*Vuoi proprio saperlo? Be', ti ODIO!*

di HuGmyShadoW
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** *CAPITOLO 1* ***
Capitolo 2: *** *CAPITOLO 2* ***
Capitolo 3: *** *CAPITOLO 3* ***
Capitolo 4: *** *CAPITOLO 4* ***
Capitolo 5: *** *CAPITOLO 5* ***
Capitolo 6: *** *CAPITOLO 6* ***
Capitolo 7: *** *CAPITOLO 7* ***
Capitolo 8: *** *CAPITOLO 8* ***
Capitolo 9: *** *CAPITOLO 9* ***
Capitolo 10: *** *CAPITOLO 10* ***
Capitolo 11: *** *CAPITOLO 11* ***
Capitolo 12: *** *CAPITOLO 12* ***
Capitolo 13: *** *CAPITOLO 13* ***
Capitolo 14: *** *CAPITOLO 14* ***
Capitolo 15: *** *CAPITOLO 15* ***
Capitolo 16: *** *CAPITOLO 16* ***
Capitolo 17: *** *CAPITOLO 17* ***
Capitolo 18: *** *CAPITOLO 18* ***
Capitolo 19: *** *CAPITOLO 19* ***
Capitolo 20: *** *Capitolo 20* ***



Capitolo 1
*** *CAPITOLO 1* ***


*1*

**Improvvisamente, qualcosa arrestò la sua disperata corsa.
La ragazza si voltò di scatto facendo roteare con un morbido movimento di frusta quei suoi lunghi capelli biondi.
Con il fiatone, tutto sudato e dai capelli scompigliati dal vento, ma proprio per questo, forse, bello e impossibile come mai era stato, Bill la tratteneva con decisione per un braccio.
Non servivano parole, tranne un flebile ‘Scusa…’ scivolato quasi per caso da quelle labbra gonfie e seducenti. Oltre a questo, bastò uno sguardo fra i due perché tutto fosse chiarito.
Tutti quei dubbi, tutte quelle angosce, tutti quegli assurdi sospetti… In un attimo svanirono, portati lontano e subito dimenticati grazie a un provvidenziale alito di vento che sapeva di viole e vaniglia. Il suo profumo…
Il tempo e il mondo si erano fermati oltre quel tramonto rosso e arancione che dipingeva con caldi pennelli ogni cosa su cui si posavano i suoi delicati raggi color pesca. Tutto questo solo per loro. Solo per loro due…
Lei, purificata ora dalle lacrime e dai sospetti che avevano sfigurato il bel viso color avorio, si fece avanti, un po’ timorosa. Lui le prese le mani e se le avvicinò al viso per baciarle dolcemente. E non era a causa del sole, stavolta, se il viso di lei aveva preso una tenera sfumatura scarlatta!
I loro visi e i loro occhi fremevano, troppo desiderosi dell’altro per solo provare a rimanere immobili. In un’esplosione di scintille e lampi colorati, infine, i loro sguardi si fissarono con un’intensità quasi dolorosa l’uno nell’altro: ghiaccio e fuoco. Azzurro e nocciola.
Mentre la distanza tra di loro si annullava a zero, le loro labbra finalmente si schiusero, tremanti e ardenti di desiderio, pronte a **

-Naaaa, troppo sdolcinata!-.
Un dito dall’unghia mezza smangiucchiata calò con forza e brutalità su quel piccolo ed indifeso bottone della tastiera. Immediatamente, come per magia, quelle ordinate file di parole, simili a brulicanti formichine, vennero risucchiate dal bianco della carta di quel foglio digitale, che soddisfatto, sembrò rilucere di felicità.
Camilla si portò una mano alla bocca, e nascondendo le dita nell’incavo del palmo per non sfogare il suo nervoso su di esse, sbuffò di impazienza, concentrandosi completamente sullo schermo del suo nuovissimo PC portatile della Apple. Le era stato regalato per il suo compleanno da una nonna fin troppo affettuosa. A lei, di certo, non era dispiaciuto!
Allontanò quegli inutili pensieri, e aspettò con gli occhi serrati e il corpo teso l’ispirazione, ma... Dopo cinque minuti abbondanti non si era ancora fatta vedere, il che non era un buon segno. Camilla sbatté con un mugolio di disappunto il pugno sulla scrivania: se non le fosse venuta qualche buona idea nei prossimi due secondi sarebbe ammattita!

All’improvviso, come colpita da un mattone lanciatole sulla schiena, sussultò sulla sedia, il suo sguardo si accese e mentre il suo viso si apriva ad un sorriso, le sue agili dita cominciarono a volare sulla tastiera, schiacciando ora qui, ora lì, apparentemente a caso.
Soddisfatta, rilesse il tutto con attenzione, ma per la seconda volta storse il naso e quelle romantiche frasi fecero la fine delle precedenti.
“No, così non va, non va proprio! Uff... Dai bella, puoi farcela! Non è difficile, ricordi quante volte l’hai fatto? Devi solo mettere in moto quel cervellino geniale che ti ritrovi, svegliare Ubaldino... Sì, lo sai che è il tuo unico amico neurone!, e provare a comporre quattro frasi di senso compiuto! Che rabbia, e dire che mi manca così poco! No, no, non lasciarti abbattere! Forza e coraggio!”, pensava con decisione.
Speranzosa, levò entrambe le mani e le tenne sospese sopra la tastiera, come delle insolite ghigliottine, indecisa su quale sarebbe stata la sua prossima vittima di plastica.
Aspettò fiduciosa, sicura di star per avere un’idea geniale, spettacolare, mozzafiato, che avrebbe sicuramente colpito e affascinato le utenti del suo forum, le bastava concentrarsi solo un altro pochino…

Un minuto dopo, Camilla fissava con un’aria imbambolata e la classica bava alla bocca il cielo limpido e pulito intrappolato fuori dalla sua finestra.
“Com’è chiaro... E quelle nuvolette, che carine!”. Sorrise, inebetita. Oggi, la sua forza di volontà era pari ai brutti voti sulla sua pagella: zero. “Ma aspetta, stanno assumendo una qualche forma... Cos’è? ... Sì, ecco un orologio a pendolo... O forse una clessidra...”. Inclinò la testa di lato, accigliandosi. “Orologio... orologio... Mi ricorda qualc...”.
I suoi occhi si dilatarono improvvisamente dietro gli occhiali di Dolce&Gabbana per poi correre alla radiosveglia a forma di orsetto sul comodino.
-Oh santa paletta dal manico arrugginito!!!-. strillò alzandosi in piedi come una furia. Chiuse frettolosamente il suo PC e uscì caracollando fuori dalla stanza.
Da quel momento, iniziò un pazzo andirivieni di stanza in stanza, recuperando ora un paio di calzini, ora il gatto, finitole chissà come fra i piedi mentre si allungava a recuperare il portafogli da uno scaffale.
-Poutpourri!-, sibilò al micio bianco e marrone scaricandolo poco gentilmente sul letto. Quello la fissò con rimprovero socchiudendo gli occhi gialli e agitando minacciosamente l’estremità della coda piumosa color caffelatte.
-Oh, non guardarmi così!-, lo rimbrottò la ragazza estraendo da sotto il letto un paio di scarpe da ginnastica leggermente impolverate. –Sai che ho fretta, e tu non dovresti cercare di farmi cadere dalle scale ogni volta che mi vedi! Specialmente ora!-.
Detto questo, girò i tacchi e corse a prepararsi.

Nella seguente mezz’ora, accaddero in successione le seguenti cose:
> Si ficcò lo spazzolino in un occhio schizzando di dentifricio tutto lo specchio.
> Rischiò di rompersi una gamba a causa di una piega del tappeto dall’animo omicida.
> S’infilò per due volte consecutive la maglia al contrario.
> Rischiò di investire il gatto, gli pestò la coda e quello rispose con una zampata sul polpaccio.
> Cercando la cassetta del pronto soccorso rovesciò nella vasca tutti i Cotton-fiocc e si ritrovò ad imprecare anche in aramaico per dei buoni minuti.
> Finalmente pronta e truccata (non senza qualche incidente) uscì di casa, ma dimenticò la borsa, e quando fece per tornare trovò la porta chiusa. Ovviamente, non aveva le chiavi.
> Dopo numeri da circo degni di una scimmia del Burundi, recuperò tutto l’armamentario (anche le chiavi, stavolta), ma tentando di inoltrarsi nel mondo esterno per la seconda volta si accorse di avere le scarpe di due colori diversi.

Insomma, tutto filò liscio e senza contrattempi.

Controllando ogni particolare per l’ennesima volta, infine, chiuse con una buona mandata il portone della sua villetta, e lanciandosi alle spalle i corti e morbidi capelli castani respirò profondamente, pronta alla sua più grande avventura.
Schermandosi gli occhi nocciola con una mano bianca e ingioiellata da tintinnanti braccialetti, iniziò a marciare verso una lussuosa limousine nera che l’aspettava, complice, dall’altra parte della sua nuova vita.

***

Salve a tutti! Grazie per aver letto! Se ora voleste lasciarmi qualche recensioncina, mi fareste moooolto felice (:P), e inoltre mi aiutereste a capire se andare avanti e come regolarmi! Danke in anticipo! ^^




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Capitolo 2
*** *CAPITOLO 2* ***



*2*

Salii, non con qualche difficoltà, sul macchinone austero e importante. D’altronde, quante altre volte avevo avuto la possibilità di scarrozzare in giro con una limousine? Uhmm, fatemi pensare... Be’... nessuna! Normale quindi che mi sentissi un po’ impacciata.
Il decrepito (e probabilmente bicentenario) autista aspettò che mi sistemassi per benino sul chilometrico sedile posteriore, poi, con un impercettibile cenno della testa, mi chiuse la portiera, e un attimo dopo era già attaccato al volante e ingranava con furia inaspettata la marcia. Partimmo con uno scatto da Formula Uno, ed io, ancora a bocca spalancata, sbalordita dalla vastità dell’auto, mi morsi accidentalmente la lingua!
Lacrimando e tentando di non imprecare come uno scaricatore di porto, iniziai a sventolarmi una mano davanti alla bocca per placare il bruciore, e alzando gli occhi luccicanti allo specchietto retrovisore, notai lo sguardo scandalizzato dell’autista che mi fissava quasi fosse una malata di mente.
Sorrisi, ancora con la lingua dolorante tra i denti, ma probabilmente ottenni l’esatto effetto contrario di rassicurare l’uomo sulla mia totale assenza di disturbi psicologici, perché quello mi guardò ancora peggio. Rossa d’imbarazzo, mi voltai velocemente dall’altra parte.
Il paesaggio correva rapido oltre il trasparente finestrino dell’elegante macchina scura, e i miei pensieri con lui. Fino ad un mese fa non avrei mai pensato di poter solo sognare una simile fortuna! Eppure, ero io, ora, che stava per incontrare i miei idoli, io che avrei passato una giornata coi Tokio Hotel!!! Che impressione avrei dato loro?
Tentai di guardarmi da fuori con sguardo oggettivo...

Sono abbastanza bassa per la mia età. Una scatoletta di fagioli e un biscotto, diceva sempre mamma, cioè un metro e sessanta scarso per quindici, banali anni. Madre Natura avrebbe potuto impegnarsi di più, diciamocelo...
Non sono né anoressica né obesa, faccio parte della “classica via di mezzo”, più tendente al paffuto, a dir la verità: le mie “guanciotte da criceto” sono diventate la mia condanna, perché, chissà come mai, sono sempre state il passatempo preferito di nonne e parenti vari! Che stress!
Nonostante gli ipocriti complimenti di mia madre durante le mie infinite e logorroiche litigate con lo specchio, non assomiglio in alcun modo a quelle attrici hollywoodiane, bionde, dagli occhi azzurri, senza mai un grammo di troppo che cita lei, anzi! I miei capelli sono banalmente castani, impossibili da districare se la notte hanno baruffato col cuscino o se solo gli girano... Sono abbastanza particolari! Tutti la padrona cioè...
Forse (e almeno questo me lo concedo!), i miei occhi sono la più bella parte del mio corpo: marroni, ma marrone intenso, quasi nocciola col brutto tempo e di una sfumatura dorata col sole! Una piccola nota di imprevedibile nella mia vita completamente prevedibile...
Insomma, non sono assolutamente nulla di speciale.  

Distolsi lo sguardo dal riflesso abbagliante di una vetrina, che luccicava invitante dall’altro lato della strada. Ora, sicuramente, i miei occhi sarebbero stati di un brillante color miele d’acacia.
Eravamo fermi ad un semaforo da qualche minuto, e la mia impazienza cresceva di secondo in secondo. Mi sporsi avanti e battei leggermente con le nocche sullo spesso vetro che mi separava dall’autista. Niente. Quello non si voltava.
Riprovai, un po’ più decisamente. Ancora niente. Mi schiarii la voce e provai a chiamare:
-Scusi... Mi scusi! Sa per caso quanto ci vorrà ancora…? Scusi!!-.
Alla fine, rinunciai. Probabilmente era mezzo sordo.
“L’importante è che non sia anche mezzo cieco, se no siamo proprio messi bene...”, pensai sarcasticamente, incrociando gambe e braccia.
Per scaramanzia, però, quando scattò il verde, feci per bene attenzione che infilasse la corsia giusta e non salisse per qualche marciapiede, seminando il terrore tra gli innocenti pedoni. Una vera scena da film horror... “L’autista pazzo”...
Rabbrividii e mi tolsi dalla testa quei pensieri cinematografici poco educativi.
Mi riappoggiai al sedile di pelle e chiusi gli occhi, massaggiandomi le tempie. Cercai di convincermi ancora una volta ad accettare la realtà: stavo veramente per conoscere i Tokio Hotel. Proprio quei Tokio Hotel. Bill, Tom, Georg e Gustav. Oddio.
Ma cosa gli avrei detto? Come? E se mi avessero sbattuto la porta in faccia? O mi avessero trovato antipatica, petulante, puntigliosa, bisbetica, noiosa, ributtante...?
No, be’, ora non esageriamo! Tutto, ma ributtante no!!! Vabbé che potevo anche avere una forte somiglianza con una pelosa scimmia lillipuziana del Congo, ma a quello ancora non ci arrivavo!

Totalmente immersa nei miei assurdi e affatto consolanti pensieri, non mi accorsi di essere arrivata a destinazione finché non ci sbattei contro, nel vero senso della parola!
Arrivati davanti all’elefantesco albergo dove mi avrebbero ricevuta i Tokio Hotel (sì, proprio loro!), l’autista, dando modo di dimostrare ancora una volta la sua leggendaria finezza, diede in una frenata colossale, che mi spiaccicò la guancia contro il finestrino.
Dolorante, gemetti debolmente, mi scollai e mi misi a massaggiare la mascella: che male!
Un attimo dopo, il “vecchiaccio” si materializzò alla mia portiera, che immediatamente aprì, e con un mormorato “prego” mi invitò a scendere.
Inviperita, barcollai fuori senza ringraziarlo, ma quello non ci fece caso.
Mi scoccò un’occhiata significativa, dopodiché si avviò tranquillamente verso l’entrata.
Gli trotterellai senza indugi.
Una volta varcate le maestose porte di legno massiccio, mi lasciai sfuggire un fischio sommesso: quel posto era enorme! I ragazzi si trattavano bene, non c’è che dire!
L’ometto non mi lasciò nemmeno il tempo per riprendermi dallo shok, troppo abituata alla piccole cose, che mi incitò a seguirlo su per una maestosa rampa di scale.
Un tappeto color bordò ricopriva gli eleganti gradini di marmo, e un corrimano avorio scivolava accanto a me. Mi sentivo tanto Cenerentola!
Dopo la scalinata, che l’autista superò senza sforzo e che a me troncò il respiro e la milza, passammo attraverso un paio di stanze vuote, qualche corridoio e uno sgabuzzino, fino ad arrivare davanti alla porta di quello che aveva tutta l’aria essere un salottino dei ricevimenti. Perfetto...
L’uomo, con un elegante gesto della mano, mi fece segno di entrare, ma io impallidii:
-Oh! Lei... lei non viene?-.
Quello scosse la morbida testa lanuginosa. Forse dovevano pagargli gli straordinari se apriva bocca.
Incominciai a sudare freddo e a tormentare con le dita il borsone che avevo portato da casa.
Ah, giusto! Non potevo certo andare lì dentro così!
Mi schiarii debolmente la voce.
-Mi scusi... Ehm... Io dovrei cambiarmi... Non c’è un bagno qui?-, chiesi guardandomi attorno. Avevo preferito portarmi da casa i vestiti eleganti, perché odiavo viaggiare in auto con qualche abito da sera: mi prudevano da morire! Tanto, appena arrivata avrei avuto un sacco di tempo per la mia abituale “trasformazione”, pensavo.
Illusa.
-I signorini la vogliono vedere ora!-, gracchiò infine con una vocetta acuta l’autista.
Sobbalzai, presa alla sprovvista, e deglutii, completamente nel panico.
-Ma... No-non sono truccata, i miei capelli sono proprio... guardi come sono vestita!-, strillai istericamente, indicandomi.
L’ometto sembrò passare attentamente ai raggi X la mia semplice maglietta di cotone azzurro pallido, i jeans scuri, lunghi alla caviglia e le mie vecchie scarpe da ginnastiche, soffermandosi un momento di più sul mio viso, senza una traccia di rimmel, matita o lucidalabbra, e sui miei capelli, sciolti e spettinati come sempre.
Un sorrisetto gli attraversò il volto rugoso, stendendogli la pelle sulle guance, e nuovamente parlò:
-Oh, andrà più che bene abbigliata così. Adesso deve proprio entrare...-, e ghignando, abbassò la maniglia, rivelando uno scorcio raffinato di poltrone, tavolini e... piedi!
Paralizzata dalla rabbia, arrossii come una rapa bollita, ma dando ascolto al mio orgoglio, strinsi forte fra le dita le cinghie del mio inutilizzato borsone e marciai verso la porta aperta a testa alta. Passandogli accanto, alzai il dito medio all’autista, che mi guardò scandalizzato prima di chiudere la porta.
“Beccati questa!”, pensai. Almeno avevo avuto la mia rivincita.

La stanza in cui mi trovavo era circolare, e quasi totalmente foderata di un polveroso velluto rosso. Tavolini rotondi dalle gambe corte erano sparsi qui e lì, accompagnati da sedie imbottite, ugualmente basse. Volsi lo sguardo tutt’intorno, e per poco non ebbi un infarto dalla sorpresa.
Abbarbicati su quattro di quelle minuscole poltroncine, le lunghe gambe che spuntavano da sotto le tovaglie, i Tokio Hotel prendevano beatamente il the, conversando amabilmente tra di loro.
I. Tokio. Hotel.  
La borsa atterrò con uno schianto secco sul pavimento, soffocato appena dalla moquette.
Quattro paia di occhi si voltarono all’istante a guardarmi, curiosi.
Arrossii violentemente, e non poté non tornarmi in mente l’espressione beffarda di quell’odioso autista...
“Cazzo!”.

***

Che ne pensate? Se volete (e potete) recensite, così posso capire cosa vi è piaciuto di più o di meno... Danke!
Baciotti! :*





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Capitolo 3
*** *CAPITOLO 3* ***


*3*

“Cazzo!”
Fu questa l’unica e l’ultima parola di senso compiuto che riuscii a pensare.
Poi, blackout.
Vidi come con gli occhi di qualcun altro i quattro ragazzi posare biscotti e tazzine, alzarsi all’unisono e avanzare verso di me.
Ma sicuramente doveva trattarsi di un sogno!
Ok, allora, fermiamo tutto un attimo e facciamo mente locale...
Dunque, sono vestita come per una allegra rimpatriata con gli amici del liceo, avrò probabilmente l’espressione di una appena fuggita da un carcere di massima sicurezza, ho appena fatto una figura di merda ( e probabilmente ne sto per fare un’altra decina, almeno), e...
Oh, sì! I miei capelli sembrano si siano appena fatti un giro dentro una lavatrice impazzita!
Tutto a posto, insomma...
Mi riscossi da quella breve escursione nella mia mente con un leggero sussulto, e mi resi finalmente conto dell’allarmante situazione: Bill Kaulitz era davanti a me, e mi stava guardando con un sorriso da morte istantanea teso su quel bel visino d’angelo che si ritrovava. Sembrava aspettasse qualcosa...
Abbassai gli occhi, e arrossii di nuovo, diventando di un brutto color porpora.
Rimisi velocemente in moto il cervello, chiusi la bocca, spalancata nella più idiota del mio campionario di espressioni, e finalmente gli strinsi tremando la mano, tesa davanti a me già da un bel po’.
“Ecco, seconda figuraccia del giorno: una peggio dell’altra!”
In qualche modo, i muscoli sul mio viso si tesero a formare una sottospecie di sorriso.
L’effetto fu inaspettato: il suo sorriso si allargò ancora di più!
“Oddio! Oddio! Oddio! Non c’è un medico? Sto per fare un infarto!!!”
Poi, la bocca di Bill si aprì, e come se avesse appena ingoiato mezzo barattolo di miele, sussurrò:
-Hallo...-.

Bill Kaulitz mi ha salutato. Sarebbe carino rispondere... Ma dove ho messo il cervello?
Deglutii, lasciandogli la mano, finalmente, (ma era così calda e morbida!), e risposi al saluto:
-Gh...nghne!-. Egh... Più o meno...
La sua espressione di perfetta circostanza si incrinò appena.
-Ehm... Cosa?-.
Mi tappai la bocca con tutt’e due le mani e desiderai con tutte le mie forze di sprofondare in una voragine nel pavimento.
“E siamo a tre, figure di merda!!!”
Chiusi gli occhi, respirai profondamente e con un sorriso a 83 denti stampato in faccia, ci riprovai:
-H... Ha-hallo!-.
Già meglio. Stavolta aveva capito, e il suo sorriso tornò ad abbagliarmi.
-Tu devi essere...-.
-...Ca-Camilla!-, balbettai in suo aiuto.
-Sì, la scrittrice! La vincitrice del concorso sulle fan fiction, no? ... L’abbiamo letta, la sua storia?-, domandò il ragazzo rivolgendosi ai compagni, poco dietro di lui.
Alcuni scrollarono le spalle, Gustav invece annuì:
-Sì, quella su di te e quella ragazza...-.
Bill si batté una mano ingioiellata sulla fronte, provocando un forte tintinnio di braccialetti, e si volse di nuovo verso di me.
-Ti prego di scusarmi, non so dove ho la testa, oggi!-, esclamò grattandosi teneramente la nuca.
Ecco. Sono andata. Salutatemi il mio corpo, ditegli che mi ha fatto piacere comandarlo, e che la mia mente è completamente in tilt, ormai!
-Be’, complimenti! Te lo meritavi pienamente il premio! Mi ha davvero emozionato!-, si congratulò Bill (ma deve parlare sempre e solo lui?!).
-Gra... grazie...-, mormorai, stupita.
Il silenzio calò nella stanza praticamente insonorizzata, e sembrò schiacciarmi ancora più dell’ansia.
“Qualcuno dica qualcosa!”, pensai disperatamente fissando con interesse un buchino nel tappeto.
-Ehm... Cosa... cosa abbiamo in programma di fare con lei, questo pomeriggio?-, domandò con un finto sorriso Georg. La mia salvezza!
-Oh, pensavamo...-, cominciò Bill, tutto felice, ma venne subito interrotto da Tom, che fino a quel momento non aveva fatto altro che scrutarmi, dall’ombra.
-... Per la notte direi che posso occuparmene io, no?-, affermò fissandomi ostentatamente e leccandosi piano le labbra.
Sgranai gli occhi, la mascella mi cadde. Inutile dire che la mia faccia diventò di un bel colore papavero brillante.
-C-cosa?!-, balbettai, terrorizzata.
Tom rispose con un sorriso strafottente, e mi si avvicinò lentamente.
-Non importa se non hai il pigiama... tanto non ti servirà...-, bisbigliò con fare estremamente seducente a pochi centimetri dal mio viso.
Che cafone!
Stavolta, arrossii di rabbia.
Bill fece per rimproverarlo, già stava per partire in quarta con il suo solito sopracciglio alzato e il ditino minaccioso levato in aria, ma io gli troncai la ramanzina sul nascere.
-Ma chi ti credi di essere?!-, esclamai con foga, le mani sui fianchi.
Quattro paia di occhi sorpresi si fissarono su di me, perforandomi la fronte. Li ignorai. La mia attenzione e la mia furia erano tutte per il rastone.
-Solo perché sei Tom ‘sono-il-più-figo’ Kaulitz, credi di avere il diritto di comportarti come ti pare? Credi di poter trattare le ragazze come spazzatura? O come divertenti giocattolini per passare il tempo? Be’, io non sono la tua Barbie! E non gradisco nemmeno un po’ queste battutine che, secondo te, da sbruffone egocentrico quale sei, dovrebbero essere divertenti! No, caro mio! Tu sei esattamente il contrario del “die besten” che tutti credono! Per me, sei solo un imbranato cafone presuntuoso!-, sbraitai avvicinando il viso a quello esterrefatto del rasta.
Mi voltai, fumante di rabbia, raccolsi velocemente la mia borsa e guadagnai in un attimo la porta.
-Se siete tutti di questa razza, non voglio avere niente a che fare con voi!-, strillai prima che le mie scarpe svanissero oltre l’entrata.

Nella stanza di velluto rosso, i quattro ragazzi erano rimasti senza parole, completamente attoniti. Fissavano il vuoto, incapaci di credere a ciò che avevano appena assistito. Mai era accaduto loro che una fan diventasse quella specie di toro impazzito per una battutina di Tom! Mai! Di solito, si limitavano ad arrossire, a ridacchiare, ad ocare un “Ma cosa dici?!”...
Era un avvenimento assolutamente insolito!
Dopo qualche secondo, un rumore infranse quella bolla di incredulità che avvolgeva il gruppo, rumore che cresceva sempre di più.
No, non era un rumore, era un risata. Quella forte e chiara di Tom.
Gli amici si voltarono a guardarlo, preoccupati, mentre quello finalmente respirava e si asciugava gli occhi.
Si sistemò il cappello e infilò le mani in tasca, fissando con un sopracciglio alzato la porta chiusa. E un mormorio, rivolto più che altro a se stesso, scivolò tra le sue labbra:
-Forte, quella ragazza...-.

***

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Capitolo 4
*** *CAPITOLO 4* ***


*4*

Scovai quasi subito un bagno, poco dopo la stanza di velluto, sulla destra.
Quel maledetto vecchiaccio si era proprio divertito a prendermi in giro!
Cercai la pesante maniglia d’ottone a tentoni, accecata dalle lacrime. Spalancai la porta di pregiato mogano e subito me la chiusi alle spalle.
Nascondendo il viso fra le mani, scivolai a terra.
Singhiozzai forte, e le lacrime bollenti mi scorsero veloci sulle guance, una dopo l’altra.
Perché l’ho fatto? Non lo so.
Perché ho buttato all’aria il più bel sogno di tutta la mia vita? Non chiedetemelo.
Perché me la sono presa così tanto per una semplice battuta, probabilmente da copione? Non trovo la risposta.
Nella mia mente si ripeteva continuamente una sola, rabbiosa parola.
“Stupida... Stupida... Stupida... Stupida... Stupida...”.
Mi alzai di scatto, e con la mente offuscata da rimorso e lacrime, presi violentemente a calci la parete dietro di me.
Ormai lo stavo strillando istericamente:
-Stupida! Stupida! Stupida! Stupida! Stupida!-.
Quando i miei piedi sembrarono aver provato abbastanza dolore, passai alle mani.
Mi scagliai con tutta la mia forza contro le innocenti piastrelle verdine, ignorando i palmi incandescenti.
-... Stupida! Stupida! Stu...!-.
Mi bloccai.
Il mio riflesso, dal grande specchio sopra il lavandino di marmo bianco, mi rimandava la mia immagine. Sconvolta, tremante, le guance e gli occhi arrossati, le mani in fiamme, i piedi doloranti.
Con una mano spazzai via le lacrime dal mio viso, e confusa, mi avvicinai alla mia sosia immateriale.
Accigliata, allungai una mano e sfiorai delicatamente le dita fredde della mia gemella di vetro.
Dalle mie labbra tremanti, un incredulo bisbiglio si staccò, leggero, e volteggiò qualche istante nell’aria, prima di venire inghiottito dalla mia mente e dalle mie orecchie.
-... Questa... non sono io...-.  
Altre lacrime. Troppe, per essere contenute in silenzio dentro di me.
Mi accasciai nuovamente a terra, accanto al pulito lavandino, e gemetti, forte.
Non so dire quanto tempo passò. So solo che, ad un certo punto, qualcuno, da fuori, bussò proprio a quella porta.  

***

Rimasi ad osservare la porta chiudersi con uno schianto rimbombante, dopo che quella strana ragazza mi aveva praticamente sputato addosso minacce su minacce. Ma che avevo fatto di male?!
-Caspita...-, borbottai.
-Già...-, ribattè mio fratello.
Mi voltai verso Bill.
-Non... non ho esagerato, giusto?-.
Quello si girò, sbalordito quanto me, e borbottò:
-Non mi pare...-.
Alzai le spalle e mi sistemai nervosamente il cappello. E adesso?
Espressi il mio pensiero ad alta voce.
Gustav, il Ragionevole, suggerì:
-Forse dovremmo andare a vedere dov’è... Come sta...-.
Lei, come stava?! E io? Ero praticamente stato traumatizzato permanentemente da una pazza maniaca e bisognava andare a vedere come stava lei?!
Non ci pensavo nemmeno!
-Sì, Gustav ha ragione-.
Lanciai un’occhiata di puro fuoco al ragazzo piastrato accanto a me.
Quello sembrò non accorgersene, e con un sorrisetto, chiese:
-Perché non ci vai tu, Tomi? Sai, vorrà che ti scusi e tutto il resto...-.
Georg l’Impavido.
Alzai le braccia la cielo, allontanandomi subito da quella massa di eretici. Io, Tom Kaulitz, l’immutabile SexGott, sarei dovuto andarmi a scusare con una ragazza? Andava totalmente contro la mia religione, il mio stesso essere!
-E perché non ci va uno di voi?-, suggerii, immusonendomi.
Il mio adorato gemellino mi si avvicinò con un’espressione poco rassicurante.
-Perché non siamo noi che abbiamo fatto imbufalire una gentile donzella!-.
Ed infine, ecco Bill l’Antico.
Mancavano Frodo, Sam e l’Anello, poi potevamo andare tutti a fare una allegra scampagnata sulle accoglienti montagne di Mordor!
I miei cari compagni, verso i quali provavo ora più che mai una pressante tentazione omicida, mi fissavano, impazienti, a mani giunte.
Non avrei ceduto, no, non avrei mai ceduto...
Sospirai.
-E va bene! Ci vado, ci vado...-.
Gridolini di trionfo percorsero la band. Me escluso, ovvio.  
“Al diavolo tutti!”.
Mi calcai sulla fronte il cappello con un gesto brusco, e fumante di rabbia, mi avviai a grandi falcate verso la porta.
-Tooomiiii!-.
Rimasi immobile con una mano sulla maniglia, serrai gli occhi e contai fino a dieci.
Poi mi girai indossando il mio più finto sorriso che mi stirava quasi grottescamente le labbra, e chiesi:
-Sììììì, Bill caro?-.
Lui si premette una mano sulla bocca, incapace di trattenere le risate. Mi indicò.
-Mppff... F-forse è meglio se togli il cappello...-.
-Perché?-, domandai confusamente.
-Be’, è rosso, no? Sai, forse, se lei lo vedesse, potrebbe caricarti...-.
Risate generali.
Alzai gli occhi al cielo e ridacchiai sarcasticamente.  
-Ah... ah... ah... Sì, molto… molto divertente, Bill, davvero... Ora è meglio che vada, o perderò la mia corrida… ehm, corriera!-.
Varcai la soglia con ancora le grasse risate di mio fratello e dei miei amici che mi risuonavano nelle orecchie.
Amici... Se lo fossero stati davvero non mi avrebbero buttato in pasto al leone... O al toro, in questo caso...
Mi ritrovai nel corridoio.
“E ora?”, pensai, indeciso.
Decisi di seguire l’istinto... e la mia esperienza personale.
Dunque... dove va una ragazza turbata, sconvolta, bisognosa di sfogarsi e, forse, di piangere? Nel primo bagno che trova, ovviamente!
Ricordavo che ce n’era uno, due porte più avanti.
Avanzai lentamente con la mia solita andatura da papera, forse più ballonzolante del solito per lo sforzo di limitare le mie lunghe falcate: più tardi io e la “Belva” ci rincontravamo, più a lungo i miei timpani sarebbero sopravissuti!
Se fosse stato per me, avrei fatto dietro front dal primo passo. Purtroppo però, alla fine, la pesante porta di mogano mi si parò cinicamente davanti. Sospirai, a lungo, molto a lungo, ma proprio mentre alzavo il pugno per bussare, degli strilli dall’interno mi fecero fare un salto di due metri.
Mi imposi di non urlare a mia volta, e con una mano sul cuore impazzito, arretrai di qualche metro.
Come sempre accade, però, la curiosità vinse sulla paura.
Perciò, sudando freddo e sentendo il sangue che mi rollava nelle vene, appoggiai cautamente un orecchio alla porta.
-... upida! Stupida! Stupida! Stu...!-.
Scostandomi, sogghignai fra me e me. Almeno, si era accorta di aver commesso il più grande errore della sua vita!
Colpi, di qualcosa contro il muro probabilmente, ancora strilli, poi, all’improvviso, calò il silenzio.
Bene, si era calmata.
Aspettai comunque qualche secondo per evitare una ricaduta ancora più grave, includente magari lanci di oggetti taglienti e/o di marmo contro la prima persona che apriva la porta.
Ancora silenzio. Allora potevo rischiare...
Mi schiarii rumorosamente la voce, e preparandomi mentalmente e psicologicamente ad essere il più comprensivo e accondiscendente possibile, bussai.
Nessuna risposta. Era un buon segno, forse.
Ridacchiai silenziosamente immaginandomi incredibilmente bene l’espressione sorpresa ed imbarazzata della ragazza quando mi avrebbe visto entrare. Mi ricomposi e finalmente abbassai quella maledetta maniglia ed entrai.

***

La porta si aprì e da dietro di essa fece capolino la testa di Tom.
Sbalordita, non riuscii a reagire mentre quello se la chiudeva seccamente alle spalle e prendeva a fissarmi con un’ aria... strafottente? Dispiaciuta? Non riuscii a capirlo. Forse tutt’e due...
-Ciao...-, esordì piano, avvicinandosi.
Sussultai al suono della sua voce.
Il suo sguardo nocciola scivolò sui miei occhi gonfi e sulle mie guance, rosse dalle ripetute strusciate.
Arrossii, imbarazzata del mio aspetto e del fatto che fossi raggomitolata a terra come una poppante. Mi alzai il più in fretta possibile rischiando di battere la testa contro il lavabo.
-Credo non ci sia bisogno di domandarti come stai...-, affermò ironicamente Tom indicandomi con un cenno del mento mentre continuava ad avvicinarsi.
-N-no, infatti...-, balbettai asciugandomi frettolosamente il viso.
-Senti...-. Adesso il rasta era davvero a pochi centimetri da me. Diventai immediatamente color papavero quando sentii il suo respiro sul mio viso graffiato. –Perché ti ha dato così fastidio quella battuta?-.
Abbassai gli occhi, accigliata. Ecco, proprio l’unica domanda a cui non trovavo risposta!
-Non lo so...-, risposi a mezza voce, riflettendo. –Forse ero un po’ stressata per il lungo viaggio... E poi, sai, la tensione e il nervosismo per aver incontrato delle persone famose che fino a quel momento avevo solo sognato...-, azzardai.
Un sorriso si disegnò sul volto dai tratti leggermente infantili di Tom. Scherzò:
 -Scommetto che erano tutti i tuoi sogni erotici quelli concentrati su di me, vero?-.
M’infiammai.
Lo vidi impallidire, resosi conto di ciò che aveva appena detto. Cominciò ad arretrare scompostamente, balbettando e tentando di crearsi una protezione dietro le mani sollevate.
Attese con le palpebre serrate il fiume di minacce e, forse, di meritate legnate, ma questo non avvenne.
Invece, mi avvicinai tranquillamente a lui sfiorandogli piano il viso con un dito, e con un sorriso furbetto stampato in volto, ribattei sorniona:
-Veramente i miei sogni proibiti sono tutti si Bill... Tu sei il mio peggiore incubo...-.
E ridacchiando della sua espressione esterrefatta, presi a spintonarlo fuori:
-Mi devo lavare la faccia e rendermi presentabile di nuovo! Perciò... fuori!-.
-Ma... ma...!-.
Gli chiusi la porta in faccia. Ci ripensai e la spalancai di nuovo: Tom aveva la stessa identica espressione ebete.
Sorrisi luminosamente e mandandogli un bacio sulla punta delle dita, esclamai:
-Mi farò perdonare, da te e dagli altri! A fra poco!-.
Sbam.
Sbattei le mani l’una contro l’altra, soddisfatta.
Il mio sguardo cadde sullo specchio.
La mia gemella di vetro ora sorrideva radiosa, e quasi non si vedevano le tracce recenti del pianto.
Mi ravvivai allegramente i capelli, sospirai, e dirigendomi verso il lavandino, pensai decisa:
“All’opera!”.

***

Salve a tutti/e!!! Capitolo lunghino, eh? Complimenti se siete arrivate fin qui, allora! XD Scherzo... Spero non abbiate fatto confusione, perchè ci sono stati dei cambi di narratore... La prima era Camilla, il secondo Tom e poi ancora Camilla... Nel caso non sia stato chiaro... (a proposito, ditemi se vi  piace di più la narrazione da parte di una sola persona o la "staffetta" fra personaggi! ^^ Grazie!)
Allora... Finalmente vi posso parlare! Può sembrare inceredibile, ma ogni volta che sto per postare, mi tocca fare le corse perchè mia mamma si sta sgolando a chiamarmi, o per andare a danza o perchè semplicemente "la devo smettere"...

