RACCONTO DI NESSUNO - Lo sguardo di Maude

di suni
(/viewuser.php?uid=4130)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Primo brano ***
Capitolo 3: *** Secondo brano ***
Capitolo 4: *** Terzo Brano ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Sì.

E’ successo.

Di nuovo.

Non guardate lo schermo con quelle facce da pesci lessi – siete graziosi, comunque, anche così -  lo so che non mi esprimo chiaramente. Ci siete abituati, no?

E’ successo di nuovo che mia la mente sta partorendo una nuova, lunga aberrazione Wolfstar. No, non lunga come Just a Black, non credo che potrei mai più sopportare le patologie da manuale di psichiatria del signor Black per un tempo così eterno. Ma comunque abbastanza lunga da superare quasi tutte le altre cose che ho scritto.

Siete felici?

Ragazzi, dai, un po’ di entusiasmo. Annuite, almeno. Non così, però, annuite in modo convincente. Ecco. Bravi. Grazie.

Non vi voglio anticipare nulla. Tanto probabilmente rimarrete delusi in ogni caso (hahah...ehm).

Dico solo questo: pensate di conoscere Remus Lupin e Sirius Black? Sì?

Allora, preparatevi a riscoprirli attraverso gli occhi di Maude.

E buona lettura.

suni (più delirante che mai)

 

 

 

 

__________________________

 

 

 

Dal cassetto della scrivania di Maude Lawson Deval, opera inedita per ragioni evidenti di rispetto della privacy.

 

RACCONTO DI NESSUNO

 

Lo sguardo di Maude

 

 

Prefazione

 

Molte delle conversazioni contenute in questo racconto sono scorrette e re-interpretate. E’ passato molto tempo e la mia memoria non è così buona da restituirmi alla lettera fatti e parole. Ho cercato di ricostruire gli eventi e i dialoghi basati sui resoconti contenuti nel mio diario, ma non sempre questo è preciso e spesso riassumevo i colloqui limitandomi ad elencare sommariamente i punti toccati durante gli stessi. Ho cercato di riproporli rimanendo fedele a quanto da me annotato all’epoca e alle impressioni che ne conservo, alle sensazioni che ancora rammento e all’idea che mi ero fatta di queste persone e della loro maniera di agire e di comportarsi.

Ho scritto queste pagine nella tarda estate del 1998, nella mia casa a Manchester. Sono trascorsi vent’anni dall’epoca dei fatti qui narrati e molte cose non le ho mai sapute io stessa, nemmeno allora. Non posso quindi rimettere insieme l’intero svolgimento della vicenda, ma solo cercare di dare una forma compiuta alle informazioni in mio possesso.

Questa narrazione può risultare inconcludente e verbosa. Ma prende vita a partire da fatti realmente avvenuti e pertanto non poteva che essere indefinita, come lo è la realtà stessa.

La mia scelta di dedicarmi all’argomento qui trattato è dovuta alla volontà di rendere piena giustizia ad alcune eminenti figure della Seconda – e della Prima - Guerra all’Oscuro nella loro dimensione più umana ed autentica, così come io stessa le ho vedute.

Per non dimenticare.

 

 

Maude Lawson

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Primo brano ***


Mi premuro di informare la gentile clientela che gli aggiornamenti saranno discontinui (come se non lo sapeste già…). A chi interessasse saperlo, annuncio inoltre che sì, lo so, sto trascurando George. Non temete, Egli è nel mio cuore e presto tornerà sui vostri schermi. Ma quando questi due qui si impossessano di me, non posso far altro che assecondarli.

suni

 

 

 

 

 

 

Primo brano

 

Il mondo è cambiato, ormai.

La guerra è conclusa e questa volta definitivamente. La gente è di nuovo felice, anche se tanti non hanno veduto questi giorni di gioia e troppe lapidi si sono aggiunte a quelle già esistenti. Molti sono caduti, come molte sono le lacrime che li hanno accompagnati. Ma è finita, per davvero. I miei figli potranno andare a scuola sicuri come tutti i bambini e forse nessuno darà più loro dei sanguesporco.

Ho sepolto degli amici, tuttavia.

E anche loro, loro sono morti. Tutti e due.

E’ passato molto tempo, eppure non li ho mai dimenticati. Non avrei potuto cancellare dalla mia memoria le reminescenze di quei giorni di silenziosa osservazione, la meraviglia per quegli sguardi rapiti e privati, staccati dal mondo in un modo tale che persino io, romantica come un Avvincino, li trovavo incantevoli. Anche se i miei ricordi e i loro visi sono pallide figure sfumate e imprecise, tranne pochissime immagini straordinariamente nitide che mi accompagnano da sempre, ricordo ancora. Perché ai tempi di Hogwarts io e loro due, anche se non avevamo niente in comune, condividevamo un segreto.

Solo che loro non lo sapevano.

E quella storia strana e anormale, che a me sembrò tanto delicata e meritevole, mi ha accompagnata per tutta la vita, lungo la mia strada così diversa dalla loro. Io, che non ho mai avuto lo stesso spirito temerario o il gusto del protagonismo, che mi sono nascosta per paura di una guerra che pure mi riguardava in prima persona, ho incontrato il loro sentiero per solo pochi attimi, nei quali forse ho fatto l’unica cosa davvero ammirevole della mia vita. Tutto ciò che ne conservo sono le pagine del mio diario e questo ciondolo che tormento tra le dita nelle pause della scrittura, ancora allacciato al mio collo dopo tutto questo tempo.

Adesso se ne sono andati, tutti e due, troppo presto. E chissà cosa ne era stato, del resto, di quell’amore che alberga nei miei ricordi. Chissà cosa l’usura del tempo e delle vicende drammatiche che li hanno visti coinvolti aveva apportato al loro affetto.

 Non lo so, e non lo saprò mai, perché tutto ciò che so è quel che vidi e sentii, e trascrissi nei miei diari a frammenti, che poi erano frammenti di altri frammenti. Ho raccolto piccole immagini scollegate e le ho conservate, accuratamente, perché per tutta la vita, nei miei sogni, ho desiderato trovare l’uomo che mi guardasse nel modo in cui Sirius Black, al tavolo della colazione, spostava gli occhi grigi e profondi e li posava con muta adorazione sul profilo armonico e composto di Remus Lupin e sulle sottili cicatrici bianche che gli segnavano il lato del viso, senza che lui quasi se ne avvedesse. E ho sognato che qualcuno mi accarezzasse nella maniera in cui le dita leggere e sicure di Remus scivolavano nella china dei capelli di Sirius come su un tesoro d’inestimabile valore, senza più riuscire a districarsene se non quando vi erano costrette dal sopraggiungere di un intruso.

Un intruso che non fossi io.

E adesso che ci penso mi sembra quasi che non sia stato solo un caso, un’imperscrutabile coincidenza, se proprio quel preciso pomeriggio capitai in quell’esatta aula e li vidi, ma forse – forse – è perché quella storia meritava un testimone, qualcuno che potesse ricordare e mantenere in vita le loro immagini, dopo che il filo sottile, e già allora teso troppo spasmodicamente sul baratro dell’avvenire, sul quale camminavano ad occhi chiusi li facesse precipitare prima del tempo.

Tutto iniziò per via del Ballo di Corvonero.

Nel 1978 ricorrevano mille anni esatti dalla nascita di Priscilla Corvonero, fondatrice di una delle quattro Case della scuola di Hogwarts. Per questo il Preside Silente decise che ci sarebbe stato un Ballo per commemorare il felice evento, esattamente una settimana dopo il rientro dalla vacanze natalizie, un ballo per tutti gli studenti della scuola che avessero già superato il terzo anno di frequenza, o le ragazze più giovani qualora invitate da uno studente che fosse già almeno al quarto.

Io frequentavo il sesto anno a Tassorosso e del Ballo m’importava poco o nulla, per una serie di ragioni strettamente dipendenti dalla mia personalità ma anche in un certo senso esterne. Mi spiego: è vero che con quei miei capelli color spago, sempre arruffati, il mio piatto decolleté e i miei fianchi dritti come quelli di una bimba non avrei potuto aspettarmi grandi attenzioni, a quel ballo, ma è altrettanto vero che non mi interessava riceverne. Avrei presenziato alla serata per evitare che le malelingue infierissero su di me (non amavo attirare l’attenzione, né positivamente né tanto meno negativamente) ma non mi facevo affatto un problema del doverci andare da sola. Sapevo che, se non fosse riuscito a strappare un sì alla fanciulla dei suoi sogni, il mio migliore amico, Seb Deval, avrebbe invitato me, perché potessimo darci reciproco sostegno e tenerci compagnia. In caso contrario mi sarei arrangiata e avrei cercato di passare inosservata. Una cosa era certa: Maude Lawson era una ragazza che sapeva rendersi invisibile.

Ciò era sempre stato più che evidente: ero un’adolescente piuttosto introversa e amavo stare per conto mio; da buona Tassorosso facevo il mio dovere di studentessa ed ero seria e posata, con la testa sulle spalle. Avevo la mia piccola cerchia di amici con cui facevo i compiti e trascorrevo semplicemente il tempo libero, amavo leggere e non m’interessava primeggiare. Preferivo trattenermi ai margini e condurre la mia placida esistenza senza scossoni, immaginando un avvenire stabile e tranquillo, senza aspirazioni di grandezza. La mia vita mi stava bene così com’era, e rimango tutt’oggi del medesimo avviso.

Tutto sommato ero una ragazzina serena e abbastanza soddisfatta.

Ma quella prima settimana di scuola del 1978 per me si stava rivelando un autentico incubo.

La scuola era precipitata in una frenesia senza precedenti e tutti non facevano che parlare del Ballo, di chi avrebbero voluto invitare o di chi speravano porgesse loro un invito, di come si sarebbero vestiti, dell’acconciatura in cui avrebbero accomodati i capelli. Quando anche Julia, la mia più cara amica, prese a intontirmi a proposito della scelta del trucco adatto all’occorrenza mi resi conto che la mia pace atavica era in pericolo. Per giunta dovevo preparare una breve relazione per il corso di Incantesimi della settimana seguente, ma studiare, ad Hogwarts, era diventato impossibile. In Sala Comune non si sentivano altro che chiacchiere eccitate e frenetiche sulle prospettive per la serata, le aule erano immerse in bisbigli concitati e persino in biblioteca si udiva un costante chiacchiericcio, nonostante i tentativi di Madama Pince di mantenere un rispettoso silenzio.

Non riuscivo in nessun modo a mantenere la concentrazione. Era frustrante.

Naturalmente non ero un’aliena: sapevo che con ogni probabilità il Ballo sarebbe stato molto divertente ed ero contenta che coincidesse con la mia presenza a scuola, ma non intendevo dedicare all’evento più di un pomeriggio di preparazione. Un’intera settimana spesa ad occuparmene mi pareva sinceramente uno spreco di tempo.

Avevo altro da fare.

Fu per questo motivo che il pomeriggio del giovedì decisi che avevo assolutamente bisogno di trovarmi un angolino tranquillo in cui dedicarmi alla mia relazione, ma l’impresa si rivelava decisamente ardua: gli entusiasti della festa erano ovunque, assiepati in aule vuote a discutere degli inviti, radunati in corridoio a commentare le coppie già sicure. Dovetti proseguire le mie ricerche fino a trascinarmi nei remoti corridoi intorno alla torre di Astronomia e per sicurezza mi rifugiai all’estremità più lontana del castello. Lì c’erano alcune aule in cui probabilmente nessuno andava mai, e ciò era reso evidente dal sottile strato di polvere sui banchi e gli scaffali.

Quando aprii quella porta non presentivo in alcun modo ciò che sarebbe avvenuto.

