Moonlight drive

di julierebel17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Smeraldo ***
Capitolo 2: *** Stephan ***
Capitolo 3: *** La casa nel bosco ***
Capitolo 4: *** Spiriti vaganti... ***
Capitolo 5: *** Honey's eyes ***
Capitolo 6: *** Velluto arancio ***
Capitolo 7: *** Non scherzare col fuoco ***
Capitolo 8: *** Marylin ***
Capitolo 9: *** Grace ***
Capitolo 10: *** E' sparita ***
Capitolo 11: *** Una serva ***
Capitolo 12: *** Empty eyes ***



Capitolo 1
*** Smeraldo ***


-Ciao a tutti! Sono sempre io, Julie! L’autrice di Behind blue eyes. Ho deciso di cimentarmi nella stesura di una storia horror/thriller (dato che adoro questi generi). Cosa aggiungere…si tratta di una storia intrigante. Spero vi piaccia! Fatemi sapere cosa ne pensate se vi va! Grazie a tutti e buona lettura! Baci, baci. Ju-

La piccola Emily passeggiava attraverso i soliti, vecchi sentieri;
aveva trascorso il pomeriggio raccogliendo fiori nei campi che circondavano la tenuta in cui risiedeva insieme ai suoi genitori.
Si trattava di un casolare ben tenuto, una villetta abbastanza spaziosa di genere ottocentesco. Era di un color bordeaux con tanto di ampie finestre nere.
L’interno dell’edificio era meravigliosamente decorato da mobili antichi.
L’entrata presentava un’ampia gradinata, posta al centro della stanza, proprio di fronte alla porta, al fine di condurre gli ospiti alle sale superiori.
Dal soffitto pendevano enormi lampadari di cristallo che rendevano l’atmosfera cupa ed al contempo armoniosa e raffinata.
Emily aveva solo diciassette anni, ma, essendo figlia di un conte aveva potuto apprezzare il meglio della vita.
Adesso che stava crescendo, suo padre aveva preso in considerazione l’idea di trovarle marito.
La fanciulla era appena rientrata.
“Padre, sono tornata” disse con un filo di voce, tenendo tra le mani un mazzolino di fiori, si trattava di viole del pensiero. Decisamente, i suoi fiori preferiti.
“Mia dolce Emily, dove sei stata? La tua dama ti ha cercato ovunque” rispose con dolcezza l’uomo.
“Oh, caro padre, scusate, non sapevo avesse bisogno di me, sono andata a raccogliere le viole, vorrei, però, veder mia madre prima di andare dalla Signorina Janine”.
“Tua madre è in camera sua, sta leggendo, fa in fretta, devi scegliere l’abito per il ballo”.
Così si chiuse la conversazione tra il genitore e l’amata figlioletta.
“Uhm, il vestito per il ballo. Me n’ero dimenticata, tra tre giorni dovrò scegliere il mio pretendente. Sono così giovane, perché voglion farmi questo? Non ho altra scelta, non posso mica deluderli? Troverò un bravo giovine che mi ami per quello che sono, un marchese magari, un marchese che ami la lettura e le arti. Qualcuno che danzi con me. Così sia!”
Fantasticava la fanciulla tra sé e sé fin quando arrivò dinanzi alla camera di sua madre.
Bussò. “Chi è?” chiese quella comodamente seduta su una poltrona.
“Sono Emily, madre cara. Posso entrare? Vorrei parlarvi”.
“Certo, piccola mia, entra pure, mi dilettavo a leggere qualche libro sulle erbe curative”
“Ecco, madre, vorrei parlarvi del ballo…io…ho un po’…paura” le disse amabilmente spaventata. Una piccola fanciulla in piena crescita. Tutte le ragazze a quell’età avevano il terrore di non essere all’altezza del futuro sposo o di trovare al proprio fianco qualcuno che non amavano.
“Bambina mia, non hai di che preoccuparti, troverai un bel giovane che ti ami e voglia stare con te, così come feci io alla tua età”
“Quindi, anche voi conosceste così mio padre?”
“Certo. Avevo proprio la tua età e lo incontrai al ballo organizzato dai tuoi nonni in mio onore. Proprio quando persi la speranza di trovare il giusto pretendente, incontrai un ragazzo dagli occhi verde bosco. M’innamorai perdutamente di quello sguardo, incorniciato da splendidi capelli rossi. Egli m’invitò a danzare e da lì, dal nostro amore, nascesti tu, giusto dopo nove mesi dal nostro incontro”
“Che storia dolce, grazie madre, vado subito a scegliere un vestito, sono felice” disse la giovincella allegramente.
“Sarai bellissima, vedrai, troverai un uomo degno della tua magnificenza” le rispose affettuosamente la donna.

Emily corse in cucina, la servitù salutò la contessina affettuosamente. Ella chiese della sua dama di compagnia e le risposero che l’avrebbe trovata nella biblioteca.
Corse da lei. “Signorina Janine, perdoni il mio comportamento, non sapevo mi stesse cercando, spero di non averle creato problemi” disse con tono malinconico.
“Stia tranquilla signorina Emily, abbiamo ancora tempo, le va di provare alcuni abiti che ho scelto? Vengono dall’India, sono cuciti di stoffe pregiate”
Un sorriso illuminò il volto della ragazza. “Certo, attendo con ansia di vederli”.
La dama uscì per un attimo dalla stanza e tornò con in mano tre magnifici abiti, ognuno di colore diverso, decorati da gemme e merletti preziosi.
“Quale vuole provare per primo?”
La fanciulla sconvolta da codeste bellezze, evidentemente abbagliata dallo splendore dei tre indumenti, scelse di provare per primo un abito dal color oro.
Si osservò allo specchio.
“Cosa ne pensa?” chiese la sua compagna un po’ insicura.
“Mmmh, mi sento una tenda”. Le scappò un risolino. “Concordo, sembra una tenda, provi l’abito nero”, le porse un abito scuro adornato da gemme di un color rosso vivo.
Indossò l’abito e si presentò al cospetto di Janine.
“Come le sembra?” chiese alla donna. “Credo che sia un po’ triste per lei. Signorina ha solo diciassette anni, dovrebbe osare un po’ di più con i colori”.
La fanciulla annuì, era d’accordo con lei.
“Provo l’ultimo abito rimasto? Quello verde?” “Prego”. Prese in fretta l’abito poggiato sul letto sperando che fosse quello giusto.
Lo indossò e raccolse su un lato i lunghi boccoli rossi, eredità donatale dal padre. I suoi enormi occhi azzurri s’illuminarono. Era l’abito adatto.
Dal colore verde pastello, con leggeri ricami ed alcuni smeraldi che adornavano la profonda scollatura.
La fanciulla, però, divenne d’un tratto titubante.
“Janine, non è che…ecco, non sarà troppo profonda questa scollatura? Non ho mai indossato abiti del genere prima d’ora”. La donna rise.
“I corsetti sono così, signorina Emily, modellano le forme donando al suo corpo armonia. Trattengono il ventre ed elevano il seno. Può permettersi d’indossare quest’abito, stia tranquilla, è assolutamente splendida”, quelle parole la rassicurarono.
Emily era una fanciulla timida, arrossiva al minimo complimento e non avrebbe mai immaginato di dover trovare qualcuno a quell’età.
“Allora chiederò alla servitù di lavare l’abito, per far si che sia pronto per il gran ballo” disse Janine alla ragazza.
“Grazie” sorrise quest’ultima.
“Solo una cosa, signorina Emily, volevo dirle che indosserà i gioielli di sua nonna, la parure di smeraldi”
“La ringrazio per l’attenzione, Janine”. La dama lasciò la camera della contessina che, annoiata, si mise a leggere.
Si mosse dal letto solo per la cena.
Mancavano due giorni al ballo ed era emozionata ed ansiosa. Ogni servo si stava impegnando al massimo per far si che la festa fosse la più bella del paese…

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Capitolo 2
*** Stephan ***


-Ecco a voi il secondo capitolo! Ammetto che mi sto divertendo taaaantissimo a scrivere. Spero che in un certo senso vi intrighi la trama. La piccola Emily sta per andare al ballo ed incontrerà qualcuno di speciale, ma BASTA CON GLI SPOILER e bando alle ciance, buona lettura! :3 Baci, baci, Ju-

Emily si svegliò tardi il mattino seguente. Aveva placidamente dormito in un letto a baldacchino, ornato di soffici veli.
I cuscini le sorreggevano il capo.
“Janine!” chiamò la sua dama che corse in camera.
“Signorina, si è svegliata, buongiorno!”
“Buongiorno Janine, può darmi una mano a prepararmi? Devo fare in fretta altrimenti farò tardi”
“Si cambi, le allaccio il corsetto” “Cosa? Un altro abito col corsetto?! Devo davvero metterlo?”
“Si, deve cominciare ad abituarsi a questo genere di vestiti altrimenti domani sera starà scomoda”
.
“D’accordo” la ragazza annuì rassegnata.
Indossò un abito talmente stretto che quasi soffocava. “Beh, posso sopportarlo” disse sorridente alla dama di compagnia.
“Vado a far colazione”. Si diresse nella grande sala da pranzo in cui l’aspettavano i suoi genitori.
Una tavola imbandita l’attendeva, c’era cibo di ogni qualità. Frutti sconosciuti, pane croccante, marmellata di ogni tipo, miele, tè e dolci vari.
La contessina si sedette elegantemente a tavola. Era molto graziosa e dotata di un’educazione impeccabile. Il suo portamento era a dir poco invidiabile.
Si muoveva con così tante grazia e leggerezza che quasi sembrava non sfiorare la terra.
Sembrava una ninfa, una musa ispiratrice.
“Madre, padre, buongiorno” disse allegra.
“Buongiorno” risposero in coro sorseggiando del tè.
“Domani sera ci sarà la grande festa, non vedo l’ora che arrivi” ribatté Emily soddisfatta.
I genitori le sorrisero.
Finita la colazione, la fanciulla dedicò alcune ore alle lezioni obbligatorie. Doveva studiare latino, greco e francese.
“Ha studiato per oggi, contessina?” chiese il precettore.
 “Certo” rispose la ragazza. “Coniughi il verbo ‘laudare’ al tempo presente, modo indicativo” “Laudo, laudas, laudat, laudamus, laudatis, laudant”
Le ore di studio trascorsero in fretta ed il sole calò.
“Signorina Emily, è tempo di fare il bagno e cospargere il corpo di oli profumati, deve prepararsi in vista della cerimonia” disse sorridente Janine.
“La seguo” rispose Emily. La dama l’aiutò a lavarsi. Una morbida stola di seta avvolgeva il suo corpo.
“Ecco, sono pronta, dobbiamo mettere gli oli?” chiese la ragazza curiosa, non aveva mai usato profumi prima d’ora.
“Si, si spogli”. Si stese sul letto a pancia in giù, senza alcun indumento. Il suo corpo era sinonimo di perfezione.
La pelle era candida, tranne che sul viso, ornato di piccole lentiggini arancioni. I seni sodi poggiavano sui morbidi cuscini, i capelli ricadevano lungo la schiena sinuosamente.
Il fondoschiena era liscio e scolpito, le gambe snelle e slanciate ed infine piccoli piedi che ricordavano quelli di una fata.
Si, Emily, sembrava una fata dei boschi.
La dama cosparse la sua pelle di profumi e le intimò di andare a dormire, doveva essere bella e riposata entro il giorno seguente.
La notte volò e la fanciulla si svegliò piena d’energia.
Sorrise tutto il giorno fino al momento di vestirsi.
Indossò l’abito verde e la parure di smeraldi, raccolse in parte i capelli con alcuni spilloni. Infine, mise un paio di guanti neri in raso.