Be', ma adesso mi sono ritagliata un angolino di privacy, e perciò vi potrò ringraziare tutti per bene...
(L'ordine è puramente casuale)

> dasys: Sì, in effetti era un po' poco per dare un giudizio... Grazie comunque! ^^
> elli_kaulitz: Praticamente mi sono ispirata a me stessa per le peripezie della Cami... in versione un pelino più catastrofica, ma...
> piscula: Sono felice che ti abbia fatto ridere! ^^  Continua a seguirla e... ne vedrai delle belle!
> Camuz: Toh, guarda il caso! Io, x questa fic, mi sono ispirata ad una mia amica che sogna di incontrare Tom! ^///^ Sono felice ti piaccia questa storia! Vedrai che presto scioglierò i tuoi dubbi!
> Malaelena: Anch'io mi stufo di quelle ficcy "da copione", difatti la mia intenzione principale era quella di scrivere una storia un po' "fuori dagli schemi", e che facesse almeno sorridere... Spero di essere riuscita nel mio intento! ^^
> billatommina: ti ringrazio per il complimento sulla scrittura! Sono davvero lusingata che ti piaccia il mio stile!
> selina89: Che bello! Mi fai davverio contenta! Non immaginavo potesse far così scompisciare la mia fic! ^///^
> CAMiL92: Danke! ^^ Vedrai, vedrai... La tua omonima ne combinerà di tutti i colori! (Ho cercato di darle un carattere dai tratti "comuni", però ha anche una sua bella personalità!)
> tesorinely: sau a te! Grazie davvero! Prometto che cercherò di aggiornare il prima possibile! ^^

Be', qui ho finito! Al prossimo chappy, popolo! E se volete essere ringraziate pubblicamente... COMMENTATE! :*

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Capitolo 5
*** *CAPITOLO 5* ***



*5*

Sospirai profondamente desiderando ardentemente di trovarmi in tutt’altro posto, esibii un sorriso a 83 denti ed entrai nella stanza di velluto rosso.
I ragazzi erano tutti lì, stravaccati mollemente sulle soffici poltroncine pigmee. Non appena mi chiusi la pesante porta alle spalle quattro paia di occhi ruotarono a fissarmi. Di nuovo!
Sempre sorridendo e sentendomi completamente fuori posto, avanzai con leggerezza fino al centro della soffocante stanzetta. Almeno stavolta ero truccata e pettinata! Il vestito l’avevo lasciato a malincuore nella borsa perché con tutte le torture subite, era diventato tutto una piega.
Bill si mise a sedere meglio in un tintinno di collane, ed esclamò:
-Wow, ti sei truccata! Stai benissimo così...-.
Imbarazzata, mi portai una ciocca dietro l’orecchio e annuii teneramente. Lo sguardo mi corse automaticamente al ragazzo vicino al moretto e la mia mascella si irrigidì appena: Tom, abbandonato indifferentemente su una di quelle odiose poltroncine di velluto, pareva non essersi accorto minimamente della mia presenza, e se ne stava beatamente intento a costruire un pericolante castello di carte.
La Camilla nella mia mente, forse identificabile come il mio unico neurone, fece il broncio e incrociò capricciosamente le braccia.
Grazie tante Mr. Indifferenza...
Riacciuffai il mio smagliante sorriso non appena distolsi lo sguardo dal pulsante collo di Tom, affidando mentalmente alla Camilla nella mia testa le più cruente idee su come strangolare quel dannato rasta. “Per uso futuro” ci scrisse sopra.
Bill si alzò sistemandosi maniacalmente le pieghe della giacca (la Camilla-neurone alzò gli occhi al cielo), subito imitato dagli altri due, e sorridendomi mi si avvicinò.
Okay bella. Puoi momentaneamente dare una pedata al tuo stupido orgoglio e chiedere scusa per esserti comportata da pazza. Anzi, no, devi!  
“Oddio, sembra quasi abbiano paura ad avvicinarsi!”, pensai con orrore nel constatare che i tre ragazzi si mantenevano a distanza. Mi schiaffeggiai mentalmente, meditando un’adeguata punizione.
Mi avvicinai con cautela.
-Okay... Ehm, be’... Io... V-volevo scusarmi per il mio comportamento di poco fa. Non so cosa mi sia preso, ho avuto una reazione davvero esagerata. Be’, io ho sempre reazioni assurde, ma prima non volevo essere così brusca...  Cioè, io...-.
Presi fiato, rossissima in viso.
-Insomma... mi dispiace! Spero possiate perdonarmi e dimenticare tutto l’accaduto...-.
Abbassai la testa e attesi, mordendomi a sangue le labbra. Per un secondo, ma solo per uno, mi era sembrato di vedere il lampo degli occhi di Tom distogliersi dai miei. E parevano dispiaciuti...
Dopo vari secondi di silenzio la voce calda e offesa di Bill mi invase le orecchie.
-Stai scherzando?!-.
Ecco, lo sapevo. E tanti saluti alla giornata più bella della mia vita.
Rischiando di scoppiare a piangere da un momento all’altro, mi raddrizzai, pronta ad andarmene, e... l’ampio sorriso incredulo di Bill mi abbagliò.
Battei le palpebre scacciando le lacrime, confusa.
Sorridendo comprensivamente, Bill riprese dolcemente:
-Non crederai che daremo peso a questa cosa? O che ti manderemo via solo per una sciocchezza? Diciamo che è stato... un incidente di percorso. Immagino fossi molto nervosa... Insomma, non capita a tutte di incontrare le sue star preferite, no?-. Ridacchiò. – E poi ci sono ragazze nei meet&greet che si comportano molto peggio! Una volta, per esempio, una ragazza, non appena ci ha visti, ha cominciato a strillare ed è saltata in braccio a Tom, e non si staccava più! E un’altra, la sua amica, credo, si è avvicinata tranquillamente e mi ha strappato una ciocca di capelli. Non sai che male! Le avrei volentieri tirato uno schiaffo! E un’altra volta...-.
-Bill, dacci un taglio! La ragazza ha capito!-.  
Ringraziai con un sorriso Georg, il mio eterno salvatore, il quale rispose e mi fece l’occhiolino.
Mi schiarii la voce.
-Ehm-ehm... Possiamo... ricominciare tutto da capo, allora?-.
Tesi la mano verso il moretto davanti a me.
-Io sono Camilla, molto piacere, ma potete chiamarmi semplicemente Milla. Ho 15 anni, scrivo fan ficiton, faccio danza da sei anni e... ah, sì, vi adoro da morire!-.
Bill ridacchiò stringendomi calorosamente la mano.
-Molto piacere... Milla... Io sono Bill, ho 18 anni e canto nella band dei Tokio Hotel. Mi piace curare unghie e capelli-.   
-Piacere!-. Gli sorrisi e passai al prossimo.
-Bel nome... Io sono Georg. Ho 21 anni e sono il bassista della band. Mi piastro i capelli e mi piace collezionare peluches-.
-Felice di conoscerti!-, flautai mentre la Camilla-neurone se la rideva della grossa. Scivolai leggiadramente di lato.
-Sono Gustav. Ho 20 anni e sono il batterista. Mi piace suonare la batteria-, si presentò telegraficamente quello, toccandosi il cappellino da baseball in segno di saluto.
-L’avevo capito...-, confermai disegnando con gli occhi il contorno delle muscolose braccia del ragazzo. –Piacere...-.
Mi spostai ancora con il cuore che batteva forte, pensando a cosa avrebbe detto il prossimo ragazzo, a come mi sarei sentita stringendogli la mano, ma...
Davanti a me vidi solo un’intricata costruzione di carta. Da dietro i suoi infiniti meandri, una voce profonda e scocciata si levò, chiara e limpida:
-Tutto questo è stupido...-.
Sbuffai portandomi le mani ai fianchi.
-E va bene, Signor ‘Io-Sono-Superiore’! Farò finta di non sapere chi sei...-, esclamai con la voce in falsetto.
Un paio di irritati occhi nocciola fecero capolino fra un re e un asso.
-Non trattarmi come un idiota!-.
Sghignazzai.
-Io non ti tratto in nessun modo! Tu sei un idiota!-.
Stu-tump! Flapsflap.
Silenzio. E tensione.
Le carte ora giacevano abbandonate sul tavolino. Quattro paia di occhi erano fissi su di me (ma è un’abitudine?!).
Tom era in piedi, il viso livido, i pugni serrati poggiati sul tavolino.
Faceva quasi paura. Un brivido involontario mi attraversò la schiena.
Lentamente, levò un dito tremante verso di me.
-Te ne pentirai... Non puoi trattarmi così... Te la farò pagare, brutta stronz...-.  
-...EEEEEHI! Avete visto che bella giornata di sole?-, si intromise fra di noi Bill a voce altissima.
Si avvicinò al fratello, che non distoglieva lo sguardo dal mio. Io, ovviamente, lo sostenni orgogliosamente fino alla fine.
-Su Tom, non fare l’idio... ehm, cioè, calmati! Lascia perdere... ecco, vieni...-.
Con riluttanza, il rasta lasciò liberi i miei occhi e si fece trascinare da Bill verso gli amici in modo totalmente passivo.
Sbuffai. Non lo sopportavo. Non lo sopportavoooo!!!  
E dire che dai forum Tom sembrava una persona così simpatica... Invece era odioso. Odioso, pieno di sé, borioso, antipatico, arrogante... Ne avrei avute da dirne!
-Dunque, siamo pronti?-, domandò allegramente Bill guardandosi attorno.
Mi voltai, curiosa.
-Pronti per cosa?-.
Tom, dall’angolo nel quale si era autoconfinato, mi scoccò un’occhiata piena di odio. Lo ignorai.
Un sorriso furbesco si tese lentamente sul viso di Bill. Il ragazzo alzò intrigantemente un sopracciglio, e sussurrò:
-Per il tuo piccolo concerto privato, no?-.  

***

Salve a tutte! ^^ Grazie per i commenti, mi fanno davvero molto piacere!
Allora, procediamo con i ringraziamenti...

>selina89: Caspita, quanto entusiasmo! Sono contentissima che ti piaccia tanto questa ff! ^^ Grazie anche per averla messa nei preferiti!
>avuzza: Idem, grazie a te per aver messo la storia nei preferiti! Ti ringrazio per i complimenti sullo stile di scrittura ( a me non piace tantissimo...) e per l'originalità della trama! Ci sto mettendo tutta me stessa in questa fic! Ah, la battuta di Bill è davvero uscita per caso! xD
>tesorinely: Grazie per i consigli! Avevo in mente tutt'altro proseguimento, ma... non si può mai dire! ^^ Continuerò a scrivere a staffetta, comunque.
>CAMiL92: Oddio, grazie! Non pensavo che il mio modo di scrivere piacesse davvero! Sì, Camilla è un mito anche per me, e sono contenta che i personaggi siano simil-verosimili. xD Li "studio" molto tutti i giorni, sai!
>
Quoqquoriquo: Intanto, sono contenta che apprezzi la trama. Poi, per la protagonista... visto che questa fic è un "regalo" ad una mia amica che ha sempre voluto incontrare Tom (si chiama Camilla davvero) ho voluto che il carattere della ragazza nella storia rispecchiasse il suo: difatti, lei è ESAGERATISSIMA in tutto, e completamente pazza! Ok, forse mi sono lasciata un po' trasportare qui, lo ammetto... Rimedierò! ^^
Grazie per avermelo fatto presente! ^^

Ok, sistemato tutto! Nel prossimo capitolo... il concerto!!! ^^
Kussen,
Kimiko.
 


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Capitolo 6
*** *CAPITOLO 6* ***





*6*

Rimasi a bocca aperta.
-Co... concerto privato?!-.
Bill mi guardò con un punto interrogativo stampato in fronte.
-Sì, non te l’hanno detto?-.
Lo fissai, sconvolta, e scossi lentamente la testa.
Lui sorrise e allargò le braccia.
-Sorpreeeesaaaa!-.
Scoppiai sonoramente a ridere, contagiando tutto il gruppo con la mia allegria. Tutti tranne uno, ovvio. Indovinate chi? Precisamente.
Non appena riuscii a riprendere l’uso della parola (e delle vie respiratorie), mi asciugai gli occhi e chiesi:
-Dove si va? Suonate qui?-.
-No, abbiamo ricavato una saletta insonorizzata in una camera qui vicino...-. Bill mi si avvicinò con aria complice e una mano a lato della bocca.
-Anche se, con tutto questo velluto alle pareti, non ce ne sarebbe stato affatto bisogno...-.
Sorrisi, condividendo non poi così tanto segretamente la sua opinione.
-Bene!-. Bill si fregò le mani. –Andiamo?-.
Georg e Gustav si alzarono arzilli dalle poltroncine e si avviarono subito verso la pesante porta, lasciandola aperta dietro di sé.
Bill rimase indietro e mi porse cavallerescamente un braccio.
-Madame, permette che l’accompagni?-.
Io lo fissai, scandalizzata.
-Stai scherzando, vero?-.
Lui fece spallucce e sorrise.
-Sì, hai ragione-.
Alzai un sopracciglio, osservando il moretto incamminarsi praticamente saltellando fuori dalla stanza.
Decisamente, doveva trattarsi di un orsetto gommoso fuggito da GummiLand e capitato per caso sulla terra sottoforma di Bill. Ridacchiai. Ogni secondo che passava la mia teoria prendeva più corpo.
Con il sorriso sulle labbra, feci per guadagnare la porta, quando un qualcuno mi si parò davanti. Stupita, mi bloccai.
-Non crederai che ti lascerò perdere dopo il modo in cui mi hai trattato?-.
Sbuffai, alzando gli occhi al cielo.
-Ti prego, Tom! Ancora con questa storia? Sei peggio di una bambino!-.
La sua espressione, prima ghignante e strafottente, si indurì improvvisamente.
-Un bambino, forse, ma abituato ad avere sempre ciò che vuole...-.
Si leccò lentamente il piercing facendosi più vicino. Il mio cuore prese a battere forte. Deglutii, e ribattei sfacciatamente .
-Accidenti, che paura... Mi sa che avrebbero dovuto educarti meglio i tuoi... Insomma, avrebbero dovuto saperlo che non si viziano i b...-.
Non riuscii a finire né la frase né il pensiero.
Potei solo rimanere immobile, immersa fino al collo nella mia gelante sorpresa a lasciarmi baciare da Tom Kaulitz.

***

La rabbia pulsava come una vena invisibile sulla mia tempia. Non la sopportavo più! Lei e la sua stupida risata. Sbuffai silenziosamente, restio a dovermi alzare dalla comoda poltroncina. Ai miei lati, Georg e Gustav balzarono in piedi al richiamo di mio fratello, e in pochi secondi svanirono oltre la porta. Lei li guardò andare via con il sorriso sulle labbra. Dio, ma perché non la smetteva?
Quando Bill le porse gentilmente il braccio e lei rifiutò ridacchiando, sentii come qualcosa di fastidioso incastrato in gola, e subito dopo non ci vidi più.
Non appena Bill uscì dalla stanza, mi alzai velocemente in piedi e guadagnai la porta appena prima di lei. La ragazza si fermò di botto per non venirmi addosso, stupita. Mi appoggiai allo stipite, tentando di non prenderla subito a schiaffi, ed esclamai:
-Non crederai che ti lascerò perdere dopo il modo in cui mi hai trattato?-.
Quasi non sentii la sua risposta, mi bastò vederla sbuffare e alzare gli occhi al cielo, copia dell’esasperazione più totale. Bambino, ecco come mi aveva definito. Un po’ della mia pazienza si disgregò sotto i miei occhi.
-Un bambino, forse, ma abituato ad avere sempre ciò che vuole...-. Mi avvicinai, cominciando a respirare il suo profumo. Dolce, fresco. Persino quello mi disgustava in qualche modo. La vidi in difficoltà mentre il mio petto quasi la toccava, eppure trovò il coraggio di ribattere. Ancora! Ma non stava mai zitta e buona? Ah, no, ora basta!
I suoi occhi mi bruciavano, il suo profumo mi soffocava, la sua bocca...

Inconsciamente, la baciai.
“Oh, cazzo! Ma che diavolo ho fatto?”, pensai disperatamente, sentendo fra le mie le sue sorprese labbra morbide. Serrai le palpebre cercando di non farle capire quanto io fossi sorpreso del mio stesso gesto.
Strozzandomi mentalmente, infine, mi staccai piano da lei.
Camilla aveva la bocca aperta e lo sguardo fisso. Mi leccai le labbra, sapendo di darle fastidio, e rimasi a fissarla ostentatamente, mentre il mio cervello fumava nel tentativo di trovare una risposta logica al mio avventato gesto. Cioè, io sono Tom Kaulitz! Non esiste che mi metta a sbaciucchiare una ragazza senza un secondo fine!
In un nanosecondo, prima di permettere che Camilla si riprendesse, le girai attorno e le mormorai sensualmente all’orecchio:
-Almeno adesso starai zitta...-.
Dopodiché, mascherando con un finto sorriso sornione il mio sbalordimento, uscii dalla stanza.

***

E va bene. Tom mi ha baciata. Avrei potuto riuscire ad accettarlo, dopo quasi dieci minuti che ci pensavo. Eppure niente, la mia mente si rifiutava di collaborare. Perfino il neurone-Camilla sembrava un vegetale apatico. Svegliaaa!
Mi guardai nervosamente intorno. La stanzetta in cui ci trovavamo era piuttosto grande, vuota tranne che per la grande batteria che troneggiava al centro e per la panca su cui ero seduta io. Il mio sguardo corse alle pareti: stavolta, vi erano appiccicati tutt’attorno i cartoni delle uova.
Ad un improvviso movimento fuori dal mio campo visivo riportai la mia attenzione ai quattro ragazzi davanti a me. Gustav si era già sistemato dietro la batteria e si scaldava muovendo le bacchette a ritmo nell’aria; Georg stava sistemandosi la tracolla del suo fedele basso a scacchi bianchi e neri; Bill regolava l’asta del microfono e faceva dei ridicoli vocalizzi; Tom invece pizzicava già le corde della sua Gibson, ascoltandone il suono, assaporandolo, vivendolo. Lo fissai. Possibile che, dopotutto, anche lui possedesse un cuore?
Infine, Bill si schiarì la voce sorridendo:
-Milla, da che canzone preferisci iniziare?-. La sua voce potente venne subito assorbita dai cartoni delle uova. In difficoltà, mi ritrovai a balbettare qualcosa tipo:
-Ma non lo so... Fate voi... Mi piacciono tutte...-.
Il mio sguardo si posò involontariamente su Tom. Mi guardava, neutro, apparentemente indifferente. Socchiusi gli occhi. Sogghignai, e senza distogliere gli occhi dal nocciola colpevole del ragazzo, esclamai, forte e chiara:
-Perché non mi suonate “Reden”?-.



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Capitolo 7
*** *CAPITOLO 7* ***


Sono arrivataaa!! Scusate sempre le luuuunghe attese *me scansafatiche*. Spero vi piaccia il nuovo titolo, mi sembra decisamente più appropriato per il caratterino della nostra Milla! ^^
Vabbè, buona lettura!

*7*

Il suono. Che ti invade completamente, che ti investe come un’improvvisa marea, che ti fa vibrare persino l’anima. Come vibravano le corde della mia Gibson. Oh sì, non c’è niente di più emozionante. Avevo gli occhi chiusi. Erano le mie mani a vedere per me.
La tracolla pesava dolcemente sulla mia spalla, le corde, abituate ai miei calli, sembravano morbidi e docili come non mai.
Le note ed io. Il suono ed io. La chitarra ed io. Una cosa sola.
Un mezzo sorriso mi si disegnò sulle labbra mentre riaprivo lentamente gli occhi e il mio mondo si riempiva di nuovo del Mondo.
La voce di Bill, non affaticata, fluida e vellutata, mi scivolava dentro come miele.
-Reden... Reden... Reden...-.
Le mie dita saltavano sicure da una nota all’altra, senza scossoni, naturalmente.
Risi fra me e me. Era indubbiamente la mia canzone preferita!
Scambiai un sorriso con mio fratello, praticamente un tutt’uno con l’asta del microfono. Poi, quasi involontariamente, i miei occhi corsero a lei. Digrignai i denti. Lei. Con una mano davanti alla bocca, immobile su quella panca di legno, apparentemente estasiata.
Mi leccai le labbra osservandola, soprappensiero. Aveva delle belle gambe e un viso carino anche se un po’ paffuto. I capelli le riposavano morbidamente sulle spalle e lei ne attorcigliava una ciocca con un dito affusolato. Deglutii. La sua bocca rosata era socchiusa, piccola e fresca come un bocciolo di rosa, con un sapore così buono...
Sbagliai un accordo e Bill mi lanciò un’occhiataccia. Mi scusi tanto, Mister Perfezione!
Aspettai qualche secondo, tanto per assicurarmi di aver ripreso il ritmo, e riportai la mia attenzione a Camilla.
Oh, scheisse!
Un curioso nocciola ambrato mi stava togliendo il respiro.
Sentivo la mia bocca improvvisamente secca e per quanto mi inumidissi le labbra quelle non volevano riprendere vita. Sentivo caldo, su per il collo e sulle guance e sulle orecchie.
Non resistei. Mi azzardai ancora una volta a sbirciarla di sottecchi. Mi stava ancora osservando. Cazzo!
-Reden... Redeeeen...-.
Con un sospiro, Bill allontanò il viso dal microfono e sorrise a Camilla, che ricambiò luminosa. Il mio plettro scivolò ancora una volta sulle ultime note. La mia mano fermò le corde. Il mio cuore saltò un battito quando lei si alzò leggiadramente per venire a farci i complimenti.
Che accidenti mi hai fatto?!

***

La canzone era finita. Un sorriso mi si aprì inevitabilmente quando Bill mi rivolse uno sguardo così orgoglioso, così soddisfatto...
Mi alzai per andare a congratularmi con i quattro ragazzi.
-Wow! Siete ancora più bravi di quanto immaginassi! I CD sono tutta un’altra cosa!-.
-È un complimento?-, scherzò Bill.
-Fai tu-, ribattei facendo apposta la smorfiosa.
-Allora? Ci vogliamo muovere? O dobbiamo aspettare i comodi della principessina qui in
eterno?-.
Chiusi gli occhi emanando un sospiro tremante. Stavo seriamente cominciando a detestare con tutto il cuore quella voce.
Io ignorai deliberatamente quello scocciato Tom che si sistemava impazientemente la tracolla della chitarra. Bill fece galantemente finta di niente.
-Per me, possiamo continuare! Gustav, Georg, pronti?-.
-Ovvio!-, risposero in coro i due interpellati.
-Ok, cosa ti suoniamo adesso?-.
Rimasi a pensarci seriamente. Le loro canzoni mi piacevano tutte.
-Be’, dato che per me è indifferente, seguite pure la scaletta dei concerti-.
Bill rise.
-Adoro questa ragazza! Non sai quanto ci stai semplificando le cose! Temevamo proprio di beccare una di quelle fan capricciose e viziate che cominciano a dire ‘Suonate questa! No, questa! No, aspettate, quest’altra!’-, esclamò Bill in falsetto gesticolando forsennatamente. –Sai, quelle proprio non le sopporto! Non t’immagini una volta...!-.
-Bill...-.
Il ragazzo si voltò. Tom, Georg e Gustav lo fissavano a braccia incrociate.
-Ah, sì, giusto...-, borbottò il moretto agguantando subito il suo adorato microfono.
Da parte mia, mi stavo spanciando dalle risate! Dio, che tipi!

Il pomeriggio volò incredibilmente in fretta in loro compagnia, fra una canzone e una coca, con qualche risata e un immancabile litigio.
Alla fine, calò profumata la sera.
-Uff... Basta, sono distrutto...-, si lamentava Gustav, tutto indolenzito. Georg accorse prontamente a sciogliergli i muscoli delle gambe.
-Già, a chi lo dici...-, commentò leggermente Bill, comodamente seduto su una molle poltroncina, intento a sorbirsi rumorosamente una lattina di Red Bull.
Quattro paia di occhi scettici si puntarono su di lui.
Il ragazzo abbassò la bibita.
-Oh, da quando è stata vietata la libertà di parola, qua dentro?-.
Risate generali.
Con le lacrime agli occhi diedi ancora una volta uno sguardo attorno a me (che volete farci, sono un’osservatrice!).
Dopo il concertino ci eravamo spostati in un’ariosa saletta al piano terra, vicino al ristorante. Il mio stomaco brontolò. Eh sì, era proprio ora di cena.
Preferii non esprimere il mio pensiero ad alta voce e tanto per fare qualcosa presi il mio inseparabile maxiborsone. La zip filò via sotto le mia dita. Immersi le mani al suo interno e mi misi a rivedere uno per uno i CD autografati da ognuno dei Tokio Hotel. Le mie amiche sarebbero schiattate d’invidia! Quella giornata era stata un vero e proprio meet&greet, ma solo per me. Dieci volte più indimenticabile!
La mia pancia si fece sentire un’altra volta. Georg, intento a sistemare nella custodia il suo basso lì vicino, mi sorrise.
-Abbiamo fame, eh?-.
-Sì, da morire!-, ammisi arrossendo.
-In effetti è da un po’ che anch’io sento un certo languorino...-, confessò il bassista lisciandosi con le dita i suoi già piastratissimi capelli.
-Mangiamo qui?-, chiesi indicando con il pollice alle mie spalle, verso la sala ristorante.
I quattro ragazzi si scambiarono degli sguardi indecisi.
-A me mette tristezza cenare in questi ristoranti ultra chic... Mi passerebbe l’appetito!-, mugolò Bill facendo il faccino da cucciolo sotto la pioggia. Aaah, me lo sarei mangiatooo!  
Repressi i miei poco civili istinti primordiali e domandai, sporgendo capricciosamente in fuori le labbra:
-E allora dove si va? Neanche a me piacciono i ristoranti...-.   
Silenzio concentrato. All’improvviso, Bill alzò la testa. Ci girammo a guardarlo.
-Bill... Lo sai che non possiamo. Non ce lo permetterà mai!-, avvertì cautamente un perspicace Gustav. Il moretto, infatti, stava esibendo uno stuzzicante sorrisetto furbetto.
-E su, Gus-Gus! L’abbiamo già corrotto una volta, e stasera mi sento irresistibile! Cederà presto ai miei occhioni da Bambi! Posso fargli fare tutto quello che voglio, se lo voglio!-.
Modesto il ragazzo, eh?
-Scusate-, m’intromisi io. Non ci capivo niente. –Cosa non potete fare e chi dovete corrompere?-.
Bill sghignazzò.
-State a vedere...-. Prese fiato gonfiandosi tutto e... -SAAAAKIIII!-.
I passi pesanti della guardia del corpo cominciarono a risuonare sopra le nostre teste ancora prima che Bill finisse il suo acuto da cantante di opera lirica.
Ci fece l’occhiolino.
-McDonald va bene per tutti?-.    

***

Scusate, non ho il tempo di ringraziarvi tutte! Perciò, un D A N K E  generale! La prossima volta mi farò perdonare! ^^

Baciotti! :*


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Capitolo 8
*** *CAPITOLO 8* ***



*8*

-Forza, tutti dentro! Muovetevi prima che cambi idea!-.
I quattro ragazzi e io ci affrettammo ad obbedire agli ordini scocciati di Saki, e uno dopo l’altro scivolammo dentro la spaziosa limousine. Io, l’ultima della fila, chiusi la porta. Un momento dopo Saki partiva con uno scatto arrabbiato, borbottando fra sé:
-Ancora non capisco come abbia fatto a cedere... Non è possibile che ogni volta finisca così...-.
Mi girai a guardare il moretto accanto a me, fintamente sorpreso, ed entrambi ghignammo soddisfatti. Automaticamente, nella mia mente si formò l’assurda immagine di pochi minuti fa: Bill che sbatteva provocantemente le ciglia a quella sottospecie di gorilla vestito da bodyguard, che rispondeva al nome di Saki. L’uomo aveva resistito per i primi “Per favore!”, “Dai!” e “Ti prego!”, ma dopo una serie di abbracci, bacetti sulle punte delle dita e inginocchiamenti, stava per cedere. Allora volli anch’io fare la mia parte. Mi misi in controluce in modo da far risaltare i riflessi nei miei capelli, inumidii gli occhi e facendo una vocina-ina-ina, avevo mormorato:
-Per favore, signor Saki! Io non ho mai visto un fast food... Cioè, non ci sono mai andata con i miei idoli... Sarebbe davvero molto importante per me...-. L’uomo sembrava indeciso. Ripartii, passando per le lusinghe. –Sono sicura che non ci succederà assolutamente niente con lei vicino! È così forte, così imponente... Saremo al sicuro...-. E alla fine, il classico, timido sorrisino di incoraggiamento.
Non so se fossi stata proprio io a convincere l’arrendevole guardia del corpo, fatto sta che dieci minuti dopo sfrecciavamo come Schumacher per le strade ben illuminate di Berlino. Guardavo fuori dal finestrino, riconoscendo ogni tanto con un misto di gioia e nostalgia la mia vecchia scuola, o il mio vecchio cinema, o ancora l’odiata biblioteca puzzante di vecchio, e inondando ogni volta di aneddoti esilaranti i miei “compagni di limousine”.
Adesso vivevo “più in là”, in un pesino sperduto in mezzo alle capre, per capirci, e la frenesia lucente di quella città mi era sempre mancata moltissimo. Durante i primi dieci anni della mia vita, i marciapiedi affollati e le persone frettolose sempre al cellulare avevano rappresentato il mio mondo. Avevo sofferto tanto per l’abbandono di quel mio piccolo universo chiassoso...
Una frenata spiaccica-mascella spazzò via di colpo tutta la malinconia infiltratasi nel mio cuore.  
-Arrivati! Su, scendete, presto!-, sbraitò Saki.
Un po’ stordita, caracollai fuori, finendo per poco lunga distesa a terra. La grande, autorevole, dorata “M” troneggiava sopra di noi. Il mio paradiso.
Accanto a me Bill prese a saltellare e a battere le mani.
-Che bello! Che bello! Che bello!-.
Il mio stomaco, immancabile rompiscatole, brontolò ancora più forte.
-Allora entriamo prima che qualcuno ci svenga per strada-, disse ironicamente Georg sorpassandomi.
Appena dentro, un odore celestiale di fritto mi assalì al naso. Annusai tutt’intorno. Oddio, sì!
Sistemandosi tutti cappelli e occhiali scuri, i ragazzi si precipitarono ad ordinare, sorvegliati da lontano dall’occhio vigile di Saki.
Prima di raggiungerli, mi costrinsi a fare una discorsetto alla Camilla-neurone.
“Allora bella, ci siamo. Sappiamo entrambe quanto delizioso e tentatore sia questo posto, ma non possiamo permetterci di fare ancora brutta figura. Missione: prendere solo il minimo indispensabile! Perciò, anche se prenderemmo a morsi anche i tavoli, dobbiamo limitarci. Tutto chiaro? Domande?”. La Milla nella mia mente scosse la testa. “Molto bene! Andiamo!”. Oh, sì, li avrei lasciati senza parole dalla mia finezza ed eleganza. Sarebbero rimasti a bocca aperta!

***

Ero a bocca aperta.
-Ma la mangi tutta quella roba?-, chiesi alla montagna di confezioni rosse e gialle davanti a me.
Da dietro il bicchiere della Coca Cola fece capolino Camilla. Prima si rispondermi diede un sorso e strappò un morso dal suo Big Mac.
-Ouio! ‘osa ‘edi?-.
Scambiai un’occhiata incredula con mio fratello, sbalordito quanto me.
Intanto, Milla inghiottì un boccone immenso, e mi puntò contro ciò che restava del suo hamburger.
-Pensi forse che essendo una ragazza debba sempre restare a dieta? Be’, ti sbagli! Ho fame anch’io!-.
Deglutii. Mi faceva paura a volte quella ragazza.
Lentamente, tirai fuori dalla scatola anche il mio hamburger e presi a masticarlo piano, osservando con sincero interesse i panini sparire uno dopo l’altro nella bocca famelica di quella specie di tritatutto.
Prima che potessi finire la mia birra, Milla aveva fatto fuori anche l’ultimo Big.
-Uff, sono piena...-.
-E ci credo, neanche Georg si abbuffa così!-, rise Bill. Lui era divertito da quella ragazza. Quanto mi sarebbe piaciuto fargli vedere il suo vero aspetto...
-Ho mangiato tanto?-, chiese lei preoccupata.
-Mai visto nessuno fra sparire così tanti panini!-, confermò Georg, addentando il suo terzo e ultimo hamburger.
-Oh, no!-, gemette Milla battendosi una mano sulla fronte.
Ghignai. Oltre che fastidiosa, era anche stupida!
-Eri a dieta per caso?-, chiese preoccupato mio fratello abbassando la sua birra.
-No, no, lasciate stare!-, fece cadere il discorso.
Quando anche Gustav spazzolò l’ultimo panino, ci alzammo e pagammo. Fuori l’aria era piuttosto fresca e mi dovetti stringere di più nel giubbotto per scacciare i brividi di freddo. Saki intanto andò ad avviare la limousine, aspettandoci nell'ombra. Finché gli altri chiacchieravano, mi accesi una sigaretta. Il fumo che soffiai fuori si confuse con le nuvole grigiastre attorno alla luna. Almeno una cosa buona di tutta quella stressante giornata c’era: era finalmente finita. La rompipalle se ne tornava a casa, e io non avrei mai più sentito parlare di lei. Malgrado tutto, sorrisi. Odiavo gli addii, ma questo sarebbe stato decisamente piacevole.
-Tomi!-.
Mi voltai verso Bill. Un sorriso gli illuminava il volto, ancora più pallido alla luce biancastra della luna. Era decisamente un brutto segnale.
-Abbiamo pensato... Che ne dici se Milla resta a dormire da noi per stanotte?-.
La sigaretta mi cadde di bocca.
-Sì, insomma, ormai è tardi, qualche ora in più o in meno non farebbe la differenza...-, continuò mio fratello, ignaro della bestia furiosa che mi si agitava nel petto.
Ad aggravare il tutto, la sua voce, argentina e squillante come dei campanelli nella notte.
-Davvero? Dite sul serio? No, oddio, non ci credo!-.
E si era messa a saltellare, con gli occhi lucidi e le mani sulla bocca. Quella cosa nel mio stomaco si contorse dolorosamente. Stavo per scoppiare! Mi avvicinai reprimendo il fastidioso istinto di prendere a schiaffi il bel visino della ragazza e con voce un po’ tremante, obiettai:
-Ma non avete pensato a David? E poi dove starà lei? No, no, non c’è posto! E se poi si mette a russare?! Mi sveglierebbe! Io in camera non ce la voglio!-.
Bill mi guardò scandalizzato. Avevo detto qualcosa di strano?
-Nessuno ha detto che dormirà da te... La ospito io volentieri! C’è un divano comodissimo nella mia stanza, non ci sarà nessun...-.
-Tranquillo Bill. Non voglio crearvi fastidio. Torno a casa-. Una voce fredda, inespressiva, vuota si intromise.
Il sorriso sul volto del mio gemello si spense, ma quasi nessuno se ne accorse.
La magra figura di Camilla pareva essere stata spinta improvvisamente sotto un riflettore. Quando aveva lasciato scivolare addosso a noi quelle parole glaciali e offese non stava guardando Bill. Stava guardando me. Inaspettatamente, mi sentii a disagio. Senza riuscire a distogliere lo sguardo da quel nocciola quasi nero mi passai la lingua sulle labbra, deglutendo. Con solo la luce del negozio a rischiarare l’atmosfera di surreale gelo fra noi, il tempo e lo spazio parevano essersi dilatati. Poi, la mia voce partì in automatico.
-Vedo che hai capito. Ci fai solo un grande favore ad andartene. Non te l’abbiamo mai detto per non sembrare scortesi, ma ora voglio che tu lo sappia: sei la peggiore fan che io abbia mai incontrato, e spero di non rivederti più-.
Ancora più freddo. Ancora più arrabbiato. Ancora più stupido.
Milla arretrò di qualche passo, come ferita, e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Abbassò il capo e rimase in silenzio, senza voler darmi anche quella soddisfazione. Inspiegabilmente però, invece di sentirmi potente e trionfante come avevo creduto, mi sentii una merda. Ero lì, davanti a una ragazza che piangeva a causa mia e la mia bocca e le mie braccia parevano essere atrofizzate.
Non ebbi il tempo di dire nè di fare nulla perchè Bill mi si parò davanti incenerendomi con uno sguardo disgustato per poi inginocchiarsi davanti a lei e abbracciarla. Il vuoto si fece spazio nel mio cuore, sostituito subito dopo dalla rabbia: mio fratello la stava proteggendo. Da me. Dal suo secondo io. Le sussurrava parole di conforto, invitandola a smettere di piangere, di non badarmi, che ero uno stupido babbuino, mentre lei si asciugava gli occhi e sorrideva, un po' imbarazzata, felice alla fine di quelle attenzioni. Una strega travestita da fatina, ecco che cos'era. Strinsi i pugni. Picchiare proprio il mio gemello non sarebbe stata affatto una mossa saggia... oppure sì?
In quel momento, un clacson non troppo lontano mi distrasse dai miei non proprio fraterni rimuginamenti.
-Vi volete muovere? Dovete tornare in albergo prima che David scopra che siete usciti, che poi quello che finisce nei casini sono io!-, sbraitò Saki. Bill si alzò, cinse un'ultima volta la schiena di Camilla e prima di avviarsi con gli altri due alla limousine nera, le diede un buffetto su una guancia. Lei ridacchiò, ancora un po' singhiozzante, e si asciugò le ultime lacrime, guardando malinconicamente le tre figure svanire nella notte. Io, invece, rimasi lì come un'idiota, non sapendo bene che fare, cosa dire e se andare oppure no. Lei, d'altro canto, m'ignorava deliberatamente. La limousine si fermò sgommando davanti a noi.
-Kaulitz, monta su prima che ti trascini per i rasta!-, sbottò Saki indicandomi il retro dell'auto. Anche oltre i vetri oscurati sentivo lo sguardo accusatore di mio fratello.  Ma che diavolo volevano tutti da me?!
Mi misi le mani in tasca e feci per salire quando...
-Oh cazzo! Il portafogli! Dove ho messo il portafogli?-, urlai tastandomi i jeans, la maglia, il cappello.
Il finestrino si abbassò. Un viso bianco e delicato spuntò fra tutto quel nero.
-L'avrai lasciato nel fast food, Tomi-, propose mio fratello. Oh, giusto! Forse avevo pensato di essermelo messo in tasca e invece era scivolato a terra!
Prima di girarmi, nei suoi occhi intrvidi un che di sornione, ma preso dall'agitazione com'ero, non ci feci caso. Avevo cinquanta verdoni là dentro, porca trota!
-Aspettatemi, torno subito!-, esclamai correndo verso il McDonald. Sulla mia nuca, sentii bruciare ancora gli occhi di Camilla.
Entrai come una furia, e ignorando la cameriera che stava per chiudere, presi a zampettare sotto tutti i tavoli modello scarafaggio con l'insonnia. Mentre ispezionavo con attenzione il contenuto non proprio appetitoso di un vassoio dimenticato, una sgommata proprio lì vicino mi fece dirzzare le orecchie. Guardai fuori. La limousine era scomparsa.
Caracollai subito fuori investendo la cameriera e da lontano vidi i fanali posteriori dell'auto scomparire a tutta velocità oltre la curva.
-Bastardi! Tornate indietro, bastardi!-, urlai agitando le braccia.
-Se ne sono già andati, cretino, che urli?-.
Mi voltai, stupito. Appoggiata al muro del McDonald, a braccia incorciate, Milla mi guardava quasi con curiosità.
-Sei stata tu a farmi questo scherzo del cazzo?-, sbottai rivolto alla moretta. Lei mi trafisse con il nero petrolio dei suoi occhi.
-Certo che no! Se fossi stata io l'artefice sarei rimasta qui a sorbirmi le tue insulse filippiche?-, chiese retorica strascicando la voce. Si staccò dalla parete e venne morbidamente verso di me, ogni traccia del pianto svanita. Ora c'era solo desiderio. Di vendetta.
-A proposito...-, e mi si piazzò proprio davanti, il viso verso l'alto, orgogliosamente verso il mio. -Il tuo portafogli ce l'ha Bill. Non serve più che ti agiti tanto, anche se è stato divertente vederti scorrazzare per tutto il fast food come un pony impazzito-, ridacchiò.
-Maledetto bastardo... Gliela farò pagare...-, borbottai a denti stretti. Poi mi ricordai di una cosa.
-Come mai tu non sei andata con loro?-, chiesi a Camilla.
Lei alzò le spalle con sufficienza.
-Saki mi ha detto di aspettare qui. Avrebbe accompagnato i tre all'albergo e poi avrebbe recuperato il vecchiaccio... cioè, l'autista di questa mattina, per portarmi a casa...-.
La guardai. La guardai sul serio per una volta. Non una sbirciata e via, come per paura di essere contaminato da un suo particolare se fissato troppo a lungo. Stavolta, la osservai.
La luna dipingeva d'oro e argento la sua pelle, rendendola più morbida di quello che sapevo già fosse. Era di profilo, e sosteneva coraggiosamente lo sguardo contro la notte. Sulle sue guance, l'ombra arcuata delle ciglia le dava un tocco di misterioso. Aveva un naso dritto, fiero, collina rosata che si incurvava molto dolcemente, e poi esplodeva più giù, in un vortice di profumo e tenerezza sensuale, le sue labbra.  
Distolsi lo sguardo. Quando mai si era visto Tom Kaulitz fissare per più di dieci secondi una ragazza prima di spogliarla e portarsela a letto?!
Appunto. E in mezzo alla strada non sarebbe stato conveniente.
Finalmente, un lontano eco si fece strada nella mia mente e riuscii a registrare le sue parole.
La limousine sarebbe tornata presto a prenderlo. Ma nel frattempo...
Scoccai un'occhiata da sbieco a Camilla. Lei si voltò e in un momento prese possesso dei miei occhi. Sorrise. E mi gelò le vene. Avevo già visto quella smorfia in tutto simile a un sorriso. Era il sorriso della voglia di rivincita, di riscatto; un'avvertimento lampeggiante a luci fosforescenti che recitava diabolicamente "Te la farò pagare". Deglutii.
... che sarebbe successo con Milla?