L’aula era deserta, ma sembrava fosse stata pulita abbastanza recentemente. La sua posizione permetteva al sole pomeridiano di penetrare dalla finestra, illuminandola gentilmente. Era un vano ampio, ordinato e spoglio.

Posai i miei libri su un banco con un sospiro di sollievo, pensando di potermi ritenere tutto sommato soddisfatta, e mi guardai intorno criticamente. La stanza era fin troppo grande per i miei gusti, ma vista la situazione in cui versava la scuola non mi potevo certo lamentare.

La cattedra era larga e scheggiata su un lato, l’armadio completamente vuoto ad eccezione di un inspiegabile libro di Trasfigurazioni e c’era un disegno scarabocchiato sulla lavagna, nell’angolo in basso. Due animali, avrei detto due cani, tratteggiati da una mano non troppo portata per il disegno.

In fondo all’aula c’era una seconda porta.

Non ero decisamente una ficcanaso, ma mi dissi che non ci poteva essere nulla di male a dare un’occhiata, in fondo si trattava solo di un’aula di scuola: non mi trovavo in un posto proibito o privato.

Difatti oltre quell’uscio c’era solo un’altra stanza, più piccola e ancor più spoglia. Doveva trattarsi dello studio di un professore ormai in disuso, perché al centro troneggiava un largo scrittoio con una comoda sedia. Decisi che quell’ambiente più raccolto era maggiormente consono a me e trasferii i miei volumi nella stanzetta, lasciando la porta socchiusa alle mie spalle. Quindi mi immersi finalmente nel tanto agognato apprendimento dell’argomento su cui stavo lavorando.

Non so quando tempo trascorse prima che venissi disturbata: ero completamente assorbita dalla concentrazione, come mi accadeva sempre quando avevo davanti delle pagine scritte; non mi avvidi nemmeno dei passi che si avvicinavano in corridoio o delle voci in lento accostamento, ma suppongo debbano esserci stati.

Mi resi conto soltanto, con un sussulto di sorpresa, della porta della stanza adiacente che si apriva sulle parole di un misterioso intruso.

“… Nemmeno chiesto scusa.”

“Se ne sarà dimenticato.”

“Si dimentica un sacco di cose, ultimamente.”

Rimasi immobile, col cuore in gola. Non avevo fatto niente di male e se mi avessero trovata lì non ci sarebbe stato nessun problema, eppure quell’improvvisa intrusione inaspettata mi aveva spaventata, forse perché era stata brusca e in quel silenzio di tomba mi ero quasi dimenticata di non essere sola al castello.

C’erano due ragazzi, nell’aula. Erano voci maschili e non sapevo se le conoscevo o no. Sperai che quei due se ne andassero, perché sarebbe stato imbarazzante dover uscire di lì e palesare loro il fatto che non fossero soli; d’altra parte, non potevo rimanere lì di nascosto. Se erano venuti fin lassù, come me, non era certo perché desiderassero avere intorno occhi e orecchie indiscreti. Forse dovevano parlare di qualcosa di strettamente personale, qualcosa che evidentemente non mi riguardava affatto. Ero una persona onesta e corretta ed ero certa che non mi sarei mai permessa di origliare, sarebbe stato vergognoso; ma detestavo l’idea di dovermi presentare loro con un cenno di scuse e osservare che, ecco, lì c’ero prima io.

“Non dovresti prendertela tanto per una sciocchezza del genere.”

“E’ una questione di principio, non è per la cosa in sé.”

“Di principio…”

Le due voci continuavano a parlare e io mi alzai in assoluto silenzio, decisa a non prolungare oltre la mia involontaria spiata, a costo di dover affrontare la mia timidezza.

Erano voci confidenziali, assorte. La prima profonda e vivace, la seconda pacata ed ironica.

“Di principio, guarda che ne ho anche io.”

“Sarà… Voglio dire, certo, lo so.”

“Stronzo.”

Mi stavo avvicinando alla soglia quando scoppiarono a ridere, e in quel momento l’identità di almeno uno dei due intrusi mi fu chiara all’istante.

Tutta la scuola conosceva quella risata squillante. Non avevo affatto bisogno di spingere lo sguardo nella fessura della porta socchiusa per dare un nome a quel suono uggiolante, ma lo feci ugualmente.

E naturalmente la mia ipotesi trovò un’immediata conferma nella figura del ragazzo seduto scompostamente sul banco.

Il cravattino rosso e oro slacciato, la camicia sbottonata e la divisa in disordine, i capelli scompigliati con incuria e il sorriso smagliante; naturalmente sapevo benissimo chi era quello, il fatto che fossi di natali babbani non significava che provenissi da un altro pianeta. Come la stragrande maggioranza delle ragazze presenti ad Hogwarts, ero fermamente convinta che Sirius Black fosse l’essere umano più attraente che avesse mai messo piede sul territorio inglese, forse sull’intera superficie terrestre.

E finiva lì. Per quanto potesse risultare superbo da parte mia – io, scialba e insignificante, e lui, bellissimo e affascinante – non lo consideravo affatto il genere di ragazzo per cui avrei mai potuto perdere la testa, sempre posto che un simile individuo esistesse. Era un tipo troppo esagitato, si cacciava continuamente nei guai e attirava l’attenzione in qualunque modo gli passasse per la testa. Ma bisognava ammettere che averlo a pochi metri di distanza, ignaro e senza pose da duro, faceva un certo effetto.

Conoscevo anche l’altro ragazzo, di vista ovviamente, perché nessuno dei due mi aveva mai rivolto la parola nemmeno di striscio: erano membri del clan più in vista del castello, un gruppo di ragazzi il cui passaggio era seguito da silenziosa ammirazione e sempiterno rispetto (tralasciando l’odio loro tributato dai Serpeverde, ovviamente). Io, ai loro occhi, dovevo essere invisibile ancor più che per tutti gli altri.

Quel secondo ragazzo era stato Prefetto di Grifondoro nei due anni precedenti, era il membro più posato della piccola banda e se non fosse stato per i suoi chiassosi amici probabilmente non avrebbe mai conquistato tanta popolarità; sempre che ci avesse tenuto davvero ad ottenerla, eventualità su cui nutrivo qualche serio dubbio. Era un ragazzo studioso e coscienzioso, piuttosto tranquillo. Non gli avevo mai dedicato molta attenzione – Sirius Black era una calamita naturale per gli sguardi e in sua presenza qualunque essere vivente nel raggio di sei metri sembrava evaporare – ma avevo notato le piccole cicatrici chiare che gli sciupavano il viso e gli occhi ambrati, calmi. Si chiamava Remus Lupin ed era un tipo un po’ strano. Lo si sarebbe detto timido e chiuso, ma in quei suoi occhi riluceva sempre una sicurezza quasi invisibile, sfrontata. Era il genere di ragazzo da cui ti potevi aspettare sorprese inaspettate e lati ambigui.

Una volta Severus Snape l’aveva insultato in corridoio. Me l’aveva raccontato Julia, che aveva assistito per caso alla scena. Snape stava litigando con Potter, lo facevano in continuazione, e Lupin era intervenuto cercando di farli calmare, col suo fare posato.

Snape l’aveva scrutato con disgusto.

“Sei davvero bravo a fingerti un bravo ragazzo, sudicio…”

Snivellus,” era intervenuto Black, con la sua voce tonante.

Si erano guardati negli occhi per qualche istante – quei due si odiavano a morte, lo sapevano anche le piante nelle serre - e poi Snape aveva sbuffato sprezzante e se n’era tornato da Avery e l’altro Black, che lo aspettavano lì accanto. E Julia e gli altri avevano ripreso a camminare verso l’aula interrogandosi su quale sarebbe stato il tremendo epiteto che il Serpeverde avrebbe rivolto a Lupin, se l’altro Grifondoro non l’avesse interrotto. Non per altro, ma gli insulti di Snape erano sempre d’effetto, e se non eri il malcapitato cui erano destinati ti trovavi costretto ad ammettere che nella loro forbitezza erano piuttosto divertenti, anche se orribili. Ci sapeva fare con le parole, e non solo con quelle.

E Lupin non era un Purosangue, come me. Anche se lui aveva almeno un genitore mago.

Non sapevo molto altro su di lui. Non mi ero mai interessata troppo a loro, erano semplicemente persone al di fuori della mia portata.

Tutto questo, ad ogni modo, in quel momento non aveva importanza. Quei due ragazzi erano l’ostacolo tra me e la libertà e io li stavo osservando con una certa stizza dalla porta accostata.

Avevano smesso di ridere. Poteva essere il mio momento. Poggiai la mano sulla maniglia.

“Comunque James non aveva di certo intenzione di ferirti o che so io…”

Esitai, mio malgrado.

James Potter era il Caposcuola, quell’anno, ed era il terzo membro della squadra. Ce n’era un quarto, un ragazzo grassoccio di nome Peter Minus che lo seguiva dappertutto. James era un ragazzo vanitoso e casinista, il cui principale talento scolastico consisteva in una straordinaria abilità nel Quidditch. Era capitano e Cacciatore della squadra di Grifondoro e giocava divinamente. Un paio di settimane prima di Natale aveva cominciato a uscire con l’altra Caposcuola, Lily Evans. Lei mi era molto simpatica. Anche lui, in realtà, per quanto potesse essermi simpatica una persona tanto diversa da me.

Inoltre, come tutti ben sapevano, era il migliore amico di Sirius. Avevano anche trascorso quell’estate insieme a casa di Potter, dopo che Black aveva lasciato la famiglia all’inizio di luglio. A quanto pareva non andava d’accordo con i genitori e rifiutava di seguire il credo Purosangue, ma non avevo informazioni precise in merito. Non le avevo mai chieste. Quel che sapevo erano le voci che mi arrivavano alle orecchie mio malgrado, dal momento che quei ragazzi erano un argomento molto in voga ad Hogwarts. Ed ora erano lì, nell’aula accanto alla mia, e non potevo uscire senza che loro mi vedessero. Ero in trappola.

“E’ un imbecille.”

Sembrava che Black ce l’avesse con l’amico, e questo era piuttosto strano.

“Ma dai…”

Lupin pareva decisamente più moderato.

E io continuavo a tenere la mano sulla maniglia e dirmi che dovevo premerla ed uscire, ora, prima che iniziasse a passare troppo tempo e che la situazione mi facesse poi apparire come se li stessi spiando, cosa che effettivamente stava accadendo, ma non perché lo desiderassi.

Da lì dov’ero, vedevo il bel viso corrucciato di Sirius Black adornato da una smorfia cupa e quasi triste, e Lupin che lo guardava quasi desolato. Presi fiato per l’ennesima volta e decisi che davvero non potevo più rimandare. La mia presa sulla maniglia si rinserrò, con decisione.

“Pad…” iniziò Lupin, bonario. “Non è la fine del mondo. E’ Jamie, voglio dire, lo sai com’è fatto.”

Adesso. Adesso, mentre Black annuiva senza convinzione.

Con un sospiro, mi accinsi a muovermi.

E in quel momento accadde.

Remus Lupin sporse il busto e chinò leggermente la testa, quando bastava perché il suo viso andasse ad affossarsi nel collo chiaro di Sirius Black. Questi, da parte sua, sollevò le spalle e gli appoggiò contro la tempia mentre l’altro ragazzo gli mordicchiava un tendine.

Mollai la maniglia di scatto come se fosse stata incandescente e incespicai indietro senza fiato, mancando per puro caso la gamba del tavolo. Dovevo essere completamente viola e mi tremavano le mani, mi sentivo raggelata e al tempo stesso mi pareva che mi avessero dato fuoco. Il cuore mi batteva furiosamente perfino nella fronte e non riuscivo a respirare.

Cosa stava succedendo in quella stanza?