“Signorina, si sbrighi, gli ospiti la stanno aspettando!  E’ ora!” disse Janine.
“Andiamo” rispose Emily. Si fermò all’inizio della gradinata, non aveva mai visto tanta gente in casa sua prima di quella sera.
Fu in quel momento che suo padre richiamò l’attenzione di ognuno.
“Signore e signori, vi do il più caloroso benvenuto accogliendovi nella mia dimora, spero vivamente che la festa sia di vostro gradimento, ora, però, vi presento l’ospite d’onore, l’organizzatrice della serata, la mia piccola Emily”.

La fanciulla percorse elegantemente i gradini, scortata dalla propria dama.
Tutti rimasero ammaliati da tale splendore. Un velo di timidezza traspariva dai suoi occhi. Era un’ingenua donzella.
Accostò la sua figura esile a quella del padre.
“B-buonasera a tutti, dunque, vi ringrazio per essere qui con me stasera e…ehm…apriamo le danze” sfoderò il suo sorriso migliore ed andò a sedersi al tavolo di famiglia precedentemente allestito.
C’erano giovani ovunque, alti, bassi, magri, grassi, biondi o bruni, ma nessuno attirò l’attenzione della contessina.
Cominciò ad annoiarsi e non sapeva cosa fare. Alcuni degli invitati le chiesero di ballare, ma rifiutò con un semplice cenno del capo, finché…
"Dunque lei è la contessina Emily Spencer?" le chiese un baldo giovane dai lineamenti angelici dopo averle cortesemente baciato la mano.
La fanciulla sorrise appena, intimidita dal suo gesto:
“Si, in persona, lei è?” fece per chiedergli il nome.
“Stephan” rispose.
“Stephan cosa?”. “Solo Stephan, mi concede questo ballo?”.
Il ragazzo non proferì altre parole e la convinse a danzare con lui…

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Capitolo 3
*** La casa nel bosco ***


-Grazie mille per le recensioni! Mi sono impegnata molto, sto scrivendo il più possibile prima che cominci la scuola (non avrò molto tempo, purtroppo). Quindi, ecco a voi il terzo capitolo. Prima di dimenticarmi vi dico che il titolo della storia è lo stesso di una canzone del mio gruppo preferito, i Doors, per questo userò spesso citazioni di Jim Morrison (anche non sue, ma rielaborate da lui, come quella citata sotto). Vi ricordo che la piccola Emily aveva incontrato un giovane alquanto interessante al ballo, cosa succederà? Leggete e appagherete la vostra curiosità (e recensite ù.ù). Baci, Ju-
Ama ragazza, ama perdutamente,
e se ti dicono che l’amore è peccato,
ama il peccato e sarai innocente
J.D.M.

Stephan…questo nome risuonava nella mente della contessina. Doveva avere circa ventitré anni. Aveva notato che era più maturo degli altri invitati che quasi sembravano ragazzini in confronto a lui.
Stephan non era un bambino, Stephan era un uomo. Si diressero al centro della sala. Danzavano piacevolmente, d’altronde Emily aveva preso lezioni di portamento, sapeva ballare con leggiadria. Dopo pochi minuti notò qualcosa che la fece sobbalzare, il ragazzo che aveva di fronte le aveva stretto la vita con un braccio portandola violentemente contro di sé. Piccoli brividi pervasero il suo corpo. Non le dispiaceva affatto una tale vicinanza, ma era timida, troppo per accettarla.
“M-mi scusi, Stephan, po-potrebbe allentare un po’ la presa? Mi sta facendo male, sa il vestito…”
Provò a giustificarsi del proprio imbarazzo.
Lui le si avvicinò all’orecchio, i boccoli della fanciulla gli sfiorarono il naso:
“Devo proprio? Speravo di poterle stare ancora più vicino di così”.
Emily avvampò di calore. Nessun uomo aveva mai osato parlarle così, tantomeno uno sconosciuto.
Represse l’idea di dargli uno schiaffo. Le aveva mancato di rispetto, ma quella frecciatina…da un lato le aveva provocato dolci visioni.
Continuarono a danzare, in silenzio, finché qualcosa fece rabbrividire la contessina:
tutti gli ospiti si erano appostati lungo le pareti della stanza osservando la coppia ballare al centro di essa. I genitori di Emily la guardavano felici e soddisfatti, le duchesse, le dame, le serve la guardavano con invidia.
Aveva l’uomo più bello dell’intera festa dinanzi ai suoi occhi, stretto al suo corpo, avvinghiato ad essa come un avido predatore d’oro.
I musicisti smisero di suonare. Il signor Albert, padre di Emily, la guardò facendole un cenno col capo, quasi come se apprezzasse quella “scelta”. Davvero voleva vivere con quell’uomo per il resto della sua vita?
Per ora, l’aspettava il fidanzamento.
La contessina era titubante, ma la figura che rispecchiava il proprio sguardo nel suo, l’affascinava e non poco.
Emily, sempre razionale, aveva deciso di dar sfogo alla follia repressa.
Ma si! Doveva godersi a pieno il  momento, era la SUA festa. Stephan voleva lei. Pensò di conoscerlo meglio. Sorrise ai genitori ed andò con lui a fare una passeggiata.

*In giardino*
“Allora, signor Stephan, vuole tenere nascosto ancora per molto il suo cognome?” disse Emily con lo sguardo innocente.
“Mmh, un altro po’ può bastare” rispose l’altro sorridendole. La guardava dritto negli occhi e doveva ammetterlo, quegli occhi la incantavano.
“D’accordo”. Camminarono per un po’, fino ad arrivare in un posto isolato del giardino.
“Brrr, stasera il vento fa brutti scherzi” fece la contessina incrociando le braccia come per scaldarsi.
Nonostante il vestito avesse le maniche lunghe, la scollatura lasciava ampi spazi del corpo scoperti.
“La prego, prenda il mio mantello, è in lana, starà calda, non vorrei si ammalasse” disse il marchese cingendole le spalle con il tessuto caldo.
“La ringrazio”. Per un attimo rimasero in silenzio, insicuri di ciò che stava per accadere.
“Cosa c’è?” chiese Emily al giovane con un sorriso rassicurante.
“E’ molto bella, sa?” rispose l’altro mettendola lievemente a disagio. Odiava i complimenti.
“Oh…ehm..grazie”. “Perché abbassa lo sguardo quando le faccio un complimento? Non dovrebbe” la rimproverò Stephan.
“Mi…mi scusi, abitudine” disse Emily mortificata. Il ragazzo le si avvicinò dolcemente, le prese il mento tra l’indice e il pollice e le sollevò delicatamente il volto.
“Già, davvero bellissima”. Le stampò un bacio caldo sulle labbra, lasciandola stupita. Emily non sapeva cosa fossero gli uomini, o almeno, non lo sapeva in pratica.
Non sapeva di cosa fossero capaci, né cosa amassero, né quale fosse la loro priorità di vita.
“Oh…” si limitò a rispondere al bacio. “Mi scusi, forse non avrei dovuto” fece il marchese quasi in preda al panico.
“N-no, è stato…b-bello” disse la fanciulla. Camminarono per altri venti o trenta metri e si fermarono nuovamente.
Si sedettero sull’erba fredda, strana cosa per una contessina. Poggiò il suo capo alla spalla dell’accompagnatore e chiuse per un attimo gli occhi.
Improvvisamente si sentì prendere per le spalle; Stephan, lo stesso cortese ed affascinante Stephan che danzava con lei poco tempo prima, le era letteralmente piombato addosso.
Una cascata di baci le si riversò sul corpo, a partire dal capo, per poi continuare dietro all’orecchio, lungo il collo ed infine sui seni, trattenuti da quell’aggeggio infernale detto “corsetto”.
In quell’attimo, tutto ciò che Stephan voleva era sfilarle quella trappola di dosso. La stava letteralmente divorando con lo sguardo.
I suoi baci sempre più avidi volavano sullo sterno, soffermandosi sulle clavicole, per poi tornare alle labbra di Emily, ai suoi occhi, al suo naso, dal profilo perfetto.
La ragazza invece era insicura, spaventata, emozionata, non sapeva cosa fare, semplicemente si lasciò andare.
Abbracciava il giovane che aveva di fronte senza fargli domande. Si limitava ad assecondarne le voglie.
Improvvisamente sentì la sua mano muoversi al di sopra dell’ampia gonna. Era impossibile far qualcosa in quelle condizioni, troppa roba scomoda.
“Ma quanta stoffa è servita per la sottogonna? E’ infinita!” ribatté scocciato il ragazzo facendole scappare un risolino.
“Non lo dica a me che sono costretta ad indossarla”. Anche lui rise, arrendendosi.
“Direi che non è il caso, o almeno, non conciati in questo modo” ammise. Si rialzarono come se nulla fosse accaduto. Emily si sistemò i capelli, Stephan l’abito.
“Andiamo dentro, contessina?” le disse sorridendo. “Certo, marchese”. Lo prese sottobraccio e tornarono nella grande sala da ballo.
Gli ospiti mangiavano, ridevano, bevevano. Il tutto continuò fino a notte fonda quando i genitori di Emily li congedarono.
L’unico rimasto era Stephan. Il conte sapeva che il ragazzo veniva da una famiglia nobile, era l’ultimo della sua stirpe ed aveva una grossa eredità tra le mani, oltre ad essere un giovane dagli ottimi modi.
“Mi scusi, signor conte, vorrei disturbarla per un attimo, se posso” disse deciso, ma imbarazzato.
“Parli pure”. Il signor Spencer già sapeva di cosa si trattasse.
“Vorrei poter passare a prendere Emily domani per portarla alla mia tenuta, insomma, come avrà capito ho intenzione di sposarla e vorrei mostrarle cosa sarà suo dopo il matrimonio, non che sua figlia apprezzi solo i beni materiali, sia chiaro” era così confuso che si stava tirando la zappa sui piedi da solo.
“Capisco cosa intende, comunque, le do il permesso, purché possa tenersi in contatto con me ogni giorno”.
Eh già, Emily doveva partire, la tenuta di Stephan era a circa tre ore di strada da casa sua. Un paradiso immerso nei boschi.
“La ringrazio” disse cortesemente al conte. “Se vuole può dormire qui per questa notte, così eviterà quelle locande puzzolenti e partirete insieme” disse sorridente l’altro.
Il giovane accettò volentieri.
Il giorno seguente, Janine aiutò la contessina a fare i bagagli.
“Sai, Janine, non riesco ancora a crederci, andare a casa di Stephan, non vedo l’ora”. La dama ovviamente le avrebbe fatto compagnia.
“Signorina sono felice per lei”.
Preparate le valigie, si incamminarono comodamente seduti in carrozza verso la nuova meta.
Emily salutò i suoi genitori con calorosi abbracci, nonostante dovesse restare via solo per quattro, massimo cinque giorni.
Giunti a destinazione, scesero dalla carrozza con calma, avevano attraversato enormi boschi di abeti, l’edificio sembrava isolato dal resto del mondo.
Stephan si muoveva con disinvoltura, era pur sempre casa sua.
La contessina invece rimase stupefatta da ciò che vide:
un’enorme villa dai colori opachi. La mura erano di un verde chiaro che quasi si fondeva col resto del paesaggio.
Le finestre giallo canarino accoglievano lussuose tende in seta e questo era solo quello che poteva percepire esternamente, al primo sguardo.
Stephan le sorrise compiaciuto:
“Cosa ne pensa? Ci verrebbe a vivere in un lontano futuro?”. Un’altra delle sue frecciatine. Emily le trovava al contempo sfrontate ed appaganti.
“Si, mi piacerebbe” rispose infine soddisfatta.
La casa all’interno era cupa, le luci soffuse. Forse addirittura inquietante, ma Emily non ci badò. Il resto del pomeriggio volò, ci fu molto da fare, riporre i vestiti, leggere, conoscere la servitù.
Anche i servi erano strani, spesso, aveva notato sorrisi complici scambiati col padrone di casa o si era impressionata e basta.
Dopo cena Janine tornò in camera sua, il viaggio l’aveva sfiancata ed aveva una forte nausea.
“Contessina, ha gradito la cena?” chiese Stephan mentre sedevano soli nel suo studio su un comodo divano.
“Si, era squisita, la ringrazio”. “Che ne dice se la smettiamo di darci del lei?” chiese lui speranzoso.
“Mi sembra giusto, ormai siamo amici” disse Emily sorridendo.
“Certo” ammiccò con lo sguardo mettendola a disagio, di nuovo.
Cominciò a versarle da bere. Vino rosso, rosso come il sangue, come le pareti della stanza.
Emily beveva. Bevve due bicchieri di vino, non di più. Non si era mai ubriacata e non ne aveva l’intenzione. Adesso aveva la mente leggermente offuscata, ma non sapeva se si trattasse della bellezza di Stephan, del vino o di entrambi.
Si sorrisero teneramente. Poi, il giovane fece il primo passo.
Le diede un bacio, un altro, un altro ancora. Questa volta non c’erano impedimenti. Emily indossava una leggera sottoveste in cotone che ne mostrava le forme.
“Niente corsetti, mi piace” disse Stephan ridendo. Rise anche lei. Sapeva cosa stava per accadere e si abbandonò all’idea che si era fatta di quel momento.
Il giovane d’un tratto si fermò. La contessina pensò di aver sbagliato in qualcosa, ma la rassicurò. “Ti va se andiamo a vedere le stelle?” le chiese dolcemente. Annuì. Presero due enormi coperte ed andarono in un posto sconosciuto alla ragazza. Era notte fonda ed era sola, con Stephan, in un bosco.
Ricominciò a baciarla, più avidamente di prima. Questa volta, però, le strappò la sottoveste e si eccitò al pensiero di essere il primo uomo della sua vita.
Emily arrossì di scatto, abbassando come al solito il capo, ma Stephan non se ne curò, semplicemente, si posò su di lei, guidò i movimenti del suo fragile corpo finché non la sentì urlare, un grido misto tra piacere e dolore.
Continuò fin quando furono sazi d’amore e si stesero l’uno accanto all’altra, avvolti in un abbraccio.
Era sua, l’aveva fatta sua prima di ognuno, adesso poteva liberarsene. Si allontanò per un attimo dopo essersi rivestito. La fanciulla gli chiese ripetutamente cosa dovesse fare, ma il giovane riuscì a tranquillizzarla. Poi, prese il coltello da caccia…la guardò negli occhi, un’altra vittima della passione, quella spudorata doveva morire. Voleva vedere il suo sangue, macchiato di peccato, scorrere.
Riuscì a scorgere appena il terrore nel suo sguardo, un urlo si alzò, il corpo di Emily era ormai un cubicolo di ferite…la luna piena era stata l’unica testimone di quell’atroce delitto, una vita stroncata sul nascere...

