Trascendenza

di lubitina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** And I'm trapped ***
Capitolo 3: *** Naufraghi ***
Capitolo 4: *** In memoriam ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve! Sì, in un attimo di ispirazione, tra lo studio intenso per la sessione estiva, ho scritto il primo capitolo del seguito di Keelah se’lai, che spero ci porterà fino alla conclusione della saga. È un po’ delirante, lo ammetto. Ma ho sentito troppo la mancanza del caro comandante Shepard!
Ovviamente non smetterò di aggiornare “Memorie di un uomo d’altri tempi”.
Buona lettura :3
 
 
 
 

Amico della Notte

 
 
 
Guardò il foglio di carta, e il suo sguardo salì lentamente fino alla mano che reggeva la penna. Sul dorso, c’erano svariate cicatrici bianche, altre innaturalmente rosso fuoco. E le sua dita erano piegate in maniera scomoda sullo stelo di plastica, l’indice in una posa innaturale e il pollice troppo vicino alla punta, tanto da sporcarsi d’inchiostro a ogni parola.
Un datapad, sfavillante di misteriosa luce giallastra, era appoggiato accanto al foglio candido. Quella strana luce illuminava leggermente tanti piccoli oggetti, appoggiati in maniera disordinata sulla scrivania metallica: una boccetta di vetro, il modellino di una fregata, una minuscola pistola bianca, alcune periferiche di memoria, una pila di fogli di cellulosa bianchi, un pezzo d’armatura N7 ammaccato e fuso in vari punti, con poche tracce di vernice blu rimaste a colorarlo, ed in fondo, nascosto dietro una pila di libri cartacei e ingialliti, un piccolo terminale portatile, simile per design al datapad. Spento.
Spento, come una stella morta.
Spento?
Cosa significava spento, diamine? Là dentro doveva comunque esserci qualcosa che mantenesse stabili i dati memorizzati, l’ora, la data, la posizione nella Via Lattea. Il suo account di intranet. Le mail, importanti o di pettegolezzi galattici riguardo i Consiglieri che Liara gli inoltrava.. Zettabyte di foto, video, dati su armi e statistiche del cazzo che tanto lo rilassavano. Quei maledetti e-book di biologia che aveva scaricato per lei..
O meglio, per cercare di conoscere il suo mondo.
E il mondo di una donna sapeva essere alquanto complicato, anche se il suo cariotipo è diverso dal tuo e le sue proteine vorticano nel verso opposto.
La quiete dov’era, se quel maledetto aggeggio era acceso, ed emetteva la sua sgradevole lucina blu? Se il gommoso cavo di alimentazione era attaccato alla minuscola presa sul lato destro, e le periferiche di memoria disordinatamente sparse erano inserite nelle sue prese?
Si rese conto di avere un moto di violenza nei suoi confronti. Il Terminale va Terminato. Sì, come avrebbe voluto fracassare quel maledetto aggeggio contro la testata del letto, vedere le migliaia di microchip sfavillare come neve, ricadere grandinando sul suo morbido cuscino di piume sintetiche (Sì, anche quelle erano sintetiche) e ivi rimanere, fino a che non avrebbe deciso che forse era il caso di utilizzare un drone pulitore. Avrebbe chiesto a IDA, sì.
Eppure il dannato aggeggio non si sarebbe decomposto. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di finire ricoperto di muffa, marcire, ricoprirsi di moscerini e vermi (cosa alquanto improbabile in una fregata dell’Alleanza, e soprattutto nella cabina ipersterile del Comandante) , e non avrebbe potuto immaginare le loro larve crescere grasse dentro le loro comode crisalidi, come quei dannati Collettori, insetti orrendi, abomini della Natura.
Ma quale Natura..Non c’era proprio niente di naturale in quelle maximosche biotiche.
Un’improvvisa risata gli risalì dallo stomaco, ed esplose fragorosa. E dolorosa.
“Ciao, D.A.!”
Per cosa sta, D.A.?
“Dannato Aggeggio,ovvio!”
E gli sembrava lo guardasse, da dietro la sua cromatura, e che cercasse di emettere lacrime silenziose. Ma era spento, e con ogni probabilità l’acqua l’avrebbe ammazzato.
Grande Idea!
L’avrebbe preso in mano, con grazia, come faceva il boia col morituro di lì a poco decollato, sarebbe andato in bagno, e con delicatezza, avrebbe aperto l’acqua della doccia e l’avrebbe regolata abbastanza tiepida, così che la sua morte fosse stata rilassante. Probabilmente avrebbe gradito anche un po’ di sali da bagno, no? Terminale va Terminato.
E rise di nuovo, pensando a quel vecchissimo olofilm terrestre. Una fitta di dolore confuso lo invase,a partire dalla sesta costola di sinistra.
“Dannata Cartilagine! Anche tu sarai terminata!”
Perché diavolo Miranda Lawson, grande e geniale umana costruita a tavolino,di cui l’unica cosa non piatta erano le forme corporee anteriori, non aveva pensato di sostituirla con qualche fibra sintetica ultraresistente? No, aveva deciso che il comandante Shepard doveva avere un fegato e mezzo polmone finti, un cuore rinforzato, ma che dovesse continuare a rompersi le costole se un Geth si Autodistruggeva a meno di tre metri da lui.
E che il suo maledetto stomaco dovesse continuare a non secernere enzimi digestivi decenti, e dovesse vomitare tutte le volte che ingurgitava pesce crudo. Nemmeno il sushi di quel giapponese di Zakera gli era concesso.
Il Medigel non fa miracoli, Comandante!, aveva detto la Chakwas con aria materna, scuotendo il caschetto di capelli grigi. Solamente le tue cellule possono. E, riposo assoluto finchè non lo dico io.
Finché non lo dico IO.
Semmai quando decido io, aveva replicato John, protestando come un bulletto in punizione. Se non fosse stato sdraiato sul lettino dell’infermeria, con i muscoli ridotti a fanghiglia, avrebbe anche sbattuto i piedi a terra, sonoramente.
E gli rivenne da ridere, a pensare alla faccia impassibile della Chakwas alle sue parole. Perfino le rughe parevano essersi stirate, sul suo volto. Gli ricordò vagamente una palude. Rane verdi saltellano tra le sue sopracciglia grigie.
A proposito, aveva borbottato girandosi a prendere qualche strana sostanza nel refrigeratore, hai la febbre alta. E probabilmente delirerai per le prossime quarantotto ore. Sai che l’assunzione eccessiva di Medigel la provoca, vero? Ma tu vuoi guarire tanto in fretta..quindi sopporterai.
No, non lo sapevo. Ed era scoppiato a ridere sguaiatamente, fino a che una fitta terrificante non lo aveva riportato alla realtà del freddo lettino e dell’anziana donna che lo guardava pensosa.
Prenditi una vacanza da te stesso, Comandante.
 
-Io sono John Shepard l’Indistruttibile! Nulla può terminarmi!
L’uomo che lo riguardava dallo specchio aveva l’aspetto di un cencio. Sì, un cencio, come quelli che usava il cuoco (come diavolo si chiamava? Dio, era incapace anche di cuocere un uovo senza bruciarlo) per pulire il piano cottura, dagli schizzi dell’olio e del burro di infima categoria.
Capelli lunghi, neri, scomposti, s’appiccicavano alla fronte imperlata di sudore (Potrei raccoglierlo e terminarci D.A.), su cui campeggiava un arcaico cerotto marrone accanto ad altri di un qualche gel protettivo a base di acido ialuronico. Più giù, guardò i propri occhi iniettati di sangue e curiosamente lucidi. Gli ricordarono due innaturali fessure mucose, poltiglia schiumosa ammorbidita con i polpastrelli e inserita nelle orbite vuote. Li aprì e richiuse, e uno strano liquido vischioso e trasparente gli colò lungo una guancia, la cui densità di gel trasparente era pari a quella della fronte.
E il suo colorito era terreo. Sì, beh, si sarebbe facilmente mimetizzato con l’arido deserto del Pianeta Natale.
..Nella cavità addominale sono riscontrabili un organo assimilabile ad un cuore, che, diversamente da quello umano, krogan, e delle principali razze della Galassia, possiede un Ventricolo interamente dedicato alla circolazione polmonare. Si ha così una maggiore efficienza nello scambio gassoso tra alveoli polmonari e sangue, a parità di volume.. Si può dire che i Quarian possiedano tre tipi di circolazione distinti: venoso, arterioso, e polmonare, appena abbozzato negli esseri umani..
..Potenziale d’azione neuronale di 16 milliVolt.. Tre assoni per cellula. Elevatissimo numero di sinapsi..
Miscela base ossea con leghe calcio-stronzio. Densità media 2000 kg/m3
 
 
Aprì il rubinetto dell’acqua. La guardò scorrere. Quanto tempo era passato?
Le cose esplodono, John. Ah sì, i Servitori esplodono. Anche le IA possono morire. Dunque le IA esplodono?
Gocce di sudore colavano dalla punta del suo naso dentro il lavandino metallico, mescolandosi all’acqua continuamente trattata dal supporto vitale. Devono avere delle cisterne enormi, quelle carrette dei Quarian. Fiumi, laghi interi mai imputriditi..
-Comandante, si sente bene?,- mormorò qualcuno.
 
Qualcosa suonò. Trillò, gorgheggiò come un tenore e poi si spense. Anche lui, svanito come D.A.
John si guardò attorno. Si rese conto, indistintamente, di essere sotto la doccia, che lo fissava metallica e bucherellata. Gli venne da ridere quando si rese conto di essere totalmente fradicio. Fasciature alle costole comprese.
Qualcosa si infilava con violenza nel suo cervello. Trapanava nella poltiglia cellulare, noncurante del rosa che si lasciava dietro, e avanzava verso amigdala, ghiandola pineale, e cervelletto.
-Smettila, - borbottò senza convinzione, appoggiando una guancia bollente al freddo delle mattonelle del bagno.
Quella cosa continuò a trivellare come fosse una miniera di Tuchanka e lui fosse il suo Divoratore (magnifica, epica, scena, enormi lucertole ed enormi vermi sotto un cielo radioattivo come Chernobyl). Ma infine uscì da un suo orecchio, scivolò lungo il collo e colò sulle spalle. Destra o sinistra? Forse entrambe.
 
Qualcosa lo scuoteva. Una zona cosciente di lui pensò che ultimamente la terra tremava troppo spesso: ci sarà mica stato uno sciame sismico?
Ma quale Terra,John Shepard! Tu sei il comandante delle Stelle! Tu controlli le supernovae!
 Beh, uno starquake non era mica tanto diverso.
Quel qualcosa era notevolmente forte. Ma grazie a Dio, aveva smesso di trapanare. Probabilmente aveva trovato il filone d’oro, e si era fermato a picconare piano. In lontananza, riusciva ad avvertire le continue e ritmiche collisioni del suo cranio contro le piastrelle del bagno,ma apparivano piuttosto simili a tuoni distanti in un cielo ancora limpido. Bum. Bum. Bum. Mancavano solamente dei bei fulmini ad effetto, simpatiche scariche elettriche di un nucleo d’eezo e..
E le raffinerie volanti, l’elio 3 e la magnetosfera di Urano, Sedna, inutile pezzo di roccia, Razziatori intorno a nane brune e impulsi gamma..
 
Schiaffo.
 
-Non si danno gli schiaffi ai malati. Non si usano più certi metodi barbari. Siamo nel 2187, 8271,7218 i Prothean lo sanno.
-I Prothean?
-I Prothean.
Un’ombra indistinta gli sostava davanti, assieme ad una profonda sensazione di deja vu vibrante nell’aria umida. Non era facile da distinguere. Cercò di socchiudere gli occhi, e compì l’estremo sforzo di alzare una mano bagnata a stropicciarseli. Niente. Nebbia, una dolce e accogliente nebbia, un intero cumulonembo lo avvolgeva materno. Adorabile torpore composto da acqua vorticante e leggera.
 
Schiaffo.
 
C’era un sergente istruttore, nell’N7, che gli aveva sempre ricordato un’enorme suricata. Sì, quegli animaletti roditori della savana, che tengono deliziosamente strette le zampette tra loro, e corrono via saltellando seguiti dalla lunga coda…
…Nessuna specie senziente conosciuta ha la coda. Chissà che diavolo hanno i krogan là sotto..
Ma i Leviatani sono invertebrati.. Faranno le uova?
..Si chiamava Thor. Thor, che nome del cazzo. E non era affatto dotato di lunga chioma bionda e grandi occhi azzurri, né tantomeno di martello: era un insegnante dei biotici ed era scuro come una notte senza luna, con grandi occhi neri le cui iridi brillavano come carboni ardenti nell’humor vitreo candido.
Ed era un personaggio molto..
Le cose esplodono
 
Schiaffo.
 
C’era una donna nell’N7 aveva gli occhi grandi e grigi ma non erano come i Suoi no i suoi sono diversi lei è un’aliena lei è nata su una nave ma quella nave è esplosa e le cose esplodono ma perché ci siamo persi nell’uragano lui dov’era lui chi è lui è ancora qui è nell’acqua l’acqua è dappertutto
 
Lui non se ne andrà finché la Morte non avrà riscosso il suo tributo
 
 

The Martyr

 
 
“Andrà tutto bene”, le aveva sussurrato, rassettandole il velo blu. “Sai chi sei, sei cosciente di ciò che sei in grado di fare. E se l’Ammiraglio ha scelto anche te, un motivo c’è”.
Lei aveva deglutito, e, senza guardare l’interlocutrice in volto, aveva preso del disinfettante liquido. Nebulizzò accuratamente sui guanti blu scuro, gettando solo un’annoiata occhiata alla sua pelle grigio perla. Da qualche parte aveva letto che, un tempo, i Quarian erano più.. scuri. Ma ora, dopo tanti secoli, l’albinismo s’era sempre più diffuso.
Infilò i guanti con destrezza, e l’ultimo lembo di pelle scoperta sparì alla vista. Infine, aveva rialzato gli occhi, guardandola.
“Forse sì, hai ragione. Andrà tutto bene. “ S’era alzata dalla branda, andando a sedersi davanti al terminale del suo stanzino della Qwib  Qwib. “Ma se così non fosse? Il mio lavoro, e quello di tanti altri, andrebbe totalmente sprecato.”
L’altra donna, seduta in terra, la schiena appoggiata alla parete su cui correvano intricati cavi, la guardava senza batter ciglio. I complessi ornamenti del collo rilucevano dell’alone giallo della stanza.
“Neli, ne abbiamo già parlato. Tu vedi altre opzioni? Abbiamo già avuto più di quanto ci spettasse. Un popolo nomade!”, e così esclamando s’era alzata in piedi, gesticolando. La luce dietro la sua maschera s’era fatta più intensa. “Un popolo ramingo che si ritrova ad avere una casa, finalmente. Nel bel mezzo della guerra. E per via della furbizia di un branco di Alieni, si ritrova costretto a pagare un tributo. E quel tributo sei tu. Dovresti essere onorata di poter ringraziare chi ti ha ridato un luogo a cui tornare.”
Neli, dietro la maschera, si era morsa le labbra, e aveva sentito le proprie guance prender fuoco, mentre le belle facce rosa di un pugno di Umani prendevano forma nella sua mente, assieme alla esile, quanto famosa, figura, dell’Ammiraglio Zorah.
“Io ce l’avevo una casa. Si chiamava Rayya. Ed era una nave. Non ho mai chiesto a nessuno un pianeta. “
L’altra aveva scosso la testa, incrociando le braccia sul petto. “Sei identica a tua madre. Dovresti liberarti della sua influenza. Stare lontana dalla Flotta ti farà bene. Stare lontana da me ti farà bene. La nostra..”, aveva mormorato rabbuiandosi, intrecciando la dita, “è una relazione che non porterà mai a nulla. Lo sai.”
E la luce dietro la sua maschera s’era fatta dura, dura come pietra. Come il metallo di quel maledetto stanzino in cui si erano relegate. E in quegli occhi, c’era la Distruzione. Era la fine della gioia, dell’amore, della speranza.
Sì, qualcosa dentro di lei si era improvvisamente spezzato. Come una barra di metallo. Come un dannato osso. Non si sarebbe mai potuto risaldare.
Aveva sentito le guance inondarsi di lacrime, e la vista appannarsi dietro il vetro viola. Non si era accorta di essersi lasciata cadere sulla scrivania, e di aver nascosto l’elmo tra le braccia. Non avrebbe saputo dire quanto tempo avesse passato così, obliando se stessa più di quanto non facesse quotidianamente.
E poi, come acqua fresca tra le labbra di un assetato, le mani delicate di lei erano andate verso il suo collo, e avevano iniziato a sganciare l’elmetto, la maschera. E l’aria fredda della Flotta aveva iniziato a fluire sulla pelle del suo viso.
“Chiudi gli occhi, Neli” , e lei aveva obbedito, rabbrividendo al contatto delle dita di lei sulla sua pelle. Li aveva serrati, ed era rimasta in attesa. Aveva aguzzato l’udito, sentendo altri ganci aprirsi. Sorrise senza rendersene conto, tra le lacrime che, anche dagli occhi chiusi, continuavano a sgorgare.
“Volevo vederti un’ultima volta, mia Luce.”, aveva mormorato lei, e il suo cuore aveva iniziato a battere con più violenza. Sì, che uscisse pure dal suo petto. Sarebbe rimasto lì, con lei, nella stanza di quella nave. Perché era già suo, di quella donna così crudelmente dolce, dalle dita delicate e dalla voce roca.
“Io..”
“Ssh,”e un dito nudo e caldo di lei si era posato sulle sue labbra, serrandole. “Non c’è bisogno di parlare.”
Ed era venuta vicino a lei. L’aveva abbracciata, aveva appoggiato una guancia contro la sua. Il suo respiro lento si era mescolato al suo, troppo veloce, e le formicolava sulla pelle. Neli aveva alzato le mani verso il  suo viso, accarezzandola, imprimendo ogni particolare nella sua mente. Forma del naso, degli zigomi, incavo degli occhi. L’ampio spazio della fronte. Voleva ricordarla come era. Ed in eterno, lei sarebbe stata così nella sua memoria. Calore sotto le dita, pelle morbida e misteriosi occhi luminosi.
Ed in un istante di totale sintonia, le loro labbra si sfiorarono. Prima timidamente, poi con passione. Sentì i loro respiri farsi affannosi, il suo cuore battere troppo veloce. Indistintamente, avvertiva le mani di lei sganciare segmenti della tuta, e sentiva le sue fare lo stesso, con foga, impeto, e desiderio.
All’improvviso, aprì gli occhi. E la vide di fronte a sé, guance rosse, occhi brillanti e deliziose linee luminose sulla fronte. Le labbra rosa e umide dei baci di lei.
“Io ti amo, Yula. So che c’è un altro mondo per noi, un mondo migliore. E ti aspetterò lì.”
 
 
Le ore erano corse con rapidità impressionante. Aveva infilato i suoi pochi averi in una valigia, e si era imbarcata su quella dannata nave. Con gli altri. Sì, con gli altri genietti della Flotta, il plus ultra che Zaal’Koris avesse da offrire. Il viaggio sarebbe stato lungo. “Meglio se cerchi di fare amicizia,” le aveva consigliato lei, senza troppa convinzione. “Io non ci sarò a salutarti. Non ci sarò nelle formalità militari che l’Ammiraglio vi elargirà. Non ci sarò fisicamente, ma sarò sempre con te.”
Lei aveva pianto in silenzio, dietro la maschera, mentre Koris, dopo averli fatti mettere tutti in fila nel CIC della Qwib Qwib, l’ologramma di Rannoch sullo sfondo, pronunciava un vuoto discorso su come loro rappresentassero l’onore e la speranza ultima dei Quarian.
Una pagliacciata. Una formalità inutile. Le Antiche Macchine ci uccideranno comunque.
Sentiva su di sé lo sguardo di sua madre. Ed era un macigno.
Lei..
Keelah, non aveva neppure il coraggio di ammettere a se stessa quanto la detestasse.
“Tu sei diversa”, le diceva sempre. “Sarai pure un genio del’effetto massa, ma non sei degna di essere una Quarian. Sei una dannata ribelle, e se non fossi mia figlia ti avrei già fatto espellere dalla Flotta”, e si voltava sempre in un’altra direzione, rivolgendole le spalle e il velo scarlatto, vergognosa della sua pietà e vergognosa per la condotta di Neli.
“In te manca ogni buona qualità che ci distingue dagli Alieni”, aggiungeva, stanca. Neli protestava, le urlava di non dare importanza a quelli di Fuori, che alcune variabili erano troppo numerose perché esistessero valori assoluti , ma tutto si riduceva ad un monologo delirante. In cui lo sguardo dell’altera donna era duro come metallo e gelido come ghiaccio, su di lei, in cui ardeva il fuoco.
 
