chi potesse spostare cose con la mente, chi era dotato di forza straordinaria, insomma, ogni genere di superpotere. Ma quella di Shadow lasciava molti dubbi.
Aveva palesato di possedere due abilità completamente diverse. Il teletrasporto e il controllo del tempo.
Fino a quel momento, né Shell né Wind avevano mai conosciuto nessuno in grado di utilizzare due abilità speciali così distinte tra loro.
La capacità di controllare sia il tempo che lo spazio? Non c’era da stupirsi che le autorità avevano una tale paura di Shadow.
E poi c’era la questione della violenza.
Possibile che Shell si fosse sbagliata e che Shadow fosse davvero il criminale che tutti dicevano che fosse? La brutalità con cui aveva attaccato quel povero mobiano era davvero sconcertante.
Secondo Wind, che aveva studiato medicina, il calcio sferrato dal riccio doveva aver causato come minimo una decapitazione interna. Ovverosia la separazione tra le vertebre e il cranio, senza l’effettiva caduta della testa poiché pelle e muscoli erano ancora intatti.
Dunque, Shadow aveva staccato in diretta la testa ad un mobiano con un calcio. Che quel cane nero fosse morto era fuori discussione.
Aveva appena assistito ad un omicidio!
Piena di dubbi e perplessità, con Wind che le ricordava che lei avrebbe dovuto immaginare quell’evenienza fin dal principio, aveva deciso di rivolgersi al Team Chaotix.
Senza il filmato.
Loro parevano conoscere molto bene Shadow, dunque avrebbe potuto ottenere più informazioni al riguardo, giusto?
Camminava perciò rapida per le strade, sotto un cielo che prometteva tempesta. L’aria odorava di pioggia. Normalmente, si sarebbe goduta quel colore cupo delle nuvole, gli alberi piegati dal vento, le foglie impazzite, l’odore dell’asfalto umido e la brezza tra le piume, ma con la fretta che aveva addosso quasi nemmeno ci fece caso, a quei dettagli che lei tanto amava.
Raggiunse in breve la casetta dei Chaotix. Fece per bussare quando notò che sulla porta c’era appeso un biglietto. La grafia era tremolante, da bambino. Così ad occhio, era stato Charmy a scrivere.
Shell cominciò a leggere.
 
“C’è stata un’emergenza e non siamo in casa. Se sei un cliente, prova a telefonarci o a tornare più tardi. Se sei una gabbianella giornalista, la chiave è nascosta sul tetto, sotto la quinta tegola a partire dal comignolo; in casa troverai ulteriori istruzioni.
Cordiali saluti a tutti i clienti.
Un forte abbraccio alla gabbianella”
 
Shell sospirò. La discrezione non era una loro caratteristica, era già stato appurato. Senza riuscire a trattenere un sorriso, spiegò le ali e balzò sul tetto.
Dare per scontato che fosse lei l’unica a possedere le ali le sembrava davvero un’ingenuità collegabile soltanto a Charmy. Piuttosto, possibile che gli altri due Chaotix non avessero controllato che tipo di messaggio aveva lasciato il loro terzo collega?
Un attimo dopo atterrò accanto al comignolo. Su una tegola in mezzo al tetto stava scritto con un pennarello indelebile nero il numero 5.
Di nuovo, si ritrovò a sorridere. Sollevò delicatamente la tegola già smossa, recuperò la chiave e sentendosi la brutta copia di Sherlock Holmes tornò alla porta ed entrò. Sullo zerbino c’era un altro biglietto, dal messaggio più corto, sempre scritto da Charmy.
 
“Se sei Shell: siamo andati a cercare Sonic The Hedgehog. Se vuoi, raggiungici.
Se non sei Shell: come diavolo hai fatto ad entrare???
Buona giornata, a Shell
Che un piccione di possa fare la cacca in testa, a chiunque altro.”
 
La piccola ape aveva senz’altro l’istinto per l’intrigo e il mistero, sicuro. Sorridendo, Shell uscì dalla porta, richiudendola poi a chiave.
 
 
 
-Come vedi.- disse ancora l’uomo. –Davanti a te si trova l’antidoto di cui hai bisogno. Ma è protetto con ogni riguardo, spezzare quei cinque scudi cubici non è possibile nemmeno per la tua smisurata forza. Se vuoi che io apra quella cassaforte trasparente, dovrai accettare una nostra condizione.-
Shadow chiuse gli occhi.
Se l’era aspettato. Ma ciò non significava che la cosa non gli desse ugualmente fastidio.
-Va’ all’inferno!-
La bocca dell’uomo si distorse in una sottospecie deforme di sorriso. Ovviamente, s’era immaginato di ricevere una risposta simile, Shadow lo sapeva bene. Ma dalla profonda ruga che solcava la sua fronte era facilmente intuibile che un dettaglio aveva visibilmente irritato lui e i suoi piani. Di nuovo, Shadow lo sapeva bene.
Quel tipo s’era probabilmente aspettato di incontrare Sonic, non lui.
Lo sguardo di Shadow tornò a studiare la truppa armata che stanziava esattamente in mezzo, tra lui e il cubo concentrico contenente l’antidoto, la squadra di benvenuto inizialmente schierata per il suo sosia blu.
Erano davvero tanti robot, quelli. Con l’aggiunta di Teta, che sbavava dalla voglia di fare a pezzi qualcuno.
Non erano forze un po’ eccessive da schierare contro Sonic? Non che ci fosse motivo di sottovalutare le sue capacità, ma sembrava più un plotone d’esecuzione, quello schieramento, piuttosto che la solita pattuglia d’imboscata.
Il dubbio crescente che quella che aveva di fronte fosse effettivamente una trappola dalla quale non era pianificato che l’Eroe di Mobius sarebbe riuscito ad uscirne si stava trasformando sempre più in cocente realtà.
Un’imboscata vera e propria, con tanto di fiocchi e controfiocchi.
L’unico punto che restava oscuro era il motivo di tutto ciò. Perché riservare una simile sorte a Sonic e non Shadow, loro principale obbiettivo? Qual’era la ragione di fondo di tutto ciò?
Dovette confessare a sé stesso di cominciare a sentirsi lievemente in ansia al pensiero di cosa stesse affrontando in quel momento Sonic al posto suo. Possibile che la trappola piazzata per Shadow da parte dei ricercatosi fosse anche più cruda di quello che lui ora si ritrovava ad affrontare al posto del riccio blu?
Per di più, c’era il rischio Sonic stesse combattendo a vuoto, già che la cura l’aveva trovata Shadow.
Una cosa era certa: non era nei piani dei loro nemici lasciar uscire vivo da lì Sonic.
O meglio, l’Eroe di Mobius.
Una mezza idea si ancorò tra i ragionamenti di Shadow, un senso di vertigine lo afferrò allo stomaco. Imprecò a mezza voce.
Mentre la sua mente continuava a costruire e demolire ipotesi, l’uomo parlò di nuovo. Ricordava giusto vagamente che lì c’era anche il capo di tutta la baracca, preso com’era dai suoi pensieri.
-Non ti interessa sapere quale sia questa condizione che ti permetterebbe di accedere direttamente all’antidoto, per voi tanto prezioso?- chiese, untuoso, l’uomo.
Shadow piegò la testa di lato. La sola certezza che aveva in quel momento era che non avrebbe accettato proprio niente. E gli sembrava anche di averglielo fatto capire, prima, mandandolo a quel paese. Dunque, non c’era nemmeno motivo di sprecarsi a spiegargli di nuovo che qualunque cosa avesse da dire non era interessato ad ascoltarla.  
-Cosa avevate intenzione di fare a Sonic, con tutti questi robot?- disse invece.
L’idea non era quella di ottenere una risposta, cosa che sarebbe stata altamente improbabile, bensì di osservare la reazione dell’uomo e capire se Shadow ci aveva visto giusto fin dall’inizio oppure no.
Un’impercettibile tremito attraversò le membra del capo, le sue palpebre fremettero e i muscoli della mascella si tesero per una frazione d’istante. Ma la ripresa fu eccezionalmente rapida. In mezzo secondo neanche, l’uomo aveva di nuovo il controllo completo di sé. Ma a Shadow quella minuscola incertezza non era sfuggita, e aveva risposto ampiamente al suo dubbio. Tutte quelle unità d’assalto erano proprio lì per Sonic, e per fargli qualcosa di davvero macabro.
Il sobbalzo di Amy seguì immancabilmente la domanda del riccio nero. Lei, evidentemente, non aveva collegato i fatti. Ma ebbe per lo meno l’accortezza di non parlare, si limitò a fissare con occhioni spauriti le fauci ringhianti di Teta, vedendolo ora sotto una nuova luce.
L’uomo si sporse in avanti, appoggiando il mento sulla mano, gomito sostenuto sul parapetto del piccolo balcone dal quale osservava tutta la scena. –Come hai fatto a convincerlo ad andare nel laboratorio marino, piuttosto?-
Ancora non l’aveva capito che da lui non avrebbe ottenuto neanche mezza risposta. Valutò invece se mandarlo all’inferno di nuovo, ma quel tipo parlò prima che gliene si presentasse l’occasione.
Fece spallucce e ghignò di nuovo, cosa che pareva fare molto spesso. –Non che sia importante, ora come ora. L’unica cosa che conta è il fatto che tu hai disperatamente bisogno di quell’antidoto, per te irraggiungibile, là dentro.- indicò il cubo di vetro con un gesto della testa. –La condizione.- gli ricordò. –Esiste una condizione la quale, una volta accettata, ti permetterà di prendere quella boccetta e salvare i tuoi amici. La tua unica possibilità.- insisteva ancora a riportare il discorso sul quel tema. Povero illuso.
Shadow espirò lentamente. Era un ricatto per davvero. Lui e Rouge ci avevano visto giusto. Gli avrebbero ricattati, offrendo loro proposte inaccettabili in cambio della salvezza della vita di Tails. Con un brivido ghiacciato, la sua mente tornò alla sua controparte color mirtillo. Non osò immaginare che razza di condizione avessero imposto a lui. Si chiese anche se avessero mantenuto le rispettive minacce stabili, oppure se le avessero adattate all’inversione degli ospiti. Forse, ora Sonic stava facendo i conti con il ricatto inizialmente ideato per Shadow.
Ed insieme a quell’ansia, si aggiunse anche quella per Rouge. Lo stomaco gli si strinse tanto da fargli male.
-L’amico da salvare è solo uno.- si sentì dire, alzando lo sguardo sul capo. –Il vostro aracnide puntuto non è stato poi così bravo come speravate.-
-Dettagli. L’importante è che almeno uno sia stato avvelenato.- la sua voce vibrò per un istante. Shadow esultò silenziosamente, il tizio stava cominciando ad irritarsi per la mancanza d’attenzione da parte del riccio per il suo discorso sui termini del ricatto, che tanto non sarebbero mai state accettate.
Visto lo scarso interesse di Shadow, l’uomo cominciò a spiegare gratuitamente la situazione dal suo punto di vista, questa volta, riuscendo nell’intento di ottenere per intero la concentrazione della Forma di Vita Definitiva. –Esistono, a dir la verità, due boccette. Una in questo laboratorio, una nell’altro, quello marino.- cominciò.
Bene, si disse Shadow, almeno Sonic non stava rischiando la pelle per niente. Un dubbio però smorzò il suo sollievo.
-Esistono due boccette, hai detto. Entrambe contengono l’antidoto?-
Il ghigno sulla faccia dell’uomo si ampliò. Non rispose subito, il che era già di per sé una conferma.
Dunque, non si poteva contare sul risultato della missione di Sonic. Già di per sé, normalmente, non c’era certezza che il riccio blu riuscisse a sbrigare la sua faccenda di boccette e ricatti. Ma ora, sapendo che esistevano due boccette ed un solo antidoto, la questione della fiducia nel successo altrui era completamente eliminata. Anche se Shadow avesse rinunciato alla sua boccetta, speculando sul fatto che Sonic recuperasse la sua, non era sinonimo di guarigione per Tails, giacchè nella boccetta di Sonic avrebbe anche potuto non esserci l’antidoto. Viceversa, sperò ardentemente che Sonic non speculasse su Shadow.
Ora più che mai, era di vitale importanza che entrambi facessero anche l’impossibile per prendere entrambe le fiale, oppure tanto valeva prendere una pala e cominciare a scavare la fossa per Tails.
Sempre ammesso e non concesso che a Sonic avessero raccontato la stessa storia. Magari a lui avevano detto qualcosa di diverso, a proposito degli antidoti e non antidoti.
Sperò solo che Sonic avesse ricordato le sue ultime parole scambiate poco prima della partenza. Prendere la boccetta ad ogni costo. In quanto a ricatti a due facce, Shadow ne sapeva qualcosa, aveva intuito che si sarebbe verificata una situazione del genere.
-Se tu ti arrenderai e ci lascerai prelevare un poco del tuo sangue, noi ti lasceremo prendere l’antidoto.-
-Ma sei scemo?- ringhiò Shadow. Appunto, condizione improponibile. Neanche da prendere in considerazione. Come da copione.
L’uomo ridacchiò. –Non così tanto.-
Da dove arrivava tutta quella sicurezza?
La Forma di Vita Definitiva studiò ancora una volta i cubi di vetro concentrici. C’erano delle bacchette che collegavano le diagonali di tutti gli angoli e tutte le basi dei cubi, in modo da mantenere gli elementi di quella strana matrioska sospesi nel vuoto. Sembrava molto fragile, a vedersi. Ma non c’erano dubbi sul livello di difficoltà che avrebbe comportato infrangerli tutti e cinque e riuscire a prendere la cura. Quel tizio non sarebbe stato così sicuro di sé, altrimenti.
Stimata, la lunghezza del lato del primo cubo, quello più grande, era circa di tre metri. Basandosi sulla prospettiva e sulla regolarità della diminuzione di dimensione del secondo cubo rispetto al primo, Shadow riuscì a calcolare che l’ultimo cubo, quello più piccolo contenente la fiala, aveva un lato di circa cinquanta centimetri. Il Chaos Control non era dunque un’opzione percorribile. Non c’era lo spazio fisico per lui per teletrasportarsi là dentro. Avrebbe dovuto rimetterci le gambe per riuscire ad entrarci. Per di più, ferirsi nel tentativo di teletrasporto avrebbe equivalso a consegnare nelle mani di quei pazzi il proprio sangue, cosa che avrebbe automaticamente accontentato la loro richiesta.
E quei vetri erano senza dubbio a prova di bomba, letteralmente. Spezzarli, dunque, sarebbe stato quasi impossibile.
Shadow, controvoglia, fu costretto a rivalutare il suo disgustoso piano d’emergenza. Cioè, nel qual caso non fosse stato possibile recuperare a forza l’antidoto, avrebbe anche potuto usare di nuovo il proprio sangue come cura per Tails, come aveva fatto per Rouge. La sola idea gli fece venire la nausea, rafforzata dalla tensione psicologia che sopraggiungeva ogni qual volta pensava alla pipistrella e a ciò che le scorreva nelle vene, che ne metteva a repentaglio la vita. Avrebbe tentato di tutto, ma proprio di tutto, prima di fare a qualcun altro ciò che aveva dovuto fare a Rouge. Non avrebbe contaminato nessun altro, a meno che non si parlasse di morte certa. Tenendo presente che non era ancora sicuro di quali effetti collaterali avesse tale trattamento sul corpo delle persone normali. Si ritrovò a stringere i denti, tanto quasi da farsi male.
Avrebbe escogitato un sistema per far sbriciolare quei vetri. A costo di farci franare sopra il soffitto, vulcano o non vulcano.
Per un attimo, tornò cosciente dell’ambiente attorno a lui. Ritirò nel profondo della sua mente tutti i pensieri che l’avevano rapito fino a quel momento, ricordandosi come di botto di aver a fianco Amy ed Omega, di avere un caldo micidiale, probabilmente per via del fatto che erano dentro ad un vulcano, tanto che quasi era difficile respirare, e del fatto che i nemici avevano appena finito di caricare le rispettive armi.
-Per aiutarti nella scelta …- l’uomo schioccò le dita. Tutti i robot d’assalto fecero fuoco. Teta si slanciò all’assalto con un ruggito.
 
 
-Per aiutarti a scegliere…- James schioccò le dita. I robot alle sue spalle caricarono le armi, puntate verso Rouge, Knuckles e Silver.
James sospirò. –Anche se, in tutta onestà, vista la drammatica situazione presente, non penso proprio che tu abbia chissà quale possibilità di scelta.-
E aveva dannatamente ragione. Sonic strinse i denti, sudando freddo.
Rouge, senza che nessuno avesse fatto nulla, collassò a terra. Eta spostò gli occhi verso di lei, la fronte aggrottata. 

-Rouge!- gridarono più o meno tutti all’unisono.
La barriera di Silver guizzò, in una frazione di secondo aveva avvolto Rouge e Knuckles in una specie di bolla, proprio nell’istante in cui i robot cominciarono a fare fuoco.
Sonic schizzò di nuovo contro la barriera, alla piena velocità che gli consentiva la scarsa rincorsa dettata dallo stretto spazio. Lo Spin Dash non ebbe alcun effetto. Un tonfo sordo contro il vetro, un rimbombo simile a quello di una campana nello spazio isolato, e Sonic rimbalzò indietro, schiantandosi contro l’altra parete trasparente.
Eta lo guardava. –Non riesci a romperla.- disse. –È lo stesso materiale di contenimento che hanno usato per bloccare me e i miei compagni, nelle capsule o nelle celle. Inutile ogni tentativo.- sorrise. Forse cercava di rendersi conciliante ed aiutare, ma non pareva aver capito che così aveva solo messo ancora più in ansia Sonic, che si scagliò di nuovo con tutta la sua forza contro il vetro, con un doppio calcio.
Le ossa delle gambe rintronarono dal colpo, i femori di Sonic parvero tremare. Ovviamente, la barriera non ne risentì in alcun modo.
I proiettili intanto si abbattevano come pioggia incessante contro lo scudo di Silver che, denti serrati dallo sforzo, spinse lievemente indietro la propria aura e i due amici, in modo da piazzarsi spalle al muro e di dover così difendere un solo lato.
Alcuni proiettili finirono per colpire la barriera di vetro. Sonic potè osservare con agghiacciante precisione come la deflagrazione e il bossolo di piombo non riuscissero nemmeno a scalfire la perfetta superficie di quel vetro.
Con un’imprecazione, si chiese nuovamente di che accidente di materiale fosse costituito. Si avvicinò alla barriera, proprio dietro a Silver, si accucciò a terra, mani sul vetro, osservando Rouge distesa.
Aveva occhi e bocca spalancati, con le mani premute sulla gola come se non riuscisse a respirare. La sua schiena era inarcata dallo sforzo, tutti i muscoli contratti, le ali spalancate premute sul pavimento completavano quell’unico spasmo. Knuckles era inginocchiato accanto a lei, gridava il suo nome, tenendole le spalle e cercando di scuoterla.
Le loro voci venivano riprodotte dagli autoparlanti nella sezione in cui era imprigionato Sonic, in modo che lui potesse ascoltare ogni secondo di dolore.
-Rouge!- chiamò pure lui. Inutilmente, come Knuckles. Battè il pugno contro il vetro. –Rouge! Cos’hai?-
Knuckles stava gridando le stesse cose, anche se era evidente che lei non sarebbe mai e poi mai riuscita a parlare. L’unico di loro che restava in silenzio era Silver, troppo impegnato a difendere i compagni dallo spietato bombardamento nemico. Le sue iridi d’oro fuso erano ora azzurre, impregnate di luce, così come le sue mani grondanti di gocce luminescenti trapelanti le fasce che gli avvolgevano i palmi. Evidentemente, tener testa a quel fuoco massiccio e ininterrotto gli richiedeva una gran dose d’energia.
Sonic si sentì uno schifo. Di nuovo.
Ancora una volta lui era inutile. Ancora una volta, i suoi amici gli stavano morendo davanti agli occhi senza che lui potesse fare nulla.
E quel che era peggio, Shadow gli aveva affidato la sua compagna di squadra per permettere a loro di raggiungere l’antidoto e salvare Tails. Ora Rouge si stava contorcendo dal dolore, a neanche quaranta centimetri di distanza da Sonic, senza che il riccio potesse nemmeno tentare di fare qualcosa, qualunque cosa. Di nuovo, Shadow s’era fidato, di nuovo stava per venir deluso da lui.
Ancora una volta, Sonic s’era dimostrato incapace di proteggere la sua squadra.
Aveva la gola tanto serrata che quasi l’aria gli bruciava nei polmoni. Si sentiva morire forse quasi più di Rouge.
-Ma che cos’ha?!- supplicò Kunckles, ritratto della disperazione.
Sonic si sentiva vuoto come non mai. Rouge, la prima volta; Tails, la seconda; Rouge, la terza. Lui, sempre inutile.
Shadow non lo avrebbe mai permesso. Shadow non avrebbe mai permesso che sarebbe successo qualcosa di simile ad Amy, su questo Sonic non aveva dubbi.
Che schifo di persona che sono, pensò. E poi io dovrei essere un leader…
-Sonic!- la voce di James lo riscosse. –Ho qui la soluzione hai tuoi problemi: arrenditi e consegnati a noi e io ti darò la fiala con la salvezza per il tuo migliore amico. E il fuoco dei robot s’interromperà in quel preciso istante in cui dirai “Mi arrendo”. Rifletti, riccio: hai la possibilità di salvare tutti loro!- indicò la barriera di Silver.
La tentazione era squisitamente allettante. La sua vita per quella di tutti gli altri.
-Knuckles!- urlò Silver, sopra al baccano dei razzi e dei proiettili esplosivi scagliati dai venti robot. –Devi andare a farne fuori un qualcuno. Non resisto più così!-
Knuckles sollevò di scatto la testa.
-Resto io con Rouge!- aggiunse Silver, tra i denti.
In quell’istante, l’intero corpo della pipistrella fremette. Lei gridò, graffiando con le unghie il freddo pavimento, occhi spalancati.
Fu con un’enorme dose di terrore che tutti notarono con tremenda angoscia il lampo rosso che colorò le iridi turchesi di Rouge. L’azzurro acqua dello sguardo della ladra si tinse di un rosso sangue, proprio come gli occhi di un certo riccio nero di loro conoscenza.
Sulle braccia di Rouge cominciarono a comparire dei segni. La pelle rosea degli avambracci si tinse di striscioline nere, corrispondenti alla posizione delle vene e delle arterie sottostanti.
Erano tutti attoniti.
Pure Eta si affiancò a Sonic, per osservare meglio. L’unico che non poteva vedere bene era James, troppo distante.
-È stata avvelenata anche lei dallo scorpione?!- sibilò Silver.
Fece giusto in tempo a finire la frase che una granata venne scagliata contro il piccolo scudo di luce celeste. Silver accusò il colpo, venne sbattuto indietro, picchiò violentemente la schiena contro il vetro e la barriera si ritrasse di colpo di una spanna, come un elastico.
-Knuckles…- chiamò debolmente il riccio, le cui gambe tremavano dallo sforzo. –Fa’ qualcosa …-
L’echidna rispose all’istante. Schizzò in piedi e gridando come una belva si scagliò fuori dalla barriera di protezione di Silver, all’attacco.
Mentre il riccio argenteo crollava in ginocchio, piegandosi poi su di Rouge, cercando di rassicurarla in un qualche modo, Knuckles aveva già falciato tre robot nemici.
Sonic continuava a fissare la gorgogliante pipistrella.
Arrendersi … salvare tutti … suonava così bene!
Ma qualcosa che continuamente gli sfuggiva gli impediva di dire quelle semplici parole che avrebbero posto fine ai tormenti dei suoi amici. Qualcosa di dannatamente importante.
Ruotò la testa verso il topolino.
Guardò senza vedere l’esoscheletro di metallo nero che percorreva per intero la spina dorsale del roditore in superficie, fondendosi poi con le costole, dunque dilagandosi anche lateralmente e sostenendo perciò la creatura nella sua posizione eretta. Osservò distrattamente le ginocchia rafforzate di metallo, così come i piedi, la coda corazzata troppo pesante abbandonata sul pavimento attorno alla figura rannicchiata di Eta. Studiò senza badarci le strisce di scuro acciaio che dalle spalle scendevano fino ai polsi del topolino, passando attraverso i gomiti, in netto contrasto con il soffice pelo grigio chiaro.
Eta ruotò le pupulle grigie verso di lui, piegando la testolina di lato.
E poi Sonic riuscì ad identificare il suo dubbio, attraverso la nebbia di confusione che gli accecava i pensieri.
La cosa che non lo convinceva era il motivo per cui James volesse lui, e non Shadow. Era Shadow il loro obbiettivo, le forme di vita artificiali, non un normalissimo riccio blu iperattivo ed idrofobico.
Balzò in piedi, girandosi verso James. –Perché io?- chiese. –Io a cosa vi servo?-
James sogghignò. –Non ti è lecito sapere. Tu verrai con noi, se vuoi l’antidoto.-
Infilò la fiala nella tasca destra, e dalla sinistra estrasse una siringa. –Quando verrai qui, ti dovrai far iniettare questa, e i tuoi amici saranno liberi di andarsene.-
Sonic si voltò verso i suoi compagni. Rouge a terra, le iridi quasi interamente rosse e la diramatura nera sul braccio che quasi aveva raggiunto la spalla. Silver, in ginocchio, una mano tesa in avanti per alimentare la barriera sempre sotto l’incessante fuoco nemico, l’altra appoggiata alla spalla di Rouge. Knuckles che smontava robot su robot, ma che però aveva già un rivolo di sangue che gli colava da una spalla.
Sonic pensò che i loro nemici non avevano mai cambiato tattica. Sempre spietati e sleali. Sempre fedeli alla loro filosofia e al loro obbiettivo biomeccanico. Dunque, forse, anche la richiesta di portare lui ad arrendersi era collegato al loro obbiettivo.
Forse, la resa di Sonic era collegata alla cattura di Shadow.
L’Eroe di Mobius chiuse gli occhi.
L’ipotesi prese corpo nel suo cuore e nella sua mente. Il loro obbiettivo era Shadow, qualunque azione di quei pazzi sarebbe sempre stata rivolta a tale scopo: metter le mani sulla Forma di Vita Definitiva.
Dunque, ora, sul piatto della bilancia c’era anche Faker.
La salvezza di Tails, Rouge, Silver e Knuckles contro la condanna di Shadow e Sonic. L’ago che reggeva i due piatti era la fiala insieme alla siringa.
Tradire Shadow per salvare tutti gli altri …
James sbuffò. –Stai impiegando troppo tempo a decidere, riccio.- schioccò le dita e Sonic si ritrovò con la faccia schiacciata a terra, con il ginocchio di Eta conficcato tra le scapole. –Se ti arrenderai- disse James- ordinerò a Eta di smettere.-
-Indipendentemente da quello che dovrai o non dovrai fare, tu prenderai quell’antidoto.-
 
 
Non impiegò più di un minuto a capire che trovare il modo di occuparsi del cubo sarebbe stato più difficile del previsto, specialmente sotto quel fuoco nemico d’inferno, con Amy da proteggere ad ogni costo, e con Teta che provava con insistenza a tranciargli il collo a morsi.
Shadow imprecò.
Gli artigli di Teta fendettero l’aria ad un nulla dal naso del riccio, che flettè la schiena in dietro ruotando sulle caviglie per scivolare alle spalle del cyborg e affibbiargli un calcio a piena forza sulla colonna vertebrale. Lo pseudo-lupo ululò di dolore, solo per rivoltarsi indietro con un ringhio. Di nuovo gli artigli minacciarono la pelle di Shadow, che si piegò di lato quel tanto che bastava per evitare di venir colpito. I denti dell’esperimento genetico, però, ebbero più fortuna. Forse dipendeva dal fatto che Shadow stava pensando a tutto tranne che al suo avversario, ma rimaneva il fatto che le mascelle di Teta si chiusero a tenaglia sulla spalla sinistra del riccio.
La frustrazione del riccio s’incendiò ancor prima del dolore.
Si avvolse il pugno con un Chaos Spear e mettendoci tutta la propria energia muscolare mollò il destro in pieno stomaco all’avversario. Potè sentire la vibrazione della sua stessa elettricità filtrare attraverso i denti del lupo dentro la pelle. In pratica, s’era dato la scossa da solo.
La presa del cyborg diminuì giusto di qualche grado, quel tanto che bastò al riccio per liberarsi con uno strattone dalla morsa.
Imprecò di nuovo, questa volta in maniera più fantasiosa.
Teta gli sorrise, o comunque gli mostrò le zanne striate di rosso. Shadow caricò un altro Chaos Spear, ma l’attenzione del riccio era rivolta verso Omega.
Il Mecha da combattimento stava dando fondo ad ogni sua singola munizione, mietendo vittime ingenti tra le fila nemiche. Era un botta-e-risposta senza precedenti.
Dunque, la piccola Amy si ritrovava a dover combattere destreggiandosi su un terreno cosparso di bossoli vuoti. Scivolava e incespicava spesso, ma non era l’unica: anche quei piccoli robot minori, rapidi e piccoli abbastanza per essere riusciti ad avvicinarsi e a non venir colpiti dai proiettili, dai missili, dai mitra e dalle granate di Omega, se la dovevano vedere con il terreno insidioso, oltre che con le martellate della furia rosa.
La riccia si trovava appena di fianco al Mecha, rimanendo perciò in area relativamente protetta, come le aveva ordinato Shadow.
Teta si scagliò di nuovo all’attacco. Il Chaos Control bloccò il cyborg a metà del balzo, e la Forma di Vita Definitiva lo spedì a terra con un calcio sulla nuca.
Far crollare il soffitto sul cubo di vetro pareva essere stata una buona idea, all’inizio. Ma poi, però, ragionandoci meglio, Shadow aveva ipotizzato che, semmai il cubo avesse davvero ceduto, sarebbe andata in frantumi pure la preziosa fiala. Dunque, piano annullato. In ogni caso, doveva prima testare una cosa.
Il dolore martellante della spalla gli pulsava ormai in tutto il braccio e pure giù lungo la schiena. Shadow attese che Teta si rialzasse e tentasse di nuovo di colpirlo. Quando lo fece, il riccio lo immobilizzò di nuovo a mezz’aria per poi teletrasportarsi via, più indietro, direttamente sopra il cubo, oltre le linee nemiche.
Sentì la bestemmia da parte del Capo, che li osservava sempre dalla sua postazione sopraelevata. Lo ignorò e allungò un pungo sul vetro. L’aria all’interno del cubo rintronò, vibrando. Ma neanche una crepa si produsse sulla sua superficie. Provò ancora, colpendo con più forza nello stesso punto. Niente di nuovo.
Tornò indietro da Teta, imbronciato, spedendolo a terra con un altro calcio. Doveva davvero inventarsi qualcosa per quel cubo, e alla svelta, anche.
PeloRosso rotolò come se nulla fosse successo, tirandosi in piedi con il suo stesso slancio, ruotò, caricò i lanciarazzi impiantati di fresco sulle braccia e fece fuoco.
Erano una novità, tutte quelle armi, ma faceva ben poca differenza. Shadow si flettè indietro, lasciò correre i missili che andarono a fare strage tra le unità da combattimento degli scienziati.
Non poteva far a meno di pensare alla stranissima consistenza di quel materiale trasparente che racchiudeva la fiala. Gli ricordava, purtroppo, le capsule di contenimento dell’ARK. Più in particolare, quella che l’aveva tenuto bloccato negli ultimi istanti della sua permanenza sulla Stazione Spaziale, costretto a rimanere impotente a guardare Maria che …
Se il materiale era davvero lo stesso, allora lui era beatamente fregato.
Aveva già avuto modo di testare quel vetro, e quando aveva in corpo una tale rabbia e disperazione da far impallidire miseramente le motivazioni che lo spingevano ora a tentare di violare quella stessa barriera vitrea.
Ma come avevano fatto quegli scienziati a metter le mani su quel materiale? O a riprodurne la struttura molecolare nei loro laboratori?
Amy lanciò un grido di battaglia, posizionata più indietro rispetto a Shadow. Il martello Piko Piko colpì e una metallica massa deforme sfrecciò davanti al naso di Shadow a velocità folle.
Teta ruotò la testa, seguendo la traiettoria del rudere di robot, con un mezzo ghigno sorpreso sul muso.
Shadow non gliela fece passare così e ne approfittò per colpirlo di nuovo al ventre con un altro Chaos Spear.
Quando voleva, ci sapeva fare, la piccola riccia rosa. Sonic avrebbe fatto meglio a fare attenzione.
Teta ruggì e lo scambio di botte riprese.
Almeno fino a quando il fuoco di Omega si interruppe di colpo. Seguito da un urlo di Amy.
Shadow afferrò il polso del lupo, slanciato in un affondo. Con l’altra mano gli immobilizzò l’altro arto e finalmente potè voltarsi per vedere cos’era successo.
Omega era immobile, con le braccia per metà sollevate nel gesto di portarle dietro la testa per liberarsi di qualcosa. Una lunga coda corazzata, suddivisa in sezioni, era conficcata nell’attaccatura del collo del robot, appena sotto la testa di Omega.
Il cortocircuito spedì in ginocchio la non indifferente massa del terzo componente del Team Dark.
Il cuore di Shadow rischiò seriamente di mancare un colpo.
Da dietro la schiena di Omega emersero delle lunghe zampe lineari, terminanti ognuna con una sottile coppia di uncini. Erano otto, tutte corazzate da un esoscheletro di colore nero, forse per metà naturale ma sicuramente rafforzato con una buona dose di iniezioni metalliche.
Il corpo semiluccicante dello scorpione seguì le raccapriccianti zampe. La luce giocava su quella sua specie di armatura a placche straordinariamente liscia. Un paio di affusolate tenaglie emersero anch’esse da dietro la schiena del Mecha. Una afferrò brutalmente la testa di Omega.
Finalmente, l’aracnide gigante raggiunse la sommità del Mecha e vi si posizionò in cima, mostrandosi interamente. Tutto il suo cranio era corazzato alla stessa maniera del resto del corpo, il collo era congiunto al tronco da una continuità di placche di solido materiale nero scuro dai vaghi riflessi violacei, posizionate ad incastro le une sulle altre. Un paio di cheliceri stavano attaccati ai lati della testa, in concomitanza alla mascella, come se fossero un vecchio lascito dell’evoluzione per ricordare il modo in cui gli scorpioni animale erano soliti mangiare. La bocca, dunque, era in parte nascosta.
Ma la cosa davvero impressionante di tutto lo scorpione erano gli occhi. Come ormai s’era già intuito, quegli scienziati parevano proprio incapaci di fare un paio di occhi normali. Nel caso dello sfortunato aracnide, pareva che qualcosa fosse andato storto durante il processo di colorazione, come se i pigmenti destinati all’iride fossero colati via verso la sclera dell’occhio, finendo per colorare quella parte solitamente bianca, ora invece interamente tinta di un vivace viola. L’iride era, al contrario, di uno spettrale color bianco.  
Con un’agilità di gambe notevole, lo scorpione scavalcò con scioltezza Omega, atterrandogli davanti.
Utilizzava come gambe i due paia di arti posteriori, subito vicini alla coda. E dunque gli rimanevano altre due paia di arti a fungere da braccia più le due tenaglie.
Tutte e otto le zampe, ad eccezion fatta per le chele, erano affusolate e sottili, proprio come quelle di un insetto normale, dunque senza dita o palmi.
Era difficile dire se sembrasse più uno scorpione vero o uno scorpione mobiano. Pareva un raccapricciante miscuglio di entrambi. Era  … innaturale.
Zeta drizzò la testa, emettendo un soffio gorgogliante dalla gola. Allargò le gambe e si fletté in avanti, spalancando le chele e portando la lunga coda in avanti, sopra la testa, in una chiara posa di battaglia.
Amy era accanto ad Omega, con in faccia un’espressione da cadavere. I suoi occhi continuavano a guizzare tra lo scorpione e il robot.
Un filo di fumo schiumoso emerse dal punto in cui Omega era stato colpito, una parte del metallo di afflosciò liquefacendosi. Al riccio nero scappò un'altra serie d’imprecazioni. Acido! La coda dello scorpione poteva anche emettere acido!
Shadow digrignò i denti. Aveva pochissimo tempo ancora prima che le facoltà di Omega fossero compromesse irrimediabilmente. Meno di dieci minuti e l’acido avrebbe raggiunto il generatore del Mecha, insieme alla sua scheda di memoria. Cosa che avrebbe significato dire addio ad Omega. E l’antidoto con lui non avrebbe funzionato. Shadow doveva smontarlo, estrarre la parte danneggiata e sostituirla al più presto. Ed era anche più urgente di Tails. La premura per le sorti del compagno di Team si unirono a quelle per la vita del volpino.
Il tempo era finito. Su ogni fronte.
Rassegnandosi al sacrificio che avrebbe comportato, afferrò a due mani l’unica strategia praticabile che era riuscito a tirare insieme fino a quel momento, per quando scarsa fosse, e puntò tutto su quella. Con la proverbiale acqua alla gola non si poteva fare gli schizzinosi. Sperò solo che funzionasse tutto come aveva immaginato.
Lato positivo, nessuno badava più ad Amy. Tutte le attenzioni più indesiderate erano concentrate su Shadow.
Il capo rise. –Scontro tra esseri viventi artificiali! Sarà un bello spettacolo.-
Il primo Chaos Spear andò a centrare la piccola balconata, strappando un grido dal bastardo lassù rifugiato. I due opponenti di Shadow attaccarono all’istante senza conceder il tempo di caricare un altro attacco. Il ricco balzò indietro, maledicendo sé stesso per aver sprecato a quel modo il suo primo colpo (anche se in cuor suo ancora esultava).
Teta gli fu addosso in un attimo, artigli sfoderati. Zeta, rimasto più in dietro, fece fuoco. Dalle chele partirono i proiettili, proprio come una mitragliatrice. Shadow si piegò, schivando il primo affondo di PeloRosso e parando il secondo. Un proiettile gli si conficcò in un fianco. Teletrasportò via sé stesso e Teta, materializzandosi proprio sopra lo scorpione. Con un calcio scagliò il lupo in verticale sull’arachide. Ma Zeta non si fece fregare. Adattando otto delle sue dieci zampe come se fossero gambe, schizzò via di lato, muovendosi come uno scorpione vero. Spalancò di nuovo le tenaglie e fece fuoco verso l’alto, ma Shadow era già scomparso.
Condusse il Chaos Spear alle spalle dello scorpione. Gli afferrò la coda e a piedi pari gli balzò sulla schiena, schiacciandolo a terra.
Aveva un paio di idee su come eseguire quella pallida strategia che aveva ideato, ma prima doveva assicurarsi che nessuno toccasse Amy o Omega mentre lui era impegnato.
Zeta si impennò, frinendo di rabbia. Piegò indietro le chele ma afferrò soltanto aria. La mobilità delle giunture di un aracnide non era chissà cosa. Shadow gli scagliò addosso un doppio Chaos Spear. Uno sulla testa l’altro sulla coda.
Lo scorpione crollò a terra di nuovo.
Gli artigli del lupo cozzarono contro gli anelli inibitori del riccio, ma il contraccolpo spedì Shadow indietro di qualche metro, lontano dallo scorpione. Teta continuò il suo slancio in avanti, scavalcando il collega aracnide, a fauci spalancate pronto a mordere.
Zeta, sempre a terra, ruotò la coda e Shadow fece giusto in tempo ad afferrare il pungiglione prima che gli si conficcasse in petto. Ma ebbe così una sola mano libera per parare una delle due artigliate di Teta.
Sanguinante al braccio sinistro, mosse qualche passo indietro, denti serrati.
Lo scorpione sparò di nuovo un’altra scarica di proiettili. Shadow si teletrasportò via, affibbiando un doppio calcio verticale sulla cervicale dell’aracnide, che per altro non sembrò riscontrare effetti rilevanti forse a causa della corazza.
Zeta, frinendo, si scrollò e riuscì a disarcionare il riccio. Immediatamente OcchiViola si tirò su in piedi, poggiandosi sulle quattro zampe posteriori. La coda era sempre portata in avanti, pronta a colpire.
Shadow non ci pensò neanche a sfidare lo scorpione ad un corpo a corpo. Due gambe e due braccia contro otto arti e due chele: non c’era storia. Attese qualche frazione di secondo, a distanza di sicurezza, fino a quando PeloRosso non lo caricò da dietro.
Il riccio gli aveva voltato le spalle appositamente, come ad invitarlo ad attaccare. Era una trappola palese, ma lo pseudo-lupo non era di certo un asso, nel ragionare. Dunque non si fece scrupoli a cogliere l’occasione. Mentre il lupo scattò in avanti, Shadow fece altrettanto. La coda di Zeta scattò, come previsto.
Shadow si smaterializzò e Teta si prese il pungiglione di Zeta in pieno petto. Venne sbattuto a terra dal contraccolpo.
Gli occhi dello scorpione si spalancarono di sorpresa.
Il cyborg lupo uggiolava, tremando. Provò a rigirarsi e a rialzarsi ma non ci riuscì, crollò a terra di nuovo sempre guaendo disperato. Bava schiumosa cominciava a salirgli alla bocca.
Zeta si rivoltò verso Shadow come se fosse stato morso. Furente, reggendosi su due sole gambe, affrontò il riccio schierando in campo tutta la sua artiglieria: otto zampe adattate a braccia, di cui due munite di tenaglie, e la coda.
Una specie di luce viola si illuminò all’interno del pungiglione. Zeta fece fuoco dalle chele e Shadow dovette spostarsi per non rimaner colpito. Così lo scorpione ebbe campo libero per scagliare il proprio attacco luminescente contro l’avversario. Ma non mirò a Shadow.
Amy balzò indietro con un grido mentre la matassa velenosa colpiva il fianco di Omega. Difficile dire che avesse sbagliato la mira sulla riccia rosa o se fosse stato fin dall’inizio intenzionato a colpire di nuovo il Mecha. Restava il fatto che l’aracnide era furbo.
Il metallo di Omega cominciò a fondersi, sfrigolando.
Shadow ringhiò, una luce nera negli occhi rossi.
Si sfilò uno dei due anelli e caricò lo Spin Dash, con l’aggiunta elettrica di un paio di Chaos Spear fusi insieme.
Mezzo secondo dopo, colpì Zeta in pieno. Sentì la debole resistenza della sua corazza, potè quasi udire l’esoscheletro crocchiare e piegarsi come alluminio verso l’interno. Zeta fremette da capo a piedi per l’urto, e proprio nell’istante il sangue cominciava a salirgli alla bocca, la spinta di Shadow raggiunse il culmine ed OcchiViola venne scagliato via in aria. Attraversò per intero la sala e si schiantò violentemente contro la parete. Crollò a terra portandosi dietro una buona dose di frammenti di roccia e schegge di pietra.
Shadow si rinfilò l’anello inibitore in un attimo, ricordandosi troppo tardi di aver promesso all’impiastro color mirtillo di lasciargli lo scorpione.
Le zampe dell’aracnide fremevano, laggiù in fondo. Dunque, forse, era ancora vivo. Assai probabile che lo fosse.
Ed ora aveva campo libero, poteva recuperare quella maledetta fiala.
Sentì il fragore del corpo di Omega che cadeva. Si voltò, la gola serrata.
Il suo amico di latta era steso di schiena, con un braccio quasi interamente staccato, unito al gomito solo tramite un fascio di cavi e una pezza di metallo. Dove lo scorpione gli aveva colpito il fianco, aveva danneggiato pure l’arto. Il metallo del tronco di Omega era interamente fuso, sulla parte colpita e la ferita al collo si stava dilagando pericolosamente. Per non contare tutte le ammaccature dovute ai proiettili nemici. Amy, incolume, guardava Shadow imbambolata come se non riuscisse a vederlo.
Il riccio nero si voltò dall’altra parte, verso il cubo.
Per scaramanzia, Shadow controllò la situazione in cima al balcone. Il capo aveva una spalla brutalmente sanguinante, dove il riccio l’aveva centrato con il Chaos Spear. Delle unità nemiche rimanevano solo sei elementi, e disperatamente a corto di munizioni. Teta era a terra, paralizzato dal veleno dello scorpione, ancora privo di sensi in fondo al muro. Dunque, nessun problema.
Spazio ristretto o no, sarebbe entrato nell’ultimo cubo della matrioska di vetro.
Attinse a Chaos, la sua percezione dello spazio si acuì vertiginosamente e il riccio cominciò a prendere la mira.
-Cosa stai facendo, Shadow?- domandò la voce di Amy, in un luogo che ora suonava così distante. –Shadow?- questa volta, il tono della riccia era più urgente. Probabilmente, aveva intuito.
La Forma di Vita Definitiva sorrise debolmente, prima di rilasciare il Chaos Control.
Lo spazio si piegò lasciandolo scivolare fino al punto indicato. E qui Shadow si permise di fare qualcosa che solitamente non osava mai fare, cioè modificò la propria posizione nel bel mezzo del teletrasporto.
Senza contattare i propri muscoli, utilizzando unicamente la propria mente, cominciò a cambiare la propria posizione. Piegò braccia, gambe e schiena, sperando di non imporre angolature che, fisicamente, non sarebbero state raggiungibili. Con la consapevolezza che avrebbe potuto tranquillamente spezzarsi ossa, legamenti e tendini per un solo millimetro di troppo al momento della materializzazione, essendo in quella dimensione spaziale privo dell’inibizione solitamente imposta dalla massa dei muscoli, si ritrovò ad affrontare la vera difficoltà.
Per prima cosa, calcolò di non ferirsi per alcuna ragione la testa e la schiena. Quando dovette scegliere tra braccia e gambe, scelse le braccia. Sarebbe stato difficile, per altro, agire diversamente, giacchè era impossibile esporre in quella situazione le braccia invece che le gambe.
Preparandosi psicologicamente al dolore che sarebbe seguito, rilasciò il Chaos Control. Lo spazio si ritrasse come la corda di un arco e il suo corpo si spostò nel nuovo luogo assegnatoli: dentro al cubo centrale della cassaforte-matrioska.
La prima cosa che Shadow constatò fu che aveva effettivamente piegato troppo duramente il braccio destro. Sentì il tendine del gomito stirarsi al limite della sopportazione. E proprio nel istante in cui quella scarica di dolore gli raggiungeva il cervello, la schiena gli segnalò la stessa cosa: vertebre piegate troppo.
Con la boccetta d’antidoto premuta sul petto, arrivò il dolore che Shadow davvero si aspettava di ricevere.
Quello delle gambe.
Come già calcolato, la dimensione del cubo più piccolo era stata misurata appositamente per impedire il Chaos Control, e dunque troppo piccola per ospitare un riccio mobiano. Perciò, Shadow aveva dovuto lasciar fuori le gambe, cioè completare il teletrasporto in modo che il vetro gli si materializzasse a metà coscia.
Le sue cellule, di muscoli ed ossa, erano state invase dalle molecole del vetro che ne avevano spezzato la conformazione. Per quando il riccio sapesse che avrebbe fatto male, rimase comunque travolto dal atroce dolore che gli annebbiò il cervello, al punto da oscurargli perfino la vista.
Sfruttando lo spazio vuoto tra un cubo e l’altro, aveva fatto sì che il vetro gli attraversasse la carne una sola volta per gamba. Le suole delle scarpe ora sfioravano quasi la base superiore del secondo cubo, contenente quello in cui Shadow era andato ad incastrarsi. Per lo meno, si rallegrò, aveva speculato giusto sul fatto che le gambe non gli si fossero staccate di netto.
Con tutti i muscoli tesi all'inverosimile, contratti dallo spasmo generale, la Forma di Vita Definitiva rimase senza fiato. Con il campo visivo per metà oscurato dal bruciante dolore, annaspò in cerca di respiro.
E qui Shadow capì il suo vero errore. Aveva già messo in conto gli strappi ai tendini e la brutale ferita alle gambe, ma non aveva calcolato che là dentro non ci fosse aria.
Era naturale, a pensarci bene, che certe sostanze particolari venissero mantenute sotto vuoto per preservarne le qualità. Restava il fatto che ora lui s’era appena svuotato i polmoni e che non c’era nient’altro con cui riempirli.
Con la gola in fiamme, allungò le dita tremanti e afferrò la boccetta.
Per Tails!
…e per Omega…
Afferrò Chaos con urgenza, strattonando senza ritegno l’energia e piegando lo spazio di nuovo, senza badare ne al dove ne al quando. Completamente a corto di ossigeno, e con i neuroni in defibrillazione dal dolore, si teletrasportò via.
Dovette portarsi dietro anche una buona fetta di vetro.
Atterrò ai piedi di Amy, atterrando di schiena. Le gambe, completamente inermi, gli ricaddero pesantemente a terra e la lastra di vetro che le univa si spezzò a metà, lasciando due enormi scaglie conficcate di traverso nelle cosce del riccio.
Shadow respirò avidamente, mentre pian piano i suoi sensi si riaccendevano. Udì solo allora l’urlo di Amy, che probabilmente stava gridando fin da prima, giacchè tutta l’operazione di andata e ritorno s’era svolta in una manciata di secondi e poco più.
Quando la sua vista cominciò a tornare normale, realizzò che tutti i superstiti nella sala lo stavano fissando. Amy, con le lacrime agli occhi. Il capo, incredulo. Teta semicosciente, l’aria confusa, completamente sorpresa. Zeta, che aveva appena cominciato a riaprire gli occhi. Le unità da combattimento, facce da funerale.
Shadow si permise un debole ghigno, nonostante il respiro tremante e i muscoli stremati dallo sforzo. Provò a muovere un braccio e realizzò che molto probabilmente s’era davvero spezzato un tendine.
Si tirò seduto solo a forza di muscoli addominali, gemendo dal bruciore che ne seguì.
Finalmente, osservò i danni inflitti alle proprie gambe.
Il sangue colava a fiotti sul pavimento, laddove il vetro aveva tranciato la sua carne. Osservò rassegnato i muscoli delle gambe fusi con il vetro. Provò a muovere una gamba. Si spostò effettivamente di qualche millimetro, la il dolore che ne seguì lo fece trasalire. A parte muscoli recisi e ossa troncate, forse c’era ancora la possibilità di guarire. Confidando sulle proprie straordinarie capacità di recupero, e sperando di trovare un modo per togliersi da dosso quel vetro fuso ormai con il suo corpo, Shadow chiuse gli occhi.
Sospirò. –Passerà un po’ di tempo dalla prossima volta che potrò fare un’altra gara di corsa con Sonic, ho il dubbio.-
La sua voce spezzò il silenzio ammutolito che regnava sulla sala. Finite le sue parole, l’assenza completa di rumore riprese il sopravvento. Shadow si concesse qualche minuto per riprendersi, respirando profondamente.
Chissà come, gli venne in mente Anubis e la triste fine che Shadow gli aveva imposto. Buffo come la cosa fosse ora tornata al mittente. Pure lui, ora, si era ritrovato materializzato in un altro oggetto. Terra per il cane, vetro per il riccio.
Quando si sentì in corpo una quantità sufficiente d’energia, diede ufficialmente il via alla fase due del suo piano, cioè ripulire tutto il sangue.
Era da parecchio tempo, cioè da quando era entrato in quella sala, che studiava i tubi che scorrevano su pareti e soffitto. Tenendo presente al luogo in cui si trovavano, ovverosia una base strutturata dentro ad un vulcano, ipotizzare che la maggior parte dell’energia della zona venisse reperita tramite il calore della lava non era cosa così improbabile. I macchinari che loro tre avevano trovato dal momento dell’intrusione lasciavano presagire alte necessità energetiche.
E quei tubi, così spessi e così solidi, parevano proprio servire allo scopo. Quelli con il cartellino giallo e nero che allertava riguardo sostanze esplosive (probabilmente i gas tossici del vulcano) parevano confermarlo.
Scavando sotto terra trovare sedimenti di gas tossici ed esplosivi, tipo il metano, era frequente. Figurarsi poi cosa si poteva trovare in un vulcano!
Quello che era rimasto sospeso sulla sua testa per tutta la durata dell’ultima battaglia sembrava proprio la parte terminale del filtro dell’aria.
Stancamente, Shadow caricò un ultimo Chaos Spear e lo spedì proprio dritto contro quel tubo.
–Alla faccia tua.- mormorò il riccio, all’indirizzo dell’uomo terrorizzato in cima al balcone.
L’attacco elettrico colpì il tubo, sfondò il metallo e raggiunse ciò che ci stava dentro. Il gas prese fuoco all’istante.
Una doppia ondata si propagò dal punto d’impatto: una verso il soffitto, l’altra verso la parete dalla quale usciva il tubo. La fiammata arrivò prima a destinazione dal lato del soffitto.
Il botto che ne seguì frantumò interamente la roccia. Qualcosa di grosso deflagrò al piano di sopra, sgretolando roccia e stalattiti. Grida di terrore riecheggiarono ovunque. Una sirena d’allarme cominciò a suonare. Dal nulla sbucarono due robot alati che andarono a raccattare rapidissimi Zeta e Teta. Proprio quando li sollevarono, la fiamma raggiunse la parete.
Una seconda esplosione peggiore della prima sbriciolò il muro.
Già normalmente il calore era insopportabile, là dentro. Dopo la prima fiammata l’aria era irrespirabile. Dopo la seconda, i polmoni facevano male.
Shadow notò con piacere il proprio sangue coagularsi a terra, così come attorno alla ferita. Stessa cosa successe dentro alle colate rosse lasciate dentro il cubo. Dunque, nessun dato cellulare o genetico sarebbe potuto venir sottratto.
Era già di per sé un successo, ma qualcos’altro accadde.
Alla seconda esplosione ne seguì una terza. Ed una quarta.
Erano lontane, ben oltre il muro squarciato.
Quando deflagrò la quinta, un rumore pericolosamente liquido si unì al botto del gas.
Il getto di lava scintillante fece il suo ingresso poco dopo.
La temperatura dell’aria fece guizzo esponenziale. Shadow ed Amy si ritrovarono a boccheggiare, la roccia su cui poggiavano divenne incandescente in un secondo. I robot nemici, più vicini alla parete sfaldata si sciolsero ancor prima che la lava li toccasse effettivamente.
I due robot alati da recupero vennero sbalzati via dallo spostamento d’aria. Agguantati i due carichi viventi, si sollevarono il volo, fuggendo dal soffitto squarciato. Il capo, sul balcone, era sparito già alla seconda esplosione, forse avendo subito intuito cosa sarebbe successo.
Shadow racimolò dolorosamente altra energia. Caricò il Chaos Control, agganciò Amy ed Omega e si teletrasportò via.
 