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Capitolo 4
*** Spiriti vaganti... ***


-Ecco a voi un altro capitolo. Scusate se per un po’ non ho aggiornato…è che mi stavo dedicando all’altra storia e non avevo molta ispirazione. Spero vi piaccia, aspetto i vostri giudizi con ansia. Grazie mille e buona lettura! Baci, baci. Julie<3-

Il coltello infierì più volte sul corpo della ragazza finché il suo petto si aprì mostrandone il cuore leggermente pulsante che smise di battere un secondo dopo.
Stephan rise sadicamente, l’aveva uccisa, aveva eliminato il peccato nascosto in quei boschi.
Pensò che era ora di nascondere il cadavere. Lo prese in spalla portandolo nei pressi di un’alta scogliera rocciosa.
Il mare infrangeva le sue onde sulla pietra impetuosamente. Il vento gelido accarezzava il viso del ragazzo. L’unico suono udibile fu il gracchio di un corvo.
Fece attenzione a non lasciare tracce di sangue o carne e prese a mutilare la fanciulla. Tagliò gli arti lanciandoli in acqua, legati ad alcune pietre in modo che non tornassero a galla.
Poi fece lo stesso con le ossa…spezzate una ad una, a partire dalle costole. Lasciò intatte solo quelle troppo grosse, quali il femore, gli omeri.
Continuò la sua opera perversa fin quando fu soddisfatto e privo di risorse.
Si stese assaporando l’aria satura di ferro.
Provò un brivido di piacere al solo pensiero di aver goduto del corpo di Emily poco prima di ucciderla.
Quel giovane era strano, diverso…malato.
Bruciò le coperte sulle quali aveva giaciuto ed i suoi abiti sporchi, facendo attenzione a non incendiare il resto del bosco. Una volta presa una manciata di cenere, soddisfatto, decise di rientrare in casa.

Il buio avvolgeva ogni cosa, corse in bagno, un bagno regale.
S’immerse in un’enorme vasca, colma d’acqua calda. La sua ombra si rifletteva sul muro giocando con i riflessi della finestra, alla luce di una candela.
Si coprì in fretta ed andò in camera sua senza far rumore.

In quel momento, una serie di pensieri cominciarono a percorrere le sue meningi. Avrebbe dovuto trovare una scusa, un alibi per non destare sospetti.
Il Conte avrebbe preteso delle spiegazioni, ma non avrebbe mai più ritrovato il corpo di sua figlia. Si accoccolò al pensiero che nessuno lo avrebbe mai scoperto. Lo aveva già fatto altre volte ed era sempre filato tutto liscio.
Perché si preoccupava inutilmente?
Sentì bussare alla porta. L’ansia pervase ogni minimo lembo della sua pelle.
“Si-signore?” era Janine. “Chi è che disturba il mio sonno?” “So…sono Janine, la dama della contessina” fece lei timidamente.
“Cosa vuole, Janine? Ha un motivo così serio da potermi svegliare in piena notte?”
“E..ecco, non riuscivo a dormire e sono andata in camera della contessina, ma…lei..lei non c’è…”

Era ora di recitare. Stephan si alzò dal letto di scatto.
“Cosa sta dicendo?!” “S-si…il suo letto è vu-vuoto…intatto” “Mi aveva detto che voleva andare a vedere le stelle, l’ho accompagnata, ma era stanca per il viaggio ed è andata via subito lasciandomi solo. Credevo stesse dormendo placidamente nel suo giaciglio!” disse con fare preoccupato.
“N-no…”. “Oh mio Dio, dobbiamo cercarla!”. Chiamò alcuni dei suoi servitori e con un cenno disse loro di controllare i bui e spaventosi boschi.
Quelli, senza esitazioni, presero lanterne e cappotti ed uscirono.
Stephan rimase in casa, solo, con Janine.
“Dunque…lei è la migliore amica di Emily?” chiese alla dama sussurrando al suo orecchio. Per un attimo le diede i brividi.
“S-si…” mormorò tremante dall’imbarazzo. Stephan la fissava con uno sguardo carico di desiderio.
Janine abbassò il capo.
“Come si sente? Ho saputo che aveva la nausea” “Sto…meglio, la ringrazio, ma non dovrebbe preoccuparsi”
“Mi preoccupo sempre per le mie ospiti”
le disse cingendole le spalle con un braccio.
Janine lo guardò, era davvero affascinante. I suoi modi di fare, di muoversi, il suo sguardo, quegli occhi così seducenti. Le labbra rosee, la pelle chiara.
I capelli che, tanto scuri, contrastavano con il resto del corpo dandogli un’aria così virile.
Un Dio, anzi, era più che divino.
Il Marchese prese ad accarezzarle le spalle, per poi salire al collo ed al capo.
Al suo tocco Janine si sciolse come neve al sole. La sua mano vagava nei lunghi capelli biondi provocandole una sensazione di benessere.
Le sfiorò più volte lo sterno con l’altra mano, continuava a torturarla malignamente.
La dama sapeva che non poteva lasciarsi andare, soprattutto con il futuro sposo della sua contessina.
“Signor Stephan, non…non posso, la prego…”
Si scostò violentemente e a malincuore.
Provò a correre al di fuori della stanza, senza neanche vedere cosa aveva davanti, ma il Marchese la raggiunse. Era molto agile, si allenava ogni giorno, andava a caccia e nuotava spesso nel lago anche se in autunno e in inverno non poteva.
“No, mia cara, lei non uscirà di qui, non ora…” bloccò la porta alle sue spalle girando la chiave nella serratura. La mise in una tasca interna al gilet di cuoio che era solito usare per la notte.
Janine era terrorizzata e stupita. Nessun uomo sembrava averla desiderata mai con tanto ardore. Si fermò per un attimo. Prese un respiro.
“La prego, non mi renda le cose più difficili di quanto non siano già” disse con tristezza.
Stephan le si avvicinò maggiormente. “Perché dice questo? Voglio solo offrirle un caloroso benvenuto, nient’altro”
“Lei sarà il mio padrone, non posso…” “Proprio per questo, facciamo finta che Emily si sia già sposata con me, adesso lei è una mia serva, deve assecondare gli ordini che le do” disse Stephan beffardamente.
“Non…” “La prego…”. Non si era mai visto un marchese pregare una serva, ma si sa…l’occasione fa l’uomo ladro e Stephan aveva rubato il cuore di Janine.
“Non è il caso…per fav…”. Non le diede modo di parlare ulteriormente, la prese per le cosce spingendola con le spalle al muro.
La donna gli si strinse addosso per non cadere. Più lo aveva vicino, più provava piacere.
Lo sentì dentro di lei e chiuse gli occhi per assaporare quel momento magico.
Stephan le si avvicinò all’orecchio. “Il cacciatore sono io, mia cara e tu…sei solo una preda, un’altra vittima del mio gioco…”
Janine non capì il motivo delle sue parole fin quando il Marchese si staccò da lei lasciandola cadere sul pavimento.
“Muori, puttana” disse guardandola spietatamente.
Prese la prima cosa che gli capitò a tiro, un candelabro…e la colpì violentemente al capo.
La fanciulla chiuse gli occhi mentre il sangue cominciò a scorrere copiosamente sul pavimento.
Eliminò il secondo cadavere, sotto gli occhi dei servi, che da tempo erano tornati a dormire. Sapevano tutti del vizio del padrone e ne erano complici.
Quella casa era maledetta, intorno ad essa aleggiavano gli spiriti delle fanciulle uccise, brutalmente.
Non si davano pace.
Stephan ripulì il pavimento e tornò a letto tranquillo. Adesso poteva dormire sogni sereni, aveva un alibi.
Janine ed Emily erano uscite per una passeggiata e non erano più tornate…
Aveva mandato i suoi servi a cercarle, ma nessuno di loro le aveva viste. Né vive, né morte.
Neanche i cani erano stati in grado di rintracciarle, il Conte non doveva far altro che rassegnarsi.
Il letto gli sembrò molto più comodo rispetto a prima, forse perché i suoi pensieri spigolosi erano spariti.
Vide la luna, fissa in cielo, riflettere la sua luce sugli alberi.
Adorava la notte…poteva accadere di tutto…senza che nessuno se ne rendesse conto…