Si era imbarcata, dunque. Aveva abbandonato la Flotta per la seconda, e definitiva, volta. Stavolta non avrebbe trovato università e centri di ricerca Asari in cui rifugiarsi in pellegrinaggio, non ci sarebbero state ricche e viziate matrone a cui insegnare la natura della materia.
No, si diceva mentre, stancamente appoggiata ad una parete nell’osservatorio della fregata, così piccola per i suoi gusti. Così angusta. No, sarò da sola.
Il portale, antico e solenne, si avvicinava sempre più, attraendo la nave. La sua misteriosa luce brillava, colma di misteri. Misteri che lei avrebbe dovuto svelare, passando notti insonni davanti a calcoli vecchi di eoni, col sudore che le sarebbe colato lungo il collo, come la promessa di un’inutile fatica.
Ci sarebbero stati quindici Quarian, maschi e femmine, in mezzo ad una bolgia di scienziati di tutta la Galassia, persi nel tentativo di decifrare schemi vecchi di ere. L’ultima speranza per quel ciclo.
Neli’Vael vas Rayya era diretta ai Sistemi Terminus, al Crucibolo, nascosto fra le nebbie di una nebulosa dimenticata.
 

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Capitolo 2
*** And I'm trapped ***


After all these years thou left'st me down in the emotional depths -
The sombre soaked velvet-drape is hung upon me,
Turning my feelings away from our so ignorant world:
All the beautiful moments shared, deliberately push'd aside-
A distance there is...
A distance there is...

 

 
L’oceano di stelle si stendeva di fronte a lei.
Placide, pur nei loro brillamenti; lente a mutare, ma irreversibili ad ogni cambiamento. Producevano una quieta luce, quelle stelle in cui era naufragata. Le osservava, ed ogni momento ne era più persa. Ed era in pace.
Una pace preziosa, sì. Una pace rara, in quel momento di instabilità, di scosse tremende alle radici più profonde della Vita stessa, dell’istinto di sopravvivenza innato e costretto ad essere negato.
Il suo cuore batteva regolare, la sua pressione sanguigna era normale, così come i livelli di immunoglobuline. Non c’era alcuna infezione nel suo corpo nascosto, no. E non ce ne sarebbe stata una per alcuna molto tempo.
Chiuse gli occhi. si immaginò. Lei, un asteroide. Calmo, silenzioso, fisso nella sua orbita anonima attorno ad una piccola o grande stella, fisso nella propria eterna mobilità, finchè una supernova non avrebbe spazzato via quel sistema perso nell’eterno flusso delle stelle.
E, in quella vellutata quiete rocciosa, dove era finita la fregata su cui si trovava, mirabile opera del Nemico, la stanza in cui il suo corpo giaceva nell’ombra, mollemente appoggiato sul duro metallo come una bambola di pezza dai capelli strappati, i cui occhi vitrei erano diretti a quel vuoto pieno di atomi?
Dove era finito, lui? Almeno per un istante, s’era dissolto. Come una nube di polvere su una terra bollente e arida, sì. Come acqua nel deserto. Effimera, rara, ma preziosa come la pace che regnava in quel silenzioso asteroide.
Dove sei finito, John Shepard?
All’improvviso, sulla fredda e polverosa superficie dell’enorme masso, risuonarono dei passi. Umani? Forse. Drell? Chissà. Maschili, però. Colmi di prepotenza, e impunemente vogliosi di farsi udire, e spaccare, in quel perfetto silenzio.
Lui? No.
“Ciao, Bimba Mascherata..”
Una voce rude, sfacciata, sfrontata. Un volto rosa scuro solcato da una lunga cicatrice, che andava ad intersecare un occhio simile a un masso ardente, che ribolliva tra quei lineamenti duri e scolpiti nella pietra. Capelli grigi come granito.
“Zaeed.”,la sua voce cristallina si disperse nel vuoto della superficie del Masso. “Sei tornato dai morti per me?”
I passi, pesanti e maschili,  si fecero più vicini alla bambola, e lievi nuvole di polvere si levarono dal cratere sul Masso.
“Sì, Bimba. Corri un grave pericolo.”
Sentì la bambola ridere, delicata, acquorea. “Come hai fatto?”, cinguettò deliziata.
“Non mi piaceva molto, di là. Preferisco la vostra compagnia. La tua compagnia, dolce e spaurita come sempre.”
Qualcosa di freddo, duro, ruvido, sfiorò la sua guancia nuda. Delicatezza, c’era in quel gesto. Dita di rocciosi e pietrosi morti allungate ad accarezzare la sua pelle nascosta. Occhi come bracieri ardenti fissi sul proprio sconosciuto volto. Intenti ad indagare, a spogliare vaghi e confusi concetti d’ogni frivolezza innocente e infantile, messaggeri di segreti semplici e concisi. Come l’impatto di un proiettile contro un cuore roccioso.
La bambola capì, e reagì di conseguenza. Radunò ogni tenerezza, ogni innocenza, dietro un alta muraglia, e le nascose, tremanti e delicate come ali di farfalla, pronta a richiamarle appena l’uomo se ne fosse andato.
 
 Sul Masso risuonò la voce cavernosa.
“Lui ti ucciderà. Lui è portatore di distruzione. È stato scelto dal Bambino, per portare a termine il suo Piano. Non hai visto i suoi occhi? Non hai visto il suo sguardo? Non hai guardato nella sua anima corrotta fin nelle radici?”
Contrazione. Sentì la propria delicata pelle contrarsi, restringersi, fino ad avviluppare il cuore in una stretta morsa; e quelli si dibatteva con forza, pompando non più sangue ma solamente grigio vuoto.
Il tocco roccioso sparì dal suo volto, e il suo volto sparì da lei.
“Tu lo ami, vero, Bimba? L’avevo capito fin da subito. Da come lo guardavi mentre faceva i suoi giochetti di prestigio biotici, quando veniste a reclutarmi. Si sentiva, era palpabile, la voglia che avevi di lui. Da sempre. Il Bambino ti ha destinato a lui da prima che nascessi. Ti ha fatto vivere da sola, così che le vostre solitudini si incontrassero e scontrassero, e finissero per attrarsi. Perché dal vostro nulla nascesse qualcosa. Un fiore malato da piante marce. Ma tu, in fondo, non sei sempre la bimba spaurita che si nasconde dietro il suo monumentale padre?
“E ora dietro cosa ti nascondi? Dietro l’ombra di un uomo che è destinato a non amarti mai, perché il Piano lo nega. E tu devi verificare il Piano, per renderlo niente, Bimba. Solo tu, che sei nascosta, puoi smascherarlo, portandolo a compimento. E salvarLo.”
Il suo volto cominciò a riapparire. La pelle si rilassò, allontanandosi dalla massa pulsante, e dall’informe venne plasmato il Logico; le forme presero significato nella silenziosa roccia. La bambola si ricompose, pettinandosi i capelli neri con le dita, e pallide stelle imperlavano il suo viso.
“Come posso, Zaeed? Tu sei morto. Tu sei morto in mezzo alle Mosche. Tu sei parte del Piano. Lui ti lasciò morire.”
“No, Bimba”,e la voce si fece più dolce, e di nuovo il gelido tocco fu su una sua guancia,”Io lo costrinsi a lascarmi morire. Perché sapevo che ciò avrebbe avuto un significato. Ogni cosa ha significato, piccola. Ogni singolo battito del tuo piccolo cuore.”
Stelle cadenti nacquero e si infransero nel cielo invisibile; galassie collassarono e supernove divennero buchi neri.
“Nulla va mai perduto. L’unico modo, Bimba, per negare il Piano, è accettarlo. Trattarlo da essere vivente. Perché lui vive, si nutre e respira: si nutre di tutti noi, e senza di noi non è e non sarà mai.
“Combatti, Bimba. Salvaci tutti. Redimi i vivi e perdona i morti.”
 
 
 
 
 
Il risveglio fu traumatico. Si ritrovò appoggiata alle cosce di un androide metallico, di sembianze femminili, che giaceva su un piano da lavoro. Riluceva sotto i neon del laboratorio, attiguo alla sala macchine.
Le perfette labbra gelide sembravano dirle “Non avere paura”.
Non avere paura. Non devo avere paura, si disse, prendendo in mano gli attrezzi da lavoro. Microcircuiti cerebrali, sì. Distrutti da lei con un colpo di Paladin. Preciso, perfetto, letale. Aveva studiato quell’androide fin dal primo momento in cui l’IA della nave aveva avuto la geniale idea di portarlo a bordo; sapeva quali erano i punti deboli dell’opera. No, Tali, no!, urlava il Turian, da qualche parte.
Si sentiva ancora intontita dal sonno. Da quant’era che non dormiva? Probabilmente da quando i suoi piedi, dal pianeta natale, erano tornati a posarsi sul pavimento metallico della Normandy.
Da quando il Comandante aveva dato l’ultimo ordine sensato che fosse uscito dalla sua bocca (“Fai rotta verso la Cittadella, Joker. Ho alcune questioni da risolvere là”), prima di richiudersi nella propria cabina imbottito di medigel e fasciato come un bimbo. Da quando l’ultimo strappo alla tuta era stata riparato.
Strane creature gli umani, pensava, scostando delicatamente una piastra metallica dal volto del robot. Probabilmente lei aveva avuto in circolo, nel corpo, quantità di medigel decisamente superiori a quelle che Shepard aveva in quel momento, ma mai, mai, mai, s’era ridotta in quello stato. Già, strane creature, strana fisiologia.
 
“Creatrice Zorah”, aveva detto il Nucleo, rosso sangue, rivolgendo il visore verso di lei. I raggi di Tikkun morente impattavano sulla sua corazza, illuminandola. Le nubi livide s’erano ormai del tutto diradate, lasciando che i raggi della stella creassero piccole volute di vapore, tornando a disseccare il deserto bagnato.
Lei aveva deglutito, confusa, cercando freneticamente la maschera depositata da qualche parte nel fango, mentre uno strano sapore che non aveva mai sentito era apparso. Guardò lui, gli occhi socchiusi, una maschera di sangue rappreso e fango,e, più giù, una  mano ferita che stringeva la sua, coprendola. Probabilmente aveva perso conoscenza, ed ora vagava in quell’oceano tiepido e silenzioso in cui tanto agognava essere.
Sentì quella familiare sensazione salirle dallo stomaco, riempiendolo di nausea, e saltare fino al cuore. Vergogna. Il Nucleo la fissava, scannerizzava, memorizzava, analizzava il suo viso sporco di sangue e fango, le sue labbra che per la prima volta avevano toccato quelle di un’altra creatura di quella dannata Galassia, ed era stato bellissimo, oh sì. Era stato divino. Quel rapido, breve, effimero tocco, era ancora lì, presente, statico, materializzando tra loro ciò che era sempre stato sotteso ma mai ammesso. Le aveva detto che la amava, sì, che la amava come mai aveva fatto con nessuna, e lei aveva soffiato aria in lui, e gli aveva parlato, abbracciandolo, mettendo medigel in circolo, l’aveva pregato di non morire.
Di non morire, per mano sua. Non andarsene di nuovo da lei.
E lui aveva respirato.
Vergogna. Sentì il sangue salire alle proprie guance, tingendole di rosso, ma in quel momento la propria mano afferrò qualcosa di duro e vetroso, e lo strinse. Felice e rassicurata, agganciò il vetro violetto e convesso all’elmetto, e il mondo si tinse di una tonalità diversa.
Il battito rallentò, il sangue sparì dalle sua guance. La divina sensazione si fece più lontana, e la corazza tornò a crescere nel suo cuore. Scusami, mormorò a se stessa, lasciando delicatamente la mano di lui, e alzandosi in piedi.
Guardò il Nucleo, che inclinò la testa, in un tendersi e contrarsi di giunture metalliche.
“Il Popolo Geth ha intenzione di collaborare alla realizzazione dell’arma contro le Antiche Macchine.”
Tali deglutì, di nuovo. “Come fate a sapere del Crucibolo?”
“Legion”, rispose quello, laconico e cavernoso.
Lei annuì. Chissà perché quel Nucleo aveva riconosciuto lei come autorità, e non Garrus. E aveva totalmente bypassato gli altri due Ammiragli, che attualmente erano nascosti alla sua vista dalla navetta con cui IDA aveva trasportato lei e Vakarian. Smise di domandarselo, e parlò.
“Troveremo modo di contattare il team che se ne occupa.” Si rese conto che la sua voce tremava. Era ancora piuttosto scossa. Guardò le proprie gambe, e le trovò piuttosto malferme.
“Il Popolo ringrazia.”, disse il Servitore, incrociando la braccia dietro la schiena.
‘Ringrazia’?
“C’è altro?”
“Sì. Richiediamo l’autorizzazione ad installare alcuni nostri processi nella tua tuta.”
Strabuzzò gli occhi, e di nuovo la marea salì al suo stomaco, assieme ad una miriade di ipotesi.
“A che scopo?”, riuscì a mormorare, intrecciando nervosamente le dita, il cui tessuto era rotto in più punti.
Il Nucleo aveva, di nuovo, inclinato la testa,e, mentre una strana luce tingeva il suo visore, aveva portato le mani avanti. Tra le sue palme, era apparso un piccolo drone azzurro, che, pian piano, aveva cominciato a trasformarsi in..
“In me.”
Una minuscola immagine olografica di Tali Zorah Vas Neema. Priva di tuta.
Riconobbe i propri lineamenti, i propri disegni luminosi sul collo, sulle guance, sulla fronte. La tonalità dei propri occhi grigi, la forma del proprio busto e delle sue gambe slanciate.
Per qualche ragione, non riuscì ad arrabbiarsi, pur sapendo, indistintamente, che avrebbe dovuto. Che lui si sarebbe infuriato, al suo posto. Guardò il Nucleo, fissò lo sguardo nel visore, pur sapendo che quello non avrebbe capito. Riuscivano a malapena a decodificare la gestualità umana: chiedere ad una macchina di comprendere ciò che si celava dietro una maschera sarebbe stato troppo. Era troppo confusa, curiosa, stanca, ferita, sofferente, per avere la forza di costringere il proprio animo a provare rabbia.
La sua disponibilità di ira, per quel giorno, era esaurita. Il Popolo Geth aveva deciso di usare lei come Creatore standard? Bene, che fosse. Era un individuo in forma ed in salute, ed un perfetto esempio di femmina quarian in piena età fertile. Semmai quelle dannate macchine avessero evoluto un qualche tipo di forma d’arte, l’avrebbero dipinta e ricamata su arazzi, coperta di fiori del deserto o impegnata a coprirsi con le piccole mani. Avrebbero narrato le sue gesta come salvatrice dell’ordine galattico e del neonato Popolo. Una risatina nervosa le salì alle labbra, pensando ad un essere di metallo che scolpiva in pietra il suo didietro, e lei la lasciò fluire.
Il Nucleo la fissava in silenzio, impassibile, le mani con tre dita che parevano sorreggere l’immagine olografi ca. Carico di domande o solo desideroso di quiete.
Solo allora si accorse della massiccia presenza al suo fianco. “Sì, esatto, a che scopo?”, aveva detto una voce maschile in kelish.
Zaal’Koris. A volto scoperto, sporco di fango. E i suoi grandi occhi luminosi, di un blu intenso, erano fissi sul drone. I suoi eleganti paramenti da ammiraglio erano sporchi di fango, e la tuta era strappata sull’addome: ma conservava pur sempre un atteggiamento dignitoso ed altero, e la sua voce suonava come quella di un leader indiscusso. Tali rabbrividì, sentendosi minuscola.
Lacrime cominciarono a nascere nei suoi occhi. Gioia, vergogna? Scorse anche Raan, il cui bel viso era solcato da un lungo taglio, che aiutava Garrus a tenersi in piedi. Grazie, pensò distrattamente, guardando il volto coriaceo del turian, e la profonda infossatura della sua corazza.
Infine, il Nucleo parlò, rompendo le riflessioni di Tali.
“I Creatori sono lontani da Rannoch da secoli. La microflora è leggermente evoluta in loro assenza, e il Popolo, come segno di ringraziamento, vorrebbe effettuare alcune simulazioni.”
Tali sospirò, reprimendo un singhiozzo. Ormai era pronta a tutto. “Di che genere?”
“Test biologici sul sistema immunitario. Il Pianeta Natale è vostro, ora. È Nostro. Avete il diritto di tornare a casa, e di muovervi liberamente privi di tute ambientali, come prima della guerra del Risveglio.”
Gli occhi dei tre Quarian fissarono il Nucleo, che, come vergognandosi, abbassò il visore, e incrociò le dita delle mani, tra loro. “Ti saremmo grati se accettassi questo dono, Tali Zorah.”, disse, mesto. Come se pregasse.
Le lacrime, di dolore, stanchezza, vergogna, le avevano ormai inondato il volto. Si morse le labbra, avvertendo, lontano, il sapore di quelle di lui. Rispose, piano, in un sussurro appena udibile, mentre il suo cuore esplodeva nel petto.
“D’accordo.”
 
 
Sospirò, diede uno sguardo allo schermo che mostrava i nano circuiti ingranditi di circa cinquecento volte, simili a minuscoli vermi, e digitò sul terminale alcuni comandi. L’elettricità immediatamente fluì nell’androide, e piccole scariche si dipartirono dalle orbite oculari vuote.
Bene, ancora c’era trasmissione. Guardò con tristezza l’oggetto che Adams le aveva fornito (“E’ un saldatore, Tali. Cerberus ha creato quella cosa usando qualcosa di simile a quell’arcaico attrezzo,e se proprio vuoi ripararla, dovrai farlo anche tu”), e lo prese in mano, soppesandolo. Assomigliava vagamente ad una pistola.
I Servitori avevano matrici di riparazione integrate. Da decine di anni non venivano più riparati manualmente.
Però..
Un’idea balenante. Una meravigliosa intuizione,e un curioso metodo per farsi perdonare.
E, indirettamente, per fare a lui l’ennesimo, gratuito, regalo.
La sua mano sinistra volò al factotum, la cui luce arancione s’accese allegra, e cominciò a digitare freneticamente sulla tastiera olografica. Sì, sì, divina ebbrezza creatrice! Energia che fluiva in ogni angolo del suo cervello, innata ispirazione..
Dove diamine ho messo quei progetti, pensò, mordendosi le labbra grigie, mentre “Nessun risultato trovato” appariva sull’oloschermo.
Eppure, sapeva che non ne avrebbe avuto minimamente bisogno. Ogni particolare della divina intuizione degli Antenati era impresso nella sua mente. Sorrise dietro la maschera, sentendosi infinitamente felice e soddisfatta.
 
 
 
 
Qualche ora prima..
 
