Cronache di un attore fallito

di Sam Lackheart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sipario ***
Capitolo 2: *** Atto I ***
Capitolo 3: *** Atto II ***
Capitolo 4: *** Atto III ***
Capitolo 5: *** Atto VI ***



Capitolo 1
*** Sipario ***


PROLOGO

"Si congela qui, dannazione. Come fa la gente a viverci?" si chiese Audrey, stringendosi ulteriormente nel suo cappotto rosso, a cui riservò un' occhiata piena di orgoglio, ricordando di come valorizzasse il colore, ugualmente scarlatto, dei suoi occhi. Preso da quella contemplazione, neanche quella volta gli venne in mente che non era esattamente quello l' abbigliamento adatto per nascondersi in un giardino coperto di neve, mentre si aspettava senza pazienza. 
Osservò divertito le nuvolette di condensa che uscivano dalla sua bocca: ricordava quando da piccolo faceva finta di essere uno di quei nobili che passavano le giornate a leggere il giornale e fumare la pipa al caldo. Diede l' ennesima occhiata annoiata al paesaggio: chissà quanti avrebbero spalancato gli occhi nel vedere quell' immensa distesa bianca, il contrasto con le scure ombre del bosco che circondava la casa e gli ultimi fiocchi di una nevicata durata tutto il pomeriggio che cadevano silenziosi senza ricoprire nulla, in realtà. Di certo, lui non ne poteva più di quel posto, di quel silenzio interrotto dai suoi  respiri, delle nuvole che si dispiegavano, mostrando brandelli di cielo cobalto talmente pieni di stelle che il biondo si chiese se non facessero a gara per non essere viste dall' uomo. Conosceva la brama di notorietà, e si sentì stranamente vicino a quei piccoli corpi celesti. 
Un rumore sordo e attutito giunse improvviso alle sue orecchie: finalmente, era arrivato il momento di agire. Si tolse velocemente gli occhiali sottili per pulirli dalla neve e quando li rimise riuscì a distinguere chiaramente la figura curva di Matthew. 
Strinse i pugni, per impedire ai suoi sentimenti di prendere il sopravvento. Per lui non era facile, e a quello che ricordava era la prima volta che cercava di farlo: in genere, la trovava una cosa senza senso, specialmente quando ti accorgi che i tuoi sentimenti sono l' unica cosa che ti rimane. Ma quella era una notte di prime volte, se lo sentiva.
Strisciò lentamente sulla neve verso il canadese che, tranquillo come sempre, gettava una bottiglia vuota di succo nel cassonetto.
"Ciao, Matthew"
Il canadese si voltò, incuriosito: appena incontrò quegli occhi maligni che lo guardavano, però, alla curiosità subentrò il terrore.
Prima di perdere i sensi a causa di un colpo alla testa,  riuscì solo ad emettere un breve urlo di disperazione.
"Dannazione, non dovevo farmi prendere dalla mia solita teatralità, avrei dovuto colpirlo e basta! Ma che mi è venuto in mente? Adesso qualcuno l' avrà sentito, magari avrà già chiamato la polizia, o l' esercito ..." Audrey cercò di calmarsi, e di non lasciare che il suo lato paranoico prendesse il sopravvento. Adagiò il corpo di Matthew sul divano bianco del salone di quella casa che aveva imparato a conoscere bene nelle ultime settimane di appostamenti più o meno maldestri.
"Ah, ma chi prendo in giro? Non mi sarei privato per nulla al mondo del suo bel visino terrorizzato"
Sapendo di essere solo in casa, andò tranquillamente in bagno con il suo borsone. Prese le lenti a contatto colorate e, con un sospiro di rassegnazione, le indossò. In quel modo, la somiglianza tra i due aumentò sensibilmente, ma non era abbastanza: era naturale, pensò il ragazzo, ma si irritò comunque al pensiero di tutta la roba che si sarebbe dovuto mettere in faccia per trasformare il suo viso spigoloso in quello più morbido e fancuillesco di Matthew. Incollò i pezzi di silicone con la massima cura e aspettò insofferentemente che si asciugassero, tamburellando con le dita sul lavabo di ceramica. Provò un paio di volte le espressioni più comuni di Matthew, arricciando le lebbra a sorrisi ingenui, corrugando la fronte in espressioni perplesse, gonfiando le guance come spesso gli aveva visto fare. Cercò di imitare la sua risata quasi soffocata ma piacevole, e provò ad introdurre nei suoi occhi la remissione e la gentilezza, con scarso successo. Non riusciva ad eliminare quello che tranquillamente era classificabile in un ghigno supponente, o una risata rumorosa e troppo acuta. 
"Ma forse è meglio tenere gli occhi chini il più possibile" sbottò infine Audrey, troppo orgoglioso per ammettere di non riuscire neanche a sembrare gentile.
Pensando a quanto fosse stato fortunato a non dover indossare una parrucca, andò in camera da letto e cambiò la sua giacca rossa e i pantaloni bianchi con un paio di jeans e la felpa. Si accorse che erano lievemente larghi, e sorrise al pensiero di essere più magro - neanche per un attimo pensò di esserlo troppo, con le scapole che sembravano delle ali spiegate e le costole in bella vista. 
Tornò velocemente in camera, spaventato dall' idea che Matthew si fosse svegliato. Torvandolo ancora svenuto, gli legò mani e piedi e lo portò in camera da letto. Gli stese una coperta sopra - non voleva mica che morisse assiderato, altrimenti il suo piano sarebbe andato al diavolo - e, troppo nervoso per mangiare e poco abituato a dormire, ripercorse con la mente i punti del suo piano. 
Era così semplice, se ci si pensava bene! Spinto dal più comune dei sentimenti umani, l' odio per chi era in una posizione migliore che si credeva di meritare, aveva ideato una piccola vendetta. Neanche per un attimo pensò che quello che stava facendo era sbagliato, o esagerato, e che avrebbe potuto risolvere la situazione in modo diverso. Scosse la testa, segretamente infuriato con se stesso per aver pensato per l' ennesima volta alla moralità del suo gesto: era stufo di rimuginare, l' aveva fatto per anni, e non ne aveva ricavato niente, se non un grande mal di testa, una dipendenza da antidolorifici e una paranoia non comune. 
"Strano, non ho ancora visto quel coso che si porta sempre dietro" pensò, tanto per cambiare argomento della sua conversazione interiore - di esteriori, non ne aveva da anni, non gratificanti, perlomeno. "Quel coso", Kumajirou, era comodamente sdraiato sulle spiagge cubane da ormai quasi due settimane, e pochi gioni più tardi sarebbe tornato: ma questo, lui non poteva saperlo. 
"Non importa" e, tanto per fare qualcosa, gironzolò pigramente per casa, tendendo un orecchio alla camera da letto: aveva un preciso copione in testa, enon poteva permettersi errori. Che lo scoprissero, era quasi scontato, ma non potevano rovinargli quei momenti. 
Nel profondo, sapeva che il suo agire aveva un che di perverso che ormai aveva perso il suo fascino, tanto rovinato dal rifletterci su: ma cercava di scacciare questi pensieri, cambiandone il flusso, e concentandosi anche sulle cose più stupide.
Per questo motivo, iniziò a riordinare i libri di tutti gli scaffali in ordine cromatico, poi allineò tutti i bicchieri della credenza e sistemò il divano sgualcito. Avrebbe iniziato anche a pulire le varie cornici che adornavano i muri bianchi, ma un rumore lo condusse immediatamente in camera da letto: Matthew si era svegliato.
E aveva una semplice, disarmante domanda. 
"Perchè ..?"
"Lo vedrai"
"Cosa ..?"
"Vedrai anche questo. Sai" disse, sdraiandosi accanto a lui, ma a distanza di sicurezza - sapeva quanto grande fosse in realtà la sua forza fisica, e non era sicuro di averlo legato bene "Immagina di essere uno spettatore: ecco, sei a teatro, e sta iniziando l' opera principale, e ti assicuro che non vuoi perderla, anche perchè l' attore principale lo conosci, ed è la sua prima opera mondiale"
"Ti prego, lasciami andare" mano a mano riacquistava la padronanza di sè, e si rendeva conto della situazione. Audrey era sempre stato un tipo violento, rissoso, nonostante il suo corpo, e maggiormente la sua psiche fragile lo facessero uscire la maggior parte delle volte vittorioso, ma ammaccato. Per questo, invece di quel collerico individuo, avevano scelto lui, come Rappresentante del Canada.
"Oh, no, no, non posso. Non capisci? Faccio tutto questo per te, solo per te!" esclamò, accarezzandogli i capelli.
"Cosa vuoi ottenere?" pigolò cauto il canadese, sapendo di avere accanto a sè una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere alla prima parola sbagliata. 
"Se te lo dicessi adesso, che gusto ci sarebbe? Ma dimmi, ancora non mi hai guardato bene?"
Matthew voltò lievemente la testa: nonostante la miopia, Audrey era abbastanza vicino da poter vedere le modifiche che aveva apportato al suo volto. 
"N- no ..! Non puoi averlo fatto!" sussurrò il canadese, inizando a capire il suo folle piano senza scopo. 
"Non sono più Audrey, adesso" sussurrò, suo malgrado dolcemente "D' ora in poi sono Matthew, e tutti mi chiameranno così, al meeting  di domani, e anche quello di dopodomani, e tra una settimana ...e indovina un pò? Tutto quello che farò ... sarai tu a farlo!"
Le lacrime di disperazione invasero gli occhi del canadese "Ti prego, non fare del male a nessuno. Fammi quello che vuoi, ma lascia in pace gli altri"
"Tu? Ma io non ho intenzione di farti nulla ... di fisico. Ti tengo legato perchè, oh, so che scapperesti, e non possono esserci in giro due Matthew, capisci? Ma non temere, ti tratterò bene, come fossi a casa tua" e qui scoppiò a ridere fragorosamente, uscendo dalla camera da letto che chiuse a chiave. 
"Dormi bene, mio caro" sussurrò appoggiato al muro.
Andò in bagno e, a pochi centimetri dallo specchio, ricominciò ad esercitarsi con la mimica facciale dell' altro che, nel frattempo, giaceva tra la rassegnazione, la disperazione e l' intrepida volontà di fare qualcosa. Ma sconsolato, si accorse di non poter fare nulla, se non aspettare. 