 

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Capitolo 5
*** Honey's eyes ***


Al levar del Sole, Stephan aprì gli occhi con delicatezza, assaporando la fresca aria mattutina.
Quella sarebbe stata sicuramente una bella giornata.
“Buongiorno Marchese” disse Samantha, la mora dagli occhi color miele, fedele compagna di avventure del padrone.
“Buongiorno piccola Sammy, hai preparato la colazione?” le disse sorridendole mentre si stiracchiava ancora coperto dal lenzuolo.
“Certo, signor Stephan, vuole che gliela porti in camera o preferisce sedersi a tavola?”
“Portala qui”. “D’accordo”.

La ragazzina, di appena diciotto anni, corse in cucina e sistemò le pietanze su un vassoio intarsiato.
Miele, latte, tè, pane caldo ed altre delizie genuinamente prodotte riempivano i piatti di fine porcellana, minuziosamente decorati a mano con ghirigori dal colore blu scuro.
“Ecco a lei”, la fanciulla pose il vassoio su un piccolo comodino accanto al letto, prese un telo di colore rosso, lo stese sulle gambe del marchese al fine di non sporcare le lenzuola e gli porse una tazza di tè fumante.
Per un attimo le loro dita si sfiorarono ed entrambi sussultarono.
Il ragazzo aveva circa cinque anni più di lei e l’aveva sempre vista come una bambina, ma quel giorno, per un attimo, i loro sguardi s’incrociarono e si rese conto che davanti a sé aveva una donna.
“I-il tè…t-torno in cucina, se le serve qua-qualcosa, non esiti a chiamarmi”, la Mora scappò via nel giro di pochi secondi con le mani al petto.
Stephan quasi ebbe la voglia di rincorrerla, ma non si scompose restando immobile con tanto di tazza davanti alla bocca.
Fece colazione in fretta ed ordinò ad alcuni servitori di pulire, si vestì indossando un raffinato pantalone in pelle ed una camicia di lino con sopra un maglione in lana, tessuta nella sua stessa casa.

Decise che era giunto il momento di recitare e liberarsi delle questioni burocratiche. Cavalcò fino a casa del Conte senza neanche fermarsi in una locanda e, giunto a destinazione, affidò il cavallo agli stallieri.
“Oooh caro Marchese, che piacere averla qui” disse il Conte gioioso.
“Mia figlia Emily si sta godendo la vacanza al lago?” chiese poi ansioso di avere notizie dell’amata figliola.
Stephan assunse un’espressione cupa, avvilita, lo guardò negli occhi facendo trasparire quel (finto) sentimento d’angoscia.
“Marchese, le ho fatto una domanda, perché non risponde?”. Il Conte prese ad agitarsi.
“E’ proprio di Emily che volevo parlarle, ecco…lei e Janine, la sera in cui siamo arrivati a casa, hanno deciso di attraversare i boschi in cerca di quiete, ma…” fece finta di piangere.
Aveva l’incredibile abilità di ottenere gli occhi lucidi a suo comando.
“Ma? Cosa sta dicendo?! La prego! Parli!” il padre di Emily lo scosse violentemente.
“Non sono più tornate”…chiuse definitivamente l’atto della tragedia di cui la Contessina era la vittima.
Da quel momento i giorni trascorsero, accompagnati da una sorta di “ricerca”, portata avanti dalla famiglia della ragazzina così come dal Marchese, che in realtà, non faceva altro che starsene placidamente avvolto nell’oscurità della propria dimora.
Fu così che il suo ricordo, svanì lentamente, ma non dalle menti dei genitori affranti dalla sua perdita.

*Tempo dopo*
“Sammy! Sammy dove sei?!” chiese Stephan preoccupato dall’assenza della fanciulla durante lo svolgimento del pranzo.
“Signore, mi scusi, ero in cucina, oggi mi è toccato lavare le stoviglie” corse con le mani ancora bagnate ed i capelli raccolti in una misera treccia.
“Va bene, se vuoi puoi riposarti, ci penserà Margaret”.
L’altra serva la guardò in cagnesco, molto probabilmente, aveva un travaso di bile:
prima perché aveva sempre odiato Samantha, poi perché era costretta a svolgere i suoi compiti e a vederla ricevere le attenzioni del Marchese, che (segretamente) amava da quando era entrata a far parte dei servitori ufficiali.
Gli occhi di Sammy si illuminarono, era stanca morta ed aveva ancora una pila di piatti sporchi da lavare.
“Dice davvero?” “Certo, oggi hai il pomeriggio libero” affermò il ragazzo con decisione.
Un sorriso le si dipinse sul volto. Fece per andarsene, ma lui le prese la mano:
“Dato che non hai faccende da sbrigare, ho intenzione di portarti in un posto speciale, d’accordo?” ammiccò con lo sguardo facendola arrossire.
“Sarò lieta di accompagnarla…Marchese”


-Ragà che dirvi, mi scuso tantissimo per non aver più pubblicato finora. Il fatto è che, con l’inizio della scuola, mi son trovata impegnatissima e non ho potuto né scrivere né leggere. Spero che questo capitolo, per quanto piccolo, possa piacervi. Prometto che presto ne scriverò uno più grande, magari mercoledì. Se vi va, recensite, vorrei proprio sapere cosa ne pensate! :) Grazie mille, baci baci. Julie-

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Capitolo 6
*** Velluto arancio ***


Samantha  non sapeva dove il Marchese volesse portarla, ma al solo pensiero di trascorrere con lui il pomeriggio, le spuntò un enorme sorriso sulle labbra.

Decise di prepararsi, per quanto poteva.
Raccolse i capelli in una morbida treccia ed indossò uno degli abiti meno rovinati.
Si guardò all’enorme specchio dalla cornice dorata posto nel corridoio, era quasi giunta nella camera del padrone.
L’immagine riflessa la disgustò.
Avrebbe voluto indossare i magnifici abiti delle dame che vedeva spesso entrare in casa, ma non avrebbe potuto permetterseli.
Il sorriso finì per diventare una cupa espressione d’amarezza, ma non ci badò e bussò delicatamente alla porta.

Nessuno rispose. Pensò di entrare per potersi assicurare che la stanza fosse vuota.
Appena entrata si ritrovò dinnanzi Stephan con solo indosso il pantalone che solitamente utilizzava per le passeggiate, di tessuto spesso.

Ripercorse il suo corpo, soffermandosi sugli addominali, fin quando i loro sguardi combaciarono.
“Ohw, mi scusi non sapevo…” indietreggiò fino alla porta, scossa da un forte imbarazzo, ma prima che potesse andar via, il ragazzo la prese per un polso tirandola a sé.

“Non preoccuparti, Sammy, resta pure. Ho solo da mettere la camicia” sorrise facendole cenno di sedersi sul letto.
La fanciulla non riusciva a voltarsi verso di lui, continuò ad osservare i mobili della stanza, riscoprendo in essi dettagli sconosciuti, nonostante vivesse in quella casa da quando sua madre era sparita.

Suo padre, ubriacone di pessimo stampo, l’aveva abbandonata all’età di quindici anni o meglio…lei aveva deciso di scappare al fine di evitare botte ed abusi.
Ricordava ancora quanta paura aveva provato quella notte estiva:
 le solite piogge avevano reso le strade sudice distese di fango, le facevano male i piedi e la schiena era dolorante per il peso dei pochi abiti che portava con sé, l’unico oggetto di valore che possedeva era un vecchio medaglione con una foto di sua madre, santa donna che aveva evitato le accadesse qualche disgrazia.
L’aveva partorita all’età di diciassette anni ed aveva instaurato con lei un ottimo rapporto.
Proprio quella notte, incontrò Stephan che la portò alla tenuta.

Per un attimo le si annebbiò la mente di ricordi, ma la voce calda del Marchese li fece scivolare via:
“Hai in mente di uscire così?” le chiese dolcemente.
Samantha si chiese quale fosse il problema:
“Scusi, non…non capisco, ho qualcosa che non va?”
“No, sei bellissima” ammise lui fissandola. Lei rise:”Gra-grazie”, abbassò lo sguardo fissando le vecchie scarpe nere che indossava ogni giorno per lavorare, erano scomode, ma sempre meglio di nulla.

“Intendevo…non ti piacerebbe indossare questi?”
Il ragazzo prese dal suo armadio un abito di colore arancio con abbinate delle scarpe rivestite di morbido velluto.
Gli occhi di Sammy si illuminarono:”Oh signore, dove…dove ha preso questo abito meraviglioso?”
“L’ho comprato questa mattina, al mercato di Tom, aveva detto che era l’unico abito rimasto, pensavo ti sarebbe piaciuto”.
“Oh, ma io…non posso…non posso accettare. E’ troppo, sono solo una…serva” disse abbassando per l’ennesima volta lo sguardo.

“Ehi, ehi, piccolina, non parlare così. Tu sei la mia…mmh…collaboratrice, non una serva qualunque. Ti conosco da tre anni, dimentichi?” le tirò sul il viso per poterla guardare.

“Grazie signor Stephan, grazie di tutto” lo abbracciò con fare così dolce che per un attimo il cuore gelido del Marchese si sciolse.
“Va a cambiarti, ti aspetto qui” la indirizzò verso il bagno.

Samantha rientrò in camera con indosso l’abito e notò l’agile figura del padrone ferma dinnanzi alla finestra.
Il sole illuminava il suo viso, capì che qualcosa lo turbava.
Richiamò l’attenzione su di lei:
“Si-signore…ecco io sono…pronta”.
Questi si voltò e la guardò estasiato come se non avesse mai visto cosa più bella prima d’ora.
“Bene, vieni con me” le prese la mano e si diressero nella scuderia.

