Hurricanes - Danny's POV

di Merigold
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Moon Boots ***
Capitolo 2: *** Good Ol' Days ***
Capitolo 3: *** Breakeven ***
Capitolo 4: *** Nothing ***



Capitolo 1
*** Moon Boots ***


Prologo
Moon Boots

 

 
Credo di conoscere la solitudine meglio di me stesso. Riconosco ogni suo bisbiglio, ogni suo silenzio. So perfettamente quando sta per arrivare e impadronirsi di me, e quando invece decide di lasciarmi e abbandonarmi a una vita felice. È una compagna discreta, ma che diventa ingombrante quando mi striscia dentro. Mi chiedo cosa si celi dietro le pieghe del suo essere. Non credo lo scoprirò mai.
A volte credo che forse sarebbe meglio andarsene, prendere tutto e ricominciare a vivere lontano dal mondo. Ma poi vedo ciò che ho qui e penso che non ne varrebbe la pena. Sto bene così.
La mia vita è perfetta. O quasi. Ho tutto quello che una persona possa desiderare. L’unica crepa nella mia reggia di cristallo è questa sensazione di vuoto che mi tormenta dal giorno in cui è morto mio padre.
Il solo rimedio per non sentirla è la musica.
E allora suono.
Ci sono dei giorni in cui Dublino mi manca terribilmente, ma Londra ormai è la mia casa e ho imparato a convivere con quest’idea molto tempo fa. Mi sento come parte di due mondi lontanissimi ma che riescono comunque a toccarsi e a fondersi quando ne ho più bisogno.
Londra, 18 ottobre.
È  tempo di suonare.
 
Percorro il viale alberato senza dar peso a quello che mi circonda canticchiando un motivetto che ho in testa da questa mattina. La luce è filtrata dai rami che iniziano, seppur in ritardo, a perdere le foglie e per questo la via è poco luminosa. Calpesto il sottile strato di foglie secche che si fa di giorno in giorno sempre più fitto e scricchiolante e mi dirigo a passo lento verso il parco.
Le nuvole sono poche per essere ottobre e mi chiedo se anche il freddo tarderà ad arrivare. Una leggera brezza scuote i rami secchi e il vento sembra quasi chiamarmi.
Forse dovrei decidermi a smetterla di andare in giro per pub con Glen a scolarmi barili di birra.
Sto quasi per decidermi a fare finalmente marcia indietro per andare a stendermi un po’ sul divano di casa quando in lontananza sento le note di una canzone a dir poco “familiare”. Incuriosito decido di avvicinarmi al punto da cui proviene la musica e vedo una cabrio ferma al semaforo sull’incrocio con il viale. Dal suo stereo risuona “Moon Boots”.
Mi sembra passata una vita dall’ultima volta in cui l’ho ascoltata…
“I cut my parachute off,
to see if I can stand.
I'm headed for a great new world,
somewhere were there ain't no fears.”*
Accanto all’uomo che guida la macchina è seduta una ragazza dai capelli neri intenta a sistemarsi il trucco sugli occhi. Sembra completamente assorbita da questo arduo compito. Scuoto la testa e decido di aver visto abbastanza, infatti sto per tornare indietro ma qualcosa nel suo sguardo mi trattiene. Una strana nota di tristezza troppo evidente per l’età si cela nei suoi occhi. Un velo di lacrime li ricopre e lei sembra quasi sul punto di frantumarsi in mille schegge di vetro.
Come può una ragazza tanto giovane essere così… vuota?
Dall’altro lato della strada un gruppetto di amiche ride allegramente. Non devono essere più grandi della ragazza nella macchina, eppure le loro risate sembrano quasi ferirla, accentuando la tristezza sul suo volto.
Non bisognerebbe sfoggiare un sorriso tanto luminoso da far impallidire le stelle a quell’età?
Nello stesso istante si volta e incrocia il mio sguardo ma io mi rifiuto di staccare gli occhi dai suoi, illudendomi così forse di poter capire cos’è che la tormenta.
Ha l’aria vagamente confusa, ma appena si riprende sgrana gli occhi. Le sorrido divertito. Deve avermi riconosciuto.
Mi ritrovo addosso due occhi più azzurri del cielo.
Occhi che sembrano in grado di erigere un muro insormontabile a protezione della sua anima.
Contro ogni mia supposizione ricambia il sorriso, anche se in modo un po’ impacciato, e si infila un paio di occhiali da sole neri, negandomi ogni opportunità di entrare in contatto con il suo mondo.
La sto ancora osservando intento a cercare di svelare il suo mistero quando il semaforo diventa verde. La macchina riparte con un rombo e si allontana rapidamente portando via con sé quegli occhi tristi.
“I've built a rocket to the sky.
Gonna say goodbye.
Gonna cut of all transmissions”*
Continuo a seguirla con lo sguardo mentre sparisce all’orizzonte inghiottita dal caos londinese tentando di immaginare quale possa essere la meta per un’anima tormentata come la sua.
Non credo abiti qui, non l’ho mai vista prima. Ma è pur vero che sono stato lontano da casa per quasi un anno, e forse non è da molto che si è trasferita.
Oppure è semplicemente una meteora passeggera che ha degnato questa cupa cittadina della sua luminosa presenza.
Sono decisamente sbronzo.
Mi do un colpetto sulla testa sperando di riacquistare un po’ di lucidità, ma a quanto pare le situazione ha raggiunto livelli fin troppo critici. Rassegnato mi metto in marcia verso casa canticchiando allegramente lo stesso movimento di prima allettato dall’idea di una bella doccia fredda per rinsavire almeno un poco, ma arrivato davanti a un pub mi fermo.
Quegli occhi erano troppo azzurri per essere pieni di sentimenti così neri.
Prendo il telefono e invio un messaggio a Mark e Glen.
|Credo di aver trovato l’ispirazione per un nuovo pezzo. Al “tree’spub” fra 15 minuti.|
Londra, 18 ottobre.
È  tempo di suonare.




 

Moon Boots 
http://www.youtube.com/watch?v=HaPfW_0Z5b8

  
Citazioni
* Moon Boots – The Script
“ Ho tagliato il mio paracadute
Per vedere se riesco a stare in piedi.
Sto andando verso un mondo migliore.
Un posto dove non ci siano paure”
 
“Ho costruito il mio razzo nel cielo.
Dirò addio.
Interromperò tutte le trasmissioni”
  

Merigold's corner
Eccomi di nuovo qui.
Questo è il POV di Danny di Hurricanes.
Qui potete trovare quello di Melanie ---> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2105080&i=1

Spero vi piacciano entrambi (:
Comuqnue come ho già spiegato nell'altro capitolo pubblicherò le storie in parallelo e saranno sostanzialmente le stesse scene (più o meno) in due POV differenti.

Vi saluto e vi lascio ai capitoli.
Sayonara

-Mer

Vi saluta anche Danny

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Capitolo 2
*** Good Ol' Days ***


Capitolo 1
Good Ol’ Days
 
Londra, 3 novembre.
 