Com’era possibile? Quelli erano due ragazzi, due maschi, in atteggiamento assolutamente ambiguo. Dovevo aver visto male, ma piuttosto che gettare una sola altra occhiata mi sarei cavata gli occhi. Doveva essere un maledetto brutto sogno.

Mi guardai intorno spaurita, direi quasi terrorizzata. Forse potevo calarmi dalla finestra e scappare di lì, oppure abbattere il muro della stanza adiacente, qualunque cosa tranne farmi scorgere dai due Grifondoro dopo quel che avevo appena visto. Ancora faticavo a respirare, ero sconvolta.

Due ragazzi. Due maschi.

E se avessero cominciato a…mi tappai la bocca con la mano, trattenendo un gemito di terrore. Dovevo andarmene da lì. Subito.

Sentii la risatina di Lupin e un leggero tramestio.

“Il tuo capolavoro è ancora intatto,” osservò, divertito.

“Chi vuoi che lo cancelli… Non ci viene un’anima, qui.”

E fanno bene, pensai istericamente.

“Quale dei due è il cane?”

La voce di Lupin sembrava estremamente divertita.

“Non me lo ricordo… Credo quello a destra.”

Black pareva quasi imbarazzato.

Il disegno, mi resi conto, stanno parlando del disegno. Ma quelli erano due cani, l’avevo notato poco prima.

“E’ più grosso del lupo, non ti pare un po’ strano?”

“D’altra parte quello più piccolo ha le zanne più grosse.”

“Zanne! Ecco cosa sono. Pensavo si trattasse di baffi.”

“Molto divertente, Moony.”

Non avevo idea di cosa stessero parlando, ma avevano voci assolutamente normali. Forse, dopotutto, avevo davvero preso un abbaglio. Dovevo essere stanca per lo studio ininterrotto e la luce bianca del sole pomeridiano mi aveva fatto un brutto scherzo: non era una grande spiegazione ma era decisamente quella che preferivo.

Decisi di osare una nuova occhiata attraverso la porta. In fondo se stavano tranquillamente chiacchierando non potevano essere immersi in altre attività.

E non lo erano. In compenso il braccio di Black era poggiato sulle spalle dell’altro ragazzo, ma potevo anche decidere di interpretarlo come un gesto affettuoso. Lo feci.

“Però, Pad, scusami, ma la tua coda è più corta… Quella è la coda, vero?”

Black scoppiò di nuovo a ridere di gusto.

“Purtroppo sì.”

Non capivo – non ho mai capito – cosa stessero dicendo, ma il riferimento alla “coda” con annesso doppio senso mi fece arrossire, in quella situazione.

Ed era una brutta situazione. Ormai era trascorso troppo tempo e non potevo più uscire senza creare un momento decisamente troppo imbarazzante. Mi maledissi per non essermi fatta vedere subito, quando avrei dovuto.

Poi la mano di Lupin si sollevò. Era una mano ferma e elegante, e si andò a posare tra le ciocche nere di Black con una delicatezza che mi lasciò a  bocca aperta. Per un istante dimenticai il contesto in cui mi trovavo e la stranezza di quella circostanza, osservando le sue dita che si muovevano ipnoticamente tra i capelli dell’altro. Non avevo mai visto compiere un gesto simile con tanto riguardo, quasi come se lui avesse avuto per le mani un oggetto fragilissimo.

Scossi la testa con un improvviso ritorno alla realtà.

E continuavo a non sapere come andarmene di lì.

“Non avercela con Jamie. Sul serio, non ha senso.”

Black sbuffò.

“E’ che mi dà fastidio questo modo di fare. E’ fidanzato, bene. Anche io, ma questo non significa che lo trascuri.”

Lupin ridacchiò.

“Per forza, visto che non gliel’abbiamo detto.”

Non so come riuscii a trattenere un’esclamazione di sorpresa.

Quei due ragazzi stavano insieme davvero. Non me l’ero immaginato.

E apparentemente, se non lo sapeva nemmeno James Potter, io ero l’unica persona al mondo ad esserne a conoscenza.

Non li conoscevo, ma sapevo qualcosa di loro di cui nessun altro aveva consapevolezza.

Era strano.

“Ben gli sta. Non se lo merita.”

“Tanto lo sa. Voglio dire, l’avrà intuito.”

“Non sopravvalutarlo, Moony.”

Moony. Black lo chiamava Moony, e prima avevo sentito Lupin apostrofarlo come Pad. Dovevano essere i loro soprannomi o qualcosa del genere. Certo erano piuttosto strani.

“Lungi da me fare una cosa simile, ma lo sa. Fidati. O almeno sa che sta succedendo qualcosa di strano.”

“Ce l’avrebbe detto.”

“No, se si aspetta che glielo diciamo noi.”

“Allora sarà bene che si prepari ad una lunga attesa. Eterna.”

Lupin sbuffò, rassegnato. La sua mano esitava tra i capelli di Black, leggera.

“Forse dovrei essere geloso di James,” buttò lì, vago.

Black sollevò le sopracciglia in un lungo sguardo perplesso.

“Per quale motivo?”

“Perché no? Sto ascoltando le tue lamentele a suo proposito da ore, e non è decisamente la prima volta che occupa prepotentemente le nostre conversazioni.”

“Non essere idiota.”

“Io non sono mai idiota, Pad. Questa è una tua prerogativa.”

“Sei molto più idiota di me per averlo pensato anche solo per scherzo.”

“Ho la faccia di uno che scherza?”

Quasi come se l’avesse chiesto a me, sollevai uno sguardo attento sul viso di Remus Lupin. La sua espressione era seria e austera, ma negli occhi dorati aleggiava un inconfondibile divertimento, quasi una risata silenziosa.

“Buffone...” borbottò Black, sogghignando.

Ero d’accordo. Senza volere, sorrisi.

E poi Sirius Black allungò la testa verso di lui, e prima ancora che lo avessi capito – e meno male, perché avrei potuto urlare – stava baciando l’altro ragazzo. Sgranai gli occhi e la faccia mi andò in fiamme di nuovo, ma non potei distogliere lo sguardo.

Quella è una delle immagini indelebili e nettissime che mi sono rimaste di quei mesi strani, a distanza di anni la rivedo tale e quale, come se avessi ancora il viso accostato alla porta e la mano appoggiata al muro freddo e slavato. Il viso di Sirius Black che incontra quello di Remus Lupin e le loro labbra che si allacciano, lentamente, con un’ombra di sorriso a distenderle. Si sfiorano e poi si distanziano di pochi millimetri, si cercano di nuovo e nuovamente si sfuggono, e così via, finché non si congiungono in contatto più profondo, ma sempre in punta di fiato. Gli occhi sono chiusi e le dita della mano di Sirius – aveva dita lunghe da pianista – rasentano il contorno dello zigomo di Remus, senza quasi toccarlo, raggiungendolo solo con i polpastrelli tesi.

E quello che ho pensato in quel momento, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, senza la minima malizia, è stato che erano incantevoli. Sarà banale, ma mi sembravano la cosa più bella che avessi mai visto. E non perché Sirius fosse effettivamente un ragazzo da urlo e Lupin, in fondo, non fosse da buttare via, ma perché insieme, lì seduti su quel banco scalcagnato, erano un’altra cosa, e dubitavo che il ragazzo sguaiato e piantagrane che tutti chiamavano Sirius Black c’entrasse minimamente con quella scena, o che Remus Lupin, il Prefetto, avesse a che fare con quel momento. Erano qualcos’altro, tutto lì. E, qualunque cosa fosse, era straordinaria.

Yoo-hoo!”

La voce proveniva dall’esterno, dal corridoio. Li fece sussultare e scattare a terra, mentre si avvicinava, e Lupin si gettò sulla sedia e aprì il libro, tra l’altro al contrario, ma non se ne accorse nemmeno.

“Siete qua?”

La testa che poi fece capolino era quella di James Potter. Mi ritrassi per un istante, temendo che potesse avvertire la mia presenza o cogliere il brillio delle mie pupille.

“Ciao, Jamie.”

Lupin gli sorrideva cordiale. Black si era avvicinato alla lavagna e dava quasi le spalle alla porta, ma dalla mia posizione potevo scorgere la piega rigida delle sue labbra.

“Buongiorno, signori. Si studia?”

“A volte capita,” rispose Sirius, distaccato.

James voltò uno sguardo quasi intimidito su di lui, poi lo avvicinò di qualche passo.

“Oh, Pad…volevo dirti… Mi dispiace per stamattina. Avevo chiesto a Peter di farti sapere che non avrei fatto in tempo, ma se n’è dimenticato. Toh, t’ho preso del cioccolato per rabbonirti.”

Gli porgeva una tavoletta ancora incartata con un sorriso mezzo scherzoso, mezzo colpevole. Non aveva nulla dello spaccone che io, come tutti, ero abituata a veder spadroneggiare in giro per i corridoi. Era straordinariamente limpido e trasparente.

Sirius voltò la testa verso di lui, prima di prendere il dolce con una breve esitazione. Si voltò di nuovo leggermente, dandomi il profilo, e fece per parlare, ma James si era già spostato verso la lavagna e stava disegnando qualcosa accanto ai due animali già tracciati. Un cavallo. No, un asino. Un alce. No, era un cervo. Sì, quelle corna ramificate erano decisamente da cervo.

Che strani, quei tre, che disegnavano lo zoo sulla lavagna.

“Ecco. Così va meglio,” commentò Potter soddisfatto, contemplando la sua opera.

Una cosa la posso dire con certezza: saranno anche stati gli idoli della scuola, ma decisamente non erano dei portenti in campo artistico.

Sirius sorrideva di sbieco, senza potersi trattenere. James lo guardò per qualche secondo, speranzoso. Alla fine lui sbuffò e scrollò la testa, poggiandogli una mano sulla spalla.

“Bene, adesso che la pace è ristabilita possiamo andare a cena.”

Lupin si era alzato, aveva chiuso il libro e lo teneva tra le braccia. Ancora capovolto. Sorrideva.

Se ne andarono tutti e tre, riprendendo a parlottare.

Aspettai che i loro passi fossero svaniti in lontananza, quindi sgusciai fuori dalla porta e mi avvicinai al banco sul quale i due ragazzi erano seduti fino a pochi minuti prima. Ci passai sopra una mano, quasi come se volessi verificare di non essermeli immaginati. Era ancora tiepido.

Mi lasciai cadere sulla sedia con un lunghissimo sospiro, lo sguardo perso nel vuoto. Avevo ancora il cuore in gola e la testa mi vorticava.

Impiegai almeno dieci minuti a tornare nella stanzetta accanto e recuperare i miei libri, per raggiungere a mia volta la tavola per la cena.

Ma ero sicura di una cosa.

Sarei tornata lì.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Secondo brano ***


Secondo Brano

Malata e febbricitante, penso lo stesso a voi.

Che martire…

(avete il permesso di zittirmi a ciabattate)

suni

 

 

 

 

Secondo Brano

 

 

Mi rifiutai strenuamente di rivolgere lo sguardo il tavolo dei Grifondoro, durante la cena. Avevo l’assurda sensazione che quei tre ragazzi si sarebbero accorti che li guardavo e avrebbero capito tutto, avrebbero scoperto che nel pomeriggio li avevo spiati e che avevo appreso cosa nascondessero due di loro. Era impossibile e lo sapevo, ma ugualmente non riuscivo a evitarmi di pensarlo.

Impiegai secoli ad addormentarmi. La mia mente era invasa dall’immagine delle mani di Remus Lupin sui capelli di Black e di quel bacio cui avevo rubato l’intimità. Neanche badavo al ciarlare di Julia che tentennava sulle modifiche da apportare al suo vestito o all’eccitazione per l’invito che Meg, nostra compagna di stanza, aveva ricevuto da Mark Brown.

Ripensavo al sorriso che tendeva le labbra dei due ragazzi mentre si congiungevano e al motivo per cui quella scena potesse avermi tanto toccata.

