Sora No Kuni - La Leggenda del paese fatto di cielo

di Karyon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue: the Briss Incident|L'Incidente di Briss. ***
Capitolo 2: *** Capitolo I: Games of powers|Equilibrio di poteri. ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: Mugiwara divided [I] ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV: Mugiwara divided [II] ***
Capitolo 5: *** Capitolo V: Following the thread ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI: Rapporto Supernovae. ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII: Rivolutionary Roads|Strade rivoluzionarie ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII: Tells from the past ***



Capitolo 1
*** Prologue: the Briss Incident|L'Incidente di Briss. ***


Sora No Kuni
La leggenda del paese fatto di cielo
 
Furono le parole del Re dei pirati, Gol D. Roger, a dare inizio a tutto:
La sua esecuzione a Rogue Town spinse molti uomini a salpare
alla ricerca del suo grandioso tesoro.
Tuttavia, la realtà è spesso diversa da ciò che appare
e alcune domande furono sepolte  in nome di un effimero ideale di Libertà.
Il tempo passò e una nuova era di pirati fu consacrata con il nome del suo Re.
Alcuni anni dopo, la Storia fu destinata a ripetersi ancora una volta.
Alle soglie del Nuovo Mondo, la base militare di Marineford fu teatro
di una guerra devastante nella quale gli ultimi frammenti di
 un'Era antica furono definitivamente spazzati via:
Portgàs D. Ace, unico figlio del Re dei pirati, fu giustiziato.
L’'imperatore Bianco ucciso.
E antichi equilibri furono distrutti, portando alcune persone a crearne di nuovi.
Nelle acque infestate del Nuovo Mondo, incontrovertibili decisioni furono fatalmente prese.
La Nuova Era ebbe inizio.
 

 
Prologo
The Briss Incident|L’Incidente di Briss
 
Un suono basso e costante si propagò tra le onde, fendendo la notte silenziosa come una sferzante pugnalata. Un allarme che, in quel momento, sembrava portare cattivi auspici. Shanks appoggiò con noncuranza la mano sull'elsa della spada e guardò verso l'isola poco lontana: calma e oscurità ovunque; persino il mare sembrava diverso.
«È lui?» Gli chiese Benn Beckman, affiancandolo: scrutava l'aria immota con narici frementi, in attesa di qualsiasi cosa;  nessuno di loro era tranquillo, dopo i recenti avvenimenti di Marineford. Benn fissò per un attimo il suo Capitano, provando a leggergli la mente: quell'incidente si andava ad aggiungere agli infiniti tasselli di un disastro che si stava propagando per il mondo e non riusciva a immaginare come avesse intenzione di risolverlo. 
«Non è ancora il momento di preoccuparsi. State pronti» replicò Shanks, avvertendo lo spostamento delle acque al passaggio di un'imbarcazione; aguzzò la vista nel buio e scorse una piccola barca che scivolava sulle onde con facilità inaudita; dubitava che persino la bara galleggiante di Mihawk fosse così agile.
Benn fece un cenno a malapena percettibile agli altri e tutti si mossero verso di loro, mani alle armi e sensi tesi.
«Foosha» disse una voce, nel buio.
Shanks alzò la mano a fermare i suoi uomini «Permesso accordato, tuttavia resteremo armati» spiegò con tono serio. Il silenzio che seguì la sua dichiarazione gli fece capire che probabilmente dall'altra parte non tutti si aspettavano un'accoglienza di quel tipo.
«Certo» fece invece prontamente la voce del loro capo.
I movimenti nel buio avevano un ché di sinistro, ma Shanks dubitava avrebbero fatto qualcosa di stupido. Tuttavia, quando salirono sulla Red Force, intuì chiaramente alcuni dei suoi uomini indietreggiare.
«Alcuni dei miei uomini non credevano di incontrare proprio te, ma non potevamo aspettarci niente di diverso eh, Dragon
Il capo dell'esercito rivoluzionario, nonché considerato l'uomo più pericoloso al mondo, uscì dall'ombra con cipiglio severo e portamento fiero «Non lascio che altri si prendano la responsabilità delle mie azioni» spiegò, mentre le sue guardie del corpo restavano indietro a scrutare la ciurma del rosso.
Shanks annuì come a dargli ragione «Che ne dici se tutti i tuoi uomini si facessero avanti, compreso il cecchino ancora sulla barca?» Chiese con leggerezza, mentre le pistole di Lucky Lou e la iguru di Yasopp scattavano ad ammiccare verso l'imbarcazione dove si avvertivano lievi movimenti a malapena celati dal gorgoglio delle onde. Probabilmente sarebbe stato inudibile per la maggior parte delle persone, ma la sua ciurma era piuttosto allenata a percepire l'impercepibile; l'unico motivo per cui avevano atteso, era perché in quel gioco Shanks doveva mantenere l'autorità assoluta sebbene di solito tendesse a non imporre la sua autorità.
La tensione si propagò tra le fila dei rivoluzionari come un fulmine, ma Dragon si limitò a fissare Shanks per un attimo, con un ghigno sul viso magro «Kumei, vieni fuori».
«Sì, capo!» Esclamò prontamente l'altro, saltando agilmente sulla nave. «Salve, Imperatore Rosso» salutò, con un ghigno.
«Ciao a te» replicò lui, fissandolo con curiosità: era un uomo alto, dal fisico asciutto e sottile; gli occhi, che spiccavano gialli come fari nella notte, richiamavano quelli di un gatto. «Venite».
Si avviarono all'interno della Red Force, adocchiati a vista dalla ciurma sparpagliata scompostamente sul ponte principale. Solo Dragon e Shanks si sedettero all'ingresso del cassero di poppa.
«È da molto tempo che non ci vediamo, Dragon» cominciò Shanks, offrendogli del sake. «Lo riconoscerai di sicuro».
Dragon bevve una lunga sorsata «Il sake del Mare Orientale è sempre stato il migliore» convenne, ricordando la bevanda che facevano nella sua città di origine e che per lui era speciale.
Shanks sorrise brevemente «È quello che dissi anche al vecchio, un po' di tempo fa».
«Già. Dov'è finita la sua ciurma?»
«Dopo i funerali, ha deciso di restare nel Nuovo Mondo per riprendere le energie. La guerra è stata stancante» spiegò freddamente l’altro.
«Arriverà il momento in cui combattere non servirà più a nulla» replicò Dragon, il cui ideale di libertà era ormai celebre in ogni mare del mondo.
«Ma, fino ad allora, resta uno dei pochi mezzi con cui si cerca di prendere il controllo» ribatté Shanks, fissandolo.
«Chi davvero verrà favorito da questa guerra è ancora da vedere. Di sicuro ci saranno molti cambiamenti».
«I cambiamenti sono già avvenuti, alcune persone si stanno già muovendo. Ecco perché non posso permettermi deviazioni» fece ancora Shanks e, questa volta, la tensione tra i due fu palpabile.
Dragon si immobilizzò per un istante «Alcune... deviazioni non sono evitabili».
«Non sono d'accordo» ribatté subito l’altro.
Come a un segno convenuto, i due gruppi alle loro spalle cominciarono a squadrarsi, pronti ad attaccare.
Dragon annuì «Sono qui di persona per riparare a quell'errore. Dov'è?»
«Al sicuro. Lo abbiamo preso appena in tempo» replicò Shanks, ma all'espressione diffidente dell'altro sospirò. «Hai la mia parola che starà bene e non gli sarà torto un capello. Mi conosci, sai che non agisco così».
«Sì, lo so. Continui a essere uno dei pochi in questo mondo a non farlo. Quando lo riavremo?»
«A tempo debito. Sai bene che tutto questo e avrà delle grosse conseguenze…» replicò Shanks e Dragon emise un profondo sospiro «Quanto grandi?»
L’altro lo fissò come indeciso se rispondergli o meno, poi cominciò con voce ferma «Ho intenzione di evitare lo scoppio di un’altra guerra, Dragon, quindi ti chiedo ufficialmente di allontanare qualsiasi pretesa di liberazione sul Mar Meridionale» annunciò.
«Che cosa?!»
La confusione che si propagò attorno a loro non incluse Dragon, che si limitò a fissarlo per un lungo periodo «Che altro?»
«Ma, capo…»
«Silenzio. Cos’altro chiedi, Imperatore Rosso?»
Era davvero difficile capire cosa gli passasse per la testa; probabilmente era l’uomo più imperturbabile che avesse mai conosciuto, pensò Shanks.
«Lui non dovrà mai più compiere missioni sul campo. La sua copertura è saltata, non ti sarà utile» fece ancora e l’altro annuì «D’accordo».
Quando si alzò, sembrò quasi che il cielo si spostasse con lui; Dragon non possedeva alcun Haki rilevante, eppure era dotato di un’energia tale da spostare l’aria con il semplice tocco. Shanks seguì le sue mosse poi, quando la delegazione si fu già voltata verso l’imbarcazione, continuò «Un’altra cosa: ci occuperemo noi della spia. Questo è un addio».
Dragon si fermò solo un attimo e annuì «Addio».
Quando la barca fu salpata, Benn si avvicinò a Shanks con una strana sensazione su per i muscoli «Pensi che sia la fine della rivoluzione?»
«No, credo sia l’inizio di qualcos’altro».
Dragon continuò a fissare il profilo della Red Force, fino a quando non sparì tra le nebbie di EastPeak Island. Non era preoccupato per le condizioni di Shanks, perché il Mare Meridionale non era altro che una piccola pedina nel piano generale; era preoccupato per i suoi uomini, un uomo in particolare, che avrebbe potuto essere la chiave fondamentale per la riuscita del suo sogno.
Sperò che le promesse di un Imperatore fossero autentiche.
«Cosa facciamo adesso?» Gli chiese Kumei, avvicinandosi con aria infastidita: lui non si fidava dei pirati, neanche di quelli che professavano libertà a tutto spiano, né di nessun altro.
E per lui, Shanks il Rosso non era niente di più e niente di meno che un pirata.
«Trova la talpa e cerca di capire cosa ha scoperto. E Kumei… questa è una missione prioritaria».
Di solito lui era uno che le promesse le manteneva, però ricordava bene di non aver promesso all’Imperatore di non indagare sull’incidente di Briss. Molte volte, le parole significavano tutto.
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo I: Games of powers|Equilibrio di poteri. ***


Capitolo I
Games of Powers|Equilibrio di poteri
 
Il cielo da quelle parti aveva una consistenza davvero strana, sembrava più densa in qualche modo.
Ancora si chiedeva come fosse possibile spostare il Quartier Generale della Marina su uno sputo di terra come quello; aveva appena messo piede sul legno marcescente del molo, che aveva decisamente capito come andasse l’andazzo della “nuova Marina”: tutti sugli attenti, divise perfettamente lucide, silenzio tutt’intorno.
I bei tempi di Sengoku e Garp erano definitivamente finiti.
Nonostante tutto, in particolare nonostante la ferrea rigidità di cui era famoso il nuovo Gran Ammiraglio, l’idea di spostare baracche e burattini sulla base G-1 aveva un qualcosa di out of character: la base era un accozzaglia di edifici sbilenchi, stretti in un perimetro irrisorio e piuttosto scomodo da controllare; ai piani alti si vociferava che il vero scopo di Akainu fosse quello di dichiarare guerra ad un altro Imperatore, restava solo di capire quale.
Le notizie sugli scontri tra la Marina e Kaidou erano numerose e insistenti, ma se si fosse trattato dell’Imperatore Rosso… beh, lui non voleva certo rimanere per assistere. Senza l’intercessione di Sengoku era un’idea molto plausibile, sebbene folle, dal momento che Shanks aveva fermato la sua guerra per la giustizia in mondovisione. Però tutto quello non gli interessava per il momento, perché lui era lì solo per fare il suo “lavoro”.
«Fermo là, chi sei?»
Due guardie gli si pararono davanti, incrociandogli i fucili sotto al naso per sbarrargli l’entrata.
«Ho un appuntamento col capo» ironizzò, con un ghigno sul viso scuro e sottile.
I due soldati si lanciarono un’occhiata, indecisi sul da farsi.
«Da bravi, non c’è nessun pericolo. Ditegli che Guremausu è qui».
Akainu continuò a osservare i soldati che si muovevano come lente  e stupide formiche dalla grossa vetrata del suo ufficio ed emise un verso di disprezzo; la sua considerazione sulla Marina era già diminuita col passare degli anni, ma la guerra di Marineford aveva praticamente spazzato via gli ultimi rimasugli di sciocco idealismo che ancora anestetizzavano le alte sfere del mondo; con quel pazzo di Kuzan e vecchi relitti come Garp e Sengoku fuori gioco, aveva la possibilità di recuperare tutto il tempo perduto a rincorrere buonismo spicciolo. Se conosceva bene il punto di vista di Kizaru sulla pirateria e la vera Giustizia, le idee del nuovo Ammiraglio Fujitora gli erano ancora misteriose; tuttavia era e restava un Signore di Wa e gli abitanti di quel regno, per quanto non avessero mai accettato di far parte dei regni alleati al Governo, non avevano neanche mai appoggiato i pirati.
Nella situazione di estrema instabilità in cui si trovavano, preferiva la neutralità di un samurai all’aperto disprezzo di Aokiji.
Ora aveva solo bisogno di un terzo Ammiraglio che potesse far pendere la bilancia ancora più decisamente dalla sua parte: nonostante la loro esclusione, Garp e Sengoku rimanevano due spine nel fianco piuttosto fastidiose; soprattutto il primo, con ruolo di addestratore di nuove leve che si era garantito grazie ai suoi anni di servizio, rischiava di mantenere troppa influenza.
«Signore!» Un soldato scattò sull’attenti, aspettando il permesso di parlare.
«Cosa?» Grugnì, con tono annoiato.
«C’è qualcuno che la cerca, Signore. Dice di avere un appuntamento…»
«Che cosa?!» Sbottò, girandosi di scatto con un digrigno di denti. «Io non do mai appuntamenti, razza di somaro. Ha detto il suo nome?»
Il soldato deglutì vistosamente e sperò di non essere fatto fuori, quel giorno «Guremausu, Signore».
Akainu si immobilizzò un istante, pensando velocemente: e così quel topo di fogna era strisciato fuori da chissà che isola per ritornare a chiedere il conto ora che era un Gran Ammiraglio, molto stupido da parte sua.
«Fallo entrare» ordinò solo, ritornando a fissare il mare dal vetro opaco.
Le porte si aprirono e Guremausu entrò senza una parola; anche senza vederlo, Akainu poteva intuire che aveva la solita camminata scattante e nervosa, eppure talmente leggera da essere inudibile. Si girò soltanto quando quello si fu seduto tranquillamente su uno dei divani rossi, notando quanto il tempo fosse impietoso per alcune persone piuttosto che per altre.
«Ti vedo male» disse infatti, senza alcun garbo.
Guremausu ghignò e la cicatrice che gli deturpava la parte sinistra si stiracchiò.
Akainu ricordava che un tempo aveva avuto lunghi capelli neri e pericolosi occhi scuri, mentre adesso la testa spiccava nera e lucida come una palla di biliardo e l’occhio sinistro era una strana commistione di rosso, bianco e nero.
«Io, invece, ti vedo vecchio» frecciò lui, sapendo quanto la vecchiaia fosse considerata negativa dal nuovo Gran Ammiraglio: Akainu aveva sempre posseduto un ego e una volontà tali da credersi immortale ma, ora che possedeva anche il potere, sperava di diventarlo per davvero; l’idea di diventare un vecchio decrepito senza energie e senza indipendenza lo spaventava e lui era uno dei pochi al mondo a saperlo. Le sue leggere menomazioni non erano nulla in confronto, perché sapeva di essere ancora forte e agile come un tempo.
«Cosa vuoi?» Masticò acido Akainu, ma Guremausu aveva tutta l’intenzione di godersi il momento, così si limitò a servirsi da solo del tè, sorseggiandolo con lentezza estenuante.
 Tuttavia Akainu conosceva il suo gioco, così attese e continuò a fissarlo come se una voragine dovesse aprirsi sotto di lui.
«Cosa sai dell’Incidente di Briss?» Gli chiese, quando finalmente decise che fosse arrivato il momento giusto per parlarne. Il Gran Ammiraglio si risedette dietro la scrivania e incrociò le braccia al petto «E tu cosa ne sai?»
Guremausu inclinò la testa da un lato, mentre il ghigno spariva repentinamente «L’Imperatore Rosso è intervenuto a sedare una possibile rivoluzione. Gira voce che la Marina abbia deciso di non immischiarsi…»
«Quelle terre sono sotto la sua protezione e questo non è il momento adatto per iniziare una nuova guerra» ribatté Akainu, ripensando all’ordine di non interferire che i Cinque Astri gli avevano imposto.
«Certo…» sfumò delicatamente l’altro, sicuro che quella mossa così prudente non fosse farina del sacco di quel pazzo squilibrato di cane rosso. «… ma c’è qualcosa che l’Imperatore Rosso non sa…»
Akainu alzò la testa di scattò, con rinnovato interesse «Di cosa stai parlando?»
Guremausu accavallò le lunghe gambe foderate di uno strano tessuto nero lucido e sorrise «Trattiamo».
Ovviamente. Akainu si appoggiò allo schienale della poltrona con un profondo sospiro, senza smettere di guardarlo: quel bastardo era qualcuno di cui non fidarsi, tuttavia era anche pericoloso e lui i pericoli preferiva tenerseli vicini. Dopotutto cercava più consensi possibili all’interno della Marina, non si era detto che dovessero essere  per forza puliti.
«Te lo ripeterò una sola volta: cosa vuoi?»
«Voglio essere il nuovo Ammiraglio» replicò Guremausu, stupendolo.
«Perché?» Gli chiese ancora, in un sussurro stizzito.
«Il potere».
«A te non è mai interessato il potere» sbottò, con tono quasi sdegnato.
La sua mancanza di ambizione lo aveva sempre nauseato; tuttavia un cambiamento così repentino era quantomeno sospetto.
«Le cose cambiano. Tu un tempo non avresti mai pensato di diventare Gran Ammiraglio» ribatté con un sorriso. Si fissarono in silenzio per molto tempo, poi Akainu decise che una concessione del genere poteva anche fargliela; poteva sempre fargli comodo uno come lui al comando.
«Cosa sai?» Gli chiese e quello valeva come assenso.
Il ghignò di Guremausu si fece, se era possibile ancora più ampio; Akainu aveva sempre odiato tutto quel sorridere a caso.
«Tu cosa sai di Baterilla?»
 
Il suono del Lumacofono echeggiò sulle pareti umide della caverna, fino a raggiungere lo stretto antro dove, su un basamento di dura roccia, Kaidou stava osservando il ghiaccio sciogliersi fino a gocciolare ai piedi del suo trono.
«Qualcuno potrebbe portarmi quel maledetto coso?» Provò a chiedere retoricamente, mentre uno dei suoi uomini si avvicinava velocemente.
«Ecco, mio Signore» urlò quasi, con le mani che tremavano.
«Alla buon’ora!» ironizzò l’Imperatore. «Fuori dai piedi, ora. Sei tu?» Grugnì poi, al ricevitore.
«Sissignore. La prima parte della missione è andata al termine» sibilò una voce dall’altro capo, talmente bassa da sembrare in qualche modo contraffatta.
«Aghaghaghagha» rise Kaidou, mentre la mano scattava ad accarezzare i folti e lunghissimi capelli castani. «Bene. Aspetto l’inizio della prossima fase. Non deludermi».
«Nossignore» replicò pronta la voce, prima di attaccare.
L’Imperatore lanciò il lumacofono senza alcun riguardo, poi si alzò dallo scranno rosso sbiadito con un ghigno soddisfatto sul volto: il suo piano stava procedendo a meraviglia; altre poche fasi e l’intero mondo avrebbe tremato sotto il suo potere! Soprattutto un uomo in particolare si sarebbe pentito del suo ardire. Kaidou si avvicinò al frammento di uno specchio – distrutto in un eccesso di rabbia – e si esaminò: una lunga e ampia cicatrice si estendeva dalla base del collo fino allo stomaco, dividendo quasi in due il petto nudo; un'altra ferita più piccola gli segnava la faccia da un sopracciglio al labbro, passando per il naso piccolo e animalesco.
Shanks il Rosso avrebbe pagato per quell’affronto.
«Signore… mi spiace disturbarti, ma i nostri ospiti sono arrivati».
«Grazie, Gazela. Falli accomodare».
La sua luogotenente si inchinò brevemente, mentre una risata aspra e forte si estendeva per la grotta. Barbanera si fermò all’entrata, adocchiando uno degli ormai tre Imperatori: poteva dire di far parte anche lui della comitiva, visto quante terre aveva strappato al vecchio, però faceva una certa impressione vedere Kaidou: era più alto e grosso di lui, con una criniera di capelli attorno a un viso feroce, con una grossa cicatrice e occhi piccoli e scuri. Lanciò solo una veloce occhiata al resto del corpo, ma notò che portava dei guanti spessi e dei pantaloni strappati sulle gambe. Ed era scalzo.
«Imperatore» salutò, non senza una certa ironia. Non era certo da lui essere riverente, considerando che non gliene fregava niente dei loro poteri o del rispetto.
Kaidou non sembrò prendersela a male e, anzi, gli rivolse un grosso ghigno a denti aguzzi «Mashall D. Teach, finalmente ci incontriamo…» cominciò, ributtandosi sulla poltrona e facendogli il gesto di avanzare. «La tua ciurma può anche entrare. Non li mangio mica» fece sarcastico, mentre il ghigno si allargava.
Barbanera lo imitò con la sua risata fragorosa, ma scosse la testa «Loro rimangono lì, hanno dei problemi con i posti chiusi…»
L’allusione aleggiò per un po’ tra loro, poi Kaidou si limitò a un gesto di disinteresse con la mano «Allora, immagino tu abbia ricevuto il mio caloroso invito» gli fece, mentre gli occhi di Barbanera lampeggiavano: stavano navigando al largo di Eagleway, quando una specie di mostro volante aveva rischiato di farli affondare atterrando sul ponte principale; quando aveva letto la lettera dell’Imperatore aveva creduto a una trappola; però il mostro non sembrava voler accettare un “no” come risposta, quindi aveva dovuto accettare.
Insomma, un caloroso invito davvero.
«Zeahahahah, già. Bel postino, comunque» frecciò, sedendosi sulla roccia di fronte a lui.
«Sì, i miei amici sono un po’ esuberanti. Immagino ti chiederai perché sei qui…»
«Perché vuoi un’alleanza» ribatté pronto Barbanera, lasciandolo di stucco per un attimo. «Quelle… credo di sapere chi te le ha fatte» continuò, indicando le cicatrici ben visibili su viso e petto.
Kaidou bevve da una strana boccetta di vetro e attese.
Teach si alzò la manica del braccio sinistro, rivelando una cicatrice larga, rossa e profonda. Esattamente identica.
«Shanks il Rosso» disse solo, riabbassando la manica. «Cosa vuoi?» Chiese, con la schiettezza che lo caratterizzava. Kaidou continuò a bere lunghe sorsate, poi si asciugò la bocca con il grosso braccio «Devi cercarmi una persona. Ma prima voglio che siamo alleati: Shanks il Rosso non dovrà vivere abbastanza da vedere il prossimo re dei pirati» proclamò, fissandolo.
Barbanera calcolò velocemente che creare un’alleanza segreta tra due Imperatori poteva facilmente destabilizzare gli equilibri a suo vantaggio; al momento Kaidou era favorito rispetto a Shanks, che si vedeva minare le sue posizioni consolidate – come l’Incidente di Briss di qualche settimana prima, avvenuto nella sue acque.
E poi quel maledetto doveva pagarla da sempre, lo aveva promesso.
«Zeahahahah, affare fatto» ribatté, allungando il braccio.
I due si strinsero la mano con la netta sensazione che qualcosa stava decisamente cambiando.
«Chi devi cercare?» Chiese subito dopo a Kaidou, che tornò a ghignare con aria più feroce del solito.
Quando fu in pieno oceano, con la grotta alle spalle e l’orizzonte tutt’intorno, Teach aprì la lettera sigillata su cui era impressa una “K” verde. La foto non gli diede il brivido che aveva sperato: quel tizio lo aveva già visto perché era presente alla Guerra di Marineford, però non capiva perché Kaidou lo cercasse.
«Quello non è Gekko Moria della Flotta dei Sette?» Gli fece  Jesus Burgess, adocchiando l’immagine. Il Capitano si limitò a scrollare le spalle; qualunque fosse il motivo di quella ricerca, lo avrebbe scoperto a tempo debito «Fai rotta verso Nord» ordinò.
A quanto pareva, era dalla guerra che Moria non si faceva vedere; l’unico che forse ne sapeva qualcosa era un altro di quei pagliacci della Flotta dei Sette, quello che sembrava una specie di vampiro per la precisione.
«Cosa andiamo a fare a Nord?»
«Dobbiamo cercare una persona» replicò criptico. L’uomo vampiro governava un’isola della Rotta Maggiore, però era impossibile tornare indietro senza qualche potere particolare a lui ancora sconosciuto. Kaidou gli aveva suggerito di cercare verso Nord, perché era risaputo che Occhi di Falco girovagava spesso da quelle parti visto che lui e Shanks sembravano essere amici.
Probabilmente era destino che dovesse pestargli i piedi ancora una volta.
E la cosa non poteva far altro che renderlo immensamente felice.
 
