Un Requiem Ellenico

di Davide R
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Atto I ***
Capitolo 3: *** Atto II ***
Capitolo 4: *** Atto III ***
Capitolo 5: *** Atto IV ***
Capitolo 6: *** Atto V ***
Capitolo 7: *** Atto VI ***
Capitolo 8: *** Atto VII ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Falce di luna. Joshua si trovava disteso sulla sabbia, avvolto dal suo telo da mare per resistere all'implacabile vento serale. I suoi piedi nudi trasmettevano al suo corpo il freddo del terreno mentre il ragazzo cercava disperatamente la posizione adatta per riuscirsi a coprire del tutto. Il suo respiro si cristallizzava in gelide nuvolette che si addensavano ritmicamente nell'aria. << Fa freddo, torniamo a casa, non mi va di passare la notte in spiaggia. Questo stupido asciugamano non arriva neanche a coprirmi il culo! >> Disse Lexa sognando il caldo tepore del caminetto della stanza, che per adesso rimaneva solo un miraggio. << Che finezza, una vera principessa >> Commentò Marco mentre tentava di rimpinguare il falò notturno con dell'altra legna secca. Un occhiata torva della ragazza bastò per farlo ammutolire e per spazzare via ogni briciola di sarcasmo. In quel preciso istante Joshua trovò la sua mente immersa in riflessioni profonde. Erano venuti in vacanza estiva in Grecia in cinque, lui compreso. Marco, Lexa, Joshua, Michael e Trina provenivano tutti dal più rinomato college di Boston, si conoscevano ormai da più di 7 anni. Appena raggiunta la maggiore età i ragazzi avevano deciso su due piedi di partire per un viaggio di piacere a Sparta. Inizialmente l'idea era di andare ad Atene, ma Joshua aveva convinto gli altri a scegliere la destinazione meno conosciuta. Amava esplorare luoghi nuovi. Si erano sistemati nel piccolo Hotel Alexandros, una sola stanza e cinque letti. L'atmosfera in albergo richiamava i vecchi miti dell'epica: solo dei valorosi guerrieri sarebbero riusciti a dormire su quei letti, sembravano sassi. No, forse i sassi erano più comodi. L'unica cosa positiva della stanza era il grande caminetto che i ragazzi avevano al centro della stanza. Appena arrivati l'avevano subito considerato come inutile pezzo di mobilio, ma l'insolito clima li aveva fatti presto ricredere. Era Agosto, non poteva fare tutto quel dannatissimo freddo. Pensava a questo ed altro, ma non importava, c'era una sola cosa che adesso attirava la sua mente. Doveva fare pipì. La stava trattenendo da ore, e le sferzate di vento gelido non aiutavano. Era incredibile come di notte ogni stabilimento chiudesse i bagni, che gente incivile. Trina ruppe il lungo silenzio che era calato sul gruppo: << Ma quanto ci mette Michael? È andato a comprarsi le sigarette o si è perso tra i pericolosissimi ombrelloni sul lungomare? >> << Dai pazientiamo ancora un po >> disse Marco << Magari non riesce a capire come funziona il distributore, sono aggeggi infernali quelli >> Il fuoco del falò crepitava, e le stelle sembravano più vivide che mai. Joshua cercò a tentoni con la mano la bottiglia di alcool. Vuota. Dannata Vodka, mi tradisci sempre nel momento del bisogno. In quel momento un lampo di genio balenò nella sua intorpidita mente. << Vado io a cercare Michael, voi aspettatemi, faccio in fretta >> Si alzò e si mosse il più naturalmente possibile per un uomo che si è appena fatto mezzo litro di alcool. Adesso poteva appartarsi e fare i suoi bisogni, si, la vita era fantastica per lui in quell'attimo. Vagò a lungo sul lungomare, per distanziarsi dai compagni, trovò quindi un promettente scoglio che copriva buona parte della spiaggia. Si appartò dietro con cura e si aprì le brache, iniziando allegramente a fare pipì. A quel punto si rese conto di avere i piedi bagnati. Che schifo, pensò, non riesco neanche a controllarmi, ho proprio esagerato col bere stasera. Ma guardando con più attenzione si rese conto che il liquido che gli aveva bagnato i piedi era troppo scuro per essere urina. Era scuro, e la luna lasciava intravedere a malapena la sabbia di colore diverso da quello normale. Joshua non era così lucido da riconoscere immediatamente cos'aveva davanti, perciò si limitò a seguire con lo sguardo la scia scura sul terreno. Trattenne a malapena i conati di vomito, impallidì e cacciò un urlo. A quanto pare, Michael non era riuscito a comprare le sigarette. La luna in quel momento sembrò riflettere un colore anomalo e diverso dal normale, il colore della morte. Falce di luna, rossa di sangue.