 
***
Lo so, lo so.
Solo, aspettate per il lancio di pomodori, ok? Dai, almeno il secondo capitolo, dove qualcosa succede.
A Adam_96, che merita di più di una schifezza del genere, ma che si accontenta, perchè è un angelo. 

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Capitolo 2
*** Atto I ***


ATTO PRIMO

"Sai, amico, a volte mi dico che è sbagliato essere così catttivi con le persone, magari dovrei cambiare. E poi cosa va storto, amico? Niente, poi incontro un qualsiasi essere umano, e capisco di nuovo il senso della mia misantropia"
Audrey ridacchiò tra sè e sè, ma si ricompose quasi subito. Era ad un tavolo con le nazioni più importanti del mondo, e in più aveva un ruolo preciso da interpretare. Ma non era mai stato un grande attore. O meglio, sapeva mentire, ma non essere un' altra persona, e non per così tanto tempo, anche se il suo nuovo ruolo si riduceva al non parlare e non essere ascoltati. Trovava impossibile quello stile di vita, ma non se ne stupì: non conoscendo se stesso, involontariamente conosceva Matthew.  Ricordò vagamente - ormai era in uno stato di fibrillazione tale da attutire tutti gli altri sensi - di come all' alba era partito per andare a Washington, dove si teneva la prima di una serie di riunioni speciali. Per poco non era saltato addosso, appena entrato, ad ogni persona gli rivolgesse uno sguardo incuriosito, quasi basito, come se non si aspettassero che esistesse. 
"Io esisto, dannazione, fatevene una ragione!" urlavano i suoi occhi, tenuti bassi per precauzione, mentre farfugliava qualche scusa e salutava gente mai vista prima.
Fu un sollievo quando un certo Ludwig, l' unica persona che aveva una vaga idea della presunta utilità che dovevano avere quelle riunioni, fece ordine e iniziò a parlare. Audrey non lo ascoltò minimamente, e fu sollevato e allo stesso tempo basito dal fatto che non fosse l' unico. 

Matthew quella mattina era stato stranamente irrequieto. Si era rifiutato di mangiare, probabilmente nell' eroico quanto inutile tentativo di morire di fame, per quanto potesse sembrare ridicolo. Con le dovute minacce, però, Audrey era riuscito a fargli ingurgitare del latte freddo con dei biscotti che aveva trovato ispezionando la cucina. Aveva poi aspettato con affettata calma che i sonniferi che gli aveva sciolto nel latte facessero effetto e, sistemato meglio il corpo semicosciente sul letto, era uscito. Non sapeva quanti sonniferi gli aveva dato, ma sperò vivamente che quando sarebbe tornato l' avrebbe trovato sveglio: aveva una cosa da mostrargli. Pensò con voluta maliziosità alle possibili reazioni dell' altro, quando l' avrebbe costretto a guardare ciò che stava per fare. Guardando fuori dalla finestra, pregustò la paura, lo sgomento e il disgusto che Matthew avrebbe provato quella sera, sempre che il suo piano fosse andato a buon fine. Ma sì, cosa poteva andare storto? Praticamente nessuno lo notava, se non con qualche breve occhiata di rito. 
Si risvegliò solo quando quel tedesco disse "E adesso interrompiamo la riunione per una pausa di mezz' ora. Una volta rientrati, analizzeremo  la questione sotto il punto di vis-" 
Non era bravo a prestare attenzione agli altri, quindi si concentrò sulla porta aperta dalla quale uscivano tutti, e silenziosamente si infilò nel mucchio, cercando di sembrare il più naturale possibile. 