Makino osservò con una certa curiosità la lunga fila di soldati che si estendeva dal molo e per tutto il villaggio fin sulla collina. Aveva sentito del ritorno di Garp – in realtà il sindaco lo aveva urlato ai quattro venti per circa una settimana – ma non immaginava tutto quel dispiegamento di forze.
«Tu che ne dici, piccolino?» Chiese retoricamente al figlio, che giocherellava sul bancone accanto a lei. L’unica risposta fu una sequela di suoni poco articolati, ovviamente.
«Ook. Credo sia ora di andare a salutare…» decise, prendendo il piccolo in braccio.
Dopotutto non era così difficile capire dove fosse Garp e, infatti, seguendo la scia di uomini in divisa giunse fino a una base, costruita a pochi passi dalla spiaggia con una grossa insegna col simbolo della Marina. 
«Oh…» mormorò, un po’ dispiaciuta; lei voleva bene a Garp ed era davvero felice fosse ritornato, però una base della Marina a Foosha non le sembrava una buona idea: dopo che erano passati di lì Dadan, Ace, Rufy e persino Shanks le sembrava quasi di cattivo auspicio.
«Mi scusi, sa dove posso trovare…» provò a chiedere a un soldato, ma una voce squillante e allegra le arrivò alle spalle.
«Makino, sono davvero felice di vederti!» La salutò l’uomo, più allegro di quanto non avesse creduto vedendolo in mondovisione.
«Oh, ciao Garp! Ho visto tutti questi soldati e allora…»
«Già, mi stanno aiutando nel mio nuovo progetto!»
«Sì… è una nuova base della Marina? Non pensavo ce ne fosse bisogno in un mare tranquillo come il nostro» replicò lei, alzando la testa a leggere la targa che diceva “Base di Addestramento Militare della Marina – Distaccamento Mare Orientale”. «Ah no, è una base di addestramento
Garp annuì con un grosso ghigno, appoggiando entrambe le mani sui fianchi «Vista la mia esperienza mi hanno chiesto di rimanere almeno per addestrare le nuove reclute. Sai, dopo la guerra ho ritenuto non fosse il caso di continuare… ma la Marina è la mia vita, non posso farci niente» spiegò, mentre il tono si incrinava ritornando a quei giorni infernali in cui il suo mondo si era quasi distrutto. Con Dragon era stato abituato alle sofferenze che le scelte di vita imponevano, però con Ace era stato diverso… Ace era come Rufy: suo nipote, quello che aveva cresciuto incurante del sangue che gli scorreva nelle vene, quello di cui aveva seguito le sfrontate gesta, tremando a ogni pericolo. Ace e Rufy erano come figli, erano più di quello.
Dragon… erano anni che non la pensava nemmeno, la parola “figlio” accanto al suo nome.
E lui, ne era sicuro, aveva debellato la parola “padre” dal suo vocabolario già molti anni prima.
Garp si riscosse quando sentì qualcosa strattonargli la cravatta «Eh? Oh e questo fagotto?» Domandò alla ragazza, mentre accarezzava i capelli chiari del bambino.
Makino sorrise «Ti presento mio figlio: si chiama Mikàn».
Il piccolo sorrise a Garp, per poi tentare di tirargli i capelli.
«Ehi, che monello! E il padre?» Chiese, per poi pentirsene all’istante quando la vide oscurarsi.
«Non è una storia piacevole: Tsuku era un pescatore… è arrivato a Foosha un anno fa per aprire una nuova attività e allontanarsi dai tumulti delle isole troppo vicine alle rotte dei pirati; il Regno di Goa è un posto tranquillo e lui pensava fosse bello viverci. Abbiamo cominciato a vivere insieme e Mikàn è nato sei mesi fa, ma qualche settimana dopo Tsuku è uscito in mare per la consueta pesca e non è più tornato» raccontò e la voce le si spezzò.
Garp si grattò la testa, a disagio «Mi dispiace… però adesso hai lui che ti fa compagnia, cerca di essere forte!» Provò a dire, con un sorriso incoraggiante.
Lei lo imitò, anche se a fatica «Ma certo! Questa piccola peste mi dà molto da fare e sto bene…. Non preoccuparti».
Lui le sorrise di nuovo e Makino si sentì meglio, anche se preferì cambiare discorso «Così questa sarà una base stabile, è così?»
Garp annuì «Ormai non faccio più parte dei pezzi grossi della Marina e posso starmene spaparanzato a bere cocktail, mentre addestro giovani cavie» ironizzò con una risata.
Makino scosse la testa perché sapeva che lui era e restava un uomo di Marina che, scegliendo, avrebbe preferito lottare contro i pirati fino alla morte.
Eppure la scomparsa di Ace aveva segnato tutti indistintamente, pensò mentre si avviava al locale dopo essersi congedata; per lei era stato difficile, ma non poteva immaginare come fosse stato per Dadan e Garp che l’avevano cresciuto o per Rufy… chissà come stava lui.
Makino sospirò, ripensando a quella terribile visione di qualche settimana prima: era stato rivelato che Ace era figlio di Gol D. Roger; doveva essere stato difficile crescere senza padre… un destino che accumunava molti figli del mare come lui. Mise Mikàn nella culla, poi continuò a guardarlo per un po’: anche suo figlio sarebbe cresciuto senza un padre; a volte pensava che il mare fosse solo un mostro famelico, che risucchiava tutto e tutti senza pietà.
A volte, solo a volte, avrebbe voluto che non esistesse alcun mare, né sciocchi ideali a lambirlo così tutti avrebbero potuto vivere, crescere e invecchiare dove il loro destino li voleva, presenti e stabili come querce secolari e non incostanti come vento in un giorno di autunno.
Dal canto suo, Garp pensava che anche quel bambino, un giorno, avrebbe dovuto scegliere da che parte stare e quella scelta non avrebbe fatto altro che contribuire a incasinargli la vita; il mondo sembrava non essere fatto altro che di quello: marine o pirata, soldato o sovversivo, buono o cattivo… eppure, c’erano persone che non volevano essere o bianche o nere; c’erano persone che erano e restavano grigie, anche se quello significava soffrire costantemente.
Lui era, tutto sommato, grigio.
A volte, solo a volte, pensava che Dragon fosse stato l’unico – quel giorno di molti soli fa – ad avere il coraggio di scegliere la cosa giusta. Di scegliere di non scegliere.
- Pirata o marine?
- Nessuna! Io creerò un mondo in cui non sarà obbligatorio scegliere da che parte stare.
E ciononostante si potrà passare alla storia anche così. Essendo niente.
Garp sorrise al ricordo di uno scarmigliato Dragon che rifiutava di allenarsi con lui. Un ribelle della miglior specie.
«Spero ci riuscirai, figlio mio» sussurrò, guardando il mare aperto.
Al Largo del Regno di Goa, tra le onde che annunciavano tempesta, una piccola imbarcazione se ne stava ferma a scrutare l’orizzonte. I clangori della nuova base arrivavano fin lì.
«Il nostro messo dice che stanno costruendo una nuova base della Marina…»
Dragon appoggiò una gamba sulla paratia e ragionò velocemente «Chi è a capo dei lavori?»
I due uomini alle sue spalle si lanciarono un’occhiata.
«Ehm, tuo padre Garp».
Dragon ghignò, pensando che a nessuno – neanche ai decrepiti capi del Governo – riusciva di estromettere totalmente il vecchio dal mondo militare. Quella vita gli era stata cucita addosso dalla nascita, come una seconda pelle particolarmente coriacea.
«Suppongo che la Missione quattro debba ricevere una battuta di arresto, eh?» Fece, quasi a se stesso, con una risata profonda. Gli altri rimasero naturalmente in silenzio, anche perché nessuno di loro aveva ancora capito che tipo di rapporto ci fosse tra il loro capo e l’ex vice-ammiraglio della Marina.
«È sicuramente troppo pericoloso continuare, quindi direi di dirigere le nostre energie verso le altre missioni. Dì alla nostra spia di continuare a fare rapporto».
«Sì!»
«E per quanto riguarda te…» continuò, girandosi verso quello che avrebbe dovuto essere uno dei suoi uomini migliori e che, invece, aveva creato solo casini. «Direi che sarebbe ora che di sdebitassi per l’incidente di Briss».
«Che devo fare?» Chiese subito lui, pronto a partire.
Doveva ammettere che aveva combinato un vero disastro con la sua prima missione seria, soprattutto pensando quanto avesse pregato Dragon per dargli una possibilità; era già stato fortunato che il Regno di Briss fosse nelle acque di Shanks il Rosso che tra gli Imperatori era decisamente il più benevolo. I quattro giorni di prigionia gli erano sembrati più una vacanza in villeggiatura, visto che sulla Red Force aveva avuto la possibilità di gironzolare senza manette, di mangiare a volontà e di dormire in un letto vero; Shanks gli aveva dato addirittura la libertà di scegliere su quale isola essere liberato e di contattare Dragon per farsi recuperare. Stentava a crederci che quello fosse considerato uno degli uomini più temibili del mondo.
Come se gli avesse letto nel pensiero, Dragon cominciò «Lo so che Shanks si è dimostrato un uomo di parola e che ti ha trattato persino troppo gentilmente, ma il fallimento della missione avrà comunque delle dure conseguenze e forse molte di queste tu non le conoscerai mai. Quel che è peggio è che anche questa seconda missione è, per ora, in stallo».
«Cosa? E perché? Posso tornare lì quando voglio e fare molto meglio, lo sai!» Sbottò lui, tirandosi giù il cappuccio nella foga.
«Ti ho già detto di startene coperto» grugnì Dragon, rinfilandosi il cappuccio fin sopra agli occhi. «E comunque no, non puoi.  È stata una richiesta esplicita di Shanks e voglio essere di parola almeno quanto lui».
L’altro insorse, cancellando automaticamente qualsiasi bel ricordo avesse dell’Imperatore Rosso, ma Dragon lo fermò con un semplice gesto della mano.
«Non ti sto dicendo che non potrai più lavorare, ma non potrai farlo nel Mare Meridionale, né a Briss. Ora ho bisogno di te per un’altra missione ma, questa volta, non sono contemplati possibili fallimenti».
Lui annuì frettolosamente «Dove devo andare?»
Drago ritornò a guardare l’orizzonte, senza più sorridere «Lontano. E suppongo non sarai di ritorno molto presto…»
«Cos..?»
«Tieni. Segui molto attentamente quello che c’è scritto qui; contiene mappe, descrizioni, segreti… tutto l’occorrente che ti serve, compresa la missione che devi compiere. Non perderlo mai di vista, non separartene mai, non leggerlo in pubblico» spiegò, mentre il ragazzo osservava il diario consunto che gli aveva lanciato in grembo.
«Ma appartiene a qualcun-?» Cominciò, ma si zittì allo sguardo duro dell’altro.
«Soprattutto: non fare mai domande, a nessuno. Neanche a me».
Lui annuì e si alzò «Non ti deluderò questa volta, fidati di me».
Finalmente Dragon sorrise e gli appoggiò una mano sulla spalla «Tu non mi deluderai mai. Sta’ attento».
L’altro annuì con un groppo in gola: avrebbe voluto dirgli tante cose; avrebbe voluto chiedergli se fosse normale pensare che quello sembrava un vero e proprio addio, voleva chiedergli se la missione era davvero così difficile come sembrava, se c’era una possibilità di rivedersi, se c’era la possibilità che riuscisse finalmente a esaudire il suo sogno… ma non lo fece.
Come gli aveva detto: niente domande. Mai.
«Addio, Dragon. Per ora».
«Sì, per ora. Addio Sabo».
 
Note:
Chiedo umilmente perdono per il ritardo, ma ero in altre faccende affaccendate.
Ora, come tutti sappiamo One Piece è un vero casino, quindi per cercare di stare dietro a tutto ci ritroverete tanti paragrafi di sto tipo nello stesso capitolo.
Poiché la Guerra di Marineford è il primo vero giro di Boa della serie (credo io); ho pensato di ripartire da alcune delle conseguenze dirette che ha portato:
- Marina: il ruolo di Akainu come Gran Ammiraglio, l’assenza di un terzo Ammiraglio (dopo Fujitora e Kizaru), il nuovo ruolo di Garp.
- Imperatori: beh, ovviamente il ruolo usurpato da Barbanera e i giochi di potere tra i quattro che, ormai, saranno i protagonisti della storia già che siamo nelal seconda parte della Rotta Maggiore.
Le altre conseguenze: ciurma dei Mugiwara e Flotta dei Sette verranno a tempo debito. Ovviamente ruolo maggiore dev’essere dato anche a Dragon e ai rivoluzionari che, in quanto tali, metteranno il becco in numerose vicende e si incroceranno con quasi tutte le altre storie.
Spero che per ora le cose siano chiare, nel caso fatemi sapere: è ovvio che alcune cose siano solo accennate, quindi non preoccupatevi se non tutto è chiaro o se volete fare domande.
Il mio istinto sarebbe quello di spiattellare tutto e subito, ma non sarebbe altrettanto divertente :D
Ho inserito anche la storia del figlio di Makino, perché è un mistero che mi intriga e perché ho, ovviamente, a mia teoria. Idem, per il mio punto di vista su Kaidou e i suoi poteri (come ve ne pare, tra l’altro? Ho sempre paura di rendere i personaggi semi-nuovi banali).
Bon è tutto. Il prossimo capitolo tratterà del primo gruppetto della ciurma di Rufy; si intitolerà, infatti: Mugiwara Divided [I].
Alla prossima :3
 

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Capitolo 3
*** Capitolo III: Mugiwara divided [I] ***


Mugiwara divided [I]
 
Regno di Shikkearu, isola Kuraigana – Rotta Maggiore
La foresta di quella dannata isola era più intricata di un nido di rovi, pensò Zoro all’ennesimo taglio; continuando così, sarebbe morto dissanguato prima di capire dove diavolo fosse finito.
Il colpo di Kuma era stato talmente improvviso da non dargli il tempo di capire, eppure non gli sembrava di aver pensato a un luogo in particolare. Di certo non a un posto così spettrale: gli alberi si stagliavano nell’oscurità bianchi e secchi come scheletri, mentre quel poco che vedeva era buio senza luna. «Maledizione, dove diavolo sarò finito?» Si chiese per la milionesima volta, mentre falciava rami con la katana.
«Horohorohoro» una risata grottesca lo congelò sul posto proprio mentre riusciva a intravedere una strana luce in fondo al tunnel. Ovviamente riconosceva perfettamente quella risata.
«Ti ho già detto che ridi in modo ridicolo» urlò verso l’alto, ma la sua simpatica compagna di avventure non parve importarsene.
«E io ti ho già detto che stai sbagliando strada, di nuovo» replicò Perona, continuando a ridere.  Erano settimane ormai che vivevano su quell’isola e quel caso disperato non aveva ancora capito che da quella parte non c’era niente.
«Senti, fatti gli affari tuoi» sbottò Zoro, stizzito. Ok, lui non era proprio una cima con l’orientamento, ma non aveva bisogno di una ragazzina petulante e chiacchierona come lei; più di tutto il resto, se rincontrava Kuma gli faceva pagare tutti i giorni passati in sua compagnia.
Perona scrollò le spalle e levitò fino al ramo più alto di un albero, sedendovisi con calma imperturbabile «Se mai decidessi di trovare l’uscita, devi andare verso Nord» fece, decidendo di dedicarsi a cose più interessanti, tipo le sue unghie.
L’altro rimase fermo per un attimo, poi si girò convinto verso la sua sinistra e cominciò a marciare.
«Quello è l’Ovest idiota!» Urlò lei, con un incipiente mal di testa. Si chiedeva ancora come fosse possibile per la sua ciurma sopportarlo; insomma, aveva capito che erano quasi tutti folli, ma quello si perdeva pure in mezzo centimetro di terra.
«Bah, ci rinuncio. Sono troppo stanco…» borbottò Zoro, lasciandosi cadere contro un albero. «Oi, portami del cibo!» Esclamò, alzando il capo.
«Non osare darmi ordini!» Ribatté Perona, rizzandosi come una furia. «Ma non esiste! Ma figurati se mi faccio comandare da uno spadaccino da strapazzo…» continuò a mugugnare, ma tanto lui neanche l’ascoltava più. La sua attenzione era stata calamitata verso uno strano rumore di sottofondo, che accompagnava la luce che aveva visto poco prima; era un suono metallico e costante, che cresceva di intensità di secondo in secondo.
«Ragazza fantasma!»
«Io mi chiamo Perona, è la decima volta che te lo dico!»
«Zitta e ascolta» continuò impassibile Zoro e lei si abbassò per seguire il suo sguardo «Che cos’è?»
«Non lo so… non puoi provare a volare fin lì?»
Lei annuì e superò la macchia verde scuro che sembrava sommergere l’isola e proruppe in un urlo di parecchi decibel, facendogli venire un infarto.
«Cosa avrà combinato adesso…» borbottò Zoro con gli occhi al cielo; gli toccava pure salvarla! Si alzò di scatto e corse velocemente per la fitta vegetazione, ignorando le varie lesioni che lei avrebbe dovuto curargli come al solito, e spuntò in una radura piuttosto ampia.
«Cosa c’è?!» Esclamò, guardandosi intorno.
Un enorme croce di marmo accecante si ergeva al centro di quello che sembrava un cimitero piuttosto antico; Perona era su una delle sporgenze, mezza svenuta.
«E io che pensavo fosse qualcosa di grave…» mormorò lui, guardandosi intorno. A parte la radura, in lontananza era possibile scorgere il profilo di un macabro castello. Di bene in meglio.
«Chissà chi ci vive?»
«Ehi, se aspettavo te a quest’ora sarei già morta!» Sbottò lei, volandogli incontro dopo essersi ripresa.
«Dai che stai benissimo… andiamo a vedere che c’è lì?» Chiese, indicando la sagoma scura.
Perona borbottò qualche altro improperio, poi ghigno furbescamente «Non sai arrivarci da solo, eh?»
«Cosa?! Io me la cavo benissimo, era per non farti frignare come una bambina!» Sbottò Zoro, arrossendo. Ora la faceva a fettine.
«Io non frigno, sottospecie di gorilla!» Ribatté lei, lanciandogli qualche spettro contro per dispetto.
«Non ci provare a tirarmi dietro quei cosi! Muoviamoci, stiamo solo perdendo tempo…»
«Senti non posso lasciare il mio corpo qui! Quindi se vuoi che ti aiuti devi portarmi!»
Zoro digrignò i denti, resistendo all’impulso di sguainare le katane, poi andò a riprendere il suo corpo inerme e se lo caricò in spalla senza tanti complimenti.
«Attento! Sei delicato come un elefante!» Si lamentò lei, mentre guardava la sua testa cozzare contro un tronco d’albero.
«Già è tanto che ti trasporto in giro come un pupazzo…»
«Intanto senza il mio potere saresti ancora perso nella foresta, caro il mio Signor “non so dov’è il Nord”e… ma, che cos’era?»
Il rumore metallico era cresciuto di intensità e ora tagliava in due il silenzio della notte, perforando i timpani. Si accorsero di quello che stava per accadere troppo tardi e Zoro avvertì, più che vederlo, il profondo taglio a un braccio che lo fece sbilanciare in avanti; sentì la presa cedere e il corpo di Perona stramazzare al suolo, mentre il suo riflesso scompariva con un urlo.
«Maledizione!» Riuscì a schivare il secondo fendente appena in tempo, atterrando a pochi passi di distanza col braccio ormai inerme contro il corpo. Il problema era che non avrebbe dovuto fargli così male: aveva subito tagli infinitamente peggiori, eppure quella misera ferita gli impediva di sfoderare le spade o di fare alcunché. E come se non bastasse, non capiva assolutamente da dove fosse arrivato l’attacco.
«Chi diavolo sei?» Urlò nell’oscurità, senza ottenere risposta.
Approfittò del momento per tirarsi dietro il corpo di Perona, nascondendosi dietro un masso; dal sangue con cui si era macchiato le mani, anche lei doveva essere ferita e più profondamente di lui.
«Cosa vuoi?» Urlò di nuovo e, ancora una volta, non ottenne risposta. «Oh, al diavolo» grugnì; rinfoderò le spade e si sistemò la ragazza a cavalcioni sulle spalle, deciso ad arrivare a quel maledetto castello. Non era detto che avrebbe trovato degli aiuti, ma era sempre meglio che stare all’aperto in balia del nulla.
«Uno, due e… tre» sussurrò, scattando in direzione Nord (forse) e pregando che almeno una zona di quel posto fosse ospitale. Alle sue spalle, nel frattempo, il misterioso nemico aveva rinfoderato la grossa ascia bipenne con la mezza idea che qualcuno l’avrebbe ucciso per quell’errore.
Il lumacofono gli vibrò nella tasca del mantello e lui si affrettò a rispondere.
«Allora?» La voce dall’altra parte era lievemente acuta, nervosa.
«Ho fallito. Lo spadaccino e la ragazza fantasma sono andati verso il castello».
«Cosa?! Devi trovarli subito! Non rimane molto tempo, lui sarà lì tra poco…»
Il sicario sospirò «Non fallirò di nuovo».
«Lo spero per te, anche perché tu non sai cosa è solito fare a chi si intrufola nella sua isola…»
Attaccarono quasi all’unisono e l’uomo misterioso richiamò subito uno dei grossi pipistrelli che svolazzavano nel cielo torbido. «Ok, devi fare una cosa per me…» sussurrò, legandogli un biglietto alla zampa e indicandogli il castello. «Alla ragazza».
Non fece in tempo a guardarlo andar via che una lama apparve dalla foresta, trapassandogli la gola da parte a parte. «Fuori uno» sibilò la voce dal buio, adocchiando il castello. Erano anni che degli intrusi non attraccavano sull’isola; questo voleva dire che i tempi stavano davvero cambiando.
Il grosso portone si aprì con una certa fatica, cigolando e sbuffando come se non fosse stato aperto da secoli e, a giudicare dagli strati di incuria e dal disordine, era proprio così.
«Ok, troviamo un modo per curarci…» bofonchiò a se stesso, mollando il corpo di Perona nella prima stanza da letto e avviandosi alla ricerca di bende, medicinali o qualsiasi cosa non fosse cianfrusaglia o polvere. «Dev’essere un castello abbandonato…» si disse, ma alcune candele accese in una stanza sulla sinistra smentivano la sua ipotesi; provò a guardare all’interno, ma fece appena in tempo a scorgere una libreria e alcuni libri antichi che la porta si richiuse con una folata di vento.
Ok, c’era qualcosa di davvero strano da quelle parti, tuttavia per il momento era più importante cercare di mantenersi in vita; esaminò la ferita e notò che non accennava a smettere di sanguinare, neanche con lo straccio che aveva usato per tamponare. Strano.
Di solito era piuttosto coriaceo, ma era anche vero che quella ferita era bizzarra anche nella forma; l’arma usata doveva possedere un qualche tipo di potere, se non addirittura una maledizione.
Nel frattempo, Perona si era risvegliata e si guardava intorno spaesata; ovviamente era abbastanza palese che non si trovasse più nella foresta, però non capiva cosa fosse successo.
«Ahia!» Squittì, avvertendo un dolore lancinante alla schiena; lasciò che la propria proiezione esaminasse la ferita e notò che era piuttosto profonda, oltre che particolarmente dolorosa.
Però non era quello che la preoccupava: dove era andato a cacciarsi lo spadaccino verde?
«Scommetto che si è perso di nuovo…» borbottò, provando ad alzarsi. Prima che potesse fare alcunché vide una sagoma scura che si avvicinava alla finestra, ingrandendosi fino a raggiungere la forma di un grosso pipistrello; questo planò sul davanzale e attese incredibilmente che lei si avvicinasse. Perona diede una veloce occhiata al corridoio, poi spalancò la finestra e prese il messaggio che l’animale recava sotto l’ala.
«Per me?» Sussurrò poi cominciò a leggere, cambiando espressione man mano che andava avanti con la lettura. «Non è possibile…» mormorò, sporgendosi dal davanzale per scrutare nel buio.
Quel messaggio non poteva essere arrivato da solo su quell’isola e questo voleva dire che…
«Oi, sei sveglia?» La voce di Zoro la fece sussultare e, prima che se ne potesse rendere conto, il pipistrello era già sparito; nascose il foglio tra i vestiti e ritornò verso il letto «S-sì. Che succede?»
La faccia dello spadaccino spuntò dalla porta, con una strana espressione «Questo è il castello di Mihawk Occhi di Falco».
«Oh, davvero?» Replicò lei, in tono neutrale.
Naturalmente lo sapeva. Però non era sicura di voler davvero conoscere tutto quello che c’era scritto in quel messaggio: erano informazioni pericolose e poi non era più sola: Zoro non era solo un bravo spadaccino, era uno dei Mugiwara. Doveva stare attenta.
 «Zoro…»
«Come stai?» Le chiese a bruciapelo lui, squadrandola.
Perona si quasi arrossire, poi scacciò in malo modo quel pensiero.
Già si sentiva in colpa a nascondere delle cose così importanti, cosa sarebbe successo se fossero diventati amici?
«B-bene…»
Zoro sospirò, passandosi una mano nei capelli arruffati «Dovremmo andarcene il prima possibile. Maledizione, se solo sapessi dove sono gli altri…»
Perona lo fissò con più attenzione «Sei davvero preoccupato per loro, vero?»
«Sono la mia ciurma» disse solo e lei annuì, ripensando a Moria, Abasalom e gli altri che aveva perduto. Prima che potesse replicare qualcosa, un “toc toc” risuonò fra le umide pareti del castello, avvisandoli dell’arrivo di qualcuno.
I due si guardarono con la stessa espressione stralunata: e se fosse stato proprio Mihawk Occhi di Falco?
 
Isola di Weatheria – Cielo
Nami studiava i mutamenti dei cumuli di nuvole, prendendo di tanto in tanto appunti sull’agenda. Dopo due settimane cominciava a capirci qualcosa del clima, dei suoi capricci e di  tutto quello che poteva davvero esserle utile per navigare nel Nuovo Mondo. Tuttavia continuava a chiedersi insistentemente per quale motivo fosse stata inviata proprio lì: lei non aveva chiesto a Kuma di andare in quel posto e, per la verità, non aveva chiesto di andare da nessuna parte.
Ovviamente, fosse stato per lei, il suo posto sarebbe stato sempre e comunque con il suo Capitano; sospirò, appoggiando il mento alle braccia incrociate: dall’articolo di giornale che aveva letto  passava sempre molto tempo a pensare a lui… chissà come stava? Perdere un fratello in quel modo non doveva essere facile.  Insomma, lei non sopportava Nojiko, ma se fosse morta…
Nami sospirò una seconda volta, sconfortata. Dopo la decisione di Rufy, avevano sicuramente tutti deciso di rafforzarsi nelle proprie capacità, ma la verità era che lei non aveva poi molto da fare lì, a parte qualche giochetto con il tempo. Non era un mistero che non fosse la più forte del gruppo e, anche se si era ripromessa di non essere più un peso per nessuno, non era così facile come aveva immaginato.
«Oh, finalmente eccoti…»
La voce di Haredas le arrivò dalla finestra aperta sul grande terrazzo e Nami, come per istinto, si nascose; aveva già capito che aspettava visite importanti dalle espressioni preoccupate di poco prima ed era curiosa di capire chi aspettasse.
«Maestro… non è così facile ritrovarvi, l’isola si sposta costantemente» replicò la voce.
Nami si sforzò di capire di chi si trattasse, perché non le era del tutto nuova.
Haredas fece un gesto indifferente, impaziente di sapere sulla loro missione «Allora? Com’è andata, l’avete trovato?»
L’altro voce sospirò «Sì, sì l’abbiamo trovato…»
«E?»
«Non è così semplice. Si sposta tutto il tempo, non è mai più di due giorni sulla stessa isola, è circondato da uomini leali che perderebbero la vita per lui… è protetto talmente bene che neanche un esercito potrebbe fare qualcosa. E io sono da solo» terminò con frustrazione.
«La missione ti è stata affidata perché ha giurato che eri in grado di portarla a termine».
Nami non l’aveva mai sentito parlare con tono così freddo; i vecchi di Weatheria erano docili e arrendevoli, ma in tutto quel dialogo Haredas sembrava totalmente un’altra persona.
«Sono sicuro di potercela fare, ma ho bisogno di più tempo» replicò la voce, quasi offesa dell’insinuazione. Haredas annuì e si alzò, avvicinandosi un po’ troppo alla finestra dove era nascosta Nami, che si appiattì lungo la parete. Dopo le ultime frasi sapeva che non era sicuro farsi beccare a origliare.
«Ci sono voci che parlano di alcuni imminenti cambiamenti… tu c’eri alla Guerra di Marineford, l’hai vista molto da vicino».
«Sì. Ero all’arcipelago Shabondi dove c’erano le riprese in mondovisione. È stato sconvolgente».
A quel tempo loro erano già separati da un po’, pensò Nami, e Rufy era lì per cercare di salvare Ace. Forse non era solo, ma loro non c’erano. Lei non c’era per aiutarlo.
Si riprese giusto in tempo per sentire Haredas dire «Le morti di Ace Pugno di fuoco e Barbabianca non sono gli unici cambiamenti che si preannunciano all’ingresso della Nuova Era. Dobbiamo agire prima che sia troppo tardi, prima che lui faccia qualche mossa avventata».
«Intendi… ucciderlo prima che decida di intervenire?»
«Intendo: fermarlo a qualsiasi costo».
I due continuarono a parlare per un po’, ma lei ne aveva abbastanza; cercando di non fare rumore, si spostò verso il cornicione e si calò facilmente giù. La mente le viaggiava veloce e continuava a vederci qualcosa di poco chiaro: l’uomo misterioso aveva la missione di fermare qualcuno che, evidentemente, aveva la possibilità di creare scompiglio. Ma chi poteva essere? E la missione era per conto di chi? Nonostante il mutamento di Haredas, dubitava che tutto arrivasse dai saggi di Weatheria… e soprattutto, come poteva il sicario misterioso spostarsi da cielo a terra così facilmente? Loro avevano dovuto imboccare la Knock Up Stream per arrivare a Skypiea.
Nami decise di appuntarsi dubbi e domande sulla sua agenda, in modo da ricordare tutto anche quando fosse ritornata dalla ciurma. Ora non aveva tempo da perdere: si era ripromessa di girare tutta l’isola alla ricerca di qualcosa di utile e, dopo le recenti scoperte, era ancora più intenzionata a capirci qualcosa. Per il momento non le sembravano informazioni di vitale importanza, però le facevano capire che c'era qualcos'altro al di là dell'immagine di semplice isoletta meteorologica; l'unica soluzione era indagare su quel mistero e cercare di risolverlo.
Peccato che fosse praticamente impossibile scovare alcunché in un posto così piccolo...
Lei era assolutamente convinta che le loro mete non fossero state scelte a caso, quindi anche la sua avrebbe dovuto aiutarla teoricamente a migliorare; ci aveva pensato per molto tempo ed era giunta alla conclusione che Kuma li avesse aiutati: a parte il dolore iniziale, erano ancora talmente deboli rispetto ai pirati del Nuovo Mondo che sarebbero stati sconfitti di sicuro; per non parlare dei mostri che c’erano nella Marina.
«Perché mi hai mandato qui, Kuma?» Sibilò a se stessa, mentre vagava. Era così intenta a rimuginare che si accorse solo in extremis dell'uomo a limitare del bosco che le sbarrava la strada. Nami si nascose velocemente e cominciò a studiarlo: era molto alto e grosso, con le ali tipiche degli abitanti di Skypiea e un lungo mantello; stava parlando con qualcuno con un lumacofono portatile.
«Allora, come è andata?» Stava dicendo la voce che non conosceva.
«Male, ho fallito la missione. È praticamente impossibile avvicinarlo» spiegò dicendo le stesse cose che aveva detto anche a Haredas.
«Lo immaginavo, ma non è così grave... Mi sarei stupito del contrario, visto che è uno degli uomini più imprendibili della storia» fece la voce. «E il vecchio?»
«Mi ha dato un'altra possibilità. Però a questo punto non ho idea di dove sbattere la testa» replicò il suo amico gigantesco.
La voce emise qualche versetto pensieroso «Ovviamente c'è la sua base, da qualche parte nel Nuovo Mondo. La sua terra natale è il Mare Orientale, ma a quanto pare non ci va da una vita» spiegò, mentre Nami sussultava: Rufy proveniva dal Mare Orientale, così come moltissimi altri pirati che conosceva... Chi stavano cercando?
L'uomo di Skypiea annuì «Quindi il Nuovo Mondo... Non è mica così piccolo, eh» ironizzò.
«Seguì le rotte non tracciate dai Log Pose dalla Red Line. Non viaggia mai sulle rotte conosciute e sicuramente starà tornando dal Mar Meridionale... So per certo che si sono incontrati» continuò e l'altro si stupì «Quante informazioni... Stare nella Marina giova!» Esclamò, con una risata possente.
«Shh, maledizione! Ti ho detto mille volte di non parlare così apertamente...»
«Sìsì, scusa» ribatté quello con gli occhi al cielo. «Allora vado. Buona fortuna».
La voce sospirò «Già. Attento, non si tratta di uno alle prime armi».
«Questo interessamento mi commuove... Lo so, conosco anch'io la sua fama».
E attaccò.
Nami aspettò che se ne fosse andato e intanto metteva in ordine le informazioni ricevute: l'uomo di Skypiea aveva la missione di fermare qualcuno di potente, che aveva il potere di sconvolgere il mondo e molti alleati; inoltre, era in combutta con uno della Marina. Quello voleva dire che esistevano molte più alleanze di quello che loro erano disposti a credere.
Accidenti, aveva bisogno di altre informazioni!
Come ultima spiaggia, decise di andare da Picos che gestiva la redazione meteorologica dell'isola: si trattava di brevi bollettini sul clima, ma era sicura che fosse in contatto con tutte le maggiori testate giornalistiche visto che era lui a inviargli suggerimenti, consigli e giudizi sul clima di tutti i mari.
La piccola stazione era caotica e affollata, su un picco di nuvole al lato opposto della casa di Haredas; era il luogo perfetto per iniziare un'indagine discreta. Quando entrò, infatti, c'era solo Picos che rileggeva gli ultimi bollettini.
«Ciao!»
«Oh, Nami. Come vanno i tuoi studi?» Chiese, senza manco guardarla.
Picos era un vecchietto, anche se per gli standard di Weatheria era uno dei più giovani, con pochi capelli e senza barba.
Nami fece il suo miglior sorriso innocente «Benino. Ma migliorerò... Sono qui per ringraziarti delle informazioni che mi hai dato sulla guerra; sono state di fondamentale importanza!»
In fondo era tutto vero: senza di lui, non avrebbe mai potuto leggere le notizie su Rufy e il suo messaggio sullo spostamento dell'incontro.
Picos fece un gesto frettoloso «Sìsì, non preoccuparti.»
«Non è che avresti altre informazioni, così per tenermi aggiornata...» provò a dire, in tono casuale.
Picos abbassò gli occhialetti a mezzaluna sul naso e continuò a lavorare «Che tipo di informazioni?»
«Mmh, sul mare Meridionale, ad esempio... Sai, ho alcuni amici che vivono lì...» aggiunse, tanto per dargli una scusa plausibile che però a lui mancò interessava, visto che gli lanciò un mazzo di carte senza fiatare. «Questi sono tutti i messaggi che provengono da quella zona... Guardali.»
Nami si illuminò «Grazie!»
Passò circa l'intero pomeriggio a spulciare le notizie, ma tanto non è che ci fosse molto da fare lì: il cortile di nuvole davanti alla redazione era silenzioso e solcato da un vento piacevole. Fu la penultima notizia a colpirla: la piccola foto mostrava il profilo di un'isola sconosciuta.
«... l'intervento della Marina ha sedato l'ennesimo atto rivendicato dalla frangia rivoluzionaria di Baltigo nel Regno di Briss, Mare Meridionale.»     
Nami lesse anche il post scriptum a penna che Picos era solito inserire quando era scettico per qualcosa. Infatti, la sua scrittura diceva: “Marina? Voci dicono che è stato Shanks il Rosso. Controllare le fonti (guardare bene la foto).”
Nami si avvicinò per vedere meglio la foto e, in effetti, c'era il profilo di una nave con polena rossa, nell'angolo in basso. Con un squittio di sorpresa, fece cadere tutti i fogli: rivoluzionari o Shanks il Rosso... In entrambi i casi, se i misteriosi sicari fossero riusciti nell'impresa, quell'evento sarebbe stato capace di distruggere ancora una volta gli equilibri del mondo.
 