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Capitolo 2
*** Atto I ***


L'ispettore arrivò sul luogo del delitto circa mezz'ora dopo la macabra scoperta di Joshua. Era un uomo sulla trentina, aveva un ispida capigliatura color nero corvino di lunghezza media, ed il suo volto burbero e scontroso era coronato da un paio di antiestetiche sopracciglione di una foltezza che il ragazzo non avrebbe ritenuto possibile esistere. Indossava un dannatissimo impermeabile, come tutti i dannatissimi ispettori che si vedono nei telefilm americani. L'uomo si avvicinò al corpo esanime per trarre le prime conclusioni. Michael era in una posizione sdraiata, perfettamente regolare, gli occhi ancora aperti e intrisi del terrore del pericolo. L'ispettore Argirò scambiò delle brevi direttive in greco con i suoi collaboratori, per rimuovere il corpo e transennare il luogo, sarebbe arrivata la scientifica dopo per ulteriori analisi. I cinque ragazzi erano emotivamente provati: Joshua giaceva a terra con lo sguardo perso nel nulla, forse ancora alterato dai fumi dell'alcool; Marco imprecava con voce tonante, giurando vendetta per l'accaduto; Lexa e Trina erano insieme, la prima ragazza stava consolando l'altra, che tra copiose lacrime ricordava di come si fosse prefissata di dichiarare a Michael i propri sentimenti prima della fine del viaggio. Argirò si rivolse a Joshua, colui che aveva chiamato i soccorsi, esprimendosi in un inglese grezzo ma comunque ben comprensibile: << Dobbiamo portarti in commissariato ragazzo, capisco che tu sia ancora sconvolto dall'accaduto, ma tu hai ritrovato il corpo e quindi abbiamo delle domande a cui dovrai necessariamente rispondere, per il bene dell'indagine >> Joshua non obiettò minimamente, non ne aveva la forza, si alzò con una certa flemma e si accodò al piccolo drappello di poliziotti che si erano radunati in spiaggia. Lo fecero salire sui sedili posteriori, come se fosse un comune criminale. Il viaggio di ritorno dalla spiaggia Mavrovouni fu come un lungo sogno.  Perso nello spettro della sua macabra scoperta, non badò troppo alle strade sterrate e allo stile di guida spericolato della volante. Perché era capitato tutto a lui? Lui era un tizio tranquillo, il genere di persona che preferisce parlare solo quando ha cose intelligenti da dire e che per il resto ama perdersi nelle riflessioni, anche le più stupide. Joshua era un ragazzo di diciannove anni, magro fino all'osso, capelli castano chiaro che gli arrivavano alle spalle e che coltivava vari interessi, tra cui suonare la chitarra elettrica, la fisarmonica e il sitar, dono del suo defunto nonno. Di solito passava le ore ad ascoltare musica con le cuffie, facendosi i peggiori film mentali. Ma adesso no, adesso riusciva solo a richiamare alla mente il pallido volto di Michael, il suo sguardo vuoto reso ancora più esanime dal chiarore lunare, il sangue intriso nella sabbia come fosse vino rovesciato accidentalmente sulla tovaglia. Arrivati, la macchina frena bruscamente, il ragazzo scende, intontito com'è procede arrancando, fino a fermarsi ad un tratto addossandosi ad un palo. Vomito, di certo non il modo migliore per concludere la nottata. Le lacrime si mescolarono al riflusso gastrico e presto Joshua riconobbe l'acre sapore del rigetto improvviso. Adesso si sentiva più lucido, non ancora in piena forma, ma almeno aveva eliminato la Vodka dal suo stomaco. Argirò fece strada attraverso un cortile esterno, senza badare troppo a ciò che il ragazzo aveva appena fatto. Superarono un gran numero di stanze, tutte di colore bianco e arredate con il mobilio standard comune solo agli ospedali e alle scuole. Entrarono in una sala di dimensioni modeste, questa di colore celeste, con un unico tavolo al centro. L'ispettore bevve un sorso d'acqua dalla sua boccetta e poi invitò Joshua a sedersi sulla sedia. Era una sedia di quelle schifose che il ragazzo ricordò aver provato solo all'asilo, scomoda e poco leggera, di certo agevolava notevolmente gli interrogatori. Al ragazzo venne in mente il Trono di Spade, ovvero uno scranno composto interamente da lame descritto in una serie di libri che leggeva da mesi. Dev'essere lo stesso qui, pensò Joshua, questi brutti ceffi cercano un colpevole, non importa chi, e non esiteranno a utilizzare quello che dico contro di me, per avere vita facile. Fortunatamente Argirò fu di ben altra pasta da quella che si aspettava. << Tranquillizzati ragazzo, siamo qui perché dobbiamo cercare di trovare il colpevole dell'omicidio del tuo amico, tutto quello che ti chiediamo è un minimo di collaborazione per cercare di risolvere alcuni nodi della faccenda >> Passarono due ore in quella stanza, e Joshua cercò di rispondere al meglio a tutte le domande, anche a quelle di cui non era affatto sicuro, come l'ora del ritrovamento del corpo. Il monociglio incompleto dell'ispettore danzava sulla sua fronte corrucciata dopo ogni risposta. Ma il povero ragazzo era ancora troppo spaventato per potersi concedere anche solo una risata. Finito l'interrogatorio Argirò lo portò nel suo ufficio, una piccola stanza rettangolare, riempita da una scrivania colma di scartoffie e che dava su un ampia finestra con la tapparella abbassata. L'ispettore ordinò del caffè per entrambi e solo allora Joshua si accorse delle sue occhiaie pronunciate, in effetti il fattaccio era avvenuto a notte inoltrata. Il caffè era una bevanda insipida e allungata pesantemente, tutt'un altra cosa rispetto ai ricchi frappè che si concedeva allo Starbucks sotto casa sua, ma non protestò minimamente. In quel momento la caffeina era un dono che non era possibile rifiutare. Argirò riattaccò a parlare << Il fatto che tu abbia passato tutta la notte al falò con gli amici ti scagiona completamente dalla vicenda, poi sentiremo anche loro per confermare la tua versione >> Joshua non poté reprimere un sospiro di sollievo. L'ispettore continuò << Michael è stato colpito da una pallottola sparata da una Magnum alla tempia, ma non è stato ucciso in spiaggia, la postura del cadavere era troppo innaturale, devono averlo trasportato lì per nasconderlo dietro lo scoglio in modo da non lasciare tracce evidenti e...>> In quel momento il telefono fisso squillò, era un modello davvero antiquato. Argirò rispose con aria pesantemente scazzata, ma il suo volto mutò dopo aver terminato la chiamata. << Un ordigno è esploso sul taxi dei tuoi amici >> La stanza cadde in un silenzio assoluto. Perché deve fare tutto questo freddo? È Agosto cazzo