 
L’Asari guardava il terminale, reggendosi il mento con una mano blu.
Ci sono quasi.
Sì, c’era quasi. Sedeva seminuda, nella sua stanza, sulla sua comoda poltrona, digitando, fissando simboli e parole confuse, analizzando immagini e video. Ogni tanto, ad intervalli irregolari, alzava una mano dalla tastiera per andare ad accarezzarsi le escrescenze sulla testa, con fare annoiato. Per il resto del tempo, manteneva un’espressione concentrata e immersa in ciò che stava facendo. Il drone Glifo fluttuava a circa un metro da terra, vicino al suo grande e morbido letto. Già, l’unica inquilina della Normandy ad avere diritto, oltre al comandante, ad un enorme letto, e non ad un ridicolo stanzino spartano o ad una brandina nel ripostiglio dell’hangar navette. Amava viziarsi, amava come Shepard la viziasse, ed era ciò che più la appagava al mondo.
Dopo, ovviamente, il  vendere gli affari altrui a persone più interessate di lei.
Perché a lei interessava l’atto, non l’informazione. La compravendita, la deliziosa ed estatica soddisfazione che derivava dall’avere, non il contenuto del pacco. Già, lei vendeva, il più delle volte, a scatola chiusa. E, ultimamente, aveva a disposizione un’infinità di tempo, da quando quella ladruncola era tornata sulla Normandy.
-Oh, John, sei tornata a salvarmi dal fantasma del mio cattivo paparino , - disse, scimmiottando la vocina acuta della Quarian, guardando con meno attenzione i dati che scorrevano sullo schermo del terminale.- Ora mi porterai sempre con te, vero? La tua frigida amante incapace di sparare senza mira assistita?
Si alzò di scatto dalla poltrona, portandosi teatralmente una mano al petto, spalancando gli occhi blu.
 –Grazie mio adorato Umano, grazie! Oggi tu mi hai ridato un pianeta! Potrei anche considerare l’ipotesi di togliermi quella maledetta maschera e farti vedere quel che si nasconde là dietro..
Scoppiò a ridere, all’idea di ciò che i Quarian fossero, in realtà. Chi li aveva mai visti? Nessuno. Le registrazioni negli Archivi della Cittadella erano sparite da almeno vent’anni (in un curioso incidente), e nessuno, tra spettri, ambasciatori, e consiglieri, ne aveva mai posseduto una copia. I consiglieri precedenti agli attuali riposavano in pace in orbita attorno a Vedova, e probabilmente, tra loro, solo l’Asari era la custode di tale segreto. Del resto, anche quel famoso filmato, di poco precedente alla guerra del Risveglio, era piuttosto confuso: si diceva mostrasse un esperimento alquanto brutale su di un Geth, all’epoca ancora Servitore, testimone di tutta la tracotanza che aveva trascinato i Quarian sull’orlo del baratro.
E si sentì rincuorata, pensando a ciò che lei adorava, alla Dea. Ad una Dea vera, trascendente, al di là del bene e del male: e loro, loro Asari, la stirpe più elevata ed evoluta della Galassia, mai, mai, mai, avevano agito in sua offesa. In offesa della Vita.
Si lasciò cadere sul letto, ampio, morbido, profumato, silenzioso compagno di tante notti.
Da quando i tre alieni e i miseri resti di IDA erano rientrati sulla Normandy, lei, Liara T’soni, non aveva fatto altro se non analizzare, guardare e fissare, fin nei minimi particolari, i filmati di sorveglianza della base dei Geth, ottenuti con molta fatica. Silenziosamente, aveva ringraziato il suo contatto nella Flotta, e pensò che lui era davvero un genio contrariamente a quella troietta : lui, nascosto dietro la sua maschera e intento a picchiettare su una tastiera con le sue troppo poche dita, aveva hackerato quella base, incluse tutte le navette e i dispositivi di spostamenti dotati di dispositivi di registrazione, che aveva dirottato ad un proprio server della Flotta. E, accludendo un “Credo che questa roba valga parecchio, senti come brucia!”, aveva spedito i dati all’Ombra. Che aveva sorriso, bella e blu, togliendosi di dosso un paio di scomodi pantaloni, e desiderando, al colmo della gioia, di ringraziare fisicamente quel misterioso Quarian dalle spalle larghe e dal corpo snello.
Comunque, prima di distrarsi, aveva pensato di esserci quasi. Sì, che mancava poco alla comprensione di quelle immagini. Si picchiettò un dito sulla fronte, richiamando a sé la concentrazione.
Ricapitolò, mentalmente, quello che sapeva, e si promise di confrontarlo col rapporto che Shepard, ripresosi, avrebbe mandato ad Hackett. Sono scesi su Rannoch, per disattivare quel dannato segnale dei Razziatori (la modalità, probabilmente, era stata concordata con le altre mascherate, la Raan e la Xen, e Legion stesso), hanno tentato un approccio silenzioso, atterrando a distanza dalla base; s’è poi aggiunto Vakarian. Legion s’è allontanato, ma non prima di fare qualcosa. Ma cosa? Qualcosa che di certo ha influito sull’esito finale della missione. IDA ha smesso di dare consigli, attuando un comportamento insolito. Shepard, mano a mano che ci si avvicinava al nucleo della base, si sentiva fisicamente male, tanto che s’è dovuto ricorrere a degli stimolanti.
E lì il vuoto.Il quartetto era in un hangar, a quanto diceva una misera telecamerina di sorveglianza esterna (i Geth, contrariamente agli organici, si fidano ciecamente l’uno dell’altro, non esistendo il concetto di “io” e di “tu”; probabilmente erano un retaggio dei Quarian che utilizzavano la base tre secoli prima, come Hub della Rete), e da quel momento in poi c’era un buco di circa un’ora e mezza nei dati. Ma io ero accanto a Joker quando ha ricevuto da Shepard l’ordine di colpire un Razziatore: esatto, scendere nell’atmosfera e sparare ad un’Antica Macchina, appostata nel sottosuolo del pianeta della troietta. Ed è assurdo, totalmente incomprensibile, come IDA, Legion, e la troietta stessa non ne fossero a conoscenza, e non fossero riusciti a decodificare le emissioni gamma e radio. O che, perlomeno, non avessero scansioni radar della zona. Dunque: ecco un nodo focale e due ipotesi.
A quel punto parlò, rotolandosi mollemente sul letto morbido, e scrocchiandosi le dita. –Glifo, registra. Prima ipotesi: qualcosa, o qualcuno, presente su Rannoch, possiede un’elevatissima tecnologia in grado di impermeabilizzare alle emissioni elettromagnetiche un intero Razziatore. Seconda ipotesi: IDA e il Geth sapevano, ma hanno fatto in modo di modificare le, ovviamente presenti, scansioni radar della troietta. Si deve supporre connivenza fra i due. Fine registrazione.
Scoppiò a ridere, rendendosi conto dell’associazione di idee tra la Quarian e i due sintetici.
Ed è qui che viene il bello. La troietta, IDA, e Vakarian, scompaiono. Sì, dopo che Shepard contattò Joker, loro tre svanirono nel nulla, abbandonando il loro amatissimo comandante.. Come hanno potuto? (e a tal pensiero, sentì una fragorosa risata risalirle dalle viscere).
Però.. stando alle registrazioni di un deposito navette antistante all’hub della Macchina, una di esse sparisce dopo pochi minuti dall’ingresso del quartetto nell’hangar; si deve dunque dedurre che uno,o forse tutti, tra la quarian, Vakarian, e IDA, si sia allontanato, orientandosi per i cunicoli di quel termitaio, fino a giungere a rubarne una. Curiosamente, senza incontrare resistenza nemica.
Ad ogni modo, su tale navetta, si trova di sicuro IDA, perché è il luogo in cui è stata ritrovata da Cortez, sceso a recuperare la squadra. O, almeno, vi è stata trasportata successivamente.
-Glifo!,-chiamò, con voce sovraeccitata,-Assegna agli impegni una voce. “Interrogare Cortez al più presto” e “Convincere Joker a rimuovere blocchi di IA della nave”.
-D’accordo, dottoressa,-gracchiò il drone, fluttuando leggero. Ma non libero.
Le registrazioni ricominciano in medias res: su quella dannata navetta, o nel luogo di sbarco, Tali Zorah vas Neema spara in un occhio al corpo di IDA, disattivandolo. Nel frattempo, Garrus Vakarian minaccia la Flotta, bluffando palesemente. L’ingenuo Zaal’Koris gli crede, ma ha la grandiosa idea di scendere sul pianeta a dare una controllatina. E da qui ricominciano le immagini: in qualche modo, durante quell’ora e mezza, Legion ha fatto in modo di prendere una navetta, dalla cui camera sono prese le registrazioni, e di portare Shepard, svenuto e ferito, in un luogo desolato in mezzo al deserto, a più di cinquanta chilometri dalla base, con una tempesta in arrivo. Il primo fotogramma mostra come John, ripresosi, abbia torturato un po’ il Geth, rompendolo qua e là ma senza distruggerlo; successivamente, abbiamo una tenera scena con Tali Zorah.
E qui, un altro vuoto. Dannazione. Sapeva che era il momento più importante, quello in cui s’era deciso il fato di due razze: eppure quel quarian non era stato in grado di fornirle nulla, né registrazioni di telecamera delle due navette presenti, né da factotum della troietta, del turian, o di John stesso.
-Per la Dea!,-esclamò all’improvviso,-Glifo! Segna anche “Interrogare John Shepard”.
Cambiò posizione, sul letto, supina, assaporando la dolce sensazione della morbidezza delle coperte contro l’addome nudo.
Si hanno poi, altre immagini, di qualche minuto successive, in bassissima definizione, dal factotum di Shala’Raan, scesa sul pianeta assieme a Koris. Infuria la  tempesta, lei grida frasi sconnesse in kelish, piagnucolando. Poco si vede di ciò che accade, ma una cosa è certa: la troietta sta per cadere da un precipizio. E questo è importante. Come è finita lì? John Shepard la ama, la abbraccia, la conforta, pochi minuti prima, ed ora lei minaccia il suicidio? E dov’è Legion? È già esploso? Oppure si deve credere alla storiella dell’autodistruzione programmata da lui stesso, con contemporaneo sovraccarico degli scudi cinetici del comandante da parte della troietta? Suona strano, molto strano.
Ed ecco l’intuizione. Sì, eccola, lì, davanti a lei, su quel letto, nascosta tra i cuscini di piume: pulsa, gongola, è felice di essere stata partorita dalla sua mente geniale, ed impaziente di essere rivelata al mondo.
-Glifo, registra. Tali’Zorah vas Neema, cosciente delle intenzioni di John Shepard, ossia di favorire palesemente i Geth nella corrente guerra contro la sua razza,ne ha tentato l’omicidio, fallendo, nell’estremo tentativo di salvare il suo popolo. Intendo accusarla di fronte ai suoi superiori nella Flottiglia. Fine registrazione.
Sorrise, tra sé e sé, desiderando con crescente forza la presenza, lì, accanto a lei, del suo misterioso, mascherato, affascinante, contatto quarian.
 
 
 
-Shepard, cazzo, svegliati!
E l’impatto del suo cranio contro le piastrelle della doccia.
 
 
Lontano
 
 
In una nave spaziale, una ragazza piangeva. Guardava lo schermo del proprio factotum, e le lacrime sgorgavano abbondanti da i suoi occhi. era rannicchiata in un angolo, e di lei erano visibili solamente due puntini luminosi dietro una maschera. Leggeva qualcosa sull’oloschermo, e quel qualcosa recitava:
Neli, ho realizzato solo ora l’enormità dell’errore che ho compiuto. Ciò che ho fatto è semplicemente imperdonabile, perché include in sé eventi non spiegabili con la razionalità e la logica di questo mondo. Mi sono addentrata in un reame troppo vasto, troppo antico, e sconosciuto, ho aiutato troppe persone sbagliate e dato la mia fiducia a chi non la meritava. Ho indagato su di lei, ed ho scoperto chi è veramente e quali sono le sue intenzioni. Se ce la farà, in un modo o nell’altro, risaliranno a me. E conosci, sì, la conosci, Neli, qual è la punizione per i traditori nella Flotta.
Scapperò domani, mia luce. Ho un contatto batarian che possiede una propria fregata, e col quale ho concordato un appuntamento. Andrò nell’Abisso di Shrike, Altakril. Era una popolosa colonia turian, ma ormai non rimane più nessuno in vita. Non posso fornirti le mie coordinate, né lo farò quando sarò lì. Sarebbe troppo pericoloso. Cancello questo messaggio appena lo ricevi e leggi. L’ho cifrato, ma la prudenza non è mai troppa.
Ti amo, Neli, come non ho mai fatto e non farò con nessuna creatura di questa Galassia. Se vivrò, fino alla fine di questo ciclo, sarà per merito tuo. Grazie.
Addio
 
 
 

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Capitolo 3
*** Naufraghi ***


Base Labyrinth, da qualche parte nei Sistemi Terminus

 
 
-Interessante.
Una femminile voce atona pronunciò questa parola, la bocca nascosta dietro una maschera e un respiratore, il cui led si accendeva e spegneva alla frequenza degli accenti.
Interessante. Già, non riusciva a ragionare su nulla di più intelligente da dire. I suoi occhi si posavano su quell’opera, ed ad ogni dettaglio notato, la sua mente comprendeva meno. Eppure ci provava, lei, Neli. Ci stava provando a raccogliere dati e ad interpolarli tra loro.
Ma sembrava un’operazione priva di scopo e di logica.
-Oh, sì, senza dubbio.
Grandi occhi neri e liquidi, incastonati in un cranio piccolo e deforme, ricoperto da pelle viscida e grigiastra, ma il cui contenuto era estremamente denso, si posarono sulla sua maschera. E cercarono di scrutare all’interno, come ad accertarsi che, lì dietro, vi fossero davvero carne,sangue, ed ossa. Erano dubbiosi.
Tre dita prive di unghie si andarono a posare sul mento della creatura. Un Salarian.
Un salarian di mezza età, aveva giudicato Neli. Aveva ancora ben poco da vivere, dato che la sua aspettativa di vita era già, di per sé, dimezzata rispetto a quella della maggior parte delle specie conosciute; ma sapeva come far fruttare il poco tempo a sua disposizione. Pelle grigiastra, escrescenze sul cranio irregolari e asimmetriche; corporatura media. Una ridicola tutina bianca lo ricopriva dal collo in giù. Identico a miliardi di altri Alieni.
La creatura aveva preso a camminare, senza fretta, un piede flemmaticamente avanti all’altro, attorno all’ologramma. Tenendosi il mento. Le viscere di Neli si torsero in un impeto di rabbia.
Spostava lo sguardo dall’ologramma rosso a lui, che pareva concentrato in qualcosa.
-Allora, che idea se ne sta facendo, dottoressa Vael?
Neli represse un conato di vomito, nel vedere la lingua violacea dell’alieno muoversi all’interno della sua bocca, mentre parlava, disgustosamente vicino a lei. Meno di un metro, forse. Protuberanze simili a pustole la ricoprivano, e scintillavano di colori assurdi e inquietanti. Qual è lo scopo in tutto questo?
Si schiarì la voce. Neli’Vael era una Quarian. E tra i Quarian tossire durante una conversazione, significava augurare la morte all’interlocutore. Si sa, sono creature delicate: un banale raffreddore, un po’ di mal di gola, avrebbe potuto produrre un genocidio. Ma Treuel-chi-si-ricorda era un Salarian evidentemente male informato, perché, al gutturale suono emesso da lei, si accese in un sorriso scintillante di denti gialli.
-Sinceramente?
Neli,cautamente, lasciò che i raggi dell’ologramma le ricoprissero una mano, tracciando su di essa geroglifici dal significato oscuro. L’eterna oscurità sul guanto di Neli’Vael, pensò, improvvisamente divertita.
Tutto quello, il Salarian, la base nascosta in una nebulosa, le Asari sorridenti e gli Umani infidi, erano un onirico delirio di qualche dio folle disperso nella Galassia e risvegliato dalla follia di qualche essere incauto, un’insana danza su un pavimento instabile, che crollava ad ogni passo.
Non attese la risposta.
-Ecco la mia opinione. Tutto ciò.. tutto ciò.. è semplicemente inutile. Si tratta di un progetto che viene portato avanti da eoni, decine di miliardi di anni, forse iniziato dall’impulso geniale di qualcuno proveniente da Andromeda, ma assolutamente non attuabile.
Chiuse gli occhi, dietro la maschera, e fissò i puntini vibranti che apparivano sulle sue palpebre chiuse.
-Non possiede un filo logico. Mancano componenti essenziali, e sembra mancare anche una basale conoscenza dell’effetto massa. Il che è un controsenso, dato che l’effetto massa dovrebbe essere il fulcro della nostra, e loro, speranza. Dov’è l’eezo? Dov’è un elementare nucleo energetico? E inoltre,-disse, ruotando l’ologramma, ed indicando una zona dell’enorme macchinario irrealizzabile,- qui.
Riaprì gli occhi. E si gustò lo sguardo sconcertato, la bocca semi aperta, del Salarian di fronte alla vista improvvisa dei puntini luminosi dietro la sua maschera.
Quello mosse un passo verso di lei, le braccia incrociate dietro la schiena ricurva. Interessante.
-Cosa manca qui, dottore? Qualcosa che acceleri, qualcosa che dia il via ad una reazione a catena a livello subatomico.. che smuova tutti i bosoni della Galassia, e che la cambi per sempre.
Fenomeno e noumeno.. eternamente intrecciati, l’uno sostiene l’altro. Collasso.
-Ci sono i presupposti, dottore. Ma cosa è una reazione chimica senza qualcosa che la renda possibile? Nulla. È l’eterna immobilità,-mormorò, ruotando l’ologramma, zoomando sui più piccoli particolari della macchina,-E’ la quiete priva di scopo.
-Concordo,-assentì il Salarian, il netto contrasto della sua uniforme candida, col nero della stanza e il rosso acceso dell’ologramma oracolare.
Una mano che si posava all’improvviso sui suoi capelli, calda e rassicurante, accarezzando. Un inaspettato e gradevole tepore si diffondeva in tutto il corpo, ed ogni traccia di rabbia in esso scompariva, lasciando il posto ad una profonda pace, profonda come l’Universo. Eterno ed immutabile, eppure dinamico come il misterioso moto dell’elettrone attorno al nucleo. Ci sono io, qui, con te. Non ti abbandonerò mai, sussurrò qualcuno, con dolcezza. Io appartengo a te e tu appartieni a me.
Nelì senti i propri muscoli tendersi in un sorriso.
-Ciò che ci manca, dottore.. Ciò che ci manca, per salvarci tutti, è un Catalizzatore.
 