 
 
Consegnare sé stesso e un potenziale vantaggio per permettere a loro di catturare Shadow in cambio della salvezza dei tre suoi compagni d’avventura e del piccolo Tails.
Sonic provò a muoversi, ma Eta mantenne serrata la presa sul suo braccio, ruotato all’indietro, ed aumentò la pressione del ginocchio contro la colonna vertebrale del riccio.
Chiuse gli occhi, rievocando ancora le ultime parole che Shadow gli aveva detto prima di partire.
Di prendere quell’antidoto a qualunque costo.
Possibile … che lui gli avesse dato il permesso di fare qualunque cosa, anche contro di lui, pur di prendere l’antidoto per Tails?
Pareva proprio di si’.
Sonic si sentiva un singhiozzo strozzato in gola che premeva per uscire. Ma come poteva lui condannare Shadow a vedersela faccia a faccia con la morte da solo per la terza volta? Come poteva chiederglielo di nuovo, quando era stato proprio Sonic ad insistere per aiutare?
Guardando in faccia alla realtà, avevano fatto più danni che altro. E ancora una volta Shadow doveva rimetterci per tirar loro fuori dai guai.
Si voltò a guardare Rouge, in preda agli spasmi. Ora le sue iridi erano completamente rosse, con le vene nere arrampicate fino alla gola.
Silver, mantenendo al contempo la barriera protettiva, stava aiutando Knuckles ad eliminare i robot grazie ai suoi attacchi a distanza luminescenti. Ma questo indeboliva molto sia il riccio che la barriera, non aveva però avuto scelta quando Knuckles era stato respinto e sbattuto indietro, colpito da una delle macchine. Per quanto l’echidna fosse ostico, venti nemici da sconfiggere faccia a faccia tutto da solo erano troppi. E Silver non osava staccarsi da Rouge, né abbattere lo scudo per andare definitivamente ad aiutare l’echidna. Molto probabilmente, era roso pure lui dai dubbi. Continuare a proteggere Rouge e guardare Knuckles soffire, oppure aiutare Knuckles e lasciare Rouge scoperta.
Knuckle gli aveva proibito di contemplare l’ipotesi di lasciare sola la pipistrella, ma il tormento era chiaramente visibile negli occhi d’oro del riccio, sotto lo spesso strato di stanchezza.
Una cosa era certa: Sonic non poteva permettere che Rouge rischiasse di lasciarci la pelle a quel modo. Proprio come non poteva permettere che Silver e Knuckles restassero uccisi in quella battaglia senza senso mentre lui tentava di prendere una decisione. Esattamente come non poteva lasciar morire Tails con quel veleno in corpo.
Gli spari e le grida di battaglia di Knuckles erano gli unici suoni.
Sonic si chiese distrattamente se la situazione in cui ora era finito lui fosse stata proprio quella che avrebbe dovuto affrontare Shadow al suo posto, se fosse stato il riccio nero a venire nel laboratorio sott’acqua e non vice versa. Cosa avrebbe fatto Shadow?
Faker aveva un formidabile istinto omicida e suicida. Dunque, non avrebbe esitato a mettere in gioco sé stesso per il bene della causa, indipendentemente dal prezzo che avrebbe dovuto pagare. Oppure … proprio il contrario. Consegnarsi, per Shadow avrebbe significato metter la parola fine a tutta quella storia. Gli scienziati avrebbero avuto il suo sangue.
L’Eroe di Mobius ringraziò mentalmente il suo doppione a strisce per aver fatto sì che fosse stato Sonic a finire in quella situazione e non viceversa. Altrimenti, avrebbero dovuto certamente presenziare al funerale di Tails, oppure ad assistere alla sottomissione del mondo da parte di quei pazzi. Entrambe soluzioni impensabili.
Con Sonic bloccato in quella situazione, la partita aveva ancora possibilità di svolgersi invece di venir chiusa all’istante. Perché la resa di Sonic non era sinonimo di “fine”. Anzi, aveva la possibilità di ridurre le due soluzioni impensabili ad una sola soluzione impensabile.
Strinse i denti. Stava davvero valutando l’ipotesi di tradire Shadow?
James s’era avvicinato al vetro, la siringa sempre ben in vista nella mano. –Affascinante.- osservò, puntando gli occhi su Rouge.
Era interessato agli effetti del veleno della sua cavia da laboratorio, oppure cos’altro?
Perché aveva la sensazione che quello che stava accadendo a Rouge non fosse collegato al veleno?
Tails quei sintomi non li aveva avuti … così come Rouge non era nemmeno stata avvicinata dallo scorpione …
La pipistrella inarcò la schiena. Un mostruoso rantolo le uscì di gola. Si rigirò a fatica a pancia in giù, con il respiro soffocato e raschioso, come se qualcosa le ostruisse i polmoni.
Boccheggiò in avanti, proprio come per vomitare.
Gli occhi di James scintillavano. –Era stata sparata, lei, se non erro … Possibile allora che…?-
Eta aumentò la presa su Sonic, che nemmeno tentava di liberarsi. A che scopo, tanto? Non poteva scappare proprio da nessuna parte.
E Rouge vomitò davvero.
Un viscido grumo rosso scuro, quasi nero, le uscì di bocca per poi cadere e spalmarsi sul pavimento.
Pareva sangue, ma era davvero troppo nero per essere sangue …
Possibilità che avesse mangiato qualcosa di andato a male? Ma s’era mai vista una cosa del genere?
Silver guardava la scena con lo stesso orrore, ma parve rilassarsi quando Rouge smise di contorcersi.
La pipistrella si lasciò cadere a terra, stremata. Battè le palpebre e le sue pupille già stavano perdendo la colorazione rosso rubino. Le venature nere sulla sua pelle stavano sbiadendo.
Sonic chiuse gli occhi e ringraziò Chaos. Qualunque cosa le fosse successa, sembrava proprio essere finita.
James continuava a guardare, incantato. –Molto interessante.- sussurrò.
Rouge aprì debolmente gli occhi. Provò a parlare. –Quando … quando ci sono emorragie interne, può capitare che si creino grumi di sangue.- sussurrò.
L’uomo annuì alla spiegazione. Anche se un’emorragia interna non spiegava il cambio di colore di pelle e occhi. Specialmente se poi quei colori erano rosso e nero.
Quattro robot particolarmente caparbi respinsero Knuckles indietro. La furia uncinata dell’echidna non fu sufficiente, venne ricacciato indietro, incalzato fino ai margini del pallido scudo di Silver, dietro al quale Knuckles finì per scivolare.
Ansante, si sedette un attimo, accanto a Rouge.
Era stremato, notò Sonic con angoscia. Se la lega metallica di quei mecha era anche solo simile a quella trovata sui nemici del laboratorio sulle montagne, l’opera compiuta da Knuckles fino a quel momento era erculea.
Tutto il fuoco nemico tornò a concentrarsi su Silver. Erano dimezzati di numero, ma la loro volontà pareva raddoppiata d’intensità.
Il riccio argenteo era appoggiato di schiena contro la parete di vetro, ansimante.
-Ragazzi, dobbiamo inventarci qualcosa alla svelta.- sussurrò.
Knuckles sollevò un attimo gli occhi da Rouge per incontrare quelli d’oro di Argento. –Se riesci a darmi copertura, magari riesco a trovare un qualche cavo elettrico per fulminarli tutti. Come abbiamo fatto l’ultima volta, nell’altro laboratorio.-
Silver valutò la situazione, anche se per Sonic era evidente che non ce l’avrebbe mai fatta. Era semplicemente esausto.
Era da quasi mezz’ora, ormai che reggeva il fuoco costante dei nemici. Giacchè Knuckles era il solo avversario per loro da affrontare, una buona metà abbondante dei robot poteva permettersi di continuare a sparare contro Silver. E la resistenza era la qualità che si pagava a maggior prezzo.
Lo scudo azzurrino si ritrasse ancora di qualche centimetro. –Quanto tempo hai bisogno?- chiese Silver.
Knuckles capì che la sua idea non era percorribile. –Non funzionerà.-
-Allora, Sonic, che hai deciso di fare?- la voce di James fece trasalire Sonic, ma nessuno degli altri tre mobiani diede segno d’aver sentito. Dunque, dalla terza sezione James stava comunicano soltanto con la seconda sezione, quella di Sonic, e non con la prima, quella del resto della sua squadra.
E cosa aveva deciso di fare?
Aveva concluso una sola cosa: non gli era categoricamente possibile lasciar morire Tails. Punto primo e intramontabile. Punto secondo: era suo dovere salvare la sua squadra, dunque Silver e Knuckles.
Si sentì quasi male anche solo a formulare il ragionamento seguente. Shadow … lui se l’era sempre cavata. In situazioni di estremo svantaggio. Aveva già visto in faccia la morte due volte.
Forse, c’era la possibilità che lui se la cavasse, nonostante il vantaggio che James avrebbe tratto dalla cattura di Sonic, qualunque esso fosse stato.
Shadow, del resto, era praticamente indistruttibile. Sonic dubitava seriamente che esistesse qualcuno abbastanza forte capace di metterlo in ginocchio.
Perdonami, amico mio. Ma proprio non posso lasciar morire Tails, mi capisci vero?
In cambio della sopravvivenza di Tails …
Confido nella tua forza, Faker!
…aveva scelto la condanna di Shadow.
Il riccio blu serrò gli occhi. –Devi darmi la garanzia che tu li lascerai andare, e che non proverai a farli fuori appena usciti da questa stanza.-
-Come potrei dimostrarti le mie buone intenzioni?- chiese mieloso James.
-Lasciandoli andare per primi. Con la boccetta. Mentre io resto qui.-
-E se poi opporrai resistenza, riccio?-
-Non sono mai stato così sleale. Se dico una cosa, la mantengo, io.-
Il riccio piegò la testa, sebbene fosse parzialmente immobilizzato da Eta. Fissò negli occhi James. Lui sorrise, affabile. –Sta bene.- disse.
Il cuore del riccio fece una capriola.
Si era appena condannato a morte, e probabilmente aveva appena fatto compiere a Shadow un passo verso la fossa. Ma si sentiva stupidamente felice. Tails sarebbe stato salvo. Rouge anche, così come i coraggiosi Silver e Knuckles.
Ora aveva definitivamente passato il testimone a Faker. Tutto era nelle sue mani.
Solo … perdonami …
Una sezione cilindrica del pavimento si sollevò, vicino ai piedi di James, lui vi ripose la fiala con l’antidoto.
-Aspetta!- disse Sonic, colto da una tremenda verità. –Prima devi anche giurarmi che quello è l’antidoto, e non una qualche altra sostanza.-
S’era già aspettato una risposta pungente e crudele, invece la sincerità di James lo disarmò. –È l’antidoto vero, Sonic. L’unico e il solo.-
Il riccio blu si sentì sollevato, prima di sprofondare al pensiero di che cosa stesse affrontando Shadow in quel momento. Sperò solo che Faker non avesse fatto nulla di troppo stupido per prendere una boccetta falsa.
Al contempo, la consapevolezza che solo Sonic aveva avuto l’effettiva possibilità di recuperare l’antidoto rese la decisione appena presa un poco meno amara.
Il cilindro con la boccetta sprofondò di nuovo nel pavimento. Dopo qualche attimo, la stessa sezione si aprì proprio davanti a Silver. Gli occhi del riccio argenteo si spalancarono.
-No!- gridò, volandosi. –No! Non lo fare, Sonic!-
I robot smisero di sparare all’istante, come promesso.
-Sonic!- Silver sbattè il pungo sul vetro. Un’onda azzurra vi si propagò per tutta la superficie, come l’increspatura sull’acqua. –Non ti fidare!-
Sonic sorrise. –È l’unico modo.-
-Idiota!- Ora la luce azzurra sul vetro divenne tanto intensa che quasi per il riccio blu fu impossibile guardarvi attraverso.
Ora anche Knuckles era contro il vetro, l’aria sconvolta.
Sonic sorrise, tentando di far trasparire la certezza della propria decisione.
Nessuno dei tre mobiani fece neanche finta di toccare la boccetta con l’antidoto.
-Andate da Tails!- esclamò Sonic. –Non c’è più tempo!-
Nessuno dei tre mobiani si mosse. La pressione azzurra sul vetro aumentò ancora, fino a far vibrare l’intera superficie.
-Permetti, Hedgehog?- domandò retoricamente James. Premette un interruttore sulla parete e l’intero pavimento della parte di salava dove si trovava il resto della squadra di Sonic si aprì a botola.
Knuckles e Rouge sparirono con un grido. Silver rimase in piedi a mezz’aria.
-Dove sono?! Dove li hai spediti?!- ruggì Sonic, divincolandosi dalla presa di Eta, che però resse lo scatto del riccio mantenendolo ancorato al pavimento.
-Fuori.- fu la risposta.
Un oblò si aprì nella parete della sezione di mezzo, quella di Sonic. All’esterno una massa di bolle d’aria invase ben presto il blu senza fondo del mare. In mezzo alle bolle, un’echidna nuotava furiosamente verso l’alto, tirandosi dietro una pipistrella mezza svenuta.
-Ehi!- brontolò Sonic, verde in viso per il mal di mare a presa rapida. –Che modi!-
-Non siamo così in profondità come pensi, riccio.- replicò James. –E per chiunque a parte te non è affatto un problema raggiungere la superficie.-
Evidentemente, lo scivolo sotto al pavimento conduceva ad una specie di camera stagna di rilascio nel mare o qualcosa del genere, perché neanche una goccia d’acqua entrò all’interno.
Silver, sempre in piedi a mezz’aria, guardava in cagnesco ora Sonic ora James. L’aura sul vetro-barriera era stata indebolita, poichè il riccio doveva concentrarsi per rimanere in volo.
James era palesemente irritato. La sua botola con il potere di Silver non funzionava.
A braccia conserte, Argento non pareva aver intenzione di muoversi. –Spero che sai quello che stai facendo, Sonic. Ma io da qui non me ne vado.-
James sbuffò ancora. –Mi permetti, Sonic, di cacciare fuori a forza il tuo amico?-
Il riccio blu si sentì un verme ad acconsentire. –Non fargli male in alcun modo.-
James sorrise. –Non sia mai!- poi si rivolse a Silver. –Ricorda di prendere la fiala, o il sacrificio di Sonic sarà stato inutile.-
Premette un altro bottone e l’acqua cominciò ad entrare a fiotti nella sezione in cui era intrappolato Silver.
I robot superstiti che stavano insieme al riccio non fecero una piega, lasciandosi sommergere senza problemi. Sonic non riuscì a trattenere un brivido d’orrore a quella scena.
Il riccio argenteo invece ruggì di rabbia, circondandosi con uno scudo-bolla. Allungò una mano e prese la fiala, poco prima che lo facesse l’acqua. L’aria all’interno della bolla non era infinita, sarebbe durata poco. Lo sapevano tutti.
Silver non disse nulla, si limitò a scagliare a Sonic un’occhiata ferita, che diceva chiaramente cosa ne pensasse lui in merito. Poi lo scudo-bolla sprofondò e Silver sparì.
Qualche attimo dopo, Sonic lo vide passare, fuori dall’oblò.
Ora era solo per davvero. La solitudine lo schiaffeggiò con brutale vicinanza. La barriera che divideva James da Sonic si abbassò con un lieve rumore sfrigolante.
Eta rafforzò la presa sul riccio, bloccandolo ancor di più. James si piegò in ginocchio, con la siringa scintillante in mano.
-Buona dormita, Hedgehog!-
Gliela conficcò nel braccio e il ghigno crudele che gli contorse il viso fece gelare il sangue a Sonic.
Era la fine davvero …
Eta lo lasciò andare del tutto, ma l’incoscienza stava già avendo il sopravvento su Sonic.
James aveva estratto il cellulare e stava parlando con qualcuno. –Missione compiuta.- annunciò, gioioso. –Abbiamo il nostro martire!-
 
 
 

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Solo due cose da annunciare ^.^
1) Abbiamo ufficialmente superato le 200 pagine di fic! Congratulazioni a tutti per essere sopravvissuti così a lungo!
2) Ho un'enorme sopresa per voi!
Quando ho cominciato a scrivere questa fic, mai e poi mai mi sarei aspettata di sentirmi dire "Ma sai che mi viene voglia di disegnarteli Eta, Teta e Zeta?" (Cit.).
Cioè, avere realizzato appieno cosa una certa persona mi ha chiesto? 
Io ... davvero, non ho parole. Non mi capita spesso, ma a volte rimango a secco di cose da dire. E in questo caso m'è capitato perchè mai (ripeto e sottolineo) MAI in vita mai avrei immaginato di potermi sentire così onorata e lusingata!
Qualcuno che ha voglia di disegnare un personaggio inventato da me! MA VI RENDETE CONTO?!?! Deve piacere molto, ma davvero molto, la mia fic, se c'è una persona disposta a disegnare i miei personaggi O.O Cose pazzesche!!
Ma la parte bella deve ancora venire, ragazzi! Guardate un po' qua che meraviglia: (OBBLIGO PER TUTTI: GUARDARE IL LINK marcato in BLU!!! ADESSO!!!!!!)
http://oi60.tinypic.com/ma8d2f.jpg
Cioè, non è una meraviglia senza precedenti? *^* Io adoro alla follia questo disegno!!! Complimenti vivissimi!!! Sei stata a dir poco bravissima!!!
Stardust98 (perchè di lei si tratta, la mia disegnatrice ufficiale, ormai), non finirò mai di ringraziarti a sufficienza! Tu, credo, non hai idea della gioia che mi hai dato! Non ne hai proprio idea!
Non esagero quando dico che ricorderò questo gesto finchè vivrò!
Di nuovo, GRAZIE, GRAZIE INFINITE! Dal profondo del cuore <3
T^T

 
 

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Capitolo 18
*** 17. Disgrazia ***








Capitolo 17
- Disgrazia -


 
“Se  non state attenti, i media vi faranno
odiare le persone che vengono oppresse
e amare quelle che opprimono”
(Malcom X)
 
 
Atterrò di schiena sul pavimento di metallo dell’ARK. Le gambe inerti ricaddero pesantemente sulle lastre gelide. Le scaglie di vetro vennero strattonate dal contraccolpo, affondando ancor di più nella carne. La lamina trasparente conficcata nella gamba destra si incrinò. Un fiotto di sangue colò a terra.
Il riccio nero gettò la testa indietro e ringhiò di dolore.
Un massiccio corpo robotico si materializzò proprio accanto a lui, seguito a ruota dall’esile figura rosata di Amy.
La riccia impiegò qualche secondo a riprendersi dallo stordimento del teletrasporto, ma appena fu tornata in sé, si voltò di scatto verso Shadow. -Nel nome di Chaos!- urlò. –A che diavolo stavi pensando?!-
La pozza rossa si stava allargando sempre di più sotto la figura nera, che riuscì comunque a forzare un mezzo sorriso. –Ma sono riuscito a prenderla.- rantolò.
Stretta tra le dita macchiate di sangue c’era la piccola fiala. Provò a tirarsi a sedere, ma il massimo che riuscì ad ottenere fu di appoggiarsi ad un gomito, ansimante dallo sforzo.
-Deficiente!- lo rimbeccò ancora Amy, con gli occhi lucidi di lacrime. -Già con Sonic dovrei essere abituata a mosse avventate, ma tu sei su tutt’altro livello, Shadow The Hedgehog!- non finì nemmeno di parlare che già era in ginocchio per controllare le ferite.
Shadow respirava affannosamente, con ritmo spezzato e irregolare. Stava soffrendo, e tanto, pure per i suo canoni disumani di resistenza.
Con una mano, Shadow spinse via la riccia. –Vai a chiamare Vanilla…- La forza parve venirgli meno, il braccio su cui si era issato cedette all’improvviso. Si ritrovò a terra. Sputò un’imprecazione. –Muoviti, dannazione! Vi devo riportare a casa, sulla Terra, prima che …-
Ma le due conigliette avevano già sentito tutto con le loro lunghe orecchie, erano difatti accorse subito nella sala in cui il Chaos Control li aveva scaricati come pacchi postali.
-Siete tornati!- li salutò Cream. Ma la sua espressione gioiosa si tramutò con inquietante velocità in una smorfia d’orrore. –Cosa…?-
Non appena sua madre, altrettanto allarmata, fece il suo ingresso nel campo visivo di Shadow, questi ringhiò. –Va’ a prendere Tails, ora! Si torna indietro …-
Un singulto gli strozzò la frase a metà. Denti serrati dal dolore, Shadow udì appena le due correre via a prendere colui che in teoria era il vero moribondo della situazione.
I passi delle due ebbero giusto il tempo di scomparire dietro al corridoio, che l’attenzione del riccio nero era interamente rivolta al robot. Omega era immobile.
Quando Shadow provò a trascinarsi in avanti, verso il compagno di squadra, Amy esclamò. –Che pensi di fare adesso?! Resta fermo, per carità!-
Il riccio la respinse di nuovo, con un colpo di reni si tirò ancora un po’ più vicino, lasciandosi dietro la macabra scia rossa liquida, la condanna sua. Una delle due schegge andrò a grattare contro il pavimento, strappandogli un rabbioso grido di dolore.
Ansante, Shadow allungò la mano sul braccio di Omega, quello vicino al quale lo scorpione gli aveva iniettato l’acido. Con ogni singolo muscolo che pareva implorare pietà, Shadow caricò di nuovo il Chaos Control, avvolgendo solo parzialmente il corpo di Omega. Selezionò per la smaterializzazione solo le parti danneggiate, cioè l’intero braccio, la spalla, parte del fianco e un pezzo del collo. Afferrò il potere degli Smeraldi e strattonò via sé stesso e parte del compagno di squadra.
Placche metalliche fuse dall’acido, cuscinetti a sfera corrosi, cavi e fili liquefatti vennero tutti tranciati di netto, per poi riapparire qualche metro più in là insieme al riccio. La vista di Shadow si oscurò per qualche attimo, trovò in qualche modo la forza di voltarsi a guardare quello che rimaneva di Omega. Non parevano esserci piu’ tracce di acido sul suo corpo metallico, ora aperto come una scatoletta di sardine.
Ritornarono Cream e Vanilla, trascinando Tails, che pareva più uno zerbino masticato piuttosto che un volpacchiotto. Era peggiorato moltissimo in quelle ultime ore. Madre e figlia raggiunsero rapidamente il riccio, entrambe con gli occhi dilatati dalla paura.
Shadow, digrignando i denti, raccolse per l’ultima volta le proprie energie e quelle degli Smeraldi. Ben consapevole di non avere molto tempo, non indugiò affatto. –Chaos Control!- Il fiotto d’energia necessaria al balzo spazio-temporale gli venne prelevata tutta d’un colpo, lasciandolo quasi senza fiato.
Doveva per lo meno riportarli tutti quanti sulla Terra, lontano dall’ARK, e nella giusta dimensione temporale. Era la massima priorità …
 
 
Era stato un colpo di fortuna senza precedenti. Una manna caduta dal cielo.
James sospirò di soddisfazione, avvicinandosi ancora un po’ alla piccola boccetta dall’inimmaginabile preziosità. La sfiorò appena con un dito, quasi con timore. Era fredda.
Recuperare quei pochi centimetri di liquido organico era stato assai più arduo del previsto. Specialmente calcolando il fatto che a causa di una buona dose di barriere troppo resistenti e mobiani troppo cocciuti, tale miracoloso dono della natura era rimasto ben fuori dalla sua portata per praticamente tutto il tempo.
Sorrise. Dimenticare un successo, un grande successo, non era cosa facile. Dunque, per lui era quasi impossibile non rivivere continuamente il ricordo della botola che aprendosi aveva ingoiato echidna, pipistrella e … e il piccolo tesoro vischioso. L’ondata d’acqua era sembrato il modo migliore per togliere di mezzo l’ultimo riccio testardo e sciacquare via al contempo eventuali dubbi sulla sorte del piccolo grumo di rossa materia organica. Ma non prima che un certo, piccolo, robotino scalatore avesse recuperato quel sangue dalle ante della botola.
C’era un dettaglio che però l’aveva lasciato perplesso: la squadra di mobiani non aveva dato segno d’essersi preoccupata del prezioso gioiello genetico abbandonato. Ciò gli aveva seriamente fatto prendere in considerazione l’ipotesi che quel sangue non fosse il suo. Ma, ricordatosi del rapporto stipulato dallo scomparso Anubis, nel quale stava scritto che Rouge era stata sparata allo stomaco e che dunque era sicuramente deceduta, in netto contrasto con ciò che la realtà aveva rivelato, James aveva deciso di provare ugualmente a recuperare quel liquido rosso.
Ed era stato un colpo di genio a tutti gli effetti. Nemmeno serviva più avere catturato Sonic e ferito Shadow.
Un successo senza precedenti!
James ancora gongolava a sei giorni di distanza dall’evento che aveva fatto decollare la sua carriera, insieme alla sua speranza.
C’era un solo, fastidioso problemino: nessuno dei loro ricercatori era ancora riuscito a districare dal groviglio di globuli rossi il DNA della Forma di Vita Definitiva. Pareva che il sangue purissimo di Shadow fosse contaminato da quello della pipistrella che aveva fortuitamente rigurgitato tale opera d’arte d’ingegneria genetica. Insomma, la questione richiedeva tempo.
Cosa che al Capo non era piaciuta. Per niente.
Scoprire che pur possedendo finalmente il sangue di Shadow non era stato possibile ancora recuperare il suo DNA era stato spiacevole almeno quanto scoprire che Sonic aveva reperito da chissà dove un nuovo spinoso alleato telecinetico e svolazzante.
Per quanto avessero cercato ed indagato, quel tizio bianco semplicemente non esisteva su nessun registro. Come se fosse sbucato dal nulla. E pensare che un riccio come quello avrebbe dovuto dare parecchio nell’occhio! Possibile che nessuno dei loro agenti avesse mai catalogato un mobiano di quella forza?
James sospirò ancora una volta.
Per intanto, si erano accontentati di procedere con il piano originale. Cioè puntare ancora a catturare tutto il pacchetto, cioè Shadow, magari sfruttando gli ultimi vantaggi ottenuti tramite un certo puntaspilli blu. Se poi nel frattempo sarebbero riusciti a ricavare le informazioni necessarie dal quel grumolo di sangue, forse i piani sarebbero cambiati. Ma fino a quel momento, tutto procedeva nella stessa direzione di sempre. Specialmente ora che potevano contare su nuovi sostenitori così formidabili!
Gli si scaldò il cuore al pensiero dei miglioramenti che le sue azioni avevano comportato. James era orgoglioso di sé stesso, e non si vergognava ad ammetterlo. Finalmente, avevano fatto un passo in avanti per quanto riguardava la ricerca sulle proprietà curative di Shadow! Con la materia prima a disposizione, non avrebbero impiegato molto a scoprire quella maledetta medicina!
La lancetta dell’orologio da polso scattò a segnare le sei spaccate del mattino. Tempo di andare, per lui che rimasto lì alla base per tutta la notte a sorvegliare le ricerche. Si tornava a casa!
Si voltò, lasciando la boccetta e il suo rosso contenuto. Attraversò tutta la base Alpha, muovendosi per quei corridoi labirintici.
Passò per l’arena d’allenamento, e un topino grigio gli si fiondò addosso, agganciandolo alla vita con un solido abbraccio. James barcollò, aggrappandosi al muro per non finire a terra.
La coda di Eta, corazzata di un armatura più leggera elaborata con grande fatica (in modo da poter combinare adeguatamente resistenza e peso, due elementi opposti) che però ora gli permetteva di muovere liberamente quell’inutile appendice, frustava l’aria gioiosa, come a manifestare al mondo la ritrovata libertà di movimento. Ma negli occhi del ratto c’era tutto meno che felicità.
-Io … io ho fatto tutto quello che avevate detto!- squittì il piccolino. –Ho tenuto fermo il riccio blu. Ho combattuto contro i robot nella palestra. Ho fatto tutto. Ora posso rivedere Lucy?-
James lo scostò con una mano. –No. Finchè non avremo catturato Shadow non potrai vedere Lucy.-
Il topino scoppiò a piangere. –Ma perché? Mi basterebbe anche solo un minutino …-
-Prendi Shadow e avrai Lucy.- ripetè James, evitando di guardarlo negli occhi. –La condizione è questa, lo sai.-
-Un minutino solo, per piacere!- Eta crollò in ginocchio, singhiozzando senza ritegno. Il pelo delle guance era tutto inzuppato.
James camminò via il più rapidamente possibile, lasciando il topino a singhiozzare a terra. Si passò una mano sugli occhi, appena ebbe messo due porte blindate di distanza tra lui e quella creaturina. Se fosse rimasto lì ancora un secondo di piu avrebbe finito per dirgli di sì.
Essendo ormai già andato via, non vide che Zeta, ancora acciaccato dall’ultimo scontro con Shadow, s’era avvicinato arrancando ad Eta, da dietro. Il topolino disperato alzò piano la testa, scambiando uno sguardo di lacrime inconsolabili con le pupille innaturalmente bianche cerchiate di viola dell’aracnide. Tirò su con il naso, e lo scorpione gli si accucciò accanto, con uno scricchiolio di giunture esoscheletriche.
James voltò l’angolo e sparì. Si impose di ritrovare il proprio buon umore, stava finalmente per tornare a casa dopo un secolo di straordinari.
Reperì la ventiquattore e la giacca dal suo ufficio, si soffermò un secondo davanti allo specchio del bagno. L’operazione chirurgica di qualche giorno prima era andata sostanzialmente bene. La mascella spaccata era tornata come nuova, le cicatrici di Teta erano state quasi interamente cancellate dal suo viso, la nuova mano meccanica (prima prova effettiva che le componenti cyberg potevano venir unite anche ai corpi umani) funzionava bene almeno quanto l’originale, e l’occhio finto era ben mascherato. Certo, non ci vedeva più, ma l’effetto estetico generale era ben fatto. Sembrava di nuovo un essere umano, non più un tira-graffi per lupi geneticamente modificati e ricci con seri problemi del controllo della rabbia.
Superato tutto il complicato meccanismo di controlli, riuscì a raggiungere l’elicottero che l’avrebbe riportato a casa.
Ventidue minuti dopo, suonò il campanello alla porta di casa sua, un semplice appartamento al ventiseiesimo piano di un palazzo qualsiasi nel mezzo di Station Square.
Una donna dai capelli bruni e riccioluti aprì la porta con un sorriso smagliate. –Tesoro! Sei tornato!-
Non fece nemmeno in tempo a salutarla che la moglie gli saltò al collo con un gridolino di gioia. Si ritrovò stritolato nell’abbraccio e non riuscì proprio ad impedirsi di sorridere. Si lasciò andare interamente, stringendo tra le braccia la donna che gli aveva rubato il cuore quasi undici anni prima. Lo stesso immutato sentimento li univa ancora, forte esattamente come lo era stato il primo giorno.
Rimasero abbracciati per qualche attimo ancora, si scambiarono un lungo bacio e si sorrisero. James cinse la vita della donna con un braccio e la sospinse delicatamente in casa.
-Amore!- chiamò lei, raggiante. –Guarda chi è tornato a casa.-
Un gridolino estasiato proruppe dalla porta di sinistra, che si spalancò mezzo secondo dopo. E James fu stritolato dal secondo abbraccio nel giro di pochi minuti, sebbene questo qui fosse assai meno energico rispetto al primo, e decisamente più basso. Si inginocchiò, per ridimensionare la questione, e strinse a sè la bambina di nove anni infagottata in un pigiamino rosa a fiorellini. –Lisa…- sussurrò il padre, posandole la guancia sulla testolina.
-Papà! Mi sei mancato!- cinguettò lei.
-Mi sei mancata anche tu.- le accarezzò la testa. Una volta, la piccola Lisa aveva dei bellissimi capelli biondi, lunghi fino a mezza schiena, quasi sempre sciolti. Ma per via della chemio, ormai non gliene era rimasto più nessuno. Solo pallida pelle lattea.
La bimba corse via di nuovo, senza riuscire ad impedirsi di ridere, saltellare e squittire di gioia. –Oggi ho fatto un disegno, papà!- gridò, sparendo via nella sua camera a prenderlo.
James incontrò gli occhi della moglie, che stava ancora sorridendo intenerita dalla scena, sebbene nel suo sguardo ora si intravvedesse una tetra ombra. Lui le si avvicinò, l’abbracciò, posando la testa di lei sulla sua spalla.
Sussurrandole nell’orecchio, le pose la domanda che gli bruciava in gola da tre giorni. –L’hai portata dal dottore?-
La moglie annuì. –Ha detto due anni, massimo tre, e poi …- la voce le si spezzò in gola.
James serrò i denti, tanto forte da farsi quasi male.
La sua mente pensava soltanto ad una cosa: al sangue imbottigliato dell’unico essere vivente di quella parte di universo capace di compiere il miracolo.
C’erano quasi. Mancava pochissimo e avrebbe potuto stringere in mano la soluzione a tutti i loro problemi.
Poter vedere sempre il sorriso della figlia … non era normale che quello fosse la massima speranza di un padre. Non era giusto dover pregare per una cosa che doveva essere scontata!
Si scostò dall’abbraccio quando udì lo scalpiccio della figlia che tornata, sventolando il pezzo di carta colorato di pastelli.
Un prato verde, un cielo azzurro. Una bambina che stava in mezzo ad un papà e ad una mamma, stringendo loro le mani, sorridendo come un sole.
 
 
 
Il viaggio di ritorno era stato allo stesso tempo troppo lungo e troppo corto. Il tempo pareva correre alla velocità del suono, oppure divenire colloso come la melassa, impantanandosi in un’immobilità da far venire la nausea.
La classica situazione di stasi, tra il volere che tutto finisse e il non volere dover affrontare il resto del gruppo in seguito al fallimento.
Per finire, alla guida del Tornado X avevano dovuto piazzare Knuckles a causa della ridotta possibilità di scelta.
Silver non aveva praticamente mai visto un aereo in vita sua. Rouge era ancora priva di sensi. E Sonic … solo Chaos poteva sapere che fine gli aveva fatto fare James! Dunque, avevano dovuto optare per il meno peggio, relativamente parlando, piazzando al volante l’echidna acciaccato.
Per quanto riguardava i due superstiti, erano stati impegnati per quasi tutto il tragitto a non far precipitare il Tornado X e a spartirsi lo spiacevole compito di dare la dolente notizia all’altro Team. Il fatto che ad addolcire la pillola ci fosse la fiala con l’antidoto sembrava davvero poca cosa, al riccio e all’echidna.
Tra i singulti agonizzanti del Tornado X, mantenuto in aria a suon di colpi spastici d’acceleratore e di improbabili virate da parte di un pilota inesperto e sanguinante, sostenuto da una flebile ed intermittente aura azzurrina, Silver e Knuckles avevano discusso quasi ininterrottamente.
Silver, fluttuando, si accostò di nuovo alla cabina di pilotaggio del velivolo. Mancavano ormai pochi minuti all’arrivo e il senso d’angoscia stava soppiantando la rabbia e la preoccupazione per Sonic.
-Allora.- cominciò. –Cosa facciamo?- chiese per l’ennesima volta.
Knuckles digrignò i denti. La scelta era ardua, entrambe le opzioni erano farcite di rischi e probabili ossa rotte. Potevano solo confidare nel comun senso di pietà e buona ragione  per poter sperare di uscirne interi. Ma, visti i soggetti in questione, quell’unica tremolante possibilità di non finire conciati anche peggio di quanto già non fossero risultava poco plausibile pure a loro due.
Non avevano più tempo, ormai. Mancava poco all’arrivo. Dovevano decidere.
-Se tu parlerai a Shadow, io potrei pensare di avvertire Amy.- disse lentamente Knuckles. Di nuovo, la semplice esposizione di una delle due possibilità senza nulla di fatto.
Silver sbuffò. Si stavano scambiando le patate bollenti dal momento in cui erano decollati.
Dovevano scegliere tra la furia cieca ed demoniaca di Amy oppure l’ira infernale e omicida di Shadow.
Con quale dei due si poteva avere più probabilità di sopravvivere?
-Dunque, tu dici ad Amy che abbiamo perso Sonic e io dico a Shadow che Rouge ci è quasi morta?- ripetè Silver, sperando di ottenere finalmente una conferma definitiva. Ma ricevette come risposta semplicemente l’ennesima spiegazione. –Perché io Shadow?!- gracchiò.
Knuckles sbottò. –Insomma! O uno o l’altra! Basta che ci decidiamo prima di arrivare a casa.-
-E se glielo diciamo contemporaneamente?-
-Oh, sì. Grande idea. Così dovremo guardarci le spalle non solo da una belva assassina assetata di sangue, ma ben da due belve assassine assetate di sangue! Tre, se teniamo presente che Shadow vale doppio.-
Calò un silenzio di gravosa consapevolezza.
Nessuno aveva mai visto Amy in una situazione come quella che stava andando a presentarsi. Nessuno avrebbe potuto immaginare in che modo avrebbe reagito alla notizia che il suo amato era caduto in mani nemiche. Possibilità di avere ancora ossa intere alla fine del messaggio: fatalmente basse.
Miglior sorte non la si poteva trovare presso Shadow. Per la seconda volta, Rouge era stata messa in estremo pericolo mentre si trovava sotto la protezione del Team Sonic, anche se né Silver né Knuckles avessero effettivamente capito cosa le fosse successo quella volta. Ma una cosa era certa, la Forma di Vita Definitiva aveva in serbo tormenti infernali per chiunque osasse mettere in dubbio la sicurezza dei membri del suo Team. Per una qualche sorta di miracolo divino-provvidenziale, Shadow non li aveva sterminati tutti quando Rouge era stata ferita la prima volta. Ma al secondo errore … Di ossa loro due non ne avrebbero avute più!
Silver si lasciò scappare un grugnito d’esasperazione e di recondito terrore malamente represso.
Gli faceva male ogni singola cellula del corpo, sentiva un pericoloso vuoto al centro dello stomaco ed era completamente a secco d’energia. Pensare era quasi doloroso. Per quanto Knuckles sanguinasse, lui almeno era seduto.
Solitamente, non ci sarebbero stati dubbi: cioè che Shadow sarebbe stato il peggiore da affrontare. Ma l’eventualità che lui si fosse sfinito nella battagli almeno quanto loro due aveva insinuato il dubbio che forse Amy poteva rivelarsi più micidiale, a breve termine almeno. Oppure Shadow ne era uscito indenne come sempre, dunque nel pieno delle forze, e avrebbe polverizzato uno di loro due. In questo secondo caso, Amy era la scelta più apprezzabile, meno mortale rispetto al riccio nero (che in ogni caso incuteva assai più timore rispetto alla riccia rosa).
Era un loop senza fine.
L’echidna perse per un attimo la presa sul Tornado, le sue braccia parevano troppo stanche per rimanere attaccate alla manopola di pilotaggio. L’aereo calò rapidamente di diversi piedi, prima di venir ristabilizzato di nuovo anche grazie all’intervento dell’aura azzurrina di Silver..
Le variabili erano due. O Knuckles parlava a Shadow e Silver ad Amy. Oppure Knuckles ad Amy e Silver a Shadow. Eppure la scelta li aveva tenuti occupati per un’ora di viaggio!
I tratti del paesaggio sotto di loro stavano diventando famigliari.
-Io Amy, allora.- dichiarò Knuckles, aggrappandosi a doppia presa all’ultima frase pronunciata.
Silver gli scagliò un’occhiataccia risentita. Vigliacco!
Avevano continuato a passarsi la palla, fino a quando il tempo era scaduto: il loro destino era stato deciso da un numero imprecisato di passaggi e da un tempo limitato.
-Io Shadow, allora.- sussurrò, come se fosse stata la sua firma a condanna a morte.
L’ipotesi che si fosse stancato nella battaglia gli pareva ora incredibilmente pallida e inverosimile, viste le sue riserve d’energia desolatamente enormi. Una possibilità che sembrava del tutto remota pure ad una mente disperata come la sua in cerca di un qualunque tenue barlume di possibilità di salvezza.
Iniziarono le manovre di discesa. Ogni attimo che passava, il peso delle rispettive responsabilità si gonfiava esponenzialmente sulle loro già provate figure.
Più che atterrare, il Tornado X si schiantò a terra in scivolata, stridendo grottescamente le rotelle sull’asfalto. Ma l’angolazione era sbagliata e il carrello di sinistra si staccò, l’intero aereo cadde su quel lato, tuffando un ala nel terreno del giardino e sollevando spruzzi di scintille d’attrito.
Knuckles sbattè la testa contro il cruscotto. Rouge per ovvie ragioni non si accorse di nulla.
Anche Silver si lasciò crollare a terra senza particolare finezza.
Lottarono contro cinture di sicurezza e sportelli ostinati per riuscire a tirar fuori da lì il corpo inerme di Rouge, che venne caricata come un sacco di patate in braccio a Silver, poiché fisicamente era messo un pochino meglio dell’echidna. Il fatto che Knuckles avesse dovuto affrontar da solo tutta la banda dei robot nemici e che Silver fosse rimasto dietro lo scudo, aveva fatto la differenza, anche se di poco. Ora quello che zoppicava era l’echidna, infatti, non il riccio.
A Silver la ragazza, a Silver il compito di spiegare a Shadow cosa le fosse successo. Doppio fardello.
Per quanto fosse una cosa sensata, l’inspiegabile istinto protettivo sorto senza ragione né preavviso in cuore a Knuckles ancora borbottava e ringhiava, non soddisfatto che fosse il riccio a tener tra le braccia la pipistrella addormentata e non lui.
Raggiunsero miracolosamente la porta.
-Saranno già arrivati?- domandò Knucles, suonando il campanello.
Vanilla venne ad aprire la porta in pochi attimi.
I calorosi e stiracchiati sorrisi di saluto dei due guerrieri morirono loro sulle labbra. Il grembiule della coniglietta era sporco di sangue …. Qualcosa era andato spaventosamente male anche alla squadra di Shadow!
 
 
Nut The Ferret era seduto nella terza fila di sedie disposte geometricamente davanti al piccolo palco della conferenza stampa. Era lì da quasi un’ora ad ascoltare e ad ogni minuto che passava lo stomaco gli si stringeva sempre più.
Attorno al collo aveva appeso il suo lasciapassare di giornalista, una piccola tessera di plastica che gli permetteva di poter assistere a quel tipo di conferenze.
Era completamente assorto, intendo a fissare quell’uomo di mezza età che parlava al microfono. Se da un lato ascoltava con tutta la sua attenzione, dall’altra parte stava ragionando su tutt’altro. Che diavolo sta succedendo?
Che si trattasse di una svolta storica era fuor di dubbio.
-Perciò.- esclamò l’uomo. Dalla sua intonazione pareva che stesse finalmente per dire la conclusione di tutta la tiritera politica che aveva appena finito di raccontare, subito dopo aver dichiarato la sorte del riccio blu, che da quasi sei giorni regnava incontrastato su ogni giornale, tv, radio o notiziario di varia natura della Terra e di Mobius. -Perciò, le forze militari degli Stati Uniti D’America hanno dichiarato che metteranno a disposizione le loro unità al fine di portare al termine la legittima richiesta di Mobius.-
Un applauso scrosciò nella sala. Giornalisti, sia umani che mobiani, applaudivano. Nut chiuse gli occhi, abbassando la testa.
-La G.U.N- continuò l’uomo, zittendo con quelle tre lettere l’intero pubblico. –Ha confermato che si impegnerà economicamente a sostenere la causa, senza però supporto militare, dichiarando il seguente.- Estrasse un foglio e lesse. –“Ci impegneremo a compiere la volontà espressa dal Parlamento Rappresentativo di Mobius: trovare e punire il colpevole.”-
Nut dovette masticare un imprecazione per impedirsi di lasciarsela sfuggire dalle labbra. Ma come diamine era possibile? La G.U.N. non aveva collaborato con Shadow, in passato? Come poteva ora rivoltarsi così verso il loro alleato?
Tra tutti, loro erano probabilmente gli unici che erano a conoscenza della verità sul riccio nero e sul riccio blu. Gli unici di due pianeti messi insieme e la GUN che faceva? Si schierava dalla loro parte?
Certo, non avevano offerto nessun sostegno militare, cosa che forse avrebbe almeno in parte favorito Shadow, ma donare soldi era comunque un lurido voltafaccia.
Nut attorcigliò la coda attorno alla gamba della sedia, irritato e ansioso allo stesso tempo.
Del resto, con una situazione politica come quella presente, andatasi a formare in tempistica da record, era necessaria la collaborazione con Mobius. La furia malamente repressa del pianeta gemello esigeva la collaborazione indiscussa della Terra, oppure addio fraternità. Dunque, se si volevano mantenere i rapporti amichevoli, si doveva chinare la testa e offrire il proprio aiuto, come tutti i buoni vicini dovrebbero fare.
Metà Terra e tutta Mobius mobilitate per stanare il responsabile del fato di Sonic The Hedgehog.
Com’era naturale, la madrepatria del roditore più veloce di due mondi si era sollevata ringhiando per proteggere il suo Eroe: in quell’occasione più unica che rara in cui lui davvero era bisognoso d’aiuto s’era presentata la chance per ricambiare tutti i salvataggi passati.
Risultato? Una cifra imbarazzante di fondi monetari, mobiani e terrestri, stava affluendo nelle casse di quella sconosciuta associazione di ricerca bio-tecnica che si stava occupando di rimettere in sesto il mobiano blu dopo la feroce battaglia contro Shadow.
Mentre la sala esplodeva in un altro applauso al congedo dell’oratore ritiratosi dietro al palco, Nut si passò una mano tra le orecchie pelose che gli ornavano la cima del capo. La conferenza stampa era finita, tutti stavano cominciando ad alzarsi.
Con un sospiro, lui fece altrettanto.
Era andata molto peggio del previsto. Tutti erano pronti a prestare i propri soldatini Mecha.
Nut uscì, respirando a pieni polmoni l’aria fresca impregnata di pioggia.
Ormai, dopo l’ultima chiacchierata tra Shell e lo scalcagnato gruppo chiamato Chaotix, ogni dubbio riguardo quel preoccupante filmato era stato fugato. Avevano spiegato molto chiaramente l’intera situazione, e anche il motivo per cui Shadow aveva così brutalmente pestato quel canide mobiano.
Per Nut ancora era difficile giustificare appieno un tale atto di violenza, ma di una cosa ormai era certo: Shadow, nonostante tutto, non era il criminale che tutti affermavano. Se le cose stavano davvero come le avevano raccontate i Chaotix, Shadow aveva la ragione dalla sua parte.
Eppure, restava un tassello del puzzle che si ostinava a rimanere fuori posto.
Cioè il silenzio dei compagni di Sonic. Nessuno nella sua banda aveva aperto bocca per confutare la tesi diffusa dai giornali. Nessuno di loro aveva detto nulla, confermando di conseguenza la versione ufficiale. Cosa che aveva messo Shadow nella scomodissima posizione in cui si trovava ora.
Nut sospirò. Perché la banda di Sonic non si decideva a parlare e a difendere il loro alleato?
Da sei giorni i giornalisti sia della Terra che di Mobius stavano dando la caccia ai componenti del Team Sonic alla ricerca disperata di notizie fresche, di racconti di prima mano sull’accaduto, ma nessuno era riuscito nell’intento di scovarli. Parevano spariti tutti dalla circolazione.
Che novità! Negli ultimi tempi la gente pareva aver preso l’abitudine di sparire con una frequenza tale da risultare quasi monotona.
Giocherellava distrattamente con il suo lasciapassare, mentre ragionava. Alcune sottili gocce d’acqua caddero dal cielo color cemento sul suo pelo color prugna striato di verde. Nut rabbrividì.
Era giunto di passar il testimone alla mangia-sardine.
Pareva che i Chaotix fossero disposti a concederle l’esclusiva.
 
