Paternità.

di Afaneia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto. ***
Capitolo 6: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo. ***


Buon pomeriggio!
Questa è una nuova spin off tratta dalla saga della Prescelta Creatura; cronologicamente si colloca dopo tutte le altre, quindi dopo il finale della storia principale e soprattutto dopo Favola di Natale, quindi dopo il ritorno di Giovanni a Biancavilla.
Che dire? So che potrebbe non piacere a tutti, ma a me personalmente piace molto ciò che sto scrivendo, perciò ho deciso di postarla.
Buona lettura!
Afaneia

Rosso non era mai stato l’uomo più paziente e accondiscendente di questo mondo , proprio no. Certo, aveva sempre avuto pazienza per le cose che gli interessavano: allenare i Pokémon, per esempio – e  farlo in completa solitudine, per quasi dieci anni, sulla cima di un monte perennemente innevato, richiedeva una quantità di pazienza e coerenza non certo propria di tutti gli esseri umani. Aveva avuto pazienza anche in amore, ma questo era quanto. Quanto a tutto il resto, aveva sempre lasciato perdere un po’ prima del dovuto, e probabilmente era per questo che lui e Blu si erano allontanati da bambini.

Ora che ogni sera dopo cena Blu lo costringeva a sedersi sul divano davanti a quella serie infinita di scartoffie, aveva scoperto di non riuscire a resistere per più di mezz’ora a qualcosa che esulava dalla sua comprensione. La sua vita dura doveva averlo reso molto impaziente  e molto impulsivo.  Perciò ogni singola sera Blu si ritrovava a richiamarlo ad alta voce e a domandargli quasi con altrettanta impazienza se fosse davvero convinto. Per due settimane addirittura chiuse in uno stipo tutti quei documenti, dicendo che non era necessario farlo per forza in quel periodo: erano ancora giovani. Ma poi, tornato a casa dalla palestra, scoprì un giorno che Rosso aveva aperto di nascosto lo stipo e aveva cominciato a ricopiare i dati dai documenti di sua madre e di suo padre – di suo padre! Lui che di suo padre, che era morto da anni, neppure voleva sentir parlare…

Blu si soffermò in piedi dietro al divano, scrutando da sopra le spalle di Rosso ciò che stava scrivendo.

“Pensavo che non volessi farlo” disse a bassa voce, appoggiando lo zaino sul pavimento. Rosso non si voltò al suono delle sue parole.

“Non ho mai detto che non voglio adottare un figlio, Blu… ho detto che non sopporto queste scartoffie.”

“E allora perché le hai tirate fuori? Lo sai… tua madre ha detto che le avrebbe compilate lei al posto tuo, visto che…”

“Il bambino lo adottiamo noi, o mia madre?”

Blu non rispose. Il tono di Rosso era raramente così rauco e scontroso, eppure mai le sue parole lo avevano reso così felice, o quasi mai. Scomparve in cucina e aprì il frigo, cominciando ad armeggiare rumorosamente. Sapeva che Rosso si sentiva a disagio nel sentirsi osservato, e perciò fece finta di non dar peso a ciò che stava facendo.

Durò molto poco. Ben presto cominciò a sentir provenire dalla sala un suono di passi e sbuffi e sospiri, e alla fine Rosso entrò in cucina come una folata di vento esclamando: “Che domande stupide!”

Blu non poté trattenersi dal sorridere con un angolo della bocca. Ma poi, sforzandosi di sembrare il più serio e sorpreso possibile, si voltò lentamente domandando: “Che c’è, caro?”

Rosso teneva in mano una piccola pila di fogli accuratamente spillati. C’era una lunga serie di domande sulle eventuali preferenze circa la nazionalità del bambino e sulle possibili malattie che poteva avere. Blu le scorse rapidamente e disse “Non sono affatto stupide. Non tutte le coppie sono disponibili ad adottare un bambino malato, e certo se ne può discutere, ma non mi sento affatto di giudicare nessuno.”

Rosso non parve affatto convinto delle sue argomentazioni. Si mise seduto vicino al tavolo da lavoro, guardando il foglio con occhi cupi, e infine mormorò: “Beh, ma se ti capita un bambino ammalato cosa fai, lo rimandi indietro?”

“Queste domande servono apposta a evitare questa eventualità” gli rammentò Blu con calma. Poi, dopo poco, mormorò: “Comunque… per me puoi inserire tutte le nazionalità e tutte le malattie. A me non cambia niente. Non rimanderemo indietro nessuno, mio caro… non preoccuparti.”

 


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Capitolo 2
*** Capitolo secondo. ***


Eccomi qua, dopo un mese dalla pubblicazione del prologo!

Il secondo capitolo era stato in teoria uno dei primi a essere scritti; tuttavia, non mi piaceva e non mi convinceva affatto. Così, durante lunghe, interminabili ore di Analisi e Geometria, l'ho riscritto di sana pianta; e decisamente mi soddisfa molto di più.

Grazie a DanaYume per aver aggiunto la storia ai seguiti e a crystal_93 per averla aggiunta ai preferiti.

Enjoy! Afaneia





Perchè è in questo tuo vagare 
che risposte troverai: 
sarai tu sulla montagna 
e tu che in cima andrai

Figlio di chi è padre ormai, 
libero camminerai 
e quando un padre tu sarai 
in tuo figlio un padre scoprirai.

(Phil Collins, Figlio di un uomo, dal film Tarzan, 1999)



Quando per la prima volta Rosso prese Drake tra le braccia, si sentì cogliere da una tale ondata di dubbi da sentirsi vacillare.

"Attento, attento, caro... devi tenerlo bene."

Blu gli era davanti, vicinissimo a lui, con due mani sul corpo del bambino per aiutarlo a sostenerlo. Guardandolo, Rosso vide nei suoi occhi una tale luce di serenità, di amore, di felicità da impedirgli di muovere la benché minima obiezione.

"Scusa" mormorò. "Lo sai che non sono capace di..."

"Lo so, lo so" disse Blu tranquillamente. Nulla, quel giorno, poteva scalfire la sua felicità. "Dallo a me. Non c'è problema. Ti verrà spontaneo."

Rosso gli porse il bambino senza replicare. Stretto tra le braccia di Blu, Drake lo guardava con limpidi occhi celesti... Rosso si sentì tanto immerso in quello sguardo da non udire l'osservazione di Giovanni, ma solo la risposta di Blu che vi seguì: "Oh, no, papà, te l'ho già spiegato. Gli avevano già dato il nome, era su tutti i documenti. Non avrebbe avuto senso cambiarglielo. E poi, è un bellissimo nome... a noi piaceva. Non è vero, amore?"

Amore? Blu lo chiamava raramente così in pubblico. Ma ora, con Drake tra le braccia, Blu aveva gli occhi colmi di tenerezza e calore. Rosso sorrise e accarezzò, con mano incerta, i radi capelli biondi sul capo di Drake.

"A me piaceva molto" mormorò per conferma. Blu lo guardò sorridendo e Rosso si domandò se, come lui percepiva la grande dolcezza nel suo cuore, a sua volta Blu percepisse il disagio che albergava nel suo. Ma Blu non gli diede segnali in questo senso, troppo preso com'era dal volto di Drake, dai suoi occhi, dalle sue unghie, dalle sue mani... Era un bambino bellissimo. Aveva già qualche capello chiarissimo che sfuggiva dalla cuffietta che gli copriva il capo e le orecchie, e le sopracciglia ancora rade, quasi bianche, e ugualmente le ciglia, che però erano più folte e morbide. Aveva un naso piccolissimo, e la cartilagine era ancora così sottile e delicata da sembrare quasi trasparente in controluce.

Sua madre era seduta al fianco del Professor Oak sul bordo del divano, cogli occhi lucidi e le mani strette in grembo, le labbra serrate per non piangere. Notandola, Rosso andò a sedersi accanto a lei e le pose un braccio sulle spalle. Voleva dissimulare il suo turbamento. Dalia lo guardò sorridendo: Rosso sapeva quanto disperatamente avesse desiderato un nipote, e quanto avesse creduto non poterlo avere mai negli anni del suo esilio.

"Suvvia, mamma" disse con forza, deliberatamente, sorridendo. "Se Drake ti vede piangere, penserà che non lo vuoi!"

Già, era lei a non volerlo? Rosso si sorprese d'improvviso a porsi con orrore quella domanda. Eppure trovò subito la risposta: no, non era quello il problema! Era precisamente l'opposto: lui voleva Drake, aveva sentito davvero, con Blu, il desiderio di diventare padre. Ma guardando l'amore negli occhi di Blu, guardando tra le sue braccia quella creatura minuscola, impotente, incapace di esprimere una sua volontà e di decidere per sé, si domandò se non fosse egoismo il suo. Sarebbe forse stato capace di fare da padre a qualcuno, lui che non era stato capace di occuparsi neppure di se stesso?

Più tardi, quando Drake, stanco per gli sballottamenti del trasferimento dalla struttura cui era affidato a Biancavilla, e forse anche per le molteplici attenzioni si fu addormentatonella culla vicino al loro matrimoniale, Rosso cercò di confidarsi con Blu.

"Non capisco di cosa tu abbia paura, amore" gli disse Blu sorridendo. Ma poi, a voce più bassa, soggiunse: "Voglio dire... ho paura anch'io in realtà. Ho una paura terribile, ma... so che ameremo moltissimo Drake, che faremo di tutto per lui; e so anche che non saremo soli. I nostri genitori possono darci una mano, e c'è anche mio nonno... non preoccuparti, mio caro. Drake sarà il bambino più felice del mondo."


Ma nonostante la dolcezza delle parole di Blu, Rosso non riuscì a chiudere occhio quella notte e rimase sveglio per lunghe ore a scrutare, nella culla, il volto paffuto di Drake e fu sempre il primo ad accostarsi a lui quando si svegliò per mangiare. Tuttavia fece finta di nulla per tutto il giorno, per non ferire i sentimenti di Blu; e solo a sera, quando diedero una piccola cena informale con pochi vicini per presentare loro Drake, Rosso ebbe modo di parlare da solo per pochi minuti con Giovanni, chiedendogli con una scusa di accompagnarlo in cucina.

"Mi sorprende che tu voglia parlare proprio con me" disse Giovanni a voce bassa, socchiudendo la porta. Aveva lo sguardo altero e serio. Certo, anche Rosso ne era sorpreso, in un certo senso: non avrebbe creduto mai di doversi rivolgere a lui...

"Ho bisogno di un consiglio" disse nervosamente. Passeggiava su e giù per la cucina: aveva poco tempo. Poi, guardandolo negli occhi, soggiunse: "Se mio padre fosse vivo, lo chiederei a lui."

Con un profondo sospiro, Giovanni si arrese alle sue parole. "Capisco. Parla pure."

Rosso riprese a passegiare nervosamente. Non voleva guardarlo negli occhi. Parlò solo dopo lunghissimi secondi.

"Non hai creduto mai di essere ingiusto, di essere egoista nei confronti di Blu? Quando era piccolo, quando avresti ancora potuto decidere di..."

Ma Giovanni non lo lasciò finire. "Sì" disse cupamente. "È solo questo che volevi sapere?"

"Aspetta" si affrettò a dire Rosso, alzando le mani. "Non ti arrabbiare. Non è a questo che volevo arrivare."

Esitò ancora un poco. Poi: "Non sei stato un buon padre per Blu. Ma era tuo figlio, lui! Drake non lo era, sono stato io a volerlo, a scegliere di diventare suo padre. E ora, ora che lo sono... ora mi domando quale diritto io ne abbia; se sia capace, io, di essere un buon padre; se..."

"Rosso" disse Giovanni lentamente "Ascolta. Voi avete adottato un bambino che non aveva nessuno al mondo; i suoi genitori non hanno potuto crescerlo, non ne hanno avuto la possibilità; voi gli farete il regalo più grande del mondo..."

"Ma non l'ha chiesto lui!" esclamò Rosso. "Drake non ha chiesto di nascere, non ha chiesto di essere abbandonato; e soprattutto non ha chiesto di essere adottato. Non ha scelto lui, e soprattutto non ha scelto noi; e se non sapessimo renderlo felice?"

"Nemmeno i suoi genitori avrebbero potuto garantire per la sua felicità" disse Giovanni allargando le braccia. Ma Rosso scosse la testa. Non si era sentito mai tanto confuso. Non sapeva neppure lui cosa voleva chiedere, sapere.

"Non è su Blu che ho dubbi" disse in tono incerto. "Blu ha tanto amore da dare. No, sono io il problema..."