"Matthew, attende - moi!" 
Il canadese non fece in tempo a girarsi che sentì una mano poggiarsi delicatamente sul suo fondoschiena. D' istinto, afferrò il polso e iniziò a stringerlo: c' erano poche cose che odiava più di quel contatto umano, per non parlare poi di chi osava sfiorarlo, credendolo quell' altro - l' aveva riconosciuto subito, appena entrato, e per miracolo si era trattenuto dal saltargli addosso e ucciderlo con le sue stesse mani. Odiava quel dannato francese, come faceva Matthew ad essere il suo ragazzo?! Era così ripugnante, altezzoso, vanesio e irritante da provocargli ondate di puro odio. Ripensando al modo malizioso con cui baciava Matthew ... 
Grazie a questa corrente di pensiero, si ricordò chi stesse facendo finta di essere, e afferrò dolcemente quella mano viscida.
"Scusa, mi ... mi hai spaventato" disse, tenendo chino il capo.
Il francese sorrise, intenerito dal pudore del suo ragazzo, ma sentì che c' era qualcosa di strano in lui. Si era stupito nel venire a sapere da altri della sua presenza - di solito era il primo e l' unico a trovarlo.
"Che ti succede?" chiese, guardandolo di sottecchi.
"Io? Niente" si affrettò a dire "E' che ho un orribile mal di gola e non vorrei essere contagioso ... ma spero che il polso non ti faccia male" 
Era facile far cambiare argomento a quel francese: bastava parlare di lui.
"A me? Non, mon cher, non fa niente. Tuttavia, se vuoi farti perdonare, un modo ci sarebbe ..." sussurrò al suo orecchio, spingendolo lentamente in una stanzino, approfittando del corridoio vuoto.
Audrey non pensava sarebbe stato così facile, e riuscì a malapena a trattenere un sorriso di vittoria. Ormai, ce l' aveva in pugno, e niente gli avrebbe impedito di attuare la sua vendetta. 
"Che ne dici ... se mi facessi perdonare meglio?" chiese, cercando di mettere un pò di distanza tra il suo corpo e quello del francese, che aveva preso a baciarlo con più malizia del solito.
"Stupido! Quella mammoletta non lo direbbe mai!" pensò subito, ma vuoi la completa idiozia del francese, vuoi che aveva dimenticato la sensaazione che ci fosse qualcosa di male, fatto sta che non fece una piega, e si fermò interrogativo. 
Dalla tasca del giaccone, Audrey estrasse con calma un paio di manette, e le mostrò a Francis, senza però guardarlo negli occhi. Il francese trattenne a stento un gridolino di sorpresa, mentre cercava di afferarle.
"No" protestò debolmente il più piccolo, spingendolo contro il muro "Faccio io"
Francis si fece legare senza proteste ad un tubo che faceva parte del condotto di areazione e che, in quel tratto, scendeva fino ad arrivare al piano di sotto. Quante volte aveva immaginato uno scenario del genere ... si sentiva elettrizzato, aveva letteralmente perso la testa, inginocchiato e con una sottile benda sugli occhi, che però gli permetteva di distinguere la figura del canadese che in quel momento si inginocchiava davanti a lui. 
"Perfetto" disse Audrey, anche lui su di giri, ma per altri motivi. 
"Dovresti fare qualcosa per il tuo mal di gola, però" disse Francis: infatti l' altro aveva utilizzato il suo vero tono di voce, ben diverso da quello del canadese, più duro, quasi graffiante. 
"E tu dovresti fare qualcosa per il tuo nasino rotto" sussurrò l' altro, abbandonanado completamente ogni sorta di precauzione e assestando un pugno in pieno volto del francese, che sbattè violentemente contro il tubo. 
Spalancò la bocca per urlare, ma gli mancò l' aria. Sentì un caldo rivolo di sangue scivolargli in bocca, ricoprendo tutto: quasi si strozzò tanto usciva copioso.
"T- tu ..." riuscì a dire dopo qualche minuto. E dallo sguardo, Audrey capì che Matthew gli aveva parlato di lui - e l' aveva fatto senza mentire. 
"Ci sei arrivato, stupido pervertito" lo interruppe, prendendolo per i capelli e tirandogli indietro la testa, in modo da avere il suo collo a portata di mano. 
"C- cos ..."
"Voglio farti? Non voglio ucciderti" disse con sufficienza affettata "Non potrei, comunque. Ma voglio farti così tanto male da farti rimpiangere di non essere un semplice umano e poter morire di dolore" sussurrò al suo orecchio, mentre abilmente gli infilò la stessa benda che poco prima aveva sugli occhi in bocca, abbastanza in fondo da impedirgli di parlare. Francis sentì in bocca il sapore invadente e ferroso del suo stesso sangue.
"Vediamo un pò ..." Francis lo sentì trafficare per il piccolo sgabuzzino. Analizzando tutte le possibilità, capì di non avere più speranza di uscirne. Di gridare non se ne parlava, sarebbe soffocato: non riusciva a mandare la stoffa su per la gola con la lingua, per quanto disperatamente ci provasse. Avrebbe potuto farlo cadere grazie alle gambe libere, ma a che pro? Era comunque ammanettato e, ricordando quello che gli aveva raccontato Matthew, era meglio non stuzzicare il suo lato violento. Quel corridoio era poco frequentato, e tutti sapevano cosa accadeva di solito in quello sgabuzzino - era lo stesso motivo per il quale le pause si erano allungate a mezz' ora - quindi anche facendo cadere uno dei boccioni d' acqua che affollavano il lato destro della stanza, nessuno l' avrebbe sentito, o avrebbe frainteso. Certo, nessuno avrebbe mai immaginato una cosa del genere. 
Il flusso di pensieri del francese venne interrotto da un pugno nello stomaco, che lo fece tossire convulsamente. 
"Non mi sverrai mica per la mancanza di ossigeno, vero?" chiese seriamente preoccupato Audrey, mentre osservava incredulo gli spasmi dell' altro per evitare che la benda scendesse ulteriormente nella trachea "Sarà meglio toglierla, ma giuro che se gridi dopo averti sistemato vado a casa e lo uccido, Matthew" 
Appena liberato, Francis, prese una dolorosa ma necessaria boccata d' aria, mentre il terrore puro gli impediva di pensare. Non dubitò neanche per un attimo che avesse preso Matthew: conosceva in maniera indiretta la sua spiccata teatralità.
"Che cosa ... vu- vuoi?" chiese con non poche difficoltà, mentre l' altro aspettava paziente le sue parole, come se stesse recitando con un attore alle prime armi.
"Vendetta. Ma non verso di te, non mi importa nulla. E non mi importa neanche di tutte le persone che ti seguiranno" 
Gli occhi di Francis si spalancarono dalla sorpresa. Scosso, non riusciva a ragionare ultimamente, e comunque come avrebbe potuto capire i ragionamenti di un pazzo psicotico?
"Non mi aspetto che tu capisca, non temere" sussurrò con un sorriso cinico, mentre con una mano stringeva le guance del francese come fosse un bambino e con l' altra gli sbottonava abilmente la giacca e poi la camicia. 
"M - Matthew ..." farfugliò, incapace di pensare ad altro.
"Lui sta meglio di te, non lo capisci? A lui non farò del male, se smetti di dare fiato a quella tua cazzo di bocca"
Vide con soddisfazione che la sua minaccia aveva avuto effetto. Gioiva come un bambino ogni volta che vedeva lo sforzo che l' altro faceva per non urlare di dolore ai pugni che gli stavano martoriando lo stomaco. Era come cieco: non gli importava di colpire nessun punto in particolare. Petto, pancia, braccia, collo, viso, testa, era la stessa cosa per lui.
Quando si ritenne soddisfatto, si sedette scompostamente accanto a lui con il fiatone, e guardò un punto preciso.
"Ehi, stronzo, vuoi dire qualcosa al tuo Matthew prima che ti dia il colpo di grazia?" chiese, guardando di sfuggita il viso tumefatto e il petto rossastro.
"Io .. i - io ti a - am" 
Ma non fece in tempo a concludere la frase perchè un colpo dato di piatto con la mano arrivò, come il primo, sul naso già rotto. 
Audrey sentì la frenesia finire, e al suo posto insinuarsi un piccolo vuoto. Certo, aveva appena iniziato, ma il risultato lo deludeva abbastanza: sicuramente era stato un successo, ma mancava di quel tocco che l' avrebbe contraddistinto.

"Così va meglio" disse poi, alzandosi dal corpo svenuto del francese. Controllò lo stato dei suoi vestiti: previdente, si era tolto il giaccone bianco che aveva preso dall' armadio di Matthew, e lo rimise per coprire le macchie di sangue sul maglione vioetto. Prese un piccolo specchio e controllò il volto, stranamente pulito; le lenti erano al loro posto, anche se gli occhi spalancati erano difficili da nascondere, e quando chiudeva le palpebre per un attimo rivelavano il rosso cremisi che dovevano nascondere. 
Aprì lentamente la porta e, vedendolo deserto, uscì furtivo. Chiuse la porta, vittorioso, e si avviò all' uscita, quando sentì qualcuno che lo sfferrò per la spalla.
"Ecco, è finita" pensò subito, trovandosi davanti un accaldato biondo dalle strane sopracciglia. "Arthur"
"Stupido di un americano! Devi tor- oh, scusa Matthew, pensavo fosse tuo fratello!" si affrettò a dire l' inglese, lascianodgli la spalla "L' hai visto? Dobbiamo ricomminciare, ma lui non c' è ..."
"No, non l' ho visto" sussurrò, tenendo lo sguardo basso.
"Oh, ok,p enso di sapere dove si trovi ... un' ultima cosa" aggiunse Arthur, fissandolo "Hai visto Francis? Non riesco a trovare neanche lui ..."
"Forse è uscito, vado a vedere" rispose lentamente, prima di voltarsi ed uscire. Ascoltò a stento i ringraziamenti del biondo. 
"Oh, mi ringrazierai, vedrai" disse, una volta in strada. Chiamò un taxi e si diresse verso l' areoporto, senza accorgersi che due occhi viola non l' avevano lasciato neanche un secondo, da quando quella mattina era entrato nel bianco edificio palladiano.


 
**** note 
*viene inseguita da un branco di fan di Francis assatanate*
Giuro che questa cosa avrà un senso, alla fine, e il fatto che io odi profondamente quel francese non c' entra ASSOLUTAMENTE nulla, ecco. 
Parola di lupetto, acquisterà senso!