Incontrarono Jack, lo stalliere. “Jack, sella Charléne”.
L’altro annuì:”Subito signore”.

Samantha guardò il Marchese per un attimo:”Si-signore…io non so…andare a cavallo” ammise.
“Non preoccuparti” rispose con fare rassicurante.

Jack portò dinnanzi a loro la giumenta dal candido manto bianco.
Stephan salì abilmente sull’animale, dall’alto guardò Samantha:
“Su, Sammy, dammi la mano”. La tirò su delicatamente, facendola sedere davanti a lui, con entrambe le gambe posate al lato sinistro dell’addome di Charléne.

Prese le redini e tenendo quelle, strinse a sé la ragazza.
“Dov’è che andiamo?” chiese lei per rompere il ghiaccio mentre cavalcano con tranquillità.
“In un posto speciale, vedrai che ti piacerà”


#Angolo autrice: salve a tutti! Si, sono ancora viva...vi chiedo infinitamente scusa per non aver pubblicato per tutto questo tempo...spero che i pochi lettori che seguivano la storia non l'abbiano dimenticata.
Che dire...mi dispiace moltissimo. Se vi va, leggete e recensite, aspetto con ansia i vostri giudizi :) baci baci.

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Capitolo 7
*** Non scherzare col fuoco ***


Cavalcarono per un bel po’ di tempo fino ad arrivare ad una radura con una piccola cascata.
Quel luogo sembrava completamente isolato dal resto delle terre.
Il Marchese fermò Charlène con un abile gesto.
“Aspetta qui, Sammy” disse per poi scendere dall’animale.
La prese per la vita facendo si che si rimettesse delicatamente in piedi.
“Che posto meraviglioso” furono le uniche parole che Samantha fece uscire dalla propria bocca, con una voce così dolce e sinfonica che quasi sembravano una poesia.
“Allora? Ti piace?” fece Stephan prendendole istintivamente la mano.
La Mora arrossì.
“S-si”, mollò la presa e si diresse verso la sorgente.
“Quest’acqua è freddissima!” rise come una bambina, in fondo lo era, aveva appena diciotto anni.
“Siamo in autunno! E’ normale, Sammy!”
“Marchese! Guardi! Un rospo!” corse verso l’animale saltellante con aria innocente.
A Stephan scappò una risata.
“Perché ride?” chiese la serva. “Sei buffa” le disse avvicinandosi a lei.
Poggiò le mani sulla sua vita ed il petto contro la schiena della ragazza.
Il suo mento si adagiò sulla spalla, tra i capelli arruffati.
“Sei proprio una bambina” il Marchese le sussurrò all’orecchio.
Samantha arrossì nuovamente e voltandosi gli rispose:”Lei non è molto più grande di me”.
Tra i due c’era una strana confidenza. Quella ragazza era l’unica in grado di tenergli testa, nonostante la timidezza.
Le sue frecciatine non lo infastidivano mai.
“Puoi smetterla di darmi del lei, se vuoi”, affermò lui tentando di accorciare la distanza che c’era tra loro.
“La…ti ringrazio, Stephan”
“Vieni qui” disse lui abbracciandola energicamente.
Era la prima volta che un sentimento puro s’insinuava nel suo corpo.
La dolcezza gli stava corrodendo le vene.
Il cervello agonizzante cantava il dolore afflittogli da emozioni così prive di perversione.
“Stephan! Lasciami!” Samantha scoppiò a ridere:”Così mi fai il solletico!”.
Quell’essere stava diventando metà uomo metà mostro.
Che fosse proprio  la sua serva, la cura della malattia?
Si sentì strano, non riusciva a far altro che vedere Sammy volteggiare in quel meraviglioso abito arancio;
non aveva voglia di farle del male.
Dopo inseguimenti e danze attraverso i boschi, i due si sedettero sull’erba fresca, poco distanti.
La ragazza continuò a giocherellare con l’acqua della sorgente finché Stephan attirò la sua attenzione:
“Perché sei così lontana?” “Non…non volevo violare i tuoi spazi” disse lasciandolo a dir poco sconvolto.
Per la prima volta in vita sua, sentì necessaria la vicinanza di una donna e non per farne ciò che voleva, ma per poterla delicatamente riscaldare tra le sue braccia.
“Puoi…venire qui?” chiese esitando.
Gli occhi di Samantha s’illuminarono per un secondo.
“Che cosa strana, non trovi?” rise sarcasticamente.
“Il padrone che chiede un favore alla serva”.
Continuò a guardare l’acqua per qualche altro minuto, poi gli si avvicinò pericolosamente gattonando e portò il suo viso a pochi centimetri di distanza da quello dell’altro.
Lo guardò dritto negli occhi.
“Dovresti darmi ordini al posto di fare richieste” gli disse sinceramente.
Lui la guardò stupito per poi accennare un banale:
“Mmh, potresti essere una padrona più che una serva”
La ragazza provò a non mostrarsi imbarazzata.
Continuò a fissarlo per pochi minuti:
“Non sono un giocattolo, Stephan; non ti permetterò di fare di me ciò che vuoi” gli disse sfiorandogli la guancia con la mano destra.
Lui la bloccò:
“Chi ti ha detto che ho voglia di divertirmi?” rispose.
“Te lo si legge negli occhi” “Da quando in qua sai leggere negli sguardi altrui?”
“Da quando vivo alla tenuta. Ho visto più donne sparire nella tua dimora che in un bordello. Non voglio essere una delle tante.
Non voglio essere una di loro”
Stephan s’irrigidì di colpo.
Samantha aveva ragione e ne ebbe paura per un attimo.
Aveva capito tutto.
“Cosa vuoi saperne tu delle mie donne!” si limitò a ribattere stizzito.
“Non volevo offenderti” disse lei dolcemente.
“Sta attenta, Sammy, non scherzare col fuoco, rischi di scottarti e lo sai…le cicatrici non vanno più via”
La fanciulla si voltò e alzando di poco la gonna, senza curarsi della presenza del giovane, cominciò a camminare nel fiumiciattolo.
L’acqua gelida le accarezzò le gambe vellutate, facendola sussultare di tanto in tanto.
Stephan, da lontano, accompagnava i suoi movimenti con lo sguardo.
“Sammy! Esci da quel fiume! Ti ammalerai!”
La fanciulla gli sorrise e tornò da lui:
“Guardati! Hai le gambe completamente bagnate!” non poté fare a meno di notarle, erano snelle e lunghe.
“Me ne sono accorta…” gli disse sedendosi su di lui.
Gli si strinse addosso facendo gli occhi dolci:
“Adesso? Adesso cosa si fa?”
Stephan osservò il suo viso.
Cominciò dagli occhi, per poi notare ogni piccolo particolare: il naso all’insù, i denti bianchi e dritti, gli zigomi ben definiti, le labbra…beh, delle labbra meravigliose, sottili ma non troppo, sempre rosee.
L’unica cosa che riuscì a fare fu baciarla, ma con un semplice ed insignificante bacio a stampo.
Qualcosa decisamente non quadrava…Stephan non era tipo da baci a stampo.
La Mora chiuse gli occhi per poter assaporare il momento.
Il Marchese si fermò un attimo a pensare.
Decise di tornare a casa, prima che quella donna potesse stregarlo del tutto.
La scostò da sé, per poi farla salire sulla giumenta e dopo una lunga cavalcata si ritrovarono nella stalla.
“La ringrazio per lo splendido pomeriggio, signor Stephan” disse lei sapendo che a breve sarebbe arrivato Jack.
“Va a dare una mano in cucina, piuttosto, stasera abbiamo ospiti”. Le diede una scrollata ai capelli.
Sammy lo guardò interrogativa…ospiti? Quando li aveva invitati?
“D’accordo, signore”.

Il Marchese tornò nella sua camera e fece chiamare di corsa Godrin, suo fedele servitore.
Questi entrò nella stanza preoccupato:
“Cosa le serve Signore? Sono al suo servizio”disse facendo un inchino.
“Devi portare questa lettera al castello della Duchessa Marylin”
Lui lo guardò sospettoso, era quasi un anno che Marylin e Stephan non parlavano o comunque che lei non andava a trovarlo.
“Subito”.
Il ragazzo osservò Godric allontanarsi a cavallo e, stanco, si stese sul grande letto ricoperto da coperte rosse.
“Ci sarà da divertirsi stasera!” sibilò leccandosi le labbra.



#Angolo autrice: ecco a voi un nuovo capitolo, queste vacanze natalizie ci volevano proprio!
Spero che vi piaccia, sto provando ad aggiornare anche "Ho freddo alle ossa"; non me ne vogliate! Scrivo un capitolo di ognuna delle due storie alla volta.
Grazie per la lettura e...recensite se vi va! :) baci!

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Capitolo 8
*** Marylin ***


Hey! Ciao a tutti! Mi starete odiando per avervi lasciati così, in sospeso. Mi dispiace tantissimo, ma sapete che tra impegni e mancata ispirazione è abbastanza difficile gestire una storia. Questa sera, nonostante l'ora, ho pensato di scrivere. Non me ne vogliate per tutto questo tempo trascorso, proverò a farmi perdonare scrivendo un po' di più. Ecco a voi, buona lettura! Baci xx, Julie.


Stephan si stese placidamente sul letto assaporando la gioia dei suoi pensieri.
Marylin…era sempre stata una bella fanciulla.
Il Marchese ricordava di averla notata ad una fiera di paese una decina d’anni prima; ci parlò o almeno, provò a farlo, ma quella lo snobbò con aria altezzosa perché il ragazzo, a quanto pareva, non fu di suo gradimento.
Troppo grasso, logorroico e per nulla affascinante.
Fu quel giorno che Stephan si ripromise che l’avrebbe conquistata, prima o poi.
Il momento della sua vendetta era arrivato.
Adesso non era più quello di un tempo.
Aveva perso molti chili. Il suo corpo era elastico, il suo sguardo malizioso e le sue labbra seducenti.
Marylin di certo non era rimasta indifferente a tali cambiamenti; lo si notava dal suo modo di fissarlo ogni qualvolta parlasse.
Desiderava quelle labbra più di un bel bicchiere di vino rosso. Era assetata di passione.
 
 
“Signore”, Godrin bussò alla porta della camera, ma prima che potesse accennare altri movimenti la Duchessa si fiondò all’interno del vano.
 
“Puoi andare, Godrin” disse con la solita aria superba, ma quell’ultimo rimase lì fin quando fu il padrone a congedarlo.
 
“Mpf. I tuoi servitori non mi danno retta, eppure mi conoscono da quasi dodici anni! Dovresti educarli meglio, vengono pagati per farti da schiavi” sostenne infastidita.
 
“Vedo che sei sempre la solita”, Stephan rise.
“E tu sei il solito incapace”replicò l’altra.
 
I suoi modi di fare non l’ammaliavano per nulla, ma c’era qualcosa in lei, forse quella schiettezza che lo eccitava terribilmente.
 