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Capitolo 3
*** Atto II ***


Joshua era appena partito con i poliziotti, Marco si trovava ancora sulla spiaggia, erano circa le due di notte. L'aria marina soffiava impetuosa, ma lui non sentiva freddo, gli eventi l'avevano così scosso da alterare le sue percezioni fisiche. Conosceva Michael da troppo tempo, non era pronto per una cosa del genere. In cuor suo il ragazzo ardeva di rabbia, era così che sfogava la tristezza. Guardò Lexa e Trina abbracciate mentre cercavano di consolarsi a vicenda, e un impeto d'ira lo travolse. Imprecò, due, tre volte verso il cielo assente. Poi un poliziotto si decise a rivolgergli la parola: << Sono Licopoli, l'assistente dell'ispettore Argirò, abbiamo portato il tuo amico in commissariato per porgli alcune domande. Voi dovete essere ancora scossi, abbiamo chiamato un taxi per riportarvi in albergo, quando siete pronti vi aspetta appena fuori il bar all'ingresso dello stabilimento >> Il suo inglese era ottimo, nessun segno di un qualche accento greco, sebbene avesse una voce troppo impostata da sembrare realmente dispiaciuto. È logico, pensò tra se Marco, nel suo lavoro è sicuramente abituato ad assistere al terribile spettacolo degli omicidi. Mentre la polizia compiva gli ultimi rilievi i ragazzi si riposarono, ne avevano certamente bisogno. Trina sembrava una fontana, continuava a singhiozzare da una buona mezz'ora. Lexa le si accostò dolcemente << Trì, so quanto sia difficile per te pensare ad altro in questo momento, so quanto tenessi a Michael e quanto avessi lavorato per trovare il coraggio per dichiararti questa sera. Ma le cose sono andate in modo diverso, restare su questa spiaggia non ti aiuterà a sentirti meglio, anzi. Dobbiamo andarcene, ci penserà la polizia ad occuparsi di questa faccenda, noi non possiamo fare più nulla. Tieni >> Le porse delicatamente un fazzoletto ricamato in pizzo rosa. Trina si asciugò le lacrime, represse un gemito e parlò << I-io, io voglio solo stare qui>> singhiozzò << V-voglio passare con lui tutto il tempo possibile >> Lexa sospirò << E va bene, se ti fa star bene passeremo tutto il resto della notte qui in spiaggia >> La luna rifletteva un sinistro pallore sui capelli biondo cenere della ragazza che piangeva, quasi come un alone spettrale. Poi passò la scientifica, trasportando il corpo esanime di quello che un tempo era Michael. Trina svenì. Marco sospirò, la prese sulle spalle. << Siamo pronti per prendere il taxi >> Risalirono la spiaggia a rilento congedandosi brevemente con le forze dell'ordine. Il taxi era li, immobile, una Mercedes nera, li aspettava un viaggio comodo almeno. Nella salita gli si avvicinarono tre persone, un uomo stempiato sulla cinquantina, una donna allampanata ma dai lineamenti gentili e una bambina che Marco inquadrò sui dodici anni. Fu la donna a parlare << Scusate, siamo inglesi in vacanza da Londra, sapete come chiamare un taxi? Eravamo venuti dopo cena in spiaggia ma ci siamo addormentati e adesso siamo bloccati qui >> La bambina si avvicinò a Lexa e le si appiccicò ai pantaloni sorridendo. Marco rispose << Mi dispiace, siamo anche noi stranieri, non sappiamo come aiutarvi >> Prima di dirigersi al taxi, Marco fece una breve sosta, si scrollò Trina dalle spalle << La affido un attimo a te >> Lexa annuì e il ragazzo fu libero di andare in bagno. Si mise direttamente dietro il bar della spiaggia incurante della posizione esposta. Fu questione di secondi, poi tornò con passo svelto dalle ragazze. Il taxi non c'era più e Lexa era parecchio impanicata << Gli inglesi, non ho fatto in tempo, hanno visto l'auto e ci hanno rubato il passaggio, mi dispiace, me ne sono resa conto troppo tardi >> E che cazzo! Quella era l'ultima cosa di cui avevano bisogno, pensò Marco. Scesero ancora dirigendosi verso l'aiuto-ispettore Licopoli << Ci scusi, abbiamo perso il taxi, non è che potreste procurarcene un altro? >> L'uomo tradì un espressione sorpresa, questione di un attimo, poi si ricompose e disse << Ma certo, anzi, perdonatemi un momento una chiamata e poi mi occuperò personalmente del vostro trasporto in albergo >> Passò appena cinque minuti al telefono, parlando in greco, e Marco non capì nulla, riuscì solo a notare il sorriso dell'aiuto-ispettore, un sorriso orrendo, mellifluo e sinistro. Giunsero in un ampio spiazzo, dov'era posteggiata una Audi A4. Però, si trattano bene questi greci. Iniziò il viaggio, Licopoli accese la radio e inserì un CD dei Rush, Caress of Steel riconobbe Lexa, era una grande fan del gruppo. Il percorso fu sgombro da auto e da ingorghi e il conducente dal canto suo faceva di tutto per accelerare quando poteva. Marco guardò la strada, ma non riconobbe il paesaggio. Licopoli parve leggergli nella mente, e disse << Stiamo prendendo delle strade secondarie, arriveremo prima che con il tragitto principale >> Il ragazzo si tranquillizzò e passò il restante tempo ad indugiare nell'amarezza degli eventi accaduti. Poi una macchina sbarrò la strada a quella dell'aiuto ispettore, che dovette fermarsi. Uscì un uomo anziano, capelli tirati all'indietro con litri di olio e un abbigliamento che si sarebbe accostato perfettamente ad un pezzo di mobilio. Indossava un completo di un marrone orribile, con un fiore all'occhiello e una cravatta rosso porpora su una camicia giallastra, probabilmente un tempo bianca. Anche Licopoli scese, si mise a conversare con l'uomo, Marco vide che sorridevano parlandosi tra di loro. Poi la portiera si aprì << Su ragazzi, scendete, il vostro viaggio finisce qui >> In quel momento Marco si sentì stranamente un idiota, l'aiuto-ispettore non sapeva l'indirizzo del loro albergo, avrebbe dovuto sospettare qualcosa da prima. Prima che potesse obbiettare, Licopoli parlò ancora << Suvvia, scendete, non costringetemi ad usare le maniere forti, non avete nulla da perdere, del resto in questo preciso istante siete già morti a causa di un ordigno piazzato sul vostro taxi di ritorno >> Sorrise, sempre il suo ghigno del cazzo. Poi tirò fuori una pistola e gliela puntò contro. << Scendete >> Era una Magnum.