Vedevo gente che si baciava ogni giorno.

Julia e i suoi saltuari fidanzati si lanciavano in acrobatici incontri di lingue anche sotto il mio naso e soltanto tre giorni prima, al rientro delle vacanze, avevo visto in corridoio lo stesso James Potter coinvolgere Lily Evans in un bacio così mozzafiato che persino quel ghiacciolo di Snape, che evidentemente non apprezzava simili dimostrazioni d’affetto in luogo pubblico, era diventato più bianco e tirato del solito, mentre accanto a lui Regulus Black mimava un convincente conato di vomito.

Insomma, non avevo una grande esperienza personale in merito, ma di baci ne avevo visti parecchi. Non avevo mai visto, però, due persone dello stesso sesso che si baciavano.

D’accordo, Julia e Christine l’avevano fatto una volta per scommessa, ma era stato uno scherzo. Non era affatto la stessa cosa e non solo perché erano due ragazze.

Il bacio che avevo visto quel pomeriggio non gli somigliava affatto.

A distanza di tanti anni mi capita di pensare che forse avere davanti un pezzo di carne qual’era Sirius Black con un altro uomo, e io lì a guardare comodamente come a teatro, potesse essere una situazione con delle sue attrattive più meno perverse per una ragazzina in piena fase puberale. E forse in parte è così.

Ma c’era, soprattutto, la sensazione di aver colto qualcosa di raro. E adesso so che il tipo di amore che avevo davanti era qualcosa che io non potevo raggiungere. Io, che ho sposato un uomo tranquillo e per bene, che ho messo su la mia comoda casetta nei sobborghi e dato alla luce due figli, sempre felicemente accanto al mio compagno cui sono legata da un enorme affetto ma con cui forse non ho mai conosciuto la vera passione, non ero fatta per un tipo di amore assoluto e totalizzante. Quei ragazzi vivevano le loro vite in modo epidermico e viscerale, attingendo ad ogni attimo come se fosse stato quello definitivo, attraversando le sensazioni con ogni microscopica parte di sé. E il modo in cui si amavano – il modo in cui sono vissuti e in cui sono morti – era quella stessa corsa folle nel buio, al di là di qualsiasi vincolo e di ogni logica. Lo stesso Remus, reputato razionale e riflessivo, non sapeva impedire del tutto a se stesso di seguire l’onda delle emozioni come se nella vita non ci fosse stato altro. Ed era questo modo di essere, tanto lontano dal mio, questo modo di amare che mi aveva affascinata, qualcosa che traspariva dal semplice modo in cui si baciavano. Anche se impiegai del tempo a capirlo.

Non so se il modo migliore fosse il loro o il mio e non mi è mai interessato saperlo. Potrei dire che io oggi sono viva e loro no, e che questo potrebbe significare qualcosa, ma d’altra parte, forse, se loro non fossero morti non sarei viva io, la sanguesporco.

Non ha molta importanza, adesso che l’erba cresce intorno alle loro lapidi.

L’indomani mattina, quando mi svegliai, dissi a me stessa che per nessuna ragione sarei tornata in quell’aula. Mi sembrava che la notte mi avesse schiarito le idee. Ero sempre stata – e sarei stata in  seguito – una persona discreta e per nulla impicciona, in una parola: riservata. Qualunque cosa legasse quei ragazzi non mi riguardava minimamente: il giorno prima era successo per caso, ma non si sarebbe ripetuto.

Disgraziatamente la situazione caotica della scuola era, se possibile, ancora peggiorata. Avevo di nuovo bisogno di un angolo silenzioso in cui appartarmi.

Potevo infilarmi in qualunque altra aula vuota del castello, ce n’erano a bizzeffe; ma mentre camminavo in corridoio sentivo che la stanzetta del giorno precedente mi attirava, quasi chiamandomi sottovoce. Non capivo perché e forse una parte di me voleva anche resistere a quell’impulso sconsiderato, ma in fondo sapevo che non l’avrei fatto.

Quel giorno non venne nessuno. Studiai per più di tre ore seduta allo scrittoio di legno scuro, senza che il minimo suono turbasse la mia concentrazione. Ogni tanto mi sorprendevo a tendere inconsciamente l’orecchio, in cerca del ritmo dei loro passi e delle loro voci, e immediatamente mi rimproveravo per quell’ardire scorretto e morboso. Avevo vergogna di me.

Quando me ne andai per tornare a cena ero sollevata: il mio stupido gioco era finito ancor prima di cominciare e la mia sciocca fissazione si sarebbe dissolta da sé entro pochi giorni, lontana dall’oggetto dei miei assurdi pensieri.

A cena, mi permisi il lusso di gettare un paio di occhiate veloci al tavolo di Grifondoro: Sirius Black e James Potter ridevano, con Lily che svolazzava loro intorno e Peter Minus che pendeva dalle labbra di entrambi. Remus sedeva all’estremità del piccolo clan, sorridendo quasi tra sé.

Era la sera della vigilia della festa e tutti ne approfittavano per gli ultimi inviti e gli accordi sugli appuntamenti. Appena posato il cucchiaino del dolce, Sirius si alzò da tavola e fece qualcosa che sul momento mi riempì di sconcerto ma che, col senno di poi, era soltanto quel che nella sua posizione andava fatto per non destare sospetti: marciò con fare disinvolto e seducente attraverso i tavoli, puntò deciso l’estremità di quello di Corvonero, calibrò il più sensuale dei sorrisi – da svenire, diciamocelo – e senza esitazioni si parò davanti a Candice Murton.

La bella Candice, la ragazza più popolare della scuola. Candice, dai grandi occhi azzurri e i capelli di filigrana dorata, il sogno della fauna maschile di Hogwarts, la fanciulla che non degnava di attenzione nessuno che non fosse scrutato con adorazione da almeno il quaranta percento degli altri studenti. E che, a sentire Meg, aveva all’attivo ventidue inviti per il Ballo rifiutati perché, parole sue, i pretendenti non erano all’altezza.

Fu come se qualcuno avesse messo il silenziatore alla Sala Grande, tanto fu repentino il silenzio che piombò quasi ovunque.

Vidi distintamente il Prefetto di Serpeverde posare la forchetta nel piatto e puntare gli occhi intensi sulle due figure, senza riuscire a rendere del tutto convincente il suo sguardo sprezzante, fisso su un Sirius straordinariamente signorile e altero. Probabilmente gli ricordava la persona che suo fratello avrebbe dovuto diventare, se le cose fossero andate come previste.

Candice, da parte sua, dedicò al nuovo venuto un distratto sguardo cordiale, raddrizzando appena il capo per ricevere i giusti omaggi.

Io avevo sporto la testa in avanti e li fissavo sfacciatamente. Julia non aveva nemmeno finito di masticare e li osservava a bocca aperta, col budino spiaccicato tra le fauci.

“Buonasera, Murton.”

“Black…”

Candice inclinò appena il collo, civettuola e distaccata.

“Spero di non disturbarti, e in caso contrario mi scuso sentitamente,” esordì il Grifondoro, drappeggiandosi la divisa con fare casuale.

“Nessun disturbo.”

Lei sorrideva vagamente, sensuale.

“Naturalmente sono certo che hai ricevuto dozzine di inviti per domani e da parte mia è imperdonabile farmi avanti così tardi…”

“In effetti ho parecchie richieste,” lo interruppe Candice, con vaga freddezza.

“Ne ero sicuro. Ma se per caso non avessi ancora scelto, aggiungerei il mio nome alla lista. Mi farebbe piacere se venissi al ballo con me, Candice,” concluse, con una nota profonda e graffiante della voce baritonale.

Fu come se un unico, enorme sospiro femminile fosse stato emesso dalle pareti stesse della Sala. Almeno la metà delle ragazze presenti sognavano da giorni che Black rivolgesse loro quelle stesse, precise parole.

La fanciulla, astutamente, non rispose.

“Sempre nel caso in cui la cosa ti interessi, ovviamente” aggiunse lui, senza scomporsi.

“Nel caso, te lo farò sapere,” ribattè Candice, noncurante. Ma un leggero sorriso le increspava le labbra e quando Sirius si voltò indietro, con un breve cenno di omaggio, sul suo viso era dipinto il trionfo: sapeva già quale sarebbe stata la risposta. Lo sapevamo tutti.

Quasi senza che me ne rendessi conto, i miei occhi corsero al tavolo di Grifondoro, ai posti occupati dai ragazzi.

Remus Lupin non c’era più.

Sirius si risedette, mentre James Potter gli riempiva il bicchiere.

Non sembrava molto felice.

L’indomani la scuola era immersa nella psicosi collettiva più dilagante di cui abbia memoria. Seb non era riuscito a conquistare la sua bella e io ovviamente avevo accettato volentieri di fargli da dama per la serata. Nel pomeriggio Julia mi avrebbe stirato i capelli e si sarebbe presa cura del trucco, ma avevo insistito perché non occupasse la mattinata che intendevo, ufficialmente, dedicare allo studio.

Mi fiondai nella mia stanzetta prima ancora di aver deglutito l’ultimo boccone della mia colazione. Era una cosa ridicola e mentre quasi correvo per arrivarci in fretta ridacchiavo tra me, chiedendomi che ne fosse stato del mio buonsenso. Era ovvio che nessuno sarebbe venuto lì e ad ogni modo era stupido anche solo che lo sperassi, perché, per l’ennesima volta, non erano fatti miei. Eppure continuavo a ripensare alla silenziosa scomparsa di Lupin dalla Sala Grande della sera prima e a chiedermi cosa fosse successo dopo, se ne avessero parlato e cosa li legasse esattamente.

Lasciai accuratamente la porta socchiusa e sistemai tutti i miei libri e le mie cose sul tavolo. Avrei dovuto studiare, ma l’ansia involontaria che mi percorreva e il desiderio che i due Grifondoro arrivassero mi deconcentravano completamente. Allora presi ad aggiornare il mio diario, questo stesso diario che ho davanti ora e da cui cerco di rimettere insieme i pezzi di questa storia scompigliata e lacunosa.

Non passò un’ora che sentii la porta dell’aula aprirsi, e dei passi avanzare oltre la soglia. Udii distintamente alcuni rumori e dei movimenti rapidi, poi lo stridio di una sedia che veniva spostata e il fruscio delle pagine voltate.

Avevo paura persino a respirare. C’era una persona, nella stanza accanto, ed era da sola.

Poteva trattarsi di qualcuno che non c’entrava nulla, ma mi sembrava improbabile che un simile traffico affollasse una comunissima aula così fuori mano; inoltre Black aveva detto solo due giorni prima che non ci veniva mai nessuno.

Pensai che doveva essere per forza  uno di loro due.

Con tutta la lentezza di cui ero capace mi alzai in piedi – ero seduta con il corpo lontano dal tavolo apposta per non dover fare rumore se mi fossi alzata – e avanzai in assoluto silenzio fino alla porta, trattenendo il fiato. Esitai, inglobai aria e puntai gli occhi oltre la fessura.

Dovetti storcermi un pochino e cambiare posizione, perché il ragazzo si era seduto in un altro banco, più indietro, ma alla fine lo vidi: era Remus Lupin.

Leggeva attentamente dallo spesso volume che aveva aperto davanti a sé. Aveva un gomito puntato sul tavolo e la guancia appoggiata mollemente nel palmo della mano, con la testa leggermente piegata. Le sopracciglia erano appena corrugate, con concentrazione.

Rimasi immobile ad osservarlo. Di tanto in tanto distoglieva lo sguardo dal libro e lo portava sulla pergamena accanto ad esso, scribacchiando velocemente qualche appunto. E faceva continuamente un gesto istintivo con la mano, quando non scriveva: ravviava rapidamente i capelli castani che gli ondeggiavano sul viso, ma quelli ricadevano immediatamente davanti agli occhi costringendolo a ripetere il movimento all’infinito. Era buffo, in un certo senso.