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Capitolo 3
*** Atto II ***


ATTO II

Neanche a dirlo, la notizia aveva fatto scalpore. Anzi, no, "scalpore" non era la parola giusta. Audrey pensò che se ne dovesse coniare una nuova, per descrivere chiaramente quello che era successo, e le ripercussioni che leggeva impresse nei pochi volti che in quel momento, sotto le mentite spogli di Matthew, osservava. 
Osservava senza vederle poichè, nel trambusto generale, l' avevano tutti ignorato e quindi aveva tempo per ripensare agli avvenimenti che avevano seguito il suo ritorno a casa. 
"Maaaathew, sei sveglio?" gridò, appena aperta la porta. Non si stupì nell' udire il silenzio assoluto. 
Arrivò in camera da letto, dove il canadese lo guardava con un' aria indecifrabile, un misto di sfida impotente e puro terrore. Era pallido, o la poca luce della stanza lo rendeva così? Due macchie bluastre iniziavano ad intravedersi sotto i suoi occhi, come quelli di un bambino tenuto sveglio per sbaglio. 
"Sai cosa ho fatto oggi?"
Ricevette ancora silenzio, e iniziò ad irritarsi. Non era così che doveva andare! Lui sarebbe dovuto essere terrorizzato, o perlomeno curioso. Ancora non accettava il fatto che il mondo non potesse andare come nella sua testa. Non poteva tollerare il duro riscontro con la realtà, e il dolore dell' impatto con quel muro che sembrava di ghiaccio, solo per lui.
Decise dunque di passare direttamente al clou del suo monologo, che non consisteva in parole. A fatica, trasportò il mobile del televisore in camera, e dopo dieci minuti passati a cercare di decifrare come funzionasse, si sentì un lieve "bzz" e una schermata blu notte ferì gli occhi di Matthew, disabituati alla luce.
"Pensavo ti stessi annoiando, quindi ti ho portato un filmino. Spero non ti dispiaccia, è un pò amatoriale, e l' inquadratura  è fissa, sai, da attore mi sono ritrovato anche regista, e non ho il dono dell' ubiquità, ma ne sono piuttosto orgoglioso!" 
Vide negli occhi del canadese un guizzo di inquieta curiosità, come di un condannato a morte che era appena venuto a conoscenza del suo destino in realtà già segnato, e si beò di quell' espressione.
Collegò la videocamera al televisore e partirono le immagini. Matthew spalancò gli occhi: c' era Francis, ammanettato, e Audrey torreggiava su di lui. Chiuse gli occhi, e iniziò a pensare intensamente al rumore più assordante che ricordasse per non ascoltare le urla che sicuramente sarebbero seguite. 
"No, no" lo ammonì Audrey appena si accorse che teneva gli occhi chiusi "Se non apri gli occhi potrebbe accadergli qualcosa di molto peggio di questo". Aveva imparato che, a causa della sua sindrome da eroe, non si curava delle minacce rivolte alla sua persona, ma diventava come di budino quando veniva schiacciato dalla consapevolezza di ferire qualcun altro,con il suo comportamento, e diventava docile come un agnellino, manipolabile come argilla. 
Sfruttare i legami personali di Matthew non era solo una necessità: gli ricordava che era pericoloso, quasi dannoso riporre una qualsiasi forma di fiducia in qualcun altro che non fosse se stesso. Era come una piccola rivincita morale, l' ennesima espressione della sua superiorità, la riprova che era il suo stile di vita - la sua sociopatia e il principio di schizofrenia - quello migliore da seguire. 
"Ti prego ..." sussurrò Matthew, con le lacrime agli occhi "Non farmelo vedere, ti prego"
"Ma come! Io ho fatto tutto questo per te, solo per te, e vuoi farmi credere che non ti piace? Non giudicare il libro dalla copertina! So che l' inizio è un pò lento, e questa è la mia opera prima, ma insomma, credo ci sia del potenziale!" protestò infantilmente Audrey, fissando lo sguardo sul volto del canadese mentre schiacciava il tasto "play". 
Come descrivere il senso di pace, di conforto quasi, il calore che pervadeva il suo petto in quel momento? Basterà ricordare le lacrime e le urla strazianti di Matthew, mentre si divincolava inconsciamente per liberarsi. Urlava, sì, per coprire altre grida, che sembravano martoriare il suo già esistente dolore - fisico, mentale - ma era sicuro che non sarebbe mai più riuscito a dimenticare quelle immagini. 
Finito il filmato, Audrey aspettò con calma che le grida di Matthew si trasformassero in un sommesso pianto interrotto da singhiozzi irregolari "Pensa se avessi fatto queste cose a te, non avresti più smesso di gridare!" scherzò, riportando con calma il televisore nel salotto. Per un attimo si bloccò, come folgorato: avrebbe potuto lasciare il televisore in camera, e costringere Matthew a vedere quel video per tutto il giorno ... ma qualcosa glielo impedì. Non era pena per le sue lacrime, nè rimorso per quello che aveva fatto. Era una sorta di rispetto per il suo dolore, con la consapevolezza che non avrebbe ottenuto niente di più. Poteva sembrare pazzo, ma sapeva quando fermarsi, più o meno. 
Prima di uscire, controllò l' e-mail - era così che tendevano a comunicare tutti i Rappresentanti - e sorrise al leggere che la riunione del giorno era stata cancellata per "problemi organizzativi": non si stupì nel vedere che era stato quell' inglese ad inviargliela. La cancellò e uscì, inorgoglito da quel barlume di bontà che era riuscito a mostrare nei confronti di Matthew. Come ogni essere umano, era fermamente convinto della sua bontà, e ogni minima e futile azione tesa a dimostrarlo lo appagava quasi più del suo piano. 

"Mi dispiace di essermi ... uhm ... dimenticato di inviarti l' avviso" si scusò per la centesima volta Arthur.
"Non ti preoccupare" rispose calmo Audrey, sorridendogli. Aveva fatto pratica, quella mattina sul taxi, e il risultato, se non grandioso, era accettabile. E poi ci si aspettava che fosse scosso, saputo quella mattina ciò che era successo a Francis, brutalmente pestato in uno sgabuzzino proprio in quell' edificio! In veste del suo ragazzo, era la persona più adatta a sentirsi di troppo in quel momento, tanto che nè l' inglese nè Ludwig - gli unici presenti quel giorno per indagare, poichè si era ben pensato di non allarmare la polizia, data la gravità della situazione - avevano avuto il coraggio di cacciarlo. 
Per questo gironzolava fintamente abbattuto per i corridoi del grande edificio, mentre le voci concitate degli altri due scemavano lentamente. Stavano esaminando i video di sorveglianza, ma quel piccolo sgabuzzino non era di certo una zona degna di attenzioni, quindi non avevano cavato un ragno dal buco. Cercarono di ricordare le ultime persone che l' avevano visto, e per questo Audrey si aspettava di essere richiamato da un momento all' altro per essere interrogato, e poter tranquillamente rispondere alle domande con una semplice scusa che aveva provato allo specchio quella mattina. 
Vide una stanza con la porta aperta - l' unica, ad occhio - e ci entrò, tanto per passare li tempo. Aveva un piano, ma non era quello il momento giusto, quindi gli toccava aspettare. Si accorse che era una piccola biblioteca, evidentemente costruita per evidenziare pomposamente la presunta cultura dei soggetti che la frequentavano: presunta, perchè i libri non si potevano prendere, protetti da una vetrata chiusa a chiave. 
Uscì, disgustato per l' ennesima volta dall' estremo bisogno di apparire per quello che non si era, ma in fondo chi era lui per ritenersi superiore? Anche lui stava fingendo. Per un attimo pensò a quanto gli sarebbe piaciuto passeggiare per quei corridoi in tranquillità, ed essere lui il Rappresentante del Canada, e non doversi nascondere da tutti, e farsi chiamare con il suo vero nome, Audrey, e non ...
"Matthew!" sentì gridare: era Arthur.
Ma lui non era pronto! Tutte quelle riflessioni - su cosa, poi? Non lo riuscì mai a ricordare - l' avevano deconcentrato, e mai sarebbe riuscito a rientrare nel personaggio. Si infilò dunque in uno stretto corridoio male illuminato che conduceva al seminterrato. Sentì i passi dell' inglese farsi sempre più vicini, e fermarsi. 
"Che sia sceso sotto?" sentì dire, e il cuore si fermò per un attimo. Cosa si sarebbe inventato? Come avrebbe spiegato la sua presenza lì? E il fatto che non aveva risposto?
"Nah, impossibile" a quelle parole buttò fuori l' aria che non si era accorto di trattenere, e fece per uscire, quando sentì qualcosa dietro di se'. No, qualcosa non era la definizione esatta. C' era decisamente qualcuno dietro di lui, dopo essersi calmato sentì chiaramente il respiro lieve di un' altra persona. Girò lentamente la testa, e indietreggiò velocemente, cozzando contro la parete, quando incontrò un paio di occhi violetti poco al di sopra di lui. 
"Perchè non volevi farti trovare?" chiese una voce infantile, e dall' accento Audrey lo identificò come Ivan, o meglio Russia. 
"I - io ..." iniziò a balbettare confuso, con il cuore in gola "Signor Russia, che ci fa qui?" domandò, sperando che non si accorgesse del repentino cambio di argomento. 
Ma Ivan non aveva solo la voce da bambino. Quando si concentrava su qualcosa, qualunque cosa, niente poteva distoglierlo. E quella era una cosa molto, troppo interessante per stare lì a spiegare come si era intrufolato nell' edificio per sfuggire a sua sorella, stranamente convinta del suo amore per lei. 
"Non devi fingere con me" il suo tono rasentava la dolcezza, e se ne fosse stato capace avrebbe anche sorriso sinceramente "So che non sei il vero Canada" 
Audrey si sentì sull' orlo di un attacco di panico. il cuore gli pulsava quasi dolorosamente in petto, fino ad arrivargli alle dita del piedi, e il fiato corto gli impediva di parlare. Ivan aspettò con calma che si riprendesse, e Audrey si chiese dove aveva già visto un comportamento del genere. 
"Come fai a saperlo?" domandò, consapevole del fatto che era in trappola, e che era inutile fingere ancora. 
"Chiamalo sesto senso ..." rispose serafico il russo, alzando le spalle. 
"Cosa vuoi per stare zitto?"
"Nulla!" sembrava quasi offeso da quella mancanza di fiducia - come se un tizio appena incontrato in un corridoio buio meritasse fiducia "Non lo dirò a nessuno, figuriamoci. E' divertente sapere che non sono l' unico psicotico da queste parti. Allora sei stato tu a fargli quelle cose?" chiese, eccitato.
Audrey spalancò gli occhi, sentendo le lenti a contatto che si spostavano. Annuì lentamente ma deciso.
La bocca del russo divenne una "o" perfetta, e i suoi occhi brillavano di ammirazione. ma durò solo un istante. 
"Non dirò niente a nessuno. In fondo, loro hanno deciso di non diventare parte della grande Russia, e dovranno pagarne le conseguenze. Se fossero stati tutti domini miei, non avresti avuto neanche il tempo di alzare un dito che ti saresti ritrovato con la testa mozzata" un senso di riverenza spinse Audrey a credergli ciecamente "Ma non sono affari miei. E poi questo Canada mi piace molto di più" concluse a pochi centimetri dal suo viso, indugiando volontariamente per memorizzare il suo volto e riuscire a distinguerlo da quello del vero canadese, prima di lasciarlo solo, ancora paralizzato e non ben consapevole di quello che era successo. 