Isola Greenstone, Arcipelago Boyn – Rotta Maggiore
Il piccolo villaggio si sviluppava tra le basse colline al centro dell’isola e probabilmente era persino invisibile dal mare. Usopp pensò che, se Heracles non l’avesse nominato per puro caso la sera prima, neanche l’avrebbe notato; viveva nella foresta di Greenstone da qualche settimana ormai e, anche se era stato impegnato con gli allenamenti, si era chiesto come mai l’isola fosse totalmente disabitata… il fatto che Heracles non gli avesse mai parlato del vicino villaggio era strano, soprattutto perché passavano metà del tempo a cacciare cibo per sopravvivere.
«Ok, è ora di fare un giro!» Esclamò entusiasta, saltando giù dall’enorme albero mangiauomo; in realtà passava anche metà del tempo a inventarsi nomi strani per la vegetazione, ma non era colpa sua se quel posto era folle! L’albero su cui si era arrampicato, ad esempio, aveva dei grossi fiori gialli che solo dopo aveva scoperto essere cannibali – per la precisione, dopo aver rischiato la morte un paio di volte. Ormai poteva quasi dire di esserci abituato, però andare in un posto in cui non doveva guardarsi costantemente i piedi ogni secondo era un sollievo.
Anche da vicino, poteva vedere che il villaggio era rappresentato in realtà solo da case di paglia e mattoni con pochi negozi spogli e pochi ornamenti; non voleva sbagliarsi, ma sembrava un posto piuttosto semplice e tranquillo.
«Oh, un’officina!» Esclamò entusiasta; Heracles gli aveva insegnato a creare armi con ogni materiale, ma forse poteva approfittarne per prendere un po’ di metallo e usarlo per rendere il suo arsenale più forte; doveva avere ancora qualche berry datogli da Nami per le sue compere. Probabilmente in quel caso l’avrebbe perdonato se avesse speso un po’ di più.
«Devo riuscire a trovare il materiale per la super fionda…»
Da quando aveva letto la cronaca della guerra e aveva scoperto che suo padre aveva costruito un’arma più precisa e solida della vecchia, il suo scopo era diventato costruire qualcosa che potesse competere. Il suo sogno era da sempre quello di diventare un coraggioso uomo di mare, ma da qualche tempo si scopriva desideroso di dimostrare anche a suo padre cosa valeva; sapeva da sempre che faceva parte della ciurma di Shanks il Rosso, ma la loro ultima apparizione era stata a dir poco formidabile. Peccato non fosse così facile fare grandi progressi con le invenzioni in un’isola sommersa dalle piante.
Provò a entrare nell’officina col suo miglior sorriso gioviale, ma non vi trovò nessuno.
«Ehi, c’è qualcuno?» Chiese perplesso, guardandosi intorno. Era strano, perché il negozio era aperto e non era possibile che qualcuno lo avesse abbandonato a quel modo. «Ehilà?!»
Si accorse abbastanza facilmente della presenza di qualcuno dietro al bancone, così lanciò fulmineamente una delle sue sfere esplosive che a contatto con la parete esplose spargendo fumo ovunque.
«Ahh! Basta mi arrendo!» Esclamò una voce, proprio quando lui era già pronto a lanciargli qualche altra nuova diavoleria.
«Chi sei?» Domandò, tenendolo sotto tiro con la cerbottana.
In realtà era facile capire di chi si trattasse, visto che la foto dietro di lui lo ritraeva come Augustus, mastro ferraio. Restava solo da capire perché si fosse nascosto al suo arrivo.
«Cosa ti serve? I-io posso darti tutto quello che vuoi…» replicò quello, spaventato a morte.
Usopp abbassò l’arma con aria perplessa «Perché sei così spaventato?»
L’uomo lo fissò «Tu non fai parte della guardia reale?»
«Guardia reale?!»
Augustus si guardò intorno, poi chiuse le porte del negozio «È impossibile che tu sia arrivato qui dal mare, senza l’accettazione imperiale».
«Ma io, veramente…» balbettò, mentre veniva trascinato nel retro. Lì c’erano due ragazzi che giocavano a carte; quando li videro entrare si alzarono di scatto,  estraendo le armi.
«Ehi, ehi calmatevi! Io non ho fatto nulla!» Cominciò a esclamare Usopp, agitando le braccia davanti a sé.
«Allora cosa ci fai qui?»
«Da dove vieni?»
I due ragazzi lo fecero sedere con la forza e gli puntarono due spade alla gola, facendolo sudare freddo; raccontare tutta la storia era fuori discussione, ma non poteva neanche rischiare la morte in quel modo. Doveva tornare dalla sua ciurma.
«Ecco, io…»
«Hai detto che non fai parte della guardia reale, ma questo non è possibile!» Sbottò Augustus, agitato. «Su quest’isola vige la monarchia assoluta e niente si muove che non sia approvato dal re…»
Usopp pensò a Heracles e al fatto che dubitava che fosse stato approvato, ma forse era meglio non parlare di lui; doveva inventarsi una bugia abbastanza credibile e alla svelta.
«E se fosse una spia?» Sussurrò uno dei ragazzi, prima che potesse aprire bocca.
«Una spia di chi?»
«Magari dell’eroe! Potrebbe essere pronto a tornare!» Rispose l’altro, ottimista.
Augustus fece un verso di scherno «Voi e le vostre storie! Nessuno sta venendo a salvarci, cercate di capirlo una volta e per tutte!»
Usopp ghignò perché forse aveva avuto l’idea perfetta; tossì eloquentemente, poi cominciò a ridere «Le coperture sono fatte per rimanere segrete, ragazzi…»
«Eh?»
«Eh già, sono proprio io il vostro eroe!»
Gli altri tre lo guardarono con espressioni che variavano tra il perplesso e lo sconvolto, soprattutto perché così legato e con quel nasone non faceva poi tutta quest’impressione.
«Scusami se te lo dico, ma non sembri proprio un eroe» Fece infatti uno dei garzoni.
L’altro annuì «E poi ti sei fatto catturare troppo facilmente per essere un eroe…»
Usopp scosse la testa «Il mio compito è proteggervi non sconfiggervi, quindi non ho reagito…»
I tre si guardarono come se a pensarci, così continuò «E per non farmi scoprire nel caso ci fosse la guardia reale, sono riuscito a farmi portare nel retro per parlare con voi. Sono stato un bravo attore, eh?» Cominciò a vantarsi, sicuro di sé.
Augustus si grattò la testa, indeciso sul da farsi «Dove sei adesso? Dove vivi?»
Usopp batté le palpebre e capì che in quel caso non poteva mentire più di tanto visto che non conosceva molto dell’isola «Foresta delle prelibatezze» sussurrò, sperando fosse la risposta giusta.
Questa volta notò perfettamente lo strano sguardo che si rivolsero e, quando lo liberarono, capì che era salvo anche se non sapeva precisamente il perché.
«Be-bene. Così potrò aiutarvi» disse solo, senza davvero capire cosa fare.
Augustus gli sorrise un po’ troppo affabilmente per essere sincero «Sì, signor Eroe… se potesse, quando torna indietro, dire alla… alla foresta sì, che avremmo bisogno di aiuto…» cominciò a dire, mentre lo spingeva fuori.
«Ma di cosa state parlando?»
«La foresta lo sa! Ditegli che lo stiamo aspettando, grazie!» Esclamarono in tre, richiudendosi velocemente la porta alle spalle.
Una volta fuori, Usopp pensò bene di ritornarsene nel folto del bosco che era mille volte meglio, senza però dimenticare le loro strane parole: era solo quando aveva nominato la foresta che avevano cambiato atteggiamento. Quando raccontò tutto a Heracles, pensò quasi gli morisse davanti per infarto.
«Sei andato al villaggio?!» Urlò, scattando in piedi.
Usopp annuì, mentre mangiava una ciotola di frutti raccolti dal primo albero; era diventato un esperto a riconoscere quelli sani da quelli potenzialmente velenosi «Già, è stato folle…»
Heracles sospirò «Cosa ti hanno detto alla fine? Le parole precise…»
«Mmh, hanno detto che hanno bisogno di aiuto e aspettano».
«Quello che temevo…»
Usopp lo guardò prendere la spada che non usava mai «Di chi stavano parlando?»
«Di me. Sono io l’eroe, se così si può dire».
«Che cosa?!» Esclamò Usopp, facendo cadere il pranzo. «Cosa hai fatto?»
L’uomo scosse la testa, ributtò la spada dov’era e si alzò «È una lunga storia».
«Beh, io non ho niente da fare al momento…»
«Tu devi allenarti! O te lo sei dimenticato?» Lo sgridò, guardandolo male.
Usopp prese un’espressione sofferente «Sìsì, però mi verrà la “malattia della curiosità” se non me lo spieghi e poi combatterò male!»
«Sei un piccolo imbroglione… e va bene, però ti avverto: non è una storia così interessante. Un tempo, l’isola era governata dal Re Tyno e la sua famiglia; erano malvagi e vessavano la popolazione in ogni modo… io li ho semplicemente liberati; a quel tempo facevo parte della guardia reale e mi fu piuttosto semplice lavorare dall’interno per cacciarli…»
Usopp annuì entusiasta «E ora perché sei nella foresta?»
«Questa è la parte più triste… qualche anno dopo, il re tornò al potere e io fui esiliato come traditore. In realtà dovevano condannarmi a morte, ma sono riuscito a sfuggirgli… e come vedi, ho imparato ad adattarmi» spiegò ironico, guardandosi intorno.
«Oh… ma se erano odiati anche dal popolo, come hanno fatto a tornare al potere?» Chiese ancora Usopp e Heracles gli rivolse un sorrisino «Non lo so!»
«Come non lo sai?!» Urlò, alzandosi in piedi.
L’altro scrollò le spalle «Non l’ho mai saputo… occorre molto potere per riportare un governo rovesciato dal popolo al potere e sono in pochi ad averlo, in questo mondo…»
Prima che Heracles potesse rispondere, delle urla dal villaggio attirarono la loro attenzione e si affrettarono ad arrampicarsi sul primo albero più alto per vedere: dal mare piatto come una tavola, una bandiera bianca svettava nel cielo azzurro e senza nuvole. Usopp inforcò gli occhiali binocolo e quasi gli venne un infarto alla vista del logo sulla bandiera.
«Cosa diavolo ci fa una nave della Marina qui?!»
 
Isola Momoiro, Regno Kamabacca – Rotta Maggiore
«Maledizione…»
Quella era la decima volta che perdeva e ormai non ce la faceva più.
«Tutto bene, tesoruccio?»
«Non ci provare nemmeno a chiamarmi a quel modo, maledetto!» Sbottò, alzandosi di scatto.
La ragazza di fronte a lui accavallò elegantemente le gambe e lo guardò con aria di sufficienza «Che bel caratterino eh, dovresti imparare al rilassarti…»
Sanji si trattenne a stento da mollargli un calcio e si risedette, tornando a guardare la scacchiera: ora, lui sapeva di essere un tipo intelligente e capace ma quelle… quelle donne lo distraevano! Sentiva le loro risatine stupide e lo sapeva che lo prendevano in giro, approfittando della sua debolezza.
«Ok, mi arrendo» grugnì, con un sospiro, mentre tutto il loro pubblico esultava.
Quell’isola era un inferno per lui e si prefissava di far sapere cosa ne pensava a Kuma il prima possibile. Non solo lo aveva separato dalla propria ciurma e aveva fermato il loro viaggio, ma si era anche permesso di scagliarlo nell’unica isola in cui, di fatto, non c’erano donne! A parte loro, ovviamente. Ovunque si girasse non vedeva altro che barbe, peli, vestiti meravigliosamente femminili indossati da persone con fisici orrendi. Essì che lui non voleva giudicare, ma lì si esagerava.
­«Sanjiii, che ne dici di un’altra partitina?» Lo richiamò una vocina tra le risate.
Un altro tono melenso e avrebbe sterminato tutti, se lo sentiva.
Fortunatamente per lui, dopo settimane e settimane di agonia, arrivò qualcuno a interrompere quel gioco a senso unico.
«Ragazze!» Esclamò una di loro, spalancando la porta della sala. «Iva è tornato!»
Tutti i presenti si pietrificarono un istante, per poi prorompere in grida di gioia che quasi gli spaccarono un timpano.
«Ma che…?» Cominciò, ma tutti gli altri avevano già cominciato a correre verso l’ingresso, dove una piccola imbarcazione stava ormeggiando. Sanji roteò lo sguardo con uno sbuffo e, dato che comunque non aveva niente da fare, li seguì rimanendo un attimo sorpreso dallo stravagante abbigliamento del  nuovo venuto.
«Gvazie, gvazie!»
«E quello chi è?»
«Quello? Quello dici?! È la nostra Regina, l’unica e inimitabile!» Sbottò Tessa, accanto a lui. «Dovresti inginocchiarti di fonte a Ivankov!»
«Già, è meravigliosa…» fece un’altra, con aria sognante.
Sanji sbuffò e si allungò a guardare meglio: eppure aveva un’aria familiare, sebbene non ricordasse di preciso dove l’avesse incontrata; forse un giornale… ma certo! Era arrivata con Rufy a Marineford da Impel Down!
«Ehi, tu eri a Marineford con il mio Capitano!» Esclamò, silenziando la folla.
Ivankov si girò dalla sua parte «Chi a pavlato?»
Sanji si fece largo tra la folla e la fissò «Io».
«E savesti?» Fece Iva, adocchiandolo con curiosità.
«Mi chiamo Sanji e sono il cuoco della ciurma di Rufy» rispose con sicurezza.
«Oh, Rufy eh… sì, ho avuto il piacere di conoscerlo…» replicò Iva, mentre si incamminava all’interno del palazzo.
«Qui le notizie si sono interrotte, come sta? Dov’è?» Gli chiese velocemente.
Iva gli lanciò un’occhiata divertita, poi si accomodò sul suo scranno, contenta di essere finalmente a casa, anche se per poco «Quanta impazienza…»
«Rispondimi, maledizione!»
«Calmati, calmati… Mugiwara-boy sta benissimo ed è al sicuro» spiegò, ripensando alla strana ciurma col sommergibile, a Jimbe e a Reyleigh; quel ragazzo aveva la strabiliante capacità di trascinare tutti nel suo sogno, nel trovare appoggio ovunque e in qualsiasi fazione.
In quello era esattamente come suo padre.
Sanji si rilassò, visibilmente sollevato.
«E ora dimmi: che ci fai tu sulla mia isola, esattamente?» Gli fece, ben sapendo che forse la risposta già la conosceva. Sanji prese a fumare come ogni volta che era nervoso ed emise uno verso di disprezzo «Aha, quel maledetto della Flotta sei Sette» borbottò, senza stupirlo particolarmente.
Ovviamente era stato Kuma a inviarlo lì. Stava solo da capire il perché.
Ivankov sorrise «Oh, quindi devo dedurre che è stato Batholomew Kuma a inviarti qui?»
Sanji tornò a fissarlo, stupito «Lo conosci?!»
Il sorriso gli si allargò sul volto «Meglio di quanto immagini».
Un’esplosione li distolse dal discorso e entrambi si precipitarono alla grossa terrazza che sovrastava l’isola. Un’imbarcazione si stava avvicinando a grande velocità e poca fermezza, come se gli occupanti non fosse in grado di manovrarla. Sia Sanji e Ivankov si sforzarono di guardare meglio e entrambi rimasero stupiti, chi per un motivo chi per un altro, di vedere proprio loro sul ponte di comando.
«Cosa ci fanno loro qui?» Esclamarono entrambi.
 
 
Note
Ho pensato di scrivere note diversificate per ogni “pezzetto”; ovviamente qui si tratta dei primi membri della ciurma, in ordine di quando hanno conosciuto Rufy.
 
- Per quanto riguarda Zoro: l’idea che fosse arrivato sull’isola di Mihawk mi ha sempre perplesso, così come la presenza di Perona che mi è sembrata un po’ messa lì a caso. Ovviamente ho deciso di modificare alcuni aspetti: Perona avrà un ruolo molto più importante; non ho inserito l’esercito di scimmie perché, beh, essenzialmente non mi è piaciuta come idea.
 
- E ora Nami: l’idea dell’isola sospesa mi ha fatto pensare a una miriade di idee e teorie… ovviamente preferisco le cose ingarbugliate al semplice stupido del meteo. La mia idea è considerare che tutti loro si trovino invischiati in tutte le altre vicende del mondo e non completamente isolati. Quindi anche Nami segue questo principio: ci sono un po’ di segretucci anche qui e mi piacerebbe conoscere le vostre teorie al riguardo! Comunque si capirà tutto a tempo debito…
- Per quanto riguarda Usopp, so che la storia raccontata da Heracles è un po’ frettolosa, ma in realtà la mia idea è di risolvere tutto con due capitoli al massimo per membro. Un po’ sulla falsa riga di Oda che, mi pare, abbia scritto solo due miniavventure per membro. Le parti filler dell’anime non le ho del tutto considerate, non mi piacevano francamente. Comunque era necessario arrivare al punto clou, perché da qui la storia sarà fondamentale, quindi la storia generica di Heracles è importante, ma poteva essere anche solo punteggiata.
- Ammetto che la parte di Sanji è un po’ spoglia, ma c’è un motivo. Il prossimo capitolo vedrà gli altri quattro membri della ciurma e le loro destinazioni, poi ci sarà un capitolo unitario dedicato al loro ritorno a Shabondi, quindi appunto ogni ministoria è divisa in solo due pezzi. Anche perché bisogna andare avanti, insomma!
 
Questo capitolo era ovviamente necessario, ma forse non è così ricco di informazioni… che ne pensate? Sapete che adoro le teorie eccetera :P
Ah, sottolineo che per i nomi ho usato quelli originali del manga (Kamabacca e non Kamabakka, Boyn e non Boeing). E buh, niente.
Il prossimo si intitolerà Mugiwara divided [II]: ovviamente riprenderà le storie di Chopper, Franky, Robin e Brook. Anche le loro, anzi forse di più, saranno moolto diverse dall’originale.
 
Momento di semi-spam: nella mia pagina iniziale c’è il quadratino facebook dove ho inserito la mia nuovissima pagina autore: scriverò lì gli aggiornamenti, inserirò spin-off, immagini e più in là descrizioni di luoghi e personaggi delle mie varie storie. Se a qualcuno può interessare, amichetta temi pure J
Buona lettura, grazie in anticipo per le recensioni e alla prossima!

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Capitolo 4
*** Capitolo IV: Mugiwara divided [II] ***


Mugiwara divided [II]
 
Isola del Tesoro, regno degli Uccelli – Mar Meridionale
Anche se Chopper era ormai abituato al gracchiare stonato degli uccelli giganti dell’isola, gli faceva sempre uno strano effetto sentirli chiamare dai loro nidi sulle ripide alture: avevano voci talmente potenti da far tremare i grossi alberi della Foresta Scura, allarmando anche la tribù che vi viveva.
Ormai viveva lì da abbastanza tempo da sapere dove accamparsi per evitare sia gli uni che gli altri; la guerra tra animali e uomini aveva raggiunto proporzioni spaventose e lui che non apparteneva completamente a nessuno dei due regni, non aveva ancora capito che dovesse fare. Per ora si limitava a evitare qualsiasi coinvolgimento.
Quella mattina aveva deciso di spostarsi verso Sud perché aveva trovato alcuni manuali abbandonati in una capanna del villaggio che parlava di “strane piante miracolose”; forse potevano essere utili per le sue ricerche sulla medicina universale.
«Uff, è ora di risposarsi» rantolò, tergendosi il sudore dalla fronte. Camminava sempre tantissimo su quell’isola che non era poi così piccola; inoltre, non avendo nessuno con cui lamentarsi, passava il tempo a stringere i denti e temprarsi.
Dopotutto era proprio quello il senso di essersi separati: essere più forti per il Nuovo Mondo, per i loro sogni. Solo pensare a tutti i potenti uomini che Rufy aveva incontrato durante la guerra di Marineford gli faceva capire la necessità di diventare più forte e più combattivo. Fu solo quando si sedette e aprì il sacco per il cibo, si rese conto che c’era decisamente qualcosa che non andava: c’era troppo silenzio.
Chopper si alzò di scatto e annusò l’aria tutt’intorno; per qualche motivo gli uccelli avevano smesso di richiamarsi e tutte le chiome degli alberi sembravano essersi cristallizzate nel vento.
«C’è qualcuno?» Cominciò con un pigolio, prima di raddrizzarsi e ricordarsi la promessa che aveva fatto a Rufy. Doveva essere più coraggioso.
«Fatevi avanti!»
Un movimento alle sue spalle lo spaventò, ma incredibilmente si trattava di uno dei soldati che aveva cercato di mangiarlo al suo arrivo.
«Ehi, ma…» provò a richiamarlo, ma quello scappò nella direzione opposta urlando.
 Quella zona era troppo all’interno della foresta per essere parte del loro territorio e, per la verità, era anche per lo la prima volta che ci entrava. Doveva esserci qualcosa che impediva loro di arrivare fin là a procacciarsi cibo o legna, eppure credeva che l’isola fosse disabitata a parte per gli animali e la tribù. Provò a ispezionare la zona e si rese conto che avvertiva una strana sensazione, come se qualcuno lo stesse osservando; prese il sacco e s’incamminò nella direzione da cui era arrivato il soldato, seguendo l’olfatto che gli indicava un odore strano e mai sentito. Dopo circa mezz’ora sentì un nuovo fruscio e capì di essere seguito, ma la cosa non lo impensieriva: se avessero voluto attaccarlo, l’avrebbero già fatto visto che era relativamente disarmato e solo.
Per lo più lo sosteneva la curiosità e la volontà di scoprire qualcosa che potesse poi aiutarlo a tornare dalla sua ciurma con qualcosa di diverso, magari una nuova capacità.
Quando passò un’altra ora di cammino e cominciò a pensare di essersi irrimediabilmente perso, sentì lo scorrere dell’acqua di una sorgente e vide una strana luce luminosa in un ampio spazio tra la folta vegetazione di fronte a lui. Da quella parte gli alberi erano così rigogliosi e intricati da creare una specie di muraglia, ma in quell’anfratto poteva facilmente scorgere una radura spaziosa e, soprattutto, luminosa.
Chopper sorrise vittorioso e quasi dimenticò la sinistra sensazione di poco prima, buttandosi incautamente nel varco e restando sconvolto a quella vista: di fronte a lui, nel bel mezzo della spiazzato disseminato di foglie, c’era un enorme poignee griffe che gettava luce dorata tutt’intorno; la scritta era la stessa misteriosa e antica di quelli incontrati ad Alabasta e Skypiea e ovviamente lui non era in grado di leggerla. Tuttavia, quella vista non poteva fare altro che trasmettergli una sorta di timore reverenziale, unito al percezione precisa che, qualunque cosa avesse spaventato il soldato, fosse legato a quell’oggetto misterioso. Con un’ultima occhiata scioccata, Chopper vi si sedette davanti e aprì l’agenda, cercando di trascrivere quanti più dettagli potessero servire a Robin per le sue ricerche.
Più scriveva, più si chiedeva cosa ci facesse un poignee griffe lì, in un isola all’apparenza piccola e sconosciuta, dispersa nel Mare Meridionale; fino a quel momento, gli era sembrato che gli altri fossero in luoghi di una certa rilevanza mitica o storica, mentre adesso… probabilmente c’era ancora molto che non conoscevano di quel mondo.
Dopo aver trascritto tutto quello che poteva, anche quello che non poteva capire, chiuse l’agenda con un tremolio lungo la spina dorsale; praticamente fremeva dalla voglia di conoscere qualcosa di più, ma purtroppo erano davvero poche le persone capaci di leggere quelle parole; si promise di tornare a studiarlo più e più volte, magari imparando i simboli in modo che Robin potesse tradurli attraverso di lui. Con quel nuovo proposito in mente si rialzò con nuova energia e si avvicinò al grosso blocco notando, sulla sua sinistra, un blocco più piccolo di un bianco accecante; era come una piccola lapide.
Fece appena qualche passo a toccare la sconnessa superficie di marmo, cercando di intravedere il nome cancellato dalle intemperie, che qualcosa lo colpì alle spalle e tutto diventò nero.
 