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Capitolo 4
*** Atto III ***


Trina si risvegliò in una stanza vuota, era ancora abbastanza provata dal corso degli eventi ma riuscì a trovare la forza per guardarsi intorno. La stanza era ben arredata, le tende di velluto bianco lasciavano passare la luce necessaria per illuminare ogni angolo della camera. Il letto era un matrimoniale enorme, con lenzuola rosso porpora e un sontuoso baldacchino, il più ampio che la ragazza avesse mai visto. Uno specchio enorme era posto davanti a Trina, che si riconobbe più stanca e angosciata di quanto pensasse. Passarono i minuti, le ore, e lei non riusciva a decidersi sul da farsi. Si alzò, vagò assentemente verso la porta nera che aveva di fronte. Pose la mano sulla fredda maniglia d'ottone. Chiusa, avrebbe dovuto aspettarselo. Tornò a dormire, fu un sonno inquieto, tormentato da incubi e risentimenti, ma comunque un sonno lungo. Fu svegliata da un uomo di una certa età, aveva dei capelli grigi brizzolati tirati indietro dalla gelatina. Aveva un paio di folte basette che passavano dall'orecchio alla bocca. Il suo era un sorriso caldo e rassicurante, e anche la voce, in inglese pulito la fece sentire meglio << Buonasera, hai dormito un bel po eh? Avrai di certo fame >> << N-no stia tranquillo >> Ma il suo stomaco pareva essere di un opinione diversa, e il signore gentile parve leggerle nel pensiero. Le fu portato un piatto abbondante di anatra arrosto all'arancia, speziato in maniera tanto sopraffina che Trina lo divorò quasi in un istante. Poi le parlò ancora << Povera figliola, devi averne passate di tutti i colori, ma ora sei qui, sei al sicuro, non devi più preoccuparti di nulla >> << Dove sono, e lei come mi ha trovato? >> << Sei in casa mia, siamo vicino Atene e io sono il signor Grey, temo di non poterti dire di più, devi riposare per adesso >> L'uomo le indicò un vasto scaffale, pieno di libri e una serie di tele bianche pronte da dipingere, per passare il tempo, disse. Trina si rassegnò e decise di fidarsi di quella persona che era stata così comprensiva nei suoi confronti. Passarono all'incirca cinque giorni, nei quali lei si dedicò all'interessante lettura di un libro di poesie, e fu colpita in maniera significativa da una: " La luna danza pallida Sulle coste della desolazione Il mare riecheggia  Dei gorgoglii di tormenti dimenticati La notte copre e occulta Il mio cuore nero Che cerca di perdersi tra  Astri però irraggiungibili E non trova una sola stella Capace di rischiarare Questa inclemente e ottusa Malinconia " Poi si cimentò a dipingere, riuscì a copiare un mulino dalla copertina di uno dei testi che aveva sfogliato. Fu particolarmente soddisfatta del risultato, non pensava di poter essere così brava. Mangiò ad ogni pasto più che a sazietà e almeno due volte al giorno il signor Gray veniva in stanza per conversare con lei e giocare a scacchi, si divertiva un mondo in quei momenti. Quei cinque giorni riuscirono a farla sentire meglio con se stessa e riuscirono a fargli accettare almeno in parte la morte di Michael. Poi venne il sesto giorno, Gray venne come di consueto per parlare, ma questa volta assunse un cipiglio serioso e le spiegò che se l'aveva tenuta all'oscuro di certe cose era perché voleva farla star meglio. << I tuoi amici, ecco. Non so come dirtelo ma, neanche loro sono più tra noi >> Trina sgranò gli occhi. << L'altra sera in spiaggia, tu sei svenuta e ti hanno affidato alle cure di una squadra di soccorso medica, mentre loro hanno preferito tornare all'hotel. C'era una bomba nel loro taxi >> << T-Tutti, sono morti tutti? >> La ragazza sentì la sensazione delle lacrime riaffiorare lentamente dai suoi occhi, mentre il cuore iniziava a palpitare d'ansia. << Si è salvato solo il ragazzo di nome Joshua, ma temo che non ti farà star meglio neanche questo >> << Non capisco >> << Il ragazzo è indagato di omicidio plurimo, e con delle prove pesanti a suo sfavore, dalla versione ufficiale sembrerebbe coinvolto nella faccenda anche un ispettore di polizia >> La stanza iniziò a vorticare furiosamente intorno a Trina, non poteva essere vero, no. Joshua era un ragazzo stralunato, non poteva aver.... Eppure, in effetti aveva qualche rancore irrisolto verso Michael, e la voce del signore gentile sembrava così sincera, poi se aveva delle prove a sfavore. Doveva essere andata così. La tristezza si tramutò in odio represso e la ragazza si alzò con fare stizzito. << Cosa posso fare per aiutare? >> Chiese con aria risoluta. << Tra tre giorni c'è il processo. Ma saresti davvero in grado di testimoniare contro un tuo ex-amico? >> << Lo farò >> Rispose Trina. << Ah, un ultima cosa signor Gray, come si chiama l'ispettore coinvolto negli omicidi? >> << Argirò >> Poi l'uomo se ne andò, e lei trovò un nuovo motivo per vivere. La vendetta.

