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di wilderthanthewind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

Aprì gli occhi: delle urla l’avevano svegliata. Ancora assonnata, poté riconoscere tra gli affanni della donna alcuni insulti. Osservò il suo bellissimo gatto grigio, dalle striature nero brillante, acciambellarsi ai piedi del letto: «Ritieniti fortunato, Arimoto. Non avrai mai altre occasioni nella vita di avere Miss Finezza come vicina di casa!», rise Zikutateka. Oramai, non ne era più stupita: la sua vicina era divenuta la sua sveglia. I lunedì mattina, quando era convinta che il letto fosse un campo gravitazionale, si chiedeva perché diamine quella donna dovesse dare il buongiorno a tutto il vicinato in quel modo. Un brivido percorse la sua schiena, ma il caldo abbraccio delle coperte lo soppressero. Zikutateka raccolse tutto il suo coraggio per aprire le porte del suo guscio, all’idea di indossare la sua cara, vecchia vestaglia azzurra, la sua preferita.

Entrò in cucina; scelse una tazza dalla credenza, vi versò del latte e accese il suo fornetto a microonde. Preparò accuratamente panna montata, cacao e brioche confezionate. Per quanto doloroso fosse il risveglio, la colazione era il suo momento preferito della giornata.
Consumato il pasto, si guardò allo specchio: una ragazza dai lunghi capelli corvini, un paio di occhialoni neri che racchiudevano i suoi splendidi e grandi occhi scuri, con una punta di indaco… contornati da profonde occhiaie violacee. Perlomeno erano in tinta con le sue iridi. Non potrei mai avere un ragazzo, pensava sempre quando osservava la sua immagine riflessa. La mattina si spaventerebbe vedendomi in queste condizioni. A dire il vero, Zikutateka non se n’era mai curata. Il suo motto era: “La bellezza se ne va col tempo; il talento, l’intelligenza e il carattere no”. E lei era convinta di possedere talento, sì, talento nell’accarezzare il suo micio Arimoto. Si considerava anche intelligente, perché appena sveglia riusciva a decifrare gli insulti della gentile e paziente vicina. Per quanto riguarda il carattere, avrebbe avuto il tempo, o meglio la voglia, di lavorarci, prima o poi.

Dopo aver sciacquato il viso, si vestì in fretta per poter ammirare la città dal balcone di quel sesto piano: aprì uno dei cassettoni del suo comò e scelse in fretta una gonna nera, una camicetta e un paio di calze bianche, dunque si accovacciò per trovare le sue scarpette, che la sera prima aveva lanciato sotto il letto. Sentiva di poter dominare il mondo a quell’altezza, almeno finché non riconosceva una formica arrivare in bici per ricordarle che il suo nome era Zikutateka, per la sua migliore foramica Ziku, aveva sedici anni (o diciassette?) e viveva a Kyoto.
La ragazza unì la ruota della bici a un palo con una catena; chiuso il lucchetto, alzò lo sguardo, e notò Ziku che la scrutava. “Smettila di guardarmi e apri la porta!”, gridò Nochi-Chan, una ragazza paffuta che non sarebbe uscita mai di casa se prima non avesse pettinato con la sua bella spazzola colorata la frangia, e raccolto il resto dei capelli in un’alta coda da cavallo. Ziku corse dall’altra parte dell’appartamento per rimuovere la chiave dorata dalla serratura e socchiudere la porta, in attesa dell’arrivo di Nochi-Chan. “Allora, che facciamo di bello oggi?”, chiese col suo solito sorriso radioso la ragazza, appena entrata. “Passiamo per la via centrale, vediamo se c’è qualcosa di nuovo nei negozi”, propose Zikutateka. “Buona idea, è da qualche settimana che non ci andiamo”, approvò allegra l’amica, trascinando Ziku fuori dall’appartamento. Scesero le scale in fretta saltellando ogni due scalini, finché non raggiunsero il cortile al piano terra, dove Nochi aveva parcheggiato la sua bicicletta.

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Salve a tutti.. questa fanfiction è un po' un azzardo perché non mi sono mai addentrata in questo genere, ma spero che ne esca qualcosa di buono. Non ho neanche deciso le parti più importanti della trama - a proposito di questo vi dico che le varie caratteristiche della storia, compreso il genere, potrebbero variare nel corso della storia, quindi diciamo che non sono sicura sia una fluff introspettiva :') vi chiedo scusa per questo. Ad ogni caso, spero sia di vostro gradimento e che vi ispiri qualche recensione!
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

Le due amiche montarono in sella e si avviarono spedite verso la via centrale, inizialmente barcollando, in seguito acquisendo sempre più velocità. Giunte a destinazione, parcheggiarono nuovamente la bicicletta e iniziarono a passeggiare, guardando le vetrine luccicanti e colorate, allegre e allettanti. Superarono il rinomato Holly’s Café, che tutti i diciassettenni come Zikutateka e Nochi-Chan frequentavano. A dire il vero, Zikutateka e Nochi-Chan non erano affatto come tutti gli altri diciassettenni, infatti non ricordavano di aver mai messo piede nel grande bar: preferivano di gran lunga sedersi ai tavolini dei piccoli locali, quelli che erano soliti frequentare gli anziani. Mica scemi, gli anziani, pensavano sempre.