Isola Karakuri, regno di Barjimoa – Rotta Maggiore
L’isola di quel dottore pazzo della Marina era il posto perfetto per iniziare il suo progetto di rinnovamento. Dall’incidente con il Puffing Tom aveva deciso che, se proprio non poteva tornare indietro, avrebbe rivoluzionato il proprio corpo rendendolo sempre migliore. Se farlo per mare era difficoltoso, quello era il posto giusto per fare sul serio: non c’era nulla in quel laboratorio che poteva dire inutile, niente che non era meno che geniale. Quell’uomo doveva essere davvero fuori dal normale.
«Ok, al lavoro!» Esclamò, guardandosi intorno.
Il piano era raccogliere tutte le cose che potessero servirgli e, intanto, ispezionare anche l’intera zona: potevano esserci un mucchio di cose interessanti abbandonate lì nella polvere; arrivò a un grosso portellone sigillato che riuscì ad aprire solo con un colpo ben assestato e si ritrovò in un lungo corridoio monotono.
«Delle celle… cool!» Esclamò, mentre lanciava un’occhiata alle numerose stanze che punteggiavano il corridoio; ognuna era diversa dall’altra, però tutte erano rivestite di uno strano materiale scuro e compatto. Ormai erano quasi tutte vuote, fatta eccezione per qualche tavolo operatorio sommerso da cianfrusaglie, però continuava comunque a stupirlo la grandezza e la precisione di quel posto: tutto sembrava essere esattamente dove doveva e c’erano tanti di quegli strumenti strani che, a confronto, lui era un pivellino.
Comunque fu l’ultima stanza quella più interessante: rispetto alle altre sembrava un vero e proprio studio, caldo e accogliente; in un angolo c’era una scrivania ingombra di documenti, uno schedario che decise al volo di analizzare e un attaccapanni con dei camici.
«E questo cos’è?» Si allungò a spostare una giacca e osservò bene il mantello appeso al pomello arrugginito: era bianco, con degli strani disegni sul bordo che gli ricordavano qualcosa di indefinibile, qualcosa che aveva visto e che aveva spostato in un angolo remoto della sua memoria.
«Bah, sarà una cavolata» decise, scrollando le spalle. Un scricchiolio sinistro lo richiamò verso l’armadio della stanza nel quale, sotto strati di vestiti ammuffiti, c’era una specie di robot. Franky lo osservò per qualche attimo, indeciso sulla forma: sembrava una specie di piccola talpa con l’elmetto e i baffi. Bizzarro.
Per quale motivo uno dei più grandi geni del Governo doveva passare il suo tempo a creare una cosa del genere? Notando che questo aveva una specie di sistema sul tronco, allungò una mano per attivarlo ma, appena premette il piccolo pulsante giallo nel mezzo, un’esplosione lo fece sussultare.
«Che diamine…?» Lanciando un’ultima occhiata al robottino, Franky compì la strada a ritroso, correndo verso l’entrata; le esplosioni provenivano dallo spiazzato innevato che circondava il laboratorio altrimenti desolato. Se c’era qualcuno che cercava guai, sicuramente non era una buona notizia per lui.
Nel frattempo, all’esterno della cupola d’acciaio, qualcuno leggeva con una certa indifferenza il cartello di ingresso vietato che lo stesso Vegapunk aveva piantato molti anni prima.
«Come se servisse a qualcosa…» stava mormorando lo sconosciuto, prima di essere raggiunto da un’altra persona incappucciata.
«Sempre stato uno così socievole e simpatico…» ironizzò, mentre il primo roteava lo sguardo.
«Piantala, siamo qui per una missione ricordi? Allora, c’è qualcuno o no?»
Un terzo li raggiunse correndo, poi srotolò una pergamena lasciata cadere da un uccello messaggero «I nostri informatori dicono che qualche settimana fa qualcuno è precipitato dal cielo, fracassando il soffitto del laboratorio».
«Quindi non si tratta certo di lui» concluse l’altro, tornando a guardare il portellone di ingresso.
«Per quanto sia sempre stato un eccentrico, dubito che abbia in uso di entrare nei suoi laboratori in questo modo».
«Un’altra battuta e ti rispedisco alla base, Tellem. Se Vegapunk non è qui, perché ci sarebbe qualcuno nel suo laboratorio? Cosa stanno cercando?» Ribatté, stizzito.
Gli altri due si lanciarono un’occhiata «La Marina» provò a dire uno, condensando tutto l’odio che provava per quel nome.
Il secondo scrollò la testa e riguardò la pergamena «La lettera ci informa anche di questo: pare che un pirata con un certo potere abbia disperso una ciurma in vari angoli del mondo e uno sia finito qui…»
«Il frutto Nikyu Nikyu!» Esclamò il primo. «Dunque è così… sapete qual è il nostro scopo. Chiunque sia, deve allontanarsi dal laboratorio a qualsiasi costo…»
Proprio in quell’istante, la zazzera blu di Franky fece capolino dalla porta.
«Eccolo…» sibilò uno dei tre, per poi scattare all’attacco seguito a ruota da un altro incappucciato.
Franky se ne accorse appena in tempo e riuscì a fermare i due bastoni che brandivano con la forza delle braccia; nonostante fosse molto forte, riuscì a percepire il rinculo che quel colpo gli causò e capì perfettamente che quello non era legno normale.
«Cosa diavolo volete?»
Un incappucciato roteò il bastone sulla testa e si mise in posizione d’attacco «Questo posto non è affar tuo. Vattene e non ti verrà fatto alcun male».
Franky digrignò i denti «Nient’affatto! Weapons Left» gridò, mentre il polso destro si apriva a sparare una potente cannonata che i due evitarono facilmente.
Mentre i tre lottavano, il terzo uomo misterioso osservava la scena con interesse, analizzando lo strano sconosciuto dai capelli bizzarri; fu a un certo punto, quando uno dei suoi colleghi stava per sferrare un colpo abbastanza forte da atterrarlo, che urlò.
«Fermatevi!»
Gli altri due si paralizzarono «Kauma?!»
L’altro osservò Franky per qualche altro istante, poi fece cenno agli altri due di allontanarsi prima di sparire velocemente verso la città. Franky non ebbe il tempo di dire o fare nulla, che gli altri due sparirono come lampi nella tempesta.
«Cosa diavolo è successo?» Borbottò, più confuso che mai.
«Padrone?» Una vocina sottile alle sue spalle lo fece girare di scatto »Eh?»
Tuttavia non c’era nessuno… o almeno così credeva, fino a quando una piccola manina di metallo non gli tirò i pantaloni: era il robot dell’armadio, quello che doveva aver azionato prima delle esplosioni.
­«Ohi…» mormorò, non sapendo bene che fare.
«Padroni andati via?» Fece ancora con la vocina acuta, indicando la strada dove erano spariti i tre uomini. Franky inarcò un sopracciglio e guardò nella stessa direzione.
D’accordo, cosa c’era sotto a tutta quella storia?
 
Nave Bianca – Qualche punto imprecisato della Rotta Maggiore.
Robin osservò l’infrangersi delle onde sul legno chiaro della paratia con distaccato interesse; gli ultimi avvenimenti erano ancora troppo densi di dubbi per poter essere analizzati in uno sguardo d’insieme: la divisione della ciurma, quella strana isola, il salvataggio, i rivoluzionari, la Guerra di Marineford e il messaggio di Rufy… avvenimenti gettati l’uno sull’altro senza spiegazione apparente a fare da collante, senza un filo conduttore da poter seguire.
«Dove stiamo andando?» Provò a chiedere a uno dei militanti, anche se sapeva che era inutile.
«Aspettiamo il comandante» disse solo quello, con tranquillità. Non c’era la stessa subordinazione rispettosa e ordinata della Marina o l’inferiorità sprezzante della Baroque Works; era come un semplice dato di fatto: tutti contribuivano, tutti erano legati allo stesso ideale, ma l’unico che sapeva dove si andava e cosa si faceva era Dragon.
E tutti sembravano esserne felici.
Robin sospirò, tuttavia dei passi sul ponte le fecero capire che finalmente non doveva più aspettare: con una certa emozione, celata dal solito sguardo indifferente che aveva esercitato nel corso degli anni, Robin vide Monkey D. Dragon avvicinarsi a lei con passo svelto e sicuro.
­«Nico Robin, finalmente ci incontriamo» esordì, allungandole la mano.
Robin la strinse quasi senza esitazione, trovandola innaturalmente fredda «Potrei dire lo stesso».
L’uomo annuì, con un ghigno «Per quanto mi riguarda, posso dire che ti seguo da molto tempo» fece, invitandola a spostarsi con lui verso due sedie poste a poppa della nave.
 Al suo sguardo perplesso, rise. «Non vado mai in ufficio. Bisogna tenere d’occhio il mare».
Bastarono poche parole, una risate e una stretta di mano a farle capire perché quell’uomo fosse così seguito: ogni cosa in lui sprigionava una sorta di potere, ma era sicura non si trattasse di vero e proprio Haki; piuttosto una naturale capacità di affascinare le persone. Era la stessa capacità che ritrovava in Rufy ma in quantità e qualità molto ridotte, latenti. Era sicura che Dragon sapesse bene come sfruttarla e, a differenza del figlio, fosse scevro di una qualsivoglia forma di ingenuità.
«Analizzare le persone è il primo passo per comprenderle» le fece, cogliendola in fallo.
«Perché mi osservavi?»  Provò a chiedere, intuendo che passare subito al “tu” fosse la mossa più saggia.
Dragon sorrise enigmaticamente e si allungò sulla sedia «Lo faccio ancora. Diciamo che sono queste capacità di osservazione a interessarmi. Ma sei una figlia di Ohara, non poteva essere altrimenti».
Robin sussultò a quella frase e, involontariamente, gli rivolse uno sguardo gelido «Conoscevi mia madre?»
«Certo» rispose tranquillamente lui, stupendola. «E anche tutti gli studiosi… quell’isola era una concentrazione di genio puro».
Robin cominciò a sentire il cuore batterle in petto, talmente forte che le assordava l’udito; inghiottì un po’ di saliva, spaventata all’idea di quello che stava per chiedere «Tu… tu conosci tutta la storia?»
Dragon le lanciò un’occhiata, poi incrociò le braccia al petto inclinando il capo da un lato, come per studiare i suoi gesti «Intendi il vero motivo del Buster Call? Le scoperte di tua madre e di tutti gli altri?»
Robin annuì lentamente, mentre l’altro sospirava «Sì» annunciò con circospezione. «Ma non te le rivelerò».
Il mare proruppe tra loro con un rumore assordante, risucchiando il silenzio che calò a quella risposta.
«Non fraintendermi: potremmo metterci qui e potrei raccontarti ogni cosa; probabilmente non ci metterei più di un’ora. Ma tu sei davvero sicura che vorresti sapere in questo modo?» La fissò con sguardo penetrante e Robin chiuse gli occhi, sorridendo mentre il cuori si tranquillizzava.
«No. No, non voglio. Ho avuto la mia tentazione a Shabondi e ho già preso le mie decisioni: continuerò il viaggio e scoprirò tutto ciò che c’è da scoprire».
Dragon sorrise, come se approvasse quella risposta «Immagino che Silver Reyleigh sia stato d’accordo».
Robin spalancò gli occhi di scatto e pensò che, probabilmente, quell’uomo sapeva molto di più di quello che avrebbe dovuto; tutto quello che c’era da sapere nel mondo.
«Ogni verità a tempo debito, Nico Robin. Anche se la storia è sempre quella, chi la impugna può avere il potere di trasformarla a proprio piacimento, fino a distruggerla» disse ancora. Si fissarono per un lungo attimo e Robin annuì di nuovo, perché capiva perfettamente; probabilmente l’intero corso della sua vita, la sua intera esistenza, tutta la sua visione del mondo e delle relazioni… tutto dipendeva da quella storia. Come aveva detto Dragon, in un’ora avrebbe potuto conoscere ciò che, forse, avrebbe conosciuto tra molti anni ancora, dopo una miriade di avventure e di pericoli e di delusioni e di fallimenti.
Certo, la storia era sempre quella. Ma sarebbe stata la stessa cosa?
«Rufy» fece all’improvviso lui, come a ricordarsi di qualcosa.
Il lieve sorriso sparì dalle labbra di Robin «Siamo stati divisi» spiegò brevemente, con una nota di rimpianto. Tuttavia notò lo stesso la strana scintilla che s’impadronì per un attimo dello sguardo dell’uomo; sembrava come se… come se sapesse.
«Lo so» replicò soltanto, poi continuò. «Come già detto, ti seguo da molto tempo. Vi seguo da molto tempo».
Ovviamente non aveva pensato al rapporto che intercorreva tra il loro Capitano e Dragon, anche se avrebbe dovuto: era comunque suo figlio, era normale che da lontano seguisse le sue vicende. Dragon sospirò e si alzò, dandole le spalle per avvicinarsi alla paratia.
«Sta bene. Rufy è molto, molto forte» fece lei, con tono distaccato ma con la volontà di rassicurarlo senza essere intrusiva.
Dragon sorrise lievemente mentre osservava il mare, poi fu silenzio per qualche attimo.
«Stiamo andando a Baltigo, lì c’è nostro Quartier Generale» cominciò a spiegarle e lei si avvicinò, affiancandolo. «Ho richiamato i generali delle mie armate per un meeting straordinario; gli ultimi cambiamenti richiedono nuove misure» continuò, poi le lanciò un’altra occhiata. «Puoi partecipare, se ti interessa. Potresti venire a conoscenze di numerose informazioni, molte delle quali top secret  nella maggior parte dei regni del mondo intero. Potresti persino venire a conoscenza di alcun avvenimenti precedenti all’epoca moderna e che appartengono alla guerra oscura».
«Intendi dire il secolo di vuoto?» Chiese lei, con un nuovo sussulto.
Stare accanto a un uomo con un tale bagaglio di conoscenza era qualcosa di sconvolgente.
Dragon sorrise, con indulgenza «I più la chiamano così. Però ti avverto: solo le alte cariche della mia armata possono parteciparvi; se entri nel sistema, rimani nel sistema».
Robin annuì «Se non accetto?»
«Ti farò sbarcare dove più preferisci, puoi tornare dalla tua ciurma o fare quello che vuoi. Tuttavia questo incontro non si ripeterà, non è da me richiedere una cosa due volte».
Parlarono per qualche altri minuto, poi un militante richiamò Dragon a qualche comando lasciando Robin a immagazzinare un certo quantitativo di informazioni.
Ovviamente non poteva restare sulla nave di Dragon a fare la rivoluzionaria, però poteva essergli utile in viaggio, accanto ai suoi compagni; un’occasione del genere era perfetta per ottenere gli strumenti giusti per raggiungere il suo sogno. E poi c’erano i due anni… quei due anni di attesa che la separavano dalla sua ciurma.
Robin continuò a rimuginare sulla proposta, mentre girovagava liberamente sul ponte; fortunatamente poteva parlare con chi voleva e cominciare comunque a raccogliere le idee.
«­Come si svolge il meeting dei generali, lo sai?»
Chiese a uno dei militanti che l’aveva salvata; quello terminò di bere da una fiaschetta di sake e annuì «Certo! Naturalmente non vi ho mai partecipato, perché solo i Sette del diavolo sono autorizzati».
«I Sette del diavolo?»
«Sì, sono i generali delle armate rivoluzionarie!» Esclamò un altro, indicando Dragon. «Escludendo ovviamente il Capo».
Robin annuì, prendendo una nota mentale «Solo sette non sono un po’ pochi per una rivoluzione mondiale?»
I due militanti si scambiarono un sorriso «Ragazza, quelli valgono almeno per cinquanta l’uno!»
«Sono alcuni tra gli uomini più potenti che esistano e, da soli, controllano grandi fette del mondo». Così i generali rivoluzionari erano solo sette, sette uomini molto potenti; a sentire il nome le veniva da pensare che fossero tutti possessori di frutti del diavolo. Era sicura che uno fosse quell’uomo che aveva visto accanto a Rufy, a Marineford… Emporio Ivankov. «Attenzione, ci attaccano!» Gridò qualcuno alla sua destra.
Robin aguzzò lo sguardo verso l’orizzonte e notò delle imbarcazioni meccaniche velocissime e degli uomini che sembravano soldati della Marina.
«Sono soldati!» Esclamò infatti uno di loro, sparando.
«No, non lo sono!»
In effetti era davvero strano: alcuni indossavano la divisa tipica, ma le imbarcazioni e le armi erano qualcosa di diverso. Dragon le passò accanto con la solita flemma, poi si fermò a scrutarli come fossero moscerini piuttosto fastidiosi «Non è la Marina, è lui che ci attacca! Sparate!»
Lo scontro a fuoco che seguì fu piuttosto spettacolare, ma Robin continuava a fissare il capo rivoluzionario: statuario e immobile, lasciava trasparire una sorta di irritazione sfuggente che sembrava fargli tremare il corpo.
Poi il cielo si rannuvolò, sagome di nuvole scure si condensarono sopra le loro teste e tuoni lontani rimbombarono ovunque; il mare si calmò, tingendosi del tipico color argento che richiamava tempesta. Robin continuò a fissare Dragon, convinta che quel mutamento dipendesse da lui, che comunque non stava muovendo un solo muscolo.
«Ma è lui a fare questo?» Urlò a un altro militante, mentre i tuoni echeggiavano più forte.
Il soldato scrollò le spalle come se non volesse rispondere e si avvicinò cautamente all’uomo «Capo… cosa facciamo con la ragazza?»
Dragon si girò di scatto verso di lei e, per un attimo, poté notare lo sguardo quasi vitreo che le rivolse; poi batté le palpebre e la guardò sul serio «Qual è la tua decisione, Nico Robin?»
Lei annuì «D’accordo. Farò parte dell’armata rivoluzionaria».
Annuì anche lui «Bene, ma adesso devi andare. Maden, prendi la barca più veloce e portala sulla prima isola. Aspetta un mio segnale» le fece, ma Robin scosse la testa «Posso combattere!» Urlò, mentre ormai tra pioggia e tuoni non udiva neanche se stessa.
Dragon negò «No, non mi servi qui! Ci sentiremo tra qualche giorno, ora andate!»
Robin si fece trascinare via per un braccio per qualche metro, poi si girò di nuovo ma Dragon era già sparito; le parve d’intravedere il suo mantello svolazzare sul mare, poi vide una delle piccole imbarcazioni nemiche esplodere.
«Cosa?»
«Andiamo!» Urlò Maden e, solo mezz’ora dopo, era tutto finito. Il militante si congedò con le ultime raccomandazioni e riprese il largo, mentre lei rimase lì a scrutare il mare. 
Per qualche motivo, era impossibile notare una tempesta o addirittura un rannuvolamento del cielo da lì. Nonostante fosse sempre stata una persona forte, indipendente e assolutamente controllata, si sentì per un attimo perduta: la sua ciurma era la prima, vera ancora di salvezza nella sua vita disastrata e l’aveva persa; se il breve interludio sull’isola dei lavori forzati l’aveva a malapena spossata, il dialogo con Dragon le aveva aperto antiche ferite mai rimarginate. Ora doveva solo aspettare e tutto sarebbe andato al suo posto.
 
Isola Namakura, regno Harahettania – Rotta Maggiore
 
« Questa è la nostra ultima possibilità,
chiediamo aiuto ai Signori del Grande Mare.
Il Governo Mondiale ci sta facendo pressione.
Non possiamo più difenderci.
Chiediamo aiuto ai Signori del Grande Mare ».
 
Nonostante tutto, Brook si chiedeva ancora come fosse possibile che un popolo all’apparenza potente e senza alcuno problema al mondo – se non quello di rapire innocenti, s’intendeva – vivessero in modo così triste. Ormai stava in quella gabbia da un bel po’ di giorni e aveva notato che quel popolo sembrava tutto fuorché combattivo. C’era da chiedersi se la paura della popolazione e i rapimenti fossero veri o no.  
«Mi scusi, io…» provò a dire, ma la guardia colpì le sbarre con l’elsa della katana «Silenzio qui!»
«Signore, signore!»
Un messo arrivò tutto trafilato e le due guardie si illuminarono improvvisamente «Finalmente, una risposta!» Aprirono la busta con uno strappo ma, man mano che scorrevano le pagine, il viso assumeva strane sfumature verdognole.
Brook quasi temette di vederli svenire.
«Oh, no. Non c’è più alcuna possibilità…» fece il più alto, lasciando cadere il foglio.
«Cosa? Perché? Cosa ha risposto?!»
«Che non può rischiare di inimicarsi il Governo in questo momento… siamo in trappola…»
L’espressione dei due uomini era tale che si sentì quasi in obbligo di aiutarli; approfittando del loro sconforto, provò ad allungarsi per leggere la lettera, ma non scorse che l’iniziale del destinatario – una S – e la prima riga: “Questa è la nostra unica possibilità…”
Brook alzò la testa a fissarli, poi un grido li mise tutti sull’attenti. Il capitano della guardia, che poi era quello che aveva ordinato il suo rapimento, li raggiunse col solito portamento fiero «Novità, soldati?»
«S-sì… ecco, la risposta…» balbettò uno, indicandogli la lettera.
Il capitano gli mandò un’occhiataccia e l’afferrò per leggerla, sbiancando all’istante.
«Nessuno aiuto, quindi? Neanche da loro?
«Non voglio rischiare di scontrarsi col Governo, dopo una Guerra finita così male da poco tempo…» spiegò, quasi tremando.
L’altro rimuginò per qualche istante, poi ghignò «L’unica soluzione è una sola… dobbiamo metterci in contatto con la rivoluzione» sussurrò, come se il solo pronunciare quel nome potesse scatenare una guerra.
Brook si allungò per ascoltare meglio: con rivoluzione intendevano i rivoluzionari di Dragon? E per quale motivo?
«Ma signore è impossibile cercarli da soli! Sono loro a farsi trovare!»
«Non è detto…» sibilò quello, adocchiando Brook. «Tu sei il famoso Brook il canterino, vero?»
«Yohohoho, esatto!» Rise lui,  sconvolto dal fatto che qualcuno lo chiamasse con quel vecchio nomignolo.
«Preparerai qualcosa per avvisare i rivoluzionari. Così li troveremo» annunciò, mentre i suoi uomini cominciavano a pensare che fosse impazzito. Brook rimase un attimo perplesso, poi si ricosse «Lo farò, a una condizione».
«Non sei in grado di dettare condizioni. Sei nostro prigioniero».
«La condizione è sapere perché vi serve» concluse lo scheletro, incrociando le braccia. «Se no niente rivoluzione».
Non era da lui essere così temerario, ma dopo le ultime vicende aveva capito che doveva darsi una mossa e migliorare; lo doveva alla sua ciurma, a Rufy e a Lavoon.
I Braccialunghe si guardarono, poi il capitano sospirò «D’accordo, affare fatto».
 
Un’antica terra di verde vestita,
dalle braccia lunghe che si gettano nella sommità del mare,
possedeva un potere giovane e vigoroso che, purtroppo,
sparì un tempo nel cielo tenebroso.
Così, il popolo dall’incedere maestoso finì, d’un tratto,
nelle acque di un mare spietato:
di banco e azzurro vestito, esso arrivava a strappare pezzi di spiaggia
e si ritirava con la stessa violenza verso il fondale sacro dal terreno rosso.
Niente poteva l’antica terra di verde vestita,
a parte far riecheggiare il proprio dolore nel cielo turchino
della Grande Rotta,
 sperando nella risposta del grande viaggiatore
che terre e popoli aveva già liberato.
 
Aveva sicuramente fatto di meglio, ma non era facile comporre con un’arma puntata al collo. La sua composizione non era il massimo della segretezza, però  dubitava che qualcuno avrebbe capito di cosa si potesse trattare; l’intero mondo era ancora del tutto distratto dalle conseguenze di Marineford.
«Va bene?»
«Fa vedere! Mmh, può andare. Mandatelo ovunque, presto!»
Passarono interi, lunghi giorni in un’attesa snervante; sempre nella sua cella troppo piccola, Brook osservava le espressioni tese dei suoi carcerieri. Alla fine non gli avevano detto cosa cercavano, ma era sicuro che riguardasse il loro popolo che sembrava così perduto e spaurito.
Una mattina, all’alba del quinti giorno, qualcuno urlò di un’imbarcazione in mare: era piccola, dal legno bianco come la neve e senza bandiera di riconoscimento.
Tutto l’esiguo gruppetto di Braccia lunghe, che trascinò anche lui con la forza, si presentò in spiaggia mentre lo sconosciuto attraccava; era alto ma sottile e aveva occhi gialli come fari nella notte.
«Allora, questo messaggio di aiuto è vostro?»
 
Note autore:
Buonsalve! Ecco qui gli altri membri della ciurmaglia.
Come al solito, è tutto ancora un po’ nebuloso e dubbioso, ma abbiate fede.
Non c’è moltissimo da dire, per quanto riguarda Chopper ho sempre considerato l’isola del tesoro di poco interesse, fino a quando non l’ho collegata a una cosa che viene accennata in modo insignificante nella storia e ho collegato le due cose. Ovviamente no, non vi dirò che dice il Poigne Griffe. Però posso dirvi che è uno di quelli che indica un certo posto (come quelli di Alabasta e Skypiea per intenderci).
 
Il pezzo di Franky è particolarmente importante per i dettagli disseminati, più che per il pezzo in sé. Sono curiosa di sapere che ne pensate!
 
Vabbé, la parte di Robin è volutamente pienissima. Ci sono alcuni elementi interessanti, come l’accenno al presunto potere di Dragon o all’antica storia. Il pezzo su Rufy non mi convince, ma ho pensato che Dragon non ne avrebbe mai parlato così apertamente.
I sette del diavolo sono ovviamente i generali di Dragon, ma chi sono? Avete qualche idea?
 
La parte di Brook è quella più frettolosa, mi spiace. L’ho resa un po’ maluccio credo, però è importante in futuro per quello che riguarda determinati rapporti con… beh, altre persone della storia. Senza volerlo, Brook incrocia gente che gli servirà, in futuro. Ovviamente l’ultima persona che attracca sull’isola l’abbiamo già vista.
 
Bon, è tutto. Purtroppo non posso dilungarmi oltre. Come al solito, teorie e idee sono sempre accette! Spero vi sia piaciuto anche sto pezzo.
Prossimo capitolo: Following the thread: rivedremo Jimbe e la cara vecchia ciurma di
Barbabianca. Alla prossima!
                                   
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo V: Following the thread ***


Possono chiamarmi demone, o mostro...
ma la verità è che non posso essere forte in eterno.
Che c'è di male se voglio salvare la vita ad un giovane
e ritirarmi in santa pace?
Edward Newgate.
 
Ormai sono pronto ad accettare il mio destino.
Qualunque esso sia.
Se mi venisse tesa, afferrerei la mano di chiunque volesse aiutarmi...
Ma sono anche pronto a subire la condanna di chi intende giudicarmi.
Non voglio più oppormi! Non sarebbe giusto nei confronti di nessuno!
Portuguese D. Ace
 
 
Following the thread
 
Le isole del Nuovo Mondo avevano tutte un'aria strana, soprattutto se venivano osservate da terra. Negli ultimi anni era capitato davvero raramente di farlo, perché dopotutto la Moby Dick aveva tutto quello che potevano desiderare e la conquista non era una cosa che gli interessava.
Almeno, era così quando c'era il vecchio.
«Ehi Marco, che fai?»
Marco fissò il profilo della loro nave, lì ferma in mezzo al mare; poteva sembrare una cavolata, ma a lui dava l'impressione che l'avessero abbandonata come un relitto inutile.
Glielo aveva già promesso, sia a lui che a Ace, che avrebbe mantenuto quella nave e il nome e il Jolly Roger e tutto il resto... loro sarebbero stati per sempre la ciurma di Barbabianca, sempre e comunque.
«Niente, pensavo» sbuffò, alzandosi. «Andiamo, avete finito con quei pezzi di marmo?»
«Oh, ma piantala. Sono belle!» Esclamò Rakuyou.
«Già! Il Rosso ha fatto un ottimo lavoro... e il posto è perfetto!» Continuò Namyuul, all'ombra delle due grandi lapidi che Shanks aveva fatto costruire.
Per carità, il Rosso aveva fatto un gran bel lavoro anche se non gli spettava; Marco gli era grato per tutto, ma secondo lui quei pezzi di marmo non servivano ad altro che imbrigliare lo spirito di libertà di un vero pirata. Newgate era in tutti loro, era nella loro nave, era nel mare e nel cielo, non bastava altro. E Ace... Marco si girò a fissare la lapide più piccola con una strana stretta allo stomaco: se la morte di Barbabianca gli era sempre sembrata plausibile visto il suo ruolo nel mondo, quella di Ace gli portava alla mente lo schifo dei giochi politici, degli intrighi e dell'ipocrisia; se la morte di Barbabianca era per avvenuta per la sua grandezza, quella di Ace era dovuta al solo essere venuto al mondo e non poteva sopportarlo.
Con un sospiro, ricordò improvvisamente tutti i discorsi che avevano fatto in passato sulla sua discendenza e, per contro, il suo sguardo da brivido quanto ne parlavano.
Era lo sguardo di chi sapeva di essere già morto.
Loro avevano scoperto l'identità del vero padre di Ace solo grazie alle delicate parole di quello stronzo di Kaidou. Durante uno dei soliti incontri segreti tra i due Imperatori, quello non sveva trovato niente di meglio da fare che insultare il nuovo Capitano di flotta.
«Non ci posso credere» aveva detto con un ghigno. «Newgate, mi ti sei reso conto che ti sei messo dentro casa il figlio di un vero bastardo? Roger si starà rivoltando nella sua tomba in fondo al mare!»
Ace non aveva più aperto bocca, neanche una parola.
Già allora Marco aveva capito cosa gli passava per la testa; non doveva essere facile possedere un'eredità del genere.
 
«Così il tuo vecchio era Roger, eh?» Lo apostrofò, appoggiandosi allo stipite della porta.
Ace si alzò la visiera del cappello per osservarlo un attimo, ma continuò a restare sdraiato «Già».
«E la donna?»
«Mia madre era una brava persona» sospirò Ace, fissando il soffitto.
«L'hai conosciuta?»
«No, ma doveva esserlo per forza per sopportarlo».
Marco ghignò brevemente, terminò di sbucciare la sua mela e gliela lanciò; Ace si mise a sedere per afferrarla e lo guardò con aria perplessa
«Sai, i pirati sono sempre un gran casino; figurati quando sono anche padri. Per esperienza posso dirti che non ti sei perso un bel niente. A noi non interessa comunque, è questa la tua famiglia ora».
Ace provò a sorridere, ma Marco se n'era già andato.
 