"E qual è il problema?" domandò Giovanni stancamente.

"Il problema è che io voglio disperatamente essere padre di questo bambino" disse finalmente Rosso. "Ma sarà altrettanto per lui? Quando scoprirà chi sono io, chi sono stato io, quanto malato io sia stato, quanto dolore io abbia causato in tutti coloro che mi conoscevano... non mi chiederà come io abbia potuto arrogarmi il diritto di decidere per lui? Non mi rinfaccerà di non avermi scelto come padre, di non avermi mai voluto come padre? E non mi rinfaccerà ogni singolo errore che io abbia compiuto, anche in buona fede, nell'occuparmi di lui, non mi dirà quanto io sia stato egoista nel pretendere di diventare suo padre senza però essere abbastanza buono, abbastanza bravo, abbastanza saggio, abbastanza tutto da prendermi cura di lui?"

Ma solo dopo questo sfogo Rosso, prendendo fiato, osò di nuovo sollevare gli occhi di Giovanni; e d'improvviso sbalordì nel vedere i suoi occhi sgranati e quasi lucidi, sconvolti; il suo sguardo rapito, stranito; la sua mano tremante, convulsa, stretta sulla maniglia della porta...

"Non so rispondere alla tua domanda, Rosso" balbettò a fatica. "Proprio non so risponderti..."

"Rosso, papà! Siete ancora lì dentro? Quanto vi ci vuole con questo purè di patate?"

Era la voce giosa, divertita, di Blu. Giovanni si riscosse alla sua voce. "Arriviamo" disse. "Stavamo... scaldando..."

I suoi occhi apparivano rapiti da qualcosa, da qualcuno. Appoggiò la mano sulla maniglia, ma prima di aprirla, come evitando lo sguardo di Rosso, disse: "Non so risponderti, è vero. Blu mi ama ancora, come vedi, ma... ma hai ragione: non tutti i figli sanno perdonare i loro padri. Ma non so aiutarti, Rosso, mi dispiace, e non so neppure se alcun padre saprebbe farlo al posto mio. Ma ti prego, non dir nulla a Blu: non farlo soffrire proprio ora che ha finalmente trovato tutto ciò che cercava, una vera famiglia. Non tormentiamolo inutilmente per qualcosa cui non può rimediare..."


"Non hai ancora tenuto in braccio Drake" disse Blu improvvisamente. Erano soli in casa.

"Che cosa?"

Blu arrossì leggermente. "È colpa mia a dire il vero. Scusami. Sono stato un po' geloso di Drake, e avevo paura che si facesse male se... è uno dei miei difetti" soggiunse sorridendo. Rosso lo guardò, domandandosi quali difetti Blu gli avesse mai realmente dimostrato di avere, e non ne trovò nessuno.

"Scusami, amore. Perché non rimediamo subito? Prima di metterlo a dormire."

"Non so... io..." balbettò Rosso ansiosamente. Per un attimo non seppe bene che fare; ma Blu lo sospinse dolcemente a sedere sul bordo del letto, e con cautela infinita lo aiutò a stringere Drake tra le braccia.

"Se stai seduto sul letto non puoi lasciarlo cadere" disse Blu sorridendo.

Non aveva scuse. Rosso strinse maggiormente quel corpo profumato di talco e di latte, caldo, disperatamente inerme tra le sue braccia.

"Accarezzalo" mormorò Blu. "La sua voce gli giunse come lontanissima.

Drake aveva gli occhi limpidi, lucenti, che già seguivano il suo sguardo. Se anche Rosso avesse voluto rispondere a Blu, non gli sarebbe stato possibile: gli sembrava che un universo intero fosse in quel momento nella stanza, tra lui e Drake, e che da quell'universo in nessun modo fosse possibile scappare. Non solo: non gli interessava, in nessun modo voleva scappare. Accarezzò con due dita quel volto paffuto e arrossato, lungamente, e Drake agitò le braccia scalciando, e a un tratto, senza preavviso, catturò con una mano minuscola il suo indice.

In quel momento a Rosso furono chiare due cose. La prima era che Blu, silenziosamente, si era dileguato dalla stanza; che evidentemente, in modo più o meno consapevole, si era reso conto dei suoi dubbi, e aveva deciso di aiutarlo a quel modo, nel modo più efficace possibile. La seconda, che qualuque cosa accadesse, non voleva più rinunciare a quei limpidi occhi, a quella mano paffuta che ora stringeva il suo dito, e che un giorno avrebbe stretto la sua mano intera; e che non poteva, davvero mai in nessun modo avrebbe potuto fare a meno di essere egoista, che era più forte di lui, infinitamente più forte della sua volontà, come la voce di Missingno era stata nel suo passato: in nessun modo a quel punto egli avrebbe potuto accettare di rinunciare a Drake.


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Capitolo 3
*** Capitolo terzo. ***


Buonasera a tutti!

Finalmente riesco a postare il mio capitolo preferito di questo racconto, il capitolo, soprattutto, nel quale maggiormente m'identifico. Ve lo posto con un caro ringraziamento a Cristal_93 e a Fiulopis per le recensioni.

Che dire? Vi lascio al capitolo. Buona lettura e, già che ci siamo... buon Halloween! 

Afaneia

"Oh! Speravo, signori, che avreste amato la mia aquila, che il vostro amore avrebbe dato una ragione d'essere alla sua bellezza... Ecco perché mi davo a lei e la nutrivo del sangue della mia anima... Ma vedo che sono il solo ad ammirarla..."

"Io vivevo per lei, ma lei, perché vive?... Aquila, che ho nutrito con il mio sangue, con la mia anima, che con tutto il mio amore ho accarezzato... dovrò dunque lasciare la terra senza sapere perché ti amavo? Né quello che farai né quello che sarai dopo di me, sulla terra... sulla terra, io ho invano...io ho invano interrogato."


(André Gide, Il Prometeo male incatenato)


Rosso aveva dovuto imparare ad accettare la presenza di Giovanni nelle loro vite. Certo, non era una presenza oggettivamente ingombrante; non pretendeva certo di irrompere in ogni momento a casa loro, o d'intromettersi nella gestione del loro privato. Tuttavia, talora passava a trovarli. Non sempre però telefonava prima, e capitava a volte che non trovasse Blu in casa. In tal caso, tuttavia, affermava di non voler disturbare, e si apprestava ad andarsene. Rosso si trovava allora costretto a invitarlo a entrare.

Finalmente un giorno trovò il coraggio di dirgli: "No, Giovanni, che non disturbi. So che passi a trovare Drake più che Blu, e hai tutti i diritti di farlo, poiché sei suo nonno esattamente come lo è mia madre; perciò non importa che fingi di non voler disturbare. Hai tutti i diritti di vedere Drake. E comunque, siamo soli per la maggior parte della giornata. Vieni!"

Da allora, Giovanni cominciò a venire più spesso a trovarli, inducendo Blu a tornare a casa prima dalla Palestra. Spesso portava qualche regalo per Drake: pupazzi, calzini, tutine, libri illustrati, giocattoli istruttivi con lettere e numeri.

"Giovanni!" lo rimproverò Rosso un giorno. "Questi sono giocattoli molto costosi."

"Lo so, Rosso, e meglio di te" replicò Giovanni con calma. Sorrideva. "Se glieli porto è perché posso permettermi di farlo. Tu non preoccuparti."

Rosso non era precisamente soddisfatto da questa risposta: lui sapeva da dove proveniva quel denaro. Tuttavia era lo stesso denaro col quale era stato allevato Blu, col quale la casa in cui vivevano era stata acquistata, e sarebbe stato ipocrita farglielo notare.

Era un enorme pupazzo a forma di Dewgong, coperto di una morbida peluria bianca da sembrare autentica – era davvero un giocattolo di qualità, un giocattolo costoso, di certo. Si rassegnò, e disse: "Allora... grazie. Drake ora sta dormendo, però. Glielo metterò accanto, così lo vedrà quando si sveglierà. Vieni, entra pure."

Si allontanò dalla porta e Giovanni entrò con la giacca in mano. Rosso aveva aperto le finestre, e l'aria fresca entrava piacevolmente: era un maggio caldo e promettente. Aveva messo Drake nel box, per tenerselo vicino lontano dai riscontri d'aria, ma Drake si era stancato di giocare e aveva finito per addormentarsi. Giovanni lo guardò teneramente: Drake pareva quieto e sereno, addormentato sulla pancia. Rosso si chinò su di lui e gli appoggiò accanto, badando a non svegliarlo, l'enorme peluche.

Si sollevò e scomparve in cucina. Faceva molta fatica ad accettare di passare del tempo da solo con Giovanni, ma per amore di Blu si era ripromesso di comportarsi correttamente; e poi, c'era qualcosa in Giovanni che lo attirava. Forse, come gli aveva detto lui stesso, erano i fantasmi che li avevano accomunati per anni.

"Mia madre ci ha portato del succo di fragole, stiamo cercando di finirlo prima che vada a male. Ne vuoi un po'? A Blu piace molto."

"Lo prendo volentieri se ne prendi anche tu.

No, non sembrava davvero il crudele capo del Team Rocket, l'uomo che aveva tanto dolore disseminato, tante creature ucciso. Rosso prese due bicchieri alti, sottili e vi versò il succo di sua madre.

"Sei venuto qui solo per portare quel Dewgong?" domandò ad alta voce. Non era una domanda aggressiva, o meglio, in qualunque altra situazione lo sarebbe stata; ma tra lui e Giovanni no, non era.

Ritornò in salotto. Giovanni si era seduto sul divano, davanti alla televisione spenta; Rosso appoggiò sul basso tavolino i due bicchieri e si sedette di fronte a lui. "Sapevi bene che Blu era in Palestra, vero?"

"Sì, lo sapevo" rispose profondamente Giovanni. "Ma ti dirò la verità, Rosso... avevo voglia di chiacchierare un po' con te. Oltre che di vedere Drake, ovviamente."

"E a me che volevi dire?" replicò Rosso. Era a piedi nudi: era vestito di abiti da casa, con morbidi jeans strappati e una maglietta bianca sulle spalle larghe, sul petto ampio.

"Non so, Rosso... nulla di che. Ho piacere di stare qui con voi, con Drake, con... con te, anche. Io e te ci capiamo molto bene. Non trovi?"

Rosso sorrise appena, chinando il capo. Alzò le spalle, e replicò: "Sì, mi pare di sì."

Rimasero in silenzio per un po' di tempo. Poi Giovanni riprese: "C'era qualcosa che volevo chiederti" proseguì allora Giovanni. Rosso assentì col capo. "Dimmi pure."

"Volevo domandarti se hai sfidato di nuovo Mewtwo, dopo... dopo quel giorno."

Se Rosso fosse stato un Pokémon, avrebbe rizzato le orecchie e si sarebbe messo in guardia contro un nemico. Ma era solo un semplice essere umano, e dovette accontentarsi di spostarsi lentamente sulla poltrona, così da appoggiare sul tappeto i piedi nudi e bianchi, ma segnati e ispessiti dai calli di dieci anni di fatiche. Guardava fissamente Giovanni: il suo sguardo era fermo e sicuro, il suo respiro lento e regolare. Voleva solo saperlo.

"L'ho rivisto" disse semplicemente. "Sono sceso negli abissi della Grotta Ignora, l'ho cacciato, l'ho trovato..."

"Lo hai sfidato?" esclamò Giovanni: gli occhi gli brillavano.

"No!" disse Rosso a bassa voce, e quella luce si spense. "O meglio... sì, l'ho sfidato, maè stato lui a non raccogliere la mia sfida. Non volevo combattere con me. Ha respinto i miei attacchi, ma senza reagire."

"Non voleva più combattere?" chiese debolmente Giovanni. Il suo sguardo era mesto e ansioso, come se la sua voce parlasse di un amore lontano.

Rosso negò col capo. "No, non voleva. Celebi l'aveva assunto tra i Pokémon leggendari, gli aveva dato l'immortalità, ma soprattutto l'aveva liberato dalla prigionia nella quale tu l'avevi rinchiuso."

Giovanni tacque a lungo. Poi, a bassa voce: "Era sereno?"

Rosso rifletté per lunghi secondi su quella domanda. Era un ricordo lontanissimo (era successo quasi dieci anni prima) eppure quell'attimo era ancora presente alla sua mente.

"No, ancora non lo era. Era ancora arrabbiato, ancora infelice per la sua nascita, per ciò che gli avevi fatto fare. Ma voleva diventarlo, voleva conquistare la propria serenità: e proprio non accogliere la mia sfida era la più immediata soluzione che conoscesse."