Diluvia.
C’è poca gente al tree’s pub per i soliti standard del sabato pomeriggio, ma non mi interessa più di tanto. Voglio solo suonare per un po’ senza curarmi di nulla, neanche di quante persone ci ascoltano. Suono per loro, che siano 2 o 3, 10,  100, o anche 1'000 voglio che ognuno di loro si senta come se stessimo suonando solo per lui.
Dopo le prime due canzoni il piccolo pubblico sotto la pedana ha iniziato a scaldarsi. Nel giro di qualche altro minuto è entrato un gruppetto di nostre fan e l’atmosfera si è fatta ancora più carica. Passata circa un’altra mezz’oretta decido che è ora di una pausa e così faccio un cenno a Mark che capisce al volo. Mentre finisco la birra lo sento parlare al microfono. - Allora ragazzi, questo è l’ultimo pezzo. Siete pronti per scatenarvi? -
Non pensavo che le poche persone che riempiono il locale potessero urlare così tanto.
Entusiasta impugno il microfono mentre le prime note di Good Ol’ Days riscaldano l’ambiente.
“Up in the bar all smoking cigars
we were drinking Irish whiskey straight from the jar.
Talkin’ bout them better days are not that far
Whoever’s coming back to mine you better bring the guitar.”
Suonare in questo modo mi catapulta in un’altra dimensione. Mi sento libero. Completo.
Quando Mark inizia a cantare faccio appena in tempo a riprendere fiato che noto un paio di occhi già visti. La ragazza che avevo incontrato all’incrocio due settimane prima mi osserva da sotto la pedana a pochi metri di distanza. Ci guarda estasiata e non posso fare a meno di sorriderle anche questa volta. Rimane stupita, ma ricambia velocemente. Non sembra avere la stessa aria malinconica del nostro primo incontro.
Ho appena il tempo di pensare che possa essere la volta buona per svelare il mistero dei suoi tormentati occhi quando si allontana. Per fortuna non esce dal locale, ma si siede su uno degli sgabelli del bancone e inizia a parlare con Dave, il barista.
Ci penserò dopo.
Sento gridare il mio nome da un gruppo di ragazze e le saluto mentre ricomincio a cantare.
“We’ll remember this night when we’ll old and grey,
‘cos  in the future these will be the good ol’ days.
We’re arm in arm as we sing away.
In the future these will be the good ol’ days.”*
Come sempre finiamo troppo presto di suonare e in un attimo sono già sceso dalla pedana sommerso da un gruppo di fan insieme a Mark e Glen. Hanno tutte un’espressione estasiata e non fanno altro che lanciarsi occhiate tra di loro a bocca aperta. È sempre una gioia vedere come la nostra musica riesca a rendere felice tutta questa gente.
Senza nemmeno accorgermene mi ritrovo a fissare la ragazza seduta al bancone e decido che è arrivato il momento di passare all’azione.
- Glen, finite voi. Devo andare da Dave. –
Annuisce senza fare domande e torna a sorridere a una ragazzina bionda.
Vengo bloccato da due fan, ma me la sbrigo con un paio di autografi e mi dirigo verso Dave facendogli un cenno. Mi sorride di rimando. - A quanto pare il nostro caro Danny non ha ancora bevuto abbastanza oggi. -
Dave ci ha sempre trattato un po’ come dei figli sostenendoci e incoraggiandoci quando i nostri progetti erano solo sogni e niente più. Ormai ci conosce come le sue tasche e ci capisce senza bisogno di parlare. Anche quando sono entrato da quella porta 2 settimane fa non c’è stato bisogno di dirgli nulla; sapeva benissimo che nella testa avevo una ragazza. Per la precisione quella seduta di fronte a lui, ma forse questo non lo ha ancora capito. Mi lascio sfuggire una piccola risata. Ovvio che lo sa.
- No infatti. -
Mi siedo sullo sgabello accanto a quello della ragazza e la sento irrigidirsi. Mi stupisco sempre di come il gentil sesso reagisca per nulla.
Guardo Dave incapace di smettere di sorridere. Credo che sarei in anche in grado di baciarlo se me lo chiedesse. La vita non potrebbe andare meglio di così.
Una piccola parte di me si rende conte di non essere completamente lucido, ma cerco di metterla a tacere chiedendo una birra a Dave che mi rivolge uno sguardo alquanto eloquente, ma si gira facendo finta di nulla e riempie tre boccali per me e i ragazzi.
No, adesso che ci ripenso non credo che lo bacerei se me lo chiedesse. In realtà non lo farei neanche se mi pagassero. Dopotutto non sono poi così andato.
- Allora, siete riusciti a finire quel pezzo che stavate scrivendo qualche giorno fa? -
Do un sorso alla birra che mi ha porto e annuisco aggiornandolo sullo stato del progetto; il testo è quasi pronto tranne per il bridge, il problema è la chiusura, ma sta venendo bene.
Sono abbastanza sicuro che dopo questa serata riuscirò a finire tutto. D’altronde quel paio d’occhi azzurri che mi hanno dato l’ispirazione sono a pochi centimetri da me. Non mi lascerò scappare quest’occasione così facilmente.
-  Chissà, magari riusciamo anche a inserirlo nella track list del nuovo album. -
Bevo un altro po’ di birra e mi accorgo che è già finita, mentre nel frattempo arrivano i ragazzi, reduci dall’incontro con le fan.
- Ei, Dave! Che si dice in giro? -
Mark si siede accanto a me finendo anche lui il suo boccale.
- Niente di nuovo, sempre la solita storia. Quei disgraziati dei miei nipoti il sabato sera vogliono uscire e quindi devo rimboccarmi le maniche e mandare avanti la baracca. Io alla loro età lavoravo anche la domenica. -
Mark si schiarisce la gola cercando di non ridere, e assume quel suo tono sarcastico che fa tanto mandare in bestia Dave. - Eh, che ci vuoi fare? I giovani d’oggi sono fatti così. -
Non riusciamo a trattenerci e scoppiamo tutti e tre a ridere mentre Dave alza gli occhi al cielo.
- Si, si. Continuate pure a prendermi in giro. Un giorno ve ne pentirete. -
Sono anni che la minaccia di “quel giorno” incombe su di noi, ma finora non è ancora arrivato, quindi continuiamo dritti per la nostra strada. È sempre uno spasso avere a che fare con questo vecchio.
Glen e Mark intanto stanno decidendo quali altri pezzi fare più tardi. Ne suoneremo solo tre, giusto per tener impegnato il pubblico prima dell’arrivo dell’altra band che deve suonare questa sera.
A quanto pare il piccolo gruppo di fan ha chiesto se potevamo fare “Before The Worst”, quindi una è andata. Sto per unirmi alla scelta quando sento Dave rivolgersi alla ragazza con voce bassissima: - Quanto hai? -
- Meno di venti minuti mi pare. -
Ma poi i loro toni si affievoliscono ancora e non riesco a capire più nulla.
Vorrei conoscere ogni attimo della vita di quella ragazza, ogni pensiero, ogni sogno, ogni rimpianto, ogni sofferenza.  Sono ossessionato da lei, e non saprei neanche dire il perché. Forse il motivo sono quei suo occhi pieni di vuoto che mi ricordano i miei. Chissà, magari anche lei ha perso qualcuno che amava, o semplicemente la vita non le ha ancora sorriso. Fatto sta che sono intenzionato a scoprirlo, e a sentire finalmente che suono può avere la risata di una creatura così incantevole.
La sua voce mi riporta indietro.
- Dave, potresti farmi un’altra tazza di tè? -
- Certo. Sempre vaniglia? -
- Sì, grazie. -
Tè?
- Adesso ti sei dato alle tisane, Dave? – e così dicendo mi lascio sfuggire una risata, giusto per farlo innervosire un po’. Già che ci sono gli passo anche il boccale
- Ti farebbero molto bene Danny. Non avevi detto che ne volevi solo una? -
Alzo le spalle non curante informandolo del mio cambio di idea, ma sembra rimanere comunque contrariato. Da quando si preoccupa così tanto?
- Tu sottovaluti i poteri lenitivi del tè. -
- E tu quelli di una bella sbornia. -
- Ho avuto trent’anni anch’io. Non dimenticarlo. - Eccolo che ricomincia. Ormai faccio finta di non sentire.
Riempie la tazza della ragazza con il tè. L’odore di vaniglia arriva fino a me e devo ammettere che non è poi così male. Ma credo che le ci voglia qualcosa per tirarsi un po’ su…. - Dalle una birra. Offro io. -
La ragazza mi guarda sgranando gli occhi, ma non sembra irritata, solo… stupita. Le sorrido appena mentre colgo l’occasione per osservare meglio i suoi occhi. Sono molto più luminosi di quanto mi erano parsi, quasi liquidi mentre il contorno dell’iride tende al blu. Sembrano contenere tutte le risposte alle domande di questo mondo. Ma non quelle al suo dolore, altrimenti non avrei esitato a dirgliele solo per vederli brillare di gioia.
- Non credo sia una buona idea. L’ultima volta che si è sbronzata ha dato spettacolo peggio di voi lì sopra. -
Perdere il controllo. Cerco di immaginarla mentre le si annebbia la mente abbandonandosi all’apparente incoscienza, incapace di ritenerla la tipica ragazza che si lascia andare.
- Davvero? Allora sarei dovuto esserci. -
Solo allora le porgo la mano, rendendomi conti di essere parso un po’ troppo invadente e sfacciato: - Danny. -
- Non serve, ti conosce meglio di tua madre. -
Eccola che arrossisce facendo apparire i suoi occhi ancora più azzurri di quanto già non lo siano. Sembra una bambola con quello sguardo perso e straziato, i capelli corvino che le incastonano delicatamente il viso malinconico. Mi rendo conto solo ora che deve essere molto più piccola di quanto sembri, ma non saprei dire la sua età. Continua a essere titubante, forse per colpa di quello che ha detto Dave, ma non mi do per vinto e alla fine mi stringe la mano, esitante come sempre.
- Melanie. -
Mi rendo conti di stare per perdermi ancora una volta nei miei pensieri, perciò cerco subito di tornare al punto. - Allora, Melanie, cosa hai fatto di tanto sconvolgente da non permettermi di offrirti una birra? -
Imbarazzata inizia a balbettare: - Be’, ecco… non credo di ricordarmi esattamente cosa sia successo… Ero un po’… fuori. -