La loro amicizia era nata ed era cresciuta così: a metà tra gioco e parole buttate lì a caso.
Gli faceva rabbia sapere che la sua unica colpa era il sangue che portava.
«Marco, ci sei?»
Batté le palpebre per scacciare i demoni dei suoi pensieri e focalizzarsi su Bramenko che gli stava dicendo qualcosa «Che? Scusa, non ti stavo seguendo».
«Dicevo, qual è il piano adesso?»
«Penso che dovremmo andare a bordo della nave e lasciare questo posto... poi sarà il mare a guidarci».
«Sì. Avete sentito? Andiamo!»
Marco si bloccò di colpo e li guardò tutti, uno ad uno «Cosa state facendo?» Al loro silenzio, sospirò «Non sarò il vostro Capitano».
Gli altri si scambiarono un'occhiata «Un'intera flotta non può comandarsi da sola...»
«Non sarò il vostro Capitano. Ne abbiamo già uno, anche se non è qui fisicamente» ripeté duramente. Prima che qualcun altro potesse aggiungere qualcosa, una piccola vela spuntò dall'orizzonte piatto ad affiancare la Moby Dick.
«Chi sarà?»
Ayasu inforcò il binocolo che aveva sempre appeso al collo ed emise una sorta di squittio «Il Rosso! Shanks e la sua ciurma!».
«Perché è di nuovo qui?»
L'ultima volta che l'avevano visto risaliva a circa un mese prima, quando era terminata la guerra di Marineford e avevano seppellito Capitano e Ace. All'epoca aveva parlato con un tono strano, ma Marco era stato troppo preso dal dolore per farci caso. Nel frattempo erano giunti delle voci su di lui, su quello che stava accadendo... voci poco rassicuranti da ogni angolo del mondo.
Aveva la sgradevole sensazione che un cappio si stesse legando lentamente e inesorabilmente al collo di Shanks.
Aspettarono con una certa apprensione che la Red Force ancorasse, ma si resero conto che era una sola, la persona che si stava avvicinando a bordo di una scialuppa: Shanks se ne stava in piedi, immobile, a scrutare la riva con aria imperturbabile.
Quel giorno era semplicemente un emissario, sebbene avesse una vaga idea di cosa riguardasse la sua consegna; la mano che teneva la lettera sembrava bruciare a contatto con le rivelazioni che potevano essere contenute. Tuttavia, lui aveva sempre considerato Newegate un uomo molto intelligente anche se con un caratteraccio infernale; dubitava avrebbe mai fatto qualcosa per mettere in pericolo la sua famiglia. 
 
«Tra poco sarà il momento» disse Barbabianca, mentre le onde del mare risucchiavano ogni altro rumore.
Shanks finì di bere il proprio sakè, senza alzare lo sguardo.
«Ti ricordi cosa avevamo detto, vero? Ragazzino, dico a te!» Sbottò.
Shanks alzò lo sguardo furioso su di lui «Mi rifiuto di parlare di questa cosa».
Newgate rise con la sua risata possente, che scuoteva muscoli e terra allo stesso modo «Invece è proprio per questo che sei qui. Hai fatto una promessa».
Si fissarono per qualche istante, poi il Rosso si alzò e gli diede le spalle «Non ho intenzione di romperla».
L'altro annuì «Roger aveva ragione sul tuo conto».
«Cosa?»
«Diceva che avrebbe potuto affidarti la sua stessa vita».
Shanks si abbassò il cappello a nascondere lo sguardo «Lui dava grande fiducia a tutti».
«No, non è vero. Io voglio affidarti la vita di chi mi è più caro».
Vide le spalle di Shanks sussultare per una risata convulsa «Adesso ti fidi tanto della mia forza?»
«L'ho sempre fatto, stupido ragazzino... girati. Da' questa a Marco, quando sarà il momento...» Barbabianca gli allungò una busta bianca, senza alcun nome. «Capirà».
Il Rosso scosse la testa «Nessuno capisce mai queste cose».
«È il destino di chi sa troppo... e, purtroppo, tu sarai destinato a essere molto solo e incompreso».
Shanks infilò la busta nel mantello e sospirò «Questo sarà anche un po' per colpa tua».
Newgate rise di nuovo «Lo so. Ma non affiderei il mio mondo a nessun altro».
L'altro toccò il cappello in segno di congedo e si avviò verso la nave in ammollo nella baia «Almeno cerca di morire in modo dignitoso» gli fece, a mo' di saluto.
«Gurarararara! Sparisci!»
 
Shanks sorrise, ripensando alla promessa che lo aveva costretto ad accettare: “quando sarò morto prenditi tutto! Non lasciare una sola terra, un solo fratello, un solo figlio a quei bastardi della Marina o a gente come Teach! Tu sei l'unico che può farlo, non ci provare a deludermi!”
«Eri solo un vecchio pazzo...» fece a se stesso, mentre metteva piede sulla finissima sabbia di Roadend Island. «Salve a tutti!» Esclamò affabile al gruppo a bocca aperta di fronte a lui.
«Cosa ci fai qui?» Gli chiese Marco, facendo un passo avanti.
Shanks sospirò, prefiggendosi una fermezza che in quel momento non aveva «Sono qui per parlare con te. Da solo».
Si fissarono negli occhi per un attimo, poi tutti gli altri si dileguarono senza che dovesse ripetersi; erano davvero una bella ciurma, doveva riconoscerlo.
«Come state?» Gli chiese per prima cosa, quando furono soli.
L'altro si sedette e lanciò un sacco nel mare tranquillo «Sopravviviamo, se è questo che intendi».
Shanks lo imitò «Già. Non è mai facile quando si perde un Capitano che è stato come un padre per noi...»
Marco gli lanciò un'occhiata, pensando agli scherzi del fato: aveva vissuto anni interi a sentire la sofferenza di Ace per un padre inesistente, mentre c'era qualcuno che viveva con il diritto di poterlo chiamare “padre”.
«Posso chiederti una cosa?» 
Shanks lo guardò per un lungo attimo, però annuì «Certo».
«Perché Roger non amava Ace?» Si buttò, prima di perdere coraggio. Dopotutto stava facendo una domanda piuttosto intima a uno degli uomini più potenti del mondo riguardo a una vera e propria Leggenda. Era strano.
Però sapeva che Ace avrebbe voluto saperlo, sapeva che la sua vita era stata indelebilmente segnata da questa cosa.
L'altro si passò una mano tra i capelli ormai lunghi e sospirò «Ace ti ha mai detto questo?»
«No» replicò duramente il biondo, guardando verso il mare. «Ma io so che ci ha pensato tutta la vita».
«Roger amava Ace più di ogni altra cosa... ripeteva spesso, quando credeva che nessuno ascoltasse, che era la cosa più bella che avesse mai creato» spiegò, abbandonandosi a una risata amara. «Ironico: io so che Ace ha sofferto per l'assenza di suo padre e so che avrebbe invidiato il rapporto che lui aveva instaurato con i più giovani di noi, però ricordo ancora quel desiderio bruciante di invidia quando parlava di questo ragazzino del mare Orientale... diceva sempre che aveva il viso dell'unica donna che avesse mai amato, diceva sempre che aveva il suo stesso fuoco negli occhi e che avrebbe voluto portarlo per mare con sé quando fosse cresciuto... non fraintendermi, sono sempre stato dispiaciuto per Ace, ma io ero uno dei tanti orfani del mare che cercavano una famiglia, piuttosto che un Capitano e una ciurma. Lui era la mia famiglia e ci amava, ma se noi condividevamo i suoi pensieri di giorno, erano Ace e Rogue a condividere i suoi sogni la notte».
Marco accolse con dovuto pudore quelle parole, ma non riuscì a trattenersi dal chiedergli «Ma allora perché...?»
«Perché alcune persone sono destinate ad altro» tagliò corto Shanks. «Alcune persone sono destinate a conoscere cose, fare cose che li allontanerà da un futuro meno leggendario e sicuramente più felice...» fece, alzandosi.
Marco lo imitò senza guardarlo; capiva che era arrabbiato, anche se non era sicuro di saperne il vero motivo: parlava di Ace, di Roger o di se stesso?
«È stato il destino di Roger e, in buona misura, anche di Ace» continuò, come se gli avesse letto nel pensiero.
«Come si fa a capirlo?»
«Non lo si capisce mai fino a quando non è troppo tardi» replicò Shanks, con tono quasi triste. «A volte è il destino stesso a darti una mano, sotto forme che neanche ti aspetteresti» continuò, allungandogli la lettera di Barbiabianca e dandogli le spalle,
«Che cos'è?»
«Forse il tuo destino» si congedò il Rosso, avviandosi alla scialuppa.
Anche in quell'istante, Marco avvertì una sensazione strana strisciare sulla pelle : l'assurda, quanto netta idea che non l'avrebbe più rivisto.
Quando Shanks salì sulla nave, respirò come se non avesse mai respirato prima.
«Com'è andata?» Gli chiese Ben Beckmann che conosceva tutti i suoi timori.
«Sarà il tempo a dircelo...» replicò, appoggiandosi alla balaustra.
Ben fece un passo avanti, preoccupato: dalla battaglia con Kaidou le condizioni di Shanks erano molto peggiorate; non era solo colpa delle ferite, sebbene lo avesse visto il suo corpo segnato come un’inquietante mappa geografica, ma era tutto il resto: la promessa fatta a Barbiabianca di proteggere anche i suoi territori, le preoccupazioni dal Mare Meridionale, ora tutta la situazione di Marco e gli altri... erano mesi che Shanks non dormiva per più di due ore di seguito. Sebbene lui si fregiasse di essere un buon Secondo, pronto a sostenerlo ma sempre un passo indietro, sapeva che quella situazione non poteva andare avanti così «Vuoi riposarti?»
«No, abbiamo ancora un'altra cosa da fare».
Ben si accigliò, serrando la mascella «Stiamo girando come trottole impazzite da mesi. Dobbiamo fermarci, lo sai» ribatté, avvicinandoglisi. «Anche tutti gli altri sono stanchi e stanno cominciando a chiedersi cosa sta succedendo» gli sussurrò a un orecchio, mentre il Capitano adocchiava la ciurma che chiacchierava sul ponte.
Si guardarono per un lungo attimo, poi annuì «D'accordo: fai attraccare la nave a Estate Island, io vado a riposare».
Il sorriso di Ben fu talmente ampio che Shanks per poco lo imitò «Certo, Capitano! Ragazzi, si attracca!» Urlò poi a tutti gli altri.
Shanks scosse la testa, però mormorò un "grazie" a cui l'altro rispose con uno sbuffo senza importanza. Nonostante le nubi che si addensavano sulla sua testa ogni giorno di più, la sua ciurma riusciva a seguirlo comunque infondendogli buon umore e coraggio. Ancora una volta, Roger aveva avuto ragione quando – un giorno piovoso in acque sconosciute e pericolose – gli aveva detto: "Una buona ciurma è la cosa più importante che si possa ottenere, in un mondo come questo. Ti aiuta a non morire dentro".
Eppure molto spesso avrebbe preferito starsene da solo con le sue ferite di guerra e i suoi oneri; aveva sempre saputo che un giorno quello che aveva visto e sentito, quello che conosceva sarebbe ritornato a chiedere un tributo, ma non credeva sarebbe stato così presto. Si chiuse la porta alle spalle e appoggiò la nuca al legno massiccio, passandosi una mano sulla faccia; la morte di Barbiabianca... non doveva accadere così, non in quel modo e non così presto.
La Marina non aveva neanche la minima idea di cosa avesse smosso.
Fu solo dopo buoni dieci minuti di pensieri che si rese conto di non essere esattamente solo nella stanza: un grande corvo dalle ali curiosamente striate d'argento lo fissava in silenzio con i grandi occhi neri; ovviamente sapeva chi glielo inviava e la cosa non lo consolava affatto.
Drakul Mihawk gli aveva inviato un suo emissario solo tre volte da quando lo conosceva e non erano mai state belle notizie.
«D'accordo... fa vedere» fece, allungando il braccio.
Il corvo gracchiò e lasciò cadere un biglietto a cui era attaccato qualcosa... solo dopo si rese conto essere un piccolo quadrato di stoffa con un simbolo verde ben conosciuto.
Il biglietto recava una semplice frase: "È iniziata. Vediamoci al solito posto".
Shanks pensò che probabilmente si sarebbe riposato da morto e, continuando a quel ritmo, lo sarebbe stato presto. Fissò il pezzo di stoffa con una strana sensazione in corpo e fece dietro front; quando Ben lo vide arrivare non gli diede neanche il tempo di scusarsi con lo sguardo: scrollò le spalle con un borbottio e urlò «Ragazzi, si vira!» Poi notò il corvo, una macchia nera già lontana nel cielo azzurro, e fu con un certo astio che continuò «Isola Threepwood».
Shanks gli posò una mano sulla spalla «Mi spiace. È una cosa che devo fare».
«Già. Peccato che dimentichi di avere doveri verso la tua ciurma, prima che verso il resto del mondo» grugnì il suo Secondo.
Di solito seguiva mitemente Shanks ovunque lo portasse il mare; la scelta di Edward Newgate di passargli il testimone come Imperatore più potente di tutti i mari lo aveva reso orgoglioso, ma non felice perché sapeva che questo lo avrebbe portato a non avere un momento di pausa. Però, anche se ci provava con tutte le sue forze, non riusciva proprio a capire perché si sentisse tanto in obbligo nei confronti di Drakul Mihawk; tutti loro, compreso lui che era depositario di tutti i segreti del suo Capitano, erano all'oscuro dei loro rapporti e anche di come fossero iniziati. Era una cosa che semplicemente gli dava i nervi.
«Tutto a suo tempo, Ben» lo sentì sussurrare, mentre si allontanava.
Peccato che sentiva che il loro stava per finire.
Gli incontri con Mihawk avvenivano sempre e solo su un'isola specifica: Threepwood era un'isola brulla e senza vegetazione, con la terra rossa come fiamme e il clima perennemente ventoso. Inoltre era disabitata, cosa che la rendeva perfetta per i loro antichi scontri di spada.
Ancora adesso Shanks si chiedeva come facesse Mihawk a raggiungerlo tutte le volte, nonostante l'isola fosse così lontana dal suo regno. Eppure, appena il sole raggiungeva lo zenit esatto, eccolo che appariva nel suo mantello svolazzante con la Yunkou che proiettava un'inquietante croce gigante sul terreno.
«Sei in orario» fece, con inflessione lievemente sorpresa.
Shanks sorrise «Anche tu, ma non avevo alcun dubbio».
Gli strani occhi del Falco si spostarono leggermente verso la Red Force, dove tutta la ciurma lo stava osservando dal ponte principale. Il prodigioso Ben Beckmann, in particolare, se ne stava a braccia conserte con la mano pericolosamente vicina al calcio della sua arma.
Mihawk fece un sorriso sardonico «I tuoi uomini mi sembrano ostili».
«È stata una dura settimana» replicò solo Shanks e a quelle parole, come a un segno convenuto, tutti gli altri si spostarono verso l'interno per lasciargli un po' di privacy. «Allora...» Cominciò il Rosso, ma Mihawk lo paralizzò col suo sguardo glaciale e gli lanciò davanti quello che restava della bandiera che aveva strappato in battaglia.
«Questo è quello che resta degli uomini che mi hanno attaccato oggi».
La bandiera era ovviamente nera e il Jolly Roger mostrava due ossa verdi incrociate a un teschio con una criniera. Il simbolo di Kaidou.
«Il Re delle Bestie ti ha attaccato?»
Shanks usava lo stupido nomignolo che Kaidou si era affibbiato solo per deriderlo; conosceva a grandi linee il motivo per cui lo chiamavano in quel modo, ma non ne aveva mai avuto la prova fisica. Da ché ne sapesse, Barbabianca era stato l'unico a saggiare tutti i poteri di Kaidou.
Persino durante il loro scontro pre-guerra si erano scambiati giusto qualche colpo di cortesia; combattere con un Imperatore non era impresa da poco.
Lo sapeva lui, che aveva preferito congelare il momento a data da destinarsi, e lo sapeva Mihawk che lo guardava come a chiedergli che diavolo dovesse succedere ora.
«A quanto pare. Ricordi il nostro patto, vero?»
Certo che lo ricordava. Lui e Mihawk avevano stabilito un patto di non belligeranza molti anni prima: nessuno dei due avrebbe attaccato l'altro, né sostenuto ufficialmente nelle guerre nei confronti di altri. Quello era stato il presupposto ufficiale per la sua entrata nella Flotta dei Sette, che lo aveva reso immune anche nei confronti della Marina. Lo Status Quo era mantenuto dal fatto che nessuna dei due accordi si scontrava apertamente con l'altro e, soprattutto, con i progetti che aveva in mente. Tuttavia, a giudicare dalla sua espressione, qualcosa doveva essere cambiato. 
«Kaidou mi ha offerto qualcosa di davvero molto interessante» continuò Mihawk, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
«Davvero? E cosa ha voluto in cambio?»
«La tua morte».
 
L’allarme si propagò con tanta energia in tutto il Regno che molti pensarono addirittura a un attacco dalle terre emerse.  Jinbe, il Cavaliere del mare, si rese conto troppo tardi di cosa era accaduto e ormai la situazione era degenerata: le guardie reali avevano già dato il via alla ricerca e lui sapeva benissimo che non si sarebbero fermate davanti a niente nessuno.
«Cosa sta accadendo?» Domandò, anche se era sicuro di conoscere già la risposta, visto che il trono era misteriosamente vuoto.
«La Principessa è scomparsa!» Gridò qualcuno.
«Dovete ritrovarla a ogni costo! Priorità assoluta!» Stava dicendo Aroshi, il vice-capitano della guardia reale, scatenando il caos ovunque. Solo in quel momento si rese conto della presenza di Jinbe e gli andò incontro con aria disperata «Jinbe!»
«Shirahoshi è scomparsa?» Chiese con la solita flemma, tanto che l’altro lo guardò come fosse lui il colpevole. «Non guardarmi in quel modo, sono stato chiamato».
«Già... fosse stato per me non ti avrei disturbato, ma il Capitano voleva il tuo punto di vista sulla faccenda» replicò quello, a denti stretti.
Aroshi non faceva mistero del fatto che odiasse Jinbe per l'alta influenza che aveva a corte. Dopotutto era lui che aveva convinto Barbabianca a mettere l'isola sotto la sua protezione, così come era sempre lui che proteggeva costantemente l'isola anche se tutti si chiedevano come gli fosse possibile senza l'alleanza con qualche pirata di alto calibro. Nonostante i dubbi, però, la vita era stata molto pacifica dopo la guerra di Marineford e Jinbe continuava a essere visto dai più come un eroe.
«Oh Jinbe !» Il Capitano Ataku gli andò incontro con aria sollevata, poi si guardò intorno con circospezione. «Andiamo, meglio andare in un luogo meno affollato...»
L’altro si accigliò perché in passato non era mai stato necessario essere cauti nel suo regno: erano tutti talmente felici della famigli reale che la sola idea che qualcuno potesse far loro del male era ridicola. Eppure il Capitano lo guardava con un'espressione strana, sospettosa.
«Cosa succede ?» Domandò di nuovo, ormai stanco di chiederlo.
Ataku sospirò «Come ormai avrai capito, la principessa è scomparsa... questo è soltanto l'ultimo tassello di qualcosa. Si avvertono strani segnali nell'acqua».
Jimbe lo guardò scettico, però di solito il Capitano non era uno da lasciarsi andare ai facili isterismi.
«Cosa sappiamo fino ad ora?»
«Assolutamente nulla. Tu sai che la principessa vive rinchiusa nella Torre Blu  e l'ingresso è sempre stato controllato dalle Guardie Nere. Ho controllato e hanno pattugliato ogni ingresso minuziosamente non si sono mai spostati... ma tu lo sai meglio di me, visto che sei il loro Generale».
L'altro annuì «Ho stilato i turni personalmente. Nessuno di loro può essersi spostato senza consenso...»
«E la porta continua a essere chiusa dall'esterno. Eppure la principessa è scomparsa solo mezz'ora fa, senza lasciare traccia. Ho mandato le guardie reali ovunque e non hanno trovato nulla. Oltre a essere bravi sono anche veloci».
Il silenzio che seguì fu piuttosto imbarazzante, anche perché Jinbe sapeva benissimo cosa stava per chiedergli.
«E se... ?»
«No, lo escludo».
«Nessuno? Anche un soldato in reclutamento, qualcuno furioso con te o con l'Ordine?»
Jinbe alzò lo sguardo accigliato verso il mare «No, nessun membro del mio ordine si macchierebbe di tradimento. Potrei scommetterci la vita».
«Però sono gli unici deputati alla protezione della Principessa. Lei può uscire solo in loro compagnia».
«Lo so».
Passò qualche altro secondo di meditazione, poi Jinbe sospirò pensando che quella sarebbe stata una faccenda molto complicata «Lascia fare a me».
Ataku annuì «Mi fido ciecamente. E anche il Re, lo sai».
Jimbe si allontanò velocemente fino a raggiungere un basso palazzo ad angolo che, nero e argento, spiccava nitido tra i palazzi perlacei della città. Entrò con passo greve e subito una manciata di uomini pesce dalla divisa lucida si mise sull'attenti.
«Generale!»
«Riposatevi pure. Immagino abbiate ricevuto le ultime notizie dalla corte...» cominciò e notò lo sguardo furtivo che i suoi uomini si lanciarono. «Ovviamente si tratta di una cosa gravissima e non solo perché la principessa è scomparsa, ma perché è scomparsa quando i miei uomini erano di guardia».
«Signore!» S'intromise quello che sembrava essere il più alto in carica. «Non sappiamo ancora come si stato possibile, ma qualcuno ha anche colpito Sandor. Pensiamo si tratti della stessa persona, Signore».
Jinbe prese un'espressione stupita «Fatemelo vedere».
Sandor era un uomo-pesce di tipo Capidoglio che a malapena riusciva a starsene steso nel letto fatto su misura per lui. Era sicuramente il soldato più grosso e uno degli abitanti più possenti dell’intero mondo sottomarino; stenderlo non era esattamente uno scherzo.
Eppure ora se ne stava lì, con la fronte sanguinante fasciata, un braccio rotto e costole incrinate.
«Ragazzo, come ti senti?»
«Signore, mi spiace…»
«Non preoccuparti… dimmi solo: hai visto chi ti ha colpito?»
L’altro scosse la testa, cercando di deglutire a fatica. Jinbe sospirò deluso, ma gli passò una mano sul braccio sano «Riposati e cerca di riprenderti» concluse, uscendo dall’infermeria.
Tutti gli altri membri dell’Ordine lo fissarono, indecisi sul da farsi.
«Quali sono gli ordini?»
«Niente, andate dal Capitano Ataku. Sarà lui a dirvi in quali zone cercare… collaborate con la guardia reale».
Nonostante gli sguardi perplessi, si affrettarono tutti ad annuire e uscire di corsa. La Guardia Reale era deputata alla protezione dell’intera corte, nobili e famiglia reale compresa; ma l’Ordine delle Guardie Nere si occupava della Principessa e lei soltanto. I primi non vedevono i secondi di buon occhio semplicemente perché non sapevano, o meglio non sapevano, il perché ci fosse bisogno di soldati diversi per la Principessa.
Comunque quando uscirono, Jinbe poté finalmente tornare a respirare: la verità era che lui aveva riconosciuto perfettamente quelle ferite perché lui stesse ne aveva avute molte quando era un membro dell’Ordine; ancora adesso portava sulla pelle quei segni infausti. Controllando di non essere visto, si avviò verso l’area proibita, recintata da un alto muro: al suo interno, in un perfetto quadrato di terra verde, c’era un albero imponente dal grosso  tronco bianco e dalle fitte foglie dalle sfumature rossastre; i rami si diramavano fino a lambire la fine del mare e grosse bolle si districavano tra il fogliame fino a liberarsi nel cielo al di là del mare.
L’albero di Eva era una delle più grosse meraviglie della natura.
Jinbe andava spesso lì, quando il presente sembrava così oscuro da non poter essere rischiarato; quell’albero oltre a portare letteralmente la vita, sembrava infondere anche al serenità e la chiarezza d’animo. Rimase a fissarlo per qualche istante, poi chiamò «Shiroisame».
«Sì, capo. Sono qui».
Shiroisame era un uomo-squalo bianco dalla pelle bianchissima e dagli inespressivi occhi scuri; indossava una divisa totalmente nera che lasciava scoperte solo le mani pallide e artigliate.
«Quello che temevamo è accaduto: sono tornati e hanno rapito la Principessa. Segui le tracce e scopri cosa vogliono».
Shiroisame annuì «E le guardie?»
«Lascia che cerchino, non la troveranno facilmente. Tu rispondi solo e soltanto a me, d’accordo?»
«Sì» Shiroisame sparì a velocità impressionante, lasciando Jinbe a chiedersi cosa significava un loro ritorno, proprio lì e proprio in quel momento preciso della Storia.
Lui era sempre stato convinto che alcune storie incompiute fossero destinate a terminare in qualche modo, anche dopo tanto tempo. Sperò che quella storia in particolare non portasse solo distruzione a tutti loro.
 
Solo quando furono sulla Moby Dick con l’isola lontana, stagliata contro il cielo turchino come un’ombra, Marco decise di leggere finalmente ciò che il vecchio aveva voluto dirgli. Non aveva ancora capito se era un messaggio per lui o per l’intera ciurma, quindi decise di mettersi in un posto appartato e terminò di “leggere” la lettera con un cipiglio strano sul volto.
Aveva sempre creduto che, un giorno, Barbabianca gli avrebbe rivelato qualche grande verità e quella lettera era arrivata proprio mentre si chiedeva cosa esattamente sapesse sulle sorti del mondo. Il fatto poi che fosse stato Shanks in persona a consegnargliela gli aveva quasi fatto credere che ci fosse inciso il segreto stesso della vita.
E, invece, si ritrovava a fissare tre semplici parole in mezzo a un foglio bianco.
 
Shabondi – 80° Groove
Ikariumi.
 
Tutto lì. Nessuna grande rivelazione, nessuna spiegazione.
Marco rilesse le due misere righe: non esisteva nemmeno il Groove numero ottanta, cosa credeva di dire? Non terminò di pensare la frase, che le urla dei suoi compagni lo riscossero.
«Cosa succede?» Arrivò scivolando sul ponte principale, mentre gli altri guardavano verso il cassero con aria sconvolta.
«Si muove!»
«Cosa?» Sbottò, guardando dagli uni agli altri.
«Quel coso… l’Eternal Pose dell’Ammiraglia! Si muove!»
«Non può muoversi, ecco perché si chiama Eternal Pose» ironizzò, seguendoli all’interno.
Che lo colpisse un fulmine, l’Eternal Pose della Moby Dick – l’oggetto misterioso di cui si chiedevano la funzione da almeno dieci anni a quella parte – si stava muovendo.
«Cosa sta puntando?»
Usendon fissò la punta metallico per un attimo, poi tornò a fissare le loro facce sconvolte «Punta verso la prima parte della Grand Line».
«Ma non possiamo tornare indietro! Dovremmo circumnavigare il mondo!» Reagì qualcuno, ma la mente di Marco andava più veloce; strinse la mano attorno al biglietto di Barbabianca e ripensò all’assurdità di quella storia: “Groove numero 80”, dovevano tornare indietro.
«Ragazzi, dobbiamo virare».
«Che cosa?»
«Quell’Eternal Pose è qui per un motivo e ora sta puntando in un luogo, dobbiamo seguirlo».
Il silenzio che seguì l’affermazione fu piuttosto pesante, ma furono tutti veloci a riprendersi. Forse era dovuto alla sicurezza che Marco incarnava, forse al fatto che secondo loro era lui il naturale nuovo Capitano della flotta di Barbabianca… Fatto stava che i cipigli combattivi che fiorirono sulle loro facce dimostrarono a Marco che l’avrebbero seguito ovunque.
Sorrise, pensando che nonostante tutto Ace e Edward Newgate avevano lasciato una grande eredità all’interno di tutti i loro cuori. Poco importava ciò che accadeva intorno a loro, al diavolo la Marina, al diavolo gli Imperatori, al diavolo il mondo intero.
Loro erano la famiglia di Barbabianca e sarebbe stato così per sempre.
Avrebbero seguito il suo spirito fino all’inferno.
Mi hai lasciato una traccia da seguire, vediamo dove porta.
Marco ghignò, mentre si metteva al timone «Bene. Anche se sembra impossibile, facciamo rotta verso l’arcipelago Shabondi! Tutti in postazione!»
«Sì, Capitano!» Urlarono tutti, correndo via.
Marco posò il biglietto sulla trave di fronte a sé, in modo che lo guidasse nel viaggio. Un giorno preciso, in un momento preciso, Barbabianca si era messo lì e aveva scritto quelle poche righe; le aveva giudicate così importanti da chiedere a Shanks di portargliele.
Si era affidato a lui perché ritrovasse chissà quale verità.
Quella  era l’unica cosa importante.
«Bene. Adesso guidami».
 
