John Smith

di Aissela_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il viaggio ***
Capitolo 2: *** Avrei potuto salvarlo ***
Capitolo 3: *** Un nuovo amico ***
Capitolo 4: *** La mia nuova casa ***
Capitolo 5: *** Altri guai in vista ***
Capitolo 6: *** Il primo appuntamento ***
Capitolo 7: *** La ragazza perfetta ***
Capitolo 8: *** Farfalle nello stomaco ***
Capitolo 9: *** Un mostro ***
Capitolo 10: *** Una notte in gattabuia ***
Capitolo 11: *** I Potenti ***
Capitolo 12: *** La verità ***
Capitolo 13: *** I miei poteri ***



Capitolo 1
*** Il viaggio ***


1. Il viaggio

John Smith. E' questo il mio nome ora. E rimarrà questo finchè la polizia di Seattle non si sarà dimenticata di me. Ho dovuto farlo. Ho dovuto cambiare nome. Ci vorranno mesi, forse anni prima che qualcuno si dimenticherà di me, Jonathan Rider, il diciannovenne rimasto orfano e affidato all'orfanotrofio di Seattle, scomparso la notte successiva all'incidente che ha portato via i suoi genitori. Morti. Tutti temono quell'orfanotrofio in città. Mandano in giro delle voci orrende su quel posto. Maltrattavano, picchiavano, frustavano e legavano i ragazzi in quel posto. Non ci ho mai creduto ovviamente, ma solo perché non mi sarei mai immaginato di doverci finire io un giorno. Adesso che è accaduto tutto questo, non sono pronto ad essere rinchiuso per sempre in quella fogna. E’ per questo che ho cambiato nome, ho cambiato vita. Ora mi ritrovo su un autobus diretto a Miami, a fare più di 5 mila chilometri chiuso dentro questo buco vicino ad un vecchietto che puzza come un cane bagnato. Ci sono anche dei bambini che urlano, signore che ridono e due ragazze che mi fissano da quando sono salito. Sono passate 12 ore. Ne mancano ancora 36 per arrivare a Miami. Una volta arrivato lì non so cosa farò, ne cosa mangerò o dove dormirò. L’importante è che me ne sia andato da Seattle.

L’autista dell’autobus decide di fare una sosta in un autogrill. Scendiamo tutti e ci dirigiamo verso il locale, un posto grande ma molto sporco e poco ordinato, pieno di ubriaconi e puttanelle. Come biasimarli, sono le 23.30 e per di più è sabato sera: anche io mi sarei rintanato in un posto come questo per ubriacarmi fino a svenire. Almeno questo è quello che avrebbe fatto Jonathan. Mi siedo davanti al bancone del bar su uno sgabello molto alto. Ordino una coca-cola e in silenzio comincio a berla. Mi guardo intorno: le signore che ridevano sull'autobus sono sedute ad un tavolo rotondo in fondo al locale, insieme ai bambini che urlavano, e tutti hanno ordinato un hamburger con patatine. L’autista sta parlando con una puttanella del locale. Più che altro la sta invitando ad andare in bagno per scoparsela. Immaginatevi un cinquantenne, un ciccione calvo con una tuta blu da autista che parla con una bionda alta 1 e 90 con seno e labbra rifatte. Non è una bella scena. Le due ragazze che mi guardavano stanno bevendo una limonata, mentre farfugliano qualcosa ad un tavolo dietro di me. Mi giro per guardarle e noto che loro fanno lo stesso. Chissà da quanto mi stanno guardando. Il vecchietto che puzzava invece è seduto da solo a tre sgabelli vicino al mio e beve una birra. Poi si alza e si siede vicino a me. Prende un sorso della sua birra, si pulisce la bocca con il dorso della mano e mi dice: “Quelle due more ti mangiano con lo sguardo, amico.” Mi giro per guardarle di nuovo e mi fanno un saluto con la mano. Mi volto verso il vecchietto e faccio una risatina. Lui mi guarda storto e dice: “Amico, sei giovane, divertiti. Prendile e portatele in bagno, saranno felicissime, fidati.” Lo guardo per un po’ e poi gli dico: “Non sono il tipo. Se vogliono fare qualcosa dovranno aspettare che l’autista abbia finito con la puttanella.” Il vecchietto ride, si alza e se ne va fuori dal locale, al buio. Finita la mia coca decido di andare in bagno. Dopo 12 ore che me la trattengo è il caso di svuotarmi. Mi dirigo verso la porta del bagno, e quando entro trovo l’autista con la bionda sul lavandino che ci davano dentro. Sgrano gli occhi, l’autista mi fulmina e mi dice: “Hey biondino, non vedi che questo è occupato? Fila via.” Ma mente mi volto per andarmene, vedo la bionda che scende dal lavandino, viene verso di me e mi blocca. Poi si volta verso l’autista e fa: “Credo che la serata con te sia finita tesoro, adesso è arrivato il momento del biondino.” L’autista, incazzato nero, lancia un ‘vaffanculo’ e poi esce. La bionda comincia a toccarmi il petto, a mettere le mani sotto la maglietta finchè non arriva alla cinta. Io la blocco per i polsi, mi sposto e dico: “Mi dispiace, non è la serata giusta.” Lei però fa finta di non sentire, mi spinge verso il muro e comincia a baciarmi. Dopo neanche 30 secondi entra un tizio grosso e tutto tatuato che avevo visto seduto al tavolo con la bionda, appena entrato. Sposta la puttanella che mi stava ancora baciando e mi fa: “Che cazzo fai? Questa è la mia ragazza!” Alzo le mani in segno di scuse, perché sapevo che mi sarei ritrovato un dente in meno e un livido in più se mi fossi messo a discutere con quel gigante. Prende la puttanella per il polso e la spinge fuori, lasciandomi solo nel bagno.

Dopo una mezz'oretta l’autista ci chiama per risalire sull'autobus. I bambini e le signore cominciano a correre per prendere i posti in fondo, ovvero i posti migliori. Così io mi ritrovo seduto nei sedili davanti, proprio dietro alle due ragazze more. Mi guardo intorno e mi accorgo che il vecchietto non c’è più. Forse non aveva un posto dove andare, come me. Avrà deciso che questo posto va più che bene per lui o forse... In quel momento sento un colpo e subito dopo un grido provenire da fuori. Tutti si affacciano dai finestrini senza avere il coraggio di uscire dall'autobus. Mi affaccio anche io e vedo che il tizio grosso e pieno di tatuaggi che era in bagno tiene in mano una pistola e la punta verso il vecchietto, accasciato a terra e ferito allo stomaco. Mi getto subito fuori dall'auto, senza dare ascolto all'autista, che mi blocca e mi dice di stare fermo e non fare cazzate. Lo spingo da un lato e corro verso il vecchietto. Mi inginocchio vicino a lui e gli premo la mano sulla ferita che perde molto sangue, cercando di alzarlo per portarlo sull'auto. Ma il tizio pieno di tatuaggi mi punta la pistola contro e mi dice: “Hey ragazzino, non fare l’eroe e vattene via, prima che ti spari una pallottola in testa.” Lo ignoro e cerco di tranquillizzare il signore che intanto comincia a muoversi nervosamente a terra. Mentre sto per alzarlo, sento qualcosa di freddo e pesante che mi sfiora la nuca. Ancora inginocchiato, mi giro di scatto, finendo a sedere sull'asfalto freddo. Alzo lo sguardo e vedo il tizio tatuato che mi punta la pistola in testa. “Ti avevo avvertito, ragazzino.” dice con un sorrisetto sulle labbra. “Alzati.” mi fa, mentre mi prende per il polso e mi tira in alto. Ora la pistola è premuta forte contro il mio collo e io inizio ad avere paura.







Ciao bellissimi! :3 Questa è la mia prima FF, spero che vi piaccia e che la seguirete :3 Fatemi sapere che ne pensate :3

Questo è il nostro John Smith, ovvero Alex Pettyfer *-*

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Capitolo 2
*** Avrei potuto salvarlo ***


2. Avrei potuto salvarlo

Non mi è mai capitato di essere minacciato da qualcuno con una pistola. A dire la verità non credevo sarebbe mai successo. Beh, non sono cose che succedono tutti i giorni. Pensavo che sarebbe finita male. Che il mio viaggio, appena cominciato, sarebbe finito lì. Avrei raggiunto presto i miei genitori, nessuno mi avrebbe più cercato. Non avrei mai visto Miami e non avrei mai avuto la possibilità di rifarmi una vita. Ma non accadde niente di tutto ciò. Quello che accadde dopo ancora non me lo so spiegare. Non capivo più niente. Ero troppo terrorizzato dall'oggetto nero che scintillava sotto i miei occhi per capire qualcosa. Il tizio tatuato continuava a ridere e a tenere la pistola puntata sul mio collo, mentre tutti gli altri sul pullman urlavano. Lo fissavo dritto negli occhi, mentre lui si guardava attorno con aria divertita, guardando i passeggeri nell'autobus terrorizzati. Era ubriaco. Lo sentivo dalla puzza di alcool che usciva dalla sua bocca quando mi parlava. Non riuscivo a capire nulla di quello che diceva, farfugliava soltanto. Mi accorsi che dietro di lui c'era la ragazza bionda del bagno, che mi guardava con aria preoccupata. "Alec, lascialo perdere. E' solo un ragazzino, non ti ha fatto niente!" Gli supplicava la donna. "Vi ho visti in bagno! Nessuno deve avvicinarsi alla mia donna. Farà la fine del vecchio." Mi girai verso il vecchietto e mi accorsi che, se non fosse andato subito in un ospedale, non ce l'avrebbe fatta. Stava perdendo troppo sangue. I suoi occhi erano semi chiusi. Stava per morire. Provai talmente tanta rabbia nei confronti di quel tizio tatuato che mi feci coraggio e dissi: "Ok, ho baciato la tua ragazza, è vero. Ma lui? Cosa ti ha fatto? Quale è il motivo per cui gli hai sparato?" Alec mi guardò dritto negli occhi per vari secondi, poi, con aria divertita, disse: "Avevo un conto in sospeso con lui. Ogni settimana viene qui e si porta a letto la mia donna. Non sono mai riuscito ad incontrarlo, perché veniva sempre quando io lavoravo. Lei mi ha raccontato tutto. Pensa che io sia uno stupido? Che non mi accorgessi di niente? Adesso che sono riuscito a prenderlo, non mi scapperà." Cazzo, moriremo. Tutti e due. Moriremo di sicuro. Riuscivo a sentire Alec che fremeva dalla voglia di premere quel dannato grilletto, di piantarmi quella pallottola in gola e farla finita una volta per tutte. E l'avrebbe fatto. Ma poi accadde. Uno sparo. Solo che non veniva dalla pistola di Alec, veniva dall'autobus. Era l'autista. Aveva sparato alla gamba di Alec, che ora si contorceva a terra. Lo guardavo mentre urlava per il dolore e imprecava verso l'autista. Sentivo qualcuno che gridava e piangeva, poi dei passi, e subito dopo delle mani mi presero per le spalle e mi tirarono indietro. Ora l'autista era accanto a me, che mi teneva per il braccio e tentava di trascinarmi verso l'autobus. "No! Dobbiamo prenderlo, dobbiamo prendere il vecchio!" Urlavo, mentre l'autista continuava a spingermi nell'auto e a dirmi che era morto, ormai, che era inutile. Chiuse le porte, mise in moto e sfrecciammo nell'autostrada deserta. Rimasi in piedi a fissare dal finestrino tutta la scena: il vecchio immobile in una pozza di sangue, Alec steso a terra, che cercava di mettersi in piedi e la bionda che tentava di trattenerlo mentre piangeva.

Erano passate altre 10 ore ormai. Rimasi tutta la notte sveglio a pensare a quello che era successo. Solo il pomeriggio riuscii a riposare. Sentivo tutti gli sguardi dei passeggeri su di me. I bambini non urlavano più, le donne non ridevano, le due ragazze more non mi lanciavano più sguardi e sorrisetti furbi. Silenzio. Solo l'autista mi parlava. Ero seduto sul sedile accanto al suo, vicino alla porta. Mi diceva di non dire niente a nessuno di quello che era successo, di stare tranquillo, che non era colpa mia e che avevo fatto una cosa molto coraggiosa. Ma io non mi sentivo coraggioso. Tutt'altro. Passai il resto del viaggio in silenzio. Quando fecero un'altra sosta, io non scesi dall'auto. Volevo rimanere solo. Non volevo ne mangiare, ne bere. Pensai solo ad una cosa: potevo salvarlo, si. Avrei potuto salvarlo.







