Rachel Grace, soggetto 18

di silvia_arena
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Effetto osmosi ***
Capitolo 2: *** Calore umano ***



Capitolo 1
*** Effetto osmosi ***


Rachel Grace credeva che la sua vita da prigioniera all’Abstergo non avrebbe mai preso una svolta positiva.

Nonostante il dottor Warren Vidic le avesse assicurato che, una volta terminate le sessioni con l’Animus, l’avrebbe lasciata andare, Rachel era certa che l’Abstergo non avrebbe esitato a farla fuori, una volta che non fosse stata più utile ai loro scopi. Aveva paura, ma cercava di reprimerla, perché altrimenti rischiava di diventare matta. Doveva rimanere lucida, per poter usufruire correttamente dell’Animus.

E l’effetto osmosi non l’aiutava affatto in questo intento.

Si trovava sdraiata sul letto a due piazze, oggetto principale di ogni camera dell’Abstergo, quando i colori svanirono, tutto divenne bianco e nero, e lo vide. Il compagno della sua antenata.

Il Maestro Assassino Altaïr Ibn-La'Ahad.

Era lì, che faceva scattare la lama celata, accoltellando guardie che lei non riusciva a vedere. Una scena vista più volte nell’Animus, ma che in quel momento la preoccupò.

Si alzò dal letto, avvicinandosi a lui ma stando attenta alla lama celata, nonostante fosse cosciente del fatto che non potesse ferirla, perché stava semplicemente avendo un’allucinazione. Altaïr non era realmente lì.

L’Assassino si fermò, prendendo fiato. Rimase fermo sul posto, come quando l’Animus si trovava in fase di caricamento. Rachel riuscì a scorgere i suoi tratti.

Si sorprese, e non poco, del fatto che fosse identico a Desmond.

Allora è il soggetto 17, Desmond Miles, che vive i ricordi genetici di Altaïr. È lui il suo discendente” realizzò.

Rachel tentò di abbassare il cappuccio di Altaïr, ma l’ologramma tremò. La ragazza ritrasse subito la mano per paura che potesse scomparire.

Lucy le aveva assicurato che, se le allucinazioni fossero state più brevi di trenta secondi, non ci sarebbe stato nulla di cui preoccuparsi.

Altaïr si trovava lì da più di un minuto.

Rachel aveva paura – non di Altaïr, perché il Maestro Assassino in quel momento era innocuo, ma di se stessa, del brutto scherzo che la sua mente le stava giocando.

Maria Thorpe, la sua antenata, aveva la possibilità di toccarlo, abbracciarlo, baciarlo. Tutte cose che lei, Rachel, aveva potuto solo guardare passivamente attraverso l’Animus: non sentire, non percepire, non provarle sulla propria pelle.

Altaïr era lì, davanti a lei, e lei non poteva sfiorarlo, perché sarebbe sparito.

L’Assassino sarebbe sembrato immobile, se non fosse stato per il suo petto che si muoveva al ritmo affannoso del suo respiri. I suoi occhi erano fissi su un punto indefinito sopra la spalla di Rachel.

«Altaïr» mormorò la ragazza. «È crudele che il primo e unico uomo che abbia mai amato... non esista.»

Eppure Rachel non credeva alla sue stesse parole. Altaïr era lì, ed era esistito realmente, ottocento anni prima. Lui viveva nella sua mente, quotidianamente, attraverso l’Animus.

Quanto avrebbe dato per toccare la sua pelle, almeno una volta...

«Maria fu una donna fortunata» disse, seppure conscia che Altaïr non potesse sentirla.

Persa nei suoi pensieri, con il cuore e la mente in tempesta d’emozioni a causa della presenza di Altaïr, fu colta di sorpresa quando l’Assassino, con uno scatto repentino, le piombò addosso. Rachel reagì d’istinto e si gettò sul letto, realizzando dopo che non avrebbe mai sentito il peso di Altaïr perché in quel momento lui era solo un’allucinazione. Lui non la guardava negli occhi, non era lei che vedeva. Di sicuro si trattava di Maria.

Si reggeva sui gomiti sul letto, esattamente sopra Rachel, i loro corpi sarebbero combaciati perfettamente. Ma quando lei tentò di poggiargli le mani sulle spalle, il suo ologramma tremò di nuovo. Lei le ritirò subito, di nuovo.

Voleva fuggire dall’Abstergo, ma prima di tutto voleva fuggire da quella situazione: l’uomo che amava, praticamente irraggiungibile perché defunto ottocento anni prima, si trovava sopra di lei, e lei non poteva toccarlo. Se si fosse mossa l’allucinazione sarebbe terminata, ma se fosse rimasta lì a fissarlo sarebbe impazzita.

Voleva stare a guardarlo per l’eternità, ma voleva anche non vederlo mai più.

Così come l’effetto osmosi venne, svanì.

Tutto tornò a colori; Altaïr scomparve lasciandola lì col respiro pesante, il cuore martellante, e il basso ventre pulsante. Chiuse gli occhi tentando di calmarsi, invano.

Lui era andato via.