***

Eccomi! Allora, passo subito ai ringraziamenti...

> _pikkola stella_ : Wow, una nuova lettrice! ^^ Spero che continuerai a seguirmi, non ti deluderò!
> valux91: Grazie mille! Sono contenta di averti fatto divertire! La storia continuerà sempre con questa punta di ironia, spero ti farà bene.
> CAMiL92: Non sai quanto piacere mi fa leggere i tuoi commenti! ^^ Sono stupendi, mi fai sempre tantotanto felice! Un bacione! :*
> tesorinely: Mi piace da morire lasciare tutto in sospeso! xD Così faccio un po' di "saspens"! ^^
> Eliana Titti: Sissì, continua a seguirmi, prometto grandi svolte! ^^ Bacioni!
> billa 483: Però! Grazie! Hai recensito ogni capitolo! ^///^ Per rispondere alla tua domanda... no, non ho mai vinto un concorso del genere, ma se ci fosse parteciperei subito! :P Continua a seguirmi, Fan Numero 1! xD

Finito! Sono sempre di fretta, ma la prossima volta ci metterò di meno a continuare! Promesso! Bacioni a tutte! ^^

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Capitolo 9
*** *CAPITOLO 9* ***



*9*

Sbadigliai. Mi stavo annoiando a morte. Tom non era proprio la persona con cui avrei voluto capitare ad aspettare la mia limousine. Lo sbirciai di sottecchi, lì, accanto a me. Le mani in tasca, il peso ossessivamente spostato da un piede all'altro, lo sguardo sfuggente... Oddio, possibile che fosse in imbarazzo?! No, lui, Tom Kaulitz a disagio? Impossibile! Scossi la testa e ridacchiando fra me e me ripresi ad ammirare in tutte le sue sfumature il buio di fronte a me dall'altra parte della strada. Il tempo non passava più, e io e una star di fama praticamente mondiale ce ne stavamo come due cretini a guardare il nulla. Strano, no? Incrociai le braccia al petto e sbuffai. Chissà se avrei potuto divertirmi un po'...
-È fresco stasera...-. Pessimo tentativo di conversazione, Tom, davvero pessimo.
-Sì-. Neanche lo guardai.
Un sospiro. Suo e mio.
-Stanno tardando, a quanto pare...-.
-Sì-.
Percepivo quasi il lavorio del cervello del rasta sotto il cappello. Da parte mia, io non volevo dargli alcun suggerimento.
-Era da un po' che non guardavo il cielo... Quante stelle...-. Eh, no! Anche sul romantico ti butti! Se credo di intaccarmi il cuore con un po' di poesia ti sbagli di grosso, caro il mio rastone!
-Sì-.
Lo ammetto. Mi stavo divertendo a prenderlo per il culo in quel modo! Lo vedo aprire bocca in un altro patetico tentativo di far passare quegli interminabili minuti, ma lo precedo.
-Senti, non ti sforzare, davvero! Lascia perdere. Anzi, sai cosa puoi fare? Torna dentro al Mc e comprati una banana, te la offro io, se vuoi-. Tom mi guardò con gli occhi fuori dalle orbite.
-Cosa?-.
-Banana... Quel frutto che piace tanto alle scimmie, presente?-. Mimai una mezzaluna nell'aria con gli indici.
-Perché dovrei comprarmi una banana?!-. Sogghignai.
-Perché da scimmia a babbuino c'è poca differenza, avrete gli stessi gusti, no?-. In un nanosecondo le guance gli andarono a fuoco. Oh-oh. Colpito nel segno.
-Come ti permetti?!-.
-Ok, ok, ho capito. Scusa-. Tornai seria e distolsi lo sguardo, ma fu solo un attimo.
-Il grappolo intero è in offerta speciale, oggi-, gli sussurrai fintamente complice.
-Adesso basta!!!-.
Ridendo, presi a correre di qua e di là tentando di schivare come meglio potevo le zampe (ops! mani!) del rasta, che ormai scatenato, saltava come una capretta cercando di prevedere le mie mosse e contemporaneamente di non ruzzolare a terra inciampando nella coda. Finii in un vicolo cieco. Dietro di me, il muro, davanti, lui. Me ne accorsi troppo tardi e in un battito di ciglia mi ritrovai stretta fra le sue braccia. Rideva.
-Ah-ha! La scimmietta è finita in trappola! Chi è il babbuino che si è fatto fregare, adesso?-.
-Tu!-. Gli feci una linguaccia e con un'agile mossa che non so ancora capacitarmi di come mi sia riuscita, scivolai verso il basso e sgusciai via.
Leggermente frastornata, barcollai. Poi proruppi in una risata sguaiata.
-Tah! Hai visto? James Bond in confronto a me è un pivellino... oppure tu hai i riflessi più lenti di una tartaruga con l'artrosi!-.
-Modesta, eh? E poi perché fai sempre paragoni con gli animali?-.
-Mah, non lo so... Guardando te mi viene spontaneo...-.  
-Stai forse insinuando che assomiglio a un animale?-.
 -Nooo, affatto! Tu sei un animale. Una scimmia col berretto, per la precisione direi-.
-Ma sei sempre così gentile?-.
-No, sono di buonumore oggi-.
-E quando sei incazzata invece?-.
-Diciamo che è meglio non avermi vicino...-.
-Oh, che paura!-.
-Dovresti... Attento, ti cade il pelo se ti arrabbi-.
-Ancora con questa storia?! Sei ripetitiva forte, sai!-.
-Senti chi parla, Mr Battutina... Maiale ti s'addice di più?-.
-Stronza-.
-Porco-.
-Si può sapere perché ce l'hai tanto con me?! Neanche ti avessi fatto chissà che torto...-.
-Ah, sì? Be', allora diciamola così... Tu hai rovinato, intaccato, sgretolato la giornata più bella della mia vita! Se non ci fossi stato tu, sempre lì a berciare come uno gnomo eremita, questo sarebbe stato il giorno che avrei ricordato per sempre, ne avrei parlato ai miei nipotini come il momento più magico della mia vita. E invece hai infranto questo mio sogno come niente...-.
-Tutto qui? Sei un tantino esagerata, no?-.
-Tutto qui? Tutto qui?! Io-ho-incontrato-i-Tokio-Hotel!!! Non so se te ne rendi conto, ma io ho realizzato il Desiderio della mia vita! Non mi pare di esagerare, ma tu... tu...-.
-Io cosa? Continua-.
Sbuffai con forza e presi a marciare furiosamente verso la zona d'ombra all'altra parte della strada.
-Oh, ho capito! Bene, scappiamo dalla realtà! È così che affronti la tua vita? Nascondendoti?-, mi urla dietro Tom.
-Sono stanca di discutere con te! Tanto non mi capirai mai!-, strillai senza voltarmi, lasciando che il buio mi avvolgesse.
I fruscii morbidi di jeans troppo larghi decisamente di fretta cominciarono a seguirmi. Neanche mi voltai e accelerai.
-Dove stai andando? Vuoi fermarti?!-, ansimò Tom poco dietro di me. Voltandomi appena e camminando di sbieco, ribattei gelida:
-No! Smettila tu di seguirmi! Su, torna indietro, sali su un albero e comincia a spulciarti, almeno non darai più fastidio a ness...-.
Uno strattone violento al braccio. L'aria che mi sferza la faccia e un dolore fortissimo alla nuca, subito seguito dall'esplosione di tante stelle bianche davanti a miei occhi. Poi, il paradiso si fuse con l'inferno.

***

Basta. Non ce la facevo più.
Quando Milla si voltò un po' per lanciarmi una sua ennesima frecciatina, qualcosa nel mio cervello scattò, la vista mi si appannò d'un tratto e nel buio fitto vidi solo rosso. Mi slanciai in avanti e velocissimo la agguantai per un braccio. Lei non fece nemmeno in tempo a rendersene conto. Un vicolo stretto e umido capitò quasi per caso. Con un buffo volteggio la trascinai lì e la sbattei prepotentemente contro il muro sudicio. Una smorfia di dolore incurvò le sue labbra e per un attimo ne fui dispiaciuto. Un attimo solo, però.
Sogghignai divertito da come si era messa quella situazione e mi passai lentamente la lingua sulle labbra. Milla gemette, serrando forte le palpebre. Mi stavo eccitando. Le poggiai una mano sul petto e vi spostai quasi tutto il mio peso, stringendola così, fra me e il muro. Mi avvicinai al sul viso e chiudendo gli occhi posai delicatamente le mie labbra sulle sue. Un bacio leggero, deciso, esperto, forte, morbido. Non un come tanti.
Quando presi a mordicchiarle gentilmente la bocca lei trattenne bruscamente il fiato e si addossò ancora di più al muro tentando di divincolarsi, ma la mia mano restava lì, irremovibile, e le impediva di scappare. Wo sind eure Hände?
Ben presto, il mio bacio divenne più appassionato, più spinto. Mi insinuai con prepotenza nella sua bocca, tracciandone prima i contorni con la lingua, poi esplorandola con meticolosa attenzione. Milla era immobile, quasi non respirava, e partecipava passivamente. L'altra mia mano scivolò veloce più in basso della gemella e prese ad accarezzare morbidamente la pelle vellutata della ragazza sotto la maglietta, fino ai suoi seni. Milla ebbe un fremito e io mi feci più addosso. La attirai a me avvolgendola forte con le mie braccia, abbracciandola, quasi sollevandola in aria. Ehi, ci stavo prendendo gusto!
Ecco, finalmente la ragazza si rilassò un poco e dischiuse le labbra, rispondendo al mio bacio. Sorrisi fra me e me, immaginando già a come si sarebbe approfondita la cosa, quando...
-Ahia!-.
Immediatamente la lasciai e mi portai una mano alla bocca. Sanguinava. Quella stronza mi aveva imbrogliato, mi aveva praticamente azzannato il labbro!
Ansimante di fronte a me, Milla rimase a guardarmi, in disordine e barcollante. Succhiandomi la ferita, ancora sorpreso, avanzai verso di lei, che contemporaneamente arretrò. Il muro fermò di nuovo la sua fuga. Lessi la paura nei suoi occhi, eppure non piangeva, non correva via. Mi fissava. Mi venne da ridere, e ancora una volta fui veloce come il lampo. Un secondo e... La ragazza boccheggiò, rimasta senza fiato, spinta per la seconda volta contro la parete. La mia mano, stretta attorno alla sua gola, contro il muro. Non pensavo più, agivo solo d'istinto, come un animale.
Milla si aggrappò disperatamente alle mie braccia tentando di farmi allentare la presa e vedendo le lacrime cominciare a spuntarle dagli angoli degli occhi, allargai un po' le dita. Poi mi sporsi in avanti e mossi rapido le labbra in un sussurro al suo orecchio.
-Te l'ho già detto... Io ottengo sempre ciò che voglio... Ci rivedremo...-.
E lasciandole un ultimo prepotente bacio a stampo, lascia cadere la mano che la imprigionava e la feci scivolare in tasca. Milla inspirò avidamente l'aria fresca della notte e totalmente svuotata da ogni energia si accasciò a terra come una bambola di pezza. Quell'immagine  mi fece un po' pena, ma il Tom nella mia mente diede una pedata a quei pensieri non da duro.
Sghignazzai fra me e me, agitai una mano in segno di saluto e mi avviai tranquillamente verso l'albergo, a piedi. Risi forte verso le stelle quando l'urlo un po' roco di Milla -Sei un porco! Ti odio!-, mi raggiunse, poi mi strinsi nelle spalle e svanii nella notte.
 
***

Non so per quanto tempo rimasi a terra. Forse ore, forse secondi. Solo, rimasi lì, scossa da tremiti violenti, a piangere. La nuca mi faceva un male cane dove avevo sbattuto per due volte, avevo freddo, la gola bruciava, ma più di tutti sanguinava il cuore. Non riuscivo a credere a quello che era accaduto, non potevo crederci! Da Tom non me lo sarei mai aspettata. Non fino a questo punto...
Tirai su col naso e barcollante mi alzai. Respirando a pieni polmoni l'aria ghiacciata della sera che mi asciugava le guance, scossi via tutto dalla mia testa e trattenni un unico pensiero: tornare al McDonald, salire su quella dannata limousine e lasciarsi alle spalle tutto. Mi aggiustai maglia e giacca di traverso e un po' insicura sulle gambe m'incamminai nella direzione dalla quale ero venuta. Le ultime parole di Tom continuavano a risuonarmi nel cervello, stordendo completamente la sua inquilina, la Milla-neurone: “...ottengo sempre ciò che voglio... Ci rivedremo... rivedremo... rivedremo...”.
Scossi la testa, scacciando quel brutto pensiero, immersi il mento nel colletto del giubbotto e marciai con più decisione nell'oscurità. Mi sentivo debole, molto debole, e tutto ciò che desideravo era infilarmi nel mio letto, dormire e dimenticarmi di Tom von Tokio Hotel. Non sapevo invece quanto avrebbero significato per me quelle parole, oh no...
E svoltando un angolo, capii che i miei guai per quella sera non sarebbero affatto finiti.  

***

Eccomi qua! ^^ Scusate il ritardo! Hallo a tutti! Che dite, sono stata troppo cattiva? Tom ha veramente maltrattato la povera Milla... ma, come ha detto lei, i suoi guai non finiranno ancora...
Ringrazio tutti quelli che hanno letto fino a qui, quelli che hanno messo la mia storia fra i preferiti (27!!!) e, ovviamente, i recensitori:

> Eliana Titti: Grazie mille per aver messo la mia storia fra i preferiti, sono contenta di essere riuscita ad incuriosirti! ^^ E grazie ovviamente per i complimenti sulla scrittura (eppure, a me non piace proprio...)
>CAMiL92: Ed ecco la mia recensitrice preferita, che anche questa volta non poteva mancare! xD Che dirti... Milla è il mio mito, e senza di lei in classe non sarebbe la stessa cosa. Bill è sempre e comunque un grandUOMO in qualunque occasione, mentre Tomi... forse dovrebbe applicarsi di più xD Spero questo capitolo ti abbia intrigato ben bene, perchè aspetta a vedere cosa succederà nei prossimi! Ghihihihii << risatina diabolica. Un bacio!
>billa483: E nemmeno lei manca mai! Grazie per i complimenti sulla storia, mio fanno molto piacere! ^^ Ma cos'è che avevi sospettato? E' successo quello che ti aspettavi o ho sconvolto tutte le tue supposizioni( seh, come no...) *me curiosa*
>valux91: Ah ah ah! Per me i Tokio Hotel sono proprio così, ben lontano da come si mostrano all'apparenza, tutti seri e tenbrosi! xD Per me sono solo 4 ragazzi che si comportano da ragazzi, niente di così 'anormale' (eeeh, come no!! XD) Cercherò di aggiornare il prima possibile! Baxi.
>tesorinely: Adoro lasciare la suspance! *me spietata* Ti ringrazio tantissimo per il "fantastica scrittrice" *me arrossisce*. La vendetta della Milla c'è stata, ma solo all'inizio... Non finirà certo qui, però... ^^

Spero vi sia piaciuto questo capitolo, se no scrivetemi per segnalarmi cosa non va o non vi è piaciuto. Alla prossima!!! Kussen :*
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  ANTICIPAZIONE: Axel. Chi si cela dietro questo nome? E come farà ad intervenire nelle (disastrose) vicende della Milla?

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Capitolo 10
*** *CAPITOLO 10* ***


*10*
                
Ero totalmente immersa nei miei pensieri. Ero totalmente immersa nei miei pensieri e vagavo sola. Ero totalmente immersa nei miei pensieri e vagavo sola di notte. Combinazione vincente.
Ancora scossa dall'accaduto galleggiavo di qua e di là come una bolla di sapone senza navigatore. Insomma, cercate di capirmi, Tom Kaulitz mi aveva baciata, e per la seconda volta!
Passai sotto un lampione e automaticamente mi massaggia la nuca dolorante. Be', a dire la verità, prima mi aveva anche fatto sbattere la testa e tentato di soffocarmi... Ma erano particolari trascurabili, no?
Zigzagando un po', diedi un calcio ad una lattina vuota mentre sentivo la rabbia e l'indignazione montare dentro di me. Particolari trascurabili?! Ma che stavo dicendo? Ero impazzita? Aveva quasi tentato di violentarmi! Altro che bacio! Porca paletta, potevo anche denunciarlo! La luce di un lampione mi abbagliò.
Sovrappensiero, feci una curva stretta e... SDENG! La mia testa, già abbastanza provata per quella sera, si scontrò con qualcosa di morbido.
-Ahiii...-, gemetti piano massaggiandomi la fronte. Alzai lo sguardo e subito arretrai. “Signore, perché ce l'hai tanto con me?!”, pensai esasperata.
Il ragazzo sui 20 anni, nero, ben piazzato, con addosso diverse catene e collane teschiate a cui ero andata addosso mi fissava più che scocciato. Dietro di lui, come in un assurdo gioco di luci e ombre, comparvero subito altri quattro o cinque titani. I loro muscoli parevano più che mai gonfi sotto la luce biancastra del lampione, e i loro occhi brillavano sinistramente.
Deglutii, e chissà perché, mi sentii come un dolce pettirosso circondato da falchi furbi e  affamati... Sì, ok, avete ragione, forse dovrei smetterla con questi stupidi paragoni sugli animali... Sappiate che comunque non era affatto una bella sensazione. Il ragazzo contro cui avevo penosamente rimbalzato come una pallina antistress non mi mollava gli occhi di dosso. L'atmosfera si stava facendo decisamente pesante. La Milla-neurone mi diede uno scossone al cervello. “Muoviti, vattene!”, mi strillò. Sì, certo, andarmene... Una parola! Quelli sembravano di pietra, non si muovevano, ma ero sicura che se solo avessi provato a passare accanto a uno di loro mi avrebbero afferrata e... Rabbrividii. No, non volevo nemmeno pensarci! Be', rimanersene lì paralizzata sotto un lampione che pareva un riflettore non avrebbe fatto altro che ritardare le cose. Tanto valeva provarci, a questo punto. Biascicai uno -Scusate-  e senza perderli di vista presi ad aggirarli.
Quello a cui ero andata addosso, una specie di pugile americano, scoprì i denti bianchi e storti in un malandato tentativo di sorriso.
-Come va, fiorellino. Tutta sola?-.
-Ehm...-. Il mio cervello aveva qualche problema di connessione quella notte. Avrei dovuto reclamare. -Sì... cioè, no! No, no, io stavo... stavo... il mio ragazzo! Ehm, è venuto a prendermi! Sì, proprio lì, eccolo!-, esclamai indicando dietro di loro, verso il Mc. Non avevo progettato un vero e proprio piano di fuga, ma speravo in questa patetica distrazione per darmela a gambe. Non avevo tenuto conto però che i miei amici giganti conoscevano anche loro qualche trucchetto. Disposti a semicerchio, bicipite contro bicipite, non si mossero. Solo il tipo nero, forse il capo, si voltò di poco indietro. Quando tornò a fissarmi il suo sorriso si era fatto più largo.
-Là non c'è proprio nessuno-.
Era vero. La strada era deserta. Maledissi mentalmente in arabo e ostrogoto quel rimbambito decrepito di un autista. Come minimo, stava ancora tentando di accendere il motore... Bah!
Cominciavo a sudare freddo ormai, e molto probabilmente tremavo come un trapano elettrico. Il cuore mi rimbombava nelle orecchie facendo il doppio del lavoro. La salivazione era assente. Cazzo, cazzo, cazzo, cazzooo! Ma perché proprio a me? Perché stasera, perché qui, perché?! Persa nei miei deprimenti pensieri, non mi accorsi che il semicerchio si stava lentamente avvicinando. Oh no, oh no, oh no! Che fare, che fare, che fare?  
Un movimento diverso dal lento avanzare di Mr.Muscolo calamitò all'istante la mia attenzione e mise in stand by il lavorio frenetico delle mie meningi. Qualcuno emerse dalla cortina d'ombra oltre il lampione. Io, che ero proprio sotto la luce, dovetti strizzare gli occhi per distinguerlo. Fra i ragazzi corse un mormorio di stupore, quasi riverenziale.
-Ehi Luke! Che succede?-, salutò il nuovo venuto. Era poco più di un contorno per me, ma sentivo che aveva una voce calda, profonda, piacevole. Un altro ragazzo, dunque...
Con due falcate l'ombra affiancò 'Luke', il mio nero personale. I due si salutarono amabilmente con un complicato  scontro di pugni.
-Ciao bello! Che si dice?-, rise Luke.
-Mah, il solito-. Il ragazzo scrollò le spalle. Ora che era più vicino lo distinguevo bene, e mi accorsi con sorpresa che non era affatto male! Se solo fosse stato dalla mia parte...
I suoi occhi sfrecciarono velocissimi ai miei, facendomi sussultare, poi scivolarono di nuovo all'amico. Erano azzurri, chiari e profondi. In qualche modo mi rassicurarono.
-Lei chi è?-, domandò sottovoce “Occhi-belli” indicandomi con un cenno della testa.
-Oh! Nessuno... noi... io volevo solo...-, balbettò il titano, chiaramente in difficoltà.
-Luke-, chiamò il ragazzo. Freddo, glaciale. Era più basso di almeno una spanna e molto meno muscoloso dei componenti della banda di strada, eppure quell'ammasso di muscoli abbronzati sembrò impallidire.
-Lasciala stare-. Non era una richiesta. Era un ordine.
Un colpo al cuore, un pugnale di miele che mi trafiggeva il petto. Gli occhi mi si inumidirono. Mi stava difendendo...
“Che figo!”, esclamò la Milla-neurone.
 ...Be', era vero!
Luke sembrava combattuto. Provò a buttarla sul ridere.
-E su! Non vuoi che ci divertiamo? Non le avremmo fatto niente di male, lo sai!-.
Per poco non gli sbuffai in faccia. A chi voleva darla a bere?!
 Il mio salvatore soppesò con lo sguardo l'amico.
-Farò finta di crederti-, scandì alla fine. -Però devo dire che hai pessimi gusti nel divertirti. Ora andatevene-.
-Ma...!-.
-Fuori dai piedi-. Il suo sguardo era tagliente come ghiaccio e perfino io rabbrividii.
Con sbuffi e mugugni soffocati, i miei piccoli amici muscolosi girarono i tacchi, e strascicando i piedi scomparvero nella notte. Quando anche l'ultimo eco dei loro passi pesanti si spense, il mio salvatore si degnò di avvicinarsi. Il suo viso era illuminato da un sorriso abbagliante.
-Milla! Sei proprio tu?-.
Cosa?! Mi aveva chiamata per nome? Oddio, ma chi era? Lo conoscevo?
Strizzai gli occhi schermandomeli con una mano nel tentativo di capire chi fosse quel ragazzo per conoscere il mio nome. Lo scrutai intensamente per qualche secondo.
-Axel...?-, provai titubante. Lui si aprì in un sorriso ancora più bianco.  
-Sì, sono proprio io! Non mi avevi riconosciuto, eh? Vabbé, ti perdono...Tu invece sei rimasta sempre la stessa-.
Sorrisi anch'io senza riuscire a trattenere un gridolino di sorpresa e corsi ad abbracciare il mio vecchio amico d'infanzia, o meglio, travolgerlo!
-Sono così contenta di vederti! È passata una vita dall'ultima volta che ci siamo visti-.
Lui mi accarezzò teneramente i capelli.
-Cinque anni... E non sei ancora cresciuta-. Rise. Mi era mancata la sua risata.
Mi scostai un poco facendo la finta scocciata e dovetti inclinare la testa all'indietro per incontrare i suoi occhi.
-Tu invece sei diventato ancora più alto-, affermai con una punta d'invidia.
Lui abbassò gli occhi lasciando che ciuffi neri della lunga frangetta gli nascondessero il viso. L'avevo sempre adorato quando faceva così!
-O diciamo che sei tu che ti sei abbassata!-.
-Finiscila! Guarda che sono cresciuta dall'ultima volta che ci siamo visti, e di ben dieci centimetri!-. Ridacchiò.
-Solo dieci?! Ah ah, sei sempre la solita nana- e rise scompigliandomi i capelli. La sua allegria spontanea mi aveva fatto dimenticare di tutto, e mi sentivo completa dopo tanto tempo.
Mi prese le mani.
-Allora, come stai? È tutto a posto? Tranne quello che stava per succedere stasera, intendo... Successo qualcosa di interessante negli ultimi tempi?-.
La mia mente schiacciò REWIND veloce e mi trovai a rivivere il giorno appena passato, dalla disastrosa mattinata di preparativi, passando per il pomeriggio ricco di emozioni condito di musica e finendo ancora una volta lì, in quel vicolo, fra le braccia di Tom. Un tiepido rossore mi si spanse dal collo alle orecchie.
-Mmmnno, niente di interessante... Raccontami un po' di te, dai!-, e trascinandolo per un braccio lo incitai a passeggiare pacificamente con me lungo i marciapiedi deserti. Io e lui, amici, quasi fratelli, identici a cinque anni fa. In quel momento di quieta pace, l'albergo, i Tokio Hotel e soprattutto Tom era ben lontano dai miei pensieri.

***

Starnutii. Nel silenzio rotto solo dallo strascicare dei miei jeans parve quasi come un sparo.
-Aaaat... ciùù!-.
Tirai su col naso e mi rimisi le mani in tasca. Qualcuno mi aveva pensato. O almeno, questo diceva Bill. Sciocchezze, quindi.
Era da un bel po' che camminavo, sarei dovuto arrivare ormai... Ad un incrocio lessi la via dell'hotel e sospirai scorgendone la figura appena più avanti. Non vedevo l'ora di farmi una bella doccia calda e poi infilarmi a letto. Prima magari avrei fatto un giro di Play con Georg, e  messo qualcosa sotto i denti: avevo una fama da lupi tutto a un tratto!
Le pesanti porte dell'albergo mi si spalancarono davanti come una profumata promessa di comodità e ristoro. Sospirai. Casa. Presi a salire lentamente le scale.
Be', una specie di casa, sempre diversa ma comunque un luogo di ritrovo, una sorta di tana per me e  il gruppo...
Cazzo, stavo di nuovo ricadendo nel sentimentalismo! Su, Tom, concentrati e fa il duro!
La porta della mia stanza mi balzò davanti di colpo. Da dentro si udivano risate e schiamazzi. E ti pareva, i miei cari amici stavano festeggiando alle mie spalle! Tipico. Mi schiarii la voce, raddrizzai il cappello e bussai con tutta la forza che avevo. Le voci si zittirono all'istante. Dopo un rumore di chiave fatta girare in fretta, la porta si aprì di uno spiraglio minuscolo.
-Sìììì?-, chiesero leziosamente un paio di birbanti occhi nocciola.
-Bill, razza di coglione, fammi entrare!-, sbottai invece io.
-Parola d'ordine?-, ridacchiarono le due gocce di cioccolato contornate di nero. Sbuffai, seriamente irritato, e poggiando tutto il mio peso al pannello di legno, spinsi via mio fratello che sbatté contro la parete interna. Piombai dentro come una furia.  
Erano tutti lì, Georg e Gustav (Bill era ancora spalmato la porta), seduti per terra, con i cuscini del divanetto disposti a cerchio in un'imitazione di una ridicola seduta spiritica.  Cristo, li avrei volentieri soffocati tutti con quei dannati cuscini pur di non vedere più la finta sorpresa che aleggiava sui loro volti! Comparendo barcollante da dietro la porta, Bill mi si avvicinò ridacchiando.
-Ma che ci fai qua Tomi?-, esclamò appoggiandosi alla mia spalla.  
-Sono venuto a buttare fuori tre deficienti dalla mia stanza, ecco cosa!-. Me lo scrollai di dosso e rivolsi occhiate di fuoco al bassista e al batterista.
-Suuuu, quanta rabbia! Dovresti fare anche tu un po' di yoga, rilassa, sai? E la nostra affascinante amichetta, dove l'hai lasciata?-, chiese Bill guardandosi attorno.  
“Contro un muro”, pensai divertito.
-Be'... L'autista stava per arrivare... Ho preferito andarmene prima... Tanto era davanti al Mc...-, risposi scrollando le spalle.
Gustav sgranò gli occhi.
-L'hai lasciata da sola?!-.
-Sì, perché? Stava per arrivare l'autista... E poi sapete che non la sopporto!-, protestai.
Georg mi si avvicinò preoccupato.
-Ma... lei è una ragazza! Non pensi che potrebbe succederle qualcosa? Le strade a quest'ora sono molto pericolose!-.
Arretrai  avvertendo un vago senso di malessere allo stomaco. Perché mi volevano far sentire in colpa per qualcosa di cui non ero responsabile? Io non c'entravo nulla, giusto?
-Vi ho ripetuto che era davanti al fast food...-.
-... che stava chiudendo-, concluse col rimprovero nella voce Gustav.
-Stava arrivando l'autista, cazzo! Probabilmente sarà già arrivata a casa sana e salva!-, esclamai gesticolando furiosamente.
-Ehm...-.
Mi voltai squadrando con rabbia mio fratello.
-Che vuoi tu?-, ruggii.
Bill non rispose, e senza parlare, mi indicò la porta, aperta senza che me ne accorgessi al richiamo di un timido bussare dall'altra parte. Sbattei le palpebre.
Un omino bassissimo e decisamente anziano mi fissava di sotto in su timidamente. Si tormentava nervosamente le mani rugose e ogni tanto lisciava una manica della sua giacca da chauffeur. I capelli soffici e bianchi formavano una sorta di aureola luminosa sotto la luce delle lampade in corridoio, notai.
Distogliendo lo sguardo dai miei occhi sgranati e colmi di senso di colpa, alla fine, l'autista si rivolse a tutti e a nessuno in particolare pigolando piano.
-Signori... Ehm, credo ci sia qualche problema...-.

***



Haloa a tutti! ^^ Alla nostra Milla ne succedono sempre di tutti i colori! Un po' mi dispiace... Però l'autista mi fa un po' pena adesso...
Dunque, passo subito a rinnovare i ringraziamenti a tutti coloro che hanno messo la mia storia fra i preferiti e chi ha anche solo letto. Per chi ha commentato, invece, ecco il "grazie personalizzato". DANKE SHON a:
>billy_72: Accontentata (anche se non proprio presto! :P)... Spero continuerai a seguire le avventure della Milla, che, non credo, finiranno tanto presto! Kussen.
>billa483:Be', anche se ti aspettavi quello che sarebbe successo non credo di averti delusa, no? ^^ E comunque la Milla è la Milla e lei non si è sentita di "lasciarsi andare" con lui, anche se credo che un pensierino ce l'abbia fatto... xD Baci
>Eliana Titti: La "furia Tom" probabilmente colpirà ancora! xD Almeno fnchè Milla resterà nei paraggi... E chissà che non si abbia un finale diverso, stavolta... Ma non anticipo nulla! Grazie 1000 per i complimenti sulla scrittura (cerco sempre di migliorarmi, anche se non so se si veda). Cercherò di aggiornare il prima possibile, blocco dello scrittore e impegni permettendo. Kisses!
>Quoqquoriquo: Tranquilla, capisco benissimo! Come devo aver detto (se la memoria non mi fa cilecca), le critiche sono sempre ben accettate, e non me la prendo affatto! Intanto, sono lusingata che tu abbia messo nei preferiti la mia ff perchè mi sembri una che se ne intende, e il tuo "tenere sott'occhio" non può che farmi piacere e spronarmi a cercare di migliorare ancora.  Questa è la mia terza fic, quindi sono la prima ad ammettere di non avere ancora "l'esperienza necessaria", né tutta la pratica che possono avere scrittori più maturi e più capaci. In questo capitolo spero che i miei personaggi siano sembrati più normali... Grazie per avermi fatto notare questa cosa e continua a seguirmi per segnalarmi i miei errori più eclatanti! ^^
>CAMiL92: E lei è sempre qui!! La mia recensitrice più fedele! xD Ti dirò, il "bellissimo" davanti ad animale rivolto a Tom non ci sta affatto male... ^///^ Non lasciare sola la tua piccola omonima, ne avrà bisogno nei prossimi capitoli... Ma non ti vogli far intendere nulla, per ora! Besos, recensitrice n° 1!
>tesorinely:Danke mille bella! Felice che ti sia sembrato "fantasticherrimo"! Cercherò di aggiornare presto, ma ho tante abbastanza cose a cui badare ultimamente, in primis la scuola, purtroppo... Kuss kuss! ^^


E qui ho finito. Per qualunque appunto o correzione non fatevi problemi e scrivetemelo sinceramente. Le critiche sono sempre le benvenute (non troppo crudeli, però... ç__ç). Al prossimo capitolo, donne!

ANTICIPAZIONE: Tom e Axel... Se si incontrassero, che potrebbe succedere?

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Capitolo 11
*** *CAPITOLO 11* ***



*11*



-Non ci posso credere!-. Sbarrai gli occhi e mi fermai.
-E invece è vero! Guarda, questa è una sua foto...-.
Mi avvicinai sinceramente curiosa e sbirciai lo schermo illuminato del cellulare. Sorrisi.
-Che carina! Come hai detto che si chiama?-.
-Martina-.
Rimasi ancora qualche secondo a fissare quei vivaci occhi scuri e la regolare curva morbida delle guance, intrappolati in un freddo display, pensando.
Sorrisi di nuovo e mi riappropriai della mano di Axel, euforica. Riprendemmo a camminare per le vie buie di Berlino.
-State insieme da tanto?-.
-Due anni fra qualche giorno-.
-Però!-, esclamai sorpresa. Ma d'altronde, perché mi stupivo? Axel era un bel ragazzo, era normale che Martina si fosse innamorata di lui... Però due anni mi sembravano quasi un'esagerazione, se pensavo al vedere una stessa persona tutti i giorni. Chissà cosa provavano quelli sposati da oltre cinquant'anni nel vedere lo stesso viso per una vita...
-A che pensi?-, mi chiese lui d'un tratto.  
-Ai pensionati-.
La sua risata forte e sonora risuonò per tutta la strada, rimbalzando qua e là, sempre più smorzata finché non si spense del tutto.
-Certo che sei veramente strana! Mi vuoi dire che con me che cammino al tuo fianco, il tuo migliore amico che non vedi da cinque anni, sempre affascinante se non di più, oserei dire...-.
Gli lanciai un'occhiataccia.
-... ti ritrovi a pensare a dei vecchietti stipendiati dallo stato?-, continuò imperterrito.
-È proibito anche pensare, adesso?-.
-Esagerata! Lo trovavo strano, ecco tutto-.
-Perché,  tu a che pensavi?-.
-Agli spaghetti-.
-... E vieni a dire a me che sono strana!-.
-È proibito avere fame, adesso?-, ribatté facendomi il verso.
Finsi di offendermi a morte e gli lasciai la mano, accelerando per distanziarlo il più possibile.
-Milla! Dove vai? Aspettami!-.  
Non risposi e tentai di allungare il passo, arrivando quasi a correre. Inutile. In due falcate delle sue lunghissime gambe mi fu subito dietro. Qualcosa mi strattonò per il giubbotto, arrestando la mia corsa, e prima che potessi protestare, due mani mi presero per la vita e mi sollevarono ad un'altezza... ehm... non nei miei standard.
-Axel! Ma sei pazzo!? Mettimi subito giù!-, strillai agitandomi come un'anguilla. Guardai in basso. Il marciapiede era mooolto lontano! Porca paletta! E lui rideva! Rideva come un matto, sentivo la sua guancia tremante contro la mia scapola. E non è che mi dispiacesse poi tanto...
Dopo appena qualche secondo che mi sembrò eterno, Axel mi riappoggiò delicatamente a terra. Chissà se fu solo un caso che mi avesse tenuta stretta contro il suo petto prima di permettere che mi allontanassi... Mi risistemai sbrigativamente la maglietta, rossa d'imbarazzo, e lui rimase ad osservare con interesse i miei gesti prima di riprendere a sfottermi.
-Lo sai che sei proprio pesante? Caspita, non credo ce l'avrei fatta a tenerti su un secondo di più! Quanto pesi, una tonnellata?!-.
-Non costringermi a usare la forza per farti rimangiare questa affermazione, mister peso-piuma...-.
-Forza? Ma quale forza?-.
Velocissima, gli sferrai una gomitata in pieno stomaco.
 -Questa. Che dici, devo usarla tutta?-.
La sua risposta, stranamente soffocata, mi fece incredibilmente piacere.
-No, grazie. Basta così-.
Sbuffò silenziosamente massaggiandosi la pancia mentre riprendevamo a camminare mano nella mano, e non me lo feci sfuggire.
-Ti ho fatto tanto male?-.
-Ma va! Sono una roccia io!-.
-... di plastilina... Be', lasciamo perdere. Non siamo ancora arrivati?-.
-All'hotel? Mmh... Dovrebbero mancare pochi isolati...-.
Gemetti, piagnucolando esageratamente.
-Camminare ancora?! Ma sono stanca!-.
Lui ridacchiò, tutto uno sfavillare di denti bianchi fra pelle abbronzata a contatto col buio. Un risultato da paura.
-Se vuoi ti porto in braccio io! ... o noleggio una gru-.
-Ho già avuto la mia esperienza “ai piani alti”, e mi è bastata! Cammino-, assicurai in fretta.
Axel rise ancora e mi abbracciò impetuosamente, facendomi barcollare in modo preoccupante.
-Ax... el... 'asciami!-, soffiai decisamente a corto di fiato. Lui mollò la presa.
-Scusami, Milla. È che sono felice! Era da tanto che non ti vedevo... Mi sei mancata...-.
Arrossii, stupita da quell'inaspettata confessione, e mi aspettai un seguito, di qualunque tipo, a ciò che mi aveva appena detto. Axel però rimase in silenzio a fissare il marciapiede, evidentemente imbarazzato, mentre io attendevo.  Quando tornò a fissarmi di nuovo con quegli zaffiri lucenti che si trovava al posto degli occhi mi sentii quasi mancare. Lui accennò solo un sorriso prima di accogliere la mia mano fra le sue grandi dita.
-Andiamo?-. Una semplice domanda, nascondiglio di chissà quali proposte...
-Sì-. Una semplice risposta, diretta, chiara, incapace di qualunque sotterfugio proprio per la sua innocenza. La strada si spalancò di nuovo davanti ai nostri passi mentre io e il mio Segreto riprendevamo ad avanzare, legati da potenti lacci di seta, impossibili da spezzare.  
E chissà se, dopotutto, sarei mai arrivata davvero a quell'albergo dove prendevano vita i miei Sogni.