"Matthew, eccoti qui!" esclamò Arthur, poggiandogli la mano sulla spalla. Fortunatamente, Audrey aveva avuto abbastanza tempo per rientrare nel personaggio, quindi si voltò con un lieve sorriso dispiaciuto. 
"Purtroppo dalle telecamere non abbiamo ricavato niente, quindi volevo chiederti se avevi notato qualcosa di strano"
"No, niente di che" rispose, troppo velocemente per sembrare naturale "Però adesso che ci penso, guardava spesso il telefono. Forse c' è qualcosa lì" 
"Stiamo già controllando, in effetti. Io ... volevo sapere come stavi, ecco"
Il tatto, o qualsivoglia forma di gentilezza veritiera e non affettata, non erano mai stati propri delle maniere dell' inglese. Ma in fondo voleva bene a Matthew, come se ne vuole ad un pupazzo di pezza lasciato sulla credenza a prendere polvere. 
Vedendo che non rispondeva, continuò "Non so quanto ti faccia bene stare qui, insomma, forse dovresti tornare a casa"
"Io ... lo faccio per Francis. Starà soffrendo tanto in questo momento, e io cerco di aiutarlo come posso, anche se devo stargli lontano ..." cercò di piangere: ripensando a tutti i rospi amari che aveva dovuto ingoiare in quegli ultimi anni, non fu difficile. Strano, lui non piangeva mai. 
"Non ... non fare così" cercò di dire Arthur, destabilizzato alla vista delle lacrime "Su, ti preparo una tazza di thè, ti va?" chiese poi con un timido sorriso. 
Audrey annuì, stupito dall' esattezza del suo piano. Certo, sarebbero dovuti passare un paio di giorni ... ma era meglio sbrigarsi. Sapeva che non sarebbe resistito molto in quell' ambiente, nonostante da poco avesse scoperto di avere un nuovo alleato. 
"Vedrai che ti farà bene" 
"Oh, sicuramente farà più bene a me che a te"


 
****
vi chiederete: dov'è la violenza, e il sangue, e la violenza?! Non mi sembrava il caso di accelerare il corso degli eventi, perchè nella mia personale visione di Audrey, non è abbastanza stabile per andare a pestare gente appena la incontra. E poi dai, si conclude con lo spannung, un pò fa figo, no? 
No.
Vabbè, potete tirarmi pomodori, adesso. 

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Capitolo 4
*** Atto III ***


ATTO III

"Senti ... so che non dovrei dirtelo" iniziò titubante Arthur, mentre riempiva la teiera e la metteva sul fornello "Ma nello sgabuzzino dove è stato ritrovato Francis ... c' era una scritta"
"Una scritta?" chiese retorico il canadese, mentre guardava fuori dalla finestra. Gli era parso strano, in effetti, che non gliel' avesse già menzionata: in fondo, era la cosa di cui andava più fiero. 
"Sì ... è ... è agghiacciante, comunque ... c' era scritto 'niente di personale, Fran'. Hai una vaga idea di cosa possa significare?"
Audrey sentì una scarica di adrenalina lungo la colonna vertebrale che lo fece tremare "No, non conosco nessuno che lo chiami così"
"Capisco, ma non parliamone adesso" e chiuse l' argomento nella paura che potesse ricominciare a piangere. 
Passarono pochi minuti in silenzio, nei quali si sentì solo lo sfaccendare metallico di Arthur mentre cercava una teiera, la riempiva d' acqua e la metteva sul fornello.
"Hai notizie di Francis?" chiese Audrey, una volta che l' inglese si fu seduto di fronte a lui. 
"Non molte, e non belle. Ha quattro costole fratturate, il naso rotto e ..." notando il cambio di espressione del canadese, Arthur tacque di nuovo. Non poteva di certo immaginare che il sentimento che Audrey cercava disperatamente di nascondere non fosse lo sgomento, ma la soddisfazione.
Il silenzio opprimente della stanza fu interrotto dal fischio del thè, che sembrò ad entrambi troppo acuto e penetrante. L' inglese fece per alzarsi, ma Audrey lo precedette. 
"Hai mai pensato al fatto che spesso le apparenze ingannano?" 
"Che vuoi dire?" Arthur capiva che era sconvolto, ma non fino al punto di uscirsene con domande del genere. Tuttavia non disse nulla, ma c' era qualcosa di strano, e non era stato l' unico a notarlo. Non era forse strano che nell' unica riunione nella quale aveva partecipato Matthew Francis fosse brutalmente picchiato? E Arthur non aveva chiaramente visto quei due allontanarsi, durane la pausa di mezz' ora? Ma forse era troppo paranoico. Matthew non era decisamente il tipo, si disse, mentre questi gli porgeva la sua tazza piena di thè alla vaniglia. 
"Non so, mi è venuto in mente in questo momento. Forse c' era qualcosa che Francis mi nascondeva, e faceva finta di stare bene ..."
"Che vuoi dire?" chiese brusco Arthur, avvicinandosi al canadese, tanto da sentire l' odore del suo thè. 
"Thè nero?" pensò subito "Matthew odia il thè nero. Non ne ha mai bevuta neanche una tazza, da quello che posso ricordare, e la mia memoria non sbaglia mai. Anzi, adesso che ci ripenso ... una volta la cameriera sbagliò l' ordine delle tazze, e Matthew fece riportare la sua indietro, tanto lo odiava. 'Hai mai pensato al fatto che le apparenze ingannano' ... cosa significa davvero?" 
Dal luccichio che attraversò gli occhi verdi dell' altro, Audrey capì che l' aveva scoperto. Se l' era andata a cercare, vero, e forse l' euforia di essere l' insospettato tra gli insospettati l' aveva spinto troppo oltre. Si era lasciato fregare dalla sua stessa teatralità. Per un attimo si odiò come non aveva mai fatto prima, come se ne fosse davvero capace. 
"Non lo so neanche io" pigolò, indietreggiando. Cosa l' aveva tradito? Non poteva essere quella stupida domanda, quell' inglese non poteva essere così sagace.
"Già" 
Cadde un silenzio teso, quasi doloroso. Perchè, si chiedeva Audrey, non agiva, magari chiamando quell' armadio a due ante tedesco di cui si sentiva la voce bassa anche da lì, o facendolo confessare? Era quasi più destabilizzante dell' essere scoperto, dopo non aver neanche completato metà del suo piano.
Abbassò lo sguardo sulla sua tazza di thè e si beò per un attimo del vapore che gli saliva in volto. Una scintilla attraversò i suoi occhi, senza incontrare nessun apparente ostacolo. 
"Non hai niente da dirmi?" chiese serafico, con il suo vero tono di voce. 
"Sarebbe inutile chiederti chi sei, visto che è ovvio che non sei Matthew. Allora avevo ragione ..." e qui non potè reprimere un sorrisetto soddisfatto, nonostante sapesse a cosa stava andando incontro "Cosa ti fa pensare di riuscire a scappare, esattamente? Siamo al primo piano, e non credo che tu possa reggere un salto di oltre cinque metri. E comunque questa zona è sorvegliata, quindi anche se dovessi picchiarmi, non la faresti franca" cercava di alzare con disinvoltura il tono della voce, per fare in modo che Ludwig lo sentisse, ma evidentemente era troppo impegnato a studiare ulteriormente quei piccoli frammenti di immagine che erano riusciti a ricavare. 
"Ma io non voglio picchiarti. Non sono un tipo così violento, o se vuoi, non sono così stupido"
"Ma sei un maledetto esibizionista" pensò immediatamente l' inglese.
"Non volevo neanche farti male ..." sussurrò, come per giustificarsi, prima di agire. 
Gettò il contenuto della sua tazza direttamente in faccia ad Arthur, che fece in tempo solo a chiudere gli occhi, lasciando così scoperto l' obiettivo di Audrey. Approfittando del suo momentaneo smarrimento, prese la teiera che previdente aveva lasciato sul fuoco, approfittò di uno dei gemiti di dolore dell' inglese e versò lì acqua bollente direttamente nella gola, poggiando il beccuccio sulla lingua. L' odore di carne bruciata invase le narici di entrambi. Soffocato, Arthur cercò di urlare, peggiorando solo la situazione: l' acqua, risalendo insieme all' aria necessaria, finì nel naso, ma fortunatamente riuscì ad appoggiarsi al lavabo e cercare di rimetterla lì dentro. 
Sentì vagamente del rumore attorno a lui, e quasi svenne dal dolore nel tentare di urlare, quando Audrey gli infilò le mani nella teiera bollente, facendole aderire contro l' acciaio incandescente. Poteva già sentire le vesciche sui palmi. 
Teneva gli occhi chiusi a causa del thè bollente che era suo malgrado entrato nell' occhio, e che gli impediva anche solo di muovere l' iride all' interno delle palpebre. Il dolore era lancinante, quasi assurdo: sentiva la gola bruciare, e la faccia ipersensibile. La lingua era ingrossata e rossa, e i denti sembravano torturarla, ma ogni volta che cercava di aprire la bocca l' aria fresca la feriva. 
Quando, dopo pochi minuti, riuscì ad aprire gli occhi, anche se offuscati dalle lacrime, non vide nulla. Che fosse sparito? E a che pro? Perchè si era limitato a questo, e non l' aveva picchiato, o peggio? Lui sapeva, e poteva parlare. 
O forse no.
In un attimo, capì. No, non era stupido, tutt' altro. 