“Il solito caratterino” ammiccò Stephan prendendola per la vita.
La ragazza rabbrividì.
Si scosse per qualche secondo facendo ondeggiare i riccioli scuri che le contornavano il viso.
Le sue gote erano di un rosa pallido, la fronte di media ampiezza e le labbra sottili.
Ciò che forse attirava di più il ragazzo erano i suoi occhi; di un marrone scuro, quasi nero.
Così espressivi e penetranti.
 
“Chi ti ha dato il permesso di entrare in camera mia?” sussurrò il Marchese all’orecchio della donzella.
“Io. Nessuno mi dà ordini, neanche se sono in casa di qualcun altro” replicò voltandosi verso Stephan e sfuggendogli.
 
Si stese sul letto muovendo con delicatezza le braccia; accarezzò le coperte ammiccando con lo sguardo.
 
“Dovrei punirti per quello che stai facendo, lo sai, vero? Insulsa poco di buono che non sei altro” accennò il Marchese con un tono fintamente serio e malvagio.
“Oh, mio Signore, le chiedo umilmente perdono, la prego, non mi faccia del male” rispose la Duchessa altrettanto scherzosamente.
 
“Starai tanto bene da sentir dolore” disse compiaciuto Stephan avvicinandosi al letto.
 
Si sedettero entrambi, con le gambe incrociate verso quelle dell’altro, ma Marylin si alzò di scatto correndo verso lo specchio posto in un angolo dell’enorme camera.
 
“Dove vai, Marylin?”
“Eh no…se mi vuoi, devi PRENDERMI…” sorrise.
 
Stephan le corse incontro invano. La Duchessa si spostava all’interno della stanza con il tocco leggero di una farfalla che va posandosi sui fiori.
Una volta si sedeva sul letto, un’altra si nascondeva dietro allo specchio, un’altra ancora dietro alle lussuose tende di seta.
 
Alla fine, si chiuse nell’armadio.
Stephan provò ad aprirlo, ma Marylin teneva le ante chiuse dall’interno.
“Dai, Marylin, aprimi o ne pagherai le conseguenze” disse maliziosamente.
 
“No, mio Signore, non ho intenzione di uscire di qui” replicò l’altra.
 
Il Marchese si vide costretto agli inganni.
“D’accordo, visto che hai così tanta voglia di giocare, fallo pure da sola, io vado in salotto a sbrigare i miei affari.
Quando mi vorrai, saprai dove trovarmi”.
Fece finta di uscire, avvicinandosi alla porta, aprendola e chiudendola, solo per far rumore.
Andò poi a nascondersi a passi silenziosi accanto all’armadio.
 
Come previsto, Marylin uscì di scatto e Stephan la prese per la vita altrettanto rapidamente.
 
“Lasciami!” gli intimò.
“Mi avevi chiesto di prenderti, adesso sei mia” le rispose.
“Ti ho detto di lascia…aah Stepha…Stephan…non…aaah”, lievi gemiti fuoriuscirono dalle sue labbra come fruscii di vento prima della tempesta.
 
Il tocco fermo, ma gentile di Stephan le provocò un assurdo piacere.
La buttò con violenza sul letto per poi slacciarle frettolosamente il corsetto.
 
“Nessuno ti ha detto che potevi far…aaah”, Marylin cercò di controbattere, come al solito, per via del suo forte carattere, ma non fece in tempo che Stephan le fiondò le mani ovunque.
 
Provò a tirarle via la gonna, ma non vi fu verso di rimuoverla.
Era grossa ed ingombrante, ma in qualche modo sarebbe riuscito a spostarla.
 
Abbracciò la Duchessa tenendola ben salda.
Sentì i seni battere contro il suo petto.
 
La guardò negli occhi, quegli occhi terribilmente affascinanti.
Marylin era bella anche con i capelli scompigliati, ma quella bellezza era fugace quanto un battito di ciglia.
 
“Ricordi…quel…ricordi quel giorno alla…fiera?” disse lui ansimando.
“S-si” rispose a stento l’altra.
“Mi negasti perfi…no…il sa…luto” continuò.
“Ricordo…perf…aaah..perfettamente”
“Ecco. Quel…giorno…immaginai un…aah..momento del genere…mi sarei vendicato…quel giorno seppi…che..aaah…prima o poi…avrei fatto…questo!” quasi urlò prima di penetrarla con forza.
 
“Aaaaaah!”.
Un grido secco uscì dalle labbra di Marylin.
Un grido di dolore prima che potesse cadergli, sfinita, tra le braccia…

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Capitolo 9
*** Grace ***


Un grido secco uscì dalle labbra di Marylin.

Un grido di dolore prima che potesse cadergli, sfinita, tra le braccia.

 

Stephan rimase a fissarla, madido di sudore, pavoneggiandosi per averla ottenuta così facilmente, ma in un attimo la stanza gli parve assolutamente vuota, come se la sua stessa vita, racchiusa in quelle quattro mura, non avesse più senso d’essere.

 

Si lavò, specchiandosi elegantemente per poi indossare uno dei suoi migliori abiti e nel giro di trenta minuti vide anche Marylin aprire gli occhi.

 

Il suo risveglio, però, fu tutt’altro che dolce.

Lo guardò in cagnesco, coprendosi col lenzuolo chiaro:

“Perché mi hai detto quelle cose prima?” gli chiese inviperita; ormai non era più lei a dirigere il gioco e la cosa la faceva tremendamente imbestialire.

 

“Perché le  ho sempre pensate. Credevo fosse il momento opportuno” rispose il Marchese divertito.

“Mi fai schifo, basta così, non mi vedrai mai più mettere piede in questa casa!” gridò di rimando la riccia indossando gli abiti e lasciandolo solo con un sonoro tonfo dato dalla porta che per poco non cadde.

 

Stephan camminò con aria seria lungo il corridoio dalle pareti scure, era ormai sera inoltrata e la tenuta era completamente illuminata da grosse candele che creavano ombre inquietanti.

Si diresse in cucina alla ricerca di Sammy e la trovò a pelare patate.

 

La ragazza parve imbarazzata dalla presenza del Marchese poiché colta alla sprovvista in gesti tutt’altro che aggraziati e si strofinò il viso con la manica dell’abito di cotone per asciugare il sudore che le imperlava la fronte;

fece un piccolo inchino e prese a parlare:

“Signor Marchese, cosa la porta qui?”

 

Stephan con un lieve sorriso le accarezzò il capo:

“Tutto pronto per stasera? Non vorrei che la cena deludesse i miei ospiti. Ho invitato il Duca Murray alla tenuta insieme alla sua bellissima moglie, Grace”.

 

A Sammy non piacque il luccichio del suo sguardo, Grace era una donna fin troppo devota al marito e non era affatto un buon segno. Le “sante vergini” (come le definiva) erano sempre le peggiori.

 

Scosse poi il capo come a rimproverarsi per aver dato conto a pensieri tanto stupidi.

“E’ tutto perfetto, adoreranno il fagiano che ho preparato” disse sorridendo.

 

Il Marchese le accarezzò di nuovo i capelli ed andò via raggiante come non mai. La serva non poté far altro che ammirare le splendide spalle e l’aria fiera che lo caratterizzavano nonostante camminasse in penombra.

Si morse un labbro e si chiese perché mai Dio le avesse concesso la salvezza e la dannazione attraverso quell’angelo demoniaco.

 

Erano le nove circa quando Stephan sentì il nitrito violento di alcuni cavalli. Gli ospiti erano arrivati; li accolse con serietà e fascino, che lasciò a bocca aperta persino Murray, sempre un po’ diffidente nei confronti dei giovani proprietari terrieri.

 

Si sedettero a tavola ed il Marchese, con un lieve cenno del capo, diede inizio alla cena; ovviamente non si trattava di un incontro di piacere, ma d’affari (dal quale sarebbe stato possibile, probabilmente, trarre qualche beneficio in più).

 

“Caro Duca” esordì Stephan, “Sa quanto apprezzi la sua famiglia e quanta stima nutra nei confronti della sua meravigliosa dama”, il Marchese sapeva che la vanità era il punto debole dell’animo umano, un complimento lacerava più d’un colpo di spada, “Ed è per questo che avevo intenzione di acquistare la sua tenuta da caccia”.

 

La tenuta da caccia dei Murray era una gigantesca villa costruita nel verde, utilizzata appunto solo durante il periodo invernale. Stephan aveva in mente grandi cose per quella struttura, sicuramente poco utilizzata dal Duca.

 

“Signor Marchese, sa quanto tenga a quell’edificio, era di mio non-“

L’uomo non ebbe il tempo di finire la frase:

“Sono pronto a pagarla 15.000 danari, subito”

 

A quella proposta tutti i nodi vennero al pettine e pochi furono gli istanti antecedenti al nuovo acquisto.

 

Il Marchese si offrì gentilmente di ospitare i Murray.

Grace avrebbe dormito nella camera un tempo donata ad Emily ed alla sua dama di compagnia, mentre a distanza di cinque camere, avrebbero riposato lui ed il Duca, l’uno di fronte all’altro.

 

Grace e Kevin Murray non dormirono insieme quella notte perché la donna aveva lamentato di essere indisposta, preferendo condividere la stanza con la propria dama di compagnia, Lucilda.

 

Stephan, d’altro canto, pensò bene di festeggiare l’acquisto con fiumi e fiumi di vino prodotto dai suoi più fedeli servitori.

Murray bevve talmente da dover essere messo a letto dalla servitù, mentre Lucilda si ritirò stanca del viaggio prima che potesse anche solo concludere la cena.

 

Grace bevve in quantità moderate, ma le gote rosee la tradirono amabilmente, cosa che al Marchese non sfuggì. C’è da dire che anche lui, però, perse leggermente il controllo avviandosi in camera barcollante.

 

Prima di potersi accasciare a letto chiamò Samantha e le intimò di accompagnare la duchessa nella propria camera, aiutandola a prepararsi per il sonno.

La ragazza così fece.

Le due donne entrarono in camera e la nobildonna senza pensarci due volte slacciò il pesante corsetto rosso finendo per restare in sottoveste.

 

Si sedette aspettando che Samantha le sciogliesse i capelli per spazzolarli delicatamente;

 

“Così sei una delle serve di Stephan” disse con lo sguardo vacuo tipico di chi aveva esagerato con l’alcool.

“Si, signora. Servo il Marchese da tre anni”

“Vedo che ha bei gusti” disse Grace ridendo per poi bloccare il polso di Sammy, la cui mano teneva ancora la spazzola.

 

La ragazza imbarazzata provò a divincolarsi, ma non ci fu verso. La presa della duchessa era delicata, ma al contempo decisa.

Fu tentata di urlare, ma avrebbe solo peggiorato la situazione.

Grace le si avvicinò pericolosamente per poi slacciare le bretelle della sottoveste che, caduta al suolo, la lasciò completamente nuda.

 

Samantha abbassò lo sguardo, ma quella le alzò il dito col mento.

“Cosa c’è? Non hai mai visto una donna come Dio l’ha fatta?”