 
 
 Erano passati 10 giorni di Rannoch dal suo arrivo alla Base. La Base.. neppure loro, che la abitavano, avevano il diritto a conoscerne le coordinate. Neli aveva guardato con profonda tristezza modificare il suo factotum da una Asari, le sue troppe dita muoversi sulla tastiera olografica, limitarne l’accesso ad intranet. Aveva pensato a lei. Chissà cosa faceva, lì, su quel pianeta abbandonato da ogni forma di vita senziente. Un pianeta avvelenato dalle Antiche Macchine, per impedire che vita intelligente tornasse a proliferarvi. Chissà se era viva. Per cosa si era sacrificata, poi, per cosa? Per denaro? Per viltà? Per razzismo nei confronti dei Dannati Umani? Per una malintesa forma d’eroismo?
Ed ogni pensiero era un colpo al cuore. La sensazione delle sue mani sulla pelle, il tocco delle sue labbra, erano ancora fresche nella sua memoria, non dilavate dal tempo o da altre forme di gioia e bellezza.
Perché le uniche fonti di gioia e bellezza, erano, lì, sulla Base, una speranza così vaga da assomigliare ad un lume nel profondo buio, e il Progetto. Il Progetto.. la realizzazione di un masochista  Sogno per ogni scienziato di quella Galassia.
Durante il lungo viaggio per giungere alla Base, i Quarian strappati alla Flotta avevano parlato. E Neli aveva ascoltato, in silenzio. Attendendo le mail di lei, immaginando la sua stretta.
Un giovane ragazzo proveniente da una nave-serra era il più loquace di tutti. Neli supponeva fosse specializzato in qualcosa riguardante nano circuiti quantistici, perché, quando non delirava sul Progetto, si lagnava di come si potesse aumentare l’efficienza dei computer della sua fottuta nave di provenienza. Indossava una tuta di uno sgradevole verde rancido, e i suoi occhi, dietro la maschera, si muovevano frenetici e nervosi; le sue mani mimavano gesti inconsulti, le sue gambe si alzavano e si abbassavano, ad ogni passo, senza coordinazione. Eppure gli altri cinque, altre due donne e tre uomini, lo avevano eletto a loro indiscusso leader. Ubbidivano ad ogni suo ordine, seppur tale non era, come bestie ammaestrate.
Una sera erano lì, nella silenziosa sala comune della nave (forse un tempo turian) occultata del Gruppo, seduti attorno ad un tavolo centrale. I sei, illuminati dai neon forti e candidi, erano impegnati a discorrere di cazzate, aveva giudicato Neli, senza prestare troppa attenzione. Lei era seduta in un angolo, in disparte, eremita tra gli orgogliosi reietti. Odiava quella nave. Ne odiava il silenzio. Ne odiava le superfici dannatamente cromate e lucide, i fottuti e incomprensibili caratteri nei cartelli; ne odiava il comandante, un Umano acido e silenzioso, che non aveva degnato il suo carico Quarian di più di uno sguardo schifato e di un “Specialista, mostra loro gli alloggi”. Ma più d’ogni altra cosa odiava i suoi compatrioti.
-…Ho sentito parlare del Progetto da un mio contatto nell’Alleanza dei Sistemi, sapete, l’organizzazione militare Umana. -aveva iniziato il Verde.
-E come mai hai un contatto nell’Alleanza?,- aveva chiesto la più sciocca delle altre due femmine.
-Uhm.. beh, vedete, ho svolto il mio pellegrinaggio su una nave civile della Terra..-aveva risposto il Verde con voce strascicata. Catturando l’attenzione di Neli, che aveva distolto lo sguardo dal suo factotum, rivolgendolo al tavolo illuminato dai neon. Umani, era solo colpa di uno di loro, se L’aveva persa per sempre.
-Come si chiamava quella nave, Voral?,-aveva chiesto Neli dall’oscurità del suo angolino silenzioso.
Tutti si erano voltati a guardarla, occhi sbarrati, al suono della sua voce. Già, spesso dimenticavano perfino la sua esistenza, disabituandosi alla sua presenza. Creatura schiva e anche un po’ stronza, la giudicavano. E avevano perfettamente ragione, aveva pensato lei con una punta d’amarezza.
Voral il Verde si era voltato a guardarla, sbattendo le palpebre. Nella stanza, per un istante, si era udito solo il suo respiro amplificato.
-Si chiamava Europa.
Europa..Europa..uno dei sette continenti della Terra. Neli immaginò una terra verde popolata da umani rosa e infestanti come Rachni, prolifici e incivili, e sentì il proprio stomaco stringersi in disprezzo. Come aveva potuto Voral sopportarne il puzzo per un intero anno?
Neli si alzò dal suo angolino, muovendo lenti passi verso il tavolo. Appoggiò infine le mani sulla superficie, e non si accorse dei due Quarian che si scansarono al suo avvicinarsi, in un fruscio di veli e un clangore di metalli.
-E cosa hai scoperto su questa nave, e da chi?
Il ragazzo parve interdetto. Incrociò le braccia, accavallò le gambe magrissime e inclinò leggermente la testa, scrutandola con attenzione. Parlò infine, il led dell’amplificatore vocale che s’accendeva e spegneva alla cadenza della sua voce.
-Ho scoperto del Progetto, Neli. E, se ti interessa saperlo, l’Europa era e credo ancora sia, una nave mercantile tra la Terra e Marte. Trasportano metalli e minerali preziosi, cibo, persone.. sai, quel genere di cose.
Mise un gomito sul tavolo, aprì il palmo della mano, e vi appoggiò l’elmetto. Occhi silenziosi erano fissi su loro due, ma sui corpi e sulle coscienze degli altri cinque giovani sacrificali era calato il sipario.
Neli annuì, con sguardo interrogativo, invitandolo a continuare.
-Alcuni umani.. No, anzi. L’era interstellare umana è iniziata quando sono riusciti a raggiungere il quarto pianeta del loro sistema, chiamato Marte. Un pianetino rosso e privo oramai di vita, simile a Kaddi per atmosfera. Qui,  scoprirono un’antica base prothean, ed una raffineria d’eezo semidistrutta, e da lì ebbe inizio il loro rapido sviluppo tecnologico. Comunque sia, su questa stessa base, all’interno degli Archivi, un’Asari scoprì il Progetto, non molto tempo fa. Ci fu anche una sparatoria con degli agenti infiltrati di Cerberus..
A quella parola, Neli avvertì i Quarian tremare dentro le loro tute, e il suo cuore mancare un battito.
Voral continuò, con l’aria solenne di chi stesse narrando la più epica delle imprese dell’Era dell’Oro.
-Non ci volle molto per comprendere che, il Progetto, era antichissimo.
-Quanto?,-interruppe una femmina, dalla tuta rossa e dalla voce querula. –Precedente ai Prothean?
Il Verde annuì gravemente. –Precedente ai Prothean di miliardi, e miliardi, di anni,-con la mano sinistra prese a disegnare invisibili cerchi in aria, l’indice teso,- Fino, forse, alla prima mietitura da parte delle Antiche Macchine.
-Non chiamarli così, -sussurrò Neli,tornando eretta, incrociando le braccia,- E’ il nome che danno loro i Servitori..
Ed allora, Voral, l’aveva guardata. Gli occhi del giovane, strano e singolare, Quarian, si posarono nei suoi, interrogativi.
-Che diritto abbiamo noi,Neli’Vael vas Rayya, di chiamare così chi ci ha annientato? ,-disse piano. Un’ovvietà disarmante, c’era nelle sue parole.
E Neli, ritraendosi nel buio del suo angolino, sentì la sua certezza incrinarsi, il suo muro di convinzioni tremare, la malta disfarsi. Seppe, allora, che, in un modo o nell’altro, il suo stato d’equilibrio delicato era stato infranto. Ma quanta solitudine, quanto odio, quanta amarezza, erano serviti a costruirlo? Sentì l’immediata mancanza del livore che le bruciava dentro, e le parve che la sua fiamma mutasse in un colore disgustoso e delicato, e che vi fosse meno violenza nel suo divampare. Deglutì, e la paura prese il posto della rabbia.
Dove sei?
 
 

Normandy SR2,  ore 3:15 della notte Terrestre

 


Comandante..
Una parola priva di significato, spiaggiata in un mare di stelle.
Comandante.
Frammenti di un mondo antico, pur nella sua attualità, cominciarono a formarsi.
Comandante, siamo giunti sulla Cittadella.
Riemergere da quel torpore fu tragico. Lottò contro le sue palpebre, che lottavano per rimanere chiuse, e contro i suoi muscoli, che si sforzavano per non tendersi. Perché era cessato quel ritmico bum,bum?
Quando aprì gli occhi, però, gli parve che l’ambiente in cui si muoveva fosse stato sempre così, ridicolmente immutabile nella sua doccia cromata e con quegli specchi lucidi e metallici.
C’era una donna davanti a lui. Pelle scura, capelli neri lunghi, grandi occhi neri. Visetto a cuore, labbra rosse. Un’incantevole umana. Seguì il percorso della sua pelle, dal collo, fino alle spalle coperte dall’armatura; alle braccia, che terminavano in piccole mani dalle unghie rosicchiate. Nervosa, doveva essere. E quelle piccole mani erano appoggiate sulle sue spalle.
-Traynor..
Cercò di alzarsi, e la donna lasciò la presa immediatamente. Ritrasse le mani, ma sul suo volto si disegnò un’espressione preoccupata. Le labbra rosse si piegarono in una smorfia di dolor simpatico.
Qualcosa martellava nel suo cervello. Gli parve di ricordare di aver già formulato quel pensiero, ma di sicuro doveva essere andato perduto nel pout pourry che era la sua memoria in quell’istante. Che cazzo di sbronza di medigel..
-Comandante!
La donna sgranava gli occhi marroni, e lo fissava. Scrutava. Indagava. Le sue pupille si muovevano rapide sulle cicatrici, come quelle di un gatto, seguendone il reticolo, arenandosi sulle rughe naturali. Si sentì infastidito.
Riuscì ad alzarsi in piedi, un braccio a sorreggere una gamba, sempre sotto lo sguardo attento dell’attendente.
-Dio, Traynor, smettila di fissarmi!,-esclamò, con stizza. Quella si mise in piedi, rassettandosi i capelli, nervosa. Intrecciò infine le mani dietro la schiena, sull’attenti. Ed un’espressione grave le si disegnò in volto.
-Ci sono alcune novità.,-annunciò, come un vate.
John alzò gli occhi al cielo, irresistibilmente attratto dalla gravità del soffitto metallico. Se possibile, al mal di testa, si stava aggiungendo anche una potente nausea, e un certo indolenzimento generale. Beh, di certo l’ambiente di una doccia non era il più salutare. All’improvviso, si ricordò della ferita; diede uno sguardo al proprio addome, tastò leggermente con un dito. Sì, c’era qualcosa di gonfio, e pulsante. E caldo. Stava guarendo, ma la fasciatura era assolutamente da cambiare, intrisa di un vischioso liquido giallo, assieme a chiazze rosse.
Chissà lei cosa sta facendo.. Sarà dovuta andare da Chakwas? Starà bene? Dio, vorrei non averla contagiata con qualche fottuto germe umano. Quanto era bella, però. Le avrei strappato di dosso ogni pezzo della tuta anche con i denti, se necessario..
E la forma del viso di Tali’Zorah apparve nella sua mente, assieme alla luce di quei grandi occhi, e alla morbidezza delle sue labbra sulle proprie. Rannoch, l’esplosione, e quel Nucleo. Tutto era dannatamente confuso, se non per quella divina immagine di lei che avvicinava il suo viso a quello di lui, e il profumo di una pelle esotica che gli riempiva le narici.
John si accorse di aver totalmente dimenticato l’annuncio di Traynor solo quando avvertì la stretta della sua mano su di un polso.
-Che c’è, Samantha?
Lei lo guardò supplichevole. - Posso capire che sei ancora convalescente, ma ascoltami!,-protestò.
John sentì crescere una risata, da qualche parte nello stomaco dolorante, ma si limitò a guardarla, impassibile. E si massaggiò il collo, in un punto particolarmente dolente.
-Va bene, hai vinto. Parla, mentre andiamo in infermeria.
Uscirono dalla stanza, entrarono nell’ascensore. Samantha attivò il proprio factotum, e John notò che aveva segnato nelle note i punti chiave da elencargli. Sorrise.
-Allora, Shepard. Innanzitutto, Hackett non è minimamente soddisfatto del tuo rapporto. Dice che è pieno di buchi e passaggi poco chiari. Accedi alla tua mail, Comandante.
Lui annuì, aprendo il factotum.
Le porte dell’ascensore si aprirono nel piano mezzanino. Svoltarono l’angolo, nella mensa. Nessuno sedeva al tavolo, illuminato dai silenziosi neon, il che era piuttosto strano. John sospirò. Aveva sperato di trovare almeno Garrus, o Ashley, nei paraggi. O le tette di Liara, sogghignò.
Ma si vergognò immediatamente di quel pensiero. Distante, avvertì il dolore delle unghie che si conficcavano, pugni chiusi, nei palmi delle mani.
Ad ogni modo, la luce dell’infermeria era accesa, e dalla vetrata si scorgeva il caschetto grigio della dottoressa Chakwas.
-Comandante?,-mormorò la Traynor, frapponendosi fra lui e la visuale dei capelli della donna, che pareva non essersi accorta della loro presenza, in quell’ora solitaria.
-Sì, leggo. Scusami.,-rispose, con uno dei suoi più rassicuranti sorrisi.
“Comandante Shepard,
Sono contrito nel doverti richiamare all’attenzione. Posso comprendere che la tua mole di doveri ed impegni è eccessiva e difficilmente sostenibile, ma non puoi permetterti di lasciarti andare.
Il tuo ultimo rapporto, riguardo la missione su Rannoch, è quantomeno confusionario. Esigo una conversazione con te, quanto più presto possibile, in olochiamata. Comunque, cerca di rimetterti presto in forma; ho letto che sia tu, che alcuni componenti della tua squadra, siete rimasti feriti, più o meno gravemente. Ti sollecito, infine, inviandoti nuovamente le coordinate, di atterrare su Eden Prime, e investigare su alcune attività di Cerberus, sul luogo.
A presto, e che tu sia portatore di buone nuove,
Amm. Steven Hackett
John deglutì, ma non di paura. Samantha non aveva smesso di fissarlo neppure per un istante, mentre leggeva.
-Traynor, sono autorizzato dall’Alleanza a parlare francamente con te?,-chiese stancamente, lasciandosi cadere in una delle sedie attorno al tavolo vuoto. Era fredda. Socchiuse gli occhi, infastidito dalla luce potente dei neon.
-Certo, comandante. ,- disse, la voce forse un po’ tremante.
John fece scrocchiare le articolazioni delle mani, ignorando i tanti, piccoli, tagli, che le solcavano.
-Che Hackett si fotta,- annunciò sonoramente e solennemente.
-Ma John..,-tentò debolmente di protestare lei.
-Ssh, Traynor,-si alzò, e si avvicinò a lei. Provò l’improvviso desiderio di scioglierle i capelli, sempre trattenuti in quella castigata coda da zitella, e lo fece. Quelli si allargarono sulle sue spalle come un liquido nero, denso, vischioso. La donna sgranò gli occhi, le cui pupille assomigliavano ad isole nere in un immenso mare candido. –Impara ad essere un po’ più rilassata, su. Come può Hackett nuocerci?,-mormorò, passandosi tra le dita, distrattamente sovrappensiero, una ciocca di capelli setosi.
La stessa consistenza, lo stesso colore. Nella sua mente riapparve il viso misterioso di lei, i lineamenti delicati da ragazzina, le labbra morbide e calde, il sapore della sua bocca misto a quello del sangue, della terra del Pianeta Natale. Ed il cuore prese a battergli più forte.
-Non so, John,-rispose quella,-ma il fatto che tu sia uno Spettro non ti rende inattaccabile.
John si morse le labbra. Perché quella puttana doveva rovinare un così bel ricordo, con quei discorsi inutili? Il viso di Tali pian piano sparì, sostituito da quello umano e scuro della Traynor. Lasciò ricadere la ciocca di capelli neri, oramai del tutto privi di magia, e tornò a sedersi. Lei rimase lì, impalata, forse imbarazzata.
-C’è altro?,-chiese infine, bruscamente, fissando un punto nel ripiano cucina.
-Sì. È una faccenda piuttosto grave, comandante.
Lui sospirò. Quando mai c’era qualcosa di leggero, in quell’epoca?
Senza attendere una risposta, Traynor riprese.-Credo sia necessario parlare in un luogo isolato. Il nucleo di IDA andrà benissimo.
-D’accordo.
 Le porta scorrevole dell’infermeria si aprirono davanti a loro. Ed ecco perché la Chakwas non li aveva sentiti arrivare: era profondamente addormentata, seduta sulla poltrona, il mento che ricadeva in avanti. Russava sommessamente.
Entrarono nel nucleo dell’IA. Legion, una volta, risiedeva lì. Gli piaceva sapere di essere in compagnia di qualcuno che gli assomigliasse, forse. Era solito stare lì, in piedi, illuminato dalle rosse luci d’emergenza.
E c’era silenzio, se non per il lieve brusio del raffreddamento.
John incrociò le braccia sul petto, guardando Samantha, che con gesti frenetici, legava di nuovo i capelli.
-Comandante.. Si tratta della tua squadra.
Lui aggrottò le sopracciglia. –In che senso? Aspetta..Parli di diserzioni? Qualcuno vuole andarsene?,-mormorò. Sentì, in sé, in qualche recondito luogo ben nascosto, nascere un certo timore. Non abbandonatemi. Non abbandonarmi, sussurrava.
-Forse.. Comunque, ascolta, e ti prego, non interrompermi.,- si morse le labbra, nervosa,-Ho notato alcuni atteggiamenti..strani, negli ultimi giorni. Ho intercettato alcune mail dell’Ombra, comandante. Sì, di Liara. Usava un linguaggio cifrato, una variante di quello utilizzato dalla precedente Ombra, ma è stato.. facilmente bypassabile.
-Quanta modestia..
-…Ad ogni modo, dev’essersi accorta di accessi non autorizzati al suo account, ed ha aggiunto ulteriori firewall. Ho impiegato tutta la notte a tentare di infrangerli. ,- ed indicò con l’indice profonde occhiaie, che cerchiavano gli occhi neri. John non le aveva affatto notato prima.
-Ed il contenuto?
La donna sospirò. Gravemente. E fece una lunga pausa, in cui chiuse gli occhi. chiuse gli occhi, e si massaggiò le tempie. Piccoli, ipnotici, movimenti circolari. Infine, parlò.
-John, si trattava di tradimento. Lei.. lei sta spiando..,- e si perse, la bocca semiaperta a pronunciare parole pericolose.
Ma la rabbia lo prese. Lo prese, eppure rimase calmo. Represse l’energia che partiva, prepotente, dai suoi neuroni, e deglutì, ricacciandola all’interno, come un conato di vomito.
-Chi, Samantha? Dimmelo immediatamente.
Lei arretrò di un passo, allontanandosi da lui. Pareva spaventata.
-Tali,-disse infine, con un filo di voce.
Rapida come era venuta, la rabbia sparì. Sostituita da una sconosciuta amarezza. Lei? Perché lei? Dio, era così innocente, così dolce.. Cosa aveva mai Liara da indagare su di lei?
John appoggiò la fronte alla parete metallica, gelida per il liquido di raffreddamento di IDA, e sospirò gravemente.
-Sai dirmi perché?
Lei annuì, un po’ più calma. –Crede..crede..che lei stia cercando di assassinarti.
E quella parola, fu come materia reale. Fluttuò sopra di loro, nell’aria stantia dello stanzino, adagiandosi sulle pareti e sui componenti informatici, sui tubi, sulle luci d’emergenza. Cambiò l’atmosfera, tinse ogni cosa di rosso sangue.
E qualcosa parve cambiare anche dentro di lui. Quel che s’era sciolto si ricompose rapidamente, cristalli di neve si formarono laddove gocce d’acqua nuotavano. Ed un muto grido gli mosse le corde vocali.
John non cambiò posizione. Non guardò Traynor. La avvertì, però, tentare di avvicinarsi a lui, una mano alzata nel tentativo di una carezza di conforto. Lei sapeva. Sapeva della Quarian.
Lui afferrò quella mano. Samantha lo guardò, confusa. –Shepard..,-mormorò.
Allontanò con delicatezza l’attendente. –Come ti aspettavi reagissi, Traynor?
-Io..non so..
-Continua.
Senza batter ciglio, riprese, con voce atona.-Ha un contatto nella Flotta Quarian. Ne sono abbastanza certa. Non sono riuscita a rintracciarne l’ID, ma al 98% credo provenga da lì. Questo qualcuno, è estremamente abile, comandante. Ha hackerato, non ho idea come, la Base Geth su Rannoch,- fece un ampio gesto della mano, e una leggera luce d’ammirazione si accese nel suo sguardo,-E riattivato delle telecamere di sorveglianza che, presumibilmente, erano inutilizzate da secoli.
John staccò la fronte dalla parete gelida, e vi si appoggiò, le mani sudate dietro la schiena. Prese a fissare un punto nel soffitto scuro, tentando di figurarsi il tutto.
-Quindi, tu mi staresti dicendo che, siamo stati spiati per tutto il tempo? Ogni singola mossa?
Lei annuì, nervosa. Le sue mani erano scosse da un leggero tremolio.
-Esatto. E non è tutto. Il, o la, Quarian, ha trovato modo di attivare perfino la videocamera del factotum di uno dei due ammiragli, non so se Raan o Koris.
-Ma come..eravamo isolati, Legion aveva chiuso le comunicazioni..
-Ha utilizzato server della Base come ripetitori, comandante. Anzi, non solo server.. precisamente, ha utilizzato degli antichi, e credo dimenticati perfino dalla Memoria, prototipi di Nucleo, immagazzinati in alcuni hangar sotterranei. Chissà, forse l’ultimo tentativo di difesa da parte di qualche scienziato Quarian disperato.. 
John deglutì. Se ciò che diceva Traynor corrispondeva alla realtà, si stavano confrontando con la più grande minaccia informatica che la Galassia ricordasse dal tempo degli Alieni Virtuali.
-Sei riuscita a trovare queste registrazioni, Samantha?
-No, purtroppo. Liara deve averle eliminate appena finite di visionare, non è rimasta neppure qualche traccia di dati. Ha ripulito tutto. Ma, comunque, sono entrata in possesso di un suo diario.
Per John fu troppo.
-Traynor, lo sai che questo potrebbe costarti l’espulsione dall’Alleanza, cazzo? Come ti sei permessa? Questo significa che anche tu sorvegliavi l’Ombra,e non intendo tollerare questo tipo di misteri e di spionaggio all’interno del mio equipaggio, merda!
Non si era neppure accorto di come il suo pugno avesse impattato contro un tubo d’acciaio.
Guardò Samantha, che pareva un povero animale spaurito. Sembrava rimpicciolita, e, in quella luce rossa, il bianco dei suoi occhi spiccava fin troppo. Teneva il volto abbassato, e si mordeva nervosamente l’interno di una guancia, le mani tremanti tese in avanti, in un atto di supplica.
-Io.. io sono il tuo attendente, John Shepard. Per quel che vale, il mio compito è tentare di proteggerti e di consigliarti.,- riuscì, infine, a dichiarare, recuperando la dignità.
-Che sia l’ultima volta,altrimenti ti faccio sbattere a fare la guardia alle mosche che ronzano sui cadaveri su Eden Prime. ,-si ritrovò a sussurrare, mentre il suo pollice e il suo indice si chiudevano attorno al mento del visino a cuore dell’attendente. –Ora continua.
-Ssì,-riprese con voce tremante,-Lei..lei.. interpretava, a suo modo, gli eventi che si sono susseguiti su Rannoch, comandante. E c’è una cosa che devo assolutamente dirti, se la mia opinione può interessarti.
Lui sospirò. Si sa, chi tace acconsente.
-Io..io.. è difficile da spiegare. Ma nessuno di noi, qui, sulla Normandy, tranne Liara, Garrus, e Tali, ha idea di cosa sia avvenuto, dato che IDA era offline. Sono passati quattro giorni, comandante,e sappiamo solamente che tu, e Garrus, siete rimasti feriti, e le tue erano ferite da esplosione di liquido di raffreddamento Geth..le ustioni di Garrus invece..
-Come fai a dedurlo, Traynor?
-Il rapporto di Chakwas.. l’ho,l’ho letto,-disse, in un soffio. Aveva paura di lui, della sua ira. Lo poteva avvertire.-E i tuoi scudi cinetici… erano disattivati, comanante. Ad ogni modo, Liara ha supposto che sia stata.. Tali a sovraccaricarli. E che abbia programmato, tramite quella stringa di sua invenzione, l’autodistruzione di Legion.
-A che pro, Samantha?,- eppure, John, in qualche angolo della mente, conosceva già la risposta. Tutto ciò che di buono quella dannata Quarian aveva fatto, non era mai stato per una ragione puramente egoistica; né, questa volta, sarebbe stata un’eccezione. Non l’avrebbe mai fatto, mai e poi mai, per qualche ragione superiore, intrinseca ai suoi desideri e al suo animo. No, lei era dedita, solo ed unicamente, al bene della sua razza in via d’estinzione. E avrebbe guardato la propria anima bruciare, se solo ciò avesse significato riavere Rannoch. Si sarebbe strappata il cuore dal petto, ancora pulsante, e forse, avrebbe perfino ucciso lui, per esaudire il desiderio finale del suo popolo. Perché il suo istinto di conservazione avrebbe per sempre, superato, qualunque altra forma d’amore. E di nuovo, ancora, e per sempre, in ogni dimensione e in ogni vita, lei avrebbe scelto loro. Non ti amerà mai, John Shepard, aveva sussurrato qualcuno, da un buio recesso tempestoso.
-Perché, a suo parere, sei…sei.. un ostacolo. Un ostacolo, l’ultimo tra i Quarian e la distruzione dei Geth che equivarrebbe alla totale supremazia sul loro Pianeta Natale. Tu.. tu.. tu hai sempre preferito le macchine. O così Liara crede. Io, John, non so..
Ed aveva continuato a parlare, ma John non la ascoltava più. Un cupo ronzio (“Le Mosche avanzavano nel Termitaio, lei bruciava, la tuta si spaccava e la sua pelle delicata si sfaldava e le fiamme l’avvolgevano”) aveva riempito le sue orecchie. Uscì a grande falcate dallo stanzino, la fronte aggrottata.
Passò di fronte a Chakwas, ignorando il dolore sordo che ricominciava a pulsare nelle costole rotte, ed ignorò i suoi inviti a cambiare la medicazione. E si lanciò nell’ascensore. Chiuse un istante gli occhi, represse le lacrime che bruciavano.
Conservò l’energia.
Premette il pulsante.
Le porte si chiusero sulle grida di Samantha Traynor.
 