Ciao bellissimi :3 Allora? Che ne pensate per adesso della storia? Fatemelo sapere, spero vi piaccia :’)

Ma quant’è bello il nostro John? asdfghjkl *-*

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Capitolo 3
*** Un nuovo amico ***


3. Un nuovo amico

Finalmente, dopo due stressanti e intensi giorni di viaggio, eccomi a Miami. Non credevo fosse così popolata, grande e colorata. Seattle è completamente diversa. Dopo essere sceso finalmente da quell'autobus pieno di morti che camminano, mi sento finalmente a mio agio. Qui a Miami non mi conosce nessuno, perciò nessuno può giudicarmi. Prendo il mio zaino dal bagagliaio dell'auto e comincio a camminare. Non ho un posto preciso in cui andare, non conosco nessuno che abiti qui che può ospitarmi. Lo so a cosa state pensando: sono un coglione. Ma io sono fatto così. Sicuramente me la caverò, sono uno che se la sa cavare. Arrivato davanti ad un bar, decido di prendermi qualcosa da bere. Entro e sento subito gli sguardi di tutti che mi si incollano addosso. E' un locale abbastanza piccolo ma affollato, pieno di uomini con vestiti arancione fosforescente, tutti sporchi di quello che probabilmente è cemento. Muratori. Forse sono in pausa pranzo. Mi dirigo al bancone dove trovo un signore abbastanza anziano. "Che ti porto, figliolo?" mi chiede gentilmente. "Una birra, grazie." gli rispondo. Sento subito un paio di mani che si posano sulla mia spalla e mi giro di scatto. "Non sei un po' troppo piccolo per bere una birra?" dice un uomo con una folta barba e i capelli sporchi di polvere. Subito fa nascere una risata tra i suoi colleghi, ma decido di ignorarlo. Mi rivolto verso il bancone e prendo la mia birra. L'uomo si siede vicino a me e comincia a fissarmi. "Non sei di qui, vero?" mi domanda subito. "No." rispondo io, freddamente. Intanto il vecchio barista, mentre asciuga un bicchiere con uno straccio logoro, mi scruta da dietro i suoi enormi occhiali. "Si vede, sei così pallido. Qui a Miami è raro trovare uno che non sia abbronzato come un africano." Di nuovo una risata generale. Ma io continuo a bere la mia birra impassibile, continuando a guardare la fila di bottiglie sistemate dall'altra parte del bancone davanti a me. A quel punto il tizio con la barba mi si avvicina e mi toglie la birra dalle mani, la pulisce con la maglietta e ne beve un sorso. Il tutto mai togliendomi gli occhi di dosso, con uno sguardo di sfida. "Lascialo stare dai. Non perdiamo tempo e torniamo a lavorare." dice uno dei muratori seduti dietro di me. Tutti insieme si alzano, mi guardano e poi escono. Tutti tranne l'uomo con la barba, che se ne sta ancora fermo a guardarmi. "Allora? Di dove sei, ragazzino?" mi dice con un sorrisetto sulla bocca. Dopo aver optato per una bugia, gli rispondo: "New York." L'uomo, dopo aver lanciato uno sguardo al barista che stava ascoltando la conversazione, dice: "Se fossi in te me ne tornerei lì. Questa è la periferia di Miami, ragazzino. Ce n'è di gente malata, qui. Tutti criminali, pronti a farti fuori, anche solo per una stupida birra." poi indica la birra che ora tenevo fra le mani. "Se sono tutti come te, allora io non mi preoccuperei." dico subito, con il tono più bastardo che abbia mai usato. A quel punto, sotto gli sguardi increduli dell'uomo e del barista, che sicuramente non si aspettavano una risposta del genere, faccio cadere delle monete sul bancone, afferro lo zaino da terra e mi dirigo fuori, facendo loro un cenno con il capo.

Aveva ragione, quell'uomo. Questa città è piena di delinquenti. Appena messo piede fuori dal bar, entro in una di quelle vie buie da film americano, piene di secchioni dell'immondizia e cianfrusaglie varie. Credevo fosse una buona idea, volevo tagliare la strada per arrivare dall'altro lato della città più in fretta, invece di fare l'intero giro dell'isolato. Ma, a quanto pare, si rivelò un'idea di merda. Vidi da lontano due ragazzi col cappuccio tirato sulla testa che si avvicinavano velocemente. Uno dei due tirò fuori un mini coltellino, ma quando me ne accorsi ormai era troppo tardi. Mi bloccai d'istinto, pronto a correre nella direzione opposta, ma quando mi girai, trovai un'altro ragazzo con il cappuccio che gli copriva gli occhi a pochi passi da me. "Cos'hai nello zaino?" disse quello con il coltellino una volta arrivato davanti a me. "Non molto." risposi abbastanza tranquillamente, ma in quel momento ero tutto tranne che tranquillo. Un'altro ragazzo mi diede uno strattone e mi fece cadere lo zaino a terra. Due di loro cominciarono ad aprire lo zaino e a cercare chissà cosa, mentre il terzo teneva saldamente il coltellino puntato contro di me. Ad un tratto sentii una voce alle mie spalle: "Lasciatelo stare." Era una voce familiare, tranquilla ma profonda. Ci voltammo tutti, e fui molto sorpreso di vedere l'uomo con la barba incontrato nel bar poco prima. Mi scappò un sorriso. Per qualche strana ragione fui contento di vederlo. Non si può dire lo stesso per gli altri tre ragazzi, che scapparono a gambe levate appena lo videro. "Stai bene?" mi chiede lui, più per gentilezza che per interesse. "Si, non mi hanno fatto niente." rispondo io. "Te lo avevo detto che questa città era una merda, ragazzino." dice lui ridendo."John. Chiamami John, no ragazzino." gli faccio capire. Fa una lunga risata e poi dice: "Io sono Vincent, ma puoi chiamarmi Vince. Sei in gamba ragazzino." dice allegramente, scompigliandomi i capelli con un gesto della mano. Rido anche io. Poi raccolgo lo zaino e tutte le mie cose sparse a terra. "Hai un posto dove andare?" domanda lui, come se sapesse già la risposta. "A dire la verità.. No." rispondo con un tono di voce abbastanza preoccupato. "Come immaginavo. Vieni a stare da me allora, finchè non trovi un altro posto in cui stare." Lo guardo. Voglio capire se c'è un trucco nella sua proposta. Questo uomo non mi conosce, non sa la mia storia, non sa nulla di me, se non il nome e il luogo da cui vengo. Quante persone avrebbero ospitato un ragazzo sconosciuto in casa propria? Decido perciò di cogliere al volo l'occasione e di accettare. Mi sembra un tipo apposto e poi, diciamoci la verità, peggio di così non potrebbe andare. In due giorni ho rischiato la vita due volte. Questo viaggio inizia male. Ma in compenso, ho trovato un nuovo amico.







Salve bellissimi :3 Finalmente il nostro John incontra un nuovo amico :') Ma si potrà fidare di lui fino in fondo? Ho deciso di pubblicarvelo adesso il capitolo perché domani vado al mare con i miei e la mia migliore amica e non avrò sicuramente tempo per postarvelo :') Fatemi sapere che ne pensate per ora della storia, io ci metto tutta me stessa per scriverla, dato che adoro farlo. Tocca a voi giudicarla :') Se vi va, mettete la mia storia tra le seguite, ne sarei felicissima :')

Ecco un'altra foto del nostro John *-*

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E questo è il nostro Vince, ovvero Matt Schulze :3

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Capitolo 4
*** La mia nuova casa ***


4. La mia nuova casa

La casetta di Vince non è male. Si trova su una collina poco distante dalla città ed è l'unica casa in quell'enorme spazio verde. E' abbastanza piccola, con una graziosa cucina nella parte destra della casa e un minuscolo salotto a sinistra. Proprio di fronte alla porta c'è una stretta scaletta che porta ai piani superiori dell'abitazione. "Fa come se fossi a casa tua, John. Tanto lo diventerà molto presto." mi dice Vince dopo aver posato le chiavi di casa sopra il mobile vicino alla porta, dirigendosi in cucina. Apre il frigo e tira fuori una birra. Toglie il tappo con una mano, come se fosse la cosa più facile del mondo, e poi tira una lunga sorsata. Io, ancora fermo davanti la porta come un pesce lesso, con il mio zaino in spalla, lo guardo incuriosito e poi dico: "Cosa vuoi dire? Sicuramente mi troverò un appartamento qui in città. Di certo non rimarrò qui a vivere con te per sempre." Vince posa la birra ormai finita sul tavolo della cucina e mi raggiunge. Mette un braccio dietro il mio collo e mi dirige in salotto, dove ci mettiamo seduti sul piccolo divano rosso. "Se credi di poter trovare un appartamento qui nella periferia di Miami sei un illuso, ragazzino. Credo che vivrai qui per molto tempo. Adesso prendimi un'altra birra." Mi alzo di scatto e lo guardo dritto negli occhi. "No. Non sono venuto qui per farti da cameriere. Voglio farmi una nuova vita e di certo non me ne starò con le mani in mano come fai tu. Troverò un appartamento, ne sono sicuro." Vince mi guarda scioccato. Poi scoppia in una risata. "Mi piaci ragazzino, sei forte e determinato. Comunque ti ripeto che qui sei il benvenuto. Ora prendimi quella birra come ti ho chiesto, altrimenti ti farò pentire di essere venuto a Miami." mi dice con uno sguardo fulminante. So che lo dice per scherzare, lo sento nel suo tono. Sbuffo e decido di prendergliela. Poi prendo il mio zaino e mi dirigo al piano superiore. Mentre salgo la stretta scalinata, sento Vince in lontananza che mi urla qualcosa. "Prenditi la stanza in fondo, quella alla destra del bagno." Questo piano è più piccolo di quello inferiore. E' una specie di corridoio, lungo e stretto che possiede due stanze per ogni lato. Alla fine del corridoio invece c'è il bagno. Entro nell'ultima stanza a destra, come mi ha detto Vince, e scopro che è occupata. C'è una donna. E' in reggiseno, seduta al bordo del letto intenta ad infilarsi i pantaloni, ma appena entro si volta e mi guarda spaventata. "Oh, scusa, non pensavo fosse occupata. Vince mi ha detto.." comincio a dire io. Ma lei mi blocca subito e dice: "No, me ne stavo andando." La sua voce è molto delicata. E' una bellissima donna, sui 25 o 30 anni. Ha gli occhi molto scuri, e dei lunghi capelli mori. Si alza, si infila la maglietta e mi raggiunge. Mi porge la mano e dice: "Sono Mia, la ragazza di Vince. Ho dormito qui stanotte, dato che ieri sera ho lavorato fino a tardi e non mi andava di portare la macchina." Poi mi sorride. Ha un sorriso bellissimo. Rimango incantato dalla bellezza di quella donna. "John. Mi chiamo John. S-sono un amico di Vince. Mi ha ospitato qui f-finchè non trovo un posto in cui stare." dico io, balbettando. Okay. Sono un'imbecille. Dietro di me spunta subito Vince, che con la sua voce allegra dice: "Ciao Piccola. Hai già conosciuto il ragazzino?" Poi da un bacio a Mia. Io lo guardo storto, ma appena apro bocca per protestare, Mia dice: "Lascialo stare John, è solo geloso che tu hai ancora tutti i capelli e lui no." Poi lo guarda con aria di sfida, mentre Vince arrossisce di colpo. Scoppio subito in una fragorosa risata. "A parte gli scherzi John, sei molto carino. Sono sicura che ad una mia amica farà piacere conoscerti. Sai, si è lasciata da poco con il suo ragazzo ed è a pezzi. Forse se cominciate ad uscire insieme..." dice Mia con fare misterioso. Ma io la interrompo subito, prima che finisca la frase. "No... Cioè, mi dispiace per la tua amica, ma io non cerco storie al momento. Mi sono appena trasferito e vorrei sistemarmi bene prima di... Iniziare una relazione." Mi guardano tutti e due un po' delusi. Mia, con una faccia da angioletto, mi dice subito: "Hai ragione, ti capisco. Ma un appuntamento non ha mai ucciso nessuno. Io, Vince, tu e la mia amica. Domani sera. Un'uscita a quattro. Che ne dici?" Sbuffo e faccio roteare gli occhi, ma alla fine accetto. Che male può farmi una serata con gli amici?

Dopo che mi sono sistemato nella mia nuova camera, scendo al piano di sotto per la cena. Trovo Mia e Vince già in tavola che mangiano. Hanno preparato un piatto di pasta con zucchine e pancetta, e per secondo un invitante fettina di carne bianca con insalata per contorno. Ho una fame da lupi. Credo sia normale, dato che sono due giorni che non tocco cibo. Passiamo il resto della serata sul divano, a scolarci bottiglie di birra e a guardare e criticare tutti i film di 'Final destination' che sono usciti fino ad ora. Mi diverto tanto con loro. A dire la verità non mi dispiacerebbe vivere qui, con un tizio che ha una scorta infinita di birre e che cucina bene, e con una donna che ama guardare film horror, che gira per casa in reggiseno e si scola tre bottiglie di birra in dieci minuti. Dopo la sua quarta bottiglia di birra, Vince si alza e dice: "Scusate ragazzi, me la sto facendo sotto." dirigendosi verso il bagno. Intanto Mia, che ha appena posato la sua bottiglia di birra vuota sopra il piccolo tavolo davanti al divano, si alza e mi si siede accanto, appoggiando la testa sulla mia spalla. Poi la alza e mi guarda negli occhi. Siamo vicinissimi. Talmente vicini che riesco a sentire l'odore del suo deodorante. Poi finalmente parla. "Hai dei bellissimi occhi, sai? E dei bellissimi capelli..." dice in un tono strano, mentre mi scompiglia i capelli. Un tono che riconoscerei ovunque, dato che l'ho sentito parecchie volte da mio padre, quando era ancora vivo. E' ubriaca. Sto per alzarmi e cercare di cambiare argomento, quando lei mi sale sopra, si siede sulle mie ginocchia e comincia a baciarmi. Cosa diavolo sta facendo? E se Vince esce dal bagno proprio adesso e ci vede? Cerco di staccarmi velocemente, ma lei mi tiene fermo con il suo corpo. Mi mette una mano sotto la maglietta e cerca di tirarmela su. Gliela levo, e la sua mano finisce sul cavallo dei miei pantaloni. In quel momento mi irrigidisco. Sta esagerando. Vince potrebbe tornare da un momento all'altro. Proprio quando penso queste parole, sento qualcuno schiarirsi la voce alle mie spalle. Mia si stacca velocemente dalle mie labbra e guarda alle mie spalle con un'aria preoccupata e assente. Mi alzo subito e mi volto di scatto. Non fui sorpreso di vedere Vince in piedi, con le braccia lungo i fianchi e con uno sguardo da serial killer stampato sul volto. Ma lo fui nel vedere che Vince, in mano, teneva qualcosa che luccicava. Qualcosa di lungo e appuntito. Un coltello. Ero nella merda.







Buongiorno bellissimi! :3 Avete visto il nostro John in che guaio si è cacciato? Cosa farà Vince secondo voi? Lo scoprirete presto :3 Allora, vi sta piacendo la mia FF? Avete qualcosa da chiedermi sui personaggi o sulla storia? Chiedetemi tutto quello che volete, e per favore recensite in tanti! Se vi va, mettete la mia storia tra le seguite o tra quelle da ricordare :') Intanto ringrazio le ragazze che hanno recensito alcuni capitoli. Ovviamente ho ricambiato subito :') Grazie bellissime! :3

Ecco un'altra bellissima foto del nostro stupendo John *-* Mi fa morire!