 
Il giorno in cui Shell seguì i bigliettini di Charmy fin sul tetto della base dei Chaotix non riuscì a rintracciare effettivamente i detective. E non ci riuscì nemmeno nei giorni successivi. Quando trapelò la notizia di ciò che era realmente accaduto a Sonic, l’Eore di Mobius, Shell non si stupì affatto dell’improvviso silenzio dei suoi nuovi collaboratori, per la stessa ragione non potè nemmeno biasimarli per l’arrabbiatura che le avevano fatto prendere.
Si fecero pienamente perdonare al quarto giorno dalla disgrazia di Sonic, cioè quando incontrarono Shell faccia a faccia.
Con animo trepidante, Shell varcò la soglia della casetta dello scompagnato trio, evocando mentalmente le domande che s’era prefissata di porre riguardanti l’inquietante video che mostrava Shadow alle prese con il mobiano canide sconosciuto. Ma, ora quasi fin più importante, le bruciavano in gola certi dubbi riguardanti la notizia di punta degli ultimi giorni. Ormai, alla versione ufficiale aveva smesso di credere da un po’.
Sapere di Shadow. Sapere di Sonic.
Due obbiettivi, due ricci.
Ma entrambi i propositi crollarono non appena vide le facce lunghe dei tre detective. Charmy era desolatamente posato a terra, privo della sua caratteristica energia frizzante. Nessuna vitalità animava il corpicino a strisce dell’ape, solo uno spettro d’angoscia che si rifletteva nei suoi giovani occhi, ora segnati dalla preoccupazione.
Vector era accasciato dietro alla sua scrivania di “capo ufficio”, con il muso appoggiato sulla superficie del tavolo, privo d’ogni motivazione.
Espio era più o meno in una simile situazione catatonica, solo in posizione più composta, raggomitolato in un angolo buio.
Shell sospirò. Non doveva essere facile tirare avanti sapendo ciò che era successo ad un loro grande amico, perché ormai di dubbi lei non ne aveva più: quei tre erano davvero amici di Sonic. E conoscenti di Shadow.
Un sorriso illuminò la piccola ape non appena Shell fece il suo ingresso, come se tutto ad un tratto per lui fosse tornato a splendere il sole. Con un ronzio d’ali saltò addosso alla cliente, che ormai era stata promossa a grado di sorella maggiore (praticamente ogni mobiano dall’aria simpatica e dall’atteggiamento benevolo era come un fratello o sorella per Charmy).
Finite le moine e i saluti, Shell sfoderò la chiavetta usb con il filmano incriminato e lo passò a Vector. La tecnica migliore che aveva racimolato per stogliere il trio da quell’atmosfera gravosa: dar loro qualcosa su cui pensare.
-Ditemi cosa sta succedendo, se potete.- chiese, rivolta a tutti e tre.
Coccodrillo, camaleonte e ape si ricomposero, risvegliandosi un poco dal loro torpore angosciato, ora vagamente curiosi dell’accaduto. Guardarono il filmato in silenzio.
Quando Shadow apparve e sferrò il calcio in faccia al canide, un ghigno beffardo spuntò in faccia al coccodrillo. Fu come se una scossa d’energia avesse travolto il trio. Scattarono sulle sedie come se fossero improvvisamente risorti. –Ben gli sta a quel dannato!- esclamò Vector, ghignando senza riguardo. –Almeno un poco, stanno pagando!-
Lo sguardo elettrizzato di Charmy rifletteva l’entusiasmo di Espio.
Shell li guardò, un po’ sconcertata dalla completa approvazione di quello che aveva sempre ritenuto essere un Team rispettabile, nonostante tutto.  –Dunque, Shadow non ha fatto nulla di male, secondo voi?- chiese, contrariata, indagando con cautela.
-“Nulla di male”?!- ripetè Charmy. –Vuoi scherzare? Ha avuto tutte le ragioni del mondo per fare quello che ha fatto, anche se potrebbe non sembrare giusto. Finalmente gliele ha suonate!-
-Spiegatemi.- disse la gabbianella, ormai sicura che nella sua mappa mentale mancasse un tassello fondamentale per comprendere l’intera situazione.
Venne esaudita.
Tre spiegazioni diverse ma basilarmente uguali le vennero fornite quasi istantaneamente. Le snocciolarono tutta la storia, e non solo gli eventi riguardanti Shadow ma pure la verità dietro il destino di Sonic The Hedgehog, anche se lei nemmeno l’aveva ancora chiesto. Ormai, si fidavano ciecamente di lei.
Le raccontarono la vera natura di quella misteriosa organizzazione, chi erano, cosa facevano e cosa realmente era successo a Sonic.
Era davvero un complotto contro il riccio nero, scoprì così Shell. Proprio come aveva pensato lei!
Shadow era davvero innocente! … fino ad un certo punto. Non era il criminale che tutti dicevano che fosse, non aveva commesso i massacri di cui era accusato! Ma la sua soddisfazione aveva un retrogusto spiacevolmente amaro. E non soltanto perché ora aveva davvero capito in che razza di situazione era Sonic: in pratica un ostaggio vero e proprio, solo esposto così tanto allo sguardo della gente da non parere nemmeno essere effettivamente prigioniero. O sotto minaccia di morte.
L’associazione di ricerca biologica era un pericolo interplanetario ben peggiore di quanto si fosse immaginata. La reale natura di quella gente e i loro sporchi propositi le si riversarono addosso tutti d’un colpo. Semplicemente, non era preparata ad una verità così insanguinata, che non rasentava nemmeno lontanamente le sue più oscure ipotesi.
Era ingenua, lo sapeva, lo era sempre stata, eppure una tale crudeltà indemoniata era difficile anche solo da concepire, figurarsi a ritrovarsela difronte, con tutti gli inquietanti effetti pubblicamente visibili!
Un senso di nausea e disgusto afferrarono alla gola la giornalista, facendola stare quasi male. Ricerche genetiche ed esperimenti su esseri senzienti?! Quale razza di mostri aveva ideato quegli atti disumani e dismobiani?!
Si dovette premere una mano sulla bocca, chiudendo gli occhi, per riuscire a gestire l’ondata di tremenda indignazione che le attraversò mente e corpo con viscida forza bruta.
La repulsione iniziale per quelle notizie abominevoli cominciò a mutare forma, mescolandosi lentamente al biasimo e al disprezzo senza fondo per entrambe le razze che avevano attuato ciò e per la gente che non riusciva a cogliere la reale innocenza del riccio nero, ostinatamente sotto accusa. Al suo orrore per quell’insostenibile e grondante verità si unì anche il rispetto genuino per autocontrollo ferreo di Shadow, e una rabbia sempre più prorompente e ringhiante. La giustizia stava urlando vendetta a gran voce.
La spietata realtà la colpì un’altra volta, quando capì che quella vendetta non si sarebbe attuata, vista la bizzarra situazione attuale. L’indignazione divenne frustrazione, causata dalla consapevolezza che non ci sarebbe stata giustizia quella volta, non a prezzo accettabile almeno. Sonic … ciò che era successo … Disarcionare quei demoni da loro trono dorato pareva quasi impossibile, visti gli ultimi avvenimenti. L’avevano pensata proprio bene, quei luridi diavoli.
Le venne da piangere, ma si trattenne riducendo i danni ad un misero singulto strozzato.
Sopraffatta da quelle notizie brucianti non s’era subito accorta di un dettaglio che i tre s’erano impegnati a mascherare. Una sola cosa non le avevano detto chiaramente: perché era proprio Shadow il loro bersaglio? Perché non qualcun altro?
Alla domanda diretta, ottenne una risposta vaga dopo un lungo silenzio. Era un’informazione base, necessaria, e lo sapevano pure loro. Quella storia avrebbe avuto una lampate lacuna, altrimenti. Lacuna che i Chaotix non parevano voler riempire per lei.
La risposta giunse con notevole ritardo, accompagnata da una buona dose di riluttanza. –Perché Shadow ha avuto a che fare con quel tipo di affari, molto tempo fa.- era stato Espio a pronunciare cautamente quella frase, mentre gli altri due erano rimasti muti, incerti su cosa dire o non dire, proprio come se non volessero compromettere il loro compagno che, evidentemente, aveva avuto a che fare con quel tipo di squallida gentaglia in passato.
Shell rimase a metà tra il sorpreso e l’indignato. Aveva visto e rivisto mentalmente ogni possibile scenario di quella storia, ma i fatti la sorpresero di nuovo. Shadow, ora loro bersaglio, era un tempo un loro alleato?! Com’era possibile?!
Una gemma d’antipatia nei confronti del riccio germogliò, attenuata soltanto dalla consapevolezza che il riccio si fosse effettivamente allontanato da quelle attività riguardanti esperimenti e torture su esseri viventi. O almeno ci aveva provato. Ma le era comunque difficile comprendere e giustificare il motivo che aveva spinto Shadow ad avvicinarsi a loro.
Nonostante tutto, pareva che il riccio non avesse la schedina penale pulita.
-E dei suoi poteri che mi dite?- domandò Shell poco dopo, accennando con la testa allo schermo con il filmato ormai concluso.
I tre sghignazzarono all’unisono. –In ordine alfabetico o cronologico?- ridacchiò Vector.
-Per riassumere, si potrebbe dire che Shadow ha l’abilità di manipolare a piacere lo spazio e il tempo.- disse Espio, con il suo solito senso pragmatico.
-Ma sa anche sparare fulmini ed è anche superveloce, almeno quanto Sonic.- trillò Charmy. –Ma fisicamente è mooooolto più forte di lui. Forse è anche un po’ più sveglio.-
L’allegria dell’ape sfumò nel silenzio che cadde in seguito alle sue parole: aveva riportato alla mente di tutti la situazione odiosa in cui era confinato Sonic. Una pesante tristezza annebbiò l’atmosfera generale, mentre le parole scherzose e affettuose di Charmy perdevano definitivamente tutto il loro calore.
Shell aveva la gola serrata quando pose la sua spinosa penultima domanda. –Perché siete rimasti tutti in silenzio? Perché nessun ha denunciato ciò che è davvero successo a Sonic? Né voi, né il Team del riccio. Perché? Avete il diritto di parlare, di chiedere giustizia.-
Tre paia di occhi andarono a fissare il pavimento. –Informazioni pericolose, queste che chiedi. Abbiamo già corso un grosso rischio a parlarti di tutto questo, ti abbiamo messo al corrente di nozioni che potrebbero costarti le penne. Ti basti sapere che parlare ora, con Sonic letteralmente nelle loro mani, equivarrebbe a condannarlo a morte. Loro hanno il coltello dalla parte del manico. Più di questo non possiamo rivelare.- La voce di Espio era suonata tetra, spettrale quasi. –Queste informazioni sono riservate. Non potrai rivelarle ad anima viva, oppure Sonic muore. Hai capito?-
Shell serrò gli occhi. –Scusa l’indiscrezione della domanda. Non era mia intenzione mettervi in difficoltà. Avrete il mio silenzio.-
E intanto aveva appreso una cosa: quell’associazione li stava minacciano tutti, spaventandoli a tal punto da renderli impotenti e zitti a dispetto della tragedia in cui si trovavamo immersi. Shadow compreso.
Come avrebbe potuto essere altrimenti, con la vita di Sonic dipendente dalle loro cure?
Vector le sorrise, conciliante. –Comunque, penso che si siano almeno due pianeti che si stanno ponendo la stessa domanda, Shell: perché non abbiamo parlato? Ma dovranno rimanere senza risposta proprio come te, almeno fino a quando Sonic non sarà fuori pericolo.-
-Possibile che nessuno oltre a me si sia interessato a ciò che avete da dire?- ragionò ad alta voce Shell. –Nessun giornalista ha provato a farvi domande?-
Espio fece spallucce. –Secondo me ci hanno provato, a intervistarci. Ma … non ti saranno di certo sfuggite le inquietanti notizie di sparizioni di reporter, vero?-
Shell si diede della stupida per non aver fatto da sola il collegamento. Già … incredibili notizie di malattie improvvise, rapimenti improbabili e quant’altro. Molti cacciatori di notizie avevano levato le tende in modo anomalo. Inutile chiedersi chi ci fosse dietro tutto ciò, e inutile ricordare chi era stato incolpato di sterminio giornalistico. La solita risposta nera a strisce rosse.
Stavano compiendo un massacro vero e proprio sotto gli occhi di tutti, e nessuno se n’era accorto! Di nuovo. Cominciava quasi ad essere un’abitudine.
Peggio, ora stavano per ottenere il permesso ufficiale per continuare a fare ciò che stavano facendo. Forse, pensò, è così che nascono le distopie.
Restava un ultima certezza da conquistare.
-Dunque Shadow combatterà per aiutare Sonic, vero?- domandò Shell, già conoscendo la risposta.
Espio annuì, ma l’ape gli rubò la parola.
-Ovvio che lo farà!- esclamò Charmy. –Solo … prima deve guarire anche lui, insieme agli altri.-
I quattro rimasero in silenzio per un po’, a fissarsi in faccia.
-Avevamo un piano, noi, l’ultima volta.- disse con cautela Vector. –Dire ad alta voce tutto quello che è realmente successo e vendicare quei poveracci finiti nelle grinfie di quei pazzi psicopatici. Abbiamo ancora intenzione di attuarlo?-
-Ma certo!- Saltò su Charmy.
-Bene.- sorrise Vector con tutti i suoi settanta e passa denti scintillanti. –Vediamo di spremerci le meningi e di tirar fuori un piano d’azione decente, altrimenti Shadow ci fa la pelle e ci spedisce a tener compagnia a Sonic.-
-Potrei raccogliere le vostre testimonianze?- domandò Shell, che già si stava immaginando un eventuale articolo da prima pagina con intervista.
-Le nostre “cosa”?- domandò allarmato Charmy, sgranando gli occhi.
-Quello che abbiamo da dire, citrullo!- ringhiò Vector.
-Avrai l’esclusiva.- promise Espio, serio come non mai.
 
 
-Ciao Nut.-
-Ciao Shell.-
Lui allungò la mano allungandole la tessera lasciapassare. Lei la prese e se l’appese al collo.
-Buona fortuna.- disse lui.
-Grazie.- sorrise lei, un po’ nervosa.
Gli fece un saluto con la mano prima di voltarsi e salire sull’autobus che l’avrebbe portata a quell’ospedale.
Prese posto vicino al finestrino e quando il bus ripartì rombando, in lei montò l’ansia.
Lo stava davvero per fare?
Non riusciva ancora a realizzarlo appieno. Deglutì a vuoto, stringendo le mani a pugno.
Una leggera pioggia cominciò ad imperlare i vetri di gocce. Osservò distrattamente le strisce d’acqua inseguirsi lungo i finestrini, allungandosi in improbabili strisce liquide sostenute dall’attrito dell’aria.
Appena oltre esse, si aprì una piazza con una fontana al centro coronata da un circolo di ghiaia e qualche panchina.
Là, l’ennesimo gruppo di manifestanti si stava esibendo in una fiumana di cartelloni e grida di protesta. Mazzi di fiori erano adagiati a terra, tutti nello stesso punto, sotto ad un insegna rappresentante il mitico riccio blu. Su uno dei cartelloni, la gabbianella lesse un messaggio d’incoraggiamento alla associazione di biotecnica. Sullo striscione adiacente lesse invece una promessa di vendetta rivolta all’unico che avrebbe davvero meritato sostegno autentico.
Lo stomaco di Shell si strinse, si fissò le ginocchia per distogliere lo sguardo da quella vista, anche se già sapeva che non avrebbe dimenticato quei due cartelloni. Ossimoro troppo veritiero che rappresentava troppo bene quel mondo in cui tutti vivevano inconsciamente. Le mani le tremavano. Di rabbia. O di agitazione.
Lo stava davvero per fare?
Le sembrava una pazzia ora. Una pazzia davvero mostruosa.
Un'altra fermata. Un'altra partenza.
Il bus procedeva.
Una nuova piazza alberata, un altro gruppo di manifestanti in lutto. Una piccola flotta d’aerei Mecha da combattimento tagliò il cielo con un tuono di motori in formazione a V. La gente esplose in un applauso indirizzato a quel cielo di guerra.
Shell chiuse gli occhi. La situazione precipitava ogni giorno di più. E l’agognato “finale felice” era sempre più difficile da immaginare.
Un'altra fermata.
L’agitazione interna divenne panico mordente. Il prossimo stop era la sua meta.
Denti stretti, mani serrate, stomaco aggrovigliato e il tempo passò più rapidamente. L’ultimo tratto parve durare secondi anziché minuti.
Balzò giù dal bus con rapidità olimpionica. Ironicamente, la paura di rimanere erroneamente sul mezzo di trasporto mancando la fermata tanto basilare per lei era peggiore di quella riguardante ciò che avrebbe trovato tra quelle mura.
Sperando solo di non mettere nei guai Nut, che le aveva prestato la sua tessera personale, si avviò a passo marziale fino alla porta del Central Hospital, gestito dalla banda di criminali che si spacciava per salvatori.
Un guizzo d’irritazione la colse mentre annullava la distanza tra lei e l’edificio che l’aveva ospitata neanche troppo tempo prima quando, in seguito ad una serata al cinema s’era quasi ritrovata faccia  a faccia con Shadow the Hedgehog. Anzi, senza il “quasi”. Più faccia a faccia di quello era difficile.
Ricordò con altrettanta antipatia la spaventosa donna che si era introdotta nella sua camera, durante il suo breve periodo di cura, e lo spavento che quella figura le aveva fatto prendere.
Non aveva inizialmente collegato il nome dell’ospedale alla questione di Sonic. Ma ora tutto le sembrata fin troppo evidente. La consapevolezza di essere passata, seppur inconsapevolmente, sotto le grinfie di quella gente le bruciava l’orgoglio d’indignazione.
Le porte di vetro si aprirono con lentezza e lei fu dentro. Una reception spartana senza particolare gusto estetico le diede il benvenuto.
Un medico in camice che pareva più che altro un boxer professionista la squadrò da lontano. Una guardia sotto copertura, forse?
La signorina che sedeva dietro il bancone che occupava tutta la parete settentrionale le si avvicinò con un sorrisetto smielato. –Le posso essere utile?-
-Mi dica in che camera posso trovare Sonic The Hedgehog.- disse, senza particolare finezza. Sapeva fin troppo bene che anche quella semplice infermiera lavorava per loro.
Per ora, avrebbe tenuta nascosta la tessera giornalistica di Nut. Era il suo asso nella manica, in caso in cui tutto precipitasse avrebbe potuto recitare la parte dell’intrepida ma avventata cacciatrice di notizie che aveva osato troppo. Sperando di non finire male come tutti gli altri.
Il sorriso dell’infermiera cigolò. –Sono spiacente di informarla che l’orario delle visite è ormai finito e…-
Shell sapeva bene che l’orario delle visite era esattamente quello, e sapeva altrettanto bene quanto la sua presenza fosse d’intralcio. Snocciolò la storiella che s’era preparata, ostentando una sicurezza di sé che non avrebbe potuto essere più lontana dal suo reale stato d’animo.
-Lo so.- stirò un sorriso. –Ma io non sto cercando Sonic, bensì Amy, la sua fidanzata. Mi hanno detto che l’avrei trovata qui. Sa, eravamo grandi amiche al liceo e volevo offrirle la mia vicinanza in questo duro momento. Povera ragazza!-
Vide il dubbio serpeggiare negli occhi dell’infermiera. Shell colse a due mani l’occasione. –Solo un secondo, le do un abbraccio, la tiro su di morale e poi me ne vado. Non ha cuore per negare ad un anima in pena il conforto di un’amica.-
L’infermiera balbettò. –Non credo che sia opportuno.-
-Se l’orario delle visite è concluso, Amy Rose sarà di sicuro appena fuori dalla porta, seduta in attesa su una sedia o una panca, no? E non credo ci sia un orario di visita anche per questo, mi sembra. Mi dica solo a che piano si trova la stanza di Sonic, che di sicuro non verrà disturbato dalla mia presenza, così come non lo sarà da quella di Amy.-
Dopo quell’ultimo affondo, la donna cedette. –Terzo piano, corridoio D.-
-La ringrazio.- pura formalità.
Shell girò sui tacchi ed imboccò le scale. Con gli ascensori non aveva mai avuto un buon rapporto, se poteva sceglieva sempre le scale.
Raggiunse il terzo piano in un attimo.
La prima cosa che notò fu il numero di telecamere e personale addetto alle pulizie che mostrava un fisico decisamente troppo atletico.
I due soldati in uniforme accanto alla porta 110 non lasciava dubbio su quale stanza fosse destinata al famoso Eroe di Mobius.
Lei non si diresse di certo là. Puntò dritta alla caffetteria.
Il suo occhio venne attratto come una calamita dai colori distintivi dei mobiani, che ben si distinguevano dalla pelle pallida degli umani. Rosa e giallo. Volpe e riccia.
Il panico le afferrò di nuovo la gola, con insistenza.  
Si avvicinò lentamente, con il cuore galoppante tra le costole.
 
 
Era una scena sbagliata, semplicemente sbagliata.
Shadow a terra, seduto contro il muro del salotto di Tails, in un lago di sangue, con le gambe quasi staccate dal resto del corpo. Due lame di vetro gli tagliavano per intero la circonferenza di entrambe le cosce, anzi, parevano quasi fuse in esse. Il riccio ansimava, aveva il respiro spezzato, ma contro ogni logica era ancora perfettamente lucido e cosciente.
Accanto a lui stava una pila di garze, disinfettanti e vaschette piene d’acqua per ripulire le ferite. Non appena Vanilla, pallida come quei cenci, ebbe condotto l’ospite argenteo nel salotto, si accucciò nuovamente accanto al riccio, come a riprendere l’opera di cura lasciata a metà dall’arrivo di Silver e Knuckles. Incurante della sua veste che si inzuppava con il sangue versato a terra, Vanilla afferrò una garzetta e provò di nuovo a tamponare una delle ferite del riccio.
Shadow ringhiò, con un movimento del braccio respinse malamente la mano della coniglia. –Stai lontana!- sputò. –Non mi toccare!-
La calma apparente di Vanilla s’incrinò, lasciando sgorgare la massiccia preoccupazione che tanto s’era impegnata a tener sepolta. –Ma stai morendo dissanguato! Se non curiamo quelle ferite tu…-
-Lasciami stare! Via!-
Giusto per rimarcare il concetto Shadow puntò un braccio a terra e fece per trascinarsi un po’ più in là, ma le gambe non seguirono il movimento. Una punta di vetro raschiò contro il pavimento, strappandogli un grido di dolore.
Vanilla si portò le mani alla bocca, inorridita. –Non ti muovere, nel nome di Chaos! Sta’ fermo, ti supplico.-
-Non ti avvicinare.- ringhiò ancora il riccio, ma la sua voce non aveva più forza. Era stremato. Come minaccia, non avrebbe fatto effetto nemmeno su un bambino.
Silver era rimasto in piedi per tutto il tempo, pietrificato sulla soglia a guardare come instupidito quella scena.
Se da un lato aveva un terrore folle di quello che stava vedendo, dall’altro lato era vigliaccamente rallegrato dal fatto che Shadow in quelle condizioni non si sarebbe mai potuto vendicare su di lui per ciò che era successo a Rouge, che Silver aveva portato al piano di sopra, lasciandola alle cure di Amy e Knuckles.
Ora si trovava a dover assistere alla scena di una madre che provava a convincere il più grande testardo che si fosse mai visto a lasciarsi curare.
Certo, Silver dovette ammettere almeno a sé stesso che con due tagli così pure lui non avrebbe permesso a nessuno di metterci le mani a cuor leggero.
Era la quantità di sangue che lo preoccupava, invece. Shadow avrebbe dovuto essere morto già da un po’ per dissanguamento a giudicare dall’estensione della chiazza rossa allargatasi attorno al riccio. Eppure quella luce furoreggiante che la Forma di Vita Definitiva aveva negli occhi, seppur adombrata dal profondo dolore, era tutto tranne che lo sguardo di chi sta per morire.
-Ti prego! Lascia almeno che lavi via il sangue.- supplicò ancora Vanilla.
Il riccio nero striato ringhiò, tirandosi ancora più indietro, ostile e diffidente.
Era una strana visione. Shadow, che lui aveva sempre reputato invincibile, ferito in quel modo, costretto a terra e con un tale atteggiamento difensivo da belva ferita.
Silver mosse un passo avanti e interruppe la scena. Il riccio nero lo notò.
Shadow ruotò faticosamente la testa verso di lui. –L’avete presa, la boccetta?- chiese con un grugnito, quasi a mo’ di saluto.
-Sì.-
Il riccio nero sospirò di sollievo, reclinando il capo indietro contro il muro rilassandosi un poco. –Bene.-
Vanilla approfittò della distrazione e allungò la mano ripulendogli con la garza parte di una gamba, ben più in alto rispetto a dove erano i tagli. Forse per evitare di fare male al riccio, o di spaventarlo.
La reazione fu ugualmente rabbiosa.  
Shadow si rivoltò come un serpente. Le afferrò il polso e glielo torse. Vanilla gridò più di paura che di dolore. –Non. Mi. Toccare!- ruggì il riccio nero, scandendo le parole. Le liberò subito la mano con un ultimo strattone, ma lo spavento terribile era già stato recapitato al povero cuore della madre in pena.
La delicata coniglietta, tremante e visibilmente terrorizzata, si ritrasse subito portandosi la mano al petto, ora macchiata dalle impronte insanguinate di Shadow, come a volerla proteggere.
Silver sbuffò. –Piantala di trattarla così. Ti vuole solo aiutare.- Non ce la faceva più a stare zitto.
Con lo stesso sguardo feroce che aveva riservato alla dolce madre-coniglio, Shadow si rivolse a Silver.
Non gli rispose subito, forse per recuperare energia, ma gli mostrò ugualmente i denti in segno di sfida. – Non ho bisogno di aiuto.- ringhiò con sdegno.
Se già normalmente Shadow aveva un pessimo carattere, quando era ferito e ridotto a quel modo era infinitamente peggio del solito. Felicemente, veder Shadow in quello stato era cosa più unica che rara.
-Vanilla!- la voce di Amy proruppe da sopra. –Presto, vieni!-
La coniglietta non riuscì a rialzarsi se non al secondo tentativo, aveva le ginocchia che le tremavano come gelatine. Tenendo lo sguardo allucinato sempre fisso sul riccio si ritirò, camminando all’indietro con una cautela che fece arrabbiare Silver.
Shadow aveva esagerato, ferite o no.  
Il fatto che pure la madre di Cream era riuscita ad oltrepassare la linea della guardia di Shadow così facilmente fino a toccarlo, era un segno lampante di quanto il riccio fosse stremato davvero. Ma non era comunque una scusa valida per trattare così Vanilla.
-Ti dovrai far curare da qualcuno, prima o poi. Meglio prima che poi, se vuoi la mia opinione. E non potresti desiderare infermiera migliore di quella brava donna. Non si meritava quel trattamento.-
-Tsk.- Shadow mugugnò. Ma aveva il respiro più accelerato rispetto a prima. Indizio che lo sforzo di respingere Vanilla era stato troppo per lui.
-Te ne ricorderai quando dovremo trovare un modo per toglierti quei vetri da lì.- aggiunse Silver, guadagnandosi un’altra occhiataccia incandescente da parte del riccio.
Ma il dolore che Silver vide in essi fece quasi sfumare via la sua rabbia, lasciando posto alla compassione.
Non riusciva nemmeno ad immaginare con che razza di sofferenza stesse facendo i conti Shadow. Tenendo presente che il peggio doveva ancor arrivare, cioè proprio l’operazione che lui gli aveva stupidamente.
E Silver doveva ancora dargli la notizia di Rouge. Si sentiva decisamente in colpa per dover aggiungere al già gravoso carico un'altra preoccupazione. Ma quella era decisamente una priorità, una notizia che Shadow aveva il diritto di conoscere.
Silver però decise di fare il giro largo, di non andare subito dritto al punto. Fare conversazione sembrava un buon modo per iniziare. Cosa più facile a dirsi che a farsi.
Deglutì e si fece coraggio.
-Te le hanno fatte loro quelle ferite?- domandò distrattamente, giusto per chiedere qualcosa.
Shadow sbuffò, ancora risentito. Puntò lo sguardo da un'altra parte, ostinato. Rimase zitto tanto a lungo che Silver quasi smise di sperare in una risposta.
-Per una volta, loro non c’entrano.- borbottò Shadow. –Ho fatto tutto da solo.-
Silver sgranò gli occhi. –Cosa?!-
Shadow che si era tagliato le gambe senza “aiuto” esterno?!
Le pupille del riccio nero vagarono nervosamente per il salotto, senza una meta precisa, e ben caute a non incrociare il riccio bianco. –Per prendere la fiala.- aggiunse. Come se fosse una spiegazione valida!
-Tu sei completamente pazzo!- esclamò Silver. –Ci potevi seriamente lasciare le gambe!- cosa che per altro poteva benissimo ancora avverarsi.
Shadow emise un lungo sospiro, appoggiando di nuovo la testa indietro, ad occhi chiusi. –Ma non è successo.-
Cadde il silenzio. Forse, ora Silver riusciva a comprendere un po’ meglio perché Shadow fosse di un umore così formidabilmente pessimo. Ridursi così senza l’intervento nemico … oltre il gesto d’encomiabile sangue freddo doveva celarsi anche una buona dose di risentimento per lo stato in cui s’era ridotto.
–A voi com’è andata?- domandò a sorpresa il riccio nero, stancamente.
Silver si sentì morire. Ci siamo!
Non ce la fece, e tirò fuori una banalissima affermazione. -Abbiamo preso la fiala.-
Suonava come una giustificazione, una misera giustificazione poco efficace, pure a lui stesso. Di sicuro, quello non era l’argomento iniziale di una risposta che avrebbe dovuto annunciare il lieto fine di una missione. Per di più dopo che quella stessa informazione Shadow l’aveva già chiesta prima.
-Cos’è successo?- chiese lui, lievemente allarmato. Molto arduo nascondere qualcosa a Shadow, specialmente se si era maldestri come Silver.
Il riccio argenteo si morse la lingua. –Era una trappola.- cominciò. –Ci hanno separati da Sonic. Io, Knuckles e Rouge.-
Shadow, forse dimenticandosi per un secondo in che stato si trovasse, fece per scattare in piedi. Un ringhio strozzato gli scaturì di gola. Si dovette riaccucciare a terra e prendere diversi respiri profondi per gestire il dolore che lo scatto aveva sicuramente aizzato.
-Cos’è successo a Rouge!- era un ordine, stranamente. E stranamente aveva subito capito che il problema era lei. O uno dei problemi.
Con la morte nel cuore, Silver raccontò balbettando l’accaduto.
L’espressione di Shadow alla fine era indecifrabile. –Ma ora come sta?- chiese con voce impassibile.
Silver fece spallucce. –È di sopra, dunque non so con precisione. Ma mi pare che non sia in pericolo di vita immediato.-
Si era aspettato di tutto, il povero Silver. Rabbia, furore, imprecazioni, pugni, Chaos Spear, odio, ossa rotte, Chaos Blast.
Ma non si sarebbe mai potuto immaginare l’ombra di colpevolezza che attraversò gli occhi di Shadow.
Le iridi rosse andarono a osservare mestamente il sangue a terra dello stesso colore.
-Per fortuna sta bene.- disse solo.
Silver era basito. Tutta lì la violenta reazione di Shadow?
Com’è che gli sembrava che lui se lo aspettasse? Che lui già sapesse?
-Non sembri stupito.- riuscì a dire alla fine.
L’espressione del riccio nero divenne anche più tetra. –L’importante è che stia bene.-
Silver fece per domandarne il motivo quando un urlo selvaggio proruppe dal piano di sopra.
-COS’È CHE È SUCCESSO AL MIO SONIC?!-
Shadow e Silver alzarono lo sguardo all’istante, entrambi pronti a qualunque genere di attacco nemico.
Un rumore spaventoso esplose, come di legno e mattoni infranti.
-Ha….hanno sbattuto giù un muro?!- pigolò Silver, gli occhi sgranati, scudo plasmatico già pronto per venir eretto.
Un altro ruggito e quattro assi del soffitto calarono di un buon dieci centimetri rispetto alle altre. Shadow posò entrambe le mani a terra, come per tirarsi in piedi o scivolare di lato in caso di estrema necessità per spostarsi da lì.
-C’è qualcos’altro che stavi per dirmi, vero?- domandò a Silver, occhi attenti sempre fissi sul soffitto.
Senza voce, il riccio argenteo annuì debolmente. –Abbiamo perso anche Sonic.- confessò, a gola secca.
-Ah, capisco.- fece Shadow.
Amy al piano di sopra lanciò un ultimo ruggito, più tremendo degli altri due messi insieme. Si udì lo strillo terrorizzato di Knuckles e soffitto sopra la cucina cedette del tutto. Una pioggia di legno e mattoni crollò insieme ad un echidna stordito nella sala da pranzo della casa di Tails.
Shadow e Silver seguirono con lo sguardo la caduta. Poi la polvere coprì interamente la loro visuale.
Una sagoma scura saltò giù dalla voragine, subito dietro alla sua vittima. –Torna qui! Codardo d’un echidna!! Non abbiamo ancora finito!!!-
I passi affannati di Vanilla scesero di corsa le scale. –La povera casa di Tails!- ululò, con le mani al volto, inorridita.
-Fortuna che è steso come un sasso.- mugugnò a mezza voce Shadow.
 
 
Una mobiana a loro completamente sconosciuta si sedette al loro tavolo. Era una gabbiana dal piumaggio bianco, con alcuni ciuffi azzurro chiari, e il becco giallo-arancione.
Tails scoccò un occhiata trasversale ad Amy.
-Ti conosciamo, per caso?- domandò cordialmente il volpino, all’indirizzo della nuova arrivata.
Lei ruotò gli occhi color verde mare verso di lui. –No.- rispose semplicemente.
Forse era solo una sua impressione, ma Tails non riusciva a togliersi dalla testa l’impressione che quella mobiana stesse provando a celare un grande nervosismo. Che fosse per caso una persona da temere? Una loro nemica?
-Chi sei?- domandò Amy, accigliata.
-Sono una che sa la verità.-
Tails sgranò gli occhi. Certo, come presentazione era sicuramente d’effetto. Ma il mistero rimaneva ancora intatto pur avendo assunto una faccia completamente diversa rispetto ad un attimo prima.
Dal sospetto, Tails si era convertito ad un interesse assoluto.
-Quale verità?- la stuzzicò.
La gabbianella lo fissò negli occhi. –La verità di due ricci e un centro di ricerca.-
L’entusiasmo di Tails crebbe di volume. Amy cambiò posizione sulla sedia, sporgendosi in avanti sul tavolo, ovviamente rapita almeno quanto lo era il volpino.
Cercò il contatto visivo con la riccia, e nelle sue pupille smeraldine lesse consenso.
Tornò dunque a guardare la gabbianella.
-Parliamo.- disse Tails. –Ma non qui. Non è saggio.-
Si alzarono tutti insieme, con l’idea di uscire da quell’ospedale, che pareva essere più sorvegliato di Fort Nox.
Il petto di Tails gli inviò una cocente fitta di dolore nel punto in cui lo scorpione l’aveva infilzato. Nonostante fosse quasi interamene guarito, faceva male ugualmente. Stringendo i denti, fece finta di nulla seguendo le due mobiane.
Attirarono non pochi sguardi indagatori mentre percorrevano il tragitto dalla caffetteria all’uscita. Si soffermarono giusto un secondo davanti alla porta di Sonic per salutarlo, prima di avviarsi definitivamente all’uscita. Infermiere, segretarie, dottori, donne delle pulizie seguivano la loro avanzata con gli occhi, e forse anche con telecamere nascoste nei vestiti. Ognuno di loro sapeva, tutti sorvegliavano.
Un guizzo d’odio si rinvigorì in loro, in tutti e tre. Perché anche loro sapevano.
Una volta fuori, continuarono a camminare, lasciandosi alle spalle l’ospedale e il suo centro di sicurezza. Camminarono per le vie caotiche  e trafficate di Station Square, dove era più difficile cogliere o registrare una conversazione. Siccome l’associazione di ricerca biotecnica s’era impegnata a fare piazza pulita di giornalisti e reporter, non vennero disturbati da nessuno.
Quando Tails giudicò che fossero sufficientemente lontani, cominciò. –Chi sei veramente?-
-Shell The Seagull.- fu la risposta. –Facevo la giornalista.-
Ah, ecco. Almeno una era sfuggita alle loro ricerche, pensò tetramente Tails. Una con abbastanza fegato da non rimanere nascosta a tremare come stavano facendo (e a ragione) tutti gli altri.
-Cos’è? Vuoi intervistarci?- saltò su Amy, stizzita.
Shell scosse la testa, mantenendo il controllo senza scomporsi. –No. Proprio no.-
Tails, intanto, per pura scaramanzia, dette un’occhiata rapida alla tessera della gabbianella per metà nascosta dalla giacca. Un nome era riportato vicino ad una fotografia “Nut The Ferret”. Bizzarro. Quella mobiana non sembrava affatto un furetto. E non si chiamava Nut. E non assomigliava al tizio nella foto.
-Cosa vuoi, allora?- domandò il volpino, facendo finta di niente e riallacciandosi al discorso.
-Io so la verità.- ripetè Shell. –So che Shadow non ha fatto nulla e che Sonic non è suo nemico. Il mondo deve sapere questo.-
Tails ragionò in silenzio, elaborando quelle poche informazioni, così come fece Amy.
-Chi ti ha detto la verità?- domandò la riccia.
Ottima domanda, si congratulò mentalmente il volpino, che ancora stava provando a decifrare il mistero della tessera giornalistica.
-Un trio di amici vostri.- fu la risposta di Shell, se quello era davvero il suo nome. –Il Team Chaotix.-
Amy e Tails si guardarono in faccia. Nelle iridi celesti si leggeva solo sorpresa, in quelle smeraldine invece vi era solo comprensione. Forse Amy sapeva qualcosa in più che si era scordata di dire prima, pensò Tails. Con tutto ciò che era successo, tralasciare un dettaglio era più che normale. Ma l’irritazione in Tails rimase: era stato un gesto sconsiderato diffondere quelle informazioni, con la vita di Sonic così gravemente esposta.
Informazione interessante, però. I Chaotix si fidavano completamente di lei.
-E come mai proprio i Chaotix? Gli hai cercati tu o sono venuti loro da te?- domandò il volpino.
-Li ho cercati io.- confessò Shell. –Avevo una pista, che mi ha posta difronte al problema di dover indagare più a fondo, oltre le mie ristrette competenze giornalistiche. Ho cercato dei detective e ho trovato loro.-
Dunque s’era fatta avanti lei, prese nota Tails.
-“Piste”?- ripetè Amy.
-È una lunga storia.- fece Shell.
-Noi abbiamo tempo.- ribattè Tails, sorridendole. Non voleva che pensasse che fosse sotto tiro, vista la raffica di domande che lui e Amy le stavano sottoponendo. Ma la gabbianella sembrava essersi aspettata quel tipo di accoglienza.
-Potrei raccontarvi, se volete. Ma dovremo camminare molto a lungo, se volete sentire tutta la storia.-
-Tanto, stavo impazzendo a furia di rimanere immobile.- replicò Amy con una scrollata di spalle.
Shell sorrise e cominciò a raccontare tutto quello che aveva fatto e quello che aveva scoperto fino a quel punto.
Alla fine del racconto, Tails dovette ammettere d’essere alquanto impressionato.
 
 
 
Dopo lunghe discussioni, avevano deciso di dare a Tails entrambe le fiale. Se in una delle due ci fosse stata una sostanza negativa sarebbe stata combattuta dalla sostanza positiva contenuta nell’altra. Sperabilmente.
Per diretta conseguenza, non poterono piu’ stabilire in quale delle due boccette ci fosse l’antidoto. In un modo o nell’altro, erano passate solo poche ore ed il volpino riaprì gia’ gli occhi.
Amy, Knuckles, Vanilla e Silver, che si stavano ancora riprendendo dalla furiosa lotta con Shadow per riuscire a tenerlo fermo e togliergli di dosso i vetri fusi con la sua carne, erano accasciati più o meno ovunque per la sala, imbrattati di sangue fino ai gomiti, ansimanti e piu’ stremati di prima.
Silver era seduto a terra, fronte appoggiata sulle ginocchia.
Amy e Vanilla si stavano ripulendo.
Knuckles fissava con astio il corpo privo di sensi del riccio nero.
-Che vada all’inferno pure lui!- sbraitò, prima di crollare a terra come un sacco di patate.
I nuovi lividi di origine femminile conferitigli da Amy uniti a quelli più scuri derivati dai tentativi di liberarsi di Shadow donavano al manto dell’echidna tutta una nuova serie di sfumature violacee che ben si abbinavano al suo rosso naturale. C’era solo la chiazza nera del Chaos Spera evocato accidentalmente da Shadow nel mezzo dell’operazione.
-E il bello è che l’avevamo pure anestetizzato.- replicò Silver. –Avrebbe dovuto dormire come un sasso.-
-Invece hai visto com’era pimpante, il porcospino!- grugnì Knuckles.
-Calmi, voi due.- fece Amy.
-“Calmi” un accidente!- sbottò l’echidna. –Come diamine facciamo a stare calmi, eh?!-
L’espressione di Amy si dipinse di amara tristezza. –Non sei l’unico a stare male, sia per le ferite che per la preoccupazione, ma ciò non ti da il diritto di lamentarti così. Stai deprimendo tutti.-
Erano passate poco più di ventun ore dalla fine della missione. Tempo che era stato utilizzato per dare le medicine a Tails, per trasferirsi tutti quanti nella base sotterranea di Rouge e Shadow, hai danni di quest’ultimo che li aveva dovuti teletrasportare ancora una volta. Poi si erano riposati, per recuperare le energie prima dell’operazione di estrazione delle schegge di vetro.
Era successo tutto ad insaputa di Shadow. Lo avevano lasciato dormire per permettergli di ricaricare in parte le energie e poi gli erano saltati addosso in quattro per riuscire ad aiutarlo.
In un qualche modo traverso, Shadow aveva collaborato. Lo sapeva pure lui che quello era un passaggio obbligato da fare, ciò non toglie che per tenerlo fermo avevano dovuto impiegare un dispendio di forze mostruoso.
-Se l’avessimo lasciato dormire anche solo un’altra ora non saremmo mai riusciti a tenerlo giù.- sussurrò Vanilla, pensierosa.
-Ci hai davvero aiutati tantissimo, ti siamo tutti debitori.- disse Amy, sorridendole stancamente.
-È stato un piacere.- sorrise la buona madre. –Non avrei mai potuto fare altrimenti.-
Le due si abbracciarono.
-Grazie davvero.- ripetè Amy.
-Non devi…-
La riccia si accasciò a terra. Vanilla si chinò immediatamente. –Ti senti male, cara? Rispondi.-
Amy sorrise piano. –Solo, una scazzottata con Shadow dopo una giornata come questa non ci voleva proprio.- aveva già gli occhi chiusi. –Il mio Sonic …-
Crollò addormentata, con una lacrima in bilico sulla guancia sinistra.
Silver avrebbe tanto voluto fare lo stesso, dormire beatamente dimenticandosi per qualche ora di tutta quella schifosa situazione.
Sonic, il loro Sonic, nelle mani nemiche. Ostaggio, prigioniero.
Si voltò a guardare il resto della banda.
Tails, addormentato secco, ma in lenta via di guarigione.
Omega, smontato per metà, in modalità sospesa, che attendeva la mano esperta di un buon meccanico.
Rouge, mezza morta per una qualche strana reazione che solo Shadow sembrava capire (era necessario indagare al riguardo, non appena lui si fosse risvegliato).
Shadow stesso che, seppur allo stremo delle sue energie, era riuscito a stroncare tutti loro messi assieme.
Durarono forse ancora cinque minuti complessivamente, prima di crollare tutti addormentati.
Pensare ancora a cosa i ricercatori pazzi volessero fare a Sonic era inutile, non c’erano più le forze per pensare, e una soluzione veritiera senza Tails non l’avrebbero mai trovata.
Volenti o nolenti, la risposta venne da loro automaticamente il giorno dopo, stampata in prima pagina di tutti i giornali.
Quando spedirono Vanilla in avanscoperta in città per cercare indizi, quando la videro tornare con il giornale in mano e una volta letto l’articolo capirono perfettamente a cosa avessero mirato quel maledetti quando avevano catturato Sonic. Capirono, ma faticarono a realizzare appieno tutta la mole di mostruose conseguenze che ne sarebbe derivata.
Il titolo era: Scontro fatale – Shadow distrugge Sonic, l’Eroe a rischio di morte.
Il sottotitolo era: Caritatevole associazione di ricerca medica innovativa si prende cura del riccio blu, salvandogli  la vita grazie le avanzate scoperte in ambito chirurgico e biologico. Rispetto e riconoscenza da parte della Terra e di Mobius.
Sulla seconda pagina erano invece riportate le interviste di personaggi spiacevolmente noti a tutti loro sotto il titolo di: La tecnologia che separa il nostro Eroe dalla morte, le menti dietro il miracolo.
Uno stralcio intermedio diceva “I nostri cuori con i medici. Le nostre speranze con il riccio.”
L’articolo seguente invece cominciava con questa frase: Il presidente dichiara “Vendetta sarà fatta!”
Il sottotitolo era: Promessa di armi e di fondi per stanare il responsabile. Caccia aperta.
Gli occhi dei mobiani si sgranarono, saturi d’orrore.
-Si sono trovati un intero esercito che farà il loro sporco gioco!- sbraitò Silver. –Non dovranno più nemmeno utilizzare i loro robot per catturare Shadow: ci penserà Mobius e la Terra a farlo per loro!-
Knuckles imprecò vivamente, scoccando un’occhiata traversa al riccio nero, ancora svenuto.
-Che Chaos ci aiuti!- mormorò Amy, con le lacrime agli occhi.



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Questo è un capitolo speciale, e non solo per il fatto che abbia una struttura un po' insolita (tutti questi flash back non si sono mai visti prima, in una mia fic ... come vi sono sembrati, tra l'altro?), o perchè la situazione dei nostri amici mobiani è definitivamente sporfondata non-diciamo-dove. 
Diciamo che questo momento, questa situazione in particolare - in cui Mobius e la Terra si stanno rivoltando contro la persona sbagliata con l'appoggio completo e incondizionato della gente, che crede fermamente che i veri nemici siano invece i salvatori - è il nucleo di tutta questo I will fight like I always have.
In questo capitolo c'è l'idea originale che mi è venuta, la primissima idea, dalla quale ho sviluppato tutto il resto della fic. Perchè, giustamente, se un'ispirazione mi doveva venire, doveva essere un'idea situata praticamente alla fine della trama, cosa che mi ha costretta ad inventarmi 16 capitoli  più un prologo per riuscire a dare un supporto solido alla scena che ho descritto nel capitolo. 
Insomma, da questo momento in avanti (finale escluso) vedrete proprio i frutti autentici dell'ispirazione originaria di Phantom *^* 
Non so se questo c'entri qualcosa, ma volevo dirvelo ugualmente.
E questo era il primo motivo.
La seconda ragione per cui questo capitolo è importante sta nel fatto che mi hanno proposto una seconda illustrazione per questa fic.
In tutta onestà, sto scoppiando di felicità! Un'altro disegno magnifico! 
http://victoriasame2.deviantart.com/art/On-the-ARK-495921210
http://instagram.com/p/vtOsJLGGP4/

Io personalmente ho potuto vedere soltanto il primo link per problemi tecnici, ma non è un disegno stratosferico?? Un'opera d'arte!!!
L'autrice Sofy_Tofy, qualche ora dopo la pubblicazione del capitolo precedente, mi ha contattata dicendomi che aveva avuto la stessa identica idea di stardust98. Così, nel giro di pochissimo tempo, le mie illustratrici ufficiali sono diventate due!! 
Non finirò mai di ringraziarvi, ragazze! Siete entrambe bravissime! Sul serio, sono commossa T^T ma tanto!
E qui giunge il terzo punto che rende memorabile questo capitolo.
Un punto che riguarda unicamente Sofy_Tofy. Solitamente, ai compleanni si dovrebbero ricevere i regali, non darli. Ma oggi, a quanto pare, è stata la festeggiata a farci il regalo: questa stupenda fan art! Eh, già, oggi è proprio il compleanno di Sofy_Tofy: 2 dicembre! Dunque, non posso far altro che augurarti in diretta TANTI AUGURI DI BUON COMPLEANNO!
Grazie infinite di cuore per il disegno meraviglioso! Non credo lo dimenticherò mai!

E con questo ho finito con le news 
Alla prossima, ciurma!