Entrarono nel negozio della signora Karinka, una cartoleria per cui le due amiche avevano un debole; non che gli articoli di cancelleria le interessassero, ma quel luogo aveva qualcosa di speciale, che le attraeva. «Buongiorno, signora Karinka!», gridarono una volta aperta la porta. «Ziku, Nochi! Che piacere vedervi! Cosa ci fate da queste parti?», rispose la signora sorridente, una donna sulla cinquantina, gli occhi sempre ridenti, i capelli raccolti in uno chignon un po’ scombinato. «Niente di che, siamo passate a guardare le vetrine», fece Nochi-Chan. «E lei, cosa ci racconta?», chiese allegramente Zikutateka. «Si vende, come sempre. Meno male che ci siete voi a spezzare la monotonia!», sospirò Karinka. Le due ragazze sorrisero, e si avviarono verso l’uscita. «Tornate presto!», gridò la donna agitando la mano per salutarle.

Continuarono la loro passeggiata, ridendo e chiacchierando del più e del meno, commentando la simpatia dei cittadini di Kyoto. «Cos’è quello?», chiese Ziku curiosa, indicando un negozio in fondo alla strada. «Non so, andiamo a vedere», disse Nochi perplessa.

Il negozietto aveva una piccola insegna bianca e blu all’angolo, e una tenda da sole a strisce bianche e rosse come tettoia per la merce esposta fuori: delle riviste e dei fumetti colorati, dei dischi e capi d’abbigliamento di vario tipo. Al centro della vetrina erano posizionati dei manichini, e accanto un grande cartello magenta con su scritto “Saldi! 30%”. «Entriamo, magari troviamo qualcosa di carino!» esclamò Nochi-Chan, trascinandosi l’amica. Osservavano la merce ordinatamente disposta sugli scaffali, quando improvvisamente Zikutateka notò una porta aperta che conduceva ad un sotterraneo. «Andiamo a vedere, chissà cosa c’è», sussurrò a Nochi. Di soppiatto scesero le scale, facendo attenzione a non far gracchiare i vecchi gradini. Si addentrarono con cautela in una piccola stanza buia, in cui aleggiava quel familiare odore di chiuso, facendosi strada tra alcuni scatoloni impolverati.

Notarono qualcosa, che le fece rimanere pietrificate; impiegarono qualche minuto per capire di cosa si trattasse: un’ombra s’ingrandiva sempre più, invadendo la parete. Ziku sentiva il suo cuore battere a mille, credeva che le sarebbe uscito dal petto; si sentiva svenire. Si chiedeva come potesse esserci un’ombra in una stanza buia, eppure la sentiva. Si voltò lentamente, nella speranza di trovare un punto di luce, o l’oggetto che dava vita a quell’ombra inquietante, ma non fu così. Improvvisamente sentì il cuore stringersi, un enorme peso, come se qualcuno le fosse caduto addosso e le impedisse di respirare. La testa le girava, voleva piangere, gridare, ma non ci riusciva, non sapeva cosa glielo impedisse, ma non ne era in grado. Nochi-Chan si precipitò su di lei, gridando.

«Ziku, Ziku! Cosa è successo? Rispondi! Stai bene?»

Era senza fiato, era terrorizzata.

Guardò nuovamente la parete: le lacrime agli occhi, gli affanni, la speranza che non le accadesse più niente di brutto.