Per un attimo mi blocco, ma poi inizio a ridere e si uniscono anche gli altri. Dopo aver ripreso un minimo di contegno, chiedo a Dave come si siano effettivamente svolti gli eventi e lui, posando il boccale sul bancone mi si avvicina, alzando un sopracciglio e fissandomi. Quando parla lo fa con voce grave: - Potresti pentirtene. – infine fa un cenno verso Melanie prima di cimentarsi nel racconto: - Dovete sapere che questa ragazza qui non regge praticamente per niente l’alcool, e dopo un paio di birre comincia a essere già un po’ brilla. Ecco, quella sera aveva bevuto, ma bevuto sul serio, ed era completamente andata. Arrivata a metà serata ha deciso che voleva ascoltare un po’ di musica, così si è alzata ed è andata al jukebox. I miei nipoti lo aggiornano circa ogni mese aggiungendo gli ultimi singoli in cima alle chart e levando quelli ormai passati di moda. Ovviamente lei lo sa, ma in quel momento non era esattamente in grado di ricordarsene… -
Chissà se anche in quel momento i suoi occhi erano così malinconici.
- E quindi? Si è messa a tirare calci a quel vecchio coso? Non credo avesse tutti i torti. -
Grazie alla mia uscita Dave si stizzisce un poco: - Ei, quel “vecchio coso” è un oggetto d’antiquariato. Inoltre funziona anche molto bene. Comunque sì, e non solo. Voleva ascoltare una vostra canzone, ma le avevamo già rimosse tutte, perché uscite dalla classifica. Lei ha iniziato a urlare dicendo che non era possibile che non avessimo nemmeno una canzone dei The Script, che quello che passavano alla radio negli ultimi tempi era solo un cumulo di merda e che bisognava che qualcuno insegnasse cosa si intende per vera musica a quei vecchi buzzurri che si occupano di marketing. Ha continuato così per parecchio, sbraitando su quanto fosse commerciale la musica di adesso, e ogni tanto tirava un calcio a quel povero gioiellino. A un tratto ha urlato: “Be’, se su questo coso non c’è della musica decente allora canto io.” e ha passato la seguente ora a cantare le vostre canzoni su richiesta. Ho posato un cilindro su un tavolo lì affianco, e non potete immaginare quanti soldi ha fatto. Stanno ancora tutti lì. - Indica un cilindro nero su uno scaffale - Lo conservo per le eventuali prossime “esibizioni”. -
- Un motivo in più per offrirle qualcosa. - 
Le ammicco sperando che non si senta troppo in imbarazzo, ma sembra essere tornata a suo agio. Voglio assolutamente parlarle, conoscerla e imparare a memoria ogni sfumatura racchiusa nella sua anima, ma no ho la minima idea di cosa fare per riuscire a farla aprire almeno un poco, giusto per intravedere l’ombra di un sorriso autentico.
Avanti Danny, ci hai sempre saputo fare con le ragazze. Perché tutto d’un tratto hai perso la lingua?
Continuo a immaginarla mentre, ubriaca e completamente persa, canta le nostre canzoni e…
Sorrido accorgendomi solo in quel momento di un piccolo dettaglio che mi era sfuggito.
- Quindi sai cantare, o c’era qualche altro motivo per cui ti lasciavano delle monetine? -
- No, nessun altro motivo. So cantare…più o meno. Non sono particolarmente brava e… -
Vengo travolto da un’ondata di rammarico. Non si accetta.
Non resisto più. Voglio sentirla cantare. Voglio vedere le pieghe della sua anima distendersi e quegli occhi guizzare colmi di gioia da un volto a un altro, mentre con la sua voce tesse una ragnatela di densi sentimenti che incatena e lascia lì, in trappola, fino a quando non è lei a decidere di lasciare libera la sua preda.
- Canta con me. -
Non so perché l’ho detto, ma sentivo il dovere di farlo. Le parole sono uscite da sole e in un attimo hanno convinto anche il mi cervello portandomi all’unica conclusione possibile: cantare con lei.
Melanie però non sembra della stessa idea; è titubante, spiazzata.
- Io… io non… -
- E dai, non fare la difficile. Abbiamo promesso che avremmo fatto un altro paio di pezzi più tardi. Vieni anche tu. Tanto a quanto pare le canzoni le sai. Basta che mi vieni dietro. - ma lei continua a guardarsi intorno restia. C’è qualcosa che la blocca.
- Io… non posso. Il… medico. Il medico mi ha detto che non posso cantare perché… ho un problema… alle adenoidi; sono infiammate. E anche la gola. Sto prendendo delle medicine che mi rendono roca la voce. E…-
Che razza di scusa è mai questa?
- Le adenoidi? -
Annuisce lentamente.
A quanto pare non puoi sempre fare colpo. Ti stai arrugginendo vecchio mio.
Prendo un'altra birra sperando che così vada meglio. No, sto solo iniziando ad avere mal di testa.
A quanto pare Melanie rimarrà un mistero, e forse è meglio così, d’altronde; chi sono io per pretendere di sapere tutto ciò che la tormenta. Magari ha solo avuto una giornata storta. Ma chi ha passato una brutta giornata non guarda in quel modo la gente che sorride; come se stessero per pugnalarla dritto al cuore.
Quando sto per gettare la spugna e salutarla per tornare a suonare con Mark e Glen la sento sussurrare: - Non posso, mi dispiace. -
Il suo sguardo preoccupato si sposta verso l’orologio. Probabilmente sta solo aspettando il momento giusto per scappare.
Fa bene, come reagiresti se un pazzo come te si prendesse tutta questa confidenza?
Ma continuo a ignorare questa fastidiosa vocina interiore. Come sempre del resto.
- Non vedi l’ora di andartene, vero? -
- No, no. In realtà, dovrei essere da un'altra parte… non è che non voglia cantare, è solo che non posso proprio. -
Allora forse dopotutto non sono io il problema.
- Faresti tardi? -
Sospira appena. - In realtà sono già in ritardo. Non avrei fato in tempo comunque. -
- Potevi dirlo subito. Stai facendo attendere qualche bel ragazzo? Non dovresti. -
Le sorrido appena un po’ e lei riprende subito colore. Non mi stupirei se avesse un qualche appuntamento, d’altronde è bellissima.
- No, nessun ragazzo. -
Ma a quanto pare nessuno se ne è ancora veramente accorto.
Sto per chiederle se le andrebbe di cantare domani quando la porta si apre di scatto facendo entrare  un uomo con una giacca scura che scruta la folla nel locale con fare superiore. Un silenzio di puro terrore scende sul locale e la tensione diviene tangibile.  Sembra il genere di persona che tiene in pugno la metà dei presenti per motivi di affari, mentre l’altra metà evita semplicemente di mettergli i bastoni fra le ruote.
Ho sempre odiato queste persone che sfruttano il loro potere per rovinare la vita degli altri.
Decido di ignoralo. Sto per tornare alla mia conversazione con Melanie, quando mi accorgo che nei suoi occhi è sparita ogni traccia di buon umore: è terrorizzata anche lei. Ma non ho il tempo di rassicurarla in qualche modo perché l’uomo sulla soglia si dirige verso di noi con aria tutt’altro che amichevole squadrandola. Dopodichè passa a me, ma non ho motivo di temerlo quindi sostengo il suo sguardo, anche se Melanie continua ad avere il panico dipinto sul volto.
Alla fine il bastardo abbassa gli occhi e si rivolge scortesemente a Dave: - Quanto ti deve? -
Dave non risponde facendolo così irritare. - Ei vecchio, non ho alcuna intenzione di mettermi a discutere ora. Quanto ti deve? -
- Nulla. -
Le parole escono da sole dalla mia bocca attirando su di me l’attenzione dell’uomo.
- È sul mio conto. Non gli deve nulla. -
- Sul tuo conto? -
- Sì. Perché, c’è qualche problema? -
Scuote la testa negando, ma continua comunque a fissarmi.
- Daniel O’Donoghue, giusto? -
- Sì, ma non credo di conoscerla, signor… -
- Addnell, William Addnell. No infatti, non direi. Ma forse di nome… d’altronde lavoriamo in campi molto simili signor O’Donoghue. -
William Addnell. Avevo ragione; un bastardo di prima categoria. Ma non capisco cosa c’entri lui con Melanie. Osservandolo meglio mi accorgo che è lo stesso uomo che era seduto al volante della macchina su cui avevo l’avevo vista per la prima volta.
A ogni modo non voglio dargli questa soddisfazione quindi nego di conoscerlo.
- Ma vede signor Addnell, il nostro campo è estremamente vasto. È abbastanza normale non poter conoscere tutte le persone che sono dell’ambiente. -
Touchè.
- Infatti, ha ragione. -
Lascia dei soldi a Dave e prende per un braccio Melanie, strattonandola con forza. Lei non si lamenta, ma trema impercettibilmente.
Guardo quegli occhi colmi di paura e tristezza e non so trattenermi.
- Ei, lascia… -
Ma Dave mi afferra per un braccio prima che possa alzarmi e raggiungerla. Anche Mark mi tiene fermo per le spalle: - Aspetta. - ma non lo ascolto e cerco di alzarmi comunque.
Dave però continua a stringermi e mi sussurra in un orecchio: - Se fai qualcosa sarà solo peggio. Sa cavarsela da sola. -
Intanto William si è voltato domandandomi cosa avessi detto. Sto per dirgliene quattro, ma le parole di Dave mi fanno riflettere.
“Se fai qualcosa sarà solo peggio.”
Guardo Melanie.
È piccola. Dio se è piccola. È solo una bambina. Ma il suo sguardo racchiude tutta la forza che io non ho mai avuto e questo mi infonde coraggio. Trattiene le lacrime anche se sono sul punto di sgorgare e pur sapendo che le sto offrendo aiuto scuote la testa.
E allora decido che forse è meglio lasciarla andare.
- Nulla. -
Ma mi rifiuto di prestare ascolto alle parole di William. Solo arrivato alla porta cattura la mia attenzione: - È stato un piacere conoscerla signor O’Donoghue. Spero ci rincontreremo presto. -  e trascina Melanie sotto la pioggia, lontano da me.
Do un pugno sul tavolo.
- Quel bastardo… -
- Vacci piano Danny, ci stanno guardando tutti. -
Sto per tirare un pugno a Mark.
- Come se ti importasse qualcosa. -
Guardo la finestra. Fuori sta ancora diluviando. Chissà dove la sta portando…
- Vado a cercarla. -
- No Danny, è inutile. - Dave mi ritira sulla sedia.
Lo guardo esterrefatto. - Cosa dovrei fare? Starmene qui seduto senza fare nulla? Era terrorizzata. -
Senza darmi nemmeno il tempo di alzarmi di nuovo mi ritrovo Glen davanti.
- Danny, ascolta, Dave ha ragione. Non lasciarti prendere la mano. Addnell è pericoloso. -
- Appunto per questo dovrei aiutarla. -
- Danny, non la conosci. Cosa sai di lei? - Mark mi riporta con uno schianto alla realtà
 È vero, cosa so io di lei? L’ho vista una volta e ne sono rimasto ossessionato. E perché poi? Per un paio di occhi azzurri? Non è altro che una ragazza come tante. Probabilmente non cerca nemmeno aiuto….
- Avete ragione. -
Glen mi da una pacca sulla spalla.
- Forza, tocca a noi. -
Ma il volto di Melanie torna a farsi strada nei miei pensieri.
Non so nulla di lei, ma so riconoscere un’anima sola quando ne vedo una. È come la mia.
 