Bye bye, 
vostra Phantom








 

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Capitolo 19
*** 18. Svolta ***




Capitolo 18  
-Svolta-


 
 
Tails era uscito già da quasi due ore per andare con Amy all’ospedale e tenere d’occhio i ricercatori e i loro complici. Anche se la probabilità che quelli facessero direttamente del male a Sonic (che era il loro ostaggio nonché rampa di lancio per l’approvazione e sostegno pubblici) era alquanto scarsa, il sentimento di preoccupazione per le sorti del riccio aveva avuto il sopravvento sul gruppetto di mobiani.
Non uno, ma ben due circoli di guardia erano stati allestiti. Uno interno ed uno esterno all’ospedale, a debita distanza, fuori dal raggio di azione delle varie telecamere di sicurezza installate tutto attorno al centro medico in questione.
Ed era quasi giunto il momento di dare il cambio a Silver per la guardia esterna. Shadow sospirò, alzandosi dalla sedia davanti al computer di Tails. Lui e il volpino (gli unici capaci di usare decentemente un computer, oltre a Rouge, che per ovvi motivi non poteva contribuire) avevano cominciato ad elaborare le informazioni che avevano sottratto nelle precedenti incursioni nei laboratori nemici.
Tempo di guarire per la volpe e per il riccio, e subito avevano cominciato a cercare le informazioni che li avrebbero condotto alla base Alpha. Il che avrebbe anche potuto essere un modo per togliere Sonic da quell’ospedale: screditare i nemici. Ma Shadow era parecchio scettico al riguardo. E non era l’unico.
Di sicuro, però, rimanere occupati e continuare ad elaborare il lato “teorico” della situazione era un ottimo modo per non sprecare tempo girandosi i pollici. Peccato solo che le informazioni in questione erano tutte criptate. A volte ci volevano ore per decifrare poche frasi.
Nel preciso istante in cui Shadow si alzò con cautela sulle gambe ancora malconce, la porta alle sue spalle di aprì e Knuckles fece il suo ingresso.
Soltanto dal modo rigido con cui camminava, Shadow capì che le sue intenzioni non erano interamente pacifiche. L’espressione che aveva in faccia era la conferma.
Non era un buon momento per venir a cercare liti, come Knuckles sembrava sempre voler fare negli ultimi tempi. Shadow era già di pessimo umore per conto suo. Le ferite alle gambe bruciavano, era stanco per il lavoro al computer, doveva andare a passare un turno di tre ore su di un tetto a fissare una finestra d’ospedale, la situazione generale era uno schifo su tutti i fronti e continuava sempre a pensare a Rouge. E, come per intuizione, sapeva che era per lei che Knuckles era venuto.
L’echidna gli si piazzò davanti, braccia conserte, e bocca ostinatamente chiusa. Shadow attese che gli venisse esposto il motivo della visita, ma Knuckles taceva. Sbuffando per l’assurdo tempramento dell’echidna, Shadow ringhiò. –Che vuoi?-
Gli occhi d’ametista di Knuckles scintillarono, ostili. –Sapere cos’è realmente accaduto a Rouge.-
Shadow alzò il mento. –Dovresti dirmelo tu, giacchè eri presente quando lei è stata male. Io di dettagli ne so relativamente pochi.-
Il che era parzialmente vero. Tutto quello che sapeva era che Rouge era collassata senza motivo apparente. Lui, però, a differenza del resto della banda, sapeva anche il perché.
Tails, Amy, Vanilla e tutti gli altri s’erano posti molte domande riguardo l’accaduto. Sia per quale malore avesse colpito la pipistrella, sia come avesse fatto a guarire così in fretta dal precedente attacco. Ma la cattura di Sonic aveva spostato l’attenzione generale verso un soggetto dotato di aculei. Non che Rouge fosse stata trascurata, ma lei almeno era al sicuro e non in mano nemica.
Gli avevano fatto molte domande, a Shadow. E lui aveva sfoggiato tutta la sua abilità per eluderle e dare il minor numero di informazioni possibili.
Non riusciva a spiegarsi il motivo ma … si sentiva parecchio riluttante a dire che era stato il suo sangue a salvare e condannare Rouge. Anzi, era proprio l’idea che quel sangue avesse davvero potuto salvare una vita gli dava il voltastomaco.
E dunque i ricercatori non avevano esattamente torto marcio: in lui c’era davvero una potenziale cura, sepolta dentro a quel DNA bastardo che si ritrovava in corpo.
Era disgustoso.
Eppure, guardando Knuckles in quel momento, capì che era giunto il momento della resa dei conti, almeno per la questione di Rouge.
Non era una caratteristica di Shadow, quella di evitare e rimandare i problemi. Lui era il tipo che affrontava le avversità di petto. Forse, era anche per quello, per non aver affrontato il problema e non averne compreso il motivo, che ora si sentiva così … insicuro. Ovviamente, non lo diede assolutamente a vedere.
Il silenzio perpetuato del riccio, però, aveva fatto innervosire Knuckles che aveva abbandonato la sua strategia di “mettere in soggezione Shadow e lasciarlo parlare”. In quanto a testardaggine, difatti era il riccio a vincere solitamente. Oppure l’echidna a peccare di pazienza per condurre fino in fondo un comportamento così passivo.
-Insomma, non venire a dirmi che Rouge s’è presa un proiettile in pancia e così, per miracolo, è guarita, quando invece avrebbe dovuto morire. Hai detto sì che sull’ARK hai trovato … qualcosa, una cura forse, per farla guarire. Ma questa spiegazione a me non basta! E ho come il sospetto che questo c’entri parecchio con ciò che è avvenuto nel laboratorio sott’acqua. Gli altri avranno anche deciso di rispettare la tua privacy ma io voglio sapere adesso!-
Shadow continuò a fissarlo, cercando di scegliere come impostare un’eventuale risposta. E quando Knuckles fece un mezzo passo indietro, il riccio realizzò che forse il suo sguardo era un po’ più minaccioso di quanto avesse pianificato in quel momento. Avrebbe potuto zittirlo con ogni sorta di frecciatine, chiedergli perché gli interessasse così tanto Rouge o qualcosa del genere. Per quanto gli desse fastidio, era una cosa palese che Knuckles provava un forte senso protettivo verso la pipistrella. Avrebbe potuto metterlo a tacere in quel modo, facendo leva su quel punto debole. Ma non lo fece.
-Dunque?- chiese semplicemente.
Gli occhi di Knuckles avevano continuato a saettare tra il pavimento, il computer e Shadow. Non che il riccio se ne stupisse, quasi nessuno riusciva a guardarlo dritto negli occhi per più di qualche secondo. Forse fu per quello che non si aspettò la reazione dell’echidna.
Knuckles balzò in avanti, con le iridi viola fisse in quelle rosse di Shadow. Allungò una mano, spinse indetro il riccio e gli prese il collo con l’altra. –Dimmi cosa diavolo hai fatto a Rouge!-
Se aveva visto arrivare una reazione del genere? No. Non aveva minimamente capito che Knuckles fosse così arrabbiato. Senza nemmeno il tempo di realizzare, però, si era ritrovato tra le dita due Chaos Spear carichi e pronti.
Mentalmente imprecò: sì, avrebbe dovuto metterlo a tacere subito.
In ogni caso, Knuckles andava … ridimensionato. Shadow assottigliò lo sguardo in un modo che sapeva avrebbe messo in soggezione chiunque. Dovette solo muovere una mano di pochi centimetri che Knucles capì l’antifona e si mosse indietro, lasciando la presa all’istante seppur con riluttanza. Era bastato l’accenno alla possibilità di uno scontro, che Knuckles aveva rapidamente calcolato i pro e i contro, concludendo che una rissa non avrebbe portato a nulla di buono. Nessuna risposta, e nuove ferite fresche di giornata. Tenne comunque i pugni serrati e protratti in avanti. E anche di quello Shadow non si stupì, sapeva di essere un avversario difficile o un interlocutore altamente imprevedibile e anche quelli che lo reputavano un amico tendevano ad essere guardinghi quando c’era in giro lui.
-Cosa ho fatto a Rouge?- ripetè il riccio, assicurandosi di tenere un timbro di voce minaccioso. –Ho fatto l’unica cosa che m’era venuta in mente per salvarle la vita.-
-Questa è una scusa, Shadow. Non una risposta.- lo affrontò ancora Knuckles.
Shadow serrò i denti, cercando di trattenersi dal lasciar partire il Chaos Spear. Ingoiò l’impulsività e lasciò sfumare via la carica elettrica. Era già odioso quando gli altri gli facevano notare un qualunque suo errore. Ma se quel qualcuno era Knuckles … la sensazione diventava ancora più difficile da gestire. Voleva la verità? L’avrebbe avuta.
-L’ho portata sull’ARK e le ho iniettato nelle vene un po’ del mio sangue.-
Lo sbalordimento che conquistò la faccia di Knuckles non fece piacere a Shadow.
-C…cosa?- balbettò lui.
-Hai sentito bene.- ringhiò il riccio.
Mentre, Knuckles muoveva la mandibola a vuoto, cercando di coordinare delle parole che non gli venivano, Shadow valutava se dirgli di più o andarsene così. L’orgoglio e la ragione gli dicevano di rimanere e dire di più, spiegare le sue motivazioni per un gesto così.
Eppure, di girò e se ne andò.
Prima di arrivare alla porta se n’era già pentito, ma, ormai girarsi e tornare indietro non era un’opzione.
Tirò dritto, pensando ora soltanto al turno di guardia. Doveva raggiungere Silver.
-Chaos Control.- lo disse senza nessun entusiasmo.
Il potere di Chaos si attivò e il mondo gli scivolò via di dosso in un istante per poi ricomporsi a formare un paesaggio del tutto diverso.
La luce calda del sole morente sulla faccia. Un cielo bruciante, rosso e arancione. Nuvole di magma incandescente, torce di fiamme. L’aria sempre più fredda. Rumori lontani della città. E un riccio bianco seduto sul cornicione che osservava con occhi spenti l’ospedale non troppo distante.
Shadow lo chiamò, per fargli capire che il suo turno era finito e che poteva tornarsene a casa.
Silver non si voltò verso di lui, ma lo salutò ugualmente. Però non diede segno di volersi alzare. Rimase comodamente seduto.
Shadow si incupì ancor di più, cercando di gestire e sopprimere i rimasugli di sentimenti roventi che Knuckles aveva riportato in superficie ai Silver pareva volesse dare il suo contributo. Eccone un altro che era impazzito. Ma cos’avevano tutti?
-Ti do il cambio.- disse, questa volta esplicitamente, nel qual caso Silver avesse dimenticato perché lui era lì. –Torna a casa a riposarti.-
Silver, come se non avesse sentito una sola parola disse invece. –Da noi il cielo era sempre di questo rosso fuoco. Ma nessuno ha mai pensato che fosse bello.- fece una pausa. –Non c’era il tramonto, come non c’era la notte o il giorno. Sempre la luce del fuoco di Iblis, uguale tutto l’anno.- Silver alzò la testa verso il cielo, a guardare il tramondo che andava affievolendosi. Shadow si domandò seriamente come accidenti funzionassero le persone. Proprio non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
–Assurdo.- ridacchiò nervosamente Silver. –Il fuoco ha sempre significato distruzione e morte per me, per la mia gente e per il mio mondo.- Allungò una mano verso il cielo. –Ma, ora che il fuoco s’è estinto, ora che potrei godermi la pace che ci siamo conquistati e vivere comodamente a casa mia senza dovermi più preoccupare di niente, mi rendo conto che il fuoco per me era anche un’altra cosa. Molto più dolce e …indispensabile.-
Inutile dubitare che stesse parlando di Blaze e alla sua abilità pirocinetica. Shadow sospirò, arrendendosi all’evidenza che avrebbe dovuto ascoltare tutto il discorso.
Silver riabbassò la mano scintillante d’azzurro pallido contro quel tramonto color brace. –Ma non c’è calore in un cielo azzurro o in un prato verde se lei non può essere lì con me a vederlo.-
Shadow non sapeva assolutamente cosa dire. Nemmeno aveva capito perché Silver stesse dicendo quelle cose a lui. Rimase zitto e aspettò che il riccio finisse il monologo, sperando di trovare nel frattempo un indizio su quale fosse il suo ruolo in quella che pareva essere quasi una confessione.
Il riccio argenteo difatti riprese. –Io di te non so praticamente niente, eppure noi siamo stati e ancora siamo compagni di squadra, in un certo senso.- Shadow si morse la lingua per non commentare. -Ma Sonic una volta mi ha detto che anche tu hai perso una persona molto cara.- concluse il riccio.
Nota personale di Shadow: insegnare a Sonic una volta per tutte a tenere la bocca chiusa. Ora, almeno aveva cominciato a capire dove Silver volesse andare a parare.
Silver, per la prima volta si voltò a guardare Shadow, e questi realizzò che gli occhi d’oro del riccio erano luccidi. –Il dolore … questo dolore, questo vuoto gelido…. passerà mai?- chiese, con voce strozzata, quasi disperata.
Per la seconda volta, Shadow venne preso in contropiede. Lui non era mai stato particolarmente abile con le relazioni sociali. Cosa dirgli?
-Vuoi venir rincuorato o vuoi la verità?- domandò, giusto per fugare quel piccolo dubbio e per fargli capire al contempo che le due cose erano ben distinte.
Lo sguardo di Silver tremò. Shadow gli risparmiò l’angoscia di dover risponere.
-Perché se è la prima domanda a cui vuoi una risposta, ti direi che ti stai rivolgendo alla persona sbagliata. Magari ti conviene fare un salto da Tails, pure lui ne sa qualcosa di perdite. Se invece sei interessato alla seconda domanda, ti rispondo che quel dolore non se ne andrà mai. Né si indebolirà con il tempo. Ma imparerai a conviverci.-
-Come?- chiese debolmente Silver.
-Continuando a respirare.- rispose Shadow dopo un attimo di silenzio.
Lentamente tornarono a guardare l’ospedale. –Grazie.-
-Torna a casa a riposarti.- gli rispose Shadow.
Silver annuì e questa volta obbedì. Si sollevò in aria e fece per andarsene. –Mi dispiace davvero molto per Rouge.- disse Silver. –Sono sicuro che si riprenderà presto.-
Shadow rimase in silenzio. In quel momento aveva un altro volto femminile impresso in mente.
Evidentemente, Silver aveva un altro paio di problemi che necessitavano di venir condivisi, perché ancora non se ne andò. –Ho fatto tutto quello che era in mio potere per proteggere Rouge dai nemici, nel laboratorio sottomarino, dopo che lei ha vomitato quel grumo di sangue scuro.- Deglutì. –Spero sia bastato.-
E poi volò via.
Shadow quasi non lo notò.
La sua mente pareva essersi bloccata su quattro parole. Quale grumo di sangue scuro?!
Era una cosa che non gli capitava spesso, ma un violento attacco di vertiggini miste a nausea lo prese allo stomaco. Appoggiò una mano al cornicione.
Due sensazioni predominanti gli esplosero nel cervello. Rabbia cieca nei confronti di quegli idioti che non gli avevano detto subito una cosa vitale come quella. Per quale dannata ragione erano rimasti zitti? Per evitare di farlo preoccupare ulteriormente?! Come poteva un getto di sangue come quello venir ritenuto trascurabile?!
Dopo la rabbia e il biasimo, venne il gelo.
Senza sapere come, lui era a conoscenza di certe nozioni di biologia secondo le quali, a volte, un corpo espelleva elementi estranei in determinate circostanze come: trasfusione di organi, introduzioni di apparecchi di sostegno tipo protesi o simili, oppure con l’iniezione di sostanze normalmente prodotte dal corpo ma però prese da un'altra fonte organica, ma però diversa dal corpo stesso.
Se il corpo di Rouge aveva identificato il sangue di BlackDoom e l’aveva ritenuto estraneo, avrebbe fatto di tutto per elminiarlo. Ed era successo.
Inizialmente Shadow aveva pensato che il collasso della sua compagna fosse dovuto ad un altro effetto collaterale, ma ora quel malore assumeva tutto un nuovo aspetto. Il riccio chiuse gli occhi. Il processo di espulsone che Rouge aveva dovuto affrontare era sicuramente molto peggiore di quanto lui avesse immaginato. Con danni interni molto più devastanti. Tentò di reprimere l’impulso di tornare da lei immediatamente.
Ci riuscì solo all’ultima conclusione che la sua mente formulò, che a rigor di logica avrebbe dovuto essere la prima per importanza: ora loro avevano ciò che stavano cercando.
Ebbe la sensazione di avere l’acqua alla gola, ma così intensa che gli sembrò quasi di annegare.
Il tempo era scaduto.
Raccimolò confusionatamente i ragionamenti che aveva fatto all’inizio di tutta quella storia, quando pensava a come agire nel qual caso tutto finisse a rotoli. Aveva disperatamente bisogno di una linea da seguire.
Ipotizzò che gli scienziati avessero bisogno diversi giorni per riuscire a separare il suo sangue da quello di Rouge. Poi avrebbero avuto il loro buon daffare a separare ulteriormente il suo DNA e cercare di ricavarne qualche dato. Non ne era sicuro, ma aveva quasi la certezza che riuscire ad analizzare il codice genetico di BlackDoom fosse tutto tranne che una passeggiata. Del resto, una cosa del genere non s’era mai vista prima, no?
Tutto ciò avrebbe anche potuto fargli guadagnare tempo, se l’incidente in questione non fosse avvenuto già una settimana prima.
Gli venne voglia di tornare indietro ed massacrare per bene tutta la banda di mobiani che ora erano alloggiati nella sua base.
E dalla preoccupazione, Shadow tornò alla rabbia e al risentimento.
Ripromise a sé stesso che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe lavorato in squadra. Poco ma sicuro! Appena finita quella storia, avrebbe ripreso a fare le cose a modo suo, senza nessuno tra i piedi.
Troppo sconveniente dover fare affidamento su gente così incapace e ingenua, che creava problemi a profusione con una naturalezza allarmante. Erano un pericolo, e non solo per loro stessi, ma anche per tutti quelli che finivano di accettare la collaborazione.
Rimpianse il giorno in cui aveva proposto a Sonic di spiare dall’interno l’organizzazzione.  E il vantaggio che ne aveva ottenuto, cioè poter lavorare su più fronti contemporaneamente, non era stato poi così apprezzabile. Rouge era quasi morta per colpa loro. Avevano consegnato un ostaggio di tutto rispetto dritto nelle mani degli scienziati, i quali avevano dunque il coltello dalla parte del manico. E come se quello non fosse bastato, gli avevano anche dato la chiave della soluzione di tutto quel dannato problema.
La malta che copriva il parapetto del palazzo schricchiolò, per poi creparsi e sbriciolarsi. Il cervello di Shadow non recepì nemmeno il fatto che stava stringendo un po’ troppo forte il muro.
I suoi occhi stavano fissando la finestra di Sonic, nell’ospedale dritto davanti a lui.
Il tempo era scaduto.
O la va o la spacca, pensò Shadow. Era arrivato il tempo di agire una volta per tutte. E, purtroppo, per poterlo fare in piena libertà occorreva tirare fuori da lì quell’inutile porcospino, per tagliare ogni possibilità di ricatto da parte dei ricercatori.
Ma questo era un problema.
Shadow stava ancora fissando la finestra di Sonic. La luce filtrava dalle tendine tirate, ma, strizzando bene gli occhi si poteva intravvedere la sagoma di un letto.
Il riccio nero si costrinse a fare un passo indietro e ragionare. Cosa poteva fare? Cosa doveva fare?
Togliere di mezzo gli scienziati, tutti gli scienziati, prima che riuscissero a scoprire quel maledetto segreto genetico. Aveva dunque pochi giorni di tempo, se gli andava bene. Probabilmente, le ricerche venivano svolte nella Base Alpha, l’ultima rimasta. Ma nessuno di loro aveva ancora scoperto dove si trovasse. Gli unici che potevano scoprirlo erano Tails e Shadow, che stavano lavorando sui dati trafugati. Purtroppo, erano ben lungi dall’aver ottenuto delle coordinate. Poi c’erano due punti della situazione che pesavano molto a loro svantaggio: la metà della loro squadra era ferita, Shadow compreso, e una battaglia non era pensabile; poi, Sonic era in mano nemica. Ad ogni loro più piccola mossa, lui ci avrebbe lasciato gli aculei.
Shadow strinse i denti. Aveva le mani legate. L’urgenza della situazione gli rodeva lo stomaco tanto intensamente da ostacolare i suoi pensieri.
Anche riuscendo a tirar fuori Sonic da lì, non avrebbero potuto attaccare nessuno, non sapendo dove si trovasse la loro base. Eppure, il tempo era scaduto.
Intuiva che, quando gli scienziati avessero scoperto il DNA alieno, Sonic non avrebbe fatto una bella fine poiché sarebbe diventato ufficialmente inutile.
Le priorità erano due: trovare la loro base e distruggerli prima che saltasse fuori un putiferio; ripescare Sonic prima che l’organizzazione avesse il tempo di muovere rappresaglie.  
Ma, di nuovo, non era possibile per Shadow o per chiunque degli altri fare semplicemente irruzione nell’ospedale e liberare il riccio blu.
Appena scoperto che Sonic era stato catturato, Tails e gli altri si erano subito affrettati ad escogitare un sistema per tirarlo fuori da là. Ma un’incognita in particolare aveva fatto crollare tutti i loro piani: un’ospedale non era una prigione di massima sicurezza, non si poteva impedire a qualcuno di entrare o di uscire. Dovevano per forza aver trovato un altro sistema per costringere Sonic a rimanere addormentato in uno stato comatoso e ad obbligare il resto della sua squadra a rimanere fuori senza interferire.
Avevano ideato così il sistema di turni di guardia, per controllare cosa venisse effettivamente fatto a Sonic. Il gruppo di sentinelle esterne avevano, per ovvi motivi, trovato più risposte del gruppo interno. La loro cautela s’era rivelata giustificata.
Due punture al giorno: una alla mattina e una alla sera, con due sostanze drammaticalmente opposte.
Era una tecnica subdola, ma che Shadow aveva intuito battendo Tails sul tempo. Iniettare un veleno lento alla mattina, e dare l’antidoto alla sera, o qualcosa del genere, in modo da essere sicuri che, se Sonic fosse uscito, non sarebbe durato a lungo.
Probabilmente, quel genere di farmaci tossici necessitavano di cure prolungate per liberare la vittima dagli effetti negativi, cosa che avrebbe scongiurato una spedizione notturna, dopo la dose di antidoto serale.
Chiunque avesse tirato Sonic fuori da lì lo avrebbe ucciso, passando come assassino e traditore agli occhi di ben due pianeti. La stampa si sarebbe divertita follemente.
Shadow imprecò vivamente. Una nuova variabile, il sangue di Black Doom, aveva però stravolto l’equazione, accelerando pericolosamente il fattore “tempo”.
Ora salvare rapidamente quell’inutile avanzo di riccio che era Sonic era dannatamente importante, almeno quanto trovare la locazione dell’ultima base. L’egocentrico puntasilli blu avrebbe apprezzato il fatto di essere di nuovo il perno portante di tutta quella incresciosa situazione. Doveva sempre essere al centro dell’attenzione, quello là, ogni singola volta.
Una sagoma apparve nella stanza del riccio blu. Gli occhi di Shadow vi si agganciarono all’istante. Dal cappellino e dal vestito pareva un’infermiera. Il riccio controllò l’ora sull’orologio che era appeso davanti all’entrata dell’ospedale. Puntuali come sempre, stavano per somministrare a Sonic l’antidoto.
Eppure, l’infermiera si avvicinò al letto, cercò per qualche istante, voltandosi a destra e a sinistra, e poi tornò indietro sui suoi passi uscendo senza aver nemmeno sfiorato il mobiano.
Shadow ora era completamente assorbito dalla scena. Un’idea, una pericolosa idea, stava prendendo forma nella sua mente. Consultare Tails e gli altri? Neanche da pensare. Avrebbe fatto a modo suo.
Attivò il Chaos Control senza però rilasciarlo.
In una frazione di secondo, divenne cosciente di ogni spazio vuoto in un raggio modestamente grande. Percepì l’infermiera in corridoio, percepì Sonic addormentato, e percepì la telecamera di sicurezza sulla porta della camera. Attese. Sentì l’infermiera che raggiungeva la fine del corridoio e prendere l’ascensore. Mentre lo sforzo di tenere attivato a quel modo il Chaos Control diventava ingente, la donna raggiunse il seminterrato, attraversò un corridoio e raggiunse una stanza laterale. Impiegò tanto tempo per entrare, probabilmente la porta era sigillata.
Il riccio nero si  stava già domandando come aveva fatto a non pensare prima a quella soluzione. Concentrò il Chaos Control su quella stanza, individuò due telecamere. Inutile dire che lì vi fosse conservato qualcosa di importante. Aspettò ancora, fino a quando l’infermiera, a corto di scorte mediche, raggiunse uno scaffale specifico e poi Shadow agì.
Non aveva mai combinato così due dei suoi poteri, ma se c’era un momento per provare era proprio quello. Evocò due Chaos Spear, poi li avvolse con il Chaos Control e lì teletrasportò direttamente addosso alle due telecamere. L’infermiera piantò un salto, proprio mentre Shadow rimase boccheggiante dallo sforzo. Capì perché non aveva mai provato prima una cosa del genere: era a dir poco spossante. Un selvaggio mal di testa cominciò a martellargli violentemente il cranio. Afferrò di nuovo il potere di Chaos e questa volta teletrasportò sé stesso.
Si ritrovò a fissare un’infermiera terrorizzata, tra due telecamente di sicurezza fumanti. La scatola di liquidi era proprio di fronte a lei, la sua mano ancora era tesa a prendere una nuova boccetta, nell’altra teneva la siringa di Sonic. Per una volta, un’infermiera era rimasta a corto di farmaci. Errore imperdonabile.
Un colpo di fortuna senza precedenti.
Un altro Chaos Spear e l’infermiera divenne un ricordo.
Shadow controllò il nome che stava sull’etichetta della scatola. Un’antica conoscenza si risvegliò in lui, probabilmente resuscitata dai meandri della sua parziale amnesia. Non era sicuro del “come”, ma sapeva che quello che aveva di fronte era un medicinale spesso utilizzato per contrastare sostanze pesantemente soporifere o con effetti comatosi, e anche una discreta gamma di veleni. Nessun dubbio che era ciò che stava cercando. Con quella in suo possesso, portare via Sonic non equivaleva più ad un rischio. Prima, però, doveva liberare la pista. Distrusse anche la telecamera che i diligenti ricercatori avevano piazzato nella camera del riccio nello stesso modo in cui aveva distrutto quelle del piccolo magazzino. Gli ci volle uno sforzo non indifferente, ma ci riuscì comunque. Riprese fiato.  
Ben intenzionato a portarsi via tutta la scatola, Shadow la sfiorò preprando il Chaos Control. Fece per attivarlo ma qualcuno gli afferrò una gamba.
La sopresa disorientò Shadow, il peso aggiunto al teletrasporto gli risucchiò una quantità ingente di energia, ma il Chaos Control schioccò ugualmente, seppur lasciandolo senza fiato.
La prima cosa che fece quando si materializzò nella stanza di Sonic fu sferrare un calcio in faccia al tizio che lo aveva toccato.
Cosa insolita, il suo calcio colpì effettivamente qualcuno, ma ancora Shadow non riusciva a vedere quel qualcuno. Soltanto dopo l’impatto contro la parete, che mozzò il respiro al malcapitato facendogli perdere la concentrazione, Shadow riuscì effettivamente ad individuare e riconoscere lo sconosciuto, che poi tanto “sconosciuto” non era.
-Espio!- ringhiò, mentre il povero camaleonte si massaggiava la fronte contusa. –Cosa diamine stavi facendo?-
-Ma ti sembra il modo di fare?!- gli rispose il rettile, acciaccato. –Mollare calci così al primo che passa!-
Shadow si affrettò a far scomparire il Chaos Spear che aveva evocato talmente in fretta da non essersene quasi nemmeno accorto. Concepito il fatto che non c’erano nemici, si rilassò.
Appoggiò la scatola su tavolo da parte a Sonic. –Cosa ci fai qui?- chiese di nuovo in maniera più civile, questa volta.
L’ammaccato Chaotix, ancora stordito, guardò di traverso il riccio. –Sto raccogliendo informazioni, ovviamente.- sibilò, ancora risentito per il trattamento ricevuto.
Se si aspettava delle scuse, non le avrebbe ricevute. Era stata soltanto colpa sua se era stato colpito. Non avrebbe dovuto avvicinarsi a quel modo.
Cercò di ricordare cosa aveva percepito nel piccolo magazzino tramite il Chaos Control. Ricordò solo vagamente uno scatolone (o quello che lui aveva pensato fosse uno scatolone) dalla forma insolita, che lui aveva stupidamente tralasciato.
La frustrazione del camaleonte raggiunse il culmine e partì a raccontare. –Mi sono infiltrato qui alle sei di questa mattina, mi sono arrampicato sul soffitto e ho aspettato che passasse l’infermiera. L’ho poi seguita, cercando un indizio che mi avrebbe permesso di capire chi sarebbe stato a portare il medicamento serale. Ho trovato nella caffetteria addetta al pesonale una cartella con gli orari delle infermiere. Così ho passato il resto della mattinata e del primo pomeriggio a cercare la persona in questione prima che dovesse andare da Sonic. Una volta individuata, ho fatto sparire il medicamento del riccio, in modo da costringere l’infermiera a trovarne dell’altro e a mostrarmi così la strada. E stava funzionando a meraviglia, ma poi sei arrivato tu.- fece una pausa. Con uno sbuffo concluse –Non che questo sia effettivamente un problema. Solo che così mi hai rubato la gloria. Non mi aspettavo di certo che tu fossi già la fuori ad aspettare.-
Shadow era allibito. Rimase completamente a secco di parole.
Espio si tirò in piedi, massaggiandosi ancora la testa, ma riacquistando subito il suo contegno perenne. –L’idea era quella di trovare il magazzino, individuare il medicinale e poi venire a comunicarlo a te, ma solo una volta ottenute le informazioni corrette. Con il teletrasporto non avresti avuto problemi a portare via riccio e medicine. Ma pare che tu ti sia servito da solo, come sempre.-
Il rispetto piuttosto scarno che Shadow aveva per il Chaotix subì un improvvisa impennata. Ideare un piano del genere tutti da soli? Pareva quasi impossibile. Eppure, l’imprevidibilità di quei tre era qualcosa di portentoso, sebbene la loro disorganizzazzione raggiungesse livelli quasi leggendari.
Vista l’espressione delusa del ninja viola, la Forma di Vita Definitiva si sentì di dover dire qualcosa. –Io ho solo seguito l’infermiera.- disse, ammettendo silentemente di aver solo colto l’opportunità creata grazie all’opera di qualcun altro. –Il tua è stata un piano davvero niente male.-
Il camaleonte alzò lo sguardo. Quello era il massimo che si potesse pretendere da Shadow, così Espio accettò il complimento senza fare storie. Sorrise e piegò la testa nella sua direzione, segno che aveva accolto l’apprezzamento.
–Mi hai quasi staccato la testa con quel calcio, ma sono dettagli immagino.- aggiunse, giusto per non rendergli la vita troppo facile. Si frugò in una tasca e ne estrasse una piccolissima macchina fotografica, grande si e no come il palmo della sua mano. –Cercando in giro- disse –Ho trovato un paio di cosucce interessanti.-
Gli occhi di Shadow luccicarono. –Quanto interessanti?-
-Interessanti al punto da poter costare a questa gente un biglietto di sola andata per il carcere.-
-Dove le hai trovate? E come?-
-In un ufficio dietro un pannello a muro mimetico al terzo piano. Fogli dentro ad una cassaforte.-
La stima di Shadow per Espio aumentò ancora. Non aveva mai neanche preso in considerazione le abilità di spionaggio e infiltrazione del ninja. Ai suoi occhi era solo l’unico sano di mente in un trio di pazzoidi, quello che tirava avanti l’economia dell’agenzia investigativa. Ma si era sbagliato di grosso.
-Ottimo lavoro.- disse. –Appena arriviamo a casa guardiamo ciò che hai trovato.-
Forse, lavorare in squadra non era poi un tale disastro su tutta la linea, pensò.
Espio ridacchiò, soddisfatto. –Immaginavo ti sarebbe piaciuta la mia scoperta.-
Dal corridoio provenne un suono di passi conciati che superarono la loro porta, probabilmente accorrendo al piano di sotto.
-Ora è meglio uscire da qui al più presto.- disse il riccio di nuovo serio. –Non abbiamo più tempo.-
Si girò verso Sonic, che dormiva beato.
-Aspetta un attimo.- Espio si avvicinò al letto, estrasse una siringa e somministrò un po’ del liquido al riccio. Le quantità le aveva apprese leggendo l’etichetta di una delle fiale, nel magazzino. –Meglio mantenere i ritmi, o rischiamo di farlo fuori per sbaglio.-
-Vero.- concesse Shadow.
Appena Espio finì, il riccio nero, che aveva sempre tenuto sott’occhi la porta, teletrasportò tutti fuori, scatola di scorte compresa.
Ora, erano liberi di dar battaglia ai ricercatori, una volta scovata la loro base.
 
 
Il sole stava tramontando. Amy, Tails e Shell avevano passato il pomeriggio a scambiarsi informazioni e a pianificare strategie.
-Dunque restiamo d’accordo così.- concluse il volpino. –Non appena noi riusciamo a trovare le coordinate della Base Alpha, voi date il via all’operazione di diffamazione pubblica dei loro capi, cosa che creerà un grande scompiglio e magari ci faciliterà l’accesso alla loro base.-
Shell annuì. –L’idea era questa, sì. Se voi davvero potreste passarmi i dati delle vostre bassate battaglie e le informazioni incriminanti che avete trovato nei loro database mi aiutereste enormemente. Scandali pubblici di questa portata vanno strutturati accuratamente: più informazioni si danno, meglio è.-
-Ti passeremo tutto l’occorrente, vedrai.- sorrise Amy.
-Se nella loro Base Alpha troveremo altro materiale incriminante, cosa che accadrà sicuramente, ti faremo avere anche quello.- aggiunse Tails.
-Solo se riuscirete ad assicurarvi che Sonic non corra rischi.- disse però Shell. –Quella è la priorità.-
-Ci inventeremo qualcosa.- sorrise Amy.
Camminarono ancora per un tratto, poi Shell annunciò di dover tornare a casa.
-I nostri numeri li hai, non esitare a chiamarci.- disse Tails. –Rimarremo in contatto per organizzare meglio la controffensiva.-
Shell annuì, con un sorriso soddisfatto sul volto. –Avremo successo, me lo sento!-
Si salutarono e poi si divisero.
Tails ed Amy presero un bus e si diressero fuori dalla città, dove avevano lasciato il Tornado X che li avrebbe accompagnati per un tratto di strada.
-Vi manca ancora molto per scoprire dove si trova questa base?- chiese ad un certo punto Amy.
-Purtroppo non ti so rispondere.- ammise Tails. –Potrebbero volerci giorni.- fece una pausa. -Avevo intenzione di andare avanti con le ricerche, questa sera. Ormai Omega è riparato completamente, posso dedicare più tempo alla decodificazione dei dati.-
-Bene.- sorrise lei.
Salirono a bordo del Tornado X, con il quale fecero circa metà strada, poi dovettero prendere un mezzo un po’ meno vistoso in modo da non rivelare dove si trovava la base di Shadow. Un jet, in fin dei conti, era facilmente individuabile.
Presero due biciclette si prepararono a macinare la distanza rimanente.
Arrivarono alla base sotto il bosco stremati e ansanti, ma trionfanti al tempo stesso. Era stata sicuramente una giornata molto proficua.
Per prima cosa, si fiondarono in cucina. Poi si diressero il salotto con l’intento di rilassarsi, ma lì incontrarono Knuckles.
L’espressione traumatizzata del suo viso fece loro capire che era successo qualcosa di grave.
-Knuckles?- chiamò Tails. –Cosa c’è?-
Lui si voltò verso di loro. Deglutì tre volte prima di riuscire a parlare. –Credo … credo che siamo nei guai.- balbettò. –Shadow non ci aveva detto una cosa molto importante riguardo Rouge.- delgutì di nuovo. –Il nostro tempo è scaduto.-  
La luce abbagliante del Chaos Control inondò la stanza.
Un fagotto blu rotolò a terra come un sacco di patate.
-Sul serio, compare. Dovresti davvero lavorare sui tuoi modi.- commentò acidamente la voce di Espio.
-Fa’ silenzio o ti stendo un’altra volta.- 




 

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Capitolo 20
*** 19. Tempo ***





Capitolo 19
-Tempo -

 
 
Tredici. Tredici lattine di Coca-Cola vuote sparse attorno alla scrivania, un po’ per terra, un po’ attorno al cestino, un po’ tra la tastiera e lo schermo, tra il piatto svuotato del pranzo e quello della cena, tra un computer e l’altro. Era in quel modo che si tirava avanti.
Avevano pochi giorni, probabilmente tra i tre e i quattro, per riuscire a trovare quelle maledette coordinate e delle prove inaffondabili per incriminare quei maledetti una volta per tutte. Ed erano almeno ventiquattro ore che né Tails né Shadow dormivano più. Il volpino aveva fatto giusto una dormita di mezz’ora e poi basta. Restava in piedi a suon di bibite energetiche o altamente zuccherate. Shadow, invece, monolitico come suo solito, non dava nemmeno segno visibile di provare stanchezza. Ma, come Amy sospettava, semplicemente sulla sua pelle nera era ben difficile vedere le occhiaie scure. La maggioranza del gruppo, però, scommetteva che non ci fossero proprio. Shadow, da parte sua, faceva finta di non sentire quei discorsi. Un gesto molto generoso, per i suoi canoni.
C’era un’elettrizzante atmosfera competitiva nella piccola base sotto il bosco, un luogo giudicato unanimamente sicuro e introvabile dai loro nemici. Erano nel bel mezzo di una corsa contro il tempo e contro i ricercatori, era solo una diversa tipologia di battaglia. Sapevano che, da qualche parte, un altro team, forse similie al loro, stava dando anima e corpo per identificare il DNA di Shadow. In risposta, Tails e gli altri davano anima, corpo e neuroni per star loro dietro e trovare il modo di fermarli: screditarli e trovare la loro tana. Il fatto che tutti stessero dando il duecento percento aumentava ancora di più quella carica elettrica che quasi si poteva respirare nell’aria. Il concetto di “ozio” o “pigrizia” era stato ucciso con un Chaos Control in mezzo al salotto, con Sonic rotolato giù contro un tavolino, cosa che gli aveva procurato un bernoccolo niente male.
Eppure, in mezzo a tutta quella frenesia, l’aria di Shadow The Hedgehog era altamente annoiata. Stava ascoltando un inutile monologo al telefono, aspettando solo che finisse per riprendere a lavorare dall’analisi dei dati trafugati. Che inutile spreco di tempo!
-E dunque Vector ti chiede: pensi che possa andare?- la vocetta stridula di Charmy pareva essere diventata ancora più irritante di quanto già non fosse. Charmy, l’intermediario di comunicazioni tra il gruppo della Base Sotto il Bosco e il Team Chaotix.
-Digli di piantarla di rompere qui. Dovrebbe essere adulto abbastanza da saper fare il suo lavoro senza chiedere assistenza ogni due minuti e mezzo.- ringhiò Shadow, che osservava al contempo lo schermo del monitor che aveva davanti agli occhi, cerando di capirci qualcosa. Era una sequenza di dati luminescenti senza senso e in apparente disordine.
-Sì, Capo!- trillò l’ape.
Non riappese in tempo il ricevitore del telefono e Shadow riuscì a sentire in lontananza un ruggito. –Chi è che staresti chiamando “capo”, eh?! IO sono il capo! Chiaro?!-
Vector, così ad occhio e croce.
Cancellando dalla mente la spiacevole conversazione riprese a lavorare. Prima i Chaotix creavano scompiglio annunciando di aver condiviso tutto il disastro che stava succedendo e, sprattutto, i loro piani con una perfetta estranea senza aver chiesto a nessuno e poi, una volta raggiunta l’autonomia che volevano, non erano capaci nemmeno di prendere le scelte più basilari.
Shadow sospirò, rimpiangendo la sua recentissima ma già insabbiata decisione di smettere di lavorare in squadra. Ironia della sorte: più lavoro di squadra di quello era difficile da trovare. Rinsaldò la propria convinzione: l’unico Chaotix con un cervello era Espio. Gli fece mentalmente le sue condoglianze.
Con una mano prese la tazza di caffè appena vicina alla tastiera del pc e ne svuotò il contenuto in un sorso solo. Su di lui Coca-Cola o altri intrugli zuccherati d’origine umana non facevano molto effetto.
Tails era seduto di rimpetto a lui, dall’altro lato del tavolo. Aveva una tale espressione assorta che Shadow osò sperare che avesse finalmente trovato qualcosa di utile.
-Ho. Finito. Di. Analizzare. Un. Altra. Pagina.- annunciò Omega.
Non appena il massiccio robot da combattimento era stato rimontato e aggiustato dal volpino, era subito stato inserito nel gruppo di decodificazione dati, aumentandone gli esponenti a tre: Shadow, Tails ed Omega, un aiutante che non necessitava di dormire, di cibarsi o di perdere tempo in qualunque altro modo. Gli unici apparentemente lì dentro a saper usare i neuroni o un computer in modo soddisfacente parevano essere difatti loro tre. Rouge li avrebbe aiutati se non stesse così male.
Entrò Vanilla con un vassoio di panini. –Ora di pranzo!- annunciò sorridendo. Appoggiò il vassoio e poi fece sparire le tredici lattine di Tails e le otto tazze di caffè di Shadow. Si stava riducendo quasi peggio di Sonic, in quanto a caffeina, inorridì Shadow. Mantenne il proprio contegno. –Non dovreste bere così tanto … non è salutare.- commentò Vanilla, il volto incupito dalla preoccupazione.
-Sì, d’accordo. Ora esci.- replicò Shadow, impassibile. Forse … e solo forse, aveva capito lo schema che aveva davanti agli occhi. Ma aveva bisogno di silenzio e calma. Vanilla non facilitava il compito.
Per di più, ancora non le aveva perdonato il suo quarto tentativo di cambiargli le bende abusivamente. Chiedere il permesso sembrava essere passato di moda. E pensare che tecnicamente erano tutti quanti a casa sua! Sbuffò, cercando di scacciare di nuovo l’irritazione. Vanilla poi nemmeno era sola: lavorava con una complice anche più problematica, chiamata Amy Rose. Era un complotto per fargli perdere tempo, distrarlo dal lavoro, imporgli bende scomodissime, dargli cibo e costringerlo a riposare. Tutte cose fastidiosissime e altamente inutili.
Tails, al contrario, guardava i panini con l’acquolina in bocca. – Pranzo?- ripetè. –Non doveva arrivare la cena ora?- domandò stupidamente.
Shadow evitò di sbattere la testa sul tavolo dalla frustrazione. Sapeva fin troppo bene cosa ne sarebbe seguito.
-Nel nome di Chaos!- strepitò mamma coniglio. –Dovresti proprio prenderti una pausa, tesoro!- Vanilla girò attorno al tavolo e afferrò Tails per le spalle. –Da quanto tempo non togli lo sguardo da quello schermo, eh? Sei così stanco e confuso da non sapere più nemmeno che ora è?-
Errore da principiante, commentò mentalmente Shadow. Lo credevo più sveglio.
Dalla faccia terrorizzata del volpino, Shadow apprese che aveva capito l’errore madornale che aveva appena commesso. Ma, tanto, per lui era troppo tardi.
–No, no! Non è così grave come sembr…- provò a difendersi il disgraziato.
Non finì la frase, Vanilla lo tirò in piedi a forza. Mai sottovalutare i muscoli di una madre.
Tails scalciò. –Posso ancora lavorare, Vanilla! È importante!- guardò supplichevole Shadow. Cercava un aiuto, povero illuso.
Gli occhi turchesi della volpe scintillarono di panico. –Cinque minuti! Soltanto cinque minuti, ti prego!-
-Niente storie!- ribattè Vanilla. –Tu ora dormirai almeno quattro ore piene.-
E Tails venne portato via.
-Siamo. Rimasti. In. Due.- osservò Omega.
-Così pare.- gli rispose Shadow afferrando uno dei panini lasciati da Vanilla. –Notevole che abbia resistito così tanto.- disse, riferendosi a Tails. Lui non era un robot, e in quanto a resistenza non si avvicinava neanche lontanamente al livello del riccio.
-Vero.-
Tails venne trascinato in cucina dalla buona Vanilla. –Stavo davvero per trovare qualcosa di importante!- supplicava ancora, patteggiando per un rilascio.
-Quel qualcosa non si muoverà da lì anche se tu chiudi gli occhi per un po’.- replicò impassibile la coniglietta.
-Tu non capisci.- supplicò Tails. La madre di Cream sapeva anche essere inspiegabilmente spietata. Lei allungò una mano e recuperò una brocca di camomilla. Amy era accoccolata sulla sedia, con la radiolina in mano intenta a chiacchierare con Knuckles.
Mentre alla base sotto il bosco procedevano le ricerche sui dati, mentre i Chaotix riesumavano vecchi documenti e cercavano tracce tra articoli e archivi, Silver e Knuckles erano stati spediti in ricognizione. Le truppe che Mobius e la Terra avevano promesso per portare a termine la vendetta contro Shadow erano pronte e si ammassavano tutte nei pressi di Station Square, punto di raccolta. Le loro file si ingrossavano spaventosamente di giorno in giorno ed era altamente necessario che qualcuno ne osservasse i movimenti, o per lo meno i numeri. Era più che vitale sapere contro che genere di nemico si sarebbero dovuti scontrare in futuro. I due prescelti erano stati gli unici non impegnati con operazioni di ricerca o di cure ai ferti in via di guarigione. Silver e Knuckles stavano in giro quasi tutto il giorno, camminando o volando, per le vie della città, facendo regolarmente rapporto sulle novità o le varie scoperte. A rispondere alle loro chiamate erano le due infermere, Amy e Vanilla, che dunque si muovevano perennemente accompagnate da radioline o altri mezzi di comunicazione.
Tails però non fece in tempo ad afferrare l’argomento di discussione tra il rosso e la rose o a invocare soccorso, Vanilla lo trascinò fuori prima che ci riuscisse.
Lo fece sdraiare sulla branda della sua camera, gli rimboccò le coperte, lo aiutò a mandar giù la camomilla, spense la luce e raggiunse la porta. –Non osare uscire prima delle quattro, hai capito?-
-Prima posso andare a visitare Sonic? Ci metterò pochi minuti.- pregò il volpino, sfoderando la pericolosissima arma degli occhioni dolci. Quella di andare a trovare Sonic, sempre incosciente in infermeria, era un’abitudine che Tails aveva instaurato quasi istantaneamente, tra la tenerezza collettiva. A quel genere di richiesta, nessuno gli diceva mai di no, nemmeno Shadow. Mamma coniglio non fu l’eccezione: non riuscì a resistere a quel genere di controffensiva e cedette.
-D’accordo. Ma devi promettermi che poi dormirai, va bene?-
-Promesso!- trillò il volpino, volando alla porta e sparendo nel corridoio diretto alla stanza adibita ad infermeria.
Fu in quel momento, quando Vanilla rimase sola, che Silver chiamò. –Qui Silver, a rapporto. Mi ricevi?-
-Certo, carissimo! Come stai? Hai forse fame?-
Ci fu un attimo di silenzio dall’altro lato della linea. –Ehm … no. Sto solo facendo il rapporto consueto. Altitudine attuale: circa quattrocento metri da terra. Osservazioni particolari: un altro contingente di carri armati si è unito alle truppe segnalate in precedenza. Dodici carri armati.-
-Oh, poveri noi.- squittì Vanilla.
-È assurdo.- commentò il riccio. –Questo è un esercito in piena regola. È difficile credere che il loro obbiettivo sia una persona sola, non ti pare?-
-Non so proprio cosa dirti, figliolo.-
Silenzio di nuovo. Probabilmente era passato parecchio tempo dall’ultima volta che qualcuno aveva chiamato Silver “figliolo”.
-Comunque, sei sicuro di non avere fame?- chiese di nuovo lei.
-Ho finito di mangiare la tua pasta al forno meno di un’ora fa, Vanilla. È un miracolo che io riesca a rimanere in aria, in tutta onestà.-
Vanilla rise di cuore. –Sono felice di sentirtelo dire.-
-Novità da Sonic o Rouge?- si informò il riccio.
-Rouge sta riguadagnando le forze in fretta. Sonic … è ancora addormentato.-
-Capisco. Ora è meglio che io torni alla mia ricognizione. A più tardi. Passo e chiudo.-
Vanilla mise via la radiolina e tornò indietro. Bussò alla porta di Shadow ed entrò.
-No. Non ho fame. Non ho sete. Sto bene così, grazie.- l’accolse lui, con una lieve sfumatura esasperata nella voce.
-Ha chiamato Silver. Ha detto che sono arrivati altri dodici carri armati.-
Sapendo quanto le distrazioni fossero odiose per Shadow, Vanilla uscì subito dopo aver riferito il messaggio. Oramai, con Sonic in quello stato, era Shadow il nucleo del loro gruppo, il punto di riferimento. Vanilla controllò l’ora, aveva ancora trentadue minuti prima della visita di routine da Rouge e Sonic per medicine o altro. Nel frattempo, decise di fare compagna ad Amy.
Lei aveva la testa appoggiata ad una mano, la ricetrasmittente nell’altra.
-Fidati, Knuckles. Lo dirò a Rouge appena riapre gli occhi, ora sta riposando.-
Silenzio in risposta. –Va bene. Ora vado. Passo e chiudo.-
Vanilla sorrise ad Amy. –Qualche problema?-
-Solo il solito.- sbuffò lei. –Knuckles che strepita contro Shadow ed insiste a dire che è un irresponsabile.-
-Andranno mai d’accordo quei due?-
-Non a caso li abbiamo spediti in due luoghi così distanti.- commentò distrattamente Amy. –Piuttosto, secondo te perché Shadow è rimasto in silenzio così a lungo e non ci ha detto subito … di come ha salvato Rouge?-
Vanilla fece spallucce. –Posso solo ipotizzare che, forse, quello che ha fatto non gli sia piaciuto. Forse anche meno di quanto sia piaciuto a noi.-
Amy piegò la testa di lato. –Non deve aver preso quella decisione a cuor leggero.-
-Proprio no.- Vanilla sospirò.
 