Note autrice
 
So che sono in estremissimo ritardo e mi scuso. Purtroppo tra lavoro, università, palestra, salvare il mondo, eccetera, non rimane molto per scrivere… allora, questo capitolo è un po’ nì perché introduce persone che magari non interessano a tutti (a me sì, ma sono di parte :P) In realtà è un passaggio molto importante perché ci sono tre indizi fondamentali per il proseguimento della trama; insomma il messaggio di BB e il rapimento non sono messi lì tanto per, come tutto in questa storia. Fate attenzione.
Qui si parla di “seguire le tracce”, cosa che in realtà un po’ tutti i personaggi stanno facendo. So che Shanks sembra un po’ andato, ma immagino che la responsabilità che ha in determinate situazioni sia schiacciante. Come si avrà capito, lui è fondamentale.
Ancora si tratta di capitoli che mostrano tutti i personaggi, più che farli interagire tra loro.
Anche i prossimi saranno di questo tipo, spero non vi annoino. Vi anticipo più titoli, perché sono già abbozzati. Grossomodo contenuti e titoli saranno questi:
 
  • Rapporto Supernovae (a che punto sono le supernovae che saranno collegate alla trama in qualche modo).
  • Strade rivoluzionarie|Rivolutionary roads (Dove eravamo: Zoro, Usopp, Robin, Brook).
  • Storie dal passato|Histories from the past (Dove eravamo: Nami, Franky, Chopper, Sanji).
  • The Seven around the World (A che punto sono I membri della Flotta dei Sette);
  • Summits: the two faces of the Wall (Summits: Armata Rivoluzionaria/Marina).
 
Bon, alla prossima!
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI: Rapporto Supernovae. ***


Rapporto Supernovae
 
Rapporto Supernovae – File protetto.
Sotto la diretta supervisione del Grande Ammiraglio Sakazuki.
Base F4 nel Nuovo Mondo a Quartier Generale, Marineford.
Notizie dalla Grand Line affermano che due ciurme della “Peggiore generazione” che stanno cercando di raggiungere Raftel sono state definitivamente annientate.
Capone “Gang” Bege (138.000.000 di Beri), Capitano dei Pirati Firetank, è stato arrestato a largo di Coral Island.
Sebbene ancora dispersa, si ritiene sconfitta anche  la ciurma di Jewelry Bonney (140.000.000 di Beri). La nave, The Pink Tornado, è stata rinvenuta parzialmente distrutta ad Heldon Bey.
Nessuna informazione al momento riguardo le altre “Supernovae”.
 


 Quel maledetto viaggio sembrava infinito. Bagy cominciava a credere sarebbe stato meglio starsene a Impel Down, piuttosto che andarsene a zonzo senza sapere la meta.
«Ehi voi, si può sapere dove stiamo andando?» Si lamentò, guardando i suoi improbabili compagni di viaggio. Dalla battaglia di Marineford aveva ottenuto una nave e un bel po’ di uomini convinti che lui fosse un grande pirata, il che non era male; peccato avesse ereditato anche quella sottospecie di Uomo-candela che lo stava portando chissà dove.
Mr. Three, dal canto suo, si limitò a sorseggiare il cocktail dalla sedia sdraio, scuotendo le spalle con fare indifferente «Non guardare me, non sono io che ho deciso…»
Bagy inarcò un sopracciglio «Ma allora chi-» prima che potesse terminare la frase, quell’altro tizio strambo di Impel Down apparve vorticando su se stesso come una trottola impazzita.
Lo strano presentimento di poche ore prima si riappropriò di lui «Non ci posso credere… ohi tu, c’entri con tutta questa storia?»
Von Clay si girò a fissarlo con un grosso ghigno sulla faccia «Chi, io?»
Ovviamente quello voleva dire “sì”. Bagy cercò di trattenersi dall’idea di farlo fuori seduta stante, soprattutto perché prima voleva davvero capire dove volesse andare a parare. I suoi piani non erano cambiati dopo Marineford: al diavolo guerre e imperatori, il suo unico scopo era recuperare il famoso tesoro di John e basta. Da sempre era l’unica cosa che lo muoveva e nessun cambiamento epocale, compresa la Nuova Era, avrebbe cambiato nulla. Purtroppo però si ritrovava un mucchio di uomini convinti che lui avesse qualcosa a che vedere con le sorti del mondo, quindi doveva cercare di tenerseli buoni in qualche modo. E poi c’erano quei due…
Bagy si girò a fissare Mr. Three e Von Clay che discutevano di qualcosa e sospirò sconfitto; se il primo non aveva alcuna intenzione di sloggiare, il secondo era un totale enigma. A conti fatti non aveva ancora capito perché fosse sulla nave.
«Oh tu, perché non ti prendi una nave tua e te ne vai dove ti pare?» Sbottò, bloccandoli.
«Gahahahah, la mia nave è affondata mille anni fa!» Rise, lasciandoli di stucco.
Mr. Three sbuffò «Che diavolo avrai da ridere…»
«Chissenefrega della tua nave, scendi subito dalla mia!» Si scaldò Bagy, fronteggiandolo.
«Questa non è la tua nave. È una nave della Marina che hai rubato… se vuoi possiamo portarla indietro» insinuò furbo l’altro.
«Va bene, fai come ti pare…»  si arrese il clown, prima si scorgere un gabbiano che sembrava puntare verso di loro. «E quello?»
«Sembra un messaggio…» fece Mr. Three, afferrando la lettera al volo. «Ed è per te, Bagy».
«Davvero?! Da’ qua!» Bagy gli strappò di mano la lettera e la lesse velocemente, senza credere ai proprio occhi; rilesse più volte il nome per essere sicuro di non essersi sbagliato.
«Di chi è?» Provò a chiedere Von Clay.
«Di un certo Trafalgar Law».
«La Supernova di Marineford? Il Capitano degli Heart Pirate?»
«Quello…»
«E  cosa vuole?» Chiese Mr. Three.
«Un’alleanza».
 
Il Nuovo Mondo non era poi così complicato se si capiva come comportarsi; bastava semplicemente ricordarsi che era un luogo un po’ più pericoloso, estremo e folle degli altri.
E Kidd vi ci viveva come un dio.
«Capitano, quali sono i prossimi ordini?»
Kira lo guardò leccarsi lentamente le labbra come un gatto soddisfatto. Avevano raggiunto quella strana isola a forma di uovo per un motivo a loro sconosciuto, ma che pareva essere molto importante. Erano giorni che Kidd faceva  il misterioso sui loro scopi, però era pronto a giurare che avesse finalmente raggiunto qualcosa.
«Ancora pochi giorni e sapremo esattamente dove andare» rispose infatti quello, mentre leggeva il messaggio che gli era arrivato da pochi istanti. L’incontro era fissato per le tre sulla spiaggia; Kidd guardò l’orologio che indicava le due e mezza.
«E ora di andare. Tra pochi minuti avremo la strada spianata da qui allo One Piece. Nessuno potrà più fermarci».
Gli occhi di Kira si illuminarono dietro al cappuccio a righe «Sì! Chiamo la ciurma!»
Il luogo dell’incontro aveva qualcosa di inquietante, come tutto su quell’isola del resto: era un enorme uovo rigonfio dal terreno bianco e argilloso e una natura inesistente; se non fosse stato per qualche sparuto uccello, avrebbero pensato a un posto disabitato. Le uniche abitazioni erano capanne fatte di quella terra strana e paglia messa alla buona sui tetti.
«Capitano…» mormorò qualcuno in tono di avvertimento.
Il gracchiare dei corvi nel silenzio aveva qualcosa di minaccioso.
«Silenzio» tuonò Kidd, tendendo le orecchie. Lui non si fidava di nessuno al di fuori della sua ciurma e di sicuro non si fidava del piratuncolo da strapazzo che doveva incontrare.
Tuttavia il gioco valeva la candela: l’oggetto che doveva consegnargli era talmente importante che avrebbe rischiato mille battaglie per averlo. «State attenti a ogni evenienza» masticò, guardandosi attorno. Ancora pochi minuti e avrebbero saputo.
Tre meno un quarto, tre meno dieci, tre meno cinque.
Alle tre in punto qualcosa esplose poco lontano e il fragore li investì in pieno, catapultando molti di loro a parecchi metri di distanza.
«Maledizione!»
«Ci attaccano!»
Degli uomini con strane maschere apparvero dal nulla ad attaccarli e riuscirono a difendersi solo per un soffio.
«Bastardi! Chi diavolo siete?» Urlò Kidd, mentre provava a utilizzare il frutto del diavolo contro gli avversari.
«Non ti servirà il tuo potere, Capitano» gli rispose quello che sembrava essere il capo del gruppo. Era spuntato dal fumo creato dalle esplosioni ed era riuscito a colpirlo con un lungo bastone di legno intarsiato a cui erano attaccate alcune strane catene, piume e simboli misteriosi. Kidd parò il colpo piuttosto difficilmente «Ve lo ripeto: chi cazzo siete?»
L’uomo era alto e magro con il petto nudo segnato da pitture e simboli sconosciuti, mentre le spalle erano coperte da un mantello di pelle; la maschera che portava sul volto era di legno.
Kidd lo squadrò a lungo, ma solo quando adocchiò una grossa “M” sulla cintura un lampo di comprensione lo investì «Voi siete gli uomini di Big Mom» fece e non era una domanda. I suoi uomini gli si avvicinarono, ormai circondati, e l’uomo si sfilò la maschera: aveva inquietanti occhi scavati e grigi, che sembravano risucchiare tutta l’energia del volto, e pelle molto scura. Parlava con voce profonda, come se ve ne fosse un’altra compressa in quel corpo smagrito. Fottutamente inquietante.
«Cosa volete?»
«Siamo qui per te, Eustass Kidd. Puoi scegliere se venire con le buone o con le cattive, non mi importa. Gli ordini sono stati chiari: la tua ciurma non ci serve».
Gli altri uomini si avvicinarono minacciosamente alla sua ciurma. Kidd avvertiva la tensione di Kira e la sua voglia di sangue, ma il suo intuito gli diceva che non avrebbero mai potuto sconfiggerli. Gli piaceva fare fuoco e fiamme, tuttavia era anche abbastanza intelligente da capire quando mollare. Un lento ghigno gli si disegnò sulla faccia e cominciò a ridere «Così “L’imperatrice dei Morti” ha bisogno di me?»
L’uomo non batté ciglio, si limitò a fare un gesto ai suoi uomini che si ritrassero «Cosa hai deciso, Capitano?»
L’altro si accigliò, riflettendo velocemente: ormai non c’erano più speranze di incontrare l’uomo che gli doveva portare la chiave del loro viaggio. Tuttavia era ancora possibile ricontattarlo, da vivo; se avesse rifiutato il gentile invito del’Imperatrice, probabilmente avrebbe avuto metà della sua ciurma decimata o peggio e non poteva permetterselo, non in quel momento.
«E sia» fece solo, ricominciando a sogghignare. Quell’incontro poteva persino portargli qualcosa di buono: non si era mai sentito che Big Mom avesse bisogno di qualcuno… poteva essere interessante. Lanciò una sola occhiata a Kira e alla sua ciurma, prima di avviarsi con passo sicuro e schiena eretta dietro agli uomini dell’Imperatrice.
L’imbarcazione con la quale erano venuti a “prenderli” era qualcosa di spettrale, a metà tra un vascello fantasma e una zattera malconcia. Ne aveva visti di mezzi idioti, tipo il sottomarino del chirurgo folle, ma quello li batteva tutti: le vele erano squarciate in più punti e penzolavano come liane cadaveriche sul legno marcescente degli alberi; il ponte era ridotto ancora peggio, tra un buco da cannonata e uno sfregio da abbordaggio violento.
C’era da chiedersi come fosse possibile rimanesse anche solo a mollo.
Kidd fissò significativamente il capo-banda, inarcando delicatamente un sopracciglio.
Quello rispose con un ghigno sardonico, poi gli diede le spalle «Andiamo» comandò, con voce intrisa di sarcasmo.
«No, davvero. Questa bagnarola può navigare?»
«A noi non serve navigare…»
Kidd sentì Kira alla sua destra mandare una maledizione sottovoce, poi avvertì il terreno mancargli sotto i piedi. Non vi volle molto per capire che stavano volando.
«Merda!» Corse fino alla paratia e si sporse di sotto, dove il mare giaceva parecchi metri sotto di loro. Era mai possibile che nessuno avesse mai notato un veliero fantasma volante?!
«Capitano…» Kira e Kidd si fissarono per qualche secondo, poi si resero conto di non essere più soli: attorno a loro c’erano ben altre sei navi, tutte molto simili in termini di degrado, che volevano alla stessa velocità. Una fottutissima flotta.
E poi c’era lui.
Fu con un certo sconvolgimento che Kidd osservò, alle spalle del compagno, uno degli uomini sul ponte della nave di Big Mom; era un pirata alto, dai lunghi capelli biondi e portamento nobile.
«Basil Hawkins…» sussurrò.
L’uomo al timone seguì il suo sguardo e scrollò le spalle «È solo il terzo Capitano di flotta».
Solo. La taglia di Hawkins ammontava a 249.000.000 di Beli ed era una delle più alte in circolazione. Quanto poteva essere potente quella donna se un pirata forte e imperturbabile come Basil Hawkins era solo uno dei suoi tanti capitani?
 
Le guardie si spostarono di lato con una deferenza che gli mise un certo disagio. Erano anni che non metteva piede in una base della Marina, figurarsi nel Quartier Generale.  
«Signore…»
E poi tutti quegli uomini che lo chiamavano “signore”. Drake non pensò neanche per un momento di farsi imbambolare dalla recita di quei tirapiedi; dietro tutti quei sorrisi e inchini c’erano i sordidi piani del Grande Ammiraglio. Il corridoio che stava percorrendo, osservato a vista da guardie inesperte, sembrava infinito; ebbe il tempo di vagliare tutte le possibili ipotesi di quella chiamata, prima di giungere davanti al massiccio portone dell’ufficio.
Non alzò nemmeno il pugno per bussare, che una voce dura lo anticipò «Avanti».
Erano anni che Drake non vedeva di persona Akainu – o per meglio dire, Sakazuki – tuttavia scommetteva che non fosse cambiato poi molto. A parte l’aspetto fisico inevitabilmente invecchiato, e di colpo dopo l’ultima guerra, il Grande Ammiraglio mostrava il solito carattere algido, ben sottolineato dallo sguardo tagliente che gli rivolse.
«Drake…» sibilò, non appena le porte gli si richiusero alle spalle. «È un piacere rivederti» fece, con un leggero tono ironico.
L’altro sbuffò, soprattutto considerando la gentilezza con la quale i soldati lo avevano convinto a seguirlo: al largo di Shabondi, avevano attaccato e bloccato la sua nave prima che potesse salpare per il Nuovo Mondo insieme a tutte le altre Supernovae. Il risultato era che i suoi uomini stavano a mollo nella baia della base militare, in stato di arresto, mentre lui era lì a riesumare fantasmi del passato.
«Perché sono qui?»
Sakazuki si alzò dal divano con una certa destrezza, il mantello che portava sempre sulle spalle recava scritto, a caratteri cubitali “Giustizia assoluta”, una cosa che Drake non avrebbe mai più dimenticato finché era in vita.
«Se qui perché ho una missione per te» replicò, con calma impassibile.
Drake sentì ogni muscolo del suo corpo vibrare per l’indignazione «Non sono più un uomo della Marina, non mi interessa» sbottò, girandosi di spalle.
«Non così in fretta, X» grugnì quello, in tono dispregiativo.
Drake si fermò: quella lettera faceva parte del suo nuovo nome da pirata e lo esibiva quasi con orgoglio. Tuttavia sapeva che pronunciato da lui aveva tutto un altro significato.
«Sono lieto di notare come tu ti sia dimostrato così sfrontato da mostrare il tuo petto in pubblico così imprudentemente» continuò a dire, lasciando scivolare lo sguardo sulla grande X impressa sul torace nudo.  
Drake sogghignò come raramente faceva «Non ho più niente da temere da quella vita, Sakazuki. Le ho detto addio molto tempo fa e non ho intenzione di nascondermi».
Akainu si passò le dita sul mento, fingendosi pensieroso «Ti è stato piuttosto facile arrivare fino a questo punto, considerando la tua forza e le conoscenze che hai del Governo o della Marina, Drake…»
L’altro attese quieto l’affondo finale, mentre gli occhi vagavano nell’ufficio alla ricerca di qualche indizio sulle sue prossime mosse.
«… ma supponiamo che decidessi di riaprire vecchi fascicoli ormai caduti nel dimenticatoio… non ti sarebbe più così facile sopravvivere».
Lo sguardo del pirata si accese «Non cambierebbe nulla… sono già ricercato dalla Marina; un capo di imputazione in più non mi farebbe certo dormire meglio» sbottò, sulla difensiva. Incrociò le braccia al petto e attese; lo sapeva che c’era altro perché il ghigno del marine era troppo ampio per non destare sospetti.
«Non cambierebbe niente se parlassi solo dell’ex contrammiraglio della Marina disertore. Ma io e te sappiamo che c’è ben altro» ribatté, gettando sul tavolo che li divideva una cartellina rossa. Drake non ebbe bisogno di vederla per sapere cosa c’era scritto; a quanto pareva, un passato ben più antico e infausto stava tornando a reclamare la sua testa.
«Tu non puoi avere quelle informazioni» sputò con stizza, mentre una sottile paura di faceva largo nella sua mente.
Il Grande Ammiraglio sorrise – un sorriso raro, che per questo faceva ancora più paura della sua arcigna maschera – e reclinò la testa su un lato «Oh, invece direi di sì…»
Drake adocchiò solo una parte del vasto tatuaggio che si allargava su mezzo busto, spalle e braccio sinistro di Sakazuki, ma gli bastò «Tu! Sei sempre stato tu!» Urlò, mettendosi in posizione di attacco.
«Io» replicò tranquillamente l’altro. «Mettiamola così: Se non accetti le mie condizioni, questo e molti altri file saranno aperti e mi premunirò ad addossarti tante di quelle colpe che quando avrò finito risulterai essere l’unico responsabile di ogni cosa».
Drake digrignò i denti «Tu più di chiunque altri dovresti sapere che ero solo un attendente! Non ho nulla a che vedere con le decisioni prese dai vertici di allora!»
«Già. Buffo come tra una verità e l’altra ci sia solo la mia parola, vero?» Fece Sakazuki, con voce flautata.
Drake cominciò a sudare freddo: riaprire quella storia voleva dire riportare in vita un passato molto pericoloso, che travalicava il destino stesso del mondo. Significava rituffarsi a piene mani ai tempi del Grande Vuoto e di azioni che mai avrebbe voluto compiere. Ancora adesso, a distanza di anni, se chiudeva gli occhi poteva udire le urla di tutte quelle persone e vedere le fiamme distruggerne i corpi… Chiuse gli occhi ed espirò lentamente «Va bene» sapeva di stare facendo un patto con un diavolo di cui non poteva fidarsi, ma non aveva altra scelta. «Cosa devo fare?»
Non vide il ghigno di vittoria del Grande Ammiraglio perché quello si era già voltato verso la porta, indicando a qualcuno di entrare «Ex contrammiraglio Drake, immagino tu abbia già conosciuto Jewelry Bonney?» 
«Lasciatemi, brutti stronzi!»
I soldati le lasciarono i polsi e Bonney cadde sul pavimento davanti alla faccia sbalordita di X Drake. La ragazza gli lanciò uno sguardo carico d’odio «Ha comprato anche te, mh?»
L’altro fu veloce a nascondere quello che provava dietro un’espressione di degna freddezza «Temo di no, signorina».
Bonney lo guardò con aria indecifrabile, poi Sakazuki la tirò in piedi con malagrazia «Bene, voi due avete una missione da compiere. E pregate di non fallire».
 
Kishu lanciò un’ultima occhiata attraverso il varco della fitta foresta: la ciurma era ferma da almeno due ore e non prevedeva si sarebbe mossa a breve; aveva sentito due degli uomini dire che si sarebbero fermati sull’isola almeno per due giorni, a riposare.
Finalmente una missione tranquilla.
Fu con una certa calma quindi che si allontanò verso la spiaggia in attesa di notizie dalle altre missioni; gli erano giunte delle voci interessanti riguardo una deviazione di qualcuno dei loro proprio sull’isola madre degli uomini che stava seguendo.  Era davvero curioso di saperne qualcosa di più, ma solitamente era proibito contattarsi tra Generali durante le missioni: il pericolo di intercettazione era sempre alto e Dragon voleva evitare spargimenti di sangue inutili.
Tuttavia la situazione sembrava piuttosto tranquilla e dubitava seriamente che qualcuno di quegli stupidi pirati si fosse reso conto di essere seguito. Quell’isola, poi, era talmente sperduta che neanche le mappe la segnalavano.
«Qui, Kishu… Ci sei, stupido gatto?» Provò a chiamare. Il lumacofono trasmise qualche scarica elettrica, poi la voce stizzita del compagno gli arrivò spezzata all’orecchio «...mettila di chiamarmi “gatto”, idiota».
Kishu ghignò, mostrando denti affilati «Sì, sì, scusa. Allora, cos’è questa storia della deviazione?»
«E cos’è questa storia del contattarmi? Le conosci le regole!»
L’altro roteò lo sguardo in cielo. Kumei era pure un tipo forte, ma seguiva fin troppo alla lettera le regole. Erano rivoluzionari, mica marine!
«Sono in pausa al momento…» replicò, lanciando un’altra occhiata in direzione dei pirati On Air. «Dimmi tutto».
L’altro sospirò nell’apparecchio e cominciò una spiegazione che Kishu capì a metà; le scariche elettriche aumentavano sempre nel Nuovo Mondo e le comunicazioni  erano complicate. Tuttavia non osavano mai usare canali più puliti, perché erano gli stessi utilizzati dalla Marina.
In tutto quel discorso capì solo “braccia lunghe” e “uomo-scheletro”.
«Di che accidenti stai parlando?»
«Ho detto: le tribù braccialunghe sono in pericolo e… uno scheletro… chiamato».
«Va bene, va bene. Ne riparliamo alla Riunione Generale» si arrese Kishu, riattaccando.
Non vedeva l’ora di concludere quella specie di missione e tornar a Baltigo per qualche tempo. Sapeva già che non si sarebbero riposati per più di mezza giornata, ma era già qualcosa rispetto agli interi mesi passati per mare in compagnia della solitudine.
Il summit strategico dei generali era stato rimandando a causa dell’attacco di quello scienziato pazzo alla Nave Bianca mentre navigavano nei pressi di Zoltan, dove la ragazza di Ohara era stata lasciata fino a data da destinarsi. Kishu era veramente curioso di conoscerla, dopo tutte le voci che si condensavano su di lei da anni a quella parte; sapeva che faceva parte della ciurma del figlio di Dragon e la cosa non faceva che accrescere l’interesse. Voci dicevano che sarebbe diventata un Generale, altre che Dragon volesse sfruttare le sue conoscenze della lingua perduta… probabilmente la verità stava nel mezzo e lui, come al solito, l’avrebbe scoperto solo alla fine. Dragon aveva un modo molto inusuale di portare avanti i suoi piani e di solito tutto veniva definitivamente deciso solo con il summit generale, mai prima.
A conti fatti, erano tutti in pausa fino a nuovo ordine.
«Kishu, rispondi…» La voce profonda di Dragon lo richiamò dal lumacofono che aveva lasciato attivo come da protocollo.
«Sì, capo. Sono qui…»
«Coordinate» fece severamente la voce.
«Mmh: Red Moon Island, a poche miglia dal passo del diavolo. La ciurma è attraccata qui da due giorni».
«Bene. Mi aspetto un rapporto completo nelle prossime ore, poi ti chiedo di ritornare alla base: sta accadendo qualcosa. Dobbiamo riunirci al più presto».
«Sì, capo!»
Riattaccarono quasi nello stesso istante, poi Kishu ritornò a fissare attraverso il varco nel fogliame: quello dalle lunghe braccia in mezzo alla ciurma doveva essere il Capitano, Scratchmen Apoo.
Gli sembrava incredibile essere a pochi passi da lui e non poter fare nulla; in quel modo avrebbero risolto molte questioni, ma a quanto pareva il piano di Dragon era ben più complesso.
Non gli rimaneva che tenerlo d’occhio, anche se a giudicare dal fare annoiato non sembrava avere nessuna meta specifica. Stava giusto pensando di buttare giù un rapporto veloce e tornarsene alla sua imbarcazione, quando un’ombra che si allungava alle sue spalle lo fece girare di scatto: c’era qualcuno, nella radura dietro di lui, che gli sbarrava il passo alla spiaggia e relativa salvezza.
Kishu non si diede neanche la pena di sfilare l’arma che aveva alla cintura, perché tanto pochi erano i combattenti che potevano impensierirlo; l’unico rischio era che potessero mandare a monte la copertura com’era capitato a Sabo e la sua missione. Non ci teneva a vedersi soffiare l’occasione da un perfetto sconosciuto.
L’ombra si rivelò essere un uomo corpulento, quasi un gigante, dalle ali sulle spalle e il ghigno persistente. Non aveva bisogno di sforzarsi per capire di chi si trattava: Urouge era uno delle cosiddette Supernovae, il gruppo di pirati novellini che tanto terrorizzava la Marina.
Se ne stava immobile a parlare in un grosso lumacofono portatile.
«L’ ho trovato… sì, è qui attraccato con tutta la sua ciurma. Sarà uno scherzetto avvicinarlo e proporgli un accordo».
A quanto pareva, il suo scopo era quello di parlare con Scratchmen Apoo e convincerlo di qualcosa. Quello voleva dire solo una cosa per lui: la sua missione era in pericolo.
Kishu attese che terminasse di parlare e mettesse via la ricetrasmittente, poi sguainò il lungo pugnale che aveva nella cintura e gli sbarrò il passo «Spiacente, amico. Non posso proprio lasciarti fare quello che credi» gli disse.
Lo sguardo di Urouge si offuscò per un attimo e vagò su di lui alla ricerca di segni di riconoscimento. Quando vide la fascia rossa in vita, praticamente l’unico segno di identificazione che i rivoluzionari amavano concedersi e che non tutti conoscevano, ghignò «Oh, la mia missione sarà più facile del previsto. Mi basterà catturarti».
«Fatti sotto, allora».
 