     ***

Mi girava la testa e mi sentivo la fronte appiccicosa di sudore freddo. Forse avevo la febbre, no, l'influenza! Mi aggrappai al primo oggetto orizzontale e stabile che riuscii a trovare e mi ci lascia cadere sopra perché, per mia fortuna, era una comoda poltroncina.
-In che senso la limousine non parte?!-, strillò Bill, la voce più alta di qualche ottava a causa dell'ansia. L'autista, tormentandosi le dita nodose, tentò di pigolare qualcosa, invano.
-Non c'è molto da capire, temo... La limousine non parte-, affermò cupamente Georg.  
-Ma perché non parte?!-.
-Bill, calmati!-, sbuffò Gustav sfrecciandomi davanti con una bracciata di giacche e felpe fra le braccia. Poco dopo tornò indietro con quattro paia di scarpe e tre di calzini. I suoi li aveva già infilati ai piedi, ovviamente.  
-Ma non può non partire! È una limousine!-.
-È un'auto come tante, con un motore che può rompersi!-.
-Ma... ma... è una limousine!-.
-Bill, sappiamo con che modello di caffettiera scarrozziamo in giro!-.
-Invece di “fanfarare” [licenza poetica dell'autrice ù_ù] perché non cominciate a vestirvi?-, s'intromise Gustav allacciandosi le scarpe e interrompendo il delirante scambio di battute tra il cantante e il bassista. I due interpellati si voltarono a guardare il biondo con gli occhi fuori dalle orbite.
-Perché?!-, domandarono in coro cascando clamorosamente dalle nuvole.
Il batterista scaricò loro in braccio praticamente tutti i loro effetti.
-Dobbiamo salvare una fanciulla in pericolo, no?-, trillò sorridendo.
-Ehm...-, rantolai io. Tutti si voltarono a fissarmi, vecchietto compreso.
-Vi... dispiace se io resto qui?-, mormorai. La voce mi si spezzò sulla prima parola e dovetti schiarirmela sonoramente. Silenzio. Spostai gli occhi dall'uno all'altro, sempre più ansiosamente. Almeno smettetela di fissarmi così, cazzo!
-Perché, Tomi?-, mi chiese Bill con una manica della giacca nera già infilata. Già, perché non ci vuoi andare, Tom?
“Sta', zitta!”, ordinai alla mia coscienza.
-Be'... io non... mi sento tanto bene...-, azzardai sfruttando il pallore che ero sicuro di ostentare in viso.
-In effetti non hai un bel colorito... Però se stai a casa tu, sto a casa io!-.
Eccolo, il paladino dei deboli...
-Ma no, Bill! Vai! Tranquillo, è solo un po' di... indigestione, passerà presto. È meglio che andiate anche con Saki, non si sa mai. Su, portate a casa quella ragazzina, così la finiamo con questa storia...-. Presi fiato e stiracchiai un sorriso poco convincente.
Bill mi fissava ancora un po' dubbioso.
-Ancora là sei?! Muoversi! Raus!-, e cercai di cacciarlo con grandi gesti delle braccia.
Lui mi continuò a fissare imperscrutabilmente mentre finiva di infilarsi la giacca. Infine, il piccolo gruppo (vecchietto compreso...) fu impacchettato in giubbotti più o meno costosi e pesanti.
-Prendiamo la fuoriserie di Saki, non ci metteremo molto, torneremo presto. Ciao Tomi-, mi salutò tristemente Bill. Neanche partissero per l'Alaska...
-Ciao ciao!-, salutai con la manina, forse troppo allegramente, e finalmente quella maledetta porta si chiuse. Attesi qualche minuto, con le orecchie spasmodicamente tese. Voci che si accavallavano in spiegazioni concitate. Silenzio di chi ha accettato, vinto. Passi per le scale, porte che venivano aperte solertemente, rumore di tacchi e scarpe da ginnastica. Quattro porte di un auto che sbattevano. Un motore che si avviava senza troppi tentativi. E un'auto che svaniva dietro l'angolo.
Sospirai di sollievo. Se n'erano andati. Mi avevano lasciato solo, finalmente. Solo, con i miei pensieri come unici compagni.
“Chefare chefare chefare?!”, mi chiedevo ossessivamente con la testa fra le mani. Ormai il senso di nausea e l'appiccicatura stavano svanendo... Ma non potevo tornare là fuori da lei, no, assolutamente!
Mi alzai e mi diressi verso la finestra aperta, permettendo alla fredda brezza notturna odorante di Berlino di asciugarmi la fronte e far cedere le mie difese. Sospirai, stanco. Un'immagine balenò davanti ai miei occhi chiusi. Lei. Una mania, un chiodo fisso, una possessione diabolica della mia mente e dei miei sensi, col suo profumo delicato, i suoi difetti, perfetti nella loro imperfezione; i suoi occhi, la sua bocca, la sua pelle, morbida, dannatamente piacevole; la sua risata, il suo broncio, il suo muoversi, felice della vita e della sua vita. Lei. Lei, lei, lei. Lei, la mia ossessione.
Mi massaggiai la fronte, infuocata e pulsante, allontanandomi da quel veritiero occhio sul mondo. E allora, che fare?
Il mi sguardo cadde su un barattolo di cioccolata lasciato mezzo aperto sul tavolo. Un coltello lì vicino, gocciolava placidamente la dolce sostanza sul ripiano, già sporco. E fu allora che mi decisi. Senza un vero motivo, senza un vero perché, forse neanche per merito del barattolo di Nutella.
Afferrai la giacca e mi lanciai fuori dall'albergo, senza fare a meno di chiedermi se fossi impazzito, e soprattutto... come diavolo sarei riuscito a trovare Milla in pieno centro Berlino?!

***

Salve! Dopo millenni di assenza mi sono rifatta viva ancora. Scusate per il ritardo mostruoso, ho avuto una crisi mistica spaventosa, tanto che avevo pensato addirittura di abbandonare questa storia... Ma lasciamo perdere! ^^ Passo ai ringraziamenti:
allora, intanto 1 milioni di grazie a chi ha messo la mia storia fra i preferiti e a chi l'ha letta anche senza commentare (è una soddisfazione lo stesso); e come al solito, ringraziamente personalizzati per i recensitori!

>SusserCinderella: Grazie mille! Ti stai leggendo tutte le mie ficcy, e non sai quanto sono felice di questo! Spero di continuare a trasemtterti emozioni con ogni capitolo di ogni mia storia! ^^ Baci
>billa483: *fiuuuu* sono contenta che non ti abbia deluso l'altro capitolo, e spero che anche questo sia stato all'altezza... Non assicuro il "presto" per l'aggiornamento, ma farò del mio meglio! Besos
>ElianaTitti: Questo significa "entrare nella storia"! xD Sapere che sono stata io a farti rabbrividire e ridere mi fa sentire... realizzata! (perchè, io non ne sparo di cazzate?! XD). Ancora non si sa se Milla sia davvero destinata ad un Tokio Hotel... Non anticipo nulla, però Axel potrebbe diventare decisamente... pressante. Grazie per gli incoraggiamenti sulla scrittura, fanno sempre piacere. Cercherò di aggiornare il prima possibile! :*
>_Glossy_: Hai ragione, anch'io sarei rimasta pietrificata dove mi trovavo se mi si fossero avvicinati dei tipi così... altro che scappare! Axel è un tesoro, e Tom... be', è Tom! Non ci sa proprio fare con le ragazze! Bah... Kisses
>CAMiL92: Cami, se ti dico che mi hai commossa mi credi? Be', te lo dico lo stesso. Mi hai fatto spuntare la lacrimuccia. E non è facile, per me! Non so nemmeno come trasmetterti a parole quello che tu mi hai fatto provare con la tua recensione. Forse felicità, ma sarebbe riduttivo. Forse soddisfazione, ma so di non meritarla appieno. Più semplicemente, potrei dire emozione, quella che, da quanto ho capito, provi tu ogni volta che leggi di me (perchè questa storia, in fondo, è un pezzo del mio essere). Per una scrittrice, anche scadente come la sottoscritta (xD), è questa la cosa che più le fa sentire di aver fatto un buon lavoro: l'aver regalato qualcosa di proprio ai lettori. Non mi dilungherò troppo perchè potrei diventare così smielata da farti passare la voglia di mangiar dolci per un mese, voglio solo dirti GRAZIE! Per tutto, in particolare per la tua simpatia e la tua dolcezza. A presto, Fedelissima. Kussen!
>_ToMSiMo_: Wow, una nuova lettrice! ^^ Cercherò di aggiornare presto, continua a seguirmi! <3

Finito! Non ho dimenticato nessuno vero? Scusate per i micro-ringraziamenti, ma devo sbrigarmi perchè se mia mamma torna a casa... Brrrr! Altro che Luke e quei brutti ceffi! xD. Va beeene, evaporo!
A presto! <33

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Capitolo 12
*** *CAPITOLO 12* ***


A grande richiesta, il capitolo...

*12*



-Allora? Allora?!-.

Saki alzò gli occhi allo specchietto retrovisore incontrando un preoccupato sguardo nocciola.
-Bill, stai calmo! Non le succederà niente, la troveremo-, scandì con la sua voce calda e profonda.
-Non posso stare tranquillo! Lei... è là fuori, Saki! Là fuori! Non oso immaginare cosa potrebbe esserle successo...-. L'ultima parola si spezzò fra le labbra rosee di Bill Kaulitz, impegnato in una missione di salvataggio, costretto ad affrontare con la sua tipica tranquillità e compostezza anche il viaggio in auto più lungo della sua vita...
-Oddio, quanto ci vuole?! Bastaaa! Voglio scendere!!!-.
Era una descrizione ironica, ovviamente.
Georg e Gustav furono costretti a sedersi sopra (letteralmente) all'isterico cantante per bloccare i suoi tentativi di fuga, il quale si costrinse a calmarsi.
La berlina scura sfrecciava silenziosa per le strade ancora affollate di una Berlino sprizzante calore e sicurezza. Osservando il cupo alternarsi di vicoli oscuri e palazzi illuminati, Bill rabbrividì. Sapeva benissimo che non era vero.
Con le gambe bloccate da Gustav e un gomito di Georg piantato nello stomaco, Bill osservava sempre più ansiosamente il paesaggio monotono.
Pennellate di luce e ombre di buio dipingevano il suo viso pallido, alternandosi schematicamente- Luce. Ombra. Luce. Ombra. Se li ripeteva mentalmente.
“Luce. Luce. Ombra. Luce. Ombra. Ombra”. Improvvisamente, avvertì un senso di vuoto allo stomaco alla vista di un particolare edificio e preda della sorpresa, sgranò gli occhi.  
-Ombra!!! Cioè, il McDonald!!!, strillò sbracciandosi. Batté come un forsennato la mano sul sedile del guidatore intimando di fermarsi.
-Che succede?-, chiese Saki dopo aver accostato frettolosamente.
Senza fiato, Bill cercò di spiegarsi a gesti e frasi sconnesse.
-Lì! Il... 'storante! Milla... 'food!!!-.
I tre lo guardavano con gli occhi fuori dalle orbite. Bill alzò gli occhi al cielo e sbuffando si  districò frettolosamente da Georg e Gustav che gli bloccavano la respirazione. Finalmente libero dal dolce (si fa per dire) peso dei due compagni, prese fiato e ripeté tutto con più coerenza.
-Il ristorante, il fast food! È quello lì!-, lo indicò con una mano, fuori dal finestrino.
-Ne sei proprio sicuro?-, domandò Georg studiandolo a sua volta.
-Sì, sì, ne sono più che certo! Presto, dobbiamo andare!-.
-Aspetta!- gridò Saki.
-Non è più il tempo di aspettare, merda!-, strillò di rimando Bill armeggiando con la maniglia della portiera. Prima che potesse aprirla, si udì uno scatto e le sicure calarono traditrici. Il ragazzo si voltò come una furia verso la  guardia del corpo, colpevolmente ostentante un'espressione irremovibile.
-Che cazzo fai?-, esclamò, furioso.
-Andrò solo io, voi no. È troppo pericoloso-, sentenziò l'uomo.
-E perché?-, chiese l'apprensivo Gustav.
-Ho sentito dire in giro che è proprio in questa zona che ama riunirsi la più spietata banda di teppisti di Berlino!-. Nell'abitacolo il silenzio calò all'improvviso. I ragazzi osservavano Saki con gli occhi sgranati e il fiato sospeso. -Se la vostra... Milla è rimasta lì, davanti al ristorante, quei tipacci l'avranno sicuramente vista e... e...-. Bill serrò gli occhi e levò una mano per interrompere la guardia del corpo. Era troppo per lui. Conosceva la vita reale, conosceva gli orrori a cui era soggetto il mondo appena fuori dal sicuro vialetto di casa, ma non per questo riusciva ad accettarli.
Alla fine, sospirò e riaprì lentamente gli occhi. Era consapevole a cosa stava andando incontro, e l'avrebbe affrontato.
-Noi veniamo con te-.
Saki sbuffò, chiedendosi perc
diavolo Bill avesse l'odiosa mania di fare il coraggioso moschettiere. Per qualche secondo rimase con lo sguardo perso nel vuoto, immerso nelle proprie riflessioni, poi tolse la sicura alla porta anteriore e smontò dall'auto. Bill batté impazientemente sul vetro per attirare l'attenzione  della guardia del corpo, che corse ad aprire la portiera posteriore. Bill fece per scendere ma il bodyguard lo spinse indietro.
-Cosa...?!-, domandò il ragazzo, indignato.
Saki scosse la testa.
-Ve l'ho già detto, voi rimanete qua. Non posso permettere che vi succeda qualcosa. Vado io, e se... se la trovo, vi chiamo-, tentennò l'omone.
-Non crederai che ce ne staremo qui buoni buoni a raccontarci le barzellette finché tu sei fuori ad affrontare una banda di malviventi!-, sbraitò Bill facendo un altro tentativo per sfuggire alla presa ferrea di Saki, subito bloccato.
-Be', ci sono altri giochetti da fare finché si aspetta in auto! Buon divertimento-, ridacchiò,  e chiuse l'auto prima di sparire, inghiottito dal buio della notte.
Bill, rimasto senza parole, ruggì d'indignazione e si abbandonò sul sedile posteriore.
-Dai, Bill, non prendertela. Saki è il migliore, la troverà sicuramente anche senza il nostro aiuto-, esclamò Georg.
-Voi non capite...-, piagnucolò il cantante immusonito.
-Aiutaci a capire, allora-, sussurrò con dolcezza l'incorreggibile Gustav.
Bill rimase un momento in silenzio, riflettendo.
-Lasciate perdere-, mormorò cupamente. Si alzò e cominciò a frugare curiosamente nelle tasche dei sedili, sotto il volante, negli scomparti del cruscotto. Gli altri due lo guardavano sbalorditi.
-Bill, che cazzo stai facendo?-, chiese con il suo particolare tatto il bassista. L'interpellato sbuffò, come se gli fosse stata posta una domanda più che ovvia e riprese a frugare qui e là.
-Cerco-, rispose distrattamente.
-Oh, giusto, come abbiamo fatto a non capirlo... Idiota, ho capito che non stai buttando tutto all'aria per sport, ma cosa cerchi?-, ribatté il sarcastico Georg.
Bill sbuffò di nuovo con rinnovata impazienza e si voltò ad incenerire con un'occhiata di fuoco il malcapitato.
-Tu per caso hai una forcina per capelli? Perché se ce l'hai mi faresti un grande favore, e mi risparmieresti l'ingrato compito di cercare qualcosa per scassinare la macchina!-, strillò istericamente il moretto.
I ragazzi erano basiti.
-Vuoi uscire? Ma Saki...-.
-Avevo detto a Saki che non sarei rimasto in macchina a girarmi i pollici mentre Milla è là fuori!-.
In quel momento, Bill si illuminò e scomparì sotto il sedile, dal quale riemerse pochi secondi dopo adornato di un meraviglioso cappello di polvere. In una mano stringeva un cacciavite giallo.
-Non so come questo ci sia arrivato, qui, ma ringrazio il Dio dei Cacciaviti!-, sorrise. Dopodiché strinse la lingua fra i denti e prese ad armeggiare con la chiusura della portiera, aiutato da Georg e Gustav, arresisi a seguire anche in quell'ennesima follia quel pazzo di un cantante.
-E poi io non le so raccontare, le barzellette...-, mormorò pianissimo Bill.

***

E così mi ritrovavo a percorrere di nuovo le stesse, maledette strade. I poco frequenti lampioni scorrevano velocemente accanto a me e il marciapiede, notai, era diventato solo un susseguirsi di onde grigie e morbide. Strinsi forte il volante fra le mani e tentai di rilassarmi. Almeno, adesso ero a bordo della mia comoda auto!
Non andavo molto forte, ma ad ogni anfratto più buio, ad ogni cono d'ombra mi trovavo a rallentare e a combattere con quell'insolita stanchezza che costringeva le mie palpebre a chiudersi. Ma resistevo.
Ad ogni timido movimento, inchiodavo e mi sporgevo dal finestrino per cercare di dividere l'ombra che avevo visto dal buio intenso.
Girai tutte le strade che potei, ma quando mi ritrovai al punto di partenza per la seconda volta, accostai e spensi il motore. Sospirai appoggiando la testa sul volante e rimasi qualche minuto ad ascoltare il battito frenetico del mio cuore.
“È colpa mia, solo colpa mia...”, pensavo, e non trovavo un'uscita a quella via a senso unico che la mia mente aveva imboccato.
Mi lasciai ricadere sul sedile, preda di un piacevole torpore, ma non potevo dormire, no, non adesso!
Decisi di scendere. Fu una buona idea, l'aria fresca della notte mi stava rianimando. Tirai fuori il pacchetto di sigarette e me ne accesi una. Osservavo le stelle mentre aspiravo ed espiravo. Dentro e fuori, la sigaretta si consumò incredibilmente in fretta.
Stavo per prenderne un'altra quando udii dei rumori. Attento, nascosi nella tasca il pacchetto e rimasi in ascolto col batticuore. Passi. Voci. Tesi l'orecchio. Una voce maschile e una femminile. Si stavano avvicinando. Sobbalzai quando sentii la ragazza strillare, e mi chiesi se dovessi intervenire. Sembrava ridessero, ma la ragazza continuava a gridare...
Sbuffai e partii alla carica. Per questa volta sarei stato io il supereroe e qualcun altro il cattivo.   
Svoltai un angolo preparandomi psicologicamente ad una possibile rissa. Ci stavo ripensando? Troppo tardi.
La via in cui ero capitato era totalmente buia. Strizzai gli occhi e mi misi a vagare alla cieca, cercando perlomeno di non inciampare nei miei stessi piedi! Gli strilli e le risate si facevano sempre più vicini. Pensai di usare l'accendino come torcia, ma non ce ne fu bisogno. Due figure si stagliarono contro la luna bassa, spuntata d'un tratto da dietro una casa. Sorrisi e presi a correre nella loro direzione schermandomi gli occhi per riuscire a vedere dove andavo. Ora i due parlavano normalmente e mi chiesi se non stessi fraintendendo tutto.
-Ehi!-, urlai.
Le figure si fermarono e aspettarono che le raggiungessi. Con il fiatone mi fermai davanti alla più piccola, la ragazza sicuramente. Non riuscivo a vederla perché era in controluce, loro invece potevano osservare per bene me, illuminato interamente dalla luna.  
-Tutto a posto? Ho sentito urlare...-, e lanciai un'occhiataccia all'ombra più alta.
-Tom?!-, sussurrò la ragazza.
Sussultai. Come faceva a conoscermi?
-Come fai a conoscermi?-, chiesi appunto.
-Ma ti sei rincretinito? Sono io, Milla!-.
Il mio cuore saltò parecchi battiti.
-Milla?!-.
La ragazza sbuffò e si mise dietro di me, facendo in modo che la luna la illuminasse in viso.
-Allora?-, chiese allargando le braccia.
Avevo la gola secca, e faticai a rispondere.
-Sei... ehm... proprio tu...-, balbettai.
Milla annuì con foga sollevando le sopracciglia delicate.
-Già! Posso dire di conoscermi bene, dopo quindici anni di vita, quindi posso assicurarti tranquillamente che io sono io!-. La fissai, divertito. Indubbiamente, era proprio lei.
-Cosa ci fai qui?-, domandai avvicinandomi.
Il tipo dietro di me fece un colpetto di tosse. Ah, già, me ne stavo dimenticando.
-E lui chi è?-, chiesi sussurrando.
Milla sorrise e fece cenno al bellimbusto di avvicinarlesi.
-Tom, ti presento Axel, un mio carissimo amico-.
Gli diedi la mano, fissandolo con odio.
-Piacere-. “Amico”... come no.
Mi raddrizzai e dovetti alzare la testa per fissarlo negli occhi. Cazzo, era altissimo!
-Stavo accompagnando Milla-, le sorrise – all'hotel. Sai, l'ho incontrata per caso e l'ho... diciamo... tolta da una situazione spinosa-. Sorrise. Era ufficiale, non mi era antipatico. Lo odiavo.
Milla gli diede una spintarella.
-Modesto... Diciamo pure che mi ha salvato la vita-, esclamò ridacchiando. Alzai gli occhi al cielo, non visto. Un altro cavaliere senza macchia e senza paura... Che palle.
Decisi di dare un taglio a quegli sguardi a dir poco zuccherosi che si lanciavano i due. Mi schiarii la voce e proposi ad un tono leggermente più alto del normale:
-Milla, io sono venuto fin qua in macchina. Ti potrei accompagnare io fino all'albergo-. Accidenti, così mi stavo abbassando allo stesso livello del damerino!  -Ehm, cioè... Io ti lascerei anche qui, ma poi Bill mi farebbe una testa così, quindi...-. Lasciai cadere il discorso, soddisfatto. Così andava molto meglio!
“A proposito... chissà dove saranno adesso Bill e gli altri...”, pensai distrattamente. Tirai fuori il cellulare e controllai il display. Nessuna chiamata persa. Boh. Me lo rimisi in tasca. Bill & co. se la sarebbero cavata. Avevo una situazione più urgente da sbrogliare adesso.
-Milla, non dirmi che ti fidi di uno come lui?!-, stava sussurrando furiosamente Axel all'orecchio della ragazza. -Insomma, guardalo! Non ha un aspetto molto raccomandabile!-.
Milla lo fissò indignata.
-Come fai a dire una cosa del genere? Non lo conosci neanche!-.
Sorrisi. Un punto a favore della piccoletta.
-Milla, ti prego, ascoltami...-, proseguì Axel, convinto che non riuscissi a sentirlo. Le afferrò un braccio e all'istante avvertii una sensazione in tutto simile ad un pugno nello stomaco. Okay, avevo pazientato anche troppo. Adesso basta.
Mi intromisi letteralmente fra i due costringendo Axel a lasciare andare Milla, che d'istinto si nascose dietro di me.
-Senti, non ti preoccupare, accompagno io Milla a casa! Tu puoi andare. Grazie di tutto, comunque. Vieni, Camilla-, la presi per un braccio a mia volta e me la trascinai dietro. La sentii mormorare un “Ciao Axel” senza ricevere nessuna risposta. Avrei pagato per vedere l'espressione di quel coglione!
Svoltammo nella strada più larga e illuminata nella quale avevo parcheggiato la Cadillac. Lasciai un momento la presa per frugarmi in tasca alla ricerca della chiave dell'auto. Milla non diceva una parola.
-Adesso ti porto a casa. Stai tranquilla-, le sussurrai sospingendola delicatamente dentro l'auto.
-Tom-.
Sobbalzai e mi voltai di scatto.
-Axel!-, esclamò Milla precedendomi nel riconoscere la provenienza di quella voce apparsa dietro di me.
-Che ci fai ancora qui?-, chiesi io freddo come il ghiaccio mentre il cuore mi batteva forte. Axel, spuntato silenziosamente dall'ombra facendomi prendere un colpo, si avvicinò, finendo dritto sotto la luce di un lampione.  
-La porto a casa io. Non posso permettere che Camilla se ne vada con uno sconosciuto, men che meno con uno come te-, pronunciò lentamente squadrandomi dall'alto in basso.
-Io avrei più paura se fosse in giro per le buie strade di Berlino con uno come te!-, ribattei sottolineando pesantemente l'ultima parola.
Cominciò un gioco di sguardi fra me e il bellimbusto, un gioco che non tolleravo di perdere; se avessi distolto lo sguardo, avrei inteso “prenditi pure Milla”. Sembrava di essere tornati al vecchio West: i due pretendenti fuori dal saloon con le mani che fremevano per afferrare per primi le pistole e il classico covone di fieno che rotolava fra di loro. Se fosse partita la musichetta de “Il Buono, il Brutto e il Cattivo” non ci avrei trovato nulla di strano.
“Non abbassare gli occhi, non abbassare gli occhi, non abbassare gli occhi...”, mi ripetevo mentre fra di noi correvano vere e proprie scintille!
-Ragazzi, per favore-, implorò una vocina dai meandri dell'interno dell'auto. -Axel, apprezzo molto tutto quello che hai fatto per me, ma non c'è nessun motivo per essere così protettivo! Tom non è uno qualunque, non dovresti fidarti solo delle tue apparenze-, disse logicamente Milla, la bella fanciulla contesa che osservava con timore l'imminente scontro dalle finestre del saloon.
Axel non rispose subito. Mi lanciò un'ultima occhiata sprezzante, poi si rivolse alla ragazza. Malgrado la situazione assurda, sorrisi. Avevo vinto io!!!  
-Come vuoi. Rispetto le tue decisioni, Milla. Se vuoi che me ne vada, me ne andrò. Ma il giorno  che questo... rasta ti farà del male, perché non potrà che essere così, ti prego di ricordarti di me e di quello che ti ho detto stanotte-, sibilò Axel fissando intensamente Camilla. Mi voltai anch'io verso di lei. Teneva la testa bassa e una mano stretta sul cuore, sicuramente preda del dolore. Axel non sbagliava, lo sapevamo tutti e tre. E per un attimo, anch'io sentii il suo stesso dolore, e il peso del rimorso calò su di me prendendo possesso del mio stomaco. Scommettevo che ai cowboy del vecchio West non succedeva di ritenersi dispiaciuti alla lieta conclusione di una lotta. No, era tutto molto più facile: caricavano la donzella adorante su un cavallo e si incamminavano nell'orizzonte, acclamati dalla folla, ignorando deliberatamente il rivale a terra con una pallottola nel petto. Feci scivolare lo sguardo da Milla ad Axel.
Ma come si sarebbero comportati se la fanciulla avesse preferito al vincitore tosto e viziato il dolce e galante vinto? Si sarebbero fatto da parte accettando la vera sconfitta o avrebbero preteso il legittimo premio mettendo da parte la felicità della donzella?
Abbassai la testa, riflettendo. Chissà, forse sarebbe stato meglio cominciare a guardare i thriller al posto dei western...
-Axel...-, mormorò Camilla facendo per scendere e andare ad abbracciarlo.

Fu un attimo. Vidi la scena come al rallentatore, e nonostante sia io sia Axel avessimo provato a sorreggerla, Milla inciampò e cadde a terra con gli occhi sbarrati dalla sorpresa, il piede ancora impigliato in qualcosa nell'abitacolo dell'auto.
Un preoccupante “crick”  mi gelò le vene e subito dopo un urlo di dolore mi perforò il petto.

***

E nonostante il caldo da fondersi il cervello, sono qua! ^___^
Allora, come al solito ringrazio infinitamente i lettori, coloro che mi hanno messo fra i preferiti e, ovviamente, i recnesitori! Partiamo:

>billa483: Be', come avrai visto, Tom l'ha trovata, ma in compagnia di nientepopòdimeno di Axel! Brutta sorpresa, vero? Nei prossimi capitoli si vedrà se Axel darà del filo da torcere a Tom e viceversa... Continua a seguirmi. Baci!
>SusserCinderella: La mia cucciola-recensitrice! *____* Grazie mille per essere sempre presente e per aver letto tutte ma proprio tutte le mie ficcy!  Lo so, nel capitolo precedente non succedeva molto, ma direi che ho rimediato con questo, no? Cercherò di aggiornare il prima possibile! Besos! P.s. Sì, ti ho aggiunta! ^_^
>billy_72: Sugli intrighi e le gelosie non ci sono affatto problemi, come dimostra questo capitolo; per l'AMORE dovrai aspettare ancora un po', ma alla fine salterà fuori pure lui. Con chi, non si sa però... :P. Kisses!
>pandina_kaulitz: Nuova lettrice! *-* Benvenuta in questa fic piena di pazzi! xD Allora, direi che nemmeno io tiferei per Tomi in questa storia, però credo che in fondo bisognerebbe capirlo: sta cominciando a fare i conti con emozioni nuove e incotrollate, e non sa come reagire... Povero cucciolo, a me fa tenerezza! XD Seguimi ancora, chissà che il nostro rastone preferito non si riscatti! Kussen!
>_Glossy_: Credo che poche si aspettassero il  colpo di scena della Fidanzata-Martina, mentre era chiaro che forse i due sono qualcosa di più che amici. Ma non si sa mai. xD. Bill-paladino-dei-deboli non si smentisce mai (come in questo chap), e il nostro Tommo ha avuto davvero un'intuizione... particolare! Se però la Nutella è servita per farlo ragionare, allora bisognerebbe che Bill ne avesse sempre uno sottobraccio, anche se non si sa quanto resisterebbe prima di finirlo tutto! xD Sono lusingata che a molte piaccia il mio stile di scrittura, spero di riuscire a migliorarmi di capitolo in capitolo. Aggiornerò il prima possibile. Baisers!
>ToMSiMo: Wow, davvero ti piace tantissimo? *___* Che bello! Non svelo nulla su quello che succederà fra i nostri eroi! Sarà una sorpresa... Baciotti! <3
>valux91: Oh, io rifletto sempre ad alta voce! Non ti dico le figuracce... Da questo punto di vista sono simile a Milla, credo xD A proposito, ormai credo si sia capito che Tom non rimarrà fuori dall'affiatatissima coppia Milla-Axel, anzi! Però, chissà come andrà a finire, eh? Uahahaha, che cattiva che sono, ti sto tenendo sulle spine! Vabbè, nei prossimi capitoli si vedrà... Bacinii :*
>tesorinely: Mi dispiace per il tuo pc! Fagli tanti auguri di pronta guarigione da parte mia!!! (è il caldo, non badatemi, è solo il caldo!) xD. Sono contenta che ti siano piaciuti i capitoli , cercherò di continuare presto! Basetti!
>Arina: Un bell'applauso alla "niu entri" (il mio inglese xD) nel clan delle "Amiche di Milla"! ^___^ Se la fic ti piace da matti sei perfetta per entrare nel fan club! Thank you so much per aver messo la mia ff nei preferiti *me si inchina*. Piccola domanda, che rivolgo a te ma vale per tutte: tifi per Tom o per Axel? Così mi regolo e vedo quanto potrò tradire le vostre aspettative... Muahahah! Seguimi fino alla fine, non te ne pentirai (spero). Kussssssen
>Eliana Titti: E chi ha detto che Milla non è destinata a uno dei TH?! Ho detto che ancora non si sa, ma tutto è possibile (nonostante gli Axel di troppo)! Capisco benissimo il tuo bisogno di una bibita ghiacciata, io sto delirando per averne una e ancora niente! Credo mi toccherà andamela a prendere da sola... Tu scleri a volte? Io sempre! Questa storia è un'unica. grande scleraggine! xD Che poi a voi piaccia, è un'altra storia... Aggiornerò il prima possibile. Adios, muchacha!
>lebdiesekunde: Altra lettrice "recente"! Grazie mille per i complimenti, sono lusingata che ti faccia addirittura rimanere senza fiato! °-°  Continua a seguirmi! ^_^ Baci8 <3
>CAMiL92: (ç__ç) <-- mia faccia dopo aver letto la tua recensione. Sì, è così che mi riduci scodellandomi davanti i tuoi commenti chilometrici! Come tu sei dipendente dalla mia ficcy, io sono dipendente dello zucchero di cui trasudano le (non) poche parole che mi lasci dopo ogni capitolo. E' bellissimo per me sapere che questa non è più una fan ficition, ma una VERA e PROPRIA STORIA per te, non puoi nemmeno immaginare in che modo riempie il mio cuoricino! Purtroppo devo accontentarmi di una micro-risposta perchè mamma reclama il mio aiuto nell'apparecchiare la tavola, ma non sai quanto vorrei dirti GRAZIE per tutto, per le soddisfazioni che mi dai, le risate in cui mi fai scoppiare (che lasciano sempre mamma così >> ò__O), la dolcezza con cui mi fai capire quanto quello che batto sulla tastiera non sono solo 4 frasi a caso... Insomma, per me sei il mio angioletto custode! *___* In qualche modo, sento che anche nei momenti di difficoltà sei lì a tenermi la mano per incoraggiarmi a scrivere, nonostante il malumore o chissà che altro. Spero proprio non mi abbandonerai mai perchè altrimenti... che farei io senza la mia Fedelissima Recensitrice N°1? ^__^ Scusa la brevità, ci sono tante altre cose che ti direi ma forze maggiori impongono che io faccia presto... Ti adoro! <3
P.S. Ti avevo mandato un messaggio, non credo ti sia arrivato... Se hai msn vorrei mi aggiuingessi! ^^   ropadaro@hotmail.it    Ci terrei tanto! *___*
>valucciath93: Le nuove lettrici continuano a spuntare come funghi (non che mi lamenti, anzi!)!. Benvenuta pure a te! ^__^  Come vedi, ho continuato, e spero che anche questo capitolo sia stato stupendissimamente stupendo! xD Continua a seguirmi ! Baci
>Virginia91: Grazie mille per aver messo la mia fic nei preferiti! Sono super-contenta che ti piaccia tantissimo, mi impegnerò a continuarla il prima possibile perchè tu non soffra troppo nell'attesa xD. Kussennn!

Uff, quante eravate questa volta! Spero di aver risposto in modo esauriente a tutte (mi scuso con le ultime per la sbrigatezza, ma rischiavo il sequestro del pc!) Mi raccomando, voglio rivedere tutti questi bei nick anche nelle recensioni di questo capitolo! Altrimenti mi impigrisco troppo... >_<  
Se volete, rispondete al sondaggio: Milla+Tom o Milla+Axel?
Baci, abbracci e caramelle per tutte! Vi voglio bene! *__*
Alla prossima! ^__^

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Capitolo 13
*** *CAPITOLO 13* ***