In quel momento la porta della sua camera all’Abstergo, apribile solo dall’esterno, si spalancò. Desmond e Lucy entrarono di corsa.

«Rachel, stai male?» le domandò Lucy, posandole una mano sulla fronte.

«Abbiamo visto dalle telecamere che faticavi a respirare» disse Desmond, posandole una mano sul cuore.

La ragazza li allontanò entrambi. «Sto bene» rispose bruscamente, per poi aggiungere un «grazie». Si alzò dal letto, voltandosi verso Desmond.

«È colpa del tuo antenato» accusò. «E dell’effetto osmosi.»

«Altaïr?» domandò sorpreso Desmond.

«E chi se no?» rispose Rachel, alzando le mani al cielo.

Lucy si mise tra i due, cercando di prevenire una lite. «L’allucinazione è durata per più di trenta secondi?»

Rachel negò.

«Allora non c’è nulla di cui preoccuparsi» concluse serena la bionda. «Lasciamola dormire, Desmond.»

Già, nulla di cui preoccuparsi” pensò Rachel guardando il giovane barista, così simile ad Altaïr, così reale.

Non posso.” Scosse la testa. “Non posso innamorarmi di Desmond. Non lo amerei mai come amo Altaïr.”

«Buonanotte, Rachel» disse Desmond, seguendo Lucy fuori dalla porta.

La ragazza si portò le mani alla testa.

Doveva fuggire dall’Abstergo.

 

 

 


S-salve. C-come va?

RISPARMIATEMI, VI PREGO!

È un periodo in cui non faccio altro che scrivere one-shot su Assassin’s Creed, e sentivo la necessità di pubblicarne almeno una.

Spero che abbiate gradito questa cosa. Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Calore umano ***


Desmond Miles vagava per la sua stanza all’Abstergo, camminando avanti e indietro, credendo che un altro attimo passato lì l’avrebbe fatto diventare matto.

Si avvicinò alla porta a passi svelti e, perdendo la pazienza, bussò con tutta la forza che possedeva.

«Insomma, fatemi uscire, maledizione!» Diede un colpo alla porta ancora più forte dei precedenti. «È tutto il giorno che sto qui! Rischio d’impazzire!»

La porta in quel momento si spalancò, rivelando nientedimeno che Rachel Grace, il soggetto 18, la quale intimò a Desmond di fare silenzio portandosi un dito alle labbra. Entrò dentro la stanza e chiuse la porta dietro di sé, prima che Desmond potesse avvertirla che quell’aggeggio si apriva solo dall’esterno.

«Grandioso, sono di nuovo chiuso dentro!» si lamentò il ragazzo, ma la voce della ragazza si sovrappose alla sua: «Vuoi far sapere all’intero Abstergo che mi trovo qui?!» lo rimproverò.

«Sei tu che stai urlando!» ribatté Desmond.

«Vuoi chiudere il becco?!» urlò Rachel.

«Tu chiudi il bec-»

«Sssh!» Desmond non riuscì a replicare, perché Rachel si era avvicinata a lui così tanto da mozzargli il fiato. Non l’aveva toccato, ma la sua vicinanza l’aveva stordito. Che mi prende? si chiese il giovane barista.

«Ascoltami» sussurrò la ragazza. «Oggi non ho avuto sessioni nell’Animus. Neanche tu, vero?» Rachel conosceva già la risposta, perciò quando Desmond annuì, lei aveva già ripreso a parlare. «È tutto il giorno che mi tengono chiusa nella mia camera. Mi hanno fatta uscire perché stavo dando di matto, così, di soppiatto, son riuscita a venire da te. Ed è così che mi ringrazi?» Il suo tono era diventato gentile e pratico, quasi lamentoso, non più arrabbiato e isterico, anche se era ancora leggermente offesa. «Ho paura che l’Animus si sia rotto. Se fosse così, non avrebbero più bisogno di noi! Non credi che ci uccideranno, Desmond?» Fu scossa da tremiti di paura e gettò le braccia al collo dell’Assassino.

Desmond era spiazzato: nemmeno il giorno in cui fu rapito dall’Abstergo aveva provato così tante emozioni in una sola volta! Prima follia, poi rabbia, eccitazione, commozione, paura, infine affetto. Affetto per quella ragazza che conosceva solo di vista, ma che in quel momento tremava e tratteneva i singhiozzi fra le sue possenti braccia.

La sua paura era lecita, ma infondata. Desmond cercò di consolarla. «Dubito che gli Animus si siano danneggiati, ma se così fosse, ne costruirebbero altri. Hanno bisogno di noi. Non c’è alcun motivo per cui dovrebbero ucciderci.» Le sue parole furono sussurrate con voce roca, accompagnate da dolci carezze fra i capelli della ragazza.

Rachel si calmò, sollevando la testa dalla spalla di Desmond e guardandolo negli occhi. Il suo respiro era ancora pesante, ma riuscì ad esalare un «Grazie.» Distolse lo sguardo dagli occhi del ragazzo e si avviò verso la porta, dandosi della stupida quando non riuscì ad aprirla. Come la sua, si apriva solo dall’esterno.