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E questa è la nostra bellissima Mia, la mora che ama provocare i ragazzi :')

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Capitolo 5
*** Altri guai in vista ***


5. Altri guai in vista

"Vince, posa il coltello." dico subito io in tono abbastanza calmo, allungando le mani in avanti e indietreggiando lentamente. Mia si nascondeva dietro di me e continuava a dire sempre la stessa frase. "E' stato un errore, non so cosa mi sia preso. Scusami ti prego!" con un tono molto preoccupato. Vince ci guardava con uno sguardo misto tra incredulità e nervosismo. Non l'ho mai visto così. Non è più il giocoso e scherzoso Vince. Ora sembra più uno spietato assassino. "Mi fidavo di te." furono le sue parole. Mentre le diceva mi fissava con gli occhi socchiusi, con un'espressione fulminante. "Mi sembravi un tipo apposto, determinato e sveglio. Ma ora capisco che sei solo un ragazzino che gioca a fare il puttaniere con le donne degli altri." Le sue parole mi lasciarono senza fiato. Era come se qualcuno mi avesse dato un pugno nello stomaco. Non fui in grado di dire nulla, solo di guardarlo negli occhi con la bocca aperta. Poi lui si avvicina, prende per un polso Mia, che era ancora nascosta dietro di me, e la scaraventa a terra con tutta la forza che ha. I capelli le sono ricaduti sulla faccia, e dietro quella maschera la sento piangere e singhiozzare. Poi Vince mi raggiunge e mi stringe forte la mano intorno al collo. Ha una presa fortissima. Dopo già alcuni secondi mi risulta difficile respirare o anche solo parlare. "Potevi almeno aspettare che io uscissi di casa prima di fare qualcosa con lei." mi sussurra nell'orecchio, ridendo. "No... Vince... Ascoltami, è ubriaca... Non è cosciente, non abbiamo fatto nulla..." dico io con voce soffocata. A quel punto toglie le mani dal mio collo e mi da una forte spinta sul petto. Mi fa cadere all'indietro, facendomi finire seduto atterra, con la schiena contro il muro. Riprendo fiato, ma lui si è già inginocchiato davanti a me. "Mi piacevi davvero, sai?" dice lui, prima di alzare il coltello e posarlo sulla mia guancia sinistra. Sento un lieve dolore provenire dal punto in cui il coltello è poggiato e poi dei rivoli di sangue scendere lungo la faccia. Mi aveva ferito. "Ti ho già detto che questa città è piena di delinquenti pronti ad uccidere da un momento all'altro, vero? Soprattutto se un ragazzino fa il coglione con una donna già fidanzata." dice subito lui, pulendo la lama del coltello sulla mia maglietta. Mi porto le mani alla faccia e poi le fisso. Erano tutte nere, sporche del mio sangue. Poi guardo Mia. E’ ancora a terra dietro di Vince, e mi fissa con orrore stampato sul viso. Intanto Vince ha già rialzato il coltello. Con un gesto veloce, punta il coltello sulla mia gola e affonda. Lancio un gemito. Questa volta sento un dolore atroce e un improvviso senso di soffocamento. Tossisco e sputo sangue. Fisso sconvolto il pavimento insanguinato, poi alzo gli occhi verso Vince, che sorride divertito. “Fa male, eh?” Mi porto subito le mani alla gola, cercando di far fermare il sangue che esce. A quel punto Vince si rimette in piedi. Lo vedo alzare il coltello e puntarlo dritto verso di me. Sta per affondarlo, per colpirmi sullo stomaco. Continuo a soffocare nel mio stesso sangue, sicuro di stare per morire. Toccherà a Mia poi? Oppure la risparmierà? Cosa ne sarà del mio corpo? Non voglio morire adesso. Non ora che sto per farmi una vita nuova. Ma non posso fare niente. Perdo troppo sangue e già comincio a sentirmi debole. Vince è troppo forte, non riuscirò a fermarlo. Neanche a farlo ragionare. Vedo il coltello arrivare dritto verso di me. E’ così vicino… Poi un colpo, un rumore di cocci che si rompono. Il coltello cade dalle mani di Vince e lui cade insieme ad esso, stordito. Lo guardo giacere a terra sbalordito, mentre continuo a respirare faticosamente. Poi guardo in alto. Mia. Sta piangendo e tiene in mano un vaso rotto. Ha colpito Vince con il vaso e lo ha fatto svenire. Mi ha salvato.

Guardandomi allo specchio del bagno, mi accorgo che sono messo peggio di quel che pensavo. Il taglio sulla guancia è lungo dall’orecchio fino al mento e quello sulla gola poco più corto. Mi sciacquo velocemente la bocca, ancora piena di sangue, poi le due ferite. Nel cassetto del lavandino trovo un piccolo asciugamano bianco e lo uso per asciugare le due ferite. Poi torno in salotto. Trovo Vince ancora sdraiato a terra e Mia sul divano che lo guarda pensierosa. Credo si sia ripresa. “Forse dovremmo metterlo sul divano.” dico, con un tono rassicurante. Mia, che sembra essere tornata improvvisamente alla realtà solo dopo aver parlato, mi guarda come se non capisse quello che avevo appena detto. “Aiutami.” dico io, indicando Vince. Lo solleviamo, prendendolo per le braccia e per le caviglie, e lo spostiamo sopra il divano. Poi la guardo e dico: “Stai bene?” Lei non mi guarda, si limita a fissare il pavimento. “Scusami, è tutta colpa mia. Non dovevo fare la cogliona con te. Mi dispiace, John. ” dice, poi alza subito gli occhi su di me. Non gli rispondo. Non ho niente da dirgli. “Tu, piuttosto, come stai?” dice lei, raggiungendomi. Mi prende per il mento e mi sposta delicatamente la testa da un lato e dall’altro, per vedere meglio le mie ferite. “Hai dei brutti tagli.” dice con aria dispiaciuta. “Lo so.” riesco solo a dire io. Poi tolgo la mano dal mio mento e vado vicino a Vince. Non è ferito. E’ solo svenuto per la brutta botta. Mi siedo su una piccola poltroncina vicino al divano dov’è sdraiato Vince e comincio a guardare la televisione. C’è un vecchio film horror in tv, che parla di un esorcismo fatto ad una bambina. Emily Rose, mi pare. Per quanto fosse raccapricciante vedere quelle immagini in tv a quell’ora della notte, non riuscivo a pensare a niente se non a quello che era appena successo. Forse avrei fatto meglio ad andarmene da quella casa, ad aspettare che Mia si addormentasse e andarmene via, cambiare città. E se Vince si fosse risvegliato da un momento all’altro e mi avrebbe fatto fuori davvero stavolta? A quel punto sarebbe stato molto meglio finire nell’orfanotrofio di Seattle. Comincio a pensare seriamente che questo viaggio sia stata solo una grande cazzata. Sento Mia salire rumorosamente le scale, proprio dietro di me. Sicuramente se ne andrà a dormire. Oppure è salita per prendere le sue cose, così da poter tornare a casa sua. Sono sicuro che da un momento all’altro scenderà quelle scale e uscirà dalla porta senza dire niente. Ma non accade nulla di tutto ciò. E’ passata già una mezz’oretta. Mia non è più scesa e Vince ancora non si è ripreso. Decido di continuare a vedere il film, sperando che mi venga una fottuta idea su cosa devo fare. Intanto continuo a far passare l’asciugamano bianco dalla guancia alla gola. Il sangue si è quasi del tutto bloccato, ma sento ancora un po’ di dolore. Verso la fine del film, i miei occhi cominciano ad appesantirsi. Non voglio dormire, ma non riesco a restare sveglio. Guardo l’ora. Sono le 3 e 52. Poi il buio.







Ma salve bellissimi :3 Il viaggio si fa sempre più difficile per il nostro John. Cosa succederà secondo voi, una volta che Vince si sarà risvegliato? Fatemi sapere che ne pensate, e per favore recensite in tanti, mi farebbe davvero piacere sapere se vi piace o no la storia :') Grazie a tutti coloro che hanno recensito i capitoli prima, siete meravigliosi :3

Guardate che spettacolo della natura il nostro John *-*

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Capitolo 6
*** Il primo appuntamento ***


6. Il primo appuntamento

Un rumore. Sono delle pentole che sbattono? Apro gli occhi. Sono ancora sdraiato sulla poltrona rossa a casa di Vince. Cos'è successo? Mi metto a sedere composto e un dolore lancinante mi trafigge il collo. Ora ricordo. D'istinto mi giro di scatto verso il divano, dove la notte prima era sdraiato Vince. E' vuoto. Improvvisamente mi sento come se qualcuno mi avesse spinto giù da un grattacielo. Dove è finito? E Mia? Le avrà fatto del male? Mi alzo di corsa e mi dirigo in cucina. E' da li che proviene il rumore di alcune pentole che sbattono. Entro e trovo Vince seduto al tavolo rotondo della cucina, che tiene tra le mani una tazza di the’ fumante. Mia è ai fornelli e combatte con una pentola piena di uova e bacon. Vince si alza di scatto e mi fissa. Sembra distrutto. "John... Mi dispiace, è solo che... Quando mi ubriaco mi succede spesso di uscire fuori di testa." dice con voce sommessa. Il suo sguardo è diverso dal solito. E' disperato. "Ma che...?" dico subito io, senza capire cosa sta succedendo. "John, ho spiegato io a Vince cos'è successo. Si è svegliato e non si ricordava più niente, così gli ho spiegato che, dopo aver bevuto tutte quelle bottiglie di birra e quella grappa super alcolica, si è ubriacato di brutto. E a quel punto ha preso un coltello e ti ha ferito." dice Mia di corsa, facendomi dei cenni con la testa e lanciandomi delle occhiatine d'intesa ogni volta che Vince non la guardava. Ora ho capito. Mia gli ha raccontato un cazzata, dato che lui non si ricordava cosa fosse successo. Mi sento più sollevato dopo le parole di Mia, così rispondo: "Vince, non ti preoccupare. Ti capisco, è successo anche a me parecchie volte." con un tono scherzoso. Vince si avvicina e mi da una pacca sulla spalla. "Guarda che cazzo ti ho fatto!" dice indicando le mie ferite e poi scoppiando a ridere. Rido anche io insieme a lui, anche se non capisco cosa ci sia da ridere. Poi Vince si ricompone e mi dice in tono tranquillo: “Allora, John, sei pronto per stasera?” Io lo guardo con aria confusa e chiedo: “Cosa?” non riuscendo a capire cosa intendeva. “L’appuntamento. Non mi dire che te ne sei dimenticato, John!” mi dice subito Mia con un tono di rimprovero. “Stasera dovevamo uscire io, Vince, te e una mia amica. Voleva conoscerti.” continua lei. “Oh cazzo. E’ vero.” dico senza accorgermene. “Tu vieni. Niente storie.” mi riprende subito Mia. Sto per protestare, ma Vince mi lancia un’occhiata d’intesa e scuote la testa per farmi capire che Mia era capace di sbranarmi se non avessi accettato l’uscita a quattro. Così sbuffo silenziosamente e rispondo: “E va bene. A che ora usciamo?”