*13*


-Tocca a te-.
Ci pensai su. Osservai per bene tutte le mie possibilità, alquanto scarse, devo dire, e infine tirai.
-Bel colpo...-, commentò Tom grattandosi il naso. Si concentrò un momento per rispondere alla mia mossa, s'illuminò e mi mostrò un semplice cavallo, col quale  ripulì tutta la tavolata.
-Hà! Scopa!-, esultò, e radunò il proprio bottino.
Ah, se non l'aveste capito, io e Tom Kaulitz stavamo giocando a scopa nella sua stanza.
Ero all'ultima mano e lui mi aveva già sconfitto quattro volte su sette. Non tolleravo di perdere ancora. Avevo un'unica carta in mano, la strinsi forte fra le dita sperando fosse quella giusta. Cautamente, la posai sul tavolo e osservai di sottecchi l'espressione del mio avversario. Tom sospirò e scosse la testa. Avevo vinto?!
Piano, pianissimo calò la carta e con un movimento circolare spazzò via tutto quello che era rimasto sul tavolo. Di nuovo.
-Ma...!-, tentai di protestare. Lui alzò una mano e mi zittì.
-Hai lanciato un cinque. C'erano un asso e un fante, io ho un sei. Ho sommato il tuo cinque e l'asso, e visto che è l'ultima di mano e ho preso per ultimo, mi accaparro tutto io!-, spiegò sogghignando.
Non potevo controbattere. Le tante partite giocate contro mio nonno, in taverna, mi avevano insegnato ad accettare anche la sconfitta. Quando ero piccola e mi arrabbiavo perché perdevo, il nonno si rimboccava le maniche della camicia a quadretti con due aloni di sudore sotto le ascelle e mi ripeteva con la sua voce cupa e fonda: “Camillina mia, cosa ti importa di vincere o perdere  se poi la vita ti offre comunque un'altra manche?”. E io mi calmavo, perché pensavo che era vero. Che tipo, il nonno... che fosse estate o inverno, era sempre a rimboccarsi le maniche della camicia a quadretti, sempre ad inondarsi di dopobarba e deodorante e invariabilmente con le ascelle sudate...
Lascia la mia infanzia e tornai bruscamente al presente. Il misero mazzetto di carte era lì, davanti a me. Bah, non c'era neanche bisogno di contare i punti. Aveva vinto Tom, ovviamente.
-... e sette. Allora, io ho i denari, la primiera,  le carte e due scope-, elencò infatti contando sulle dita. -Tu devi avere solo il settebello. Non hai bisogno di contare le tue carte. Ho vinto io!-, e sorrise strafottente, cominciando a radunare il mazzo.
Io sbuffai e gli lanciai il mio allontanandomi con la sedia dal tavolo, intenzionata ad accettare la sconfitta senza fare una piega, ma gemetti, colta da una fitta improvvisa, e mi presi la caviglia.
Un lampo preoccupato corse negli occhi di Tom, che moriva dalla voglia di correre ad inginocchiarsi davanti a me, lo vedevo bene, e invece domandò solo:
-Tutto a posto? La caviglia, intendo...-. Prima di rispondergli, spostai accuratamente il peso sull'altra gamba.
-Certo, tutto okay... Basta che mi ricordi di avere solo una gamba disponibile-, bofonchiai, seccata dalla situazione.
Un sorrisetto divertito soppiantò per un momento la smorfia di sufficienza del rasta, che aprì la bocca per dire chissà cosa, ma venne interrotto dallo sbattere della porta.
Non appena il viso un po' infantile, da bambino di Axel comparve nello spiraglio della porta, udii Tom esalare uno spazientito sospiro tremante. Sorrisi. Mi ero sbagliata: il bimbo era lui.
-Avete finito?-, domandò  il ragazzo avanzando a morbidi passi e sorseggiando una lattina di Coca. Il suo sguardo si posò sul mazzo di carte all'apparenza intatto, su Tom, deliberatamente voltato da un'altra parte e infine su di me, ancora piegata, che mi tenevo la caviglia. Gli sorrisi. Lui sgranò gli occhi. Me ne accorsi e spostai subito la mano, facendo l'indifferente.
-Ti fa male...-. Non era una domanda, ma risposi lo stesso.
-No, figurati. Mi ha dato solo un po' di fastidio quando mi sono spostata con la sedia, non è niente!-, mi affrettai ad assicurare. Lo osservai, cercando di capire cosa stesse pensando. Non riuscii ad intuirlo, ma seppi all'istante che non era convinto nemmeno un po'. Si inginocchiò e mi prese delicatamente il piede, studiandolo con fare critico. Be', non so se potessi definirlo “piede” dato che in quel momento aveva un aspetto tutt'altro che umano. Osservandolo dall'alto assomigliava ad un pallone da calcio mummificato. Ugh...
Sempre molto attentamente, Axel riappoggiò il mio pied... ehm... qualunque cosa fosse sul pouf ai miei piedi. Si rialzò e fulminò con un'occhiataccia Tom, che si era sporto a guardare.
-Dovresti starle vicino,  e fare in modo che non si sforzi, lo sai?-.
Il rasta lo fissò, stupito.
-Non è che io abbia fatto finta di nulla mentre si metteva a scalare una montagna, cristo, si è solo spostata con la sedia!-, replicò Tom infervorato.
Axel rimase impassibile.
-Per metà è colpa tua se si è fatta male. Se fossi in te, le presterei un po' più d'attenzione-.
-E perché non te ne occupi tu, allora, signor Infermiere?!-, urlò Tom alzandosi in piedi e marciando fuori dalla stanza col fumo che gli usciva dalle orecchie.
-Axel!-, ruggii quando la porta sbatté con violenza. Avrei voluto ergermi in tutta la mia “altezza” per sembrare più autorevole, ma la fitta costante al piede mi fece cambiare idea. Gli strillai contro da seduta.
-Trovi così difficile andare d'accordo con Tom?-.
-Sì-. Il suo sguardo di mare divenne tagliente come il ghiaccio. Alzai gli occhi al cielo.
-Non puoi almeno in mia presenza far finta che ti sia simpatico?-.
-Direi di no-. Sorrise, ma la sua smorfia mi parve più un ghigno. Esasperata, certa di star combattendo una causa persa, tentai di alzarmi; piuttosto che tentare di far ragionare quel zuccone, avrei passato la notte a saltellare su e giù per l'albergo. Feci forza sulle braccia e sulla gamba sana, ma Axel mi spinse indietro e si appoggiò ai braccioli della mia sedia.
Serrai gli occhi invocando la Santa Pazienza. Sentivo il suo profumo e i capelli della frangia che mi solleticavano il viso.
-Axel...-, chiamai piano, certa che se avessi alzato i toni mi sarei messa ad urlare.
-Axel, levati...-. Lui non si mosse.
-Axel, per piacere!-, cominciai la frase in un sussurro e la finii urlando. Silenzio. Sentivo solo il mio respiro farsi sempre più affannoso per la rabbia. Infine, un suo bisbiglio, morbido come la seta, e forse per questo più irritante che mai.
-Mi spiace Milla, ma per la tua salute devo impedirti di...-. Ecco, adesso mi aveva proprio rotto.
-La mia salute un cazzo! Levati, idiota!-, strillai, e gli diedi uno spintone. Il ragazzo barcollò, dandomi il tempo di alzarmi e saltellare come un coniglio. La porta era sempre più vicina, eccola, eccola, c'ero quasi, però mi stava venendo anche un po' il mal di mare... La aprii e mi scaraventai fuori. Stump.
“Ebbastaaaaa!”, pensai finendo addosso, anzi, tra le braccia di qualcuno.  
-Ho sentito i tuoi... ehm... dolci toni, e sono venuto a dare un'occhiata-, spiegò Tom sorreggendomi mentre mi attaccavo alla parete come ad un'ancora di salvezza.
-Tutto okay?-, mi chiese piano. No, no che non era tutto okay...
-Sì, sto bene...-, risposi. Avevo ancora il respiro accelerato e il viso contratto, lo sentivo, ma volevo far finta di attribuire la mia espressione al fastidio della caviglia.
-Vuoi tornare dentro?-, mi chiese Tom preparandosi già ad aprirmi la porta.
-No, no! Volevo farmi un giro... Fra un po' torno, vai pure dove devi andare-, ansimai zompettando qua e là lungo il muro del corridoio. Sperai che Tom se ne andasse subito perché i muscoli del mio polpaccio gridavano pietà, e volevo sedermi il prima possibile lontano da qualunque sguardi. Mi ero stancata di fare la damigella in pericolo, sempre pronta ad essere portata in braccio fuori dalla torre incantata. Adesso avrei dimostrato di che pasta ero fatta. Per una volta, sarei stata il cavaliere.
Sentivo che Tom tentennava, dietro di me. Mi voltai. Era ancora lì, incapace di aprire quella maledetta porta, che mi fissava in un modo strano. Alzai un sopracciglio e lui parve riscuotersi.
-Ehm... mi chiedevo... cioè... tu sei... hai... bisogno di una mano?-, domandò a scatti, come un automa. Doveva costargli una fatica pazzesca pronunciare quelle poche parole di cui non doveva essere sicuro nemmeno lui, lo vedevo.
Sorrisi il più naturalmente possibile.
-Tranquillo, ce la faccio. Vai pure, non sto via tanto. Devo solo... uhm, andare al bagno-. E ripresi la mia lenta traversata del corridoio senza più guardarmi indietro. Solo dopo qualche secondo udii il cigolio della porta che si chiudeva, e solo allora appoggiai la schiena al muro e mi ci lasciai scivolare contro. Ero stanca, no, di più, ero senza forze, prosciugata, e non a causa dell'epica impresa di spostarmi ovunque su una gamba sola. Appoggiai la testa alle ginocchia (anzi, al ginocchio, l'altro dovevo mantenerlo disteso, per la caviglia) e desiderai di rimanere per sempre lì, a diventare parte integrante di quell'orribile tappezzeria a fiori, o magari mi avrebbero usato come tavolino, appoggiandomi sopra vasi di fiori e penne che non scrivevano...  
Persa nelle mie fantasticherie, mi ritrovai a ripercorrere le vicende di neanche tre ore fa. Rabbrividii sorprendendomi a risentire con una chiarezza inquietante il sinistro scricchiolio del mio piede, impigliato nella traditrice cintura di sicurezza dell'auto di Tom. Davanti alle mie palpebre chiuse, rividi come l'immagine di un proiettore, sbiadita e confusa, il marciapiede avvicinarsi sempre di più e l'agghiacciante sorpresa accumularsi nella mia testa. Chiusi gli occhi e scacciai la remota sensazione di dolore, senza però poter fare a meno di massaggiarmi la caviglia. Cazzarola, aveva fatto un male cane!
E attraverso i finestrini scuri della Cadillac, rivissi la corsa verso l'ospedale, punteggiata dai frequenti battibecchi fra Tom e Axel come unici compagni. La strada mi era sembrata un mare di sabbia, morbido e continuo, e se non avessi avuto la continua fitta al piede come ancora al mondo reale, sarei precipitata nel Paese delle Meraviglie.
Sorrisi mio malgrado al ricordo del medico che mi aveva curata, il Doktor Spritze(*): bravissimo, non c'è che dire. Ci aveva messo un attimo a fasciarmi tutto il piede, e grazie alle sue chiacchiere non me ne ero praticamente accorta. In meno di dieci minuti mi trovavo impomatata, fasciata e rifasciata, a salutare dalla porta il dottore, sostenuta da Axel, che doveva sorreggermi ad ogni passo praticamente... Tom, notai, si era allontanato subito verso la sua adorata macchina, ma durante la delicata operazione mi aveva tenuto sempre la mano. In fondo in fondo non era così duro come voleva sembrare...
Avvolta com'ero dall'abbraccio dei miei pensieri, non mi accorsi che qualcuno stava salendo le scale finché non mi inciampò addosso, letteralmente (be', era anche colpa mia, che avevo scelto di perdermi nelle mie fantasie proprio in mezzo al passaggio!). Quasi non sentii le rudi imprecazioni che sputò fuori il malcapitato, coperte com'erano dalle mie maledizioni rivolte al malcapitato. Lacrimando, racchiusi fra le mie braccia la gamba offesa e inveii ancora un po' contro l'attentatore del mio arto inferiore. Porca paletta, adesso avevo pure l'ematoma sul polpaccio, maledetto quel figlio di...
-Non ci posso credere! Milla! Cosa fai tu qui?-. Mi morsi la lingua per fermare il fiume di bestemmie che avrebbe fatto impallidire uno scaricatore di porto. No, di nuovo questa scena no! Gli incontri a sorpresa tipo “C'è posta per te” avevano portato solo guai. Chi altri dovevo aspettarmi venisse annunciato dalla De Filippi?!
Alzai la testa e mi cascò la mascella.
-Georg? Cosa ci fai tu qui? Voglio dire, vivi qui, ma... Aspetta, aspetta, è stata una domanda stupida... Dove sono Bill e Gustav? Dove siete stati? Tom era in pensiero, anch'io naturalmente, invece penso che Axel non sappia nemmeno chi siate, o almeno a me non l'ha mai detto...-. Georg alzò le mani e dovetti zittirmi.
-Ferma ferma ferma... Allora, innanzitutto noi eravamo in pensiero per te. Siamo stati finora a cercarti in lungo e in largo, abbiamo perfino scassinato una macchina (quella di Saki) e pensavamo al peggio. Vederti spuntare qui direi che è stata una sorpresa più grande per me che per te, devi raccontarci tutto! E chi è questo Axel?-.
Presi fiato, pronta a lanciarmi nel resoconto delle ultime ore, ma alla vista di altre tre paia di piedi che per poco non investivano la mia gamba di nuovo, preferii aspettare la domanda che ormai era diventata un rito.
-Milla! Cosa ci fai qui?!-.
Sorrisi fra me e me e mi attaccai al muro come una sanguisuga per alzarmi in piedi, sotto gli sguardi costernati di Bill, Gustav e Saki.
Sospirai e mi spostai una ciocca ribelle dietro l'orecchio.
-Sentite, facciamo così. Voi mi aiutate a saltellare dentro e io, Tom e Axel vi spiegheremo  tutto. Forza, datemi una mano-.
Mi abbarbicai a Georg, mia stampella provvisoria ancora sbalordita, e mi trascinai lentamente in direzione della camera di Tom.
Dietro di me, in un sussurro appena udibile, sentii Bill mormorare a Gustav:
-Ma chi è questo Axel?-.


***
(*) Dottor Siringa... I casi della vita! xD


Sono di nuovo qui, bimbe mie! Casi di forza maggiore mi impediscono di ringraziare tutte le recensitrici, ma la prossima volta sbrigherò gli arretrati, promesso! Sappiate comunque che vi abbraccio tutte per il meraviglioso supporto morale che mi date, e vi vorrei riempire tutte di bacetti, anche le lettrici e coloro che mettono nei preferiti. Contate che l'abbia fatto. Vi saluto, ci rivediamo col capitolo 14!
P.S. Scusate eventuali errori di grammatica o battitura, non ho avuto il tempo di ricontrollare. Bacio! :*

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Capitolo 14
*** *CAPITOLO 14* ***



*14*

 

Mi sentivo strana a parlare con sette paia di occhi curiosi puntati addosso. Forse perché non ero abituata ad avere un mio pubblico. Avevo l'impressione di poter perdere il contatto col pavimento da un momento all'altro e il rivestimento soffocante alle pareti non contribuiva a consentire il libero flusso d'aria al cervello.
Deglutii il fastidioso groppo che mi bloccava la gola e mi lanciai il più disinvolta possibile nel racconto delle ultime ore, dalla cena al McDonald fino all'ennesima prova del madornale decentramento del fulcro del mio equilibrio.
Raccontai loro delle conseguenze dello scherzo giocato a Tom (“Stupidi noi!”, si lamentò Bill), del fatto che io e lui rimanemmo soli ad aspettare l'auto, della breve conversazione avvenuta fra noi e... e a questo punto mi interruppi, imbarazzata. Dovevo raccontare loro anche ciò che era successo nella stradina oscura? Con gli occhi cercai quelli di Tom, per chiedere una conferma o un diniego. Il suo sguardo però, apparentemente disinteressato, era concentrato su qualcosa fuori dalla finestra, qualcosa che io non potevo scorgere dalla poltroncina dove mi trovavo. Mi distolsi con riluttanza dal profilo del chitarrista e mi rivolsi di nuovo alla piccola platea che ormai pendeva dalle mie labbra, desideroso del mio racconto.
-Be'... noi, a un certo punto... abbiamo... non direi proprio “litigato”, però io sono scappata via e Tom ha preso ad inseguirmi... e poi è capitato un vicolo buio...-. Mi interruppi e sussultai, trafitta dallo sguardo nocciola di Tom, quello in carne e ossa davanti a me, che si girò a fissarmi negli occhi con un'intensità mai avuta. Era uno sguardo ammonitore, quasi feroce, lo stesso sguardo che rivolge un assassino alla sua vittima che cerca di chiedere aiuto; “prova a dirlo e...”, mi dicevano quelle pupille fisse, così penetranti, e nonostante avessi dovuto provare timore, o almeno un brivido freddo lungo la schiena, sentii invece il cuore accelerare di botto e la stanza farsi sfocata ai limiti del mio campo visivo, concentrata com'ero solo su Tom; perché in fondo quello sguardo era un invito, un'esca succulenta tesa sopra la mia testa, in alto, dove non potevo prenderla se non saltando. Allora perché non farlo?, mi chiesi, ipnotizzata com'ero da quel nocciola dai riflessi ambrati.
E poi il ragazzo volse ancora una volta altrove quelle iridi di ghiaccio e fuoco, lasciandomi inconcepibilmente assetata di quegli occhi, affamata di uno sguardo che avrebbe potuto convincermi a buttarmi da un grattacielo solo per poter sentirlo legato al mio ancora una volta...
Un educato colpetto di tosse che lasciava trasparire tutta la curiosità di un pubblico impaziente e io mi accorsi di colpo di avere un corpo e una bocca da usare. Scrutai velocemente i visi più o meno affascinanti che mi circondavo, in attesa, cercando di riprendere fiato mentre mi inventavo qualcosa da dire. All'improvviso mi sentii stanca, esausta, come se quello sguardo durato pochi secondi mi avesse prosciugato.
-... e nel vicolo, noi... ehm... abbiamo litigato. Ancora. Di brutto. Poi Tom se n'è andato via lasciandomi lì e poco dopo ho incontrato Axel-, indicai con uno sventolio della mano il ragazzo moro seduto accanto a Georg, che mi sorrise.
Sospirai e ripresi. E andai avanti, avanti, avanti, finché gli occhi non cominciarono a chiudermisi e decisi di lasciar perdere i dettagli e concludere questa maledetta storia.
-... abbiamo giocato a carte e poco dopo siete arrivati voi. E questo è tutto-. Sorrisi timidamente al mio pubblico, tamburellando nervosa con le dita sui braccioli foderati, e arrossii violentemente quando Bill si alzò in piedi battendo le mani.
-Siediti, idiota!-, brontolò Tom trascinando per terra accanto a sé il fratello. Bill gli mollò uno scappellotto dietro la nuca, al quale il rasta rispose con entusiasmo.
Rimanemmo ad osservare i due che lottavano e ridevano per qualche minuto, poi Georg, stanco quanto me all'apparenza, si alzò e si stiracchiò.
-Be', io vado a nanna perché sono distrutto. Sono contento che non ti sia fatto niente, Milla-. Accennai con la testa alla mia caviglia tutta fasciata e alzai un sopracciglio. Rise. -Be', quasi nulla! Però poteva andarti molto peggio, lo sai... Gustav, vieni?-.
Il batterista si rizzò in piedi agile, fresco e riposato, salutò tutti con un cenno della mano sparendo in un baleno oltre la porta. Georg si soffermò un momento appoggiandosi allo stipite e si voltò.
-Rimani qui per stanotte, Milla?-, mi chiese osservandomi da sotto in su con i suoi occhioni verdi.
-Ehm...- balbettai presa alla sprovvista. Non ne avevo idea. Anzi, dopo tutto quel parapiglia mi ero completamente dimenticata di possedere una casa che non fosse quell'albergo; sì, perché ormai quell'hotel ultralusso era diventato come un rifugio, un porto sicuro per me, e non per merito dei costosi soprammobili o degli imponenti soffitti...
Lanciai un'occhiata in tralice a Bill, che immobilizzato sotto al fratello, aveva ascoltato tutto.
-Certo che rimane qui! Non la lascio andare in giro così!-, esclamò scrollandosi di dosso Tom (che fece una specie di capriola all'indietro imprecando a più non posso) e si rialzò sistemandosi la maglia.
Gli sorrisi grata e mi rivolsi ancora a Georg.
-Allora, se per caso stanotte non riesci a dormire, puoi venire a fare un salto nella mia stanza...-, mi fece l'occhiolino il bassista. Sbuffai non riuscendo a nascondere del tutto quanto in realtà fossi lusingata da quelle attenzioni.
-Non contarci! Buonanotte!-, salutai con la mano e gli soffiai un bacio.
-Notte! Ci vediamo domani mattina-, mi strizzò un'altra volta l'occhio prima di chiudersi la porta alle spalle.
Già, ad una cosa non avevo proprio pensato: dove avrei dormito quella notte?

 Quasi avvertendo il mio pensiero, Axel, che era rimasto buono e in silenzio fino a quel momento, si alzò e mi si avvicinò con circospezione, quasi intimorito. Non dovevo avergli fatto una buona impressione quando gli avevo urlato in faccia tutta la mia irritazione nei suoi confronti: la sua principessina di vetro all'improvviso si era svegliata e aveva tirato fuori degli artigli capaci di graffiare...
Un vero trauma.
-Bel discorso...-, mormorò con gli occhi che ridevano. - Dovresti tenere delle vere e proprie conferenze come questa, scommetto che non si addormenterebbe nessuno!-.
Accennai un sorriso. Questo era una sua maniera velata di chiedere di perdonarlo, ma se lo conoscevo bene sapevo che le vere scuse sarebbero arrivate fra poco.
-E' un bel gruppetto-, constatò accennando a Bill, Tom e Saki che conversavano vicino alle finestre. - Li conosci da tanto?-.
Feci spallucce.
-Due anni circa...-. Perché ci metteva tanto ad arrivare al sodo? Perché non si decideva a dirmi quello che lo tormentava?
-Ma li hai incontrati solo oggi, vero?-.
-Sì...-.
-Grazie a un meet&greet o cosa...?-.
-Axel-, ammonii. Ero stanca delle sue chiacchiere vuote...
Silenzio.
-Dormi qui per stanotte?-, mi chiese con una punta di amarezza nella voce.
-Sì, Bill ha detto che non mi lascia tornare a casa adesso, vista la mia condizione e tutti i casini che sono successi oggi-.
-È carino a preoccuparsi tanto per te-. E adesso cos'era questo tono rassegnato?
-Infatti, un vero tesoro!-. Fargli del male, solo questo mi importava...
-Immagino ti offrirà di dividere la sua stanza-. Rabbia.
-Se lo fa credo che potrei perfino accettare...-. Freddezza.
-Penso che prenderò anch'io una camera... Se Bill non si fa avanti, puoi venire a stare da me per la notte, magari...-. Supplica.
-Ci penso-. Pietà.

 Che ci stava succedendo?

 -Ah, prima, quando stavi raccontando la storia, mi è sembrato... non so, forse è solo frutto della mia immaginazione, ma ho avuto il sospetto che avessi omesso qualcosa...-.
Il mio cuore saltò un battito.
-... un pezzo di puzzle importante per riuscire a vedere il quadro generale...-.
Altro battito. Axel mi fissò negli occhi, no, forse sarebbe più giusto dire che si infilò nei miei occhi.
-Che è successo davvero in quel vicolo, prima che ti incontrassi?-.
Il cuore stavolta accelerò all'improvviso, facendo fluire altro sangue alle guance, che mi si imporporarono traditrici.
-Niente. Abbiamo litigato, tutto qui-, e abbassi la testa dichiarandolo, incapace di sopportare lo sguardo del ragazzo che mi trafiggeva il petto con mille spilli.
-Davvero? Solo litigato, dici? E quel succhiotto sul collo da dove spunta fuori? Te lo sei forse fatta da sola?-, chiese acido.
Mi portai una mano alla gola, tastando come se fossi cieca, aspettandomi quasi di sentire la prova di quel piccolo peccato in risalto.
-Questi non sono affari tuoi!-, balbettai. Ma che senso aveva mentire ormai?
Axel rimase in silenzio, la testa bassa, i pugni chiusi, lo sguardo distante; poi si accucciò davanti a me prendendomi dolcemente la mano premuta sul collo e giocherellando con le mie dita. Mi faceva una tenerezza infinita, dannazione!
Dopo secondi interminabili, infine il silenzio si ruppe assieme alla palla di tensione che ci avvolgeva.
-Hai ragione... Scusa-.
-Per cosa?-, sussurrai addolcita. Un sospiro, suo e mio.
-Per tutto. Perché mi sono intromesso nella tua vita, perché so di non essere la persona che cerchi, perché non riesco ad aspettare... Ce ne sono tanti di perché-.
-Axel, ascolta...-, cominciai, ma le sue dita poggiate dolcemente sulle mie labbra mi interruppero.
-No, aspetta, lasciami finire... Vedi, non so cosa mi succede, e forse sarebbe meglio se non lo sapessi, se facessi finta di niente, ma non sono bravo a mentire, men che meno a me stesso. Sto ancora tentando di convincermi che io mi sia solo fatto prendere dal... dall'entusiasmo, dall'adrenalina, chiamala come vuoi!, insomma, non ti vedevo da cinque anni! E poi all'improvviso mi sei spuntata davanti, e mi hai preso completamente alla sprovvista. Ti ho vista cambiata, sempre la Milla che conoscevo, ma diversa, più adulta, più matura... più bella-.
Sentii le mie guance andare a fuoco quando il suo sguardo di cielo e mare penetrò il mio.
-Hai una ragazza...-, balbettai debolmente. Non riuscivo a credere che potesse farle questo! Lui rise, un frusciare di morbida seta alle mie orecchie, e mi guardò come se fossi una bambina, una piccola bimba ingenua.
-Non sto dicendo che la lascerò, no! Stai tranquilla!-, e abbassò nuovamente lo sguardo apparentemente attento alla mia fasciatura, ma un sorriso amaro si tese sul suo volto pallido.
-... almeno non subito...-.
Mi alzai di scatto, facendolo sobbalzare.
-Axel, NO!-, urlai. - Non puoi fare una cosa del genere, non per me!-.

 Il silenzio era calato nella stanza incredibilmente in fretta, come se qualcuno avesse aspirato tutta l'aria. Le fredde luci artificiali creavano un contrasto surreale con i raggi soffusi di una luna distratta che faceva capolino dalla finestra, sorniona spettatrice della scena in atto.
Sentivo gli sguardi di tutti i presenti premere con violenza su di me, ma non me ne importava: volevo solo ritrovare gli occhi di Axel, volevo che ridesse, mi scompigliasse i capelli come faceva sempre quando mi prendeva in giro e mi dicesse che era solo un fottuto scherzo. Ma allora perché non sorrideva?
Le pareti opprimenti cominciarono a girare all'impazzata attorno a me mentre ripetevo mentalmente la conversazione. Non io, non Axel! Non il mio Axel, l'Axel dei giochi all'aperto, sull'altalena, sullo scivolo, delle merende a base di pane e cioccolata a casa sua, di tutti quegli scherzi, tutte quelle chiacchierate innocenti prive di peso; non ci eravamo mai considerati un maschio e una femmina, solo dei buoni amici. Perché ora doveva rovinare tutto, il nostro star bene insieme, il rapporto che faticosamente avevamo costruito, tutto?!
-Ti prego...-, mi ritrovai a bisbigliare, ignorando i rumorosi tentativi di far conversazione di Bill per dirottare l'attenzione da noi. - Ti prego, dimmi che non è vero...-.
-Milla, siediti! La tua caviglia non...-.
-Affanculo la mia caviglia, non mi fa male!-, strillai liberandomi della sua presa gentile sulle spalle. A smentire le mie parole, una fitta acuta nata dal piede e corsami su fino alla schiena sottoforma di scossa elettrica mi fece gemere.
-Milla, per favore, siediti!-, ordinò con fermezza Axel. Alzai la testa, sentendo gli occhi pungere e riempirsi di maledette lacrime.
-Non puoi farle questo, no... Dimmi che stavi scherzando... Dimmelo, ti prego!-, mormorai accasciandomi sulla poltroncina come un orsetto di pezza svuotato della sua imbottitura.
Axel sospirò e si appoggiò ai braccioli foderati della mia sedia, proprio come aveva fatto quasi un'ora prima. Sembrava molto più vecchio, improvvisamente... e io mi resi conto di non voler affatto conoscere la risposta. Mi raggomitolai su me stessa e attesi.
-Come ti ho appena detto, io non sono un bravo bugiardo, perciò non te lo dirò solo perché è quello che ti fa comodo sentire. I sentimenti non si possono appallottolare e nascondere in un angolo, e anche se sono scomodi e fanno male, vanno accettati...-.
Rimasi in silenzio. E dei miei sentimenti, che ne dovevo fare?
-Da quanto te ne sei... reso conto?-, fu il primo roco sussurro che riuscii ad articolare.
-Da quando te ne sei andata-.
-La tua ragazza dovrebbe saperlo. Non è giusto che tu le menta così-.
-La chiamerò il prima possibile-.
-Ti aspetti una risposta, da me?-.
-No. Per ora mi accontento di averti fatto capire cosa provavo nei tuoi confronti-.
-Certo... Vorrei andare a dormire adesso, se non ti dispiace-.
Axel si scostò e mi porse un braccio per appoggiarmi, che ignorai.
-Bill-, chiamai debolmente. Il cantante si voltò. Non sorrideva. Aveva ascoltato tutto, ovviamente. Quando mi raggiunse, mi sostenni immediatamente a lui.
-Posso dormire in camera tua?-, bisbigliai. Non avevo più voce. Ero... vuota?
-Certo! Ti cedo il mio letto, ho un divano comodissimo che non vedevo l'ora di provare!-, esclamò sorridendo.
-Grazie...-, e insieme, arrivammo alla porta, un saltello e un passo, un saltello e un passo. Non cercai lo sguardo di nessuno, nemmeno quello di Tom. Voltai le spalle a tutti e poi... Fuori, finalmente.
-Aspetta un secondo qua-, mi disse dolcemente Bill facendomi appoggiare al muro. Tornò alla porta e l'aprì. Non vedevo all'interno, ma potevo scommettere che ogni cosa era ancora così come l'avevo lasciata, come congelata.
-Saki?-, sentii chiamare piano Bill. In pochi secondi l'omone uscì fuori e ci fu accanto.
- Potresti andare tu a prendere la chiave della mia stanza alla reception?-, domandò il ragazzo.
-Vado-, annuì la guardia del corpo, e trotterellò docilmente giù per gli scalini percorsi da un tappeto rosso. In poco tempo, scomparve oltre il baratro delle scale.
-Andiamo a fare la nanna adesso, ok?-, mi sussurrò amorevolmente Bill avvicinandosi e accarezzandomi goffamente la testa. Non appena pronunciò questa frase, scoppiai a piangere, liberando infine le lacrime che avevo trattenuto in presenza di Axel.
-Ehi, ehi, che succede? Va tutto bene, calmati...-, esclamò il ragazzo a mezza voce, stringendomi forte a sé.
No, non andava tutto bene. Il mio mondo, così come lo conoscevo, si era appena sbriciolato sotto i miei occhi. E mentre mi aggrappavo alla maglia umida di Bill come se fosse la mia unica ancora di salvezza, non potei non pensare che da ora niente sarebbe mai più stato come prima.

 

***

 

Salve a tutte, anime perdute che leggete questa fan fiction! Prima di procedere con i ringraziamenti, volevo avvisarmi che probabilmente fra qualche capitolo *Vuoi proprio saperlo? Be’, ti ODIO!* si concluderà (si prepara al lancio di scarpe). Grazie al sostegno di qualche mia amica via msn, ho raccolto abbastanza idee per finire questa fan fiction, che spero, vi sorprenderà fino alla fine! ^___^  
Non preoccupatevi, mi avrete ancora fra i piedi per almeno altri 5-6 capitoli, poi mi leverò finalmente dalle scatole! Anche se starei prendendo in considerazione l’idea di fare un seguito... Vi avviserò nel caso! E ora, ringrazio tutti i lettori, i “mettitori” fra i preferiti e i recensitori, cioè:

 >_Glossy_:  La Georg-stampella bisognerebbe essere brevettata! xD Secondo me sfonderebbe il mercato! La Milla è sempre la Milla, Axel è un egoista (sta cominciando a essere antipatico anche a me °___°) e Tom... deve svegliarsi! La caviglia comunque se l’è solo slogata, per fortuna, niente di troppo serio, insomma, anche se secondo me Milla sfrutterà la situazione per essere un po’ coccolata... Ma non dico niente! ^__^
Saki è il mio mito, e non serve dire altro. Ci vediamo nel prossimo capitolo, grazie x aver commentato! Un bacio...
>billy_72: Sono contenta che la mia storia ti stia piacendo sempre di più! Continua a seguirla e ne vedrai delle belle! Per l’ “aggiornare presto”... Be’, mi sto attrezzando! Besos!
>Virginia91: Sì, quei tre svalvolati di Bill, Gustav e Georg ce l’hanno fatta anche stavolta a corrompere la legge, anche se Saki è tornato subito indietro e li ha sgamati ancora prima che arrivassero al Mc... Ma questa è un’altra storia! xD  Ormai non mi spavento più perché anch’io sono diventata così pazza (la vicinanza con la vera Milla fa male al cervello, ho paura... °__°). Per la statua, la strada e la villa mi sto organizzando... Te le recapiterò tutte  al più presto se mi dai l’indirizzo, però la tariffa per i trasporti pesanti te la paghi tu! ù__ù
Ecco, sono partita... Mi fermo qua, o non so che potrei scrivere! Grazie mille per aver recensito, al prossimo capitolo! Kussen...
>pandina_kaulitz: Eh già, B,G&G hanno fatto tutta quella fatica per niente, ma almeno non hanno combinato dei veri e propri danni (senza contare la macchina di Saki...)! Aggiornerò il prima possibile! Kisses!
>billa483: La povera Milla si è davvero sgolata per raccontare tutto da capo, e poi hai letto che casino è successo! XD Spero che questo chap non abbia deluso le tue aspettativa! Alla prossima! Bacioniiii...
>CAMiL92: E non poteva mancare lei, la Fedelissima! xD
Scuse accettate, anche perché mi par di capire che l’uso del pc a casa tua non dev’essere proprio permesso al 100%... L’importante è che alla fine tu l’abbia letto (lo sai che mi fai tantotanto felice con i tuoi commenti, no?^^), anche se mi dispiace tu abbia dovuto subire la F.M. (“Furia Mammesca”. Io la conosco bene, te lo assicuro! °-°)! Sono contentissima che il capitolo scorso ti sia piaciuto tanto anche per la fondamentale parte del tuo “Moritz” (sai, non avevo neanche pensato a te, Giorgio mi è venuto naturale da sfruttare come stampella... O_o), e per la rivalità fra i due baldi giovanotti (che si aggraverà di brutto nel prossimo capitolo... Io non ho detto niente, eh!).
Tutti quei “bravissima” non li merito, ma grazie lo stesso, tesoro! ^///^
Al prossimo capitolo! Besosssss... (ma a msn non ti connetti più?)
>ToMSiMo: Perché Saki si meriterebbe di peggio?! Noo, poverino! È anche troppo bravo a tener dietro a quelle 4 pesti, meriterebbe un premio secondo me! ^__^ Sono contenta comunque che ti sia piaciuto il capitolo, alla prossima recensione! Kuss...
>Arina: Salve a te, cara mia! ^^ Ti dirò, non so nemmeno se in Germania giocano a scopa, ma è il gioco perfetto per Tom e non potevo non inserirlo da qualche parte (sono una pervertita... °-°). Non mi dispiace affatto se anche mi ripetessi 20000 volte quanto ti piace questa storia (a volte il mio ego ha bisogno di qualche soddisfazione)! xD
Non credo di averci messo tantissimo a postare, no? (seeeh...-_-‘’)
Be’, ci vediamo nel capitolo 15! Kissssssssss...
>SusserCinderella: Ecco perché non ti connettevi più a msn, eri andata in vacanza? Non importa, tanto i miei capitolo sono sempre qui ad aspettarti (sembra più una minaccia che un affermazione... °__°)
Comunque mi fa piacere che ti abbia fatto ridere il capitolo... Alla prossima! Baciotto.


Dunque, un ennesimo grazie a tutte, siete davvero dei sostegni morali per me!
Che dovevo dire...?
"Mi piace da morire questa faccina >> °__° ”
No, non era questo... Ah, sì!
“Informazione di servizio: l’autrice sarà assente durante il periodo che va dal 18 al 24 agosto, causa vacanza in montagna con la famiglia”.
Non faccio certo i salti di gioia, però mi tocca andare se voglio mantenere la mia libertà vigilata... Durante quella settimana però probabilmente scriverò un sacco, ed è probabile che posti anche appena tornata a casa! ^__^
Ci vediamo nel capitolo 15! Bye bye! Vi voglio bene! <3

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Capitolo 15
*** *CAPITOLO 15* ***



*15*



Il mio respiro lento e regolare creava un alone sempre più grande lungo la superficie liscia e trasparente del vetro, al quale ero appoggiata da ormai una decina di minuti. La mia città, Berlino, era racchiusa lì fuori, oltre la finestra, con i suoi rumori, i suoi odori e le sue luci così familiari. Sospirai, appannando e cancellando il timido riflesso del mio viso che ricambiava lo sguardo malinconico che rivolgevo alle stelle. La giornata più lunga della mia vita stava finendo, ma avrebbe strascinato nei giorni, nei mesi e forse negli anni a venire una parte di sé che sicuramente mi avrebbe accompagnato per sempre. Il destino sembrava proprio non darmi tregua. Sospirai chiudendo gli occhi e rabbrividii. Avevo freddo, probabilmente a causa di qualche spiffero dispettoso filtrato dalle fessure invisibili della finestra, perciò mi strinsi nel pigiama troppo grande e mi spostai verso il centro della stanza per andare a sedermi sul lettone. Era indubbiamente una camera lussuosa, pensai guardandomi intorno, non mancava niente. C'erano la tv, il minibar, il lettore dvd e perfino una Playstation 3, oltre, ovviamente, al letto matrimoniale sul quale ero seduta, un divano e una sedia a dondolo agli angoli opposti della stanza. Si trattavano mica male, 'sti ragazzi!Di certo non avevano paura del conto... Provai a fare un breve calcolo mentale per stabilire quanto dovessero sborsare a notte per un trattamento così, ma mi venne il mal di testa solo a fare una moltiplicazione e pensai subito a qualcos'altro. Bill era appena andato a fare una doccia e considerati i tempi che impiegava solo per truccarsi mi aspettavo di addormentarmi prima di vederlo riapparire fra fumi e vapore.
Inquieta, incapace di rimanere ferma ancora un solo secondo, presi a girovagare qua e là, toccando questo o quel soprammobile e ogni tanto gettando un'occhiata alla grande finestra sopra il divanetto come per colpa di chissà quale strano tic nervoso. Era una notte fresca e stellata, così bella e struggente alla mia vista anche attraverso i vetri opachi e pieni di ditate (le mie), che mi pareva una presa in giro del mio stato d'animo: se il cielo avesse dovuto assecondarmi a adattarsi al mio umore, fuori si sarebbe dovuta scatenare una tempesta coi fulmini, le saette e quei goccioloni di pioggia che ti schizzano la porta rimbalzando sugli scalini e ti allagano l'atrio. E invece la notte era limpida e chiara, le stelle brillavano più che mai e nessuna nuvola sporcava la perfezione di quel cielo di morbido velluto (a proposito di velluto, per fortuna nella stanza di Bill non ce n'era nemmeno una strisciolina: le pareti erano vestite di quella orrenda carta da parati a fiori del corridoio e il divano era di soffice ciniglia). Mi risedetti impaziente sul bordo del letto sconfinato e presi a battere il tempo col piede seguendo il ritmo di “Beat it”, chissà come affioratami nella mente così all'improvviso, indecisa se mangiarmi o no l'unghia così invitante del pollice.
Il tempo passava e stavo giusto decidendo se alzarmi per andarmi a prendere una coca cola, quando dal bagno uscì Bill, in pigiama e coi capelli ancora umidi e ribelli. Se li stava strofinando energicamente con un asciugamano ma non appena mi vide se lo avvolse attorno al collo come nel video di “Ich bin da” e venne a sedermisi accanto.
-Hai fatto presto!-, gli dissi, stupita. Lui rise, infondendomi dentro una calma che non avevo mai avuto grazie al semplice suono della sua voce.
-Sì, tutte si aspettano che persino per farmi una doccia veloce ci debba mettere un'eternità, ma come hai potuto vedere tu stessa, quindici minuti mi bastano e avanzano-. Sorrise, liquidando così l'argomento, ma io non mi lasciai sfuggire una particolare parola detta con voluta noncuranza.
-“Tutte”? Vuoi dire che molte ragazze hanno avuto l'occasione e la fortuna di constatare coi loro occhi che Bill Kaulitz non impiega più di quindici minuti per farsi una doccia?-, puntualizzai con malizia. Difficile stabilirlo nella penombra e con la luce della lampada da comodino puntata negli occhi, ma ebbi l'impressione che Bill fosse arrossito. Si schiarì la voce.
-Non hai sonno?-, mi chiese allontanandomi una ciocca ribelle quasi asciutta dal viso. Scossi la testa. La doccia calda che avevo appena fatto mi aveva  rilassata, ma ogni volta che ripensavo a ciò che era accaduto solo poco tempo fa, ad appena un corridoio di distanza, la mia mente si allertava e non potevo far altro che percorrere avanti e indietro quei 4 metri di moquette, avanti e indietro, avanti e indietro, ossessivamente. Anche adesso dovevo sforzarmi di non balzare in piedi e consumare la moquette a forza di trascinarmici qua e là, anche perché probabilmente me l'avrebbero fatta rimborsare... Mi accorsi di battere il piede ancora più forte e ancora più veloce, provando a sfogare la mia frustrazione da animale in gabbia sconvolgendo i ritmi di una delle canzoni che adoravo. E in fondo, anche se non lo ero fisicamente ( in gabbia intendo), il mio cuore sì, lo era. Intrappolato senza via di scampo fra due morse di ugual forza, che lo stringevano, e stringevano e stringevano, facendolo sanguinare, sfinendolo poco a poco. Era un brutta situazione quella in cui mi trovavo e necessitavo di trovare una soluzione al più presto, ma cosa potevo fare? Come potevo abbracciare uno di loro e pugnalare l'altro? Non potevo, no, non avrei mai trovato la forza per farlo... Perché tutto doveva essere sempre così complicato?! Perché non potevo vivere da adolescente normale, senza incappare in ambigui chitarristi coi rasta e appiccicosi amici d'infanzia? L'unica risposta che riuscii a darmi fu: boh.
-Tutto bene?-.
La voce di Bill mi fece tornare alla realtà con un sussulto a dir poco teatrale. Mi girai a guardarlo e dalla sua espressione attonita capii di aver lasciato traboccare ancora una volta le mie emozioni. Mi toccai le guance: come sospettavo, erano bagnate. Maledissi la mia lacrima fin troppo facile in circa quattordici lingue compreso il kirundi (è una delle lingue Bantu più parlate nel Burundi oltre al francese, n.d.r.) e subito corsi ai ripari cercando di rassicurare il ragazzo al mio fianco.
-Ah, dici per... queste? No, figurati, non è niente, sto bene! Stavo solo... Non... Mi è andato qualcosa nell'occhio, sì! Vado a sciacquarmi il viso, torno subito...-. Provai ad alzarmi ma la sua mano mi trattenne. I risedetti e attesi, mesta, osservando Bill in tralice per paura di venire sopraffatta da quello sguardo.
-Milla...-., sospirò, e anche col viso rivolto al pavimento avvertii il suo alito profumato di dentifricio. Tutto di lui emanava un odore delizioso, e mi accorsi meravigliata di essermene resa conto davvero caso solo in quel momento, con gli occhi appannati dalle lacrime e le mani e i piedi intirizziti dal freddo; i suoi capelli erano dolci, di shampoo al miele forse, i denti freschi e bianchi di acqua e menta, e le sue mani, potevo sentirlo distintamente ora che erano posate sulle mie spalle, sapevano di smalto, una fragranza particolare, nera e tanto forte da farmi pizzicare il naso. E poi, ah, l'odore della sua pelle... Impossibile da descrivere. Sentivo il suo sguardo nocciola scrutarmi, quasi incendiarsi mentre scrutava ogni mio movimento; potevo avvertire l'intensità bruciante con cui quei due bagliori di fuoco racchiusi da due archi di folte ciglia scure catturavano la vera me. Stavo per cedere, ipnotizzata com'ero dalle iridi cangianti di quel ragazzo, a cui sentivo avrei potuto rivelare  anche il mio più intimo segreto. A un certo punto però Bill si mosse, spostò impercettibilmente la testa facendo oscillare i capelli e il suo aroma tornò a sferzarmi le narici. Chiusi gli occhi, tentando di imbrigliare e identificare quell'ammaliante essenza di cui era impregnato. Forse era vaniglia, forse cannella, oppure menta, mela, ma anche rosa... Forse semplicemente il suo odore, il profumo di Bill, unico, inimitabile ed estremamente attraente.
-Milla?-. Ancora una volta la sua voce mi trascinò fuori dal mio personale oblio. Riaprii lentamente gli occhi e sbattei più volte le palpebre per scacciare qualunque lacrima fosse rimasta attaccata alle mie ciglia. Finalmente potei scorgerlo chiaramente. I suoi occhi mi stavano ancora osservando, preoccupati, ansiosi. Dovevo averlo sicuramente sbalordito col mio comportamento, ma al momento non m'importava. Aprii la bocca per chiarire, spiegare, e la richiusi subito dopo. All'improvviso mi sentii stanchissima, troppo stanca anche per rispondere, come se la profondità di quegli occhi mi avessero prosciugata di ogni energia. Sbadigliai, avvertendo le palpebre farsi sempre più pesanti. La testa prese a ciondolarmi sul collo.
-Hai un buon profumo, Bill... Davvero buono...-, bofonchiai nella semi incoscienza. Sentii le sue mani sorreggermi per impedirmi di cadere in avanti, stringermi forte, farmi male. Mi sembrò di sentire un tuono in lontananza e un gocciolare dapprima timido poi sempre più forte. Abbandonai il mio corpo e scivolai nel buio.