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Capitolo 5
*** Atto IV ***


Joshua era incollato alla sedia, in attesa di altre notizie. Oramai erano quasi le cinque di mattina, tra poco avrebbe albeggiato. Lui era al terzo caffè ma sapeva benissimo che sarebbe potuto star sveglio per giorni senza berne. Morti. I suoi amici erano tutti morti in quel dannatissimo taxi. Da quando l'ispettore gli aveva dato la notizia non si erano più parlati. L'uomo lavorava pragmaticamente al computer, imprecando di tanto in tanto. Il ragazzo invece sedeva apatico come sempre, immerso nel suo nugolo di pensieri. Perché li stavano uccidendo? Erano solo studenti in vacanza. L'unica motivazione che Joshua poté darsi era che loro erano comunque figli di persone abbastanza blasonate in America. Il padre di Michael era un esponente del partito dei conservatori, Lexa era la figlia di un importante avvocato, Trina la nipote del presidente di una nota industria farmaceutica e Marco aveva lo zio che dirigeva un famoso studio notarile. Joshua dal canto suo, era il figlio di un caro amico del presidente in carica. Ma che senso aveva ucciderli? Perché non rapirli a questo punto? Il ragazzo fissava la tapparella della finestra smuoversi ad ogni folata di vento, incapace di proferire parola. Il silenzio si ruppe quando la porta della stanza si aprì in maniera repentina. Entrò un uomo di bassa statura, con capelli biondi corti ma estremamente curati. Il suo volto sembrava la maschera della professionalità. Joshua notò che aveva un andatura claudicante e che trascinava la gamba sinistra con una certa fatica. Argirò gli rivolse la parola << Licopoli, ci informi su tutto quello che ha scoperto stasera in spiaggia stasera. Questo è il ragazzo che ha scoperto il cadavere >> L'uomo gli rivolse un sorriso mellifluo e attaccò a parlare << Il corpo è stato rinvenuto in posizione non naturale, ed è quindi certamente stato trasportato dietro lo scoglio da un luogo non ancora identificato. L'arma del delitto è una Magnum, è stata trovata nelle vicinanze del cadavere sotto la sabbia >> Joshua si chiese quale killer potesse essere così deficiente da nascondere una pistola sotto la sabbia, poi tornò a seguire il discorso dell'uomo. << Per il resto non sappiamo molto, la Magnum è stata già esaminata dalla scientifica, e a breve avremo i risultati delle analisi >> Poi Licopoli estrasse con cura dalla tasca la pistola incriminata, e la porse attraverso i guanti di pelle all'ispettore. Argirò la prese a mani nude, la rigirò con cura cercando segni particolari e poi la pose sulla scrivania. Joshua la prese e la esaminò con cura, era un appassionato di armi, ed era la prima volta che ne poteva vedere una da così vicino. Argirò si rivolse quindi all'altro uomo << Indagando sul passato della vittima ho scoperto che era il figlio di un importante esponente del partito conservatore americano, potrebbe essere un attacco di natura politica >> Licopoli sorrise, a Joshua non piacque per nulla quell'espressione << Ha ragione ispettore, gli estremisti si dilettano sempre con... facezie simili. Ora se vuole scusarmi, dovrei andare a controllare i resoconti della scientifica >> Prese quindi con se l'arma e si congedò con una certa celerità. Oramai era arrivata l'alba. Joshua sperava che il sole avrebbe spazzato via il freddo e le preoccupazioni che l'avevano assillato la notte. Poi chiese dov'era il bagno, non per fare pipì stavolta. Uscì per il corridoio e assistette ad una scenetta curiosa. Licopoli, in piedi sghignazzava beatamente di fronte ad altri due poliziotti, indicandogli la Magnum trovata sul luogo del delitto. Chissà, pensò Joshua, magari ha già scoperto chi sono i colpevoli dell'omicidio. E mentre invidiava la felicità dell'aiuto-ispettore si diresse nella toilette, con l'animo un pò più sereno, aiutato dai primi raggi dell'alba che filtravano dalle finestre. Non sapeva, purtroppo, che in una stanza interrata rispetto a dove era lui, la scientifica aveva iniziato solo adesso ad analizzare l'arma del delitto. Il povero Joshua non sapeva neanche che il sole, sebbene avesse scacciato il freddo, non era riuscito minimamente a rischiarare le tetre nubi di quello che era diventato il suo inclemente destino.