“Dai Vince, ti muovi? Sono già le 20.30 e la mia amica ci starà già aspettando lì da mezz’ora.” urla Mia, in fondo alle scale. Io sono seduto sul divano, nei miei jeans blu, t-shirt bianca e blazer grigie, a prepararmi psicologicamente per la serata. Non ho nessuna voglia di uscire, tanto meno di conoscere un nuova ragazza. E se lei vuole avere una storia seria con me? Devo subito mettere in chiaro che non voglio assolutamente fare niente di serio con lei, appena la vedo. Non sono riuscito a nascondere i due tagli che ho sul collo e sul viso, neanche con il fondotinta di Mia. Mi dovrò inventare qualcosa nel caso l’amica di Mia farà domande. Finalmente Vince scende. Indossa un paio di pantaloni beige, delle scarpe marroni e una maglietta abbinata. E’ molto elegante, proprio come Mia, che indossa un vestito molto corto color verde acqua. Mi sento fuori luogo vestito così. Avevo pensato di andare a cambiarmi, ma Mia già ci sta spingendo fuori dalla porta di casa per dirigerci verso la macchina. Una volta arrivati al locale, che è uno dei ristoranti più conosciuti in città, mi guardo in giro in cerca della ragazza. Poi vedo Mia sorridere e salutare con la mano una ragazza seduta da sola ad un tavolo. Ci avviciniamo e lei si alza. Indossa un vestito attillato tutto nero di pizzo e dei tacchi neri molto alti. “Ciao Mia! Sei bellissima.” dice lei in un tono allegro. “Oh tesoro, sei dolcissima. Questo è Vince, ti ricordi di lui?” dice Mia indicando il proprio ragazzo accanto a lei. La ragazza fa un grande sorriso e risponde con gentilezza: “Ma certo! E’ un piacere rivederti, Vince.” Lui gli prende la mano e gliela bacia. Non lo facevo così ‘cavaliere’. Poi Mia mi prende a braccetto e si rivolge all’amica: “E questo è John, il ragazzo di cui ti ho parlato.” La ragazza mi squadra da capo a piedi. Io rimango in silenzio, sinceramente imbarazzato. “Piacere di conoscerti John, io sono Charlotte.” dice porgendomi la mano. La stringo, facendogli un sorriso, ma senza dire niente. Poi ci sediamo al tavolo e cominciamo ad ordinare. Sono seduto vicino a Charlotte e dall’altro lato del tavolo ci sono Vince e Mia. Mentre le due ragazze chiacchierano e ridono, Vince mi fa un occhiolino, vedendomi in difficoltà. Poi si sporge in avanti e mi sussurra: “Sta tranquillo, amico. Non vedi che è uno schianto? Dopo cena io me la porterei a letto.” Io lo fulmino con lo sguardo, poi torno a mirare il mio menù. La serata procede tranquilla, con chiacchiere e risate. Io personalmente me ne sto zitto ad ascoltare le storie o le cazzate raccontate dagli altri, senza preoccuparmi di intervenire. Non vedo l’ora di andare a casa. Tra poco dovremmo andare, sono già le 1 e 20 e il locale chiuderà a momenti. Poi però accade una cosa del tutto inaspettata. Mia e Vince si stanno punzecchiando a vicenda con prese in giro o racconti stupidi, quando Charlotte si gira verso di me e mi prende la mano da sotto il tavolo. Io la guardo e lei mi fa un sorriso. Rimango a fissare le nostre mani intrecciate finché non sento Vince dire: “Beh, si è fatto tardi ragazzi, che ne dite di tornare a casa?” Ci alziamo tutti insieme, lasciando sul tavolo circa 200 dollari. Una volta fuori dal ristorante, Vince mi da una gomitata sulle costole e poi, con voce abbastanza alta, dice: “Allora Mia, ce ne vogliamo andare a casa, solo io e te? Lasciamo i due piccioncini da soli, così noi abbiamo la casa tutta per noi…” I due si guardano con uno sguardo trasognato, lasciando intendere che non vedono l’ora di farlo. Io fulmino Vince con lo sguardo, ma lui non sta guardando me, è ancora concentrato su Mia. “A dire la verità, io sono molto stanco. Non mi sento neanche tanto bene. Ho… Mal di testa. Vorrei venire a casa con voi, se non vi dispiace.” dico subito io. Charlotte mi guarda un po’ delusa, ma poi il suo sguardo si illumina: “Mi è venuta un’idea. Io abito qui dietro John, potresti venire da me, ti prendi qualcosa per il mal di testa e chiacchieriamo un po’. Così lasciamo Vince e Mia alla loro seratina romantica.” Vince e Mia fanno un sorriso a trentadue denti: “Perfetto!” urlano insieme. “Io… Non so, forse dovrei tornare…” non so proprio cosa inventarmi, non voglio andare da lei. “Dai John, ci divertiremo.” dice felice Charlotte. “Si amico, vi divertirete, proprio come me e Mia.” dice Vince dando un bacio a Mia. Poi, senza neanche aspettare la mia risposta, Vince e Mia se ne vanno, facendoci un cenno con la mano in segno di saluto. Sto per seguirli, ma Charlotte mi prende per mano e comincia a camminare dalla parte opposta. “Allora, John, quanti anni hai?” mi chiede tranquillamente. “Diciannove.” rispondo io dopo qualche secondo. “Oh, un anno in meno di me.” dice lei, guardandomi in un modo strano. Poi ci fermiamo davanti ad una piccola casa bianca con delle rifiniture marroni. Lei tira fuori le chiavi e apre la porta, poi mi prende per mano e mi trascina dentro. “Siediti, John.” mi dice subito, mentre lei va in cucina a prendere una bottiglia di vino bianco e due bicchieri. Faccio come mi dice lei e mi siedo su un divano tutto bianco. Lei mi raggiunge e si siede accanto a me. Poggia i bicchieri sul tavolino davanti a noi, li riempie e poi me ne porge uno. “A noi.” dice Charlotte, facendo toccare il suo bicchiere con il mio. Io la guardo senza riuscire a dire nulla, poi comincio a bere il vino. “Allora… Sei fidanzato?” mi chiede un po’ titubante lei. “No… Ma non sto cercando storie al momento. Voglio pri…” comincio a dire io, ma non riesco a finire la frase. Perché? Perché Charlotte mi si è gettata addosso, attaccando le sue labbra alle mie. Comincia a baciarmi più intensamente, finché i nostri respiri non diventano affannati. Non riesco a staccarmi da lei. Ora è proprio sopra di me, e si sta togliendo frettolosamente il vestito di dosso. Poi mi alza dal divano, continuandomi a baciare. Mi trascina in camera sua e una volta lì, mi butta sul letto. Lei è sempre sopra di me, in mutande e reggiseno. Mi toglie la maglietta di dosso e comincia a baciarmi sul petto. Non riesco a smettere di guardarla. E’ così bella. Non voglio farlo, perché non voglio illuderla. Ma non riesco a fermarla. Mi toglie la cinta dei pantaloni e poi me li tira giù, fino al ginocchio. Lei mi prende le mani e me le bacia, poi mi guarda negli occhi e mi dice: “Sei uno dei più bei ragazzi che abbia mai visto, John. Credo di essermi innamorata di te.” Comincia ad accarezzarmi il taglio che ho sul viso, sentendo un lieve dolore. Poi si alza. Sta per slacciarsi il reggiseno… Ma io mi alzo e la blocco. “No. Ti prego. Non voglio farlo. Mi dispiace Charlotte, ma non provo niente per te.” gli dico il più delicatamente possibile. Lei mi guarda con orrore sul viso. Mi da uno schiaffo fortissimo, proprio sul taglio e mi dice: “Sei uno stronzo! Hai aspettato che mi spogliassi prima di dirmelo? Vaffanculo!” Poi prende una magliettona da un cassetto e la indossa di corsa. Prende la mia maglietta da terra, ma la tira addosso e mi urla: "Fuori da casa mia!" sbattendomi fuori dalla porta di casa. Rimango come uno stupido a fissare quella porta marrone. In fondo, era quello che volevo. Andarmene a casa a riposare, far capire a Charlotte che lei non era niente per me e che non volevo fare nulla di serio con lei. Ma perché mi sentivo uno schifo?







Buongiorno bellissimi :3 Povero il nostro John, non gliene va bene una! Come continuerà la nottata di John secondo voi? Fatemi sapere che ne pensate e per favore, mettete la mia storia tra le seguite se volete, non vi costa nulla :’) Ringrazio subito tutte le meraviglie che lo faranno :’)

Mamma mia, guardate quanta figaggine in una sola foto *-*

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E questa è Charlotte, ovvero Dakota Fanning :’)

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Capitolo 7
*** La ragazza perfetta ***


7. La ragazza perfetta

Mi risvegliai con il continuo rumore di un uccellino che cinguettava vicino a me. Aprii gli occhi e un'ondata di luce mi travolse. Ero sdraiato su una panchina, in un parco al centro della città. Dopo la brutta serata con Charlotte, decisi che non mi sembrava il momento di tornare a casa. Mia non mi avrebbe mai perdonato. D'altronde Charlotte è la sua migliore amica. Così decisi di dormire all'aria aperta. Mi siedo composto sulla panchina di ferro e mi pulisco la maglietta piena di foglie cadute dell'albero sopra di me. Mi guardo intorno. Non c'è nessuno nel parco, a parte una signora anziana che trascina un piccolo carrello e un barbone seduto accanto alla mia panchina che mi fissa. Prendo il cellulare e guardo l'ora. Le 7 e 53. Mi alzo e decido di andare a fare colazione in un bar. Davanti all'entrata del parco vidi un piccolo bar con un'insegna illuminata a metà, la porta arrugginita e i vetri sporchi. Meglio di niente. Attraversai di corsa la strada ed entrai. Stavo morendo di fame. Mi avvicinai al bancone, dove c'era un signore grosso e pelato. "Buongiorno. Che ti porto?" mi chiede subito. "Salve. Un cornetto caldo e un caffè. Senza zucchero, per favore." risposi io. Il signore annuisce e sparisce dietro ad una porta. Io intanto mi siedo ad un piccolo tavolino quadrato, vicino alla porta di quello che probabilmente era un bagno. Nel locale c'eravamo solo io e un anziano signore che leggeva un giornale sportivo e che ogni tanto imprecava a bassa voce. Aspettai 5 minuti o poco più prima di vedere una ragazza con un grembiule bianco legato alla vita camminare verso di me con il mio caffè e il mio cornetto in mano. Il mio cuore si ferma appena la ragazza si avvicina al tavolo. Ha un sorriso bellissimo, due occhi molto grandi e di un verde intenso, i capelli biondo scuro legati in una treccia laterale. Sono sicuro che non ha più di vent'anni. Appoggia il cibo sul mio tavolo e mi fa un sorriso. "Ecco a te. Buon appetito." mi dice sempre sorridendo. Ha una voce allegra e sembra molto dolce. "Grazie." rispondo io incantato dalla sua bellezza. E' davvero una bellissima ragazza. Poi lei gira i tacchi e torna in cucina. Voglio sapere assolutamente chi è. Mi affretto a finire la mia colazione per andare a pagare, sperando che magari lei sia alla cassa. Ma non fu così. C'era il signore calvo davanti a me, che mi diceva: "Due dollari e quaranta centesimi, grazie." Pagai con una banconota da cinque dollari, aspettai il resto e mi diressi verso la porta. Ma prima di aprirla mi girai di nuovo verso l'uomo, che mi fissava confuso. Mi riappoggiai al bancone, poi mi allungai verso l'uomo, che fece lo stesso, e sussurrai piano: "Senti... Quella ragazza che mi ha portato la colazione..." L'uomo si ritrasse con un sorriso stampato sulla bocca, poi disse urlando: "Aaah ho capito dove vuoi arrivare!" Io, preoccupato che la ragazza potesse sentirci, mi misi l'indice sulla bocca e dissi: "Shhh!" Poi l'uomo si guardò attorno e, a bassa voce, mi disse: "Ha cominciato a lavorare qui la settimana scorsa. Dice che viene da Manhattan e vive sola con suo padre. Lui ha trovato un nuovo lavoro qui e si sono trasferiti circa un mese fa. E' carina vero?" Io annuisco e intanto mi assicuro che non ci stia sentendo nessuno. Poi gli chiedo: "Come... Come si chiama?" Lui mi guarda, mi strizza l'occhio e risponde: "Sarah. Ha 19 anni, quasi 20." Poi ad un tratto uscì lei, Sarah, per portare un caffè al signore anziano che leggeva il giornale. Guardò sia me, sia il signore calvo con cui stavo parlando e ci sorrise gentilmente. Rimasi a fissarla finchè non rientrò in cucina. Sarah. Anche il nome è bello. Ringraziai più volte il barista e alla fine uscii dal bar per dirigermi verso casa. Ero talmente preso da quella ragazza che mi dimenticai di Charlotte. E della sfuriata che mi avrebbe fatto Mia una volta rientrato a casa. Guai in vista.

Richiusi piano la porta d'ingresso alle mie spalle, pronto a scattare su in camera mia, quando sentii la voce di Mia provenire dalla cucina. "John? Sei tu?" sembrava tranquilla. Forse Charlotte non gli aveva detto nulla. Comparve Mia dalla porta della cucina, si appoggiò allo stipite con le mani incrociate sul petto e mi disse: "Com'è andata la serata, John? Vi siete divertiti?" Sembrava fin troppo calma. Aveva un tono strano, come se mi stesse prendendo in giro. E poi aveva quel fastidioso finto sorrisetto sulla faccia. "Bene. Si, insomma... E' stata una bella serata." Mi affrettai a dire mentre stavo per salire il primo gradino delle scale, attento a non guardarla in faccia. "Davvero? Allora vuoi spiegarmi per quale assurdo motivo ieri sera Charlotte mi ha chiamata in lacrime? Era disperata, John. Cosa diavolo hai combinato?" Questa volta il sorrisetto e la voce calma non c'erano più. Aveva sempre le mani intrecciate sul petto ed era ben dritta, con aria arrabbiata. "Io... Non ho fatto niente, ho solo capito che non è la ragazza giusta per me. Ecco tutto." dissi io con decisione. "Ma John, non dovevi mica metterti insieme a lei per forza! Era solo una serata per farvi conoscere." mi rispose Mia. "Vai a spiegarlo alla tua amichetta allora, è lei che voleva farlo ieri sera." risposi incrociando le mani come Mia. Dopo le mie parole, Mia era evidentemente in imbarazzo. "Ma cosa stai dicendo? Voleva farlo? Stiamo parlando della stessa Charlotte? Non ci credo. E' una ragazza molto timida e di certo non lo fa con il primo ragazzo che passa. Comunque non è quello che mi ha detto lei al telefono." disse lei con aria ancora più arrabbiata mentre pronunciava l'ultima frase. "Dovresti crederci invece. Appena siamo entrati nel suo appartamento ha cominciato a fare la puttanella." risposi io indignato. "John! Non ti permetto di parlare così della mia migliore amica, smettila!" mi urlò contro Mia. Era tutta rossa. Sembrava sul punto di scoppiare dalla rabbia. "Bene, allora sentiamo cosa ti ha raccontato la tua amichetta, dai. Voglio proprio saperlo." gli gridai ancora più forte. Pian piano lei indietreggiava sempre di più. Aveva paura che potessi picchiarla? "Mi ha detto che sei stato tu a voler per forza fare sesso, mentre lei non voleva farlo. Menomale che è riuscita a cacciarti di casa!" mi gridò forte lei. Ero senza parole. Charlotte aveva davvero raccontato questo a Maia? "Ti ha detto questo? Quella bastarda ti ha detto queste cose? Non ci posso credere... Anzi, non ci voglio credere!" dissi io con una risata amara. "Basta John, non insultarla più. Io credo a lei, dato che è la mia migliore amica, e non a te, che sei solo un trovatello, un ragazzino presuntuoso che elemosinava per la strada. Se non fosse stato per Vince, a quest'ora ti troveresti per la strada a soffrire la fame. E in questo momento è proprio lì che vorrei vederti!" mi ringhiò contro, poi girò i tacchi e uscì dalla porta di casa. Rimasi a fissare la porta chiusa per parecchio tempo. Quelle parole mi ferirono. Molto. Non potevo credere che Mia pensasse queste cose. E non potevo credere che Charlotte avesse raccontato una bugia a Mia. Non voleva passare per la puttanella del momento, perciò ha dovuto inventarsi una cazzata. Corsi su per le scale, mi chiusi a chiave in camera e infine mi sdraiai sul letto e fissai il soffitto. Cercai di cancellare dalla mente la serata del giorno prima e quell'assurda conversazione con Mia. In quel momento l'unica cosa a cui volevo pensare era Sarah. Non facevo altro che ripensare alla sua voce, ai suoi occhi, ai suoi capelli luminosi, al suo sorriso... La rivedevo nella mia mente, come se fosse ancora lì davanti a me. Dovevo assolutamente riandare in quel bar, per conoscerla meglio. Magari poteva nascere qualcosa. No. Sarebbe nato sicuramente qualcosa tra noi, lo sentivo. C'era qualcosa in lei che mi faceva pensare questo. Forse per il suo modo spontaneo di sorridere e la sua voce così dolce. Era diversa dalle altre, questo lo sapevo. Sapevo anche che lei era la ragazza giusta per me.