Studiava alacremente, ma non dava l’idea di essere davvero avvinto da quel che stava leggendo. Sembrava piuttosto molto malinconico. Pensai che dovesse avere a qualcosa a che fare con quell’oca patentata di Candice Murton. Scoprii che mi dispiaceva per lui.

Se il suo ragazzo preferiva una sventola biondastra e senza cervello a una persona tanto assennata e interessante, aveva davvero poco di cui stare allegro.

Mi sorpresi di quel pensiero irragionevole, ma dopotutto era vero: Remus Lupin, o meglio l’immagine che mi sono costruita di lui, mi sembra tuttora una persona interessante. Aveva un bel modo di sorridere e una voce sempre cordiale che difficilmente s’inaspriva, e i suoi occhi riflettevano sempre una certa ironia piuttosto arguta. Ma tutto questo l’avrei focalizzato dopo, la mia era una simpatia cutanea.

Quando ritenni di averlo sufficientemente consumato con lo sguardo tornai a sedermi al mio scrittoio e rimasi pietrificata, senza fiatare. Non potevo leggere perché mi avrebbe sentita sfogliare le pagine, non potevo scrivere perché lo avrebbe udito. Non potevo fare niente.

Era noioso da morire.

Dopo non so quanti lentissimi minuti stabilii che sarei uscita dalla porta e gli avrei fatto notare che ero lì. In fondo stavamo studiando tutti e due e non vedevo che fastidio avrebbe potuto trarne. Gli avrei spiegato che quella mattina in biblioteca era impossibile studiare e che mi ero cercata un posticino isolato. Non avrei fatto menzione del pomeriggio di due giorni prima.

Mi rialzai in piedi e tornai finalmente verso la porta con la coscienza sollevata all’idea di non nascondere più quel dannato segreto. Ma non avevo fatto i conti con il grande assente, che scelse quel preciso momento per catapultarsi nella stanza, trafelato e scomposto.

“Moony.”

“Sirius.”

Maude, pensai di dire io tanto per non sentirmi esclusa, interrotta sul punto di spalancare la porta.

“Ti…cercavo.”

“Eccomi. Mi hai trovato, bravissimo.”

Non ci voleva un genio a capire che Lupin non aveva molta voglia di parlargli. Non aveva nemmeno alzato gli occhi dal libro, come se fosse stato completamente assorbito dallo studio.

“Dove sei sparito ieri sera?”

“Non sono sparito. Si vede che non mi hai cercato bene.”

No, decisamente non invidiavo Sirius Black, in quel momento. A dirla tutta ero piuttosto offesa con lui, dal momento che aveva invitato Candice al Ballo nonostante fosse impegnato. A quel pensiero irragionevole quasi scoppiai a ridere: non era mica impegnato con me, poteva fare quel che gli pareva.

“Sono venuto persino qui.”

“Infatti non ero qui.”

Logica ferrea.

Sirius Black sembrava essersi rassegnato alla freddezza dell’altro ragazzo, ma si tormentava le labbra tra i denti e le sue dita giocherellavano nervosamente con la giacca della divisa. Non disse più nulla. Lo guardava soltanto, e la mia stizza immotivata nei suoi confronti svanì in pochi secondi. Aveva uno sguardo talmente colpevole e dispiaciuto che poteva commuovere anche un sasso.

Un sasso, forse, ma evidentemente non Remus Lupin, il quale continuò a studiare, apparentemente imperturbabile.

Dovetti aspettare un paio di minuti perché si decidesse a sollevare lo sguardo dalla pagina, con aria esasperata.

“Ti serve qualcosa?”

“Cosa volevi che facessi?”

Black non aveva molti peli sulla lingua, a quanto pareva.

“Di cosa stiamo parlando?”

Lupin era piuttosto testardo. Dovevano esserlo entrambi.

“Di ieri sera.”

“Ieri sera? Non ricordo sia successo nulla di particolare, ieri sera.”

Mi faceva tenerezza. Aveva il viso perfettamente serio e la voce calma e controllata, ma evidentemente non sapeva come comportarsi e si dibatteva nell’arrabbiatura, non trovando un modo per - o forse non osando - sfogarla.

“Ma sì che te lo ricordi, Remus, ho invitato la Murton al Ballo.”

 “Ah. Quello. Sì, certo.”

Black era stato piuttosto brutale e aveva parlato con un tono sbrigativo, quasi sistemando ordinaria amministrazione. Lo guardava con leggera sfida, ma Lupin reagì con una scrollata di spalle e una smorfia indifferente. Tornò anche a guardare il libro ed ebbe persino l’accortezza di voltare pagina, come se stesse davvero leggendo.

“Merlino, cosa credevi che facessi?”

“Non credo di avere capito la domanda, potresti esprimerti più chiaramente?”

“Dovevo invitare una ragazza a questo stupidissimo Ballo, lo sai benissimo. Te l’avevo anche detto.”

“Ricordo con precisione che non l’hai fatto. Giorni fa hai accennato che sarebbe stato strano se non avessi invitato nessuna e poi la cosa è morta lì.”

Lupin aveva sollevato la testa di scatto e serrato le labbra, incollerito. I bagliori emessi dai suoi occhi mi parvero alquanto minacciosi.

“Esattamente! Ho mezza Hogwarts che mi sbava sulle scarpe, vado al Ballo e non invito nessuna? Tanto varrebbe appiccicarsi un cartello fosforescente sulla fronte con scritto ‘gay’ a caratteri cubitali!”

“Potevi almeno evitare di farlo in mia presenza!”

Le voci erano aspre, rabbiose. E io avvertii di nuovo la precisa sensazione che non avrei dovuto assolutamente trovarmi lì.

“Che dovevo fare, aspettare la prossima luna piena così non mi avresti visto?”

“Aspettare che avessi finito di mangiare sarebbe stato sufficiente!”

A parte il riferimento a me al momento incomprensibile alla luna piena, ero di nuovo perfettamente d’accordo con Lupin. Black poteva avere almeno il buon gusto di attendere che lui non fosse lì a guardare. Più tardi avrei compreso che le cose non erano così semplici. Niente lo era, in quella faccenda. Non era una relazione normale, primariamente perché era clandestina, quindi perché era omosessuale e per finire perché avevano diciotto anni. Erano due adolescenti alla prese con qualcosa di decisamente strano da affrontare.

“L’ho fatto appena me la sono sentita, prima che mi mancasse il coraggio!”

Oooh! Oh, Merlino, che eroe!”

La risposta sarcastica di Lupin mi costrinse a tapparmi la bocca con la mano per non ridacchiare.

Black distolse lo sguardo, puntandolo a terra. Era arrabbiato e nervoso, stringeva i pugni con collera e anche con innegabile rammarico.

“Vuoi che le dica che ci ho ripensato? Glielo dico. Sai quanto me ne frega?”

“Ti sfido a farlo.”

Lupin aveva chiuso il libro e osservava l’interlocutore con un sorrisino saccente. Black lo guardò stranito per qualche istante, quindi annuì con fierezza.

“Va bene. Ma poi non venirmi più a dire che dobbiamo stare attenti a non farci beccare.”

Si voltò indietro con fare deciso e fui certa che sarebbe davvero andato dalla Murton e le avrebbe detto di accettare un altro dei suoi ventidue inviti. A quanto ne sapevo, era il tipo che fa cose del genere.

Doveva pensarlo anche Lupin, perché alzò una mano e lo fermò con un brusco “no”. Poi sospirò, passandosi le mani sul viso e stropicciandoselo.

“Hai ragione. Vai…vai al ballo con Candice. Comunque se lo aspettava tutta la scuola.”

Effettivamente sì.

Black sbuffò, passandosi le dita tra i capelli.

“Lo so. Per questo ho invitato lei. E poi diciamocelo, chi altra sarebbe stata abbastanza?”

Era davvero uno sbruffone patentato. E’ proprio quello che ho scritto sul mio diario dopo questa frase, “sbruffone patentato”.

Trascrivevo quei primi incontri cui assistevo quasi alla lettera, come se avessi avuto paura che dimenticando qualche parola mi sarebbe sfuggito qualcosa del puzzle che dovevo aver già deciso inconsciamente di ricomporre.

Lupin preferì non commentare la sua osservazione, ma dall’espressione del suo viso doveva pensare che forse Mirtilla sarebbe stata la più adatta. O magari un Marciotto.

La sua mano si mosse per riaprire il libro, ma Black fu più rapido e piazzò la propria sulla copertina, per tenerlo chiuso. Quindi lo afferrò e lo lasciò cadere a terra senza tanti complimenti.

“Sirius?” protestò Lupin pazientemente.

L’altro non rispose. Sorrise – gli regalava sorrisi splendenti – e si issò a sedere sul banco, andando a posare le gambe accanto ai fianchi dell’amico, come per bloccarlo.

“Leggi me,” esclamò scherzoso.

Lupin gli diede uno spintone, anche troppo violento. Lui si sbilanciò indietro e finì quasi gambe all’aria, e probabilmente si sarebbe rotto la testa sul pavimento se Lupin non avesse avuto la prontezza di afferrare la sua camicia e trattenerlo.

Non dissero nulla. La mano di Lupin rimase stretta sul tessuto, finché quelle di Black non la raggiunsero e la avvolsero per staccarla. La tennero stretta come se fosse stata la mano di un neonato – non mi venne in mente un altro paragone per esprimere quella premura – e Sirius dovette piegarsi faticosamente per arrivare con la testa all’altezza di quella dell’altro e sfregargliela contro.

Distolsi per un secondo lo sguardo, mentre sussurrava qualcosa che nemmeno io riuscivo a sentire. Qualunque cosa fosse ebbe il potere di far comparire un breve sorriso sul viso amareggiato di Lupin, poggiato alla sua tempia. Vidi Remus passargli intorno alla vita il braccio libero e poi spostare il capo, affondandolo nel suo torace reclinato. A guardarli dall’angolazione in cui ero non si distinguevano quasi più i due corpi distinti, ma sembrava di vedere un tutt’uno, una strana creatura anomala e malformata, ma completa.

“Non smetterei mai di guardarli,” scrissi nella riga seguente del mio diario.

 Black aveva raddrizzato la testa e poggiava il mento su quella dell’altro. La sua mano si muoveva senza fretta sulle spalle del compagno, con piccoli cerchi sghembi e strofinii delicati. Non potevo vedere Lupin in faccia ma ero pronta a scommettere che il trattamento fosse piacevole.

“Tu hai invitato qualcuna?” domandò Black d’improvviso.

Non riuscii a capire il borbottio che si soffocò contro il suo stomaco, proveniente da Lupin, ma la frase successiva di Black me ne diede un’idea.

“Come sarebbe che non ci vieni?”

Di nuovo non capii nulla. Lupin sembrava parlargli direttamente nelle viscere.

“Stai scherzando? E’ il Ballo, del secolo, devi venirci per forza! Sarebbe troppo strano!”

Non si sentiva una parola di quello che Lupin gli rispondeva, e mi domandai come facesse Sirius a decifrare quelle parole biascicate contro la sua camicia. Mi domandai anche se la mia non fosse solo un’impressione ma facessero davvero parte di uno stesso, strano animale.

“Questo che c’entra? Anche se sei un secchione sarà stranissimo. E che dirà James? E Peter? E Frank? E tutti, insomma…”

Lupin sollevò finalmente la testa, sbuffando.

“Io non ho usato la parola secchione… Comunque mi annoierò a morte. Mi piacciono le serate di festa quando sono tra pochi intimi, lo sai.”

“Ma questa non è mica una festa qualunque. Il prossimo millenario di Corvonero è tra mille anni, non due.”