 
Era da un giorno che Rouge aveva un compagno di stanza. Ed era da un giorno che lei aveva decretato che la sensazione più orribile che avesse mai provato era l’impotenza.
Il fatto di dover star ferma mentre tutto il resto della sua squadra dava costantemente il duecento percento per trovare longitudine e latidudine della base dei loro infidi nemici. Il tempo correva contro i loro sforzi, i due pianeti sembravano fare altrettanto, le forze dei suoi compagni avevano dei limiti e lei, che avrebbe potuto fornire un aiuto determinante, era costretta a rimanere nullafacente nel suo letto, circondata da tutta quella frenesia.
Si spalmò le mani sulla faccia. La sensazione più disgustosa che conoscesse: essere solo di peso e nulla più.
A migliorare la sua autostima, c’era l’attrito che si era creato tra Shadow e Knuckles, un altro dettaglio che andava a sommarsi al già lungo elenco di fattori che giocavano contro l’efficienza del gruppo. E quell’attrito era nato per colpa sua, quando ancora lei era priva di sensi. Cosa che l’aveva lasciata abbastanza sorpresa, e alquanto confusa. Non si aspettava una reazione del genere da quello zoticone di Knuckles.
Personalmente, Rouge non aveva nemmeno mai pensato di accusare Shadow per quello che le era successo. Per lei esisteva solo il fatto che il riccio nero le aveva salvato la vita, sfoderando un miracolo insperabile. Le sofferenze che erano seguite, secondo Rouge, erano un prezzo ragionevole.
Sfortunatamente, non tutti sembravano pensarla così, specialmente da quando le avevano detto del piccolo disastro che lei, Rouge, aveva involontariamente causato. Consegnando il sangue di Shadow dritto nelle mani dei ricercatori.
Il senso di mortificazione che si era impadronito di lei era stato devastante, e ancora doveva farci i conti.
Lei. La cacciatrice di tesori. La ladra. La tormentatrice di echidna irascibili. Braccio destro di Shadow (o così lei sperava). Lei, che aveva praticamente condannato non solo la persona che aveva giurato di aiutare con ogni mezzo ma anche tutti gli altri che non c’entravano niente. Come più volte le avevano fatto notare, quella non era stata una cosa che lei avrebbe potuto controllare o modificare. Ma non cambiava il fatto che quel gesto l’aveva effettivamente compiuto lei, sebbene non volontariamente. Il tramite con il quale quel sangue era finito nelle mani nemiche era stato comunque lei.
Con nostalgia, si domandò che fine aveva fatto il suo bel caratterino, il suo spirito indipendente e quella forza che le aveva permesso di uscire a testa alta da praticamente ogni situazione.
Forse, pensò, quel proiettile aveva fatto più danni di quelli che il suo fisico aveva riportato.
Le venne voglia di sprofondare nel materasso e di non riemergere mai più.
Aveva confessato in parte il suo stato d’animo a Shadow, quando lui era passato a controllare come stesse, qualche ora prima. Lui aveva replicato che era una sciocca a pensare scemenze del genere. Che la decisione di ricorrere a quell’espediente era stata sua, e che non l’aveva nemmeno consultata durante la scelta. Dunque, Rouge non aveva avuto diritto decisionale e la responsabilità non spettava a lei. Il tutto era stato detto con un tono abbastanza freddo e tagliente, come se a Shadow l’idea di fare quel discorso non piacesse affatto. In ogni caso, quella era la forma più vicina ad una consolazione che si potesse ottenere da lui, ma l’animo di Rouge non s’era placato. Nemmeno quando Shadow, già avviatosi verso la porta le aveva detto, senza voltarsi: se avessi saputo che sarebbe successo tutto questo, avrei comunque scelto di salvarti la vita in quel modo, senza esitare.
Una cosa, almeno, Rouge l’aveva ottenuta da quella sottospecie di discorso. Cioè Shadow le aveva scaricato via di dosso parte del senso di colpa, tirando in mezzo sé stesso. Come sempre. Mettere in mezzo sé stesso era forse l’unico modo che lui conosceva per proteggere chi gli stava attorno. E, diamine, funzionava relativamente bene. Danni collaterali a parte.
Restava il fatto che lei era ancora k.o. e che quindi non le era concessa l’occasione per rimediare al danno che aveva contribuito a formare. Non poteva rendersi utile in alcun modo, né aiutare i suoi amici ad uscire da quella situazione creatasi per colpa sua. Faceva disastri, limitava pericolosamente il tempo d’azione di tutta la squadra e poi se ne stava a letto in quello stato di inutile inattività. Tails le aveva sorriso, dicendo che le sarebbe bastato dormire e recuperare per bene le forze così, al momento della battaglia, avrebbe saputo farsi valere e farsi riscattare anche se, secondo lui, ciò non era propriamente necessario. Nessuno ce l’aveva con lei, non doveva dimostrare nulla. Ma quella sensazione di profondo disagio non se n’era andata. E la pipistrella si stava odiando anche per quello.
Non poteva far altro che chiedersi quando ancora dovesse durare la sua convalescienza che durava ormai da tempi immemori, meravigliandosi al contempo della portata degli effetti che un decilitro scarso del sangue di Shadow aveva provocato. Voleva soltanto alzarsi da lì.
Rouge sbuffò, togliendosi le mani dal volto e tornando a fissare la lampadina storta inchiodata sul soffitto. Ricordando vagamente che quella piccola base sotto il bosco, ora divenuta la base operativa di tutta la Resistenza ai Ricercatori, era appartenuta un tempo ad Eggman, Rouge si chiese come lo scienziato ovoidale fosse riuscito a piantare le lampade in modo così inaccurato.
Si domandò distrattamente che fine avesse fatto quel pancione di Eggman. Per una volta, era successa una calamità in cui lui non c’entrava. O così avevano pensato loro, almeno.
Un fruscio di coperte catturò l’attenzione della pipistrella. Voltò lentamente la testa e i suoi occhi scintillarono.
Il riccio blu, coricato in una branda vicino alla sua nella stanza dibita a infermeria, aveva inarcato tutta la schiena, stiracchiandosi beatamente.
Rouge sorrise. Qualunque farmaco Espio e Shadow avessero trovato, stava funzionano straoridinariamente bene a ritmi insperati. Cosa che faceva sollevare qualche perplessità sulla resistenza disumana del fisico di Sonic, oppure sull’incapacità dei ricercatori di tenere fermo a letto un riccio notoriamente iperattivo senza dossi regolari di sonniferi più o meno stravaganti.
Se avevano davvero dovuto faticare così tanto per riuscire a bloccare Sonic, per riuscire a tener prigioniero Shadow avrebbero dovuto fare un qualche patto con il diavolo.
Non era la prima volta che Sonic si muoveva, da quando avevano cominciato la cura. Aveva sbadigliato, aveva mosso un braccio e aveva allungato un calcio a Knuckles. Strani e bizzarri spasmi muscolari, aveva detto Tails, soffocando un sorriso all’espressione costernata dell’echidna. Ma il riccio blu non aveva ancora riaperto gli occhi.
Fino a quel momento, almeno.
I due smeraldi verdi di Sonic si schiusero piano, assonnati e confusi, vagando un attimo per la stanza prima di notare e concentrarsi su Rouge.
L’umore della pipistrella guizzò verso l’alto, gusciando via da sotto i tacchi a spillo dove era infilzato da giorni. –Ti sei svegliato, finalmente!-
Sonic mosse la mascella, come a volersi assicurare di saper ancora parlare. –Mi sento un sasso.- proclamò.
-Ci sei andato vicino, tesoro.- replicò lei.
Si chiese maliziosamente se Sonic fosse mai rimasto immobile per poco più di un intera settimana in vita sua. Probabilmente no.
Lui ruotò piano la testa e un terrificante scricchiolio di vertebre fece rabbrividire entrambi. Il riccio lentamente si portò una mano sulla sommità del cranio. –Come mai ho un bernoccolo in testa, Rouge?- domandò, con la lingua ancora impastata dalla lunga inattività.
-Perché pare che Shadow non ti abbia trattato esattamente con i guanti quando ti ha riportato qui.-
Sonic, intento a massaggiarsi la parte offesa, non realizzò subito ciò che Rouge aveva detto. –Shadow?- ripetè il riccio color mirtillo. –“Portato qui”?-
Rouge fece spallucce. –Lui e Espio, pare. Ma è stato Shadow a scaricarti per terra.-
Dopo un mugugnio, Sonic chiuse di nuovo un attimo gli occhi. –Seriamente, mi sento uno schifo!-
-Benvenuto nel club.-
-Come se mi avessero cementato tutto il corpo!-
A Rouge scappò da ridere. C’era passata anche lei, sebbene non con una sostanza direttamente tossica, ma altrettanto dannosa. –A chi lo dici, tesoro.-
Poi, lo sguardo di Sonic si perse. La luce tremolante della lampada storta sul soffitto illuminò per diversi secondi il blu intenso della sua pelle, mentre gli occhi smeraldini sembrarono immegersi in qualche profondo ricordo.
Sonic trattenne quasi il fiato, lentamente ruotò la testa. Gli aculei rigarono il cuscino.
-Tails?- domandò. –Tails sta bene? Io … l’antidoto l’ha bevuto, vero?-
Rouge, che già aveva cominciato a preoccuparsi, si rilassò. Evidentemente, il riccio aveva finalmente fatto mente locale e ricollegato il suo presente attuale agli ultimi ricordi immagazinati prima del rapimento, cioè alla forsennata ricerca dell’antidoto per l’avvelenamento da scorpione ai danni del piccolo volpino.
-Tails sta bene, sì. Ma sono successe diverse cose che…- venne interrotta.
-E tu?!- sbottò Sonic. –Tu stavi male! Sei stata male, e molto anche.- scosse la testa, come se stesse cercando di snebbiare il cervello. Rouge fece per dirgli che stava guarendo, finalmente, quando Sonic fu come colpito da una scossa elettrica. In una frazione di secondo si ritrovò seduto, completamente disorientato. –Come ci sono finito qui?! Cos’è successo al laboratorio sott’acqua?!-
-Dovresti rimanere sdraiato…- provò a dire Rouge, sviando lievemente la domanda di Sonic. Chissà perché, l’idea di dover fare i conti di nuovo con l’accaduto non l’entusiasmava affatto, non voleva affrontare di nuovo la delusione che distorceva i volti alla brutta notizia di avere le ore contate. Anche se era ovvio che prima o poi lui avrebbe dovuto sapere del sangue e tutto il resto. Ma l’ingenuità o l’impazienza del riccio gli fecero sorvolare grandiosamente il pallido tentativo di Rouge. Sonic nemmeno se ne accorse e ripartì in quarta.
-Tails è guarito? Dunque abbiamo preso l’antidoto! Ma perché Shadow mi ha dovuto riportare indietro? Ah, già … mi avevano catturato. Ma allora? Che significa tutto ciò? Cos’è successo?-
Rouge sorrise, cercando invece un modo semplice e indolore per dirgli tutto quanto. –Mettiti comodo, mio caro. Sarà una storia lunga. E molti dettagli sono di seconda mano anche per me.- disse, affabile.
Cominciò a raccontare tutto, di come Silver e Knuckles avessero portato via lei e la boccetta d’antidoto contro il veleno dello scorpione geneticamente modificato, senza però spiegare ancora la cosa del sangue: era una parentesi troppo grande. E, come da tradizione, prima le belle notizie! Spiegò dunque il successo di Shadow, Amy e Omega, che avevano recuperato anche la seconda boccetta. E poi dovette anche confessare il modo in cui il riccio nero c’era riuscito. E a quel punto, Sonic non riuscì più a trattenersi ed intervenne con il suo solito brio. Aveva gli occhi completamente sbarrati, una sorpresa evidentemente troppo grande da contenere. –Cioè, quel deficiente s’è quasi tagliato le gambe per riuscire a prendere quella boccetta?- ripetè, stordito.
Ma Rouge lesse nei suoi occhi solo ammirazione e segreta, prorompente gratitudine. Neanche l’ombra di disapprovazione o rimprovero. In fin dei conti, si stava parlando di un volpino con due code e della sua eventuale tomba. Probabilmente non si sarebbe aspettato che Shadow facesse una mossa così azzardata per salvare Tails. Il fratellino non biologico di Sonic. Che ben poco aveva da spartire con Shadow. Non che si volesse lasciar presagire che Shadow non avrebbe fatto un gesto del genere per uno del gruppo, ma probabilmente avrebbe potuto trovare un modo meno … drastico. Subito dopo però il riccio blu abbassò lo sguardo, come se si fosse vergognato di qualcosa. Il verde dei suoi occhi s’incupì.
Rouge vi lesse anche una specie di paura, come un brivido. Probabilmente stava provando a immaginare come sarebbe stato se Shadow si fosse “quasi tagliato le gambe” senza il quasi. Per Sonic, doveva essere un’idea inconcepibile quella di rimanere … menomato così per il resto della vita. Correre era vita, per lui. Il riccio color zaffiro rabbrividì.
-Così pare, e le cicatrici sembrano confermarlo.- disse piano Rouge, rispondendo alla sua domanda.
-Cicatrici …- sussurrò il rccio blu. Chiuse un attimo gli occhi, la fronte corrugata. Ma l’attimo di disorientamento passò. Sonic si ricompose e seppellì come al solito la parte seria di sé stesso e dei suoi pensieri sotto alla maschera ironica e scherzosa. Incrociò le braccia e scosse la testa ostentando disapprovazione, ma con un mezzo sorrisetto sull’angolo della bocca –Essere il protagonista di tutta questa faccenda gli sta dando alla testa. È anche più esibizionista del sottoscritto. Il che è tutto dire.- sorrise alla sola idea.
Rouge non riuscì a trattenere una risata. Per un motivo o per l’altro, Sonic era sempre Sonic.
Lui le fece l’occhiolino. –Dovrei riprendermi i riflettori, che dici? Il povero Faker ha avuto il suo momento di gloria, ora deve passare il turno.-
-Guarda, guarda.- sorrise Rouge. –Siamo gelosi?-
Sonic sbuffò. –Quando mai!- e scoppiò a ridere subito dopo. –Piuttosto, ho rischiato di rimanere senza qualcuno da inseguire a quattrocento chilometri al secondo. Che inutile azzardo da parte sua.- borbottò. –Senza faker, sai che noia!-
Rouge rimase colpita, ma non lo diede a vedere, ovviamente. Sonic che ammetteva una cosa simile? Probabilmente era colpa dei medicamenti che aveva in corpo. In quanto a testardaggine e orgoglio i due ricci potevano tranquillamente finire in parità. Quasi sempre. Insomma.
–Shadow s’è conciato abbastanza maluccio, in effetti.- disse lei. -Ma mai quanto te. Rimproveri lui per il suo gesto sconsiderato, ma quello che hai commesso tu lo batte alla grande.-
Sonic piegò la testa di lato. –Ho fatto quello che era necessario fare.-
-Lo stesso vale per lui.- Rouge sogghignò. –Voi due siete molto più simili di quanto vi piaccia ammettere. L’unica differenza è che lui è rimasto confinato a letto solo per qualche giorno e poi ha cominciato subito a camminare. Tu invece sei steso da una settimana.-
Sonic sgranò gli occhi. Lentamente, come timoroso, incrociò gli occhi di Rouge. –Stavo per chiederti cosa ti fosse successo là sotto. Mi avevi fatto prendere una grande paura, sai? Ma … ma ora vorrei solo capire cosa diavolo stai dicendo.-
Rouge sospirò. –Solo se prometti di non interrompere più e di fare il bravo bambino.-
Sonic si sforzò vivamente e lei riuscì a spiegargli tutto quanto, specialmente come s’era evoluta la situazione dopo il rapimento di Sonic. Quando finì, si aspetto di nuovo una valanga di domande e commenti. Ma il riccio era completamente allibito. La stessa espressione di chi riceve un pugno senza aver capito da che parte è arrivato il colpo.
Rouge temette seriamente che si sentisse male. Finalmente, tutte le conseguenze della sua azione d’arrendersi avevano fatto presa sui neuroni di Sonic. Il riccio boccheggiò sotto il peso di quello che aveva tutta l’aria di essere un massiccio senso di colpa.
Per aver dato la rispettabilità a chi non la meritava. Per aver dato loro l’appoggio di troppi creduloni. Per aver messo in una tale situazione Shadow. Forse, a questo punto, era possibile anche che gli pesasse il sacrificio che Shadow aveva fatto, ferendo gravemente sé stesso per salvare Tails, cosa che, se comparata al “guadagno” che avava prodotto l’azione di Sonic, dava come risultato un abisso incolmabile.
Rouge decise di giocarsi la carta che le era rimasta. Spiegargli che la situazione era pessima soprattutto per colpa sua, e del codice genetico che aveva consegnato involontariamente dritto nelle loro mani. Così, magari, avrebbe fatto capire a Sonic che quel disastro non era interamente colpa sua, o per dargli la possibilità di cambiare argomento e dargli tempo di digerire la cosa. Lui colse al volo l’opportunità, con silente gratitudine. 
Sonic la guardò in un modo strano, con la testa per metà reclinata e con un mezzo sorriso sulle labbra. –Tu avrai anche fornito loro la materia prima su cui lavorare. Io però ho dato loro il tempo e la tranquillità per farlo. Immagino che non avete ancora tentato di attaccarli e riprendervi quella manciata di globuli rossi per evitare ripercussioni su di me, o sbaglio?-
Rouge sorrise mestamente. Aveva fatto quasi centro. –A dir la verità gli unici a sapere di quel sangue eravamo io e Shadow. E nessuno ha detto esattamente a Shadow quello che mi era capitato, almeno non nei dettagli. Dunque, nemmeno sapevamo di questa urgenza. Forse non volevano farlo arrabbiare, preoccupare o semplicemente di sembrare ai suoi occhi degli incapaci.-
Sonic riscì anche a ridacchiare. –Quanti disastri solo per evitare di rimetterci la faccia! Shadow che non vuole ammettere di essere geneticamente utile (ma la sua testardaggine già la conosciamo). Silver e Knuckles che non vogliono dirgli che la sua compagna di squadra gli è svenuta davanti senza che loro potessero fare qualcosa. Come se tutti e tre avessero una qualunque sorta di colpa!- sospirò. -Dobbiamo assolutamente migliorare il nostro livello di comunicazione, che dici?-
Sonic aveva appena sbriciolato tutta la matassa di preoccupazione e angoscia retrocedendola ad un mero  problema di comunicazione. Rouge riuscì a mantenere il suo contegno, almeno esteriormente, ma era profondamente meravigliata, sorpresa e allibita per aver scoperto che a Sonc, in fin dei conti, importava ben poco di tutto quello. Lui aveva puntato dritto solo al punto: i suoi non parlavano tra di loro come avrebbero dovuto, e di tempo non ce n’era più.
Rouge si ritrovò a sorridere. Sì, l’ottimismo incrollabile di Sonic era mancato a lei come a tutti gli altri. Troppa tensione, troppe decisioni scomode da prendere, stare troppo con le spalle al muro, perennemente in allerta. Ci voleva proprio l’idiota di turno che facesse sembrare tutto facile. Il suo sorriso si allargò ancora. Per la prima volta da giorni, forse da settimane, Rouge si rilassò davvero.
A sentir Sonic, pareva che ribaltare la situazione non fosse più complicato che ribaltare una frittella nella padella.
Era ancora intenta a cercare di capire come diamine ci fosse riuscito quando il riccio in questione aprì bocca di nuovo. Con un sorrisetto storto, domandò –Per curiosità … in quale delle due boccette c’era l’antidoto di Tails?- domandò. –Giusto per sapere se posso rimbeccare Faker si essersi quasi ammazzato per nulla.-
Rouge sospirò. –Gliele abbiamo date entrambe.- disse. –Ma ha cominciato a dare segni visibili di miglioramento soltanto dopo la seconda boccetta. Cioè quella che aveva recuperato la vostra squadra.-  
Poi si aprì la porta e un volpino dai piedi strascicanti fece la sua entrata. La visita abituale di Tails al suo fratellone.
Gli occhioni di Tails si sgranarono. –Sonic!- urlò. In un bizzarro miscuglio di corsa e volo, il bi-code gli si fiondò addosso in un attimo.
Blu e giallo si abbracciarono ridendo.
Tails singhiozzò. Sonic strabuzzò gli occhi, colto alla sprovvista.
-Io … io … non sapevo se ti avrei rivisto.- disse il volpino con voce rotta. –E poi non ti svegliavi!-
Lo sguardo di Sonic vagò smarrito per la stanza. Per finire optò per la sua strategia già collaudata.
Rise.
–Ah, questa volta ce la siamo vista brutta. Ma abbiamo la pelle dura, lo sai.- sorrise poi, pollice verso l’alto.
Tails lo guardò, con gli occhioni luccidi. –C’è parecchio tempo, a ce l’abbiamo fatta a tirarti fuori di lì. Avevamo paura che, se avessimo mostrato ostilità, loro ti avrebbero subito …- la voce gli si spense. –E Shadow e gli altri erano troppo malconci per provare un attacco. Scusaci se ci abbiamo messo tanto.-
Sonic gli battè una mano sulla spalla. Erano entrambi accucciati sul letto del riccio, uno di fronte all’altro. –Guarda il lato positivo, Tails. Ho dormito così tanto che ho le batterie talmente ricaricate che potrei anche non dormire più per due mesi.- il suo ghigno si allargò. –E smanio dalla voglia di scaricare tutta quest’energia.-
Tails si illuminò. –Stiamo lavorando ad una strategia!- annunciò.
-Ottimo! Rouge ha appena finito di aggiornarmi sugli ultimi eventi, ma non ha ancora avuto il tempo di spiegarmi le mosse in programma.-
Rouge sorrise, ai margini della scena. –Spiegagli tu.- disse con noncuranza, facendo un gesto con la mano. –Io ho parlato anche fin troppo.-
Tails, raggiante, si gettò nella spiegazione. –All’inizio, ma proprio all’inizio, non avevamo idea di chi fossero i nostri nemici, giusto? Erano come un’associazione fantasma, invisibile e praticamente inesistente. Non potevamo nemmeno dimostrare che esistessero effettivamente. Ricordi che avevamo provato a cercare informazioni su di loro e non ne avevamo trovate? Ecco.- riprese fiato. -Ora loro hanno abbassato tutte le difese: prendendoti prigioniero, si sono giocati il tutto per tutto per ottenere una reputazione e un enorme sostegno economico e militare, una cosa molto importante per loro, pare. Hanno barattato l’anonimato con la forza. Ora hanno un nome pubblico, un’identità pubblica e hanno attirato l’attenzione di tutti. Sapevano che in quel modo sarebbero stati vulnerabili e, soprattutto, incriminabili. Dunque si sono trovati una garanzia: la tua vita nelle loro mani, e la reputazione d’eroi per averti salvato, impossibilitando noi ad agire.- l’entusiasmo di Tails aumentò. –Ma ora la loro garanzia è andata in fumo: tu sei libero! Così come noi siamo liberi di parlare e dire la verità ai quattro venti! Gli resta solo la posizione e l’attenzione pubblica. Non sono più fantasmi!-
L’espressione entusiasta di Tails non illuminò affatto il riccio. Quella storia gliel’aveva già raccontata Rouge, in parte l’aveva anche vissuta di persona. Sonic si grattò un orecchio. I ragionamenti troppo lunghi non erano il suo forte. –Dunque?-
-Dunque, ora che hanno un’identità e che non ci possono più ricattare: noi possiamo screditarli. Sonic, non capisci? Ora abbiamo qualcuno da accusare e incriminare senza timore. I fantasmi non si possono ammanettare. Gli uomini sì, invece!-
La lampadina nel cervello del riccio si accese. Finalmente aveva capito il punto! Tails aveva preso una via contorta, ma alla fine il messaggio era arrivato.
-Più è alto il piedistallo…- cominciò Tails.
-… più rovinosa è la caduta!- concluse Sonic, finalmente contagiato dall’entusiasmo di Tails. –E che stiamo aspettando, allora?-
L’espressione del volpino si oscurò. –Beh, con te nelle loro mani non potevamo fare nulla. Sono diventati degli eroi, per averti “salvato”. Dovevamo trovare prove, prove inconfutabili dei loro crimini, sperando di tirarti fuori da lì. Ora che non è più necessario toglierti dalle loro grinfie, ci possiamo concentrare solo a screditarli, ma la necessità di trovare prove inattaccabili resta … e per questo occorre cautela e tempo.- sorrise di nuovo. -I Chaotix sono a caccia di notizie, sul loro passato e sulle loro attività. Io, Shadow ed Omega stiamo analizzando i dati che avevamo recuperato nei loro database, sempre alla ricerca di prove ma, soprattutto, di coordinate geografiche.-
Sonic si accigliò. –Allora un assalto diretto è ancora sul menù delle scelte?- domandò.
Tails annuì. –Loro hanno comunque il sangue di Bla.. di Shadow. Ci vuole tempo per avviare un’inchiesta così come ci vuole tempo affinchè le autorità analizzino tutte le prove.-
-E noi di tempo non ne abbiamo.- cantilenò Sonic, ripensando a ciò che aveva detto Rouge a proposito del DNA. –Loro potrebbero …- si bloccò, come impensierito.
-…creare altre forme di vita artificiali micidiali come Shadow? …Formare un esercito bio-meccanico? …Far sparire tutti i dati e ripulire interamente le loro basi e tornare ad essere fantasmi di nuovo?- Tails scosse la testa. -Anche loro sanno che ora sono esposti, così come lo sappiamo noi. Pure loro hanno l’acqua alla gola, sotto un certo aspetto. Shadow ed Espio, liberandoti hanno fatto scattare il loro conto alla rovescia: sanno che possono venir abbattuti tramite la stampa o il tribunale, se forniamo prove adeguate. Dobbiamo fare in fretta. E anche loro sanno che devono farlo.-
Sonic lo guardò. –Attaccarli, dunque, equivarrebbe ad immobilizzarli, giusto? Se gli tagliamo la via di fuga, non possono andarsene via e sparire di nuovo. E se riuscissimo  sottrargli il sangue, allora non potrebbero nemmeno procedere con le ricerche.-
-Giusto. Sarebbe come una paralisi per loro. Se li attaccassimo alla loro Base Alpha.-
L’espressione di Sonic si rilassò, tornando allegra. –Ne avete strapazzati di neuroni, eh, da quando mi hanno messo a nanna?-
Tails rise. –Soltanto all’inizio eravamo impossibilitati ad agire. Sia io, che Omega, che Shadow eravamo abbastanza malmessi. Ma appena ci siamo ripresi abbiamo cominciato a lavorare e da allora non abbiamo più smesso.-
Sonic stava sorridendo. Lo stava facendo già da prima. Continuava a guardare Tails e cercava di capire che fine avesse fatto il piccolo, impacciato inventore. Da quando Tails era diventato uno stratega di guerra di quel livello?
Restava il fatto che era profondamente, innegabilmente fiero del suo fratellino. E come avrebbe potuto non esserlo?
Possibile che il volpino avesse preso le redini della situazione in sua vece? 
-Hai fatto davvero un ottimo lavoro.- disse, dosando con cura serietà e sincerità. Gli occhi di Tails parvero illuminarsi.
-Beh … non sono stato solo io, sai.- cominciò a balbettare, accavallando parole su parole come faceva sempre quando era nervoso o imbarazzato. –Shadow ha gestito tutto quanto per la maggior parte del tempo, come sta facendo tutt’ora. I Chaotix hanno agito per conto loro, trovandosi anche dei nuovi alleati, ed Espio ha contribuito grandemente alla tua liberazione. Siccome Vector è impegnato a gestire le ricerche, è Espio a tenere i contatti con il nostro gruppo, giacchè è stato lui a far scattare la collaborazione, tirandoti fuori dall’ospedale insieme a Shadow.-
Sonic si sentì ancora più ammirato di prima. Erano stati Tails, Shadow ed Espio a condurre l’iniziativa?
Tails avrebbe potuto dire tutto quel che voleva, ma il ragionamento che aveva appena spiegato era troppo astratto e al contempo profondo per essere farina del sacco di Shadow. Il riccio nero poteva sì avere una mentalità piuttosto militare, ma di solito era Tails a collegare tutti i fili.
-Nuovi alleati?- chiese invece Sonic, ricollegandosi alle parole di Tails. –E chi sarebbero?-
-Una giornalista che ha fiutato puzza di bruciato e un suo amico che ha insistito a volersi gettare nell’avventura insieme a lei.- rispose Tails. –Gente molto intraprendente e affidabile.- aggiunse.
Altre iniziative … Il sorriso di Sonic si allargò ancora di più. –Chissà come Faker ha preso bene la notizia!- ironizzò.
Quello che emise Tails fu un miscuglio tra sospiro e singhiozzo. –Non ne hai idea!- gemette. –Ma alla fine ha dovuto riconoscere anche lui che un aiuto in più non fa male, sprattutto un’aiuto ben determinato a rimanere in pista … anche se sono convinto che non si fidi per nulla dei due giornalisti, così come non vorrebbe trascinade dentro a questo pasticcio altra gente innocente. È di umore peggiore del solito da quando ha saputo questa notizia. Dunque, da troppo tempo.-
-E quando mai lui si è fidato di qualcuno?!-
Risero tutti e tre. Rouge compresa.
Tra spiegazioni e battute, l’atmosfera da camera mortuaria miracolata s’era sciolta, tutto era tornato come prima. Esattamente come se non fosse capitato un rapimento e un avvelenamento. Le solite chiacchiere, le solite pianificazioni, il solito filo d’intesa.
Sonic ridacchiò. Era tornato a casa per davvero.
 
 
 
James fissava lo schermo tentando in ogni modo di concentrarsi sull’immagine che vedeva.
Avevano impiegato meno tempo del previso per riuscire a dividere il sangue di Shadow da quello di Rouge. Era stato più complicato riuscire ad isolare il DNA dal globulo rosso, un’operazione lunga e complicata. La grande, grossa incognita s’era presentata loro in quel preciso istante, una volta confrontati direttamente con il “Grande Segreto”. Nessuno era ancora riuscito a capire o interpretare esattamente quel risultato inatteso.
James guardava il computer, sul quale scintillava una riproduzione in scala di un filamento di DNA. L’unico problema era che non assomigliava a nulla che si fosse mai visto sulla faccia di Mobius o della Terra.
C’era sì la parte ad elica avvitata, condivisa sia da mobiani che da terrestri, ma c’era anche una seconda parte, quella che aveva scatenato ogni sorta di dubbio o supposizione: una seconda fascia ad elica, di struttura più massiccia, più larga e avvitata in senso opposto, avviluppava per intero il DNA primario, quello interno. Era come se due diversi DNA fossero stati appiccicati insieme e inscatolati uno dentro l’altro.
James non riusciva assolutamente a capire cose diavolo fosse quello. Possibile che i pazzi dell’ARK avessero inventato un intero nuovo DNA da applicare a quello base?
Non era umanamente possibile raggiungere un risultato del genere. La complessità e la delicatezza del DNA non era in alcun modo riproducibile. Era combinabile, semmai, o modificabile, al limite imitabile tramite clonazione. Ma costruirne uno da zero … era semplicemente impensabile.
Dunque, da dove spuntava fuori quello?
Di sicuro non assomigliava a nessun tipo di forma organica studiata fino ad allora, sulla Terra o su Mobius. Né s’erano mai viste prima combinazioni del genere, né tantomeno in quell’ordine o di quel tipo di sostanze.
-Quanti misteri ci vuoi nascondere, riccio?- sussurrò James.
Ma, per quanto si sforzasse, in quel momento gli era particolarmente difficile concentrarsi a risolvere l’enigma biologico.
Le condizioni di salute di sua figlia erano precipitate. L’avevano ricoverata l’urgenza in ospedale circa quattro ore prima.
Per James il tempo si era congelato.
L’immagine incredibilmente nitida dei primi passi traballanti della sua creaturina gli balzarono davanti agli occhi. Seguiti poi dal ricordo della prima parola da lei pronunciata, dal primo disegno che aveva fatto, della prima corsa in giardino, il primo castello di sabbia. Lui chiuse forte gli occhi, mentre il groppo alla gola che lo tormentava da tempo per poco non lo soffocò.
La porta dietro di lui si aprì.
-Il capo la vuole vedere.- disse un uomo prima di girare sui tacchi e sparire.
James aveva una mezza idea del perché gli volesse parlare: era sgattaiolato via senza permesso, precipitandosi in ospedale non appena sua moglie lo aveva avvisato dell’accaduto. E abbandonare il posto di lavoro a quel modo era imperdonabile.
Sospirò, alzandosi e sperando di non venir licenziato.
Non aveva nemmeno mai detto alla sua famiglia quale fosse la sua vera occupazione. Aveva solo detto alla moglie che lavorava in un’associazione per la ricerca medica, utilizzando il loro nome di copertura. A volte provava ad immaginare quale sarebbe stata la faccia di sua moglie se avesse scoperto quello che in verità faceva in quei laboratori. Come esercizio, non gli era mai venuto bene.
Raggiunse la porta del capo, bussò, spinse la maniglia ed entrò.
Il capo era interamente guarito dalle lievi ferite riportare all’incidente alla base nel vulcano (una posizione assai strategica per ottenere enormi quantità di energia per alimentare i loro esperimenti).
L’uomo seduto dall’altro lato della scrivania aveva in mano un diamante, grande circa come una ciliegia. Così ad occhio doveva essere almeno cinquanta carati. Non osò ipotizzare quanti milioni fosse costato.
-Mi voleva vedere, signore?- si introdusse James.
L’uomo lo guardò appena e lo ignorò. –Tutti dicono che la natura sia perfetta, che la natura non sbaglia mai.- disse, il disprezzo trapelava dalla sua voce. –Ma sai cosa penso io, invece? Penso che la natura sia l’esatto opposto: un ammasso di leggi di probabilità, di combinazioni casuali, di anomalie e irregolarità.- un ghigno feroce gli distorse i lineamenti. – Abbiamo fin troppi esempi di … gravi errori di programmazione. Quanti bambini nascono con difetti fisici? Quante perle non si formano sferiche ma bitorzolute? Quante carote cresciute storte o biforcute? Quanti animali dalle colorazioni errate esistono là fuori? Quanti difetti di vista, di udito o di parlata sono presenti in un qualunque essere umano? O di predisposizioni genetiche a malattie incurabili della mente o del corpo?- Lo stomaco di James si stritolò a quella frase. L’uomo sogghignò, si rigirò il diamante tra le dita. –Le gemme, anche le più magnifiche e sensazionali, quelle che hanno impiegato millenni interi per formarsi, non sono mai perfette. Contengono sempre venature, imperfezioni quasi invisibili. Per quanto spettacolari, non raggiungeranno mai il cento per cento. Ci sarà sempre qualcosa che non va esattamente come dovrebbe.- La mano dell’uomo si allungò verso un secondo diamante, posato sul tavolo, che inzialmente James non aveva notato. Questo era grande circa il doppio del primo, e in quanto a trasparenza e lucidità batteva di gran lunga quello che lui aveva tra le dita. –Ma- riprese –Esiste anche un altro modo per creare cose. Un modo più … sicuro, più controllato. Perfetto.- James capì che il secondo diamante era artificiale, creato in fabbrica. –Niente errori di formazione dovuti a particolari atmosferici, geologici o chissà cos’altro. Niente striature o graffiature non volute.-
I due diamanti vennero posati entrambi sul tavolo, allineati.
-Le imperfezioni si cancellano e si correggono con la scienza, vecchio mio. Le prestazioni vengono amplificate tramite la matematica e i calcoli di microbiologia o chimica. La vita delle persone viene allungata con la conoscenza. Tutte le debolezze fisiche cancellate, tutti i malfunzionamenti trovano un rimedio.- il suo tono di voce si intensificò. –Questa è la nostra vera forza, James. Noi abbiamo la capacità, l’abilità e il dovere di correggere Madre Natura, di mostrarle dove sbaglia e come rimediare. Noi possiamo imboccare la sua stessa strada e percorrerla meglio. Infinitamente meglio, James.-
Fece una pausa.
-L’artificiale vincerà sempre, sempre, sul naturale.- Indicò il primo diamante. –Cinquantadue carati.- indicò il secondo. –Cento carati.- ghignò. –Qualche migliaio di anni contro qualche giorno.-
James rimase in silenzio. Aveva capito dove il capo voleva andare a parare.
L’uomo si intrecciò le dita sotto il mento. –Mi serve quel riccio, James. Lui e le informazioni che contiene. Voglio quel DNA da cento carati in modo da poterlo studiare.-
James riuscì a resuscitare la lingua. –Stiamo lavorando al suo DNA, signore. Ma non abbiamo mai visto una cosa del genere prima d’ora.-
L’uomo poggiò entrambe le mani sul tavolo, accanto ai due diamanti. –Veda di darsi una mossa, allora. Non mi sembra che a sua figlia rimanga poi molto tempo.-
James fremette. La rabbia gli morse la gola, le lacrime gli punsero gli occhi. Rimase immobile. –Sì, signore.-
Venne congedato.
Tornando vero la sua postazione di lavoro, James passò per la sezione della Base Alpha dove erano tenuti i tre esseri artificiali.
Li avevano risistemati tutti quanti, dopo l’ultimo disastroso scontro. Avevano nuove componenti meccaniche, nuove armi, nuove armature, le ossa più robuste.
Lo scorpione era appeso al soffito.
Il lupo stava cercando di mordere e abbattere la porta.
Il topolino era rannicchiato contro la parte, abbracciandosi le ginocchia, testa incassata, faccia al muro.
Sorrise. Presto avrebbero avuto un nuovo compagno.
I ricercatori diventavano sempre più bravi, più efficienti e più rapidi.
Per un nuovo nemico volane e telecinetico, occorreva un rimedio adatto.
 
 
Cream si rallegrava sempre quando si avvicinavano le ultime ore della giornata scolastica. Non che le elementari le dispiacessero, solo che lei finiva con lo stancarsi rapidamente e tornare a casa a rilassarsi, mangiare e giocare erano di sicuro il grandissimo miraggio per antonomasia.
Ma, quando le due ore della suddetta giornata erano di disegno, allora tutta la stanchezza si dileguava. Nulla era più appagante di un bel foglio colorato, con matite, pennarelli, pastelli, piuttura o quant’altro.
In quel preciso momento, sotto i suoi occhi, stava prendendo forma un paesaggio fiorito e allegro, pieno di colori e gioia. Una radura erbosa stracolma di fiori, con una bambina che vi correva in mezzo. Cream si decretò soddisfatta del risultato, anche se non aveva ancora finito del tutto.
La sua vicina di banco, una lucertola mobiana di un tenue color lilla, striato di verde sul dorso, si stava cimentando a creare un paesaggio notturno. Un cielo stellato con una grande luna al centro, con sotto delle montagne argentate. Lei era la più brava di tutta la classe, ed era anche una persona davvero gentile e sempre ben disposta.
Cream sorrise a Litzy. La rettile le sorrise in risposta.
L’insegnante passò vicino ai loro banchi proprio in quel momento. Era un’umana dai soffici capelli bruni.
Sorrise alle due mobiane. La sua espressione si irrigidì un poco, quando notò il disegno della lucertola.
-Litzy- sospirò con tono lievemente di rimprovero. –Ancora paesaggi notturni?-
La lucertola fece sibilare la lingua biforcuta. –Ma sono i più affascinanti!- ribattè.
Lo sguardo dell’insegnante si addolcì. Fin troppo.
Le insegnanti umane lo facevano spesso, accettavano stranezze da parte di certi ragazzi soltanto perché erano mobiani. O animali, secondo loro. Spesso Cream li sentiva parlare di “istinto” o “habitat naturale” o cose del genere. Non capiva molto bene cosa significassero ma aveva il sentore che non erano complimenti.
Sbuffò. Peccato che lei dovesse rimanere in una scuola mista. Era più divertente avere una classe di soli mobiani, come accadeva a casa, su Mobius. Le mancava la casa … soprattutto ora che stavano succedendo tutti quei disastri con Shadow e Sonic. I compagni umani facevano molto più spesso battute cattive, soprattutto ai giovani ricci.
L’insegnante se ne andò. Cream sussurrò a Litzy. –Io lo trovo comunque un disegno bellissimo.-
La lucertola sibilò. –Grazie.- le sorrise con quei suoi denti aguzzi.
Cream si sentì invadere alla felicità, come sempre le accadeva quando risollevava il morale a qualcuno. –Se lei non riesce a vedere niente di notte è colpa sua.- sorrise, giusto per essere sicura che la sua compagna non si lasciasse prendere dallo sconforto. Sapeva che quello che aveva appena detto poteva essere interpretato come un commento cattivo. Ma la delusione che aveva spento il volto di Litzy non era giustificabile.
Cream, per un attimo, si sentì come Sonic: pronta a battersi per la giustizia.
Un ragazzo umano nella fila davanti alla loro rise. Una scimmia mobiana si voltò, con la lunga coda sinuosa che si muoveva nell’aria.
-Lo sai, no, quello che aveva detto la maestra l’altro giorno, vero?- sorrise con quell’aria da prepotente che Cream odiava tanto. –“Il nero non è un colore. È un assenza di colore, e in natura il nero assoluto non esiste. Eventualmente c’è il grigio, un grigio molto scuro che fatichiamo a distinguere dal nero. Ma il nero puro non esiste”.-
-Quante scemenze.- sibilò Litzy. –E la notte di che colore dovrebbe essere, scusa? Di sicuro non grigio.-
Cream ripensò al suo viaggio nell’avventura ormai passata dei Metarex. –Anche lo spazio profondo è nero.-
La scimmia si strinse nelle spalle. Certe cose che dicevano gli umani non avevano nessun senso.
Cream stava quasi per aggiungere che anche Shadow era nero, non grigio. Ma si trattenne appena in tempo. Le avrebbero fatto domande, ad un’affermazione del genere. Incluse comunque anche lui nell’elenco di cose naturali nere davvero e non grigie scure.
Naturali …
Ripensò meglio a Shadow.
In effetti … “naturale” ...
Quando capì, le venne quasi da piangere. Ma si trattenne, le avrebbero fatto domande.
La lezione finì rapidamente e, prima del suono del campanello, la maestra annunciò. –Tra tre giorni ricordatevi che ci sarà la gita al Museo Nazionale dell’Arte, nel centro di Station Square. Buona serata, ragazzi.-
Tutti furono liberi di alzarsi e andarsene. Ma Cream rimase triste.
Uscita dal portone principale, attraversato il giardino, si diresse verso il riccio argenteo che l’aspettava e che l’avrebbe riportata a casa, o meglio alla base sotto il bosco, un posto sicuro dove i nemici non sarebbero venuti.
Non le piaceva molto abitare là, ma una cosa però cancellava almeno in parte la monotonia di un abiente metallico e vagamente militare: cioè il fatto che Silver l’avrebbe portata là in volo!
 
 
 
Shell era in pieno centro di Station Square. Davanti a lei una fontana innaffiava il cielo plumbeo con frizzanti spruzzi.
Ma non era assolutamente l’acqua la sua fonte d’interesse. Ma i due uomini che parlavano appena di fianco al bordo di pietra del monumento idrico.
Uno era il capo dalla G.U.N., un uomo dai capelli argentei, con gli occhi di due colori diversi.
L’altro, era un tizio in giacca e cravatta, uno del governo statunitense.
Lei era troppo lontana per poter sentire quello che dicevano, e il fruscio dell’acqua non aiutava di certo. La tentazione di sgattaiolare là, di avvicinarsi, era forte. Ma aveva solennemente promesso ai Chaotix di non attirare l’attenzione, né di fare qualcosa che avrebbe potuto, in una remota eventualità, attirare attenzione e nemmeno a pensare di attirare l’attenzione.
Era questione di vita e di morte. Non solo per la gabbiana, per suo marito e per i detective, ma anche per Sonic, Shadow e tutti gli altri.
Lei si sentiva già onorata di essere stata ammessa al “movimento di resistenza”. Non era neanche da considerare di mandare tutto a monte per una sua stupida iniziativa personale.
Eppure, fremeva dalla voglia di sentire quelle parole, dette con quell’aria talmente circospetta.
Finì di sorseggiare la limonata, seduta ad uno dei bar della zona. Un ottimo punto d’osservazione, in modo da sfruttare anche la sua pausa serale. Incredibile la quantità di generali o politici che passavano da lì.
La sedia di fronte a lei venne trascinata in dietro, con un sonoro raspare delle quattro gambe metalliche contro il pavimento.
Il furetto a strisce si piazzò comodamente davanti a lei.
Sorrise a Nut, lui ricambiò.
Il loro compito era quello di cercare informazioni, materiale primo, direttamente negli archivi più remoti. Era da giorni che scomodavano senza tregue segretazie e funzionari. Dovevano trovare articoli, prove, tracce, qualunque cosa potesse servire per la loro impresa. E, soprattutto, ricostruire il passato di quell’associazione, impresa che sembrava sempre più impossibile. Erano fantasmi, quelle persone!
Mentre loro cercavano informazioni, i Chaotix, che parevano conoscere molti dettagli che non volevano condiviere, si occupavano invece di raggranellare e riordinare le informazioni dei due giornalisti. Dovevano creare una linea d’attacco, trovare il modo migliore per esporre quei dati nel modo più dannoso e indiscutibile. Stendere un rapporto d’accusa che lasciasse sgomenti ma dalla struttura tanto solida da non ammettere obbiezioni.
Così si erano organizzati: i Chaotix stavano quasi sempre alla loro base, a scrivere articoli e a trovare nuovi archivi da “saccheggiare”; Shell e Nut andavano direttamente sul posto, in giro per la città tra un archivio e l’altro, sfoderando tesserini giornalistici, o meglio il tesserino di Nut e una copia falsificata con i dati di Shell.
L’idea iniziale era stata quella di fare il contrario, cioè di mandare i detective ad investigare e i giornalisti a scrivere. Ma poi avevano concluso altrimenti. I giornalisti potevano essere utili anche senza microfono in mano o senza tastiera, così come i detective potevano indagare stando dietro una scrivania tutto il giorno.
I Chaotix erano probabilmente già conosciuti per aver collaborato con Sonic in passato ed era perciò meglio che non si mostrassero troppo in giro; Shell e Nut avevano più contatti da far fruttare dentro e fuori potenziali fonti d’informazione. Nut in particolare, aveva una rete di conoscenze impressionante. Quasi tutte segretarie.
Eppure, l’animo di Shell ancora non era tranquillo.
-Non dovevi metterti in mezzo. Questa è una storia che scotta.- lo rimbeccò per l’ennemisa volta.
Il furetto sorrise. –Ma se la mia mangia-sardine preferita si trova impegalata in un tale casino, chi sono io per rimanere in disparte?- la sua aria si fece piu furbetta. –E poi, quale giornalista non desidera stare esattamente al centro dell’uragano?-
Era vero, ovviamente. Nut aveva sfoderato più volte anche l’argomentazione secondo la quale lui aveva fornito il video di Shadow che se la prendeva con il cane mobiano. Dunque pretendeva di far parte della squadra.
Ma il senso di preoccupazione di Shell non era tramontato, come invece stava facendo il sole, oltre la fontana.
Uno dei motivi principali era che stava indagando su una faccenda che non era ancora riuscita a capire a fondo. A differenza dei Chaotix e di tutti gli altri, lei e Nut non avevano idea del movente base che aveva fatto scattare tutto quel trambusto.
Lei ancora non sapeva cosa volesse l’associazione da Shadow. Perché proprio lui.
I Chaotix non gliel’avevano voluto dire. Dicevano che era un’informazione altamente riservata e potenzialmente pericolosa. Per il suo bene, non gliel’avevano voluto rivelare. Non ancora.
Lei, dunque, stava come volando alla cieca. Inseguendo una traccia senza poter vedere dove, e come, effettivamente andasse a finire. E si stava portando dietro l’incolumità del suo migliore amico e di suo marito. Il matrimonio era programmato da lì a due settimane.
Sospirando, osservò il capo della G.U.N. allontanarsi.
Si domandò per l’ennesima volta perché proprio Shadow …
Aveva fatto solo teorie in proposito, una più fantasiosa dell’altra. Ironicamente, più informazioni passava ai Chaotix, meno ci capiva. Trovava dati su vecchi esperimenti, vecchi “progetti” che avevano a che fare con armi viventi. Sia da parte dell’associazione criminosa che della misteriosa ARK.
I Chaotix, tempo prima, le avevano accennato al fatto che Shadow aveva avuto a che fare con quel tipo di ambiente. Lei aveva trovato a più riprese numerose conferme. Eppure, non capiva in che ruolo ciò era avvenuto.
Shadow era forse stato un loro collaboratore? Aveva forse contribuito a creare quella armi viventi?
Non lo sapeva.
La limonata terminò.
La loro giornata era finita. Potevano anche tornarsene a casa tutti e due.
 
 
 
Erano passati due giorni. Due giorni molto particolari, trascorsi tra schermate di dati criptati e tra ricci blu che davano in escandescenza per la forzana immobilità.
Sonic aveva impiegato soltanto un giorno ancora e poi era schizzato in piedi. Rouge, più tremolante, aveva fatto lo stesso.
La base sotto il bosco era affollata più che mai.
Accadde di sera.
Era uno dei rari momenti in cui erano tutti quanti a casa. Vanilla e la piccola Cream, riportata a casa dopo scuola da Silver, in volo. Knuckles era rientrato pure lui, insieme al riccio argenteo. Omega, Shadow e Tails non s’erano mai mossi dai loro schermi, così come Amy s’era rifiutata di lasciare il suo Sonic, con enorme disperazione del diretto interessato. Rouge s’era fatta diverse risate a guardare quei due che si rincorrevano ovunque.
E fu proprio quanto tutti erano lì che Tails scattò in piedi con tale forza da far ribaltare la sedia.
-L’ho trovata!- urlò.
Fu come una paralisi di massa, tutti si immobilizzarono quasi all’istante.
-Ho trovato la posizione della Base Alpha!-
Un coro di esclamazioni di gioia e di congratulazioni esplosero più o meno ovunque, mentre tutti accorrevano dalle varie stanze fino a quella in cui c’erano i computer.
Shadow si alzò lentamente, fece il giro del tavolo e raggiunse Tails, occhi fissi sullo schermo.
Mentre anche gli ultimi ritardatari (cioè Sonic che si trascinava dietro la sua infermiera privata) entrarono nella stanza con i volti esaltati, Shadow imprecò fioritamente.
Silver si rabbuiò. –Che succede?- fece il giro anche lui e rimase sgomento.
Tutti gli altri si guardarono senza capire. Si ammucchiarono dietro al pc di Tails, stritolandosi e appiccicandosi per riuscire a vedere.
Così, passarono da tre facce incredule ad una bellezza di sei facce incredule (Omega e Cream esclusi, uno per ovvi motivi, l’altra perché non aveva effettivamente capito).
-Cosa c’è?- chiese difatti la più piccola della banda.
Tails deglutì e indicò il dato lampeggiante sullo schermo. –Deve esserci un errore. La Base Alpha non può trovarsi nel centro di Station Square!-
-No, nessun errore.- disse invece Shadow. Nessuno osò contraddire.
-Cosa facciamo ora?- domandò Silver, dando voce ad un dubbio comune.
Il sorriso che si allargò sul volto di Sonic era a dir poco radioso. –Facciamo quello che avevamo intenzione di fare fin dall’inizio, ovviamente!-
Poggiò una mano sulla spalla di Shadow, come a chiedere conferma. Si scambiarono uno sguardo d’intesa e Shadow annuì. –Domani attaccheremo.-
Knuckles ringhiò. –Vi devo forse ricordare la quantità di soldati, truppe, mecha, carri armati e aerei da combattimento che c’è laggiù.-
-Irrilevante.- gli risposero all’unisono i due ricci.
 
 


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 Così come i nostri protagonisti sono ansiosi di chiudere i conti, presumo e spero che i nostri lettori lo siano altrettanto :D
Questo è ufficialmente l'ultimo capitolo di tranquillità di questa fic. Avrete capito che lo show down finale è alle porte, no? Ciò significa essenzialmente due cose. Primo, non ci saranno più pause per riprendere il respiro fino alla conclusione di questa fic. Secondo, non ci restano più molti capitoli da passare insieme.
Non c'è motivo di rattristarsi (???)  già ora, non siamo proprio alla fine!
Lo dico giusto per correttezza, in modo che nessuno, arrivati all'ultimo capitolo, mi caschi giù dalle nuvole e mi accusi "Ma come?! Pensavo durasse di più!" ... sempre ammesso che ci sia qualcuno che non voglia vedere la fine! Ahaha! Probabilmente sarete ben stanchi di me e dei miei capitoloni infiniti!
Non mi azzardo a dare un numero di capitoli rimanenti. In tutta sincerità, non ho idea di quanto potrà durare l'ultima battaglia! 

Dunque, tenetevi forte, che ci siamo quasi!

Alla prossima!


 

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Capitolo 21
*** 20. Showdown ***


Dopo ere geologiche di silenzio ininterrotto, Phantom ha fatto capolino nuovamente tra le pagine di EFP.
Non proverò a dare scuse perchè un ritardo così non è giustificabile: dirò solo che l'università non mi ha concesso tregua alcuna, questo semestre, e la complessità delle scene che verranno non m'è stata affatto d'aiuto. Una volta liberatami dagli impegni accademici (cioè solo alla fine di giugno), ho comunque impiegato quasi tre setttimane a scrivere il testo qui sotto. Se tra voi c'è qualcuno che scrive o scribacchia, saprà bene quanto gli ultimi capitoli siano sempre tragicamente delicati da scrivere. Dunque, capirete se ho preferito fare le cose con calma (e ciò non garantisce comunque un finale appagante. Incrociamo le dita!). 
Ora, finalmente, siamo qui, con la prima parte dell'ultima battaglia: l'assalto all'Alpha. 
L'idea originale era quella di suddividere questa sezione finale in tre parti. Ma, se nel corso del prossimo capitolo lo riterrò opportuno, potrei anche fondere la seconda con la terza parte. Vedremo ^.^ 
Resta invariato il fatto che siamo agli sgoccioli! Evviva!
Spero di non aver reso questo capitolo noioso... Ci ho provato! Come sempre, ho fatto del mio meglio! Vi lascio alla lettura,
enjoy!  