Audrey si diresse velocemente nella stanza dove proveniva la voce affannata del tedesco. Pur non conoscendo la lingua, gli sembrarono imprecazioni. Cercò di ricomporsi, prima di entrare, ma a solita adrenalina che lo pervadeva gli impediva di tenere ferme le mani, o i muscoli facciali, peggiorando le sue già mediocri abilità di attore. 
Tuttavia, sapendo di avere poco tempo, entrò, sperando che il suo pubblico ristretto si accontentasse di una esibizione discreta.
"Oh, Canada, non l' avevo vista entrare" disse Ludwig, alzando lo sguardo stanco dagli schermi posti sull' intero perimetro della stanza.
Audrey scosse la testa "Vorrei essere d' aiuto" disse, a bassa voce, avvicinandosi ad uno degli schermi. Dopo pochi attimi di ricerca, trovò quello che dava sulla cucina, e fortunatamente le immagini scorrevano con una differita di dieci minuti. Ne aveva ancora quattro, per trovare il modo di cancellare le immagini "Potrei controllare questa" disse, sedendosi automaticamente sulla sedia.
"Presumo di sì" rispose imbarazzato Ludwig, mostrandogli i comandi basilari "Arthur la stava cercando"
"Sì, abbiamo ... parlato" disse candidamente, mentre mandava indietro le immagini fino al giorno prima, più o meno nell' ora dell' aggressione di Francis. Ovviamente, in cucina non c' era nessuno, ed era un lavoro prettamente inutile, ma rassicurava entrambi: Ludwig si alleggerì di un paio d' ore di supervisione e Audrey iniziò a prendere confidenza con tutta quella tecnologia "Mi ha detto che la cercava, si trova in biblioteca" 
Come previsto, il tedesco uscì immediatamente, non prima di aver istruito il canadese sui tasti base di quell' impianto.
"Bene" sussurrò il canadese "Come funziona questo coso?" non aveva ascoltato il tedesco, troppo occupato nel ripercorrere gli attimi dell' aggressione: come avesse fatto ingoiare l' acqua bollente ad Arthur, la sua inutile resistenza, la chiave che aveva gettato dalla finestra per ritardare la scoperta di quello che era accaduto. Sperò di aver fatto bene a mandare Ludwig nella stanza più lontana dalla cucina.
Mandò indietro il nastro, respirando a fondo. Guardandosi distrattamente le mani, notò che non erano illese: piccole macchie rosse infatti facevano bella posa sui polpastrelli, e dolevano se messi a contatto con i tasti del grande computer, che continuava imperterrito a fare di testa sua. 
Nel frattempo cercava di pensare a cosa stesse facendo il tedesco: se avesse già trovato Arthur, o se stesse ancora vagando, destabilizzato, per i corridoi. "L' importante è che non sia qui" sussurrò, voltandosi per osservare la postazione dove si trovava fino a pochi minuti prima. 
Si avvicinò velocemente allo schermo: sullo schermo non c' erano più le immagini: era stato attivato un qualche tipo di programma che cancellava la registrazione completa della telecamera. Se solo lui avesse saputo come ... per un attimo pensò di rompere semplicemente lo schermo e andarsene, ma il suo piano non era ancora concluso, non poteva mandare tutto all' aria in quel momento, o almeno non in quel modo. Secondo i suoi calcoli, aveva ancora tre settimane - il tempo di recupero di Arthur - per terminare tutto e sparire senza lasciare tracce.
Ma non era quello il momento di riflettere su quelle cose! La sua mente lo richiamò all' ordine quando recepì i passi di qualcuno. Per un attimo si tranquillizzò, sentendoli calmi: non l' aveva trovato ancora. Tuttavia, voltandosi verso uno schermo, potè chiaramente vedersi gettare il thè bollente su Arthur. 
Si fiondò sullo schermo e bloccò l' immagine: portò indietro il filmato, tremando a causa dell' avvicinarsi dei passi. Poi finalmente lo trovò: un piccolo tasto con una rassicurante scritta: "Reset". Lo premette velocemente e il frammento di immagine iniziò a dissolversi, e mentre l' ultimo pixel spariva, la porta si aprì e ne entrò un lievemente seccato Ludwig. 
"Arthur non è in biblioteca" disse semplicemente, prima di accorgersi di quello che l' altro aveva fatto "Ma hai cancellato tutto?" chiese, senza neanche cercare di mantenere il suo freddo controllo. 
"I - io? Mi dispiace, ma non c' - c' era niente ... e comunque A - Arthur è appena entrato in cucina, l' ho visto da q- qui"
Ludwig sospirò, pentendosi di aver parlato così duramente. Sospirava spesso, passando molto tempo con Feliciano. 
"Non fa nulla"
"Adesso devo andare, cerco di andare da Francis" fece bene ad usare la carta dell' innamorato in ansia, perchè il tedesco lo lasciò andare senza problemi, raccomandandogli di portare al francese i suoi saluti. 


Era notte fonda quando Audrey entrò in casa. 
Aveva da poco smesso di nevicare, e il cielo si stava lentamente schiudendo. Per tutto il viaggio, non potè fare a meno di immaginare ed indugiare sul ritrovamento di Arthur, la piccola speranza di aver trovato il colpevole, la delusione nello scoprire che le riprese non c' erano più. Per un attimo si sentì male al pensiero delle sottili imprecazioni che il tedesco, in cuor suo, gli stava sicuramente mandando il quel momento. 
Inorgoglito, e decisamente stupito, dalla buona riuscita del suo piano, all' inizio non notò un lieve rumore di passi nella casa. Si immobilizzò: non era Matthew, perchè non poteva essere così silenzioso - nonostante in pochi giorni avesse già perso un pò di peso - e comunque quel rumore non poteva essere di una persona. Sembrava di un quadrupede. 
Si diresse lentamente in cucina, non trovando nessuna possibile arma se non un giaccone che poteva usare come diversivo, mentre scappava - perchè il suo primo istinto era quello di scappare, sempre. 
Rimase lievemente destabilizzato da quello che vide. 
Sembrava un peluche, quel piccolo orsacchiotto che sedeva compostamente sul tavolo della cucina, evidentemente in attesa di qualcosa. Tanto era concentrato sul frigo chiuso che non si accorse di Audrey, all' inizio.
"E tu che ci fai qui?" chiese, avvicinandosi piano all' animale, che si girò lentamente. Alla sua vista i suoi piccoli occhi neri sembrarono illuminarsi, ma poi si rabbuiarono, dando i brividi al canadese. Come poteva quel dannato animale avere una tale espressività? Eppure sembrava innocuo. 
"Chi sei tu?" per un attimo pensò di averlo immaginato, ma quando vide la testa lievemente inclinata e la zampa vicino alla bocca, capì che era stato quello a parlare.
"Sono Canada" rispose Audrey tranquillo, cercando di ricordare come comportarsi con quel coso: tentativo inutile, visto che nelle settimane precedenti, quelle in cui aveva tenuto sotto sorveglianza la casa del canadese, Kumajirou era in vacanza da Cuba. 
"No" 
Spalancò gli occhi: come no? Che l' avesse riconosciuto? Eppure era solo un animale ... comunque, non poteva lasciarlo andare così: sapeva parlare, ed era decisamente più astuto di un paio di Nazioni che aveva avuto la sfortuna di incontrare, quindi andava eliminato. Ma guardando il viso paffuto dell' animale, non riuscì ad ideare nessun piano. Niente.
Si avvicinò piano a Kumajirou, che immobile lo aspettava. "E' docile, cosa può farmi? Lo prendo e lo chiudo nello stanzino. Non sarà più una minaccia". Neanche per un attimo pensò che nessuno avrebbe mai ascoltato un animale, o comunque non l' avrebbe preso come testimone. 
Ma a pochi passi da lui, l' animale scattò, salendo sul tavolo. Da lì, Audrey vide gli artigli che, pur piccoli, sembravano pericolosi, e usò il giaccone a mò di scudo. 
"Non voglio farti male ..." disse, poco convincentemente, ma riuscì comunque ad avvolgere nel giaccone l' animale, che però, avendo liberato una zampa, lo colpì malamente sul volto, lacerandogli una protesi facciale - quella dello zigomo sinistro - e lasciandogli un brutto segno rosso sui bordi. 
"Ah! Dannato stupido animale!" esclamò Audrey, preso alla sprovvista: velocemente, dimenticò i suoi precedenti scrupoli e lo sbattè con violenza sul pavimento dello sgabuzzino, poi chiuse la porta a chiave. 
Andò in bagno a controllare lo stato del suo viso, sicuro che il peggio fosse passato. 
Entrato, però, cambiò idea. 
Matthew era libero.