Londra 3 novembre
Una ragnatela di dubbi mi ha imprigionato in un paio di occhi azzurri.


 
Good Ol’ Days
http://www.youtube.com/watch?v=NvwgzaTM-hg
 
Citazioni
* Good Ol’ Days – The Script

“Tutti nel bar a fumare sigari
mentre bevevamo whiskey irlandese direttamente dal boccale.
Parlando dei giorni migliori che non sono poi così lontani
chi farà parte dei miei farà meglio a portarsi una chitarra”
 
“Ci ricorderemo di questa notte quando saremo vecchi e grigi
perchè nel futuro, questi saranno i bei vecchi tempi.
Siamo sotto braccio mentre cantiamo insieme
nel futuro questi saranno i bei vecchi tempi.”        
 
Melanie's POV ----> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2124223

Merigold's corner
Salve a tutti :D
Eccomi con un nuovo capitolo u.u Spero sia di vostro gradimento.
Cominciamo subito con le brutte notizie: visto che devo scrivere il doppio ogni volta che carico un capitolo e che non sono speedy gonzales i capitoli verranno uplodati circa una volta a settimana. Capitemi ç__ç spero di riuscire a mantenere il ritmo nonostante la scuola. In caso contrario vi avvertirò.
Allora, finalmente il nostro caro Danny ha rivisto la misteriosa ragazza dagli occhi azzurri, ma è riuscito a scoprire poco o niente.
Non so se avete notato, ma il ragazzo è alquanto confuso .-. Troppa birra...
Grazie a ilaperla e a AnneC per aver recensito il primo capitolo e anche a tutti gli altri che lo hanno letto. Grazie alla mia beta reader del POV di Danny (ebbene sì, ho 2 beta reader :3) Irene per aver letto il capitolo e subito i miei scleri generali (cosa farei senza di voi ragazze??)
Alla prossima
Sayonara

-Mer

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Capitolo 3
*** Breakeven ***


Capitolo 2
Breakeven
 
Londra, 5 novembre.
 