L’ombra era sparita.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

«Io… io… non so cosa è successo, è stato come se un peso mi avesse schiacciata e mi si è stretto il cuore, Nochi, ti prego, aiutami», singhiozzò la ragazza. Nochi la prese per un braccio e l’aiutò ad alzarsi. «Adesso come stai?», chiese preoccupata. «Sento ancora quel peso, lo sento addosso», rispose cercando di asciugarsi le lacrime. «Shh, vieni qui, è tutto finito», sussurrò abbracciandola. «Adesso usciamo di qui e ti accompagno a casa, così ti preparo una bella cioccolata calda con la panna, come piace a te», la rassicurò. Ziku annuì, e in fretta si allontanarono dal negozio, cercando di dimenticare quell’episodio singolare. Si diressero in totale silenzio verso l’appartamento di Zikutateka, ché la sua amica potesse aiutarla a calmarsi. Le porse la sua tazza preferita, con un alto strato di panna, e la guardò: aveva gli occhi lucidi, le mani le tremavano, così come le labbra pallide. Si chiedeva cosa fosse successo, era avvenuto tutto così in fretta! Cos’era quell’ombra? Cosa aveva a che fare con Ziku, se ne aveva qualcosa? Non sapeva come comportarsi, né come sentirsi, così pensò di lasciare un po’ l’amica sola: magari la vittima stessa avrebbe saputo darle delle spiegazioni, riflettendo in pace. Terminata la cioccolata calda, Nochi-Chan si alzò. «Beh… è ora di andare, per me. Chiamami se c’è qualcosa che non va», si raccomandò. Ziku annuì e l’accompagnò alla porta, dopodiché andò a distendersi sul suo letto, dove Arimoto (che la salutò con un miagolio) ancora riposava. Si strinse nelle coperte, cercando di evitare che l’immagine dell’ombra e l’improvvisa morsa si ripresentasse di nuovo nella sua mente. Tuttavia dimenticare si rivelò impossibile; l’ansia l’assaliva, nonostante non fosse neanche sicura di cosa fosse successo. Sperava tanto che si trattasse solamente di suggestione, e che presto non avrebbe più ricordato quell’orribile mattinata.

Proprio in quel momento, quel peso che la opprimeva svanì.

Si sentì sollevata, almeno finché di fronte a lei non apparve nuovamente l’ombra. Questa volta aveva una sagoma ben delineata: Ziku poté distinguerne gambe e braccia piuttosto muscolose; i lineamenti del volto erano ben definiti, le labbra carnose, il naso perfetto. Nel panico riuscì solo a chiedersi (nuovamente) cosa fosse, e come potesse individuare così tanti dettagli in un’ombra. Non riusciva a muoversi, non sapeva cosa le sarebbe accaduto se avesse tentato di scappare. Piangeva, e tra i singhiozzi sussurrava «Ti prego, ti prego… cosa vuoi? Non farmi nulla, ti prego». In quel momento l’ombra parve aprire gli occhi; erano luminosi, a differenza del resto del corpo, e avevano una bellissima forma: non si poteva dire assomigliassero a un tipico paio di occhi a mandorla, eppure conferivano al suo sguardo quell’aria dominante, coinvolgente, inquietante, ma allo stesso tempo spaventato, timido, supplichevole. Laddove il bagliore dei suoi occhi scemava, in bilico tra luce ed ombra, Ziku notò una leggera piega sulle palpebre inferiori.

Tentò di rifugiarsi nelle coperte, sperando che in quell’inferno fatto di follia, il loro calore potesse proteggerla.


Nella stanza si potevano udire i lamenti del vento, simili all'ululato di un lupo la notte fonda. L'ombra schiuse le sue labbra carnose, e in un sussurro ben scandito esordì: «Sono un'anima. Non ti farò del male». Ziku tremava. «E... e prima, a-allora? C-cosa era s-successo?», singhiozzò, abbassando man mano il tono di voce.
«Ero diventato temporaneamente parte di te, per seguirti»
«Chi sei? Cosa vuoi da me?», urlò la ragazza tra le lacrime.
«Il mio nome è Roger. Morii il sedici gennaio del millenovecentottantasei. Sono... un fantasma. Sì, vent'anni e ancora non riesco ad abituarmi a quella parola»
«Tu... tu... tu sei...?»
«Avrei dovuto compiere ventisei anni il seguente ventisei aprile, ma non ci tenevo: già fino a quel sedici gennaio, le sofferenze erano troppe». Sul volto della ragazza si stampò un'espressione interrogativa. «Io... avevo una... fidanzata. Era il mio sole quando il mattino aprivo gli occhi, la mia luna quando la notte non riuscivo a dormire, e lei mi coccolava, e mi cullava con le sue dolci parole. Era probabilmente l'unica persona a cui mi fui mai aperto, l'unica persona ch'ebbi amato con tutto me stesso»