 
Capitolo 20
- Showdown -
 

La base abbandonata sotto al bosco si stava svuotando. Knuckles, Silver e Amy erano già all’esterno, ad aspettare che gli altri li raggiungessero. Tails stava finendo di ritoccare le ultime aggiunte di Omega, nell’hangar. Il Tornado X era pronto, appena di fianco ai due. Rouge si stava avviando per raggiungere gli altri, camminava ancheggiando per il corriodio accompagnata dall’inconfondibile ticchettio dei suoi tacchi vertiginosi. Vanilla era in cucina, in preda all’ansia: lei non sarebbe venuta insiema a loro, non avendo alcuna nozione di combattimento sarebbe stata più di peso che di aiuto e avrebbe rischiato di rimanere ferita se non addirittura uccisa.
Sonic adocchiò il suo alterego a strisce, appostato in disparte in fondo alla sala e gli si avvicinò, con passo rilassato.
Negli ultimi giorni, cioè da quando il riccio blu s’era svegliato a quando avevano finalmente trovato la base dei loro nemici, non aveva avuto modo di fare quattro chiacchiere da solo con Shadow, che non si era staccato per un solo secondo dal computer e per il resto del suo tempo definibile come “libero” la banda aveva provveduto a non  concedergli nemmeno due minuti di tregua.
-Ehi, Faker.- lo salutò.
Non ottenne nemmeno il solito grugnito in risposta. Venne semplicemente, interamente ignorato.
Il blu gli si affiancò, con il suo solito sorrisetto sulle labbra. Spostò rapidamente lo sguardo per un solo istante sulle gambe della sua controparte. I due segni rossastri delle cicatrici erano ancora visibili, sulla sua pelle nera, intersecati con le due striscie naturali che Shadow aveva sulle gambe. Tutto quel tempo era passato, ma Shadow ancora portava i segni della sua ultima follia con le lastre di vetro di contenimento della fiala. La fiala con l’antidoto per Tails.
Da quel che ne sapeva Sonic, le ferite di Shadow solitamente guarivano in qualche ora. Ma quelle erano lì da giorni. Un’ombra attraversò gli occhi del riccio blu, come spesso accadeva da quando aveva ripreso conoscenza: s’era fatto male sul serio quella volta, Faker.
Siccome Shadow non sembrava neanche lontanamente intenzionato ad emettere un suono, Sonic cominciò a parlare. C’era una cosa importante che voleva dirgli. Era stata un chiodo fisso per Sonic, ed ora era giunto il momento di dirla ad alta voce.
-Ti volevo solo ringraziare per … per aver recuperato la cura per l’avvelenamento di Tails.-
Il riccio blu potè quasi percepire l’irrigidimento di Shadow.
-Non è stato solo merito mio, e lo sai.- ringhiò quello in risposta.
Sonic sollevò un sopraciglio. –L’unico che ha pensato bene di tagliarsi entrambe le gambe mi risulta sia stato tu.-
Shadow fece spallucce e non disse nient’altro.
Sonic sbuffò. –Senti, certi discorsi a me non vengono molto bene: non sono bravo con le parole, ma volevo farti capire quanto io abbia apprezzato il tuo gesto. Hai salvato il mio fratellino, amico.-
Shadow digrignò i denti alla parola “amico”, ma Sonic lo ignorò e concluse. – Non sono cose che possono passare sotto silenzio, queste. Ti sono debitore: il tuo è stato un gesto senza prezzo.-
-Adesso piantala.- mugugnò Shadow.
Sonic si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. –E credo di doverti ringraziare pure per aver salvato la mia pellaccia, ma non vorrei che tutta questa gloria ti desse alla testa proprio prima di una battaglia.-
Shadow gli scoccò un’occhiata delle sue, prima di camminare via con quel suo passo rigido, apparentemente indifferente. Eppure, Sonic potè giurare di sentirgli dire qualcosa del tipo “Tu avresti fatto lo stesso” ma che, a dir la verità, suonava più come un “Tu hai fatto lo stesso”.
 
 
Cream picchiettava a terra con un piede, sulle lastre di pietra che rivestivano la Piazza Centrale. Se il nome di quel luogo mancava completamente di originalità, lo stesso non si poteva dire per la fontana che vi svettava al centro, davanti all’entrata del museo.
Era una ballerina classica, capelli raccolti a crocchia sulla nuca, volto lievemente rivolto verso terra, le braccia alzate vero il cielo, a formare un cerchio. L’acqua le scorreva sulla gonna a sbuffo, ricadendo frusciante nella vasca triangolare sottostante come se fosse stata un prolungamento liquido dell’abito di pietra. Oltre le pieghe della piccola cascata circolare si potevano intravedere le gambe della danzatrice, ma solo indistintamente.
Cream strinse gli occhi, per cercare di capire da dove fuoriuscisse l’acqua. Tutta la parte superiore del corpo della donna era asciutto, soltanto la gonna era un fiume in piena. Ipotizzò che i tubi fossero all’altezza della vita della ballerina.
Cheese le svolazzò davanti al viso, tintinnando tutto contento. Cream gli sorrise, gli diede un buffetto sulla testa e poi lo abbracciò. Lei aveva perduto l’entusiasmo per la gita scolastica mezz’ora prima.
Erano incolonnati, tutti loro, classe e docenti, all’esterno del museo d’arte. Nemmeno erano entrati e già quella visita non prometteva gioia o avventure. Cream si sarebbe divertita moltissimo a correre per tutte le sale, con Cheese, a scorpire ogni tela, ogni quadro, lasciandosi immergere da quel torrente di colori, se solo li avessero lasciati entrare!
 
 
Shell era in piedi, davanti alla finestra nel soggiorno ad osservare con occhio attento la fiumana di automobili che ingorgavano la strada sottostante. Distrattamente si accarezzava un braccio.
Da una settimana era cominciata la sua indagine approfondita sul mistero di Shadow, da molto più tempo invece ne seguiva il caso. Aveva raccolto informazioni, molte informazioni, andandole a riesumare dagli archivi più minuti e impensabili, dove i loro nemici non avevano pensato di recarsi per ripulire da ogni memoria la storia del riccio nero.
Sospirò e si voltò. La bruna, vecchia Emma, seduta sul divano, le sorrise. Lei, la donna che l’aveva indirizzata sulla giusta strada all’inizio di tutta quella storia. –Allora, cara, cosa sei riuscita a scopire sul nostro riccio Ombra?- chiese, dolcemente.
Shell la guardò negli occhi. Non riuscì a capire che sorta di pensieri vi aleggiassero: sembrava imperturbabilmente calma. Riordinò rapidamente le paginate di ricordi, sfogliò mentalmente tutte le sue ricerce, e cominciò ad esporre i pochi dati certi che possedeva.
Ci volle meno tempo di quanto avesse pianificato.
–A grandi linee è tutto.- concluse Shell. -Ma questo già me l’avevi detto tu.- il suo sguardo color acquamarina si congelò. –E qui sta il punto!- esclamò la gabbianella, voltandosi verso Emma. –Se è davvero l’eroe che sembra essere, perché diamine tutto il mondo è convinto del contrario? Perchè hanno dimenticato? Perché un’organizzazione di biotecnica gli sta dando la caccia così spietatamente? Perché il governo di questo pianeta (come del nostro) ha una paura così folle di lui?- Shell schioccò la lingua, piegò la testa di lato. –Alcune fonti dicono che lui ha avuto a che fare con la biotecnica in passato … ma non so in che misura, in quale circostanza o in quale ruolo. Ad essere onesti, so solo quello che ha fatto, ma non chi è.- fece un'altra pausa, quasi sperando che Emma dicesse qualcosa, ma così non accadde. Il silenzio la spronò a proseguire. –Non ha famiglia. Non ha genitori. Nessuna laurea, nessuna scuola. Mai finito in ospedale, anche se di gente ce ne ha mandata molta. Si direbbe che legalmente non esista!-
Emma sorrise ancora una volta, cordiale. –Te l’avevo detto, figliola: lui è un’ombra. Vedo che hai fatto bene i tuoi compiti, mi fa piacere.-
Shell la fulminò. –Come sarebbe a dire?! Ti ho appena rivelato che non so niente di niente su di lui, tranne un elenco completo di improbabili battaglie!-
Wind, appoggiato di schiena contro lo stipite della porta, aggrottò la fronte, confuso come la sua consorte. L’aquila aveva insistito per ascoltare la conversazione: oramai era coinvolto pure lui, sebbene non proprio volontariamente. Per il bene del suo amato mucchetto di piume bianche si sarebbe tuffato in picchiata in qualunque pasticcio, tipo quello.
-Così deve essere, infatti.- disse Emma. –Non saprai mai tutto di Shadow … esattamente come lui stesso, immagino. L’essenziale, però, l’hai scoperto: le nozioni che permetteranno di diffondere la verità sulla sua innocenza e di smascherare gli impostori che lo inseguono.-
Shell e Wind si scambiarono un’occhiata.
Entrambi avevano l’impressione che lei sapesse molto più di quanto volesse dire. In particolare, sembrava perfettamente a conoscenza di quei tasselli mancanti che tanto irritavano i due alati.
Shell incrociò le braccia. –Credo sia giunto il momento in cui riveli tutta la verità. Come fa Shadow ad avere più di cinquant’anni? In che misura è stato coinvolto in ricerche biomeccaniche? Perché lo vogliono catturare, se non è un criminale come invece lo dipingono?-
Emma si alzò in piedi, annuendo.
Forse, finalmente, …
Un rimbombo li fece sobbalzare tutti e tre. Un forte rumore di legno spezzato, proveniente dall’entrata.
Shell fece giusto in tempo a realizzre che qualcuno aveva appena abbattuto la porta di casa, che una sagoma scura sfrecciò lungo il soffitto, stridendo e fischiando.
La coda dello scorpione scattò e colpì il bersaglio, sollevando Emma da terra con il contraccolpo. La donna gridò, scalciando l’aria con i piedi, afferrando con entrambe l’appendice dell’aracnide il cui pungiglione le aveva trafitto il petto.
Il mostro stridette ancora, spalancando le chele. Inclinò ancora di più la coda, rigirando il pungiglione nella piaga e lasciando che la gravità facesse il resto.
La punta accuminata, lucida di sangue e veleno, affiorò dalla schiena della donna, che smise di muoversi.
Shell aveva un grido impigliato in gola, metà della sua mente le ordinava di scappare, l’altra metà di correre da Wind, ma il suo corpo pareva pensarla a modo suo.
Lo spostamento d’aria la schiaffeggiò, arruffandole i capelli. Le ali di Wind tagliarono a metà il salotto, sfiorando con le punte sia il soffitto che il pavimento con uno schiocco secco. Lo scorpione fece scattare le chele affilate ma riuscì a tranciare solo un ciuffo di piume. L’aquila passò volando sotto la creatura vagamente metallica e la sua preda penzolante, ribaltando il tavolino che stava da anni al centro della stanza. In una frazione di secondo fu addosso a Shell, la afferrò e la spinse indietro, sempre in volo. La gabbianella, ancora stravolta dall’orrore, realizzò in ritardo che il suo futuro marito l’aveva appena buttata fuori dalla finestra. Il vuoto allo stomaco stritolò quel poco di autonomia che le rimaneva. Vide Wind scagliarsi fuori appena dopo di lei, richiudendo le ali per passare attraverso la stretta apertura per poi spalancarle una volta fuori. Il sole filtrò attraverso le lunghe penne brune, Wind piegò la testa. I suoi occhi d’oro la individuarono e l’agganciarono. Diede un lieve colpo d’ali, si stabilizzò e le richiuse di colpo, scendendo in una breve picchiata fino a lei. L’afferrò con gli artigli e frenò la caduta.
Da dentro l’appartamento provenne un ultimo stridio di rabbia. Wind girò la testa indietro, come a controllare che lo scorpione non si fosse gettato fuori per inseguirli. Così facendo distolse l’attenzione dalla direzione di volo e un mezzo grido allarmanto fece sobbalzare entrambi.
Un povero riccio bianco che passava da quelle parti sterzò di colpo per riuscire ad evitarli e andrò a sbattere contro il corpo del palazzo.
-Ehi! Guarda dove vai!- lo rimbeccò il mobiano irsuto, avvolto da una misteriosa aura azzurra.
Shell e Wind lo guardarono sorpresi, ancora sopraffatti dall’orrore. Se non avessero appena visto ciò che avevano visto nel loro appartamento, si sarebbero meravigliati di incontrare un riccio volante. –Ci scusi.- ritrovò la parola Wind.
L’aquila scese ancora di quota e in tutta fretta si allontanò da lì.
Shell, stretta nel suo abbraccio, piangeva.
 
 
 
-Ehi! Guarda dove vai!-
-Silver! Cos’è successo?-
-Tutto bene?-
Shadow sbuffò. Appostato in cima ad un grattacelo qualunque, osservava con occhio annoiato le truppe di Mecha parcheggiate appena sotto di lui. Tutti loro, la banda di pazzoidi composta da Sonic, Silver, Knuckles, Tails, Omega, Amy e Rouge, avevano degli auricolari speciali, collegati via radio tra loro tramite una frequenza protetta ideata da Tails che avrebbe permesso loro di rimanere in contatto pressochè sempre e ovunque. Se già all’inizio Shadow non era stato entusiasta di dover rinunciare alla sua solitudine e alla sua tranquillità (indispensabili in una missione, specialmente se delicata come quella), dopo soli cinque minuti s’era convinto di aver avuto assolutamente, innegabilmente, inconfutabilmente, irrimediabilmente ragione.
Non stavano zitti un secondo!
Ogni singola parola che veniva detta, veniva udita dagli altri. Cosa che scatenava commenti a catena, con un fastidiosissimo effetto domino. Se uno solo apriva bocca, era assicurato un quarto d’ora buono di chiacchiere inutili.
Dunque, all’esclamazione allarmata di Silver, che probabilmente aveva avuto una qualche sorta di frontale con un mobiano di passaggio o forse con un piccione, era seguita una pioggia di commenti più o meno inutili. Shadow aveva il sospetto che la quasi totalità di essi era nata per il semplice entusiasmo di provare la nuova tecnologia fornita da Tails.
Silver non aveva emesso alcun verso di dolore, era ovvio che stava bene.
Ma Sonic, Amy e Knuckles  non sembravano pensarla allo stesso modo.
La risata di sottofondo di Rouge lasciava intendere che avesse indovinato i pensieri del riccio nero.
Shadow attese con una pazienza che non sapeva né sperava di possedere che la banda di decelebrati con cui si ritrovava a lavorare si calmasse.
La voce della saggezza li riportò all’ordine. –Ragazzi!- esclamò Tails. –Concentriamoci!-
-Ben detto!- gli fece eco Sonic. Un altro commento con alta percentuale di utilità.
-Ripassiamo il piano ancora una volta?- propose il volpino.
A quel punto, Shadow decise di averne abbastanza. –Il piano l’abbiamo già ripassato cinque volte nell’ultima mezz’ora. Adesso basta. Si entra in azione.-
-Sono d’accordo.- confermò Rouge.
-Siete tutti in posizione?- chiese Sonic. Un rumore indecifrabile composto da troppe voci seguì la domanda del riccio. Shadow lo interpretò come un sì. Lo stesso fece Sonic. –Bene! Allora si comincia!-
-Sonic, Shadow, buona fortuna!- trillò Tails.
Shadow era già in piedi e aveva smesso di ascoltare. Gettò un’altra occhiata ai mecha quarantotto piani più sotto. Calibrò con calma la distanza ancora una volta, poi prese la rincorsa e si scagliò giù. Correva contro la fiancata del palazzo, operazione che solo la sua velocità disumana poteva consentirgli. Seguendo la carezza dalla buona, vecchia gravità ottenne in una manciata di secondi un’accelerazione formidabile. Arrivato al penultimo piano di distanza dal suolo, puntò i piedi contro una sfortunata finestra e spiccò un salto. Atterrò su un mecha non troppo distante, il metallo si accartocciò come gomma, attutendo la frenata del riccio e scatenando una serie di lucine lampeggianti e suoni d’allarme tra i sensori degli altri mecha tutt’attorno. I due umani che si ritrovavano a dover sorvegliare le unità da combattimento si pietrificarono sul posto. Fissavano Shadow con occhi terrorizzati da pulcini, come se si fossero improvvisamente trovati davanti il diavolo in persona.
Shadow si rialzò in piedi (era atterrato piegando le ginocchia) e ricambiò l’occhiata dei due. Era cosciente del fuoco che stava cominciando a divampare nei circuiti del robot così come sapeva del fumo che si stava levando da esso alle sue spalle. Facendo due conti, doveva essere una scena abbastanza spaventosa per i due malcapitati.
Sentì la temperatura aumentare, più rapidamente del dovuto, sotto le suole delle sue scarpe. Shadow flettè un ginocchio e saltò a terra, slanciandosi a corsa in avanti. Sfrecciò accanto ai due soldatini e gareggiò in velocità con l’onda sonica dell’esplosione del mecha atterrato. Corse con essa per un po’ e poi decise di superarla. Una seconda onda d’urto si propagò, da lui questa volta, e il bang sonico(*) mandò a gambe all’aria l’intera sezione di mecha al limitare del campo.
-Ho visto un’esplosione!- comunicò Knuckles.
Shadow lo udì appena, rallentò la corsa per permettere alle lattine ambulanti di raggiungerlo.
-L’ho vista anch’io! Vai Shadow!- questa era Amy.
Un elicottero sferragliò nel campo visivo del riccio. Shadow sterzò a destra, guardò indietro per controllare se i mecha l’avessero effettivamente raggiunto oppure no. Niente di niente, non erano neanche vagamente visibili. Poco male, si disse, doveva sembrare un attacco convincente, rallentare troppo avrebbe causato sospetti.
L’elicottero gli rimase attaccato alla coda. Shadow si lasciò seguire per un po’, prendendo una direzione puramente casuale ma ricca di curve e pieghe, come se stesse provando a seminare l’inseguitore volante. Di colpo eseguì uno scatto che lasciò il pilota di stucco. Shadow corse, piegò di trecentottanta gradi e tornò indietro puntando dritto ad un secondo luogo di raccolta delle truppe. Accelerò e compì una mossa simile alla precedente: atterrò a piedi pari sul fusto di un carroarmato, ripiegandone il cannone come un pezzo di burro. Urla di allarme da parte dei soldati rieccheggiarono un po’ ovunque, ma Shadow era già sparito un’altra volta.
Si infilò in autostrada, correndo nella corsia d’emergenza, e puntando ad un terzo accampamento. Gli elicotteri che lo seguivano ora erano due.
Erano armati, notò il riccio, ma non sparavano. Bene, sorrise tra sé. –Confermo: la nostra supposizione era corretta. Non aprono il fuoco in territorio civile per paura di ferire i cittadini.- comunicò agli altri.
Un coro di espressioni di sollievo seguì le sue parole. –Bene, Shadow. Continua comunque a tenere gli occhi aperti, non sappiamo se cambieranno strategia o meno.- disse Tails, uno dei pochi ad avere un senso pratico, oltre a Shadow stesso e Rouge.
Sonic rise. –Ottimo! Allora entro anch’io: ingaggio!-
Un suono confuso e sfrangiato  sfarfallò nell’auricolare di Shadow, probabilmente il vento che aveva coperto le ultime parole di Sonic, che evidentemente aveva cominciato a correre.
Sorrise. C’era il ladro in azione. C’era la guardia in azione. E c’era il mondo pronto a guardare. Ci sarebbe stato da divertirsi.
-Tutti gli altri. Tenetevi pronti. Appena la pista da ballo si libera, toccherà a noi!-
In un certo senso, Shadow ancora non s’era abituato a vedere un Tails così autoritario. Tanto meglio.
Raggiunse un altro punto di raccolta di mecha, identificato da Silver e Knuckles nell’ultima settimana, trapassò da lato a lato due mecha uno dietro l’altro e poi sparì di nuovo.
Prese una strada, superò tutte le auto che incontrò, facendone quasi schiantare una, e poi curvò di colpo, infilandosi in una strada pedonale appena lì di fianco. Dovette per ovvie ragioni rallentare drasticamente l’andatura ma ottenne comunque il suo scopo: praticamente tutti coloro che si ritrovavano a fare spese in quella zona lo notarono, lo additarono, si misero a gridare in preda al panico, estrassero cellulari provando pateticamente a fare delle fotograrie, o svennero sul posto.
Gli elicotteri erano diventati quattro.
-Su dieci punti di raccolta di unità, cinque sono in movimento e altri tre lo saranno in un paio di minuti.- comunicò Silver, dall’alto.
Shadow chiese indicazioni più precise riguardo le coordinate e si diresse a “svegliare” uno dei due gruppi che ancora non s’erano accorti dell’allarme generale.
Intanto, Sonic aveva attraversato la città, aveva raggiunto la sua posizione e stava cominciando la sua recita. Prima ci fuorono un paio di semplici risposte all’indirizzo di soldati più o meno sorpresi di vederlo vivo e vegeto dopo le ultime notizie di quei giorni. –Non è questo il momento per le chiacchiere, siamo sotto attacco! Seguitemi! Vi condurrò da lui!-
-Gruppo mecha numero tre sta seguendo Sonic.- comunicò Silver. –Si dirigono verso … nord-ovest.-
-Shadow: attira le truppe verso sud-est!- la direttiva di Tails era completamente inutile. Il riccio nero stava correndo in cerchio nell’area di sud-est da almeno cinque minuti.
-Già in posizione. Tutto quello che vedo sono quattro elicotteri, un branco di giornalisti impazziti ma niente truppe.-  disse.
-Mecha della sezione uno, due, cinque e otto in avvicinamento rapido. Shadow, tieniti pronto.- avvisò Silver. –Incontro stimato tra: due minuti.-
-Ho fame.-  brontolò Knuckles.
Il rintocco della martellata di Amy fece sobbalzare Shadow. –Fa’ silenzio, idiota!- ruggì l’amabile confetto.
-Sonic, recupera le truppe dei gruppi sette e quattro al più presto e portali via: si stanno dirigendo verso Shadow.- disse ancora Silver, il loro osservatore dall’alto.
-Ricevuto!- un esitazione. -Come “Ricevuto cosa?”. È il mio informatore privato, questo qua! Miles Tails Prower! Ci dice che Shadow sta scappando verso nord! Dobbiamo muoverci o lo mancheremo! Cosa? Non me ne importa niente di cosa dicono i tuoi superiori con le radio! Chi è l’eroe che ha salvato la Terra!? Lui o io? Muoviti e non discutere! Io so dove sta andando Shadow e a cosa sta mirando, e, fidati, non è a sud! Màrche!-
Un attimo di silenzio generale. –Va bene, vedrò di far saltare la loro rete di comunicazione prima che scoprano il tranello.- borbottò Tails.
-Cosa vi pagano a fare, si può sapere? Datevi una mossa con quelle carcasse metalliche! Pure Eggman è più veloce di voi! E Shadow non resterà qui per sempre! La volete la promozione o no?!- ruggì ancora Sonic, tutto preso dall’esortare i suoi soldati.
-Tails?! Hai appena tolto la luce?- chiese Amy, irritata. –Ci hai lasciati nel buio più completo!-
-Errore mio, ci sono quasi. Un attimo di pazienza.-
-Shadow, hai i gruppi mecha otto e nove alle spalle.-
-Difficile non vederli. Penso di avere il due e il cinque di fronte. Dov’è l’uno? E il nove non doveva prenderlo Sonic?-
-Tra la quarantesima e la trentacinquestima. Vedrai l’uno tra … meno di un minuto. Sonic! Hai fatto scappare il nove! Datti una mossa!-
-Non abbiamo tutte le ere geologiche dell’universo per attraversare questa città! Forza miei brodi!-
-“Miei prodi”…-
-Miei prodi!-
-È patetica questa situazione …-
-Come sarebbe a dire che le vostre comunicazioni con il quartier generale sono saltate? Ricontrolla! … ma non smettere di guidare questa carretta, altrimenti arriveremo domani! E non mi importa se ti danno la multa per guidare e traficare con aggeggi elettronici allo stesso tempo! Conosco il presidente, farà uno strappo alla regola per te! Oh, mi dici che ora stai prendendo il canale televisivo con la pubblicità della CalzeDonna con la radio?! Che scemenza è questa?!-
Risate isteriche da parte di Amy, Knuckles e Tails. Evidentemente, il volpino stava giocando con le comunicazioni, con qualche effetto collaterale imprevisto.
-E poi non sto ridendo! Ti sembra forse che rido?-
-Tesorucci miei: l’aviazione è entrata in azione.- comunicò Rouge. –Tre aerei da combattimento.-
-Bene: cambio ruolo. Rouge, a te l’osservazione aerea. Silver: ingaggio!- anche il riccio bianco si unì alla festa.
-So che è inutile ma … Silver, ricorda che nel nostro mondo le automobili non si possono usare come proiettili. Hanno dei proprietari che potrebbero anche trovarcisi dentro. Dunque … non lanciare nessuna automobile!- disse Tails.
Ci fu un attimo di silenzio. –Ma certo! Lo so bene, cosa credi?!-
Shadow cominciava ora ad ad avere difficoltà a seguire il discorso e la strada allo stesso tempo. Aveva il suo buon daffare a tener d’occhio il numero considerevole di mecha che gli stava alle costole.
Stavano tentando di accerchiarlo, senza fare fuoco. Le due ali di volti terrorizzati e innocenti dei cittadini attorno a Shadow stavano svolgendo il loro ruolo. I mecha avevano le armi puntate ma senza proiettili in canna. Se avessero fatto fuoco e se Shadow avesse evitato il colpo (come sicuramente avrebbe fatto) una o più vite sarebbero state troncate, dietro o attorno a lui.
Dai volti contratti dei soldati, Shadow intuì che la cosa doveva dar loro un certo fastidio. Continuavano a parlare freneticamente alla radio, contattando il quartiere generale e tentando di trovare una soluzione: non si poteva combattere finchè c’erano tutte quelle persone. Se  non si può abbattere il nemico, bisogna seguirlo e tenerlo d’occhio.
E su questo Shadow aveva contato, quando lui e gli altri avevano ideato il piano: distrarre i soldati, condurli a distanza di sicurezza; lasciare che Tails e gli altri si infiltrassero, con l’aiuto di Rouge (contro il parere di Shadow) e, una volta trovato un posto sicuro, la Forma di Vita Definitiva avrebbe saputo dove direzionare il suo Chaos Control, senza far scattare allarmi o trappole; i soldati, all’esterno, sarebbero stati impegnati a sufficienza da non accorgersi che il loro obbiettivo era intento a fare a pezzi i loro mandanti.
Shadow riprese a correre, zigzagando tra cappanelli di cittadini pietrificati. Vide con la coda dell’occhio una donna di mezza età farsi il segno della croce, una lacrima di paura lungo una guancia. Tutto il corteo armato si precipitò ad inseguire il riccio.
Shadow mantenne un ritmo di corsa rapido, ma non troppo, lasciandosi seguire ma senza dare l’impressione di farlo volontariamente. E intanto la distanza tra lui e il punto in cui doveva trovarsi la base Alpha aumentava sempre di più.
-Espio a rapporto. Vector mi ha appena comunicato che tutte le scartoffie sono state consegnate alla Mobius-Earth News TV. Ora sto raggiungendo la mia posizione. Passo.- la voce del camaleonte ninja fu una piacevole sorpresa.
-Ottimo!- esclamò Tails.
-Però abbiamo perso i contatti con la nostra giornalista. Avrebbe dovuto venire con noi a consegnare i documenti ma non s’è fatta vedere. Passo.- aggiunse Espio.
Shadow ringhiò. Lo sapeva, l’aveva sempre saputo che era una traditrice. Una pessima idea!
-Crediamo che sia stata scoperta e catturata. Passo.- continuò il Chaotix.
-Purtroppo non credo sia possibile organizzare una missione di salvataggio ora…- disse Tails.
-Emergenza!- la voce di Silver fece trasalire tutti, soprattutto il tono d’urgenza con cui disse quella singola parola. –Non erano tr… aerei! …. È un …. Mai visto una cos …così prim…!-
-Silver! Silver! Rispondi! Cos’è successo? Silveeeer!- la vocina di Tails tradiva il panico nascente.
Shadow realizzò di aver smesso di correre. Si costrinse a muovere le gambe e magari anche a controllarne la direzione.
-Come sarebbe “non erano tre aerei”? Io ne ho contati tre! Silver!- anche Rouge pareva essere in agitazione.
-Il terz…. Non … aereo. È qualcos’altro che … io …- l’urlo di dolore che seguì quelle parole fece sobbalzare Shadow, che finì per centrare in pieno una panchina. Ruzzolò a terra e rotolando su sé stesso si rimise in piedi sfruttando il proprio slancio. Con la rotula destra che pulsava selvaggiamente riprese a correre con meno convinzione di prima. Potè solo immaginare quali fossero i pensieri dei suoi inseguitori dopo aver visto il famigerato ricercato schiantarsi senza motivo contro una panca qualunque. Imprecò mentalmente.
Tutti, intanto, continuavano a chiamare il riccio bianco ma quello non rispondeva.
-Abbiamo perso la linea!- ruggì Tails. –Non riesco più a contattarlo!-
-Che diamine è successo?-
-Silver!- era Sonic, questo, che evidentemente aveva mandato a quel paese la sua recitazione, almeno per il momento.
Una scintilla di frustrazione intanto pizzicava la mente di Shadow. Mai una volta che si potesse compiere una missione normale senza che qualcuno si cacciasse nei guai!
Se da un lato il riccio nero era impegnato a prendersela con l’incompetenza o la sfortuna dei suoi compagni di squadra, dall’altro stava calcolando mentalmente come fare a raggiungere il suddetto compagno. Tra la sua posizione attuale e il luogo finale che avrebbe dovuto raggiungere mancavano ancora … circa dieci minuti di corsa fino al punto in cui avrebbe potuto scaricarsi di dosso le truppe. E … andando molto in fretta avrebbe potuto riattraversare tutta la città e dirigersi all’area in cui si trovava Silver in circa … quindici minuti. Ma che andava a pensare! Aveva il teletrasporto, lui! Mezzo secondo per andare da Silver, una volta scaricate le truppe. Accelerò l’andatura al massimo sostenibile dai mecha che gli stavano dietro, armi puntate. Aveva smesso di ascoltare le loro intimazioni di arrendersi urlate al megafono parecchio tempo prima.
Si trovava ora in una strada in cui, teoricamnte, avrebbero dovuto passare delle automobili. Realizzò con un certo ritardo che di automobili non ve n’erano più. Silver l’avea distratto per quei pochi minuti che erano bastati a far mutare la situazione.
Due aerei da combattimento lo superarono in volo, rombando.
Le persone che un attimo prima affollavano stupefatte i marciapiedi ora erano tutte rintanate dietro vetrine, porte e fineste. Gli ultimi ritardatari venivano trascinati dentro a forza. Alcuni soldati aiutavano le operazioni.
Stavano creando l’area per combattere, stavano facendo piazza pulita per poter aprire il fuoco a volontà. Alcune unità d’assalto, mecha con piloti umani, uscirono da alcune vie laterali. Probabilmente per rallentare il riccio.
-Hanno cominciato ad organizzarsi.- comunicò agli altri. –Stanno sgomberando le persone.-
Scavalcò il primo dei due mecha che gli si erano piazzati di fronte, schivò il secondo e … poi sentì lo sparo.
Non capì né chi avesse fatto fuoco né verso quale bersaglio, poiché lui non provò dolore e nepure vide esplosioni o altri segni che indicassero un fallito tentativo di colpire lui.
Con la coda dell’occhio colse un movimento alla sua destra. Le piastre che ricoprivano il muro di un centro commerciale alla sua sinistra si screpolarono, sbiciolandosi.
E poi Shadow perse il contatto con il suolo.
Il sottile, trasparente e praticamente invisibile cavo, teso da un lato all’altro della strada tramite la fiocina che era appena stata sparata, gli bloccò entrambe le gambe. D’istinto le mosse in avanti per prevenire la caduta, ma il cavo, fine ma duro come titanio, resistette. Non così accadde per le sue gambe. Il filo gli tagliò la pelle, i muscoli sotto e si conficcò nell’osso. La fiocina venne strappata dal muro, portandosi dietro una buona fetta di mattoni e intonaco, svellendo metà parete. Il mondo di Shadow si capovolse interamente e poi atterrò di testa, fece appena in tempo a portare le braccia davanti al viso, ben sapendo che sarebbero state inutili per parare una caduta da duecentocinquanta all’ora circa.
Riprese conoscenza un centinaio di metri dopo. Aveva la vista per metà offuscata, non si sentiva più la testa, la schiena mandava lampi, aveva le braccia spellate fino ai gomiti e delle gambe aveva perso ogni notizia. Ignorando i gemiti del collo, abbassò lo sguardo per controllare che fossero ancora tutte e due lì. Un secondo paio di tagli, parallelo al primo, si era unito alla sua collezione di segni rossi. Shadow imprecò quando realizzò che il cavo era rimasto conficcato nella ferita. Lo afferrò con entrambe le mani e lo strappò via, prima dalla gamba sinistra e poi dalla destra, stringendo i denti e sputacchiando imprecazioni. Potevano reggere il suo peso anche in quelle condizioni? C’era un solo modo per scoprirlo.
Quando si girò a pancia sotto per tentare di rialzarsi, si accorse di avere anche una costola rotta. O forse due. Riuscì comunque a rimettersi in piedi, non senza un paio di fastidiosi capogiri. Masticando un gemito e un’altra imprecazione, quando il dolore lo trafisse capo a piedi. Almeno pareva che le gambe reggessero. Si costrinse a regolarizzare il respiro. Si portò una mano alla fronte, sperando che il mondo smettesse di vorticare, e si asciugò il sangue che minacciava di colargli negli occhi.
Della ricetrasmittente non v’era più traccia.
Se l’era cavata relativamente bene, per essere inciampato a quella velocità contro il grezzo asfalto. Ma, più delle scorticature e dei tagli, gli bruciava l’essere caduto nella trappola come un principiante e di essersi fatto abbattere dal cavo per una sua stupida mancanza di attenzione. Il suo orgoglio reclamava vendetta sanguinosa e riscatto immediato.
Realizzò di avere un notevole numero di mecha e soldati piazzati ad entrambe le direzioni della strada. Una trentina a destra, una trentina a sinistra. Del resto, avevano avuto tutto il tempo di raggiungere le loro posizioni. Nell’area vuota al centro c’era solo lui. E una coppia di soldati, probabilmente avvicinatisi per controllare lo stato del riccio, ora voltati di spalle intenti a dileguarsi in tutta fretta, a ragion veduta. E poi c’era anche quell’altro, il tizio che aveva tenuto l’altra estremità della fiocina e che era stato trascinato faccia in avanti dalla spinta di Shadow insieme a gran parte della parete in cui l’uncino s’era conficcato, malconcio in egual maniera.
Il fiero riccio nero non impiegò più di un secondo a riconoscerlo e a coalizzare contro di lui il suo rinnovato malumore.
Teta ghignò, rialzandosi. Gli mostrò le zanne e ruggì, sfoderando gli artigli ricurvi, tra le dita stringeva ancora l’altra estremità del cavo.
Shadow gli resituì il sorriso, fece scrocchiare le nocche per poi unirle ostilmente nel gesto universale di “adesso te le suono!”.
–Questa sarà l’ultima volta che intralcerai la mia strada!-
 
 
Sonic deglutì. Un’altra voce s’era spenta nei suoi auricolari. Come se l’improvviso silenzio di Silver non fosse stato sufficientemente inquietante, ora ci si metteva anche Shadow!
Il riccio blu impallidì e, deglutendo, si chiese cosa fare. Sentiva quasi le gambe prudergli dalla voglia di correre dai due amici nei guai (perché solo un cataclisma ciclopico avrebbe potuto zittire a quel modo due combattenti formidabili come Shadow e Silver).
Ma, forse per la prima volta in vita sua, invece di partire a correre alla velocità del suono, rimase fermo a pensare. La prima cosa che la sua mente gli pose davanti agli occhi, oltre all’elenco scalciante di idee, ricordi rabbiosi e angosce di passaggio, fu il viso di Tails. Considerò dunque l’incolumità dei suoi compagni di squadra, sparpagliati per tutta la città. Considerò il loro piano d’origine e le eventuali conseguenze di una sua corsa imprevista. Sentiva le loro voci allarmate che gli ronzavano nelle orecchie ma lui non vi prestava troppa attenzione. L’unico che aveva l’effettiva possibilità di fare qualcosa per Shadow e Silver (ammesso che avessero davvero bisogno di aiuto) era lui. Nessun altro nel gruppo possedeva la sua rapidità di movimento, né poteva allontanarsi dalla propria postazione senza creare sbilanciamenti irriparabili per i loro fini.
Concluse di aver portato la sua manciata di soldatini ad una distanza tale da imporre loro una considerevole quantità di tempo per tornare in centro città e prestare eventuale soccorso ai ricercatori, che a breve si sarebbero trovati in spiacevole compagnia. Per quanto lo riguardava, dunque, aveva tolto di mezzo le truppe assegnatoli, cosa che si sarebbe rivelata inutile se Shadow non fosse riuscito a fare altrettanto con le sue. Ed era necessario che tutte le singole truppe fossero a distanza di sicurezza dalla Base Alpha per far sì che Espio, Rouge, Tails, Knuckles, Amy e il resto dei Chaotix ottenessero la possibilità di entrarvi senza doversi preoccupare di sconvenienti rinforzi esterni.
Sonic prese la sua decisione.
Sfoderò ogni sua stilla di carisma e si volse verso i suoi soldatini in marcia, a bordo di mecha, carri armati e altri veicoli più o meno esotici che avrebbero fatto andare in defibrillazione Tails.
-Signori miei, è sopraggiunto un problemino.- Tutto il pubblico a portata d’orecchio, principalmente ufficiali, concentrò su di lui l’attenzione. –Pare che abbiamo bisogno di me altrove. Posso perciò affidare a voi il difficile incarico di giungere al punto che già vi avevo indicato? Posso contare sulla vostra intraprendenza e buon senso per continuare a marciare fino al punto stabilito?-
Sonic notò una qualche occhiata perplessa e qualche fronte aggrottata ma i cenni affermativi e gli sguardi d’intesa furono la maggioranza. Scambiò un ultimo cenno d’intesa, un ultimo gesto d’incoraggiamento e corse con il suono, via da lì.
Nell’animo del riccio, la fastidiosa scintilla di senso di colpa lo punzecchio ancora un poco, nel profondo della coscienza. Proprio non era abituato a mentire, e tutto il suo essere si ribellava selvaggiamente all’idea di sfruttare a quel modo la fiducia che la gente riponeva in lui.
E quella fiducia era una delle cose a cui teneva di più. C’era ben poco altro che avesse per lui un tale valore. Era per quelle persone, per quegli occhi e per quei sorrisi che lui si alzava ogni mattina. Ogni robot distrutto, ogni piano di Eggman infranto, ogni minaccia respinta a calci era per loro.
Forse per la prima volta, Sonic si trovava deliberatamente ad approfittare di quel prezioso sentimento, ingannandolo e imbrogliandolo, giocando sul fatto che quegli uomini gli avrebbero creduto nonostante tutto. Al di fuori della portata dei sistemi di comunicazione, dovevano scegliere tra le direttive dei loro capi e le parole di Sonic, tra lealtà e fiducia, avrebbero scelto fiducia. Mal riposta, in quel caso.
Ma è per il loro bene, si disse. Eppure, dopo la centesima volta quella misera frase aveva perso gran parte del suo fascino.
La sensazione di non meritare più quegli sguardi, né in quel momento né in quelli futuri, non si staccò dalla spina dorsale del riccio quando questi partì a corsa, dopo qualche ultima parola di incoraggiamento. La loro fiducia ora gli pesava nel petto, tanto da minacciare gli spiacciargli il cuore.
Eppure, nonostante tutto, lo sgomento di sentire le voci delle persone che amava spegnersi era anche cento volte più indigesta.
Come una bolla di sapone scoppiata, ridivenne cosciente della situazione all’esterno del suo cranio. Improvvisamente riprese consapevolezza dei commenti radio dei suoi compagni, quelli che restavano almeno. Udire le loro parole e le preoccupazioni per i loro due più potenti alleati e amici, diede una scossa a Sonic che riuscì a rappacificare mente e cuore: aveva fatto la cosa giusta.
Preferendo evitare l’eterno questio sul fine che giustifica i mezzi o meno, si concentrò sulla sua corsa e sull’imminente salvataggio.
Se un attimo prima s’era sentito allontanare dal suo adorato ruolo di “eroe senza macchia e senza paura”, ora vi si ritrovò avviluppato: stava andando a salvare i suoi amici, dopo tutto! …anche se uno dei due l’avrebbe accolto a suon di insulti e imprecazioni, se non a calci, per non aver seguito il piano alla lettera per l’ennesima volta.
Sperò solo di ricordarsi le sue salde motivazioni quando la Forma di Vita Definitiva l’avrebbe spedito in ospedale per davvero. E il mondo avrebbe avuto la prova lampante che chi passava sotto gli artigli di Shadow e aveva la fortuna di finire al sanatorio e non all’obitorio, non avrebbe mai e poi mai avuto la bella cera che ora Sonic poteva ostentare.
Ben presto, la velocità del riccio seminò pure i pensieri, oltre che i suoni del mondo. Ogni grammo di concentrazione di Sonic andava speso per tener sotto controllo il panorama che gli sfrecciava attorno follemente, talmente rapidamente che nemmeno il fruscio del vento nelle orecchie riusciva a raggiungere il timpano, veniva semplicemente lasciato alle spalle, insieme a tutto il resto.
Ogni sassolino, ogni radice, ogni moscerino non poteva venir ignorato se non con gravi conseguenze. Sonic correva, il mondo pareva rallentato fin quasi all’immobilità, l’unica cosa che ancora era dotata di movimento era il suono, fosse esso prodotto da Sonic stesso o dal resto del creato.
Che gli credessero o meno, sbagliare strada quando ci si spostava a quattrocento e passa all’ora era anche fin troppo facile, specialmente in città. Un battito di ciglia (perché bisognava pur batterle ad un certo punto) e l’uscita laterale che ti serviva si ritrovava ad un paio di centinaia di metri più in dietro. E buona fortuna a ritrovarla!
Un respiro e due isolati lasciati alle spalle. Un altro respiro ed erano diventati sei isolati. Una piega a destra, la pressione che lo strattonava all’infuori, come ad invitarlo ad allagare la curva, tutti gli aculei piegati da un lato … e due interi quartieri erano passati.
Zigzagò tra le automobili in strada, con conseguenti sballottamenti gravitazionali. Un inspiegabile crampo ad un muscolo con terrificante lo costrinse a vorticare follemente le braccia per non finire faccia in avanti contro l’asfalto. Ripreso l’equilibrio, schiavatò di un nulla un bidone dell’immondizia. Fece giusto in tempo a trarre un sospiro di sollievo che la strada percorsa nella durata di quel breve respiro coprì la distanza equivalente a ben tre isolati.
Realizzò con un lampo di angoscia di trovarsi decisamente fuori rotta. Ricacciò indietro l’attacco di frustrazione ed estrasse a fatica la mappa elettronica di Tails, combattendo contro il vento che voleva strapparla via e cercando al contempo di controllare la direzione di marcia. Comprese che forse era meglio fermarsi e basta: correre in pieno centro cittadino a quella velocità consultando la mappa avrebbe potuto comportare un buon numero di incidenti. 
Impiegò più tempo di quanto gli piacesse ammettere per riuscire ad orientarsi nel nugulo di linee, puntini e frecce lampeggianti della mappa. Dopo un’eternità e mezza, riuscì a localizzare la posizione di Shadow, che di certo non si stava impegnando per rendersi più raggiungibile. Non era particolarmente distante, solo un quartiere più a Nord. Il puntino rappresentante Silver scintillava ad una certa distanza rispetto alla posizione di Shadow e di Sonic.
Sonic si spalmò una mano in faccia. Si diede del cretino per non aver pensato fin da subito che gli amici da salvare erano due e che non si trovavano nello stesso punto. Altro attacco di panico e frustrazione. Dovette fronteggiare LA scelta: da chi andare? Non v’era dilemma più lacerante di quello, per lui.
Con la consapevolezza dei prezioni secondi che scivolavano via inesorabilmente, la pressione sui suoi pensieri si decuplicò. Una serie di ragioni più o meno inconcludenti si accavallavano tra i suoi surriscaldati neuroni, creanco ancor più confusione. Una tra queste gli sembrò più valida delle altre: Shadow era più vicino alla sua posizione, dunque era considerabile l’idea di dirigersi prima da lui e controllare se fosse effettivamente necessario un soccorso e, in caso contrario, correre da Silver il più presto possibile. Una prepotente controtesi si fece largo tra i pensieri del riccio: Shadow non aveva praticamente mai bisogno d’aiuto.
Riprese a correre con meno convinzione, sperando che la scelta fatta fosse quella corretta. Sbagliò strada di nuovo, tornò indietro e si costrinse a tornare presente a sé stesso acelerando la corsa. Svoltò l’angolo in piena velocità e senza preavviso alcuno si ritrovò improvvisamente circondato da unità da guerra. E, come sempre, non c’era lo spazio fisico per riuscire a frenare. Fece anche l’impossibile per non schiantarcisi contro: guizzi, contorsioni, capriole, rotolamenti vari, salti più o meno mortali. Riuscì miracolosamente nell’intento. Abbassò la guardia per congratularsi con sé stesso, una frazione di secondo che fu sufficiente. Travolse per poco un ringhiante riccio nero intento a prendere a pugni un lupo cyborg anche più ringhiante.
 