***

-Cos'hai fatto?-.
Il ragazzo, accasciato sulla poltrona come un mucchio di vecchi stracci alzò lentamente lo sguardo su di me. Era stanco, indifferente e sulla difensiva. Digrignai i denti. Quanto avrei voluto saper sprizzare scintille dagli occhi... Pregai che la mia espressione e la mia postura tutt'altro che amichevoli compensassero quella mia imperdonabile mancanza. E come per magia, il ragazzo sulla poltrona mi fissò con più attenzione, improvvisamente rigido, e si sedette più dritto.  
-Niente. Che ho fatto?-, rispose Axel stupito, senza riuscire ad impedire alla sua voce di incrinarsi e spezzarsi sull'ultima sillaba. Sì, certo. Faceva finta di non saperlo, ma capiva esattamente di cosa stavo parlando. Mi chinai su di lui appoggiandomi minacciosamente ai suoi braccioli.
-Lo sai bene. A Milla. Era sconvolta. Che le hai detto?-. Ogni frase usciva come un ringhio. Sapevo fare il duro se mi impegnavo.
Io e Axel eravamo rimasti soli. Dopo essere andato a prendere le chiavi della stanza di Bill Saki non aveva più fatto ritorno, per lasciarci discutere senza essere chiamato in causa come paciere, probabilmente. O come arbitro.
Per di più aveva cominciato a piovere, forte, si stava scatenando una tempesta, e tutto quello che desideravo era schioccare le dita, chiamare qualche decina di bodyguards e sbattere fuori dall'albergo quell'idiota matricolato. Ma prima volevo, dovevo sapere di Milla ed ero pronto ad estorcergli la verità con le buone o con le cattive, se necessario...
Strinsi forte la poltrona, immaginando di riuscire a sbriciolarla fra le dita come un biscotto. Axel non era un colosso, ma oltre l'apparente fisico sottile si nascondevano dei bei muscoli; avrebbe potuto darmi filo da torcere nel caso avesse cercato di reagire. Contrassi gli addominali al solo pensiero di essere preso a pugni da uno come lui, e un timido raggio di speranza si fece strada nella mia mente avvertendo il bruciore soddisfacente dei muscoli che formavano una barriera compatta: neanche io ero così deboluccio. Le settimane di duri allenamenti in palestra erano davvero servite a qualcosa, oltre che a rendere ancora più eccitante il mio corpo già sovraccarico di potenza erotica. Sogghignai in faccia al ragazzo guardingo; potevo sconfiggerlo. E dimostrare a Milla quanto ero forte e come lei si sbagliasse nel considerarmi un cretino pappamolle (non me l'aveva ancora detto in faccia, ma era chiaro che lo pensava). Ripetei la domanda, con più calma.
-Cosa-le-hai-detto?-.
Axel sbuffò, spostando con fin troppa facilità il mio braccio conficcato perfino con le unghie nell'imbottitura della poltrona e si alzò dandomi le spalle.
Sembrò studiare con attenzione qualcosa di indefinito fuori dalla finestra, oltre la pioggia simile a una cascata, per un lasso di tempo interminabile, e stavo x perdere la pazienza e andare a scrollarlo per benino quando finalmente sospirò.
-Credevo avessi sentito-, mormorò a mezza voce.
-Non ho potuto, Bill faceva un sacco di versi assurdi e mi impediva di ascoltare-, ammisi stuzzicando col piede un buchino nel tappeto.
Axel ridacchiò e si girò a fissarmi con le braccia incrociate.
-È fin troppo corretto tuo fratello, vero?-.
-Ti ho fatto una domanda prima io, ora sii così gentile da rispondermi se vuoi che io faccia altrettanto-, dissi a denti stretti. Axel mi lanciò un'occhiata gelida.
-Così vuoi sapere cos'ho detto a Milla prima?-.
Annuii. Avevo tanto la sensazione che quel bellimbusto mi stesse prendendo in giro...
Il ragazzo avanzò con calma studiata fino ad osservarmi di sotto in su, ad un palmo dal mio naso. Poi si chinò al mio orecchio e mormorò solo:
-La verità-.
Il rombo assordante di un tuono spezzò l'immobilità dell'aria e un lampo incredibilmente vicino mi abbagliò per un momento, rendendo la scena già tetra di per sé ancora più macabra, cosparsa di ombre nascoste nei posti più impensabili. Un brivido freddo mi corse lungo la schiena mentre con occhi sbarrati fissavo Axel raddrizzarsi con lentezza studiata e scrutare la mia espressione. La vista mi si appannò e sentii il cuore battermi nelle tempie. Boccheggiai. Non poteva averle detto...
-Non puoi averle detto...-.
-Invece sì. Anch'io la amo. Da molto più tempo di te. Non potevo continuare a tenerglielo nascosto, e poi credo che un po' di sana rivalità non possa che farti bene, piccolo Tom-. Mi diede un buffetto sulla guancia e si allontanò di qualche passo. Ebbi l'irrefrenabile desiderio di correre a sfregare con acqua, sapone e magari della varechina il pezzo di pelle che le sue dita avevano sfiorato, invece rimasi immobile, ancora allibito.
-Non toccarmi!-, ruggii stringendo i pugni.  
-Oh, facciamo i preziosi? La fama dà alla testa, vero?-, ridacchiò.  
-Sta' zitto-. Stavo perdendo la calma e faticavo a smettere di tremare dalla rabbia.
Axel sospirò scuotendo la testa.
-Povero Tom... È brutto amare una persona senza essere ricambiati...-.
-Non ho mai detto di amare quella...!-.
-Oh, lo so che non l'hai mai detto, figurati, non mi aspettavo che ti abbassassi a un tale livello-, m'interruppe. -Ma vedi, a volte le parole non sono necessarie per farsi capire. E io riesco a comprenderti benissimo senza. Semplicemente si vede. Proprio qui-.
Si avvicinò rapidamente con il braccio teso e io istintivamente arretrai di un passo. Imperterrito, Axel coprì la breve distanza che ci separava e mi carezzò una guancia col dorso della mano, dallo zigomo al mento. Ebbi un fremito.
-Visto? L'hai sentito anche tu. Non puoi negarlo. Sei come un libro aperto per me. E quando Milla saprà ciò che provi...-.
Sciaf.
Axel barcollò all'indietro, la testa voltata sgraziatamente di lato, le labbra arricciate in una smorfia di sorpresa e dolore. Sul suo viso, cinque ombre rosse che erano il calco perfetto delle mie dita spiccavano come fuoco. Abbassai la mano, ansimando: per fortuna, all'ultimo secondo ero riuscito a schiudere le dita raggruppate fermamente in un pugno e a frenare un po' la caduta libera della mia mano; non volevo di certo rompergli la mascella, non avevo bisogno di altre complicazioni.
Malgrado la situazione tutt'altro che allegra, sorrisi fra me e me. Non gli avevo dato alcun preavviso, non aveva saputo nemmeno alzare un braccio per difendersi. Mi complimentai per gli ottimi riflessi che avevo acquisito. Il mio corpo si rilassò d'improvviso, ma il battito accelerato del mio cuore mi faceva ancora ronzare le orecchie, e in un primo momento, quando Axel parlò di nuovo, feci fatica a separare le parole da quel brusio fastidioso e dal gocciolio insistente del temporale fuori dalla finestra.
-Dunque è questa la tua risposta...-, scandì. Al solo suono della sua voce, la rabbia montò di nuovo. Cazzo, ma come faceva a mantenere quella freddezza?! I miei nervi si tesero di nuovo tutti insieme.
-No, è questa la mia risposta: vaffanculo!-, ringhiai. Axel si raddrizzò massaggiandosi lo zigomo gonfio e pulsante e mi squadrò con freddezza.
-Sei solo un ipocrita egoista. Ami Camilla ma non vuoi accettarlo, e non sopporti tuttavia l'idea che qualcuno possa portartela via. Non è un comportamento da vero uomo-, disse a mezza voce. Mi venne da ridere. Alzai gli occhi al cielo.
-Certo, parla il “vero uomo”. Quello che preferisce nascondersi dietro una storia ormai finita per far finta che tutto sia a posto, quello che vuole far credere di essere tornato in una fiammata di gloria e poi riprendersi la ragazza che in cinque lunghi anni sembrava aver dimenticato... Non sei tanto migliore di me, Axel-. Vomitai queste parole controllando a malapena la rabbia che mi premeva da dentro contro gli occhi, le mani e la bocca. Ovviamente la mia prima impressione di Axel si era rivelata giusta. Dietro quel bel faccino si nascondeva un'anima da serpente!
Il ragazzo mi guardò con tenerezza, incrociò nuovamente le braccia al petto e prese a passeggiare per la stanza.
-Tom, Tom, Tom... Così tu mi vedi come un'opportunista, uno sfruttatore? Proprio tu che, a quanto ho sentito, lasci entrare nella tua stanza una ragazza a sera per poi dileguarti e non farti più sentire?-. Mi guardò con compassione e mi accorsi con orrore di arrossire sotto quello sguardo.
-Stavamo parlando di te, non della mia vita sessuale...-. Mi stavo arrampicando sugli specchi, e il peggio era che lo sapevamo entrambi. Axel riprese a passeggiare osservando per bene la stanza, finché non tornò davanti a me ostentando il suo solito sorriso condiscendente e borioso. Ebbi la spiazzante sensazione di star vivendo un deja vu e mi riuscì faticoso concentrarmi sulle seguenti parole del ragazzo davanti a me.
-Noi siamo molto simili, lo sai, Tom? Certo, a differenza tua io non sono famoso, non suono uno strumento, non ho mai messo piede fuori da Berlino e ho avuto una relazione con una ragazza per ben più di una notte, però... Entrambi vogliamo la stessa cosa e siamo disposti a fare di tutto per ottenerla-.
-Io non sono come te!-, mi schermii. - Prima di tutto...-.
-Non sto parlando delle nostre differenze superficiali-, esclamò Axel a voce più alta del normale, interrompendomi. -Intendo le uguaglianze sostanziali che condividiamo. Devi guardarti dentro per capirle anche tu, e solo allora, forse, riuscirai a renderti conto di chi è il migliore fra noi due-.
Fissai il ragazzo a bocca aperta.
-Ma che cazz.. Segui un corso di yoga spiritual-qualcosa per caso?! Stai tentando di raggiungere il Nirvana?-, domandai ironicamente.
La risata chiara e forte di Axel fu coperta quasi del tutto da un altro tuono. Sempre ridendo il ragazzo si diresse alla porta. Si bloccò e si voltò a guardarmi.
-Mi ha fatto piacere parlare con te, Tom. Sarà divertente... competere con te!-. Sembrò ragionare sul verbo che aveva appena usato e a quanto pare lo trovò estremamente spassoso perché scoppiò a ridere ancora più forte. Mi soffiò un bacio e si chiuse la porta alle spalle.

[...]

Ormai stavo cominciando a perdere la sensibilità del sedere, lì accovacciato in corridoio davanti alla stanza di Bill. Con la testa tra le mani, seduto sul mio comodo letto, avevo meditato sulle parole così inappropriatamente vere che aveva detto Axel (me le sarei immaginate uscire dalla bocca di un vecchio eremita dai capelli e la barba bianchi che aveva girato il mondo per tutta la vita, non da uno sbarbatello confinato a Berlino!), poi, quando la mia testa rischiava l'esplosione, istintivamente mi ero diretto da mio fratello, ansioso di condividere con lui le mie emozioni traboccanti. Stavo già per entrare senza bussare quando mi ero ricordato che era anche la stanza di Milla, per quella notte, e lei era l'ultima persona che avrei voluto ascoltasse! Avevo lasciato scivolare via la mano dalla maniglia in ottone e mi ero seduto silenziosamente contro la porta a pensare, ancora, da solo, immobile e confuso. La conversazione appena avvenuta si ripeteva nella mia testa all'infinito. Le mani mi tremavano e quella destra scottava, come se il fuoco che era arso sul viso di Axel si fosse appiccicato anche alle dita che l'avevano colpita. Anche la mia guancia sinistra bruciava, dove Axel mi aveva accarezzato. Rabbrividii: sapevo che stava giocando con me come il gatto col topo, eppure ripensare a quel bacio dato apposta per confondermi ancora di più mi gelava il sangue. Bleah!
Mi osservai le mani, le braccia, la pancia, le gambe, i piedi... No, non ero simile a lui in nulla. Appoggiai una mano sul cuore e lo sentii scandire regolarmente il ritmo della mia vita. Chiusi gli occhi e provai a esplorare la mia mente, a guardarmi dentro, come aveva detto il bellimbusto, ma dopo qualche minuto di solo buio e silenzio sbuffai e mi alzai in piedi saltellando qua e là per far ripartire la circolazione al mio sedere atrofizzato. Sbadigliai. Era sicuramente molto tardi, avrei fatto meglio a tornarmene nella mia suite e provare ad addormentarmi, ma ero curioso... Chissà se Milla dormiva già? Probabilmente sì, aveva avuto una giornata davvero pesante, e l'ultima cosa che volevo era svegliarla.  Tuttavia non resistetti alla tentazione di socchiudere con cautela la porta per non fare rumore e sbirciare nella stanza buia. La luce di cortesia del corridoio disegnò una lama di luce lunga e affilata sul pavimento coperto di moquette che mi permise di distinguere con chiarezza i contorni della stanza. Scivolai nella camera silenziosa e mi chiusi la porta alle spalle.
Milla era là, accanto a me. Dormiva saporitamente su un fianco, gli occhi chiusi, il respiro regolare, il braccio sotto la testa. Alla quasi totale penombra distinguevo a malapena il suo viso a forma di cuore, i capelli sottili sparsi sul cuscino come un'aureola e le dita sottili chiuse in pugni delicati. Mi accucciai accanto al letto, sbirciando con apprensione la figura di Bill che russava sul divanetto troppo corto dall'altra parte della stanza, e carezzai la fronte alla ragazza, scostandole un ciuffo castano dagli occhi.
-E così mi sarei innamorato di te?-, mormorai pianissimo quasi sfiorandole la guancia con le labbra. Milla mugolò qualcosa senza svegliarsi e si girò a pancia in su. Sorrisi della sua tenera ingenuità, mi sporsi ad afferrare un cuscino dalla sedia a dondolo e mi ci sedetti sopra, osservando il lento alzarsi e abbassarsi del petto della ragazza. Nonostante la posizione non proprio comoda, con le ginocchia raggomitolate al petto e la durezza evidente del pavimento anche attraverso il cuscino, mi ripromisi di rimanere accanto a Milla tutta la notte.
Fuori, la pioggia continuava a scrosciare e il vento infuriava contro la finestra chiusa, annullando qualsiasi rumore, ed io, perso com'ero nella contemplazione della ragazza, non feci nemmeno caso che il russare leggero di Bill era scomparso e che un altro paio di occhi luccicanti mi fissavano nell'immobilità della stanza.


***

Bene, bene, bene... Salve! I'm here again! ^_^ Dunque, intendo subito precisare una cosa: Axel non è dell'altra sponda.  So che potrebbe risultare decisamente ambiguo in questo capitolo, ma il suo comportamente fa parte di una strategia ben precisa! xD
Passo subito a ringraziare che ha messo nei preferiti e chi ha solamente letto, grazie!, e nello specifico i recensitori che hanno avuto la pazienza di aspettare e che mi commenteranno per bene anche questo capitoletto, vero? Cominciamo!

>JulyTHFreiheit92: Nuova lettrice! Benvenuta! Sì, la povera Milla... Vedrai che il mondo tornerà a sorriderle presto, non disperare... ^^ Il seguito ormai è deciso che si farà, intanto continua a seguirmi! Un bacio...
>felpy: Altra lettrice! Benvenuta agli alcolisti anonimi! xD Scherzo, scherzo! Sono felicissima che la storia ti sia sembrata super-super-super carinissima e spero ti sia divertita anche a leggere questo capitolo! Ormai mi sa che tutte le lettrici di questa ff si sono "intrippate" a leggerla (evviva la modestia...), cercherò di aggiornare prestissimo! Un bacione-one anche a te!
>CAMiL92: La mia anima gemella! *___* Tesoro, sei troppo buona, non sai quanto piacere mi fanno i tuoi commenti modello rotoloni Regina! In effetti credo di essere migliorata un po' dal primo capitolo e un po' del merito va tutto a te che mi hai sempre sostenuta tanto! Cercherò di dare spazio anche al tuo Mortiz anche se questa storia è incentrata sul mitico triangolo Milla-Tom-Axel (chissà che non diventi pure in quadrilatero... Sshhhhh! Io non ho detto niente!). Purtroppo non posso dilungarmi quanto vorrei perchè la pappa chiama, ma sappi che Sì, il seguito ci sarà, giuro sul mio onore che mi impegnerò a scriverlo e a rispettarlo finchè l'ultimo capitolo non ci separi... xD Cerca di connetterti ogni tanto a msn! Ti voglio tanto tanto bbene, fedelissima del mio cuore! <3 Un besos! :*
>linny93: Bill, dici? Mah, non è mai detto... xD Continua a seguirmi, kusses!
>Virginia91: A chi lo dici, cara, a chi lo dici... Nemmeno un giorno dei miei monotoni 14 anni potrebbe eguagliare uno di quello della Milla! Ma d'altronde le ff sono fatte per sognare e io continuo a sperare che accada anche a me... T__T  Grazie per il consiglio sul Fastum (xD), lo consiglierò a Milla, e chissà chi si contenderà la pomata per spalmargliela sulla caviglia... xD Un kiss anche a te, al prossimo capitolo1
>Arina: Axel è fin troppo esplicito, Tommino invece è imperscrutabile *hero!, mantello al vento e rasta aggrovigliati dal vento, in piedi su un vaso di gerani sopra una terrazza a piano terrra* xD Anch'io qualche volta prenderei Tom a padellate (grazie dell'idea, chissà che non la usi nella storia!), però poi lo perdonerei anche, no? Il seguito si farà, approssimativamente ho detto 5-6 capitoli, ma probabilmente saranno di più... Anche tu sei una recensitrice miticissima, e, yo fratello, speriamo sì di beccarci! xD Basci e abbrasci... ^__^
>SusserCinderella: Sì, quello del bacio  è anche il mio preferito (evviva la modestia 2...), e Axel non poteva non portare guai, se non non ci sarebbe stata storia! xD Mi fa piacere sapere che  è una ff degna di me  (wow... O.o) , ma cosa intendi con "strana"? Un bacccccio!
>tokiohotellina483: Addirittura solo dal titolo l'hai messa nei preferiti! Accidenti! Come mai ce l'avete tutte con Axel, poverino? (in realtà sta diventando antipatico anche a me...). Anche se non si toglie dai piedi non ti deludo, vero? Al prossimo capitolo! Un mega bacio anche a te...
>pandina_kaulitz: Mi spiace aver ritardato così tanto nel postaggio (esiste?), mamma mi ha messo ai lavori forzati: ho dovuto sudare sui libri per finire tutti i compiti e ancora mi manca qualcosina... Ma alla fine ho postato, no? ^__^ Dai, il prossimo capitolo lo leggerai prestissimo, ok? Baciottis.
> tesorinely:  Sono contentissima che ti piaccia tanto  e ti prometto un seguito altrettanto avvincente! ^_^ Continua a seguirmi, al prossimo capitolo!
> billy_72: E' vero, quando Tom fa l'indifferente dà parecchio fastidio anche a me, e Axel... Be', è Axel! xD Ho paura che invece se Milla e Axel si metteranno insieme Tom avrà eccome da ridire! Ma non anticipo niente... Al prossimo capitolo!



Ecco qua! Dimenticato nessuno, vero? Scappo perchè la pasta si raffredda (e mia mamma si scalda i muscoli per venirmi a prendere di peso...) . Ci vediamo nel prossimo capitolo! Un bacio a tutte... <3



 

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Capitolo 16
*** *CAPITOLO 16* ***



*16*



Stavo sognando. Mi trovavo nella suite di Bill Kaulitz, il Vero Bill Kaulitz In Carne E Ossa, il quale mi aveva ceduto il suo letto e ora dormiva sul divano. E suo fratello, Tom, mi era accanto e mi guardava come mai aveva guardato nessun'altra prima, e sorrideva, e mi accarezzava dolcemente il viso. Non poteva trattarsi che di un sogno ovviamente, come ne facevo a centinaia da qualche mese a questa parte. Eppure era così nitido, così dolorosamente reale che temevo il momento in cui la sveglia avrebbe suonato e sarei stata obbligata ad aprire gli occhi.
Quando una luce fastidiosamente bianca mi accarezzò gli occhi ancora sentivo il calore delle dita di Tom, che avevano lasciato una scia infuocata sulla mia pelle. Mi aggrappai a quella sensazione per non dovermi svegliare e rotolai a pancia in su per sfuggire alla luce...
-Agh!-.
Il materasso venne improvvisamente a mancare portando con sé anche il mio stomaco sbalzato fuori dalla cassa toracica, e nel buio delle mie palpebre serrate avvertii solo un dolore acuto al centro della schiena quando colpii qualcosa di freddo e duro. Spalancai gli occhi e mi ritrovai molto più in basso di quanto mi aspettassi. Era un mia impressione o il soffitto si era alzato? Mi girava la testa... Con non poca fatica e sfregandomi gli occhi per mantenerli aperti quanto bastava per guardarmi intorno mi alzai a sedere guardandomi intorno, spaesata.
Ero caduta dal letto. Ecco perché, confusa com'ero da quella sveglia inaspettata, avevo creduto di essermi rimpicciolita! Non era la prima volta che mi capitava, in verità, ma episodi simili a questo erano accaduti esclusivamente molti e molti anni prima!
La mia attenzione venne attirata da un grumo di coperte sul divanetto che si mosse affannosamente fino a scoprire un viso diafano, disorientato e addolcito dal sonno.
-Che è successo?-, mugugnò Bill faticando a scandire bene il grumo di parole che gli si impastava in bocca.
Arrossii. -Niente... Sono caduta dal letto. Scusa se ti ho svegliato-. Mi infilai di nuovo sotto le coperte e mi appoggiai col gomito al cuscino, sostenendomi la testa. Gli occhi mi si stavano già richiudendo ma la mia mente era troppo vigile per rilassarsi.
Non era un sogno, pensavo furiosamente. Avevo davvero dormito nella stessa stanza di Bill Kaulitz...
Un'altra vampata di calore mi scaldò le guance. Sperai con tutto il cuore di avere un aspetto anche solo vagamente presentabile e presi a lisciarmi nervosamente i capelli.
-Non riesci a stare ferma nemmeno priva di coscienza, eh?-, bofonchiò il ragazzo accennando un sorriso. Il suo sguardo appannato perlustrò la stanza. -Che ore sono?-, chiese.
Buttai un'occhiata stanca al cellulare sopra il comodino e risposi lentamente, strascicando le parole: -Le sette e qualcosa-. Bill gemette e ricadde sul divanetto tirandosi la coperta fin sopra la testa.
-È già mattina-, si lamentò da là sotto. -Non ho voglia di alzarmi adesso. Tu vuoi continuare a dormire ancora un po', vero?-, mi chiese riemergendo con i capelli che, anche senza lacca, contrastavano la forza di gravità. Non risposi. Accigliata, fissavo il mio cellulare. Non era dove l'avevo deposto ieri sera. Mi ricordavo benissimo di averlo posato sopra una particolare forma del centrino di pizzo, che ora, come una bocca, mi sorrideva beffarda, tentando di suggerirmi una soluzione che non riuscivo ad afferrare.
-Allora? Mica vorrai alzarti adesso!-.
Afferrai il telefonino, appoggiato di sbieco contro il piede della lampada, dalla parte opposta del comodino rispetto a dove stava la notte prima. Avvicinai agli occhi quell'oggetto a me tanto familiare e ora così estraneo, sorreggendolo solo con la punta delle dita come per paura di cancellare chissà quali prove impresse sulla plastica nera. Conscia della presenza ingombrante del ragazzo che ancora attendeva una risposta, decisi di posare l'oggettino e rimandare le mie congetture.
-No, grazie, Bill. Devo tornare a casa-, risposi distrattamente.
-Oh... In questo caso-, si scoprì e saltò giù dal divano rabbrividendo al contatto con la moquette fresca di notte – sarà meglio prepararsi e andare a fare una bella colazione, mh? Ti spiace se uso il bagno per primo? Faccio, presto, giuro!-. Saltellò attraverso la stanza e si infilò nel bagnetto (che tanto “- etto” non era) canticchiando un motivo leggermente stonato. Chiuse la porta. La riaprì.
-Dimenticavo: buongiorno!-. Sorrise, e il suo viso e i suoi occhi risero con lui.
-Vai a lavarti, scemo!-, ribattei afferrando un cuscino e fingendo di lanciarglielo dietro. La porta si richiuse all'istante e il cuscino tornò al suo posto, gonfio e immacolato come prima.
Un senso di spossatezza, a cui si aggiungeva la fitta alla caviglia, mi pervadeva gambe e braccia, contratte e rigide per scacciare il dolore soffuso che sembrava propagarsi dagli arti stessi. Saltellai ad aprire la finestra in equilibrio sul piede sano, e rimasi sorpresa del freddo umido sprigionato dall'aria impregnata di rugiada; un brivido di piacevole intirizzimento mi corse giù per la schiena, quindi corsi a rifugiarmi il più velocemente possibile sotto le coperte ancora calde di sonno. Posai la testa sul cuscino, assaporando ad occhi chiusi l'aria nuova che rinfrescava la stanza e il cinguettio di uccellini invisibili, messaggeri mattinieri di una splendida giornata. Le mie preoccupazioni? Svanite. Il dolore al piede? Sparito anch'esso.
L'acqua del lavandino cominciò a scorrere, colpendo con violenza la ceramica con il suo getto potente. A tratti il suono si addolciva e si allungava in uno sciacquio che mi ricordava istintivamente la mattina a casa mia, i primi giorni di scuola e i corn flakes ghiacciati inzuppati in un latte ancora più freddo. Era un suono rilassante, confortante, piacevole. Un suono che risuonava come “casa”, “famiglia”. Un suono che, a ben pensarci, ricordava proprio Bill. Mi lasciai cullare da quell'acqua dolce che mi accarezzava la mente, e sprofondai ancora una volta nel sonno.

-Milla! Milla! Alzati, è tardi!-.
-Altri cinque minuti, mamma, per piacere-, borbottai tirandomi la coperta fin sopra la testa, raggomitolata in un fagotto di piacevole tepore. Peccato, il sogno era già finito, stavolta ne ero sicura. Sapevo di aver immaginato tutto, il concorso, i Tokio Hotel, Axel, Tom, Bill... Era troppo bello per essere vero. E ora mi toccava tornare alla realtà, alla mia monotona realtà, alla mia monotona e insignificante realtà.
Sentii una risatina soffocata. Strano. Non era la voce della mamma. Gettai all'aria le coperte stropicciandomi gli occhi e una volta riacquistato il dono della vista rimasi a bocca aperta. Un Bill Kaulitz, identico ai poster patinati che tappezzavano la mia stanza, mi osservava ridacchiando sotto i baffi. E io ero in pigiama. Un pigiama che nemmeno era il mio, a dire la verità (“da dov'è saltato fuori?”, mi chiesi), ma comunque ero in pigiama.
-Dimmi che sto ancora sognando, ti prego, dimmi che tu non sei vero e io non sono davvero in pigiama-, implorai sprofondando nel materasso per la vergogna.
-Mi spiace dirtelo ma questa è la realtà, io sono vero e tu sei in pigiama, nonché in ritardo per la colazione e per tornare a casa, se non ti sbrighi troverai traffico e io non riuscirò a salutarti per bene, quindi alzati, vestiti, lavati e scendi-, spiegò tutto d'un fiato il ragazzo.
Ricaddi sul cuscino, più rossa di un pomodoro maturo e mi coprii di nuovo tutta con la coperta.
-Per piacere, potresti uscire? Prometto che adesso scendo, ma tu esci, ti prego-, mugolai.
-Come vuoi... Fai presto però, e non lamentarti, perché ti ho lasciata dormire altre due ore abbondanti, anzi, ringrazia!-, ridacchiò Bill dandomi una pacchetta sulla testa e uscendo dalla camera. Rimasi in silenzio qualche secondo per assicurarmi di essere davvero sola, poi mi scoprii violentemente e corsi (si fa per dire) in bagno per rendermi almeno lontanamente presentabile.
In dieci minuti mi ero lavata, truccata e vestita, un record! Raccolsi i numerosi effetti personali che avevo sparsi per la stanza e mi scapicollai nel corridoio, preoccupata di averci messo troppo e di non trovare più Bill.
Invece il ragazzo era là, appoggiato al davanzale della finestrella che dava sul giardinetto interno dell'albergo, intento a fumarsi placidamente una sigaretta quasi tutta consumata. Non appena mi vide la spense e la gettò di sotto, venendomi incontro con un sorriso.
-Ehi, adesso sì che ti riconosco! Ma che carina...-. Mi passò attentamente ai raggi X, apparentemente colpito dalla mia abituale trasformazione. M'imbronciai.
-Che intendi dire? Che prima ero una specie di mostro, eh?!-.
-Dai, non fare così, lo sai che ti prendo in giro! Ti conosco quel tanto che basta per permettermelo, no?-. Mi scompigliò i capelli e si avviò trotterellando dabbasso, inconsapevole di avermi scombussolato anche i pensieri e agitato il cuore. Bill era così, indipendente, fiero ed egoista quanto bastava, ma capace di regalare una gioia e una serenità purissime a chiunque fosse stato in grado di coglierle nella più piccola sfumatura della sua voce. Mi abbracciai da sola ridendo di gusto, semplicemente felice, per poi saltellare giù per le scale, immaginando chissà perchè una bambina avvolta in un abitino nuovo, rosso fuoco, saltare allegramente nelle pozzanghere dopo il temporale.

-Insomma, ci siamo...-, mugugnò laconicamente Georg passandomi il mio solito borsone. Lo accettai con un sorriso di comprensione.
-Lo sapevamo tutti che sarebbe finita, no? E magari qualcuno sarà più contento, ora che me ne vado...-. Lanciai un'occhiata penetrante al ragazzo coi rasta, appoggiato al muro più lontano da me; quello non se ne accorse nemmeno, occupato com'era a fissare qualcosa oltre la reception.
-Non dire scemenze, Milla! Ci mancherai... Davvero. A tutti-. Anche Bill non poté trattenersi dal voltarsi verso il fratello, una statua di pietra immobile quanto affascinante. Una volta di più non potei far altro che lasciarmi ammaliare dalla perfezione che scaturiva dai lineamenti eterei di quella creatura, troppo inumani, troppo schifosamente belli per esistere su questa Terra. A fatica, distolsi lo sguardo per abbracciare con gli occhi gli altri tre ragazzi che sarebbero abitati per sempre nel mio cuore.
-Su, sono rimasta solo un giorno, che volete che sia? Mi dimenticherete presto, voi, mentre io no... ma va bene così, perché non avrei potuto sperare in una giornata più fortunata, neanche mettendo insieme tutte quelle della mia vita! Insomma, quante ragazze avrebbero pagato per essere al mio posto? -. Sorrisi per non scoppiare in lacrime come una bimba.
-In un giorno ne hai combinate, però! E sarà piuttosto difficile dimenticarci di una capace di slogarsi la caviglia solo scendendo da un auto, te l'assicuro-. Bill mi fece l'occhiolino. Che pazzo bugiardo. Gli sarei saltata al collo per non lasciarlo più andare, se solo avessi potuto...
Una figura dalla lucente chioma nera scese velocemente le scale, saltò in un balzo gli ultimi due gradini e atterrò davanti a me, avvicinandosi con grazia al piccolo gruppetto.
-Buongiorno, Milla! Sei pronta a partire?-, mi chiese Axel scompigliandomi i capelli come poco prima aveva fatto Bill. La sensazione che provai fu assurdamente diversa, tanto che rimasi sconcertata dalle differenti, fondamentali emozioni che il tocco dei due ragazzi aveva scatenato in me. Non avevo dubbi a capire quale mi avesse scaldato di più il cuore.
-Sì. Stavo salutando... i ragazzi-. Dentro di me risi per la scioltezza con cui avevo pronunciato quel soprannome, attribuito loro così per gioco, come se si fosse trattato di una band da garage e non del gruppo più famoso del mondo.
-Dai pure a me la borsa-.
-Non è pesante-.
-Te la porto lo stesso-.
-Sei sicuro di volermi accompagnare fino a casa?-.
-Certo! Dai, andiamo, se no becchiamo il traffico-. Il ragazzo sorridente si rivolse ai quattro, diventando improvvisamente formale. -Tokio Hotel, è stato un piacere conoscervi, grazie di tutto e tante buone cose-. Axel sfiorò la mano di ognuno, poi si issò la borsa su una spalla, mi prese per il braccio e tentò di trascinarmi oltre la sontuosa porta di pesante legno. Mi ribellai.
-Aspetta un momento, cazzo! Non ho finito di salutarli!-.
Ignorando il sospiro impaziente del ragazzo, saltellai davanti a Gustav, il più vicino, e mi ci gettai contro. Letteralmente.
-Grazie di tutto, Gusti, grazie davvero. Sei sempre il migliore, io faccio il tifo per te!-. Semplice e concisa, come lui. Gli schioccai un bacio sulla guancia e lo lasciai là, allibito, a toccarsi il viso con aria stupefatta. Georg, alla destra di Gustav, mi afferrò appena in tempo quando inciampai nei miei stessi piedi per andarlo a salutare.
-Ecco, a te devo pure ringraziare per avermi salvata... ancora!-. Mi misi dritta, scostandomi una ciocca impertinente dal viso. -Grazie davvero, grande Georg, grazie per oggi e per tutte le volte che sali sul palco. Non immagini neppure che emozioni mi dia il tuo basso... E vedrai che la prossima volta mi batterai alla gara di chi mangia più hamburger, forse-. Gli feci l'occhiolino e lo baciai sulla guancia. Mi colpì molto la sensazione di solletico provocata dal velo invisibile di una barba rasata da poco, tutt'oggi non so ancora dire perché.
Il ragazzone mi strinse in un abbraccio gentile, che però mi tolse lo stesso il respiro.
-Grazie a te, piccolina. Sei tu che ci hai dato emozioni indimenticabili, e stai pure sicura che mi allenerò duramente per vincere contro di te-. Mi liberai dalla sua stretta e gli pizzicai lo stomaco.
-Ne avrai da lavorare!-. Ridemmo insieme. Poi, Georg si fece da parte per lasciar avvicinare Bill, che, cavaliere fino all'ultimo, mi aveva risparmiato l'umiliazione e la fatica di zompettare fino a lui. Non appena le mani possenti del bassista mi lasciarono le spalle, subito quelle delicate e fresche del cantante andarono a posarsi sui miei fianchi, in un abbraccio molto più intimo e complice di quello bonario, quasi fraterno, di Georg. Quando si chinò, avvicinando le labbra al mio orecchio per non farsi sentire dagli altri, avvertii i suoi capelli solleticarmi il naso: il profumo che emanavano è ancora impresso a fuoco nella mia mente e credo non lo dimenticherò mai...
-Non dire niente, d'accordo? Parlo io-, mi sussurrò dolcemente. Già dalle prime parole non ero più riuscita a controllarmi e le lacrime avevano preso a scorrermi liberamente sul viso. Un groppo in gola mi impediva di deglutire, sentivo il naso colare e gli occhi pungere, eppure trattenni il respiro, zitta zitta, per non perdere una singola lettera di quel tenero mormorio dedicato a me, solo a me...
-Non sei tu che devi ringraziare, ma io. E non dire che non hai fatto niente, perché non è vero. Dopo tanto tempo ho sentito di nuovo sulla mia pelle, nel mio cuore, l'affetto per le ragazze e i ragazzi che ci seguono e ci supportano, l'ho sentito, dentro di me. Tutto grazie a te. Devo confessarti che all'inizio, quando sei arrivata, ero prevenuto nei tuoi confronti, ti credevo un'altra di quelle fan oche che, sinceramente, non sopporto, ma mi avevano detto di essere gentile, perciò ho recitato la mia parte. Dopo un po', però, superata la prima impressione, quando ti ho conosciuta di più, e soprattutto da quando te ne sei scappata in bagno...-. Rise. -Be', me ne sono accorto pure io che non eri come tutte le altre. Mi hai fatto ridere. Mi hai fatto innervosire. Mi hai stupito. E affascinato. Tutto ciò in un solo giorno. Non è cosa da tutti. Sei proprio speciale, tu. Per questo non ti dimenticheremo, Milla. Mai-. Si scostò da me e senza scomporsi mi asciugò le guance con i pollici.
-Ma stai sempre a piangere!-, esclamò fingendo esasperazione. -Animo, ragazza, non conquisterai il mondo frignando come una donnicciola!-.
Singhiozzai fra le risate. Risi fra i singhiozzi.
-Bill...-, mormorai. Il ragazzo chinò la testa da un lato. -Dì, la verità, te lo eri preparato prima questo bel discorsetto, vero?-.
Il cantante sorrise.
-Colpito e affondato. Mi hai scoperto. È una tecnica quasi perfetta, però, funziona sempre, scherzò.
Risate collettive. Sguardi scintillanti, atmosfera calda e accogliente, persone famose. Me lo dovessero chiedere ancora, sì, mi sentivo a casa.
Quando il momento di ilarità passò, perché finì anche quello, non potei più rimandare l'inevitabile. Finsi di non sentire i borbottii contrariati di Axel che scalpitava per lasciare quel posto e, aiutata da Bill, mi trascinai fino a Tom, ancora voltato dalla parte opposta. Sorreggendomi al muro, mi posizionai con cautela proprio davanti a lui, lontana eppure vicina, e cercai i suoi occhi. Avvertii la presenza di Bill allontanarsi rispettosamente per concedermi la libertà di esprimermi senza remori.
-Tom-.
Mai, mai nome avrebbe potuto essere più dolce sulla lingua.
Il nocciola incrociò l'ambra e l'ipnotizzò, lasciandolo senza respiro.
Presi fiato e mi gettai dritta in quelle iridi di oro fuso.
-Non pretendo che tu mi ringrazi per qualcosa che di certo non ho fatto, né che tu mi compiaccia sciorinando complimenti in alcun modo. Voglio solo farti sapere che, anche se tra di noi ci sono stati dei... contrasti, chiamiamoli così, mi ha fatto molto piacere conoscerti e trascorrere una giornata con te. Mi spiace che per te non sia stato lo stesso, ma comunque grazie, sul serio, per tutto-. Sollevai una mano, incerta se posarla o no su quel viso di fredda ceramica, solo per accertarmi della morbidezza della sua pelle, solo per toccarlo un'ultima volta, ma dopo qualche attimo di riflessione e un balenio di luce più duro negli occhi del rasta, la lasciai ricadere lungo il fianco, sconfitta.
Tom non si mosse.
Con un peso sul cuore, ignorai le braccia tese di Bill e mi trascinai, un passo e un saltello, verso la porta tenuta da Axel. Provai a non voltarmi più ma sulla soglia la tentazione fu troppo forte.
Erano tutti là che mi fissavano, quattro musicisti, quattro amici, quasi quattro fratelli; mi fissavano tutti, impassibili, ai limiti della vecchia me, ai limiti della mia vecchia vita. Accennai un gesto di saluto, esitando, al quale risposero tutti. Tutti tranne, ovviamente, il ragazzo coi dread, che però da molto, troppo tempo si era impigliato nei miei occhi.