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Capitolo 6
*** Atto V ***


Vivo. Era vivo. L'adrenalina lo pervadeva ancora, impedendogli di pensare razionalmente. Era ferito, forse, ma questo non importava, ora doveva solo correre, via, non importava dove. Un istinto ferale aveva sopraffatto interamente la sua mente, gettandolo in una sorta di trance. Le sue gambe si muovevano ad una rapidità spaventosa, come non avevano mai fatto. Superò distese brulle e campi, il tutto illuminato dalla silente ma costante luce della luna. Correva selvaggio, come soltanto una bestia ferita avrebbe osato. Instancabile. Ma ad un tratto le palpebre parvero farsi pesanti, le membra dolenti e il cuore dolorante. Non doveva pensarci, doveva andare avanti, anche con la sua cospicua zavorra addosso, non doveva assolutamente fermarsi. Poi vide una piccola casetta di legno, solitaria in una radura nascosta dagli occhi dei curiosi. Forse avrebbero trovato aiuto, forse sarebbe riuscito a sopravvivere. La nuova scoperta lo indusse ad accelerare ulteriormente l'andatura anche se il suo corpo si mostrò decisamente contrario all'idea. Bussò. Due, tre volte all'ampia porta d'ingresso. Un leggero brusio proveniva dalle sue spalle, ma era così stanco che ignorarlo fu l'unica cosa possibile. La porta si aprì, usci un signore piuttosto assonnato, ancora in camicia da notte. Ora il freddo cominciava a farsi sentire. Cercò di farsi capire, provò con l'inglese e con il francese. L'unica risposta che ottenne fu un sopracciglio inarcato. D'improvviso si ritrovò a terra, con l'erba che gli solleticava la schiena. Un fiotto caldo gli percorreva la spalla destra, e lui non poté altro che crogiolarsi in quell'insolita situazione. Il resto furono tutte immagini e sensazioni indistinte, un volto conosciuto ma non riconoscibile che urlava in una lingua al momento incomprensibile. Si sentì alzare da terra, provò la comodità di un qualche nuovo morbido sostegno e infine un dolore straziante sulla spalla destra. Avrebbe voluto inveire verso lo scortese trattamento ricevuto, ma poi ci fu solo il nero. Si mantenne in quello stato di dormiveglia per un periodo che non riuscì a ricordare, accanto a lui c'era sempre una certa figura nota. Sembrò passare un eternità, ma finalmente Marco tornò a vivere. Ritrovò la coscienza nell'angusta stanzetta di legno, su un letto bianco tranne che per delle striature di sangue rappreso. Lexa poggiava la sua testa docilmente sul suo petto, sembrava pesantemente addormentata. Probabilmente si era stancata a star dietro a lui. La squadrò meglio, quasi a voler ritrovare particolari dimenticati dal lungo torpore. Aveva dei capelli lisci castani chiari, con un ciuffo verde, tinto per l'occasione del viaggio. I suoi occhi ambrati al momento erano socchiusi mentre normalmente spiccavano sul suo naso alla francese e sulle sue labbra carnose. Dopo un momento di iniziale apatia cercò di fare mente locale per capire quello che era successo dopo che il bastardo li aveva condotti a morire. Una pistola, gli aveva puntato una dannatissima Magnum addosso, intimandogli di scendere. Mentre i due uscivano lentamente dall'auto l'altro signore anziano li squadrava ridendo. Sapeva che i ragazzi sarebbero morti lì, eppure quel vegliardo si divertiva quasi come fosse stato ad uno spettacolo di cabaret. Licopoli aveva poi detto qualcosa, che lui aveva scordato. Dannazione, pensò tra se e se, probabilmente era qualcosa di importante. Le persone che sono troppo sicure di non dover aver più a che fare con altri si lasciano sempre sfuggire cose interessanti. Era stato in quel momento che Marco aveva torto il braccio all'aiuto-ispettore e ghermendogli la mano aveva sparato, colpendolo alla coscia. Il ragazzo aveva praticato boxe in America, ma certe mosse le aveva viste fare solo nei film. Aveva visto l'infame accartocciarsi su se stesso come un cane bastonato, mentre lo sguardo del signore anziano si era mutato in un espressione di algida sorpresa. Poi era scappato via, prendendo Lexa per mano. Il vecchio li aveva inseguiti, e la fuga era stata rocambolesca a dir poco. Marco si era beccato una pallottola sulla spalla destra, aveva grugnito ed aveva iniziato a correre ancora più velocemente. I suoni degli spari lontani giungevano a loro come una sentenza di morte. Superata una piccola radura di macchia mediterranea era evidente che Lexa non sarebbe stata in grado di tenere il passo di Marco. Il ragazzo senza fare troppi complimenti se l'era caricata di forza sulle spalle ed era riuscito a seminare il suo nonnetto inseguitore. Ed era giunto in quella casetta. Non riusciva minimamente a ricordare cosa era successo dopo. La porta della camera si aprì delicatamente ed entrarono un uomo e una donna. Filtrava poca luce, ma Marco li collocò comunque sulla cinquantina, specie lui, per la stempiatura che solcava inclemente il suo rado capo. Il ragazzo cercò di ringraziarli, ma l'uomo lo zittì indicando Lexa addormentata. La signora si avvicinò alla spalla di Marco, ancora fasciata. L'emorralgia si era fermata e la ferita era stata pulita abitualmente, così da esser ormai in condizioni accettabili. La donna prese poi un portatile dal tavolino antistante il letto, e andò su Google Translate. Un tentativo di comunicazione, pensò Marco, è una buona cosa. La donna scrisse << Riesci a fare questo? >> Poi ruotò la spalla e il braccio a formare un cerchio, come in quegli squallidi esercizi d'aerobica che propongono gli animatori ai villaggi vacanze. Il ragazzo la imitò senza troppi problemi, sentendo solo un lieve formicolio alla scapola. La donna sorrise compiaciuta, e poi scrisse ancora << Non ti chiederemo chi sei o da dove vieni, ma se vuoi restare qui devi sottostare alle regole vigenti sotto il nostro tetto. Chi non lavora, non mangia >> Poi l'uomo indicò delle casse sigillate sul pavimento della stanza ed estrasse un coltellino, iniziando ad intagliare il legno. Non sembra così male, pensò Marco. Ma le cose non stavano così. Il signore di mezz'età infatti sorrise, ed indicò un ascia posta vicino lo stipite della porta, e mimò il gesto di un taglialegna in maniera così convincente da sembrare un canadese doc. Cazzo, si prospettano tempi duri. Fu l'ultimo pensiero del ragazzo prima di piombare in un secondo sonno, sicuramente più profondo e ristoratore del primo.