 
Note autrice:
We wish you a Merry Christmas, we wish you a Merry Christmas ♪
Auguriii! Spero abbiate passato un buon Natale, che abbiate mangiato fino a scoppiare e siate tutti felici palle rotolanti! Dal canto mio, sto per scoppiare. Ma ci tenevo a pubblicare il capitolo (forse l’ultimo) prima della dipartita a causa di troppi dolci. Orbene, il capitolo è più breve del solito e particolarmente mal scritto, ma abbiate pazienza. Ho dovuto lottare a graffi e morsi per rubare il computer ai miei e impegnarmi a scriverlo (i bei tempi in cui avevo il mio pc personale… il tempo di ritornare a casa dopo le vacanze, sigh).
Come già annunciato, questo capitolo si occupa delle Supernovae e di qualche collaterale.
O almeno dei novellini che mi interessano, lol.
Qualche leggero elemento di Oda l’ho tenuto, ma come avevo già specificato all’inizio la storia avrà poco a che vedere con l’originale. Da apertura si nota come ci sia un bel rapporto che va direttamente nelle placide e candide manine di Cane Rosso. Sakazuki ha notevoli interessi nel seguire le Supernovae da vicino.
Di Capone sappiamo che fa una brutta fine e, francamente, ho pensato di lasciarlo così già che non mi interessa molto. Law è sicuramente uno dei più interessanti e anche se avevo capito il legame con Do Flamingo praticamente da subito, non mi è molto piaciuto come Oda ha sviluppato la sua storyline. Ne so poco eh, però da quelle voci che mi sono arrivate non mi è piaciuta. Ho deciso di sviluppare un’idea mia, ma sicuramente l’elemento di collegamento con Do Flamingo ci sarà (anche se molto diversa perché la stessa storia del Fenicottero sarà diversa). Ho tenuto il fatto che sia Bagy che Law diventano due membri della Flotta dei Sette, ma il loro ruolo sarà molto da “ago della bilancia”, direi.
Su Kidd, invece, ho una gran bella storia e spero che vi intrighi. Avviso da subitissimo che la mia Big Mom è totalmente, completamente, assolutamente diversissima da quella di Oda. Il progetto iniziale è molto vecchio, nato molto prima di Marineford, e quindi quando è apparsa nel manga non ho avuto cuore di cambiarla. Vi dico solo che è molto più spettrale, drammatica e dark di quella di Oda; ha una storia dura e non credo piacerà a tutti. Uomo avvisato… la sua storia è strettamente legata a Kidd e anche a Barbabianca per certi aspetti. Ho provato a dare qualche indizio con i suoi uomini, ma si chiarirà tutto a tempo debito.
Comunque il suo soprannome dovrebbe dire tutto; ricordo i soprannomi dei quattro Imperatori:
Shanks – L’Imperatore Rosso.
Edward Newgate – L’Imperatore Bianco.
Kaidou – L’Imperatore Bestia/ Re delle Belve
Charlotte Linlin – L’Imperatrice dei Morti.
I primi due si riferiscono per lo più ai colori dei capelli e sono inventati da Oda. Per Kaidou “Re delle belve” è di Oda, il primo è mio giusto perché così è in linea con gli altri. Quello di Big Mom è mio. So che la storia di Basil Hawkins è strana, ma ha un motivo… diciamo che le caratteristiche piratesche di Basil sono, per coincidenza, le stesse che ho creato per la “mia” Imperatrice quindi i due erano perfettamente collegabili.
I più attenti avranno già collegato il pezzo di Scratchmen Apoo/Urouge ad altri due pezzi del passato, per la precisione a Nami e Brook. In questo modo si cominciano a delineare delle linee guida, diciamo, tra più parti del mondo e più personaggi.  
E arriviamo a Sakazuki/Drake… io ho sempre creduto che ci fosse qualcosa di più dietro al personaggio di Drake, ma ormai non ne sono poi tanto sicura così ho pensato di rimediare: Drake è un ex membro della Marina, quindi quasi sicuramente è entrato in contatto con Akainu. Io ho immaginato ci sia qualcosa di profondo e l’indizio è da rivedere nei segni che entrambi si portano sulla pelle e che rendono Akainu così consapevole di molte cose. Sottolineo che è lo stesso motivo che lo lega a Guremausu. Diciamo che i tre hanno un passato in comune.
Su Bonney non mi esprimo. Le teorie sulla sua vita si sprecano e vorrei davvero sapere le vostre! Chi è Bonney, secondo voi?
Bon, dovrei smettere di fare le note più lunghe dei capitoli, ma ho sempre paura che risulti tutto un parto incompresibile… ovviamente fatemi sapere! Mi piacerebbe, ancora una volta, conoscere i vostri punti di vista, cosa ne pensate della storia in sé, se vi sembrano idee plausibili…
Mi spiace credere di parlare da sola, ecco XD
A parte Akemichan  e Ladychan__ che recensiscono praticamente ogni capitolo e che ringrazio infinitamente!  
Bon, al prossimo: Strade rivoluzionarie|Revolutionari Roads. 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII: Rivolutionary Roads|Strade rivoluzionarie ***


Capitolo VII
Strade rivoluzionarie|Rivolutionary roads
 
« La conoscenza della Storia è fondamentale per plasmare un futuro giusto.
Impugna il Passato e rivoluzionerai il Presente ».
Memoriale del Quinto Sacerdote
 
 
Firewell Island – Rotta Maggiore
Il silenzio della foresta era tale che il frusciare dei rami al suo passaggio sembrava una fucilata nelle orecchie. O forse era solo la tensione che irrigidiva muscoli e sensi.
Robin non era mai stata una persona particolarmente ansiosa e la vita che aveva condotto fino ad allora l’avevano resa più dura e impassibile di quanto avrebbe voluto. Eppure faticava ancora ad abituarsi alla divisione della ciurma e quello stato di incredulità si era protratto sino ad allora e per tutto l’incontro con Dragon e i suoi rivoluzionari. Dopo tanti giorni a rimuginare, si stava ancora chiedendo se davvero lo aveva incontrato e gli aveva parlato, sul ponte bianco dell’ammiraglia; se davvero le aveva chiesto di sapere, se davvero aveva visto uno sprazzo dei suoi poteri leggendari… tutto quello stupore non era da lei.
Finalmente riusciva a vedere uno spiraglio di luce, dopo giorni in cammino nella fitta boscaglia: un varco si apriva verso Est, lasciando intravedere il limitare di quello che sembrava un villaggio. Forse poteva addirittura trovare ospitalità e del cibo.
Con un sorriso si avviò in quella direzione con maggiore velocità, ma dovette bloccarsi a causa di alcune aspre voci poco distanti.
«Maledizione…» sussurrò, nascondendosi velocemente dietro bassi cespugli.
Erano quattro uomini intenti a bivaccare attorno a un fuoco. Anche tra le ombre della foresta vedeva chiaramente che indossavano divise conosciute: due di loro portavano la classica casacca bianca della Marina, sbottonata sul petto, e fucili appoggiati alla schiena; gli altri indossavano varianti simili, con occhialoni da viaggio sulle fronti ferite.
Robin era sicura fossero gli stessi uomini che avevano attaccato la Nave Bianca al largo.
Si accoccolò meglio tra i cespugli, cercando di non fare rumore, e attese; stavano parlando a voce molto bassa e quello che avevano da dire le interessava molto.
«Maledetti bastardi» stava dicendo uno, esaminandosi la manica lacerata che mostrava una ferita piuttosto profonda sull’avambraccio sinistro. «Me la pagheranno amaramente al prossimo attacco».
«Certo…» mugugnò un altro di pessimo umore.
«Cosa avresti da ridire?»
«Che lo dici tutte le volte, ma non si è mai visto che quelli si siano fatti trovare impreparati!»
«È solo questione di tempo!» Rimbeccò quello ferito, sicuro di sé.
Un terzo fece un verso sprezzante «Io dico che dovremmo lasciare perdere… tutta questa storia è solo un enorme spreco di energie e tempo».
Il quarto, quello più silenzioso della compagnia, rise amaramente «Sì, come no. Spero che glielo dirai tu all’inventore che ci arrendiamo…»
«Così ci fa mozzare la testa, no grazie!» Sbottò il primo, buttando altra legna sul fuoco. «Vi dico io come stanno le cose: lui ha il controllo della Marina e ogni cosa che decide di fare ha l’appoggio incondizionato dei piani alti. Quindi non ci conviene affatto remargli contro…» Ci furono vari mormorii di assenso, ma uno sbuffò «Stai scherzando, spero. Dubito seriamente che Akainu voglia avere qualcosa a che fare con Vegapunk. Non avete sentito le voci?»
Altre risate, poi uno di loro si alzò «Intendi dire “il Grande Ammiraglio Sakazuki”. Non si fa più chiamare col vecchio nomignolo, ora che è il capo della baracca. E sì, le ho sentite le voci…»
«Quali voci?»
«Pare si siano scontrati a viso aperto, dopo il fallimento dei suoi cloni a Shabondi. Ma non so altro, come sai ora sono molto più attenti a non fare trapelare niente…»
«Già. Sia quel che sia, noi siamo solo le ultime ruote del carro e ci tocca stare a qualsiasi ordine».
«A proposito di ordini… cosa dobbiamo fare, adesso? Siamo su questa merdosa isola da una settimana, ormai!» Fece uno di loro, sputando a terra con stizza. Guardarono tutti quello ferito che, probabilmente, era il capo della spedizione.
Lui provò a scrollare le spalle, non senza dolore, e adocchiò il lumacofono che aveva messo su una roccia «Hanno detto che avrebbero chiamato dal Quartier Generale. Possiamo solo aspettare».
«Lo sanno com’è finita la missione?»
«Lo sapranno presto…» commentò quello silenzioso.
Aspettarono, ognuno immerso nei propri pensieri per altri dieci minuti, poi il lumacofono si attivò.
«Ci siete?» La voce era bassa e calma, ma tagliente come una lama di rasoio; non dovette pensarci molto per capire che si trattava proprio di lui, il leggendario scienziato del Governo. Robin sentì il cuore che batteva e si avvicinò inconsapevolmente per ascoltare: quella poteva essere una scoperta epocale, tanto più che pochi al mondo conoscevano qualcosa dell’uomo che sembrava aver rivoluzionato il mondo.
«Sì, capo!» Esclamarono all’unisono.
Robin notò che, nonostante i bei discorsi di poc’anzi, erano spaventati da lui, anche se la sua voce era talmente bassa da risultare innocua; aveva la sensazione che fosse una di quelle persone che non alzava il tono per farsi ascoltare piuttosto erano gli altri ad avvicinarsi per udirlo.
«Bene. Sono stato ragguagliato sull’esito della missione» annunciò, facendo piombare un silenzio teso. I soldati si guardarono, indecisi sul da farsi.
«Signore…» cominciò il biondo ferito, senza sapere in realtà come continuare.
«Non interrompermi. Voglio che andiate subito via da lì; sono sicuro che i  rivoluzionari attaccheranno l’isola» spiegò brevemente.
Questa volta lo sguardo fu ancora più preoccupato.
«Dove dovremmo andare, Signore?» Chiese tranquillamente quello silenzioso.
«Tornate alla base. Un’imbarcazione è attraccata nella baia di Sarmon, ad Ovest. Io sarò lì».
La comunicazione venne interrotta senza attendere risposta e gli uomini balzarono in piedi all’istante. Non immaginavano che Vegapunk in persona sarebbe arrivato a prelevarli e quello voleva dire soltanto una cosa: la loro missione segreta era in pericolo. Robin, dal canto suo, stentava a credere di avere tanta fortuna: probabilmente avrebbe potuto vedere lo scienziato in persona, sebbene era fuori discussione riuscisse a parlargli anche solo per dieci minuti. Avrebbe avuto così tante domande da fargli, ma non era sicura fosse qualcuno di cui fidarsi; anzi, le voci che circolavano su di lui erano tutto fuorché positive in quel senso.
Si riscosse quando vide che i soldati avevano già spento il fuoco, pronti a incamminarsi e si preparò a seguirli; fece fiorire qualche orecchio nascosto alla base delle loro armi, così poté ascoltarli per tutto il tragitto facendosi un’idea ancora più chiara dell’uomo chiamato Vegapunk. Parlavano di un uomo imperturbabile e serio, tuttavia poco severo; erano spaventati dalle ripercussioni che la loro missione poteva avere sulle decisioni future, ma non erano preoccupati del fallimento in sé, segno che non era abituale per loro essere puniti per le missioni non riuscite. Era sicura che se davvero Vegapunk fosse stato in combutta con Akainu avrebbero avuto molto più timore.
Per un attimo, ripensò all’uomo dai tratti rigidi che, illuminato dalla sola luce delle fiamme, guardava senza battere ciglio la distruzione di Ohara e la morte di tanti innocenti… quella era l’unica occasione in cui rischiava sempre di perdere i controllo; poteva capire l’onore della divisa sostenuto da gente come Sauro o Garp, persino Aokiji… ma quella crudeltà infinita travestita da dovere era quello che di più falso e immorale esisteva. Una vuota e pura volontà di fare del male in nome di qualcosa che non esisteva.
«C’è qualcosa che non va…»
La voce dei soldati la fece ritornare alla realtà giusto in tempo per rendersi conto che c’era davvero qualcosa che non andava. Un sibilo si espanse nell’aria e, nel silenzio della foresta, sembrava ancora più minaccioso; ebbe giusto il tempo di notare una piccola imbarcazione della Marina attraccata al molo in attesa, che un esplosione la accecò per un istante, rendendo tutto bianco.
«Merda!»
«Ci attaccano!»
Avvertì altre esplosioni, delle urla e vide la nave ondeggiare violentemente sul mare agitato dalle vibrazioni. I rivoluzionari spuntarono dalla fitta boscaglia a colpire i tre soldati, mentre altri uomini della Marina uscivano dalla nave a dare manforte.
Lei neanche se n’era accorta della loro presenza tra i rami, sebbene fosse molto esperta nello spionaggio. Quello voleva dire che l’armata rivoluzionaria aveva ben più di sette grandi Generali, tra le sua fila.
 Osservò lo scontro con un certo distacco, indecisa se parteciparvi o meno; in realtà lei guardava al di là, oltre i due gruppi che si combattevano, verso la nave. Doveva sapere, doveva vedere l’uomo che, solo, era fautore delle più grandi scoperte della storia.
Cominciò a fare qualche passo in quella direzione, poi una mano rigida e fredda le si serrò attorno al braccio.
«Ma cos-»
Dragon la guardò con un certa severità, poi scosse la testa «Lascia stare, credimi».
Si fissarono per qualche istante, poi avvertirono uno spostamento d’aria e qualcuno che correva.
«È lui» sibilò Dragon, ma Vegapunk – se davvero era lui – era già sparito.
L’uomo sospirò, ordinò a tutti di cercare in giro, poi tornò a guardarla «Noi dobbiamo andare».
«Ma-» Robin esitò, tornando a guardare l’imbarcazione ormai vuota.
«Ci aspetta un lungo viaggio verso Baltigo, dobbiamo muoverci».
Al solo sentire quel nome sussultò e la pelle cominciò a formicolarle, chissà se per l’impazienza o il timore. Baltigo era un nome stagliato nella leggenda, al pari di Raftel; era l’isola dalla terra bianca, il mondo dei rivoluzionari, la città della libertà per eccellenza… mille nomi, mille storie, probabilmente tutte vere. Baltigo era una tappa fondamentale, un tassello unico per chiunque volesse scoprire la verità del mondo. E lei stava per andarci.
Cercando di mantenere la calma, sorrise «Bene».
Dragon le sorrise di rimando «Allora andiamo».
 
Isola Greenstone, Arcipelago Boyn – Rotta Maggiore
La nave della Marina era armeggiata nel porto più piccolo dell’isola, quasi non volesse farsi notare. Cosa tra l’altro impossibile perché, come gli aveva detto Heracles, era molto raro che la Marina o esponenti del Governo arrivassero da quelle parti.
Usopp si riportò gli occhiali-binocolo sulla fronte e meditò il da farsi: poteva essere pericoloso per lui mostrarsi, soprattutto perché nessuno sapeva che i membri della loro ciurma erano ancora vivi; se davvero lo scopo degli Ammiragli era ucciderli, forse era meglio per loro restare fuori dai casini ancora per un po’. Il fatto che fosse stato inviato addirittura un contingente militare e non diplomatico era sospetto; Heracles gli aveva suggerito di non mettersi in mezzo, però doveva capire se erano lì per lui e, di conseguenza, se erano tutti in pericolo.
Per combinazione fu proprio due soldati della Marina che si trovò a incrociare nella locanda all’estremo confine del villaggio, quasi al limitare della foresta. Fortunatamente era stato abbastanza previdente da portarsi il mantello, così si avvolse e si calcò meglio il cappello sulla testa; entrò cercando di sembrare naturale e si sedette proprio dietro i due che, come poteva notare meglio da quella posizione, non erano affatto due soldati bensì dei Viceammiragli.
Cosa ci facevano addirittura due viceammiragli in quella parte sperduta del mare?
Usopp si allungò un po’ di più sul tavolo e si mise all’ascolto; i due uomini sussurravano, ma fortunatamente c’era abbastanza silenzio da captare qualche frase.
«Dicono che il vecchio sia sparito dalla circolazione» stava dicendo quello con una folta barba bionda. Era sicuro di averlo già visto durante la guerra di Marineford.
«Già, ma sono sicuro che non sarà così difficile trovarlo. Basterà fare le domande giuste» replicò minacciosamente l’altro, spegnendo la sigaretta che stava fumando sul tavolo di legno. Quello era sicuro di conoscerlo perché Robin gliene aveva parlato: era il Viceammiraglio Onigumo, col potere di trasformarsi in un ragno. Era stato uno dei responsabili del Buster Call di Ohara.
L’uomo con la barba sbuffò «Lo sapevo che sarebbe finita così… quest’isola è un calderone pronto a esplodere in qualsiasi momento».
«Se vuoi sapere come la penso, la cosa poteva essere risolta molto prima e in modo tranquillo…» insinuò l’altro. «Ma con il nuovo Grande Ammiraglio le cose andranno sicuramente meglio…»
Il suo tono non gli piaceva affatto e, a giudicare dall’espressione dell’altro Viceammiraglio, neanche lui sembrava troppo convinto «Intendi come con Ohara?»
Usopp si allungò sulla sedia senza neanche accorgersene: stavano parlando del Buster Call di Ohara, quello in cui erano morti tutti quegli studiosi?
«Pensaci… quel è l’unico metodo per cancellare totalmente un problema?» Domandò retoricamente Onigumo, con un ghigno sprezzante.
«Non possiamo certo eliminare la famiglia reale di quest’isola… ci servono per proteggere il Poigne Griffe, lo sai» fece l’altro, abbassando il tono.
«Non è altro che un blocco di pietra di un passato che a nessuno interessa. Non serve a niente tenerli, l’importante e che nessuno li legga. E poi tolta la fonte, eliminato il problema».
Il silenzio che seguì quell’informazione, fece capire a Usopp che ci stavano pensando seriamente a quell’eventualità; da parte sua non poteva fare altro che starsene bloccato a tremare come una foglia: non solo c’era un Poigne Griffe potenzialmente fondamentale per la storia del mondo, ma probabilmente avrebbe potuto pure causare un disastro. Non riusciva però a capire quale fosse il ruolo di Heracles in tutto quella storia… doveva parlargli!
Si alzò cercando di non farsi notare, tuttavia era troppo agitato e gli costò fatica non scappare via; si scontrò con il proprietario della locanda che gli mandò un’occhiata fin troppo perplessa «Ehi! Ma tu…»
Probabilmente gli avevano raccontato della sua incursione nel villaggio di qualche settimana prima, per non parlare del fatto che lui conoscesse “l’eroe” che aspettavano. Doveva andare via da lì!
«Ehm, mi scusi signore…» borbottò, calcandosi meglio il cappuccio sulla testa. Non osò girarsi per verificare se i due marine l’avessero notato e, appena fuori, scappò velocemente verso la foresta. Fortunatamente ritrovò facilmente Heracles che, lo sapeva, spesso se ne stava a pescare gli strani pesci del laghetto Taberu nel folto, ben nascosto tra gli alti alberi.
«Heracles!» Urlò, appoggiandosi a un tronco per il troppo sforzo.
L’uomo si alzò la visiera dell’armatura nera e lo fissò, perplesso «Che succede, ragazzo? Sei stato di nuovo attaccato dall’albero mangia-spine?»
«N-no, non c’entra niente! Ci sono due Viceammiragli della Marina in città!» Sbottò, spaventato. Forse era una sua impressione, ma notò uno strano luccichio nei suoi occhi, anche se sparì un istante dopo.
«Non verranno mai nella foresta» rispose con sicurezza. «Conoscono perfettamente i suoi pericoli».
Usopp si accasciò su una radice massiccia e sospirò «Ma parlavano di un Poigne Griffe nascosto sull’isola!» Continuò, notando con la coda dell’occhio come fosse sbiancato. «E poi parlavano di un vecchio da cercare… e di un Buster Call… la cosa mi preoccupa!»
Heracles sospirò profondamente, osservando la superficie tranquilla del lago «È una cosa che dicono sempre, ma non attuano mai…»
«Ma dicevano che ora che c’è un nuovo Grande Ammiraglio…»
Heracles lo interruppe con un sbuffo di disprezzo «Aha, Akainu crede di poter tenere tutto sotto controllo, ma ci sono cose che persino lui non può fare».
Usopp sospirò sconfitto per un secondo, poi ci ripensò e strinse i pugni con coraggio «Io devo sapere, Heracles. Devo tornare dai miei compagni, gliel’ho promesso. Devo sapere se rischio di non tornare da loro, devo capisci?» Si alzò, fronteggiandolo.
L’uomo posò la canna da pesca e lo fissò per un attimo «Credo che questa sia la cosa più audace che tu abbia fatto nelle ultime settimane, compreso lottare con le piante carnivore».
Usopp deglutì «Mi sono messo in viaggio perché voglio diventare un uomo coraggioso. C-come… come mio padre».
Heracles lo guardò come a volergli leggere dentro, poi annuì «D’accordo. Vieni con me».
S’inoltrarono sempre di più nel folto della foresta, in una zona che Usopp non aveva mai visto. Fin dall’inizio, Heracles gli aveva indicato i luoghi in cui poteva allenarsi, quelli più pericolosi e più tranquilli, ma quella zona gliela aveva sempre proibita.
C’era uno strano silenzio lì, come se gli uccelli neanche vi passassero di sfuggita a riposarsi sui rami, ed erano ormai talmente lontani che non si sentivano neanche le voci dal villaggio. 
«Dove stiamo andando?»
«Sempre più all’interno, nel cuore stesso dell’isola. Nessuno osa passare attraverso la foresta, molti non sanno neanche che esiste» spiegò Heracles, tagliando qualche ramo che gli ostruiva la vista. A un certo punto si fermò e poso il palmo della mano su una superficie dura e ruvida «Ah, eccolo».
«Cos’è un muro?» Usopp alzò il naso all’insù, ma non vede altro che pietra e piante rampicanti.
«Ti ci vuole una visione di insieme. Sali su quegli alberi laggiù».
Annuì e cercò di salire più in alto possibile, fino a che non ebbe una visione completa: c’era un blocco di granito piuttosto malridotto, scheggiato agli angoli e quasi totalmente sommerso dai rampicanti; le scritte in una lingua sconosciuta erano quasi invisibili.
Un altro Poigne Griffe, finalmente.
Pensò all’istante che Robin avrebbe voluto saperne qualcosa di più, così ritornò da Heracles e cominciò a fargli qualche domanda «Sai cosa c’è scritto?»
L’altro intanto si era tolto l’elmo (era calvo, Usopp non l’aveva mai visto senza) e si stava asciugando la fronte con un fazzoletto, seduto su una grossa radice «Non proprio, ma so che si parla dell’isola di luna».
«Che cosa?»
«Raftel. L’isola ai confini del mondo».
«Ohh…» Usopp tornò a guardare il Poigne Griffe con aria sognante. Cosa non avrebbe dato per capire cosa c’era scritto… forse una parte importante era lì, davanti a lui, e non poteva nemmeno capirla. «E perché quegli uomini sono qui?»
«Il compito di nascondere questo segreto appartiene alla famiglia reale di quest’isola da sempre. Ecco perché riescono a mantenere il potere nonostante abbiano ridotto la popolazione praticamente in schiavitù».
Usopp si passò una mano sul mento, pensieroso «Quindi la tua rivolta…»
«Li ha allarmati, sì. Pensano che il segreto sia stato svelato, ma in realtà conoscevo la sua esistenza da molto tempo».
«M-ma quindi cercano te! Devi scappare subito!» Cominciò ad agitarsi, muovendosi un po’ a caso. La sua mente viaggiava veloce: doveva trovare un’imbarcazione e trasferire Heracles sull’isola più vicina; anzi doveva andare con lui, perché se lo vedevano era un guaio. «Dobbiamo trovare un modo per andare in paese e prendere quello che ci serve…» continuò a dire, buttando giù un piano.
Heracles lo guardò con aria triste, poi sospirò «Non ce n’è bisogno…»
«Ma cosa dici, certo che dobbiamo farlo! Se ti trovano, ti arresteranno!» Sbottò Usopp, scuotendogli una spalla.
«Tu non hai ancora capito come ragione il Governo… Faranno sempre di tutto per ridurre al minimo i problemi e, soprattutto, per evitare che la gente sappia. Piuttosto eliminano la causa alla radice. E da quando ho memoria, hanno un solo metodo per annientare le complicazioni legate ai Poigne Griffe…»
Usopp si allontanò da lui con passo malfermo «V-vuoi dire…»
«Ohara era solo l’inizio».
Al limitare della foresta, a qualche metro di distanza, il Viceammiraglio Dalamata era in collegamento con la base centrale della Marina.
«Voglio un controllo accurato e meticoloso. Al minimo dubbio, voglio che non resti nulla di quell’isola, neanche il ricordo. Chiaro?» La voce di Akainu era minacciosa, mentre accarezzava il lumacofono d’oro posto accanto a quello d’argento sul “tavolo della morte”, come la chiamavano i soldati. Dalamata scambiò un’occhiata con Onigumo e annuì «Certo, signore».
Parecchi chilometri più in là, nel pieno del mare fortunatamente tranquillo, qualcuno abbassò il lungo cannocchiale da spionaggio «Ci siamo. I due marine stanno per addentrarsi nella foresta, tenetevi pronti».
Gli uomini cominciarono a preparare le armi per lo sbarco, mentre il lumacofono anti-intercettazione suonava «Pronto, Dragon?»
«Sì, com’è la situazione?» La voce del capo rivoluzionario suonava tranquilla, tuttavia sapevano tutti che era una corsa contro il tempo. Akainu poteva richiamare il Buster Call in qualsiasi momento e non si sarebbe fatto alcuno scrupolo, lo sapevano.
«Sono appena entrati nella foresta. Ho calcolato che abbiamo circa un’ora per sbarcare e tentare di rovesciare il potere senza che se ne accorgano».
«Bene, procedi».
Interruppe la comunicazione, poi allungò le mani sulla superficie « Ice Age» pronunciò con voce profonda, congelando un lungo tratto di mare fino a riva.
 
Isola Namakura, regno Harahettania – Rotta Maggiore 
Il gruppo dei Braccialunghe continuava a fissare lo sconosciuto come se avesse due teste, anche dopo circa qualche giorno che era attraccato sull’isola. Gli avevano offerto cibo e un posto per dormire, tuttavia non riuscivano ancora a credere che fosse lì per aiutarli, così come non riuscivano a credere fosse davvero un rivoluzionario. Per gran parte del mondo, i “rivoluzionari” erano un’entità unica e sconosciuta che appariva sottoforma di leggenda per poi perdersi nei meandri di racconti sussurrati da un paese all’altro. Anche il grande Dragon viveva nei loro pensieri come una sorta di Essere misterioso, qualcosa che andava persino al di là dei pirati, osando sfidare i segreti più profondi del mondo.
Invece lì, di fronte a loro, c’era uno che diceva di essere addirittura un Generale della rivoluzione e, a ben guardarlo con quegli occhi gialli come fari e il fisico esile, era più inquietante che altro.
«Allora, tu sei Brook della ciurma di Rufy, vero?» Gli fece improvvisamente.
Brook annuì «Yohohoh, esatto! Conosci Rufy?»
Kumei ghignò, mostrando canini da gatto «Diciamo di sì… »
«Ehi tu, cosa puoi fare per aiutarci?!» Li interruppe aspramente uno dei Braccialunghe, proprio mentre quello cercava di dire qualcosa  Brook.
Kumei lo fissò con sufficienza, poi scrollò le spalle «Assolutamente nulla».
«Che cosa?!» Il gruppo cominciò a insorgere, ma lui si limitò ad alzare una mano «Questo è qualcosa di cui avevamo già discusso. Il piano di allora non cambia» replicò freddamente, guardando il capogruppo direttamente negli occhi.
Brook si girò dall’uno all’altro con curiosità, ma non osò chiedere nulla; per il suo aiuto aveva ottenuto di essere liberato, ma si aspettava che da un momento all’altro decidessero di rimetterlo in prigione, quindi era meglio non concentrare l’attenzione su di sé.
«Ma qualcosa di diverso c’è comunque» continuò il rivoluzionario, alzandosi di colpo. «E probabilmente siete tutti in pericolo» aggiunse, mentre il lumacofono suonava spezzando la tensione. I Braccialunghe si guardarono con una certa impazienza e attesero di capire chi potesse essere all’altro capo.
Kumei si allontanò un attimo, con una pessima sensazione; erano mesi che gli strisciava addosso e quella chiamata sembrava concretizzarla. A parte Kishu e la sua curiosità, era davvero chiaro che, se lo chiamavano durante una missione così importante, c’era qualcosa di grave nell’aria «Dimmi».
«Sei lì?» La voce di Kishu era talmente flebile che riusciva a sentirlo a malapena.
Kumei lanciò una veloce occhiata al gruppo, con un sospiro «Sì».
«Non ce l’ho fatta. Stanno arrivando» mormorò solo l’altro, prima di attaccare.
«Maledizione. Kishu! Rispondimi!» Urlò, imprecando a mezza voce. Nessuno di loro avrebbe mai lasciato cadere il lumacofono anti-intercettazione facilmente, doveva essere successo qualcosa. «Maledizione!» Non era tipo da agitarsi, ma quella situazione stava sfuggendo di mano a tutti.
«D’accordo… io ora vi ordinerò qualcosa e voglio che seguiate i miei ordini, chiaro?» Fece, rivolto a tutto il gruppo.
«Perché dovremmo?!»
«Perché il vostro principe è in pericolo e noi stiamo tentando di salvarlo» ribatté, lasciando cadere un silenzio pesante su tutta la radura.
Il capogruppo fece un passo avanti «Cosa dobbiamo fare?»
«Scappare. Vi trasferirete su un’altra isola. Loro stanno arrivando» continuò sbrigativamente, poi si girò verso Brook. «Tu, invece verrai con me. Avrò bisogno di un aiuto».
Brook annuì, perché tanto doveva passare ancora un po’ di tempo dall’incontro con i suoi compagni «D’accordo».
«Preparatevi a partire il prima possibile. Qui Kumei, chi c’è all’ascolto?» Fece poi nel lumacofono, sperando che qualcuno potesse raggiungere l’isola il prima possibile.
«Sono io» rispose una voce femminile. «Cosa succede?»
Kumei sospirò di sollievo «Una squadra a Red Moon Island, c’è un codice nero. Subito».
«Verrò io» fece sicura la voce. «Tu contatta Dragon».
«Sì. Stai attenta» replicò Kumei, poi compose il numero speciale collegato al solo lumacofono rosso del capo rivoluzionario. «Capo…»
«So già tutto. Andate via subito» fece la voce sempre imperturbabile di Dragon.
«Ma l’isola…»
«Sto arrivando io».
Kumei si limitò ad annuire. Dragon in persona sarebbe arrivato a contrastarli, quindi non c’era più nulla da temere. «D’accordo. Andiamo».
 