Il bagliore degli occhi azzurri di Mewtwo aveva illuminato le sue notti per lunghi, lunghi anni sulla vetta dell'alta montagna di Johto; ma Luisa gli aveva poi parlato della sua quiete, della sua ritrovata pace. Mewtwo era ormai lontano dai tormanti terreni, carnali della lotta, degli scontri continui; era un Pokémon leggendario, anche se il meno etereo di tutti."

Giovanni assentì, sì, ma senza convinzione: rimase immobile, in silenzio con lo sguardo chino sulle ginocchia e, stretto in una mano, il bicchiere ancora pieno.

Finalmente Rosso parlò. Disse: "So cosa vuoi. Vorresti rivederlo, parlargli, dirgli che ti dispiace, che eri cieco e avvinto; che ora che sei libero, sei dispiaciuto, ma sai d'aver vissuto una vita intera solo per creare la sua; che non vuoi che ti ringrazi, ma che ti odi un po' meno; vorresti che ti perdonasse; vorresti, semplicemente, rivedere i suoi occhi per una volta, e in essi trovare pace, poiché sapere di aver rubato e ucciso, ma per generare una creatura serena e in qualche modo felice, sarebbe certo un po' meno terribile che sapere d'averlo fatto per creare un essere infelice di vivere..."

Si pentì quasi d'avergli parlato così... a nessuno si dovrebbe parlare così! Giovanni taceva, tuttavia le dita strette attorno al bicchiere parevano tremare. In quel momento si udì il pianto di Drake, e subito Rosso balzò in piedi e scomparve dal salotto. Vi ritornò dopo vari minuti col bambino avvinghiato al collo.

"Hai visto, Drake? È passato a trovarci il nonno. Hai visto il bel peluche che ti ha portato? È un Dewgong! Con Dewgong puoi giocare, puoi dormire... hai sentito quanto è morbido?"

Giovanni lo guardò dalla poltrona, scrutando il suo fisico tormentato e muscolare, segnato in superficie da vene pulsanti e, in taluni punti, alcune cicatrici...

"Sembri un papà delle riviste" disse guardandolo.

A Rosso scappò una risata a quell'idea. "Tu dici?" domandò, appoggiando le labbra sulla fronte di Drake: era proprio uno di quei padri modello, bello come una divinità.

"Sì, dico. Sai, di qualche pubblicità..."

"Perché cambi così argomento?" domandò allora Rosso, sedendosi di nuovo sulla poltrona con Drake in braccio. Subito Drake protese le braccia verso il nonno, ma Rosso intuì che non era il momento e lo trattenne.

"Cambio argomento perché hai ragione" mormorò Giovanni. "È così, è proprio come hai detto: vorrei rivedere Mewtwo, vorrei incontrarlo, parlargli... domandargli se, ancora, si ricorda chi io sia... Vorrei che non mi avesse dimenticato, e che magari solo un po' del suo rancore fosse sfumato, scomparso... è come dici, mio caro ragazzo, è esattamente come dici tu. Che altro dovrei dire che tu non mi abbia già detto?"

Tese le braccia al bambino. Rosso si alzò e glielo passò al di sopra del tavolo: tra le braccia di Giovanni, un colosso robusto quanto e più di un armadio, Drake sembrava davvero scomparire.

"Non ha ancora cominciato a parlare?" domandò Giovanni, accarezzandogli il capo morbido e ricciuto. Drake intrappolò le sue dita con una mano paffuta.

"Ancora no. C'è tempo, è ancora troppo piccolo" rispose Rosso con calma. In effetti Drake aveva poco più di sei mesi.

"Voglio proprio sapere cosa dirà la prima volta" disse Giovanni. "Diventerai un grande allenatore, proprio come i tuoi genitori, sai, Drake? Me lo sento."

"Ce lo sentiamo tutti" disse Rosso ridendo. "Spero tanto nel suo futuro, Giovanni. Non voglio a tutti i costi che diventi un allenatore, no, no: potrà fare nella sua vita tutto ciò che desidera, che sia onesto, ovviamente" soggiunse guardandolo in tralice. "Tutto ciò che della sua vita m'importa, è che i suoi occhi non diventino rossi mai, non del rosso che ardeva nei miei; che scelga sempre in libertà, che non sia costretto da nessuno, e che nessun fantasma vegli mai le mie notti... non voglio che soffra quanto io ho sofferto, non voglio che, semplicemente, debba rinunciare a vivere anche un anno solo della sua vita, in nome di qualcosa che non potrà raggiungere mai..."

"Te ne penti?" domandò Giovanni a bassa voce.

"Non chiedermelo ancora, Giovanni; lo sai; sono pentito, ma rifarei ogni singola cosa, ogni singolo passo con la stessa passione, la stessa convinzione di allora; ciò che ho fatto, l'ho fatto per amore, e non cambia molto che l'amore fosse per Blu o per Drake, o per il mio sogno o per me stesso..." O per Missingno, soggiunse tra sé e sé, ma non disse niente al riguardo, poiché nessuno in tutto il mondo conosceva Missingno, a parte lui e pochi altri.

"Te ne penti, tu?"

Calò un silenzio profondo, abissale. Poi Giovanni, con voce flebilissima, mormorò: "Sì." E subito dopo riprese, carezzando con l'enorme mano il morbido capo di Drake: "Ciò che tu hai perduto, lo hai ritrovato dopo non molto: Blu ti ha aspettato..."

"Ma Ambra! Tu sai dov'è Ambra? Lei non mi ha aspettato! Blu è cresciuto senza ch'io lo vedessi... Mewtwo, senz'avermi amato, è fuggito, lui che tra tutti ho scelto per dedicargli la mia vita... ah, non credi che sia una tragica, terribile fatalità? Che proprio Mewtwo, che con tutto il mio amore ho generato... che proprio lui tra tutti mi abbia abbandonato?"

Calò un silenzio che Rosso avrebbe disperatamente voluto interrompere parlando, rispondendo, dicendo qualsiasi cosa... ma non seppe che dire. Chinò gli occhi cercando di parlare e tuttavia...

Drake cominciò a piagnucolare facendo smorfie, come faceva sempre quando aveva bisogno di farsi cambiare. Rosso balzò in piedi, sentendo da qualche parte dentro di sé di poter cogliere quell'occasione per far cadere la conversazione, far finta di nulla, non tornar più sull'argomento... ma d'un tratto non gli parve onesto, e si fermò. Giovanni si alzò e gli passò lentamente il bambino; pareva deluso, come se avesse tentato, per anni, di trovare una risposta a una domanda che lo aveva tormentato, ossessionato, assillato nell'esilio tetro dei suoi lunghi anni, come se quel giorno avesse fatto un tentativo ultimo, supremo nel chiederlo a Rosso, l'unico essere al mondo a conoscere la sua verità; come se, dopo il doloroso sforzo per porla, quella domanda, avesse visto crollare ogni sua speranza e non in una risposta vaga, ma nell'assenza di una qualsiasi risposta... Rosso non si sentì capace di lasciarlo così, sospeso nel vuoto, e decise di rispondere.

"Non è una fatalità" mormorò semplicemente e come combattendo per trovare la forza per mormorare quelle parole. Trovò la forza e proseguì, cullando Drake per poter parlare per quei pochi momenti: "Com'era mio destino di vagare, per anni, inseguendo quel vano mio sogno, così era il tuo quello di sprecare la tua vita creando Mewtwo, un essere che sfuggiva alla tua volontà, un essere nato per diventare divino..."

Allora si rifranse il dolore di Giovanni; fu un attimo, un battito di ciglia; Giovanni mosse un passo avanti e gridò con voce terribile, tonante: "Ma l'ho creato io, io! Io ho dato la mia vita per lui, e lui mi ha abbandonato! Io, io sono solo, ora! Io sono espulso dalla società civile! Io ho perduto mia moglie, io ho ucciso, io ho rubato, io sono condannato! Io, io ho perso tutto, e loro credono che io l'abbia fatto perché Mewtwo fosse libero? Perché lui libero e io no, lui divino e immortale, e io... son rimasto solo, io! E di tutto ciò per cui ho lottato, oer cui ho pianto e ho perso, non ho avuto nulla, io! Né di rivedere i grandi occhi di Mew, né di parlare per l'ultima volta con l'essere che ho generato, vendendo l'anima e l'impero..."

Cadde spossato sul divano, incapace di parlare ancora, di urlare. Drake piangeva infastidito e Rosso corse al piano di sopra, disperatamente cercando di capire, di...

Quando ne riemerse, tornò a sedersi cullando Drake, senza osare di guardare Giovanni in volto. Dal divano, l'uomo li scrutava con occhi spenti e vacui.

"Mi dispiace, Giovanni" mormorò Rosso senza guardarlo. "Mi dispiace, so che...". Non sapeva cosa dire.

"No, non sai, Rosso" disse Giovanni con voce spenta. "Hai un compagno, hai un bambino meraviglioso. Hai perduto dieci anni di vita, è vero, ma ora sei qui, hai una vita, hai una famiglia. Ti pare che abbia lo stesso, io? Non hai avuto Ho-Oh, ma hai ritrovato ciò che avevi già lasciato, al tuo ritorno. Certo, ho ritrovato Blu, so che stai per dirlo; ma non è più il bambino che ho lasciato; era cresciuto mentre io non c'ero, s'era fatto uomo, creato una famiglia..."

"Non hai avuto Ho-Oh, ma non l'hai perduto. È diverso. Non hai avuto il tempo di amarlo... io l'ho avuto, ma così poco! E mai, mai Mewtwo ha saputo che lo amavo. Era ciò che mi meritavo, per ciò che avevo fatto: ero stato malvagio, spietato; ma altri aveva deciso che dovevo esserlo! Non era proprio tutta colpa mia! Ma ugualmente, sono stato punito solo io..."

Rosso si sentiva profondamente colpito dalle sue parole. Scrutava il volto paffuto di Drake tra l sue braccia, ancora senza osare guardare Giovanni.

"Se io trovassi il modo" cominciò a voce bassa "Se io trovassi il modo di farti vedere Mewtwo, una sola volta, di farti parlare con lui per qualche minuto... se io vi riuscissi... pensi che troveresti pace?"

"Ah! E chi può saperlo?" domandl Giovanni. "Credevo che riuscire a generare Mewtwo, dopo lunghi anni, potesse darmi pace, eppure sappiamo tutti com'è andata. Mio caro ragazzo! Ti ringrazio del pensiero che hai avuto, ma tu per primo sai che non è possibile trovare Mewtwo. No, no, Rosso: questo è solo lo strano gioco della fatalità: io e te abbiamo dovuto essere condannati perché altri potessero essere liberi... ciò che c'è di sbagliato, è che non ci è stato chiesto il nostro parere. Abbiamo dovuto dare la nostra vita, volenti o nolenti, per fare la felicità altrui... oh, non credere che per Mewtwo non l'avrei fatto, sai! Tutta la mia anima avrei dato per lui, e volentieri, se l'avessi saputo; ma avrei voluto sapere ciò che mi aspettava..."

Se Rosso avesse potuto, si sarebbe alzato in piedi, guardandolo con occhi fiammeggianti. Ma Drake scalciava inquietamente tra le sue braccia, e Rosso rimase seduto sul divano.

"Giovanni" disse allora con voce nitida e ferma, guardandolo con occhi decisi e alteri "Ascoltami! Tu sai che io ti ho sempre odiato, che ho fatto di tutto per distruggere il tuo impero, e che non me ne pento; ma sai quanto io e te condividiamo, anche, e che ti capisco come nessun altro al mondo è capace. Se fossi certo di non poterti aiutare, non te ne avrei mai parlato; ma so di poterlo fare, e ti giuro che lo farò."

Giovanni l'aveva scrutato in silenzio, assorto, privo d'espressione. Non era un momento glorioso, monumentale con quel bambino tra di loro, ma le sue parole erano importanti, forti...

"Va bene, Rosso" mormorò. "Ti ringrazio, mio caro ragazzo, ti ringrazio molto. I tuoi pensieri sono molto nobili, come lo sono sempre stati da quando eri piccolo, e li accetto nella stessa buona fede con cui me li rivolgi. Ti ringrazio molto."

Giovanni rimase con loro tutta la sera, e non ne parlarono più, né vi accennarono nei giorni seguenti. Ma non appena, dopo cena, se ne fu andato, Rosso inviò segretamente un messaggio a Luisa dal suo Pokégear.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto. ***


Buon pomeriggio!