La macchina di Axel, un'utilitaria blu, mi aspettava fredda e mansueta appena fuori dall'hotel. Vuota.
Sorretta dal giovane, mi accomodai docilmente sul sedile anteriore odorante di dopobarba, e vi abbandonai contro la testa, troppo stanca, troppo debole, incapace di sopportare qualunque altra emozione; avevo l'impressione che non appena l'imponente figura dell'albergo fosse sparita alla mia vista, con essa mi sarei dissolta anch'io.
Axel fu accanto a me in un baleno. Mi fissò un momento, poi mormorò solo poche parole, taglienti come una lama a doppio taglio:
-Vedrai, fra poco sarai di nuovo a casa-.
Scossi la testa. Impossibile. Io me ne stavo andando, da casa mia.
Mi accarezzò teneramente il viso, sorridendomi in un modo che il mio cervello, in un ultimo spasmo vitale, classificò come “rassicurante”, poi mise in moto e la mia mente si annebbiò definitivamente.
Quasi mi aspettavo che qualcuno (Tom) corresse fuori e cercasse disperatamente di fermarmi, mi supplicasse di rimanere, di restare con lui... Invece, come prevedibile, le pesanti porte di legno rimasero ostinatamente chiuse, e nessuno sbucò fuori nemmeno da un'uscita secondaria.
Ben presto ci lasciammo alle spalle il massiccio edificio, sfrecciando lungo una strada deserta e sconosciuta, incontro al sole.
Durante il tragitto, quando rallentammo in prossimità di un semaforo, ebbi l'impressione di scorgere, riflessa sul finestrino, una bimba avvolta in un cappotto rosso tutto inzaccherato venir trascinata dalla madre lontano da un gruppetto di pozzanghere. Mentre la donna inveiva contro di lei, la bambina si voltò a guardarmi con uno sguardo di triste rassegnazione, poi abbassò i suoi grandi occhioni ambrati e svanì.

***

Lo ammetto: mi sono commossa anch'io scrivendo questo capitolo ç___ç Povera Milla... *si ricompone*
Dunque, credo di poter giustificare il mio consueto ritardo con la scuola e la montagna a dir poco preoccupante di verifiche che mi è toccata subire questo mese, ma forse non risulterei credibile (anche se è la verità, giuro!). Sappiate che vi voglio tanto ma tanto bbene, a tutti voi, recensitori e non, e perciò passo subito a ringraziarvi nello specifico:
 
>CAMiL92: Tesoroooo, papaverina miaaa! Ma quanto tttenera sei (per citare il tuo modo di dire)?! Possibile che mi debba commuovere ogni volta che mi lasci un commento? Sì! Perché ti voglio troppo bene, io! <3
Ok, passiamo alla risposta. Axel si comporta davvero da gay, ma non lo è, ripeto, perché fa parte di una strategia ben delineata; potrebbe anche essere attratto da quel bastardone anti-sentimentalista e menefreghista di Tommo, non ci vedrei niente di strano, ma… non dico nulla! XP Poi… TU. FAI. TROPPI. COMPLIMENTI. Non me li merito! Sei troppo buona. Anche se fanno sempre piacere. Ah, quanti punti che sta guadagnando la mia autostima… ç__ç Il prossimo capitolo non posso assicurarti che arriverà presto, sempre a causa dei miei molteplici impegni (anche teatro adessooooH! *___*) e della mia testolina vuota, però per te farò il possibile. Per msn cerca di fare anche tu quello che puoi, intanto continuiamo a sentirci per messaggio. Quanto adoro la buonanotte sempre diversa che mi mandi ogni sera… Quasi quanto adoro te! <333
>pandina_kaulitz: Nooo, tu devi spronarmi a continuare, se no mi adagio troppoo! xD Cercherò di postare il prima possibile comunque. Bacioni a te! ^^
>Arina: Anche tu sei troppo buona con me. Non posso credere che bellissimissimo riferito al mio capitolo lo consideri un eufemismo °__° Gassie, davvero *-*
Bill è un amore, Axel lo odio, Tom lo picchio. E sono miei personaggi, è assurdo che mi faccia coinvolgere da loro e dalle loro vicende anche se le invento io! °___° Anch’io ti adoro, te e i tuoi commenti, che tra l’altro sono più che costruttivi! U_U Un bacioneeeee! :*
>angeli neri: Una nuova recensitriceeee! *-* Benvenuta nella combriccola di pazze xD Mi fa piacere che tu seguissi la storia anche prima di registrarti, e ovviamente mi fa ancora più piacere che tu ti sia registrata per seguirla ancora e commentarla! ^^ Axel è un tipo particolare, Tom ha decisamente fatto un balzo avanti, nonostante in questo capitolo, col suo atteggiamento, ne abbia fatti almeno altri 10 indietro, Bill è troppo puccioloso e Georg e Gustav sono dei tesori! Vedrai che la prossima puntata apparirà presto, basta che incroci le dita dietro la schiena e saltelli su un piede solo per dieci minuti. Scherzooooo! XP Un bacio!
>valux91: Non odi Axel? °__° Ma è insopportabile! Ok, forse dicendo così mi scredito da sola, però, sinceramente, io non lo sopporto... Non per questo però uscirà di scena tanto presto, anzi... Io non ho detto niente! ‘__’ Magari averlo abbracciato, il Billo... Awwwww! *la Robyz si perde nel suo mondo* XP Un kussolo!
>JulyTHFreiheit92: Un’altra anti-Axel! Stiamo diventando numerose...*_* Potrei perfino distribuire le spillette! *rimugina*
Tom è stato troppo cavaliere forse, ma in questo capitolo è tornato il bastardone di sempre... Secsi, ma bastardone. =Q___ Al prossimo capitolo, sperando che questo ti sia piaciuto e accettando i complimenti! ^^ Bacioo!
>Sognatrice: Be’, in effetti non mi dispiacerebbe affatto fare la scrittrice, ma non credo di avere il talento necessario ^^ Grazie comunque!
Sì, anche se vuole negarlo a se stessa, a lei Tom piace (come darle torto! *-*) e in quel vicolo c’era passione, eccome *__* anche se Milla se n’è resa conto un po’ dopo! XP
>tokiohotellina483: Meno male che non ti ho delusa... *si asciuga il sudore dalla fronte* Vedrai anche tu che comparirà presto il nuovo capitolo! ^^ Baso!
>tesorinely:In effetti nel capitolo precedente mi sono occupata molto di più dello sviluppo delle descrizioni perché volevo che vi figuraste bene la scena come se ce l’aveste davanti agli occhi. Spero di aver raggiunto almeno in parte il mio obiettivo ^^ Complimenti per averlo notato! Ci vediamo nel prossimo capitolo! Kiss.
>SusserCinderella: Il capitolo del bacio resterà un cult! xD Tom e Axel hanno “chiarito”, ma ci saranno ancora un bel po’ di dissapori tra di loro a causa di Milla... Io non ho detto niente! xD Un bacione!
 
Benebene, popolame. Dopo aver ringraziato per bene tutte queste belle personcine mi eclisso! Arrivederci al capitolo 17, numero che, tra l’altro, adoro! *_*

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Capitolo 17
*** *CAPITOLO 17* ***




*17*



Oh, no. No, non di nuovo. Di nuovo no! Sbarrai gli occhi e il fiato mi si mozzò in gola. Mi ritirai in un angolo, presi fiato e...
-Mamma, il gatto è saltato di nuovo sul letto!- strillai.
-Sono occupata- esclamò di rimando una voce lontana, persa nella vastità della casa.
Sbuffai, puntellandomi sul cuscino per scoprirmi le gambe nude, una delle quali grottescamente sproporzionata da una fasciatura rigonfia che arrivava a sfiorare il ginocchio. Il muoversi delle coperte non turbò per nulla il grosso gatto bianco e caffellatte che, entrato tranquillamente dalla finestra, si era appollaiato in fondo al mio letto, anzi, da sotto i baffi grigi l'animale parve sorridermi.
Sia chiaro, non è che mi dispiacesse avercelo intorno, anzi, mi faceva compagnia durante le lunghe mattinate sola a casa passate a sonnecchiare, scrivere e leggere, però odiavo dormire su una coperta di peli di gatto!
Scesi dal letto, facendo ben attenzione ad appoggiare tutto il peso sulla gamba sana prima di trascinare giù anche quella infortunata; buffo come adesso dovessi essere così concentrata solo per mettermi in piedi, dopo una vita intera passata a ruzzolare qua e là. Quella mattina mi ero svegliata male, ci mancava solo il gatto a migliorare la giornata. Inspiegabilmente, da quando ero tornata a casa ferita, il mio adorato micione tenerone mi aveva preso in antipatia, neanche gli avessi fatto qualche torto, ed era diventato impossibile toccarlo.
Quasi ad aver captato i miei pensieri, il gatto mi fissò con sfida. Sogghignai: non sarebbe bastato certo uno sguardo cattivo per farmi desistere dalla mia “missione”. Mi avvicinai piano, zoppicando circospetta.
-Avanti, Poutpourri, fai il bravo. Perché non ti stendi su quel bel cuscino laggiù? È il tuo preferito, no?-.
Gli occhi gialli del felino si strinsero in due fessure pericolose. Nemmeno seguì il gesto della mia mano rivolto al guanciale dorato pieno di graffi e morsi. Non intendeva arrendersi? Beh, nemmeno io.
-Per piacere, non fare così. Lo sai che poi mamma si arrabbia-. L'accenno a una punizione implicita non sembrò toccarlo minimamente, come se non avessi aperto bocca. Provai la via delle lusinghe.
-Se scendi ti regalo un bel topolino di gomma! Che ne dici? Un altro squitty-squitty solo per te. Lo vuoi un altro squitty-squitty tutto per te?-.
Poutpourri mosse le orecchie nella mia direzione e si leccò i baffi. Non avevo dubbi che avesse capito le mie parole. Mentre l'animale rifletteva, provai ad avvicinarmi silenziosamente. Ormai solo pochi passi mi separavano da lui. Tesi lentamente le braccia, le mani e la fronte sudate per lo sforzo di camminare, pronta ad afferrarlo, ad immobilizzare quella bestiaccia dispettosa e a scaraventarlo fuori dalla mia stanza una volta per tutte.
-Sì, un bello squitty-squitty tutto per te- mormorai soavemente.
Ecco, ecco, c'ero quasi. Piano, piano...
-Pres...-.
Il gatto si girò, fulmineo, e più veloce della luce mi sferrò una zampata alla mano.
Spaventata, lanciai un grido e balzai all'indietro, riuscendo a rimanere in piedi per miracolo. L'animale soffiò, le orecchie appiattite sulla testa, i denti scoperti e il corpo teso.
-Stupido, maledetto gatto!- strillai all'animale che, indispettito, si voltò dall'altra parte, chiuse gli occhi e si mise a ronfare innocentemente.
Quasi piangendo per la frustrazione e lo spavento, avvicinai la mano al viso per stabilire l' “entità dei danni”: per fortuna, Poutpourri si era limitato a colpirmi senza tirar fuori gli artigli, in una specie di avvertimento. Ciò significava anche che per lui non rappresentavo una minaccia, bensì un giocattolino come il suo Squitty. La beffa quindi, oltretutto!
Ringhiai per l'umiliazione ricevuta, lanciai l'ennesimo sguardo di fuoco al gatto e marciai a passi pesanti, per quanto mi fosse consentito dalla fasciatura, verso la porta, col fumo che mi usciva dalle orecchie; fidatevi quando vi dico che essere beffeggiati dal proprio animale domestico non fa bene, può produrre strani effetti...
-Prego, tienti la mia stanza, tientela, è tutta tua!- ululai sulla soglia.
... Sì, questa è una prima conseguenza.
Il gatto non batté ciglio, si acciambellò su se stesso e cominciò a sonnecchiare, emblema della pace e della serenità.
Digrignai i denti e mi sbattei la porta alle spalle.



La cucina era vuota e silenziosa. Mamma probabilmente si trovava in giardino, o in soffitta, o chissà in quale luogo oscuro e sconosciuto alla ricerca di polvere e sporco da ripulire. Poco male, avrei fatto colazione in santa pace, almeno per quella mattina.
Afferrai una sedia e la sistemai sotto la dispensa. Ancora non capivo perché mamma si ostinasse a tenere i cornflakes così in alto, specie ora che ero ancora più goffa del solito (impossibile dite?) e che anche una scatola di cereali poteva essere causa di un ennesimo
squilibrio. Riuscii a scendere dalla sedia senza causare disastri, cosa piuttosto anomala dato che da quasi due settimane non riuscivo a muovermi senza rovesciare/rompere qualcosa, però accolsi quel benevolo cambiamento con un senso di sollievo e libertà.
Versai il latte senza rovesciarlo e presi il cucchiaio dal cassetto delle posate senza chiudermici dentro le dita, mi sedetti senza cadere per terra e cominciai a mangiare tranquillamente. Solo il rumore delle mascelle che lavoravano aleggiava nella stanza clinicamente pulita, finché...
Dling dlong!
Suonò il campanello, ovviamente.
Sospirai nell'abbandonare il mio pasto e mi trascinai attraverso il lunghissimo corridoio. Il campanello trillò di nuovo.
-Arrivo-, borbottai tentando inutilmente di sistemarmi i capelli. Rinunciai e optai per sistemare almeno le ciocche laterali, quelle più disordinate, dietro le orecchie. Di nuovo una scampanellata, più lunga e insistente.
-Ho detto che arrivo-,
biascicai strascinandomi dietro quel pezzo di legno che era diventata la mia gamba. La porta sembrava allontanarsi invece che avvicinarsi!Annaspai in avanti e finalmente mi aggrappai al pomello d'ottone. Stavo già spalancando l'entrata quando mi ricordai di essere in canottiera e pantaloncini della tuta.
Ma sì, tanto sarà uno dei colleghi di mamma” pensai prima di alzare gli occhi e incontrarne un altro paio, azzurri come la linea che unisce cielo e mare.
-Axel!-, boccheggiai. Il ragazzo, appoggiato con disinvoltura all'entrata, mi sorrise, e il sole sembrò illuminare l'intera casa.
-Come stai?-, mi chiese avvicinandosi.
-Bene... almeno credo-, mormorai, senza fiato.
-Posso entrare?-, domandò, ridendo della mia espressione da idiota.
-Certo-, biascicai. Mi chiusi la porta alle spalle e mi ci appoggiai timidamente.
-Ti aspettavo per questo pomeriggio-, dissi a mezza voce. Lo sguardo turchese del ragazzo corse al mio abbigliamento decisamente poco formale e sorrise.
-Lo sospettavo-, sussurrò dolcemente. Non c'è nemmeno bisogno di dirlo, arrossii come un pomodoro maturo.
-Mi spiace averti fatto questa improvvisata, ma mia madre ha bisogno di me più tardi, e volevo venire lo stesso-, continuò scostandosi la lunga frangia scura.
-Non dovevi disturbarti, per un giorno potevo resistere-, sorrisi. Bugia. Grossa bugia. Senza di lui mi sentivo persa.
Lo sentii studiarmi a lungo mentre facevo vagare gli occhi per la stanza, in cerca di suggerimenti per fra proseguire la conversazione.
-Beh, vado a prepararmi-, buttai lì. Axel annuì, divertito da qualcosa che a me sfuggiva.
-Vuoi che ti accompagni?-, chiese.
-Come?-, boccheggiai. Voleva venire in camera mia e vedere che mi spogliavo? E pure aiutarmi, magari! Che faccia tosta!
-Intendo, fino alla porta di camera tua-, precisò indicando il mio gesso. -Non penso sia facile spostarsi con quel coso-.
Ecco, come al solito avevo frainteso tutto. Possibile che potessi interpretare la casta proposta di aiuto di un amico in modo così malizioso? A quanto pare sì, eccome. Una giornata con accanto Tom era bastata a farmi diventare così?
Mugolai quando una fitta dolorosa ad altezza stomaco mi trafisse da parte a parte: solo pensarlo mi faceva male. Che scema ero stata...
-Cosa?-, mi chiese Axel sollevando un sopracciglio.
-Niente, niente... Aiutami, dai-, e mi aggrappai al suo braccio per affrontare al contrario la lunga rampa di scale.


Poco dopo entrambi sedevamo al tavolo asettico della cucina con una tazza di cereali davanti. Nessuno parlava, si sentiva solo il doppio crocchiare della colazione sotto i denti. Axel finì prima di me, appoggiò la tazza vuota sul ripiano in legno e si pulì la bocca con una manica.
-Che vuoi fare, oggi?-, mi domandò con entusiasmo.
Presi tempo masticando minuziosamente la mia ultima cucchiaiata, e solo quando cominciai a mangiarmi anche i denti, deglutii.
-Partita a scacchi? Voglio la rivincita-.
Axel rise e mi scompigliò i capelli.
-Milla, lo sai di non essere capace. Se vuoi perdere, sono pronto a umiliarti ancora una volta, ma non oggi-.
-E perché no? Dì la verità, hai paura di perdere!-, lo stuzzicai.
-Io? Ma se ti ho stracciato, l'ultima volta! Dicevo che oggi non si può perché avevo in mente qualcosa di più... emozionante da fare-. Si alzò in piedi e mise la ciotola nel lavello.
-E allora perché cavolo chiedi il mio parere se poi fai di testa tua?-, borbottai. Axel rise. Era una domanda retorica, ovviamente.


*

-Tom? Tom!-.
Sbattei le palpebre e gli occhi infastiditi di Bill incontrarono i miei.
-Tom, sono due ore che ti chiamo! Mi stavi ascoltando? Hai capito che ti ho detto?-, inveiva mio fratello. Scossi la testa per scacciare il torpore dell'ennesimo sogno ad occhi aperti; questa volta era stato così reale da sembrare proprio vero.
-No, Bill, scusa. Credevo di aver visto...-. La mia voce si perse più indietro, nello stretto vicolo troppo familiare che il pulmino aveva appena superato. Sembrava lo stesso di quella sera, due settimane fa, forse era proprio quello. Sì, quasi potevo risentire l'odore di muffa di cui erano cosparsi i muri sporchi, un odore sgradevole e pungente miscelato al suo profumo. Afrodisiaco. E la ruvidezza della pietra greggia a contatto col suo collo morbido e liscio, con quella pelle di pesca che chiedeva solo di essere morsa; e quelle mani fresche che si posavano sulle mie, sul mio petto; quella bocca, aromatica e invitante, quelle labbra profumate, morbidissime, che m'imploravano di essere assaggiate...
-... e la tua totale mancanza di attenzione! Non puoi andare avanti così!-, continuava a blaterare Bill, imperterrito. Sospirai, dolorosamente catapultato nella realtà ancora una volta: ad ogni nuova fantasticheria diventava sempre più difficile riemergere.
Annuii distrattamente fingendo di assecondare la predica del mio adorato fratellino, e permisi alla mia mente di volteggiare in libertà fuori dal finestrino del tour bus. Con lo sguardo sfioravo auto, palazzi, alberi, lampioni e persone, senza soffermarmi su nulla, alla ricerca di lei, di qualcosa che le appartenesse, per poter sentire il cuore battere più forte e lo stomaco torcersi.
Ecco, quella ragazza aveva il suo stesso colore di capelli. Oh, quell'altra muoveva le mani allo stesso modo. Era suo quel paio di jeans? E quella borsa non apparteneva a



lei. Lei. Lei.



La mia vita era legata alla sua, ero diventato schiavo del suo sorriso, dei suoi occhi. Cosa mi aveva fatto? Come aveva fatto?
Gli occhi cominciarono a bruciare. Me li strofinai con una manica, e finché, per un momento, la mente riposava, udii un nome. Il suo. Ancora lei.
-... da quando abbiamo conosciuto quella Milla ti comporti in modo strano-.
-Non è colpa sua!-, scattai.
-Oh, dai, lo sai meglio di me-.

E qui ti sbagli, Bill” pensai. “Non ho la più pallida idea di cosa mi stia succedendo, né perché”. Preferii tenere i miei dubbi per me: non ero sicuro di essere pronto per la verità. Sospirai nuovamente e ripresi a guardare fuori dal finestrino senza prestare attenzione al paesaggio, riflettendo su cosa dire. Fu Bill, come sempre, a rompere il silenzio.
-Quasi non ti riconosco più-, esordì con voce trista. - Sei così lontano...-, mormorò incrociando le braccia sul tavolino.
Digrignai i denti, ringraziando che Georg e Gustav fossero andati a riposare al piano superiore: forse non mi avrebbero sentito staccare a morsi la testa di mio fratello.
-Bill- cominciai, cauto, dopo aver contato fino a dieci. -Innanzitutto, ti prego di evitare di fare il melodrammatico, non c'è alcuna telecamera qui e sono le nove e mezza del mattino, perciò risparmiami-. Bill mugugnò qualcosa e s'imbronciò, però stette in silenzio.
-In secondo luogo, non mi pare di essere l'unico strano o diventato irriconoscibile di punto in bianco, qua dentro. Devo forse ricordati i tuoi numerosi voltafaccia nei confronti del tuo fratellino adorato, due settimane fa? Io non li ho di certo dimenticati. E che dire del tuo comportamento da Mamma Chioccia con quella... quella...-.
Come avrei potuto mai dare un nome alla perfezione?
-Mamma Chioccia? Ma che stai dicendo? Il latte della colazione ti ha annacquato il cervello? A quanto pare non te ne sei accorto, ma con Milla io stavo solo ricoprendo il mio ruolo! Mi sono sforzato-, calcò molto sull'ultima parola -di fare la parte del buono, del comprensivo, per salvaguardare l'immagine del gruppo!-, esclamò Bill tutto d'un fiato.
Mentiva, lo sentivo. A lui era venuto spontaneo aprire le ali per accogliervi la piccola e indifesa ragazzina e proteggerla da Tom, il lupo brutto e cattivo. Altro che “grande sforzo”.
-Quale ruolo? Quale immagine? Di che stai parlando?-.
-Tom, il nostro è un gruppo, giusto? I giornali e le televisioni parlano di noi, vogliono sapere il più possibile, e ci hanno inquadrato in un certo modo, cosicché tutti, ormai, ci conoscono solamente per come ci hanno presentati! Per continuare ad essere sulla cresta dell'onda senza creare scandali non dobbiamo in alcun modo modificare questa nostra facciata. Non lo capisci? L'immagine è tutto. Così come tu sei passato per il rapper continuamente affamato di sesso, io devo continuare a mostrarmi come...-.
-... una checca isterica, petulante e boriosa, con irritanti manie da primadonna?-, provocai sostenendomi la testa con i gomiti sul tavolo.
-No, come il puro e casto verginello, dolce e sensibile, che vive solo per la musica, il benessere del gruppo e l'eyeliner della “Maybelline New York”-, mi corresse pacatamente Bill assestandomi un calcio da sotto il tavolo.
-Non sai quanto mi piacerebbe mostrare il tuo vero volto-, borbottai a denti stretti mentre mi massaggiavo lo stinco dolorante.
-Il desiderio è reciproco, ma in entrambi i casi per nulla conveniente, a meno che la tua massima aspirazione per il futuro non sia quella di andare a vivere sotto un ponte-, replicò pungente.
-L'immagine...-, biascicai con una smorfia di disprezzo.
-È l'arma più preziosa che abbiamo-, mi rimproverò il moro.
-Tornando a te-, continuò. - Hai un assoluto bisogno di distrarti. Al concerto di ieri sera ho rimediato il numero di un paio di ragazze: che ne dici se io e te ci prendiamo due stanze, una ragazza in ogni stanza... hai presente, no?-, e sorrise maliziosamente. Ecco il Bill che conoscevo, finalmente, altro che quel suo falso e smielato alter ego che non riuscivo a sopportare. Anche dal punto di vista scientifico, non potevamo essere così diversi: i geni sono gli stessi, e il buon sangue non mente.
-Non saprei, non è che ne abbia molta voglia...-, risposi vagando con lo sguardo per tutto il lussuoso abitacolo del pulmino. Quando tornai a fissare Bill, già pronto ad insistere fino allo sfinimento, ebbi un fremito che mi paralizzò. Per un momento, solo un momento, avevo avuto la fortissima sensazione che gli occhi di Bill si fossero arrotondati e tinti di una sfumatura calda e ambrata.
Brividi freddi, in tutto il corpo. Mio Dio, anche le visioni adesso. Stavo impazzendo! Non era possibile che la mia vita fosse controllata da un'insignificante ragazzina, non lo tolleravo! Avevo davvero bisogno di distrarmi, un bisogno disperato... di dimenticarla.
Sospirai, poi la mia bocca si piegò in un ghigno.
-Sai che ti dico? Prenota le suite per stasera alle otto. Vedrai, ci divertiremo-.



*

Bene, bene. La vita per Milla sta tornando normale... o forse no? Non vi svelo nulla, e, anzi, passo subito ai ringraziamenti perchè fra poco ho il saggio di recitazione (pauuuuraaa!) e devo sbrigarmi. Un grazie a tutti coloro che hanno letto, messo la ff nei preferiti e ai recensitori:

> angeli neri: Mi spiace davvero di non aver potuto aggiornare prima, ma per colpa della scuola era già tanto se riuscivo ad accendere il pc! Hai saltato e incrociato le dita per niente, sorry! ^^" Riguardo "A Fantastic Life"... ehm. Mi sai che dovrai pazientare ancora un bel po' perchè sono bloccata e ho in mente una nuova storia... Continua a seguire la nostra Milla! Un bacio ^^
> CAMiL92: Fragolina mia! Lo so che tu sei sempre il mio confettino adorato, e che neanche tutti i ringraziamenti del mondo  basterebbero per dirti quanto io sia contenta di aver scritto questa ff. Altrimenti non ti avrei conosciuta *-* Ti adoro, pasticcina! <3
> billa 483: Nuooo, hai addirittura pianto? ç___ç Mi dispiace... xD Su, su, vedrai che Bill non abbandonerà Milla (al contrario di quanto potrebbe sembrare in questo capitolo) e nemmeno Tom! Ionontihoddettonulla! ^^ A prestissimo!
> Sognatrice: Tom è un vero coglioncello e... no, il suo numero non ce l'ha! ^^ Troveranno altri modi per incontrarsi, però, non temere! xD Bacioni!
> _ToMSiMo_: Credo che "presto" non sia l'aggettivo più adatto per i miei tempi di scrittura, anche se, ripeto, è colpa della scuola u.u (al rogoooo!) . Nei prossimi capitoli Tom ne combinerà delle belle! ^^ Continua a seguirmi! <3
> JulyTHFreiheit92: Al tuo urlo disperato sono rimasta un po' così °___°  però apprezzo tantissimo che qualcuno sia così attirato dalla mia storia ^^ Il lieto fine... chissà se ci sarà! =P Posso però assicurarti che Bill&Co. si riincontreranno con la cara vecchia Milla! A presto! ^^
> pandina_kaulitz: Ammetto che Tom non si sta comportando tanto bene, però quest'ultimo capitolo dovrebbe averti fatto cambiare idea (almeno un po'!) su quel povero ragazzo! ^^ Il giudizio finale spetta solo a te! Besos! 
> tokiohotellina483: Ti aspettavi qualcosa di strano per questo capitolo: spero di non aver deluso le tue aspettative! Ho cercato di rendere evidente il "lato pscuro" del carattere dei gemellini che la tv e i giornali non ci mostrano (come me l'immagino io, almeno), quindi... Fammi sapere se era abbastanza strano! Kussen!
> Arina: E anche il capitolo 17 è arrivato, hai visto? xD Non è che ci siano stati grandi avvenimenti, ma qualcuno di piccolo e strano sì! xDD Nei prossimi ne vedrai delle belle! Bacioni! <3

Mi scuso di essere così frettolosa nelle risposte ma l'ansia cresce e il tempo a me rimasto è agli sgoccioli! Arrivederci al capitolo 18, VI ADORO TUTTE!

Ah, colgo l'occasione per segnalarvi una ff a me piuttosto cara, "L.o.c.k.e.d.": se volete e potete, dateci un'occhiata (basta andare nel mio account e cercarla). Grazie! ^^

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Capitolo 18
*** *CAPITOLO 18* ***



*18*



Il sole splendeva, gli uccellini cinguettavano, non tirava un filo di vento.
Le urla squarciavano il cielo.
-Axel! Axel! Axel!-.
Il rumore era così forte che solo dopo molti tentativi e diversi strattoni il ragazzo si voltò verso di me.
-Cosa c'è?-, urlò in risposta per sovrastare il fragoroso brusio. Mi aggrappai al suo braccio, traballante.
-Mi chiedevo... È davvero questo ciò che intendi tu per “qualcosa di più emozionante”?-, gli strillai all'orecchio.
Il suo sguardo cobalto si fece perplesso, e per un momento la limpidezza sbalordita dei suoi occhi mi fece dubitare di quanto avevo appena detto; ma poi si distolse da me per guardarsi intorno ed io riuscii a schiarirmi la mente.
-Perché, una gita al luna park non lo è?- domandò, imbarazzato, mentre tornava a fissarmi.
Prima che potessi urlargli in risposta, un gruppo estremamente compatto di ragazzini e genitori bercianti mi urtò, costringendomi ad appoggiarmi alla gamba ferita per rimanere in piedi. Una fitta di dolore mi trapassò la caviglia, che cedette sotto il mio peso.
-Ahi!-, gemetti.
Chiusi gli occhi preparandomi al brusco contatto col cemento, che però, inspiegabilmente, non avvenne. Prima che le mie mani, con tutto il resto della carrozzeria al seguito, potessero toccare terra, furono frenate da un altro paio di braccia, e da un petto, e da delle spalle.
Ancora una volta, Axel mi aveva salvata da frattura certa. Sospirai di sollievo recuperando l'equilibrio.
Bisognava ammettere che quel ragazzo aveva un certo sesto senso: riusciva sempre ad intuire quando stavo per farmi male e, cosa fondamentale, mi salvava ogni volta. Era il mio Clark Kent personale, insomma.
-Sei tutta intera? Perso dei pezzi?-, mi chiese una volta che mi ebbe trascinata in uno spiazzo relativamente più vuoto e quindi sicuro.
Scossi piano il piede e tutta la zavorra correlata.
-La gamba di legno c'è ancora, e sembra pure intatta-.
Rise.
-Meno male! Ormai non ti dico più di stare attenta a dove metti i piedi perché ho capito che è come se parlassi al muro-, scherzò. Feci l'imbronciata.
-Non è colpa mia se un branco di rinoceronti decide di passare proprio dove sono io, povera gazzella infortunata; di posto nella savana ce n'è!-, esclamai sbracciandomi.
Axel rise di nuovo, più forte e più a lungo.
-Mi chiedo dove le andrai mai a pescare queste metafore sugli animali!-, esclamò una volta calmatosi scompigliandomi i capelli. -Hai subito qualche trauma da piccola? Non so, ti è morta una tartaruga, un pesce rosso?...-.
Quasi non lo sentii.
Il mio pensiero stava sfrecciando alla velocità della luce, fra tempo e spazio, a due settimane prima. Era incredibile come potessi percepire ancora i profumi, i suoni, perfino i sapori della notte, il freddo delle stelle, e il calore di un bacio; non mi era difficile rievocare tutta la scena, parola per parola, talmente in rilievo nella mia mente da sorprendersi che non pensassi solo ad essa.

-Hai visto? James Bond in confronto a me è un pivellino... oppure tu hai i riflessi più lenti di una tartaruga con l'artrosi!-.
-Modesta, eh? E poi perché fai sempre paragoni con gli animali?-.
-Mah, non lo so. Guardando te mi viene spontaneo.-.
-Stai forse insinuando che assomiglio a un animale?-.

-Nooo, affatto! Tu sei un animale. Una scimmia col berretto, per la precisione-.˶

Sentii ancora il sangue salirmi alle guance ripensando a quanto stupida e infantile ero stata. Per me era stata come una specie di autodifesa, solo adesso me ne accorgevo: se non mi fossi chiusa a guscio, non sarei riuscita a sopravvivere alle sue offensive.
Però... come mai i suoi occhi mi bruciavano dentro ancora adesso? Perché non riuscivo a scrollarmi di dosso il fantasma delle sue mani lungo il mio corpo?
Sospirai.
-Ohi, ci sei?-, esclamò a un tratto Axel passandomi un braccio davanti agli occhi distanti e distogliendomi troppo presto dalle mie fantasticaggini.
Sobbalzai, trovando il suo viso incantevole troppo vicino al mio.
-Scusami- balbettai frettolosamente. -Mi era tornato in mente... ho-ho ricordato...-. Mi morsi il labbro, incapace di evocare il suo nome che, come una piccola scheggia di vetro, mi si conficcava nel cuore.
Altri interrogativi si affacciarono alla mia mente sovraccarica: mi aveva già dimenticato? Aveva incontrato qualche altra ragazza? Cosa stava facendo? Come stava? Gli mancavo? Rinunciai a trovare una risposta.
Axel sbuffò e si passò una mano fra i capelli.
-Ho capito, ho capito. Ancora non sei riuscita a levartelo dalla testa, vero?-.
-Io non ho mica detto che stavo pensando a Tom-, bofonchiai. Ero allibita: come riusciva ad interpretare così facilmente ogni mio gesto, ogni mio pensiero? Sembrava quasi riuscisse a leggermi dentro. O forse ero io ad essere troppo sempliciona e banale
Si girò ad osservare il tiepido cammino del sole lungo l'arco del cielo, mormorando qualcosa che intesi come: -Non mi servono le parole per capirti-.
Arrossii.
-Là c'è una panchina, vuoi che ci andiamo a sedere?-, domandò Axel usando un tono molto più leggero.
-Sì-.

Attorno a noi, lo sciamare della gente era rilassante per un certo verso. Gli strilli dei ragazzini sulle giostre e il vociare della folla erano solo un fastidioso rumore di sottofondo alla nostra conversazione imbarazzata (da parte mia) ed infastidita (da parte sua).
-Non capisco proprio che possa avere di speciale un idiota così, per piacerti-, sbuffava Axel.
-Non è un idiota. E non mi piace!-, arrossivo io.
-Andiamo, si vede lontano un miglio: sei distratta, diventi rossa senza motivo, ti animi non appena lo offendo, e lo difendi-, enunciò il ragazzo contando sulle dita. Fissavo le, o meglio, la mia scarpa da ginnastica nera e il piede deformato dal gesso, ma sentivo ugualmente i suoi occhi trapanarmi la testa. Non era vero, Tom non mi piaceva assolutamente; era solo un egoista, donnaiolo e cretino, non lo difendevo, anzi, lo odiavo per tutto quello che mi aveva fatto. Allora perché mi sembrava di mentire persino a me stessa?
-Ti sbagli-, scossi la testa.
-Milla-.
-Ti sbagli-, ripetei con più decisione.
-No, Milla...-.
-Cosa c'è?-. Alzai la testa.
Axel stava indicando in alto. Seguii il suo dito con gli occhi non potendo non soffermarmi sulla forma affusolata ed elegante della sua mano prima di mandare ad infrangere il mio sguardo su una giostra.
-La ruota panoramica?-, chiesi.
Annuì.
-Ti va di fare un giro?-.
Esitai.
Okay. Quando un ragazzo chiede ad una ragazza di fare un giro sulla ruota panoramica ha, nella maggior parte dei casi, fini romantici: l'aria più pulita, il cielo più vicino, nessuna via di fuga, spazio vitale quasi assente. Condizioni ottimali. Il problema ovviamente non si presenta se il suddetto ragazzo è solo e unicamente un amico.
Ecco perché ero così preoccupata.
In fondo era solo uno stupido giro su una giostra innocente, sarebbe finito presto e senza intoppi, quindi non avevo nulla di cui avere paura...
Intrecciai la mia mano alla sua, tesa.
-Va bene-, sorrisi.



*



Una cielo stellato, una sigaretta e un po' di tempo per pensare sono delle benedizioni dopo una bella scopata.
A petto nudo, fuori, sulla terrazza della camera d'albergo, fumavo beato ascoltando i rombi lontani della auto; la notte era calma e pulita, nemmeno troppo fredda per essere agli inizi di Novembre, o forse era il mio corpo bollente che scaldava l'aria attorno a me.
Nessun suono proveniva dalla portafinestra aperta: la ragazza dormiva ancora profondamente. E perché non avrebbe dovuto in fondo? Si era stancata parecchio. Sorrisi. Mi appoggiai al davanzale rabbrividendo alle carezze di un venticello leggero alzatosi all'improvviso e lasciai cadere giù la sigaretta ormai consumata.
Per una volta Bill aveva avuto una buona idea, pensai, osservando il piccolo puntino di fuoco venir inghiottito dall'oscurità poco sotto.
Non era stato per niente difficile convincere le ragazze, miracolosamente ancora in città, a raggiungerci all'albergo; quasi non c'era stato gusto a farci seguirci docilmente ognuno nelle rispettive stanze. Non aveva avuto alcun sapore la breve conversazione che avevo avuto con la bionda prima di saltarle letteralmente addosso. Forse mi ero stupito un po' alle sue deboli proteste: era venuta al nostro concerto e non sapeva delle mie “abitudini” alla fine dell'esibizione? In realtà non me ne fregava un cazzo.
Come prevedibile, dopo poco, anche lei si era abbandonata all'istinto e alla passione, e per qualche minuto ci eravamo illusi entrambi di essere diventati una cosa sola, fusa, indivisibile, legata per sempre da lacci di seta. Per qualche minuto avevo dimenticato tutto, chi ero, dov'ero, perché lo facevo; l'unica cosa che mi importava era continuare a muovermi, ansimare, sudare, e rincorrere quella corsa contro i pensieri e il tempo...
Ma poi, all'improvviso, tutto era finito. Esausti, ci separammo, cademmo, ci spezzammo fin troppo facilmente, fin troppo naturalmente, e così mi ritrovai a pensare che quanto avevo creduto fino a poco prima non era che una fottuta illusione.
E di colpo, tutti i pensieri erano tornati ad affollarmi la mente. Il sollievo, la pace, non erano durati che pochi minuti. Dovevo immaginarlo, eppure... quasi speravo di non ricordare più il colore dei suoi occhi, l'ondeggiare dei suoi capelli, il suo piccolo mento, il suo sorriso, la sua bocca. Quasi speravo, pregavo, sì, proprio io che non sono credente, imploravo Dio di farmi voltare pagina, e di far svanire il suo profumo dalle mie mani. Che idiota. Che idiota. Idiotaidiotaidiota.
Sospirai, scrollando la testa. Cominciavo ad avere freddo, là fuori. Feci per tornare dentro ma mi bloccai. Davvero volevo trovare un'altra, al suo posto, nel mio letto? Arretrai e mi portai una mano al petto, sorpreso: faceva male. Perché faceva male? Era lei che cercava di farsi più spazio nel mio cuore? E il mio cuore sarebbe stato capace di contenerla?
Rientrai giusto il tempo di prendermi la felpa gigante gettata malamente a terra ai piedi del letto; inevitabilmente, il mio sguardo si posò sulla ragazza addormentata. La osservai con la testa reclinata da un lato.
Era carina. No, era più che carina... era bella. I corti capelli biondi le ricadevano scompostamente sugli occhi chiusi, e la pelle candida delle braccia e della schiena quasi si confondeva con il lenzuolo che la avvolgeva. Emanava un che di etereo, angelico, come fosse stata una creatura ultraterrena. Non mi sarei stupito se ad un certo punto le fossero spuntate due ali piumate dalle scapole.
Scossi la testa, infilai la felpa e tornai alla terrazza.
Cominciava ad albeggiare. Mi accesi un'altra sigaretta, feci per gettare il pacchetto sul tavolino di plastica, ci ripensai e me lo misi in tasca.
Portai la sigaretta alla bocca. Inspirai, espirai. Il fumo grigio e dannoso distorse i colori che il sole si divertiva a dipingere su e giù lungo l'orizzonte: nero, blu, azzurro, rosa. Oro. Come i suoi occhi.
Mi passai una mano sul viso, stanco.