Regno di Shikkearu, isola Kuraigana – Rotta Maggiore
Perona osservò con una certa inquietudine la vena rabbiosa che pulsava sulla fronte di Zoro, chiedendosi per la milionesima volta se fosse il caso di fidarsi o meno dell’uomo che stava raccontando tutte quelle cose. I lunghi capelli bianchi e le rughe suggerivano un’età piuttosto avanzata, ma il fisico era asciutto e scattante; era riuscito a neutralizzare l’attacco di Zoro piuttosto facilmente e quella era la cosa che la preoccupava di più.
L’uomo diceva di chiamarsi Shujin e aveva l’aria di avere molte cose da raccontare.
«Quindi» stava dicendo Zoro, con un certo disprezzo. «Mi stai dicendo che il Signore di quest’isola è un nobile mondiale
Perona alzò gli occhi al cielo: e tre. Era la terza volta che glielo chiedeva. Cominciava a pensare che avesse preso una qualche botta forte alla testa.
Shujin annuì «Sì. Mihawk “Occhi di Falco” è  l’unico discendente di una delle famiglie più potenti del mondo» poi osservò la sua espressione e sorrise, incrociando le mani. «La cosa ti sconvolge?»
«Bah…»
Non era facile spiegare la sua reazione a un completo estraneo: Mihawk era il suo scopo da raggiungere, era l’uomo da battere, era il limite che si era imposto per il suo viaggio. Non era solo un questione di forza, era qualcosa che andava oltre: l’averlo risparmiato solo perché aveva apprezzato il suo sogno, il suo decidere di non combattere contro Shanks il Rosso durante la guerra… gli avevano ritratto un uomo d’onore e ciò che aveva visto dei nobili mondiali non aveva nulla di onorevole. Per un attimo gli tornarono in mente le immagini di persone uccise a caso per divertimento e di un uomo con la testa infilata in una specie di boccia. No, non poteva provare nessun tipo di rispetto per un uomo di quel tipo.
«I Draghi Celesti sono i discendenti delle venti famiglie che, secoli fa, hanno dato vita al Governo Mondiale ma non sono tutti uguali. Quelli che hai conosciuto a Shabondi sono solo un piccolo esempio» fece l’uomo.
«Eh? Come lo sai che pensavo a loro?»
Shujin prese un’aria furba «Perché lo so. C’è ancora molto che tu e tutti gli altri dovete scoprire del mondo, mio giovane amico… e sicuramente la storia del Governo Mondiale è una di queste, ma non sarò io a raccontartela».
Zoro sospirò «Allora perché mi stai dicendo tutto questo?»
«Perché io conosco te e conosco il motivo del tuo viaggio… tu e i tuoi compagni siete stati separati, ma devi ricordare che tutto accade per un motivo. Se sei qui e perché qui dovevi essere» spiegò quello, sempre più enigmatico.
«Adesso basta» annunciò Zoro alzandosi e ponendo casualmente la mano sull’elsa. «Voglio sapere chi sei e come fai a sapere tutte queste cose».
«È già troppo tardi» sussurrò Shujin e, nello stesso istante, sentirono dei tonfi e delle risate sprezzanti nell’atrio.
«Cosa succede?»
«Chi altro c’è?!» Sbottarono all’unisono Zoro e Perona, girandosi di scatto verso la porta del salone.
Shujin sospirò e si alzò in piedi, pronto a difendere la sua postazione.
«Bene, bene, bene. Finalmente a casa».
Zoro lasciò ricadere la mano dalla katana parzialmente sguainata, mentre i suoi occhi non credevano a quello che vedevano.
Di fronte a loro, ghigno sfrontato sul volto affilato e vestiti sgargianti, Donquijote Doflamingo li salutò con un mezzo inchino sardonico, mentre i suoi uomini si riversavano nella sala, circondandoli.
 
Angolo delle spiegazioni superflue.
Sì, lo so. Sono in un ritardo bestiale.
Purtroppo ho talmente tanti esami da fare che è già un miracolo che mi sia rimasta materia grigia :D
Nonostante il ritardo, spero ci sia ancora qualcuno a leggere! Non è un capitolo lunghissimo ma è denso di avvenimenti. Andiamo per ordine:
 
  • Prima tra tutti è una Robin finalmente pronta ad andare a Baltigo. La possibilità di incrociare il leggendario Vegapunk credo sia sicuramente una cos interessante, così come il suo rapporto con Dragon. Sarà un punto fondamentale nella storia!  
  • La storyline di Usopp è una di quelle che preferisco. Ho considerato l’idea dei “soliti” Poigne Griffe, anche perché mi piace il pensiero che non sia la sola Robin a incontrarli (e quindi decifrarli). Probabilmente, anzi, questo e quello sull’isola di Chopper non verranno mai letti dall’archeologa, chissà. I due Viceammiragli sono ovviamente esistenti nella storia originale; Onigumo è uno di quelli richiamati da Spandine per il Buster Call di Ohara, l’altro è quello con un cappello da Dalmata in testa.  E immagino abbiate capito chi è l’ultimo personaggio che attracca sull’isola :P
  • Quella di Brook è ancora un po’ nì, succedono meno cose delle altre, ma condensarle qui sarebbe stato un casino. Kumei è il solito rivoluzionario con occhi (e denti) da gatto, mentre Kishu è quello curioso che la volta prima era sull’isola a spiare Scratchman Apoo… e ormai è chiaro che le due storie sono collegate. Bon, tirate voi una conclusione. Anche qui, tanto per cambiare, qualcuno sta arrivando a far casino.
  • Eee arriviamo a Zoro. Visto che l’ultima volta la sua storyline è stata la più lunga, qui ho deciso di accorciarla un po’. Il racconto dell’uomo inizia a medias res, ma per ora sembrava più interessante così; dal mio punto di vista, quello che dice non è così sconvolgente (ho sempre immaginato Mihawk come un nobile mondiale, non so perché). Voi cosa ne pensate? Comunque è certo che l’uomo fosse lì per un motivo specifico, così come il nostro buon Doflamingo, che personalmente adoro.
 
Come informazioni non c’è molto da dire. Questo capitolo si chiamava così e parlava di questi membri della ciurma perché, in un modo o nell’altro, sono tutti collegati a delle rivoluzioni/rivoluzionari:
Robin e Dragon;
Usopp e la rivoluzione di Heracles;
Brook e Kumei, ovviamente un rivoluzionario;
Zoro e Doflamingo che viene a rompere le scatole (ok, qui è più relativo, ve lo concedo XD).
Il prossimo capitolo si titolerà: “Storie dal passato” e vedrà le storie di Nami, Franky, Sanji e Chopper.
 
E ora volevo ringraziare, le ben 24 – e dico ventiquattro – persone che hanno messo questa storia nelle seguite, più ben 5 preferiti e uno che la ricorda.
Il che vuol dire che ci sono circa una trentina di persone che seguono i miei scleri.
Ma io vivogliobenissimo <3 (Anche se, seriamente, vi conviene?)
 
Chiusa la parentesi “come farsi voler bene da chi ti legge”, vi saluto! Spero di fare questi due orrendi esami il prima possibile e tornare al cazzeggio. Ops.  
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII: Tells from the past ***


 
Capitolo VIII
Tells from the past
 
«Impugna il Passato e rivoluzionerai il Presente.
Perché il Passato ha disseminato in sé tutte le tracce per costruire un futuro migliore».
Memoriale del Quinto Sacerdote
 
Isola del Tesoro, regno degli Uccelli – Mar Meridionale
Chopper si risvegliò solo quando il vento freddo della sera arrivò a raffreddarlo. Non poteva dire da quanto tempo era svenuto, ma l'ultima cosa che ricordava era un forte dolore alla testa e il buio.
«Ahia...» si massaggiò la testa, mentre si alzava.
A quanto pareva non era cambiato nulla da quando era svenuto, ma non riusciva a capire cosa fosse successo.
«Ah, finalmente ti sei svegliato!» Esclamò una voce allegra e Chopper fece un balzo indietro, spaventato. «E tu chi sei?»
Seduto sul Poigne Griffe, con un sorriso sdentato ma ampio, c’era un anziano con radi capelli bianchi e un naso abbastanza lungo, anche se non poteva competere con quello di Usopp.
«Finalmente c’è qualcuno con cui parlare qui! A volte è una tale noia!» Continuò l’uomo saltando giù con un balzo. «Io mi chiamo John, ragazzo!»
«Oh, ehm… io-io sono…»
«Qualcuno con evidenti problemi di parola… tira fuori la voce, dai!» Esclamò ancora quello, dandogli una pacca violenta sulla spalla. Choper tossì un po’, poi riuscì a dire il suo nome.
«Bene, Chopper, è un piacere conoscerti. Che ci fai in questo luogo desolato?»
«È una lunga storia…» borbottò lui. «E comunque questo posto non è mica così desolato! Ci sono gli uccelli giganti e poi quella tribù…»
John sbuffò «Quegli animali fanno solo un gran baccano e per quanto riguarda la tribù… quelli hanno più capelli che cervello! Ahah» continuò con la sua risata asmatica sotto lo sguardo perplesso di Chopper, poi però gli venne in mente che forse poteva aver visto chi l’aveva colpito.
«Colpito? Mi spiace ragazzo, sono arrivato solo cinque minuti fa! Comunue chiunque fosse dev’essere fuggito, perché sono sicuro che qui non c’è nessuno» replicò John.
«Oh, ok… e cosa sai di questo?» Chiese ancora Chopper, facendo qualche passo indietro a guardare l’enorme Poigne Griffe dorato.
John guardò per un attimo la scrittura misteriosa del blocco di granito e sospirò «Una lunga storia pericolosa, ragazzo… meglio che tu ne rimanga fuori!»
Ovviamente quelle parole non fecero altro che incuriosirlo. Chopper si sedette su un mass di fronte a lui e rimuginò se dirgli o meno qualcosa di più su di lui; a guardarlo bene, il vecchio non sembrava pericoloso.
«Una mia amica sta cercando tutti gli oggetti come questo sparsi per il mondo. Vuole decifrarli» decise di dire, pensando a Robin.
John rise «Ah, buona fortuna allora! Davvero poche persone al mondo sanno leggere questa scrittura!»
«Tu sai farlo?» Chiese lui, eccitato.
«Eh no, non ho questo dono…» replicò l’uomo, osservandolo con un’espressione strana. «Ti interessa quello che c’è scritto?»
«Eh? No, no. Ero solo curioso» non sapeva bene perché, ma qualcosa nel suo tono gli aveva fatto scattare qualcosa. Di solito lui non era molto intuitivo, ma tutto quello ce stava succedendo gli aveva fatto capire che doveva stare più attento e doveva diventare più astuto.
John lo osservò in silenzio per un po’, poi sorrise «Dai, vieni… ti faccio vedere…»
Si misero di fronte al Poigne Griffe, poi lì’uomo indicò alcuni simboli sulla sinistra «L’ho studiati per tanti anni e sono quasi sicuro che quei simboli indicano un animale… come un serpente o un altro animale con le squame».
«Waa, davvero?!»
«Già!»
«Ma perché è qui?»
John sospirò di nuovo e si sfilò il cappello per grattarsi la testa spelacchiata «Anche questa è una lunga storia… questo un tempo era un regno florido e qualcuno ha voluto lasciare un’impronta del suo passaggio per i posteri…»
«Quindi è vero, i Poigne Griffe sono delle memorie…» sussurrò a se stesso al renna. «Sai chi lo ha creato materialmente?»
John scosse la testa «L’unica cosa che so, è che per loro è un gioco da ragazzi crearlo e io sono il guardiano di questo qui!»
Chopper sgranò lo sguardo «Un guardiano?!»
«Già. Il mio compito è che nessuno lo trovi o lo decifri o lo distrugga… ma tu mi sembri un bravo ragazzo, quindi ho deciso di parlatene» terminò, strizzandogli l’occhio.
Chopper arrossì un poco, poi divenne pensieroso «Quindi sono davvero così pericolosi?»
«Forse, ragazzo, forse… in realtà io non ne so molto. So solo che avevo un debito di vita e il mio modo per ripagarlo è questo».
«Con chi avevi un debito?»
John si guardò intorno, osservò le folte chiome attraversate dai raggi lunari e sorrise «Il signore di questo regno era un uomo buono e gentile; quando mi catturarono per furto, decise di risparmiarmi. Sai, all’epoca ero solo un pirata sprovveduto e senza un soldo, così rubavo per mangiare… lui aveva deciso di liberarmi solo guardandomi, non so cosa vide in me...»
Chopper sorrise a quella storia e si risedette per ascoltarlo «Poi cosa accadde?»
«Stranamente era lui ad avere una storia difficile, un segreto… una notte arrivarono a distruggere il regno e a catturarlo. Ormai eravamo diventati amici, lui scendeva nel mio nascondiglio segreto e ci raccontavamo delle storie ogni sera… così, quella notte, mi fece giurare di proteggere la sala rossa, quella dove nessuno poteva entrare, poi sparì. Scoprii cosa c’era nella sala solo molti giorni dopo…» John guardò al Poigne Griffe, poi indicò i resti di muraglia tutt’intorno «Quelli sono i resti della sala e questo blocco di granito è l’unica cosa che sia rimasta del palazzo. Io sono qui da allora».
Chopper sgranò gli occhi «Ma potevi andare via quando tutto era finito, potevi nasconderlo nella boscaglia!»
John scosse la testa «No, a cosa sarebbe servito? La mia ciurma l’avevo già persa, la mia nave era stata distrutta e avevo già capito che la vita di mare non faceva per me. L’unica cosa che avevo era il ricordo di quell’uomo buono e una promessa, così decisi di mantenerla a costo della vita. Non so ancora perché, ma mi sembrava importante. Poi, quando tante persone arrivarono a cercarlo, capii che lo era per davvero. Creai una mappa del posto e la seppellii con una lettera; da allora la storia si è diffusa e oggi parlano del tesoro di John Silvers, ma non hanno la minima idea di che cosa sia».
Chopper continuò a osservare con riverenza il Poigne Griffe, convinto che fossero molto più importanti di quello che sembrava. Quell’uomo, poi, aveva speso un’intera vita a sorvegliarlo solo per una promessa e gli uomini che lo cercavano e che forse avevano colpito anche lui…
«Credi che potrei imparare cosa c’è scritto per riferirlo a qualcun altro? »
John si riscosse dai suoi ricordi e batté le palpebre «Cosa? Sì, forse sì… d’altronde anch’io l’ho imparato, pur senza capirci nulla. Però ci vorrà molto tempo…»
«Io potrei avere persino qualche anno».
 
Weatheria - Isola del cielo
Dopo l’ultimo discorso che aveva ascoltato tra Haredas e l’uomo misterioso, Nami non si sentiva più tanto al sicuro sull’isola; si sforzava di imparare più possibile da lui sulla meteorologia, ma appena poteva fuggiva lontano verso la foresta, sia alla ricerca di indizio che di sicurezza.
«Ragazzi, dove siete?» Sibilò sconfortata quella mattina, mentre osservava il suo profilo riflesso sulla superficie del lago. C’erano giorni in cui si sentiva quasi in trappola e l’idea di stare confinata su un’isola voltante con uomini  parzialmente pericolosi non aiutava. Voleva diventare più forte per la ciurma e per Rufy, voleva scoprire qualcosa di più sulla morte di suo fratello Ace; ma voleva pure tornare al passato, quando tutto andava bene e nella loro vita c’erano solo i loro sogni, senza intrighi e cose più grandi di loro.
Da quando aveva collegato Haredas e poi l’uomo misterioso a Shanks o a Dragon, aveva capito che c’era un lungo filo conduttore che legava i rivoluzionari agli Imperatori e ai Poigne Griffe e magari anche ai frutti del diavolo e alla Marina… tutto quello la spaventava enormemente, perché voleva dire che c’era un disegno, un complesso disegno dietro ogni mossa, dietro ognuno di loro.  
E lei si sentiva come una pedina inerme persa in una scacchiera gigante che qualcuno manovrava.
«Avanti, dove posso scoprire qualcosa di più?» Sibilò, battendo il piede sul terreno smosso.
Le giornate lì erano talmente lunghe che si sentiva sempre addosso come una specie di febbre, la voglia di fare qualcosa.
Quasi come un lampo nella mente, ricordò che Picos le aveva parlato delle rovine della foresta, un luogo mistico per ognuno di loro. Lei non credeva poi tanto alla religione, ma forse quel posto poteva aiutarla a pensare, a concentrarsi meglio su cosa fare. E poi, tutto era meglio che starsene lì, a l’ombra dei vecchi saggi ambigui e pericolosi.
Si avviò per la foresta seguendo percorsi casuali e il più possibile non segnati sulla mappa; arrivò al centro esatto della macchia solo un’ora dopo e davanti a sé si schiudeva un vero e proprio villaggio fatto di rovine. Le scritte che notò sulle colonne erose dal vento e dal tempo ricordava stranamente la lingua con cui erano vergati i Pigne Griffe, ma con la differenza sostanziale che erano comprensibili!  Nami batté le palpebre un paio di volte, si stropicciò gli occhi, ma era davvero così: erano segni sconosciuti, una lingua mai vista, eppure riusciva a capirla.
Si spostò in quello che sembrava il tempio dell’antico villaggio e provò a leggere qualche riga semi-cancellata dalle intemperie: sembrava un racconto che narrava le gesta di alcuni guerrieri, guerrieri alati provenienti da un mondo lontano. Purtroppo gran parte del racconto era andato cancellato, ma alcuni frammenti sembravano raccontare di una guerra civile tra i guerrieri e la decisione di spostarsi verso un altro luogo, un posto leggendario per la sua fertilità.
Nami pensò che quegli scritti, trovati in rovine così antiche, dovevano essere importanti così decise di annotarle sull’agenda che ormai portava dietro ovunque. Riuscì a scrivere dell’esodo che il popolo misterioso aveva subito, della guerra e alcune formule metereologi che usavano per mutare il tempo, ma tutto il resto era solo un’accozzaglia di preghiere, ricette e nulla più.
«Basta così…» sussurrò alzandosi, poi un fruscio la fece sussultare «Chi c’è?»
Gli alberi di fronte a lei  si mossero, poi qualcuno uscì dall’ombra.
«E tu cosa ci fai qui?»
 
Isola Momoiro, Regno Kamabacca – Rotta Maggiore
Sanji si appoggiò a una colonna, masticando la sigaretta che aveva tral a bocca con la mezza idea di fare fuori tutti. Non solo non ci stava capendo più niente dopo l’arrivo di quei due, ma osavano anche tenerlo all’oscuro dei discorsi misteriosi che facevano!
«Ohi!» Li apostrofò all’ennesimo bisbiglio. «Gradirei sapere che sta succedendo!»
Ivankov lo ignorò e tornò a girarsi verso il ragazzo inginocchiato di fronte a lei. «Come è andato il viaggio? E alzati pure, fovza!» Esclamò, mentre Von Clay si alzava con un sospiro di gratitudine «Bene, se non fosse stato per piccoli intoppi…» grugnì, lanciando un’occhiata a Mr. Three e Bagy che intanto battibeccavano in un angolo in ombra.
Von Clay sospirò «Quei due sono stati una costante spina nel fianco».
«Sembvano apposto, piuttosto… dove sei finito dopo la fuga di Impel Down?» Sibilò Ivankov, lanciando un’occhiata distratta a un nervoso Sanji.
Von Clay rise «Ho approfittato del caos della guerra per fare le dovute ricerche, poi mi sono nascosto in una nave della Marina. È lì che ho raccattato quei due…»
«Cosa hai scopevto?» Domandò l’altro, con una certa titubanza.
Von Clay lo guardò diritto negli occhi, con un’espressione greve «Un cmpletto. Vogliono ucciderlo».
«Che cosa?!» Esclamò Ivankov, a voce troppo alta, poi si girò intorno verificando che nessuno li stesse ascoltando.
Sanji si allontano di qualche passo, avvicinandosi alla finestra per fumare. In realtà, cercò di tendere le orecchie fino allo spasmo, perché in quella storia non ci vedeva nulla di buono: che c’entrava uno come Von Clay con un rivoluzionario di Dragon?
Allo stesso modo, Mr. Three e Bagy si scambiarono una veloce occhiata poi, all’unisono si spostarono verso le colonne, fingendo di riposarsi per ascoltare. Ormai avevano vissuto così tante avventure insieme, ch cominciavano a capirsi al volo.
Ivankov prese un respiro profondo, poi abbassò la voce di un tono «Come l’hai scopevto?»
Von Clay scosse la testa «È una lunga storia… sappi solo che il Grande Ammiraglio Akainu non è del tutto estraneo alla faccenda e Marineford è un’ottima fonte di scoperte…»
Iva si addossò allo schienale «Immaginavo si tvattasse di qualcosa di gvave, ma addivittuva un alto tvadimento del geneve, è inconcepibile!» Sbottò, con voce rabbiosa. «Dragon dev’essere avvisato. E tu devi tornare alla missione».
Von Clay annuì «Cosa faccio di loro?» Chiese, indicando Bagy e Mr. Three.
Ivankov fece un gesto noncurante «Che vadano dove gli pare con la nave che hanno. Tu prenderai un’altra imbarcazione e partirai subito! Sai dove devi andare».
«D’accordo. E lui cosa fa qui?»
Von Clay ricordava perfettamente Rufy e la sua ciurma; gli era dispiaciuto infinitamente per il fratello e la loro separazione. Sperava con tutto il cuore che stesse bene e che potesse essere di nuovo felice.
Ivankov sorrise «Lui è qui per allenarsi… e per diventare più forte…» dichiarò, mentre Sanji si accigliava alla vista di quei due sorrisi inquietantemente identici «Che avete da guardare?!»
«È ora di passare a un livello successivo, cuoco. Andiamo» annunciò Ivankov, men tre Von Clay spariva da una porta secondaria.
 
Isola Karakuri, regno di Barjimoa – Rotta Maggiore
«Bah, niente di niente…» stava sibilando Franky, mentre un libro volò a spiaccicarsi sulla testa di un piccolo robot dalla testa tonda. «Ohi, Mellow, levati da lì» sbottò, spostandosi verso un'altra cella.
Da quando quel coso si era attivato era diventato una specie di animaletto robotico per lui; gli aveva perfino dato un nome: Marshmellow.
E comunque gli dava una mano nel ficcanasare nel laboratorio di Vegapunk, visto che raccoglieva qualsiasi cosa e glielo portava indicandogli la composizione fisico-chimica manco fosse un microscopio di ultima generazione. Da quando quegli uomini misteriosi l’avevano attaccato, aveva sviluppato l’ida che in quel laboratorio ci fosse molto di più che qualche esperimento andato a male, tuttavia non aveva ancora trovato niente neanche dopo settimane di ricerche. Aveva mandato all’aria tutto più volte, aveva esaminato tutto lo schedario, letto ogni singola riga, spostato ogni singolo ripiano da lavoro ma niente.
«Maledizione…» sbottò, buttandosi a terra a respirare. Ormai passava ore e ore al chiuso lì dentro, soprattutto per timore che qualcuno potesse notarlo e tornare ad attaccarlo; lui non aveva paura di nessuno, però non voleva deludere la sua famiglia e mettersi in pericolo prima di fare qualcosa per migliorarsi. Ormai i lavori per migliorare il proprio corpo e trasformarlo in un’arma stavano facendo passi da gigante, ma  continuava ad avere la sensazione che gli stesse sfuggendo qualcosa.
«Oggetto solido. Composizione sconosciuta» gracchiò la voce metallica di Mellow, distraendolo dai suoi pensieri. «Eh? Porta qui!»
Il piccolo robot a forma di talpa gli allungò quello che sembrava una specie di diario consunto che in un primo momento lui aveva lanciato via. Il fatto che avesse una composizione sconosciuta era più che sospetto, perché quel robot era in grado di rilevare qualsiasi elemento umano esistente.
«Vediamo un po’…» si alzò per andare sotto la luce fioca della lampada e lo aprì; dentro, con una scrittura minuta e regolare, c’era scritto:
 
Diario di lavoro n°5
Dr. V
 
Con un brivido di eccitazione, Franky pensò che quello poteva essere uno dei diari del misterioso Vegapunk. Le iniziali non davano nessun dubbio.
Cercando di contenersi, andò avanti di qualche pagina e si ritrovò a leggere una testimonianza molto interessante, quasi una pagina privata della sua vita:
“… quel maledetto crede davvero che continuerò a restare qui alla sua mercé. Io non sono come loro, io valgo di più, io sono di più. Conosco cose che loro non possono neanche immaginare e i miei poteri possono essere immensi. Sto lavorando a un piano, quando lo avrò attuato scapperò. Non mi ritroveranno mai e porterò con me il segreto della loro forza”.
Franky si accigliò, cercando di capire il senso di quelle parole; era ovvio che non si trattasse di un esperimento di laboratorio, ma neanche sembrava una pagina scritta da qualcuno in pace e sereno con la propria vita. Vegapunk doveva aver fatto parte di un gruppo o qualcosa del genere e in quella pagina diceva di volersene allontanare. Purtroppo non c’era traccia del piano che aveva architettato dopo, né tanto meno di quello che aveva fatto dopo quella dichiarazione. Anzi, a voler essere precisi, quella era l’ultima vera pagina di diario, perché dopo c’erano solo ricette di esperimenti banali e poco utili.
Con un sospiro, Franky tornò indietro e cercò altro di interessante da leggere: quella pagina non era datata, ma includeva un ricordo del Dottore all’incontro con qualcun altro.
“E così finalmente l’ho incontrato.
Non sapevo precisamente cosa aspettarmi, ma di sicuro non credevo si sarebbe trattato di un uomo come lui. A guardarlo di sfuggita, non sembra avere nulla di particolare: è anonimo, come tutti quelli della sua risma. Banale.
Eppure quegli occhi. Quegli occhi hanno qualcosa di indecifrabile.
Quando ha alzato il suo sguardo su di me, quando ha esitato prima di stringermi la mano ho capito.
Che quell’uomo sarebbe stato l’unico ostacolo al raggiungimento dei miei obiettivi”.
Franky si fermo di nuovo e girò le pagine con fretta: non c’era nient’altro che riguardasse quel pezzo e ormai bruciava letteralmente di curiosità; l’unica cosa che poteva sembrare strana era quell’uomo sottolineato più volte, ma a parte quello non c’era altro di anomalo. Vegapunk aveva incontrato qualcuno di pericoloso, un giorno, e forse era stato un ostacolo per il suo piano. Che il piano fosse quello di cui parlava a fine diario? Quando tempo ci aveva messo per pianificarlo e poi attuarlo?
 «Che casino, eh?» Ironizzò, accarezzando la testa di Mellow. 
Non era neanche sicuro che quel’uomo potesse essere importante per loro, ma ricordava benissimo i toni con cui Robin parlava di lui e del suo ambiguo ruolo nella Marina. Conoscere qualcosa di lui avrebbe potuto aiutarli ad arrivare più facilmente ai loro sogni.
«Cerchiamo qualcosa altro…» sfogliò velocemente il diario, fino a quando non giunse a una pagina completamente nera e violentemente strappata dal resto del diario, così che non avrebbe potuto inserirla temporalmente nelle memorie del dottore. L’unica scritta bianca campeggiava al centro del foglio: Rivoluzione.
 
Note autrice!
Hola! Scusate la sparizione totale, ma sono stata via praticamente un mese e non avevo né pc né internet. Spero non siate spariti tutti D:
Questo capitolo è breve e  veloce perché non posso modificarlo né betarlo. Tra qualche giorno tornerò a home sweet home e potrò tornare a fare le cose per bene!
Allora, come il precedente, questo riprende le storie dei Mugiwara mancanti, parlando però di storie del passato:
 

 
  • Chopper  alle prese con il guardiano del Poigne Griffe dell’isola del Tesoro. I più acuti capiranno chi è e collegheranno la cosa a un altro personaggio mitico di ONEPIECE, pure presente in questo capitolo. Non si capisce molto, come al solito, ma poso assicurarvi che quello che c’è scritto in quel blocco di granito è molto molto interessante; c’è un indizio che dovrebbe stuzzicarvi.
  • Nami senza volerlo è entrata in contatto con una civiltà piuttosto interessante e i frammenti che raccoglie sono un ulteriore indizio che dovrebbe appassionarvi. Tutti gli indizi di questo capitolo sono strettamente collegati tra loro.
  • Finalmente scopriamo chi sono i misteriosi arrivi sull’isola di Sanji. Oddio forse non ricordavate questa cosa, dopotutto è passato tanto tempo! Rileggetevi i capitoli: Mugiwara divided I e II, così potete collegarli direttamente a questi.  Von Clay, BAGY E Mr.Three vagano nel mondo, ma solo il primo sa perfettamente cosa fare: ha una missione e cose da riferire. Ora sta a voi capire che collegamenti può avere con Iva o con le cose che ha scoperto!
  • Franky, fortunello com’è, trova un diario fondamentale e pieno di notizie. Ovviamente io vi ho scritto quelle più ambigue, anche se interessanti. Potete fare tutte le congetture che volete, sono curiosa lo sapete! :D Piccolo dettaglio, ho notato che nessuno ha considerato il robot che Franky attiva nel laboratorio: è un elemento che da ha inserito in una parte secondaria del manga, ma in realtà è fondamentale per capire qualcosa di più sulla storia, su Vegapunk e la sua natura. Spero ne terrete in conto!
Detto ciò, fatemi sapere cosa ne pensate, se cominciate a non capirci nulla e cosa vi pare il tutto! Il prossimo capitolo sarà The Seven around the World e si occuperà dei membri ed ex membri della Flotta dei Sette. Ci sono anche loro gente, sia mai che mi scordo qualcuno! :D
 
Alla prossima, besos! 

 

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