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Capitolo 7
*** Atto VI ***


Licopoli era seduto nel suo studio, poggiando baldanzosamente le gambe sulla scrivania. Non riusciva a smettere di sghignazzare e di pensare a come tutti i piani fossero andati alla perfezione. Certo, aveva perso due ragazzi, ma quello non era più un suo problema. Il vegliardo l'aveva rassicurato dicendogli che non avrebbe più dovuto muovere un dito. Probabilmente aveva inviato qualcuno dei suoi sottoposti a scovarli. Prese la penna dalla scrivania e iniziò a giocherellarci come un bambino. Argirò era convinto di potersi fidare di lui. Quel pensiero lo fece morire dalle risate. Povero idiota, non sai che tra poco tu e il tuo nuovo protetto finirete in prigione al posto mio, pensò. Era da tempo che lavorava per Loro, non riusciva quasi a ricordare la sua vita precedente. Loro sapevano quello che era giusto fare, e Licopoli si fidava, non era mai stato un suo desiderio assumere la responsabilità gravosa di decidere della sua vita. A lui bastava obbedire, e trovarsi dalla parte del giusto. Ma non sempre la parte che lotta per nobili ideali può avvalersi di mezzi legali, quello era il suo compito, come quello di tanti altri, sporcarsi le mani per il bene di tutto. Si, Loro sapevano decisamente cosa fare, e l'aiuto - ispettore avrebbe dato la sua vita per completare i suoi ordini. Per il Loro bene. Per il bene della Grecia. In quel momento qualcuno bussò alla porta. Licopoli parve irritato da quell'improvvisa interruzione, poi disse << Avanti >>. Era Argirò. Tutta la loro conversazione scivolò via sull'aiuto - ispettore, che cercò di fingersi il più cordiale possibile. Dovette solo recitare la sua parte, sorridere al momento giusto, rassicurare. Tradire. E quando finalmente l'ispettore se ne andò trasse un sospiro di sollievo. Questa era diventata la sua vita, mentire e occultare. Ma ne era felice, perché adesso era dalla parte del giusto, già. Si alzò, vagò per la stanza e uscì alla finestra per prendere una boccata d'aria. Osservò i bambini giocare per strada, c'era qualcosa di meravigliosamente bello in quello spettacolo. Poi squillò il telefono in stanza e Licopoli rispose. I risultati della scientifica, bene, era il momento di gettare la maschera e di assumere il comando della situazione. Tornò per un fugace attimo alla finestra e si accorse di cose che prima non aveva notato, cose spaventoso. I bambini vestivano di stracci, e il loro era uno spettacolino allestito da un abietto figuro seduto sul ciglio della strada, la crisi si faceva sentire. Per la Grecia. Sospirò e si incamminò verso il laboratorio della scientifica, ascoltò i risultati, assunse un espressione di sgomento, poi di rammarico, bofonchiò qualche frase fatta. Poi ordinò agli agenti di imprigionare momentaneamente Argirò e Joshua fino a successivi accertamenti sul caso. Si diresse poi al telefono. Poche parole con i piani alti, lo stesso teatrino delle emozioni, inviò via fax i risultati della scientifica e ottenne quello che voleva, attaccò e sorrise. Era l'alba di un nuovo giorno, per lui e presto anche per la Grecia. Il nuovo ispettore Licopoli annunciò con un elaborato discorso al comando la situazione dell'ormai ex - ispettore, non trattenendo falso rammarico. Poi si fiondò al telefono, e li chiamò. Si, erano soddisfatti, perfetto. Licopoli aveva dato tutto se stesso per la causa, e adesso l'obiettivo era vicino. Loro sapevano farlo stare bene.