Lo so, lo so, come mi ha fatto notare un lettore, è un sacco di tempo che non aggiorno. Il bello è che il capitolo era concluso già da un pezzo. Ma che dire? È difficile convincersi a copiare dal formato cartaceo a quello telematico. Perciò, lo pubblico oggi, con un caro ringraziamento a crystal_93 e a Fiulopis per le recensioni; con l'ultimo capitolo ringrazierò diffusamente chi ha aggiunto la storia a una qualche lista personale.

Che dire? Buona lettura a tutti!

Afaneia

E chi lo sa, se Dio avesse scelto un altro

per servire la sua volontà...

Non avrei cambiato vita.


(Le piaghe, dal film Il Principe d'Egitto, 1998)


Rosso trascorse una settimana senza ricevere alcuna notizia da Luisa. Finalmente, il venerdì successivo, la ragazza gli inviò un messaggio sul Pokégear. C'era scritto: Sarò lì alle nove.

Era per quel giorno, dunque! Rosso sprofondò di nuovo in quel suo inquieto, angosciato mutismo; ma Blu, pensando che semplicemente si fosse svegliato di cattivo umore, non vi fece caso e lo salutò semplicemente, affettuosamente baciandolo sulla bocca, come ogni mattina. Guardandolo uscire per recarsi in Palestra, Rosso provò una fitta acuta di colpevolezza alla bocca dello stomaco all'idea di tenergli nascosto qualcosa; ma dopotutto, pensò, Blu sapeva quanti segreti ed emozioni lui e Giovanni condividessero: l'aveva percepito, con la stessa forza con la quale aveva percepito quasi ogni suo pensiero da quando si conoscevano...

Drake era sveglio e irrequieto, quella mattina: probabilmente gli sarebbero presto spuntati i dentini e cominciava già a tormentarsi. Rosso lo coccolò a lungim riempiendolo di baci e parlandogli con quieta voce rassicurante, e nel frattempo, tra una coccola e l'altra, si vestì rapidamente, scomodamente; e alle nove in punto aprì la porta al primo suono del campanello, senza neppure chiedere chi fosse: Luisa ricambiava sorridendo al suo sguardo severo. "Buongiorno."

"Buongiorno" disse Rosso a disagio. "Benvenuta. Entra pure. Grazie di..."

Non terminò la frase. Nervosamente si accostò in silenzio al box e vi sistemò Drake tra i suoi pupazzetti e i suoi giocattoli. Drake scalciò e mugolò aggrappandosi coi pugni al cappuccio della sua felpa rossa.

"Sei nervoso?" domandò Luisa entrando. Chiuse la porta per non far passare spifferi: era giugno, ma di prima mattina l'aria era ancora fresca.

"Un po'" borbottò Rosso. Non gli piaceva sentirsi debole. Con voce più alta e decisa, proseguì: "Oggi è un po' uggioso... se vedi che comincia a piangere, dagli uno di quei giocattoli refrigeranti che trovi in frigo... verso mezzogiorno, la minestrina col formaggio. Noi non lo facciamo mai, ma visto che non è abituato a te, se non vuole mangiare puoi provare a distrarlo con i cartoni animati. Suppongo di essere di ritorno poco dopo l'ora di pranzo, quindi laverò io i piatti..."

"Rosso" disse Luisa sorridendo "Non preoccuparti. Non sono una mamma, ma ho fatto la baby sitter qualche volta; e sono sicura che io e lui faremo presto amicizia" soggiunse sorridendo, e con la mano accarezzò dolcemente, timidamente, il capo biondo e ricciuto di Drake. Al tocco della sua bianca mano ruvida e callosa, Drake parve immediatamente più quieto; finalmente, Rosso sorrise.

"Giochi sporco" disse a bassa voce. Ma Luisa scosse il capo: non era una sua scelta l'aura divina che trascendeva da lei.

"Va bene" disse finalmente Rosso con forza: gli pareva d'essere più calmo lui stesso. "Adesso vado. Dove...?"

"Presso le Spumarine" mormorò Luisa. Rosso la guardò con sgomento. "Sì. C'è una piccola grotta, molto, molto prima del luogo dove riposa Articuno. Non credo che ci saranno problemi per..."

"Va bene" disse Rosso con decisione. "Ce lo porterò io. Non c'è problema."

Sollevò Drake per un momento e lo baciò con affetto, cercando di fargli capire che sarebbe tornato presto. Poi, dopo averlo di nuovo sistemato nel box, si accostò in silenzio alla porta. Subito Drake si aggrappò alle sbarre del box e cominciò a piagnucolare e a gettare gridolini per richiamarlo.

"Non preoccuparti" mormorò Rosso. "Fa sempre così. Ma bisogna che impari a star tranquillo. Tornerò dopo pranzo, Drake" soggiunse rivolto al bambino "Te lo prometto."

Malvolentieri, si diresse alla porta e si convinse a uscire, ignorando le grida e i gemiti di Drake. "Lo distrarrò io" gli disse Luisa in tono di confidenza, prima che Rosso, richiudendo la porta, si avviasse in silenzio, cupamente, a passi svelti verso la casa che Giovanni aveva preso in affitto. Era solo una piccola casa a due piani nella periferia di Biancavilla, a forse dieci minuti a piedi dalla loro casa. Il giardino era spoglio e vuoto: Rosso bussò.

"Chi è?"

"Buongiorno, Giovanni. Sono... sono Rosso."

Seguì un attimo di silenzio. Poi: "Aspetta... ti apro subito."

Giovanni era in vestaglia. Questa fu una cosa che colpì Rosso molto profondamente. Era perfettamente lavato e sbarbato, ma era in vestaglia: sulle prime, Rosso non riuscì a parlare.

"Buongiorno, Rosso... non ti aspettavo."

Finalmente Rosso, come riscuotendosi dal suo stupore, balbettò: "Non volevo disturbarti, ma... ma ho bisogno che tu venga con me."

Ora anche Giovanni era stupito. Lo guardò fissamente. "Con te? Dove?"

"Con me... in un posto. Non posso spiegarti. Fidati di me."

Giovanni notò probabilmente il turbamento negli occhi di Rosso, il suo nervosismo, il tremore che agitava le sue mani. Sospirò profondamente. "Va bene... certo. Andiamo. Dammi solo qualche minuto per... tu, intanto, accomodati."

"Va bene" borbottò Rosso. Entrò in casa e richiuse la porta, ma rimase sull'ingresso: era un appartamento modesto e un poco buio, pulito, freddo. Giovanni si avviò in silenzio verso le scale: Rosso fece in tempo a esclamare: "Mettiti degli abiti comodi... vecchi."

Gli abiti comodi e vecchi di Giovanni erano una giacca e una maglia nera, pantaloni neri e mocassini neri. Rosso non disse niente.

Si diressero verso la spiaggia. Rosso percepiva il disagio di Giovanni, il suo stupore, la sua perplessità; e lo sentì ancora maggiore quando, sulla spiaggia, chiamò il suo Blastoise.

"Rosso! Ma dove vuoi andare?"

"Tu seguimi e basta" disse Rosso con convinzione.

"No! Non ti seguo finché..."

Ma senza ascoltarlo Rosso prese posto vicino al collo di Blastoise e dalla sua schiena si voltò a guardarlo coi neri occhi fiammeggianti. Allora, come convinto da qualcosa che vi aveva scorto, Giovanni obbedì.

"Attento... attento."

"Certo che è molto scomodo... non lo ricordavo."

"Ma no... è l'abitudine. Andremo piano."

Non parlarono più. Giunsero in vista delle Spumarine, finalmente ne raggiunsero le coste. Finalmente, una volta a terra, Giovanni parlò di nuovo.

"Ebbene? Ora mi spiegherai perché..."

Rosso lo guardò silente con sguardo cupo e pensieroso.

"Ho mantenuto la mia promessa" disse a bassa voce.

D'un tratto Giovanni ebbe tutto chiaro, dunque: vi era un'unica spiegazione alla tormentata agitazione di Rosso, a quel viaggio fino alle Spumarine... Rimase in silenzio per qualche momento. Poi: "Rosso, sei ben sicuro di..."

"Giovanni" disse Rosso "Entra là dentro."

"Rosso..." sospirò Giovanni. Ma quegli scosse il capo.

"No, Giovanni... è la verità. Fidati di me."

Giovanni, che aveva aperto la bocca per replicare, tacque bruscamente. Esitò. Rosso annuì col capo. "Fidati di me, Giovanni. Io ti aspetterò qui."

Colpito da un profondo tremore, come guidato da una forza irresistibile, Giovanni entrò.


Giovanni mosse il primo passo nella grotta lentamente, gravemente, quasi a fatica. Lo avvolgeva un'oscurità inquietante, angosciante, ma Giovanni non aveva avuto paura del buio mai, né nelle notti insonni né nei rifugi oscuri durante i lunghi, scomodi trasferimenti del suo esilio solitario.

Avanzò ansiosamente nel buio. Dov'era? Non vedeva nulla, non sentiva nulla, se non il rumore angosciante del proprio respiro. Da esso si accorse che ansimava.

Rosso doveva essersi ingannato, disse tra sé. Ben presto sarebbe uscito da quel luogo oscuro, sarebbe tornato da Rosso; lo avrebbe ringraziato, con tutto l'affetto del mondo, di aver tentato di aiutarlo, di placare il suo dolore; gli avrebbe poggiato familiarmente la mano sulla spalla e l'avrebbe ricondotto a Biancavilla, in tempo per pranzo.

No, pensò per l'ultima volta Giovanni, volgendosi con un groppo in gola- non c'era nessuno lì, proprio come aveva sempre saputo e come, forse, aveva in fondo al cuore sperato...

Ma l'entrata, da cui proveniva per lui una scarsa, fioca luce, scomparve improvvisamente. Giovanni lottò per non cacciare un grido: l'oscurità l'avvolse maggiormente, come neppure si era aspettato...

Un attimo dopo ardeva una luce dai riflessi azzurrini che rischiarava le punte aguzze delle stalattiti; Giovanni rimase immobile, quasi senza respiro, senza il coraggio di voltarsi a guardare...

Ma poi: "Eccomi." Quella voce! Era quella la sua, la sua voce! Era... oh, ma come voltarsi, come? E rischiare magari di vedere coi propri occhi che si era sbagliato, che non era Mewtwo; di accorgersi di non aver fatto che immaginare quella voce, senza averla realmente udita, per il solo desiderio grande che aveva della presenza di Mewtwo...

"Voltati." Era la sua voce inconfondibile, irresistibile; quasi senza volerlo, Giovanni si voltò. Sì: era il suo corpo possente, guizzante, muscolare; era il suo corpo bianco e violaceo, ingombrante, inquietante; e sul suo corpo ardevano due occhi chiari illuminati d'azzurro...

Vederlo fu un dolore, una rivelazione. Per Giovanni fu come un colpo in pieno petto e rimase infatti immobile, ansimante, quasi incredulo di fronte alla materialità, all'innegabilità della sua presenza. Mewtwo era di fronte a lui, era vicinissimo a lui, come a malapena era stato nei pochi mesi che aveva trascorso con lui.

Mewtwo non parlava. Dopo i primi lunghi secondi di silenzio ed immobilità, Giovanni mosse un passo avanti, tremando, esitando; ma bruscamente, quand'era in procinto di compiere il secondo, si trattenne. Lo aveva appena attraversato il tragico ricordo del giorno della fuga di Mewtwo, la sua rabbia, la sua disperazione, il suo dolore. Era poi certo che Mewtwo lo avesse perdonato?

Tuttavia, d'improvviso, sotto l'altero sguardo azzurro di Mewtwo, egli percepì come un'illuminazione inaspettata ciò che da lui Mewtwo si attendeva; ciò che da sempre, forse inconsciamente, Mewtwo aveva sperato, inquietamente, di ricevere da lui, per porterlo perdonare e, finalmente, trovare pace. Sì! Giovanni d'improvviso comprese cosa doveva fare perché entrambi potessero trovare pace, e mentre Mewtwo lo scrutava con sguardo fermo, egli mosse un deciso passo in avanti: erano a pochi centimetri di distanza, vicini come non erano stati mai. Giovanni si sentì davanti a lui nudo, spogliato, impotente, umile, ma soprattutto colpevole; tuttavia, cercò profondamente dentro di sé quel coraggio che gli occorreva e disse: "Perdonami. Se ho sbagliato, è stato per averti amato troppo, e non aver mai avuto il coraggio di mostrartelo."