“Per questo si chiama millenario, Pad.”

Risero, poi continuarono a discuterne per qualche minuto. Black non voleva saperne di lasciare che Lupin se ne restasse in dormitorio o da qualche parte da solo, mentre tutti gli altri sarebbero stati insieme a divertirsi. Effettivamente la prospettiva avrebbe atterrito anche me, se fosse stato un mio amico. Figuriamoci se fosse stato la persona che amavo.

Arrivò a minacciare di disertare la festa a sua volta e quando nemmeno quel tentativo andò a buon fine sfoderò un’espressione di assoluto avvilimento.

“Pad, non fare così. Sul serio, a me non pesa affatto non venire, altrimenti lo farei.”

“Ma pesa a me.”

Lupin sospirò, sembrava stanco. Appoggiò il naso contro la pancia di Black e lo abbracciò.

“Certe volte mi piacerebbe che questa cosa non fosse successa.”

“Non mi dire questo.”

La voce di Black era veramente triste. L’avrei sentito parlare con quel tono sordo e impotente altre volte, ma quella fu la prima e m’impressionò.

In giro per la scuola l’avevo sempre visto sghignazzante e baldanzoso, oppure languido e dongiovannesco; e non solo io ma più o meno tutti quanti, loro anche in seguito, avevamo quest’idea di lui come di un essere fondamentalmente leggero e concentrato esclusivamente su se stesso. Adesso sapevo che esisteva almeno una cosa al mondo che poteva cancellare il suo sorriso spudorato.

Lupin accennò una smorfia noncurante che doveva esprimere divertimento, quindi fece spallucce.

“Hai ragione, perché non lo penso.”

E alla fine Black la spuntò. Tanto disse che riuscì a convincere Lupin a recarsi al Ballo, e non solo: a invitare con lui una ragazza perché, disse, persino Peter sarebbe stato in dolce compagnia.

Poi lo vidi saltare giù dal banco e fare un giro intorno a Lupin, posizionandosi alle sue spalle. Si chinò fino a poggiargli il mento sulla spalla e gli mordicchiò un orecchio con dolcezza giocosa. Lupin girò indietro la testa e per la seconda volta vidi i due ragazzi baciarsi. E questa volta non si trattava di una cosa molto casta, ma estremamente incalzalte. Si baciavano in una maniera che mi fece venire in mente che siamo esseri mortali e tutto quel che abbiamo a disposizione sono pochi attimi da impiegare nel modo più fruttuoso possibile – ed avevo solo sedici anni. L’aria intorno a loro dava l’idea di farsi calda e rarefatta, ma non provai il minimo disgusto. Non vedevo perché avrei dovuto, visto che mi pareva si stessero scambiando la linfa vitale stessa. Anzi,avevo ben poco fiato nei polmoni quando Black si staccò da Lupin e borbottò qualcosa che non capii e che finiva con stamberga.

Non ho mai saputo di che parlasse. L’unica Stamberga che conoscevo io si trovava ad Hogsmeade, era infestata dai fantasmi e non aveva niente a che fare con quel momento.

Un minuto dopo erano già spariti.

E io ero contenta. I miei ragazzi avevano fatto pace.

Arrivai a pranzo di buonumore e fui lieta di verificare la loro assenza. Speravo fossero da qualche parte a fare cose che comunque mi auguravo di non dover mai veder avvenire nell’aula incriminata. Perché, ormai ne ero certa, avrei continuato a vegliare su quella strana relazione.

Del Ballo di Corvonero ho dei bei ricordi che non hanno quasi nulla a che fare con Sirius Black e Remus Lupin, ma non è di questo che m’interessa occuparmi. La serata fu sfarzosa e entusiasmante e tutti così decisi a renderla unica che finì per esserlo davvero. Ricordo anche che a metà nottata in Sala Grande esplose una specie di enorme fuoco colorato che si sparse verso tutto il soffitto e portò una raggio rosso ad illuminare il punto in cui, guarda caso, James Potter stava facendo volteggiare Lily Evans per poi prodursi in una romantica dichiarazione. Il ragazzo era davvero plateale. Ci fu persino qualcuno che battè le mani.

E naturalmente ricordo l’entrata in scena del re e la regina del Ballo, dichiarati tali all’unanimità senza bisogno di nessuna proclamazione. Black e Murton erano così divinamente, incredibilmente e perfettamente belli che, se non avessi saputo quel che sapevo, li avrei decretati io stessa la coppia del secolo. E io di cose simili mi interessavo davvero poco. Sembravano appena usciti da uno dei film americani che guardava sempre mia madre, quelli con i violini e le rose e tutte quelle smancerie. Lei era avvolta in un abito bianco e decisamente scollato – in realtà quel vestito un collo non ce l’aveva proprio – e le sue bionde chiome rilucevano in modo quasi innaturale; sembrava una Veela, quella ragazza, e la sua comparsa fece illividire più d’una fanciulla e strabuzzare gli occhi a parecchi maschietti. Seb, accanto a me, emise uno strano suono gutturale e trangugiò d’un colpo il contenuto del bicchiere.

Sirius era in grigio, quella sera. Avanzava con naturale eleganza e mi parve di comprendere appieno il significato dell’aggettivo “aristocratico”. Sembrava quasi finto, tanto era sbalorditivo. Tra tutti e due facevano girare le teste come slot-machines.

Poi ricordo di aver ballato con tutti gli amici e le amiche e penso di aver riso raramente quanto quella volta. Passai ore deliziose a chiacchierare, soprattutto con Seb. Al momento dell’apertura delle danze quasi ci rimasi secca dalla sorpresa quando scoprii che sapeva ballare, e anche bene (al contrario di me, che volteggiavo con la leggiadria di un Dorsorugoso rinchiuso in una cristalleria). Era stupefacente che Sebastian Deval, lo stesso Seb che si alzava da sedere soltanto se costretto, la persona più pigra che fosse mai comparsa nella mia vita, fosse un così bravo ballerino.

In realtà, quella sera notai molte cose di Seb cui prima non avevo fatto molto caso, e questo perché lui era molto più sociale di me. In effetti, Seb divideva il suo tempo in due parti: me e tutti gli altri. Ci era costretto, perché io non amavo stare in mezzo al baccano e alle grosse compagnie più del minimo indispensabile. Ma quella sera scoprii che il mio ozioso amico era più o meno l’anima della festa e intrattenne meravigliosamente tutta la Casa.

Anche io ero diversa dal solito, a sentire quel che ne dice lui. Ero più sciolta e vivace, avevo smesso di “stare rigida come un manico di scopa”. La verità era che tra l’attenzione al problema Black e Lupin, gli inviti ad effetto, lo stiramento dei capelli, la vestizione e tutto il resto, avevo finito per entusiasmarmi anche io per il Ballo.

Non so se sia a causa di quella sera che avremmo iniziato a guardarci con occhi diversi. Immagino che c’entri qualcosa, ma per parecchio tempo non ce ne rendemmo davvero conto.

E di sicuro non pensavo che l’avrei sposato. Questo proprio no.

Ma ci divertimmo molto. Ci siamo sempre divertiti molto, insieme.

Al termine della serata ero sfinita, esausta ed elettrizzata, io che di solito ero l’icona della calma e della pacatezza. Seb mi portava al braccio come una nonna, perché i piedi mi facevano male dal gran ballare, e so che non riuscivo a smettere di sorridere.

Poi sentii qualcuno ripetere il commento che si stava spargendo: Sirius Black e Candice Murton stavano baciandosi nel giardino del castello. Cercai immediatamente Lupin con lo sguardo e lo trovai accanto ad una brunetta graziosa, dirimpetto a Potter. James parlava fitto, con entusiasmo, insieme a Minus ed entrambi indicavano con ampi gesti il parco, dove era sparito Sirius Black.

Lupin era immobile, disattento e composto. Non faceva commenti. Non cambiò nemmeno espressione.

Poi Seb mi trascinò via, era ora di andare a dormire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Grazie a tutti per la gentile accoglienza.

In Particolare:

   fog: oooh… Tu sempre mi fai tremare le ginocchia. Addirittura mi chiamasti con la S maiuscola. Magari non era intenzionale ma mi toccò. Così come mi ha lusingata la preferenza sulla fiducia… (ma la mail ti è arrivata? Non per altro, ma mi sto iniziando a chiedere se non ho per caso importunato per sbaglio qualcun altro che non c’entra nulla…)

   FireAngel: grazie per la chance allora! Mi fa piacere naturalmente che Maude risulti gradevole. In realtà, comunque, non è davvero mia intenzione farne un narratore onnisciente. Ci sono moltissime cose che lei ignora e continuerà ad ignorare, lei è semplicemente un occhio esterno. Comunque sono contenta che la storia ti piaccia.

   Miki_Tr: ma grazie… che belle parole. dunque, per cominciare sono molto contenta per quello che dici su Maude. Volevo precisamente che fosse così, definita ma senza risultare eccessivamente accentratrice di attenzione, semplice. Quanto al nome, non mi pare di essermi ispirata a qualcosa di particolare. Stavo nel letto prima di dormire e pensavo a un nome da dare a sta creatura, ho cominciato a fare un elenco e tra gli altri è saltato fuori questo. Che libro era, per curiosità? Inoltre, grazie anche per il bacio – ma non è merito mio, sono così perfetti che fanno tutto da soli. E’ merito loro.

   Simply_Switz: grazie! Va avanti discretamente, purtroppo la salute non mi è amica e si fa quel che si può. Spero continuerà a piacerti.

   squizzz: Ti tengo d’occhio… -gulp- è una minaccia? ^__^ Haha, comunque mi hai fraintesa… non sarà affatto quasi lunga come JaB, sarà molto più breve. Ma più lunga delle altre. Mi fa piacere che maude ti sia piaciuta e che anche tu l’abbia trovata concreta ma non eccessiva. Quanto all’immedesimarsi con lei, inevitabile…ahm. Mi fa anche molto piacere che tu abbia notato quella particolare frase, di cui sono stranamente molto soddisfatta. E le mani…ahm. Che dire. Viva le mani di Moony!

   lela: diabolica… No, Maude da brava, onesta Tassorosso non di darà al ricatto e all’estorsione. Comunque, lieta di aver incontrato il tuo favore. Ah, niente occhiali a fondo di bottiglia… quelli li lasciamo a Potter ^__^.

   Briseide: mmmh… Ti amo. Grazie mille per tutte le belle cose, per le lusinghiere parole su Maude – gli originals mi mandano sempre un po’ in crisi – sui “miei” Marauders e sul loro rapporto, sull’ironia – cerco di essere diretta e naturale, mi fa piacere che tu lo veda -  per aver notato il disegno, James e il disegno di James e per l’inchino a cane e lupo, che onorati ringraziano. In effetti poi il personaggio di maude dovrebbe servire proprio a un’analisi più oggettiva, distaccata. Che dire…grazie.

   Elly: orbene. Innanzitutto sentitissimissimi ringraziamenti per il lungo excursus infarcito di complimenti sulla mia precedente produzione. Sono oltremodo onorata di cotanto apprezzamento. Indi, tocchiamo una nota dolente… la morte di Remus. Ahinoi. Avrei ancora esitato, ti dirò, a citarla, perché è stato un durissimo colpo, che ha definitivamente eliminato ogni mia stima residua per JK. E sì che dopo il 5 già di punti ne aveva persi. Comunque, questa citazione vaga mi ha permesso di affrontare la cosa senza soffermarmici e tutto sommato sono lieta di aver superato lo scoglio. Quanto a Snape, chissà, forse il futuro riserva sorprese. I disegnino, a quanto vedo, hanno fatto furore. Ne sono lieta. Per concludere, quante volte Maude… Beh, non saprei. Seriamente, non è così difficile spiare la gente. Tui sai che lei è lì e quindi pare strano, ma loro non lo sanno. E poi mica stanno solo lì dentro… Non temere, insomma, prossimamente si vedrà.