L’ascensore si apre con un bip sul corridoio dell’ultimo piano degli studi dove mi aspetta Mary, sorridente come sempre, che mi invita a seguirla verso il suo ufficio. Alla luce del cupo cielo londinese i suoi capelli grigi appaiono ancora più scuri ma nonostante l’età il sorriso che la caratterizza è ancora fresco e giovane.
- Mi dispiace non siano potuti venire anche gli altri, ma avevano già preso un impegno. -
- Non si preoccupi signor O’Donoghue, per ora non serve la presenza di tutti. Vi chiameremo quando avrete la prima riunione con il nuovo responsabile del progetto. –
Mary è uno dei soci della casa discografica, l’unica donna. Si occupa dei nostri progetti da alcuni anni ormai e si è sempre mostrata disponibile e professionale. L’ammiro molto. Mi ha chiamato per firmare alcune moduli riguardanti questioni burocratiche. “Piccole sciocchezze che rallentano l’arte” come dice lei. Stiamo ancora parlando di lavoro quando, svoltato l’angolo, una ragazza mi viene addosso facendo cadere i suoi occhiali scuri.
Mi chino per raccoglierli cercando di farle un sorriso per rassicurarla - Mi dispiace, non ti avevo vista. – ma appena alzo lo sguardi mi rendo conto di non essere preparato a quello che sto vedendo.
Melanie è davanti a me che cerca di nascondersi dietro i capelli, inutilmente. Il suo viso pallidissimo spicca in quell’ammasso di nero, ma la cosa più evidente sono gli occhi. Quegli occhi color del cielo che tanto mi ossessionano sembrano appartenere a un’altra persona. La luminosità che li caratterizza è svanita lasciando solo il vuoto più totale e profondo. Mi sembra di sprofondare nel nulla. Dei lividi scuri li circondano portando via ogni stralcio di vita in loro e i piccoli graffi sugli zigomi rendono la vista ancora più straziante.
Il loro segreto, il motivo di tanto tormento, finalmente l’ho scoperto, ma se è questo preferirei semplicemente non aver mai voluto capire nulla.
Mi sento impotente e soprattutto un verme per averla lasciata andare chissà dove due giorni prima. Se solo l’avessi fermata probabilmente questo non sarebbe successo e quegli occhi brillerebbero ancora.
- Melanie… cosa…? – non so che dire mentre il senso di colpa mi dilania. Sta tremando e vorrei solo smettere di essere paralizzato, incapace di qualsiasi cosa per cercare di rassicurarla in qualche modo, per non farla sentire così, ma un attimo dopo scoppia in lacrime ed è come una pugnalata al cuore. È ancora una volta colpa mia.
Sto per prenderla fra le braccia quando una donna accanto a lei mi anticipa stringendole le spalle con un braccio. Prende gli occhiali dalle mie mani portandola via per il lungo corridoio.
E io non ho il coraggio di seguirla. Un’altra volta.
Un lampo squarcia il cielo e l’acqua inizia a cadere su Londra come se dovesse spazzarla via da un momento all’altro. Vorrei che portasse via anche me.
- Signor O’Donoghue? È tutto a posto? -
Guardo gli occhi grigi di Mary, così diversi eppure così simili a quelli di Melanie. Gli occhi di una donna che ha vissuto e quelli di una ragazza che ha appena cominciato ad affacciarsi alla vita.
Occhi che hanno visto troppo.
- Cosa le è successo? -
Questa domanda sembra metterla a disagio, ma con la sua solita professionalità mi risponde sincera: - La signorina Harvey non parla molto della sua vita personale e ci è stato espressamente chiesto di non approfondire la cosa. -
- Da lei? –
Scuote la testa. – Dal suo manager, nonché socio della nostra casa. Il signor Addnell. –
Addnell… potrebbe essere stato lui a ridurla così? Ne sarebbe capace.
- La conosce? -
- Poco in realtà. – ammetto.
Continuo a fissare il corridoio come se potessi vederla ricomparire da un momento all’altro. So che le ho fatto male e vorrei tornare indietro per rimediare. Vorrei aver fermato Addnell domenica…
Avevo ragione in fondo, ha bisogno di aiuto.
- Danny, viste le circostanze, se non le dispiace, avrei una proposta da farle. -
Guardo Mary cercando di recuperare il contatto con la realtà.
- La signorina Harvey sta incedendo il suo primo disco. Lo staff è in continuo lavoro, ma in signor Addnell ha espressamente chiesto l’aiuto di un professionista per la produzione di un brano in particolare e credo che lei sia la persona giusta. Sarà retribuito più che giustamente, e avrà inoltre un lasso di tempo molto lungo per occuparsene. Inoltre Melanie ne sarebbe entusiasta. Sa, ha un debole per la vostra musica. -
Impiego poco meno di un minuto per accettare. Avrei acconsentito in qualunque caso, ma il fatto che si tratti proprio dell’album di Melanie mi da una ragione in più per volere questo incarico. Spero di conoscerla meglio attraverso la sua musica come lei ha fatto con me e avere una chance per rimediare, per non restare immobile.
Seguo Mary verso un piccolo corridoio che non conoscevo. Dopo aver sceso una rampa di scale ci ritroviamo davanti a un’enorme porta laccata di nero che, a detta di Mary, apre su una sala registrazioni. Una volta entrato rimango sbalordito dalle dimensioni. La stanza è divisa in due parti, la sala registrazioni a cui si accede da una piccola porta sulla parete laterale e uno studio attrezzato per ogni evenienza. Ma la cosa che mi lascia più stupito è la quantità di gente dentro. Ci saranno almeno una dozzina di persone nello studio e quattro musicisti nella sala registrazioni. Uno staff al completo intento a curare ogni minimo dettaglio. Raramente ho visto tanta gente lavorare su di un disco, tantomeno d’esordio.
Mary richiama l’attenzione di tutti con un solo cenno e la sala cala nel silenzio più assoluto.
- Ragazzi lui è Danny O’Donoghue e sarà il produttore della ballata. Mettetevi d’accordo con lui sulla tempistica e iniziate a lavorare anche su quel pezzo. Deve essere tutto pronto entro Natale. -
Dopo aver parlato un attimo con lo staff decido di rimanere con loro per tutta la mattinata. Mary mi ha portato i moduli da firmare per cui mi aveva fissato l’appuntamento e subito dopo mi metto all’opera con i ragazzi. Sono un gruppo affiatato e competente, ma a quanto pare Addnell voleva qualcosa di diverso per la traccia che mi è stata affidata.
Un ragazzo con degli enormi occhiali quadrati e una larga camicia di flanella mi si avvicina porgendomi la mano. - Maxwell, può chiamarmi Max. È un piacere conoscerla. -
Mi mostra dei fogli con il testo del brano e lo spartito.
“In pieces”
Non penso sia un caso dopo quello che ho visto.
- Purtroppo il pezzo è una vera schifezza e non sappiamo come migliorarlo. Inoltre non abbiamo tempo di occuparcene perché tutte le altre tracce ci stanno tenendo impegnati più del previsto. -
Annuisco mentre analizzo il testo e cerco di focalizzare la melodia.
- Non sembra male, ma ha una cadenza troppo debole e lenta. Dovrebbe essere più secca, ma bisognerebbe cambiare alcune parole del testo per farlo risultare fluido. - continuiamo a discutere su alcune modifiche teoriche fino a quando la porta non si apre ed entra Melanie.
Non ha più i lividi e per un attimo credo di essermeli immaginati, ma poi la osservo meglio e noto qualche piccolo graffio. Si è semplicemente truccata nascondendo tutto quanto sotto uno spesso strato di fondotinta.
Appena si accorge di me sgrana gli occhi e si avvicina con passo incerto verso di noi.
- Cosa… ci fai qui? -
Maxwell le spiega velocemente la situazione, ma lei non sembra entusiasta come tutti si aspettavano. - William non sarà contento. -
- Ma è il tuo album, giusto? -
- In realtà decide tutto lui. Io canto solamente. –
Inizio a rendermi conto che lei non è altro che una pedina del gioco. Non riesco ancora a trovare un motivo valido per cui un tipo come Addnell debba fare da manager a una ragazza come lei. Oltretutto non mi sembra particolarmente entusiasta di lavorare con lui. Ma forse mi sbaglio.
- Allora faremo in modo che con questo pezzo sia diverso. Ne discuteremo insieme e potrai apportare tutte le modifiche che vorrai. Addnell non deve per forza venire a sapere che sono stato io a occuparmene e a me non interessa di averne riconosciuto il merito. Stai serena e vedrai che verrà fuori un ottimo lavoro. Renderemo il tuo pezzo un capolavoro. -
- Non è mio. –
Per un attimo rimango spiazzato. Avrei giurato il contrario. L’ironia della vita…
- Non lo hai scritto tu? –
Scuote la testa. – Neanche uno. -
La stessa donna che era con lei in corridoio l’affianca un’altra volta prendendo la parola.
- In realtà Melanie avrebbe un suo brano … -
- Sì, ma William non… -
- Nessuno gli dirà nulla. Coraggio, a questo punto mi hai incuriosito. – le sorrido cercando di preparami al no secco che, sono sicuro, sta per pronunciare. Invece, seppur titubante, si avvicina alla porta della sala, sorprendendomi ancora una volta, mentre la donna, che ha detto di chiamarsi Amber, fa un cenno a tre dei musicisti che stavano suonando quando sono entrato e li manda da Melanie. Intanto lei ha già indossato le cuffie e si sta sedendo al pianoforte.
- Sa anche suonare? -
Maxwell annuisce: - Pianoforte, arpa, chitarra e dovrebbe anche aver preso delle lezioni di violino. A quanto so la madre suonava in un’orchestra. –
- Ha smesso? -
- No, è semplicemente morta. –
La naturalezza con la quale mi informa della cosa, come se non lo toccasse minimamente, mi lascia spiazzato e confuso. Quantomeno però capisco almeno in parte la natura della malinconica di Melanie e perché i suoi occhi mi ricordano così tanto i miei. Siamo accomunati da un dolore difficile da cancellare e che ci accompagnerà per la vita. La perdita è un vuoto incolmabile.