 
 
Sull’ala destra c’era scritto: IOTA597. Da quel che ne capiva lui, doveva essere una delle creature degli scienziati. Silver trattenne a stento un’imprecazione mentre l’esperimento genetico batteva le poderose ali, volandogli attorno a cerchio, tenendolo sott’occhio e sotto tiro.
Se del rapace aveva l’atteggiamento, del rapace aveva anche l’aspetto. Lunghe penne lanceolate di color oro screziato gli ricoprivano quasi l’intero corpo, fatta eccezione per le zampe, gli occhi, il becco accuminato e l’ossatura delle ali, che scintillavano di freddo metallo.
Gli avevano prolungato gli artigli, rendendoli un set di sciabole pronte ad affettare. Gli occhi erano schermati da una mascherina, o forse da occhiali da pilota, appoggiata sul becco tagliente, con tutta una serie di lucine intermittenti oltre le lenti. Gli avevano rinforzato le ali, corazzandole con piccole placche metalliche che parevano essere state affilate come rasoi, conferendo ad esse la dupplice funzione difesa-offesa, oltre che di semplice propulsione.
Per un qualche strano motivo, l’uccello cibernetico non sembrava risentire del peso. Continuava a muoversi con eleganza, frustando l’aria con le penne.
Aveva una lunga coda biforcuta, come quella di una rondine. Forse, Iota597 era un nibbio.
Silver ancora cercava di identificare la strana massa grigiastra che il pennuto aveva ancorata sulla schiena ma non ebbe tempo di perdersi in altre osservazioni perché il rapace decise di averne abbastanza. Spalancò il rostro e cacciò un grido tremento, aprì le ali e attivò la componente meccanica che portava sulla schiena.
Silver non era pronto per quello. Non si aspettò dunque il vertigginoso scatto da parte del nibbio attuato grazie al jet-pack. Come se le ali non fossero state sufficienti!
Il cyborg direzionò con maestria il volo, spalancò la coda biforcuta come un ventaglio e pilotò con agilità il proprio movimento. Compì davanti al riccio una curva in verticale da centottanta gradi per poi rigirarsi di schiena e piombargli addosso dall’alto, in picchiata, artigli protratti.
Silver evocò il suo scudo più lentamente di quanto gli sarebbe piaciuto. Quello scatto incredibile pareva avergli negato per qualche secondo l’abilità di reagire. Così si ritrovò con otto lame conficcate nella sua barriera, a pochi centimetri dal suo naso.
Il nibbio gridò ancora, frustrato. Sfilò le lame dalla barriera e riprese le distanze per preparare un nuovo assalto. Attivò di nuovo il jet-pack e saltò nuovamente addosso al riccio da sopra. Silver lo afferrò con la sua aura azzurra, strattonandolo di lato, ma l’avversario non si lasciò demoralizzare dallo sbalzo di quota. Utilizzò lo slancio infertogli dal riccio per riacquistare velocità e sgusciare via dalla presa luminescente di Silver. Piegò verso l’alto, si rivoltò a mezz’aria e ridiscese in picchiata. Silver schivò, spostandosi di lato. Il nibbio direzionò le ali e la coda per flettere la propria direzione e finirgli addosso un’altra volta, da dietro, ma il riccio non glielo lasciò fare. L’aura azzurra si condensò sul dorso di Iota e Silver giocò con la gravità acelerando ancor di più il volo del cyborg e facendolo precipitare ben più in basso della propria altitudine, togliendo sé stesso dalla traiettoria del falco.
Il nibbio, diversi piani di grattacielo più in basso, lanciò un altro grido belligerante e sbattè le ali, risalendo a cerchi verso Silver che intanto si spremeva le meningi per cercare un modo di toglierselo di torno. Iota lo raggiunse a breve ma mantenne stranamente le distanze. Rimase a galleggiare attorno al riccio per poi cominciare a volargli attorno, studiandolo. O così almeno credeva Silver.
Dalla punta delle ali, dove il metallo lasciava il posto alle penne, uno strano gas rosso venne emesso, come una polvere fine o come una nube. Il nibbio battè le ali e quella sostanza ne seguì il movimento, spandendosi tutt’attorno in volute sanguigne. Iota terminò il giro per poi compierne un secondo in verticale e intrappolando Silver al centro della sfera cremisi.
Tutto ad un tratto, al riccio pareva di dover fronteggiare una fenice dalle ali infuocate, più che un falco cibernetico. Per ogni evenienza, tenne lo scudo pronto visto lo spiacevole aspetto della misteriosa sostanza appena rilasciata. Non attivò immediatamente la barriera, la serie di scontri precedenti lo aveva stancato più di quanto fosse opportuno. Sperava di riposare per qualche secondo, visto che la situazione sembrava più statica rispetto a poco prima.
Iota gracchiò prima di sbattere freneticamente le lunghe ali scatenando il caos più assoluto nelle particelle scarlatte che aveva liberato. Silver, osservando sgomento quel vortice sanguigno tutto attorno a lui, eresse all’istante la sua barriera, senza più tergiversare. Una particella, più rapida delle altre, fece a tempo a superare la guardia del riccio e a posarglisi su di un braccio. Se del fuoco aveva l’aspetto, del fuoco ne aveva le caratteristiche.
Silver urlò, afferrandosi il braccio con la mano, stordito dall’inspiegabile e improvviso dolore. Sembrava che una brace incandescete gli fosse stata messa sulla pelle, o se una goccia d’olio bollente lo avesse ustionato. Quello era l’effetto di una singola particella?! E lui ne aveva attorno a milioni! Stringendo i denti, non osò pensare a cosa gli sarebbe successo se avesse inalato quella roba.  
Oltre la coltre di rosso dolore gassoso, intravide Iota, il nibbio, che ghignava soddisfatto, come se avesse appena cominciato a giocare.
Capì di essere in guai più seri del previsto. E di doverli affrontare completamente da solo, visto che la ricetrasmittente andata perduta nel prmo assalto del nibbio e che con essa s’era dileguata ogni possibilità di soccorso.
Strinse i denti.
Il riccio solidificò lo scudo e con uno scatto schizzò fuori dalla nube rossa. Sentì la sostanza chimica premere e ustionare le sue difese, logorandole poco a poco, ma non ebbe particolari difficoltà a librarsi oltre la coltre cremisi. Lasciò crollare lo scudo, ormai danneggiato e ne preparò un secondo seppur lasciandolo inattivato. La quantità di sforzi che quel combattimento gli stava richiedendo diventava sempre più ingente. Continuando con quel ritmo, Silver avrebbe dovuto ben presto cercare un tetto di un palazzo su cui posarsi e riprendere fiato. Con un certo orrore, osservò il vento dissipare le particelle ustionanti, seminandole tra i palazzi e soffiandole ovunque. Silver sperò che la gente in strada non ne rimanesse troppo intossicata. Ma non era il momento delle distrazioni, quello. Era opportuno tenere lo sguardo fisso sull’infido volatile.
Il nibbio accennò a ricominciare il suo volo circolare ma Silver ne aveva abbastanza. –Vuoi il dolore, eh? Bene, ne avrai!-
Era un movimento regolare, quello di Iota, e il riccio bianco non fece fatica ad ipotizzarne la traiettoria. Così gli evocò davanti al becco una solida barriera. Invisibile, ovviamente.
Il pennuto vi si schiantò contro con un gemito, completamente preso alla sprovvista. Una nuvola di piume e penne si liberò dal rapace, la cui posizione non avrebbe potuto essere più scomposta e comica di quella.
Silver gli puntò un dito contro. –Più che un falco mi sembri un piccione, amico mio. O forse un pollo. Ma sei proprio sicuro di saper volare?- Spalancò le braccia. –Meglio che tu tenga gli occhi ben aperti, se hai intenzione di svolazzarmi attorno come una mosca. L’aria non sarà tua alleata.-
Finì la frase e capì nello stesso istante dove stava il punto debole di quella strategia: la nube rossa di Iota, sembre unita alle sue ali, era premuta contro la barriera invisibile rivelandone con fin troppa lampanza la posizione e la forma. Il riccio sgretolò il muro d’aura, lasciando cadere il nibbio stordito. Bene, si disse. Avrebbe puntato tutto sulla rapidità del “crea e distruggi”, la sua personale modalità della più comune tattica “tappa e fuggi”. Avrebbe creato e distrutto barriere, mai lasciandone due nello stesso punto.
Poco più sotto, Iota si riprese dalla botta. Gridò rabbioso e si stabilizzò, arrestando la caduta.
L’entusiasmo di Silver per aver trovato una strategia efficace andò a farsi benedire quando dalle ali del cyborg, diversi metri più in basso, vide uscire altro fumo, verde acido questa volta.
Il sorriso gli morì sulle labbra. –Sei pieno di sorprese, vedo …-
 
 
 
-Ma dove stai andando?- più che una domanda pareva un ringhio. Wind si accostò al volo della gabbianella, guardandola a metà tra il preoccupato, lo spaventato e il frustrato.
Era ancora scossa, ovviamente. Sbatteva le ali in modo irregolare, talvolta addirittura asimmetrico. Tra un singhiozzo e l’altro perdeva quota per poi riguadagnarla, tagliando o scontrandosi con le correnti invece di cavalcarle.
Lei si voltò ancora una volta verso il basso, con occhi angosciati, a controllare. Lo scorpione li stava ancora inseguendo, correva sulle facciate dei palazzi e dei grattacieli, talvolta saltando da uno all’altro sfruttando cavi del telefondo, stendini o insegne. Teneva quegli occhiacci senza anima puntati su di loro e le otto zampe gli fornivano senza dubbio un ottimo servizio motorio.
Aveva ancora la coda sudicia di sangue.
L’unica tattica che aquila e gabbiano erano riusciti ad escogitare era quella di rimanere in alta quota, senza mai posarsi o scendere. Ed ora le forze, già decimate dallo spavento e dall’orrore, cominciavano a venir meno in modo sempre più lampante. Tragicamente, lo scorpione pareva averlo notato e i suoi sforzi si erano triplicati.
Shell tirò su con il naso e guardò il suo fidanzato. –Da Sonic e gli altri.- rispose. –Sono gli unici che possano sconfiggere quel …coso!-
Wind scrollò il capo. –Ma non hai idea di dove si trovino! Stiamo girando a vuoto!-
-Hai forse idee migliori?-
Il fatto che loro, i ricercatori, avessero appena deliberatamente messo a tacere la buona, vecchia Emma non era un dubbio. L’unica incognita era chi fosse, o meglio, cosa fosse il sicario. Uno scorpione … per metà meccanico?
Centro di ricerca biotecnica … Shell continuava a chiedersi se davvero esistevano persone che volontariamente si rinchiudevano in un laboratorio per dar vita ad abomini del genere. Se davvero quella gente fosse arrivata a tanto. Quale mente malata aveva ideato ciò? Per qualche scopo? E, soprattutto, ora il loro nemico senza volto aveva assunto un’identità tutta nuova: non più solo la “malvagia associazione che giocava con la genetica”, come aveva letto e imparato nelle sue ricerche con i Chaotix, bensì una “fabbrica di soldati e assassini più o meno sotto controllo”.
Abbassò lo sguardo verso l’aracnide. Chi aveva deciso di distorcere così la vita e creare un essere destinato ad un’esistenza di dolore e oscurità?
Ancora una volta, si domandò cosa volesse gente del genere da Shadow.
L’immagine del corpo penzolante di Emma le balzò davanti agli occhi, facendola rabbrividire di nuovo. Il volto contratto della donna, lo sgomento e il dolore che le avevano stravolto gli occhi, la bocca spalancata che annaspava in cerca d’aria, ormai inutile per un paio di polmoni squarciati, la rossa vita che le gocciolava via di dosso ... Rabbrividì e serrò con forza gli occhi. Avrebbe dovuto convivere con quello spettro per il resto dei suoi giorni? Sì, probabilmente sì. Emma cara, riposa in pace … Altre lacrime le inzupparono le piume già bagnate delle guance.
-Shell, guarda là!- richiamò la sua attenzione Wind. La gabbianella dall’animo ghiacciato alzò faticosamente gli occhi, puntati da troppo tempo sulle strade sottostanti nella remota possibilità di vedervi passare un riccio blu, o forse nero.
L’aquila le fece cenno con la testa. Alla loro sinistra, in lontananza, tra i palazzi e sopra i tetti una bizzarra nube rossa faceva capolino nel grigiore della città. Una seconda chiazza, verde questa volta, si poteva intravvedere appena sotto. Da essa provenne un guizzo, una scia verde limone si staccò dalla massa e si avventò verso un puntolino azzurro, che scartò di lato per poi perdere quota all’improvviso.
I due si scambiarono un’occhiata.
-Cos’è quello?- domandarono entrambi. Osservarono ancora un po’ la nube verde che si rivoltava come una vipera, tagliando e smembrando la coltre rossa nel tentativo di agguantare il puntolino azzurro.
Valutando cosa fare, controllarono la posizione del sicario semi-meccanico. Lo trovarono in cima ad un palazzo, completamente immobile, come in ascolto. Lo videro fremersi, guardarsi attorno, per poi girare sui tacchi e invertire la marcia, scomparendo dalla loro vista.
Di nuovo, i due volatili si guardarono, anche più confusi di prima. –Se … se n’è andato?- osò domandare Shell.
Nessuno dei due, però, si azzardò a posarsi su un tetto. La prudenza non è mai troppa.
A cavalcioni di una corrente ascenzionale, rimasero a galleggiare e osservare il bizzarro fenomeno che si stava svolgendo a qualche isolato di distanza da loro, valutando se scappare o rimanere. Se una stranezza come quella sbucava improvvisamente dal nulla, c’era una buona possibilità che nei dintorni ci fosse Sonic e banda. E loro due in quel momento avevano un disperato bisogno di avere dei combattenti validi dalla loro parte. Non avere più sott’occhio l’aracnide di metallo era fin quasi peggio di prima. Eppure, l’idea di avvicinarsi a quella nuvola innaturale e rimanere magari immischiati in una qualche battaglia non era poi molto più allettante.
-Non ci avviciniamo, vero?- sussurrò Shel, come spaventata all’idea di distrarre la nube e il puntolino azzurro ed attirare così l’attenzione su di loro. Non avevano la certezza che Sonic o gli altri fossero là, e lo spettaccolo, per quanto variopinto, non era rassicurante. Affatto.
-Neanche per sogno!-
-Dici … che quella cosa laggiù c’entri con … lo scorpione? Con l’associazione di ingegneria genetica?-
Wind ci pensò su, con i muscoli che ormai gli dolevano per esser rimasto in aria tanto a lungo trasportando la sua consorte per quasi tutto il tempo. –Non saprei. Forse. Anzi. Sicuro.-
C’erano dei colpi di luce azzurra, bagliori intermittenti tra le spire della nube verde. A Shell tornò in mente il riccio bianco azzurro che avevano incontrato poco prima. Che fosse…?
Un guizzo verde scattò verso il cielo, ricadde in picchiata e quel verde innaturale divenne blu.
-Ha cambiato colore.- osservò Wind. –Chissà perché non sembra un buon segno …- ringhiò.
E la scia blu parve colpire in pieno il puntolino azzurro che annaspò e perse quota. Il verbe e il blu intrecciarono le loro spire e il puntolino decise bene che era giunto il momento di togliersi di mezzo. Con un notevole scatto, l’aura azzurra sfrecciò via, lasciandosi alle spalle la nube arcobaleno. Del rosso non rimanevano che rari batuffoli, il vede stava lentamente sfumando via e il blu stava conquistando il campo di battaglia. La nube color mare si gettò all’inseguimento del puntolino, quello cambiò improvvisamente direzione e venne incontro a Shell e Wind.
I due fecero per richiudere le ali e lanciarsi in picchiata per togliersi dalla sua traiettoria ma l’aura azzurra, ora visibilmente con un mobiano all’interno, cambiò repentinamente direzione senza nessuna ragione particolare, sempre con la scia di gas blu all’inseguimento. Schizzò via, si piegò verso destra escludendo i due volatili dalla sua traiettoria. Se quello era stato per caso un tentativo di seminare la creatura alata che creava la nube non fu affatto efficace, poiché la curva eseguita non fece altro che rallentare il volo del mobiano con gli aculei e accorciare la distanza con l’inseguitore. Era una mossa palesemente stupida e difatti il mobiano alato raggiunse e superò il puntolino azzurro. E la nube blu era diventata viola.
Shell vide per certo due cose. Primo, il mobiano con l’aura, che era sicuramente il riccio bianco di prima, aveva entrambe le mani premute sugli occhi, cosa che avrebbe spiegato il suo movimento erratico. Secondo, il mobiano della nube era fatto per metà di metallo, come lo scorpione, e lei lo vide chiaramente chiudere le ali ricoperte di viola e sfregarne insieme le estremità fino a generare una scintilla.
Tutto il gas color prugna si incendiò come benzina, il fuoco inghiottì il riccio bianco e il cielo. E proprio per via dell’improvviso rosso, il blu della nube precedente venne messo in risalto, e Shell realizzò che era dannatamente vicino. Troppo vicino.
Mimetizzata contro il cielo, la coltre blu li aveva raggiunti, sospinta dal vento e dall’inerzia, mentre loro due erano distratti a guardare il resto della battaglia. Li aveva raggiunti, e la brezza l’aveva sparsa sopra le loro teste, come le maglie di una rete granulata.
Una seconda scintilla incendiò un’altra scia viola, la detonazione scaraventò il riccio bianco verso il bassso. Il fuoco fece risaltare ancora di più il blu del gas. Shell, tra i boati delle vampate, udì appena Wind che urlava. –Giù!-
Lo vide chiudere le ali e gettarsi in picchiata, con le prime particelle blu che gli si attaccavano alle penne del dorso e della coda, ma lei non fu altrettanto fulminea. Lo seguì, certo, ma un secondo di ritardo fu sufficiente. L’ondata di calore la sbilanciò a tradimento, la fece rallentare leggermente e il gas blu la colpì agli occhi.
La reazione fu istantanea: una bruciante irritazione le accecò entrami gli occhi e un mare di lacrime le annegò la vista. Un … lacrimogeno?
E lei stava scendendo in picchiata! La sola idea le fece perdere definitivamente ogni orientamento.
Senza avere la più pallida idea di dove fosse, a che altitudine, e di quali ostacoli si parassero davanti a lei, Shell spalancò le ali e rallentò la caduta. Sbattè le ali freneticamente, tanto forte da strapparsi perfino alcune penne, ma almeno ora era ferma. Si asciugò gli occhi, provò a asciugare le lacrime con la manica ma altre sopraggiunsero e annacquarono il volto agonizzante di Emma. Singhiozzò, mentre la paura le stritolava lo stomaco.
Shell si ritrovava a galleggiare a mezz’aria, volando sul posto, soggetta ad uno sforzo alare non indifferente, accecata e senza la più pallida idea di cosa o chi la circondasse né dell’altitudine a cui si trovava, dunque dove fosse il suolo né quanti semafori, cartelli e automobili la separavano dalla salvezza. Il panico le azzannò la gola e, per la prima volta in vita sua, le vennero quasi le vertigini. –Wind!- urlò con tutto il fiato che aveva in gola. –Wind!-
 
 
-Razza d’idiota! Cosa ci fai qui?!-
Sonic non fu sicuro se il calcio che seguì fosse davvero indirizzato a Teta, che era balzato prontamente di lato, lasciando la testa di Sonic in piena traiettoria. Di sicuro, Shadow non fece niente per provare a fermare il proprio attacco, lasciò beatamente che Sonic saltellasse via come una gazzella.
Altrettanto certo era che Shadow si stava trattenendo dal ricoprirlo d’insulti solo per via dei Mecha e dei soldati che avrebbero potuto accidentalmente sentire qualcosa, o capire parte del loro piano.
Spostatosi a distanza di sicurezza, controllando le mosse del lupo-cyborg, il riccio blu fece spallucce. –Mi eri sembrato un pochetto in difficoltà, prima, e aiutarti a “finire i preparativi” mi sembrava buona cos…-
-Io non ho bisogno di aiuto! Men che meno del tuo.- ringhiò tra i denti Shadow, scattando avanti verso Teta. Il lupo sfoderò gli artigli e corse incontro al riccio nero. Gli artigli tagliarono l’aria pochi centimetri sopra la sfera rotante di spine che era diventato Shadow. Il riccio rimbalzò, atterrò alle spalle del lupo e gli assestò un calcio alla nuca con precisione allarmante.
Sonic piegò la testa di lato. –Sicuro? Non mi sembri … in ottima forma, se posso permettermi.- poi aggiunse sussurrando. –E mi riferisco a tutto quel sangue, sai...- L’imprecazione furiosa di Shadow lo zittì.
Teta rotolò a terra con un uggiolio, rotolò su sé stesso come un gatto e fece per rialzarsi. Incrociò le braccia e parò un secondo attacco di Shadow, torse i propri polsi e tentò nuovamente di graffiare il riccio.
-E cosa ti fa pensare di “poterti permettere”?-
Sonic spostò il peso da una gamba all’altra, con fare scherzosamente pensoso. –Evidentemente, ho fatto male i conti … e io che avrei anche potuto andare ad aiutare Silver e invece sto sprecando il mio tempo con la tua ingratitudine!-
Shadow s’era dovuto flettere all’indietro per evitare il fendente di Teta. Il lupo ruggì, spostandosi in avanti approfittando dell’invisibile sbilanciamento di Shadow. I denti del cyborg schioccarono ad un niente dal petto del riccio. Shadow si diede una spina con le gambe, volò indietro in capovolta, atterrando con le mani e con un ultimo colpo di reni riportò i piedi saldamente a terra. Teta era già alla carica un’altra volta.
Sonic si controllò le unghie di una mano, con fare annoiato. –Dunque, se proprio non hai bisogno di me io andrei da Silver…-
Intanto, una seconda ondata di Mecha si avvicinava lentamente ai due combattenti, caricando le armi e scavalcando con cautela gli ammassi ferrosi dei robot precedenti, toccati da un triste destino prima che il riccio blu facesse capolino sulla scena.
Sonic si guardò intorno con disinvoltura, e quando incrociò quasi casualmente lo sguardo furente di Shadow un sorriso gli piegò le labbra. Punzecchiò alla sua controparte a strisce un’ultima volta. –Allora?-
Il riccio nero sferrò un altro calcio a Teta, che lo fece volare indietro. –Non mi sentirai dire quelle parole. Puoi anche arrenderti e andare da Silver.-
Il ghigno di Sonic si allargò, facendo scrocchiare le nocche. –Bene, allora!-
Dopo essersi concesso esattamente due minuti di inattività, spesi per convincere la Forma Definitiva che l’intervendo dell’Eroe era stato spiacevolmente necessario, Sonic entrò definitivamente in azione.
Forse, quello era il momento che aveva davvero aspettato dall’inizio di tutta quella faccenda: combattere apertamente al fianco di Shadow. Lasciar che il mondo vedesse che loro due erano alleati. Per Sonic, quello fu come il primo passo verso la rivelazione della verità.
Dalla fronte corrucciata di Shadow, però, si poteva intendere che il momento tanto atteso da Sonic non possedeva lo stesso fascino per lui. I suoi occhi s’erano oscurati, una sorda preoccupazione si agitava sotto la superficie. Le iridi di rubino volarono dai soldati, ansiosi di verificare le loro reazioni.
Lo sbalordimento aveva paralizzato tutte le unità: il loro amato Eroe e il loro odiato Nemico che combattevano insieme, con un terzo incomodo, sconosciuto, mai visto prima ma che aveva quasi steso la Forma di Vita Definitiva. Ma, si chiese Shadow, … quanto “sconosciuto”?
 
La serenità era una delle caratteristiche primarie di Sonic, al pari dell’ironia e della lingua tagliente. La serenità, a braccetto con l’ottimismo, non abbandonavano la peste blu nemmeno nelle battaglie più difficli. Mai Shadow la vide disintegrarsi così in fretta.
Sonic fece giusto in tempo a scagliarsi una volta contro Teta con un solido Spin Dash, ma poi lo scorpione bionico gli saltò addosso dall’alto, chele protratte in avanti per afferrare e tranciare. Sonic aveva reagito anche prima di capire cosa fosse successo, era rotolato via e, quando si voltò per identificare l’assalitore, Shadow gli vide morire in volto tutta la sua serenità, il suo ottimismo e la sua benevolenza in un colpo solo. Il mutamento repentino lo preoccupò tanto da fargli quasi scordare il risentimento per l’avventatezza della sua egocentrica controparte blu.
Zeta si stiracchiò sulle zampe, fece schioccare le chele e le mandibole e poi assunse la sua posizione di battaglia, sventolando il pungiglione. Grondande di sangue per metà secco.
Il mostro che aveva quasi ucciso Tails ora si trovava esattamente di fronte a Sonic, con un rosso ricordo in bella mostra lungo la coda sudicia.
Shadow potè vedere la lucidità abbandonare la mente di Sonic con la chiarezza con cui avrebbe potuto vedere calare il sole, e potè anche ipotizzarne il motivo: l’ultima volta che avevano visto quella coda, c’era il sangue di Tails sopra. Anche se probabilmente quello che vedevano ora non apparteneva al volpino, per Sonic non faceva alcuna differenza.
Shadow imprecò a mezza voce: quello non era affatto il momento adatto per la vendetta … ironico che fosse proprio lui a dirlo. Avevano un piano, avevano poco tempo, erano già in ritardo (per colpa dell’intervento di Teta) e fermarsi per fare a pugni non era senza dubbio il modo migliore per completare il loro obiettivo primario, cioè distrarre e allontanare le unità militari. Dopo il chaos interplanetario che si sarebbe scatenato quel giorno, non v’era certezza di una seconda occasione per colpire al cuore i ricercatori e smascherarli.
Shadow sbuffò. Finiva sempre così, nel lavoro di squadra: l’efficienza andava a farsi benedire regolarmente. E lui stava facendo quasi l’abitudine a rimediare ai disastri o ai rallentamenti degli altri, specialmente nelle ultime settimane. Non che la cosa gli facesse piacere, tutt’altro.
Scoccando un’occhiata ai Mecha attorno a loro, immobili e in attesa di ordini, pronti ad intervenire, Shadow teletrasportò sé stesso, i due cyborg e il riccio blu a qualche via di distanza dal luogo esatto in cui avrebbe dovuto condurre le truppe, fornendo così a Sonic la privacy per il suo scontro e dando alle unità belliche tutto il tempo necessario per solcare con le proprie gambe la distanza rimanente e giungere in posizione, completando così la sua parte di responsabilità nel loro piano originario.
Filamenti di spazio e tempo scivolarono addosso a loro e ai due cyborg, per poi riprendere forma condensandosi in una piccola piazza secondaria, incassata tra tristi vetrine di negozietti dimenticati da tutti. L’unico passante corse via, terrorizzato dalla luce abbagliante del Chaos Control.
Sonic, denti serrati, non si accorse quasi nemmeno del cambio di scenario. Con un ringhio in gola, scatto contrò lo scorpione. –Tu! Tu hai quasi ucciso il mio fratellino!-
Teta fece per sfrecciare a sua volta verso il riccio blu ma un calcio di Shadow lo placcò. Non avrebbe interferito.
Mentre Teta rotolò indietro e Shadow assumeva la sua posizione d’attacco, il riccio nero pensò che fosse buona cosa prendere la radiolina di Sonic e comunicare agli altri gli sviluppi. Informarli che due delle cavie da laboratorio erano state sguinzagliate, in pieno centro cittadino, assetate di sangue. E che le truppe affidate a Shadow sarebbero state in posizione in una manciata di minuti.
Tre svolte dopo, dietro l’angolo, una piazza tre volte più grande di quella scintillava al sole, con la sua fontana a forma di ballerina in pietra.
 
 
 
 
 
Silver atterrò di schiena. L’urto gli svuotò completamente i polmoni e sgretolò gran parte dell’asfalto, sotto la sua spina dorsale. Il dolore gli esplose dentro il cranio e con estrema fatica riuscì appena a riprendere contatto con le proprie membra. La pelle bruciata formicolava terribilmente, ogni osso tremava e i muscoli sembravano come essersi ridotti ad un budino.
L’ultima esplosione causata dal fumo viola lo aveva scaraventato con violenza inaudita a terra, le sue forze psichiche prosciugate non avevano potuto aiutarlo in alcun modo. Era stata una gara di resistenza, più che un duello aereo: le ali e il jet-pack del cyborg erano state decisamente più efficaci e meno stancanti del metodo di Silver per volare. Ogni singolo attacco del nibbio era stato vibrato con lo scopo di sfinire e indebolire l’avversario, che si era ritrovato ben presto senza forze, dunque inerme.
Gli occhi di Silver erano ancora accecati dal gas blu lacrimogeno, il mondo si presentava a lui come una distesa di macchie nere e grigie intermittenti. La disperata urgenza di alzarsi per controllare dove fosse il suo nemico fece a pugni con il dolore lancinante che lo costringeva all’immobilità.
Respirando a fatica, con le costole troppo vicine ai polmoni, riuscì a raggranellare l’energia sufficiente per uno scudo.
La barriera vibrò, nell’aria. Silver sentì palpitare una sensazione di sicurezza, una magra difesa che …
Dieci artigli lunghi come spade trafissero l’aura azzurra, sbriciolandola come vetro.
Tutti i muscoli di Silver si contrassero, l’angoscia stritolò ciò che rimaneva del suo stomaco e d’insinto portò entrambe le braccia doloranti davanti al volto, inutile tentativo di farsi scudo.
Le dieci spade proseguirono la loro corsa e si conficcarono a terra, tra gli arti di Silver, senza però ferirlo. Dieci lame avevano imprigionato il riccio argenteo a terra, come un lanciatore di coltelli avrebbe potuto immobilizzare la sua aiutante contro un muro, costringendola in un’area dettata dal metallo tagliente. Iota era appollaiato sui suoi artigli a spada concentrati attorno al torace della sua preda accecata. Le penne frusciavano dolcemente al vento.
Poi Silver udì il sibilo del gas che fuoriusciva dalle ali del suo avversario e il mondo, per lui, si fermò. Il panico gli congelò il cervello, l’angoscia gli serrò la gola e ogni singola fibra del suo essere parve rivoltarsi ferocemente. Tentò disperatamente di attivare i propri poteri ma non gli rimaneva in corpo neanche una goccia di scintillante aura. Per quanto si sforzasse, in lui regnava solo il vuoto, energetico, mentale, fisico e psichico. Ginocchia e braccia scattarono verso l’alto nel vano tentativo di trovare Iota alla cieca e disarcionarlo, scacciarlo, toglierselo di dosso e fuggire da lì prima che il gas velenoso facesse quello che era stato progettato per fare, ma i suoi arti incontrarono solo l’affilato acciacio delle spade-artiglio. Il sangue caldo gli colò lungo gli avambracci e i polpacci, che ricaddero mollemente a terra.
Che gas era? Che gas era quello?! Rosso dolore? Blu ciecità? O viola infiammabile? Il terrore gli strisciava sotto pelle, come mai gli era successo prima. Sarebbe davvero morto così? Dopo una misera battaglia come quella? Avrebbe deluso Sonic e gli altri. Non avrebbe concluso nulla, non li avrebbe aiutati! Sarebbe morto inutilmente e…
E poi troppo tempo passò e il riccio capì che non sarebbe esploso in mille pezzi così come non sarebbe morto dal dolore straziante. Qualunque fosse stato l’effetto, avrebbe già dovuto manifestarsi. Il gas gli si era innocuamente posato addosso. Possibile?
Rimase sdraiato, in balia del proprio cuore pulsante e della propria paura mordente, aspettando un colpo di grazia che però non voleva arrivare.
I suoi occhi non gli trasmettevano alcuna informazione, non potevano dirgli di che colore fosse quel gas appena lanciato. Le lacrime causate dalla polvere blu gli bagnavano le guance, il suo respiro era l’unico rumore che si potesse udire, oltre il vento tra le penne dell’avversario.
Ad ogni secondo che passava in estenuante attesa, le sue energie si solidificavano, sebbene di pochissimo per volta. Ebbe anche l’impressione che la sua temporanea cecità si stesse riducendo. Qualche spiraglio colorato gli fece identificare la posizione del volatile accovacciato sopra di lui. Forse … forse aveva le forze per un piccolo scudo, o una debole spinta psichica.
-Allora? Non mi finisci?- domandò, la voce che gli uscì di gola fu però irricoloscibile. Rimase sconcertato dell’immensa fatica che gli costò muovere le labbra e la bocca. E così capì. Provò a muovere le braccia, per accertarsene. La sua pelle aveva la consistenza di cuoio, i muscoli erano come scollegati dalla sua volontà. Realizzò in breve che l’unica cosa che poteva ancora muovere erano i polmoni, il cuore, gli occhi (accecati) e la lingua.
L’ultima novità di Iota era un gas paralizzante.
Provò sia sollievo che disperazione. Non sarebbe morto nell’immediato futuro, ma non poteva nemmeno scappare o controbattere. Si sentì rodere dalla rabbia e dalla frustrazione: possibile che si era fatto stendere in quel modo? Lui, un combattente sommato tutto esperto?
I suoi pensieri erano partiti in quarta e la domanda che aveva posto ad alta voce al suo aguzzino non prevedeva una risposta. Fu per quello che rimase profondamente sorpreso quando Iota gli rispose per davvero. –Direttiva molto specifica. Non uccidere soggetto Argento01.-
Quattro cose colpirono Silver. Primo, il cyborg parlava e lui aveva stupidamente dato per scontato che non sapesse farlo, come un animale o un robot da guerra poco avanzato. Secondo, i ricercatori avevano appositamente mandato un loro … “agente” per sistemare lui. Terzo, avevano osato dargli un nome! Quarto, e più sorprendente, Iota era una femmina.
La voce, per quanto meccanica e stranamente metallica, era indiscutibilmente quella di una donna. Anzi, di una ragazzina.
Constatò un altro fatto: ora aveva nuovamente le energie per un contrattacco psichico di una certa portata. Peccato che non sarebbe potuto andare da nessuna parte in ogni caso, per via della polvere paralizzante, anche scaraventando via la ragazza-nibbio.
Perfetto, Silver: congratulazioni!
Una punta di rammarico gli pizzicò la gola. Non ti stai rivelando particolarmente utile per i tuoi amici … cerca di tirarti insieme!
 
 
Cream, con la testa reclinata di lato, cercava con tutto il suo impegno di dare una senso all’ammasso di colori e sagome rappresentate sulla tela, senza risultati particolarmente felici.
Cheese le stava posato sulla spalla, privato di ogni energia.
Per puro caso, l’occhio di Cream intravvide una sagoma muoversi rapidamente oltre la finestra. Incuriosità zampettò fino al vetro, per controllare.
Un’aquila dall’aria stremata e dalle ali private di qualche penna, stava trasportando in volo una gabbianella piangente. I due atterrarono proprio davanti alla statua della ballerina, attirando gli sguardi preoccupati di tutti i passanti.
Cream fece appena in tempo a domandarsi cosa fosse successo a quei due che la prima esplosione fece tremare tutto l’edificio. La coniglietta si paralizzò sul posto, occhi sgranati. Delle briciole di intonaco si staccarono dal soffitto, cadendo ai suoi piedi. I vetri delle finestre tremarono nelle loro intelaiature, così come i quadri dietro le teche a muro.
I suoi compagni, sparpagliati nella sala, cominciarono a gridare, spaventati. Le insegnanti li chiamarono a raccolta, contandoli e provando a calmarli, tenendo contemporaneamente sott’occhio il soffitto. Il museo era un edificio relativamente nuovo, moderno, che non sarebbe crollato per così poco … probabilmente.  
Cream non si mosse dalla sua posizione, stringendo il suo Cheese. Tornò a guardare fuori dalla finestra. Osservò la gente nella piazza, smarrita e spaventata, talvolta appiattita a terra, talaltra intenta a correre o a guardarsi intorno. In particolare, lo sguardo di Cream si concentrò sulla fetta di cielo oltre i tetti, dall’altro lato della piazza, dove le era sembrato di vedere un bagliore …e forse anche una fiammata, al momento della scossa.
Per quanto giovane e ingenua, Cream era stata insieme a Sonic e banda per tanto, tanto tempo: sapeva che le fiamme non erano un incidente naturale causato dalla scossa di terremoto. Piuttosto era stata la fiammata e il bagliore a dare origine alla scossa. Non che ciò fosse meno preoccupante …
Ci furono altri due scossoni in rapida successione, preceduti da altrettanti bagliori.
Una mano la afferrò per la spalla. Cream si voltò, era solo la sua insegnante che la riportava verso la classe. –Cosa fai lì, Cream? Forza, è meglio scendere al piano terra finchè la situazione non si sarà calmata un po’.-
-Signorina?- pigolò piano Cream. –Io …. Io credo sia meglio non uscire.-
Negli occhi dell’insegnante umana, Cream lesse preoccupazione sorda per la sorte di tutti loro e incomprensione per le parole della mobiana. –Ma cosa dici, Cream? È più sicuro se scendiamo.- Alla mobiana, però, non sfuggirono le parole trattenute dall’insegnante, non dette ma chiaramente pensate: “questo posto potrebbe anche crollarci addosso”.
Eppure, là fuori c’era qualcosa di assai più …pericoloso. Cream lo sapeva, tutti gli altri no.
Alla piccola era stato detto, la sera prima, cosa avevano in programma di fare Sonic e gli altri, quel giorno. E sapeva anche che Sonic. Le era stato spiegato altrettanto chiaramente che non avevano previsto sparatorie o esplosioni in pieno centro cittadino, la probabilità di ferire qualcuno era troppo alta. Perciò, Cream ipotizzò che qualcosa doveva essere andato storto, fuori controllo.
Deglutì.
Le due insegnanti e il vociare dei suoi compagni la strapparono dai suoi pensieri. Stringendo Cheese, Cream seguì tutti gli altri verso le scale che li avrebbero portati tutti al piano terra, al “sicuro”. Ad ogni passo, ad ogni gradino verso il basso, il suo malumore si inspessiva e le sue ipotesi si consolidavano in certezze.
Uscirono, e la coniglietta seppe di aver avuto ragione.
Ogni singola persona nella piazza, compresa l’aquila e la gabbianella, era infatti voltata verso sinistra. Volti attonici, stranamente simili ora a quello della fontana, guardavano. Il cuore di Cream mancò un colpo.
Qualcuno, lontano, urlò e tutte le persone si mossero contemporaneamtne, con la reattività di un unico essere vivente. Si aprirono in due ali, scansando i quattro combattenti.
Cream già sapeva di chi si trattava anche prima di vedere gli aculei blu e quelli neri. Fece fatica ad identificate i due avversari, c’erano troppe gambe, schiene e giacche tra lei e l’azione.
Dall’espressione tesa di Sonic, la coniglietta intuì che qualcosa lo turbava profondamente. Forse il fatto di dover combattere improvvisamente in un luogo così affollato? O forse il fatto che erano stati i due avversari a spingerli in “campo aperto”? E, come mai erano finiti a lottare in un luogo così inadatto allo scontro? Cream si agitò, al pensiero. Che tipo di avversari erano, quei due, per dettare a Shadow e Sonic il ritmo e la direzione del combattimento?
La gente parlava a bassa voce, preoccupazioni, timori e dubbi: perché Sonic stava combattendo fianco a fianco con Shadow? Cream si chiese se fosse una una cosa positiva o negativa.
Improvvisamente, l’avversario avvinghiato al riccio nero ruggì e lo spinse indietro. La gente davanti a Cream urlò correndo via, chi a destra chi a sinistra, per schivare la sfera di spine che era Shadow. Cream sentì la voce terrorizzata della docente che le intivama di allontanarsi come avevano fatto tutti gli altri. La coniglietta, inveve, non mosse neanche un passo e si ritrovò a pochi metri dall’oscura figura di Shadow, atterrato fluidamente dopo la botta incassata. Le dava la schiena, rivolto verso una mostruosità d’acciaio e pelo rosso. Probabilmente non s’era neanche accorto di lei. I Chaos Spear gli scoppiettavano scintillando lungo le braccia, più vicini di quanto la coniglietta li avesse mai visti.
Involontariamente, Cream trattenne il fiato.
Sentì l’intera classe, alle sue spalle, che la chiamava con disperata urgenza. Ai loro occhi, Shadow era la personificazione di ogni male esistente, e si trovava a due passi di distanza dalla loro Cream. Alla coniglietta, fece sia piacere che disgusto: era onorata del loro attaccamento nei suoi confronti, ma anche dispiaciuta per il suo amico spinato.
La voce meccanica di un megafono, dall’altro lato della piazza, urlò a Shadow intimandogli di allontanarsi immediatamente dai bambini. Cream allungò il collo, erano Mecha, minimo una dozzina, con le armi puntate.
Come al rallentatore, la piccola mobiana vide la creatura ringhiante balzare avanti verso Shadow, che, per schivare il fentente, fu costretto a balzare indietro, finendo di fianco a Cream. Sentì chiaramente lo spostamento d’aria frustrarle il viso.  
I compagni di Cream gridarono. Il missile decollò con la fiammata rossa che inceneriva l’aria, sfrecciò per tutta la piazza, verso di loro. Il cuore di Cream mancò un colpo, Shadow alzò la testa, occhi sgranati e increduli.
La coniglietta vide il missile correrle incontro. Pensò sinceramente che la sua vita si sarebbe interrotta quel giorno, ma l’ordigno volante non era indirizzato a Shadow, un passo di distanza da lei: il missile superò Sonic e lo scorpione per poi schiantarsi contro il selciato, perforandolo come burro. Doveva essere un avvertimento, un’intimidazione, nulla di più…
E poi accadde l’impensabile, l’imprevisto che si tramutò in tragedia.
Si udì un vago rintocco metallico, sotterraneo, e tutto il suolo esplose innaturalmente. Pezzi di pietra, asfalto, tubature del gas e terra grezza, sputate in aria dalle vampate roventi, vennero scaraventate verso il cielo, oscurando il sole.
Mentre i piedi di Cream si staccavano dal suolo, vide i soldati slanciarsi verso di loro a corsa, mani protese e occhi allucinati. Seppe che il missile non avrebbe dovuto esplodere. Non in quel modo, almeno.
Il braccio di Shadow le cinse le spalle, l’afferrò e la trascinò bruscamente verso di lui, impedendole di volare via. La strinse troppo e le fece male. Con il corpo della Forma di Vita Definitiva come scudo e la faccia schiacciata contro la sua spalla, il mondo della coniglietta si tinse di nero.
La concatenazione di detonazioni che seguì la stordirono ancor di più, trapanandole il cranio da lato a lato. Le urla della gente e dei suoi amici, sovrastate dalle esplosioni, la raggelarono anche di più.
Sentì Shadow gemere, qualcosa di bagnato e caldo le scivolò sulla testa e perse il contatto con lui.
Prima che la terra la inghiottisse definitivamente, vide il museo collassare loro addosso. Poi la roccia si richiuse e tutto tornò nuovamente nero.



 
(*) Bang sonico o Sonic boom, è l’onda d’urto che si crea quando si infrange la barriera del suono.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 22
*** 21. Spezzato ***


Sembra essere passata un'eternità dall'ultimo aggiornamento. Oh, aspetta: è passata davvero un'eternità!
Non so come scusarmi per l'increscioso, scandaloso e imperdonabile ritardo. Cosa potrò mai dirvi? Università, tesine da scrivere, paginate di appunti e tonnellate di libri di testo da leggere forse potrebbero darvi un'idea, ma credo non sia abbastanza. Un ritardo così è ingiustificabile, punto e basta. Come autrice, sono ufficialmente un disastro. Merito ufficialmente una punizione solenne. 
Non posso far altro che scusarmi profusamente e sperare in un vostro perdono.
Questo è ufficialmente il penultimo capitolo. Il prossimo aggiornamento sarà anche l'ultimo, se escludiamo l'epilogo. 
Come sempre, io ce l'ho messa tutta! (Ma errori di battitura o di distrazione credo siano inevitabili, specialmente visto il mio livello di disattenzione generale in questi ultimi ... mesi O.O)
Enjoy!

E mi sento anche in colpa a pubblicare un capitolo come questo, che parla di esplosioni e di morti, dopo ciò che è successo l'altro ieri in Francia. 
Un pensiero e una preghiera per loro e per le famiglie, e una profonda e sincera scusa per aver pubblicato un capitolo come questo subito dopo un evento così barbaro e disumano. 
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Capitolo 21
- Spezzato - 
 


Espio si schiacciò contro il muro di destra mentre un gruppetto di quattro umani terrorizzati si fiondava giù dalle scale. Urlavano, si chiamavano tra loro, ed evidentemente non vedevano l’ora di uscire all’esterno e posare i piedi sulla solida terra, quella sicuramente non sarebbe crollata loro in testa.
Espio però sapeva che là fuori non esisteva più terra, non solida almeno.
Gli occhi gialli del ninja ruotarono per seguire la fuga precipitosa del gruppetto di clienti. Il camaleonte pareva essere l’unico che faceva di tutto per risalire le scale e raggiungere il bar dell’ultimo piano, anziché fiondarsi al piano terra. Tutti gli altri correvano con la gravità.
L’ascensore non era un’opzione. La scossa causata dall’esplosione era stata violenta e per quanto la tecnologia umana sembrasse affidabile, il rettile preferì dare ascolto alla propria diffidenza. Rimanere bloccato in una scatola di metallo non era lo scenario più auspicabile, un qualche centinaio di gradini distribuiti su sette piano d’altezza rimanevano la scelta migliore sebbene la più lenta e faticosa. Aveva informazioni da riferire, una persona da incontrare e una situazione da comprendere. Al più presto.
Solcò le ultime due rampe a corsa, rischiando di scontrarsi con un’altra donna terrorizzata. Con il fiato corto, disse addio all’ultimo gradino e finalmente fece capolino all’ultimo piano.
Sarebbe stato un luogo piacevole dove passare una o due ore in compagnia di amici, a bere qualcosa o a mangiucchiare qualche pasticcino. I tavoli erano distribuiti con ordine, fra fogliose piante in vaso e lampade a forma di boccioli. Le sedie, però, tradivano la fretta con cui i consumatori erano spariti, la maggior parte era ribaltata o rigirata nelle angolature più strane. Caffè abbandonati, boccali di birra mezzi vuoti, bicchieri di cristallo mezzi pieni e fette di torta mangiate per metà contribuivano all’atmosfera fantasma che aleggiava in quel luogo. Solo dieci minuti prima, quel luogo brulicava di chiacchiere, risate e allegria. Dalle ampie finestre entravano fasci di luce filtrati dalla densa nube di polvere che vorticava all’esterno. Là, schiacciato contro il vetro, stagliato contro l’ultimo triangolo di cielo ancora azzurro, stava Tails.
Espio gli si avvicinò e guardò giù, imitando il volpino.
La vista sulla piazza sarebbe stata maestosa.
Ora non si vedeva altro che una voragine dalla quale spuntavano, come zanne spezzate, lembi di asfalto, sezioni di terra, piastre di pietra e tubature troncate. La ballerina al centro della fontana era caduta, la testa era incastrata tra due sassi, qualche metro più in là rispetto al busto. L’acqua zampillava tutto attorno come sangue da un cadavere martoriato, rigando la pelle di cemento lacerata.
La frattura non si limitava soltanto alla piazza, si allontanava seguendo una delle strade che sfociavano nello spiazzo, ora ridotta ad una fossa di detriti e polvere finchè occhio poteva vedere. L’esplosione era stata effettivamente lunga, ben più di un istante: non era stata un singolo botto, ma una concatenazione di fiammate. Gli occhi del ninja studiavano la strada affondata su sé stessa che si allontanava, dritta come una freccia ma sbiciolata come ceramica. Sì, l’esercito aveva davvero sparato un missile dentro ad una tubatura di gas, che era poi esplosa nella sua intera lunghezza. Probabilmente, il danno era lungo un qualche chilometro e le vittime, morti o feriti che fossero, rischiavano di sfiorare un numero a due zeri.
Espio ricordò solo vagamente che il piano originale prevedeva che lui salisse quelle scale per comunicare a Tails l’effettiva consegna dei materiali alla Mobius-Earth News e fornirgli il suo aiuto strategico nella fase successiva, cioè l’infiltrazione. Eppure, ad ogni passo, ad ogni gradino, i suoi pensieri si erano coagulati attorno all’idea che delle persone erano morte, altre erano seppellite vive. E che tra loro c’erano anche Sonic e Shadow. E Cream e i suoi compagni di scuola.
Il suo sangue freddo e la sua razionalità non erano bastate. Così come non bastavano in quel momento.
Con la lingua rigida come cuoio, con la gola secca, ripetè il rapporto che si era preparato mentalmente, trenta minuti prima, senza considerare troppo il fatto che in quel momento le sue informazioni erano divenute di secondaria importanza, nonché radicamente fuori luogo.
-Giungo ora dalla Mobius-Earth News. Abbiamo appena consegnato tutto il materiale che dimostrerà che i ricercatori non sono innoqui come si proclamano. Abbiamo anche pensato che sarebbe stato meglio evitare di rivelare troppo su Shadow: se i nostri due mondi scoprissero che lui è in realtà un ibrido alieno geneticamente modificato potremmo finire in guai ben più gravi. Abbiamo messo l’accento sulle ricerche biologiche illegali e sulle menzogne pubbliche riguardanti un certo riccio nero, senza entrare troppo nei dettagli tecnici sul perché o sul percome per rispetto dell’ARK e di Shadow.-
Tails rimase in silenzio, gli occhi umidi che continuavano a cercare inutilmente una figura blu spinata. Sussurrava piano, tra sé e sé, forse nemmeno conscio del fatto di non essere più solo. Probabilmente, non aveva nemmeno sentito Espio.
-La piazza … Tutta la piazza … Sonic … E Shadow … E tutti gli altri! Ma l’esercito come ha potuto sparare contro persone innocenti? Ah, ma certo, avranno colpito una tubatura, forse del gas… Sonic…- La totale assenza di tonalità o emozione alcuna fece rabbrividire Espio.
Decise di insistere, e provare ad estrapolare una risposta sensata dal suo collega e alleato. Era successo un’imprevisto tinto di tragedia, ma loro avevano comunque un piano in atto non ancora concluso con un’emergenza alle porte e un gruppo di pazzi biologi da far arrestare. Poi, forse, pensare e ragionare avrebbe aiutato Tails a liberarsi dallo shock che lo stava annebbiando.
-Ora che pensi di fare?- domandò il Chaotix. -Sospendiamo il piano di andare a recuperare le prove definitive dei loro traffici genetici e il sangue di Shadow prima che li facciano sparire per sempre? Rimandiamo il tutto per salvare la gente là sotto …e i nostri amici?- le scelte più dolorose giungevano immancabilmente nei momenti meno adatti.
Il silenzio gocciolava, assai più lentamente dell’acqua estirpata della fontana. I poveretti intrappolati là sotto avrebbero anche potuto rischiare di annegare.
-Come potremmo pensare di proseguire con il piano se Sonic e Shadow sono …?- Tails si interruppe. -Tu e io non potremo mai farcela contro le loro … creature. Solo Shadow riesce a tener loro testa senza particolari difficoltà, già per Sonic lo scontro diretto con loro può rivelarsi una scelta azzardata. Se ci infiltrassimo nell’Alpha ora … non concluderemmo niente.-
Il fatto che Tails non avesse accennato al fatto che i due ricci in questione necessitavano di urgente soccorso, insieme ad un altro centinaio di vittime, fece capire ad Espio che il cervello del volpino si era gettato a capofitto nella logica pura. Quando la paura, l’emozione e il dolore erano troppi, era opportuno tagliarli fuori definitivamente.
-Dunque, che facciamo? Secondo me, dovremo andare ad aiutarli….- suggerì Espio. Proseguire con il piano e lasciare quelle persone ferite laggiù e negare soccorso ai loro compagni era impensabile. Questo era un dato di fatto per Espio. Il cervello confuso di Tails doveva ancora fare i conti con le immagini che gli occhi gli trasmettevano e l’innegabilità dei fatti.
Espio almeno sapeva che Vector e Charmy, i suoi due compagni, erano lontani da lì. Una magra consolazione.
Tails scosse la testa, come a volersi scrollare di dosso il torpore. La sua tipica scintilla di vitalità gli si riaccese nello guardo. La sua vivacità di sempre, sebbene offuscata da un pesante strato di angoscia, fiammeggiava di nuovo. Tails era lentamente tornato presente a sé stesso. –Dobbiamo soccorrere Sonic, Shadow e tutte quelle persone innocenti. Scendiamo e vediamo quello che possiamo fare. Gli scienziati li incastreremo un’altra volta, ci inventeremo qualcosa. Le priorità esistono e questa qua sotto è una priorità bella grossa. Ci saranno un mucchio di feriti laggiù che hanno diritto di venir aiutati. Sei con me?-
-Neanche da chiedere.- il camaleonte annuì. Si domandò se tutti quei soldati avrebbero aiutato i cittadini. E se avrebbero dato la colpa a Shadow anche di quello. Strinse i denti. Sperò solo di non venir arrestato a vista, o sparato a vista.
-Grazie Espio, davvero.- la gratitudine di Tails schiuse un sorriso ad Espio. Lui si limitò ad un cenno del capo.
-Per Chaos … che disastro. Credi che siano tutti …?- le mani del volpino premettero contro il vetro freddo. Improvvisamente, Tails corrugò la fronte e, stupito, si voltò verso Espio. -E poi, “ibrido alieno geneticamente modificato”? Ti sembra il modo adatto di rivolgerti a Shadow?!-
Allora il piccoletto aveva sentito tutto anche all’inizio, concluse il camaleonte. Espio socchiuse gli occhi e fuggì lo sguardo accusatore di Tails prima di snocciolare il motivo che stava alla base della sua singolare scelta di parole. -Certo che no. Ma è così che lo potrebbero vedere le popolazioni di due pianeti, se non facciamo attenzione nelle prossime ore. O giorni, a questo punto. Sarebbe opportuno non dimenticarlo.-
Tails non provò nemmeno a nascondere la propria espressione schifata. -Hai ragione.- riconobbe con voce mesta, a malincuore. La decisione di sospendere il piano era divenuta improvvisamente pesante come dieci macigni.
Espio tornò a guardare in basso. –Non che Shadow se ne dovrà preoccupare se non riuscissimo a ripescarlo da quel disastro in tempo. In questo momento i nostri due spinati sono seppelliti vivi là sotto con decine e decine di persone, e bambini.- fece una pausa. -Intrappolati con due cyborg molto arrabbiati, per di più. Potrebbe scorrere molto sangue … ammesso ce ne sia ancora da versare.-
-Non dire così!- lo rimbeccò Tails. Talvolta, il ninja finiva per scordarsi che il genietto del gruppo non era altro che un cucciolo.
Espio piegò la testa di lato. –Meglio fare in fretta.- concluse.
Tails, pallido come un fantasma, annuì. –Chiamo gli altri.-
 
 
 
Aveva ricaricato interamente la propria riserva energetica ma l’effetto paralizzante della polvere gialla non accennava a diminuire. Era inutile scacciare, distrarre o stendere la nemica cibernetica con il potere della sua mente se lui tanto da lì non si sarebbe potuto muovere.
Tale verità non faceva altro che acuire ancor di più il drammatico senso di impotenza che imperversava nel cuore di Silver, ancora steso a terra con Iota appollaiata sulla pancia. Con un profondo sospiro, ingoiò la rabbia e gli insulti e fece un altro tentativo.
-L’hai sentita l’esplosione?-
Il rapace cibernetico ruotò appena la testa. –Sentito.- confermò.
-E non vuoi andare a vedere cos’è successo? Magari i tuoi … ehm … colleghi … compagni … sono nei guai e hanno bisogno del tuo aiuto.- quella frase sembrava patetica anche alle sue orecchie. Insegnare ad un cyborg l’amicizia? Come no, bravo Silver!
Infatti, la creatura non capì. –Non comprendo. Direttiva specifica. Catturare Silver.-
-E perché?-
-Top secret.-
-Ah, ma certo.- Silver si concesse un sospiro.
Le penne dorate del rapace gli stavano anche facendo solletico ad una gamba. E pensare che, quando aveva scelto di viaggiare indietro nel tempo, lui voleva originariamente fare solo una visitina di una giornata ai suoi vecchi amici nel passato! Invece s’era ritrovato paralizzato sul fondo di una strada, con un bozzolo di penne e metallo sullo stomaco. Che bello.
Alcune voci, distanti, echeggiarono tra il groviglio di strade e mattoni in cui il riccio e il cyborg erano atterrati. Gente che correva e parlava, dicevano di un’esplosione, di un grande crollo e di troppe persone intrappolate. Compresi l’Eroe di Mobius e il famigerato riccio nero.
La frustrazione che rodeva Silver esplose come una bomba. L’urgenza conquistò ogni neurone del riccio. Ora aveva la certezza che i suoi amici erano coinvolti.
La necessità di togliersi di dosso la polvere gialla paralizzante si rafforzò al punto da divenire quasi un dolore fisico. Ringhiò. Spremendosi le meningi, riuscì sorprendentemente a raccimolare per davvero un’idea. Una pallida, tremolante, instabile, scricciolante e improbabile idea ma che forse avrebbe potuto funzionare. Sperava solo che la schifezza gialla che gli era stata spalmata addosso non gli fosse penetrata dentro la pelle, altrimenti sarebbe stato tutto inutile.
Prese un bel sospiro e chiuse gli occhi, focalizzando la propria mente su sé stesso. Il suo pensiero si condensò nella sottilissima area tra la polvere e la superficie della propria pelle. Con precisione millimetrica, Silver si avvolse lentamente con uno scudo, il più fine e il più ravvicinato che avesse mai creato in tutta la sua vita. La propria cute stava sotto allo strato azzurro, la polvere gialla stava appena sopra. L’operazione si rivelò estremamente lunga, era necessaria grande precisione e pazienta.
Senza tradire le sue intenzioni, senza dare a Iota un motivo per sospettare, con un unico movimento Silver espanse il proprio scudo strappandosi di dosso le particelle paralizzanti. Iota, colta di sorpresa, venne lanciata in aria dalla contrazione energetica dello scudo. Fece giusto in tempo a gracchiare di rabbia che il riccio le richiuse attorno la propria barriera, incartandola come un pacco regalo insieme alla nube gialla. Il frullio d’ali aumentò di frequenza ma Silver mantenne la presa salda, sprecando diversi minuti preziosi per assicurarsi che il rapace respirasse il suo stesso veleno. Non voleva uccidere Iota, sperava solo di paralizzarla o stordirla a sufficienza per garantirsi un minimo di libertà d’azione: Silver doveva andare ad assicurarsi che Sonic e gli altri stessero bene, e avere un piccione esaltato sputa-veleno dietro il collo non era proprio un’aspettativa rosea.
Silver scattò in piedi non appena la cyborg smise di agitarsi, sgretolando la barriera. Il suo corpo già dorato ora scintillava ancor di più. Silver attese qualche secondo, con il fiato sospeso, ma nessun movimento provenne dalla cavia. Venne solo trafitto da uno sguardo rovente e rabbioso da parte del rapace paralizzato, ma nulla più. Un’ondata di soddisfazione travolse Silver.
Siccome ignorava in quanto tempo il rapace si sarebbe ripreso, si staccò da terra senza indugiare oltre e volando si diresse verso la piazza. Fece giusto in tempo a percorrere per intero la viuzza in cui era stato intrappolato che una voce familiare lo distrasse.
-Silver! Hai visto l’esplosione? Stai andando alla piazza? Cos’è successo?-
Le ali di membrana di Rouge affiancarono il volo del riccio.
-Ci vado ora. Ho avuto uno scontro con un cyborg volante e velenoso. Forse ce ne sono altri, dobbiamo fare attenzione.-
Rouge ruotò gli occhi. –Ne so qualcosa.-
Insieme sfrecciarono fino all’origine del boato di poco prima. Una visione del tutto simile a quella ammirata pochi attimi prima da Espio e Tails li accolse con tutto il suo strabiliante sfacelo.
-Sono … là sotto?- sussurrò Silver.
Rouge estrasse un piccolo apparecchio elettronico. –Io e Shadow abbiamo addosso dei micro-cip, per poterci ritrovare rapidamente in caso di necessità. Con questo posso rintracciarlo.- controllò frettolosamente lo schermo. -Sì, lui è là sotto.- confermò con voce roca.
Silver intanto stava già studiando la disposizione delle macerie. Per quanto gli dispiacesse riconoscerlo, vivere a Crysis City aveva i suoi vantaggi. Comprendere quale detrito era superfluo e quale avrebbe fatto crollare gli altri se spostato, era una questione di secondi per lui. Identificò alcune macerie che potevano venir spostate senza ripercussioni. Con cautela, avvolse quei massi con la sua aura azzurrina e li spostò dove il suolo era ancora integro. Ripetè l’operazione tre volte finchè un passaggio sufficientemente stabile venne aperto. Era una voraggine nera, con una lingua serpentina di terra frantumata e denti di cemento armato e spranghe metalliche ritorte come cavatappi. Gli occhi luminosi di Silver stavano ancora revisionando l’operato in cerca di punti instabili quando la mano di Rouge gli si posò su una spalla. –Grazie.-
Ben di rado il riccio bianco aveva avuto occasione di percepire una tale riconoscenza nella voce di qualcuno. Evidentemente, la pipistrella era molto più in ansia di quanto aveva lasciato intendere … ed era anche infinitamente più affezionata a Shadow di quanto avesse lasciato intendere. Silver incrociò il suo sguardo. –Vengo con te. Potrebbero esserci altri ostacoli lungo la via.-
Si librarono entrambi in aria e si gettarono nelle fauci della terra.
 
