Diciassette anni in ventiquattro ore

di UnicornDead
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** From one to four. ***
Capitolo 2: *** From four to eight ***
Capitolo 3: *** From eight to eleven ***



Capitolo 1
*** From one to four. ***


Diciassette anni in ventiquattro ore

From one to four


Diciassette anni in ventiquattro ore. Non è assurdo? No, se pensate a qualche stupida Pozione.
Oh, io mi chiamo Samantha, Samantha Slewyn, ho diciassette anni e sono felicemente fidanzata. Credo sia meglio che voi sappiate che sono una strega e frequento il settimo ed ultimo anno alla Scuola di Magia e Stregoneria di  Hogwarts, nella casata di Serpeverde.
Ma non sono qui per raccontarvi la mia vita, bensì vi narrerò una storia molto più interessante riguardante il mio ragazzo, Jason Adams, un diciassettenne dai capelli dorati nato due mesi dopo di me, Grifondoro.
Credetemi, sarà molto interessante, per cui prendete quei cosi che voi babbani chiamate pop-corn e mettetevi comodi.
 
Avete mai sentito parlare delle Pozioni Ringiovanenti, quelle che ti fanno rivivere i principali anni della tua vita in un giorno? Io sì, e posso dirvi di aver avuto la fortuna/sfortuna di aver vissuto un momento davvero bizzarro.
 

Sembrava un normalissimo fine settimana, il sole splendeva alto nel cielo ed io tornavo a scuola con alcune amiche da Hogsmeade –era stata la gita più corta della mia vita, ma sapete, Julia si era rotta un unghia e se non l’avesse curata subito si sarebbe messa ad urlare davanti a tutti, così per l’ora di colazione, quindici minuti dopo la nostra partenza verso il villaggio, eravamo già di ritorno-.
La Sala Grande era ancora quasi completamente piena di studenti accalcati che ai propri tavoli mangiavano come bestie. Come mio solito, avevo spostato lo sguardo verso la tavolata dei Grifondoro per un saluto veloce al mio ragazzo, ma non c’era traccia di lui; al contrario, una sua amica, Lucy, mi aveva vivacemente salutato con la mano e fatto segno di avvicinarmi. Ma cosa voleva? Oh, scusate, non vi ho detto che lei è, nella mia testa, il nemico da sconfiggere –sta sempre appiccicata a Jason ed ho paura che un giorno riuscirà a soffiarmelo, ma questa è un’altra storia-.
Pur di malavoglia, avevo finto in viso uno dei miei sorrisi più dolci e mi ero avvicinata, abbastanza da notare che in grembo portava un bambino di sì e no un anno; non mi aveva dato nemmeno il tempo di aprir bocca.
«Guardalo, Samantha! Non è dolce?»
Quale persona sana di mente avrebbe portato un bambino così piccolo ad Hogwarts? E chi era quello, forse suo fratello? Suo cugino? C’era da ammettere, però, che era dolcissimo.