 
L’androide era in standby, le perfetta superficie cromata lucida, ogni circuito perfettamente funzionante. E lei, finalmente, si sentiva a suo agio. Ho riparato il danno, pensò, soddisfatta, passando un dito guantato sull’invisibile giunzione dei pannelli metallici craniali.
Camminò attorno al tavolo da lavoro, cercando, infine, se ci fossero imperfezioni di qualche tipo; non ne trovò. Per la centesima volta, fece il test di tutti i componenti hardware e software, aumentando e diminuendo il voltaggio; per la centesima volta, testò la reattività delle articolazioni di silicio, e, soprattutto, la funzionalità dell’oculo destro.
Quello a cui lei aveva mirato.
La presa sul grilletto che si faceva più stretta, la sconosciuta scossa d’adrenalina che percorre e scuote l’intero corpo. E Garrus, la rocciosa presenza al suo fianco. Un ultimo sospiro accorato, prima dello sparo.
La testa prese a girarle. Keelah, erano passati tre giorni. Tre giorni del calendario terrestre, poco di più per quello usato dai quarian.
E lui? Lui non s’era mai fatto vedere. Era malato, dicevano. Così diceva Liara, nascosta nella sua stanza, isolata da tutti se non da Ashley Williams. Il comandante ha assolutamente bisogno di riposo, diceva la dottoressa Chakwas, mettendole in mano una boccetta di pillole per un’infiammazione alle vie aeree.
Ashley..Le ho mai parlato da quando sono qui? Da quanto sono qui? Neppure una volta? No. Ashley le aveva rivolto un’occhiata, neppure un cenno di saluto. E lei, aveva abbassato lo sguardo.
23 giorni, 4 ore e un minuto.
Ashley Williams. Lei sì che era sempre stata di sfondo, nella sua vita. A che ricordasse, John non l’aveva mai portata con sé  in una missione. Sì, aveva sempre evitato di farle convivere.
Ma lei era uno Spettro. E tu sei un Ammiraglio, disse a se stessa.
Parole, parole. Inutili parole, pensò, cercando il proprio riflesso nell’addome cromato dell’androide. Si guardò: velo violetto, a sostituire quello andato perduto sul.. sul.. Pianeta Natale, maschera della stessa tonalità, e occhi grandi. Fece un profondo respiro.
…L’aria non era mai stata così dolce. Così umida. Non aveva mai assaporato un tale odore: l’acqua che evaporava dalla terra arida di un deserto, le minuscole particelle di sabbia che si invischiavano nei capelli. E s’era scoperta assetata di essa, di aria.
Come se avessi respirato per la prima volta. E poi, fu come vedere se stessa da fuori: strapparsi la maschera, respirare a fondo. Avvicinarsi a lui, la mente svuotata da ogni altro pensiero. Lui, con gli occhi chiusi, il volto insanguinato, la corazza in pezzi. Il cuore che prendeva a martellare.
La colpa? No, non ve n’era traccia. Ciò che aveva fatto, aveva un fine. Sì, qualcuno, dal buio, aveva giustificato la sua azione, con un semplice, gentile, tocco. Ogni passo la avvicinava a lui, ogni piede affondato nel fango di quel deserto. C’era fatica in quel movimento? Alcuna. Respirando quell’aria vera, sincera nella sua ferocia, le pareva di volare.
Ed era come se non avesse mai vissuto prima.
Sorrideva, mentre si sedeva al suo fianco. Mentre lo abbracciava. Mentre, preda di un inaspettato coraggio, faceva ciò di cui aveva tanto sentito parlare.
Aveva baciato il comandante Shepard, e lui aveva respirato.
E cosa le aveva detto? Ti amo, Tali.
Ti amo, Tali.
Abbracciò se stessa, stringendo le braccia sottile attorno al busto, immaginando la sua stretta.
 
 
 
 

Normandy SR2, Deposito Sala Macchine

 
There was a time that the pieces fit, but I watched them fall away. 
Mildewed and smoldering, strangled by our coveting 
I've done the math enough to know the dangers of our second guessing 
Doomed to crumble unless we grow, and strengthen our communication. 




Perché ci si vendica?, chiede la saggia Justicar, le gambe incrociate, l’aura blu che circonda il suo corpo trapuntato di rosso, i grandi occhi dorati persi nell’immensità, spiaggiati nel mare di stelle. Sai rispondermi? Perché ci si vendica?
Ciò che è avvenuto, non si può cancellare. Far patire il proprio dolore a chi l’ha causato, non  lo farà sparire.
Né lo attenuerà.
Il dolore crea solo dolore. Dietro di esso non v’è nulla; neppure il più attento ed accorto potrà scorgervi un bagliore.
Una volta che il dolore s’è impossessato dell’animo, altro dolore non potrà scacciarlo. Una volta che si ha sofferto, si è condannati a soffrire per sempre. La vendetta, mio comandante, è intrinseca nella Vita.
Quando, dentro, qualcosa si rompe, è difficile da risaldare. Ma gli Dei di questa Galassia, e degli infiniti miliardi di altre, sono misericordiosi. Ci forniscono, sempre, la via per la salvezza. Prima o poi, apparirà una mano tesa verso l’abisso in cui giaciamo, che attende solo di essere afferrata.
Non un colpo di pistola,non un guizzo biotico,non la scossa elettrica: solo il calore di un altro animo affine, canalizzato in quella stretta.
Ora, comandante Shepard, dimmi a chi dedicheresti la tua vendetta. Dimmi, sì, dimmi, di chi vuoi vendicarti. Chi ti ha fatto soffrire, così tanto, da non riuscire a desiderare d’afferrare quella mano ?
Chi c’è in te, che ti spinge a sua volta, ad odiare te stesso così profondamente?
Qual è l’origine del tuo odio? Della tua paura della luce? , chiede ancora la Justicar, maestoso sorriso dall’Oltretomba.
 
 
 
Tali non lo sentì arrivare, persa nei suoi pensieri. Come tante altre volte, lui entrò nella stanza silenziosamente, senza dire una parola. La luce flebile dei neon d’emergenza, sufficiente, per lei, non lo era per lui, che appariva poco più d’un’ombra. 
Confuse quella stretta alle braccia immobilizzate dietro la schiena, da quelle di lui, forti, come un gesto d’amore, di protezione. Avvertì il calore del corpo privo di tuta di John Shepard, e se ne rallegrò. Si beò di quella sensazione, di quella vicinanza inaspettata. Finalmente, era arrivato a reclamare il suo cuore. Sì, e sarebbe stata pronta a darglielo.
Eppure, quando udì il proprio corpo impattare con forza contro la parete, le mani di lui sempre strette sulle sue braccia, come tenaglie, e il clangore dell’elmo metallico nel collidervi, ebbe paura.
-John, cosa stai facendo..,- riuscì a mormorare, mentre il panico cresceva,nello stomaco. Sei sola, piccola.. Sei sempre stata sola, non te ne rendi conto?
E mille violini folli trillavano nella sua testa, mentre un campo di Stasi livido s’allargava attorno a lei, e la intrappolava. Tentò di muovere le braccia, le gambe. Di ruotare il collo. Cercò d’urlare, ma solamente un suono strozzato uscì dalla sua gola. Infine, il precario equilibrio in cui il suo corpo si trovava, crollò: e lei cade a terra, avvolta in quella crisalide. Non riuscì neppure ad avvertire alcun dolore, mentre l’elmetto, impattava, questa volta, contro il pavimento.
-Perché mi hai fatto questo, Tali? Perché? Io volevo solamente aiutarvi,- disse lui, con voce atona, accucciandosi a fianco a lei. I grandi occhi azzurri erano arrossati, il suo viso era coperto di tagli. Ed era cos’ vicino che poté distinguere ogni pelo di barba. Tali avvertì le sue mani avvicinarsi, e afferrare i ganci che tenevano fisso il suo elmetto. Pareva esperto, nel farlo. E forte, tremendamente forte per un umano. Per un istante, fantasticò che lui in realtà...
Ma fu un sogno che non durò più un istante, perché l’impatto con l’aria stantia di quella stanza le riempì le narici delicate, la bocca, strozzandola.
-John..,-mormorò, la voce arrochita dal terrore. Ed era come quando suo padre era morto, il totale abbandono, il cosmico vuoto racchiuso nelle grida inespresse di un cuore spezzato.
-Perché Tali? ,- chiese lui, di nuovo, lanciando l’elmetto dall’altra parte della stanza, così forte che udì il vetro incrinarsi. Fece una breve pausa, in cui digitò qualcosa sul factotum, e il suono che annunciava che la porta era stata sigillata, riempì il deposito.
-Io..
Lui, allora, con un semplice gesto di una mano, mosse il campo di Stasi, appoggiandola, con la schiena contro il muro. Si sentì una bambola. Cercò di respirare a fondo, ma non ci riuscì.
John Shepard avvicinò il suo volto a quello di lei, come non aveva mai osato fare in mesi, anni. Tali riuscì avvertirne il respiro caldo sulla pelle, ma ne ebbe paura. C’era tanta energia, in quei gesti. C’era così tanta forza e violenza, in lui, che non aveva mai notato prima. E lei era così fragile, così indifesa, vicino a lui. Era una misera preda.
-Tali.. Devi guardare la realtà. Devi imparare a farlo. ,- disse con dolcezza, accarezzandole una guancia. Solo allora si accorse delle lacrime che le solcavano, quando lui le asciugò con i polpastrelli.
-Io.. non so di cosa tu stia parlando…
Lui sospirò, e parve sinceramente dispiaciuto. –Allora lasciami spiegare. Tali, quello che è successo su Rannoch è stato qualcosa di.. non comune. O sbaglio?
Lei annuiva, mentre le lacrime le appannavano la vista.
-..E, sinceramente,non voglio parlarne. Sento che è qualcosa che deve rimaner segreto. Tantomeno da non condividere con te.
Il sapore salato delle lacrime le riempì la bocca. Alcune gocciolarono dal mento, posandosi sul suo grembo, reso invisibile dalla crisalide opaca che la avvolgeva.
-..Perchè so che tu sei parte di tutto questo disegno,che..che..
Fece un’espressione stizzita, mostrando i denti, chiuse un pugno. Era furioso, perché le parole giuste erano difficili da trovare. Parole, semplici parole.. non sono mai state il tuo forte, John.  –…Che non riesco a comprendere del tutto. C’è però un fine, Tali. Potrà sembrarti assurdo che un semplice militare possa pensarlo,ma sono certo che ci sia. E noi ne siamo in balia.
Si allontanò leggermente da lei, strusciando le ginocchia sul pavimento gelido. Ed allora Tali notò la maglietta intrisa di sangue rosso, che, dalla ferita vi stillava, fin a terra. Evidentemente, tutto quel medigel non era stato abbastanza.  –C’è qualcun altro in mezzo a noi. Non siamo mai da soli, io e te. E..e..,- le parole, per un istante, parvero strozzarglisi in gola. Tali rabbrividì, pur immobilizzata,-E..Ed è per questo che tu hai fatto ciò che hai fatto, Tali. Io credo sia per questo. Perché, altrimenti, non..
-Io, -lei lo interruppe,-Dimmi cosa avrei fatto, John,-mormorò, l’aria che arrivava sempre più scarsa ai suoi polmoni.
 All’improvviso, lui si alzò in piedi. E le voltò le spalle. Fece alcuni passi in avanti, avvicinandosi all’androide disattivato che giaceva sul piano da lavoro, appoggiandovi, infine, le mani. Tali notò che la chiazza di sangue s’era allargata fino alla schiena.
-Hai cercato di uccidermi, Ammiraglio Zorah,- mormorò lui, con un filo di voce, voltandosi appena a guardarla. –Hai sovraccaricato i miei scudi cinetici. Solamente i miei. E hai.. Oh, cazzo, hai programmato quel fottuto Geth per autodistruggersi!
Sbatté un pugno sul tavolo da lavoro, e una leggera aura violetta esalò dalla sua pelle.
A Tali scappò un singhiozzo.
-Non è vero..,-piagnucolò.
-Stai zitta, troia! Hai mai lottato per qualcosa che non fosse per la tua maledetta gente?,-gridò, puntando l’indice verso di lei, il viso deformato dall’ira,-Hai mai agito per piacere personale? Sei mai stata impulsiva?,-allargò le braccia, i muscoli tesi,-No. Mai, neppure una volta. Perché proprio lì, sul tuo Pianeta Natale, avresti dovuto cambiare?
L’unica risposta che Tali seppe dare fu un altro singhiozzo. Si morse le labbra forte, troppo forte. Assieme alle lacrime, nella sua bocca apparve anche il sapore ferrigno del sangue.
-Tu sapevi.. sapevi che, con me di mezzo, la salvezza della tua gente non era certa. Io, Garrus, e tutti gli altri, siamo stati osservatori esterni degli eventi, e abbiamo sempre potuto giudicare in maniera più obbiettiva. E sai qual è la verità, Tali? Che voi avevate creato la Vita. Sì, l’avevate creata. Ma non ve ne siete resi conto. E vi si è ritorta contro. Sarebbe stato giusto, onorevole, sterminarvi una volta per tutte.
Tornò ad accucciarsi a fianco a lei, e, inaspettatamente, le carezzò una guancia, salendo fino ai capelli, intingendovi le dita, con straziante delicatezza. –Smettila, -riuscì a mormorare, incapace di muoversi, per sottrarsi a quel dolente tocco.
-E tu lo sai, Tali,-le sussurrò in un orecchio,-Tu l’hai sempre saputo. Ma per qualche..malinteso senso dell’orgoglio, hai sempre negato il peggior peccato della tua gente.
-Tracotanza.
-Come fai a conoscere quella parola?
-Ho..ho..letto.
Lui parve ignorare la risposta, continuando a passarsi i capelli di lei tra le dita della mano destra, distrattamente.
-Vedi? Allora ne sei sempre stata consapevole. Perché non l’hai mai ammesso, Tali? Perché non hai mai osato ribellarti? ,- e il suo tono pareva assomigliare ad una supplica, sguardo contrito. Occhi azzurri lucidi.
 Lei singhiozzò, e cercò di riprendere aria. Non ci riuscì. La tela del panico si infittiva sempre più, e mille mosche le danzavano davanti agli occhi.
-..Perchè sono una Quarian,-sussurrò a mezza bocca,-Ma..ma..quel giorno, io ho deciso per me stessa.
Lui si morse le labbra, lasciò andare i capelli di lei, che fluirono via dalle sue dita. Con esasperante lentezza, si alzò in piedi, di nuovo, e prese a misurare la stanza a larghe falcate.
-Perché?,-chiese infine, semplicemente.
Le mosche erano sempre di più, interi sciami stazionavano sulla sua visuale. Recuperò gli ultimi brandelli d’orgoglio. C’era Rael, con lei, pronto ad accogliere la sua figliola piangente in un insperato abbraccio. E lui, il suo sguardo forte, da monumentale eroe,le diedero forza. Dall’Ade, le prometteva riscatto. Le dava fiducia.
 –Perché, tu, John Shepard, sei stato in grado solo di farmi soffrire. Tu..le tue promesse, le tue bugie.. Io ti ho dato tutto. Tutto ciò che avevo e che avrei mai potuto avere. Ma non posso darti più di quanto io sia. E..e..mi stavi strappando l’ultima cosa che mi rimaneva. La mia gente, John. Cos’altro ho?,- gridò, tra le lacrime.
Lui la guardava, in silenzio, inespressivo. La furia era sua, aveva preso il suo cuore in una morsa ardente, pronta a bruciare fino a totale consunzione: e lei glielo avrebbe permesso, questa volta. Di sciogliere del tutto gli ultimi brandelli di cuore che le erano rimasti, e, una volta raffreddati, di alzarli in alto, come un segno di gloriosa vittoria. Rael annuiva dal buio. –Non ho altro. Non ho il tuo amore. Di te, ho solo una frase. Qualche sguardo fugace, un bacio strappato. Un pezzo di tessuto imbevuto del tuo sangue.,-gridò con orgoglio e rabbia, senza accorgersi di come il campo di Stasi si stesse muovendo, e di come la stessa portando ritta in piedi.
-Eppure me ne accontentavo, John. Ne ero felice, perché non ho mai conosciuto altro, né lo conoscerò mai. Ma..Keelah, quando hai caricato quel colpo biotico, e hai mirato me, hai guardato dietro la mia maschera..Keelah,ho capito che..che..,-un singhiozzo troppo forte la scosse. Gli occhi folli di John Shepard impressi nella sua mente. La pioggia torrenziale, la violenta scintilla viola stretta nella mano di lui, carica di promesse di morte. Testimone delle sue intenzioni.  Il dolore la inghiottiva, come un’onda in una tempesta: la crudele consapevolezza, l’infinito strazio che è insito nella Verità.
-Che sono perduto per sempre, Tali.
Lei annuì,le lacrime trasformate in acido doloroso. –Sì, John. Non c’è redenzione per te, agli occhi di nessun Dio, Antenato, Spirito.
Fece una pausa, e raccolse altro coraggio. –Ho provato..,- e si ritrovò faccia a faccia con lui, ritta in piedi, occhi negli occhi. Poteva distinguere il proprio riflesso nelle pupille nere di lui.
Con un ampio gesto della mano, lui sciolse il Campo, e fu libera. Ma Tali non si mosse. Le lacrime aveva perfino smesso di scendere. Ora, la Verità era stata rivelata, e, in questo modo, palesata. Non c’era più nulla da nascondere, nulla di intentato e di incompiuto per cui soffrire.
John, per l’ennesima volta, alzò una mano ruvida ad accarezzarle una guancia. –So che hai provato, Tali. Ed è per questo che, con qualche parte di me, ti amo.
Lui annuì alle sue stesse parole, senza abbassare lo sguardo. C’era un immenso mare di disperazione, dietro quegli occhi azzurri. Immenso, vuoto, gelido. Tali tremò, fin dalla parte più profonda di se stessa. –E’ vero. ,-ammise.
-Cercherai sempre di punirmi, e di punirti, per questo. Incolperai per sempre me. Siamo destinati a distruggerci l’altro, fino a che i Razziatori non porteranno a termine la Mietitura.
-E’ vero.,-mormorò, mentre un’inattesa lacrima gli solcava il viso, scivolando su graffi e cicatrici, incolume e preziosa. Una lacrima pura, e totalmente sua. -Ma vivo per questo,Tali. Solamente per questo.
-C’è una parola per tutto ciò, John.
Lui annuì, gravemente, prendendole il viso tra le mani. Appoggiò la sua fronte a quella di lei.
-Sì,- sussurrò, inclinando il viso,avvicinando le sue labbra a quelle di lei,e  Tali facendo lo stesso,-Si chiama vendetta.