Ecco, la semplicità di quelle parole, di quella frase. Per quanti anni Giovanni aveva pensato a cosa mai avrebbe potuto dire a Mewtwo: aveva sognato infiniti, melodrammatici discorsi, aveva sognato grida, scontri forse; e ora finalmente aveva capito cos'era che bisognava dire.

E allo stesso modo, finalmente, fu Mewtwo a parlare. Disse: "Non hai amato che Mew, e la tua ossessione per lui. Non hai amato altro, né hai amato me, ma di me ti sei servito. Altro non sono stato, io che l'insormontabile ostacolo sulla tua strada verso gli occhi azzurri di Mew, l'errore irreparabile, forte quanto il destino; ma non volevi me..."

Sì: Mewtwo non era stato ciò che lui voleva, ciò che lui bramava; e Giovanni lo ribadì con voce forte e decisa, consapevole d'essere inerme di fronte alla potenza di Mewtwo...

"Per aver tanti anni vagheggiato Mew, per averlo inseguito e bramato nei miei sogni, tu sei stato tutto ciò che ho ottenuto; e non ho saputo comprenderti, non ho saputo..." Non aveva saputo tante cose; reprimendo la sensazione che questo pensiero gli dava, Giovanni proseguì dolorosamente.

"Non ti ho amato fin dall'inizio, ma ti ho amato fin dopo la fine, e di più non ho potuto. Non volevo te, ma è te che ho trovato, è a te che ho dedicato lunghi e lunghi anni della mia vita, senza saperlo e probabilmente senza volerlo."

"Giovanni" disse infine Mewtwo. La sua voce vibrava come di una grande emozione; pareva irritato, addolorato. "Mi hanno detto che da molti anni desideri rivedermi. Per quale motivo?"

Giovanni provò d'improvviso un profondo dolore, ma soprattutto si sentì avvampare di vergogna, di umiliazione. Credette per un momento di non poter rispondere. Ma poi, come parlando da un profondo abisso del quale non riusciva a vedere la cima, cominciò:

"Quando mi hai lasciato, quando sono rimasto solo, senza mio figlio, senza di te, ho provato un dolore immenso. A tutto avevo rinunciato per generare te: a mia moglie, a mio figlio, al mio impero... tutto, tutto avevo abbandonato per te! Te, la cui malvagità era stata la punizione della mia; te, che eri molto più simile a me di quanto mai sarebbe stato Mew; te che proprio per questo, mio malgrado e nonostante la mia delusione, ho amato più di quanto mai avrei amato Mew. E di tutti coloro che avevo amato e desiderato in vita mia, proprio tu, cui avevo disperatamente dedicato la mia vita, proprio tu mi hai abbandonato..."

Mewtwo aveva ascoltato in silenzio il fiume delle sue parole. I suoi limpidi occhi chiari erano infissi sul suo volto spigoloso, angolato, quasi anziano, eppure parevano non vederlo; parevano guardare aldilà dei suoi stessi occhi, delle sue parole.

"Se ti ho abbandonato" disse finalmente con voce profonda e vibrante "è stato per non aver ricevuto mai da te alcuna traccia di amore o di amicizia che fosse per me direttamente; è stato per il tuo affannoso cercare gli occhi di Mew nell'azzurro che ardeva nei miei durante le lotte... è stata l'incredulità, lo sgomento, il dolore che ho visto nel tuo sguardo la prima volta che ti sono stato mostrato in quella villa dell'Isola Cannella; è stato il tuo volerti servire di me per combattere solamente, senza volermi amare che per la mia forza e la mia invincibilità, e null'altro; finalmente, insomma, per non aver mai accettato di aver avuto me anziché Mew, e avermene fatta scontare la colpa, quando mai io avevo chiesto di venire al mondo...."

Fargliene scontare la colpa? Oh, no, no! Mai Giovanni aveva provato, neppure nei recessi della sua mente, l'orrido desiderio di vendicarsi su Mewtwo per non aver avuto Mew. Giovanni arretrò istintivamente, confusamente; forse, Mewtwo lesse in questo suo gesto il rivelarsi di sentimenti colpevoli. Tuttavia Giovanni si riprese e tentò di ribattere, di replicare: "No! Non hai capito, non hai mai capito. Ti ho odiato all'inizio, è vero, poiché dopo anni di lavoro, anni di impegno per rivedere Mew, è stata una delusione per me vedere te..." Subito colse un fremito lungo il corpo di Mewtwo, un guizzo nervoso della sua lunga coda percosse il suolo; e prima che potesse proseguire, parlare ancora, difendersi, la voce tonante di Mewtwo risuonò nella grotta come un terremoto ed egli gridò: "Ma non ti ho chiesto io di generarmi!"

"E non ho chiesto io, non ho chiesto io di essere destinato a farlo!"

La voce di Giovanni echeggiò nella grotta con l'intensità di quella di Mew. A quelle parole, Mewtwo ammutolì di colpo; e Giovanni proseguì furente, infervorato: "Non ho scelto io di vedere Mew, di restarne affascinato, incatenato, e di esserne ossessionato! Non ho scelto io di nascere già destinato a creare te, di votare alla tua creazione ogni giorno della mia vita. Pensa che io sono stato condannato ad amare Mew e a non poterlo avere mai! Non è stata poi tutta colpa mia, non esser stato capace di amarti... non ho deciso io, liberamente, di crearti, ma altri con l'inganno mi hanno convinto a farlo! Non è stato forse per volere di sire Celebi che, alla fine, ho fatto quel che ho fatto...? Per creare il più terreno, materiale dei suoi leggendari, ch'egli potesse generosamente accogliere tra le sue fila..."

Si fermò ansimante, esausto, a osservare Mewtwo. Quegli non rispondeva. Guardava lontano qualcosa che nessun'altro al mondo avrebbe potuto vedere, neppure Celebi, neppure Missingno. Pensava a quanto complesso, intricato fosse il destino nel quale Celebi aveva involontariamente avviluppato le vite di ciascuno col compimento del peccato originale...

"Ora puoi capire per quale motivo non sono stato in grado di amarti fin dall'inizio" disse Giovanni finalmente. "Non ti ho potuto amare perché non eri tu che avevo desiderato; ciò non toglie che abbia saputo amarti dopo, forse senza accorgermene, e forse molto di più quando non ti ho avuto più. Mi era forse possibile non amarti, simile a me quanti tu eri, disperato e infelice, desideroso di qualcosa che non c'era? Qualcosa che, mentre per me cessava lentamente di essere Mew, per te diventava rapidamente, ansiosamente la tua libertà, la tua dignità..."

"E perché me l'hai tolta?" esclamò Mewtwo. Sì, egli era il meno etereo di tutti i leggendari: anche ora percuoteva nervosamente il suolo con la lunga coda.

"Perché non sapevo che altro fare!"

L'eco delle sue parole si ripeté più volte nell'aria della grotta; Mewtwo era rimasto immobile, silente. Giovanni si sentì impressionato dal silenzio che seguì alle sue parole.

"Non sapevo che fare, cosa fare di te. Dopo aver gettato via la mia vita, non avevo ottenuto nulla di ciò che mi aspettavo; e ho agito nel modo che in quel momento non mi sembrava il migliore, ma mi sembrava l'unico... e non importa quanto fosse sbagliato e assurdo, alla mia mente esso sembrava l'unico possibile, l'unico plausibile, l'unico accettabile: fare di te la mia arma segreta, il mio strumento perfetto e infallibile, così da trarre egualmente qualcosa da tutte le mie azioni... Capisci, capisci ora che se ho tanto sbagliato nei tuoi contronti, è stato per non aver saputo che fare? Per non aver saputo superare la mia delusione; e per ultimo, per non aver saputo, anche, abbandonare, superare il ricordo di Mew, passare oltre, accettare di non averlo avuto e concentrarmi su ciò che c'era..."

Calò il silenzio di nuovo, finalmente. Il respiro di Mewtwo era lento, profondo, ritmico, possente.

"Perché dunque hai voluto vedermi per l'ultima volta?"

"Per chiederti scusa" disse Giovanni semplicemente. "E non perché io mi aspetti di essere perdonato, o perché fossi tanto presuntuoso da aspettarmi che tu comprendessi le mie ragioni; ma perché semplicemente tu potessi sapere in quale misura io fossi pentito, sapere la verità su di me; perché tu potessi rinfacciarmi la tua rabbia e il tuo dolore, e persino perché tu potessi vendicarti, se ne avessi avuto il bisogno. Per tutti questi motivi, certamente, ma non solo: volevo anche, se non altro, rivederti per un momento; rivedere l'oggetto di tutti i miei dolori, di tutte le mie fatiche; volevo poterti avvicinare per un momento, per poi tornare alla mia vita che trascorre come se tu non fossi mai esistito..."

"Molto bene" disse Mewtwo finalmente. "Se è questo tutto ciò che volevi, l'hai ottenuto. Puoi andare, ora."

Era finita. Giovanni capì che non avrebbe veduto mai più Mewtwo, che quella era davvero definitivamente l'ultima volta che lo vedeva, che gli parlava; che averlo veduto non aveva fatto che acuire il suo dolore. Istintivamente aprì la bocca, fece per parlare, per chiedere, per trovare una qualsiasi scusa per soffermarsi ancora un minuto; ma non gliene venne nessuna che non fosse patetica e umiliante, e tacque.

"Molto bene" ripeté con voce spezzata. "Molto bene. Hai ragione. Ti ringrazio molto. Io..."

Si rese conto di star dicendo cose sciocche. Era meglio tacere: il greve sguardo di Mewtwo incombeva su di lui, forte quanto il destino, come aveva detto lui stesso.

Non c'era più nulla da dire. Si voltò e lentamente, come se fosse molto più vecchio di com'era entrato, si avviò verso il punto in cui ricordava essere l'entrata della grotta, ora vagamente più luminosa e distinguibile. Si soffermò un momento prima di uscire, con gli occhi socchiusi, e si sentì in petto un respiro doloroso e lento, faticoso. Ma poi, quando, con un doloroso strappo, si decise ad avanzare ancora, giunse la voce di Mewtwo.

"Non so perdonarti, ma so comprenderti. Non è stata poi tutta colpa tua. Il destino di generare un leggendario era forse troppo grande per un essere umano. Non hai avuto la possibilità di scegliere. Non è stata davvero tutta colpa tua. Addio, Giovanni: sappi che nessuno più soffrirà come te."


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Capitolo 5
*** Capitolo quinto. ***


Salve a tutti!

Inutile sottolineare il grande ritardo nell'aggiornamento: purtroppo ho avuto gravi problemi di cui occuparmi nell'ultimo mese, e a causa di questi stessi problemi può darsi che anche il prossimo capitolo (l'epilogo di questa storia) subirà un grave ritardo. Sento di dovervi delle scuse e spero che comprendiate.

Tengo anche a dire che, a causa di recenti risvolti nella mia vita privata, questo capitolo è stato arricchito di un significato totalmente nuovo e più profondo rispetto al periodo nel quale è stato scritto. Spero che possiate apprezzarlo a vostra volta.

Che altro dire? Come al solito, vi auguro una buona lettura!

Afaneia.




Emone: Questa grande forza e questo coraggio, questo dio gigante che mi sollevava nelle sue braccia e mi salvava dai mostri e dalle ombre, eri tu? Questo odore proibito e questo buon pane della sera sotto la lampada, quando mi mostravi i libri nel tuo studio, eri tu, credi?

Creonte: Sì, Emone. [...]

Emone: Padre, non è vero! Non sei tu, non è oggi! Non siamo tutti e due ai piedi di questo muro dove bisogna solamente dire sì. Sei ancora potente, tu, come quando ero piccolo. Ah! Ti supplico, padre, che io ti ammiri, che io ti ammiri ancora! Sono troppo solo e il mondo è troppo spoglio se non posso più ammirarti.

Creonte: Si è completamente soli, Emone. Il mondo è spoglio. E tu mi hai ammirato troppo a lungo. Guardami, è questo diventare un uomo, vedere di fronte a sé il viso del proprio padre, un giorno.


Jean Anouilh, Antigone.


Quando Giovanni uscì da quella grotta, sembrava che sul suo volto sbiancato si fossero succeduti innumerevoli anni; ma egli camminava in silenzio, come rapito da un sogno, e i suoi occhi erano privi e vacui come se ancora dovessero uscire da quella grotta, separarsene...