«Lui è… beh, è Jason!»
Lucy imboccava con un cucchiaio di porridge il piccolino ed io, intanto, ero rimasta paralizzata.
Jason? Uno scherzo della natura? Di che stava parlando?
Dopo il mio lungo minuto di silenzio, ero scoppiata in una fragorosa risata.
«Salazar, Jason! Ma che stai dicendo?»
Vi giuro che non riuscivo a smettere di ridere, ma l’altra ragazza era più seria che mai e, a pensarci bene, non l’avevo mai vista così, per cui il mio fracasso ad un certo punto era cominciato ad alleviarsi.
Dalla sua espressione tutto sembrava così reale, ma io non potevo crederci, non VOLEVO crederci.
«Ascolta, Sam, l’abbiamo fatto controllare al professor Lumacorno e ci ha detto che si tratta di una Pozione Ringiovanente. Tu sei brava in quella materia, sai di che cosa si tratta, ver…?»
«Certo!» mi ero affrettata a rispondere.
«Qualcuno avrà voluto fargli uno scherzo, ma non ti devi preoccupare, si tratta di sole ventiquattro ore, e poi oggi è Domenica, non ci sono lezioni.»
Il mondo mi era crollato addosso e non riuscivo a spiccar parola. Il mio ragazzo era un bambino di un anno, cosa potevo fare? E cosa più importante: perché non ero io a badargli, ma la sua amichetta?
La mia voce si era amaramente addolcita come mai prima e avevo chiesto a Lucy di porgermi il bambino.
«Ma è così carino! Non preoccuparti, ci penso io a lui, vai a fare colazione!»
‘Vai a far colazione?’ ‘Ci penso IO?’ Ma cosa credeva, che gli avrei lasciato in braccio il mio fidanzato finchè non avesse raggiunto la sua vera età? Il mio sguardo era totalmente cambiato, ora avevo un istinto omicida e la voce era più rigida; non avrei accettato un ‘no’ tanto facilmente.
«POSSO AVERE IL MIO RAGAZZO, LUCY?»
Ammetto che in quell’attimo mi ero fatta paura da sola, ma almeno quella biondina cotonata si era convinta ad obbedirmi, così mi aveva dato in braccio Jason ed io finalmente mi ero diretta con lui nella Sala Comune dei Serpeverde. In teoria lui non aveva il permesso di entrarci, ma sapete una cosa? Non me ne importava un accidenti!
All’interno il clima era di gran lunga più tranquillo, la Sala era completamente vuota ed avevo posato il piccolo su un divanetto comodo, di fronte al camino spento, ed avevo fatto una corsa di una durata di cinque-sei secondi nel dormitorio femminile per posare la borsa con i miei galeoni.
Al ritorno da lui, ero saltata in aria per la sorpresa: il bambino di un anno era improvvisamente cresciuto di altri tre anni, a vista d’occhio, e continuava a fare quei versi strani che fanno i bambini, ma adesso con qualche parola. Un bambino di quattro anni mi ero ritrovata, perfetto.