   Jane Gallagher: grazie, cara. In effetti sì, ho un debole per questi due fanciulli. E mi fa piacere che tu abbia posto l’accento sul fatto che dall’esterno i Marauders sono incomprensibili. Gli stessi soprannomi non hanno veramente senso. Insomma, chiaramente Maude qualche… niente. Shh… Il Pensatoio, invece: in realtà, non mi sembra un oggetto che abbia chiunque. Voglio dire, in HP lo vediamo solo a Silente e lui non è esattamente una Tassorosso qualsiasi. Non mi sembrava il caso, ecco, mi pareva fuori luogo. E comunque mi piace di più così, lasciando le cose più vaghe e confuse, come sono i ricordi.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Terzo Brano ***


Terzo brano

 

 

L’indomani ebbi a malapena la forza di trascinarmi in Sala Grande per i pasti e il resto della scuola era conciato più o meno come me. Intorno ai tavoli si affollavano volti insonnoliti e stanchi, parecchi studenti saltarono il pranzo e i quattro ragazzi di Grifondoro erano tra questi. C’era soltanto Lily Evans con le sue amiche e persino lei sbadigliava in modo indecoroso.

La faccenda del bacio di Black e Murton aveva raggiunto una certa risonanza; Melissa Hopkirk giurava che lei li aveva proprio visti e che non c’erano dubbi, e non vedevo perché avrebbe dovuto mentire. Candice, comunque, fingeva che tutto quel baccano non la riguardasse affatto e sedeva elegantemente al suo tavolo con un sorriso compiaciuto aleggiante sulle labbra. Lei, ovviamente, aveva lo stesso aspetto fresco e splendente di sempre.

Io mi domandavo se Black e Lupin fossero insieme, se con loro ci fossero anche gli amici o se fossero soli e si stessero chiarendo. Se Lupin fosse molto arrabbiato, se avesse creduto alla storia del bacio o se invece non gli importasse.

Di sicuro Black era molto scrupoloso nel non dare adito a sospetti. Anche troppo, a mio avviso.

Naturalmente non andai nella stanzetta. Non ce la facevo proprio e comunque dubitavo che loro avessero la forza di trascinarsi fin lassù, anche nel caso in si trovassero insieme. Sapevo, inoltre, che adesso sarebbe stato più complicato riuscire a sgattaiolare in quel corridoio silenzioso. Durante quegli ultimi giorni i miei amici erano stati troppo presi dal Ballo, ma ora che l’affare si era concluso sarebbero tornati ad essere personali normali e di solito studiavamo insieme. Spesso, almeno. Sarebbe stato strano se d’improvviso avessi preso a disertare sistematicamente le nostre sessioni di ripasso.

A cena invece erano presenti, tutti e quattro. James Potter sprizzava cuoricini dagli occhi e Lily Evans non era da meno, Minus doveva avere ancora sonno e Black e Lupin, ahimè, non si guardavano nemmeno in faccia. Direi per l’esattezza che Lupin si comportava come se Black non fosse nemmeno esistito, nonostante i tentativi di quest’ultimo di ricordargli la propria presenza. Sirius finì per rovesciargli addosso “accidentalmente” del succo di zucca tanto per farsi notare, ma non credo che la mossa sia stata molto intelligente. Lupin a quel punto più che indifferente divenne ostile.

Ero in pensiero.

Ed era da pazzi che mi prendessi tanto a cuore i problemi di due ragazzi che non conoscevo, di cui non sapevo praticamente nulla e che non avevano idea di chi fossi. Eppure non riuscivo a farne a meno. Osservavo Sirius Black e lo vedevo guardare Lupin come se da lui fosse dipesa la sua stessa sopravvivenza. Non capivo, in effetti, come James Potter potesse non rendersi conto di nulla. Doveva avere delle mani di Gigante sugli occhi, oppure essere una persona estremamente discreta. Ora, apparentemente Potter – poteva confermarlo chiunque – di discreto aveva ben poco, ma quell’unica volta che l’avevo visto con Black lontano dal pubblico avevo notato una persona diversa, completamente differente dal Caposcuola chiacchierato che conoscevano tutti.

Erano così complessi, quei ragazzi. Non facevano che attirarsi l’attenzione in qualunque maniera possibile, eppure riuscivano ad essere se stessi solo nei rari momenti in cui il mondo si dimenticava di loro e si chiudevano nel proprio universo privato.

Non tornai alla stanzetta per qualche giorno. Dovevo studiare moltissimo per la mia relazione, dovevo presentarla il venerdì e Seb, che era fortissimo in Incantesimi, si era offerto insistentemente di aiutarmi. Lo faceva sempre.

Ovviamente non avevo trovato un motivo plausibile per declinare la gentile proposta e mi ero vista costretta ad accettare, anche perchè il suo aiuto mi faceva davvero comodo. Mi consolavo dicendomi che vista la freddezza che si dimostravano Black e Lupin non stavano certo a chiacchierare nell’aula vicino a Astronomia, ma il pensiero finiva per deprimermi anziché risollevarmi.

Il lunedì la situazione non era sensibilmente cambiata, Lupin rispondeva a Black a monosillabi e cercava di non dare a vedere agli altri amici che ci fossero dei problemi. Martedì, sotto gli occhi di nove persone tra cui un’allibita professoressa McGranitt, che dovette togliergli dei punti, mandò al diavolo il compagno con una serie di epiteti poco lusinghieri che fecero sbiancare la povera donna. La sua giustificazione fu “mi stava minacciando perché gli dessi i compiti di oggi da copiare, altrimenti avrebbe fatto cose turche nel mio letto.” La professoressa tolse dei punti anche a Black.

Lupin ci sapeva fare, con le frottole.

Mercoledì Sirius iniziava a dare segni di cedimento. Era triste e abbattuto e persino Potter dovette accorgersene. Lo vidi parlottare con lui e riempirgli il bicchiere più volte, durante la cena, scompigliandogli i capelli con fare dispettoso. Lupin era di marmo, quasi livido, non lo guardava neanche.

Giovedì sera, infine, dopo cena, Candice Murton risolse involontariamente la situazione: passò accanto ai quattro Grifondoro lasciando cadere un libro con fare casuale. Un vecchio trucchetto da dama ottocentesca, effettuato solitamente col fazzolettino di trine. Black non se ne accorse minimamente, anche se il manuale si era schiantato esattamente accanto al suo piede. Probabilmente stava fissando Lupin e il mondo circostante era svanito dalla sua percezione. Fu questi, comunque, evidentemente mosso a compassione, a chinarsi e raccogliere il volume, porgendolo alla ragazza. Candice era così infuriata che addirittura arrossì di collera, girò i tacchi e marciò via al colmo dell’indignazione. Il solo commento di Black fu:

“Ma quando te l’ha dato, quel libro, Remus?”

Doveva essergli difficile pensare a qualcuno che non fosse lui.

James Potter si ribaltò dal ridere e Remus non poté trattenere una risatina incredula. Li vidi guardarsi per un istante, appena un secondo, e mi sentii meglio. Nei loro occhi c’erano un sacco di cose che spiegare a parole mi risulta impossibile.

Decisi che l’indomani sarei tornata alla stanzetta.

Peccato che loro non ci vennero. A cena, però, li vidi chiacchierare. Era sollevata. Mi sentivo più di buonumore anche io e il tutto continuava ad essere privo di senso.

Il sabato Seb e Julia mi trascinarono a fare pupazzi e palle di neve. Aveva nevicato e Hogwarts sembrava immersa in un bianco immacolato. Non riuscii a liberarmi di loro e nemmeno ne avevo troppa voglia, perché ci divertimmo molto.

La domenica ebbi finalmente un nuovo incontro ravvicinato coi ragazzi. Come sempre a loro insaputa.

Avevo liquidato i miei amici con la scusa di voler effettuare un ultimo ripasso in solitudine per concentrarmi pienamente. In seguito avrei riutilizzato parecchie volte quella spiegazione raffazzonata, senza che nessuno mi chiedesse chiarimenti. Niente di strano, in questo: io ero Maude, la semplice e silenziosa Maude, una ragazza senza tanti grilli per il capo, come diceva mia madre con sollievo. Nessuno poteva certo immaginarsi che spiassi una coppia di ragazzi intenti a vivere la loro vita nell’intimità di un’aula vuota: io stessa stentavo a crederci.

Quando li sentii arrivare mi mancò un battito: era tutto a posto tra loro? O qualche strascico si faceva ancora sentire? Fissavo la fessura nella porta con attenzione spasmodica, guardandoli mentre entravano nell’aula. Silenziosi.

Fu Black a interrompere quel mutismo prolungato, dopo che Lupin si fu seduto.

“Non è colpa mia se mi è venuta di nuovo a cercare.”

Lupin lo guardò ed annuì, vago.

“Io non ho detto una parola,” si giustificò.

“Non c’è bisogno che parli, con quella faccia,” osservò Black di rimando.

“Quale faccia?”

“Quella faccia da: ho bevuto due litri di succo di limone puro e ora forse morirò di acidità.”

Lupin scoppiò a ridere suo malgrado, nonostante la smorfia per trattenersi, quindi scrollò la testa.

“Non sono affatto acido.”

“Nemmeno i limoni lo sono,”commentò Black con sufficienza, appoggiandosi allo spigolo della cattedra.

“Piantala con questi limoni,” intimò Lupin, incrociando le braccia.

“E tu piantala di fare quella faccia.”

“Io non sto facendo facce,” protestò Lupin esasperato.

“Io non sto facendo facce,” lo motteggiò Black facendogli il verso, ed incrociò a sua volta le braccia assumendo una buffa espressione inequivocabilmente acida e piuttosto somigliante, ad onor del vero.

Repressi a stento una risata.

“Pagliaccio.”

McGrannitt.”

“Sirius!”

“E’ la verità,” si difese l’interpellato, noncurante.

Si guardarono per qualche istante in cagnesco, prima di prendere a ridacchiare in sincrono.

“Non le somiglio affatto,” puntualizzò Lupin divertito.

“Certo che no, Minerva. Ops. Remus, volevo dire Remus,” sghignazzò Black, mentre l’altro estraeva un libro dalla sacca di scuola e glielo lanciava contro senza tanti complimenti. Sirius lo schivò per un pelo, senza smettere di ridere.

Ero molto sollevata. L’atmosfera non era del tutto distesa ma almeno stavano scherzando e ridevano insieme, quindi immaginai che le cose fossero più o meno sistemate.

“Sei proprio un bambino,” commentò Lupin rassegnato.

“Ma ti piace che lo sia,” aggiunse Black vittorioso.

“Non mi sembri nella posizione di fare il gradasso.”

Quest’ultima frase di Remus Lupin fu abbastanza asciutta e il sorriso sul volto di Black si spense in un’espressione colpevole. Si staccò dalla cattedra ed avvicinò l’altro ragazzo con ragionevole prudenza.

“Ma non è colpa mia,” protestò, risentito.

“Se vai in giro a baciare la gente come se niente fosse poi non puoi far finta che sia strano se la gente si aspetta che tu lo rifaccia,” osservò Lupin freddamente.

Molto freddamente.

Glaciale.

Black non trovò nulla da ribattere e chinò la testa, abbattuto.

“Non fare quella faccia,” esclamò Lupin, sbuffando.

“Quale faccia?” chiese Black, speranzoso.

Remus sollevò lo sguardo su di lui, cercando di rimanere serio. I suoi occhi però stavano ridendo, fissi sull’altro ragazzo con una tenerezza indicibile.

“Quella faccia da: mi hanno ucciso i familiari e derubato di tutti i miei averi e in più ho appena calpestato una merda di ippogrifo.”