Senza una parola, Rosso balzò in sella al suo Blastoise e aiutò Giovanni a salire, poi si diressero verso Biancavilla, in silenzio. Quando costeggiarono l'Isola Cannella, la sua desolazione, la possenza del suo vulcano, Rosso colse la strana fissità con cui lo sguardo di Giovanni l'accarezzò, vi si soffermò; gli sembrava di poter sentire il suo pensiero, il suo rimorso al ricordo di ciò che quell'isola aveva ospitato...

Finalmente, raggiunsero la spiaggia. Rosso richiamò il suo Blastoise e i due rimasero in piedi, silenti sulla sabbia tiepida.

"Va tutto bene?" chiese Rosso, finalmente. Giovanni non rispose.

"Vuoi venire a pranzo da noi?"

Giovanni parve riscuotersi un po'. Guardò Rosso, come se stentasse a riconoscerlo. "A pranzo? Oh... no. No, grazie."

"A cena, allora" insistè Rosso. "Ci sarà anche Blu. Vuoi che veniamo noi da te? Oppure mia madre..." Ma Giovanni non reagiva: teneva gli occhi fissi al suolo, traendo profondi sospiri. Rosso si sentiva il petto gonfiarsi d'ansia e di crescente disperazione. "Giovanni, su, dimmi qualcosa!" Non era certo di cosa dire, di cosa fare. Giovanni guardava la sabbia, senza reazione o segno di star ascoltando. Poi, senza motivo, d'improvviso mosse un passo verso il paese. Come se quel passo l'avesse sbloccato, Giovanni ora camminava verso il centro senza più guardarlo. Rosso protese la mano, fece per chiamarlo, ma non lo seguì. Qualcosa nel suo cuore gli diceva che nessuno al mondo, neppure Suicune, in quel momento avrebbe potuto raggiungerlo.


Per una serie di innumerevoli giorni, Giovanni parve svanito dal mondo. Rispondeva al telefono solo se vedeva il numero di Blu sul display, e contrariamente al suo costume non passò neppure una volta a portare a Drake qualche regalo. Più di una volta Rosso andò dirittura a casa sua, a suonare il campanello con rumorosa insistenza, ma per quanto a lungo suonasse, non ottenne mai alcuna risposta.

Finalmente, un tardo lunedì pomeriggio, quando ormai aveva perso ogni speranza, e pensava soltanto alla terribile indecisione tra prepararare un'insalata di pollo e patate o ordinare un paio di pizze per cena in attesa di Blu, udì il suo Pokégear trillare per un messaggio ricevuto. Lo aprì distrattamente, aspettandosi l'ennesimo messaggio di sua madre circa del succo di fragole che aveva preparato per loro, o un delizioso golfino che aveva trovato al mercato e non aveva potuto resistere a comprare per Drake, e per questo motivo, quando lesse il messaggio inviatogli da Giovanni, non lo capì. C'era scritto: Perché non andiamo incontro a Blu stasera? Se sei d'accordo, passerò da te alle 19.00.

Fissò a lungo il piccolo schermo luminoso incredulo, senza capire, senza crederci. Poi, senza nemmeno chiedersi se credeva davvero a quello che aveva appena letto, si alzò e andò a mettere a Drake dei vestiti per uscire: se davvero Giovanni aveva intenzione di mantere la parola, sarebbe passato a prenderlo da lì a quaranta minuti.

Precisamente quaranta minuti dopo, in seguito a una lunga, accalorata lotta, Drake era ben assicurato sul suo passeggino, aggrappato a un pupazzetto di Houndour che amava portarsi dietro quando usciva, e un discreto scampanellio risuonava nel salotto mentre Rosso finiva di allacciarsi freneticamente le scarpe da ginnastica e si lanciava a spalancare la porta.

"Ehm... Buonasera, Giovanni."

Gli dispiacque subito di non aver trovato nulla di meglio da dire, qualcosa di più profondo, pregno di significato, carico di aspettativa. Ma lo sguardo quieto, sereno di Giovanni gli toglieva ogni parola, ogni iniziativa: non era quello l'uomo che si era aspettato di vedere. Sì, egli si era aspettato l'uomo di quel giorno alle Spumarine, sulla spiaggia bianca di Biancavilla... e ora, di fronte a lui, vi era un altro uomo.

"Buonasera, Rosso" rispose Giovanni lentamente, chinando il capo verso di lui con un sorriso tranquillo. "Sei pronto?"

Non vi fu risposta. Si avviarono a passi lenti lungo il Percorso 1, spingendo con vaga difficoltà il passeggino lungo il sentiero irregolare: stava arrivando l'estate, e la sera era tiepida e immobile.

"Perché mi hai chiesto di andare incontro a Blu?" domandò Rosso lentamente, come se stesse ponendo cautamente un piede davanti all'altro sul ghiaccio secco. Giovanni lo guardò dall'alto della sua elevata statura, come divertito dalla sua domanda.

"Non l'indovini? Voglio andare a salutare mio figlio, con mio genero e mio nipote. Non trovi che sia una cosa piuttosto normale, durante una serata piacevole come questa?"

Eppure Giovanni doveva ben sapere che non era quella la risposta che Rosso si aspettava e voleva. Ma Rosso si sforzò di mantenere la calma. Domandò: "Per nessun altro motivo che questo?" Ma stavolta Giovanni lo guardò senza rispondere.

"Che cosa ti ha detto Mewtwo, Giovanni?" esclamò finalmente Rosso, spazientito. Il volto di Giovanni parve distendersi, come se non stesse aspettando altro che quella domanda, e la sua bocca si piegò appena in una sorta di sorriso.

"Devo chiederti perdono, Rosso" disse. Il suo volto guardava ora lontano. Calava la sera, e le ombre degli alberi cominciavano a confondersi e a divenire indistinguibili dal terreno circostante. "Mi spiace di non averti risposto, di aver ignorato le tue chiamate, i tuoi messaggi. Non volevo vedere nessuno, parlare con nessuno. Ho faticato molto a mostrarmi tranquillo e indifferente con Blu, per non preoccuparlo. So di aver sbagliato a ignorare proprio te, che potevi aiutarmi, ma... spero che tu mi capisca."

Rimase in silenzio per un po'. Rosso continuava a spingere difficoltosamente il passeggino, ma Drake non sembrava minimamente turbato e ora protendeva le braccia verso tutto, gli alberi, l'erba, emettendo sillabe eccitate.

"Sì, ti capisco" ammise finalmente a bassa voce.

Camminarono ancora a lungo, in silenzio. Finalmente, Giovanni riprese: "Non penso che dirò mai a nessuno, neppure a te, che cosa è successo laggiù, e sono certo, più che certo che capirai. Ma posso, voglio dirti che cosa ho portato con me fuori da quella grotta." Rosso levò lo sguardo su di lui con viva curiosità: Giovanni lo ricambiò direttamente e disse con voce profonda, sonante: "Laggiù ho trovato la risposta alla domanda che mi hai fatto tempo fa. Rammenti?"

Quale domanda? Rosso si guardò attorno con perplessità, come cercando in ciò che lo circondava la domanda che gli aveva fatto. Poi, d'un tratto, quando chinò gli occhi sul passeggino che spingeva, e vide il biondo capo di Drake reclinato all'indietro, e i suoi chiari occhi azzurri che lo scrutavano ridenti ed eccitati, affettuosi, seppe d'un tratto che quella domanda se l'era portata dietro per mesi, ininterrottamente. Era la domanda che ogni giorno, ogni notte si poneva e vedeva riflessa in quegli occhi limpidi.

"Sì, rammento" disse con voce sorda.

Giovanni sorrise appena, alzando lo sguardo. La sera era ora uniformemente grigia, ma ancora luminosa, e i suoi duri lineamenti robusti si stagliavano contro quel cielo livido.

"C'è qualcosa che molto spesso non ci ricordiamo" cominciò. "Qualcosa che a volte ci sembra tanto ovvio, tanto naturale da non sembrarci nemmeno importante. Mi sono ricordato che il compito di generare figli è stato demandato a noi. Lo so" soggiunse, come in risposta al suo sguardo sgomento. "Te l'avevo detto che sembra ovvio, tanto scontato da essere privo d'importanza. Ma d'improvviso ho compreso che è questo il punto cruciale, la chiave di volta del problema."

"I nostri figli non nascono dal mare, o dalle montagne, o dai fiori... o da nient'altro. Non li genera Celebi per porgerceli e affidarceli. Li generiamo noi. Scegliamo noi se generare un figlio, o più di uno, e quando farlo. È una scelta demandata a noi, a noi umani deboli e fallaci. E diventare genitori non ci rende necessariamente migliori, o infallibili, o saggi. Ci rende solo responsabili della vita che abbiamo generato... ma non ci fornisce alcuno strumento per migliorare noi stessi, per aiutarci a non commettere altri sbagli, a compiere sempre le scelte giuste. Diventare genitori lascia deboli e sciocchi come siamo sempre stati... con un peso che non sempre siamo in grado di portare. Io non lo sono stato" soggiunse, e la sua voce ebbe una profonda vibrazione dolorosa.

"Ma questo, all'inizio, i nostri figli non lo sanno. Noi padri specialmente sembriamo sempre belli, invincibili, saggi, intelligenti... noi siamo tutto: protezione, amore, vita, nutrimento. Ripongono in noi la massima fiducia, ci vedono come depositari di ogni potere e facoltà; e il peggiore tradimento che possiamo compiere nei loro confronti è di non portarli al parco perché piove..."

"Ma la loro cecità non dura per sempre, e verrà sempre, per tutti, un giorno in cui i nostri figli ci guarderanno negli occhi, e ci domanderanno: perché hai fatto questo? Non ti eri reso conto che era un errore? Come hai potuto farlo? Quel giorno non potremo più far finta di essere bravi e forti, bearci della considerazione di cui avevamo goduto nei loro occhi... Dovremo confessare tutto quello che abbiamo fatto. E non ci rimarrà nient'altro da fare che chiedere loro di perdonarci, di comprendere che siamo stati umani, non soltanto per nostra colpa... sperare, finalmente, che ci perdonino. Ma a loro volta, anche loro sono umani, umani come siamo noi! E non è detto che essi vogliano, o sappiano perdonarci per gli errori che abbiamo fatto; errori che forse, dopotutto, anche loro compirebbero al posto nostro, o che avrebbero compiuti se noi non l'avessimo fatto prima di loro..."

"E tuttavia, rimane quello il nostro unico compito, Rosso: tutto quello che ci resterà da fare, da tentare... è chiedere perdono e sperare che i nostri figli siano in grado di darcelo. Forse è tutto quello che ho voluto fare io, alla fine."

"Blu ti ha perdonato" disse debolmente Rosso. Non sapeva quasi cosa dire. Ma Giovanni ebbe un sorriso sardonico.

"Blu ha perdonato anche te, se è per questo. Quasi senza averla conosciuta, Blu ha preso da sua madre... qualcosa in più di ciò che aveva lei stessa, forse. Anche sua madre ha sempre saputo perdonare... certo, è giunto il momento in cui le cose da perdonare sono diventate imperdonabili, e lei mi ha abbandonato. Al contrario di lei, Blu ha saputo perdonare anche l'imperdonabile. Blu mi ha perdonato quando sono tornato..." Rosso si sentì pieno di vergogna a queste parole, come sentendosi di aver abusato di quella grande generosità di Blu. Giovanni parve cogliere il suo disagio.

"Blu ti ama nel modo meno umano che conosco, Rosso. Ha saputo perdonare i tuoi errori, le tue mancanze, le tue sciocchezze. E lo stesso ha fatto con me. Non è facile per noi uomini perdonare, Rosso. Ma che strana la vita, non è vero, vecchio mio? Nella mia, ho generato un figlio meraviglioso, capace di comprendere, amare, perdonare; e il più potente fra tutti i Pokémon, una creatura leggendaria, divina, immortale, ma tanto legata alla terra da essere totalmente incapace di perdonare..."

Calò il silenzio, finalmente. Pareva che Giovanni fosse ormai rassegnato, quasi sollevato dall'aver condiviso con lui quella conclusione che faticosamente, quasi per miracolo aveva riportato da quella grotta. Rosso continuò lentamente a camminare, con gli occhi chini sul biondo capo di Drake proteso verso gli arbusti e le rocce a lato della strada... era dunque questo che avrebbe dovuto fare, un giorno? Guardare suo figlio negli occhi e dirgli tutta la verità, tutti i suoi errori, sperando che lo perdonasse, che non lo disprezzasse...?

"Oh, guarda. Eccolo. Lo vedi?"