Ciao bellissimi :3 Scusate se non ho pubblicato capitoli per due-tre giorni, ma sono stata male :( Comunque che ne pensate del capitolo? John avrà trovato la ragazza dei sogni? Mi ha fatto davvero molto molto molto piacere vedere che alcuni di voi stanno seguendo la storia e la stanno anche recensendo :’) Ho molte visite e anche qualcuno che ha messo la mia storia tra le seguite e tra le preferite :’) Mi fate commuovere :’) Grazie davvero!

Anche a voi fa impazzire questo ragazzo? :3

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E questa è la dolcissima e bellissima Sarah, ovvero Dianna Agron, una delle attrici che più mi piacciono :’)

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Capitolo 8
*** Farfalle nello stomaco ***


8. Farfalle nello stomaco

Ho avuto tante ragazze a Seattle. La maggior parte di loro erano delle puttanelle senza cervello che volevano solo fare sesso, ma ne ho avute tante. Le mie vecchie relazioni sono durate tutte all'incirca due o tre settimane, niente di serio. Non mi sono mai interessato particolarmente alle mie ex. Nessuna mi ha colpito davvero. Nessuna mi ha fatto pensare 'questa è la ragazza giusta'. Nessuna tranne Sarah. Ma lei non è la mia ragazza. Non ancora. Penso a lei ogni fottuto minuto da quando l'ho vista. Voglio conoscerla meglio, sapere cosa gli piace fare nel tempo libero, cosa adora mangiare o cosa odia. Voglio sapere tutto. E' per questo che adesso mi trovo davanti al bar dove lavora. Mi sono alzato presto proprio per venire qui da lei, senza svegliare Mia e Vince che ancora dormivano. Non avevo nessuna voglia di spiegare dove dovevo andare. A dire la verità non avevo voglia nemmeno di parlare con loro. Mi feci coraggio ed entrai nel bar. Riconobbi subito il barista calvo dietro al bancone, ma lui non mi degnò di uno sguardo. Sembrava intento ad ascoltare una conversazione molto animata tra due ragazzi seduti al tavolo in fondo al locale. La ragazza, una bionda, mi dava le spalle, perciò non potevo vederla in faccia. Il ragazzo è un tipo alto, muscoloso e abbronzato, con i capelli castano chiari e gli occhi luminosi. Sembra molto grande, sui 26-27 anni. Dal tono di voce e dai gesti che fanno, capisco che stanno litigando. Sento la ragazza piangere, mentre lui gli urla addosso pesanti insulti. Mi avvicino al barista e dico: "Accidenti, quei due stanno litigando proprio di brutto." Il signore calvo mi guarda con aria preoccupata e mi dice: "Già, spero che le cose non si mettano peggio di adesso." Io lo guardo incuriosito. Non capivo cosa volesse dire, e poi perché si preoccupa? Ad un tratto i ragazzi si alzano e in quel momento capisco per quale motivo il barista era preoccupato per il litigio. La ragazza era Sarah. Il ragazzo, molto più alto e più grande di lei, gli urla: "Mi sono stancato delle tue scuse, questa volta mi hai veramente rotto! Non finisce qui, Sarah." Poi scrolla la testa e si dirige verso la porta per uscire. “Aspetta Dylan, ti prego!” gli urla Sarah, ma lui la ignora. Mentre mi passa accanto mi guarda con aria di sfida, dandomi anche una spallata, poi esce. Intanto Sarah si è rimessa seduta al tavolo e continua a piangere e a singhiozzare. Mi avvicino subito, pronto a darle il mio aiuto, ma appena sto per aprire bocca lei si alza in piedi, prende la borsa e si dirige fuori dalla porta, senza neanche degnarmi di uno sguardo. Il barista mi guarda rattristato e mi dice: "Ha avuto una brutta giornata. E' dalle 7 che litigano. Dovresti andare da lei." Io faccio un cenno con la testa per annuire e poi mi fiondo fuori.

Comincio a camminare per il parco, in cerca della ragazza che mi sta facendo impazzire, ma senza risultati. Dopo 15 minuti che giro per il parco, mi siedo su una panchina arrugginita, sapendo che ormai non sarei più riuscito a trovarla. Ma poi sento il rumore di un pianto provenire da dietro di me. Mi giro e vedo Sarah seduta sotto l'ombra di un albero a pochi metri da me, con la testa fra le gambe e le braccia che le circondavano. Mi alzai subito in piedi, e mi incamminai verso di lei. Mi sedetti delicatamente sotto l'ombra, vicino a Sarah, stando attento a non spaventarla. A quell'ora il parco era abbastanza vuoto. C'erano solo pochi barboni che ormai ritenevano quel parco casa propria. Sarah alza lo sguardo di scatto e mi guarda con l'aria più triste che abbia mai visto. A causa delle lacrime, il suo trucco era un po' colato, ma era bellissima lo stesso. "Tutto bene?" inizio a dire io, dato che aveva assunto un'espressione spaventata. D'altronde lei non sapeva chi ero. "Emh... Non proprio, ma passerà." mi risponde con dolcezza, facendomi un sorriso finto, solo per gentilezza. "Ti ho vista nel bar, pensavo che magari avevi voglia di parlare con qualcuno..." ma che cazzo mi salta in mente? Neanche mi conosce! "Oh... Sei stato davvero gentile, ma non preoccuparti, sto bene." mi risponde incerta lei. Sono un coglione colossale, lo so. "So che ti sembrerò uno stupido... Nemmeno ci conosciamo e mi sto impicciando dei tuoi problemi, volevo solo assicurarmi che stessi bene. Mi dispiace per essermi intromesso." dico io, vergognandomi a morte, mentre mi alzo per andarmene. Ma appena faccio due passi sento una mano sulla mia spalla che mi blocca. "Aspetta. Non sei uno stupido che si impiccia dei problemi degli altri. Sei stato davvero dolce a preoccuparti per me. Grazie." mi dice velocemente Sarah. Io mi volto e lei mi fa un sorriso, uno vero stavolta. Sento qualcosa dentro di me, appena la vedo sorridere. Qualcosa di strano, mai provato prima. Saranno queste le famose farfalle nello stomaco? "Io sono Sarah." mi dice lei, porgendomi la mano. Lo so, voglio rispondergli. Ma invece di fare un'altra figura di merda, gli porgo la mia mano e dico solo: "John." Poi, dopo vari minuti di silenzio e di imbarazzo, mi faccio coraggio e dico: "Ti va di andare a bere qualcosa? Così magari ti distrai un po'." Lei si guarda intorno un po' incerta, poi riposa lo sguardo su di me e mi risponde: "Ok, va bene. Grazie davvero, John."

Trascorro tutta la giornata in compagnia di Sarah e mi accorgo che più passa il tempo, più provo dei forti sentimenti per lei. E' così spontanea, dolce, solare, a suo agio con tutti. Giuro che non ho mai conosciuto nessuna ragazza più perfetta di lei. Dopo esserci conosciuti più a fondo, ho capito che lei ha avuto parecchi problemi in famiglia. Sua mamma è morta quasi un anno fa, in un incendio che è divampato nell'ufficio dove lavorava. Lei e il padre si sono trasferiti moltissime volte in cerca di un posto dove potessero finalmente ricominciare a vivere. Adesso che sono qui a Miami, lei vorrebbe aiutare il padre guadagnando qualche soldo al bar. Trovo che sia una cosa molto dolce da parte sua, aiutare il padre in questo modo. E' davvero una ragazza molto buona. Poi finalmente mi ha spiegato il motivo del litigio con il suo fidanzato, Dylan. E' da un mesetto più o meno che si frequentano. Lui è il tipico ragazzo che vuole uscire tutte le sere, andare in discoteca con gli amici, divertirsi bevendo litri di birra e mostrare a tutti la sua bella ragazza. Ma lei non è così. Preferisce stare a casa a trascorrere una serata in compagnia del padre, ordinare una pizza da dividere con lui e infine noleggiare un film. E' per questo che lei rifiuta quasi sempre i suoi inviti ad uscire. Lui non è contento e questa è la ragione dei loro continui litigi. "Non riesco a credere che tu abbia litigato con quel bastardo per questa cavolata." dico io mentre mangio il mio gelato insieme a Sarah, seduto accanto a lei su una panchina che si affaccia sulla spiaggia. "Già... Non capisco cosa ci trovavo in lui di tanto speciale. E' solo un ragazzo presuntuoso e egoista." afferma lei, mangiando il suo gelato al cioccolato. Cavolo, è bellissima. La guardo mentre è intenta a non far cadere il gelato sui suoi jeans, con la luce del sole che la illumina da capo a piedi. Ormai è il tramonto, e il mare ha assunto quel colore tra l’arancione e il rosso che assume tutte le sere verso le 19.00. "John, è meglio che vada. Dovrei preparare la cena a mio padre." mi dice lei guardandomi negli occhi. "Oh si, certo. Stai tranquilla." rispondo subito io. Mi fa un sorriso grande, si alza e comincia a camminare per il marciapiede. Io rimango a fissarla incantato, quando ad un tratto Sarah si gira, torna verso di me e si risiede. "Ti va se ci rivediamo domani?" mi chiede un po' in imbarazzo. Il mio cuore comincia a battere all'impazzata. Credo di stare per svenire. Mi ha chiesto di rivederci? L'ha fatto davvero? Oh cazzo, l'ha fatto. "Ma certo! Si, sicuramente!" rispondo io un po' troppo euforico. Che figura di merda. Lei fa una risatina. Amo il modo in cui porta la mano davanti alla bocca quando ride. Poi si avvicina... E mi da un bacio sulla guancia. "Grazie per oggi, John. Sei stato davvero dolce." dice lei guardandomi fisso negli occhi come nessuno ha mai fatto, poi si alza e se ne va. Io rimango fermo, immobile sulla panchina con un sorriso stampato sul volto. D'istinto mi tocco la guancia dove poco prima Sarah ha posato le sue labbra. Non ci potevo credere. No, doveva essere un sogno. Poi ad un tratto la sento di nuovo. Quella strana sensazione mai provata. Ora ne sono certo. Sono le farfalle nel mio stomaco.







Ma salve bellissimi :3 Scusate l’assenza, sono stata qualche giorno al mare :3 Ma eccomi qui con un nuovo capitolo pieno d’amore *-* Spero vi piaccia! Come al solito voi recensite in tanti, mi farebbe tanto piacere :’)

Quanto amo questo ragazzo *-*

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Questa ragazza è perfettamente perfetta :’)

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E questo è l’ex di Sarah, Dylan, ovvero Rodrigo Guirao Dìaz :3

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Capitolo 9
*** Un mostro ***


9. Un mostro

Dopo aver fissato la figura snella di Sarah che spariva all'orizzonte, decisi di alzarmi dalla panchina per tornare a casa. Erano le 20.00 e cominciava a fare buio velocemente. Mentre attraversavo il parco, ripensai alla bellissima giornata appena trascorsa. Ancora non potevo credere al fatto che Sarah ed io eravamo sulla buona strada per diventare qualcosa di più di semplici amici. Con nessuna ragazza mi ero mai sentito così sicuro di me, così libero. Potevo essere me stesso, finalmente. Quella era la giornata più bella della mia vita. Ne ero sicuro. Ma appena pensai queste parole, sentii un fruscio alle mie spalle. Il rumore era simile a quello delle foglie secche che vengono calpestate, come quello dei film horror. Mi girai di scatto, ma non vidi nessuno. Il parco era vuoto e buio. I lampioni non si erano ancora accesi. Mi rigirai di nuovo per continuare a camminare verso casa, ma appena mi voltai mi ritrovai faccia a faccia con qualcuno. Non riuscivo a vederlo bene, aveva il cappuccio della felpa sollevato sulla testa, era molto alto e grosso. Poi parlò. La sua voce era forte e cupa. "Hey biondino, hai finito di sbavare dietro alla mia ragazza?" mi disse con un tono sarcastico. Neanche il tempo di finire la frase che mi diede un pugno fortissimo sulla guancia sinistra. Caddi a terra, all'indietro, e mi ritrovai appoggiato sui gomiti. Mi portai subito la mano sulla guancia. Faceva malissimo. Poi sentii del sangue colare dal naso, andandomi a finire in bocca. "Ma che cazzo fai?" risposi io, ancora seduto a terra. Poi finalmente riuscii a vederlo in faccia. La luce di un lampione si accese proprio vicino a noi e lo riconobbi. Era l'ex di Sarah, quello con cui stava litigando nel bar. Dylan. All'improvviso sentii due mani che mi alzavano da dietro e mi rimettevano in piedi. Mi girai per guardare chi fosse e vidi altri due ragazzi, probabilmente amici di Dylan. Uno dei due mi diede subito un pugno in pieno stomaco, facendomi piegare in due dal dolore. Respiravo a fatica e non riuscivo a parlare, ne a reagire. Sentii di nuovo il sapore caldo e ferroso del sangue in bocca. Poi Dylan mi prese per il collo e mi avvicinò alla sua faccia. "Prova a riavvicinarti a Sarah e la prossima volta ti ammazzo direttamente. Mi hai capito?" mi urlò addosso. Finalmente mi lasciò, mi diede un'ultima occhiata e poi si allontanò con gli altri due. Continuai a respirare lentamente, con la bocca, cercando di riprendere fiato. Ecco, la giornata più bella di tutte rovinata da un coglione geloso. Cosa dovevo fare? Lasciare stare Sarah perché un tizio grande e grosso ha minacciato di uccidermi o far finta di niente e lasciare che l'amore superi tutti gli ostacoli, anche quelli più grossi?