Ma non ho tempo di approfondire la questione con Max perché sento le note del pianoforte provenire dalle casse.
È un suono dolce ma allo stesso tempo straziante. Le sue dita corrono veloci sui tasti dando vita a un’articolata melodia supportata da un violino appena percettibile.
E quando inizia a cantare rimango senza fiato.
“È davvero la fine?
Stiamo buttando tutto?
Finisce così questa storia?
Non c'è stato nemmeno un addio...”
La sua voce è limpida e cristallina, proprio come i suoi occhi e trasmette tutti i sentimenti che un cuore è in grado di provare servendosi soltanto delle note.
“Forse doveva andare così, ma perché non lo abbiamo capito prima?
Avrei risparmiato tutto questo al mio cuore,
la mia anima non sarebbe lacerata.
Perché ora è la vita il posto più freddo che conosca.
Non mi hai nemmeno detto addio...”
Gioia. Dolore. Nostalgia. Spensieratezza. Felicità. Tranquillità. Tristezza. Angoscia. Paura.
Assenza.
“Persa in questo oceano che non conosco.
Tutti lo chiamano vita.
In un mare d'incertezze che mi stanno uccidendo.
Dicono siano sogni infranti.
Sono sprofondata in questo abisso,
eppure cercavo aiuto.
Vorrei permettermi di respirare,
ma non ci riesco.
Credo di star annegando.
Potrei non tornare.
Un giorno qualcuno mi riporterà in superficie?”
Sono in totale balia della sua voce. Come in un incantesimo. Non riesco a distogliere lo sguardo da lei e ascolto ogni singola nota della sua canzone incatenato a un turbinio di emozioni.
L’uomo che, appena entrato, aveva preso in mano la chitarra inizia a suonare dando corpo alla canzone. Si accoda a lui anche il batterista mentre la violinista continua a far scorrere il suo archetto sulla tastiera con una velocità sorprendente.
“Annegando nelle mie stesse lacrime
l'aria intorno a me sta venendo meno.
A te non importa più nulla.
Tutto ciò che c'era sembra ricordarlo solo una foto.
Avrei voluto sentire la tua voce dirmi addio...”
I miei occhi iniziano a inumidirsi. Non immaginavo che la sua voce potesse avere questo effetto su di me. È qualcosa di indescrivibile, ancora più potente di ciò che ho provato a “The Voice”. Nessuno è mai arrivato a emozionarmi così tanto. A penetrare nel profondo della mia anima a tal punto e con una facilità disarmante.
“Il dolore è troppo per il mio piccolo cuore.
La mia mente è fuori dal mio controllo.
Sono stata messa davanti ai fatti.
Avrei voluto dirti addio...”
Il secondo ritornello aumenta d’intensità e la sua voce, dapprima debole e delicata, si fa forza e attraversa le casse con potenza facendo sobbalzare  la mia anima.
“Persa in questo oceano che non conosco.
Tutti lo chiamano vita.
In un mare d'incertezze che mi stanno uccidendo.
Dicono siano sogni infranti.
Sono sprofondata in questo abisso,
eppure cercavo aiuto.
Vorrei permettermi di respirare,
ma non ci riesco.
Credo di stare annegando.
Potrei non tornare.
Un giorno qualcuno mi riporterà in superficie?”
La musica cresce sempre di più e l’uomo che stava suonando la chitarra acustica la cambia con una elettrica. Il bridge inizia dopo un giro strumentale e la voce di Melanie diventa un flebile sussurro appena udibile in quel tumulto di suoni.
“Sto cercando di rimettere insieme i resti del mio cuore, ma sono ancora lì con te.
È ora di rialzarsi, ma le mie ginocchia tremano.
È ora di rialzarsi, ma non sento più la terra sotto i piedi.”
Tutto si blocca di colpo per ripartire un’altra volta dopo un attimo. Ultimo giro. Ultime lacrime. Non riesco a smettere di ascoltarla.
“Persa in questo oceano che non conosco.
Tutti lo chiamano vita.
In un mare d'incertezze che mi stanno uccidendo.
Dicono siano sogni infranti.
Sono sprofondata in questo abisso,
eppure cercavo aiuto.
Vorrei permettermi di respirare,
ma non ci riesco.
Credo di stare annegando.
Potrei non tornare.
Un giorno qualcuno mi riporterà in superficie?”
Lentamente la musica svanisce mentre Melanie canta le ultime frasi lasciandomi definitivamente senza parole.
“In superficie…
Chi mi riporterà in superficie?
Indietro in superficie.
A qualcuno importa di riportarmi in superficie?”
Quando la canzone finisce l’intero studio è nel silenzio più totale.
Melanie si toglie le cuffie asciugandosi una lacrima scesa verso fine e io faccio lo stesso. Una volta alzato lo sguardo incrocia i miei occhi e non posso fare a meno di sorriderle, ma lei non ricambia anzi nasconde leggermente il volto fra i capelli. Amber entra di corsa nello studio con un piccolo fazzoletto e glielo tampona sugli occhi senza dire nulla.
Appena la porta fuori mi accorgo di star trattenendo il fiato.
- Fantastica vero? -
Maxwell fa un cenno verso di lei mentre annuisco.
- Perché non va bene questo pezzo? -
- Non è in linea con lo stile dell’album e quindi Addnell non lo vuole. –
- Potremmo sempre modificarlo… -
Intanto Melanie ci raggiunge.
- Tu non eri quella che aveva “le adenoidi infiammate”? –  le chiedo scherzando ripensando a quando le avevo chiesto di cantare con me al pub. Fa un mezzo sorriso mentre mi chiede se era andata bene.
- Bene è riduttivo. Questo pezzo è fantastico. Non capisco perché dovresti rinunciarci. Trasmetti qualcosa di indescrivibile, è strabiliante. -
- Come ho già detto, non sono io che decido. –
- Tranquilla, faremo in modo che gli vada bene, vedrai. Me ne occuperò io. – e finalmente mi sorride fidandosi.
Insieme a Max decidiamo quando fissare i prossimi incontri qui in studio. In settimana mi daranno una copia del testo e della musica per potervi lavorare nel frattempo, probabilmente anche domani. Mentre ne stiamo ancora parlando le note di “Breakeven” si diffondono per la stanza, probabilmente una suoneria. Mi rendo conto che tutto lo studio è stranamente immobile in attesa di qualcosa e fissano qualcosa alle mie spalle. Quando mi volto vedo semplicemente Melanie che tiene in mano il telefono che sta suonando con aria pensierosa. Poi scuote la testa e risponde, ma in una lingua diversa cogliendomi alla sprovvista. Creso sia spagnolo, o italiano. Sì, italiano, lo spagnolo è un po’ diverso.
Nello sembrano tutti stranamente terrorizzati come se quel telefono contenesse tutto il male di questo mondo. Continuano a guardarsi tra di loro e a bisbigliare. Non capisco cosa stia succedendo.
La telefonata non va avanti a lungo eppure mi accorgo che Melanie sta facendo di tutto per trattenere le lacrime. Il tono della sua voce sembra leggermente freddo e distaccato, ma si vede che sta soffrendo, ma tenta di nasconderlo
Quando chiude la telefonata una ragazza, di nome Helena, inizia a urlarle aggredendola, ma non riesco ad afferrare il vero senso della frase. A quanto pare se l’è presa perché ha risposto al telefono. Amber le parla con tono pacato, ma lei continua a dire che li farà licenziare tutti se continua così. Melanie si scusa, ma la ragazza non se ne cura.
- Ti dispiace? Certo, a te può solo dispiacere, perché tanto quella che ci va a rimettere non sei mai tu. Datti una svegliata principessina, non sai cos’è la vita. –
Per fortuna il battibecco si conclude subito grazie a Max che invita Helena a uscire.
Non ho capito quasi nulla, ma lo sguardo ferito di Melanie non ha bisogno di spiegazioni. Mi avvicino a lei chiedendole cosa fosse successo a Helena, ma lei scolla le spalle rispondendo che capita.
Stringe fra le mani il telefono come se fosse l’unica cosa rimasta a cui aggrapparsi. La telefonata deve averla sconvolta.
- Vuoi parlarne? –
- Non lo so… -
- Se vuoi possiamo uscire. -
- … Va bene. Dov’è Amber? –
Dopo aver chiamato anche lei usciamo nel corridoio dove probabilmente si sentirà più libera di aprirsi.
Non le metto fretta, aspetto che sia pronta. Non ho la minima idea di quello che sia successo, ma se può farla star meglio sono pronto ad ascoltarla, qualsiasi cosa abbia da dire. È il minimo che possa fare.
- Era il mio ex. È venuto a Londra per qualche giorno e dice di volermi incontrare, ma non posso. Anche se lo vorrei davvero… -
Scommetto di sapere il motivo per cui non può andare…
- Addnell? –
Annuisce, ma a quanto pare deve anche arrivare al Southwark Bridge senza essere notata.
- Posso portarti io. –
Non è la prima volta che offro un passaggio a una ragazza, ma mai come ora ci ci ho tenuto davvero così tanto. Vorrei solo che facesse ciò che desidera, perché da quanto mi è parso in questi due giorni sembrano esserle negate moltissime cose.
- Non voglio essere un peso… -
- Figurati. Tanto devo passare qui per prendere dei fogli. Ti porto lì e poi ritorniamo in studio. –
Non risponde ma nel suo sguardo colgo qualcosa di particolare. Il barlume di un sentimento che finora non avevo ancora colto in quegli occhi tormentati.
- Lo ami ancora, vero? -
Non c’è altra spiegazione. Mi sembra quasi di vederlo quel suo cuore frantumato.
“When a heart breaks, no, it don't breakeven”*
Addnell le sta negando I sogni, le sta togliendo l’amore. Mi sento in dovere di fare qualcosa, anche se non ne comprendo il motivo. Quegli occhi mi hanno affascinato, quella voce mi ha incatenato e la sua storia è un libro di cui lentamente mi vengono mostrate a una a una le pagine. Voglio arrivare alla fine.
- Sì -
Le sorrido accarezzandole una guancia.
- Domani ti porto da lui. -
 