*ANGOLO AUTRICE*: Spero vi piaccia! So che non aggiorno da molto questa storia, ma ho avuto un lampo di genio ed ho pensato di continuarla.
Un abbraccio, Ju

 

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Capitolo 10
*** E' sparita ***


*Angolo Autrice*: mi starete odiando per avermi abbandonato, ma ho avuto un lungo blocco creativo (se così si può chiamare). Mi dispiace tanto e per farmi perdonare pubblicherò quanti più capitoli possibile entro la fine della settimana sperando di finire la storia in tempo per domenica.
xoxo Julie
P.S. godetevi il capitolo, ci saranno scottanti novità
a breve!

“Potremmo divertirci tanto stanotte, piccola mia, nessuno lo verrebbe a sapere”.

Le prese una mano e se la posò sul seno chinando il capo all’indietro per il piacere.

Samantha, d’altro canto, rimase assolutamente immobile, terrorizzata dall’atteggiamento di Grace.

 

Pregò che qualche santo dal Paradiso l’ascoltasse e la cacciasse fuori da quella tremenda situazione; improvvisamente entrò Stephan che vista la scena accennò un “Samantha…” prima di prendere Grace da dietro.

 

La fece sedere e rise nel vederla così fuori di sé. Sammy non ci trovò nulla di divertente tant’è che quasi rimproverò il padrone:

“Marchese, ma cosa…”

“Shhh, sapevo di queste sue tendenze, ma non credevo non fosse capace di trattenerle dopo una bottiglia di vino”;

poi fece un cenno, “Guarda, sta così male che farebbe di tutto”.

 

In effetti, alla serva sembrò vero. Grace era confusa e divertita allo stesso tempo e continuava a chiedere di chi fossero le mani che la sfioravano.

 

“Devo metterla a letto”, disse infine, ma Stephan le intimò di aspettare ancora un po’. Aveva intenzione di divertirsi.

Le ordinò di uscire fuori dalla stanza e la ragazza andò via controvoglia. 

 

Poi parlò a Grace, sussurrandole una frase all’orecchio. La sua voce suonò quasi ipnotica:

“Duchessa, sa come soddisfare un uomo, vero?”

Quella rispose di rimando:”Oh, certo, a mio marito piace quando io e la mia serva trascorriamo del tempo con lui, soprattutto se lo…tocchiamo”, infilò una mano nei calzoni di Stephan.

“Da brava, allora, fa’ divertire anche me stanotte”.

 

Grace fece del suo meglio finché non sentì un liquido scorrerle sulle mani. In tutto ciò, il Marchese non si era accorto che Sammy lo stava spiando dalla serratura della porta.

Quando distese la duchessa sul letto percepì uno strano rumore ed aprendo di scatto vide la sua serva girarsi di spalle e camminare rapidamente.

 

“Samantha” sussurrò, “So che eri lì, torna da me”.

Quella con gli occhi bassi tornò indietro.

“Curiosa?” le chiese con un sorrisino stupido sulle labbra, dovuto più al vino che al divertimento.

 

“Io, no, ecco, mi scusi”

“Vieni con  me” le disse prendendola per mano e portandola nella sua stanza.

 

Sammy si sentì profondamente a disagio, soprattutto quando vide Stephan tirare via la camicia.

“Signore, la prego, vorrei andare a dorm-“

“Shhh, non ti farò del male”

“Ma io non-“

“Tranquilla, ti ho detto di stare tranquilla, ok?”

Prese ad accarezzarle i capelli, glieli portò su un lato del collo per poi baciare la parte scoperta; i suoi baci scesero fino alla scollatura dell’abito.

 

“Si-signore…”

“So che ti piaccio, Sammy. Altrimenti quale altro assurdo motivo avresti dovuto avere per sbirciare Grace mentre…”

 

“I-io…”

Stephan le lasciò qualche altro bacio e si scostò. “Vieni, andiamo a letto”.

Samantha per poco non svenne dall’imbarazzo. “A…letto?”

 

“A dormire” precisò lui, “Andiamo a letto a dormire, non ti torcerò neanche un capello” rispose sorridendo.

 

Si stesero e Sammy, innocentemente, lo abbracciò poggiando il capo sul suo petto.

 

“Oh, Stephan, che buon profumo che ha la tua pelle” disse senza rendersi conto di dargli del “tu”.

“Dormi piccina, devi esser stanca” affermò lui prima di lasciarle un tenero bacio sulla testa, ripensando a quanto potesse averla turbata l’atteggiamento di Grace Murray.

 

La notte trascorse in fretta e l’episodio vissuto da Samantha apparve un lontano, brutto ricordo.

Stephan congedò i suoi ospiti con cinica cortesia e si diresse verso la tenuta appena acquistata, accompagnato da Godrin.

 

“Cosa ne pensi?” gli chiese in cerca di un parere favorevole.

“Signore, la struttura è  molto bella, ma un po’ cadente. Guardi quel muro!” disse indicando una parete il cui stucco veniva via al minimo spiffero di vento.

 

“Bene!” affermò il marchese emozionato, “Ci serve un mastro costruttore!”

“Ma…è sicuro di voler spendere così tanto denaro per una tenuta piccola come questa? Dopotutto la sua dimora è già bellissima”

 

Stephan ammonì il servitore con lo sguardo.

“Fa’ silenzio Godrin! E trova un mastro costruttore al più presto. Voglio vedere questo posto splendere, sarà la mia ‘casa di campagna’ “ rispose autorevolmente.

 

Il servo sospirò, quanto era capriccioso quel dannato marchese.

 

Stephan si perse ad ammirare i dettagli della casa; le pareti dal colore caldo gli trasmettevano un certo senso di gioia.

L’arancio dei muri, il granito scuro dei pavimenti, il cristallo dei vecchi lampadari (decisamente eccessivo per una tenuta da caccia) sembravano i perfetti figli di un progetto che appariva meraviglioso.

Il marchese tornò alla tenuta per ora di pranzo, emozionato e pieno di idee; si diresse in cucina, frettoloso e voglioso di spiluccare qualcosa per placare la fame prima di un effettivo pasto.

 

Si meravigliò nel non trovarvi Samantha che di solito si occupava del pranzo.

“Susette!” gridò per richiamare l’attenzione della serva dai lunghi capelli rossi, “Dov’è Samantha? E’ da questa mattina che non riesco a trovarla”

 

“Si-signore” rispose impaurita, “Nessuno l’ha ancora vista da quando si è alzata”

Stephan s’irrigidì di colpo. “Va bene, me ne occupo io” disse serio, per poi aggiungere un fintissimo “Vedrà cosa le succede se la trovo” per non destare sospetti sul suo interesse.

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Capitolo 11
*** Una serva ***


ANGOLO AUTRICE:
Hey! Sono sempre io, la vostra Julie. So che non aggiorno da tempo e mi dispiace molto per questo, ma la mancanza di tempo e ispirazione hanno fatto sì che scrivessi poco e nulla in questo lungo periodo. Vi lascio un capitolo veloce, scritto di getto. Sarò lieta di accogliere eventuali critiche e positive e negative. Ho sul serio bisogno di sapere cosa ne pensate nella storia per capire quali punti modificare/migliorare.
Mi scuso per eventuali errori grammaticali e vi auguro una serena lettura!
Baci baci, Ju


Corse nella stalla e senza che Jack, lo stalliere, potesse fermarlo montò la sua giumenta bianca, Charlène, per raggiungere la radura che aveva visitato il giorno precedente.

 

“Samantha! Samantha!” gridò a squarciagola sceso da cavallo, notò un cespuglio muoversi, ma fece finta di niente.

“Sammy, per favore, esci!”

 

Nulla, sembrava il posto fosse desolato, ma non demorse; si avvicinò ai cespugli e ci si gettò all’interno.

Batté contro qualcosa, o meglio, qualcuno e fu felice di vedere seduta sul pavimento la ragazza dagli occhi color miele che si carezzava la schiena dolente per la caduta.

 

“Perché mi scappi?” chiese a bruciapelo; “Non mi sembra di averti fatto qualcosa”.

Samantha abbassò lo sguardo con aria colpevole, giocherellando con le dita affusolate.

“Mi dispiace signor…”

“Stephan, ti ho detto che quando siamo soli puoi chiamarmi per nome” l’ammonì, ma quella fu forse l’ultima delle sue preoccupazioni.

 

“Stephan, io…guardami” gli disse con un sibilo mentre si stringeva nel suo abito sgualcito e malconcio, l’orlo della gonna era logoro ed il grembiule sporco.

 

“Guardami e dimmi cosa vuoi perché non riesco a comprendere il motivo della tua vicinanza. Ieri notte…”

“E’ stato un errore, Sammy, tutto quello che hai vissuto, anzi, subito…è stato solo un grosso, maledettissimo errore. Non credevo Grace si sarebbe spinta fino a quel punto, non con te” ammise con tono serioso.

 

Samantha lo fissò perplessa.

 

“Non parlo di Grace, voglio dire, lei è solo parte di questa storia. Comprendimi, abbiamo dormito insieme, sono rimasta con la testa sul tuo petto per l’intera notte, credo che…”

“Qual è il problema? Perché mi fai questo?” le chiese in modo sincero, ma Sammy gli rispose con un’ulteriore domanda.

 

“Cosa vuoi da me, Stephan?”

“Sono una sporca serva. So leggere a stento, di scrivere quasi non se ne parla e non ho buone maniere. E’ il mio corpo che vuoi? Queste gambe? Questa vita?” disse sfilando la maglia consumata e alzando appena la gonna.

 

“Ci sono tante donne, Stephan. Perché devi prenderti gioco proprio di me?”

 

Il marchese, interdetto, la cinse in un abbraccio, muto come un pesce.

La strinse forte sentendola singhiozzare; si staccò appena da lei, la guardò negli occhi, asciugando qualche lacrima con le dita. Infine le diede un leggero bacio sulle labbra.

 

“Hai risposto tu stessa alla domanda. Ci sono tante donne, perché dovrei prendermi gioco proprio di te?”

 

Rimasero in silenzio per pochi istanti durante i quali Stephan non poté fare a meno di ricordare l’unico amore della sua vita, Samantha somigliava terribilmente alla donna che tanto aveva adorato.

Anni prima, infatti, all’età di diciassette anni si era innamorato, ma non sapeva quanto crudele potesse essere la mente umana.

 

La serva si tranquillizzò, sedendosi su un tronco, vicino all’acqua; il silenzio la faceva da padrone quel pomeriggio e la situazione parve piuttosto imbarazzante.

Fu Stephan a infrangerlo:

 

“Come hai potuto pensare quelle cose? Mi credi così vile?” chiese in tranquillità carezzandole il capo.

“I-io…non lo so. E’ che non ho nulla di buono da offrirti che un corpo” ammise.

“Sei una stupida.”

“Ma è la verità” indugiò.

“Sammy, credimi quando ti dico che non sei come le altre”

“E tu credimi quando ti dico che sono una delle tante e una serva, per giunta.”

 

Il marchese non poté non notare lo sguardo triste di Samantha; i suoi grandi occhi color miele sempre vispi erano velati da un leggero strato di lacrime.

 

La sua parte razionale venne meno e la baciò intensamente, mentre la sua mano vagava in cerca dell’orlo della gonna logora, ove giunse dopo pochi istanti.