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Capitolo 2
*** From four to eight ***


From four to eight
 

Il Jason di quattro anno era sdraiato sul divanetto della Sala Comune  a succhiarsi il pollice e a guardare il soffitto. Lo osservavo da una minuscola lontananza e sorridevo: era davvero il bambino più dolce che io avessi mai visto. Mi avvicinai a lui e mi sedetti al suo fianco –avrei voluto prenderlo in braccio e cominciare a coccolarlo come non avevo mai fatto prima, ma riuscii a trattenermi-, così mi limitai a guardarlo e a comportarmi come una mamma fa con il proprio figlio –la cosa strana era che lui fosse il mio ragazzo-.
«Ehi, piccolo, non si mangia il dito! Fa ‘chifo!» cominciai a parlare come un bambino così che lui potesse sentirsi a proprio agio, ed inoltre era molto divertente. Ecco che cominciò la mia risata silenziosa.
«Ma i’ dito è buono.»
«Oh, no, il dito fa ‘chifo!»
A quante pareva, non riuscii a trattenermi per molto, perché immediatamente me lo ritrovai tra le braccia, con la sua testa poggiata sul mio petto.
«’Ucy! ‘Ucy mi ha peso in baccio!»
“Che cosa?” pensai all’inizio, ma poi quando scandì meglio le parole capii che la traduzione fosse “Lucy mi ha preso in braccio”. Il mio sorriso si spense un attimo, ma presto si allargò nuovamente.
«Lucy ti ha preso in braccio, eh? Mh, bene, allora adesso tocca a me a prenderti in braccio! E non ti lascio più, piccolo!»
Lo feci volare come se fosse un aereoplanino in miniatura e lo misi per un po’ a testa in giù per vedere se avesse paura o si divertisse; si divertiva, sì, ma non appena gli sembrò di cadere si aggrappò a me, come una scimmia. Ridacchiai e lo rimisi per bene tra le mie braccia, facendolo dondolare di qua e di là.
«La vuoi una cioccorana?»
«Fì.»
Era la dolcezza in persona, il mio cuore per poco non si scioglieva.
«Ah, se solo tu rimanessi così per sempre…»
Non credevo che avessi potuto dire una cosa simile, e, per quanto non lo immaginavo possibile, neanche lui lo credeva.
«'Osa? No mi vuoi come Jason? Jason nommale?»
In quell’attimo rimasi paralizzata. No, non era quello che intendevo, eppure era quello che avevo detto. Come lo spiegavo ad un bambino di quattro anni?
«Oh, Jason, ma certo che ti rivoglio indietro! Io ti amo e non resisterei un altro giorno in queste condizioni. Dicevo solo che così sei davvero bellissimo, più del solito.»
«Ma io tono tempre belliffimo.»
Lo guardai negli occhi, ancora gli stessi occhioni azzurri e lucenti di sempre, e accarezzandogli il viso confermai: «Sì, sei sempre bellissimo, amore mio.» Gli diedi un bacio sulla fronte e cominciai a cullarlo tra le mie braccia; sembrava che si stesse addormentando, ma invece il suo intento era solo rilassarsi.
«Saesti una mamma peffetta.»
Nella mia mente non vagavano altro che tanti “owh”, “che carino”, “ma è bellissimo” e commenti vari. Il bambino continuava a dondolare tra le mie braccia, mentre gli accarezzavo i capelli e lo riempivo di baci sulle guanciotte tenerissime da scoiattolo.
«Adesso però un bacetto lo voglio io, Jason!» Indicai la mia guancia destra con un dito, quando subito ricevetti una risposta pronta che non mi aspettavo affatto.
«GNO.»
«No?» Scoppiai a ridere, gli feci una pernacchia sulla pancia e lo minacciai con il solletico, ma improvvisamente lui disse di voler scendere.
«Vuoi scendere? Oh, ma no, tu rimani qui con me, per sempre.»
«Per favooe, fammi sceddere!»
Anche quando faceva queste richieste era davvero tenero, ma lui continuava a supplicare ed io non avevo nessuna intenzione di metterlo giù, quando all’improvviso lo sentii più pesante e notai che diventava sempre più alto.
«J-Jason, quanti anni hai?»
«Mettimi giù! Mettimi giù!»
Il bambino leggermente più grosso non supplicava più, ora sembrava dare ordini.
Per quanto potesse essere carino, risultava tremendo.
Doveva avere otto anni.

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Capitolo 3
*** From eight to eleven ***