«Siamo... chiusi dentro» mormorò, desolata, ma non spaventata. Quelli dell’Abstergo l’avrebbero trovata lì, ma non gliene importava più di tanto in quel momento.

«È quello di cui cercavo di avvisarti appena sei entrata qui sbraitando come una SS tedesca» accusò Desmond, riaccompagnato dal suo sarcasmo.

«Mi dispiace» si scusò Rachel. La sua voce era debole, noncurante. Si sedette sul letto a due piazze, oggetto principale della camera di Desmond, e di tutte le celle dell’Abstergo. Il ragazzo si preoccupò per quell’improvviso calo d’umore, credeva d’essere riuscito a rassicurarla.

«Cosa c’è?» le domandò, prendendo posto accanto a lei.

La giovane sospirò. «Sono stufa... dell’Abstergo. Non ce la faccio più. E mi sento in colpa perché mi sto lamentando di questo con te, che sei qui da molto più tempo di me, e troverai i miei lamenti certamente insopportabili.»

«No» Desmond smentì le sue paure. «Devi essere forte, come cerco di esserlo io. È l’unico modo per non impazzire, qui.»

Rachel si strinse nelle spalle, poi continuò: «È tutto così... freddo. La mia camera, l’Animus, le persone.»

Desmond s’identificò nelle sue sensazioni, e si sorprese, perché per un attimo, un istante, lui aveva provato caldo: nel momento in cui Rachel si era trovata tra le sue braccia. La necessità di calore umano divenne in poco tempo implacabile.

«Io... sono caldo» azzardò. «In questo momento, se tu ti stringessi a me...»

Rachel non se lo fece ripetere due volte: gli gettò di nuovo le braccia al collo, e il suo slancio fece sdraiare entrambi sul letto. «Oh, Desmond!» sospirò. «Grazie.»

L’Assassino si sentì quasi in colpa. Lei prendeva ogni cosa come un gesto puro e amorevole, mentre lui voleva solo portarsela a letto. L’eccitazione era crescente, ma si costrinse ad andarci piano.

La ragazza si accoccolò sul suo petto, mentre lui le cingeva i fianchi con un braccio, e con l’altra mano le carezzava i capelli, la testa, la fronte, la guancia. Segnò con i polpastrelli il contorno delle sue labbra.

Rachel sospirò, quasi sorrise: si sentiva al sicuro, protetta, per la prima volta dopo mesi tra le ostili mura bianche dell’Abstergo. Inspirò, serena, e il profumo di Desmond le inondò le narici – finalmente un odore diverso da ciò che quelli dell’Abstergo chiamavano “cibo”. Tutto il resto, all’Abstergo, era inodore. Incolore.

Rachel scosse la testa impercettibilmente, serrò gli occhi e si strinse ancora di più al ragazzo, finché non riuscì a rilassarsi di nuovo. Non voleva rovinare quello che sarebbe sicuramente stato l’unico momento piacevole durante la sua permanenza all’Abstergo.

La mano di Desmond scese, infiltrandosi sotto la sua canottiera. Le sfiorò la schiena, e Rachel fu scossa da un brivido. Lo trovò piacevole.

L’Assassino strinse il corpo della ragazza al proprio, avvicinando il viso al suo. Gli occhi della giovane si persero in quelli del ragazzo, poi si chiusero, acconsentendo alle labbra di Desmond di posarsi sulle sue.

Rachel si stupì nel realizzare che lo desiderava.

Desmond la strinse così forte da non permetterle di fare altro se non lasciarsi baciare. Aprì la bocca e l’Assassino non esitò ad approfondire il bacio, tenendole la nuca con una mano.

Si allontanò dal suo corpo solo per posizionarsi meglio su di lei e poter ammirare le sue guance colorate delicatamente di rosso, i capelli in disordine, il petto che si muoveva a ritmo del suo respiro affannoso.

La baciò di nuovo, allontanandosi da lei solo per toglierle i vestiti, finché non furono entrambi nudi.

Desmond si fermò di nuovo ad ammirarla, mentre lei, così casta e pura, arrossiva alla vista dei suoi pettorali.

Magari, se quelle braccia fossero state un po’ più muscolose, se quelle labbra fossero state attraversate da una cicatrice, se quella mano avesse avuto l’anulare mancante, allora sì, sarebbe stato identico ad Altaïr.

Rachel era confusa: chi dei due amava di più?

In quel momento non le importava: aveva bisogno di calore umano, e chi meglio di Desmond, così simile ad Altaïr?

Provò dolore quando lui la penetrò, ma fu presto sostituito dall’estasi. Dovette trattenersi dall’urlare il nome di Altaïr, sentendosi tremendamente in colpa per aver pensato a lui durante l’intero rapporto.

Desmond si sdraiò accanto a lei, riprendendo fiato.

«Hai ancora freddo?» le domandò.

Rachel rise, sentendo il proprio corpo in fiamme.

«Non proprio.»

 

 


Continua questa raccolta di one-shot senza alcun senso logico.

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