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Capitolo 8
*** Atto VII ***


Joshua aveva fame. Era chiuso li dentro da un giorno. La cella era stretta, e lui doveva condividerla con il suo compagno. I pochi raggi di luna attraversavano le grate della finestra, facendogli desiderare intensamente di poterlo fare anche lui. Era successo tutto in un batter d'occhio, gli agenti li avevano presi in un istante e li avevano portati al cospetto del verme. Joshua ricordava come Licopoli avesse squadrato lui e Argirò come se fossero stati davvero dei criminali. L'aiuto-ispettore era apparso freddo, come se fosse cambiato tutto d'un colpo. Aveva mentito spudoratamente, li aveva accusati e li aveva scherniti. Il ragazzo aveva visto la faccia di Argirò digrignarsi fino quasi a spaccarsi la mascella e pronunciare un solenne giuramento di vendetta. Licopoli li aveva salutati con un sorriso, che Joshua aveva in quel momento classificato come un autentico ghigno del cazzo. E adesso era lì in cella, l'ex-ispettore, aveva uno sguardo apatico, lo spettro dell'uomo che era. Chi poteva biasimarlo del resto?  Erano stati due idioti, erano caduti nelle trappole tessute da quell'uomo viscido, ed ora erano a scontare la pena di chissà chi. Il ragazzo prese coraggio, scosse lievemente Argirò e parlò: << Tutto bene? >> L'uomo si passò una mano tra i capelli, sospirò e poi rispose: << È tutta colpa mia ragazzo, non mi aspettavo che le cose finissero così, tradito da un mio amico >> << Conosceva da tanto quel bastardo? >> <> Sputò violentemente a terra. << Nulla è ancora perduto, c'è un processo tra due giorni, non hanno le prove necessarie per incastrarci >> << Le nostre impronte digitali su quella Magnum del cazzo saranno più che sufficenti per la giuria >> << Cosa intende? >> << La Grecia sta attraversando un periodo di crisi, non può addossarsi anche degli omicidi internazionali, scaricheranno senza pensarci troppo la colpa su noi due, mia madre veniva da San Francisco >> Joshua impallidì. Poi un lungo silenzio cadde tra i due, oramai rassegnati all'ineluttabile. Dopo un oretta la porta della cella si aprì. Argirò e Joshua sussultarono e osservarono il curioso visitatore. Era un uomo anziano, con capelli tirati all'indietro e un volto cordiale. Esordì con un teatrale << Sono qui per salvarvi >>  Argirò parve incredulo  << M-Ministro Koraki? Lei qui? >> << Shh, non far troppo rumore, ho distratto le guardie, non posso lasciare che il figlio di un mio vecchio amico venga portato in tribunale >> << Lei conosceva mio padre? >> << Prima della sua sfortunata dipartita era uno tra i miei compagni di gioco preferiti, vinceva sempre, a scacchi >> << M-ma come è.. >> << Parleremo dopo, seguitemi, anche tu ragazzo, dobbiamo uscire di qui >> A Joshua in quel momento si aprì un mondo, non poteva credere di poter riottenere la libertà così facilmente. Libertà, solo ora riusciva a riconoscerne il valore, che idiota era stato. Spinto dall'euforia e dall'adrenalina si accinse a seguire i due nella rocambolesca fuga. Oltrepassarono di soppiatto un corridoio deserto, fino ad arrivare ad una botola, poi Koraki parlò << Questo edificio è stato ristrutturato da poco, ma presenta delle strutture precedenti ai nuovi lavori. Questo era un passaggio per l'esterno ora inutilizzato, è buio quindi fate attenzione li sotto. Andate! >> L'anziano signore sorrise e Joshua fece lo stesso. Poi parlò Argirò << Non saprò mai ringraziarla abbastanza, non sa il bene che ha fatto, non tanto per me, quanto per questo ragazzo. Non merita di marcire in cella a quest'età per reati che non ha commesso. Ci riscatteremo, vedrà! Dimostreremo che i veri colpevoli non siamo noi >> << Naturalmente, naturalmente, ora però devo chiedervi di accelerare, non vorrei ci scoprissero ad un passo dalla vostra salvezza >> Si salutarono, e poi si calarono nella botola. Joshua provò un moto d'ammirazione per Argirò, se esistevano ancora uomini onesti come lui, forse c'era una speranza per il mondo. Percorsero l'angusto e umido passaggio al buio arrancando in silenzio. Poi l'uscita, la lama di luce lunare che segnava la libertà, ancora pochi passi e sarebbero stati fuori. Il cuore di Joshua palpitava all'impazzata dall'emozione. Uscirono. Licopoli li attendeva con una pistola in mano, e il suo solito sorriso mellifluo. Argirò e il ragazzo guardarono stupefatti il traditore. Impossibile, non può essere vero. Urlò inconsciamente Joshua. Licopoli rispose sogghignando << Oh si invece, sei per caso cieco? Sono qui di fronte a te >> << Bastardo >> ululò Argirò. << Ora che vi ho scoperti mentre fuggivate, sarà molto più facile convincere la giuria che il ragazzo è il colpevole >> << Era tutta una trappola... >> Mormorò con voce spenta Joshua. << Perché? >> Tuonò l'ex-ispettore in un impeto d'ira furiosa << Perché ci fai questo? Io credevo fossi mio amico! >> Bam! Uno squarcio di morte nel silenzio. La pallottola trapassò il torace di Argirò facendosi facilmente strada verso il cuore. Licopoli rise ancora << Amico? Povero deficiente! >> Poi posò il suo sguardo su Joshua << Dirò agli altri agenti che stava fuggendo e che sono stato costretto a sparargli per fermarlo, sai com'è al buio succede di... sbagliare mira. Ah, un altra cosa, il mio amico Koraki ha sistemato vicino al cadavere della guardia della vostra cella il tuo vecchio coltellino svizzero, dovrai addossarti anche le colpe di quell'omicidio. Ora che sei solo il gioco è fatto, hai perso, Joshua, io sarò l'eroe e tu sarai il cattivo della situazione >> Poi arrivarono gli altri poliziotti , ma in quel momento non importava, non importava niente. Anche le parole del viscido bastardo gli erano scivolate addosso, vuote di significato. Era accartocciato accanto ad Argirò, le mani impiastrate di sangue mentre cercava di scuoterlo in un disperato tentativo di riportarlo indietro anche solo per un secondo. Ma fu inutile, l'uomo onesto esalò gli ultimi sofferti rantolii, morendo come un cane dimenticato dal mondo. Qualcosa cadde dal suo viso, qualcosa di caldo e salato, lacrime forse, ma non importava. Lo trascinarono, non oppose resistenza, perché avrebbe dovuto? Quella notte, quella dannatissima notte, qualcosa nel povero ragazzo si incrinò.

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