Un muto, metallico, occhio, si aprì.
 

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Capitolo 4
*** In memoriam ***


Be near me when my light is low, 
When the blood creeps, and the nerves prick 
And tingle; and the heart is sick, 
And all the wheels of Being slow. 

Be near me when the sensuous frame 
Is rack’d with pangs that conquer trust; 
And Time, a maniac scattering dust, 
And Life, a Fury slinging flame. 

Be near me when my faith is dry, 
And men the flies of latter spring, 
That lay their eggs, and sting and sing 
And weave their petty cells and die. 


 

Altakiril, Abisso di Shrike

 
Yula’Tashrik vas Rayya non era mai scesa su un pianeta, nè aveva mai visto una città. Aveva sentito parlare, e ammirato in olofilm, delle metropoli di Thessia, Palaven, delle colonie delle rispettive razze, e di come gli insediamenti Salarian e Elcor fossero “splendidamente inseriti nel contesto boschivo o paludoso”.. Una volta, Neli, le aveva regalato un database di oloimmagini di una grande città Umana, sulla Terra, e nella memoria associava, per sempre, quelle alte torri di metallo e cemento, confuse nelle nubi, alla mano di lei stretta alla sua. Yula non ne ricordava il nome, ma era certa di aver giurato a se stessa, mentre, abbracciare, guardavano l’olofilm, che, prima o poi, avrebbe abbandonato la Flotta. E avrebbe visto quanto c’era da vedere nella Galassia, sì. Invidiava Neli, perché lei aveva visitato Ilium, calcato le sue strade patinate e si era confusa nell’enorme folla che ne animava le metropoli, e perfino insegnato in un’Università. Costretto, con quell’aura magnetica e sapiente che emanava, antiche Asari ad ascoltare le sue teorie sull’effetto massa. Visto il tramonto di un Sole indorare il mare, affondato con i piedi nella sabbia morbida di una spiaggia, toccato con mano le piante verdi di quel pianeta.
Lei, invece, svolto il suo pellegrinaggio su Omega. Aveva compiuto i ventuno anni quando la Flotta si trovava a passare nel Sistema di Sharabarik, e la calotta rocciosa dell’enorme asteroide l’aveva subito attratta. Aveva saputo immediatamente che era lì che voleva andare, tra la feccia della galassia. Il comandante della sua nave, la Shellen, aveva acconsentito : per un’orfana come lei, rappresentava il tutore.  
Yula era stata curiosa, eccitata al solo pensiero dei bassifondi soffocanti e degli enormi maxischermi su cui campeggiava il visino blu di Aria T’loak. Cosa aveva, del resto, da perdere, una Quarian di basso rango come lei? Lì, ad Omega.. Keelah, forse era meglio non risvegliare ricordi sopiti. Eppure, una strana sensazione d’orgoglio la riempiva ora, a ripensare alla sua permanenza  tra quella feccia.
Ora, nel gelo, rabbrividiva a quel pensiero. Anelava alla calma, asettica, isoterma, pace, della Flotta Migrante. Casa.. non esiste più, sussurrò a se stessa. La Rayya è solo un cumulo di detriti fusi e cadaveri.
Riuscì a frenare la lacrime, ripromettendosi di affrontare più avanti quanto era accaduto. Ora, tutto era troppo fresco e doloroso, le sorde esplosioni nel vuoto erano ancora troppo violente, nella memoria. Neli..se solo ci fosse stata lei lì, assieme  alla sua compagna,la  cinica razionalità.
Riprese a camminare, concentrata solamente su dove metteva i piedi. Riuscì a calmarsi, ascoltando il ritmico su e giù dei suoi passi. Le venne allora in mente che, da qualche parte nella zona d’influenza umana, esisteva un pianeta che era, un tempo, una sola, enorme, metropoli, lussureggiante e brulicante di vita.
Eppure, ciò che aveva davanti a sé, era una distesa grigia di forme contorte che raggiungeva l’orizzonte, grigio piombo di scorie e polveri,  e lo oltrepassava. La culla di milioni di persone, ora la loro tomba, era stata una città coloniale. Ora non rimanevano che macerie, scheletri metallici d’edifici che si ergevano a crudele e spoglio monito.
Si trovava ad arrancare in ciò che, prima della Mietitura, doveva essere stata una via principale della città turian: ai suoi lati si ergevano edifici muti, mura crollate, navette sfondate dai bombardamenti dall’orbita. E da quelle mura, quantità inimmaginabili di cose si erano riversate lungo la strada: tavoli, armadi, terminali, oggetti personali, letti, armi, ma soprattutto persone.
Perché i cadaveri erano ad ogni angolo della strada, illuminati dalla fioca luce dell’alba del pianeta glaciale.
Ogni cosa, ogni grigio pilastro crollato, era ricoperta di brina mattutina, che creava un’opaca patina, donando all’ambiente un’aura di mistico, di eterno. Yula, seppur ben protetta dalla tuta, rabbrividì.
 
Ventidue anni appena compiuti. Tornata indietro dal pellegrinaggio, dati sulla posizione di un giacimento vergine d’eezo accuratamente appuntati sul suo factotum. Ciò era il suo regalo alla Flotta. Aveva lottato e sofferto per quell’informazione, ma ora, mentre consegnava, nella piazza centrale dell’enorme nave, quelle preziose coordinate al capitano Kar’Danna, sentiva il suo cuore, sotto la tuta, esplodere di gioia e d’orgoglio. “Ti ringrazio a nome della Flotta, per questo tuo incommensurabile dono. Yula’Tashrik, nar Shellen, ti accolgo su questa nave. Da ora in poi tu sarai Yula’Tashrik vas Rayya.”
Lei aveva abbassato il capo, e aveva cominciato a piangere, dietro la maschera,in felice silenzio.
Kar’Danna, allora, le centinaia di sguardi quieti fissi su di loro, le aveva preso le mani, come era prassi. “Ti mostrerò i tuoi alloggi”, aveva detto. E lei lo aveva seguito, e le sembrava di volare. Lì.. lì, su quella nave antica come la Guerra del Risveglio, colma di persone e multicolore, sentiva che la sua vita stava iniziando di nuovo.
 
 
Passò accanto ad un cadavere di una turian, la bocca congelata semiaperta, gli occhi ancora spalancati, le mani ad artigliare con forza una vita che l’aveva abbandonata. Una tremenda ferita all’addome era il silenzioso segnale della sua morte. Accanto a lei, un uomo, forse il compagno. Le sue braccia erano strette attorno al suo corpo, in un estremo tentativo di protezione. L’intera schiena era stata squarciata dalla caduta di un pezzo di metallo acuminato.
Ogni pochi passi doveva fermarsi o addirittura scalare cumuli di macerie, perchè la strada era ingombra di lastre di vetro e cemento, in alcuni punti ridotto a lava dall’enorme calore sprigionato dall’attacco dei laser Razziatori. Yula misurò le radiazioni: incredibilmente, la radioattività corrispondeva a quella naturale. Si domandò allora perché nella Flotta si fosse sempre pensato che i Razziatori dovessero, in qualche modo, lasciare isotopi radioattivi al loro passaggio.
Si rese conto che, più procedeva, più la devastazione si faceva totale,e  nulla rimaneva in piedi. Infatti, la pianura su cui sorgeva la città si faceva più aperta, e l’orizzonte grigio si confondeva sempre più col cielo plumbeo, carico di gelide promesse. Nulla era più come era stato, e le tracce della civiltà che aveva abitato quel pianeta rimanevano solamente a vessillo e monito per i posteri: gli sguardi vuoti dei morti sembravano gridare “vendicateci”.
Quella devastazione era diversa da quella che Yula aveva visto sugli ologiornali. Mancavano quelle orrende macchine, i denti di drago, che sulle colonie umane e asari erano disseminati ovunque nella distruzione, e mancavano i cadaveri delle truppe dei Razziatori.  Non c’erano, nell’asfalto, i crateri nell’asfalto lasciati dal contatto, con la terra, dei Mietitori , pronti a rilasciare la loro orda di distruzione.
Yula non aveva mai neppure visto un componente della truppe mutate delle Macchine.
 
 
 
Neli era entrata nella stanza, come una furia, richiudendo fin troppo rapida il portellone dietro di sé, ed attivando in nervosa fretta lo sterilizzatore dell’aria al suo ingresso. Aveva, poi, sospirato. Yula la guardava, in attesa. Sentiva che era in arrivo una delle sue solite tempeste. A volto scoperto, le aveva sorriso radiosa, in un silenzioso invito a parlarle.
Lei non si era tolta la maschera, ma era crollata a terra, stancamente appoggiandosi alla parete.
“Yula, a mia madre serve il tuo aiuto.”, aveva detto in un soffio.
“Per cosa?”, aveva chiesto Yula, incuriosita. Lana’Vael vas Rayya, molti anni prima, era stata il Grande Ammiraglio della Flotta Migrante, scalzata poi dal traditore Rael’Zorah. Ma quel tempo era ora finito, e si ritrovava con un pugno di mosche in una mano, e le sue misteriose e inconcludenti ricerche nell’altra. Ed una figlia incapace di portare avanti la genealogia, per cui lei aveva smosso l’intero Ammiragliato per farla assegnare alla Rayya, sua stessa nave di provenienza. Un avvenimento che non si ripeteva da almeno un secolo. Yula, pur conscia dell’odio che la donna provava nei suoi confronti, non riusciva a biasimarla: era tutto ciò che le fosse rimasto.
Neli, con gesti lenti e calcolati, nel tentativo di nascondere il tremore delle mani, si era tolta la maschera, appoggiandola nello sterilizzatore a caldo per oggetti. Chiunque potesse permettersi una tale attrezzatura, nella Flotta, doveva considerarsi fortunato. Yula aveva sentito dire che sulla Cittadella ne esistevano a laser ultravioletti, ma lei non c’era mai stata. E credeva che mai, e poi mai, avrebbe passeggiato nei giardini del Presidium.
Il volto di Neli era più contratto e nervoso del solito. Con vergognosa fretta, si asciugò le lacrime che le ricavano la pelle troppo bianca per una Quarian. “Ha..Non so.. Credo abbia comprato da qualcuno, nei Terminus, il cadavere di un mutante delle Macchine. Era, suppone, un essere Umano. E.. voleva che tu la aiutassi con una..”, un singhiozzo non troppo ben nascosto la scosse,”..simulazione informatica. Sviluppare un modello del processo di mutazione, sì. Dice di aver individuato l’agente eziologico”. Ed annuì, come per convincersi che avesse detto e fatto la cosa giusta.
Yula aveva annuito a sua volta. “Lo farò, Neli.” Non l’aveva mai vista così sconvolta. Anzi, è la prima volta che la vedeva quantomeno perdere la calma.
All’improvviso, lei, sempre seduta a terra, si coprì il viso con le mani. “Yula.. Io non posso pensare che quella cosa, un tempo, fosse stata viva come noi. Che avesse pensato, parlato, amato, odiato. Keelah, Yula, quegli occhi…”
 
 
 
 
All’improvviso, oltre un cumulo di navette e cadaveri, Yula trovò di fronte a sé un’alta scarpata. Il terreno era come sollevato, in una muraglia di almeno quindici metri. Yula deglutì, comprendendo immediatamente davanti a cosa si trovasse.
-E’ un cratere. ,- disse all’aria gelida. Il vento prese a soffiare e a cigolare tra le macerie metalliche, sollevando grigi nugoli di polvere.
Un cratere creato dal gigantesco impatto che aveva polverizzato quella città, sicuramente causato da bombardamento ad effetto massa. Quale poteva essere la massa iniziale dell’oggetto accelerato tramite energia oscura? Pochi millimetri, probabilmente. Keelah, quanta energia doveva aver sviluppato? Numeri incommensurabili si affacciarono nella sua mente. Di nuovo, rabbrividì.
-Avanti, Yula, sei riuscita ad arrivare fin qui sana e salva,-disse a se stessa, mentre si appoggiava stancamente alla parete di detriti liquefatti, in alcuni tratti quasi verticale, -Sei sopravvissuta al folle viaggio su quella carretta del Batarian, hai commerciato per il tuo vile tornaconto tecnologia segreta..
Scoppiò a ridere, stanca. Sul factotum, programmò il rilascio graduale di stimolanti.
-Che personaggio improbabile..,-continuò a dire a se stessa e ai resti del mondo. –Poi si dice di noi Quarian, che siamo una specie strana.. ,- mormorò, prendendo nel piccolo pugno un po’ di polvere di cemento, mista a vetro, metallo fuso, forse ossa.
I liquidi occhi neri, la pelle verde, lucida, squamosa, la voce gentile, e quei lineamenti così simili ai loro, tranne per le placche cartilaginose e rosso sangue sul collo.. Keryle, il Drell di Omega. Era una fitta lancinante al cuore, ogni volta che ripensava a lui. Forse, oltre a Neli,non aveva mai permesso mai a nessuno di essere così vicino a lei. E un giorno, forse, quando sarebbe stata libera e non più braccata, e quando quell’orrore sarebbe terminato, sarebbe tornata sulla stazione, e gli avrebbe offerto una birra. Sorrise, a quel pensiero.
Confortata, tentò di pensare a come continuare, e prese a camminare avanti e indietro, fiancheggiando la scarpata. Il Batarian, il cui nome impronunciabile Yula aveva cambiato semplicemente in “Contrabbandiere”, aveva detto, venendole ad aprire personalmente il portellone della sua orrenda e malridotta fregata e scaricandola in mezzo al ghiaccio senza tanti complimenti, almeno sei kilometri indietro, di camminare sempre dritto lungo la “strada”. Yula, però, non aveva mai visto una “strada”.
Aveva però dedotto, dai regolari cumuli di macerie ai lati di una striscia di asfalto libera e occupata da navette semidistrutte, che, quella, doveva essere la “strada”. La certezza, ora, era che doveva trovare il modo di scalare, o quantomeno oltrepassare, i lembi del cratere, di cui Contrabbandiere non si era minimamente preoccupato di avvisarla. –Stronzo ingrato!,-gridò di nuovo, all’aria improvvisamente immobile, e sempre più gelida. Il Sole, pallido e fioco, stava calando rapido alle sue spalle.-Ho installato sulla tua merdosa nave un sistema di occultamento tra i più avanzati della cazzo di Galassia..
Il viaggio, sulla nave di Contrabbandiere, era stato un Inferno. Neli era già in viaggio per i Sistemi Terminus, in una posizione che neppure lei era riuscita a scoprire,e Yula doveva scappare. Altrimenti.. No, non osava ancora pensarvi. Aveva contattato il Batarian, sì. Lo conosceva dai tempi di Omega, e bazzicava spesso dalle parti del suo negozio. Lui aveva, prontamente, risposto, avvertendo, pur ad anni di luce di distanza, il profumo del guadagno. E lei non lo aveva deluso. Gli aveva promesso, in una delle sue tante mail criptate, il meglio che qualunque pirata, ladro, fuorilegge, dei Terminus avrebbe mai potuto desiderare: il sistema di occultamento delle navi Geth, scoperto e replicato nel laboratorio in cui Yula era stata assegnata dal tanto gentile Kar’Danna. Era certa, ed aveva avuto ragione, che nel pieno della battaglia per il Pianeta Natale, nessuno avrebbe fatto caso ad un’incursione interna alla flotta di una fregata che batteva bandiera dello spazio Batarian. Probabilmente anche grazie ad un suo aiutino informatico..La fregata non sarebbe apparsa altro se non un caccia Quarian.
Eppure,mentre copiava i dati del progetto sul proprio factotum, e li inviava al Batarian, non riusciva a provare nessuna emozione. Era un involucro vuoto, una crisalide d’aria. Perché Neli non era lì, Neli era lontana, Neli era dispersa tra le stelle. Non era lì a ricordarle cosa significasse avere un’etica, avere qualcuno da cui si era stati cresciuti e qualcuno di cui seguire l’esempio. Yula si affidava a ciò che di più basilare e ferino possedesse: lo spirito di sopravvivenza. Sapeva solamente che era assolutamente obbligata a fuggire,ed il più rapidamente possibile. Era l’unica certezza, ma non c’era eccitazione nell’idea della fuga, non c’erano colpe all’idea del tradimento e del furto. Perché l’avrebbero trovata, l’avrebbero condannata. E la pena, inapplicata da secoli, sarebbe stata la morte. Perché ciò che aveva fatto era imperdonabile. E la sua colpa apparve perfino peggiore, nel suo cuore, quando realizzò che non aveva neppure mai visto Tali’Zorah vas Neema, ma sapeva che era nata lì, sulla Rayya.
In qualche profondo recesso di se stessa, Yula aveva compreso di aver dato inizio ad un crudele gioco. Di aver regalato uno strumento di tortura ad un boia senza pietà. E per cosa? Per soddisfazione personale. Perché il suono ticchettante delle sue dita sulle olotastiere dei terminali era estatico, e perché la sfida, che l’Ombra le aveva proposto, era troppo allettante per non essere raccolta.
 