La voce di Giovanni gli giunse come da una grande lontananza. Gli parve immensamente serena. Alzò lo sguardo dal passeggino: sì, dall'ombra grigia emergeva una magra figura slanciata, che camminava con passo leggero ed elastico. Sì, Giovanni aveva ragione, considerò dolcemente: l'amore di Blu, la sua capacitù di perdonare, ancora poco aveva di umano, di terreno. Chissà se anche Drake avrebbe saputo perdonare.

"Pensi che Drake si offenderebbe se lo spingessi io per qualche metro?"

Benché ormai fosse concentrato e attento, gli parve che questa domanda provenisse da una distanza ancora maggiore. Non c'era alcun dubbio su cosa Giovanni intendesse, allora perché era tanto sorpreso? Forse, gli disse un angolo remoto della sua mente, perché mai Giovanni gli aveva rivolto alcuna richiesta. Sì, educatamente, gli aveva chiesto il permesso di entrare in casa, di fermarsi a cena, di usare il bagno o il telefono; ma non era una semplice formalità? Quando, anni prima, una vita prima a dire il vero, gli aveva chiesto di unirsi a lui e diventare un suo ufficiale, era stato un invito, quasi una sfida: ma non era mai stata una richiesta. Quella, inevitabilmente, lo era.

"Penso che ne sarebbe onorato" disse infine. Chissà come, quelle parole non gli costarono alcuna fatica. Gli lasciò il passeggino, ritraendosi di qualche passo, e continuarono a passeggiare lentamente, incontro a Blu, lungo l'ingrigire del giorno.



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Capitolo 6
*** Epilogo. ***



Ora i miei occhi vedono

perché vedono te.


Bugo, Ora i miei occhi vedono.


Il giorno in cui Drake compì nove anni, Rosso non si sentì immediatamente più vecchio. Al contrario, trascorse una giornata piacevolissima con la sua famiglia e nel primo pomeriggio si occupò volentieri della festa di compleanno: ricevere gli ospiti, intrattenere i genitori, sorvegliare i giochi...

Era una bella giornata e i bambini giocarono perlopiù in giardino, urlando e rincorrendosi e sporcandosi i vestiti. Rosso li sorvegliava dalla porta, girandosi pensierosamente in mano un piatto di plastica ormai vuoto, e sorrideva delle loro urla. Quanto tempo era passato da quando anche lui aveva giocato agli stessi giochi in quel giardino, rincorrendosi con Blu?

"Papà, papà, stasera posso andare a dormire dal nonno? Ha detto che domattina mi fa vedere i Pokémon del suo parco!" esclamò a un tratto l'acuta voce di Drake. Sorpreso, Rosso chinò gli occhi a incontrare quelli del figlio: era arrivato correndo di gran carriera dal cancello, dove si stava affacciando in quel momento Oak. L'anziano professore camminava ormai a passi tardi e lenti, affaticati, eppure conservava ancora una vitalità instancabile, una voglia di vivere, scoprire, indagare... Rosso sollevò una mano a salutarlo, prima di chinarsi di nuovo sul figlio: aveva le guance arrossate per le corse e i giochi, la fronte lucida di sudore, i biondi capelli come fili sottili, scarmigliati e umidi. Rosso glieli sistemò con la mano, sorridendo: anche lui, un tempo, era stato così impetuoso, dinamico, vivace.

"Certo, Drake. Ora vai ad aiutare tuo nonno e fallo accomodare in casa, poi torna pure a giocare coi tuoi amici. Io arrivo subito. E non tormentarlo per sapere se ti ha portato un regalo!" lo ammonì poi, ma inutilmente: Drake stava già correndo attraverso il vialetto, gridando esattamente la frase che Rosso gli aveva appena raccomandato di non dire.

Scuotendo il capo, Rosso rientrò in casa e andò al piano superiore alla ricerca di Blu: era salito da quasi quindici minuti, ma ancora non era ridisceso. Tuttavia il bagno era vuoto, la loro camera deserta: dove poteva...

Ma certo. Blu era in piedi, immobile sull'uscio di quella camera: teneva le braccia incrociate, la spalla appoggiata contro lo stipite della porta. Era in silenzio: si limitava a osservare la cameretta di Drake, i poster appesi alle pareti, i mobili verniciati di bianco, il copriletto con una delicata fantasia di Vileplume e Bellossom, i costosi giocattoli sugli scaffali, la culla che avevano lasciato, quando ancora non sapevano se volevano adottare un altro figlio...

"Blu" lo chiamò con un senso lieve d'incertezza: sentiva di starsi intromettendo in un momento molto delicato. Ma Blu non parve turbato: voltando leggermente il capo verso di lui, sorrise appena e tornò a dargli le spalle, forse per nascondere il naso arrossato e le palpebre gonfie. "Amore."

In due ampie falcate, Rosso fu al suo fianco e lo avvolse tra le braccia. Blu non si oppose: affondò interamente nel suo petto, sorridendo appena, e levò gli occhi su di lui. Sì, aveva pianto. Rosso lo scrutò vivamente.

"Blu, amore... che cosa c'è?"

"Non importa. Solo un po' di malinconia. A te non capita mai?"

"Non in camera di Drake" affermò Rosso seriamente. "Che cos'hai?"

Blu scosse lentamente il capo: Rosso, che lo conosceva bene, seppe che stava trattenendo le lacrime. Quando parlò, la sua voce suonò leggermente più alta del normale.

"Sono già passati nove anni, Rosso. Tra un anno vorrà avere il suo primo Pokémon, partirà per qualche viaggio... non potremo più proteggerlo."

"Oh, Blu..." incominciò Rosso, ma subito Blu lo interruppe: "No, Rosso. Non sono paranoie da mammina iperprotettiva: è la verità. Quando dico che non potremo proteggerlo non mi riferisco ai malintenzionati, agli incidenti... parlo di lui, delle scelte che potrebbe compiere."

"Drake è un bambino intelligente."

"È tuo figlio" ribatté Blu. Non c'era rancore nella sua voce. "È testardo, impetuoso..."

"Non è affatto ambizioso, però." Rosso aveva capito dove portava il discorso di Blu, o almeno così gli sembrava. "La danza gli interessa quasi più dei Pokémon." Era vero: da quando Drake aveva insistito per essere iscritto a scuola di danza, due anni prima, questa era diventata una delle sue più grandi passioni. Rosso aveva avuto il sospetto che all'origine di questa sua scelta vi fosse una graziosa bambina con le trecce nere, ma in ogni caso Drake adorava veramente ballare.

"Non esiste solo l'ambizione, Rosso" disse Blu. "Ci sono altre passioni... altri difetti."

Rosso sorrise nei suoi dubbi, intrecciando lentamente le dita nei suoi capelli. "Hai paura che diventi come me?" domandò dolcemente. Blu scosse il capo.

"Ho paura che diventi infelice, come sei stato tu" replicò semplicemente. "Non parlo solo del suo viaggio. Noi non ci saremo per sempre e non sempre saremo coinvolti nella sua vita. Non potremo sempre esprimere il nostro parere quando sceglierà a chi legare la sua vita, che lavoro fare..."

"Ma Blu" insisté Rosso, afferrando le sue spalle come se volesse riscuoterlo da questi pensieri "Drake non ha ancora dieci anni!"

"Appunto, mio caro" mormorò Blu teneramente, come se questo fosse esattamente il fulcro del problema. "Dieci anni! Tanto poco l'avremo avuto con noi!"

Dieci anni. Loro stessi ne avevano quasi trenta, li avrebbero compiuti l'anno seguente: voleva dunque dire che erano trascorsi quasi vent'anni da quel giorno in cui avevano scelto i loro Pokémon, si erano sfidati in quel laboratorio...? Per la prima volta Rosso vide quei vent'anni incisi, scavati nel volto di Blu; li lesse nella piccola ruga verticale che gli vide per la prima volta tra gli occhi, mentre era così accigliato... l'accarezzò pensierosamente con un dito. Vent'anni...

"Scendiamo, altrimenti mia madre penserà che ci siamo appartati, alla nostra età" si costrinse a dire scherzosamente nel tentativo di esorcizzare quel pensiero. Anche Blu rise all'idea e si asciugò per l'ultima volta gli occhi con la mano.

"Giusto, scendiamo."

"A proposito, Drake vorrebbe andare a dormire da tuo nonno stanotte. Gli ho detto di sì" lo informò mentre si avviavano verso le scale. Blu assentì.

"Hai fatto bene. A mio nonno fa bene un po' di compagnia. Ed è tanto che noi due non stiamo un po' da soli" soggiunse superandolo lungo le scale con una risata maliziosa. Rosso ne sorrise: era tanto che non udiva quella risata.


Anche se la casa del suo bisnonno distava forse cinque minuti e sarebbe stato di ritorno il giorno seguente, Drake si portò dietro come al solito una piccola valigia piena di giocattoli, libri e vestiti adatti a tutti i climi. Rosso e Blu andarono a salutare lui e Oak in giardino e Drake li salutò seriamente come se fosse in procinto di partire per una piccola guerra.

"Addio, papà: ci rivedremo domani mattina!" furono le sue ultime parole prima di scomparire aldilà del cancello.

"Chissà da chi ha imparato a parlare così" commentò Blu a mezza voce, in tono divertito. Rosso lo guardò sorpreso: "Da chi?"

"Ma da te! Non fosti tu a dirmi, quando avevamo undici anni, che la mia serenità placava il tuo animo avido e ambizioso o qualcosa del genere?" lo rimbeccò Blu ridendo apertamente. Neppure Rosso poté trattenersi dal ridere a quel ricordo, quello dei suoi discorsi infantili elevati e altisonanti. Gli diede una pacca sul sedere e Blu si scostò divertito da lui, apprestandosi a rientrare in casa.

"Vado dentro a sistemare un po' di quegli avanzi. Tu vieni?"

"Arrivo tra un minuto" rispose Rosso distrattamente. Blu rientrò in casa socchiudendo la porta.

Era una serata calda, piacevolmente ventilata. Immobile sul vialetto, Rosso inspirò profondamente quell'aria tiepida e profumata, l'aria della sua casa a Biancavilla, e quasi per un'abitudine lasciò vagare lo sguardo sull'orizzonte. Quella sera l'aria era limpida, ogni cosa aveva un contorno nitido, nettamente definito. Si vedeva anche, piccolissima a quella distanza, la cima della Torre dell'Avvento - così era stata chiamata l'elevata Torre che Missingno aveva innalzato per celebrare l'inizio della sua Età dell'oro. Quella sera Rosso v'infisse lo sguardo con particolare fissità: per qualche motivo, aveva sempre sentito quell'edificio come la risposta a ogni suo affanno.

"Avvento di Missingno" ripeté tra sé, rievocando le parole che su quella Torre erano incise. Erano davvero trascorsi dieci anni da quel giorno in cui Luisa gli aveva descritto il vero significato della sua maledizione, gli aveva spiegato che il suo sacrificio l'aveva portata a salvare il mondo intero dal destino che Celebi, senza volere, aveva imposto a tutti compiendo il peccato originale? Sorrise pensierosamente, riflettendo su quell'idea che gli era balenata in mente nel momento in cui Blu gli aveva confidato i suoi timori sul futuro di Drake. Ecco, concluse finalmente levando gli occhi su quella Torre, quella sera, dopo anni, aveva compreso qual era veramente il dono che Missingno gli aveva fatto per ripagarlo di tutti i suoi dolori, come gli aveva promesso nella Città dei Numeri: era lo stesso dono che aveva fatto a tutta l'umanità, ma lui solo, ancora, sembrava esserne consapevole. Missingno gli aveva permesso di liberare suo figlio, facendolo contribuire al supremo atto di redenzione compiuto da Luisa, e mai nessun dono, nessun risarcimento al mondo avrebbe potuto costituire per lui maggiore fonte di felicità in quel momento. Drake sarebbe stato veramente libero anche grazie a lui, che libero non era stato. Ne era valsa la pena, dunque, di perdere dieci anni di vita, per poter vivere e morire sapendo di aver lasciato in eredità a suo figlio non un destino inestricabile, ma un'infinita libertà...

Per la prima volta in vita sua, quella sera Rosso fu grato a Missingno per averlo scelto per quella missione. Levando la mano in direzione della Torre, egli finalmente si riconciliò con lui e poté salutarlo come un vecchio amico. E poiché egli sapeva che Missingno è in tutti i luoghi e in tutte le cose, non ebbe bisogno di essere troppo vicino alla Torre per percepire la sua risposta: era il dolce frusciare del vento, era la serenità che prese le sue membra, era la risposta che poteva dare al suo uomo.