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***



Capitolo 4

Profonde tonalità di viola si mescolavano con il rosa più acceso, sfumando verso una punta di blu notte, come una finestra tra le nuvole che sporcavano il cielo, a cui l’intero universo s’affacciava: imbruniva. Il buio invadeva lentamente la cittadina di Kyoto, mentre i ciliegi lasciavano i delicati petali danzare nella brezza primaverile, fragili e freschi, ignari di ciò che i rami antichi su cui vivevano poteva raccontar loro; rami che, quando erano poco più che deboli germogli, avevano visto giovani indossare la loro armatura ed impugnare la katana, giurando di lottare in eterno in nome del proprio daimyo, e poi accasciarsi sullo stesso prato, tra gli stessi petali caduti, sotto gli stessi raggi di sole, a causa di una freccia nemica, pur di difendere la propria patria; rami che, ormai non più alle prime fioriture, avevano visto dei soldati uccidere anche i samurai con più esperienza, in una divisa macchiata d’Occidente. Rami che, tramonto dopo tramonto, avevano visto la città crescere, la società evolversi, una metamorfosi durata secoli tra cocktail di sangue ed onore, conclusa - o almeno al momento pareva - nelle dolci primavere in cui studenti ambiziosi e volenterosi si fermavano ad ammirare le antiche cortecce degli alberi, riflettendo sui loro dubbi maggiori.

Quella sera, seduto su una panchina che di giorno l’ombra dei ciliegi abbracciava, non capitò uno studente preoccupato per il nuovo anno scolastico a cui si preparava, né un universitario pronto ad entrare nel mondo del lavoro: un ragazzo dagli occhi grandi e scuri era concentrato a girare accuratamente le chiavi della sua chitarra acustica e a soffiare via i granelli di polvere che vi si appoggiavano.

Nel vialetto passeggiava Tamiko, nel suo kimono con decori colorati, che indossava sempre quando usciva a fare due passi nei tiepidi pomeriggi primaverili; non era un abito scomodo o troppo vistoso: era proprio adatto ad una ragazza come lei, che amava osservare le tradizioni, senza dare l’impressione di essere appena uscita da un film ambientato nel millecinquecento. La sua passeggiata fu interrotta dalla melodia paradisiaca del ragazzo ancora seduto sulla panchina, questa volta non per assicurarsi che la sua chitarra fosse perfetta, ma che a furia di sistemarla e lucidarla non si fosse dimenticato come suonarla. Presa dalla curiosità, Tamiko si avvicinò al ragazzo, per poi sedersi accanto a lui ed osservarlo con attenzione. Egli continuava ad accarezzare le corde del suo strumento, incurante della sua nuova compagnia.

«Ciao!», disse Tamiko sorridente. «Sai che è una gran bella chitarra?», si complimentò, cosicché il giovane alzò lo sguardo.

«Grazie», rispose allegramente. «Mi è stata regalata lo scorso compleanno», aggiunse, ancora attento a non stonare.

«E quand’è?»

«Il primo gennaio»

«Wow! Un motivo in più per festeggiare!», rise.

«Già! Scusa, non mi sono ancora presentato. Il mio nome è Shimojikushi»

«Tamiko»

«Sai, avevo letto da qualche parte che Tamiko significa "Tanti bei figli", o qualcosa del genere»

«Ma se non ne voglio!», esclamò tra le risate.

Un petalo si posò sui capelli color caramello di Shimojikushi, il quale cerco più volte di scuotere la folta chioma per farlo volare via, poi alzò il capo e guardò minaccioso il ciliegio, suscitando in Tamiko un sorriso.

«Ai tempi di quest’albero dispettoso, sarebbe stata una disgrazia non averne»

«Non a caso sono nata nel millenovecentosessantatré», replicò.

«Nel settantatré erano dieci, nell’ottantatré venti, più due son ventidue. Ha - ha! Adesso so anche la tua età. Io ne ho ventitré»

«Che genio della matematica», lo canzonò Tamiko. «Hmm e vediamo, sai dirmi anche che ore sono?»

«Precisamente le diciotto e cinquantasei»

«Sei anche un mago a leggere l’orologio! Aspetta, le diciotto e cinquantasei? Devo correre, entro quattro minuti devo essere a casa»

«Se vuoi ti accompagno io», propose gentilmente.

«D’accordo!»

«Vieni, sali», disse già a cavallo della sua bici. «Dove ti porto?»

«Dritto fino all’incrocio, poi giri a destra»

«Il mio covo non è molto lontano da qui. Io abito in fondo a quella strada», replicò indicando una traversa di cui forse Tamiko non aveva mai notato l’esistenza. Al termine del tragitto, con grande cortesia, Shimojikushi aiutò la ragazza a scendere dalla bicicletta, e l’accompagnò al cancello del suo giardino. «Che ne dici di un’altra passeggiata, domani? Nello stesso posto, alla stessa ora», chiese il ragazzo gentilmente, come se non avesse mai preso tutta quella condifenza. Tamiko acconsentì, e felice salì i gradini della porta d’ingresso.
 

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