 
****
Imploro perdono per il ritardo, da. 

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Capitolo 5
*** Atto VI ***


ATTO IV

Audrey cercò freneticamente di ripercorrere gli ultimi eventi. Era tornato a casa, era riuscito a chiudere quel cucciolo di orso nello sgabuzzino - non senza averne ricavato un sottile taglio lungo lo zigomo, dal quale colava fastidiosa una scia di sangue - ma non aveva pensato al fatto che, con le stesse zampe con cui l' aveva ferito, avrebbe potuto liberare Matthew.
Ma era proprio quello che era successo.
La prova? Un Matthew inespressivo, immobile come una statua e grave come il marmo, che lo fissava. Senza odio, astio, o furia. Solo, lo guardava. Era grottesco come si somigliassero, in quel momento: Matthew era dimagrito, quasi più per lo stress che per una vera mancanza di nutrimento, mentre l' altro, con l' imbottitura sotto i vestiti, si era fintamente irrobustito.
Audrey sentiva che non toccava a lui parlare: la prima battuta era di Matthew. La battuta conclusiva, che però non sarebbe dovuta arrivare così presto.
"In questi giorni ho cercato di trovare una spiegazione logica al tuo comportamento, ma non ci sono riuscito"
L' altro rimase in silenzio. Non voleva dirgli quello che gli passava per la testa, non voleva che lui lo capisse, o peggio, provasse pena per lui. Ma dal suo sguardo pieno di compassione, Audrey si vide per quello che era: un piccolo animale collerico lasciato a bisticciare con la sua ombra. Un animale che non avrebbe mai fatto la differenza, neanche con la sua morte.
"Aiutami" continuò cauto, avvicinandosi all' altro che restava immobile, guardando un punto fisso davanti a lui, come in trance.
Come un cane randagio che aveva da tempo stabilito la sua area di influenza, appena si avvicinò troppo, Audrey scattò di lato, senza paura nei suoi occhi.
"Ma come, il brillante Matthew non capisce?"
"No, non capisco, Audrey"
Sentire il suo nome pronunciato da Matthew lo fece scattare. Annullò la distanza che li separava con un passo rapido.
"Mi hai tenuto rinchiuso come fossi un animale, Matthew. Te ne rendi conto, vero? Sono sempre stato trattato come una ruota di scorta, e tu, il nobile Matthew, non hai mai fatto nulla per aiutarmi. Ricordi quando giocavamo insieme, e mi trattavi come un fratello?" si beò per un attimo dell' espressione colpevole dell' altro, prima di aggiungere "Adesso l' animale si è liberato, e te la farà pagare"
"Non sei un animale. Non ho mai fatto nulla per te, capisco il tuo risentimento, non ho scusanti"
"Cosa credi di risolvere con la tua ipocrita autocommiserazione? Se solo tu credessi ad una parola di quello che dici non ti saresti comportato in quel modo"
"Mi dispiace, non so che altro dirti"
"Certo che non lo sai. Non eri preparato ad una cosa del genere, vero? L' ideale per te sarebbe stato che io sopportassi tutto in silenzio, senza mai alzare la testa, come facevo all' inizio. Te lo ricordi l' inizio, vero?"
Matthew cercò di abbassare ancora di più lo sguardo. Certo che ricordava.
"Quando ti guardavo con occhi ammirati, e ti lasciavo andare a rappresentarci, perchè in fondo non avevo bisogno di quelle cose, per essere felice. Mi bastava la tua presenza, che tu accettassi di giocare per me, anche se a volte eri costretto, mi bastava che tu non mi costringessi a stare con quell' idiota di Alfred. Mi proteggevi, pensavo. Ma poi ho capito, non mi stavi proteggendo da niente, mi stavi nascondendo. E io ci ero cascato, perchè avevo fiducia in te, ma non preoccuparti, da quel momento ho imparato la lezione"
"Ho sbagliato, con te. Ma non sono solo io il responsabile, lo sai"
"Stai davvero cercando di giustificarti? Non sei cambiato di una virgola. Sei fortunato, nessuno arriva mai a considerarti troppo, e quelli che lo facevano hanno imparato la lezione, mi pare"
Matthew sapeva che era quello il suo modo di vendicarsi, che non doveva prenderlo sul serio, che era solo troppo arrabbiato, neanche a torto. Ma quelle parole arrivarono comunque a ferirlo.
"S- smettila!" disse, cercando di pensare a come gestire la situazione: conosceva Audrey, e il modo migliore per farlo calmare era cercare di tenergli testa, dargli quel tipo di soddisfazione dalla quale sembrava dipendere tutta la sua vita. Ma lui non ne era capace. Se fosse stato più simile ad Alfred, o ad Arthur ...
"Smetterla?! Matthew! Come osi darmi degli ordini, adesso? Non vedi come ti ho ridotto, senza neanche quasi toccarti? Sei nelle mie mani, adesso. Non capisci che ho la tua vita in mano? E la vita dei tuoi cari?"
A quelle parole gli occhi di Matthew si spalancarono involontariamente.
"Oh, ecco, vedo che ci sei arrivato. Nessuno ti vorrà più, quando avrò finito, e finalmente avrò la mia vendetta"
"No!" riuscì a dire il canadese "Non puoi prendertela con persone che non hanno mai avuto niente a che fare ... con questa cosa ... lasciali in pace, te ne prego"
"Mi stai pregando?" chiese Audrey, fintamente sorpreso "Oh, se solo potesse bastare, se solo potessi lasciarti andare e chiedere perdono ..." per un attimo entrambi ebbero l' impressione che non fosse semplice retorica, quella che stava usando, ma fu solo un istante "Non posso, capisci, ho un ruolo. E devo portarlo a termine" concluse, sfiorando con le dita il mento di Matthew.
Fu un attimo.
Audrey prese lo sgabello che Matthew teneva vicino alla vasca da bagno e lo colpì alla testa. Non un colpo violento, ma l' altro colto alla sprovvista cadde a terra, difendendosi inutilmente il volto con le braccia. Un attimo di esitazione, e sarebbe tutto andato a rotoli: Audrey si ripeteva questo, mentre continuava a colpire a caso, e senza mai fargli davvero male, l' altro, che giaceva a terra, paralizzato dalla sorpresa. Non l' aveva mai picchiato. Aveva detto tante cose, cattive, e quando erano piccoli causava piccoli incidenti che casualmente finivano per fargli spuntare qualche livido, ma mai era arrivato a colpirlo in quel modo.
Matthew capì di aver perso, e che non avrebbe potuto dire niente per farlo ragionare. E questa impotenza gli diede nuovo vigore: si alzò di scatto, deciso almeno a fermare quel massacro, ma un colpo accidentale, diretto inizialmente al suo ginocchio sinistro, lo colpì sulla tempia, e svenne.
Audrey si bloccò e guardo le braccia che tenevano lo sgabello come se non gli appartenessero. Cosa aveva fatto? Il sangue di Matthew spiccava, quasi ridicolmente rosso, sulla sua pelle impallidita velocemente e imperlata di sudore.
Sorrise nervosamente incrociando la sua immagine allo specchio, stravolta, terrorizzata, terribilmente infantile.
“Su, Audrey, quando hai firmato il contratto ti avevano detto che sarebbe potuto diventare sgradevole, a volte”.
“Lo  so, lo so, ma non pensavo così sgradevole”
“Ma come, non è lui l’ oggetto della tua vendetta? La tua unica fonte di gioia non risiede nel fargli del male?”
Se avesse avuto una coscienza, probabilmente avrebbe parlato con quella. Ma non era questo il caso. Adagiò nonostante tutto dolcemente il corpo di Matthew sul letto, lo coprì bene, avrebbe anche voluto fermare il sangue che lento ma costante continuava a colare, ma non riusciva a toccarlo o a guardarlo, non senza che delle sciocche, inutili lacrime di rimorso sgorgassero ai lati dei suoi occhi stravolti e dilatati.
Aveva solo una certezza ossessiva: l’ inazione avrebbe portato alla riflessione, la riflessione al rimorso, il rimorso alla chiusura del sipario, alla morte. Non poteva permetterselo, non in quel momento. Aveva ancora una persona da visitare, ancora un legame da spezzare, e Matthew sarebbe stato come lui, avrebbe provato la sua stessa opprimente solitudine.
Aveva un’ ultima carta da giocare, questo lo sapeva. Quasi sognando, uscì di casa, controllando bene che quel maledetto orso fosse ben chiuso a chiave – si chiese distrattamente come si sarebbero liberati del corpo, quando l’ avrebbero trovato morto di stenti – salì in auto e impostò il navigatore. Appena accesa l’ auto, sentì il telefono vibrare: una mail.
“Causa problemi tecnici, la sessione di riunioni è momentaneamente sospesa
Ci scusiamo per il disagio
Comitato organizzativo mondiale”
Audrey sorrise, controllando che le nuove protesi e lenti fossero a posto. Alfred era un idiota, ma era pur sempre suo fratello, avrebbe potuto capire qualcosa.
La casa di Alfred era esattamente come aveva immaginato. Grande, tinteggiata di bianco, tanto da accecare, insieme alla neve che lentamente ingrigiva, un ampio giardino sul davanti, che aveva il suo gemello, il canadese poteva scommetterci, dietro l’ edificio. Era la sua tenuta fuori città, Audrey ricordava bene quando poche settimane prima Matthew fosse andato a trovare il fratello proprio lì, e come avessero giocato a baseball. Si era chiesto come potesse sorridere, nonostante Alfred lo stesse battendo in maniera fin troppo facile e fosse ricoperto di lividi. Eppure rideva, sommessamente, tanto che si poteva notare solo dal tremolio del labbro inferiore.
Il biondo cercò di scacciare quelle immagini di amore fraterno dalla memoria, facili termini di paragone con la sua completa mancanza di legami familiari, di ricordi di vacanze passate insieme. Tutto quello in cui poteva sperare era passare un pomeriggio al mese con Matthew, misere ore che avrebbero dovuto aiutare la sua socializzazione.
Si morse l’ interno della guancia per costringersi ad ingoiare quegli ultimi ricordi. Osservò il posto del passeggero, dove trionfava la mazza da baseball di Matthew, lucidata per l’ occorrenza. Sorrise, mentre scendeva dall’ auto e fino al campanello tenne quel ghigno glaciale, ma troppo finto per dargli fiducia.
 