Rientrò lentamente in casa. Trovò Blu in cucina, intendo a sistemare gli avanzi della festa del pomeriggio nel minor numero possibile di contenitori. Scivolò in silenzio alle sue spalle e circondò con le braccia la sua vita sottile. Blu sobbalzò per la sorpresa, ma rise quando sentì le sue braccia avvolgerlo e poggiò quello che aveva in mano. "Oh, Rosso..."

"Blu" mormorò Rosso, affondando il volto nell'incavo del suo collo. "Ho capito."

"Capito cosa?"

"Che Drake è libero, Blu. Che tutto ciò che farà, lo farà non per un destino impostogli, ma perché lo avrà scelto liberamente. E che tutto ciò che noi potevamo fare l'abbiamo fatto, nel miglior modo possibile: l'abbiamo allevato, educato secondo i nostri valori. Non ci era possibile nulla di più."

"E quindi?" chiese Blu con calma. Facendo leva sui suoi fianchi, Rosso lo fece voltare verso di sé e infisse lo sguardo in quelle iridi azzurre soavemente amate. Scorse di nuovo tra i suoi occhi quella piccola ruga verticale, dolorosa, e la baciò. In quel momento sentiva che non avrebbe potuto amare nulla di più di quella ruga accigliata.

"Da un certo momento in poi non ci sarà più nulla che potremo fare per Drake, se non rimanere qui, esserci sempre se avrà bisogno di noi, pregare che non gli accada nulla e che sia sempre felice. Non potremo dargli nulla di più di noi stessi, del nostro amore incondizionato... so che non è nulla di più di quello che mi hai detto tu oggi pomeriggio" soggiunse vedendo un'ombra di melanconia nei suoi occhi "Ma è questa la verità, Blu. Nessuno può garantire per la felicità di Drake. Tuttavia..."

"Tuttavia?"

"Tuttavia io ti prometto che Drake sarà veramente libero. E ti prometto anche che se dovremo rimanere qui, soli, ad aspettare che ritorni o che ci dia sue notizie, o che ci telefoni una volta all'anno dalla sommità di un monte dove si è ritirato per allenarsi" proseguì con una lieve nota ilare nella voce "Io attenderò con te vicino a quel telefono, per tutta la vita, se sarà necessario."

Per un attimo Blu chinò gli occhi confuso a queste parole: non sembrava che fosse quella la risposta che voleva da Rosso. Ma dopo un momento levò di nuovo lo sguardo e sorrise.

"Grazie" mormorò cingendogli il collo con le braccia. "E chi te lo ha detto che Drake sarà libero? È uno di quei discorsi filosofici che fate tu e mio padre quando io non ci sono?" chiese poi in tono canzonatorio. Rosso sorrise: "Più o meno."

"A proposito, viene domani a cena."

"Nessun problema" commentò Rosso distrattamente, facendo per allontanarsi a questo punto dalla stretta delle sue braccia. Ma Blu non sembrava affatto intenzionato a lasciarlo andare: era stupefacente quanta forza potessero esercitare le sue braccia magre quando si stringevano per abbracciarlo. A Rosso piaceva quella forza: gli pareva che fosse l'espressione fisica della grande dolcezza del suo cuore. Perciò rimase tra le sue braccia e lo strinse ancor più a sé.

"Rosso..."

"Sì?"

"Ti amo ancora come tanto tempo fa."

Rosso sorrise. Aveva affondato il volto nei capelli di Blu, quei riccioli rossi che gli parevano emanare un profumo meraviglioso, il profumo della sua casa. "Ti ho amato un po' di più per ogni giorno che abbiamo trascorso."

Blu lo guardò dolcemente. "Allora spero che mi ami davvero tanto. Abbiamo quasi trent'anni, Rosso. Sto cominciando a sentirmi incredibilmente vecchio. Anche tu ti senti più vecchio?"

Sì, qualche volta si sentiva vecchio. Tuttavia provò a minimizzare: "Mi sento più maturo."

La meravigliosa risata di Blu, cristallina, immutabile, liberatoria. "Smettila! Stiamo invecchiando tutti e due. Scommetto che non saresti più in grado di portarmi al piano di sopra in braccio come hai fatto la prima volta..."

Blu sapeva perfettamente che Rosso non poteva resistere a una sfida lanciatagli.


Drake aveva adorato l'idea del campeggio in giardino sin dal momento in cui Rosso gliel'aveva proposta. Quel pomeriggio Blu era partito alla volta della Lega Pokémon per presenziarvi come Capopalestra: Rosso, che forse ipocritamente detestava i giorni e le notti che trascorrevano divisi, come ogni anno l'aveva lasciato andare con un velo di malinconia, ma sforzandosi di non farglielo notare, e semplicemente gli aveva ricordato di invitare a cena Luisa e i suoi fratelli il prima possibile. Tuttavia quell'anno reputava di aver avuto davvero una buona idea per ignorare quel senso di vuoto destinato a durare pochissimi giorni, e soprattutto per farlo superare meglio anche a Drake.

Avevano riesumato la sua vecchia canadese blu e l'avevano montata sul prato al tramonto. Avevano mangiato carne alla brace nel giardino ammantato d'ombra e, anche se non era neppure la prima volta che usavano il barbecue quell'estate, il cibo aveva davvero un sapore migliore se consumato in "campeggio". Poi, circondati dalle lucciole, avevano parlato a lungo nella notte, con voci progressivamente più basse e più simili a fruscii via via che tutte le luci, a Biancavilla, si spegnevano. Quando divenne troppo tardi e troppo freddo, si spostarono all'interno della piccola tenda e continuarono a parlare ancora più a lungo, al buio, stretti l'uno all'altro nel sacco a pelo.

"Papà, mi racconti perché sei salito sul Monte Argento?"

"Oh, Drake, ma te l'ho raccontato centinaia di volte!"

"Dai papà, per favore..."

Al buio, Rosso non poteva vedere Drake, eppure riusciva a immaginarsi perfettamente il suo volto pallido e lentigginoso tutto speranzoso e ansioso di sentire per l'ennesima volta la sua storia preferita, con gli occhi pesanti di sonno. Certo, Drake sapeva più o meno tutto della vita dei suoi genitori: sapeva vagamente che lui aveva vissuto grandi avventure, aveva sconfitto l'impero di suo nonno, era stato considerato per anni un allenatore invincibile e quasi leggendario, vivendo in isolamento sulle cime del Monte Argento... sapeva che lui e Blu erano rimasti separati per anni prima di tornare insieme e adottarlo, ma lo sapeva come una semplice curiosità, come una sciocchezza tra adulti, e nulla di più. Conosceva anche la follia di Rosso, la sua ambizione, non nei dettagli, certamente, ma la vedeva come una grande qualità eroica del suo papà. Nessun significato avevano per lui quei dieci anni trascorsi in completa solitudine: dieci anni erano un tempo tanto lungo per lui da non essere nemmeno concepibile, un po' come quando diceva: cento milioni di miliardi di milioni di miliardi di anni. Un tempo tanto lungo da non essere niente, insomma.

Così Rosso gli raccontò di nuovo della sua ambizione, della leggenda della Prescelta Creatura, della sua volontà di diventare realmente invincibile... Drake lo ascoltava nell'oscurità col fiato sospeso: la sua parte preferita era quando lui scalava per la prima volta il pendio ripido del monte.

"Papà, ma c'erano gli Ursaring?"

"Già, c'erano anche degli Ursaring" spiegò Rosso per l'ennesima volta.

"E anche i Misdreavus?"

"Certo. Un sacco di Misdreavus." Drake adorava i Misdreavus. Rosso doveva trattenersi all'idea di rivelargli quale regalo avesse in serbo il professor Oak per il suo prossimo compleanno e ci riusciva solo pensando a quale stupore si sarebbe dipinto sul suo volto alla vista di quel Misdreavus shiny...

"Ma tu non avevi paura?"

Questa domanda era nuova. Rosso fece una pausa prima di rispondere: "Sì, qualche volta ho avuto paura."

"E non avresti mai voluto tornare a casa?"

Come dirgli che tornare a casa era il suo più grande desiderio, ma tornarvi da vincitore, da Prescelta Creatura, col consenso di Ho-Oh, col beneplacito di Missingno? Nell'oscurità di quella tenda, Rosso rivide la sommità estrema della montagna dove solo lui aveva osato mai spingersi: da quella cima, da quella guglia rocciosa elevata verso l'infinito, nei suoi momenti di pazzia, Rosso si era scagliato contro il cielo, urlandogli la sua rabbia e la sua disperazione, disperatamente desiderando gli occhi di Blu, ma sempre senza poter rinunciare alla tragica fatalità di dover compiere la maledizione di Missingno. Da quella cima, quando follemente si era sentito invincibile, aveva furiosamente urlato contro il cielo che era lui la Prescelta Creatura, che era il più forte del mondo; da quella cima, finalmente, disperatamente aveva pregato e pianto, supplicato e implorato Ho-Oh di discendere a lui, di riconoscerlo, aiutarlo, salvarlo; aveva pregato Celebi, non osando nominare il nome di Missingno per timore di udire ancora la sua voce, di sciogliere le sue catene, di dargli la forza di tornare a casa.

"Certo, molte volte."

La voce di Drake cominciava a farsi più lenta e impastata di sonno. "E allora perché non sei tornato?"

Intuendo che stava per addormentarsi, Rosso lo fece sistemare meglio col capo sul proprio petto, prima di rispondere molto lentamente. "Perché ero troppo ambizioso, perché non m'importava di niente e di nessuno, fuori che del mio sogno. Perché..."

Ma Drake si era addormentato. Rosso rimase immobile ancora a lungo, accarezzando con la mano i suoi sottili capelli biondi, con lo sguardo infisso nel tessuto scuro della tenda sopra di lui. Attorno a loro, fuori da quella tenda, la notte era silente e immota. Drake gli aveva appena posto la domanda che da sempre paventava da lui, ma ancora non si era reso conto dell'importanza di quella domanda, né delle implicazioni della sua risposta.

Un giorno forse non troppo lontano, un Drake più alto, più adulto, con gli stessi limpidi occhi azzurri gli avrebbe probabilmente fatto la stessa domanda e non si sarebbe più accontentato di quella risposta solamente. Quel giorno Rosso avrebbe dovuto parlare molto più a lungo, dare molti più dettagli, dire infine ad alta voce quella verità che profondamente l'aveva tormentato in quei lunghi anni, che ancora non aveva avuto il coraggio di rivelare a nessuno sebbene tutti, probabilmente, la sapessero già; la verità che gli faceva bruciare la gola e gli occhi se appena provava a mormorarla...

"Neppure per te sarei tornato, Drake."

Sentì una lacrima bruciagli all'angolo dell'occhio e se l'asciugò piano, attento a non svegliare il suo bambino addormentato. Un giorno, si disse stringendosi ancor più Drake al petto, gli avrebbe rivelato anche quella verità guardandolo negli occhi, fronteggiando la sua reazione... e confidava che quel giorno suo figlio l'avrebbe compreso e perdonato, finalmente.


Fine.


È per me quasi un dolore finire questa storia, dopo avervi lavorato per quasi un anno, anzi di più. Tuttavia, tutte le cose devono finire, e devo dire che non potrei essere più soddisfatta di questo epilogo. Dopo aver provato a scriverlo per mesi e mesi, ieri sera ho avuto un'illuminazione improvvisa: ho cambiato completamente l'idea iniziale e l'ho buttato giù tutto d'un fiato. E lo preferisco così.

Non so se qualcuno starà ancora seguendo questa storia a distanza di mesi dall'ultima pubblicazione; in ogni caso, come mio solito, tengo a fare i dovuti ringraziamenti.

Un sentito grazie ad Animalia1Dfan, cristal_93, Giandra, Linnea, Marie Claire, Sky98 per aver aggiunto la storia ai Preferiti; grazie a DanaYume, Linnea, pikaendpichu98 per averla aggiunta alle Seguite; grazie a pikaendpichu98,cristal_93, Sky98 e Fiulopis per le cortesi recensioni.

Aggiungo un sentito ringraziamento personale a Fiulopis per il suo continuo sostegno personale. La parte in cui Rosso e Blu discutono sul modo di parlare di Drake la dedico ovviamente a lei, che mi rinfaccia questo aspetto della storia da quando ho postato Storia di Rosso e di Blu.

In generale, grazie vivamente a tutti anche solo per essere giunti fin qui, per avermi sostenuta e letta durante tutta la pubblicazione della mia Saga.

A presto!

Afaneia


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