Londra, 5 novembre.
La superficie potrebbe non essere poi così lontana.

 
Breakeven
http://www.youtube.com/watch?v=0jjHrolhqf8
 
Citazioni
*Breakeven – The Script
“Perchè quando un cuore si spezza non si spezza allo stesso modo”
 
Melanie’s POV ----> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2141906
 
Merigold’s corner
Buon giooooorno (:
Dato che domani potrei avere qualche problemino a pubblicare ho deciso di togliermi il pensiero oggi così da essere sicura di non abbandonarvi ;)
Allora, se siete arrivati fino a qui siete davvero dei grandi!! Lo so che è lunghissimo, ma il prossimo dovrebbe essere un po’ più cortino, non preoccupatevi.
Danny comincia a scoprire pian piano qual cosina sulla vita di Melanie e sta iniziando anche a farsi un’idea su Addnell… che non sembra troppo positiva.
Chi sarà questo fantomatico ex? Cos’è successo tra lui e Melanie? (Chi ha letto il Melanie’s POV già lo sa u.u)
Grazie ad AnneC per aver recensito il capitolo precedente. E ovviamente a Irene, la mia beta reader :3
Spero di non avervi annoiato. Grazie a tutti quelli che continuano a leggere e a seguirmi.
A presto ragazzi.
 
Sayonara

-Mer

P.S. ovviamente anche il testo della canzone "Back To The Surface" (quella che canta Melanie)  l'ho scritto io. Non l'ho tradotto per motivi tecnici, ma è in inglese.

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Capitolo 4
*** Nothing ***


Capitolo 3
Nothing
 
Londra, 6 novembre.
 