“Yula, ascoltami.”
Lei si era voltata a guardarla, appena tornata dal laboratorio del ponte quattro. C’era stata un’incursione Geth più violenta del solito, tanto da giungere fino alle navi civili come la Rayya. Alcune esplosioni avevano causato una falla nello scafo, prontamente riparata, assieme ad una fuga di materiale radioattivo da uno dei core di eezo, e Neli, riciclata ingegnere nucleare, si era aggregata ai meccanici, su ordine della madre. Controvoglia e preoccupata, Yula l’aveva lasciata andare nell’inferno che, certamente, quel ponte era; perché, nella vecchie navi come quella, il primo sistema ad andare in avaria era il supporto vitale.
Yula era rimasta da sola, nell’alloggio che condividevano, con il cuore in pezzi. L’aveva abbracciata, le aveva assicurato che l’avanguardia Geth era stata respinta, prima di indossare di nuovo la maschera, e di raccogliere le bombole di ossigeno che ogni famiglia aveva in dotazione sulla Flotta per i casi d’emergenza.
Yula aveva pianto, per un po’. Ma poi aveva ricordato il suo compito. E quando lei era tornata, non l’aveva neppure udita aprire e richiudere il portellone, non era corsa ad abbracciarla e a dirle, che, in ogni caso, l’amava e l’ammirava. No, i suoi occhi e la sua mente erano rimasti confinati sul piccolo schermo del terminale, la sua anima proiettata laggiù, sul Pianeta Natale, a spiare ciò che i Servitori, candidi e squittenti, facevano.
 
Il velo rosso scarlatto le donava, in un contrasto feroce con la pelle candida. La fronte era imperlata di sudore. Non le prestò attenzione più di un istante. Non le rispose. Non notò neppure la sua tuta sporca di fuliggine e l’indicatore dell’ossigeno, nella piccola bombola che aveva portato con sé,  sul livello d’emergenza.
Distrattamente, le era parso di udire i suoi passi avvicinarsi a lei, seduta di fronte al terminale, modificato da lei stessa. Mentre, però, era intenta a scrivere un codice, la mano, ancora coperta dal guanto, di Neli si posò sulla sua, e i suoi grandi occhi grigi nei suoi. La sua mano era calda, ma la loro luce gelida, perentoria.
“Vuoi ascoltarmi, adesso?”,disse, in una domanda, ma che suonava come un ordine. Lei, obbediente, nella speranza se ne andasse presto e la lasciasse lavorare, obbedì. Non sottrasse la sua mano alla stretta di quella di lei.
“Ciò che stai facendo è sbagliato.” Yula sentì un leggero livore riempirla.
“Ciò che stiamo facendo entrambe, lo è, Neli. Non interrompermi per dire ovvietà fastidiose, per favore.”, ribatté, usando la mano sinistra per terminare il codice.
Neli scosse la testa, facendo finta di non vedere ciò che lei faceva, e i capelli neri che spuntavano dall’elmetto ondularono in accordo col movimento. “E’ anche ovvio che non mi stessi riferendo a questo, Yula”, e si piegò dolcemente verso di lei, sfiorandole appena la labbra con le proprie. “Ma al compito che hai accettato di svolgere.
“Si tratta dell’Ombra, Yula. Quando ero su Ilium..”
“..E non sulla Cittadella, mi pare.”
“Tu non sai niente!”, sbottò lei, una sottile vena d’isteria nella voce.
Yula alzò gli occhi al cielo. La odiava, quando la sua parte convinta di essere onnisciente riprendeva possesso di lei.
All’improvviso, fu Neli a lasciarle la mano. E le puntò un dito contro, accusatrice. Un gesto che non aveva mai fatto. Mai, mai, neppure una volta, aveva tentato d’imporre la sua superiorità in tale modo. “Yula, cerca di ragionare. Stai dando informazioni all’Ombra, e chissà cosa vuole farsene. Cosa sei, una mercenaria? Non hai imparato nulla? E c’è una di noi, una Quarian, Yula, in mezzo. La figlia di Zorah.”
Abbassò il braccio, che tornò a distendersi lungo il busto. Come sempre, quando era irata, il suo petto si alzava e abbassava rapidamente, in respiri affannosi. Dal canto suo, Yula era confusa, e adirata a sua volta per l’atteggiamento di lei. L’Ammiraglio Zorah aveva avuto una figlia?
“Sì, Zorah aveva una figlia.”, disse Neli, precedendola. “Ha all’incirca la nostra età, credo. Ed ora è stabilmente parte dell’equipaggio del comandante Shepard. Due giorni fa una delegazione di Ammiragli è andata a trattare per un accordo militare con l’Alleanza. A quanto pare, Shepard e il suo equipaggio saranno di supporto alla nostra causa.“
A quel nome, Yula ebbe un lampo di comprensione. L’Umano più famoso della Galassia, il primo Spettro della sua specie. “Su Omega.. Tutti gli Umani ne parlavano.” Aveva visto centinaia di olofilm, riguardo le sue operazioni contro i Geth, interpretati da attori tutto meno che umani (perfino Elcor).. E la Battaglia del Presidium, contro quella “cosa”.. Beh, era ormai un pezzo di storia, una favoletta da raccontare ai bambini per addormentarli. Si chiese a che punto fossero, ormai, le riparazioni alla Cittadella, da parte di quei misteriosi insetti; erano passati più di due anni,ormai.
Neli, forse più calma, annuì, senza però tornare ad avvicinarsi a lei, ma prese a camminare avanti e indietro nella piccola stanza, come un animale in gabbia. Le sue gambe lunghe si muovevano ritmicamente, ipnotiche.  “Ci sono così tante cose che non sai, Yula.”,mormorò la ragazza, incrociando le braccia, fissando un punto nel vuoto pavimento, “Tu, per esempio, non sai che Tali’Zorah vas Neema fu processata per tradimento meno di un anno fa, e che tale Shepard fece fuoco e fiamme per non farla esiliare.”
Yula deglutì. Tradimento? Keelah, l’ultimo processo del genere era stato a carico della madre di Neli, in un tempo in cui nessuna delle due erano, neppure, ancora nate.
“Cosa era accaduto?”
Neli fece un ampio e vago gesto con la mano. “Non lo ricordo esattamente.. Qualcosa riguardo l’operazione in cui il padre morì.”
Yula abbassò lo sguardo, fissandosi le mani posate sulle ginocchia. Era stato un duro colpo. Ma non poteva mollare tutto, ora. L’Ombra l’aveva incaricata, cercata, contattata personalmente; l’Ombra probabilmente sapeva chi lei fosse, e si sarebbe vendicata, se si fosse tirata indietro. L’Ombra.. tutti rabbrividivano,nelle loro tute, al solo pensiero. Eppure, lei, aveva avuto l’impressione di parlare con null’altro se non un suo pari, nei brevi scambi che ebbero via mail.
“Neli, ci sono quasi. Ho quasi il pieno accesso a tutti i controlli di sicurezza dell’Antica Base..”,protestò debolmente. “Se mi dai ancora un po’ di tempo, presto sarò in grado di scrivere un software che sia in grado di seguire autonomamente gli spostamenti degli organici..”
Neli sospirò. Yula sapeva che, suo malgrado, non riusciva a resistere quando lei iniziava a sfoderare la sua conoscenza informatica. “..Calibrato sulle emissioni di calore. Sarà del tutto automatizzato. Io potrò lavarmene le mani, e cancellare ogni residuo dati.”
Neli non rispose, non si mosse. Yula aveva, però, omesso, ciò che di più grave aveva fatto. Poteva prevedere la reazione che Neli, da sempre accecata da quella sua maledetta etica, avrebbe avuto nei suoi confronti. La furia causata dall’orribile insubordinazione avrebbe scavalcato l’amore e la stima, e la condanna sarebbe stata immediata e impietosa. A nulla sarebbero servite le suppliche. Eppure, nonostante la paura, e il senso di colpa che, ogni tanto s’affacciava quando Neli avvicinava il suo viso a quello di lei, e i loro respiri si mescolavano, e  la stringeva tra le braccia, Yula era andata fino in fondo.
Erano almeno due giorni che teneva sotto controllo le attività dell’Ammiraglio Shala’Raan e del Grand’Ammiraglio Zaal’Koris vas Qwib Qwib. Aveva inviato ai loro factotum un worm autoreplicante, in grado di rimandare indietro backdoor automaticamente, assieme a copie dei files scambiati. Inoltre, aveva programmato il malware per attivare le periferiche di registrazione in qualunque momento i factotum fossero in standby. In pratica, avrebbe potuto facilmente spiare vita privata di entrambi, ma non era ciò che la interessava. Ciò che aveva scoperto, suo malgrado ed involontariamente, spulciando tra le mail, le registrazioni audio e le olochiamate, era che Koris era un uomo molto più insicuro di quanto non mostrasse nei suoi lunghi e gloriosi discorsi, profondamente solo, ed infelice. In particolare, c’era una mail inviata ad una donna, una certa Peral, presumibilmente un’Asari, in cui esprimeva tutti i suoi dubbi riguardo la guerra in corso, rivelando informazioni militari teoricamente riservate. Il tono, complessivamente, era disperato. Asseriva di non vedervi un termine, e di come si sentisse lo spietato assassino di ogni soldato, civile, pilota di caccia, che perdeva la vita in ogni incursione. E le morti aumentavano di giorno in giorno. Concludeva chiedendo all’interlocutrice cosa avrebbe fatto Rael’Zorah, secondo lei, se fosse stato ancora vivo, e che a volte “sentiva quelle sue enormi mani chiudersi attorno al suo collo e stringere”. Inoltre, in uno scambio di mail con Han’Gerrel, si profilava, per i giorni a seguire, un atterraggio sul Pianeta Natale, per distruggere alcune torri Jammer. Sarebbe andato lui, in persona, con un piccolo contingente di specialisti al seguito. Nulla da obbiettare sul fegato e sulla competenza strategica del Grand’Ammiraglio, ma in quanto a quella politica, Yula iniziava a nutrire grossi dubbi.
Shala Raan vas Tonbay, d’altro canto, a quanto pareva, era sulla Normandy, la nave del famoso Shepard. La fregata si teneva a distanza dal campo di battaglia, in un punto di Lagrange di Rannoch. Le sue attività erano molto più difficili da individuare: utilizzava un server di intranet esterno alla Flotta, e comune, invece, all’Alleanza.  Era riuscita ad intercettare solo poche missive, ed una singola chiamata con l’Ammiraglio Daro’Xen, peraltro estremamente disturbata. E infine, probabilmente, a quando diceva Raan in una mail criptata, quella nave possedeva un’IA a bordo. Era meglio andarci caute.
 “Yula”, disse infine Neli, “devo mostrarti qualcosa.”
La ragazza, allora, inaspettatamente, si avvicinò a lei, e la baciò. Fu un bacio rapido, sbrigativo, e c’era impazienza in quel gesto. “Cosa?”,mormorò Yula, tentando di slacciarle l’elmetto, quasi dimentica di ciò che stesse facendo. Lei mise le mani sulle sue, e le impedì di aprire i ganci. Scosse la testa. “Indossa anche la maschera”, ordinò allora Neli. Lei obbedì, e, dal respiratore, l’aria parve improvvisamente finta e artificiale. Deglutì, mentre lasciavano l’alloggio.
“Da quanto è che non esci da là dentro, Yula?”, chiese Neli, con mascherata dolcezza. Lei, dietro la maschera, si sentì arrossire. “Da quando siamo in orbita geostazionaria attorno al Pianeta Natale. Da quando il Dipartimento per lo Sviluppo Tecnologie Difensive ha chiuso.” Effettivamente, quando i lavori nel suo laboratorio erano stati sospesi (Koris aveva deciso di destinare alle riparazioni gran parte dei tecnici con più esperienza di Yula), non aveva avuto motivo di uscire. Probabilmente, sarebbe stata convocata ai lavori solo in caso di gravi danni alle apparecchiature informatiche del CIC. Solamente due volte si era recata alle Camere di Sterilizzazione, presenti su ogni ponte della nave, per darsi una ripulita. Neli la riforniva di cibo e acqua, così come faceva con se stessa.
Neli sospirò, ma c’era serenità nella sua voce. “Come devo fare, con te? Sei un’eremita peggiore di me…”
Fece una pausa, in cui presero a camminare per gli affollati corridoi della Rayya, gorgoglianti di civili multicolore nelle loro tute, sullo sfondo grigio delle pareti. Il vociare permeava ogni cosa, riempiva di vita l’antica nave, si elevava al di sopra degli ologiornali trasmessi dai maxischermi.
“Ora, però, chiudi gli occhi”, ordino di nuovo Neli, ma con dolcezza. Yula sorrise, dietro la maschera. “Dove mi sta portando, dottoressa?”, chiese divertita, prendendole la mano,che si strinse nella sua. Ogni cosa, attorno a lei, non divenne altro che suono, e nero ovattato chiazzato di luce che oltrepassava le palpebre.
Camminarono, mano nella mano, come mai facevano in pubblico, per almeno venti minuti. La Rayya era una nave enorme, inizialmente progettata , prima della Guerra del Risveglio come trasporto di linea tra Rannoch e le colonie dei sistemi attigui a quello di Tikkun. Eppure, quel suo destino non si era mai realizzato. Yula aveva sentito raccontare da Neli che l’insurrezione dei Servitori era iniziata esattamente durante il viaggio inaugurale, levatosi da un famoso porto del continente occidentale.
Ogni Geth si ribellò, ogni Geth era in grado di imbracciare un’arma, e tutti lottarono in perfetta sincronia, come se fossero stati progettati appositamente. E la verità fu presto chiara all’equipaggio: i Servitori assegnati a quella nave avevano atteso pazientemente, finto di non aver mai raggiunto la consapevolezza, per coglierli di sorpresa, e pugnalarli alle spalle. E punirli per la loro tracotanza.
Fu un massacro. Si diceva che tanto fu il sangue versato, che i sistemi vitali, nel tentativo di depurare l’aria, andarono in sovraccarico. Eppure, il Capitano Lars’Reegar sopravvisse, e riuscì a prendere possesso della nave, scacciando i Servitori impazziti,e dando estrema sepoltura ai suoi morti. Iniziò poi a vagare per il sistema di  Tikkun, in cerca di sopravvissuti, preparandosi all’Esodo. Così, la Rayya divenne la prima nave della Flotta Migrante.
Quella storia l’aveva sempre fatta rabbrividire.  Sapeva di troppo antico, di atrocità consumatesi in epoche che, in teoria, avrebbe dovuto essere dimenticate, ma che, in realtà, erano parte del duro carico che pesava sulle spalle di ogni Quarian.Ora, però, ad occhi chiusi, i pannelli rosi dalle dita che, nei secoli, li avevano premuti, i pavimenti resi lucidi dai miliardi di passi che vi si erano posati, gli ascensori cigolanti, non erano che un ricordo vago e distante, e quella nave non era mai stata altro se non un’anticamera alle braccia di Neli.
All’improvviso, dopo aver attraversato un portellone, Yula avvertì di trovarsi in uno spazio più ampio, più aperto, non più nei cunicoli soffocanti. Neli strinse con più forza la sua mano, e la guidò piano, camminando con calma. Infine, si fermò, e le circondò la vita con un braccio. C’era un delicato, tiepido, intimo, calore in quel gesto. Yula fece lo stesso, ed una grande calma la invase. “Apri gli occhi, ora.”, sussurrò Neli, con rara dolcezza.
Yula li aprì. E davanti a lei non c’erano altro che terre, desertiche o solcate da grandi fiumi, mari, foreste, e il candido ghiaccio del polo. E quella curva superficie era così vicina che pareva di poterla toccare, e la sua realtà era così spiazzante che ti costringeva a sognare. Sognare una vita diversa, libera dalla tuta ambientale, in cui non avrebbero più dovuto nascondere il loro amore e loro stesse.  “Neli”, mormorò, avvicinandola a sé, appoggiando la propria fronte contro quella di lei, separate da due strati di metallo, “Li c’è  casa.”
Il giorno successivo quel luogo, l’Osservatorio,unica finestra dell’antica e massiccia nave su un universo che si stendeva tutt’attorno, non sarebbe esistito più, distrutto dall’esplosione.
 
 
 
Il vento gelido aveva preso a soffiare con violenza, e nubi grigie come piombo, sempre più scurite dal tramonto nero, correvano impazzite nel cielo. -Avevi ragione, Neli. Hai sempre avuto ragione. Se solo ti avessi ascoltata davvero..
Cominciò a piangere, e crollò a terra, addossata alla parete di detriti. Davanti a lei, troppi cadaveri ammassati e smembrati dalle esplosioni per poter essere contati. Si costrinse a chiudere gli occhi, per non fissare le orbite vuote dei Morti. Cosa hai fatto?, parevano gridare le loro bocche congelate.
Strinse le braccia attorno al corpo, cercando calore, riparo da quel vento. Nascose l’elmetto nelle ginocchia, gridò con furia, con ira. E la sua voce rimbombò aliena su quella terra desolata, dove l’acqua non scorreva e il Sole mai più avrebbe battuto. Dove solo il vento avrebbe eroso le ultime macerie, le avrebbe ridotte a polvere, così come  per le metropoli del Pianeta Natale. Rannoch, e i suoi prati viola, i suoi deserti dorati.
-Non vivrò mai lì. Non morirò mai sul Pianeta,-sussurrò infine, a se stessa.
Perché non lo meritava.
Perché ciò che la Vita era, per lei, non aveva avuto importanza. Perché in lei, non c’era stato rispetto per nessuno: Servitori, Umani, e perfino per il suo popolo.
-Merito l’esilio. ,-disse.
Aveva tradito, spiato, deriso, i Grandi Ammiragli della Flotta. E i volti muti e severi degli Antenati la avrebbe condannata, le loro mani gelide l’avrebbero guidata all’Inferno.
Tali’Zorah.. Lei.. Lei era innocente. Lei non meritava l’esilio. Non lo aveva mai meritato. Ma l’Ombra.. l’Ombra.. Quali erano davvero le sue intenzioni? A cosa aveva dato inizio lei, che in quei momenti non era altro che sei dita su una tastiera?
Lei, Tali.. quel giorno.. non aveva fatto altro che difendere la sua specie. E, quel Geth.. C’era così tanto dolore, così tanta rassegnazione nei suoi gesti..
Keelah, perché non ho compreso dove tutto ciò avrebbe portato? Perché sono stata così cieca, così sciocca?, pensò, sfilando dalla fondina appesa ad un fianco la pistola ARC che aveva sottratto dal magazzino armi del ponte sette, pochi minuti prima di fuggire dal boccaporto. Premette il grilletto, e vi tenne il dito indice, trattenendo il colpo. Minuscole scariche elettriche cominciarono a diffondersi nell’aria, dalla canna dell’arma candida.
Di nuovo, gridò al cielo, dove le nubi, furiose, si scontravano e rincorrevano. Lei soffrirà e sanguinerà per colpa mia, solamente mia. Alzò il braccio, senza staccare il dito dal grilletto. Il colpo doveva essere, ormai, al massimo del voltaggio. Alzò il braccio, e puntò la pistola sulla tempia destra.
Yula’Tashrik vas Rayya, eremita di una nave che non esisteva più, di un popolo che non aveva una terra, aprì gli occhi. Gli occhi neri, muti, ghiacciati, dei Turian disseminati sul cemento e sull’asfalto si diressero verso di lei.
Lei ne sostenne lo sguardo, e parlò.
-Io vi chiedo perdono. ,-disse al vento, ai morti, alla terra congelata e deserta.
E finalmente la pace la avvolse. E fu come se Neli fosse lì con lei, e che mai più dovessero separarsi.
 