 

“N-no” accennò la serva timidamente.

“Per favore…no”.

 

Per la prima volta dalla sua “trasformazione” una donna osava rifiutarlo, ma non riuscì ad infuriarsi, anzi, provò tenerezza perché si trattava di Sammy.

 

“Scusami” disse e le sfiorò i capelli mentre gli cingeva il petto con fare infantile.

 

“Mi può…ehm…puoi portare alla tenuta?” chiese ancora scossa e il marchese, quasi fosse un ordine, si diresse verso Charlène prendendola per le briglie ed adagiandovi sopra la ragazza.

 

“Vorrei che stasera venissi nella mia stanza, Samantha” le disse con tono serioso mentre cavalcava.

“Devo assolutamente parlarti”

“Sarà fatto, Stephan.”

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Empty eyes ***


Giunti alla tenuta, il marchese e la serva si separarono senza dare nell’occhio.

“A stasera” disse Stephan prima di dirigersi nello studio dove Godric, suo fedele servitore, lo aspettava con l’aria di chi aveva trascorso una pessima mattinata.

“Signore, ci sono problemi con i Fitzgerald” ammise con sincerità mentre il conte si sedeva alla lucida scrivania di faggio; Kenneth Fitzgerald era il più famoso mastro costruttore del paese e suo fratello, David, uno dei migliori fabbri di tutti i tempi.

 

“Che genere di problemi?”

“David ha convinto Kenneth a non lavorare per noi. La considera un vile ed ha detto che suo fratello non ha bisogno dello “sporco denaro del marchesuncolo”.

 

Gli occhi di Stephan brillarono lucidi di rabbia.

“Me lo ricordo, quel David, un mendicante da quattro soldi. Avrà anche fatto fortuna, ma resta un dannato pezzente. Portalo qui da me, ad ogni costo, cercherò di fargli cambiare idea.”

 

“E se non volesse, mio signore?”

“Userò le maniere forti, mio caro Godric.”

 

***

 

Samantha era stanca e stressata per ciò che era successo al parco con Stephan, davvero non si capacitava di cosa lui trovasse di tanto attraente in lei.

 

Non che fosse brutta, anzi, a detta di molti il suo viso esprimeva dolcezza e perché no, anche un pizzico di furbizia; il suo nasino all’insù l’aveva salvata da molte pericolose situazioni, soprattutto durante gli anni in cui era stata costretta da suo padre a rubare.

 

Sua madre l’aveva avuta a diciassette anni e l’aveva amata tanto, finché la notte del suo quindicesimo compleanno era sparita; fu proprio quella notte che Sammy scappò di casa ed incontrò il marchese.

 

Margaret, serva invidiosa, la guardava con disprezzo.

 

“Sei stata col marchese questa mattina? Con le tue gambette devi averlo accontentato per bene, sei dello stesso stampo di tua madre d’altronde.” disse indicando l’orlo strappato della gonna.

“Non ti azzardare mai più a nominarla!” urlò la mora lasciandole uno schiaffo bollente sulla guancia prima di correre via, con le lacrime agli occhi.

 

Era stanca di quella vita da serva, della spavalderia continua di Margaret e delle frecciatine velenose da cui difendersi in continuazione; decise di fare un bagno caldo e rilassarsi, mise due grosse pentole da stufato sul fuoco per scaldare l’acqua e si fece aiutare da Annette, sua confidente ed amica, a svuotarle nella grossa tinozza che teneva in stanza per lavare i vestiti.

 

“Se non ci fossi tu, Annette, non sopravvivrei un giorno in più in questa casa.” affermò con voce dolce, quasi riconoscente, alla rossa che le stava accanto.

 

“Tranquilla, Sammy, ci sarò sempre per te, ma ora è meglio che vada a preparare la merenda al marchese o sarà lui a cacciarmi a pedate!”

 

Samantha si accoccolò nell’acqua che di lì a breve avrebbe perso ogni traccia di quel profondo calore che sapeva d’abbraccio, chiuse gli occhi ed immaginò di farsi stringere da Stephan così come era successo altre volte.

 

Si vide, nei suoi sogni, con indosso un abito morbido, dalle lunghe maniche affusolate e che metteva in risalto la sua bellissima vita. Pensò che sarebbe stato perfetto poter condividere ogni momento della propria esistenza con qualcuno come il marchese, così premuroso, forte, dolce.

 

Si addormentò nella tinozza e si risvegliò che era pomeriggio inoltrato.

“Oh cielo! Devo prepararmi, stasera devo vedere Stephan!” pensò appena aprì gli occhi senza neanche capire dove fosse.

 

Si alzò di scatto e, facendo attenzione a non cadere, si avvolse un telo di stoffa indosso per poi uscire dall’acqua.

 

Sciolse lo chignon che le teneva legati i capelli e li intrecciò morbidamente con non poca pazienza, infine si asciugò, indossò biancheria pulita ed un morbido abito di cotone che Annette le aveva regalato l’anno precedente per quelle che ritenevano “occasioni speciali”.

 

Il verde scuro della stoffa s’intonava col colore della sua chioma, ma di certo il vestito di cotone non bastava a tenerla al caldo. Samantha, allora, indossò una morbida casacca di lana che aveva comprato al mercato tempo addietro e che usava spesso in periodi freddi come quello; era piuttosto logora, l’aveva usata molte e molte volte, ma manteneva la sua morbidezza nonostante i vari lavaggi.

 

Prima di andare in cucina per preparare la cena del marchese, la serva indossò l’unico gioiello che possedesse ed avesse mai posseduto: il medaglione di sua madre; come sempre lo nascose all’interno dell’abito cosicché nessuno potesse vederlo.

 

***

 

Stephan era impaziente di cenare, quella sera.

Aveva fame, era avido di cibo e, quasi sicuramente, il suo stato non era dovuto all’appetito, ma al profondo senso di frustrazione che provava a causa di David Fitzgerald.

 

Lo aveva incontrato poche volte in quasi ventisette anni di vita, ma lo odiava terribilmente; il padre di David, Herman, era stato un fedele servitore del suo.

 

David era cresciuto nella residenza di Stephan, addirittura da piccoli avevano condiviso spazi e giochi, ma il primo si era mostrato sempre più portato del marchese per qualsivoglia lavoro manuale.

Il Fitzgerald sapeva lavorare il ferro, tirare con l’arco, domare cavalli come se fosse nato esattamente per fare quello.

 

La prima volta che avevano tirato di spada, David aveva ferito Stephan. Ogni cosa gli riusciva perfettamente naturale ed era proprio per quello che il marchese lo odiava dal profondo della propria anima.

 

Ma a David mancava qualcosa.

Il denaro.

Senza denaro e senza un titolo sarebbe rimasto per sempre, pensava Stephan, un povero ed umile fabbro.

***

 

Si fece sera e Samantha, dopo aver preparato un gustoso fagiano arrosto, tornò nella propria camera incerta sul da farsi.

Cosa voleva da lei Stephan?

Per quale motivo la voleva nella sua stanza?

 

Prese a camminare, impaziente, girando in tondo. Non sarebbe andata a cercarlo, non voleva saperne più nulla, era convinta che quella storia le si sarebbe ritorta contro.

 

Sentì bussare alla porta.

 

“Si?” chiese con voce tremante.

“Sono Annette, posso entrare?”

 

La rossa si sedé sul letto e guardò Sammy per qualche secondo.

“Cosa c’è che non va, Samantha?”

“Nulla, Annette. Perché sei qui?”

“Il marchese chiede di te, ha detto che ha bisogno che lo aiuti con gli abiti e con l’organizzazione del pranzo di domani.”

 

Samantha si rasserenò per un secondo.

 

“Il…pranzo?”

“Si, non te lo ha detto? Verranno i fratelli Fitzgerald alla tenuta, domani.” disse Annette con uno strano luccichio negli occhi.

 

La mora rise. “E scommetto che sarai tu a servire le pietanze al dolce David”

 

“E’ ora che vada e tu sbrigati che il marchese ha un diavolo per capello. Sta attenta, ha bevuto come una spugna.” squittì prima di scappare via.

 

Samantha percorse il lungo corridoio che portava dalla residenza della servitù al salone, diretta nella camera di Stephan. Bussò, ma questi non rispose, allora decise di entrare.

 

“Marchese?” chiese con un flebile sussurro puntando gli occhi sulle tende chiare che avvolgevano il letto a baldacchino.

 

“E’ qui?”

 

“Samantha” rispose Stephan con serietà inaudita, quasi inquietante.

“Siediti pure sul letto”

 

La serva si sedette ed il marchese chiuse la porta a chiave, senza nessuna apparente ragione.

 

“Annette mi ha detto che vuole parlarmi del pranzo di dom-“

“No, Samantha. Non voglio parlarti di quello. Non solo.”

 

Si avvicinò a lei osservandola nella luce soffusa che le candele emettevano, le posò una mano sulla guancia e l’altra su una spalla; la sentì sussultare, ma non vi badò troppo.

 

“C-cosa c’è, allora, signor march-“

“Ti ho detto che puoi chiamarmi Stephan quando siamo soli” la redarguì con tono più che serio.

“Cosa c’è Stephan?”

 

Sammy pensò che il suo alito sapesse un po’ troppo di vino, ma cercò di non scomporsi, il suo Stephan non avrebbe potuto di certo farle del male.

 

“Ho bisogno che mi aiuti con gli abiti, c’è da sistemare”, indicò un armadio poco più alto di lei, incitandola ad aprirlo.

 

La ragazza, però, apparve stranita da una tale richiesta; avrebbe potuto sistemare gli abiti alla luce del giorno, che motivo c’era di farlo al buio?

 

“Ti ho appena dato un ordine, Samantha.” disse duramente senza che la mora potesse capire per quale ragione sembrasse così rancoroso.

 

Si alzò, aprì l’armadio e prese a tirare fuori una lunga serie di abiti che avrebbe piegato e risistemato nel giro di qualche ora.

 

Non appena le sue delicate dita si posarono sulla prima camicia sentì due braccia possenti stringerle la vita e per un attimo rimase come pietrificata; il fiato di Stephan viaggiava sul suo collo e le metteva i brividi.

 

Cercò di divincolarsi con calma:”St-Stephan”

“Cosa c’è Sammy?”

 

In quel nomignolo ritrovò lo stesso marchese che la portava nella radura per parlarle di letteratura, storia, caccia; lo stesso Stephan che le aveva regalato un bellissimo abito arancione e che si prendeva cura di lei premurosamente.

 

Si spostò in avanti di qualche passo, ma il marchese non sembrò volerla lasciare:

“Perché ti allontani?”

“Oh, non mi sembra il caso che…”

“Girati, Sammy” le sussurrò con un tono a metà tra il supplichevole e l’autoritario.

 
ANGOLO AUTRICE: odio profondamente l'editor di EFP, non potete capire quanto. Motivo per il quale spesso ho problemi ad aggiornare la storia, uffa!
Comunque spero vivamente che il capitolo vi piaccia :)
xoxo Ju

 

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