La radio trasmette una vecchia canzone di Cyndi Lauper mentre sfrecciamo fra le ampie strade londinesi prive, stranamente, del solito caos mattutino.
Melanie accanto a me è silenziosa, persa nei suoi pensieri; guarda fuori dal finestrino con aria malinconica. Non so cosa significhi per lei questo incontro. Non le faccio domande, non voglio intromettermi in un momento così delicato. Se avrà bisogno ci sarò, deve avere qualcuno su cui contare. E quel qualcuno voglio essere io.
Mi sto affezionando troppo, e non ne capisco il motivo.
Sono andato a prenderla come promesso, ma sembrava interdetta. Non la biasimo, probabilmente non si aspettava nulla. Eppure deve sapere che su di me può contare. Non lascio nelle difficoltà chi ha bisogno di aiuto. È solo una ragazza. Non merita di affrontare tutto quanto da sola.
Amber si è subito fidata e ha convinto anche Melanie a farlo. Lei non è venuta, è rimasta in studio così da poter eventualmente coprire Melanie con William. Mi rendo sempre più conto delle terribili situazioni che è costretta a vivere.
Al Southwark Bridge non c’è nessuno, la strada è quasi deserta. Poco male, ci sarà meno probabilità di incontrare qualcuno che la riconosca.
Sul ponte ci sono solo tre persone. Una signora anziana con dei lunghi capelli bianchi e un cagnolino al suo seguito, un uomo al telefono che stringe in mano una valigetta di pelle mentre di fretta sta raggiungendo l’altro capo della strada, e infine un ragazzo dai capelli ebano intento a osservare il fiume.
Ha la stessa aria malinconica di Melanie…
- È lui? –
Lei fa un solo unico cenno di assenso senza alzare lo sguardo. È del tutto presa da quel ragazzo.
Lo ama. Anche se tentasse di negarlo non riuscirebbe a nasconderlo. I suoi occhi non mentono. Sono il diretto accesso ai segreti del suo cuore. E della sua anima.
- Per qualsiasi cosa sono qui. – E lentamente si volta.
Sarò qui. Non farò finta di niente come gli altri. Le tenderò sempre una mano.
Le sorrido sperando che così possa farsi forza ma non accenna a muoversi.
Ha deciso di fare la cosa giusta. Non permetterò che cambi idea. Non le farò accumulare l’ennesimo rimpianto. Non diventerà come me…
- Va da lui. –
E a questo punto, finalmente, scende di corsa dalla macchina allontanandosi senza dire una parola. Troppo scossa, o forse semplicemente incredula.
Si affretta a raggiungerlo mettendo con attenzione un piede davanti l’altro, un passo alla volta. Temo possa cadere, ma ciò nonostante arriva da lui senza problemi pur continuando a mantenere una certa distanza.
Rimangono freddi, distaccati, come se tutti i loro sentimenti fossero spariti improvvisamente. L’unica cosa tangibile nell’aria è la tensione, che riesco a cogliere in piccoli dettagli facilmente trascurabili, ma che ho imparato a riconoscere a mie spese.
I pugni chiusi di Melanie, i piedi piantati a terra. Lo sguardo del ragazzo volto verso il fiume, quello di lei fisso sulla punta delle scarpe.
Uno di fronte all’altro si scrutano come se stessero iniziando una guerra di cui non ci sarà nessun vincitore.
Sguardi enigmatici, lunghi silenzi, nemmeno l’ombra di un sorriso, nemmeno la gioia di essersi ritrovati dopo tanto tempo.
Esco dalla macchina mentre frugo in tasca alla ricerca dell’accendino. Ogni tanto fumare mi aiuta ad allentare la tensione. L’odore di tabacco misto a quello dell’aria umida viene portato lontano da una leggera brezza. Le nuvole minacciano pioggia. Presto dovremo andare.
“I need to know now, know now 
can you love me again?”**
Dai finestrini abbassati riesco a sentire la radio trasmettere le ultime note di “Love me again” che lentamente sfuma in un’altra canzone: “Nothing”. Mi fa sempre uno strano effetto sentirla alla radio…
“Am I better off dead?
Am I better off a quitter?
They say I’m better off now
then I ever was with her.”*
Colgo solo per un attimo lo sguardo del ragazzo rivolto nella mia direzione. Dubbio? Gelosia? Non faccio in tempo a capirne le sfumature che torna già a ignorarmi.
“They all think I'm crazy but to me it's perfect sense.”*
Non continuano a parlare per molto, sembra abbiano esaurito le parole da dirsi.
“I dialed her number and confessed to her
I'm still in love but all I heard
was nothing.”*
Lui le porge qualcosa, forse un pezzo di carta, ma Melanie rifiuta senza aggiungere molto. Quando si volta per tornare indietro non vedo più la ragazza che era scesa dalla macchina. Al suo posto c’è una bambina in lacrime. È a pezzi, piccola e fragile.
Muovo un passo per andarle in contro ma dietro di lei noto che il ragazzo si sta avvicinando alla balaustra.
In pochissimi secondi è sopra.
È lì, fermo con lo sguardo fisso davanti a se. Non ho il tempo di fare nulla. Vorrei prendere Melanie e lasciarla in macchina mentre cerco di far ragionare il ragazzo, ma avviene tutto troppo in fretta.
Melanie si volta. E vede tutto.
Posso solo cogliere un lieve sorriso sul volto del giovane prima che si butti in acqua.
Superato lo shock corro verso Melanie che intanto è già quasi arrivata al parapetto. Fortunatamente riesco a tirarla giù prima che ci salga sopra anche lei.
La tengo stretta mentre lei si dimena, disperata.
Fra le lacrime urla un nome. “Mattia”. Quello del ragazzo. Dell’uomo che ama.
Si è gettato. L’ha fatta finita. È andato per sempre. Non ha pensato forse che Melanie potesse avere ancora bisogno di lui. Non è riuscito a guardarle dentro. L’ha lasciata sola.
Non posso permettere che lei lo segua. Deve vivere.
Così la stringo, anche se so che di lei sono rimaste solo delle piccole schegge.
- Melanie… Melanie calmati. -
Ma non mi ascolta.
Tu lo faresti?
La mia presa cede e lei riesce a sgusciare via, ma con mia grande sorpresa anziché andare verso il parapetto scende le scalette che portano al prato.
La riva…
La seguo, ma non riesco a raggiungerla. La chiamo, ma non si gira. Tento di salvarla, ma non me ne dà l’opportunità.
Quando vedo il corpo di Mattia raggiungere la sponda capisco cosa vuole fare e non appena l’affianco la aiuto a trascinare il cadavere a riva. Gli prende qualcosa dalla tasca e poi si accascia sul suo petto. Decido di lasciarla sola con il suo dolore. Merita un ultimo addio.
Possibile che lo abbia fatto davvero? Che sia questa la soluzione?
Ma Melanie continuerà a lottare. Ci sarò io con lei. Ho preso la mia decisione. Non la abbandonerò.
Chiamo la polizia sperando pensino loro a tutto. Denuncio il suicidio e mi dichiaro l’unico testimone. Melanie non troverà mai la forza di testimoniare. Inoltre Addnell scoprirebbe tutto, e finirebbe per peggiorare solo la situazione.
Improvvisamente inizio a capire la logica delle scelte di Melanie, il modo in cui Addnell condizioni inesorabilmente ogni sua più piccola scelta.
Questo gioco deve finire.
Quando mi volto la vedo distesa sul corpo di Mattia. È svenuta.
Non voglio separarla da lui, mi sentirei un mosto, ma non posso fare altrimenti. La prendo fra le braccia e mi dirigo verso la macchina. Dal ponte vedo una piccola folla che si sta radunando intorno al cadavere ma non le presto attenzione. Tornerò quando arriverà la polizia. Ora chiamo Amber e aspetto semplicemente che venga a prendere Melanie. Io mi occuperò del resto.
Ha bisogno di tempo per metabolizzare e accettare tutto. Non sarà facile. Ma cercherò di renderlo meno difficile.
La guardo seduta sul sedile con il viso totalmente bagnato.
 
Londra, 6 novembre.
Può una ragazza essere così sola?

 

Nothing
http://www.youtube.com/watch?v=3zZWwNk_7-Y
 
Citazioni
*Nothing – The Script
“Sarei migliore se fossi morto?
Sarei migliore se fossi uno che molla?
Dicono che sto meglio ora
rispetto a quando stavo con lei.”

“Tutti loro pensano che io sia pazzo, ma per me tutto ha senso.”

“Comporrei il suo numero e le confesserei
sono ancora innamorato, ma tutto quello che ho sentito
è stato niente”
 
**Love Me Again - John Newman
“Ho bisogno di sapere adesso, di sapere adesso 
puoi amarmi di nuovo?”

Melanie’s POV ----->http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2185727
 
Merigold’s corner
Salve anche qui :D
 
Ovviamente mi scuso di nuovo per il ritardo. Appena controllo il nuovo orario decido un nuovo giorno in cui poter pubblicare, intanto il capitolo 4 è previsto per il 7 ottobre, sperando di finirlo in tempo.
 
Lo so che sono una persona crudele… ma tanto c’è Danny che mette a posto tutto u.u Ormai abbiamo tutti capito che sarà difficile per Melanie sbarazzarsi di lui… staremo a vedere cosa succederà ;)
 
Anche qui le mie beta reader sono state di prezioso aiuto, anche se le ho “costrette” a leggere e correggere in tempi record u.u
Grazie a tutti quelli che continuano a leggere e recensire. Significa tanto per me  (:
 
Un saluto a tutti e ci vediamo presto (promesso ;) )
 
Sayonara
-Mer

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