 
 
Be near me when I fade away, 
To point the term of human strife, 
And on the low dark verge of life 
The twilight of eternal day.
 

Flux, Agglomerati Superiori, Cittadella

 





-Garrus, pensi mai al futuro?
La domanda lo colse di sorpresa. Di scatto, voltò lo sguardo dal punto che stava fissando, da qualche parte all’interno del drink blu scuro, alla faccia sbarbata di James Vega.
-Tu credi in un futuro, Umano?,aveva risposto, prendendo con le tre dita il contenitore blu.
Il Flux, quella sera, era più affollato del solito. Era un pub di recente apertura, in cui Garrus non era mai stato, ma di cui Vega pareva essere un cliente abituale. Conosceva perfino la cameriera, tale Rita.
Là dentro, aveva immediatamente notato Garrus, appena la porta scorrevole si era richiusa dietro di loro, ogni cosa risplendeva di blu. I neon erano blu. Le luci stroboscopiche erano blu elettrico. I led, montati sul pavimento, lo erano ancor con più violenza. James lo aveva guidato fino ad un bancone secondario nel piano mezzanino, vicino ad una pista da ballo, al cui margine, su strutture rialzate, si dimenavano ballerine Asari seminude. Ovviamente blu.
Ed ora, quel cocktail (“Rita, preparagli qualcosa di forte, soffre di pene d’amore!”) era blu anche lui. E quando si era voltato, perfino Vega pareva essersi tramutato in un maschio Asari troppo nerboruto. Forse, là dentro, c’era davvero qualcosa di forte. O forse era solamente il riflesso dei neon montati dietro al bancone, che facevano capolino tra le bottiglie di superalcolici.
James aveva fatto un’espressione dubbiosa, tentando di simulare un’aria intellettuale. Non gli riuscì,notò Garrus divertito. –Non so. Ma poi lo sai, mio solitario cecchino.. Io non sono un uomo riflessivo. ,- aveva risposto lui, allungando fugacemente una mano aperta sulle terga nude di un’Asari di passaggio. Quella fece un risolino pudico, strizzando un occhio.
-Decisamente no,-borbottò Garrus. –Comunque, James.. Parliamo di cose serie,-annunciò, alzando il tono di voce, e bevendo un altro sorso di quella roba nel bicchiere, che bruciava tremendamente a contatto con la lingua.
-Spara.,-L’Asari si era seduta in braccio all’Umano, continuando a sorridere stupidamente, sbattendo le lunghe ciglia sugli occhioni blu.
-Cosa credi dovremmo fare con Shepard?,-chiese Garrus, d’un fiato. Sapeva, ormai, che avrebbe dovuto parlarne con qualcuno. Perché considerava John il suo miglior amico, ma aveva saputo giudicare quando ormai la situazione era fuori controllo. Tra l’altro, erano due giorni che non lo vedeva. IDA non aveva registrato suoi accessi alla Normandy, da quando erano attraccati. Inoltre, la lista di impegni e missioni lasciate in sospeso andava allungandosi, sul diario di bordo. Hackett continuava a sollecitare per quel segnale su Eden Prime riguardo le attività di Cerberus, ed, ora, a quanto pareva, il consigliere Asari richiedeva assolutamente una conversazione privata con Shepard. Chissà se l’aveva incontrata, al Presidium. Garrus ne dubitava fortemente.
James si passò una mano sulla faccia, grattandosi poi l’ombra di barba che andava ricrescendo, e stringendo l’altro braccio attorno alla vita dell’Asari, che prese a strusciare il naso contro il collo taurino dell’uomo. Garrus sospirò, in un misto di invidia e pena.  –Quest’inerzia mi sta uccidendo, ne sono certo. ,-borbottò, cercando, con sforzo, di concentrarsi sulla faccia del turian.
-Ah, anche a me. – Ed era vero. Era passata poco più di una settimana dal rientro da Rannoch, in cui non c’era stato assolutamente nulla da fare, se non leccarsi le ferite e lasciare il medigel agirvi. Garrus era rimasto ferito, laggiù in quell’inferno di folia, e il dolore al petto che provava ogni qual volta si piegava, gli ricordava delle responsabilità che aveva nei confronti del suo aggressore. Ma preferiva scacciare il terribile ricordo, e concentrarsi sul presente, lucidando il suo Mantis, giocando a Poker con gli altri membri dell’equipaggio. Pensare, pensare, pensare. Era troppo doloroso, confuso e complicato, almeno al momento.
E poi c’era lei.
Vega, improvvise, fece cenno, spingendola delicatamente, all’Asari di andarsene. Garrus, come ipnotizzato, fissò le sue dita rosa affondare nella carne morbida della donna. Quella, con un ultimo languido sorriso, si allontanò, senza mai aver proferito parola.
In un impeto di compassione, James chiese:-Come sta Tali, Garrus? Ho provato a parlare, l’altro giorno, in Sala Macchine, ma mi rispondeva a monosillabi, e ho deciso di lasciarla stare. Credi abbia fatto bene?
Garrus annuì. Una fitta al petto improvvisa lo colse, e fu come se la pioggia del deserto avesse ricominciato a cadere, perfino lì, in quel nightclub. La notte successiva al rientro da Rannoch, o forse due notti dopo, Garrus aveva deciso di raccontare tutto a Vega. Aveva narrato della scomparsa di IDA, di come i Nuclei li avessero scortati al Razziatore, di come questo si fosse levato nel cielo. Del rocambolesco modo in cui lui e Tali erano stati salvati da IDA e stessa, e del suo tremendo bluff con l’ammiraglio Koris. “Beh, però è stato utile”, aveva detto a Vega, tentando di auto convincersene, e quello era scoppiato a ridere, versandosi altro gin. E, infine, gli aveva raccontato dello sparo di Tali all’androide. E.. dell’esplosione.
Non seppe mai quante ore ci vollero, ma a giudicare dal livello di liquido rimasto nella bottiglia, dovevano essere state parecchie. Vega, alla fine, pareva quasi scosso, dietro la sua maschera di ostentata mascolinità. Gli aveva dato una pacca sulla spalla, e annunciato come avrebbe voluto esserci anche lui, ma di come Garrus avesse agito al meglio. E il turian, dopo quella confessione, si sentiva tremendamente svuotato.
-Sì, hai fatto bene. La conosco da tanto, e so che quando soffre ha solamente bisogno di stare da sola. Chissà, forse è così per tutti i Quarian.
Vega bevve un altro sorso di drink, e fece un cenno a Rita, la cameriera, di riempire di nuovo il bicchiere di quel liquido che gli umani chiamavano “vodka”.
-Comunque, riguardo a Loco.. Io, Garrus, non saprei cosa consigliarti. Lui,-e gesticolò, cercando nell’aria intrisa di alcol e sudore le parole,- E’ un simbolo. Non possiamo toglierlo di mezzo così, all’improvviso.
-Non ho mai parlato di toglierlo di mezzo, infatti. Solamente di accantonarlo per un po’, attendendo che si riprenda.
Garrus, infine, in quella lunga notte, aveva tentato, con parole semplici, di spiegare a Vega cosa era successo nel deserto. Insieme, avevano concluso che John Shepard era..mentalmente instabile. E quanto avevano ripreso le telecamere di sorveglianza del deposito della Sala Macchine non aveva fatto altro che confermare il suo timore. In assenza di IDA, che in genere avvisava il Comandante se qualcuno era malato, o se avvenivano azioni contro le regole da parte dell’equipaggio Umano, era Joker ad avere sul suo terminale le registrazioni di tali telecamere. Queste erano installate in tutti i locali comuni della Normandy: ovviamente erano assenti negli alloggi e nei bagni. Qualche giorno prima, Joker gli aveva battuto su una spalla, mentre Garrus fissava senza concentrazione dati di calibrazioni nella Batteria Primaria. Pareva scosso, e combattuto. Ma quando Garrus visionò il video, ogni suo dubbio fu fugato.
Vega si grattò di nuovo la barba. Probabilmente era un gesto che ripeteva ogni volta che era nervoso, ma tentava di mascherarlo. –Ma da cosa, eh, Spinoso? Voglio dire, è un N7, lì ti fanno test psicologici durissimi..
Garrus alzò le spalle. –Non ho idea di come funzioni il vostro piano di addestramento. Ma posso assicurarti che dobbiamo agire, in qualche modo.
Vega sospirò. –Potremmo provare a parlargli. A metterlo di fronte alla realtà, a dirgli “Ehi, bello, tu sei il cazzo di Comandante Shepard, sei la speranza per tutta la Galassia, non puoi  perdere la testa proprio ora”..
Garrus, amareggiato, scosse la testa, e incrociò le braccia. –Probabilmente ci ucciderebbe senza pensarci due volte, James. E credo sia ciò che lo abbia fatto andare avanti, nell’Alleanza. Lui..tiene sotto scacco i suoi commilitoni con la forza della paura. Teme sempre di essere pugnalato alle spalle.
Vega annuì. –Sì, forse hai ragione. Cioè, voglio dire, tu sei un suo amico fraterno, e io non l’ho mai deluso.
-E’ vero,-riconobbe Garrus. James Vega non sarà stato forse un mago delle parole e della sensibilità, ma aveva uno spiccato senso pratico e abilità e freddezza sul campo di battaglia. All’improvviso, ebbe un’idea.
-Possiamo attendere fino a che non ricompaia. Chissà, forse un po’ di baldoria nei bassifondi o una visitina dalla Consorte potrebbero averlo fatto rinsavire. Forse conserva ancora un po’ di spirito di autoconservazione..
Stavolta fu Vega a scuotere la testa. –Non credo, Spinoso. E, anzi, ti dirò..Credo che l’unica opzione valida sia prendere il grande, saggio, potente, comandante Shepard a calci nel culo. Soprattutto per quello che ha fatto a Tali. Dopodiché, potremo tornare a prendere ordini da lui.
James disse tutto ciò di un fiato, e il suo sguardo s’era acceso di una strana luce, mentre parlava. Eppure, c’era amarezza, nella sua voce. Probabilmente aveva creduto di poter trovare un mentore, in John, un esempio da seguire. Ed ora, tutte le sue illusioni erano andate in frantumi. Come il cuore di Garrus mentre guardava il suo comandante prendere per il collo la donna che amava.
-Soprattutto per quello che ha sempre fatto a Tali, James. ,-assentì infine Garrus, guardando il liquido blu vorticare nel bicchiere.
James parve rabbuiarsi ancor di più. –Perché non gliel’hai mai detto, eh, Garrus?
Lui sospirò, e vortici di pensieri e ricordi che credeva di aver dimenticato presero, assieme all’alcol, a fluirgli nelle vene. Le lunghe conversazioni notturne nella Normandy SR1, il lusso di poterla abbracciare per una missione andata a buon fine, e la gioia nel vedere i suoi grandi occhi luminosi posarsi su di lui dopo aver fatto saltare la testa ad un Geth Prime.  Solo quando la testa prese a girargli, si rese conto di non aver respirato, mentre quei ricordi si affacciavano.
-Perché credevo che insieme sarebbero stati felici, James. Sai, ho letto che biologicamente i Quarian e gli Umani sono molto simili, e pensavo…
-Che diavolo pensavi, in quella testa bacata?
Si strinse nelle spalle. –Pensavo sarebbe stato meglio per lei stare con qualcuno che..le ricordasse se stessa. ,-disse infine, con sincerità.
Vega incrociò le braccia muscolose. –Non ti avrei mai creduto così profondo, Vakarian. Comunque, credi di poter individuare la posizione di Shepard? ,-disse, con un sorrisino sghembo.
-Io no,-rispose Garrus, e tese le mandibole in un sorriso,-Ma Tali sì.
 
 
Tornarono rapidamente alla Normandy. Vega offrì i drink, strizzando l’occhio a Rita, e promettendole che sarebbe tornato presto. “Tanto lo so che non manterrai la promessa”,aveva scherzato lei. Garrus, invece, credeva che molto probabilmente sarebbe avvenuto.
La nave era semideserta. Data l’estemporanea licenza, quasi tutti avevano scelto di scendere sulla Cittadella, e di disperdersi tra la folla degli agglomerati. A bordo erano rimasti solamente Joker, Tali e l’androide di IDA. Presumibilmente, l’Umano era ancora combattuto se rimuovere di nuovo i blocchi di coscienza dell’IA, e stava meditando, a suo modo, attorno all’androide ancora disattivato.
E così lo trovarono Garrus e James. Appoggiato sul busto dell’androide, borbottava qualcosa di incomprensibile da solo. Divertito, James assestò a Garrus una gomitata tra le costole, indicando il timoniere. –Spiriti, James, ho ancora la fasciatura!
-Ops,-scoppiò a ridere lui.
Joker si accorse solo allora della loro presenza, e smise di parlare con se stesso. –Che c’è?,-chiese semplicemente, con stizza. La barba era più lunga del solito, e il cappello che indossava sempre aveva l’aria estremamente sudicia. Profonde e violacee borse erano sotto gli occhi, e pareva smagrito.
-Dov’è Tali?,-rispose Garrus con un’altra domanda.
Lui distolse lo sguardo da loro due, e parve improvvisamente incuriosito dalle proprie mani ossute.
Dopo un tempo che parve interminabile passato a studiare le unghie mangiucchiate, rispose. –All’Osservatorio, credo. ,-disse con voce tremante.
-Grazie, Joker. Vatti a dare una ripulita.
 
 
 
Infatti, Tali era all’Osservatorio. I neon erano spenti, e la stanza era immersa nell’oscurità, se non per la fioca luce che proveniva dalla lontana stella del sistema della Cittadella, Vedova.
-Vado io,-mormorò Garrus a Vega, facendogli cenno d’andarsene. Lui annuì, comprendendo.
La Quarian sedeva sul divano, un drink violaceo in mano, il respiratore dell’elmetto trasformato in un sottile ingresso per una cannuccia, che spariva nel metallo, e finiva, presumibilmente, tra le sue labbra.
Teneva le lunghe gambe accavallate, e il braccio che non reggeva il drink mollemente abbandonato in grembo. Quando udì Garrus arrivare, non si mosse né si voltò, ma continuò a fissare la lontana stella, seminascosta dalla sua nebulosa planetaria, che si tingeva di bianco polveroso.
C’era un’estrema tristezza nella sua immobilità.
-Tali, sono Garrus.
-Lo so,-rispose lei, con un filo di voce.
-Posso..sedermi?,-chiese lui, con un lieve imbarazzo. Era da anni, forse, che non era così vicino a lei.
-Certo,-mormorò lei, nella penombra.
Lui si sistemò sul divano troppo morbido, e si concesse un attimo per riflettere. Per formulare una frase coerente, che non la spaventasse. E che non la facesse fuggire con un animale ferito.
-Tali, credo che dovresti ascoltarmi.
Lei rimase in silenzio, né annuì. Era straziante, per Garrus, avvertire quell’apatia. Lei..lei.. era sempre stata una ragazza piena di vita, entusiasta, che amava chiacchierare, che sapeva trasmettere serenità anche attraverso quella dannata tuta, e che aveva una parola di conforto per chiunque. Ma ora, cos’era, se non un corpo vuoto?
Lui, fissando assieme a lei la stella, prese a parlare, e con la coda dell’occhio poteva avvertire la presenza di Tali al suo fianco, l’attenzione che gli dedicava.
-Sono stanco di tutto questo. Sono stanco. Sono stanco di essere comandato da un uomo che mi giura sul suo Dio di essere mio fratello, per poi cercare d’uccidere.. Te. Io..,-e la sua voce iniziò a tremare,- posso comprendere che ha tante responsabilità sulle spalle, e posso capire che questo, dell’eroe, è un ruolo che non gli si addice e che non ha mai desiderato, ma così è. E sono stanco, cazzo, di come ti fai trattare da lui, Tali.
Pronunciò le ultime parole con rabbia, e stentò a trattenere il tono di voce. Avrebbe voluto urlare, gridarle, ordinarle di  sottrarsi a quello stillicidio senza scopo e senza fine, e di salvarsi. Di tornare dalla sua gente, di guidarla sul terreno accidentato di Rannoch.
Lei, con estrema lentezza, appoggiò a terra il drink, e si voltò verso di lui. Per l’ennesima volta, gli occhi luminosi e grigi si posarono su di lui, e lui, dentro , sentì il ghiaccio fondersi, ancora e per sempre.
-Non posso, Garrus.,-rispose infine, con semplicità ed ovvietà.
Lui, si trovò completamente spiazzato. –Ma..ma.. come..,-balbettò.
Lei, scosse la testa, e fece una rapida, amara, risata. –Passerà il dolore, ne sono certa.,-rispose, ignorando la domanda.
Garrus, allora, sospirò. –Tali, ricordi quando ti dissi che avrei dovuto parlarti, quando eri appena tornata qui?
Oramai,non c’era più nulla da perdere. James, forse, aveva ragione. Era arrivato il momento di porre fine ai dubbi, e che quel sentimento privo di senso sparisse dal suo cuore, e smettesse di tormentarlo.
Lei annuì.
-Tali,- cominciò, e il suo cuore prese a pompare contro le costole doloranti, con forza vitale,- tu per me sei indispensabile. E, mi strazia vederti soffrire. Sono stanco di vederti soffrire. Io..Io vorrei che tu tornassi sulla Flotta. Saresti lontana da lui. Potresti avere una vita normale. Potresti salvarti da tutto questo orrore. Avere una famiglia, costruirti una casa su Rannoch. Hai tutto questo davanti a te, ma rimani qui, sulla Normandy.
-E’ questo il mio posto, Garrus. ,-rispose lei, la voce tremante, eppure ferma,-Qui posso essere molto più utile al mio popolo che interfacciando il mio factotum con un IA Geth sul Pianeta Natale. Se non vinciamo questa guerra..loro saranno spazzati via dai Razziatori.
Garrus sentì, allora, la rabbia, montare, ma era totalmente inutile. E le parole vennero fuori come un fiume in piena. Il muro era stato eretto, e si elevava sopra tutti loro, fino a lambire il cielo e le nubi. Cosa era l’amore di una donna per un uomo, quando si apparteneva ad  un popolo in cui credere e da venerare? Cosa era la propria vita, se non un infimo strumento del Bene superiore? Cosa era lei se non una particella di pulviscolo, dispersa fra i miliardi di altre? Come le sabbie attorno a Vedova, come nei deserti di Rannoch.
-Tali, per gli Spiriti, tu.. tu devi essere felice. Tu non puoi continuare a soffrire perché questo detta il tuo codice morale. E.. E.. Io..
Si avvicinò a lei, che voltò di nuovo lo sguardo sulla Stella, silenziosa testimone di epoche dimenticate e che ancora dovevano avvenire. E, come anni prima, quando il mondo era ancora pieno di speranze e di vita, la strinse tra le braccia. Ma lei rimase inerme, senza tendere un muscolo. Un corpo ancora caldo, eppure morto da tempo.  –Io ti amo, se per te questo può avere importanza. ,-disse, pregando gli Spiriti per la sua anima.
 
 
 
 
 

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