“Come stanno?” chiese, teso, Ludwig.
“Arthur sta guarendo, ma non potrà parlare almeno per le prossime due settimane, o usare le mani per il prossimo mese. I medici mi hanno detto che è in uno stato di perenne agitazione, per il dolore, molto probabilmente. Quindi sono costretti a sedarlo. Anche se …” Antonio si guardò attorno nervoso: non aveva una grande passione per gli ospedali  “Non so, magari è la cosa migliore. Ma è come se avesse qualcosa da dirci”
Il tedesco annuì, senza davvero ascoltare. Quello aveva tutta l’ aria di essere un complotto. Ma a che pro? Francis e Arthur avevano fin troppi obiettivi comuni, era praticamente impossibile restringere la rosa degli indiziati. Quasi tutto il resto del mondo aveva conti in sospeso con loro due.
“E Francis?” chiese dopo qualche minuto.
“Lui … il suo problema non è fisico” rispose laconico Antonio, mentre i suoi occhi si abbassavano al suolo.
“Che intendi?”
“Non fa altro che ripetere il nome di Matthew, e piange. In continuazione. L’ ultima volte che l’ ho visto piangere è stato per Giovanna, non pensavo l’ avrei visto di nuovo. È … ancora scioccato, credo. Siamo abituati a sentirci al sicuro da qualunque cosa …”
Ludwig smise di ascoltare. Non era la prima volta che veniva fuori il nome del canadese, e in quegli ultimi giorni era particolarmente presente.
“O forse sta cercando di dirci qualcosa” mormorò.
“Che vuoi dire? Pensi che Matthew sia la prossima vittima?”
“No” rispose, con voce titubante “Penso che Matthew sia il colpevole”.
 
Alfred non si stupì nel vedere suo fratello bussare alla porta. Rimase perplesso quando vide la mazza tra le sue mani.
“Cosa vorresti farci con quella?” chiese titubante, con un mezzo sorriso di perfetta condiscendenza che mandò il sangue al cervello dell’ altro. Conosceva fin troppo bene quello sguardo misto di pietà e superiorità malcelata. Lo sguardo che chiunque era sempre pronto a rivolgergli. Eppure … quella volta non era rivolto a lui.
“Mi devi una rivincita …” pigolò piano, per evitare che l’ altro si accorgesse del suo tono stranamente pensieroso. Sarebbe dovuto essere afflitto, abbattuto, tuttavia sorridente, ottimista, pronto a dire che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma non era nella sua natura, non aveva mia avuto questo genere di inclinazioni: preferiva di gran lunga sprofondare nel più completo pessimismo e cinismo. D’altronde, un pessimista è un ottimista ben informato. Per una volta, però gli sarebbe piaciuto avere l’ opportunità di trovare un giaciglio di calde speranze e futuro, al posto degli aghi invisibili che costituivano le sue ore di riposo e solitudine.
“Oh, sure man!” aveva intanto esclamato l’ americano, dando una vigorosa pacca sulla spalla a quello che credeva essere suo fratello. Audrey sentì un dolore bruciante, poi un fastidio quasi impercettibile, un caldo ricordo e infine la consapevolezza della falsità di tutto ciò che quel semplice ma disarmante gesto aveva prodotto.
“Allora, iniziamo?” chiese impaziente l’ americano, battendo il pugno nel guanto che aveva indossato: sapeva che il ruolo preferito dell’ altro era alla ricezione, mentre il suo punto forte era la battuta. Sorrise cordiale, come se farlo non gli costasse nulla, in nessuna occasione: Audrey invidiò quella predisposizione alla gioia che sembrava appartenente a tutti, tranne che a lui. Non la meritava, forse?
“Certo” rispose piano, stringendo la presa sulla mazza: aveva una missione, che senso avevano tutti quei pensieri discordanti? Come se si fosse potuto salvare, se avesse semplicemente chiesto scusa a quelli a cui aveva fatto del male, come se avesse possibilità di perdono …
Vide Alfred girarsi e andare lentamente nella sua posizione, fischiettando una canzone che non conosceva. Era quello il momento per colpirlo, si disse: in casa non c’ era nessuno, la donna delle pulizie non andava mai durante la settimana. Pochi passi lo dividevano dalla sua vittima, un colpo secco alla testa e sarebbe scappato facilmente: il giardino sul retro era delimitato da un fitto bosco che sapeva essere privato, nessuno l’ avrebbe visto. Nessuno tranne lui. Nessuno tranne la sua coscienza martoriata, esanime, morente ma ancora presente, che lo spingeva ad esitare, che gli faceva percepire la gabbia amorale nella quale si era rinchiuso, convinto del bisogno impellente del suo ruolo da recitare, tutti i giorni, senza la possibilità di un semplice, banale e risolutivo cambio d’ abito.
Ma il suo corpo era abituato ad agire senza la sua mente – torturare, provocare dolore, sono azioni possibili solo in questo modo: si era avvicinato ad Alfred lentamente, sicuro del fatto che mai si sarebbe accorto di lui, troppo preso da se stesso. Aveva alzato la mazza, non troppo, per non creare ombra ai piedi dell’ americano. Un unico gesto, un breve movimento, e anche quell’ atto sarebbe stato portato a termine con successo.
A quel pensiero rabbrividì di colpo, la mazza cadde a terra, Alfred si voltò incuriosito.
“Matt, che succede?”
Audrey percepì, dolorosa, la vena di preoccupazione sincera che affiorava da ogni parola, da ogni movimento dell’ altro.
“Sto … poco bene. Ti dispiace se rimandiamo?”
“No, affatto. Vuoi uno strappo a casa? Che hai? Febbre? Mi sembrava avessi la voce più bassa oggi …”
Un ultimo colpo alla sua mediocrità di attore.
La fine di un lungo, estenuante spettacolo.
O meglio, l’ ultima uscita di scena, prima della vera fine. 


***
Sì, sono tornata. No, non è bello.
Su su, che è il penultimo, giuro. 

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