From eight to eleven

«Mettimi giù, brutta strega!»
Per quanto tutto fosse accaduto velocemente, in poche ore, rimasi stupita da questa richiesta.
“Brutta strega”? Come osava, ero la sua ragazza!
Il Jason di ormai otto anni si dimenava tra le mie braccia e scalciava di qua e di là in attesa di essere messo giù; avrei tanto voluto lasciarlo cadere a terra, in quel momento, ma decisi di calmarmi, non assumere alcuna espressione, ancora con il cervello in confusione per tutto ciò, e lo lasciai scendere.
Non appena toccò il pavimento con i suoi piedi, cominciò a correre di qua e di là per la Sala Comune di Serpeverde; sembrava impazzito, per quanto euforico. Non avevo mai visto un bambino tanto entusiasta.
«Ehi, calmati!»
Gridai, ma invano, perché quel poco più di un metro di vivacità continuò a correre da una parte all’altra, gettandosi sui divani, rialzandosi e mettendo in disordine la Sala, cambiando di posto tutto ciò che si ritrovava fra le mani minuscole.
«Ehi, fermo! Attento al camino, non toccare il fuoco, potresti bruciarti! No, metti giù quei fogli di pergamen—Jason, torna qui!»
Il piccolo sembrava non ascoltarmi e continuava a correre come un pazzo; la situazione non mutò per i seguenti dieci o quindici minuti, quando ad un certo punto mi si fermò davanti, con sguardo furbo.
«Hai una Cioccorana?»
Annuii distrattamente, tirai fuori dalla tasca due delle mie preziose rane di cioccolato e gliele porsi; il bambino in meno di un minuto riuscì ad addentarle entrambe, a strappare le figurine ed a gettare a terra le cartacce –oh, la Sala era un vero macello, se solo qualcuno avesse scoperto di chi fosse stata la colpa, io mi sarei ritrovata in punizione con il signor Gazza a pulire coppe varie nella Sala dei Trofei!  
«Ne hai ancora, Samantha?» mi chiese, stavolta con uno sguardo apparentemente angelico. Ne rimasi affascinata, così farfugliai un semplice “Aspetta che controllo” e mi precipitai su in dormitorio per procurarmi qualche Cioccorana; come immaginavo, ne avevo un’intera scorta nel baule, così ne presi alcune e ritornai giù da Jason.
Un problema più grande di me, però, mi attendeva, mentre il mio sguardo era caduto, preoccupato, sulla porta della Sala Comune che, proprio in quel momento, stava per chiudersi.
«Per Salazar, no! Jas, dove sei?»
Urlare non mi fu d’aiuto, perché era ovvio che ormai il mio ragazzo in miniatura si stava avventurando chissà dove per la parte bassa della scuola; uscii immediatamente dalla Sala, lanciando un’ultima occhiata amara al disordine che avevamo lasciato, e feci una poco faticosa corsa lungo il tragitto che mi avrebbe portata verso la Sala Grande.
Di Jason inizialmente non vi era traccia, ma fui poi molto fortunata a notare un bambino di otto anni avvicinarsi alla Sala di Ingresso, pronto a varcare la porta per raggiungere i giardini di Hogwarts.
Mi precipitai da lui e, senza che avesse il tempo di accorgersene, lo presi in braccio e lo guardai inferocita.
«Cosa ti è saltato in mente? Volevi uscire dalla scuola? Sei impazzito? Qui comando io, hai capito?
Non ti allontanare mai più così!»
Mi aveva fatto prendere un grosso spavento, ma qualcos’altro mi fece saltare: una voce, dietro di me.
«È così che si trattano i primini? Dieci punti in meno per Serpeverde, Slewyn!»
Mi girai appena in tempo per notare il Prefetto di Grifondoro allontanarsi da me ed il primo pensiero a vagarmi per la testa fu il seguente: ma nessuno si rende conto che è troppo piccolo per frequentare il primo anno?
Per osservarlo meglio, mi voltai verso Jason, il cui braccio stavolta stringevo forte così che non potesse scapparmi, e mi resi conto che forse ero stata troppo dura, perché i suoi occhi ora luccicavano, pieni di lacrime pronte a solcare le sue guance. Mi preoccupai subito di dirgli di non piangere e lo abbracciai forte, stringendolo sempre più a me, e lo portai in Sala Grande, senza dire una parola, al tavolo della mia casata.
Nemmeno lui parlò; forse ero stata davvero cattiva.


L’ora di pranzo era ormai vicina, era l’una del pomeriggio, e scommisi che gli elfi domestici avevano preparato per noi un pranzetto con i fiocchi.
Per fortuna il pranzo proseguì molto tranquillamente e velocemente, e riuscii, una volta terminato esso, a trascinarmi Jason nuovamente in Sala Comune, ancora disordinata e vuota come poco prima.
Era diventato stranamente tranquillo, e questo mi tranquillizzò, così lo feci sdraiare sul divanetto di fronte al camino e lui si addormentò per due o tre ore; raggiunsi per la terza volta in quella giornata il dormitorio, stavolta per pettinare i miei capelli, più scompigliati del solito, a causa della confusione causata dal piccolo Grifondoro.
Non appena scesi giù, scossi il capo: Jason era in piedi di fronte a me, leggermente più alto di prima, e stavolta mi guardava malissimo, come fossi il papà severo. Aveva sì e no undici anni.
«Oh, accidenti, un’altra volta!»
Erano già le quattro del pomeriggio; il tempo passava molto velocemente.

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