 
 
 
 
C’era acqua. Non avrebbe dovuto esserci acqua. Era un gocciolio regolare, tintinnante e dannatamente irritante. Fu quello a convincere Shadow ad aprire un occhio.
La situazione non cambiò di una virgola. Nero prima, nero adesso. Provò ad alzarsi ma qualcosa lo bloccava da sopra, così smise di provarci e rimase straiato su di un fianco. L’acqua continuava a picchiettare.
Si udì anche un sussurro, o forse un gemito, o forse una parola mal riuscita. Le orecchie della Forma di Vita Definitiva si drizzarono.
Ricordava con discreta chiarezza un lupo rosso intento a sgranocchiarlo e uno scorpione violaceo altrettanto determinato. Eppure la voce aveva un timbro troppo limpido per appartenere ad uno dei due.
Shadow constatò di avere freddo. Un freddo polare.
Battè le palpebre, sperando che l’oscurità gli donasse un qualche dettaglio, una qualche sagoma. Ma le ombre non gli vennero incontro in alcun modo, lasciandolo cieco come mai avevano fatto prima. In un qualche modo, Shadow si sentì tradito.
Non riusciva nemmeno a capire quanto fosse grande lo spazio in cui era rimansto rinchiuso. Avrebbe potuto avere un muro davanti al naso e non saperlo nemmeno. Eppure, l’istinto gli suggeriva che ci fosse un’area relativamente sgombra davanti a lui, e una matassa di cemento ai suoi piedi.
Il fatto che il suo corpo non gli avesse ancora comunicato nessuna informazione cominciò a preoccuparlo. Nessun mal di testa, nessun taglio, nessun bernoccolo, nessun osso incrinato. Aveva però la certezza che l’esplosione e l’atterraggio non fossero state affatto indolori. Ne era la prova il liquido caldo e vischioso su cui il suo fianco poggiava. Sicuramente non era acqua, quella sarebbe stata fredda e assai meno densa.
Faceva fatica a pensare, constatò. I suoi pensieri si muovevano al rallentatore, come immersi in un mare di melassa gommosa. Solitamente, avrebbe analizzato i danni e la situazione in pochi secondi, ora invece era cosciente da un bel po’ ma dove fosse e come stesse rimanevano misteri incolti.
Provò a respirare, la gola e il resto del suo apparato respiratorio si rivelarono più secchi e impolverati del previsto. Tossì.
Nello stesso istante, qualcosa si scostò bruscamente, come spaventato. Shadow sentì chiaramente dei piedi scalciare e ritrarsi, sentì schiene grattare contro il muro, sentì respiri trattenuti e fiati sospesi. Finalmente, il suo cervello cominciò ad ingranare la marcia. Realizzò di essere intrappolato con più di una persona, e che gli sconosciuti erano schiacciati contro una parete che al massimo distava due metri da lui, forse anche tre. Chissà come, intuì che il soffitto doveva essere assai basso.
Né Teta né Zeta erano nelle vicinanze. Almeno per il momento.
La domanda da porsi riguadava dunque l’identità degli altri sventurati cadutì là sotto insieme a lui. Ricordò di aver fatto da scudo ad una coniglietta tutta pelo e orecchie, prima che il suo mondo deflagrasse. Con sincera apprensione, si chiese che fine avesse fatto la piccola Cream.
Provò a riprendere confidenza con le braccia che fortunatamente risposero come dovuto. Le gambe invece cozzarono contro qualcosa di ruvido ed estremamente basso, con una pendenza strana, che le premeva contro il suolo. Al massimo gli erano concessi uno o due centimetri di spazio di movimento, verso l’alto. Una maceria che per poco non gli aveva frantumato le gambe?
Posò una mano a terra, per trascinarsi in avanti. Contro il muro, qualcuno non riuscì a trattenere un gemito angosciato. Avevano paura di lui, terrore cieco. Stranamente, Shadow non vedeva loro ma loro vedevano benissimo lui, cosa che lo irritò nel profondo. Probabilmente non avevano perso i sensi come lui, oppure si erano risvegliati assai prima di lui. Shadow concluse anche che potevano terrorizzarsi quanto volevano, lui sarebbe trascinato fuori da lì anche a costo di far venire un infarto a qualcuno. Scoprì mezzo secondo dopo che il suo ginocchio destro non si sarebbe mosso più in là di così. Qualcosa di ruvido e ritorto gli impediva di proseguire oltre.
Con un ringhio, Shadow concluse di essere incastrato. E tale situazione gli piacque assai poco. Tanto poco che decise di uscire da lì anche senza il consenso della massa di detriti, ignorando rabbiosamente il fatto che avrebbe potuto originare un crollo. L’idea di rimanere immobilizzato gli era semplicemente troppo indigesta.
Si rigirò, con la schiena premuta contro il terreno, e mollò un calcio dei suoi contro la lastra di cemento che lo bloccava a terra. Quella si disintegrò e la resistenza che gli bloccava la gamba si sgretolò con essa. La sua vista, per quanto poco si fosse adattata all’oscurità, fece comunque in tempo ad avvisarlo della mastodontica maceria che, privata del punto d’appoggio, gli stava per crollare addosso. Riaquistando in un solo istante il pieno controllo delle proprie facoltà e del proprio corpo, Shadow scivolò di lato. Con una capriola all’indietro si sottrasse alla traiettoria della piccola frana che, fortunatamente per lui, si schiantò a terra e non si mosse più né tanto meno rotolò o si sgretolò ulteriormente. Precipitò semplicemente in verticale e lì si impiantò saldamente.
In seguito allo sforzo fisico appena compiuto, Shadow si ritrovò a fare i conti con il proprio corpo che aveva autonomamente deciso di riaprire le comunicazioni. Il calcio e la capriola evidentemente non erano stati graditi e avevano risvegliato tutte quelle sensazioni prima assopite. Venne travolto da una valanga di segnalazioni dolorose, alcune riconducibili alla battaglia condotta poco prima, altre interamente nuove dovute all’esplosione della piazza. Rimase senza fiato, intanto la frana di massi e cemento finì di assestarsi.
Il boato del crollo impiegò diversi secondi per morire. Shadow si voltò lentamente verso i suoi coinquilini forzati, seppur senza poterli vedere. Nessuno dei poveretti osava più respirare, probabilmente avevano sfiorato davvero l’infarto. Qualcuno tossì per la polvere sollevata dallo smottamento.
Con lo scatto attuato per evitare di rimanere schiacciato, Shadow aveva dimezzato la distanza tra sé e i poveretti. Ora, se avesse allungato un braccio li avrebbe toccati. Riusciva vagamente a distinguere delle sagome, la totale e completa assenza di luce non giocava a suo favore. Un’oscurità così fitta non si incontrava spesso, né era un buon segno.
Una voce femminile ruggì. –Non ti avvicinare! Stai indietro!-
Shadow, che non aveva neanche accennato a muoversi verso la donna, mantenne semplicemente la propria posizione. Valutando se evocare o meno un Chaos Spear ed illuminare tutto quanto, domandò –Chi sei?-
Ottenne un gemito strozzato. Che la donna non si fosse aspettata un’appello diretto? Shadow si costrinse ad avere pazienza. Ai loro occhi, lui era un criminale … anzi IL criminale. Forse aveva fatto male ad agire così bruscamente, prima. Rivalutò la situazione e scelse di agire con calma. Avrebbe potuto teletrasportare tutti fuori, se quelli avessero smesso di tremare così.
Lasciò alla donna tutto il tempo di scegliere se rispondere o meno.
-Il mio nome sarebbe rilevante?- disse infine. La sua voce tremava tanto che Shadow non si sarebbe stupito se fosse scoppiata a piangere. Una classica frase da film, un inutile tentativo di difendere un’identità della quale a lui non importava nulla.
Il riccio si ritrovò a spolverare in fretta e furia i suoi rudimenti di diplomazia. –Non ho chiesto il tuo nome. Ho chiesto chi sei.- disse, sforzandosi di non sembrare minaccioso o infastidito. Gli venne il dubbio di non esserci riuscito particolarmente bene.
Doveva e voleva sapere se aveva davanti una ragazzina, una donna, una poliziotta o un’infermiera. Poliziotta probabilmente no, troppo fifona. Del nome e cognome non avrebbe potuto importargliene di meno.
La voce esitò. –Sono un’insegnate d’elementari.- rispose infine.
Stranamente, Shadow s’era aspettato di tutto tranne quello. Forse, perché per lui il concetto di “scuola” rimaneva un mistero. Le sue esperienze in merito erano nulle, solo qualche accenno da parte di Maria o di Cream. E qualche storia terrificante da parte di Sonic. Per Shadow quello dell’insegnante era un mestiere sconosciuto.
Di punto in bianco, si ritrovò a corto di parole. E ora? Invitarli alla calma? Con un guizzo d’iniziativa che lasciò Shadow con un palmo di naso, il suo cervello si aggrappò a ciò che avrebbe fatto Sonic al suo posto. Quasi schifato all’idea di doversi abbassare a cercare ispirazione presso il puntaspilli color mirtillo, Shadow si costrinse a domandare. –Qualcuno di voi è ferito?-
-Voi? Non c’è nessun “voi”. Siamo solo io e te.- la risposta era giunta troppo velocemente, specialmente vista la fonte timorosa e tentennante. Era una palese bugia, senza contare il fatto che Shadow prima aveva sentito chiaramente più movimenti venire da posti diversi e per di più ora i suoi occhi riuscivano a distinguere con relativa chiarezza le sagome. Tante, piccole sagome. Bambini. L’insegnante di elementari era finita seppellita viva con la sua combriccola di marmocchi al completo.
Prese un bel respiro. –Li ho sentiti e li vedo. Siete in … nove. Lo chiedo per l’ultima volta: siete feriti?-
L’insegnante per poco non singhiozzò. –No, noi qui stiamo bene. Ma eravamo in diciotto prima che …. Prima del …-
-Va bene.- Shadow tagliò corto.
La sua mente già lavorava alacremente per trovare un modo di proseguire quell’assurda conversazione e provare a spiegare ai suoi nuovi “protetti” che avrebbe potuto salvarli tutti all’istante se loro si fossero fidati, quando una domanda inattesa lo lasciò di stucco. –E tu? Stai bene?-
Non era la voce dell’insegnante, Shadow la sentì chiaramente irrigidirsi di disappunto, forse anche di paura, divenendo quasi della stessa consistenza del cemento che li aveva inghiottiti. Quella che aveva parlato era una vocetta più dolce, e immensamente più preoccupata.
Era Cream.
-Stavo meglio qualche ora fa.- rispose Shadow. Sentiva ancora il proprio sangue gocciolargli lungo le gambe, dire la verità non era un’opzione. Se inizialmente aveva pensato di utilizzare il Chaos Spear per fare luce, ora seppe che sarebbe stata una pessima idea. Avrebbe rischiato di terrorizzare tutti. Anzi, li avrebbe terrorizzati sicuramente.
Sentì uno scalpiccio scoordinato e il riccio nero si ritrovò una coniglietta tremante e singhiozzante tra le braccia. Le manine di Cream lo avvolsero in un abbraccio in miniatura, il suo musetto si rintanò sotto al mento di Shadow, nell’incavo della spalla. Il riccio potè solo immaginare la propria espressione esterrefatta, fu genuinamente felice di essere al buio. -Come sono contenta che stai bene!- pigolò la piccola Cream.
Shadow, rigidamente, strinse la coniglietta a sé con un braccio. Sperò di non sporcarla troppo di sangue.
-Grazie. Grazie mille, per prima.- pianse la piccoletta.
-Di nulla.- rispose il riccio. Le diede una piccola pacca sulla schiena. La bimba si ritrasse ma non andò lontano, gli si accucciò affianco, a portata di braccio in caso di emergenza.
Nel tempo necessario per due battiti cardiaci, Shadow realizzò che non sarebbe riuscito a teletrasportare tutti loro fuori da lì. Non aveva abbastanza energie e continuava a perdere sangue a velocità preoccupante. Forse, non avrebbe potuto nemmeno teletrasportare sé stesso.
Lentamente, con cautela, cambiò posizione sedendosi più comodo e sforzandosi di calmare il proprio respiro. Portare fuori tutti loro da quel buco era imperativo. Avrebbe atteso, avrebbe recuperato le forze e avrebbe lasciato che i calcoli di Robotnik facessero il loro dovere, nel suo DNA maledetto. Sapeva che si sarebbe ripreso in fretta. Questione di pazienza e minuti.
Sentì Cream scalpitare alla sua sinistra. –Tu … tu ci puoi portare fuori?- domandò la piccola.
Mentre Shadow elaborava una risposta non troppo pessimistica, l’insegnante intervenne. –Cream! Torna al tuo posto e fai la brava! Non …. Non disturbare il signore, qui.-
Shadow ingoiò a fatica un commento che avrebbe potuto anche traumatizzare a vita i bambini lì presenti. Si costrinse a prendere un profondo respiro e disse, trattenendo a stento lo sdegno –Io non ho mai mangiato nessuno. La sua ragazzina starà benissimo.- Cream, d’altro canto, non aveva neanche fatto finta di obbedire.
Shadow potè quasi udire lo scricchiolio del sorriso di circostanza dell’insegnante. –Oh, certamente.-
-Dunque … non ci puoi portare fuori?- si intromise ancora Cream.
Shadow fece per risponderle quando, in lontananza, si udì un ruggito, furioso e selvaggio. I bambini sobbalzarono, stringendosi tra loro come pinguini. La maestra li cinse con le braccia, un’inutile gesto protettivo.
Questa volta, Shadow non provò nemmeno a trattenere l’imprecazione.
 
 
 
Da quel giorno in poi, Sonic The Hedgehog imparò come ci si sente quando si viene colpiti da una frana. Aveva fatto innumerevoli battute e scherzi al riguardo, specialmente ai danni di Knuckles. Ma ora sapeva. E la cosa non gli piaceva affatto.
Digrignando i denti dallo sforzo, riuscì infine ad aprire un occhio. La fatica non venne ripagata: il panorma rimase identico. Nero. Buio. Vuoto.
E allora il riccio richiuse le palpebre, ascoltando il pulsare del proprio dolore e dei muscoli in sciopero collettivo. O … quel pulsare veniva proprio da lui o da qualcos’altro? Poteva chiaramente percepire un battito, un sottile rumore che pareva giungere da sotto.
Pur sapendo che non sarebbe servito, decise di sprecare altra energia per riaprire gli occhi per controllare. Come prevedibile, rimase tutto buio. Sonic era sdraiato sulla schiena e dunque stava fissando il soffitto, o il punto in cui avrebbe dovuto esserci il soffitto. Sentì perciò assai chiaramente il movimento provenire da sotto la sua spina dorsale. Qualcosa si contrasse e si ritrasse.
Senza nemmeno rendersene conto, il riccio scattò. Fece per tirarsi in piedi ma ci guadagnò solo una colossale testata contro una lastra di cemento che pareve stare a meno di venti centimetri dal suo naso. Mentre il dolore gli esplodeva nel cranio, il panico strangolò il riccio più veloce di sempre.
In una bara ci sarebbe stato più spazio che in quel buco! E … c’era qualcosa di vivo sotto di lui?
Si sentì mancare, l’aria sembrò terminare di colpo, l’ossigeno parve andarsene altrove e la terra parve stringersi su di lui ancor di più. L’impellente necessità di alzarsi in piedi, stendere le gambe e correre lacerò la mente di Sonic. Forse per la prima volta in vita sua, gli venne voglia di piangere.
Diede un calcio al blocco di macerie che l’aveva seppellito vivo ma nulla accadde, oltre che una dolorosa ripercussione lungo la gamba. Un pericoloso scricchiolio fece rabbrividire Sonic, una briciola di intonaco gli cadde sulla fronte. Si sarebbe riuscito a liberarsi forse solo con uno Spin Dash, ma non aveva lo spazio fisico per attuarlo e probabilmente sarebbe morto schiacciato comunque. Respirare diventava sempre più difficile, il panico sembrava avergli paralizzato anche i polmoni. Oppure l’ossigeno stava finendo per davvero?
La cosa sotto la sua schiena di mosse di nuovo, in modo più brusco e repentino questa volta. Sonic fece appena in tempo a preoccuparsi che un inquietante gorgoglio impolverato si fece sentire, spaventosamente vicino, sotto la nuca del riccio. Le mani di Sonic si ancorarono al suolo per mantenere una qual sorta di stabilità. Le sue dita toccarono una superficie dura, più liscia del cemento, metallica e … calda.
Il pavimento si inarcò sotto la schiena di Sonic. Guizzò verso l’alto, accompagnato da un altro stridio, più angosciato e allarmato rispetto all’ultimo. Il naso di Sonic si trovò nuovamente a contatto con la lastra di cemento di cui aveva già fatto conoscenza poco prima. Il pavimento non accennò a tranquillizzarsi e si inarcò ancora due volte, spiaccicando di conseguenza il riccio per altrettante volte. Possibile che il pavimento fosse colto da un attacco di claustrofobia del tutto simile a quello che aveva colpito Sonic pochi minuti prima?
La certezza ormai assoluta che suddetto pavimento fosse vivo e vegeo, indusse il riccio a parlare ad alta voce e cercare di calmare la situazione. –Fermo! Fermati! Ahio! Eddai!- mugugnò il riccio premuto nuovamente contro il soffitto. –Agitarti così non ci tirerà fuori di qui, né aiuterà in alcun modo la situazione.-
Il pavimento parve, sorprendentemente, ascoltare e capire le parole di Sonic. Tornò infatti ad essere una superficie d’appoggio orizzontale. Con un gorgoglio depresso, il pavimento smise definitivamente di agitarsi, tranne che per il lievissimo movimento regolare su e giù. Il suo respiro?
Un sospetto schiocco elettrico fece guizzare le orecchie di Sonic, il cui stato confusionale non avrebbe potuto essere più totale. Come si parla con un pavimento o con qualcuno che funge da pavimento?
Il bizzarro rumore frizzante si intensificò e un sottile lampo di luce accoltellò gli occhi di Sonic. Sbattendo le palpebre, il riccio vide otto strisce di luce risalire dal basso e ripiegarsi rigidamente una volta raggiunto il soffitto. La luce violacea ricordava il neon per consistenza e, seppur debole e frastagliata, fu sufficiente per rischiarare la situazione e permettere al roditore di identificare l’altra anima imprigionata con lui in quel minuscolo spazio che davvero non sarebbe stato più ampio di quello offerto da una bara.
Quando il riccio blu aveva preso la prima testata contro il soffitto, aveva giurato a Chaos che la sua posizione non avrebbe potuto essere peggiore. Che il suo incubo più atroce si fosse avverato. Eppure, con il rammarico più sincero che la Terra avesse mai visto, Sonic fu costretto a riformulare il proprio pensiero.
Appallottolato sul petto di Zeta, con le sue otto zampe ora luminose ripiegate contro il soffitto, la situazione dell’Eroe di Mobius era precipitata negli abissi più neri e impensabili. Mentre la coda dello scorpione raschiava con l’uncino il fondo della loro cella di detriti, Sonic si rigirò, molto lentamente, sulla corazza metallica dell’aracnide. A pancia sotto, con gli aculei che sfioravano il soffitto, si ritrovò a fissare le due chele affilate, sospese a mezz’aria, e a fissare i due occhi innaturalmente disumani dell’essere che aveva quasi rubato la vita a Tails.
Oh, per Chaos!
 
 
Espio e Tails dovettero abbandonare, o per lo meno sospendere, i loro propositi di salvataggio non appena ridiscesero le scale e raggiunsero il pianoterra devastato. In piedi, davanti alla voraggine che aveva inghiottito piazza, passanti e amici, constatarono frustrati di non poter fare assolutamente nulla di nulla.
Le macerie erano mastodontiche, impossibili da smuovere. Sonic o Shadow non giacevano in bella vista su uno spuntone di roccia. Non vi erano feriti a portata di braccio. Come i due avevano già immaginato, erano tutti sotto. E la problematica di come andare loro stessi là sotto si stava rivelando più ostica del previsto.
Non vi erano punti sufficientemente stabili su cui camminare, non vi erano passaggi attraverso cui intrufolarsi sotto al crollo, e ogni singolo movimento avrebbe potuto schiacciare a morte qualcuno, metri più in basso.
Così, volpino e camaleonte rimasero instupiditi a guardare lo sfacelo, con animi tanto brucianti quanto impotenti.
I lamenti di quelli che non erano stati seppelliti, le urla di terrore di quelli che ancora avevano aria per gridare, risuonavano sulla piazza. Oltre a quelle strida regnava un silenzio morto che avrebbe fatto venire la pelle d’oca pure ad una cute coriacea come quella di Vector.
La maggior parte dei soldati, che nel tentativo di catturare Shadow avevano sparato il missile, era sparita. Soltanto sei sagome in divisa si agitavano al margine settentrionale della piazza, palesemente sconcertati e disperati. I mezzi blindati, i mecha d’assalto e tutto il resto si era vaporizzato nel nulla. Che fossero andati a cercare aiuto?
-Guarda là.- sussurrò Espio, a bassa voce, come timoroso di incrinare quell’atmosfera surreale. Tails seguì il dito puntato del rettile e vide ciò che gli occhi del ninja avevano scorto. Sull’altro lato della piazza, oltre alle nubi di polvere in lenta discesa, davanti alle porte del museo, dove neanche troppo tempo prima un’intera classe d’elementari era stata inghiottita viva dalla terra, scintillava agli smorti raggi del sole l’uniforme di un poliziotto. Un barlume di autorità, una possibilità di rendersi utili.
Espio e Tails si guardarono. Con tutto quello che i governi avevano combinato di recente, era ancora un’idea saggia rivolgersi ad un loro rappresentante? L’espressione disgustata del volpino pareva riflettere quella del camaleonte. Avevano scelta? Rimanere a guardare, impotenti, i tentativi di soccorso oppure segnalare la loro disponibilità? Da soli, loro due avrebbero potuto fare ben poco, come avevano tristemente notato. Non avevano i mezzi per superare la berriera di detriti e raggiungere i feriti. Voltare la schiena a coloro che avevano bisogno d’aiuto nel nome di un’ingiusta persecuzione che avrebbe meritato un giustificato sdegno?
Parlare ad un povero poliziotto di servizio non avrebbe in alcun modo potuto nuocere ulteriormente alla loro situazione. O no?
-‘Ndiamo?- borbottò Espio, non particolarmente convinto né dell’idea di rimanere lì né dell’idea di andare.
Tails tirò su con il naso. –In volo arriveremo là prima, attraversando … la piazza.-
Il ronzio delle soffici code del volpino colmò in magra parte la carenza di suoni. Con occhi vitrei, Tails ed Espio poterono godere dell’impagabile spettacolo di quella distruzione vista dall’alto. Le macerie, da lassù, parevano più affilate, come protese verso di loro in un grottesco tentativo di catturarli. Tra una roccia smossa e l’altra, qualche schizzo di rosso riluceva sotto la polvere. E anche qualche altra parte più solida e consistente.
Nessun volo nella vita di Tails sembrò mai eterno come quello. Entrambi non fecero altro che contare i secondi per giungere dall’altro lato, volpe e camaleonte pregarono Chaos che le code di Tails si muovessero più rapidamente. La loro fretta non fece altro che accentuare quell’agonia. Non chiusero gli occhi, però: è il dovere dei sopravvissuti vedere e ricordare, per poi raccontare.
Quando finalmente i loro piedi toccarono terra, i due amici constatarono che il poliziotto da loro adocchiato aveva la sua buona dose di problemi. Con la radiolina all’orecchio, il buon uomo tentava in tutti i modi di condurre una conversazione di senso compiuto con un centralinista appostato chissà dove e di organizzare un’operazione di salvataggio richiamando alla piazza ogniunità disponibile, il tutto mentre una donna sulla settantina gli si aggrappava ostinatamente alla giacca, strillando con più vigore di una cantante lirica al culmine della sua performance.
-Sì, ho bisogno di tutte le unità disponibili, dei pompieri e dell’ambulanza. È necessario un …- provava a dire lui.
-L’ho visto! Mi creda, l’ho visto!- gracchiava lei. –Quel riccio nero che si è buttato proprio davanti al missile! Oh, Gesù, Giuseppe e Maria! Quei piccoli angeli saranno tutti là sotto! Mi creda! Dovete mandare qualcuno a salvarli. Subito!-
-Il prima possibile, Cristo Santo! Hanno fatto esplodere tutta la piazza e probabilmente i tre isolati successivi! Come chi? Quei cretini dei federali, ecco chi! Signora, mi lansci andare!-
-Ma lei non mi ascolta!-
-Sì, l’ascolto, signora. Ho capito quello che ha detto e sei lei invece ascoltasse me scoprirebbe che stiamo facendo del nostro meglio e che tutte le unità disponibili arriveranno al più presto e ….-
La radiolina venne sradicata dalla presa del polizziotto. La signora coprì l’apparecchio con le mani nodose e fissò negli occhi il gendarme. –No. Lei non ha capito. Io ho detto che ho visto Shadow The Hedgehog salvare una classe di piccini e prendersi in pieno petto, o quasi, un missile.- gli occhi appannati della vecchia, ondeggiando, ancorarono quelli palpitanti del giovane. –Agente, che cosa voi altri non ci avete detto?- sussurrò tra i denti la donna.
Tails ed Espio rimasero ai margini della scena, a guardare stupiti. Lentamente, gli sguardi dei due amici si cercarono e si trovarono. Entrambi sorrisero. –Finalmente!- sospirarono all’unisono.
Un fremito elettrico attraversò l’aria, uno schiocco frizzante fece drizzare le orecchie dei due mobiani e i capelli della signora. Un sorriso si fece largo sul musetto di Tails, il primo dall’inizio di quell’increscioso incidente. –Come il proverbio umano: quando si parla del diavolo … spuntano le corna.-
La breve corrente elettrica si ripetè, e questa volta tutti riuscirono chiaramente a vederla oltre che a sentirla. La signora e il poliziotto balzarono indietro, occhi sgranati.
Il filamento elettrico rimase a galleggiare a mezz’aria, consolidandosi sempre di più ad ogni secondo. Si inspessì e si allargò, fino a divenire il bagliore accecante che Tails ed Espio conoscevano fin troppo bene. Dal portale, aperto tra le pieghe dello spazio e le correnti del tempo, rotolarono fuori cinque bambini e un riccio. Finirono tutti quanti faccia a terra, tranne il mobiano che atterrò in ginocchio.
Volpe e camaleonte capirono subito che qualcosa non andava per il verso giusto, quando videro Shadow accasciarsi a quel modo a terra.  Accorsero preoccupati dal compagno ignorando apertamente gli sguardi esterrefatti dei due umani dietro di loro. Ai margini della scena, altre persone cominciavano a voltare la testa verso la fonte del misterioso bagliore ormai morto.
Quando poi Tails si accorse dello stato in cui era ridotto Shadow, non riuscì più a trattenersi. –Per Chaos! Sei ferito! Cosa ti è successo?!-
Il riccio nero, che annaspava per respirare dopo lo sforzo di teletrasportare da solo cinque persone, alzò lo sguardo verso il volpino. Non vi era altro che rabbia nel suo sguardo. –Oh, non mi è successo nulla. Mi hanno solo sparato un missile addosso e mi hanno fatto crollare un’intera piazza sulla testa. E io che pensavo fossi tu quello intelligente del gruppo.- ringhiò tra i denti.
Uno dei cinque bambini si alzò da terra e corse ad abbracciare Tails e poi Espio. Era Cream, sporca, impolverata e macchiata di sangue. Mentre a parole confuse la piccola provava a spiegare loro cosa fosse successo là sotto, Shadow si rialzò cautamente in piedi. Sul suo corpo scuro, il sangue si vedeva a fatica: solo strisce più lucide del resto della pelle. Il volpino intuì da dove venissero le tracce rosse sulla coniglietta, che non aveva nessuna ferita, al contrario del riccio.
-Dove pensi di andare?- sbottò Espio.
Shadow aveva gli occhi puntati sul devasto della piazza, e aveva quell’espressione che assumeva sempre quando valutava e rimuginava qualcosa che a breve si sarebbe tradotto in azione. –A prendere gli altri.- sibilò infatti.
-Tu non puoi …- cominciò il ninja ma il riccio era già sparito in uno sbuffo di luce elettrica. Espio schioccò la lingue. –Dove la trova tutta quell’energia?-
Tails non ebbe cuore di rispondere, alle sue spalle la signora persecutrice di poliziotti innocentu esultò. –Visto, agente? Io l’avevo detto! L’avevo detto!-
I tre mobiani fissavano ora la piazza, ora l’aria attorno a loro, contando i secondi. Perché Shadow ci impiegava così tanto?
Finalmente, dopo quella che parve un’eternità, il Chaos Control squarciò nuovamente lo spazio e scaricò senza nessuna finezza il suo carico di ragazzini, ricci e insegnanti.
Questa volta, la Forma di Vita Perfetta atterrò di schiena, pesantemente, e non si rialzò. Rimase lì, ad ansimare, ad occhi chiusi.
Mentre il volpino rassicurava i bimbi spaventati, alcuni colpiti anche da nausea post teletrasporto, Espio si avvicinò a Shadow. –Sei un cretino e lo sai.-
Un gemito gutturale fu la risposta che ottenne.
Qualche attimo di quiete passò, tra i bambini trasandati e un’insegnante sull’orlo di una crisi di nervi che ricontava il suo gregge per la settima volta consecutiva. –C’è tanta gente là sotto, Espio.- sussurrò Shadow. –L’ho percepito con il Chaos Control.-
-Ma presumo che non puoi andarli a prendere. Non riesci neanche a stare in piedi.- constatò il ninja.
Shadow lo ignorò. –E … ho visto anche un’altra cosa, laggiù.- Espio attese che riprendesse fiato. –Il nostro piano non ci servirà più. L’Alpha è decisamente più estesa di quanto avessimo immaginato.-
 
 
Una volta constatato che non c’era spazio a sufficienza per attaccare, per difendesi o combattere in alcun modo, la situazione si era molto calmata, fin quasi diventando noiosa. Anche se il fatto di essere seppelliti vivi con un cyborg sicuramente era un fatto insolito che nessuno avrebbe mai descritto come “noioso”.
Sonic non aveva impiegato molto per notare le cicatrici. Tagli profondi, guariti in modo imperfetto e inaccurato, si intersecavano sul corpo di Zeta, sia sui pochi lembi di pelle visibili sotto la corazza, sia sulle placche dell’esoscheletro stesso. Le scaglie metalliche che ricoprivano per intero il corpo dell’esperimento da laboratorio erano state, un tempo, frantumate e spezzate in più punti e sembravano essere state aggiustate con … una saldatura. Sonic non se ne intendeva di metalli e di meccanica, ma, grazie alle opere di Tails, aveva imparato che segni simili venivano lasciati soltanto da una fiamma ossidrica.
Il riccio non aveva dubbi sul perché la corazza di Zeta era così malridotta: visti tutti i loro scontri precedenti, non c’era da stupirsi che lo scorpione geneticamente modificato ne fosse uscito con una buona dose di ammaccature. Quello che Sonic non riusciva a concepire era il fatto che tali ammaccature fossero state cauterizzate con una fiamma ossidrica! Zeta, per quanto crudele e sadico, era pur sempre un’essere vivente! Come si poteva pensare di cauterizzare un essere senziente con una fiamma ossidrica?! Quelle placce ossee erano attaccate al suo corpo, appena sotto di esse vi era pelle e carne … e il calore non si era certamente limitato alle placche semi-metalliche della corazza.
A migliorare la situazione, sui dieci arti dello scorpione vi era tutta una serie di segni e striature che sembravano percorrere la naturale disposizione delle vene e delle arterie … come se qualcuno avesse iniettato qualcosa che ne aveva mutato il colore. E questo era avvenuto diverse volte, visto il numero di intrecci e di segni.
Un fascio di fili e cavi sbucava dalla corazza sul dorso di Zeta per poi tuffarsi nel collo del cyborg, forando senza alcun tipo di finezza la pelle appena visibile tra una placca ossea e l’altra. Un filo di sangue fuoriusciva dal punto in cui il metallo lasciava il posto alla cute, prova inconfutabile che quei cavi non avrebbero dovuto essere lì e che la loro presenza non era sicuramente gradita.
Sonic aveva perso ogni cognizione del tempo, e, giusto per fare qualcosa, aveva cominciato a studiare meglio il suo “compagno di stanza”. Con un certo sollievo, entrambi avevano constatato che il livello d’ossigeno non era diminuito da quando si trovavano lì, il che significava che vi era un flusso di aria, da qualche parte. Eppure, quel magro sollievo era morto subito non appena gli occhi smeraldini del riccio si erano posati sul corpo dello scorpione assassino: la sua immaginazione aveva lavorato anche fin troppo bene. Era quello l’aspetto di una bioarma? Era quello il corpo di una creatura fatta in laboratorio e nata per combattere? Perché Shadow non aveva cavi elettrici che gli uscivano dal collo? Dove stava la differenza? Faker era stato trattato così sull’ARK? Scosse elettriche, operazioni chirurgiche da macellaio e nessun tipo di riguardo o di rispetto? La pelle della Forma di Vita Definitiva non aveva conservato traccia di quelle eventuali ferite, così come non aveva fatto con tutte le altre, ottenute nelle numerose battaglie. Per la primissima volta, Sonic osò pensare che, forse, era un bene che Shadow non ricordasse. Ma, sicuramente, lui non era stato trattato così. O no?
Pensare a Shadow sotto quella nuova luce su cui Sonic non si era mai soffermato a pensare, gli fece venire la nausea. -Ma cosa ti hanno fatto, eh?- domandò tenuamente allo scorpione, per riempire quel silenzio troppo opprimente.
Gli occhi spettrali di Zeta ruotarono appena. Sibilò, provò ad articolare un suono ma Sonic non udì altro che un confuso gorgoglio.
Il rabbioso disgusto per quello che Zeta aveva fatto al piccolo Tails si mischiava alla rovente indignazione per ciò che era stato fatto allo stesso aracnide. Il cuore di Sonic non aveva ancora perdonato, ma la sua mente cominciava a capire.
-Non sei stato solo tu, vero?- sussurrò, più a sé stesso che al cyborg.
Un guizzo di confusione scintillò nello sguardo dello scorpione, che, sorprendentemente, stava ascoltando con molta attenzione le parole del riccio. E pareva anche capirle, solamente aveva problemi a seguire il discorso frammentato che nemmeno Sonic stesso riusciva a completamente comprendere.
Una lucina rossa si accese sulla tempia sinistra dello scorpione. Zeta tremò da capo a piedi, come se avesse ricevuto una scossa elettrica. Contrasse tutti i muscoli, sobbalzando. Scalciato Sonic in un angolino, con enorme fatica Zeta si ribaltò in quello spazio angusto, posizionandosi a pancia sotto. Le due chele taglienti come bisturi affettarono un paio di volte l’aria prima di scagliarsi contro il terreno.
-Ma cosa stai fac…- cominciò il riccio, confuso e preoccupato. Cosa stava succedendo?
Con una facilità che aveva dell’incredibile, Zeta sgretolò la roccia su cui erano stati sdraiati fino a quel momento. La dolce solidità del pavimento venne a mancare e Sonic cadde nel vuoto. Trattenendo il fiato e con tutti i sensi sull’attenti, Sonic si preparò ad un impatto che sarebbe potuto avvenire tra un secondo come tra dieci. Il salto durò assai poco, in meno di due secondi le scarpe di Sonic atterrarono saldamente su una superficie di piastrelle bianche. Fece appena in tempo a riprendere fiato dalla sorpresa dell’improvvisa azione di Zeta e dell’inaspettato salto, non riuscì nemmeno a chiedersi perché Zeta non avesse agito prima se era in grado di fuggire fin da subito e, soprattutto, cosa ci facessero delle piastrelle là sotto. Qualcosa di liscio ma spigoloso lo afferrò per la vita, gli fece un giro completo attorno ai fianchi e Sonic venne trascinato nuovamente giù, mentre Zeta disintegrava un altro pavimento. La coda uncinata arrotolata attorno al riccio mantenne salda la presa: Sonic venne trascinato in una seconda voragine a fondo indefinito.
 
 
Tails ed Espio rimasero a guardare instupiditi il punto in cui fino ad un attimo prima sedeva Shadow. Dopo il bagliore del Chaos Control, lì non rimaneva altro che macerie polverose macchiate di rosso. –Non è davvero andato laggiù senza di noi, vero?- chiese Tails.
-Ovviamente che è andato da solo!- ringhiò Espio, palesemente arrabbiato. –Ha perso litri di sangue, ha lividi e tagli ovunque, non riesce neanche a stare in piedi e logicamente giunge alla conclusione di poter andare a … esplorare, combattere o qualunque altra cosa abbia intenzione di fare, completamente da solo e senza due paia di braccia in più! Ma sì, più che sensato!-
L’espressione di Tails era a metà tra il rassegnato, l’esasperato e il preoccupato. –Questo suo atteggiamento lo metterà in guai seri, prima o poi.-
-È un miracolo che non sia già accaduto!- brontolò Espio.
-È accaduto. Solo che lui ne è sempre uscito tutto intero.- lo corresse Tails.
-Intendi dire a parte quelle due volte in cui ci ha effettivamente lasciato la pelle?- sbuffò Espio. –Sì, hai ragione: si è già messo in guai seri per via del suo atteggiamente. Ma hai torto sul fatto che ne sia sempre uscito tutto intero.-
I due mobiani rimasero in silenzio qualche istante prima di voltarsi verso la piccola mandria di bambini dietro di loro. L’insegnante, con le guance impolverate e striate di lacrime, provava inutilmente a tranquillizzare e placare il piagnisteo generale. L’unica non soggetta alla disperazione era la piccola Cream. Con le ditate insanguinate di Shadow ancora ben visibili sul vestitino, la coniglietta guardava con occhi vuoti la marea di detriti.
Due puntolini colorati si mossero in quella vastità di marrone e grigio. Cream schizzò in piedi, volpe e camaleonte notarono la variopinta novità soltanto grazie all’occhio di falco della coniglietta. –Cosa c’è?- domandò seccamente Espio, ancor prima di voltarsi.
Tails si illuminò come un sole. Da quando tutto quel disastro era cominciato, si sentì genuinamente felice. Niente valeva più di due facce amiche in quelle ore di terribile bisogno.
Non c’era un sorriso né sul volto di Amy né su quello di Knuckles, ma entrambi si rasserenarono non appena scorsero il volpino e il ninja.
-Grazie a Chaos state bene!- esclamò Amy.
-Eravamo nella nostra postazione, pochi isolati da qui. Ma la scossa di terremoto di poco fa ha causato alcuni feriti e ci siamo trattenuti per aiutarli. Per questo ci abbiamo impiegato così tanto a venire qui.- spiegò Knuckles.
Gli occhi di Amy continuavano a cercare, invano. –E … gli altri? Dov’è Sonic? E Shadow?-
Mentre Tails ed Espio si scambiavano una tetra occhiata, cercando di stabilire chi avrebbe dovuto spiegare tutto quanto, qualche decina di metri sopra le nubi di polvere un nibbio metallizzato volava silenziosamente. Iota non tardò molto a comprendere che il suo bersaglio argenteo non era in superficie, anche se il suo radar indicava chiaramente che Silver era proprio lì, in zona. Sotto a quei sassi. Le sostanze chimiche che il riccio aveva in corpo, grazie al loro ultimo scontro, erano chiaramente percepibili da Iota, come se fossero una sorta di scia odorosa: avrebbe potuto rintracciarle ovunque.
Il rapace bionico battè le ali un’ultima volta, prima di gettarsi in picchiata.
Un’echidna rosso alzò la testa e lanciò l’allarme.
 
 
-Wind! Wind! Ti prego, rispondi!- le dita di Shell cercarono e trovarono a tentoni il braccio dell’aquila. Era il buio più assoluto, la gabbianella non riusciva nemmeno a vedere il proprio becco. –Wind!- chiamò di nuovo, senza ottenere risposta.
Le sue dita toccarono qualcosa di bagnato e di caldo. La mente di Shell parve spezzarsi a metà. –Oh, Chaos! Wind! Rispondi, parlami!- Non riuscì quasi a terminare la frase, singhiozzi e lacrime la soffocarono interamente. Non … non poteva essere davvero ….?
Erano sulla piazza, un attimo prima, stavano tutti e due bene. In una frazione di secondo, il loro mondo era sprofondato.
Un’improvvisa e inspiegabile luce albeggiò da dietro uno spigolo, azzurrina e tenue. La disperazione di Shell le impedì di domandarsi da dove venisse, i suoi occhi cercarono freneticamente quelli del compagno, corsero sul suo corpo alla ricerca di ferite, avidamente analizzarono ogni dettaglio che potesse rivelare che fosse ancora vivo.
Una lunga ferita, dalla spalla al petto. Una gamba ritorta in un’angolatura innaturale. Occhi chiusi. Polmoni che ancora respiravano.
Tutto questo, durò forse una frazione di secondo. La luce era aumentata d’intensità, la fonte si era notevolmente avvicinata e tra poco avrebbe svoltato l’angolo. Shell scattò, si rigirò verso la luce e, muovendosi, constatò di trovarsi in una specie di contorto corridoio formatosi tra i massi caduti. Bene, almeno aveva una via di fuga nel qual caso la fonte della luce non fosse stata amichevole. Erano forse i soccorsi? Oppure un … nemico?
Con occhi sbarrati, aspettava solo che chiunque fosse, svoltasse l’angolo. L’unico risultato che ottenne fu quello di venire completamente accecata, senza aver visto nulla di utile. Con gli occhi anche più lacrimanti di prima, Shell fu costretta a schermarsi il volto con le mani. –Chi sei?- ruggì, pronta a fare anche l’impossibile per proteggere il suo amatissimo Wind da qualunque cosa si stesse avvicinando. Era cosciente della propria vulnerabilità, cosa che fece aumentare ancor di più la sua già gravosa e opprimente ansia. Riuscire ad alzare il corpo di Wind e scappare?!
-Abbassa quella luce, Silver! Stai accecando questa poverina!-
Il bagliore azzurro calò di intensità. Il dolore agli occhi svanì, Shell aprì le palpebre. La luminosità era sì bassa ma ancora sufficientemente vivida per permetterle di distinguere sagome e princìpi di colori. E anche i volti dei due nuovi venuti. Un riccio bianco, argenteo, con le mani rilucenti di quella strana aura scintillante che prima l’aveva abbagliata. E una pipistrella dai vestiti decisamente rivelanti che …. Shell strabuzzò gli occhi. Era … la compagna di Shadow! Dopo tutte le sue ricerce, Shell aveva imparato a conoscerla molto bene, senza mai averla però vista di persona. Era un’abile ladra, fedele alleata del misterioso e famigerato riccio nero. Cosa ci faceva mai lei laggiù? E perché era accompagnata da un riccio bianco anziché da quello nero?
-Oh, siete feriti!- esclamò Rouge, il volto visibilmente preoccupato. –Fortuna che vi abbiamo trovati, eh?-
Feriti? Si domandò Shell. Io non sono ferita …
Fece per abbassare lo sguardo per darsi un’occhiata e controllare, quando vide l’espressione del riccio bianco mutare spaventosamente. Da sollevato, Silver divenne il ritratto dell’orrore. Il suo corpo scattò prima ancora che Shell capisse cosa stesse succedendo: il riccio si mise in posizione d’attacco, sollevò le mani e dai palmi scaturirono due fasci azzurri che sfrecciarono verso Shell, la superarono e si schiantarono appena dietro di lei. L’aria vibrò quando l’aura si condensò in una solida e rigida barriera, alle spalle dei due pennuti.
Il cuore di Shell non osava nemmeno più battere. Paralizzata come mai era stata in vita sua, non riuscì a muoversi da lì. Vide solo le espressioni terrorizzare del riccio e della pipistrella, alterate dalla più fosca paura. Cosa c’era esattamente dietro di lei?!
Rouge si scrollò di dosso lo spavento e gridò. –Via di lì!- afferrò Shell per un braccio, la trascinò di peso, affiancandola a Silver. La gabbianella si ritrovò in piedi senza capire nemmeno come, mentre Rouge si gettava a recuperare Wind e ad allontanarlo dalla barriera, dimostrando per altro una forza muscolare notevole.
Shell finlamente si voltò a guardare. I dieci artigli di metallo perforarono la barriera, che si incrinò. Oltre la placca azzurra, in mezzo ai dieci artigli ricurvi, simili a lame di coltello, la gabbianella riuscì ad intravvedere appena un paio di occhi rossi lampeggianti, innaturali, e un paio di orecchie pelose da lupo. Un ghigno scintillò nelle ombre, una fila di zanne venne snudata ad un’altezza inquietante. Quanto era grande quel….?
Le mani di quello che a Shell sembrava un lupo mannaro si mossero bruscamente, gli artigli tranciarono e la barriera si sbriciolò interamente. Una massa di pelo color ruggine e metallo scattò in avanti senza sprecare nemmeno un secondo, dimostrando una velocità impressionante. Con un ruggito bavoso in gola, il lupo ululò. 




 

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