Milla.

Dove sarai adesso?, mi chiesi, distrutto. Come starai? Sarai guarita? Sarai tornata alla vita di sempre? Avrai raccontato di noi alle tue amiche?... Con chi sarai ora?
Il viso di Axel mi esplose nella mente, nitido e beffardo come non mai. Scrollai la testa per scacciarlo. Non poteva essere con lui adesso, non poteva... non poteva?
Pensandoci, Axel era molto più affidabile di me, più maturo, più protettivo, più dolce, più gentile... non ci sarebbe stato nulla di strano se Milla avesse deciso di mettersi con lui.
Un'altra fitta al petto. Stavolta ero quasi certo che fossero i sentimenti che facevano a pugni con la ragione.
Porco cane. Ero proprio un caso disperato.
Gettai via la seconda sigaretta della giornata e mi frugai in tasca alla ricerca della terza. Pensandoci, Bill non aveva avuto proprio una grande idea.

Attesi finché il cielo non fu colorato tutto di un azzurro uniforme, poi tornai dentro, lasciai dei soldi e un biglietto sul comodino accanto alla ragazza ancora addormentata, mi calcai il cappuccio in testa e uscii, fuori, dove l'odore della notte appena trascorsa si disperdeva e svaniva. Respirai a pieni polmoni l'aria frizzante che faceva pizzicare il naso, poi affondai le mani in tasca e mi avviai lungo la via, senza una meta.
Avrei ringraziato più tardi Bill: in fondo, anche se il suo intento non aveva prodotto alcun risultato, la sua premura mi inteneriva, e la ragazza non era stata poi tanto male. Magari l'avrei richiamata, un giorno.
Svoltai in una viuzza seminascosta, ma mi fermai di colpo, stupito: nemmeno mi ricordavo come si chiamasse.


*



La ruota girava, girava, girava. E io stavo per sentirmi male. Perché non mi era venuto in mente prima di salire che aveva il terrore delle altezze?
Strinsi forte il bordo del sedile di plastica finché le nocche non mi diventarono bianche. Dovevo resistere. Tanto fra poco il giro sarebbe finito... no?
Strizzai gli occhi e pensai ardentemente di trovarmi a terra, al sicuro: funzionò. Mi rilassai un poco e allentai la presa al sedile con gran sollievo delle mie dita addormentate. Ma quando sarebbe finito quel maledetto giro?!
-Tutto bene?-, mormorò improvvisamente una voce a pochi centimetri dal mio naso. Sussultai e aprii gli occhi. Axel mi fissava intensamente con uno sguardo preoccupato. Nonostante la nausea che mi attanagliava lo stomaco riuscii a notare anche uno scintillio strano nei suoi occhi. Che significava?
Deglutii e mi concentrai su un punto a caso della pericolante cabina arrugginita. Lassù non si sentiva alcun suono che non fosse il cigolio degli ingranaggi e il soffiare del vento. Almeno, gli urli dei ragazzini sulle altre giostre non potevano terrorizzarmi ancora di più.
-Certo, certo-, risposi. -Solo... devo ricordarmi di non salire mai più su uno di questi cosi-, gli sorrisi nervosamente.
-Hai paura?-, mi chiese dolcemente il ragazzo facendosi ancora più vicino. Mio malgrado, annuii.
Axel mi prese le mani ghiacciate e abbassò la testa a fissarsi i piedi.
-Scusami... lo so che un parco divertimenti non è il massimo per qualcuno con una gamba ingessata, ma la ruota panoramica mi sembrava un buon posto per... ecco...-.
Impallidii. Oh, no. Oh, no. Come eravamo arrivati a questo punto? Un secondo prima parlavamo della mia paura delle altezze e adesso... oh, no, tutto ma non questo!
Istintivamente, cercai di ritrarre le mani ma la presa del ragazzo, tornato a fissarmi dritto negli occhi, si fece più forte, quasi ferrea.
-Milla-, esalò con la voce vibrante dall'emozione.
Oh, no. Oh, no. Oh, no.
-Axel, ti prego...-, soffiai con il respiro rotto.
Perché non capiva come mi sentivo a disagio, in quel momento? Perché non potevamo rimanere amici? Perché doveva distruggere così il nostro rapporto?
Sentivo le lacrime premere con forza contro gli angoli degli occhi ma le ricacciai rabbiosamente indietro, ignorando, peraltro, la pelle d'oca che mi pizzicava le braccia e la schiena.
Scossi debolmente la testa, cercando di fargli capire con lo sguardo quello che si agitava nel mio cuore. Inutilmente.

Tutto si svolse come al rallentatore. Lo stesso scintillio di prima balenò negli occhi del ragazzo un attimo prima che mi attirasse prepotentemente a sé e il suo viso mi si avvicinasse sempre di più, sempre di più...
Non tentai nemmeno di respingerlo quando le sue labbra morbide si posarono sulle mie. Non feci alcuna resistenza quando si alzò e mi fece alzare per stringermi fortissimo, mozzandomi il respiro. Non trattenni più nemmeno le lacrime, libere ormai di scorrermi sul viso e di bagnare le nostre labbra congiunte. Ma ad Axel sembrava non importare. Perciò chiusi gli occhi, reprimendo i singhiozzi, e attesi che quel maledetto giro sulla ruota panoramica finisse.



*





Chiedo venia!
Lo so che sono in ritardo mostruoso, ma la scuola mi sta davvero prosciugando =___= è già una conquista se riesco a ricordarmi come mi chiamo... -_______- Ma quando arriva l'estate? ç______ç Uffa.
Comunque. Scusatemi ancora *si inchina* mi auguro che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto {a me non mi piace proprio tanto, comunque sta a voi giudicare ^^}!
Procedo coi ringraziamenti (pochini stavolta... come mai? ç____ç):

> _ToMSiMo_: E ora, purtroppo, la scuola è ricominciata =__= Prometto però che posterò prima, ormai sono lanciata e ho già mooolte idee per i prossimi capitoli! ^^ Anch'io spero che Milla posso essere felice, un giorno... Alla prossima! :*
> CAMiL92: Fragolina del mio cuoreeee! Ovvio, tutte le Camille sono indimenticabili, specie tuuuuuH, il cuore del mio cuore! *___* Vai tranquilla che mi fa già un piacere immenso sapere che ti piacciono le schifezze che scrivo, non ti preoccupare di essere ripetitiva ^^ E' da una vita che non ci sentiamo, accidenti, mi manchiiii ç____ç maledetta la scuola ç____ç Ti adoroH, CapaMusa del mio (L)! <3  A prestissimo :*. P.s. Buuuu, Axeeeel XDXD
> Sognatrice: Si rincontreranno, si rincontreranno, vedrai... *ghgh* Bill è un genio, amo quel ragazzo! *____* Al prossimo capitolo! ^^ Ah, ti ho mai detto che adoro il tuo nickname? *__*
> tokiohotellina483: Oh, felice di aver completamente afferrato il concetto di "strano"! Ogni tanto qualcosa la faccio giusta... xD Felicissima anche che il capitolo ti sia piaciuto, spero che questa non sia da meno; se no me lo farai sapere ^^ *si prepara al lancio dei pomodori* Alla prossima ^^
> Arina: TesoVooooo! XD Sei una recensitrice ufficiale, ormai >v< Mi scuso per tutto il tempo che lascio passare ma davvero, trovare delle buone idee diventa sempre più faticoso *deterge il sudore dalla fronte* Ma ce la farò! >___<
Allora, il gatto di  Milla è un genio! E qua non si discute u_u; Tom finalmente l'ha capita *ola*; Bill deve fare sempre il rompi*eheeeheem* se non non sarebbe Bill. E anche qua non si discute u_u xD. Per il capitolo corto mi scuso *inchino* e ritiro fuori il motivo di prima (neuroni bruciati). Spero che almeno questo sia stato di tuo gradimento ç____ç  Accetto il "Fantasticosa con la F maiuscola" anche se non me lo merito ma la mia autostima è ai minimi termini quindi un po' di complimenti non fanno mai male XD Alla prossima! ^^ P.s. Per caso... non è che hai msn? ^^"


Bene. Dopo tutta la fatica che ho fatto per tirare fuori questo capitolo mi aspetto almeno il doppio dei commenti; mi basta che mi diciate che faccio schifo ç_ç
Grazie! ^^ Alla prossima, gente! <3


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Capitolo 19
*** *CAPITOLO 19* ***


*19*





- Andiamo? - mormorò una voce.

Aprii gli occhi. Axel mi stava fissando; non una traccia di un sorriso, un luccichio scherzoso negli occhi vuoti.

Era serio. Rassegnatamente serio.

Sospirai e abbassai il vis0,o percorso da scie di lacrime quasi secche che mi ustionavano il viso. Un'altra, forse non l'ultima, mi rotolò giù per la guancia e io la leccai via. Era amara.

- Andiamo -, confermai, afona.

Il giro era finito.



Quando scesi da quella dannata ruota panoramica mi sentii stranamente leggera, come se ciò che era successo là sopra, dentro l'anonimo vagoncino rosso, non fosse mai sceso con me, diventando unicamente il ricordo di un sogno. Stavo per sentirmi sollevata e quasi serena quando Axel apparve al mio fianco, aiutandomi meccanicamente a fendere la folla per farmi largo.

Rabbrividii quando mi prese la mano e mi divincolai aumentando il ritmo del passo. Mi sentii un mostro ma non potevo comportarmi diversamente o gli avei fornito solo altre inutili illusioni.

Nella confusione stordente che permeava il luna park mi stupii di poter percepire il sospiro triste del ragazzo. Probabilmente perché il suo viso era in linea col mio. O, più probabilmente, perché lo era il suo cuore...

Il tragitto fino all'auto di Axel fu relativamente silenzioso e imbarazzante: io mi sentivo sfinita come se avessi corso i mille metri, eppure cercavo lo stesso di iniziare un discorso per far tornare tutto come prima almeno all'apparenza; Axel, invece, sembrava completamente perso dietro i propri pensieri, e una volta raggiunto il veicolo per poco non partì lasciandomi a terra.

Il viaggio fu lungo e pesante, l'aria intrisa di un irrespirabile senso di colpa che mi soffocava. Mi girava la testa, affollata da pensieri troppo ingarbugliati perché riuscissi a districarli uno alla volta e analizzarli per bene. Frammenti di conversazioni, brandelli d'immagini mi passavano davanti agli occhi in un alone indistinto facendomi sentire come in un frullatore gigante.

Come diapositive, me lo vedevo proiettati contro le palpebre chiuse: io e Axel, bambini, sotto la pioggia primaverile, a fare un pupazzo di neve a Natale, a schizzarci d'acqua salata durante le vacanze estive, a raccogliere le foglie ingiallite tornando da scuola. Sempre insieme, sempre felici. Sempre noi.

Aprii gli occhi e sbirciai il profilo indurito del ragazzo alla guida, proprio accanto a me eppure così lontano. Che ci era successo?, pensai con il cuore gonfio di tristezza. Quando ci eravamo smarriti?



L'apparizione in fondo alla strada di casa mia fu una sorsata di refrigerante acqua fresca. Ancora un minuto e mi sarei messa ad urlare. La vista dell'espressione così inumanamente distaccata di Axel mi feriva come se fossi stata io ad essere rifiutata, e non viceversa.

Prima di scendere asciugai le lacrime ormai secche dalle mie guance, mi guardai nello specchietto nell'inutile tentativo di modellarmi sul viso un'espressione che non fosse troppo disperata e lisciai in scatti nervosi, automatici, le pieghe dei miei jeans.

Non si poteva dire che stessi bene, anzi, ma nel remoto caso in cui i miei fossero a casa dovevo prepararmi a recitare la parte della “figlia felice et spensierata appena di ritorno da una gita strepitosa al luna park col suo amichetto”. Almeno una parte del mio alibi era vera.

Perciò, mi stampai in faccia il mio più convincente sorriso plastificato e con riluttanza mi voltai verso la macchina.

- Vieni? -, chiesi con un filo di voce. Provai a schiarirmela, con il solo risultato di aumentare il nodo che mi ostruiva la gola e mi spingeva le lacrime agli occhi. Con uno sforzo enorme lo mandai giù, e potei sentirlo raggomitolarsi in fondo alla trachea, pronto a risalire. Cercai di non pensarci.

Axel mi fissò con sguardo torvo qualche secondo prima di distoglierlo e puntarlo all'orizzonte, tamburellando nervosamente con i pollici sul volante.

- Non so se sia il caso -, rispose infine in un mugugno.

Deglutii, il sorriso che cominciava a perdere di consistenza.

-Insisto!-, esclamai con finta esuberanza aprendogli la portiera e tirandolo per un braccio, senza però scatenargli alcuna reazione.

- Milla...

M'impietrii. Lasciai andare il suo braccio che andò a posarsi mollemente sulla sua gamba fasciata di jeans e indietreggiai.

- Davvero... non è il caso -, ripeté. E stavolta capii quello che realmente intendeva dire.

- D'accordo... -, biascicai abbassando il capo. Il nodo alla gola era tornato e stavolta mi era impossibile mandarlo giù. - Ci vediamo presto, eh? -, salutai dirigendomi verso casa, rigida. Rimasi sorpresa del tono stridulo che mi uscì. Nuovamente, mi schiarii la voce.

Il ragazzo sembrò osservare con interesse, per qualche istante, una piccola macchia nera accanto alla sua scarpa da ginnastica, sul marciapiede; poi, quasi riprendendosi da una riflessione particolarmente intensa alzò gli occhi foschi su di me.

Con un sussulto notai che erano dello stesso colore del cielo: grigi, spenti, bui.

- Va bene - disse soltanto prima di voltarsi a chiudere la portiera e partire in direzione opposta rispetto quella da cui eravamo arrivati. Non un ultimo sguardo né un movimento che tradissero il desiderio di vedermi ancora. Non un rapido lampo degli occhi verso di me, un sorriso tirato, che per quanto potesse essere finto e costretto mi avrebbe risollevato almeno un po'.

No, niente di tutto questo. Solo una mortale indifferenza che continuava a struggermi l'anima.

Dopo pochi secondi la sua utilitaria blu era sparita dalla mia visuale, ma io non riuscivo a muovermi, paralizzata in piedi accanto alla strada, a cercare ancora con lo sguardo un altro tipo di blu diverso da quello palesemente finto della carrozzeria, meno lucido, più vivo, che non sapevo se avrei mai più rivisto. A quel pensiero un colpo al cuore, tagliente e gelido come una coltellata mi costrinse a piegarmi per non essere sopraffatta dal dolore. Tutto diventò sfocato e umido.



Finalmente, in uno sporadico sprazzo di lucidità mi resi conto che i miei sarebbero potuti tornare da un momento all'altro. Il sole era quasi tramontato. Da quanto ero lì? Minuti, ore?

Scossi la testa, spazzai via altre lacrime che il vento stava asciugando per me e con la schiena, il cuore e la gamba sana a pezzi entrai in casa.

Mi chiuderò nella mia stanza, non mi importa se verranno a cercarmi, voglio stare sola. Poi chiamerò Axel tutta la notte se necessario, se non vorrà rispondermi insisterò finché... o forse è meglio lasciarlo solo almeno per oggi?”, pensai tristemente riponendo con un tintinnio le chiavi al loro posto, sul comodino accanto alla porta. “No, devo parlargli. In fondo non è davvero colpa mia, cioè, è vero, io non volevo ferirlo ma è successo, deve farsene una ragione e perdonarmi... ma cosa c'è da perdonare, poi? È diventata una colpa adesso non ricambiare i sentimenti del tuo migliore amico? Non che mi risulti. La gamba mi fa male. Dovrà perdonarmi per forza. Lo chiamo. Devo sedermi. Ed è meglio che aspetti un po', non credo sia ancora arrivato a casa...”.

Stavo per dirigermi in camera mia, un po' saltellando un po' aggrappandomi al muro, quando qualcosa mi fece immobilizzare in mezzo al corridoio, come un cervo abbagliato dai fanali di un'auto.

Lentamente, mi voltai verso la cucina. Ero sicura di aver sentito un rumore.

Con attenzione, misurando ogni rumore, feci dietrofront e scivolai agilmente (per quanto la gamba ingessata me lo permettesse) lungo il muro.

C'era la luce accesa in cucina. Possibile che avessi dimenticato io di spegnerla, quella mattina? Ci pensai su velocemente, mangiandomi l'unghia del pollice per il nervoso.

No, ero sicura di aver premuto l'interruttore subito dopo aver scaraventato la tazza dei cereali nel lavandino, ne ero sicura. Chi poteva averla accesa? I miei? Non avevo visto la loro auto. Axel? Era andato via da tempo. Chi era stato?

Un ladro?

Al solo pensiero un brivido freddo mi corse giù per la schiena.

Che possibilità avevo contro un uomo adulto quasi sicuramente senza scrupoli, io, con la mia gamba di legno e una forza fisica pari a quella di uno scoiattolo in pensione?

Mi maledissi per aver fatto il mio solito chiasso entrando in casa perché di sicuro a quell'ora l'intruso aveva saputo della mia presenza e si era nascosto, come ogni buon film del terrore prevede.

A me nemmeno piacciono gli horror!” piagnucolai fra me e me muovendomi con circospezione verso il triangolo di luce disegnato a terra dalla lampadina penzolante del tavolo. In quella circostanza perfino le oscillazioni più che ordinarie della luce erano sinistre, spaventose, e la zona d'ombra di cui ad ogni movimento disegnava i contorni pareva nascondere chissà quali orrori.

Deglutii a vuoto e mi asciugai il sudore freddo che mi imperlava la fronte.

Che dovevo fare? Irrompere dentro urlando a più non posso? Forse l'avrei spaventato, magari avrei addirittura allertato i vicini, ma se, come era probabile, non avesse avuto paura di me? Che mi avrebbe fatto?

E allora che dovevo fare? Scappare? Da casa mia? E andare dove?

Dovevo chiamare la polizia? Avevo con me il cellulare? Mi tastai le tasche e gemetti sottovoce. Ovviamente no.

Che fare?

Che fare?

Prima che riuscissi a decidermi, involontariamente, appoggiai il peso sulla gamba ferita che, per la seconda volta quel giorno, cedette.

Caddi a terra molto più velocemente di quanto mi aspettassi, tanto che non ebbi nemmeno il tempo di urlare dal dolore.

E mentre un'ombra scura, richiamata dal rumore, si stagliava contro la luce tremolante della lampadina, abbagliandomi, non potei non pensare che stavolta non c'era stato nessuno a sorreggermi e a tranquillizzarmi coi suoi grandi, occhi azzurri.



*



-Non mi aspettare, non so quando torno, probabilmente tardi se non domani-, esclamai, talmente in fretta da mangiarmi metà della frase. Schiacciai per bene anche l'ultima t-shirt stropicciandola a regola d'arte e mi sedetti pesantemente sopra alla valigia per chiuderla. Dovetti ripetere per la bellezza di quattro volte la seguente operazione: aprire la valigia, spostare qualcosa di già messo bene e, di conseguenza, sistemarlo male, chiuderla, sedermici sopra, imprecare e riaprirla, ma alla fine ogni cosa era dentro e io ero pronto.

Mio fratello, con una tazza di caffè in mano e uno sguardo ancora troppo assonnato per essere solo vagamente lucido, guardava il mio frenetico affannarmi come se stesse assistendo a una sitcom. Non sembrava preoccupato, forse perché della mia frettolosa esclamazione aveva capito solo l'ultima parola.

-Domani? Che abbiamo domani?-, biascicò pensosamente appoggiandosi allo stipite della mia camera d'albergo.

Scossi la testa e sospirai. In fondo era un bene che mio fratello fosse ancora in stato comatoso, almeno non avrebbe cercato di fermarmi. Non subito.

Perlustrai la stanza con lo sguardo alla ricerca di qualcosa che mi fosse sfuggito, e infatti due secondi esatti dopo mi ricordai dello spazzolino da denti, al sicuro e ben sistemato in un bicchiere in bagno.

Mormorai qualche bestemmia fra i denti e mi precipitai a recuperarlo, stringendolo forte nella mano e scaraventandolo nella valigia il più bruscamente che potei, come se volessi incolparlo di non essere spuntato fuori prima. Il borsone, almeno stavolta, si chiuse subito.

Bill bevve un altro sorso di caffè strizzando gli occhi a causa del calore e solo allora parve rendersi conto che c'era qualcosa di strano, ossia che suo fratello, vestito di tutto punto alle sette e mezza di mattina, era intento a prepararsi per chissà quale viaggio che i Tokio Hotel non avevano in programma. Ed erano le sette e mezza di mattina. C'era decisamente qualcosa di strano.

-Dove stai andando?-, chiese, lo sguardo un po' più attento.

Alzai gli occhi al cielo. Bill si era svegliato dal suo coma giornaliero, e nel momento peggiore per giunta! Ero già abbastanza agitato per due, se si fosse messo in mezzo lui con i suoi urletti da primadonna isterica avrei potuto gettarmi dritto dalla finestra. O gettare lui.

Scossi la testa: i pensieri omicidi me li sarei fatti venire in mente più tardi, ora dovevo rimanere concentrato sul mio obiettivo, ossia andare a trovare Milla, parlare, chiarire un paio di cosette che mi stavano facendo diventare matto e tornarmene a casa. Niente di più semplice. Sì, certo. Chi stavo cercando di prendere in giro?

Rastrellare un po' in giro e scoprire le informazioni necessarie come il suo cognome e l'indirizzo di casa era stato facile, decidere di muovermi subito dopo una bella passeggiata rinfresca idea era stato facile, anche preparare la valigia, compito odioso che di solito delegavo a Bill, era stato facile; ma prendere quel dannato treno, suonare a quel maledetto campanello e ritrovarsi davanti il suo viso... oh, quello era tutt'altro che facile.

Eppure, come tutte le faccende più fastidiose, anche questa per quanto insolita andava sistemata prima o poi, e per la mia sanità mentale sarebbe stato meglio risolverla prima che poi.

-Senti...-, esordii in risposta con il tono di voce più rassicurante che mi riuscì di tirare fuori, ma... non riuscii più a continuare. Mi mancavano le parole, la voce e i pensieri. Anche la determinazione andava scemando di momento in momento.

Merda. Mi diedi dello stupido: lo sapevo che il trucco era non pensarci troppo, lo sapevo, e che stavo facendo? Ci pensavo! Dannato Bill e le sue domande...

Mi schiaffeggiai mentalmente, diedi un paio di pugni alla valigia per spianare qualche sporgenza e senza soffermarmi troppo su quello che stavo facendo me la presi sotto braccio e infilai la porta.

Quasi investii mio fratello, impegnato com'ero a non pensare a niente. Alzai lo sguardo su di lui per borbottare una scusa affrettata e invece mi sentii mormorare:

- Vado da lei.

Anche nel mio ovattato “non-pensare” riuscii ad avvertire una leggera sorpresa: non era da me dire una cosa del genere. A dire il vero, di quei tempi, c'era ben poco che mi ricordasse il caro, vecchio Tom... come se mi fossi trasformato in un'altra persona. A causa sua.

Ops! Non dovevo pensarci, giusto?

Barcollai in corridoio senza voltarmi indietro, sicuro che se avessi osato dare una sbirciata a Bill lui mi avrebbe sicuramente fermato. Allora era stata solo un'impressione l'averlo visto annuire appena quando gli ero passato davanti?

Sorrisi. Certo che no. Caro, comprensivo fratellino. Dopo diciotto anni mi trovai a benedire di aver lui come gemello. Certo, non era Mister Macho Man, si accaparrava sempre l'ultima fetta di pizza, non lasciava spazio agli altri nelle interviste e monopolizzava il bagno ogni santo giorno, però, mentre quasi perdevo l'equilibrio per il peso della valigia e quello delle mie decisioni, non potei desiderare fratello migliore. Sapevo che sarebbe stato sempre lì, accanto a me, unica costante della mia vita incasinata.

Solo ripetendomi che non sarebbe stato un comportamento da Tom e che il mio treno sarebbe partito senza di me se non mi fossi affrettato riuscii a trattenermi dal tornare indietro e abbracciare quell'adorabile checca isterica tanto forte da toglierci il respiro a vicenda. Fu molto difficile controllarmi, quella volta.

Prima di uscire, trafelato, afferrai il primo giaccone che trovai appeso all'attaccapanni, senza preoccuparmi di guardare se fuori era sereno o pioveva. Poi, per la seconda volta in quella giornata interminabile che era appena cominciata, imboccai la via del mio destino, baciato in viso da un sole splendente più che mai. 

*

Purtroppo non ho il tempo per ringraziarvi tutti, quindi contate che l'abbia fatto (GRAZIE!) e rimedierò la prossima volta! ^__^ 

Hope you liked it. Continuate a seguirmi, siamo prossimi a una svolta decisiva! *__*

Un abbraccio a tutti! <3

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Capitolo 20
*** *Capitolo 20* ***


*20*

 

Ecco, lo sapevo. Ero spacciata.

La mia giovane, sofferta vita era già giunta alla sua conclusione? Era così che finiva tutto? In questo modo che la mia esistenza veniva cancellata?, mi domandavo.

Sarei riuscita ad accettarlo?

Una rabbia non mia mi si accese nel petto, un'ira mai provata che mi infiammò le vene, appiccando scintille di adrenalina in tutto il mio corpo. Abbandonai ogni timore e mi rannicchiai in posizione di attacco di fronte al mio aggressore ignoto, pronta a soccombere combattendo. O almeno a provarci.

-Fatti sotto se ne hai il coraggio!- strillai con l'isterismo che traboccava da ogni sillaba. Una manciata di secondi più tardi mi pentii di aver pronunciato un tale cliché, che nella mia bocca di scrittrice in erba suonava ancor di più come un'infantile battuta di un cartone animato.

Prima che il mio orgoglio di artista mi spingesse ad apostrofare in modo più consono lo sconosciuto maniaco (incredibile come anche in un caso del genere tenessi di più alla grammatica che a tutto il resto...), il maniaco sconosciuto parlò.

- Ma che stai dicendo? -, esclamò con aria di rimprovero e una voce familiare.

Sbattei le palpebre, stupita. Che?

- E che hai fatto alla gamba? Sei inciampata come tuo solito, immagino. Aah, ma che dovrò mai fare con te?! Dai, ti aiuto ad alzarti -, continuò l'ombra porgendomi la mano. Una mano dalla pelle resa ruvida e callosa da anni di lavoro manuale e prove incessanti alla batteria. Una mano che più volte avevo stretto con la mia e dalla quale ancora di più mi ero fatta carezzare e abbracciare. Probabilmente, la mano che da tre anni a questa parte mi era mancata più di tutte.

- Sei tu... -, mormorai, senza fiato, una volta in piedi. Come se il pensiero provenisse da qualcuno accanto a me e non dal mio cervello sovraccarico mi resi conto distrattamente di aver assunto un'espressione piuttosto stupida, con la bocca aperta e gli occhi spalancati, ma non riuscii a far altro che deglutire e rimanere a fissare il suo viso, segnato dal tempo, meno giovane, meno bambino, più bello.

Senza lasciare la mia mano, mi guidò sotto la luce diretta della lampada in cucina, permettendomi, finalmente, di imprimermi nella mente ogni particolare dei suoi lineamenti.

Ridacchiando, mi posò un dito sotto il mento e mi chiuse la bocca.

-Sì, sono io -, sussurrò dolcemente. E anche lui si mise a contemplarmi, scivolando su e giù lungo la mia altezza (se così, sigh, potessi dire), sfiorandomi il viso e scrutandomi intensamente negli occhi, sempre senza abbandonare quell'accenno di sorriso.

Mi accigliai. I suoi erano sempre stati così grandi e chiari? E il naso, non era più lungo? Da quando aveva i denti così bianchi e dritti?

Arretrai un po' per osservarlo nel complesso. Sì, indubbiamente, era lui, ma più... ecco, non credo esista un aggettivo per definirlo.

Risposi al suo sorriso e senza pensarci gli gettai le braccia al collo, che, essendo molto più in alto dei miei standard, riuscii solo a circondare con le mani.

Lui se ne accorse e, ridendo, mi sollevò per le gambe permettendomi di allineare gli occhi con i suoi. Ridacchiammo insieme, soprano e tenore, e io gli posai un tenero bacino sulla guancia.

-Mi sei mancato -, sussurrai contro il suo zigomo pungente. Aveva un buon odore di dopobarba. Il pensiero che si radesse abitualmente mi sconvolse un po': in fondo, nei miei ricordi lui era ancora un sedicenne dalla pelle di pesca.

Superai il pensiero senza troppe difficoltà.

- Anche tu, Milla. Però, senti... -, esordì lui con aria grave.

- Che succede? -, chiesi allarmata. Oddio. Non poteva trattenersi. Doveva andarsene. Stava male. Era nei guai. Stava fuggendo dalla legge e io dovevo nasconderlo. Si era sposato e aveva figli. E chi più ne ha più ne metta.

Col fiato sospeso lo vidi mordersi il labbro inferiore, preda di chissà quale sofferenza interiore. Infine, il suo sguardo color miele tornò a tuffarsi nel mio.

-Posso metterti giù? -, disse. - Mi sta venendo un'ernia-.

Ci guardammo ad occhi sbarrati, lui un po' affaticato, e pochi secondi dopo, anche se mi persi qualche passaggio dell'intera sequenza, eravamo entrambi a terra, piegati in due dalle risate.

Strisciando, sempre senza riuscire a respirare, mi trascinai verso di lui e mi accasciai sul suo petto, sconquassato dai singulti. Lui mi abbracciò e appoggiò la testa sui miei capelli e me li baciò.

Era troppo bello per essere vero. 

- Ma che ci fai qui? Credevo di rivederti fra qualche settimana! -

- Lo so, ma come potevo rimanere lontano ancora dalla mia adorata sorellina? -, sghignazzo spettinandomi a piene mani.

- E smettila, non mi incanti! – mi scansai ridendo. – Lo so che c’è qualcosa sotto. –

Il mio fratellone mi fissò per un po’ da sotto le sue lunghe ciglia.

- E va bene, piccolo detective, ti racconto tutto. Adesso però alziamoci, così posso preparare un thè. Tu vai pure a sederti –.

Mi sospinse giocosamente al mio posto a tavola e cominciò a trafficare con bollitori e bustine. – Lo zucchero è sempre al solito posto, giusto? –

- No, mamma l’ha messo nella credenza a destra, ultimo scaffale – indicai sbracciandomi e rischiando di scivolare giù dalla sedia. – Ops! -

- Ma tu che diavolo ti sei fatta alla gamba, veramente? – si accigliò lui lanciandomi un’occhiata da dietro la spalla.

- È una storia complicata – sospirai.

L’idea di rivangare quei ricordi ancora dolorosamente freschi non mi allettava, ma mio fratello aveva il diritto di sapere. E poi, lui era più grande e maturo e avrebbe sicuramente avuto qualche buon consiglio da darmi, anche a proposito di Axel.

- Quanto ti fermerai? – chiesi non appena mi ebbe appoggiato davanti due tazze fumanti di ottimo thè alla menta.

- Qualche giorno, non ho ancora definito nulla. Ho delle cose da portare a termine col lavoro, ma una piccola vacanza non farà saltare all’aria la fabbrica – rise.

- Allora è meglio se ti metti comodo  perché abbiamo davanti a noi giorni di racconti interminabili – ghignai.

 

*

 

- Ma sono liane quelle che hai in testa? -.

Sospirai e mi immersi nel cappuccio della mia felpa, nascondendo qualche dread fuggitivo. Era la quinta volta nel giro di dieci minuti che sentiva quella domanda.

- Non disturbare il signore, tesoro -, sospirò mollemente la donna seduta davanti a me, poi voltò una pagina del quotidiano e vi scomparve dietro.

- Ma ha delle piante che gli spuntano dalla testa! – proseguì imperterrito il molestatore.

Ne avevo affrontati parecchi di personaggi irritanti durante la mia carriera: reporter, stalker, intervistatori idioti, groupies assatanate… ma un bimbo di cinque anni col moccio al naso con la capacità di non sbattere le palpebre per interi minuti mentre ti fissava, be’, questa era una novità.

- Ehm, bimbo… - mormorai lanciando occhiate preoccupate da dietro gli occhiali scuri. – Perché non… perché non stai con la tua mamma e giochi con lei?

Il piccolo mostro mise in mostra la dentatura irregolare, fissandomi malignamente. – Ma tu sei mooolto più divertente! Allora, sono davvero liane? Come sono spuntate? Hai mangiato i semini delle angurie? Oppure hai bevuto una formula segreta? Da quanto sono lì? Posso toccarle? Fanno male quando crescono? Ti sono mai spuntatii dei frutti? E perché non le tagli? Posso…

“Attenzione” risuonò la voce dell’altoparlante. Emisi un gemito sollevato e alzai gli occhi al finestrino per orientarmi. “Avvisiamo i gentili passeggeri che saremo al capolinea fra cinque minuti. Ripeto…”

- Grazie al cielo – sospirai iniziando a raccogliere le mie cose. Quel maledetto viaggio al mio inferno personale stava per concludersi e mi sarei lasciato alle spalle quella piccola peste che… che… Ma dov’era finita?

Non feci in tempo a guardarmi intorno che un dolore acuto alla tempia mi punse ripetutamente.

- Ahi! – squittii con le lacrime agli occhi.

- Ehi, ma non sono liane vere! – strillò la vocetta acuta del bambino dritto nel mio orecchio. Imperterrito, continuava a tirarmi un dread, come se avesse mai potuto staccarsi!

- E molla! – esclamai tirando più forte. Mi riappropriai dei miei capelli, ma il mostro rotolò giù dal sedile, finendo a gambe all’aria.

Ebbe un momento di smarrimento, poi la sua espressione si contrasse e…

Reagii con prontezza. Un secondo prima che iniziasse a piangere strillando come un’aquila, mi alzai in fretta, afferrai la valigia e corsi fuori dallo scomparto.

Non appena mi lasciai alle spalle tutte quelle grida, mi sentii già più sollevato.

“Come mi sono ridotto… dopo aver sopportato un viaggio del genere in classe economica, spero davvero che Milla sia in casa!” brontolai tra me e me, reggendomi mentre il treno rallentava.

Mi aggiustai gli occhiali sul viso e scesi velocemente, lasciandomi trasportare dal flusso di persone verso l’uscita della stazione.

Iniziavo ad avvertire una sensazione fastidiosa e adrenalinica all’altezza dello stomaco, molto simile a quella che provavo quei dieci minuti prima di salire sul palco.

Per calmarmi, pescai nelle infinite tasche dei jeans il biglietto su cui mi ero scritto l’indirizzo della ragazza.

Sì, non era nulla di che. Sarei arrivato, le avrei parlato, mi sarei reso conto di che brutta persona in realtà fosse, l’avrei mandata a quel paese e me ne sarei tornato a casa con un peso in meno, pronto a ripartire con la mia vecchia vita senza visioni né pensieri.

Attraversai il piazzale a passo baldanzoso, trascinandomi dietro il trolley, e nella luce debole dell’ultimo sole strizzai gli occhi alla ricerca di un taxi.

Uhm. Strano che non ce ne fosse nemmeno uno.

Aspettai per dei buoni minuti, guardandomi attorno, infine mi decisi a dirigermi alla biglietteria.

- Mi scusi – esordii in tono seccato. – Si può sapere perché non si trova nemmeno un taxi? Sono venti minuti che aspetto, e… -.

- Non ha letto i cartelli? – mi interruppe la donna dietro il vetro con aria visibilmente scocciata. – Ci sono avvisi ovunque, oggi è lo sciopero dei tassisti. Fino a domani può scordarsi di trovare un singolo taxi disponibile.

- Domani? Ma… ma a me serve adesso! – protestai, sconvolto.

- Crede di essere l’unico a subire il disagio? Dovevo incontrarmi col mio amante dopo il lavoro, ma senza un taxi è troppo lontano per poterlo raggiungere, quindi mi tocca rimanere a casa con mio marito a sopportare le sue tirate sul lavoro! Ha idea di cosa significa dopo un turno di dieci ore?! – sbottò lanciando fulmini dagli occhi.

Arretrai lentamente, deglutendo. – N-no… però, io… - ritentai. La donna scoprì i denti in una specie di ringhio. – N-nulla. Ehm, grazie dell’informazione e… e auguri col suo amante - .

Arretrai ancora finché non fui fuori dal suo campo visivo, poi corsi più lontano che potei.

Trovai una panchina e mi ci accasciai, sconvolto.

“Pazzi! Sono tutti pazzi qui!” pensai, tenendo un occhio alla strada, in caso qualcun altro avesse intenzione di aggredirmi con i suoi problemi da casalinga disperata.

- E adesso, come ci arrivo da Milla? – mormorai, sentendomi come un anatroccolo sperduto.

Studiai l’indirizzo. Non conoscevo la zona e con il buio che stava calando, rischiavo di perdermi dopo neanche due incroci.

Mi abbassai il cappuccio e mi sfregai la testa a palmi aperti, riflettendo.

- Ehi, tu sei quello del treno! – esclamò una vocetta irritante. Quella vocetta irritante.

Alzai gli occhi e vidi il bimbo che mi indicava, a manina con la madre.

- Serve aiuto? – domando poco convinta la donna.

I miei occhi incontrarono quelli del bambino. Il suo sorriso sporco di cioccolata aveva un che di inquietante.

Sospirai, passandomi una mano sul viso. Ero veramente caduto in basso per arrivare a quel punto.

Mi alzai in piedi e con le mani in tasca, mi schiarii la voce. Desideravo essere ovunque tranne che lì, anche stare a sentire la bigliettaia inveire contro il marito sembrava un buon passatempo. Invece il tempo a mia disposizione cominciava a scarseggiare e quella sembrava l’unica soluzione plausibile. Almeno un tentativo dovevo farlo.

- Ecco, per la verità… sì. Non è che potreste darmi un passaggio? – bofonchiai pentendomene dopo mezzo secondo.

Il bambino scoppiò a ridere fragorosamente.

- Ma certo, non c’è problema! Dove devi andare? – sorrise la madre, adesso così gentile nel suo ruolo di ‘persona per bene che aiuta il prossimo’.

Le diedi l’indirizzo, imbarazzato.

- Oh, non è troppo lontano da casa nostra! Sali pure in macchina, io arrivo subito – disse con cortesia allontanandosi a prendere le sue valigie.

La osservai incamminarsi e non appena fu abbastanza lontana sentii qualcosa tirarmi i jeans all’altezza del ginocchio.

Abbassai lo sguardo e mi trovai a fronteggiare l’espressione furbetta della piccola peste.

- Noi due ci divertiremo un sacco insieme – ghignò beffardo ricominciando a punzecchiarmi la gamba.

Alzai gli occhi al cielo, gemendo.

“Sono un completo imbecille.”

 







** Surpriiiiiiiise!

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