Tornato a casa, pensai di chiudermi in camera e farmi una dormita, per schiarirmi le idee. Invece Mia e Vince mi stavano aspettando in cucina, per mangiare. "John, sei tu? Vieni in cucina, che mangiamo." sentii dire da Vince. Entrai in cucina e sentii un mormorio preoccupato provenire dai due ragazzi. "Ma che cazzo ti è successo?" disse Mia spalancando gli occhi. "Oh merda, John. Ti hanno picchiato? Chi è stato? E' qualcuno del bar, vero?" chiese allarmato Vince. "No, non è stato nessuno che conosci. Ho avuto un problema con un ragazzo." dissi io con un tono di voce tranquillo, cercando di minimizzare la faccenda. Mi sedetti al tavolo e mi infilai un panino in bocca. Mia si alzò subito, prese un vecchio straccio bagnato e tornò da me. Mi prese per il mento, dolcemente, e cominciò a tamponare lo straccio sul naso e sull'angolo della bocca. "Oddio, sei pieno di lividi. E sei anche gonfio." mi disse Mia guardandomi preoccupata. "Non è niente, Mia. Non sono mica morto." dissi subito io con un sorriso stampato in volto, mentre dentro stavo morendo. Non volevo assolutamente allontanarmi da Sarah. No. Non lo avrei mai fatto. "Allora... Cosa hai fatto?" disse Vince incrociando le braccia sul petto. Intanto Mia si era riseduta al suo posto e mi guardava incuriosita. "E' per una ragazza... Il suo ex vuole che la lasci in pace." risposi io. "Oh John, lo sapevo! Sei sempre in cerca di guai. Non potresti per una volta fare l'adulto e comportarti bene? Non puoi pensare sempre e solo alle ragazze. Lasciala stare, così quel coglione non ti darà più fastidio." mi rimproverò Mia. Feci una risatina amara e poi dissi: "Ti sto così tanto sul cazzo, Mia? Possibile che non ti vada mai bene quello che faccio? Se proprio vuoi saperlo, questa ragazza la amo con tutto il cuore, non ho mai amato nessuna come amo lei. Questi lividi me li sono procurati per lei, perché la amo. E mi farò anche uccidere, se necessario. Ma io non la lascio." Mi alzai di scatto, gettando a terra la sedia. Poi camminai spedito in camera mia.

Rimasi tutta la notte sveglio a pensare a Sarah. E a Dylan. Mi avrebbe davvero fatto del male se avessi continuato a vedere Sarah? Ero un codardo. Mi sentivo talmente intimorito dalle parole di Dylan, che quasi mi dimenticai di quello che avevo detto poco prima a Mia, ovvero che io Sarah non l'avrei mai lasciata, anche a costo di morire.

Appena aprii gli occhi vidi subito la sveglia sul comodino che segnava le 10 e 53. Mi alzai di scatto, pronto a farmi una doccia veloce e poi uscire. Alle 11 e 10 mi ritrovai a correre per la città, intento ad arrivare al bar dove lavorava Sarah il prima possibile. Entrai nel bar e la vidi dietro al bancone, che faceva il conto a due signore anziane. Una volta che queste ebbero finito, lei mi guardò e mi sorrise, poi fece il giro del bancone e mi raggiunse per salutarmi. "Buongiorno John, come... Ma che cosa hai fatto alla faccia?" mi chiese allarmata. "Oh... Non è niente, ho sbattuto alla porta del bagno ieri sera." risposi io titubando. "La porta del tuo bagno ti ha colpito prima sulla guancia sinistra e poi sulla parte destra della bocca?" rispose lei con il sorriso sulle labbra. "Se ti dicessi di si, mi crederesti?" risposi io sorridendo. "Dai John, con chi ti sei picchiato?" mi chiese lei preoccupata. Neanche il tempo di aprire bocca per rispondere, che sentii la porta alle mie spalle aprirsi e poi qualcuno gridare: "Ancora tu? Allora non hai capito che devi lasciarla in pace! Stavolta ti ammazzo." Mi girai di scatto e non fui sorpreso di vedere Dylan. Il mio cuore cominciò a battere più forte, consapevole del fatto che di lì a poco mi sarei ritrovato in una bara. Arrivò un primo pugno, dritto sull'occhio. Mi preparai per il secondo, ma quando Dylan stava per colpirmi Sarah si mise in mezzo a noi urlando e con le lacrime agli occhi. "No, Dylan, basta! Ti prego, non fargli del male!" urlò lei in preda al panico. "Togliti di mezzo, Sarah!" gli urlò lui, continuando a fissarmi. "Non capisci che è finita? Io non ti amo più. Lasciami in pace una volta per tutte, Dylan! Non puoi fare questo a tutti i ragazzi che frequento." gli disse Sarah puntandogli un dito contro. "Non puoi farmi questo, noi stiamo bene insieme. Tu non puoi lasciarmi così e non andrai da nessuna parte con lui." rispose Dylan, incavolato nero. Poi la prese per un braccio e la tirò verso di se. Lei protestò, ma lui continuava a tenerla stretta, guardandomi con un sorrisetto sulla faccia, come se avesse appena vinto un premio a cui io tenevo molto. A quel punto qualcosa dentro di me mi disse che non dovevo lasciarglielo fare. Mi diressi di corsa verso di loro, presi Sarah per un polso e la tirai via da lui, attento a non fargli del male. Poi cominciai a prenderlo a pugni, uno dietro l'altro, come non avevo mai fatto. Una scarica di adrenalina mi pervase e continuai a prenderlo a pugni e a calci... Finchè non sentii Sarah che piangeva e che mi urlava di smetterla, dandomi delle botte sulla schiena. Dylan giaceva a terra, respirava a fatica. Guardai Sarah, che mi osservava impaurita. Cazzo. Avevo rovinato tutto? Adesso lei aveva paura di me? "Sarah, scusami. Non so cosa mi sia preso, ma quando lui ti ha stretta a se..." cominciai a spiegare io. "No, basta, John. Ti prego, vattene." mi disse lei, singhiozzando. Poi si avvicinò a Dylan, che aveva gli occhi socchiusi e si teneva lo stomaco con le braccia. "Stai bene, Dylan? Apri gli occhi, ti prego." disse lei in tono dolce, accarezzandogli la faccia. Rimasi a fissarli per pochi minuti, poi uscii dal bar. Non ricordo come arrivai su una panchina in mezzo al parco. Ricordo solo che mi sentivo confuso, vuoto. Un dolore mi attraversava il petto e lo stomaco. Fissavo il vuoto davanti a me, continuando ad immaginare il volto di Sarah che piangeva. Cosa avevo fatto? L'avevo spaventata. Lei si era lasciata con Dylan proprio perché lui era un tipo manesco. Sicuramente penserà che lo sia anche io. Lo ero davvero? Si. Ero un mostro.







Buonasera bellissimi :3 Okay, avete il diritto di uccidermi! Scusate davvero se non ho pubblicato il capitolo subito, ma sono partita e sono tornata ieri :’) Allora vi piace la storia fino ad adesso? Fatemi sapere belli miei :’)

Alex, fattelo dire, sei un figone :’)

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Anche la nostra Dianna non scherza :3

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Capitolo 10
*** Una notte in gattabuia ***


10. Una notte in gattabuia

Di preciso non so quanto restai seduto su quella panchina a fissare il vuoto. Però dopo un bel po' mi resi conto che stava facendo buio. Ormai il bar doveva essere chiuso e Sarah sotto le coperte a dormire, a casa sua. Quanto avevo voglia di vederla... Ad un certo punto sentii qualcuno camminare verso di me, verso la panchina su cui ero seduto. Ma non mi girai, non mi importava nulla se qualcuno voleva picchiarmi o direttamente uccidermi. Continuavo a fissare davanti a me con gli occhi socchiusi. Poi sentii qualcuno che diceva: "John Smith? Sei tu?" Era la voce di una donna, adulta. Si mise davanti a me e io dovetti per forza alzare gli occhi su di lei. Aveva un'uniforme e un capello blu e teneva in mano una pistola. Puntata su di me. Era una poliziotta. "Sei tu John Smith? Rispondimi." mi chiese in tono tranquillo. Adesso io guardavo le mie scarpe, mentre pensavo a cosa ripondere. Poi finalmente dissi: "Che succede?" con un tono troppo rassegnato. La poliziotta abbassò la pistola dopo essersi resa conto che non avrei alzato un dito su di lei. Mi si avvicinò lentamente e mi disse: "I genitori di Dylan Ventury hanno sporto denuncia verso John Smith, per averlo ferito in modo grave. Sei stato tu, non è vero?" Io alzai gli occhi su di lei pensando ai casini che sarebbero successi quella notte. "Si. Sono stato io." dissi rassegnato. Tanto non sarei andato da nessuna parte dicendo una cazzata. Poi lei mi prese per il braccio e mi portò verso una macchina della polizia parcheggiata all'entrata del parco, dove ci aspettava un signore seduto al volante.

Dopo neanche 15 minuti di macchina arrivammo alla "Centrale di polizia di Miami". Quando scesi dalla macchina, la poliziotta mi mise delle strettissime manette ai polsi, dietro la schiena. Poi, una volta entrati, mi fecero mettere seduto in una stanza tutta bianca e azzurra, su una fila di sedie. Davanti a me c'era un bancone e dietro di esso una signora che parlava al telefono. Era come una specie di sala d'attesa, solo che davanti alla porta della stanza c'era un poliziotto che mi fissava. Dopo parecchi minuti sentii la porta che si apriva e due signori vestiti di blu mi presero per le braccia e mi fecero entrare in un'altra stanza, più scura della precedente. C'era solo un grande tavolo al centro, con due sedie poste alle estremità. Il resto della stanza era vuoto. Mi misero seduto su una delle sedie e poco dopo arrivò un signore anziano, con dei baffi grigi e abbastanza in carne, che si mise seduto sulla sedia davanti a me. "Ciao John, lo so che sono le 2 del mattino, ma abbiamo ricevuto una denuncia da parte di genitori molto arrabbiati. Conosci un certo Dylan, per caso?" mi chiese gentilmente, ma nel tono aveva un po' di sarcasmo. "Si." risposi io. Non avevo voglia di farmi prendere per il culo da questi quattro imbecilli, perciò decisi di rispondere svogliatamente. "Bene. Sei stato tu a picchiarlo, ieri mattina, nel bar davanti al parco?" mi domandò l'uomo, più seriamente. "Si." risposi io, di nuovo. Il signore si alzò lentamente e cominciò a girarmi intorno, continuando a fare domande. "Okay, John. E per quale motivo lo hai fatto? Ti ha dato fastidio?" mi chiese lui. "Ha dato fastidio ad una ragazza." ribattei io, guardando fisso davanti a me, nel vuoto. Sarah. Avrà detto lei ai genitori di Dylan quale era il mio nome? Sarà stata lei a denunciarmi? "E questi lividi, chi te li ha fatti?" mi domandò indicando la faccia. "Dylan. Ieri notte." risposi. Il poliziotto mi guardò confuso. "Quindi anche lui ti ha picchiato? Per una ragazza?" mi ridomandò. Vide che non collaboravo, perciò scoppiò. "Cazzo, John, sono le due del mattino, vuol deciderti o no a dirmi quello che è successo ieri sera?" disse urlandomi in faccia. A quel punto spiegai tutto. Spiegai che un giorno entrando nel bar davanti al parco vidi due ragazzi che litigavano. Erano loro, Sarah e Dylan. Io consolai Sarah, l'aiutai a superare la rottura, ma Dylan, la sera stessa, mi picchiò nel parco, minacciandomi di morte. Il giorno dopo di nuovo mi picchiò, solo che io reagii. Ero stufo delle sue minacce, per questo cominciai a picchiarlo, più forte, più violentemente. Alla fine del mio racconto, il poliziotto mi guardò e disse: "Hai mandato quel ragazzo in ospedale, John. Gli hai rotto il naso e due costole. E' pieno di lividi sulla faccia e ha un occhio gonfio." mi disse scoraggiato. Io rimasi a guardarlo finchè non capii la gravità della situazione. Cosa mi avrebbero fatto adesso? Sarei finito in prigione? Cazzo, Mia e Vince mi avrebbero ucciso di sicuro. "Adesso, John, dovremmo portarti in cella, finchè qualcuno dei tuoi parenti non verrà a prenderti. Possiamo chiamare qualcuno?" mi chiese lui. "Io non ho parenti, vivo con due amici." risposi io, pentendomene subito. "Cosa? E i tuoi parenti dove sono? I tuoi genitori?" mi chiese lui incuriosito. Dopo parecchi minuti a fissare il pavimento, decido di rispondere. "Sono morti. Vince e Mia mi hanno ospitato in casa loro." Il poliziotto guardò un suo collega che era presente nella stanza. Poi tornò a guardare me. "Lo sai che non puoi vivere con i tuoi amici se non hai già compiuto i vent'anni? Devi essere sorvegliato da un tuo famigliare, per adesso. Non hai nessuno? Un nonno, uno zio, un cugino che ha più di vent'anni?" domandò lui con dolcezza. "Io... No. Non ho mai avuto nonni o zii. Vivevo solo con i miei genitori." risposi titubando. Il signore fede una smorfia e poi disse: "Bene. Intanto ti portiamo in cella, per una notte. Poi domani mattina contatteremo qualche orfanotrofio che sia disposto ad accettarti." Io rimasi a bocca aperta. Sono scappato da Seattle, ho cambiato nome, ho lasciato i miei amici e la mia casa per non finire in orfanotrofio, e adesso? Mi ci spediranno lo stesso. Cazzo. "Portatelo in cella." disse il poliziotto. Qualcuno da dietro mi fece alzare e mi portò per i corridoi della centrale. Poi scendemmo delle scale e arrivammo in un corridoio più stretto e buio. C'erano circa 20 o 30 celle su questo corridoio. Il poliziotto mi mise in una cella vuota, accanto a un ragazzo pelato pieno di tatuaggi e ad un signore sui cinquanta che dormiva. Poi mi tolse le manette e chiuse a chiave la cella. Ma che cazzo avevo fatto? Non ero mai stato un tipo manesco che finiva nel guai. E di certo non ero mai finito in galera. Domani mattina sarei sicuramente finito in qualche orfanotrofio e la mia vita sarebbe finita. Non avrei più rivisto Sarah, ne Vince o Mia. Mi misi seduto su un materasso tutto sporco e poggiato a terra. Poi mi infilai le mani tra i capelli e cominciai a piangere, silenziosamente.