Mi dovetti tappare la bocca con forza mentre Black esplodeva nella sua risata ululante.

“Non credo che mi dispiacerebbe,” osservò tra le risate. “Per i familiari, dico.”

“Invece la merda di ippogrifo sarebbe un gravissimo problema per le tue belle scarpe nuove,” commentò Lupin condiscendente. Gettai un’occhiata ai piedi di Black, infilati in un paio di qualcosa che un tempo dovevano essere stati, forse, stivali. Ma poteva anche trattarsi di ciabatte sformate.

Il mio commento all’epoca, nel diario, fu: “le scarpe di Black sono raccapriccianti, cadono a  pezzi. Tipicamente Grifondoro.”

“Conta quel che c’è dentro,” rispose il ragazzo con fare altero.

“Merda di ippogrifo,” concluse Lupin con un sorriso pieno di pietà.

Black non si trattenne oltre, slanciò il corpo in avanti e afferrò il volto dell’altro per aggredirlo letteralmente con un bacio alquanto famelico. Lupin lo lasciò fare senza troppo fastidio.

Ero deliziata. C’erano un’intimità e una confidenza tra di loro che mi lasciavano completamente disarmata, tanto da darmi l’impressione che non avessero mai fatto altro che stare insieme.

Merdofilo,” borbottò Black contro il viso di Lupin.

La risata di Remus risuonò leggera nell’aula, mentre gettava indietro la testa con spasso. Sirius Black ne approfittò per accovacciarsi parzialmente al suo fianco, abbassandosi per stare alla stessa altezza.

“Non si dice così, vero?” domandò innocentemente, facendolo ridere ancora di più.

Lo stava facendo apposta. Sperava di rabbonirlo, evidentemente, ma mi dava anche l’idea che sentirlo ridere fosse uno dei grandi piaceri della sua vita. Lo stava a guardare con aria rapita, un sorriso involontario appena accennato sulle labbra.  

Nessuno, nessuno mi aveva mai guardata in quella maniera. Né avevo mai visto un simile sguardo omaggiare qualcun altro.

Chissà com’era il mio, di sguardo, in quei momenti. Probabilmente li osservavo con la stessa intensità adorante con cui si guardavano tra loro. Ero affascinata dal loro strano equilibrio tutto sghembo, dal loro oscillare tra il riso e la ripicca senza mai perdere del tutto la misura, con naturale accortezza.

Remus Lupin aveva smesso di ridere, Black colse l’occasione fornita dalla sua momentanea quiete per farsi spazio contro il banco e accoccolarsi sulle sue gambe.

Lupin protestò sonoramente, emettendo un gemito di sofferenza.

“Sei un falso magro,” si lamentò con espressione da martire.

“Sono praticamente perfetto, sotto ogni punto di vista. Come…come si chiama?” domandò Sirius corrucciato, grattandosi il mento.

“Chi?” chiese Lupin perplesso, passandogli un braccio intorno alla vita.

“Quella con l’ombrello. La strega del film babbano per bambini che ci hai fatto vedere quest’estate a casa tua, la sera della sbronza,” spiegò Black impaziente.

Fortunatamente Lupin scoppiò a sghignazzare senza ritegno, perché questa volta non riuscii a trattenere del tutto il principio di risata che mi esplose tra le labbra, avendo intuito di che parlasse.

“Mary Poppins,” boccheggiò Remus, viola per il ridere.

“Sì! Praticamente perfetto, come Mary Poppins,” confermò Black soddisfatto.

Lupin proruppe in una nuova, frenetica risata.

“Mi piacerebbe vederti col suo cappellino,” biascicò senza fiato.

Anche Sirius Black si mise a ridere.

Ridevano, uno in braccio all’altro, e Merlino sa se non sembravano giusti e armoniosi in modo quasi irreale. Anch’io, ormai, ero scossa da un riso silenzioso, le labbra strette allo spasmo.

“Mi starebbe benissimo, avrei dovuto averne uno al Ballo,” continuò Black, altero, quando si furono calmati.

“Non credo che Candice avrebbe apprezzato,” osservò Lupin, sferzante.

Sirius Black esitò solo per un istante, prima di scrollare le spalle.

“Ma tu sì,” osservò noncurante. “Questo è l’importante.”

“Strano. Io non ho molto apprezzato il bacio.”

Black sbuffò, circondandogli il collo con un braccio.

“Ma te l’ho detto, ora ne parlano tutti. A chi verrebbe in mente che sono qui con te, adesso?”

“Che nobile sacrificio, Sirius, sono commosso,” affermò Lupin, tra lo scherzo e il risentimento.

“Sei incontentabile,” ribatté l’altro con fare annoiato.

Remus Lupin non gli rispose, limitandosi ad appoggiare la testa alla sua spalla.

“Potresti, e dico potresti,” suggerì Black con fare casuale, “riappropriarti di ciò che è tuo.”

“Potrei cederlo a lei,” ribatté Lupin indifferente.

“Sono un ragazzo-oggetto,” sospirò Black melodrammatico.

Non era del tutto falso. Le ragazze della scuola se lo contendevano come un bel pupazzo e mi chiesi se non ci fosse un fondo di autentico rimpianto per quella condizione. Un tempo pareva esserne più che lusingato e fomentava decisamente gli animi, ma forse ora non era più così entusiasta e quella cosa doveva iniziare a stargli stretta.

“Col cervello che ti ritrovi non puoi pretendere molto di più,” rispose Lupin a voce bassa, voltandogli il viso con una mano, delicatamente. Mentre poggiava le labbra sulle sue sentii provenire da Black un mugugno che suonava molto simile a qualcosa come “vaffanculo”.

Ero di nuovo dove non dovevo essere. E me ne resi conto con drammatica evidenza quando Black, senza staccare la bocca da quella del compagno, come se fosse stato il boccaglio di una bombola d’ossigeno, riuscì in qualche acrobatica maniera – ancora non mi spiego come – a incastrarsi tra il banco e la sedia di modo da far passare una delle due gambe oltre il corpo dell’altro, così da sederglisi in braccio a cavalcioni. Sapeva essere un contorsionista nato, all’occorrenza.

A quel punto la mia situazione si faceva decisamente spinosa. Sgranai gli occhi con un moto di terrore nel rendermi conto di quali parti dei loro corpi entravano in contatto in quella maniera e a diciassette anni mi ero fatta almeno un’idea della dinamica dell’anatomia umana. Il successivo gemito proveniente probabilmente da Remus Lupin me lo confermò inappellabile.

Emisi un lungo respiro scomposto gettando un’occhiata intorno.

Non avevo vie di fuga.

E quei due continuavano a baciarsi con metri di lingua completamente persi in se stessi. C’era anche la possibilità che se fossi uscita e me ne fossi andata non se ne sarebbero accorti; forse nemmeno se mi fossi messa a ballare la lambada avrebbero notato qualcosa. Ma non desideravo verificarlo. Quando poi Sirius Black si mosse, spingendosi contro il corpo dell’altro con un lamento roco e decisamente erotico, oltre ad avvampare come un cerino che prende fuco – avevo caldo persino nei capelli – mi resi conto che non potevo proprio rimanere lì. Comunque mi traballavano le ginocchia e i sussurri emessi da quel groviglio di membra non aiutavano molto la mia lucidità.

Pensai che forse se avessi corso non sarebbero riusciti a mettere a fuoco la mia figura.

Per un imperscrutabile disegno divino e con mia immensa fortuna, non fu necessario: un’oscillazione più marcata del bacino di Black fece definitivamente cedere il già precario equilibrio della sedia su cui erano arrampicati: d’un tratto li vidi sbilanciarsi e precipitare indietro, schiantandosi a terra con sedia, borsa dei libri e tutto quanto, accompagnati da un gran fracasso.

La caduta fu tanto violenta che per qualche istante temetti che si fossero fatti male. Poi li sentii gemere – di dolore questa volta, grazie al cielo – e mi raggiunse la sonora imprecazione di Black, seguita dalla risata spezzata e ansimante di Lupin, cui si unì subito dopo anche lui.

Erano spariti dalla mia visuale e non potevo accertarmi delle loro condizioni, ma se ridevano non poteva essere niente di mortale.

Riemerse per primo Remus Lupin, arruffato e sghignazzante, quindi tese la mano e recuperò il compagno, che si rizzò in piedi massaggiandosi la testa.

“Cambiamo location,” decise Black con una smorfia.

Ne fui estremamente sollevata.

Quando se ne furono andati crollai a sedere con un lungo sospiro spossato. Mi era andata bene e ringraziavo quella santa sedia. Mi sembrava ancora di arrossire se ripensavo al loro modo famelico di saltarsi addosso. E non ripensarci, al momento, mi era difficile.

Mi resi conto dopo un po’ che mi stavo sventolando il quaderno verso il viso come un ventaglio. Scoppiai a ridere nervosamente, denigrando la mia vergognosa attitudine: ero un’orribile guardona, mi stavo comportando come una malata. Poi mi tornò in mente la caduta dei due ragazzi e la mia risata si fece ancor più frenetica, scrosciante.

Magnifici. Erano stati assolutamente esilaranti.

Ad ogni modo, quella sera mi dissi che avrei smesso di spiarli.

Non ci credevo nemmeno io.

Per qualche giorno, comunque, non osai tornare alla stanzetta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccomi di ritorno.

Avrete notato una certa lentezza. Mi scuso sentitamente, ma ho un nuovo progetto per le mani che occupa la maggior parte del mio tempo dedicato alla tastiera del pc.

A questo proposito, se vi interessa saperne di più sul mio nuovo lavoro potteriano (si fa per dire, di Potter Potter c’è ben poco), vi invito a raggiungermi qui:

 

http://black-pf.livejournal.com/

 

 

 

 

 

E dopo un po’ di sana pubblicità, passiamo ai ringraziamenti.

 

   FireAngel : temo di non poter rispondere alla tua domanda e chiarificare il tuo dubbio senza fare spoiler, quindi dovrai tenerti la curiosità… grazie per gli auguri di guarigione, ovviamente ormai sono sana e salva anche perché sennò sarebbe preoccupante. A presto.

   fog: mannaggia… belle, belle parole. Tu mi commuovi sempre. Questa volta ti sei superato e non sai che bello leggere cotale recensione. Hehe, hai notato Snape…e l’idea di Maude di presentarsi che sì, è assurda ma mi è uscita così e mi ha fatto ridacchiare. Sono felice che ti piacciano tanto i miei personaggi, sono estasiata dal fatto che ti trasmettano tante impressioni e tanta concretezza. Come mi rendi lieta. Scusa se non ti ho più risposto alla mail e grazie per le ultime dritte, mi farò sentire al più presto che ho un paio di cosette da chiederti. Ciao ciao.

   Briseide: hahaha…lo spacciatore di fiducia mi sembra calzante. Ebbene, mia cara, tutto quello che dici sullo spettacolo del fuoco che brucia, sull’ingiustizia e sull’amarezza è come suppongo tu sappia perfettamente condiviso dalla sottoscritta me medesima me stessa. Vedo che Candice proprio non ti è piaciuta, eh? ^__^ Non me ne sorprendo. Non è un personaggio piacevole né lo diventerà. Comunque Remus non fallisce totalmente, dai… E’ un osso duro, il sudicio ibrido. A presto

   Squizz: Eeehm… lo so. Ogni tanto ci butto dentro un po’ di angoscia e dolore. Se no, appunto, non sarei io. Hehehehm… mi fa molto piacere che si entri in sintonia col personaggio di Maude, gli originali sono sempre un po’ un salto nel buio. E che la scenetta ti abbia così toccata, è molto bello. Spero che continui ad essere così e che mi “amerai” lo stesso anche con i miei cenni angosciosi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=207973