Ma buongiorno belli miei :') Come state? La storia si fa sempre più complicata e il nostro povero John è sempre nei guai. Poverino. Ma tra poco le cose si metteranno ancora peggio, tranquilli xD Allora, fatemi sapere se vi piace :') Mi farebbe tanto piacere, visto che ci sto mettendo il cuore per scriverla :')

Quant'è bello mamma mia *-*

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Capitolo 11
*** I Potenti ***


11. I Potenti

Mi risvegliai di soprassalto quando un poliziotto tentò di aprire la porta della mia cella. Mi strofinai gli occhi e mi misi seduto sul materasso sporco, intento ad osservare l'uomo che trafficava con le chiavi nella serratura. Poi la porta si aprì, con un rumore cigolante e il poliziotto disse: "John, puoi uscire. Sono venuti a prenderti i tuoi genitori." Era di sicuro uno scherzo. O forse stavo sognando. Come era possibile che i miei genitori fossero venuti a prendermi se l'ultima volta che li avevo visti erano sepolti sotto terra? "Che cosa?" chiesi io stupito. Ma l'uomo non disse nulla. Si limitò a prendermi per un braccio e a trascinarmi fuori dalla cella. Una volta arrivati nell'atrio, il capo dei poliziotti, lo stesso che mi aveva interrogato la sera prima, mi fece un sorriso e mi disse: "Eh John, sapevo che non dovevo fidarmi di te. Perché non mi hai detto subito che avevi i genitori?" Poi mi diede una pacca sulla spalla, mentre l'altro poliziotto mi lasciava il braccio e uscì dalla stanza. "Ma io non ho..." feci per dire io. "Ne ho conosciuti tanti di ragazzi come te. Dicevano di non avere i genitori per paura di finire nei guai. Ma succede, sai? Alla vostra età è normale finire nei guai e passare una notte in gattabuia. I tuoi genitori non sembravano arrabbiati." mi disse lui, sempre sorridendo. Non riuscivo a capire cosa stava succedendo. Magari Mia e Vince avevano fatto finta di essere i miei genitori. "Firma qui, poi potrai uscire. Ti stanno aspettando qui fuori." mi disse il poliziotto. Firmai su tre fogli diversi, poi uscii dall'edificio. Trovai una grossa macchina nera parcheggiata lì davanti, una specie di pulmino. Ad un tratto uscirono due uomini, uno grosso e pelato e un altro più basso con i capelli lunghi. Mi presero per le braccia e per la maglietta e mi fecero entrare di corsa nella macchina. "Hey hey hey, che volete?" protestai io. Poi entrarono anche loro e misero in moto. "Ma che cazzo succede? Chi siete?" continuai a chiedere io. Seduta vicino a me, c'era una ragazza sui 25 anni, con i capelli rossi e gli occhi azzurri. Era vestita tutta di nero e succhiava un chupa-chups. Uno dei due uomini seduti davanti, quello pelato che guidava, finalmente parlò. "Ciao John. Io sono Dom, lui è Lorenzo e lei è Lexi." disse indicando gli altri due. "Abbiamo fatto finta di essere i tuoi genitori perché ci servi. Ti stavamo cercando, da anni ormai." continuò a dire. Io, visibilmente sconvolto, riuscii a dire: "Cosa? Perché mi cercavate? Che volete?" L'uomo con i capelli lunghi si girò a guardarmi e mi disse: "Davvero non sai di cosa stiamo parlando?" Io scossi la testa. Che cosa volevano? Avevano sicuramente sbagliato persona. Forse cercavano un altro John. D'altronde questo non era il mio vero nome. "Appena arriveremo capirai." disse la ragazza, che fino ad allora non aveva mai aperto bocca, se non per succhiare la caramella.

Passò circa un'ora prima che arrivammo ad una vecchia casa abbandonata nel bel mezzo del nulla. Ci trovavamo su una specie di montagna, circondati da abeti. Sebbene fossero circa le 11 del mattino, il cielo era spaventosamente scuro. Appena sceso dalla macchina, i due uomini mi ripresero per la maglietta e mi tirarono in casa. Una volta dentro mi gettarono violentemente per terra. Caddi in avanti, con un tonfo. Attutii la caduta con le mani, poi mi girai mettendomi a sedere. La casa era un'unica grande stanza. Da un lato c'era la cucina, da un'altro un piccolo divano e infine due letti matrimoniali, l'uno di fianco all'altro. C'era poi una piccola porta, probabilmente il bagno. L'uomo pelato, Dom, si avvicinò al frigorifero e prese una birra. La stappò con i denti, poi si piazzò davanti a me. Dovetti alzare la testa per vederlo in faccia. Era enorme. Gli altri due invece si erano seduti sul divano e mi fissavano. Dopo aver bevuto un sorso della sua birra, Dom disse: "Vuoi sapere perché ti abbiamo portato qui, John?" Annuii. Cominciavo ad agitarmi. Non mi piaceva quell'uomo. Diede un altro sorso alla birra e poi disse: "Bene. Noi sappiamo che tu non sei un ragazzo normale, tutt'altro. Hai dei poteri come noi." POTERI?! Okay, questi sono matti. "Ma di che diavolo parli?" chiesi io, aggrottando le sopracciglia. "Oh, andiamo John, sappiamo che tu sei il figlio di Tod Rider, il più grande Potente che sia mai esistito. Tutti ti stanno cercando." spiegò irritato Dom. Come facevano a sapere che mio padre era Tod Rider? E che diavolo è un Potente? "Vi giuro che non so di cosa stiate parlando. Cos'è un Potente? E perché mi cercano?" chiesi io, visibilmente allarmato. "Non sai neanche cosa sia un Potente? Spero che tu ci stia prendendo in giro, John. Tuo padre non ti ha mai detto niente su di noi? Non ti ha mai detto che cosa sei?" chiese Dom, con un briciolo di speranza nella voce. Feci di no con la testa, lui alzò gli occhi al cielo e disse: "Ti stanno cercando tutti perché tu sei l'unico della nostra specie ad essere metà umano e metà Potente. Tuo padre è uno di noi, ma tua madre no. Lei era umana. Astrea, la madre di tutti i Potenti, cacciò tuo padre dal nostro pianeta proprio perché lui era innamorato di una mortale. Astrea pensava che sarebbe sicuramente morto sulla Terra. Invece solo pochi giorni fa è venuta a sapere che Tod aveva un figlio, ovvero te. Perciò ha fatto uccidere i tuoi genitori. E ha ordinato a noi Potenti di cercarti, di portarti da lei." Rimasi a bocca aperta. Erano sicuramente tre fuori di testa, non c'era altra spiegazione. Mi alzai con uno scatto, scrollai la testa e dissi: "Okay, non mi va di giocare a questo stupido gioco per sfigati con voi, mi dispiace." Mi diressi verso la porta, ma qualcuno mi mise un braccio intorno al collo e mi strinse forte. Era Dom, che mi teneva stretto sul suo petto e mi sussurrava nell'orecchio. "Non è un gioco, John. Purtroppo per te questa è la verità. Tu hai dei poteri magnifici di cui ignori l'esistenza. Potresti addirittura bruciare tutta la Terra in un batter d'occhio, solo che non sai come. Per questo Astrea vuole ucciderti per rubarti i poteri. Lei saprebbe come usarli." mi disse, continuando a stringermi forte la gola. Respiravo a fatica, ma riuscii a dire: "Che cosa? Vuole uccidermi?" Dom mi tolse il braccio dal collo, mi prese per la maglietta e mi trascinò su una sedia, facendomi sedere con forza. "Dobbiamo aspettare che vengano a prenderci, per tornare sul nostro pianeta. Non appena troveremo un segnale, avviseremo Astrea." disse Dom, guardando gli altri due seduti ancora sul divano. Poi fece un cenno con la testa a Lorenzo, che si alzò e andò a prendere qualcosa dentro un cassetto. Poi mi si avvicinò e notai che era un rotolo molto grande di nastro adesivo nero. Mi spinse le mani dietro alla sedia e mi legò. Poi passò alle caviglie. "Voi siete pazzi, non potete legarmi!" protestai io. Non credevo sarebbe andata a finire in questo modo. Erano sicuramente tre persone malate, indipendenti dai giochi di fantascienza. Non poteva essere la realtà. No, era una cosa assurda. Ma mentre pensavo questo, Lexi alzò una mano, verso la televisione e come per magia il telecomando che era lì vicino si alzò e volò velocemente verso di lei. Gli cadde precisamente in mano. Non poteva essere vero. Spalancai gli occhi e quando Dom mi vide cominciò a ridere. Allora alzò anche lui la mano, ma questa volta verso di me. Vidi che la collanina con l'aquila d'oro di mio padre che tenevo al collo si alzò lentamente, si sfilò e andò a finire dritta nella mano di Dom. Rimasi a bocca aperta. Allora era tutto vero? Anche io potevo farlo? I miei genitori non erano morti per un'incidente stradale, ma erano stati uccisi volontariamente? Quindi mi avrebbero davvero ucciso, come mi avevano detto? No, doveva essere un sogno. Quella non era la realtà. Cercai di distogliere lo sguardo da Dom, ma non ci riuscii. Lui mi guardò sorridendo, uno di quei sorrisi malvagi e poi con tutta la tranquillità del mondo disse: "Allora? Adesso ci credi?"







Buonasera bellissimiii :') Finalmente siamo arrivati al pezzo forte della storia *-* John è un Potente, come suo padre, ma molto molto molto più importante di lui. Riuscirà a scappare da Dom e dai suoi amici? E Vince e Mia? Si accorgeranno della scomparsa di John? Presto pubblicherò il seguito, tranquilli :') Intanto voi recensite in tantiii *-*

Un giorno morirò davanti a queste foto *O*

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Questo invece è Dom, ovvero Vin Diesel :')

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Poi c'è Lexi, ovvero Rachel Nichols :')

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Ed infine Lorenzo, ovvero Colin Farrell :')

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Capitolo 12
*** La verità ***


12. La verità

Quella notte era impossibile dormire. Ero talmente sconvolto da quello che era successo la sera prima che dormire era l'ultima cosa che avrei fatto in quel momento. E poi la corda che mi teneva legato mani e piedi era talmente stretta che sentivo un dolore atroce per tutto il corpo. Perciò di dormire proprio non se ne parlava. Vedevo Dom, Lexi e Lorenzo che dormivano sui letti matrimoniali attaccati alla parete. Dovevano essere più o meno le 3 del mattino. Non riuscivo a credere che mi trovavo lì, sperduto chissà dove con tre pazzi squilibrati che mi tenevano legato su una sedia scomodissima. Tentai più volte di liberarmi dalle corde strettissime, ma non ci riuscii. Alla fine mi arresi alla stanchezza e chiusi gli occhi.

Una risata acuta mi svegliò improvvisamente. Aprii gli occhi e vidi Lexi seduta a gambe incrociate sul divano davanti a me, che parlava al telefono. Appena mi vide sveglio smise di ridere e mi fissò intensamente. "Scusami Jay, ti devo lasciare perché ho un impegno importante, ci sentiamo presto." disse Lexi riferendosi al telefono, continuando a fissarmi. Poi attaccò. "Ben svegliato, biondino." mi disse alzandosi e passandomi accanto. Mi scompigliò i capelli con la mano, poi si diresse in cucina e prese un cartone di latte dal frigo. "Ci siamo solo noi. Dom e Lorenzo sono andati a contattare il nostro pianeta." disse lei, prendendo un sorso di latte dal cartone e pulendosi poi con il dorso della mano la propria bocca. "Hai fame? Ci sono dei biscotti alla crema." mi chiese lei indicando una scatola grigia sul tavolo. Io feci segno di no con la testa. Lei mi si piazzò davanti e mi guardò incuriosita. "Non vuoi nulla? Sei sicuro? E' da ieri mattina che non mangi e bevi nulla." mi chiese lei stupita. "Non voglio niente." risposi io infastidito. Poi mi venne un'idea fantastica. "L'unica cosa è voglio è andare in bagno. Me la trattengo da ore ormai." dissi facendo un sorrisetto. Lei mi guardò facendo una smorfia e disse: "Devi proprio? Non puoi aspettare Dom?" Io feci di no con la testa e aggiunsi: "Se aspetto ancora un po' me la faccio sotto!" Poi lei alzò gli occhi al cielo e si abbassò per slegarmi i piedi. Poi passò alle mani. Una volta libero, pensai che era il caso di correre verso la porta d'entrata, o magari di spingere Lexi a terra se avesse tentato di fermarmi. Ma appena mi girai, lei già mi stava puntando una pistola in faccia. A quel punto decisi che era meglio trovare una via d'uscita in bagno. "Allora? Muoviti, dai. E non tentare di scappare dalla finestra, o te ne pentirai." disse fulminandomi. Appena entrai in bagno chiusi la porta a chiave, lentamente, cercando di non far sentire il rumore della serratura a Lexi. Poi tentai di aprire la finestra. Non credo che quella finestra era mai stata aperta prima d'ora. Era difficile da aprire, ma dopo vari sforzi ci riuscii. Era una finestra molto piccola e non si apriva più di tanto. Sentii Lexi che mi parlava: "Hai fatto? Quanto ci metti?" Anche se con difficoltà, riuscii a infilarmi nell'apertura e saltai dalla finestra. Fortuna che eravamo al piano terra! A quel punto cominciai a correre per la strada acciottolata, giù per la collina. Correvo più veloce che potevo, cercando di raggiungere al più presto la città. Una volta arrivato lì presi il primo autobus che vidi e arrivai finalmente nella periferia di Miami.

Bussai con tutta la forza che avevo, finché Vince aprì la porta. Mi precipitai dentro e mi chiusi la porta alle spalle. Rimasi con la schiena appoggiata alla porta per vari secondi, con il cuore in gola. Respiravo a fatica. "John, ma che cazzo...?" mi chiese Vince con stupore. "Si può sapere dove sei stato? Che ti è successo?" Dopo aver visto che ero chiaramente sconvolto, Vince mi prese per il braccio e mi portò in cucina, dove c'era anche Mia. Mi fecero sedere su una sedia e mi diedero dell'acqua. "Okay, John, ora che ti sei calmato raccontaci tutto." mi disse tranquillamente Mia. Spiegai tutto quello che era successo. Gli raccontai della rissa al bar, del poliziotto che mi aveva interrogato una volta arrivato in centrale, di Dom, Lexi e Lorenzo che mi avevano fatto uscire di prigione, mi avevano portato in una casa sperduta, legato ad una sedia, e raccontato quelle assurdità sui "Potenti", e infine della fuga dal bagno. Dopo il mio racconto, Vince e Mia mi guardarono chiaramente sconvolti. "Oh merda." riuscì a dire Vince. Poi guardò Mia, preoccupato. Lei ricambiò lo sguardo, si portò una mano alla bocca e, guardandomi, disse: "Tu sei un Potente?" Io la guardai con la bocca aperta, senza riuscire a capire. "Cosa? Credi a queste cazzate, Mia?" dissi io. Poi Vince mi guardò e disse: "Non sono cazzate, John. Se è vero quello che ti hanno detto Dom e gli altri, significa che tu sei il Potente più forte di tutti." Io continuavo a guardarlo con gli occhi sbarrati. "Ma che stai dicendo, Vince? Quelli erano degli psicopatici sfigati che volevano solo divertirsi con questa storia del cazzo. Non è reale!" sbottai io. Vince mi guardava con lo sguardo preoccupato e infine si rivelò. "Credo che sia ora di dirti tutta la verità. E' tutto reale, John. Anche noi siamo Potenti. Io e Mia. Noi conosciamo Dom, Lexi e Lorenzo, lavoravamo insieme per Astrea, quando vivevano sul nostro pianeta. Cacciò anche noi, perché non eravamo abili servitori. Non sapevamo che tu eri il figlo di Tod Rider. Dovevi dirci che il tuo cognome non è Smith." Non dissi nulla. Ero sconvolto. Non potevo credere che Vince e Mia potessero essere davvero degli esseri magici venuti sulla terra. Non volevo crederlo. Era una cosa talmente assurda che cominciai a ridere. "Si, Vince, certo. Bravo, sei stato davvero ottimo, ci stavo per credere, giuro!" dissi io, continuando a ridere di gusto. Poi vidi che Vince scrollava la testa e guardava Mia. Tutti e due sembravano delusi. A quel punto Mia alzò una mano, con il palmo rivolto verso di me. Poi la scrollò, come se si stesse liberando di una mosca che ronzava intorno a lei. Ad un tratto la mia sedia cominciò a muoversi avanti e indietro, sempre più veloce e io caddi a terra, col sedere sul pavimento. Fissai con gli occhi e la bocca spalancati quella sedia che sembrava imbizzarrita e che continuava a muoversi finché Mia non chiuse la mano di scatto. Poi li guardai. Vince e Mia si scambiarono un sorrisetto furtivo e sembravano soddisfatti. "Hai visto, John? Possiamo fare questo ed altro." disse Vince. Detto questo schioccò le dita e una bottiglia di succo di pesca che si trovava sul davanzale della cucina cominciò ad ondeggiare nell'aria, posandosi proprio sul tavolo davanti a Vince. Io, ancora seduto per terra, fissai tutta la scena in silenzio. Vince e Mia continuavano a ridere, sempre più soddisfatti. Ad un certo punto non riuscivo a capire più niente, tutto davanti a me sembrava muoversi così veloce da sembrare un gioco virtuale. Tutti i colori si mischiarono tra loro, poi ad un tratto ne vidi solo uno. Il nero. Il buio.







Hey bellissimi, ciao :') Allora? Vi piace come si sta mettendo la storia? Se avete dei consigli da darmi li accetto molto volentieri :') Se vi va, come vi ripeto sempre, potete mettere la mia storia tra le preferite e le seguite. Sempre se vi piace :') Mi fareste felicissima :')

Adfghjklkjhgf non ho parole per descriverlo *-*

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Capitolo 13
*** I miei poteri ***


13. I miei poteri

Appena aprii gli occhi vidi una luce accecante che entrava nella stanza. Ero sdraiato sul mio letto, ancora vestito come il giorno prima. Non ricordavo bene cosa fosse successo i giorni precedenti, ma appena vidi le ferite delle corde sui miei polsi ricordai tutto. E se era tutto vero, allora significava che Vince e Mia erano degli esseri magici. E forse anche io. Scrollai la testa nervosamente e decisi di andarmi a fare una doccia calda.

Dopo essermi asciugato e vestito con abiti puliti, scesi in cucina ma non trovai nessuno. C'era solo un biglietto poggiato sul tavolo. "Se hai fame nella credenza ci sono dei biscotti. Siamo andati a fare spese. Vince e Mia." Bene. Dopo tutto quello che era successo loro se ne andavano in giro a fare spese. Come se fosse normale essere dei "Potenti" o qualsiasi altra cosa fossero! Poi mi venne in mente Sarah. Dovevo assolutamente scusarmi con lei. Presi il cellulare e uscii di casa.

Cominciai a correre quando ero a metà del parco davanti al bar. Appena arrivai davanti alla porta vidi dalla vetrata che Sarah stava parlando con il signore anziano che lavorava con lei, il proprietario del bar. Piangeva. Non c'era nessun altro nel bar. Decisi di entrare subito. Appena mi vide lei si zittì, guardandomi con un'espressione tradita. Il signore invece si mise davanti a lei e mi disse con tono minaccioso: "Vattene, ragazzo. Hai già fatto abbastanza." Io però non lo ascoltai. Continuavo a fissare lei, che guardava in basso e si contorceva le mani per il nervosismo. "Non posso andarmene, devo parlare con lei." dissi rivolgendomi a lui. Poi continuai. "Sarah, io..." dissi, ma non riuscii a finire la frase, perché il barista aveva già fatto il giro del bancone e mi si era piazzato davanti. Mi spingeva con insistenza verso la porta, prendendomi per la t-shirt. "Non volevo. Non volevo fargli del male, non so cosa mi sia preso. Da quando ti conosco io... Sono impazzito! Ti prego ascoltami..." dissi io quasi urlando, riferendomi a Sarah. Il barista continuava a spingermi fuori, mentre io opponevo resistenza. "Finiscila! Basta, esci di qui o chiamo la polizia." continuava a ripetere l'uomo. Intanto delle persone si erano fermate fuori dal bar a curiosare, dopo aver sentito urlare. "Lasciami, lasciami andare!" continuavo a ripetere, ma l'uomo non mi mollava. A quel punto una scarica di adrenalina e di rabbia mi pervase. Nessuno poteva impedirmi di parlare con Sarah, nessuno. Lei era qualcosa di speciale per me, lo sentivo. Era diversa. Così chiusi la mano a pugno e colpii il barista con tutta la forza che avevo, in piena faccia. Questo cadde all'indietro, mezzo svenuto, con il naso sanguinante. Lo fissai per vari secondi a bocca aperta. Non riuscivo a credere di averlo fatto davvero. Un conto era picchiare Dylan, che aveva dato fastidio a Sarah per anni, un altro era picchiare un povero signore anziano che cercava di proteggere una ragazza. Io non volevo farlo. Era come se avessi perso il controllo del mio braccio. Mi guardai intorno e vidi che alcune persone fuori dal bar mi guardavano con aria impaurita e fissavano l'uomo a terra con orrore. Intanto Sarah si era portata la mano alla bocca e mi guardava con gli occhi spalancati. La raggiunsi dietro al bancone, ma lei si ritraeva, scuotendo la testa. "Sarah, ti prego..." dissi io, porgendole la mano. Lei continuava a singhiozzare e fissava la mia mano. "Vieni con me, giuro che non voglio farti del male." dissi con il tono più tranquillo che abbia mai usato. Era la verità. La guardai con occhi speranzosi, pieni di fiducia. Lei mi guardò dritta negli occhi, poi finalmente prese la mia mano e io cominciai a correre fuori dal bar, trascinandomela dietro, tra gli sguardi curiosi e impauriti delle persone per strada.

"Basta John, non riesco più a correre." mi disse Sarah, che era a pochi passi dietro di me. Avevamo corso molto, tanto da finire in una specie di bosco dietro ad un parchetto abbandonato. Avevamo tutt'e due il fiato corto e decidemmo di fermarci. Mi poggiai contro il busto di un albero per riprendere fiato. Intanto Sarah si era seduta su una chiazza d'erba poco distante da me. Mi guardava con curiosità. Poi finalmente disse: "Allora, John. Vuoi spiergarmi cosa vuoi?" Io la fissavo, ancora col petto ansimante per la corsa. "Mi dispiace, Sarah. Non so cosa mi sia preso con Dylan. E' solo che appena ho visto come ti ha trattato, sono esploso." Non la guardavo più. Fissavo le mie blazer grigie e bianche. "Ti rendi conto che stavi per ucciderlo? E oggi hai peggiorato ancora di più le cose, lo sai? Non dovevi colpire Albert, lui cercava solo di aiutarmi!" urlò Sarah, in preda alle lacrime. Non potevo vederla così. Lei mi guardava come se fossi un mostro. In effetti mi sentivo proprio così. Mi avvicinai a lei, mettendomi seduto al suo fianco. Mi presi le ginocchia tra le braccia e cominciai a parlare. "Non volevo colpire Albert. Dylan si. Lui lo volevo proprio uccidere. Non so cosa sia successo oggi, in questi giorni stanno succedendo cose strane e non so come spiegarle." confessai. Infondo era la verità: prima vengo rapito da tre strani tizi, poi vengo a sapere che le uniche due persone di cui mi fido sono degli esseri magici e poi scopro che lo sono anche io. In più ci si mettono anche gli attacchi di rabbia improvvisa. "Cosa vuoi dire?" mi chiese Sarah. Aprii bocca per rispondere, ma proprio in quel momento sentii un dolore lancinante provenire dal petto. Mi alzai subito in piedi, cominciando a respirare a fatica. Mi premevo forte il petto, poi cominciarono a bruciarmi le mani, in un modo atroce. Urlai per il dolore, mentre Sarah chiamava il mio nome in preda al panico. Mi poggiai con la schiena contro un enorme masso, mettendomi poi a sedere. Continuavo a sentire dolore in tutto il corpo, poi mi guardai le mani e rimasi a bocca aperta. C'era una strana luce blu che usciva fuori dai palmi delle mie mani e non avevo la più pallida idea di che cosa fosse. Anche Sarah le guardava. Chiusi subito le mani, concentrandomi sul dolore al petto, che si faceva sempre più forte. Intanto Sarah si era avvicinata a me e mi diceva di respirare piano e di stare tranquillo, mentre mi accarezzava il viso. Si vedeva chiaramente che lei non era tranquilla, e non capivo per quale motivo fosse ancora lì ad aiutarmi, dopo aver visto quelle cose. Mi portò una mano alla fronte e poi esclamò: "Oh mio Dio, John. Sei bollente!" Ero in preda al panico. Stavo per morire? Cosa diamine stava succedendo? Mi sentivo sempre più stanco e quasi non sopportavo più il dolore. Continuavo a lamentarmi ma non riuscivo a parlare e per di più mi si chiudevano gli occhi e sentivo molto caldo. Ad un tratto vidi arrivare da lontano due figure nere. Stavo per cedere al sonno, quando vidi che queste due figure correvano verso di me e mi chiamavano per nome. Riconobbi la voce di Vince, un po' preoccupata: "John, ascoltami. Non chiudere gli occhi. Respira piano e concentrati sui tuoi poteri." I miei poteri?! Non poteva essere vero. Eppure non c'era altra spiegazione. Cominciai a respirare profondamente e dopo pochi secondi il dolore cominciò a diminuire. Poi scomparve totalmente, ma io mi sentii stanchissimo. Aprii gli occhi, piano. Vidi Vince e Mia che mi guardavano sorridendo, mentre Sarah era bianca in viso. "Che cazzo è successo?" chiesi io allarmato. Vince guardò Mia, che annuì fieramente. "Ecco, John, oggi hai acquistato i tuoi poteri." disse Vince. Sarah sgranò gli occhi. Quando aprii bocca per protestare, Vince però disse: "Dobbiamo andarcene da qui, tutti i Potenti hanno avvertito che hai ricevuto i tuoi primi poteri. E' così che ti abbiamo trovato. E ne arriveranno altri. Andiamocene." Mi alzai in piedi dolorante, poi Sarah mi si avvicinò e mi disse sussurrando: "Cosa sta succedendo, John?" Non lo sapevo neanche io. Non sapevo cosa pensare o cosa dire. Sapevo solo che da quel giorno non sarei stato più lo stesso.







Buongiorno bellissimiii :3 Mamma mia quanto tempo è passato! Scusate, ma con la scuola e tutto ho pochissimo tempo :( Oggi sono riuscita a scrivere questo capitolo perché sono a casa con la febbre .-. Perciò spero vi piaccia :3 John comincia ad acquistare i suoi poteri :')

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